LasciamiVivere PREFAZIONE La mia storia è poco comune, non mi sono ispirato né ad un film né ad un romanzo, è semplicemente la storia della mia vita piena d’amicizia, d’amore, d’angoscia e di disperazione. Tutti i fatti sono reali, soltanto alcuni nomi sono stati cambiati con lo scopo di preservare l’intimità delle persone. Potreste ricordarmi che sono state già pubblicate tante biografie su questo tema, ma sono certo che troverete la mia diversa dalle altre; non auguro a nessuno di voi di vivere ciò che io ho patito. Avevo voglia di scrivere questo libro, non soltanto per esorcizzare dei vecchi demoni, ma anche per trasmettervi un messaggio d’amore e di speranza. Vorrei dire a tutte le persone che si riconoscessero in me, di non arrendersi, perché la vita è degna di essere vissuta. Non dimenticate, se siete disperati, che esiste sempre un barlume di speranza, una persona che vi ama e che vi tenderà la mano, quando sarete nel fondo del baratro. Ognuno di voi ha una stella sulla propria testa, seguitela, vi guiderà durante tutto il cammino della vostra vita. Lo so, ritenete che la vita sia ingiusta e vi chiedete spesso per quale motivo alcune persone hanno tutto e altre nulla. Smettete di compiangervi, dite a voi stessi che fino a quando il più piccolo respiro esala dal vostro corpo, dovete battervi ed otterrete in questo modo una vittoria sulla vita. Fuggite la solitudine, apritevi agli altri, ci sarà sempre qualcuno nel vostro ambiente pronto ad aiutarvi. Condividete la vostra esperienza e ascoltate i più fragili. Accettatevi così come siete, perché, credetemi, ciò che conta veramente è ciò che c’è in fondo al vostro cuore. Posso garantirvi che, se il futuro mi riserverà altre sofferenze, sarò pronto ad affrontarle, rialzerò la testa ancora e ancora, fino al mio ultimo respiro e se la morte dovesse attendermi ad una svolta del mio cammino, sarò felice di aver potuto lasciare questo lavoro alla mia famiglia, ai miei amici, e a tutti voi. Con tutto il mio affetto. Emanuel Com’è possibile descrivere in un’opera talmente piccola tutte le gioie, le pene, le sofferenze, i dolori di un uomo che lotta, da oltre 25 anni, contro la morte. In questo compendio, cercherò di descrivervi il mio incredibile percorso. Colpito da tante disgrazie, ho portato avanti, in tutti questi anni, una lotta accanita per sconfiggere la malattia, motivato dalla scomparsa di persone molto care. Spesso c’è mancato poco che ci lasciassi la pelle poi, appellandomi a tutto il mio coraggio, ho cercato di risalire la china, traendo energia nell’amore verso il mio prossimo. Nonostante i traumi subiti per la vigliaccheria, la cattiveria di certi uomini frequentati nell’ambiente professionale, quelli per la morte di mio padre, l’abbandono di mia madre, la separazione dall’amore della mia vita e per tutto il rancore accumulato a causa delle mie malattie che mi hanno provato così duramente, mai è venuta meno la mia volontà di vivere. Voglio continuare a lottare per dimostrare che con la speranza, la fede in Dio e molto coraggio, non è impossibile combattere e vivere con queste terribili malattie, quali l’aids e il cancro. Grazie alla mia determinazione e all’amore per la vita, sono sopravvissuto per poter condividere con voi i momenti felici e quelli dolorosi della mia esistenza. Mi chiamo Emanuel. Sono nato a mezzogiorno della domenica del 18 ottobre 1964, in una bella giornata autunnale, in un villaggio situato a nord del Portogallo. Quel giorno, la mia povera mamma, che lavorava faticosamente nei campi, si recò all’ospedale pubblico per partorire un piccolo essere che avrebbe dovuto affrontare la vita tra sofferenze e disperazione. I miei genitori erano molto fieri quando i loro vicini e amici, estasiati davanti al grazioso bambino, li coprivano d’elogi. Ero il quinto bambino della famiglia, ma anche l’ultimo perché mia madre partorì in seguito una bambina che, sfortunatamente, morì dopo 16 giorni. Mia madre avrebbe voluto molto coccolarmi, ma il giorno dopo la mia nascita, dovette già ricominciare a lavorare, non aveva altra scelta perché c’erano delle bocche da sfamare. Fui messo in un nido fino all’età di due mesi, poi, in seguito ad una tragedia, ritornai nella mia casa natia. Fu al nido che ho subito il mio primo trauma. Per un motivo del tutto incomprensibile, un’assistente utilizzò una polvere acida invece del talco, polvere che bruciò tutta la zona anale e del pene dei neonati che stava fasciando. Il prodotto sparso, producendo il suo effetto devastatore sui primi bambini, che urlavano di dolore, attirò la sua attenzione. Era talmente corrosivo che in alcuni bambini il pene si era letteralmente scarnificato. Poiché ero tra gli ultimi, i danni furono meno gravi ma, tuttavia, conserverò una traccia indelebile del primo avvenimento tragico della mia vita che avrebbe ossessionato una parte della mia infanzia e avrebbe creato un sentimento di malessere. Vivevo a Vizela, una cittadina vicino Guimaraes, nel nord del Portogallo, in una casa molto rustica, senza elettricità, acqua e, tanto meno, servizi. Il pavimento della nostra umile casa era in terra battuta e l’acqua vi s’infiltrava, in caso di forti piogge, attraverso il tetto poco impermeabile. Dormivamo in 4 in un letto, due da capo e gli altri due da piedi, per scaldarci a vicenda. Mi accadeva anche di succhiare le dita dei piedi di mia sorella come se fossero dei capezzoli. Il moi fratello maggiore dormiva su di un materasso posto sul pavimento. I materassi e i cuscini, imbottiti con della paglia, ci pungevano il corpo e, spesso, facevamo fatica a addormentarci. Ed ogni mattina, era possibile contare i fili di paglia tra i nostri capelli. I servizi erano all’esterno della casa, non si trattava altro che di una piccola baracca di legno che riparava un buco scavato nella terra sul quale erano collocate due assi di legno, accovacciati su queste due assi, mentre pioveva, ci si copriva la testa con un sacco di plastica per non bagnarsi. Non c’era carta igienica e così si utilizzavano dei vecchi giornali o delle semplici foglie di cavoli. Quando era umido, sui nostri glutei si potevano leggere i titoli d’attualità, perché l’inchiostro stingeva, le notizie, però, non erano fresche perché i giornali risalivano a qualche settimana prima o anche di più. La notte facevamo i nostri bisogni in un vaso collocato sotto il letto e lo svuotavamo tutte le mattine. Le faccende domestiche erano svolte molto velocemente, avevamo soltanto tre letti nella stanza principale, sei coperti e due pentole nella cucina. D’altronde la stanza che utilizzavamo come cucina, non ne aveva che il nome in quanto si trattava di una baracca con un forno a terra concepito soprattutto per cuocervi il pane. I pasti erano cucinati in pentole di ghisa poste sulla brace; mamma impiegava più di due ore per far cuocere una zuppa o qualsiasi altro cibo, ma spesso era la zuppa e delle sardine, la carne era soltanto per le grandi occasioni, come per Pasqua ma nella vita quotidiana solo delle semplici uova fritte e della zuppa di cavoli. Per lavare le stoviglie andavamo a prendere l’acqua da una fontana, che si trovava ad alcune centinaia di metri da casa, con delle taniche che le mie sorelle portavano sulle loro teste avvolte da un foulard. Esse facevano la spola una dozzina di volte nei giorni del bucato. Questo le divertiva, erano gli unici momenti in cui potevano vedere i loro compagni e divertirsi mentre le taniche si riempivano. La tinozza, in cui la biancheria era immersa, era collocata accanto alla casa e serviva per lavarci i piedi la sera prima di andare a dormire. Ci lavavamo in una semplice bacinella tutti i sabato sera, per essere puliti il giorno dopo per la messa domenicale. Eravamo poveri ma mia madre insisteva affinché fossimo puliti nel giorno del Signore. Nel resto della settimana era sufficiente un semplice strofinaccio perché era impossibile scaldare l’acqua per noi cinque. In estate non c’erano problemi, l’acqua era in parte calda, ma durante l’inverno era diverso ed erano necessarie delle ore prima di avere dell’acqua calda. E mio padre? È vero, non ho ancora parlato di mio padre. Era un uomo abbastanza alto, magro e amante del fai da te, smontava qualsiasi oggetto e lo rimontava senza problemi, sapeva anche suonare molti strumenti musicali senza aver mai frequentato dei corsi: non era in grado neanche di leggere uno spartito. Si chiamava Manuel quindi ha avuto un ruolo importante nella mia vita ma sfortunatamente per poco tempo. Lui è morto a 31 anni, io avevo solo sedici mesi. Papà non era un uomo cattivo, era la malattia che lo portava ad andare alla taverna del villaggio per spendere tutto il denaro della famiglia giocando a carte. Le donne, che oltrepassavano la porta dell’edificio, erano soprannominate « as mulhers com bigode » cioè « donne con i baffi ». Erano le sole che osavano affrontare i loro mariti, sfortunatamente, mia madre, troppo sottomessa, non faceva parte di questa schiera. Papà, colpito dalla tubercolosi, sapeva che stava morendo e quindi non voleva che nessuno gli dicesse come comportarsi e soprattutto nostra madre, che spesso veniva picchiata quando lei si rifiutava di darli il denaro per raggiungere i suoi compagni. Egli impazziva e la trascinava per i capelli per farle confessare dove aveva nascosto il denaro. Mia madre non ha mai ceduto, sapeva che ci doveva far mangiare e, quando mio padre era in crisi, lei si rifugiava dai vicini per fuggire dai suoi colpi. Lei non incolpava mio padre di nulla, conosceva la sofferenza che lui provava. Lo amava nonostante i colpi che riceveva. Prima di morire, mio padre le ha chiesto scusa per tutte le violenze fisiche e morali e si è spento nel fiore degli anni, assistito da tutta la famiglia, eccetto me, il più piccolo: non essendo autorizzato a vederlo sul suo letto di morte, mi era stato ordinato di rimanere sulla soglia della porta insieme ai vicini. Mia madre, non avendo il denaro, non aveva i mezzi necessari per comprare una tomba così, mio padre fu sepolto in una fossa comune senza nome, senza neanche una targa che segnasse il suo passaggio sulla terra. Il nulla, un vuoto immenso, come se lui non fosse mai esistito. Ed ecco, mia madre rimasta vedova a ventinove anni con cinque figli a carico e nuovamente incinta. La vita si accanì nuovamente su di lei quando perse questa bambina che portava in grembo. Mamma lavorava in un’industria tessile, era pagata in scudi (la vecchia moneta portoghese) e il suo stipendio mensile era l’equivalente di cinque euro. Era impossibile nutrire una famiglia di 6 persone con una somma così bassa. Avendo fame, la assillavo tutti i giorni chiedendole del pane; mamma era disperata perché non era in grado di provvedere ai nostri bisogni. Fortunatamente dei vicini ci offrivano gli avanzi della zuppa o del pane duro che noi bagnavamo con l’acqua o con il caffé d’orzo. Poiché ero il più piccolo della nostra tribù, ero privilegiato. I vicini mi trovavano divertente e carino, mi avevano soprannominato « Nelinho », piccolo Nel, diminutivo di Emanuel, ricevevo un pezzo di pane o una ciotola di minestra in più e non volevo mai dividerla con i miei fratelli e sorelle che erano affamati quanto me. Il droghiere del nostro paese era anche lui un uomo generoso che ci faceva credito quando mio padre era ancora vivo; mamma lo pagava a fine mese quando prendeva lo stipendio. Il giorno in cui le disse che non avrebbe potuto più farle credito, a causa della sua nuova condizione famigliare, mia madre non smetteva di piangere. Le mie sorelle cercavano di consolarla e anche io ero triste anche se non capivo cosa stesse esattamente accadendo. Le mie sorelle avevano degli splendidi capelli lunghi e ci tenevano come se fossero le pupille dei loro occhi. Una notte, però, durante il sonno, mia madre li ha tagliati loro per venderli a dei gitani. La mattina seguente ha spiegato loro che non aveva avuto altra scelta perché non sapeva più come sfamarci. Il tempo passava, mamma non riusciva più a trovare delle soluzioni, noi crescevamo ma il suo stipendio era sempre lo stesso, i vicini ci aiutavano per quanto potevano. Anche per loro era dura, avevano molti figli e inoltre mamma non voleva che si provasse pietà per noi, che fossimo guardati dall’alto, era fiera dei suoi bambini. Mamma sapeva che era necessario trovare rapidamente una soluzione. Pensò che espatriare in Francia le avrebbe permesso di trovare un lavoro pagato meglio. Una sera, mentre dormivo, discusse con le mie sorelle: le informò della sua decisione, annunciando loro che voleva affidare i più piccoli a sua suocera. Una mattina, al mio risveglio, lei era partita. Le mie sorelle mi avevano detto che era andata al mercato, ma lei non ritornò. La aspettavo pazientemente credendo di vederla arrivare, come tutte le altre volte che era andata a fare la spesa ma non è mai ritornata. Era un sabato di maggio. Il trauma fu talmente forte che iniziai a tartagliare: non ero più in grado di formulare correttamente una sola frase. Perché mia madre mi ha abbandonato? Non capivo, avevo solo quattro anni. Eccomi allontanato anche dalle mie sorelle maggiori, mia madre aveva trovato loro un lavoro poco prima di partire. Potete immaginare il coraggio e l’angoscia di nostra madre quando arrivò in un paese sconosciuto, di cui non conosceva neanche la lingua, la Francia, lei che non si era mai allontanata dal nostro paese. Le è stato necessario molto coraggio per abbandonarci, partire, sacrificarsi per noi è stato molto duro. Mamma ci amavi così tanto da fare ciò. Giunse a Strasburgo e, non sapendo dove andare, dormì sotto i ponti, Vagò nelle strade e, per caso, incontrò un portoghese che le propose di ospitarla. Questa persona le trovò un impiego e la fece assumere per fare le pulizie negli uffici, dove si è estremamente sfruttati; lavorava 15 ore al giorno percependo il minimo sindacale. Mamma non conosceva il valore del franco e la sua affittacamere disonesta le sottrasse una gran quantità di denaro facendole credere che era una cosa normale, inventandole una scusa o quanto altro. Quando mia madre capì, le diede il fatto suo nominandola in mille modi diversi. La schiaffeggiò anche, mia madre era molto arrabbiata perché sapeva che ogni soldo era contato per la nostra sopravvivenza, perché doveva inviare mensilmente del denaro a sua suocera presso la quale ci aveva lasciati Richiese il suo permesso di soggiorno alla prefettura di Strasburgo e, appoggiata da delle famiglie portoghesi, riuscì ad affittare uno studio in via Sainte-Madeleine, vicino al centro della città. Alla fine cominciò a condurre una vita decente ma presto fu tormentata dal passato. La solitudine le pesava enormemente, pensava ai suoi bambini rimasti al villaggio e fu dilaniata dai rimorsi. Mi è stato raccontato che spesso ha tentato di mettere fine ai suoi giorni annegandosi, ma, alla fine, non sopportava l’idea che i suoi figli potessero rimanere orfani. Quindi, mia sorella ed io andammo a vivere dalla nonna. Céleste e Mina all’epoca avevano 11 e 9 anni, quando furono assunte come domestiche presso delle famiglie borghesi. Moi fratello Antonio, il primogenito, poiché lavorava in un’industria tessile, rimase solo a casa. Aveva 15 anni e riuscì a cavarsela grazie ai nostri vicini generosi che gli portavano da mangiare la sera. Mia nonna paterna aveva messo al mondo 6 figli e non era molto entusiasta di doversi occupare di noi. Non era molto affettuosa e, dopo qualche mese, divenne odiosa verso me e mia sorella. Beveva in modo discreto, di nascosto, in modo che mio nonno non potesse rendersene conto. Aveva cominciato a bere quando suo figlio più piccolo, partito per andare a combattere in Angola, non era ritornato dalla guerra e la morte di mio padre sicuramente non aveva aggiustato le cose. L’alcool l’aiutava a dimenticare. Bisognava scusarla, perdere 2 figli in modo così brutale era qualcosa di estremamente doloroso. Suo figlio, ucciso in Africa, era il mio padrino, ma non ho avuto mai la fortuna di conoscerlo. Neanche lui, proprio come mio padre, aveva promesso che sarebbe ritornato sano e salvo ma, sfortunatamente, non è più ritornato. Certamente è ritornato, ma in una bara, per essere sepolto a Vizela ! Tutte le sere la nonna ci faceva recitare 40 « Ave Maria » per, così diceva, salvare le anime dei defunti. Quando si addormentava, per finire più velocemente le nostre preghiere, avanzavamo la sua mano sulla corona che stava sgranando. Mio nonno era un uomo buono e generoso che ci amava molto. Estremamente taciturno, piegato su se stesso, subiva gli assalti dell’umore di sua moglie. La nonna ci faceva lavorare duramente. Bisognava raccogliere il mais, vendemmiare, mungere le mucche e nutrire i maiali. Ci ripeteva senza tregua che ogni cibo deve essere pagato. Mia sorella ed io, che all’epoca avevamo 4 e 6 anni, lavoravamo già come dei piccoli fattori. In quel periodo tutti i bambini lavoravano e molti di loro non andavano neanche a scuola. Ma un giorno, senza alcuna spiegazione, la nonna decise che non aveva più la pazienza né la forza per occuparsi di noi e fummo mandati dalla nonna materna. Il nonno non era d’accordo, voleva tenerci con lui ma estenuato dai lamenti della moglie, rinunciò. L’altra nonna era vedova e, allo stesso tempo, madre di 10 figli. Avendo perso il marito 7 anni prima, neanche lei era stata risparmiata dalla vita. Meno male che alcuni figli, già sposati, non erano più a suo carico. Mia madre, emigrata, non le dava alcun problema in particolare, ma le mancava terribilmente. La nonna manifestava il suo affetto a tutta la famiglia, anche le sue nuore trovavano che la loro suocera era molto discreta e comprensiva. Essa diceva di avere molta pena per noi, avendoci nostra madre lasciati per guadagnarsi da vivere. Non sopportava che la nostra famiglia fosse divisa ed avrebbe voluto tanto accoglierci tutti con lei, malgrado i pochi mezzi finanziari di cui disponeva, ma purtroppo la sua casa era troppo piccola. Credo che uno dei miei ricordi più penosi risalga al 1969. Durante il nostro soggiorno a casa della nonna, ho condiviso la camera con uno zio che , all’epoca, aveva 19 anni. Dormivo nel suo letto e tutte le sere, mi chiedeva di masturbarlo o metteva il suo sesso tra le mie cosce e faceva dei movimenti fino ad eiaculare. Spesso, dovevo fare delle cose che mi causano dolore solo a parlarne o a scriverle, delle cose che non si ha il diritto di fare ad un bambino e che rimangono impresse per il resto della vita. Mi svegliava durante le notte, lo sentivo strofinarsi contro la mia schiena e le sue grosse mani callose mi afferravano nel momento in cui raggiungeva l’orgasmo. Avevo una gran voglia di gridare, ma metteva la sua mano sulla mia bocca per evitare ogni rumore. Delle piccole lacrime rigavano il mio viso, il mio corpo rabbrividiva. Alla mia età, avevo solo 5 anni, non capivo, ho creduto che fosse una reazione completamente normale di una persona adulta, ma avevo paura del momento in cui andavamo a dormire. Tutti i giorni gli lavavo i piedi prima di andare in camera e mi guardava con attenzione con un’aria che voleva dire: «Piccolo,tra poco ti farò la festa! » Mi rannicchiavo nel nostro letto, attanagliato dalla paura, aspettando che mio zio arrivasse per farmi subire le sue sevizie. Papà, perché non eri là in quel momento, perché ci hai lasciati così presto, se tu fossi stato viso non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò! Mamma dove sei? Perché mi hai abbandonato? Ogni mattina, per farsi perdonare, mi offriva una caramella o una piccola moneta, per farmi capire che ne avrei avute delle altre se non avessi parlato con nessuno. Non ho mai svelato a nessuno questo pesante segreto. Mia sorella maggiore, leggendo i miei appunti, mi confidò che anche lei era stata oggetto delle stesse attenzioni, ma non aveva mai soddisfatto le sue richieste, ripetendogli sempre: « Se mi tocchi, inizio a gridare e lo dico alla nonna ». Abbiamo rivissuto la scena insieme, delle lacrime silenziose rigavano le nostre guance. Non fu il solo, anche dei nostri vicini abusarono di noi, perché? Penso che sapessero che ero orfano di padre, e quindi era più facile perché non rischiavano alcuna vendetta. Ai loro occhi, ero un orfano, un povero orfano, le persone facevano di noi ciò che volevano. Eravamo poveri e spesso, non avevamo molto di che mangiare, dovevo masturbarli, mettevano il loro sesso nella mia piccola bocca, alcuni di loro neanche si lavavano (come era disgustoso), il tutto avveniva in un angolo, lontano dagli sguardi dei vicini o mentre ero intento a raccogliere la legna, il tutto per una semplice caramella o una pagnotta di pane. Mio Dio come è triste non aver nulla da mangiare ed essere alla mercé delle persone più agevoli e senza scrupoli! Chi avrebbe potuto credermi se lo avessi raccontato, nessuno avrebbe voluto sentire la mia storia; gli stupri, gli incesti i bambini maltrattati, tutto ciò ha sempre traumatizzato le persone. Quanto mi ha fatto bene parlarne oggi, ho potuto confessare tutto dopo 40 anni, questo pesante segreto che ha straziato la mia anima per tutto questo tempo, adesso svanisce tra i miei pensieri. I giorni si susseguivano, monotoni e laboriosi. Bisognava raccogliere la legna nel bosco, cercare dell’acqua di sorgente, lavorare nei campi ed il mio compito quotidiano consisteva anche nel lavare i piedi ai miei 4 zii. A forza di mangiare soltanto della zuppa di cavoli e di bere l’acqua della fontana, mia sorella ed io ci ammalammo. Abbiamo trovato nelle nostre feci, spesso anche decine, dei vermi bianchi lunghi tra i 10 e i 25 cm, il cui nome medico è “ascaris”; era spaventoso! Talvolta, i vermi erano così tanti che provavamo la sensazione che decine di essi volessero uscire contemporaneamente dal nostro corpo, e allora chiamavamo in aiuto la nonna che veniva di corsa a toglierli. Abbiamo saputo che ad alcune persone, questi vermi escono dalla bocca soffocandoli. Avevamo una paura da matti e non ricordo più il nome di quel prodotto miracoloso che ha bloccato questa malattia. Era un tipo di sciroppo dal gusto sgradevole, non molto buono però molto efficace, Un giorno la nostra gatta partorì e mio zio ha annegato tutti i suoi piccoli. Ho scelto il più bello, l’ho preso nella mia mano e, come per incanto, dopo alcuni minuti, il gatto ha ripreso i sensi. Ero estasiato, credevo di avere un potere soprannaturale ma il miracolo avvenne solamente perché il gattino aveva una fibra più resistente degli altri. A sei anni, fui mandato a scuola. Le ragazze vi andavano la mattina ed i ragazzi il pomeriggio. Ero molto felice di poter seguire i corsi e di fuggire da certi ordini quotidiani. Soprattutto quando bisognava restare vicino alle mucche ed aspettare i loro escrementi, per raccoglierli poi, mentre erano ancora caldi, perché servivano per chiudere il coperchio del forno affinché il caldo non uscisse dal forno, mentre la nonna coceva il suo pane. Non sembra qualcosa di buono, ma il pane era delizioso. In prima imparai a leggere e a scrivere in portoghese. Andavo a scuola solo con il gesso e una lavagnetta. Non esistevano ancora i libri, le matite o l’inchiostro. No, non eravamo nel Medio Evo, ma negli anni ’70 in Portogallo. La maestra aveva tutti i diritti, ci insegnava duramente, poiché aveva studiato e ci trasmetteva tutto il suo sapere, era una persona rispettabile e rispettata dagli abitanti del villaggio. Nessun genitore andava a lamentarsi quando la maestra picchiava un alunno e non credo che molti bambini osassero lamentarsi dai genitori quando erano castigati, per paura di essere puniti una seconda volta. Per ogni errore commesso, ci prendeva la mano e ci colpiva con il suo lungo righello di legno. Stringevamo i denti per non piangere, altrimenti la punizione sarebbe stata più severa; ci chiedeva allora di mettere la mano a forma di becco di cigno e colpiva con tutte le sue forze sull’estremità delle unghie. Il dolore era tremendo. Come tutti i miei compagni di classe, ho avuto la mia dose di bastonate, e tutti ci facevamo la pipì addosso per il dolore e dire che la maestra con il suo piede ci colpiva. Più gridavamo, più lei sorrideva, l’educazione era diversa rispetto a quella di adesso in cui gli alunni aggrediscono i professori. Alle 16 mangiavamo una cipolla condita con del sale grosso e accompagnata da un pezzo di pane. Ogni tanto un cetriolo prendeva il posto della cipolla. Non esistevamo pane Nutella né Kinder Surprise; ciò può far sorridere ma erano cose molto più nutrienti di quelle che adesso proponiamo ai bambini . Stavo bene con i miei compagni di classe anche se, certi studenti mi prendevano in giro a causa della mia balbuzie; la maestra era meno severa con me, forse ciò era dovuto al moi handicap. Mi ricordo di aver ricevuto una cartolina raffigurante la Cattedrale di Strasburgo, da parte di mia madre per il mio compleanno. Né io né i miei compagni avevamo mai visto una chiesa così alta – che, secondo noi, era più alta di 40 volte della chiesa del nostro paesino – mi ricordo di averla venduta quella cartolina per una banana, frutto che non avevo mai assaggiato. La maggior parte degli alunni andavano a scuola scalzi. L’unico paio di scarpe che avevamo a disposizione era riservato per la messa della domenica e per il catechismo. La Messa della domenica era sacra! Bisognava essere « adatto » per recarvisi. Come a scuola, il curato colpiva i bambini disobbedienti con la sua bacchetta di legno, ma aveva più forza della maestra. Questo santo uomo non tollerava che gli si tenesse testa. Quando passava tra le file, bisognava baciargli la mano e chiedergli la sua benedizione, appena arrivava alla mia altezza, mi raggomitolavo come se avessi delle cose da nascondere, ma ciò avveniva soltanto perché avevo paura del suo bastone: sospettavo che nascondesse il suo strumento di tortura sotto la tonaca. Durante le feste pasquali, dal venerdì santo, eravamo autorizzati a cogliere i fiori del giardino per riunire i petali. Realizzavamo un magnifico tappeto fiorito davanti la soglia della nostra porta, che il curato calpestava benedicendo tutta la famiglia. Egli intascava, prima di andarsene una busta, contenente un biglietto che la nonna aveva preparato con cura; le persone meno fortunate vi inserivano solo delle monete. Era anche il solo giorno dell’anno in cui mangiavamo della carne, il piatto tradizionale pasquale era il « capretto » una vera leccornia! Custodivo preziosamente le ossa per giocarci, perché non avevo né macchinine, né trenini, né soldatini di piombo. Con un pezzo di legno ed un elastico avevo costruito una fionda per tirare agli uccelli che divoravano le nostre spighe di grano e di mais. Lo so, non era giusto, ma non avevamo altra scelta, dovevamo salvare il magro raccolto che aveva la nonna, era questo che ci permetteva di vivere. Casa della nonna era costruita in modo strano, delle grosse pietre di granito, non cementate, erano collocate le une sulle altre ; la luce del giorno poteva filtrare attraverso gli interstizi. La cucina era il locale più importante della nostra casa a Vizela, un forno in terracotta troneggiava in mezzo alla stanza con alcune pentole in ghisa. Solo il bagno era migliorato, perché qui, la tavola bucata non si trovava più al livello del suolo, ma si trovava su una struttura in legno, cosa che rendeva il tutto più comodo. Come carta igienica non usavamo più i cavoli ma della carta di giornale che i miei zii acquistavano, le notizie erano attuali non come a casa nostra. Due in uno, prima la lettura e poi…non c’è bisogno che ve lo dica. Man mano che i giorni passavano, pensavo sempre meno alla mamma: mi ero abituato alla mia nuova vita a casa della nonna che consideravo sempre di più come una mamma. Ero felice! Immaginavo di essere stato adottato come un bambino che è accolto in una nuova famiglia. Poco a poco il ricordo di mamma e delle mie sorelle si allontanava da me. Ma, un mercoledì mattina, mentre stavo andando ad attingere l’acqua alla fontana, vidi in lontananza, una donna che era molto diversa da quelle del paese. Quando si avvicinò, scorsi che indossava un bell’abito colorato, delle belle scarpe ed aveva un taglio di capelli perfetto. Non somigliava affatto alle donne portoghesi, vestite soltanto di abiti neri e con i foulard in testa. Incuriosito mi chiesi chi fosse questa bella sconosciuta! Mi ripetevo tra me e me che forse mi avrebbe potuto adottare, doveva essere ricca, e forse non aveva bambini. La donna fece un sorriso; la fissai con lo sguardo inebetito, voltandomi per vedere se non si stesse rivolgendo ad un’altra persona, cosa voleva? All’improvviso parlò dolcemente e la sua voce era così dolce e penetrante che invase la mia anima: « Nelinho, Nelinho ! » Come mai questa donna conosceva il moi nome, ma chi era ? improvvisamente tutto il mio corpo ha iniziato a tremare, la mia gioia è stata così immensa che mi sono fatto la pipì addosso: questa volta non per il dolore ma per la gioia: sì era lei! L’avevo riconosciuta, sì era proprio lei. Mia madre era tornata ! Ricordandomi della mia gioia, ho ancora le lacrime agli occhi! Fu il più bel giorno della mia vita, ed avevo 6 anni. Corsi verso di lei per nascondermi fra le sue braccia ; mi stringeva con tutte le sue forze, ripetendomi fra i singhiozzi: « Mio figlio, il mio piccolo, il mio Nelinho, come sei cresciuto.» Le parole si soffocavano nella mia gola: Ma, ma,,,,sempre balbettando « Oh! mamma mi sei mancata così tanto, pensavo che non ti avrei rivista mai più.» In quel momento, avrei voluto che il tempo si fermasse, che restassimo abbracciati per l’eternità. Mi aggrappavo a lei e non volevo più lasciarla. Mi prese con un braccio, e con l’altra mano agguantò la sua pesante valigia, che non era di cartone, e si diresse verso casa della nonna. Io, da lassù, ero così fiero,, guardavo i miei compagni che mi invidiavano, i miei piccoli occhi splendevano di mille scintille, il mio piccolo cuore batteva velocemente, l’emozione era troppo forte. Vedendola, la nonna scoppiò in singhiozzi, la mamma mi mise in terra e si abbracciarono a lungo. Corsi con tutta la forza che avevo nelle mie piccole gambe verso il villaggio gridando: « Mia madre è tornata, mia madre è tornata, na na na ! »» erano le sole parole che riuscivo a pronunciare correttamente, na na na, ma nel profondo del mio cuore, non mi interessava di balbettare, quel giorno ero un bambino come tutti gli altri, felice di avere la sua mamma al suo fianco; felice di rivedere il suo viso e niente aveva importanza per me in quel momento, veramente niente. In pochi minuti la casa fu invasa dai vicini che volevano vedere il figliol prodigo. La nonna stappò una bottiglia di vino, estrasse delle grosse pagnotte di pane e il prosciutto affumicato che conservava preziosamente, per un’occasione speciale e offrì a tutte quelle persone che erano venute ad augurare il benvenuto alla sua cara ragazza. Mamma aveva portato dei regali alle persone alle quali era particolarmente legata e anche delle caramelle e del cioccolato che offrì ai presenti. Nel pacchetto che mi aveva dato, scoprii una cosa straordinaria : una piccola scatola che che, appena la agitavi, emetteva il muggito di una vacca. Una scatola che faceva « MEUUUH ! MEUUUH! » Che sorpresa meravigliosa ! Ero estasiato, era la prima volta che ricevevo in dono un vero giocattolo. Curioso, volli vedere cosa ci fosse dentro la scatola, la smontai e all’improvviso più nulla. In 10 minuti avevo rotto il giocattolo. L’ho rimontato come se nulla fosse accaduto, facendo credere che fosse un difetto di fabbricazione. Ero già abile ad usare le mani, proprio come mio padre. A mezzogiorno, mia sorella Emilia tornò da scuola. Si agitò vedendo questo assembramento, temeva una disgrazia. Vedendo mamma, si rifugiò tra le sue braccia piangendo calde lacrime e saltò dalla gioia quando questa le diede il suo regalo contenente una bambola: anche per lei era il suo primo regalo. La mattina seguente, mamma portò i regali alle altre due sue figlie maggiori che lavoravano presso delle famiglie borghesi. Non sapevo che cosa avesse regalato loro; a mio fratello, se la memoria non mi inganna, credo che gli abbia regalato un orologio. Eravamo tutti felici di aver ritrovato nostra madre, purtroppo la felicità non doveva durare. Non lo sapevamo ancora ma quindici giorni dopo doveva ripartire per Strasburgo. Un pomeriggio, mentre ero a scuola, il rumore del motore di un taxi, fermo davanti alla scuola, attirò la mia attenzione. Subito vidi mamma piegata sul sedile posteriore che mi cercava con lo sguardo attraverso i vetri dell’aula di scuola, capii che voleva partire senza salutarmi. Il mio sangue si gelò, scavalcai la finestra, corsi, cercai di raggiungerla, ma inutilmente; l’automobile partì velocemente e, con tutte le mie forze, iniziai a gridare e la vedevo piangere come non aveva mai fatto fino a quel momento. « Mamma, mamma, resta con me, ti prego, mamma, non andartene, non lasciarmi, mamma… » Mamma chiese all’autista di accelerare, la separazione fu ancora una volta dura da sopportare, facevo fatica a capire perché una madre possa abbandonare in questo modo i suoi figli. Soltanto più tardi capii che non aveva altra scelta. Presto, vidi soltanto il fazzoletto bianco che lei agitava. La mia vita oscillò nuovamente, ero esausto dopo aver corso scalzo per più di 300 metri, gridando « Mamma, mamma ritorna, ti prego non mi lasciare ». ma le mie grida non la riportarono indietro, e all’improvviso più nulla, solo un’ombra su quella piccola strada stretta, il moi cuore si strinse come se fossi di nuovo solo al mondo. La maestra venne a cercarmi e mi riportò in classe dove, invece di colpirmi, mi strinse tra le sue braccia per consolarmi. Anche lei era una mamma e capiva il mio smarrimento, le solcò il viso una lacrima. Piansi per due giorni di continuo e la mia balbuzie si accentuò ancora di più. Mia nonna fece del suo meglio per consolarmi, dicendo: « Emanuel,piccolo mio, non fare così, mamma è ripartita soltanto per trovare una bella casa, ritornerà presto e ti porterà in Francia, non piangere piccolo mio » L’ascoltavo senza capirla, perché i miei pensieri erano tutti rivolti a mia madre. Perché? Perché mi ha abbandonato di nuovo? Non sapevo neanche dove fosse, sapevo solo che era ripartita per la Francia, dove è la Francia ? Credevo che fosse in capo al mondo. Da quel giorno, non fui più lo stesso mi mancava qualcosa, capivo soltanto che mia madre mi aveva abbandonato ancora una volta, poteva amare i suoi figli se si comportava in questo modo? cercavo di comprenderne il motivo ma non trovavo la risposta, sapevo soltanto una cosa: mi mancava terribilmente. Moi zio, quell’uomo perverso, gli approcci del quale erano diventati sempre più rari perché aveva trovato una donna con la quale calmare i suoi ardori, pensò di sposarsi. All’epoca avevo quasi 7 anni. Il suo matrimonio fu celebrato senza sfarzi perché la nonna non poteva pagare le spese. Io e mia sorella ci eravamo sbarazzati definitivamente di questo individuo machiavellico e la gioia più grande fu di avere un letto tutto per me. La nonna, alcuni mesi più tardi, ricevette una lettera da parte di mia madre, che le diceva che sarebbe venuta per portarci, questa volta, tutti con sé in Francia. Il giorno in cui la nonna ci informò di questa notizia, diventai felice, sorridente, niente aveva più importanza. Al solo pensiero che la mamma sarebbe tornata a prenderci, il moi cuore trasaliva dalla gioia. Mio fratello Antonio aveva già lasciato il Portogallo per raggiungerla a Strasburgo, gli aveva trovato un lavoro nell’edificio. E il giorno tanto atteso alla fine arrivò. Era il mese di giugno del 1972, Oh! Non dimenticherò mai questa data incisa per sempre nella mia anima, il giorno in cui mamma ritornò. Aveva mantenuto la sua promessa. Era necessario muoverci rapidamente perché aveva versato una certa somma (considerevole probabilmente) ad un passatore per portarci clandestinamente in Spagna dove dovevamo raggiungerla, dopo aver attraversato la frontiera. Il tempo di preparare le nostre valigie, una valigia per noi 4, e di salutare la famiglia e gli amici più cari, ed eccoci pronti per l’avventura. Le mie sorelle avevano già dato le dimissioni dai loro impieghi ed erano ritornate a casa dalla nonna. Mina e Celeste erano cresciute, come mi eravate mancate! Felice di averle ritrovate, eravamo di nuovo insieme come una volta. Si poteva vedere nei nostri occhi una luce di gioia e di speranza, avevamo fiducia credendo che non ci sarebbe potuto succedere più nulla perché ci eravamo tutti riuniti. Il giorno della nostra partenza, una pioggerella cadeva sul paesino, ma anche nei nostri cuori, ma stava diluviando nel cuore della nonna. Era triste da morire, che dolore! I suoi piccoli stavano lasciando la culla. L’ho stretta tra le mie piccole braccia, sentii il suo cuore battere forte. Le mormorai abbracciandola. « Adeus Bobo Adeus maezinha » (ciao nonna, non piangere nonna). Provando molto affetto per lei, avevo l’anima in pena vedendola in questo stato. «Adeus, meus netinhos que deus vos acompagna.» (Addio, nipoti miei, che Dio vi accompagni, non dimenticatelo mai) ci diceva Bobo. No nonna, non ti dimenticherò mai, mai! La mamma non trovava le parole adatte per ringraziare sua madre di ciò che aveva fatto per lei e per noi, la nonna le diceva soltanto: «Vai minha filha, que Deus te ajuda », (Vai figlia mia, che Dio ti protegga, sii forte piccola mia, sono fiera di te). La mamma e la nonna piangevano, anche noi, ma eravamo felici di partire. Provavamo due sentimenti diversi e distinti: la tristezza e la gioia. Che giornata carica di emozioni! Una staffetta ci lasciò alla frontiera portoghese. Il ruolo del passatore consisteva nel condurci attraverso la foresta, fino in Spagna, senza farci vedere dai doganieri. Egli aveva indicato a mia madre un luogo preciso ed un’ora approssimativa, ma senza scrupolo, ci aveva abbandonati nella foresta. Questo uomo, senza scrupoli, partì nuovamente alla ricerca di altre vittime con lo scopo di togliere loro il denaro che avevano, con grossi sacrifici, racimolato negli anni per poter fuggire dalla dittatura di Salazar. Eravamo atterriti, non sapevamo quale strada prendere. Poi, ad un incrocio, mi sono avventurato, a caso, in un sentiero, seguito dalle mie sorelle. Come per incanto, raggiungemmo il luogo stabilito. Mamma, atterrita, credeva ciecamente che i doganieri spagnoli ci avessero ricondotto alla frontiera. Fu immenso il suo sollievo quando ci ritrovò, dopo aver atteso per più di due ore. Dopo tutto questo spavento, prendemmo il treno per la Francia, ma l’avventura non era ancora terminata. Non avevamo i passaporti; mamma, angosciata all’idea che un poliziotto potesse controllarci, ci chiese di nasconderci, ad ogni fermata, io sotto la sua gonna, le miei sorelle in un portabagagli o nei bagni. I poliziotti avevano ispezionato i vagoni più volte, pensavo che ci avrebbero scoperti ma…alla fine si allontanarono senza dire una parola. Di sicuro avevano ricevuto l’ordine dal governo di non essere troppo zelanti, non avevano manodopera in Francia. Dopo 36 ore di viaggio, il treno giunse alla stazione di Strasburgo. Faticavamo a stare dietro alla mamma, che allungava il passo per raggiungere mio fratello che ci aspettava a casa. Restavamo a bocca aperta davanti ai cani al guinzaglio, la gigantesca cattedrale, le macchine di lusso. Mi ricordai della cartolina, era la stessa chiesa, ma dal vero era ancora più bella e più grande di come me la ricordavo. Affascinati dall’effervescenza di questa città, ascoltavamo con attenzione nostra madre che non taceva elogi su questo posto magnifico. Quando arrivammo all’appartamento, Antonio, che ci riconosceva a stento, ci salutò con una gioia contenuta. Alla fine…tutti insieme. Dopo quasi 3 anni di separazione! Che felicità! Moi fratello era diventato un uomo, già segnato dal suo lavoro pesante. Lo trovavo così diverso, scambiavamo appena qualche parola. È sempre stato diverso, chiuso di carattere, come se la morte di papà lo avesse scioccato, poi la breve separazione da mamma, non lo so ma qualche cosa era successa. Mia madre ci fece visitare in poco tempo l’appartamento: una camera sola, una cucina nessun bagno sul piano, erano fuori, noi ci eravamo abituati. Ma che meraviglia! Avevamo l’acqua corrente e l’elettricità. Era incredibile! Non avevo mai visto un rubinetto in vita mia e provai un piacere ad aprirlo e chiuderlo. Mamma, arrabbiata, mi ordinò di finire il mio gioco dicendo: « Fermati, Nelinho,non sei più in Portogallo, in Francia l’acqua si paga.» Ah bene! Non lo sapevo ! In Portogallo l’acqua sgorgava di continuo dalla fontana Nostra madre aveva preso un mese di ferie per avere il tempo di organizzarsi. La sua prima preoccupazione fu quella di iscriverci a scuola, vera follia perché noi non parlavamo il francese. Abitavamo a Krutenau, non lontano dalla Facoltà di giurisprudenza e medicina. Mamma credendo che i bambini di qualsiasi età potessero frequentare questo edificio, bussò alla porta del preside per chiedergli di accettarmi in una delle classi. Quest’ultimo la fissò perplesso, vista la mia altezza, chiedendosi se fossi superdotato e la condusse alla porta promettendole di accettarmi dopo…12 anni. Così io ebbi la mia laurea. Alla fine fui iscritto alla Scuola elementare Saint Thomas per l’anno scolastico che sarebbe iniziato settembre 1972. una scuola che si trovava vicino alla “Petite France”. L’appartamento era troppo piccolo per tutti noi. Era uno studio: avevamo sistemato due materassi per terra, uno per le mie 3 sorelle, uno per me e mio fratello, mentre mamma dormiva sul divano. I materassi erano di gomma, che bella sensazione non essere punti dalle spighe della paglia, era così morbido che si soffriva quando ci si doveva alzare. Mamma approfittò dei suoi ultimi giorni di ferie per farci visitare Strasburgo. Non sapeva ancora muoversi bene nella città, ma conosceva i principali luoghi turistici come la «Petite France » e il «quartiere della cattedrale ». eravamo soggiogati da tanta bellezza. Mamma ci aveva fatto visitare dei luoghi con scale mobili e ascensori, non li avevo mai visti, credevo che si potesse salire al cielo, come era diverso dal mio paese; era tutto enorme, le sue vetrine, le sue luci, credevo di essere nel paese delle meraviglie in uno di quei grandi magazzini con uno spazio dedicato ai giocattoli. Mai nella mia vita avevo visto così tanti giocattoli, trenini elettrici, macchina, la mia mucca meuuuuh, c’era anche lei, bisognava soltanto guardare, mamma non aveva i soldi per comprare qualsiasi cosa, la priorità era data al cibo perché aveva 5 bocche da sfamare. Mamma si era informata per l’affitto di un appartamento al centro della città. Una casa di tre camere, senza bagno, né acqua calda e evidentemente servizi igienici.; era come ai vecchi tempi, i servizi igienici erano nel cortile. L’appartamento si trovava al terzo piano, ciò voleva dire che il nostro piccolo vaso da camera, che serviva a tutta la famiglia, ci sarebbe stato d’aiuto nel momento in cui mamma avrebbe firmato il contratto. È ciò che si sbrigò a fare e nei quindici giorni successivi traslocammo. Ritorno sulla parola « trasloco » perché non è un termine veramente appropriato poiché si trattava soltanto di raccogliere i due materassi, un po’ di stoviglie e qualche abito. Avreste dovuto vedere la testa dei passanti che ci vedevano camminare, a piedi nudi, con i materassi sulla testa; si voltavano quando passavamo, impassibili, non ci badavamo. Sì, ripeto, a piedi nudi, perché come in Portogallo, mamma ci permetteva di indossare le scarpe solo per andare a messa, la domenica, giorno in cui avevamo la gioia di incontrare di nuovo i nostri compatrioti. D’altronde fu grazie alla comunità portoghese che potemmo trovare qualche mobile: tavolo, sedie e soprattutto un armadio in plastica che ci fu molto utile. Con calma, potemmo acquistare l’indispensabile. Mamma iniziò di nuovo a lavorare, nel frattempo aveva trovato un impiego come donna delle pulizie presso il rettorato di Strasburgo. Mio fratello aveva sempre lo stesso impiego e le ragazze ed io attendevamo con impazienza la ripresa dei corsi scolastici con lo scopo di fare nuove amicizie e di imparare il francese. Il tempo ci sembrava non terminare mai perché nostra madre ci aveva proibito di uscire mentre lei era assente, aveva troppa paura che potessimo perderci nella città. Mia sorella maggiore preparava da mangiare, era un’ottima cuoca e mamma, stremata dopo una lunga giornata di lavoro, apprezzava il fatto di non dover mettersi a cucinare per tutta la truppa.; mio fratello, giovane e forte, sembrava il meno provato. Dopo cena e le preghiere, ognuno andava a letto; non c’era la televisione e non avevamo altro da fare. Ero autorizzato a scendere in strada per giocare a calcio con un moi vicino di origine ungherese che abitava al primo piano. Era molto simpatico, ma sfortunatamente non capivo una sola parola di ciò che diceva. Sua madre mi invitava ogni tanto a mangiare il dolce – una specie di torta con le noci che mi piaceva moltoe a guardare la televisione nel loro salone arredato superbamente. Vedendo le immagini scorrere, la mia immaginazione viaggiava fervidamente; come potevano stare tutti quei personaggi in una piccola scatola? mi facevo delle domande, consapevole che non dovevo fare come con la scatola regalatami da mia madre. Ma ne avevo voglia, credetemi. Le mie sorelle conoscevano già il piccolo schermo perché lo avevano visto dai loro datori di lavoro, avevano solo il diritto di spolverarlo. Alla fine il giorno tanto atteso arrivò ! Il primo giorno di scuola! Avevo 8 anni. Mamma prese il mio abito e le mie scarpe della domenica che, non erano più adatte per i miei piedi, mi stringevano terribilmente; ma non era il momento di comprare un altro paio di scarpe, non erano ancora previste nel bilancio famigliare. Mamma mi accompagnò a scuola, perché ancora non ero in grado di orientarmi nel nostro quartiere. Nuova delusione: gli altri bambini indossavano dei begli abiti dai colori sgargianti mentre io ero vestito di nero come se avessi dovuto assistere ad un funerale. Quando suonò la campanella e dovetti lasciare mia madre per raggiungere la nostra maestra, riaffiorarono alla mia mente tutti i brutti ricordi del passato, singhiozzavo, aggrappandomi alla sua gonna : « Mamma tu partirai di nuovo e mi lascerai solo, rispondimi mamma ! » Mia madre, in lacrime, comprendendo le mie paure, cercò di calmarmi. Aveva capito che le sue due repentine partenze dal Portogallo mi avevano lasciato degli strascichi psicologici. « No,non aver paura Nelinho, non partirò mai più, resterò sempre con te, te lo prometto, te lo prometto figlio mio! » Un grande sorriso illuminò il mio viso, non avevo più alcun motivo di avere paura, lei diceva la verità, mi rassegnai alla fine a raggiungere gli altri alunni e quando la maestra mi passò le mani tra i capelli, mi rilassai. Ma vedendo mamma allontanarsi, un piccolo dubbio si affacciò in me,: mi fido di te mamma, ti vedrò dopo la scuola. Promesso! La maestra era molto gentile e paziente: temevo, tuttavia, che essa potesse nascondere un righello nel cassetto come l’insegnante in Portogallo. Ma qui non esistevano righelli, i bambini non venivano picchiati, potevano essere puniti mettendoli in castigo in un angolo, ma senza colpirli. Fatte le presentazioni,la maestra ci chiese i nomi di tutti i componenti delle nostre famiglie e le loro professioni; cercavo di comprendere, ma le parole si mescolavano nella mia testa. « E tuo padre che cosa fa ? », mi chiese. Risposi molto emozionato. « Papa morto ! » (papà è morto) Una grande tristezza si impadronì di me; ancora una volta ero diverso dagli altri. Ero l’unico della classe ad essere orfano di padre. La campanella suonò ed uscimmo in cortile per la ricreazione. Mi sbrigai a togliere le mie scarpe che mi facevano male ed i miei compagni mi presero in giro vedendomi correre scalzo sull’asfalto ancora caldo per il sole di settembre. Questo primo giorno di scuola mi aveva segnato, perché all’uscita di scuola, tutti i genitori erano là per prendere i loro figli, li vedevo abbracciarsi, cercavo di vedere se la mamma era là, ma dentro di me sapevo che stava lavorando, mi incamminai da solo fino a casa che si trovava a 700 metri da scuola. La mamma mi aveva spiegato il percorso da fare, non era complicato; era necessario fare soltanto attenzione sulle strisce pedonali. Mentre nel mio villaggio si doveva fare attenzione soltanto a non scivolare su una cacca di vacca. A scuola c’erano dei corsi di ginnastica e tutti bambini dovevano parteciparvi. Io non avevo delle scarpe da ginnastica come tutti gli altri e non osavo chiedere a mia madre di comprarmene un paio, lei che a fatica riusciva ad arrivare a fine mese. Prima di ogni lezione, mi toglievo le scarpe, osservato dalla mia maestra, ma un giorno lei arrivò con un paio di scarpe da ginnastica, nuove o quasi, credo che fossero del figlio. Ero felice perché avevo le mie prime scarpe da ginnastica ad 8 anni, sapevo ringraziare, mi ricordo di aver detto:”Merci Madame” “Grazie Signora ”, mi sentivo felice, erano blu con i lacci bianchi. Mamma rimase stupefatta, la sera mi chiese da dove provenissero quelle scarpe nuove. Le raccontai la storia, la vidi asciugarsi una lacrima sulla guancia, non se ne capacitava…una maestra che offre un paio di scarpe ad uno dei suoi alunni! Mai e poi mai avremmo visto ciò in Portogallo! Mamma non smetteva di elogiare i francese, concludendo che erano estremamente buoni. La mia vita scolare fu meravigliosa! ero il primo della classe in matematica, la maestra si complimentava con me dicendomi che, in questa materia, superavo tutti i miei compagni. Mi ricordo ancora la prima visita medica, ci sottoponevano ad un test per la vista allineando delle immagini sottotitolate in francese, io rispondevo in portoghese, casa, gato (casa, gatto) chat? Ed ero ancora più sorpreso perché in portoghese chat è il nome di una bevanda, un tè. Il medico disse che avrei dovuto portare gli occhiali, mi aveva visto talmente frenetico nel pronunciare queste parole che aveva capito che avevo una buona vista ma che, tuttavia, non aveva capito nulla di ciò che avevo mormorato, ero preoccupato soprattutto per la mamma perché non avevamo i soldi per comprare gli occhiali. Anche se avessi avuto effettivamente bisogno degli occhiali, mamma non avrebbe avuto i mezzi per comprarli. Imparando la parola « chat » volli fare uno scherzo alla mamma, dicendole che volevo un gatto, lei mi disse : « Perché ? Ti fa male la pancia? Vai al bagno », penso che lei non sapesse ciò che significasse veramente quella parola in francese. Mi abituavo lentamente al moi nuovo stile di vita; in 5 mesi giunsi ad esprimermi in francese. Madame Rassingnier, la nostra maestra, era adorabile: suo figlio era un alunno, era bravissimo in tutte le materie tranne in matematica, materia nella quale lo superavo, con grande disperazione di sua madre,. Lei gli ripeteva spesso: « Prendi esempio da Emmanuel ». Emmanuel in portoghese si scrive soltanto con una « M » è per questo motivo che ogni volta che scrivo il mio nome metto solo una “M”, sono portoghese, no? La nostra maestra lo incitava a giocare con me durante la ricreazione. Alla fine dell’anno lei mi annunciò che, avendo visti i miei ottimi risultati, non avrei dovuto ripetere la classe. Che felicità! Avendo 3 anni in più rispetto agli altri alunni, mi ero così applicato per essere ammesso alla scuola elementare che i miei sforzi erano stati ricompensati. Arrivarono le vacanze, noi sapevamo che saremmo stati nuovamente chiusi in casa, mamma aveva speso tanto in materiale scolastico e vestiti in modo da somigliare ai piccoli francesi, che non rimaneva molto denaro per partire e i nostri documenti non erano ancora in regola. Per paura che fuggissimo di casa mentre era a lavoro, la mamma ci comprò un televisore, in bianco e nero, certamente! Stavamo seduti davanti al piccolo schermo per tutto il giorno, e dopo cena, mamma ci autorizzava a guardare con lei il film della sera. La televisione aveva cambiato la nostra vita, ce ne prendevamo molta cura perché ci avevamo preso gusto. La casa era sempre pulita ma il televisore brillava, perché avevamo l’abitudine di lustrarlo più degli altri mobili. Mi ricordo del primo film di Tartan, stavamo tutti a bocca aperta gli uni contro gli altri per seguire le sue avventure emozionanti, ad ogni film era silenzio, tranne il rumore di mamma che russava, poiché aveva l’abitudine di addormentarsi sul divano, poiché era troppo stanca senza dubbio. Al rientro a scuola nel 1973, c’erano gli stessi alunni dell’anno precedente, c’era però un nuovo arrivato François, un piccolo parigino, che sarebbe diventato il moi migliore amico. Madame Schmitt, la nostra insegnante, una donne bruna sulla quarantina molto attiva, aveva un figlio di colore. Non avevo ancora capito come una donna bianca potesse avere un figlio di colore. Che idiota che ero, forse suo marito era di colore o era un figlio adottivo, comunque era la prima persona di colore che vedevo in vita mia. C’erano anche un marocchino, due italiani e una spagnola. Questa unione di colori e di culture mi affascinava perché pensavo che esistessero soltanto i portoghesi e i francesi sulla terra. Su alcune cose ero molto veglio ma su altre ero del tutto ignorante, che volete farci, nel mio paese, eravamo tutti bianchi e parlavamo la stessa lingua. Avevo molti problemi con il vocabolario e la grammatica francese, mettere “2M” per il femminile, leggere “A” dove bisognava scrivere “E”, era complicato! Nel frattempo, avevo legato con François. Era così strano con i suoi piccoli occhiali rotondi. Suo padre, un archeologo, era rimasto a Parigi e ritornava a casa soltanto nei fine settimana; sua madre, professoressa di francese all’Università di Strasburgo, mi invitava spesso a casa loro. Abitavano in una stupenda casa, a circa 50 metri dalla nostra, ammobiliata con molto gusto in stile barocco con tocchi contemporanei. Le pulizie non erano fatte molto spesso perché Madame Grommer aveva poco tempo per dedicarvisi. Adoravo andare a casa sua per condividere i suoi giochi e scoprire i suoi nuovi giocattoli. Il mio più grande piacere era quello di suonare il suo magnifico pianoforte a coda. François, seguiva dei corsi di musica da qualche anno ed era già un piccolo pianista talentuoso. Ricordo che un giorno, François indossava una bella camicia, ed io per averla, ho preso degli escrementi di cane e l’ho sporcato completamente, perché sapevo che, una volta tornato a casa, sua madre l’avrebbe gettata nella spazzatura. Quel giorno aspettavo la sua camicia nascosto nel cassonetto della spazzatura. L’ho presa tutto contento e sono tornato a casa per lavarla ed indossarla l’indomani a scuola. Ricordo ancora l’espressione del tuo viso, François, quando hai visto che indossavo la tua camicia. Scusa François, ma non aveva mai avuto una camicia in tutta la mia vita e la tua era particolarmente bella. Non me ne vuoi, vero? Dopo tutto , l’avresti indossata soltanto un paio di volte, avevi un guardaroba considerevole per la tua età. Sua madre mi viziava enormemente. Mi fece conoscere delle bevande come: succhi di frutta, coca cola, soda….bevande troppo costose che mamma non avrebbe potuto comprare. Avevo diritto anche a delle gallette di cereali e qualche volta mi dava una moneta per i dolciumi. Ero stato veramente molto fortunato ad essere stato adottato, io, il piccolo emigrato, da una famiglia così benestante. Anche mia sorella Emilia aveva trovato un’amica, nata in una famiglia benestante; la madre di questa ragazza dava spesso a mia sorella dei begli abiti che sua figlia, che aveva la stessa taglia di Emilia, non indossava più. Mia sorella maggiore Celeste aveva abbandonato la scuola per lavorare nelle cucine di un albergo ristorante e rientrava a casa soltanto una volta alla settimana. a quindici anni Celeste sapeva fare di tutto: cucinare, lavare, cucire…in breve era una fata del focolare domestico. Mina, la mia terza sorella, aveva frequentato soltanto il primo anno della scuola primaria e poi, vista la sua età avanzata, era andata direttamente al liceo. Era una studentessa molto promettente; il terzo anno sapeva già parlare correttamente il francese ed era la prima della classe in matematica. Mina avrebbe voluto tanto continuare gli studi, aveva le capacità, anche il preside della sua scuola, una volta, venne a casa dalla mamma per convincerla a lasciar continuare gli studi a mia sorella. Ma la mamma scelse di farla lavorare. Lo stipendio della mamma non era più sufficiente a coprire le nostre spese; moi fratello aveva conosciuto una ragazza portoghese di 16 anni ed aveva lasciato il nido famigliare per sposarsi. Benché avesse 19 anni, e quindi era ancora giovane, aveva fatto la sua scelta. La mamma non aveva capito perché Antonio avesse preso questa decisione così rapidamente, fu un colpo molto duro per lei anche perchè ci sarebbe state delle entrate inferiori in casa perché Antonio dava la metà del suo stipendio alla mamma, come qualsiasi bambini che condivide la soglia famigliare fino al momento in cui parte da casa. Maria, la moglie di moi fratello, che dire di più, era una ragazza particolare. Una faccia da schiaffi. I suoi genitori erano emigrati, come noi, negli anni 70; avevano sette figli e tutti, come la loro figlia, erano delle persone piuttosto bizzarre. Maria, che portava il nome della Vergine di Fatima, era molto lontana dall’essere una santa. Aveva completamente irretito mio fratello, che perse tutta la sua personalità; ci abbandonò e, pian piano, si avvicinò sempre di più ai parenti della moglie. Il suo matrimonio fu molto semplice, non ci furono grandi spese, fu celebrato nella chiesa portoghese e poi ci fu il pranzo a casa dei suoi suoceri. La mamma, esasperata, vedendo il comportamento di questa famiglia senza scrupoli, non si congratulò con mio fratello della scelta fatta e gli fece notare che anche se noi eravamo delle persone povere, avevamo ricevuto una buona educazione. I soli ragazzi che si distinguevano tra i fratelli di Maria erano Davis e Liandro, due ragazzi posti e diplomatici. Antonio se ne andò, noi stavamo meno stretti nel nostro appartamento, cosa non poco trascurabile. Le feste di Pasqua si avvicinavano e nella pasticceria vicino casa di François, attiravano il moi sguardo delle magnifiche uova di cioccolata, esposte in vetrina; le ammiravo con l’acquolina in bocca, sapendo che non le avrei mai potute acquistare, perché, se non ricordo male, costavano 12 franchi l’una (circa 2 Euro). Tuttavia avrei voluto regalarne una alla mamma. Quando una donna passò davanti alla vetrina, all’improvviso nacque in me un’idea, perché non prenderla per i sentimenti? posso provare! Mi misi a piangere e a gridare come se fossi stato picchiato e riuscii ad attirare l’attenzione della donna: «Cosa ti è successo piccolo, che cosa è successo piccolo moi?»,mi chiese.. Le raccontai con immensa tristezza, che essendo orfano di padre, la mamma non aveva denaro e il motivo per il quale stavo piangendo tanto era perché avevo voglia di regalarle quell’uovo per la festa di Pasqua, indicando uno dei più grossi che erano esposti in vetrina. La donna entrò nella pasticceria e lo comprò per regalarmelo. Ero meravigliato, il moi stratagemma aveva funzionato. Quando tornai a casa, la mamma non era ancora ritornata dal rettorato. Nascosi sotto il mio letto l’uovo che avevo avvolto in una carta di giornale, impaziente di poterglielo dare la sera e convinto che la mia sorpresa le avrebbe fatto piacere. Ero il bambino più felice del mondo. Ma la sera, che delusione! « Da dove esce questo uovo ? Lo hai rubato? Dai! Dimmi la verità…. Non potevi comprarlo, non hai un soldo.» Le mie gambe vacillarono….io credevo che la mamma sarebbe stata contenta, non avrei mai creduto che mi avrebbe fatto tante domande, era il primo regalo che avevo potuto offrirle. Invece di confessarle che avevo recitato la parte ad una signora, perché sapevo che la mamma non l’avrebbe presa tanto bene, preferii mentirle dicendole che la pasticcera me lo aveva dato, gentilmente, perché mi aveva visto camminare davanti alla vetrina per delle ore. La mamma mi diede una buona razione di sculacciate e l’uovo di cioccolata fu divorato completamente dalle mie sorelle che si leccarono i baffi. Io, ammaccato e arrabbiato nel mio angolo, affermavo i non volerlo assaggiare, perché ero troppo deluso dall’atteggiamento della mamma che, per la prima volta, aveva osato colpire questo piccolo ragazzo, solo per un uovo di Pasqua! La nostra insegnante ci chiese di portare 2 franchi (30 centesimi di euro) in occasione della Festa della Mamma per comprare dei fiori e della creta per poter creare un vaso. Non potevo domandare il denaro alla mamma, era il prezzo del pane per tutta la settimana; che cosa potevo fare? utilizzando, di nuovo, le mie doti di commediante, spiegai fra le lacrime che non avevo i soldi per pagare il regalo. Potete immaginare da soli come andò il resto… La mamma questa volta accettò il regalo con grande gioia, perché sapeva che lo avevo fatto io, senza sapere che ancora una volta avevo giocato con i sentimenti. «è molto carino Manu», mi disse stringendomi fra le sue braccia. Manu? è vero adesso, che stavo diventando un ometto, mi chiamava raramente Nelinho, diceva che era un appellativo riservato ai bambini. Mamma mi voleva far capire che ero io l’uomo della casa, che grande responsabilità! Come ero fiero! L’anno seguente, ci fu un grande sconvolgimento! Noi trovammo un appartamento più grande, che si trovava a 400 metri dal precedente e a circa 50 metri dal Rettorato. Traslocammo sempre da soli, con la sola forza delle nostre braccia. Dalla finestra della nostra cucina, potevamo direttamente vedere il posto di lavoro della mamma, che era incantata perché l’appartamento era bello ed era vicino ai suoi figli. Anche io ero molto felice perché per la prima volta avevo una stanza tutta mia e soprattutto non avevo più il vaso da notte sotto il letto perché i servizi erano sul piano. Sfortunatamente non c’era l’acqua calda né il bagno. Al piano di sotto abitava una famiglia molto cordiale, i “Thomas”, anche loro di origine portoghese, che avevano due figli: una figlia, Clélia, che aveva la mia stessa età e un figlio, Carlos, che lavorava come tecnico. Carlos riparava i televisori per i clienti del suo principale e anche quelli che aveva a casa sua; è lui che mi ha fatto scoprire la prima televisione a colori. Continuai a frequentare il moi amico François: veniva, ogni tanto a casa mia ed io andavo a dormire da lui. Aspettavo con impazienza la fine dell’anno scolastico perché la mamma ci aveva promesso che ci avrebbe portato in Portogallo. Avevamo voglia di rivedere la nonna e tutta la famiglia, ci mancavano talmente tanto. La mamma scriveva alla nonna regolarmente, ma la nonna non sapeva né leggere né scrivere ed era una zia che rispondeva e traduceva la posta. Non dormivamo neanche più per l’eccitazione di ritornare al nostro paese; erano due anni che avevamo lasciato il Portogallo e ci sembravano un’eternità. Siamo partiti in macchina, con un amico di nostra madre che abitava vicino casa nostra quando vivevamo in Portogallo. La moglie ed i figli di questo signore erano rimasti al paese ed inviava loro ogni mese, una parte del suo stipendio abbastanza consistente perché lavorava vicino Kehl, non lontano dal confine tedesco. La mamma, ogni tanto, gli faceva il bucato e gli cucinava dei piatti gustosi; in cambio, lui aiutava per dei lavoretti di bricolage ; bisognava aiutarsi fra compatrioti! Un sabato alle 4 del mattino, partimmo; mamma era seduta davanti con il conducente e noi quattro, stretti dietro con i bagagli: avevo l’impressione che la macchina non viaggiasse: era talmente carica e dire che dovevamo percorrere 2200 chilometri! Dopo un viaggio spossante, alla fine giungemmo al nostro paese; nonna ci aspettava sulla soglia. La osservai, aveva delle rughe in viso e molti capelli grigi, aveva più di 65 anni ma era sempre piena di energia. Era bella mia nonna. Che incontro! Tutti eravamo in lacrime. Mentre la mamma e la nonna discutevano febbrilmente, andammo a salutare il resto della famiglia e gli amici che ci trovarono in forma smagliante. Dicevano che eravamo rinati e che sicuramente, faceva bene vivere in Francia. Rimanemmo soltanto qualche ora a casa della nonna, dovevamo andare a Vizela, il paese della mia infanzia dove ci aspettava una brutta sorpresa! la casa era in uno stato penoso, nessuno l’aveva pulita in questi due anni di assenza. Dopo aver tolto le ragnatele, aver cambiato la paglia ai materassi e ai cuscini, aveva già un altro aspetto ma nulla a che vedere con le comodità che avevamo a Strasburgo. Alcuni dei nostri vicini non avevano abbandonato il villaggio, altri avevano traslocato in un alloggio migliore. Quel mese di agosto fu tristissimo! Nonostante fossi stato felice per quelle vacanze, adesso mi annoiavo da moire. Tutto era diverso, non ritrovai più l’ambiente di prima. Le persone erano talmente cambiate, sicuramente erano gelosi perché la mamma era riuscita a portarci via dalla miseria o forse eravamo noi che eravamo cambiati. Dopo un mese trascorso a Vizela, fummo contenti di tornare in Francia, di ritrovare il nostro appartamento, le nostre abitudini e soprattutto la nostra televisione. Vivere tutto quel tempo senza acqua, elettricità, gas, televisione, che tortura! Avevo l’impressione che fosse difficile tornare alle situazioni precedenti, una volta che ci si abitua al comfort è difficile vivere come nel Medioevo. Qualche giorno dopo essere tornati a casa, la mamma riprese a lavorare; mia sorella ed io ci preparammo per il rientro a scuola. Quell’anno avrei frequentato la CE2, adesso sapevo perfettamente il francese. Seppi al mio rientro che la madre di François si era trasferita dall’altra parte della Francia, non lo avrei più rivisto. Madame Jacob, la nostra nuova insegnante, era giovane e carina; un po’ provocante con le sue minigonne cosa che, evidentemente, non dispiaceva ai suoi allievi già attirati dalle belle gambe. Non ci rendemmo conto del trascorrere dell’anno, tutto si avvicendava, Natale, Pasqua, le domeniche le messi portoghesi, il catechismo. Il Curato mi preparò per la mia prima Comunione. Mannaggia! Ho dimenticato di parlarvi della mia prima Comunione. Poco male! Non accadde nulla di interessante. Non era previsto di tornare al paese quell’anno. Ciò non mi dispiaceva anche perché l’anno precedente non avevo trascorso delle belle vacanze; ma la nonna mi mancava terribilmente! Ma presto avremmo avuto una splendida sorpresa! Il signore che gentilmente ci aveva portato in Portogallo l’anno prima, ripartì come tutti gli anni per andare a trovare la sua famiglia e al ritorno, portò la nonna da noi per qualche settimana. La mamma era felice di poter, finalmente, far scoprire il suo nuovo universo a sua madre. La nonna, molto stanca a causa del lungo viaggio, faceva fatica a recuperare le forze. Solo il terzo giorno decise di visitare Strasburgo. Avendo lasciato per la prima volta il suo paese così come il suo villaggio, rimase affascinata dalla bellezza della città, ma la trovò molto caotica. Nostra madre le diede una borsa e un paio di scarpe, voleva viziarla il più possibile. La nonna era contenta ma la sola cosa che la rattristava , era di non poter assistere alla Messa tutti i giorni come in Portogallo; sfortunatamente il prete portoghese officiava soltanto la domenica. Tutte le sere sgranava instancabilmente il suo rosario poiché aveva l’abitudine di farlo per chiederci di partecipare alla preghiera. Non c’era modo di barare nuovamente, perché, quando si addormentava, c’era la mamma a contare le “Ave Maria”. Avevamo già ripreso la scuola e la mamma il suo lavoro. Sola per quasi tutto il giorno a casa, poiché noi ragazzi potevamo dedicarle soltanto una mezz’ora durante il pranzo, la nonna si occupava delle faccende domestiche nell’attesa di ritrovare, all’ora di cena, tutta la sua famiglia. Rimase in Alsazia fino al mese di dicembre. Frequentavo la CM1, se ricordo bene, il moi insegnante si chiamava Jacques BOHERT. Era molto autoritario e non permetteva di essere contraddetto. Ci portava regolarmente in piscina; è lui che mi ha insegnato a nuotare. Senza alcuna vergogna si metteva nudo e sfilava davanti a noi. La natura lo aveva fornito di una pelosità anormale, somigliava ad uno scimpanzè; mi domando se non fosse un po’ esibizionista! Stava per arrivare Natale, adoravo questo periodo nel quale la mamma ci offriva dei regali, solo cose utili: maglioni, pantaloni, gonne…nulla di superfluo. Quell’anno l’inverno si annunciava estremamente rigoroso. Non smettevamo di alimentare l’unica stufa a carbone che scaldava casa nostra, quasi tutte le spese della casa erano per il combustibile. La cattiva stagione durò fino a marzo; la primavera ci portò i primi raggi di sole e anche l’inizio di un gigantesco cantiere davanti al nostro appartamento, la costruzione di un grande centro commerciale « LES HALLES ». I vicini, infastiditi dai rumori, non gradivano affatto questa confusione : noi bambini, al contrario, avevamo trovato un nuovo spazio per giocare a nascondino, facendoci sgridare, ogni tanto, dagli operai. Le mie due sorelle, Céleste e Mina, appassionate di danza, frequentavano un gruppo folcloristico portoghese. Due fratelli gemelli, Manuel e Clides, che avevano 21 anni, facevano parte anche loro del gruppo. I gemelli, che non si separavano mai, avevano notato le mie sorelle. Quant’è divertente, penserete voi, che due fratelli sposino due sorelle! Immaginatevi ciò che successe! Céleste e Manuel si frequentavano già da qualche mese quando lui venne da mamma a chiedere la mano di mia sorella. Mia madre non rifiutò la proposta, poiché il ragazzo veniva da una buona famiglia. Il pranzo di nozze fu fatto nel nostro appartamento, avevamo stipato tutti i mobili per poter ricevere più persone ed io, l’uomo della casa, ostentavo grande fierezza. Partita Céleste, rimanemmo soltanto in quattro a dividere l’appartamento: Mina, Émilia , la mamma ed io. Poco tempo dopo il matrimonio di Celeste, Clides suonò alla porta per chiedere la mano di Mina. La mamma, felice per sua figlia, era preoccupata per tutte le spese che avrebbe dovuto affrontare per questo nuovo matrimonio, perché si sarebbero celebrate in Portogallo. Fortunatamente, la famiglia di Clides, più agiata di noi, la rassicurò promettendole di contribuire maggiormente alle spese. A luglio partimmo tutti per il Portogallo per festeggiare l’avvenimento. Mina indossò il vestito da sposa di Celeste, fu tanto di guadagnato! I festeggiamenti durarono 2 giorni, il menu fu molto diverso da ciò che eravamo abituati a mangiare in Francia: ci avevano servito un enorme maialino da latte; era delizioso così come il dolce. Non vi dico quant’era buono! La solita routine, tornati a Strasburgo, la mamma iniziò di nuovo a lavorare al rettorato, inoltre faceva le pulizie in uno studio medico. L’accompagnavo quasi tutte le sere per sollevarla da qualche lavoro in attesa di far rientro a scuola, dove avrei frequentato il CM2. era uno dei pochi momenti in cui avevo la mamma solo per me, nei quali si discuteva di tutto e di niente, talvolta indossavo il camice del medico ed io giocavo al dottore e le dicevo “ Signora, si deve riposare, siete troppo sommersa dal lavoro, andate a riposarvi, io farò il resto” mamma trovava ciò molto divertente, ma non si sedeva mai su una sedia. Voleva che tutto fosse disinfettato, aveva delle responsabilità. Io, svuotavo ogni tanto il cestino della spazzatura, passavo l’aspirapolvere. Mamma mi imparava pian piano ad utilizzare uno straccio per spolverare, a passare l’aspirapolvere, prendevo tutto ciò come un gioco, un gioco molto istruttivo. Tutto questo mi sarebbe stato utile più tardi, ma il moi più grande piacere era da un’altra parte. In questo grande negozio di giocattoli che si trovava nel centro della città, tutti quei giocattoli mi facevano sognare, c’era un trenino elettrico, che viaggiava dal mattino fino alla sera. Rimanevo per delle ore a guardarlo mentre girava, ero attonito davanti a tutti quei giocattoli, immaginavo di possederli tutti. Era solo un sogno, perché sapevo che non ne avrei mai avuto nessuno. Babbo Natale passava a casa nostra, ma ci lasciava solo un paio di mutandine o di calzini, mai dei giocattoli; anche se gli scrivevo, doveva certamente aver smarrito le mie lettere, grazie Babbo Natale! Nel 1976, Monsieur Bourreau, un vecchio allenatore di calcio, era il nostro insegnante. Il suo nome ci faceva venire i brividi lungo la schiena; pensavamo che fosse cattivo ma, al contrario era un uomo di una rara gentilezza. La sua sola ambizione era quella che noi ci scontrassimo con le altre scuole durante le gare di atletica e che vincessimo molto. Una delle studentesse, Marie-Rose, correva i 50 metri in un tempo da record, aveva tutte le qualità per diventare un’atleta di alto livello. Seppi più tardi che era diventata una campionessa di maratona in Francia. Avevamo anche una buona squadra di basket e di pallamano. Vincevamo su tutte le altre squadre nelle gare interscolastiche. Praticavo discretamente queste due discipline ma eccellevo nel calcio. Conoscete un portoghese che non ami questo sport? Io, no! Monsieur Bourreau era fiero dei nostri risultati e ci incoraggiava come se dovesse riprendersi una rivincita sul passato. Sfortunatamente, non esisteva soltanto lo sport, bisognava essere all’altezza anche nelle altre materie e durante quell’anno scolastico iniziai i corsi di tedesco, materia in cui il mio rendimento era mediocre. Che anno eccezionale! mi innamorai per la prima volta, fu una cotta perché il nostro amore durò soltanto qualche tempo ma non dimenticherò mai il primo bacio di Anna-maria. Avevo già l’aspetto di un uomo, la mia voce stava cambiando e guardavo fieramente la barba che spazzolavo delicatamente con lo scopo di ottenere un bel paio di baffi e sembrare così più virile. Fu anche il periodo della mia Comunione; per questo penso giustamente che il 1976 fu un anno eccezionale dopo il 1972. La fine dell’anno al CM2 rendeva gli studenti tristi, alcuni studenti sarebbero stati mandati, quando saremmo rientrati a scuola, in altre scuole ed altri lasciarono definitivamente l’Alsazia, come il moi amico François, la madre del quale aveva accettato un posto di lavoro a Lione. La madre di François mi chiese di passare le vacanze con loro in uno chalet, vicino a Gérardmer e, siccome non era stato organizzato nessun viaggio in Portogallo, accettai con piacere. Immersioni, escursioni in canoa, piscina, gite, le giornate erano troppo corte per godere di tutte queste attività. Alla fine delle vacanze l’addio con François, il mio miglior amico, mi segnò profondamente, non lo avrei più rivisto; lui che mi aveva insegnato tutto sulla cultura francese, i giochi e tante altre cose. Il rientro a scuola del 1977 fu meno divertente perché i nuovi arrivati si facevano maltrattare dai ragazzi più grandi; ci spingevano per le scale, ci chiudevano nei bagni, ridendo perché ci avevano intrappolati lì. Cambiavamo professore ad ogni ora, e questa era una cosa che non mi piaceva affatto. Avevo scelto il portoghese come prima lingua; la mamma voleva che lo parlassi con un forte accento francese mentre qualche anno prima era il contrario. Il nostro professore di portoghese si chiamava Monsieur Pinton, era di origine francese ma si era sposato con una portoghese, il suo accento non era terribile ma facevamo fatica a capirlo. Avevo fatto amicizia con due fratelli turchi, uno dei quali era nella mia classe.. uscivamo spesso insieme e alcune sere, dei portoghesi gli « Ameida », che non facevano parte della mia parrocchia, si univano a noi. La loro famiglia era composta da 7 bambini e i ragazzi erano abili a giocare a pallone. I membri della nostra famiglia partecipavano volentieri alle attività della parrocchia portoghese. La mamma e le mie sorelle cantavano nel coro ed io insegnavo, su richiesta di Fratello Jacques, catechismo ai bambini di 6 anni, tutte le domeniche dopo la Messa. Molto felice di poterlo aiutarlo, mi sentivo valorizzato nel mio ruolo di insegnante di religione. I bambini avevano molta simpatia per me; per distendere l’atmosfera e rendere i corsi meno monotoni, ogni tanto tra un Ave Maria e un Padre nostro facevo qualche scherzo. Nel frattempo Céleste aveva partorito un bambino, Philippe, uno splendido bambino dagli occhi azzurri; ero diventato zio per la seconda volta, perché la moglie di moi fratello Antonio, poco tempo prima, aveva dato alla luce una bambina a cui era stato dato il nome Christine. 1978…1979. Iniziai il quinto con altri professori, tranne Monsieur Pinton, che, fedele al suo lavoro, non aveva modificato il suo accento. Gli anni trascorsero gradevolmente che qualche vacanza in Portogallo. Una sera ascoltai mia madre mentre discuteva con Mr Manuel ; progettavano di tornare definitivamente al paese. Da quel giorno non mi impegnai più a scuola, per quale motivo dovevo studiare se saremmo tornati in Portogallo? Non essendo più motivato i miei voti calarono in modo considerevole e alcuni giorni saltavo le lezioni. Anche l’altra mia sorella Mina partorì una bellissima bambina, Sandra, e mio fratello Antonio diventò nuovamente papà di un bambino, Gabriele. La famiglia si era ingrandita ed io avevo l’onore, a 14 anni, di essere zio per la quarta volta. Alla fine della 5° classe, i professori mi consigliarono di andare ad un liceo tecnico per seguire un apprendistato di falegnameria o di meccanica. Per compiacere la mamma, che mi vedeva già come il futuro dirigente di un’azienda portoghese, scelsi la falegnameria. Céleste partorì il suo secondo figlio, una bambina, Élisabeth . lei desiderava tanto avere un figlio di sesso opposto al primo. Il liceo non faceva per me, i laboratori erano riservati solo ai ragazzi, in questo modo non c’era l’ombra di una ragazza. Partecipavo con attenzione soltanto al corso di falegnameria e ai corsi sportivi e mi annoiavo durante gli altri corsi. Mangiavo alla mensa scolastica e trascorrevo il pomeriggio con i miei amici a giocare a pallone. Sulla pagella, alla fine dell’anno, si poteva leggere “alunno che brilla per le sue assenze” con una media dello « 0 » tranne per il corso di falegnameria dove avevo il voto di “14 su 20” e in educazione fisica “18 su 20”. Certamente la mamma non era al corrente, imitavo la sua firma sul libretto delle giustificazioni per le assenze. Sapevo, mamma, che non era corretto ciò che stavo facendo. Dovevi parlare a voce più bassa il giorno in cui dicevi di aver deciso di tornare in Portogallo, se non avessi sentito la vostra discussione, avrei studiato normalmente. Tuttavia, non ero fatto per essere un falegname, ci tenevo alle mie dita. Intanto Mina aveva avuto il suo secondo bambino, José Miguel, un bambino bellissimo,avevamo la capacità di fare bambini bellissimi nella nostra famiglia. Anche mia sorella Émilia aveva lasciato la scuola per andare a lavorare, voleva essere indipendente per non dover seguire la mamma che, determinata più che mai, voleva ritornare nel suo paese. Lei soffriva di pressione alta e di problemi respiratori ed il clima di Strasburgo certamente non era salutare per lei. Partimmo con Mr Manuel, il nostro caro amico, nel luglio del 1980. otto anni dopo essere arrivati in Francia. I saluti furono dolorosi, era la prima volta che lasciavo le mie sorelle e i miei nipotini, e, ancor di più, fu doloroso, abbandonare Émilia, più vicina a me perché viveva sempre nella nostra casa. Aveva 18 anni, la mamma aveva fiducia in lei tanto più che sarebbe andata a vivere da Mina, prima di trovare un piccolo appartamento solo per lei. La mamma è partita con la sua coscienza tranquilla, anche se i due figli maggiori non comprendevano molto bene la sua scelta di partire in modo così veloce, lasciando i suoi figli e i suoi nipoti. Stava facendo di nuovo la stessa cosa che aveva fatto 13 anni prima, ma adesso era diverso perché eravamo tutti cresciuti. Io non avevo avuto scelto perché non ero ancora maggiorenne. Non aveva scelta su niente! Arrivando in Portogallo alla bellissima casa, che si trovava a pochi chilometri da Vizela e che Mr Manuel aveva fatto costruire per noi accanto alla sua, dimenticai il mio dolore. Nuovi vicini, nuovi amici e una nuova casa dotata di un bagno con acqua calda e servizi solo per noi. Alla fine avevo acqua calda e un bagno, avevo atteso 17 anni per avere ciò. In quel momento iniziava una nuova vita per me e la mamma. . Mr Manuel aveva aperto un caffé vicino a casa; tutte le sere la mamma si occupava del bar ed anch’io, ogni tanto, servivo in sala. Mi sentivo perso in questo paese nel quale non conoscevo nessuno: tutti quanti mi chiamavano “il francese”. Gli affari di Manuel andavano a gonfie vele, la mamma era contenta del suo nuovo lavoro. Tutto andava per il meglio…fino al giorno in cui la moglie di Manuel, non tollerando più di essere rifiutata dai clienti che preferivano essere serviti dalla mamma, iniziò a raccontare, a chi voleva sentire, che la mamma era l’amante di suo marito e che avevano avuto una relazione in Francia. Sporca sgualdrina, malelingua che non sei altro! I pettegolezzi si diffusero, la mamma era additata da tutti gli abitanti del paese e trattata come « una prostituta »; circolava la voce che fossi un figlio illegittimo e che Mr Manuel era mio padre. Sì, anche mio padre si chiamava Manuel, ma non era lui. Una sera i cognati di Mr Manuel si precipitarono al bar per regolare i conti. In quel momento mi trovavo nella sala giochi e stavo giocando a biliardo, vidi uno di loro afferrare la mamma per i capelli. Corsi velocemente elo colpii con tutte le mie forze con la stecca da biliardo. La mamma, non avendo nulla da recriminarsi, non si colpevolizzava ma rimpiangeva di aver lasciato la Francia, credendo di trovare la felicità in Portogallo. Dopo quegli anni trascorsi in Francia, lavorando duramente senza tregua, aveva fatto bene a seguire il suo amico, aveva un debole per lui ? La mamma decise di non andare più al caffé ed io cercai un lavoro e iniziai a seguire i corsi serali per perfezionare il mio portoghese. Cominciai a deprimermi, non avrei mai immaginato di vivere in tali condizioni, tornano in Portogallo e l’assenza delle mie sorelle era difficile da sopportare. Ogni tanto loro mi scrivevano “Comportati bene, Manu; aiuta la mamma”; anche lei viveva male senza la sua piccola famiglia vicina. Alla fine trovai un impiego in una falegnameria, la mia paga era di 15 euro al mese e lavoravo 10 ore al giorno e dopo aver dato 10 euro alla mamma, non mi rimaneva tanto. Il salario in Francia sarebbe stato minimo di 500 euro. Desideravo passare l’esame della patente e comprare una macchina come tutti gli altri ragazzi ma con così pochi mezzi, era un sogno irrealizzabile! Scrivevo alle mie sorelle chiedendo loro di venirmi a prendere e di portarmi in Francia; la mamma era d’accordo ma era necessario attendere ancora un anno perché non avevo ancora 18 anni. La vita è spesso complessa! Dieci anni prima avevo versato tutte le mie lacrime perché mia madre mi aveva abbandonato e dora avevo solo un’idea in mente: tornare in francia ed abbandonare il Portogallo. Non ci si capiva niente! Nell’attesa di ripartire per Strasburgo, trascorrevo le mie serate dalla vicina che, con sette bambini (due maschi e cinque femmine) doveva far fronte a molte difficoltà; suo marito lavorava in Germania e lei allevava i suoi figli da sola. Mi sentivo bene in questa famiglia, erano tutti molto gentili. Alcune delle ragazze più belle del paese erano le Lopez, mi innamorai di una di loro, ma fu soltanto una cotta. Avevo dimenticato anche la famiglia Perreira che era emigrata a La Rochelle e veniva a trascorrere le vacanze al paese non appena potevano. Io andavo d’accordo con faty e Alexandrina, due delle ragazze e Domigos, il figlio maggiore, erano le uniche due famiglie con le quali andavo d’accordo. Volete sentire un fatto divertente? Un vicino che aveva comprato un videoregistratore, fu il primo ad averne uno, tutto contentò aveva invitato 5 amici suoi fra i quali c’ero anche io, per l’occasione aveva affittato una videocassetta sì da poterla vedere e trascorrere una piacevole serata. Aspettavamo tutti che il film iniziasse, intanto era cominciato il film di prima serata. Senza rendercene conto, stavamo vedendo il film che veniva trasmesso sul canale portoghese; il padrone di casa diceva che la videoteca si era sbagliata e quindi vedemmo il film come degli idioti, alla fine, lui prese la cassetta e si rese conto di non aver premuto il tasto PLAY, ridemmo tutti. Lavoravo sempre alla falegnameria, e, alla fine, ottenni un aumento di 2 euro al mese, che portò il moi stipendio a 17 euro, cifra ridicola se paragonata a ciò che guadagnavano i miei colleghi, all’incirca 70 euro al mese. Il mio principale affermava che io ero nuovo, e senza diritti di anzianità, non potevo pretendere una paga più alta. Mi sfruttava, nel vero senso della parola! Lavoravo alla catena di produzione….circa 200 sedie e una decina di tavoli in tutto il giorno, dal lunedì al sabato e, nel caso ci fosse stato un ordinativo considerevole, anche la domenica. Le mie sorelle vennero alla fine di luglio, e siccome stavo per partire con loro, mi licenziai. I miei nipoti erano cambiati molto, Philippe parlava, Élisabeth e José Miguel erano cresciuti, e lòa piccola Sandra, la mia preferita era diventata una piccola donna; fui contento di rivederli tutti insieme. Le mie sorelle ci annunciarono la nascita del terzo figlio di mio fratello, un maschietto Daniel. Nel 1980 o 1981 io e la mamma partimmo per andare dalle mie sorelle a Gafanha dai loro suoceri, Mme Maria e M. Joao, delle persone molto gentili e cordiali. A dire il vero, non ho mai incontrato un uomo così onesto, buono e rispettoso come lui, il padre ideale per ogni bambino, un gentiluomo! Le nostre vacanze non furono all’insegna del riposo! I miei cognati avevano costruito una casa a tre piani in questo magnifico paese vicino a Aveiro, a 50 Km da Coimbra, tra Porto e Lisbona. Tutta la famiglia aiutava nella costruzione, ogni compito era stato assegnato, le donne ai fornelli e gli uomini alla cazzuola. Io lavoravo soltanto la mattina, il pomeriggio accompagnavo le donne in spiaggia e alla sera ci riunivamo per i pasti pantagruelici. Non era un palazzo ma un caseggiato imponente con 10 camere da letto, quattro bagni, due cucine e quattro saloni; una volta terminata sarebbe stata la casa più grande di tutto il paese. Mamma condivideva la gioia delle mie sorelle, ma la assaliva la tristezza quando pensava che non mancavano tanti giorni alla nostra partenza. La separazione sarebbe stata dura, sia per lei che per noi, sapevamo che l’avremmo fatta soffrire, ero disperato nel vederla in quello stato. Era necessario però che lei capisse che quella era l’unica via per migliorare la nostra vita, così come lei lo aveva fatto alcuni anni prima. Le mie sorelle avevano lasciato il Portogallo con le loro rispettive famiglie. Non c’era più posto per me in macchina, dovevo prendere il treno per tornare a Strasburgo; la mamma mi comprò il biglietto e mi accompagnò al treno con la zia fino a Porto dove avevo la coincidenza diretta fino a Parigi. Per tutto il viaggio, con un nodo in gola e il cuore stretto, ricordavo le lacrime di mia madre, sulla banchina della stazione; la rivedevo mentre agitava freneticamente il suo fazzoletto bianco gridando: “Addio figlio mio, sii un uomo e non commettere sciocchezze!” Ecco che si ripeteva la stessa scena: rottura e dolore! Mi domandavo cosa il destino mi avrebbe riservato! Dopo un viaggio di 28 ore arrivai a Strasburgo, pioveva a dirotto quel giorno e quel tempo triste di sicuro non aiutava il mio morale. Mi sistemai, come avevamo stabilito, a casa di Émilia che ave trovato un bilocale sopra una trattoria « Italo-spagnola ». lei traslocò nella camera e mi lasciò il salone. I miei cognati mi assunsero come manovale nella loro impresa di costruzioni. Il lavoro era molto duro soprattitto quando la temperatura scendeva sotto lo zero; non ero più abituato al freddo intenso. Quando ricevetti la mia prima busta paga di 3500 franchi (all’incirca 530 euro) il mio cuore trasalì dalla gioia e dalla fierezza; corsi immediatamente ad aprire un conto in banca. L’azienda andava bene, accettavamo tutto, anche i lavori più piccoli; c’erano delle bocche da sfamare. Clides aveva trovato un nuovo cantiere a Nizza che sarebbe durato dai 6 ai 9 mesi, si trattava di restaurare un castello del XIX secolo. Partimmo tutti e tre e dopo 15 ore di viaggio ci ritrovammo, sconcertati e senza parole, davanti il suddetto maniero, che il nostro cliente aveva la pretesa di chiamare così. In effetti restavano soltanto 4 brandelli di muro. Abbiamo avviato il cantiere, tutto andava alla perfezione! La vita non era facile, i miei cognati dormivano su delle assi di polistirolo, all’aria aperta ; io avevo la fortuna di potermi riparare in uno stanzino che avevano installato per immagazzinare tutto il materiale necessario alla ristrutturazione dell’edificio. Di nuovo senza acqua corrente, WC, avevo decisamente un problema con queste c…di toilettes ! Dal pozzo scavato nel terreno, attingevamo l’acqua con un secchio in ferro e la facevamo scaldare su un fornelletto da campo; così potevamo lavarci per scendere, la sera, in città per bere qualcosa. I lavori procedevano rapidamente, Clides aspettava l’assegna del cliente, che tardava ad arrivare, e seppe che quest’ultimo non aveva ottenuto i fondi necessari per un tale investimento. Fummo sconcertati quando sapemmo questa notizia; la tensione salì nel momento in cui i due fratelli iniziarono a darsi la colpa a vicenda, io restai in silenzio. Dopotutto la questione non mi interessava, io ero solo un manovale. Clides decise di fermare il cantiere e di tornare a Strasburgo. Era un duro colpo per l’azienda, non c’erano stati guadagni per due mesi e bisognava affrontare i debiti. Poco tempo dopo fui licenziato, i miei cognati non riuscivano a pagarmi lo stipendio. Émilia aveva conosciuto un ragazzo che giocava nella squadra di calcio portoghese. Era veramente presa. Ero molto contento che lei avesse trovato un ragazzo rispettabile: era un ragioniere in una ditta di demolizioni. Io e mia sorella avevamo trovato un altro appartamento a Schiltigheim, un appartamento grande con due camere ad un prezzo inferiore del precedente. Il suo amico veniva spesso a cena e avvertivo che mia sorella non si sentiva a suo agio quando io ero a casa. Non pensavo che la disturbassi, ma di sicuro lei non apprezzava il fatto che stessi là a reggere la candela. Era necessario che trovassi un modo per andarmene e le lasciassi l’opportunità di vivere pienamente il suo amore perché anche lei, in passato, aveva sofferto molto. Le feci credere che, con degli amici asiatici, avevo affittato un appartamento in centro. Per amore di mia sorella, partii all’avventura, senza una meta precisa, con una sola valigia contenente pochi vestiti e gli oggetti da bagno. Questa decisioni avrebbe sconvolto tutta la mia vita, stavo per immergermi in uno dei periodi più oscuri della mia esistenza. Andai in città e mi diressi verso una sala giochi « LAS VEGAS non in America » ma a Strasburgo, certamente ! era un covo di malviventi dove qualche volta ero andato a giocare a biliardo. Speravo di incontrare qualche amico che avrebbe potuto ospitarmi per qualche tempo. Le persone presenti non facevano parte della mia cerchia di amici e non avevo voglia di chiedere ad un estraneo di trascorrere la notte a casa sua. Aspettai la chiusura della sala e alle 22 decisi di andare al cinema. Alla fin del film, andai al bagno e attesi con pazienza che si chiudessero le porte per allestire una specie di giaciglio fra due poltrone. La mattina seguente fui svegliato dalle grida della donna delle pulizie che mi aveva scoperto. Scappai a gambe levate verso l’uscita, prima che lei potesse dare l’allarme. Trascorrevo le mie giornate alla sala giochi, e ciò fu il motivo della caduta. Ero conosciuto come un buon giocatore, gli asiatici scommettevano molto su di me. Giocavo spesso contro i Turchi e quand le puntate erano troppo alte e si rifiutavano di pagare, tutto degenerava in rissa. Arrivava la polizia a riportare l’ordine, non diceva nulla agli asiatici ma non risparmiava i turchi, verso i quali c’era un forte discriminazione. Ci dividevamo i guadagni ma era necessario diffidare dei cinesi, erano furbi quando si trattava di tirare le somme a fine serata. Un soldo è un soldo, gli asiatici hanno la nomina degli scommettitori, scommettono su tutto anche su due mosche che duellano. Io li perdonavo perché mi invitavano spesso a cena e talvolta al ristorante quando avevano vinto al gioco o avevano avuto una giornata fortunata vincendo a biliardo. Le mie giornate erano impegnate ma la notte, vagavo per Strasburgo cercando un posto dove trascorrere la notte al caldo. Eravamo in febbraio e le notti erano fresche. Avevo trovato un garage nel quartiere turistico di « La Petite France ». fu quel luogo che diventò la mia casa, non ho paura delle parole e posso dire che diventai un barbone senza averne l’aspetto. In effetti nessuno sapeva dove dormissi, tutti sapevano che avevo un appartamento meraviglioso perché ero sempre sistemato. I miei effetti personali iniziarono ad essere sporchi e io li buttavo via; ero sì nella miseria ma ero attento alla pulizia. Un gruppo di 4 ragazzi, provenienti dalla Cina, mi proposero di unirsi a loro, più tardi avremmo formato una comitiva di 12 persone. Mi ero fato tatuare un dragone sul braccio e avevo comprato una giacca e dei guanti di cuoio neri per essere ben integrato nel gruppo. Tutti noi avevamo dei soprannomi: testa di bue, vedova nera, serpente, tigre, il mio era dragone bianco perché ero l’unico a non avere un’origine asiatica. Tra di noi c’erano dei campioni di Boxe thai, kung fu, taekwondo; il pomeriggio mi facevano vedere le loro tecniche migliori e la sera le mettevo in pratica combattendo contro le bande rivali. In un combattimento a dodici, spesso ne uscivamo vincitori; andavamo spesso nel parco e ,sotto lo sguardo dei curiosi, ci allenavamo e miglioravamo il nostro stile. Fumavamo quotidianamente l’hascish fino a collassare, con dei pezzi di bambù che avevamo intagliato con dei temperini, stremati su un tavolo basso. Ci sentivamo forti, invincibili, i padroni del mondo…almeno era questo ciò che pensavamo. Stremato dall’hashish e dall’alcool, diventai un giocatore di terza categoria, vincevo raramente a biliardo, quindi non avevo più il denaro e ormai ero diventato dipendente dalla droga, m ne serviva sempre di più. Fortunatamente i miei fratelli mi sostenevano e mi davano da mangiare. Sul lato umano, gli asiatici non abbandonano mai chi li rispetta. Dall’hashish passai alla cocaina poi iniziai a sniffare l’eroina. Rifiutai di bucarmi, avevo troppa paura di diventarne dipendente del tutto. Sentivo che stavo precipitando ogni giorno di più e decisi di smettere di drogarmi buttandomi sulle sigarette. Mi ero iscritto ad una palestra di thai box, e l’insegnante era una persona che conoscevo di vista, che frequentava la mia stessa sala giochi, ma non avrei mai creduto che questo piccolo uomo di 1,60 m fosse una bestia della thai box, si chiamava Tid e era campione tailandese. Qualche tempo prima avevo conosciuto Thierry, un ragazzone dal cuore tenero, e anche Kham un tailandese che boxava molto bene, ero nel moi elemento. Boxe, kung fu, tutti questi sport asiatici mi attiravano particolarmente. Mi sentivo a moi agio, l’Asia mi ha sempre attirato, i suoi usi, la sua arte, il buddismo, il modo di mangiare con le bacchette, il cibo era tagliato prima e le salse agrodolci mi estasiavano. La sera andavo da solo in un locale notturno ma soltanto quando avevo i soldi. Piacevo a molte ragazze e mi facevo offrire da bere da alcune persone sconosciute che mi trovavano carino, in questo modo le spese erano meno onerose. Poiché il locale chiudeva alle sei del mattino, accadeva spesso che mi addormentassi e che mi svegliasse il portiere, ma quelle ore trascorse al caldo mi facevano bene perché nel mio garage, sui miei cartoni umidi, facevo fatica a recuperare. Mi facevo rimorchiare sempre di più, all’inizio solo per poter dormire al caldo e farmi una doccia, più tardi chiedevo 300 franchi a notte, anche 500, ma questo dipendeva dalla testa del cliente. Essendo senza mezzi, era l’unico mezzo per guadagnare facilmente dei soldi. Facevo l’amore con delle coppie, partecipavo a delle orge ed anche, era meno strano, cedevo ai capricci di alcuni perversi. Ero diventato un gigolò nel vero senso del termine e ci prendevo gusto, lodato nel mio ego perché ero così ricercato. Frequentavo sempre la mia banda durante il giorno e la notte « la bestia del sesso » entrava in scena. Le mie frequentazioni diventarono più selezionate, io frequentavo « il fior fiore della società notturna di Strasburgo » che mi ospitava e mi rivestiva in cambio di una notta movimentata in tutte le accezioni del termine; essendo fiero di uscire gratuitamente, mangiavo bene; bevevo a volontà, quando si è in mezzo alla strada come si può rifiutare un’offerta del genere? Ed anche se si paga tutto nella vita perché non si ha niente senza niente, io pagavo con la mia bocca, il mio corpo, il mio sesso, era un mezzo per provare che io esistevo, che io piacevo anche se, talvolta, avevo l’impressione che il mio corpo non mi appartenesse più, che era alla mercé del denaro, in affitto ad ogni angolo di un bar o di una discoteca. Ho avuto anche varie proposte di girare dei film hard amatoriali, per 200 euro, ma l’idea che qualcuno mi avrebbe potuto riconoscere mi faceva paura, non volevo che i miei parenti e la mia famiglia sapessero che recitavo in quel genere di film. Una sera, in una discoteca inaugurata da poco, stavo al bar quando all’improvviso un uomo di circa trent’anni chiese al barista di versarmi da bere. Gli feci un cenno per ringraziarlo della sua gentilezza, mi resi conto che stava cercando di rimorchiarmi. Era un uomo molto bello, bruno, alto, sportivo, con dei bei occhi verdi. I baristi sbavavano per l’ammirazione, ma lui vedeva solo me; mi invitò a prendere un altro bicchiere e mi chiese di andare con lui offrendomi una mazzetta di banconote; secondo me c’erano circa 13000 franchi (2000 Euro). Io rifiutai vedendo questa grande somma di denaro, era troppo rischioso, potevo cadere nelle mani di una retata della buoncostume. L’ambiente della notte è bello, pieno di luci, ma bisogna fare attenzione a dove si cammina perché si può cadere velocemente. Più tardi ho saputo che era il nipote del presidente di una grande azienda di garage e ho allora rimpianto di non aver accettato quell’offerta. La mia vita sarebbe cambiata se avessi accettato quell’offerta? O sarei caduto ancora più in basso? A forza di frequentare questo ambiente di sesso, droga e denaro, capii che queste persone molto ipocrite e superficiali mi interessavano sempre meno: saziare questi derelitti non mi divertiva più. Una sera, indifferente, tornai nella mia “casa” per fare il bilancio della mia vita. Arrivato al garage, con mia grande sorpresa, vidi che tutti i miei oggetti erano scomparsi; qualcuno aveva trovato il mio giaciglio e aveva portato via tutti i miei beni. Ricordai di aver incrociato due ragazzi che portavano una borsa, e se fosse stata la mia roba? Li raggiunsi e capii che avevano commesso il furto. Avevano all’incirca la mia età, uno dei due, un giovane turco, mi chiese: « Che cosa vuoi » ? E io risposi, agitato: « Ciò che mi hai rubato ». E giunse una risposta inattesa: « Bene, adesso appartiene a me». « Cosa ?» Uscito dai gangheri; un calcio colpì il viso di quello che mi aveva sfidato; cadde per terra sputando sangue. Poi mi diressi verso il secondo che stava venendo in aiuto del primo e gli strinsi la gola con tutte le mie forze. Soffocava e credo che fu il suo rantolo che mi riportò alla ragione. Fu in quell’istante che arrivò la polizia, forse chiamata dai vicini o perché era di ronda, per separarci. Mi ritrovai al posto di polizia, dovetti trascorrere la notte in cella per poi avere un processo il giorno dopo. Faceva caldo, ma ne sarei uscito bene! Mi fu assegnato un avvocato di ufficio, un vecchio pazzo, un uomo a cui mancava il sesso, che rimorchiava i giovanotti; mi propose di andarlo a trovare una volta uscito di prigione. Non è perchè voi siete avvocati che avete il diritto sui giovani; l’avvocato che mi difendeva approfittava del suo ruolo, difendere dei piccoli delinquenti, gratuitamente, per attirarli più tardi nel suo letto, nel momento in cui escono di prigione, facendo credere loro che è il solo mezzo per pagare la loro difesa. Lo so, LO GIURO, perché ci sono passato anche io. Non citerò il nome di questo uomo, perché esercita ancora nel foro di Strasburgo. I due ladri furono rilasciati affermando che io ero l’aggressore, ed io, il barbone, fui condannato a 15 giorni di detenzione e tre anni di affidamento ai servizi sociali tre mesi dei quali di condizionale. Tutto ciò per una semplice lite, ero accusato di colpi e ferite, se avessi rapinato una banca a quanto mi avrebbero condannato? Visto che io ero la vittima. La prigione, era l’orrore; c’erano 25 persone nella mia cella , una più debole dell’altra, ero un chierichetto in confronto a tutti questi delinquenti. Uno aveva ucciso sua moglie, un altro…rapinato una banca; avevano tutti trent’anni come me e erano in attesa di giudizio. Un capobanda dettava legge, tutti gli altri prigionieri lo rispettavano, poteva imporre loro di avere dei rapporti sessuali, farsi leccare i piedi, loro obbedivano senza controbattere. Il giorno del mio arrivo mi disse sghignazzando: « Tu,lavorerai per me !» Io risposi: « Io sono qua soltanto per quindici giorni, non c’è motivo per il quale io debba lavorare per te.» « Sai con chi hai a che fare ? » continuò. « Sì, con un uomo qualunque che mi troverà se continuerà a cercarmi.» Avevo appena finito di dire questa frase che quello alzò la mano per colpirmi ma io schivai il colpo. «Fai combattimenti di karate?» domandò. Dissi di sì, se aveva voglia di battersi, lo avrei affondato, le risse per strada mi avevano insegnato a vincere la paura. Con mio grande stupore, si calmò, credendo che avesse trovato il suo maestro e mi chiese di diventare suo amico. Lo avevo sicuramente impressionato perché negli anni 80, questo genere di sport non era molto diffuso. C’erano solo due palestre di karaté a Strasburgo; la thai box e il kung-fu erano quasi sconosciute, queste discipline si erano diffuse in seguito ai film di Bruce Lee, idolatrato dai giovani. Una mattina la mio risveglio mi ritrovai coperto di sangue; un ragazzo di circa 20 anni si era tagliato le vene con un rasoio usa e getta durante la notte. Vedendo che non era morto, io e i miei compagni chiamammo il guardiano che lo fece trasportare in ospedale. Rimasto colpito da questo dramma, presi la decisione di non commettere più delle sciocchezze che mi avrebbero potuto portare di nuovo in prigione. Dopo quindici giorni trascorsi in prigione, ragionavo diversamente, aveva capito che la libertà non ha prezzo. Che sensazione magnifica, quando il guardiano apre la porta della prigione! Avevo l’impressione di essere stato rinchiuso per tre anni, non capisco le persone che hanno conosciuto il carcere e, una volta usciti, ricadono negli stessi errori e sono di nuovo riportati in carcere. Io, ero stato in cella soltanto per quindici giorni ma ciò era sufficiente a farmi capire e a farmi aprire gli occhi – la prigione è sempre un INFERNO- la libertà non ha prezzo, andare dove si vuole, come è bello! In ogni modo non avevo alcun interesse di commettere un altro reato altrimenti sarebbero stati altri tre mesi di pena. La sera tornai al mio garage ma trovai la porta chiusa a chiave e decisi di andare a dormire alla stazione con gli altri barboni. Faceva freddo e ogni minuto venivano i controllori per mandarci via, vagai nella notte cercando un luogo per dormire al caldo. Talvolta dormivo tra due cartoni su una panchina pubblica , avevo degli amici, ma alla fine pensai che quando si è in mezzo alla strada, gli amici spariscono, siete soli, abbandonati, non ho mai chiesto l’elemosina anche se qualche volta ho rubato un panino per mangiare, sarei potuto andare dalle mie sorelle, ma il mio orgoglio di merda me lo impediva. Come ero! Sapevo che le mie sorelle mi avrebbero aperto la porta, dato un letto, qualcosa da mangiare ma era più forte di me, forse la vergogna? Il disagio? L’orgoglio? Mi davo la colpa di essere caduto così in basso! Aiutami Dio moi, pensavo a casa mia in Portogallo, alla mia camera, al moi letto e se fossi ritornato a vivere nel moi paese? Là almeno avrei avuto un tetto, qualcosa da mangiare, mi sarei potuto lavare e soprattutto avrei avuto l’amore di mia madre. Mi sentivo un miserabile, facevo parte di una famiglia povera ma dignitosa, non volevo fare la fine di quei vagabondi! Pensavo alla mia povera mamma che aveva sofferto tanto per farci crescere in modo sano, avrei avuto voglia di gridarle: « Scusami mamma per ciò che sono diventato, tu che eri così fiera del tuo Nelinho, io che, prima di partire, ti avevo detto (no, non commetterò sciocchezze) ti ho mentito, perdonami.» Volevo essere di nuovo una persona rispettabile della quale non mi sarei potuto vergognare. Decisi di combattere con tutte le mie forze per riuscirci. Da quando ero uscito di prigione, avevo perso i contatti con i miei compagni di sangue, poco male: se volevo cambiare vita, era meglio non frequentarli più. Altrimenti sarei nuovamente caduto nello stesso ingranaggio: gioco, droga, bastoni. Una sera in un bar conobbi il ragioniere di uno dei più grandi circhi del mondo “L’American circus”. Avendo fatto amicizia, mi offrì dei biglietti per uno spettacolo. Il giorno dopo andai al circo che era stato collocato in Place de l’ Étoile, non lontano dal centro di Strasburgo. Alla fine della rappresentazione, estasiato dai numeri degli artisti, cercai il mio nuovo amico per spiegargli che cercavo un lavoro. Mi disse che stavano cercando del personale. Mi indirizzò dal direttore che mi propose di far parte della compagnia e mi assegnò ad una roulotte che dovevo dividere con altre sei persone. La prima notte, facendo fatica ad addormentarmi, perchè eccitato dalla mia nuova vita, familiarizzai con il tendone, esplorandolo in ogni angolo. La mattina dopo mi chiesero di spazzare le piste, dar da mangiare ai cavalli, agli elefanti e alle zebre; fortunatamente gli ammaestratori curavano i felini, non sarei stato mai tranquillo nell’entrare nelle loro gabbie. Dopo 7 giorni trascorsi a Strasburgo, il circo partì per Nancy, facevo parte dei saltimbanchi. Qualche mese più tardi, ebbi una promozione, il direttore mi chiese di accogliere gli spettatori e di accompagnarli al loro posto. Tutti i giorni c’erano due spettacoli, uno alle 14,30 e l’altro alle 20,30. Un giorno seppi ch la direzione cercava un barista; sedotto da questo lavoro, mi offrii e la mia candidatura fu accettata. Il bar si trovava in un camion dove gli spettatori potevano venire a prendere un caffé, tè, leccornie di tutti i tipi durante l’intervallo. Era anche il luogo dove si ritrovavano gli artisti dopo lo spettacolo prima di ritornare nelle loro roulotte. A proposito delle roulotte, posso dirvi che si poteva indovinare quali artisti erano più pagati secondo la superficie e il lusso di esse. Il caravane del direttore era, giustamente, il più bello con i suoi interni in marmi italiano, la sauna e la jacuzzi. Il circo era di proprietà di un italiano che sfruttava la copia degli stati Uniti, salvo il fatto che là gli artisti non si spostavano mai, la compagnia era stabile nella città di Dallas. 470 persone lavoravano all’interno del circo, non potevo certo conoscerli tutti ma avevo già simpatizzato con alcuni artisti soprattutto con i clown «Rastelli e i Fratellini », clown da molte generazioni, che erano i miei preferiti. Avevo a che fare con dei veri talenti anche se il loro aspetto umoristico me lo ha fatto dimenticare. Erano così strani con i loro costumi che mi facevano ridere a crepapelle quando venivano a trovarmi al bar. C’era anche un mago che mi insegnava i giochi con le carte; mentre servivo i clienti mi svelava qualche trucco. Ogni volta che ero in pausa, andavo ad allenarmi con i trapezisti, i giocolieri, gli acrobati, avevo voglia di diventare anche io un artista. Ma diventare artista non è una cosa che si apprende dall’oggi al domani, è necessario iniziare quando si è bambini, sono anni di lavoro, di sacrificio e di sofferenza. Non ci si rende conto, guardando un numero al circo, si pensa che sia facile, ma vi sfido a fare le stesse cose. I miei rispetti, signori artisti! Andavamo di città in città e ogni volta che ci fermavamo in un luogo, dovevamo far fronte a dei problemi come l’allaccio dell’acqua, della corrente o la mancanza di posto, perché era un tendone immenso che poteva accogliere più di 5000 persone. Era necessarie più di 12 ore per montarlo e 8 ore per smontarlo. Tutti partecipavano a queste operazioni, anche le donne e i bambini, ogni persona aveva il suo compito. Ero sfamato, lavato e alloggiato, ricevevo uno stipendio di 3000 franchi (circa 450 euro) che non avevo il tempo di spendere. Con il mio primo stipendio mi sono regalato dei vestiti, degli accessori e dei prodotti per il bagno per essere più presentabile. Mangiavo alla mensa del circo; ogni giorno c’era un menu diverso. Avevo anche la fortuna di essere invitato, ogni tanto, al tavolo di alcuni artisti o di andare a cena al ristorante con i giovani acrobati. Quando avevano bevuto troppo, facevano delle pirouettes per strada, erano troppo strani. Un giorno, uno dei trapezisti, avendo fumato troppa erba, non era in forma per eseguire il suo triplo salto. Tentò 3 volte ma inutilmente, ogni volta, non riusciva ad afferrare le mani del suo compagno e cadeva sulla rete. Immaginavo ciò che sarebbe potuto accadere se fosse caduto al suolo. Il nostro direttore, che seguiva la scena, con occhio critico, non si congratulò con lui. Gli artisti erano pagati secondo i rischi che affrontavano: più l’esercizio era rischioso, più ricevevano uno stipendio alto. Un trapezista americano che lavorava da solo, senza rete né cintura di sicurezza percepiva, senza dubbio, lo stipendio più alto; ogni istante rischiava la sua vita, avevo l’impressione che volesse sfidare la morte. Faceva dei numeri spettacolari, uno dei quali si chiamava “la ruota della morte”, era una grande ruota che girava a più di 15 metri dal suolo. L’artista doveva mantenere il ritmo, con gli occhi chiusi, girando nel senso della rotazione, era davvero impressionante! Ha avuto il premio di « miglior spettacolo per l’anno 1983 ». Ogni anno l’American Circus cambiava il suo spettacolo, alcuni artisti andavano via, altri rimanevano, rimanevano soltanto quelli che facevano parte della famiglia come i “Fratellini” e i «Rastelli ». La nipote dei «Rastelli » era una contorsionista. Dotata di una flessibilità eccezionale, era in grado di attorcigliare e piegare il suo corpo in tutti i modi: era l’orgoglio della sua famiglia. C’erano tre piste, la pista centrale, che era destinata ai numeri migliori alla quale ogni artista sognava di arrivare un giorno e altre due piste laterali per i numeri meno spettacolari. C’era molta invidia fra gli artisti e spesso scoppiavano delle discussioni; qualche volta venivano da me per sapere chi avesse ragione, io ne restavo fuori per non seminare zizzania. C’erano 90 cavalli, 20 tigri, 10 leoni, 5 pantere nere, 10 elefanti e altri animali, i clienti potevano visitare lo zoo per 10 franchi (1,50 euro). Ammiravo molto il direttore. Era in grado di mandare avanti un’azienda così grande, tanto di cappello! Dopo un anno e mezzo trascorso nel circo, avevo trovato il mio equilibrio, mi sentivo bene con il mio nuovo lavoro ma mi mancava una cosa fondamentale: la mia famiglia! Quando vedevo gli altri artisti circondati dai propri cari, mi sentivo solo. La mia famiglia non sapeva dove io fossi, non li avevo più contattati dopo la mia partenza da Strasburgo, dovevo assolutamente ritornare per vederli. Dopo aver dato le mie dimissioni, il direttore cercò di trattenermi. Congratulandosi con me per il lavoro che avevo fatto, mi propose un aumento di stipendio, annunciandomi allo stesso tempo che ero molto apprezzato da sua moglie e mi chiese anche di dividere il loro caravane. Era un onore ed un privilegio ma niente mi poteva trattenere, volevo raggiungere la mia famiglia. In poco tempo tutti seppero la mia decisione, ogni artista veniva da me per cercare di dissuadermi. Ne fui molto toccato, piangevo vedendo questi sconosciuti che si erano affezionati a me, mi avevano adottato credo bene che fosse la prima volta, dopo tanto tempo, che mi sentivo amato. Ma la mia decisione era stata presa. A Bordeaux, dopo aver raccolto tutte le mie cose, salutai tutta la compagnia con il nodo alla gola. Sapevo che stavo lasciando delle persone straordinarie che erano tristi nel vedermi partire. Allontanandomi dal circo, piansi così tanto che stavo sul punto di tornare sui miei passi, dopo tutto perché andarmene? Stavo bene con loro! Alla stazione di Bordeaux singhiozzavo di continuo chiedendomi se effettivamente volessi salire sul quel treno che aveva per destinazione Strasburgo. Arrivato, angosciato all’idea di rivedere la mi famiglia, mi sistemai in un albergo, aspettando di trovare qualcosa di meglio. Avevo qualche risparmio. Ero molto emozionato all’idea di ritrovare i miei amici e le mie sorelle Céleste e Mina che, incrociandomi in città, sembrarono veramente sorprese di rivedermi. Intimidito, le abbracciai; dopo questa lunga separazione eravamo diventati praticamente degli sconosciuti. Non raccontai loro nulla del periodo trascorso lontano da Strasburgo come se provassi vergogna del mio lavoro. Seppi che Emilia era incinta di una bambina. Corsi da lei per congratularmi e per raccontarle la mia storia: non credette ai suoi occhi ! Ero contento di vedere che Emilia e il suo amico Santos avevano un grazioso appartamento; non rimpiangevo di averla lasciata in passato anche se avevo vissuto delle cose terribili. La trovai in splendida forma e il fatto che fosse in dolce attesa la rendeva radiosa. Un insegnante di Kung-Fu, un vietnamita che incontrai poco tempo dopo, mi propose di abitare con lui. Accettai perché era meno costoso di una camera d’albergo; lavorava da solo e insegnava in alcune palestre. Mi allenavo con lui per più di sei ore al giorno; grazie alla flessibilità che aveva acquisito con la mia esperienza al circo, dopo qualche mese mi chiese di diventare suo assistente. Quando aveva qualche impegno, io lo sostituivo. La traduzione di “Kung-Fu” è: “ realizzazione dell’uomo attraverso il lavoro” che vuol dire in modo più esplicito “il lavoro richiede molti sforzi e sei d’accordo ad affrontarli, il tuo lavoro sarà buono”. Praticare il Kung-fu non era salutare solo per il corpo, mi permetteva di percepire la vita in modo diverso, ero pronto adesso per affrontare qualcosa di nuovo, forse anche insegnare, a mia volta, quest’arte ad altre persone e creare la mia azienda. Dopo i corsi, andavamo qualche volta a bere qualcosa “al bar degli Aviatori” che aveva aperto da poco. Era un bar frequentato soprattutto da studenti che, quando avevamo fatto amicizia, ci proposero di pubblicizzare il circolo. Andavo spesso ad informarmi su mia sorella Emilia, che non aveva ancora partorito; lei era impaziente di dare alla luce questa bambina perché era ingrassata già di 13 chili. Quando la piccola Johanna nacque, io diventai zio per l’ottava volta: mi chiedevo quando sarebbe arrivato il mio turno per diventare papà. Era necessario che trovassi la donna della mia vita, ma l’idea di sposarmi e di avere una famiglia non mi dava fastidio, credevo di aver fatto tutte le esperienze della vita, ma il corso della mia vita stava per cambiare. Frequentavo assiduamente il « bar degli aviatori »; Michelle, la padrona, era una persona affabile. Si liberò un posto da barista e, conoscendo bene il mestiere le proposi prendermi in prova. Gli orari di lavoro erano dalle 18 alle 4 del mattino. Non era facile lavorare a quel ritmo ma era necessario che guadagnassi da vivere; volevo portare avanti i propositi fatti mentre avevo vissuto per strada. Cercavo di recuperare le energie durante il giorno per essere in forma la sera, non volevo deludere il mio principale che aveva avuto fiducia in me. Come accade sempre quando si lavora di notte, con la fatica che si accumula, non si è in grado di fare molte cose durante il giorno quindi non avevo più il tempo di praticare il KungFu. Non ero dispiaciuto, l’ambiente del bar era simpatico, c’era una buona intesa tra i camerieri e i baristi. Tutto il personale si attaccava alla bottiglia durante il lavoro e cominciai ad imitarli, per non essere considerato un guastafeste. Non bevevo alcolici da oltre un anno. Da quel giorni iniziai di nuovo a bere e anche a drogarmi. Dopo il lavoro, il personale usciva per locali. Fu di nuovo il crollo totale! Tutto quel percorso fatto per niente! Come è debole la carne! Ritornai ad essere la “bestia del sesso” ma questa volta non lo facevo per denaro …ma per soddisfare il mio piacere. Sperperai il mio stipendio da barista 6000 franchi (900 euro) più 1500 franchi (230 euro) per le mance nei locali notturni per comprare la droga; a fine mese, non mi rimaneva più nulla, il passato non mi era servito da lezione. Perché ci sono ricascato? Pensavo soltanto a fare sesso, con chiunque ed ovunque, spesso nei bagni del nostro locale, tra due pause. Una sera di gennaio del 1986, incontrai una ragazza, doveva essere una tossicodipendente come me, in ogni modo questo non era importante, volli avere un rapporto sessuale con lei senza farmi troppe domande. Avevo pensato spesso che un giorno avrei potuto contrarre il vaiolo o altre malattie veneree, ma quando ero davanti ad una ragazza, inoltre consenziente, i miei timori svanivano. Per ritornare alla mia conquista, dopo averla penetrata, questa iniziò a sanguinare, non mi preoccupai, cosa piuttosto normale se era vergine. Una tossicodipendente vergine non ne conoscevo molte. Tutte le sere uscivo per locali, non vedevo più la luce del giorno. Ero stremato, avevo perso anche l’appetito. Vuoto, sentivo che c’era un problema ma credevo di aver preso l’influenza o che fossero i postumi dell’abuso di alcool , di hashish e delle ore piccole. Un sabato sera, mentre ero al bar, una donna bionda sulla trentina, che mi stava divorando con gli occhi, mi chiese: « Sei elastico ?» Capii poco il senso della sua domanda ma le risposi con noncuranza: « certamente, ma elastico come? » «vieni da me dopo il lavoro !» Rimasi senza voce per un istante, continuando a lavorare, la guardavo mi sembrava una donna equilibrata, intelligente e soprattutto sorprendente. Quando lasciò il locale, mi diede il suo recapito insistendo che l’andassi a trovare dopo il lavoro. Avevo capito che le piacevo; dopo tutto, perché non andarci, non avevo nulla da perdere. Al momento della chiusura, i miei colleghi mi domandarono di finire la sera con loro come d’abitudine, ma io risposi che avevo qualcosa di più urgente da fare. Mentre mi dirigevo a casa di lei mi ponevo mille domande: “ Chi è? Che cosa vuole?” Arrivato in fondo al portone, la porta si aprì dopo che avevo suonato; salii in modo spedito i tre piani e, giunto al pianerottolo, vidi che la sua porta era mezza aperta. Sentii la sua voce che mi diceva: « Entra !» Il mio cuore batteva a mille, un po’ agitato per ciò che stavo per scoprire. La decorazione molto « Zen » del suo appartamento mi colpì particolarmente, c’era un forte odor di incenso che proveniva dalla sua camera. Stupefatto, la trovai stesa, nuda sul suo letto. Le chiesi: « Che cosa si aspetta da me ?» Ero cosi stupido! Visto il contesto, era una domanda che non avrei dovuto fare; era così evidente! Tuttavia ero così lontano da ciò che avevo immaginato. Mi spiegò che era un’insegnante di yoga, aveva una palestra chiamata « SIGNES ». Aveva in mente un progetto di un corto-metraggio sul tema dello yoga, e avendomi visto nel bar, le era piaciuta la mia “aura”. Trascorremmo il resto della notte a discutere sul suo progetto; compresi così la sua allusione all’elasticità. Dopo aver fatto colazione, andammo a visitare la palestra per fare le prime valutazioni sulle mie capacità. Lei abbandonò l’idea di affidarmi un ruolo nel suo corto-metraggio, evidentemente non ero così elastico quanto avrebbe voluto lei. Le posizioni dello yoga richiedono un’elasticità eccezionale, cosa che non avevo. Facevo la spaccata, ma questo non era sufficiente, era necessario essere quasi come un contorsionista, quasi quanto un contorsionista del circo. Nel primo pomeriggio, questa donna, che si chiamava Monique, mi propose di fare una passeggiata nella foresta, seguita da una cena al ristorante durante la quale mi domandò di andare a vivere da lei. Sì, lo so, era una proposta avventata, ma l’appartamento si trovava vicino al mio posto di lavoro, questo mi aiutava. La stessa sera, andammo in macchina, a prendere la mia roba a casa del mio amico per portarla a casa di lei. I giorni passavano e anche se non ero molto attratto da Monique all’inizio, iniziai ad apprezzare soprattutto la sua intelligenza e la sua serenità. Essendo io caratterialmente un vulcano in eruzione, la sua calma , mi dava equilibrio. Era lei la donna della mia vita ? avrei potuto creare con lei una famiglia o avere dei figli? Non lo sapevo, Monique era semplicemente incredibile! Con la sua notevole elasticità, Monique mi insegnò il « Kama-sutra », questa nuova arte della quale non conoscevo l’esistenza. Facendomi scoprire le diverse posizioni, spesso bizzarre, mi sentivo come un novellino in questa materia; credevo di essere un esperto nell’arte dell’amore, ma ero lontano da ciò, doveva essere rifatta la mia educazione sessuale. Ma francamente, ciò non mi dispiaceva, al contrario era molto sorprendente e misterioso, si poteva giocare a nascondino, spesso mischiavo i colori dei pennelli. Qualche giorno più tardi fui preso da crampi lancinanti alla pancia e da attacchi di diarrea; Monique non si preoccupava, pensava che fosse una gastroenterite, da parte mia avevo la netta sensazione che era soltanto un malessere passeggero. A febbraio, presi 8 giorni di ferie per andare a sciare con gli amici. I dolori diventavano sempre più forti e gli attacchi di diarrea sempre frequenti. Certi giorni, ero incontinente. La mia vita precipitò verso l’abisso! I miei amici non capivano cosa mi stesse accadendo, neanche io, arrivato a questo punto. Decisi di andare da un medico durante le mie vacanze in montagna.. quest’ultimo credette che avevo una gastroenterite e mi diede 7 giorni di malattia. Inviai il certificato medico al moi datore di lavoro e decisi di prolungare le mie vacanze in montagna credendo che l’aria buona mi avrebbe aiutato a rimettermi in piedi. Quando tornai, Monique vide il moi aspetto. Mi fece notare che ero dimagrito, cosa vera, in effetti avevo perso 5 kg in 15 giorni. Fui licenziato per mancanza di professionalità perché Monique non aveva ricevuto il mio certificato medico. Inizialmente avevo pensato di appellarmi al giudice civile ma alla fine lasciai perdere. Debole e spossato, non avevo le forze necessarie per fare i passi necessari e cercare un nuovo lavoro. L’estate passò e il mio stato di salute peggiorò. Mi sentivo male, angosciato, avevo il presagio di qualcosa, ne ero quasi sicuro ma non volevo crederci. È strano come si avvertono le cose che stanno per accadere quando si ha il presentimento di avere qualcosa che non va. Daniela, un’amica di Monique, che abitava nello stesso palazzo, era direttrice di un laboratorio di analisi. Le suggerì di farmi fare un prelievo di sangue per vedere quale fosse il mio problema. Qualche giorno dopo, ero in camera e stavo vedendo la televisione quando Daniela e Élisabeth, un’altra persona del laboratorio, suonarono alla porta. Lo sguardo fuggente, perché non riuscivano a trovare le parole, mi dissero il verdetto delle analisi. « Alle 22h30, del 1dicembre 1986, mi annunciò che ero stato contagiato dal virus del l’AIDS.» La spaventosa notizia mi gelò il sangue nelle vene. No! Non è possibile! è solo un brutto sogno ! Lo sguardo impaurito di Monique cancellò ogni moi dubbio. Ero informato su questa malattia! Il virus mortale originario dell’Africa, trasmesso dalle scimmie ma anche tra gli omosessuali mi aveva contagiato. Il 1 dicembre era « la giornata mondiale dell’AIDS » (World AIDS day). Che strana coincidenza! La mattina alla radio avevo sentito le cifre allarmanti di questa terribile malattia ma non avrei mai immaginato che ne avrei potuto far parte. I miei rapporti con gli uomini mi erano stati quindi fatali? La tossicodipendente? Ero angosciato, il mio battito cardiaco accelerò, soffocavo, ogni minima parte del mio corpo iniziò a tremare e dissi: « Sto pei morire ! Dio mio, morirò ! » Monique in lacrime, mi prese tra le sue braccia per consolarmi. Continuai a ripetere. « Sto per morire, sto per morire, o nossa senhora de Fatima vou morer ( o nostra Signora di Fatima sto per morire ». Oh santa vergine Maria, sto per morire! Mamma, mamma sto per morire, Émilia, Céleste, Mina, Antonio, sto per morire ! Che sensazione strana sapere che i vostri giorni sono contati, quanto tempo mi rimaneva da vivere ? Qualche giorno? Qualche settimana? O qualche mese ? ho rischiato di morire lo stesso giorno in cui seppi questa notizia terribile. « Perché io, ma perchè io, o Dio moi, sono ancora troppo giovane per morire, non me ne voglio andare adesso, sono appena arrivato, ho solo 22 anni, sono solo 22 anni che mi hai messo al mondo, Dio mio, ti supplico, NO, non adesso, lasciami ancora un altro po’di tempo, lasciami vivere ancora qualche altro anno, ho ancora così tante cose da fare su questo mondo, ti supplico Dio moi non adesso » La notte fu orribile! La più brutta di tutta la mia vita, nessuna parola, nessuna frase potrebbe descrivere questa sensazione, solo le persone che ci sono passate sanno ciò che voglio dire. Mi faceva male il cuore, la pancia, sudavo freddo, il mio cuore batteva così forte che ogni istante pensavo di avere un infarto. Mi immaginavo agonizzante, poi vedevo la mia anima che abbandonava il mio corpo per andare in un altro mondo in un istante. Così come accade nel film Ghost in cui l’attore esce dal suo corpo e capisce che è morto davanti alla sua donna, ma ora, non era un film, era la realtà e lo avevo capito. L’immagine di mia madre e della mia famiglia in lacrime davanti alla mia bara scosse la mia anima. Nella mia immaginazione, leggevo l’iscrizione incisa sulla mia lapide: « Emanuel de Castro, nato il 18 10 64 morto il .. .. 1986.» Pensavo a mio padre, alla mia famiglia scomparsa, ai miei amici. Papà tra poco ti avrei raggiunto e ti avrei conosciuto sei morto a 31 anni, io ne ho solo 22, non sono stato capace di vivere un po’ più di te; oh, papà come è lassù? Il pensiero della morte e dell’al-di-là mi angosciavano. Non dimenticherò mai quel giorno!. Come si può dimenticare, oh no ! è impossibile! Mai e poi mai vorrei rivivere quel momento e non lo auguro a nessuno! Trascorsi il resto della notte a rivedere tutto il film della mia vita, e a capire che stavo per morire, sempre vomitando e agonizzando, tremando e pregando Dio e la vergine Maria, credendo allo stesso tempo che fosse solo un incubo e che mi sarei risvegliato presto. Monique era angosciata quanto me, telefonava a tutti suoi conoscenti, ai quattro angoli del mondo; si mise in contatto allo stesso tempo con i suoi insegnanti di yoga per sapere se esisteva una cura per questo virus. Le risposte erano sempre negative, non esisteva cura, il solo rimedio era la morte. Monique dovette arrendersi all’evidenza che non esisteva soluzione al problema. Mi chiedevo se avessi fatto delle vittime, non potevo saperlo, era impossibile, non avrei saputo come rintracciare tutte le mie numerose conquiste. Avevo un piccolo dubbio sulla tossicodipendente, ma non ero sicuro di niente, mi avrebbe potuto contagiare chiunque. Dal giorno in cui seppi la notizia, iniziai a deprimermi, il moi morale era sempre più a terra, non c’era un rimedio per fermare gli attacchi di diarrea e quindi dimagrivo a vista d’occhio. Monique non smetteva di dirmi: « Combatti, non lasciarti andare, pratichi il kung-fu, hai un morale d’acciaio, puoi riuscirci.» Facile da dire. Combatti, ma come si può combattere contro qualcosa che non ha rimedio, come combattere contro la propria morte, contro il suo destino, cosa era necessario fare per non morire? tante domande senza risposta. Decisi di andare all’ospedale, non ne sapevo tanto perché tutto ciò che i medici mi dicevano io lo sapevo già; forse era già abbastanza per morire! non volevo che Monica si sentisse obbligato ad assistere alla mia agonia. I medici le dissero di procedere immediatamente all’individuazione dicendole che ci sarebbe voluto un po’ di tempo di attesa per i risultati. Uno specialista in malattie sessualmente trasmissibili tolse dei linfonodi dalle mie ascelle e dalla mia gola, il verdetto fu immediato: mi annunciò che mi rimanevano soltanto dai 15 giorni alle tre settimane di vita. La notizia fu schiacciante. In quel momento le mie ultime forze mi abbandonarono. Solo 15 giorni, Dio mio! 15 giorni da vivere. Oh Dio mio così poco tempo. Non avevo neanche il tempo di avvisare e di vedere la mia famiglia riunita, i miei amici. Dio mio, lasciami ancora un po’ di tempo, soltanto un po’ di tempo per salutare quelli che amo, o Mamma, morirò senza neanche rivederti, no Dio mio non mi fare questo! Non a mia madre, concedimi quest’ultimo favore, rivederla solo per un’ultima volta. Venendo a sapere questa terribile notizia, mi sarei potuto arrabbiare con il Buon Dio, dire a Lui cosa pensavo di Lui, ciò che avevo nel mio cuore. Al contrario, non lo volevo fare. Non era giusto. Lui che mi aveva così tanto aiutato, Lui che era stato al mio fianco per 22 anni. Gli chiedevo soltanto un po’ di tempo soltanto un altro po’ di tempo. Era il mio unico desiderio prima di raggiungere nell’al di là mio padre, i miei antenati, i miei amici… Fui isolato in una camera e all’infuori dei medici protetti dai loro camici sterili, le mascherine e i guanti, nessun altro aveva il permesso di venirmi a trovare. I medici interni venivano a decine al mio capezzale, credevo di essere un animale in via di estinzione. Perchè? Aspettavo soltanto un po’ di conforto, di simpatia, di comprensione, un sorriso, soltanto un sorriso. Ero ancora vivo, ero ancora un uomo, un essere vivente, anche se stavo per morire, ma volevo morire con dignità non come un animale. Non mi toccavano mai e avevano paura di stringermi la mano, si limitavano soltanto a compilare la loro cartella clinica. Erano sfuggevoli perché l’AIDS nel 1986 era come la peste nel Medio Evo. Non sapendo nulla su questa malattia, cercavano di scoprire se si trasmetteva attraverso le vie respiratorie, il sangue, la saliva o le punture delle zanzare. Si rifiutavano anche di darmi un bicchiere, bevevo alla bottiglia. Peggioravo ogni giorno che passava, i medici imponenti non sapevano come curarmi; ero una cavia, ero completamente alla mercè della medicina. Monique aveva avuto il permesso di venirmi a trovare. Molto scossa nel vedermi nello stato in cui ero e nelle condizioni dell’ospedale, si affrettò a cercare il medico che le confessò che mi rimaneva poco tempo da vivere; ero nella fase 4 del virus, fase terminale, quindi in fin di vita. Ma io sono lo stesso un essere umano. La supplicai di farmi uscire dall’ospedale, il mio unico desiderio era quello di ritornare in Portogallo e di morire tra le braccia di mia madre. Rifiutandosi di accettare il fatto che la mia morte fosse imminente, Monique firmò le dimissioni e mi riportò a casa. Come comportarsi con questo virus distruttore? Lei telefonò a mia sorella Émilia. Non era il momento adatto per informarla che suo fratello, colpito dall’AIDS, stava per morire. Incinta di 3 mesi, venendo a sapere questa notizia, mia sorella abortì. « Mi dispiace, Émilia, perdonami, mi sento così colpevole di averti fatto perdere questo bambino. Non volevo, perdonami ancora. » Le altre mie due sorelle si agitarono all’idea di dover dare la terribile notizia a nostra madre. Mina, prendendo il coraggio a due mani, decise di telefonarle, era necessario prepararla. Soffriva di ipertensione e il trauma sarebbe potuto esserle fatale. Mamma prese molto male la notizia, sentendosi male, chiamò i vicini; la sua tensione era passata da 12 a 21 in un istante, rischiava di avere un infarto da un momento all’altro. Dire che sarebbe potuta morire a causa mia! Mi sarei sentito colpevole per il resto dei miei giorni. Scusami mamma di averti fatto soffrire così tanto, e so che tu hai veramente sofferto per colpa mia, tu non meritavi questo, non era giusto, la tua vita da quel momento è cambiata, ma io sono rimasto tuo figlio, so che mi ami, avresti dato tutta la tua vita in cambio della mia, il giorno in cui tu mi hai detto queste parole, mi sono sentito amato veramente, lo sapevo già che tu mi amavi ma non fino a questo punto, ti amo anche io mamma! Molti genitori sapendo che i propri figli sono affetti dall’AIDS, li rifiutano, talvolta li ignorano. L’amore che voi nutrite per i vostri figli non deve cambiare, al contrario, essi hanno bisogno di voi come non mai, che voi siate là, perché se uno dei vostri figli vi annuncia di essere sieropositivo, credete alle mie parole, non è facile né per lui né per voi, ma amatelo di più, stringetelo tra le vostre braccia perché nessuna parola può esprimere il suo dolore, soltanto l’amore che voi gli darete andrà fin nel suo cuore e gli darà conforto nel suo immenso dolore. Se io sono ancora vivo oggi, è grazie a questo amore, non dimenticatelo mai. Mia madre evidentemente non aveva raccontato ai vicini che io ero malato di AIDS, non avrebbero capito, lei lasciò credere loro che ero affetto da un male incurabile. Immaginate i pettegolezzi…All’epoca, i portoghesi avevano delle idee arretrate per ciò che riguardava l’AIDS, secondo loro, esistevano soltanto due possibilità: essere omosessuale o tossicodipendente, cosa non totalmente falsa tuttavia si sarebbe dovuto spiegare a questi paesani limitati e puritani che non è necessario far parte di queste due categorie per essere infettati. Le mie sorelle avevano promesso a nostra madre di informarsi continuamente sul mio stato di salute e che, se mi fossi aggravato, avrebbero fatto di tutto per farmi rimpatriare in aereo perf are finire i miei giorni con lei. Monique aveva sentito parlare di un magnetizzatore che abitava non lontano dal nostro appartamento. Era noto per aver guarito alcune persone affette da cancro e da altre malattie incurabili. Gli telefonò per ottenere il prima possibile un appuntamento. Che fortuna! Una persona vicino al mio appartamento poteva occuparsi di me. Il mio peso corporeo era sceso da 75 a 56 Kg. Si vedevano già le mie ossa, non c’era più nulla del play-boy che faceva girare la testa alle ragazze, solo qualche mese prima. Non sopportavo l’idea di diventare un vegetale, preferivo morire prima di perdere del tutto la mia dignità. Spesso mi mettevo sul bordo della finestra e, mentre fissavo il vuoto, una voce mi diceva: « Vai Manu, salta, un po’ di coraggio, c’è soltanto sofferenza sulla terra, perchè vivere questo inferno, non c’è la speranza. Sei condannato, lo sai, i tuoi giorni sono contati è nell’al di là che troverai la tua felicità.» Ma la morte mi faceva paura, non ero ancora disgustato dalla vita per compiere il passo. Capii che le persone che compivano un tale gesto lo facevano perché dovevano essere veramente al bandolo della matassa. Secondo me, non bisogna essere coraggiosi per suicidarsi. Credo che alla fine, la sofferenza diventa così insopportabile che le persone vulnerabili e fragili non riescono più a ragionare e cercano la libertà. Questo pensiero fisso mi girava per la testa molte volte ma nel momento in cui pensai alla mia famiglia, alla mia povera mamma che non meritava di soffrire ancora una volta, abbandonai questa idea dicendo tra me e me che non dovevo arrendermi, che c’era, grazie al guaritore, un ultima speranza. Monique mi accompagnò da lui; c’era moltissima gente nella sala d’attesa, e questo ci confermò che lui aveva delle reali capacità. Osservai i pazienti, i loro sguardi vuoti mi spaventavano, alcuni con ustioni di terzo grado, altri assomigliavano a degli zombie, tutti aspettavano in silenzio il loro turno. La porta si aprì, era JeanMarc un uomo normale dal quale mi aspettavo grandi cose. Soltanto il fatto di essere davanti a lui, calmava già le mie angosce; non avevo mai provato un tale benessere prima del nostro incontro. Un raggio di serenità e di pace si irradiava dal suo aspetto. Che padronanza di sé davanti a tanta sofferenza! Era notevole! Mi rivolse un grande sorriso stringendomi energicamente la mano, al contrario dell’ospedale dove i medici avevano paura di me. Voleva di sicuro farmi capire che non mi avrebbe lasciato cadere, che avrebbe combattuto al mio fianco con tutte le sue forze. Alla fine una luce di speranza, qualcuno a cui aggrapparmi dopo tutte quelle settimane di dubbie e di disperazione. Mi chiese di stendermi sul divano, mi parlò con una voce fioca, facevo fatica a non addormentarmi, le mie palpebre nonostante la mia volontà si chiudevano e dovevo lottare per restare sveglio. Mi impose le sue mani per circa trenta minuti; sentii la sua energia attraversare il mio corpo, anche ad occhi chiusi, ero in grado di sentire quale parte del mio corpo stesse magnetizzando. Era incredibile! Ripetevo dentro di me « quest’uomo ha le mani di Dio.» Fin dalla prima seduta, constatai un netto miglioramento, avevo una calma che stupì anche Monique, venuta a raggiungerci nello studio. Jean-Marc voleva vedermi tutti i giorni per tre mesi. La sua tariffa era di 200 franchi (30 euro). Feci presto il calcolo chiedendomi se avessi i mezzi per pagare i consulti quando mi annunciò che per me era gratis. Gratis! Ma perché? Non capivo. Semplicemente, disse, perché un giorno avrò bisogno di te e tu mi riceverai gratuitamente. Lo fissai smarrito, continuavo a non capire. Mi spiegò che aveva sentito dire che anche io avevo dei doni da guaritore e che ero in grado di aiutare gli altri. Si illuminò una scintilla, la storia del gattino; ma certo! Questo spiegava tutto! Era grazie al mio fluido che il piccolo animale era scampato alla morte. Non riuscivo a crederci, anche io potevo dare sollievo agli esseri umani! Emanuel vuol dire in ebraico «Dio è in me » ma al punto di avere un potere simile! Come per miracolo i giorni seguenti, gli attacchi di diarrea diventarono più rari, ripresi un po’ di colorito e avevo più appetito. Andavo da Jean-Marc tutti i giorni, la sala d’attesa era sempre piena. Alcune persone, senza soldi, gli portavano del prosciutto affumicato, delle mele, delle arance, per pagare i consulti. Lui non chiedeva loro nulla ma accettava con piacere i loro regali. Jean-Marc mangiava soltanto un’arancia durante il giorno, che prima aveva avuto cura di magnetizzarla prima di mangiarla. Non mangiava nulla fino alle 20 ora di cena. Non so come potesse sostenere quel regime, certamente grazie alla sua calma, così non provava fame; prova del fatto che questa è strettamente legata allo stress e che spesso ci si precipita sul cibo solo per calmare le tensioni. Infine avemmo i risultati di Monique, fortunatamente negativi. Che sollievo! Questa lunga attesa era al limite della sopportazione. Vedi Monique se ti avessi contagiato, non so che cosa avrei fatto, non lo so! Grazie Dio mio per aver risparmiato la persona che amo. Pian piano il mio peso aumentò, avevo ripreso da 6 agli 8 kg in due mesi; mi sentii pronto per andare ad insegnare il kung-fu nella palestra di Monique. Il kung-fu sarebbe stato salutare per il mio corpo ed il moi spirito; diventando nuovamente muscoloso avrei avuto un’altra immagine di me e il fatto di incontrare nuove persone mi avrebbe permesso di dimenticare la mia malattia. Avendo fatto stampare dei volantini pubblicitari, noi li distribuimmo ai commercianti del nostro quartiere. Il mio primo corso andava bene, una dozzina di giovani scalpitavano davanti la palestra; non mi aspettavo nulla di ciò. Dovettero restarci male vedendomi arrivare, convinti di avere un insegnante super muscoloso come Jean Claude Van Damme. Avevo fiducia, sapevo che ero in grado di far apprendere loro questa disciplina. Estasiati dalla loro prima lezione, si congratularono con me per la mia flessibilità ed agilità. Dentro di me ero fiero, ero di nuovo riconosciuto. Decisi di insegnare il kung-fu anche il mercoledì ai bambini di più di 6 anni. Queste entrate mi permettevano di vivere di nuovo in modo dignitoso. Andavo sempre da Jean-marc ma gli appuntamenti erano più distanziati. Diceva che non avevo più bisogno di tante cure. Mi sentivo magnificamente bene, c’erano dei giorni in cui mi domandavo se i medici non si fossero sbagliati annunciando la mia morte come imminente. Monique trascorse le feste di natale del 1987 on i suoi genitori, io con le mie sorelle che furono felici di vedermi in una forma simile. Mina, incinta di 8 mesi, preparò il pasto per tutta la famiglia. Povera Mina! La guardavo in cucina, con la pancia grossa, mentre si affaticava intorno ai fornelli. Avevo una stretta al cuore vedendola penare, ma troppo fiera, rifiutava qualsiasi genere di aiuto. Aveva piacere ad organizzare questa serata per le persone che amava, è vero che lei era dotata in questo campo. Per ciò che riguarda la decorazione, tu sei la migliore, anche il tuo albero di Natale è sempre stato il più bello. Io intrattenevo i miei nipoti affinché non dessero fastidio alla cuoca, era così tanto tempo che non giocavo più con queste piccole canaglie, erano tutti belli. Fu una serata magica, carica di emozioni, volli godere ogni minuto; i regali, la famiglia, l’odore delle candele, i buoni piatti di Mina, tutto emanava felicità. Facevo fatica a trattenere le lacrime, ero felice nel bozzolo famigliare, e dire che qualche mese prima avevo rischiato di morire! Tuttavia, c’era una piccola ombra a tavola, la mia mamma non era con noi. La telefonata fatta per augurarle un felice Natale non fu sufficiente a consolarci della sua assenza. Avevo così voglia di stringerla fra le mie braccia, non la vedevo da 5 lunghi anni, mi mancava terribilmente. Mi colpevolizzavo di averla abbandonata, ma non avevo avuto scelta, il lavoro, poi la mancanza di mezzi e infine la malattia. « Tu avrai capito mamma, non ti avevo dimenticato, i miei pensieri erano sempre con te.» Il 1988 portò un po’ più di felicità a Mina che partorì una bambina, Jessica, e io diventai zio per la nona volta. Gli italiani sono reputati per coloro che fanno una truppa di bambini, credo che i portoghesi non siano da me. Vi sento dire : « Che volete farci sono persone del Sud ». Il fatto è che, semplicemente, avendo un maggior senso della famiglia rispetto ai francesi, abbiamo voglia di un maggior numero di figli. Non avevo più visto Jean-Marc da un mese, non avevo alcun motivo di andarci, mi sentivo molto bene. Dopo un po’ di tempo, una ricaduta, il mio intestino mi faceva male. Poi subito comparvero di nuovo gli attacchi di diarrea, avevo delle strane sensazioni al livello dell’ano, che cosa mi sarebbe ancora successo? Andai da un gastro-enterologo che mi diagnosticò la «malattia di Crohn », un’infiammazione dell’intestino tenue, una malattia incurabile. Di solito sono le persone tra i cinquanta e i sessanta anni che sono affette da questa malattia, io avevo solo 24 anni, la cattiva sorte mi perseguitava, si poteva credere che Dio mi volesse punire per i miei errori passati. Nell’oroscopo cinese eravamo nell’anno del « Dragone ». I cinesi predicono alle persone nate sotto il segno del Dragone, sia un anno eccezionale con la riuscita e la felicità sia un anno di infelicità. Non mi occorse molto tempo per capire che facevo parte della seconda schiera. Nel mese di marzo, svegliandomi una mattina, non potevo più muovermi, tutte le mie articolazioni erano bloccate. Monique si accorse che mi ero gonfiato durante la notte, mi aiutò ad alzarmi e mi portò in bagno a lavarmi. Era impossibile lavarmi i denti, stravolto, gridavo dal dolore domandandole: « Ma Monique, che cosa mi sta succedendo ? Cosa mi capita? Cosa succede? Oh, Dio mio ci siamo, è l’inizio della fine della mia vita. Sono arrivato allo stadio terminale?» Domanda stupida, lei ne sapeva quanto me. Decise di portarmi da un amico osteopatia che, molto sorpreso mi annunciò che si trattava di una forma di gotta, una cosa poco comune che non sapeva come curare. Poi un medico generico, che, anche lui non aveva mai visto una cosa simile, mi disse che sarebbe stato più semplice se mi fossi fatto ricoverare per fare delle analisi. Non volevo sentire ragioni, non sarei ritornato in ospedale. Mi avrebbe trattato ancora come una cavia, iniettato dei veleni, fatto dei test nell’arco della giornata, come in un laboratorio nel quale i topi sono sottoposti ad ogni tipo di virus. NO NO e NO non gli avrei mai fatto questo piacere. Una sola idea mi passò per la mente, tornare di nuovo da Jean-Marc. Arrivando da lui, fui rassicurato, non è niente, mi disse. Come faceva ad essere così sicuro che non era niente? Secondo lui niente era grave, neanche la morte. Che forza! Da dove proviene Jena-Marc questa forza che avete in voi? Siete sicuro che un giorno avrò la vostra stessa energia? Mi magnetizzo per un’ora. A seduta terminata, mi disse: « Non preoccuparti, Manu, tra 15 giorni sarai di nuovo in piedi.» Le due settimane seguenti furono un vero calvario. Monique aveva affittato una sedia a rotelle per facilitare i miei spostamenti. Volli continuare le lezioni di kung-fu affinché gli allievi non fossero danneggiati. Lei mi lasciò là e mi venne a prendere dopo i corsi. Santa donna! Che fortuna aver avuto il suo appoggio! Non so come avrei fatto senza di lei per destreggiarmi nel quotidiano, pensai che ero molto fortunato al contrario di quegli uomini colpiti dalla malattia che sono rifiutati dalle loro mogli. Aveva dei meriti! Non potendo essere più la mia amante era diventata la mia infermiera. Ma per quanto tempo ancora avrebbe sopportato la mia malattia, il mio degrado fisico e morale, le mie angosce? Gli allievi non capivano ciò che mi stava succedendo, volli informarli. Io, il Maestro di kung fu, andavo contro la logica di questa disciplina, il cui motto fondamentale è: « Allenatevi sì da avere uno spirito sano in un corpo sano !» Allora! Là in quel momento il mio fisico atletico non rispondeva più, avevo a mala pena le forze per sollevare le mie braccia per spiegare loro le diverse tecniche. Indossavo dei « pannoloni » per proteggermi perché ero diventato di nuovo incontinente. Incapace di andare velocemente al bagno, tenevo ancora spesso le mie lezioni, seduto tra i miei escrementi sperando di non essere troppo nauseabondo per non dar fastidio ai miei allievi. Non potete comprendere il mio stato d’animo in quei momenti, mi sentivo sminuito, fragile, un povero infermo che dipendeva da una donna che, lo speravo vivamente, avrebbe avuto ancora un po’ di pazienza e di coraggio per occuparsi di un individuo che stava trascinando come una palla da qualche mese. Ma avevo il diritto di imporle ciò? Si può infliggere u n tale sacrificio ad una persona che si ama? Dopo tutto era il mio calvario, non il suo. Il 15° giorno, così come aveva predetto il magnetizzatore, ero davanti alla televisione quando iniziai a muovere i piedi; tutti i dolori erano scomparsi. Cercai di alzarmi dalla mia poltrona senza l’aiuto di Monique che dalla cucina non aveva assistito alla scena. La chiamai e lei accorse in fretta credendo che avevo avuto un altro malore; senza parole, mi fissò, io stavo in piedi accanto alla mia sedia a rotelle con un ampio sorriso di vittoria. Incredibile Jean-Marc! Le sue predizioni si sono avverate. Era un veggente il mio magnetizzatore! Come aveva fatto, non riuscivo a capire, tuttavia non c’era nulla da capire. Non potrò mai ringraziare completamente quest’uomo ; senza il suo aiuto, non so che fine avrei fatto. So che alcuni di voi potrebbero pensare che i magnetizzatori sono dei ciarlatani, anch’io all’inizio lo pensavo, ero scettico, ma vi giuro su ciò che ho di più caro al mondo che esistono alcuni di loro che hanno dei veri doni di guaritori. Io ne sono la prova vivente altrimenti non sarei più vivo e non avrei mai avuto la mia autobiografia. Émilia mi annunciò l’arrivo di un’altra bambina. No! Non venitemi a dire che i portoghesi sono in grado di fare solo figli ! L’ho già sentito! Decisamente il 1988 fu un anno carico di emozioni e voi non sapete cos’altro accadde…. Avevo di nuovo perso molto peso, le mie cosce avevano la circonferenza di una bottiglia. Seduto davanti allo specchio della mia camera, mi guardai, disgustato da questo corpo dilaniato, senza forma e senza carne; assomigliavo sempre di più a uno di quei prigionieri di quei campi di concentramento della seconda guerra mondiale: mi facevo letteralmente orrore! Si potevano contare le singole costole, credevo di essere trasparente, visto lo spessore del mio corpo, che angoscia! Avevo visto dei morti nelle loro bare che erano più grassi di me. Dissi a Monique che volevo andare in Portogallo. Non vedevo mia madre da anni, la sua presenza mi avrebbe aiutato a ritrovare le forze. Lei non mi contraddisse, il fatto di non doversi più occupare di me le avrebbe permesso di riposarsi e di vivere altre esperienze. Avevo chiesto al mio migliore allievo di continuare i corsi di kung-fu, avevo nel frattempo piegato a tutti che ero malato e che partivo per curarmi. La sera prima della mia partenza chiamai mia madre per comunicarle l’ora del mio arrivo, spiegandole anche che non ero più lo stesso in modo che non fosse troppo scioccata nel momento in cui mi avrebbe visto. Presi l’aereo per il Portogallo. Alla dogana, il poliziotto, controllando i passaporti, mi fissò più volte confrontando la mia foto con il mio aspetto. Non c’era in effetti una grande somiglianza, ero diventato l’ombra di me stesso; rendendosi conto che davanti a lui c’era un malato, mi disse di passare. Facevo così fatica a spostarmi con la mia pesante valigia, le mie gambe tremavano ed ogni 5 minuti dovevo fermarmi per riprendere le forze. Ero senza fiato arrivando nella sala di arrivo. Mamma era là, mi guardò, sbalordita, disse con una voce flebile: « Oh Dio mio! Figlio mio in che stato sei?Vieni a vedermi per morire, Ai meu filho?(oh figlio mio).» Vedendola, iniziai a piangere, fu più forte di me, non volevo mamma che tu mi vedessi in quelle condizioni, avrei dato tutto affinché tu avessi avuto un’altra immagine di me, le persone che aspettavano i loro cari erano tutte felici di ritrovarsi. Tu, tu eri triste, per nascondere le tue lacrime che cadevano dentro di te, tu hai lasciato cadere soltanto una lacrima sulla tua guancia, ma quella lacrima fu così intensa, così pesante, quella lacrima mostrava tutta la tua sofferenza e la tua disperazione come una madre che vede suo figlio mentre sta morendo davanti ai suoi occhi. Mi abbracciò molto forte tra le sue braccia come quando ero piccolo e mi era venuta a trovare per la prima volta. Il suo cuore batteva molto forte contro il mio, poi non potendo trattenere quell’enorme dolore, lasciò scorrere le sue lacrime e, non potendo il suo piccolo fazzoletto bianco contenere tutte le sue lacrime, lei le lasciò cadere sulla sua camicia a fiori. Tra Porto e Guimaraes, mi strinsi contro di lei, mormorando: « Piccola mamma mia, ti amo, ti amo così tanto.» Lei mi diceva: «Anche io ti amo figlio mio, Nelinho mio». Stavo così bene, avevo l’impressione che in quel momento non mi sarebbe potuto accadere più niente, anche se fossi morto in quell’istante, me ne sarei andato circondato dalla dolcezza, senza sofferenza, lei mi prese per le spalle e mi disse: «Andrà tutto bene figlio mio, ci sono io adesso, non ti succederà nulla, vedrai, ci sono io a prendermi cura di te, ti amo». Anche io ti amo, mamma. Tutto il paese sapeva già che sarei arrivato, sapevo che ci sarebbero stati i pettegolezzi ma tutto ciò mi lasciava indifferente, ero con mia madre, ero tutto ciò che contava per me. Le persone, non sapendo che ero malato, dicevano ironicamente: «Oh povero ! Come è magro, non ha mangiato abbastanza in Francia.» Appena arrivato, la famiglia, gli amici,i vicini vennero a farmi visita. Non avendoli visti da molti anni, fui molto emozionato. Come è bello ritrovare i propri cari, anche solo per un breve istante, ma quell’istante è così emozionante. Quanta gioia, quante lacrime! Alcuni compaesani erano in pena nel vedermi magro e debole, altri, al contrario, si sbrigavano a dire: «Ma no, è per la droga». Che volete farci! Esistono delle persone così che sono sempre pronte a dire male degli altri e sono sempre fieri della loro stupidità e dei loro pettegolezzi. Il mondo non cambierà mai, ci sono sempre degli esseri infami che godono dei dolori altrui. Non è felicemente il mio caso! Mi presi cura di me, facendo delle lunghe passeggiate nella foresta e mangiando in modo sano; come potreste dubitarne? Mia madre mi ingozzava come un’oca. Pasta a pranza, riso a cena e zuppa di legumi. Oh mamma! Lo so che il tuo motto è che, per essere in buona salute bisogna mangiare bene, ma vedi mamma: “ fa bene mangiare, ma non devi ingozzarmi”. Ma questo non cambia nulla, mamma resta sempre così come sei! Avevo sempre quei maledetti attacchi di diarrea ma andavo di meno al bagno. Mamma mi somministrò un farmaco che dopo un certo tempo ho dovuto sospendere perchè, ironia della sorte, per la prima volta da quando stavo male, ebbi dei problemi di costipazione, anche solo per un giorno, ma per me, non andare al bagno per un giorno, era un miracolo, perché nei periodi critici, ci andavo tra le 10 e le 20 volte al giorno, quasi ogni ora e spesso ogni mezz’ora. Vedete, vi parlo ancora del bagno, ma stranamente questo luogo mi perseguita da tutta la vita. Consultando un libro dei “SOGNI” potrete leggere che sognare i bagni non è tranquillizzante: ecco cosa ci è scritto: «Verrete a conoscenza di notizie sgradevoli, fastidi di salute, umiliazioni, affronti…» Non se si deve tener conto di questi commenti ma bisogna ammettere che sono sconvolgenti! Pian piano recuperai, le mie forme ritornarono, il mio viso riprese colore, mia madre fu contenta. Non voleva più che ripartissi per Strasburgo pensando che mi avrebbe perso per sempre. Diceva che stavo bene con lei, che nessuno poteva prendersi cura di me come lei, che la mia vita era in Portogallo. Ah! Una mamma è sempre una mamma, è solo che lei pensa che non esista nessuno che conosca i suoi figli come lei, e ciò non è falso. Ma era necessario che io ritornassi in Francia, vi avevo lasciato Monique che mi mancava e sapevo che Jean-Marc ci sarebbe stato per qualsiasi problema. Dopo tre mesi ero ritornato al 60 per cento delle mie capacità fisiche. Se ne avevo dubitato precedentemente, il fatto di star separato da Monique mi aveva fatto capire che era lei il vero amore della mia vita. Non ero più in grado di vivere senza di lei. La mamma, triste per la mia decisione, alla fine capì che se la mia salute fosse peggiorata, le cure in Portogallo non sarebbero state le stesse; avevo tutto l’interesse per tornare in Francia. Avevo lasciato il numero di telefono ad alcuni amici che mi avevano sostenuto durante questo soggiorno. La separazione da mia madre fu straziante, come il solito! durante il tragitto tra Guimaraes e l’aeroporto, avevo la gola stretta e sempre la sensazione di avere una palla nello stomaco. A Strasburgo, Monique mi aspettava all’aeroporto, fu piacevolmente sorpresa vedendo il mio cambiamento, mi disse di trovarmi di nuovo bello ed attraente, queste parole mi riscaldarono il cuore. È vero che mi ero sistemato ma non avevo neanche lontanamente lo stesso fisico di prima, lei esagerava….ma voleva solo farmi contento. Le raccontai le mie avventure, non dimenticando il minimo dettaglio dei bei momenti trascorsi nel mio paese. Le dissi anche della decisione di mia madre di venire in Francia per conoscerla. Monique era estasiata all’idea di conoscerla, sapeva tutto ciò che mia madre aveva affrontato in passato. Ripresi i corsi di kung-fu, ero ansioso di rivedere i miei allievi. Erano là al gran completo, c’erano anche due nuovi arrivati. Mi congratulai con loro dei miglioramenti e della loro serietà perché, durante la mia assenza avrebbe potuto anche non rispettare l’allievo designato come mio sostituito. Questa è la prova che non tutti i giovani sono marci, anche se alcune persone hanno la tendenza a credere ciò. Fui di nuovo motivato, mi sentivo forte e pieno di energie come ai vecchi tempi. Anche se una volta che sei affetto da AIDS e dal morbo di Crohn, niente è più come prima. Oh no! Niente è più come prima, tutta la vostra vita cambia, i vostri desideri, i vostri sogni, non esiste più niente. Come si può progettare un futuro, se il futuro non esiste più, bisogna soltanto vivere giorno per giorno, sperando di non soffrire troppo e approfittando di ogni istante, assaporando ogni momento e ogni giorno trascorso ancora su questa Terra. Lessi un articolo su una rivista che annunciava l’arrivo in Francia dei monaci di Shaolin che venivano ad insegnare le tecniche del kung-fu; ero fuori di me dalla gioia, i Monaci di Shaolin, chi ci avrebbe mai sperato! Volevo approfittare di questo incontro. Tutti coloro che praticano le arti marziali sanno che i Monaci di Shaolin sono i più forti in materia di combattimenti. Non bisognava in nessun modo perdere l’occasione di vederli a Parigi. Avevo anche voglia di segnarmi ad uno stage che veniva dopo la dimostrazione. Monique e i miei allievi, vedendo il mio entusiasmo, mi incoraggiarono a parteciparvi. Gilles, un amico di Monique che abitava a Parigi e che praticava kung-fu, poteva ospitarmi. Avevo anche voglia di conoscerlo per poter parlare della nostra comune passione. Partii in treno, ero impaziente di conoscere i miei eroi. Gilles mi aspettava sulla banchina della stazione agitando un cartello sul quale potevo leggere: «Manu da Strasburgo per Shaolin» Era alquanto comico! Era un giovane molto affascinante, aveva all’incirca la mia età. Facemmo subito amicizia. I nostri metodi di kung-fu non erano proprio gli stessi, lui praticava lo Win-Tsun, io il Wushu, entrambi provenienti dal kung-fu di Shaolin. Gilles si era iscritto allo stage, Monique non lo sapeva, voleva farmi una sorpresa ma il mio più grande stupore fu quando seppi che anche lui era affetto dall’HIV. Che sorte bizzarra! Due insegnanti di kung-fu, affetti da HIV. Non è sbalorditivo? Aveva i miei stessi problemi intestinali, questa maledetta malattia attacca prima di tutto la flora intestinale. Gilles abitava nel 13° arrondissement dove aveva luogo lo stage. La notte delle Arti Marziali si svolse quella stessa sera a Bercy. La sala era piena, 14000 persone il 70 per cento dei quali erano amanti degli sport dei combattenti. Dal momento in cui i monaci entrarono nella sala, il pubblico in delirio fu come ipnotizzato. La maggior parte di queste persone non avevano mai avuto l’occasione di vederli in azione sul tatami. I miei occhi erano fissi su quegli uomini che emanavano un “chi” intenso, come noi chiamiamo nel nostro gergo, cioè, “l’energia interna”. Il mio cuore batteva a 100 all’ora, come se fossi stato invitato ad esibirmi con loro. Tutto ciò fu semplicemente strabiliante! Ci furono ovazioni, le persone battevano i piedi, eccitati da questa grande arte. Una serata memorabile! L’indomani mattina, andammo allo stage presso la sala «Omnisports del 13e arrondissement », non molto lontano da casa di Gilles; meglio così, non era il caso di prendere la metrolitana, perchè ciò nelle ore di punta mi causa l’angoscia alla pancia, avevo sempre paura di dover correre. Fremevo mentre aspettavo di rivedere i monaci, di poterli toccare. Stringere loro la mano, cose che non si aveva neanche il diritto di fare ma speravo che ciò potesse accadere. 500 persone venute dai quattro angoli d’Europa aspettavano con ansia l’arrivo dei grandi maestri. Ci pregarono di indossare il kimono, l’attesa fu interminabile! C’era qualcuno che si credeva Jackie Chan, cercando di far impressione sugli altri. Gilles ed io restammo saggiamente in attesa in un angolo. Quando i monaci entrarono, un silenzio solenne regnò nella sala, avremmo potuto sentir volare una mosca, i maestri erano pronti ad insegnarci le tecniche di combattimento di Shaolin. Fu molto intenso e sfiancante, anche per me che ero abituato ad allenarmi, non sentivo più il mio corpo. Dolori muscolari, crampi, le articolazioni ci facevano così male! ed io con quelle mie gambette! Gilles ed io avevamo un unico desiderio: tornare all’appartamento ed andare a letto. Che giornata eccitante! Il secondo giorno, Gilles non aveva più le forze per continuare lo stage; anche io ero stanco come lui ma mi sforzai di seguire la formazione, anche se non sentivo più il mio corpo la sera prima, la giornata fu stancante e dura. È uno dei miei principi quello di non abbassare mai le braccia tranne nei casi di forza maggiore. Come fui sorpreso arrivando il giorno dopo e accorgendomi che più della metà dei partecipanti avevano lasciato lo stage; rimanevano soltanto solo 200 iscritti dei 500 iniziali. I giorni seguenti furono stancanti come il primo, tecnica dei piedi, equilibrio Tao, Kata. 7 ore al giorno, non avrei mai pensato di aver così tante energie da poter partecipare all’allenamento, tanto più che non avevo più recuperato la massa muscolare persa nel periodo in cui stavo sulla sedia a rotelle. Le tecniche diventavano sempre più dure, molti allievi abbandonavano durante le lezioni. Avevo voglia di abbandonare tutto, tuttavia dissi: «Manu, fai uno sforzo, devi arrivare alla fine per avere il tuo diploma di formazione.» Alla fine dello stage, eravamo solo un centinaio…e sulle ginocchia. Un’ultima dimostrazione e poi la consegna dei diplomi. Quando il monaco «Shi-de-you », Gran Maestro del monastero pronunciò il mio nome pensai di svenire. Che momento indimenticabile! Presi il mio diploma, lo strinsi forte temendo che potesse togliermelo. Tornai a casa vispo, raggiunsi Gilles sventolando il prezioso pezzo di carta; lui si congratulò con me, dispiacendosi di non aver potuto terminare la formazione. Tornato a Strasburgo, ero ansioso di insegnare ai miei allievi tutto quello che avevo imparato durante lo stage. Il mio sogno era quello di avere una macchina, ma fino a quel momento non aveva abbastanza denaro. Mi iscrissi presso l’autoscuola del quartiere. Durante la mia prima lezione, ripresero gli attacchi di diarrea e i crampi! Credetti all’inizio che tutto ciò era riconducibile allo stress. Per tutta la durata delle lezioni, all’incirca tre mesi, fui costretto ad indossare dei pannoloni con l’angoscia costante che l’insegnante potesse sentire degli effluvi maleodoranti. Al circo avevo guidato macchine e camion, era un gioco da ragazzi per me. Il giorno dell’esame per la patente, avevo preso un farmaco per frenare gli attacchi di diarrea : era necessario che mi sentissi a mio agio e che fossi totalmente concentrato. Ma fu una battaglia persa: in pieno svolgimento dell’esame fui colpito da una scarica di diarrea, dovetti lasciare la sala, diretto al bagno, sapevo che avevo fallito il mio esame, perché non mi avrebbero aspettato, per continuare il seguito; qualche settimana dopo lo sostenni di nuovo e tutto andò bene, poi ci fu l’esame di guida, fui promosso al primo colpo. Fui felice di non essere stato incontinente quel giorno, grazie Dio mio! Fui ancora più felice quando l’istruttore mi diede il foglio rosa congratulandosi con me. Monique, convinta che questa volta sarei stato promosso, non aveva preso la sua macchina, lasciandola a mia disposizione, perché era sicura che ce l’avrei fatta questa volta. Lei dava i suoi corsi di yoga a Saverne quel giorno e andai a prenderla, tutto fiero. Vedendomi arrivare, la sua emozione fu grande, era contenta quanto me; festeggiamo l’avvenimento con gli amici, loro con lo champagne, io con l’acqua, per paura che potessi avere nuove scariche di diarrea. Perché le bevande alcoliche mi facevano andare ancora più velocemente là dove sapete voi. I corsi di kung-fu dovevano finire a giugno. Per poter chiudere l’anno in bellezza, organizzai uno stage di due giorni per i miei allievi di Strasburgo e di Saverne nei Vosgi del Nord: la mattina e il pomeriggio erano dedicati all’allenamento, mentre la sera c’era il barbecue. L’atmosfera fu eccezionale! Fino a tarda notte cantavamo, raccontavamo delle storie strane, delle cose molto semplici che mi permettevano di avere di nuovo una visione positiva della vita. Nel luglio del 1989, Monique ed io decidemmo di partire per San Francisco, in California. Un viaggio interminabile! 12 ore di aereo con, fortunatamente, uno scalo a New York. Lei voleva rivedere un’ amica pittrice per organizzare delle mostre in Francia. Arrivati a San Francisco, non avevamo più le forze necessarie per giocare ai turisti, dovevamo recuperare il fuso orario. Il giorno dopo scoprii questa favolosa città che conoscevo soltanto attraverso i film; Monique andava a trovare la sua amica tutti gli anni, parlava perfettamente l’inglese, a differenza di me, per fortuna c’era lei a fare da interprete. Gli americani della costa ovest sono delle persone estremamente simpatiche, più liberali dei francesi, meno fissati dei principi. La sua amica Frédérika, una pittrice belga di 70 anni, sposata ad un russo emigrato in California, era una persona fuori dal comune. Tatuata dalla testa ai piedi, aveva numerosi piercing… Era una persona che viveva ai margini…ma come artista era conosciuta nel mondo. I suoi quadri erano di una rara bellezza! Il mio soggiorno trascorse senza problemi particolari, a parte i miei attacchi quotidiani di diarrea. Ritornati a Strasburgo, dovetti pensare al rientro; avevo deciso, oltre ai corsi di Strasburgo, di andare ad insegnare il kung-fu a Saverne, un piccolo paese molto borghese a 50 Km da Strasburgo. È là che era nata Monique e dove aveva trascorso una parte della sua esistenza. Vi era tornata per insegnare yoga; fu lei che mi trovò la sala. A settembre Gilles venne ad abitare da noi; gli demmo la chiave dell’appartamento affinché potesse andare e venire a suo piacimento. La sua salute peggiorava sempre di più. Aveva i miei stessi problemi; lo presentai a Jean-Marc nella speranza che potesse aiutarlo. Gilles capì che doveva cambiare molte cose, soprattutto nell’ambito della sua igiene di vita. Mi accompagnava a tutti i miei corsi. I nuovi allievi di Saverne erano tutti simpatici, più calmi ed attenti rispetto a quelli di Strasburgo. Ogni tanto mangiavo a casa dei genitori di Monique, la sala era a pochi passi da casa loro; sua madre era adorabile, suo padre un po’ meno. Presidente e direttore generale di una società di trasporti internazionali, direttore del consiglio di amministrazione di una banca, aveva comprato numerose case, appartamenti e locali commerciali situati nel centro della città. Un uomo tutto di un pezzo, in adorazione continua di se stesso, non mi ha mai rivolto parola nei sette anni di vita comune con Monique. Non concepiva come sua figlia potesse perdere il proprio tempo con un portoghese, un semplice insegnante di sport; la vedeva piuttosto al fianco di un avvocato o di un medico. I genitori di Monique non erano al corrente del mio stato di salute, credo che suo padre avrebbe insistito affinché lei troncasse la nostra relazione. Conobbi un mago, Alex, anche lui di origine portoghese; cercavo un compagno per montare uno spettacolo. Molto dotato, veniva a casa per insegnarmi i suoi trucchi. Ero sempre stato attratto dalla magia, mi ricordava il bel periodo in cui lavoravo al circo. Non sapevo più dove sbattere la testa, tra il kung fu e la magia, non avevo più molto tempo per occuparmi di me. Imparai presto a diventare un professionista del mondo dello spettacolo. Alex disse che ero molto bravo, dopo qualche tempo ero io che gli mostravo dei nuovi trucchi che avevo ideato. Gilles era rimasto due mesi, non avevo avuto molto tempo da dedicargli, talmente ero preso dai miei due hobby. Non pensavo più alla malattia, come se non facesse più parte di me. Nel frattempo Monique aveva firmato un contratto con “ Warner home vidéo”, tutto andava a meraviglia! Grazie alle importanti entrate in denaro, traslocammo nel centro della città, in un appartamento di duecento metri quadrati con vista sui canali e sulla cattedrale. Cambiammo la macchina, comprammo un impianto hi-fi di ultima generazione, un videoregistratore e una nuova televisione. Avevamo anche assunto una domestica; non avrei mai immaginato, qualche mese prima, di avere una persona alle mie dipendenze. La nostra domestica era di origine portoghese, questo mi faceva ripensare alle mie sorelle. Spesso, per non farla stancare troppo, l’aiutavo nei lavori più pesanti, non volevo in nessun caso essere un datore di lavoro esigente, ciò non faceva parte della mia natura, anche se Monique non sapeva che io lavoravo al posto suo, mi capitava anche di servirle un caffé mentre passavo l’aspirapolvere o lavavo il pavimento. I fine settimana li trascorrevamo a Londra, Lisbona, Parigi, dove andavamo a cenare nei ristoranti quattro stelle della guida Michelin, alla «Tour d’argent», «Chez Maxim’s Tour de Montparnasse » con una vista che dominava Parigi. Come è vero che con il denaro si può fare tutto, ci capitava di andare a mangiare con dei vecchi jeans bucati, ma quando si esce con la Carta Oro o l’American Express, siete guardati dal basso verso l’alto.. sì. con il denaro, si può pagare tutto, quasi tutto, ma non tutto quello che può darti la salute e la felicità. Monique era tornata tra le grazie del padre, egli apprezzava il fatto che lei fosse così mediatica, che la si potesse vedere nelle trasmissioni televisive e negli articoli dei giornali. Gli abitanti di Saverne parlavano di lei, è ciò che aveva maggiore importanza, soprattutto quando aggiungevano……la figlia del direttore del consiglio di amministrazione della banca. Da quel momento Monique fu invitata alle serate mondane. Io la accompagnavo malvolentieri, mi ricordavo delle mie precedenti frequentazioni, delle persone insignificanti, poco oneste che hanno soltanto uno scopo: I SOLDI. Finché tu ne possiedi ti dicono « Buongiorno, amico ». ma dal momento in cui non ne hai più, cambiano strada pur di non salutarti. Banda di ipocriti! Ero stanco di queste serate in cui Monique brillava mentre io mi annoiavo aspettando che lei volesse rientrare a casa. Le nostre relazioni erano molto cambiate, non volevo più accompagnarla sui suoi set per recitare il ruolo della “ COMPARSA”. Continuai a tenere le lezioni di kung-fu e assistevo Alex nei suoi spettacoli di magia. Monique mi regalò una Golf decappottabile per il mio compleanno, prova che gli affari non andavano male. Anche per me la sua fama era un trampolino, lei mi condusse all’interno della cerchia. I suoi amici spesso le domandavano: “ Che ci fai con un tipo simile?” Lei spiegava loro che mi amava. Io potevo leggere nella loro testa : “ Come fa Monique ad essere innamorata di un tizio simile, affetto dall’Aids e inoltre scheletrico?” Furioso, avrei avuto voglia di colpire alla cieca ma cercavo di mantenere la mia calma per non dar loro un motivo per criticare di più il povero uomo che apparivo ai loro occhi. Che individui pretenziosi ed arroganti! Essi mi squadravano con la loro aria di superiorità e di sufficienza, credendo di farmi un favore quando mi rivolgevano la parola. Monique, piuttosto divertita dalla situazione, volle aggiungere un carico, mi chiese di sposarla. Credevo che stavo per essere fulminato! Come avrebbe potuto sposarsi con un uomo che aveva un futuro incerto e con i giorni contati ? Perché questa scelta inesplicabile? Non facevamo l’amore per lunghi periodi e solo quando il moi stato di salute me lo permetteva. Aveva un tale paura di contagiarla, anche se mi proteggevo, preferivo che tra di noi ci fossero soltanto carezze e baci, almeno ero tranquillo anche se avevo sempre paura che le mie gengive avessero sanguinato mentre mi lavavo i denti ed il sangue fosse rimasto nella saliva. Ma perché questo matrimonio insensato? Inoltre noi non avremmo potuto avere bambini, non capivo affatto la sua decisione. Monique diceva che era molto felice con me, avevo contribuito alla sua fama e grazie a ciò lei aveva riacquistato la fiducia in se stessa. Accettai la sua proposta di matrimonio, mi dissi che anche io avevo diritto ad essere felice. Con la sua fama, lei aveva molti uomini ai suoi piedi, ma ero io….il povero tizio che lei aveva scelto come sposo ed io ne ero fiero. In fin dei conti io ero un uomo come tutti gli altri, con le mie qualità ed i miei difetti, ma ero afflitto da questa terribile malattia. Diedi la notizia alla mia famiglia, che non comprese molto la scelta di Monique. Tutti dicevano che era un atto coraggioso, che lei non mi avrebbe mai potuto dare una prova d’amore migliore. Mamma era così felice per noi due, era già talmente riconoscente a questa donna di essersi presa così bene cura di me. Mia madre diceva che il giorno in cui sarebbe morta, avrei sofferto di meno per la sua scomparsa, che Monique era la compagna ideale, forse, ma non per ciò che riguardava la cucina perché per lei l’amore non passava attraverso lo stomaco, come si pensa spesso, non sapeva cucinare neanche un uovo al tegamino. Quando lei cercava di cuocerne uno, io buttavo la padella perché lei lo lasciava cuocere fino al punto in cui la padella non si poteva più recuperare. Brava negli affari ma cattiva in cucina, non si può avere tutto dalla vita, la donna perfetta non esiste. Mi sbaglio? Se sì, ditemelo. Le rare volte in cui non andavamo al ristorante, ero io il cuoco. Ci sposammo nel settembre del 1990. Era il mese di febbraio, ci rimaneva molto tempo per i preparativi; in ogni modo quando si hanno i soldi, si negozia tutto più facilmente. Ci mettemmo alla ricerca di uno chalet sulle Alpi; volevamo sciare in compagnia di un gruppo di amici. Monique non era inesperta in questo sport; i suoi genitori possedevano uno chalet quando lei era più giovane, andava a sciare con loro tutti gli anni. Anche io sapevo sciare piuttosto bene. Quando lei mi annunciò i nomi dei compagni che dovevano accompagnarci, non ne fui molto entusiasta, perché condividere le mie giornate con due coppie di nuovi arricchiti non mi piaceva affatto. Fortunatamente Monique aveva invitato anche Danièle, la direttrice del laboratorio di analisi che aveva avuto il ruolo ingrato di annunciarmi la mia malattia. Diventata la nostra migliore amica, frequentava da un anno un giapponese che le avevo presentato, con il quale in seguito si è sposata ed hanno avuto due bei bambini come nei racconti di favole, un principe con gli occhi a mandorla, esiste. Avevo chiesto anche a Hung, un cinese che mi aveva spalleggiato quando ero in carcere di accompagnarci per scambiarci le idee; divorziato da un anno, aveva perso i suoi riferimenti. Lui, al contrario, non aveva mia sciato. Lo chalet era molto confortevole, certo…ma, se fosse avvenuto il contrario non ci avrei creduto, i borghesi non lo trovarono di loro gusto; secondo loro le stanze erano brutte, il bagno piccolo, non c’era la sauna. Non mi riprendevo dal vederli mentre toglievano dai bagagli le loro lenzuola in seta, e tutto il loro guardaroba all’« ultimo grido ». Hung ci ha fatto divertire per tutto il soggiorno, eravamo morti dal ridere ; insegnarli a sciare era una « missione impossibile », l’attrezzatura afittata si rovinava a forza di cadere. Era impossibile farlo rimanere sugli sci. Credo che in tutto il tempo che ho praticato questo sport non ho mai visto una persona così maldestra come lui. Cadeva cento volte, si rialzava per ricadere, ma non lo fermava nulla, voleva imparare a sciare e perseverava nonostante le sofferenze che pativa. Il suo completo era talmente usurato che in alcuni punti si vedeva la fodera. Era un’impresa spiegargli come utilizzare le racchette, frenare, fermarsi alla fine della pista. Benedetto Hung! Mi hai fatto dimenticare durante quei giorni tutti i miei problemi di salute ; tuttavia c’erano i miei eterni attacchi di diarrea che mi hanno rovinato la mia vacanza sulla neve, talvolta degli attacchi improvvisi, mi facevano uscire dalla pista, per andare a trovare un angolo che fosse lontano dagli sguardi degli altri sciatori. Come carta igienica utilizzavo delle palle di neve che davano sollievo al mio ano, talmente irritato e spesso era troppo tardi, allora in quel caso, dovevo tornare allo chalet, senza passare troppo vicino alle persone per non appestarli troppo con i miei effluvi. Appena arrivato allo chalet, mi spogliavo e facevo la doccia, lavando anche le mie mutande, ne portavo 3 o 4 per non sporcare il moi completo da sci. Gli amici di Monique, quei borghesi da poco arricchiti, rientravano sempre prima degli altri, esclamando: “Che puzza che c’è qui!”. Io nel mio angolo, stavo a disagio, dicendo dentro di me che avevo appena inventato un nuovo profumo alla moda “DIARREA DI EMANUEL DE CASTRO”, di sicuro non troverete questo profumo in nessun negozio o profumeria, non esiste, solo io conosco il segreto della sua fabbricazione, che conservo segretamente nella parte più profonda di me. Potrebbe essere un aroma nei negozi di scherzi e scherzi di pale puzzolenti, lancio un appello agli inventori. Inventate una combinazione con un vaso da camera all’interno, svuotabile certamente. Ma a parte ciò si può dire che stavo bene. Ero allo stesso tempo travolto Monique, la neve, il sole, lo sci, gli amici, tutto era perfetto. Non avrei mai pensato di vivere tutto ciò, io che sarei dovuto morire da qualche tempo se avessi dato ascolto ai medici. La vita era veramente bella ma io non ero alla fine di tutte le mie sofferenze. A maggio andammo a Cascais, una piccola città portoghese molto « ben collegata » vicino Estoril, per organizzare un « matrimonio bianco ». Una cerimonia semplice, senza sindaco né prete, dovevano riunire gli amici. Avevamo previsto di prenotare tutto un albergo a 5 stelle per una decina di giorni nel mese di agosto; discoteca e piscina comprese. Bisognava sorprendere la banda di borghesi e i realizzatori della Warner di Parigi, conoscenze lavorative di Monique. Avevo chiesto alla mamma di raggiungerci e, nonostante la distanza, lei venne. Quanta felicità nel rivederla! Ero felice di trovarmi in compagnia delle due donne della mia vita. La mamma aveva a disposizione una suite con un centro benessere con vista sul mare. Non se ne capacitava, non aveva mai visto un simile lusso. Ero fiero di mia madre, la guardavo mangiare nei grandi ristoranti, se la cavava molto bene come se avesse fatto parte della grande classe e avesse sempre fatto parte del gran mondo. Nonostante ciò la mamma non capiva come mai sperperassimo così tanto denaro prima del nostro matrimonio, ed ero anche ciò che pensavo io ma non quella di Monique, non bisognava contraddirla, aveva un carattere forte e poi, a dire la verità, faceva bene. Come è bello farsi credere dei ricchi quando ancora non lo si è! Restammo 3 giorni, poi riaccompagnammo la mamma alla stazione. I saluti furono meno strazianti del solito, perché ci saremmo rivisti a settembre per il matrimonio a Saverne. Nel caso in cui il mio libro oltrepassasse i confini della Francia, Saverne si trova in Alsazia, in Francia, certamente! Apro una parentesi: Ho appena perso un dente lavandomeli. Me ne restano soltanto due qua davanti; farei meglio a non sorridere troppo finché il dentista non rattoppi la mia protesi. Giugno e luglio 1990, gravi problemi con gli attacchi di diarrea! Molto più del solito, sicuramente a causa dell’eccitazione per il nostro matrimonio. Avevo fatto amicizia con Thiebaut, il mio allievo migliore, sposato da poco con Anifa, una ragazza che faceva parte anche lei de mio corso. Era sbalordito, mi vedeva correre regolarmente al bagno, ma non avrebbe mai sospettato la mia malattia, non rivelò mai il segreto agli altri allievi. Per chiudere l’anno, avevamo organizzato una serata cinese. Ad agosto partii con la mia macchina decappottabile per il Portogallo. Monique mi avrebbe raggiunto in aereo dopo 15 giorni per il nostro matrimonio bianco. Fare 2200 km nelle mi condizioni di salute, non era prudente! Ero costantemente alla ricerca di bagni pubblici, mi fermavo ogni due ore e spesso anche prima, nel verde, quando c’era un’emergenza. E l’urgenza c’è stata, a qualche centinaia di chilometri dal Portogallo, una forte colica me l’ha fatta fare sotto nelle mutande, e fortunatamente ero in aperta campagna, ho accostato la macchina tra due alberi, lontano dalle macchine, ho disfatto la mia valigia per cercare un paio di pantaloni e uno slip, avevo una bottiglia d’acqua e dei fazzoletti di carta in macchina e anche un vecchio foulard, che ho utilizzato per asciugarmi, leggermente, perché il luogo non era adatto per fare qualcosa di più. Ho percorso i 300 km che mi rimanevano con un odore di merda da far vomitare il poco che avevo mangiato. Quando sono arrivato, mia madre capì subito e sentì ciò che era successo. L’ho abbracciata leggermente e mi sono diretto verso la doccia. Dopo di ciò, ho avuto il tempo di stringerla fra le mie braccia, poi mi sono addormentato dopo aver mangiato una buona zuppa calda. Mi ci vollero più di due giorni per riprendermi dal viaggio. Quell’anno mi segnò profondamente! Partii con un’amica Emilia e suo marito Nel per andare a trascorrere un pomeriggio al mare che si trovava a 40 km circa dal mio paese. Ho l’onore di essere il padrino di loro figlia Paula Cristina. Davanti a noi una banda di marmocchi sgambettava nell’acqua con i suoi genitori. Io mi divertivo a contarli, c’erano il padre e la madre stremati dai loro otto angioletti. La classica famiglia portoghese. Li osservavo, sembravano così poveri portando le mutande come se fossero dei costumi da bagno. Mi ricordai di quando ero piccolo circondato dai miei fratelli e dalle mie sorelle, mentre pativamo il freddo e la fame. Questo ricordo mi straziò il cuore. Faceva un caldo insopportabile, i piccoli non avevano nulla da bere; alcuni chiesero qualcosa da mangiare, la madre ignorò le loro lacrime. Tutte le persone li guardavano criticandoli, ma nessuno di loro aveva pensato di condividere le leccornie o la frutta che distribuivava a profusione ai propri marmocchi. Ripetevo fra me : “ Banda di egoisti! Non avete un po’ di pietà per il vostro prossimo! Un venditore di gelati che agitava la sua campana mi riportò alla realtà. Lo chiamai, chiedendogli di dare ad ognuno di quei bambini un grosso gelato che avrei pagato io. Mi guardò incredulo e, vedendo che insistevo, si sbrigò a dare ad ognuno dei bambini, che si agitavano intorno a lui un cono del gusto che preferivano. Gli avevo detto di far credere ai genitori che era lui che aveva preso l’iniziativa per non metterli a disagio. Con gli occhi rotondi come se fossero delle biglie, presero il gelato e lo ingurgitarono. Doveva essere il primo gelato della loro vita! La spesa non era tanta, pagai soltanto 10 franchi (1,50 Euro), ma mi venne da piangere rendendomi conto dell’immensa gioia che il mio gesto aveva dato a quei bambini. Dare, è talmente semplice! Bastano poche cose per fare la felicità degli altri! Un sorriso, una stretta di mano, una moneta, tutti questi gesti possono dare già un po’ di conforto. Sfortunatamente, oggi come oggi, le persone chiuse in se stesse, chiudono gli occhi davanti alle miserie degli altri. Non si sono ancora resi conto della povertà, li si sente spesso dire con un’aria di disgusto « andassero a lavorare », non si pongono il problema di sapere il motivo per il quale queste povere persone si trovano in questa condizione. Quel giorno avevo fatto una buona azione, ero contento e San Pietro me ne sarà grato il giorno in cui mi presenterò alla sua porta. Quello stesso giorno incontrai una mia amica alla quale avevo lasciato il moi numero di telefono, ma non mi aveva mai chiamato, le chiesi il motivo, lei mi rispose che il non era in grado di comporre sul suo telefono il numero che le avevo lasciato. Non capivo, perché io le avevo lasciato il numero corretto che iniziava con 88 32 76. con stupore lei mi spiegò che il suo telefono andava dallo 0 al 9 e che era impossibile comporre l’88 32 . C’erano ancora gli schermi rotondi, vi ricordate? Non è uno scherzo è la pura verità, d’altronde era il primo telefono che lei aveva avuto in tutta la sua vita. Mi fece ridere. Quanto è bello ridere! Qualche giorno dopo mamma ed io andammo a Gafanha a casa delle mie due sorelle, che si erano trasferite già nella nuova casa. Pensavo di rimanervi fino all’arrivo di Monique. Ebbi la gioia di incontrare dei membri della mia famiglia che vivevano negli Stati Uniti, Laida e José vennero per il matrimonio della loro figlia Margaret a Zelito, un ragazzo del paese. Sfortunatamente io non potei assistere alla cerimonia perché anche la mia si svolgeva quel giorno. Avrei preferito trascorrere più tempo con loro, ma dovevo partire per accogliere gli invitati a Cascais. I dieci giorno nell’albergo trascorsero troppo in fretta, era un luogo paradisiaco. Monique aveva fatto centro, tutti rimasero colpiti dalla qualità del ristorante e il confort delle camere. Alleggerita di qualche decina di migliaia di franchi, sembrava felice di aver potuto soddisfare i suoi amici. Decisi, con la mia futura moglie, di prolungare il soggiorno dalla mia famiglia. Potemmo così rivivre il matrimonio di mia cugina attraverso l’album fotografico. Era stata una cerimonia grandiosa « all’americana ». Mi ricordai che anch’io dopo qualche giorno avrei messo l’anello al dito di Monique! Tutto ciò mi rallegrava, temevo quell’istante. Monique ripartì con l’aereo per occuparsi dei preparativi per il nostro matrimonio mente io rimasi ancora qualche giorno prima di ripartire in macchina. Al solo pensiero che avrei dovuto rifare tutto quel viaggio, mi veniva l’angoscia. I novelli sposi però decisero di trascorrere la loro luna di miele in Francia, e fui veramente sollevato. Mia cugina, nata a Strasburgo, aveva voglia di ritornarvi per ritrovare i suoi ricordi, mentre Zélito, che non conosceva la città, aveva voglia di scoprire questo luogo del quale aveva sentito parlare così tanto in famiglia. Era così impaziente di arrivare che fu lui a guidare praticamente per tutta la strada, io presi il volante soltanto per percorrere 100 chilometri. Non avendo mai avuto un autista durante i miei ultimi viaggi, bisognava ammettere che era molto rilassante. Mi sdraiai sui sedili di dietro, mi tolsi le scarpe e con i piedi al vento, guardavo sfilare il paesaggio. C’erano dei luoghi bellissimi, che non avevo mai notato in precedenza, essendo troppo concentrato sulla strada. Che atmosfera in macchina! Cantavamo battendo i piedi e le mani, ignorando lo sguardo stupefatto degli altri conducenti che ci incrociavano. A casa Monique ed io, come perfetti padroni di casa, avevamo messo la nostra camera da letto a disposizione dei piccioncini e noi dormivamo sul divano letto in sala, molto meno confortevole, ma ciò fu solo per poco tempo, perché la coppia doveva trascorrere il resto delle loro vacanze a casa di mia sorella Mina. Mi sentii nuovamente così male che decisi di andare di nuovo da Jean-Marc. Giunto al suo studio, vidi un biglietto sulla sua porta a vetri. Cosa era successo durante la mia assenza? Fui scioccato nel sapere che aveva bruscamente lasciato la regione. Qualcuno più tardi mi ha spiegato il motivo di questa decisione, ma per rispetto verso questa persona, che ha fatto tanto per me, non vi spiegherò le ragioni della sua partenza. Da quel giorno, caddi di nuovo all’inferno! Persi ancora 6 kg in 15 giorni. Cominciai a chiedermi se non si sarebbe dovuto annullare il matrimonio, semplicemente e candidamente. Ebbi paura di non essere in grado di assistere alla cerimonia. Le partecipazioni erano state spedite, il ristorante prenotato, era una questione molto delicata. Mia madre arrivò con le mi sorelle, in macchina, poco tempo prima dell’evento. Capì subito ciò che stavo provando. Dopo mille esitazioni, presi la decisione di mantenere la data. Ci tenni a fare un nuovo look a mia madre per l’occasione, sapendo che sarebbe stata esaminata alla lente di ingrandimento. Parrucchiera, estetista, vestiti nelle boutique, nulla fu lasciato al caso, era necessario che fosse impeccabile per poter far concorrenza ai borghesi di Saverne. Il risultato fu stupefacente! Che eleganza! Era un’altra persona ! Ero fiero di poterla presentare, vestita con il suo bel tailleur, alla mia futura suocera. Quest’ultima scorgendola cercò di nascondere la sua gelosia; credeva, senza alcun dubbio di incontrare una di quelle portoghesi che trascinavano una valigia di cartone, per la quale avrebbe avuto motivo di vergognarsi di fronte ai suoi amici altolocati. Il giorno del matrimonio, l’ossessione di non tenere nei 20 minuti della cerimonia, mi colpì di nuovo. Sapevo che sarei dovuto andare ogni 5 minuti al bagno. Né l’Imodium né i pannoloni potevano calmare la mia angoscia. Feci fatica a seguire i commenti del Sindaco. Contratto, provai di mantenere il controllo il maggior tempo possibile ma, dopo aver apposto la mia firma sul registro, con le gambe in spalla, corsi verso l’uscita sotto lo sguardo divertito degli invitati. Questi si dovevano certamente chiedere se non cercassi di fuggire rendendomi conto di aver messo l’anello al dito di Monique. La mamma e Emilia capirono ciò che stava accadendo e piansero vedendomi in quello stato. Un matrimonio dovrebbe essere di solito un giorno di felicità; per me fu un giorno di sofferenza. Mia moglie mi raggiunse nel bagno, mi scusai, e lei mi consolò rassicurandomi che nessuno aveva fatto delle allusioni su ciò che era successo, i genitori di Monique non erano informati della mia malattia; Monique non l’ha detto mai loro, pensate se suo padre lo avesse saputo, avrebbe fatto di tutto per annullare il matrimonio, spiegando a sua figlio con il suo accento alsaziano: « Su Monique, basta con queste sciocchezze figlia mia! Che te ne fai di un portoghese e per giunta malato, non ti darà denaro », e credo che avrebbe aggiunto qualcos’altro. Vedete, caro ex-suocero non c’è solo il denaro nella vita, sapete il significato delle parole AMORE e COMPASSIONE, NO, non lo credo, queste due parole non fanno parte del vostro vocabolario, sfortunatamente! Il ristorante che i genitori di Monique avevano scelto, era all’altezza della sua fama; l’esecuzione dell’orchestra irreprensibile, i regali di lusso, tra i quali il più prestigioso era un cavallo da corsa di valore inestimabile. Monique andava a cavallo da quando era piccola, evidentemente, non avevamo gli stessi valori. I miei “andirivieni” dalla sala del banchetto al bagno iniziarono ad infastidire alcuni invitati che mi fecero notare volgarmente: « Manu,smetti di cagare e vieni a tagliare la torta adesso !» Li fulminai con lo sguardo, ritenendoli degli stupidi ed augurandomi che si soffocassero con la loro parte di biscotto. La festa durò fino alle tre del mattino, andai molte volte in bagno tra il municipio e la fine della serata. Tutto quello che inghiottivo, lo rifacevo subito. Bisognava trovare rapidamente una soluzione, a quel ritmo mi sarei disidratato. Era un vero calvario, c’erano delle tracce di sangue nelle feci, il mio ano era così irritato che soffrivo le pene dell’inferno anche se utilizzavo della carta igienica più morbida. 10 giorni dopo ci fu una terza cerimonia a Plobsheim, un piccolo paese lungo il Reno, per tutte la persone che non avevano potuto assistere alle feste precedenti. I miei allievi e quelli di Monique erano presenti, eravamo all’incirca 150 persone, di tutte le nazionalità, la birra e lo champagne colarono a fiumi. Fu una serata memorabile! I battelli che navigavano sul Reno suonavano le loro sirene per salutarci. Tre cerimonie in un mese per un matrimonio, è piuttosto raro; eravamo sfiniti. Con i soldi, avuti per il matrimonio, comprai l’attrezzatura del mago perfetto. Avevo voglia di occuparmi di altre cose. Chiesi alla moglie di Thibaud di assistermi durante i miei spettacoli, accettò, sedotta dalla mia offerta perchè fin da piccola aveva sempre sognato di calcare le scene. Anifa, una ragazza graziosa, simpatica e sorridente, nata nella Lorena, da genitori algerini, fu l’assistente ideale. Dopo ogni lezione della sera, andavamo a ripetere a casa. Monique pensava che io avessi delle capacità e mi spingeva a fare la magia, diceva che quest’arte mi avrebbe potuto aiutare a rifiorire. Senza la mia malattia, sarei potuto diventare un grande artista, come David Copperfield. Il mio obiettivo fu inizialmente quello di farmi conoscere a Strasburgo e nei suoi dintorni. Instancabilmente Anifa ed io incatenavamo, facevamo le levitazioni, usavamo gli anelli cinese; eravamo talmente motivati che dopo 2 mesi di allenamento eravamo pronti per il nostro primo spettacolo in un grande ristorante cinese famoso per l’organizzazione di serate a tema. Quella sera erano presenti tutti gli allievi di Strasburgo e Saverne. Thibaud, molto nervoso, avrebbe visto sua moglie sulla scena per la prima volta. Il mio stress mi portò come al solito l bagno; l’angoscia di essere incontinente durante lo spettacolo mi colpì di nuovo. Fortunatamente, la pratica delle arti marziali e dello yoga mi aiutò a gestire i miei problemi. Monique non poté assistere alla prima perché era a Parigi per firmare il contratto di un nuovo film. Mi telefonò per incoraggiarmi e per dirmi che sarebbe stata con me con il pensiero per tutta la rappresentazione. Fu un successo! Ero veramente fiero di me e della mia compagna. Fummo molto emozionati nel ricevere il nostro primo assegno da artisti. In un attimo mi ritrovai nel mio passato, provai la stessa emozione di quando incassai il mio primo stipendio al circo. Il mio stato peggiorò; avendo sentito parlare di un medico che praticava l’agopuntura a Besançon, decisi di andare a fare un consulto. Sapevo di non poter guarire dall’aids, ma volevo solo ritrovare un po’ di energia per avere una vita quasi normale. Proprio ora che avevo dato l’anima per montare il mio spettacolo di magia, ci mancava che la mia malattia…mi tirasse un brutto scherzo. Il mio sistema immunitario debole, una semplice influenza mi poteva essere fatale, sapevo che la mia vita era appesa ad un filo, dovevo stare attento. Il medico mi diede un po’ di sollievo prescrivendomi un rimedio alquanto strano: un miscuglio di corna di cerva e di scorze di alberi cinesi che dovevo far bollire per due ore. Questa bevanda ripugnante che era simile alla bava di rospo, mi faceva venir voglia di vomitare. Dopo qualche settimana iniziò a fare effetto. Per tre mesi la mia vita fu ritmata dai miei andirivieni da Besnçon a strasburgo, i corsi di kung-fu e le ripetizioni di magia. Spesso, quando mi svegliavo, avevo come un velo davanti agli occhi, la luce del giorno mi costringeva a chiudere le palpebre. Era un effetto delle piante o una mutazione del mio virus? Non lo sapevo, tuttavia niente mi stupiva ancora, andavo di sorpresa in sorpresa. Malgrado tutti questi dispiaceri, ripresi pian piano le mie forze. Monique non diceva nulla ma vedeva che non ero al massimo della mia forza fisica, non facevamo più l’amore da 6 mesi, per la continua paura di poterla contagiare e inoltre, io non ne sentivo la necessità. Tuttavia la capivo, sapevo che essendo giovani sposi, i nostri rapporti sessuali ricoprivano un ruolo importante, dovevano contribuire alla fioritura dela coppia. Talvolta mi sforzavo ma senza provare il desiderio, non la soddisfacevo. Abbandonavo, chidendomi frustrato dove fosse andata a finire « la bestia del sesso » dei tempi gloriosi. Ma come si può dare l’amore se non si è in grado di amare se stessi ? Avevo paura di perderla ed una sera le proposi di andare a cercare un altro uomo. Era incredibile! L’avevo autorizzata a soddisfare le sue voglie sessuali se lei lo avesse voluto. È molto difficile dire alla propria donna che voi amate di andare a cercare qualcun altro, ma ero pronto a tutto pur di salvare la nostra coppia, il nostro matrimonio, anche se mi avrebbe fatto soffrire vederla con un altro. Monique rifiutò e disse: « Manu, finché condividerò la mia vita con te, ti resterò fedele !», la prova che lei mi amava profondamente. Durante le feste di Capodanno, partimmo in viaggio di nozze per l’Italia. Avevamo preso una stanza vicino Piazza San Marco, nel pieno centro di Venezia. Che delusione una volta arrivato! Dove era quella Venezia romantica che avevo conosciuto attraverso i film? L’acqua, piuttosto, il vaso, puzzava di pesce marcio, le strade erano sporche, i veneziani lontani dall’essere simpatici, la reputazione era eccessiva! Inoltre tutto era estremamente costoso, una vera piaga per i turisti. Essendo la città costruita sull’acqua, si sentiva il freddo e l’umidità soprattutto in quel periodo dell’anno. Non rimasi sorpreso quando apparvero i primi sintomi dell’influenza; su 8 giorni di vacanza, rimasi a letto per 5 giorni. « Vedere Venezia e poi morire », sarebbe potuto essere il mio caso. Non posso proprio dire che ne conservo un ricordo indimenticabile! Monique, completamente delusa dal viaggio e stanca dei miei interminabili malori, divenne sempre di più silenziosa. Parlavamo molto poco. Rimpiangendo certamente il nostro matrimonio, doveva chiedersi se avrebbe avuto ancora la forza di continuare il percorso con un malato. Il suo amore sarebbe stato abbastanza forte da sopportare tutti gli inconvenienti legati al mio handicap? Vedevo che era triste, ero sinceramente rammaricato di non poterla rendere felice. Fu informata che uno dei suoi video non aveva avuto un impatto positivo sul pubblico, nuova delusione! Lei che aveva pensato di venderne migliaia di copie. Era arrabbiata ed esplose nel vero senso della parola. La mamma mi telefonò, annunciandomi che la nonna era molto malata. Oh no! Non volevo in nessun caso che mia nonna, così gentile e premurosa, una seconda madre per me, ci lasciasse già; noi avevamo una relazione privilegiata, non mi aveva mai nascosto di essere il suo preferito tra i suoi 30 nipoti. Pregavo Dio e la Vergine Maria di fare un miracolo, di salvarla. La mamma, poco rassicurata, fece andare la nonna da lei per potersi occupare meglio di lei. In Portogallo, al contrario della Francia, noi non posteggiamo facilmente le persone anziane nelle case di riposo, non soltanto per mancanza di soldi ma perché crediamo che loro ci hanno dato talmente tanto quando eravamo piccoli, che , adesso, è il nostro turno per occuparci di loro. Questa cattiva notizia mi colpì così tanto che mi indebolii di nuovo. Qualche giorno dopo mi fu annunciata la morte di Cyril, un amico affetto dall’AIDS. Era giovane, bello e aveva appena compiuto 28 anni, aveva saputo di essere malato soltanto da 10 mesi. Lo avevo incontrato al « bar des Aviateurs », facevo fatica a comprendere il motivo per il quale Dio lo aveva chiamato a sé, nel fiore dei suoi anni, lui che amava così tanto la vita. Puttana di una malattia ! Perchè lui, perchè io? Aids maledetto ! Che consumi il mio corpo, tutta la mia vita si consumerà a causa tua. Tu sei dentro di me e io ti odio, hai capito?, Io ti odio. Monique cambiò i suoi comportamenti, si chiuse sempre di più in se stessa, ero convinto che la nostra vita coniugale fosse diventata un peso per lei. Stanca di doversi sempre prendere cura di me, aspirava ad un futuro diverso con un uomo sana ed equilibrato. Una mattina squillò il telefono; era mia madre che mi informava che mia nonna stava per morire. Saltai sul primo volo per raggiungerla; le mie sorelle, a causa di problemi finanziari, non poterono venire. Il mio unico desiderio ero quello di vederla un’ultima volta prima che morisse. Facevo fatica a guidare la macchina presa a noleggio a Porto. Dei brutti pensieri affollavano la mia mente, avevo così paura che lei potesse morire prima del mio arrivo, che non feci una sosta, defecando nel pannolone che avevo preso l’abitudine di indossare. Dopo questo interminabile tragitto, giunsi a casa della nonna. Il mio cuore si strinse quando vidi tutta la famiglia che stava discutendo sulla porta con i vicini. Immaginai il peggio, pensai che non mi aveva aspettato. Grazie a Dio, era ancora viva! Le presi la mano e la strinsi forte contro il mio cuore, dicendole: « Bobo, oh! Bobo, sono io Nelinho ». Il suo petto si sollevò lentamente, i suoi occhi, mezzi chiusi, non mi videro più, la bocca semiaperta, faceva fatica a respirare. Il prete le aveva dato già l’estrema unzione pensando che la fine fosse vicina. La mamma, disperata ai piedi del letto, singhiozzava ripetendo di continuamente: « Mamma, mamma, non lasciarmi, non lasciarmi, minha maezinha!» (mammina mia). L’abbiamo vegliata tutta la notte, nell’attesa che esalasse il suo ultimo respiro, ma, forte, lei lottò e che sorpresa la mattina dopo vedere il suo respiro che ritornava più regolare e i colori colorare i nuovo le sue guance; aprì anche gli occhi e bevve qualche sorso d’acqua. Non ci capivo più nulla! ancora una volta mi tornarono alla mente le parole di Jean-Marc. Possedevo realmente un qualche fluido dentro di me? Avrei potuto trasmetterle quel poco di energia che rimaneva in me stringendole la mano? Non poteva parlare e non vedeva più a causa del diabete ma che importava! Forse era un ragionamento egoista quello che facevo, ma lei sarebbe rimasta ancora un po’ con noi. In nessun istante avrei potuto immaginare che lei avrebbe preferito liberarsi di tutte quelle sofferenze. La mamma la coccolò, preparandole con cura delle tisane; la aiutai a lavarla e a cambiare i suoi pannoloni, non mi mancava certo l’esperienza per fare ciò! Ci alternammo instancabilmente al suo capezzale per 15 giorni e poco a poco riacquisto le sue forze. Accudendo mia nonna, dimenticai i miei problemi personali. Mi chiedevo se fosse opportuno restare nell’attesa della sua morte o ritornare da Monique. Mia madre, soffrendo per la mia partenza, mi pregò di ritornare da mia moglie. Siccome dovevo anche riprendere le lezioni, decisi di tornare in Francia. Fortunatamente Thibaud era disponibile a sostituirmi durante le mie ripetute assenze altrimenti i miei allievi se ne sarebbero andati da molto tempo. Mio cugino mi accompagnò all’aeroporto, il decollo era previsto per le 22.30. L’aereo decollò da Porto all’1 del mattino a causa di problemi tecnici. Appena decollati, le luci si sono spente, l’aereo ha iniziato a sussultare; il comandante ci ha chiesto di non slacciare le cinture di sicurezza perché erano previste delle forti turbolenze. Le scosse diventarono sempre più forti, le hostess, non troppo serene, si guardavano in modo allarmato e ci chiesero di metterci in posizione di sicurezza con la testa sulle ginocchia. L’aereo iniziò a sussultare, avevo l’impressione che la carlinga potesse scoppiare, che angoscia! In ogni istante, vedevo arrivare lo schianto, non avevo voglia di morire in quel modo, iniziai a recitare delle preghiere con i miei compatrioti. Credetemi, quel giorno i miei pannoloni mi hanno aiutato doppiamente! Le persone erano scioccate quando giungemmo a Parigi, alcuni imprecavano….giuravano che non sarebbero più saliti a bordo di un aereo, altri baciavano il suolo. In ogni caso, avevo perso la coincidenza per Strasburgo e dovetti trascorrere la notte in albergo per prendere il treno il giorno dopo. Raccontai le mie disavventure a Monique che affermava di non aver dovuto mai affrontare un simile problema, nonostante avesse viaggiato molto per il mondo. Nonostante tutta l’assistenza fornita a mia nonna, lei morì il 18 settembre 1991, un mese prima del mio compleanno, mamma mi annunciò la triste notizia; fui rammaricato di non averla aiutata ad affrontare il passo. Avevo voglia di partire per i funerali ma mia madre me lo sconsigliò. “ Non puoi fare più niente per Bobo, prega per lei!” E poi, in fin dei conti, perché torturarmi di più, preferivo ricordarla come l’avevo conosciuta, affettuosa e piena di forze. Secondo me, era stata la miglior nonna del mondo, il suo ricordo resterà per sempre inciso nel mio cuore. Un altro trauma per me! I miei nervi cedettero, crisi di angoscia, il cuore che mi batteva all’impazzata, una completa depressione, smisi di mangiare. Monique cercava sempre di sostenermi nonostante fosse esasperata; lo ripeto, non ringrazierò mai abbastanza questa donna per il suo sostegno. Mi lascia andare, rifiutai dei contratti per gli spettacoli di magia, non andai più ai corsi, ero di nuovo sprofondato nell’abisso. Dovevo reagire, tornai dall’agopuntore. Feci in macchina 50 km nella stessa giornata, ero sempre imprudente. Mi prescrisse un nuovo trattamento fitoterapico più ripugnante del primo ma molto efficace. Mi calmai, le tensioni mi abbandonarono. La mamma decise di venire a trovare i suoi nipoti per dimenticare i mesi terribili che aveva passato con sua madre. Facevamo fatica a consolarla, piangeva tutte le sere dicendoci che si sentiva terribilmente sola da quando era morta la nonna. Le mie sorelle le proposero di rimanere a Strasburgo per un po’ di tempo. Lei vagava da un appartamento all’altro per non essere di peso per una sola coppia. Trascorse meno tempo con noi dicendo che non si sentiva a suo agio perché Monique non parlava portoghese e lei aveva dimenticato il francese. Penso che fosse un pretesto, aveva semplicemente notato un cambiamento all’interno della nostra coppia ed era triste per me. Un pomeriggio di giungo del 1992, Monique mi annunciò la sua intenzione di voler divorziare. Sapevo da molto tempo che questo istante sarebbe arrivato e benché fossi preparato a questa eventualità, facevo fatica ad accettare la sua decisione. La guardai impietrito, era sincera o voleva soltanto vedere una mia reazione? Mi avrebbe lasciato dopo appena un anno e mezzo di matrimonio! No!Monique non avrebbe mai fatto questo ! Iniziai a tremare e non usciva nessun suono dalla mia bocca. Cercai il suo sguardo per vedere se non stesse cercando di trattenere una risata. No! Sembrava seria, mi spiegò che non ce la faceva più. Che era stato un errore sposarmi e che voleva riprendere la sua vita nelle sue mani. Ed io, che ne sarebbe stato del mio futuro? Chi si sarebbe preso cura di me? Chi sarebbe stata la mia guida spirituale? No! La nostra strada non poteva fermarsi a quel punto, la amavo con tutte le mie forze. Le dissi piangendo: “No! Monique, non lasciarmi, non posso vivere senza di te !No ! Monique non farmi questo, io ti amo!”. Lei faceva fatica a contenere la sua emozione, le lacrime rigavano le sue guance, era veramente disperata nel lasciarmi con tutte le mie sofferenze. Consapevole che lei era presente solamente per continuare il suo ruolo da infermiera, io dicevo fra me che anche lei aveva il diritto di vivere ed io non avevo il diritto di essere egoista e chiederle di sacrificarsi per me. All’improvviso tutte le ferite che avevo tentato di sanare nel corso di quei lunghi anni, si riaprirono. Ritornai con il pensiero a qualche anno prima, all’epoca in cui mia madre mi aveva lasciato, tutte le emozioni riaffiorarono dal passato. « Malattie ! Divorzio ! Non credi Dio mio che ho scontato abbastanza i miei errori con tutto ciò che io devo sopportare adesso. Ti prego, ferma tutte queste sofferenze, te ne supplico, non ti chiedo la luna, ti chiedo solo le cose che qualsiasi uomo, in salute, può fare, come respirare, vedere l’alba, il tramonto, mangiare, vivere dignitosamente con la sua malattia, insomma, avere un po’ di felicità.» Con il cuore lacerato, presi la macchina e mi diressi verso un bosco nelle vicinanze di Strasburgo. Iniziai ad urlare con tutte le mie forze per sfogare tutto il dolore, ma perché? Perché io? Perché Dio mio? Non ho sofferto abbastanza, non togliermi la donna che amo, che cosa ne sarà di me senza di lei ? Non ricordo esattamente quanto tempo rimasi là, a ripetere tutto ciò che Monique mi aveva detto. Non riuscivo a pensare, ce l’avevo con il mondo intero e con me stesso perchè non ero riuscito a salvare il mio matrimonio. Che pasticcio! La mia disperazione mi portò a casa di mia sorella Emilia dove si trovava anche mia madre che non aveva ancora lasciato la Francia. Cercai di nascondere la triste notizia e di soffocare le mie lacrime, ma inutilmente perché singhiozzavo senza fine e loro facevano fatica a consolarmi. Svuotai il mio cuore, non smettevo di ripetere: “ Oh mamma, perché la vita è così dura, perché mamma?” « La vita continua figlio mio, mi rispose, non abbassare la guardia ed io sono qui così come le tue sorelle » Mamma non ce l’aveva con Monique, mi spiegò che io mi ero troppo appoggiato su di lei, che non avevo fatto il minimo sforzo per prendermi cura di me stesso benché fossi malato e che la pazienza ha i suoi limiti. Anche se Monique avesse provato un amore immenso per me, i sentimenti si affievoliscono a forza di dare senza ricevere nulla. Ascoltai mia madre, annuendo con la testa, ciò che stava dicendo era la verità. In sei anni, mia moglie mi aveva sfamato, curato, consolato, era al limite della sue forze e aspirava ad una vita migliore. Stanca di dover far fronte a così tante responsabilità, non volevo più accanto a sé un bambini al quale doveva fare da balia. Lei aveva sperato, proponendomi di sposarci, di potermi far maturare; è accaduto tutto il contrario, sottomesso, senza grandi ambizioni, ero rimasto attaccato alle sue gonne come se avessi cercato sempre quella madre che mi era mancata così tanto durante la mia infanzia. Tornai a casa, più triste che mai. Monique, fortemente provata dall’emozione, visibilmente sconvolta, evitava il mio sguardo. Le dissi che acconsentivo al divorzio, la strinsi tra le mie braccia chiedendole di perdonarmi per non averle dato tutta la felicità che meritava. Lei iniziò di nuovo a piangere, mi ringraziò di essere così comprensivo, dicendo che era stata rosa dai rimorsi a causa di questa nuova prova che mi stava imponendo. Monique, se oggi tu leggerai questo libro, voglio che tu sappia che non ce l’ho mai avuta con te, eri il sole della mia vita, la cosa migliore che mi sia potuta capitare su questa terra, ti sarò per sempre riconoscente per esserti presa cura di me, resterai per sempre il moi grande amore, non potrò mai dimenticarti, e spero con tutto me stesso che tu abbia trovato la felicità. Se non fossi stato affetto da questa sfottuta malattia, credo che staremmo ancora insieme, ma il destino ha scelto che andasse in un altro modo, avrei voluto tanto avere un bambino da te. Sappi che io sono sempre qui se tu avessi qualsiasi problema, telefonami a qualsiasi ora, perché tu rimarrai sempre la mia amica, prenditi cura di te amore mio ti ringrazio con tutto il moi cuore per tutto. Per tutto! Le chiesi di lasciarmi un po’ di tempo prima di separarci per vedere di sistemare la mia vita. Lei non ebbe nessun problema, ancora una volta potevo verificare che aveva delle enormi qualità: un gran cuore, coraggio, onestà e compassione. Che donna ammirevole! Nuovamente la mia vita avrebbe imboccato un’altra strada. Chiesi ad Anifa, la mia aiutante nei numeri di magia se volesse fare una tournée in Portogallo durante le sue ferie. Non avevamo nessun contratto da rispettare ma speravamo di avere dei contatti sul luogo. Poiché non erano andati in vacanza da molto tempo, Anifa e Thibaud furono entusiasti della mia proposta. Dissi a me stesso che allontanandomi, Monique forse avrebbe cambiato idea e avrebbe rinunciato a divorziare. Mamma, ritornata a casa, era impaziente di vederci arrivare. Caricai tutta la mia attrezzatura da mago sulla mia piccola automobile e mi misi in viaggio per questo interminabile viaggio che mi avrebbe esaurito tutte le forze. Anifa avrebbe dovuto raggiungermi dopo 15 giorni con Thibaud, perché sarebbe stata libera soltanto alla fine di luglio. Per una volta, ebbi meno problemi con le scariche di diarrea, questo non voleva dire che ero in una fase di remissione, il mio ano era sempre infiammato e il dolore persistente, tuttavia lo provavo in modo meno forte del solito, di sicuro a causa di tutti gli sconvolgimenti nella mia vita. La prima cosa, giunto in paese, prima di andare da mamma, fu quella di andare a pregare sulla tomba della nonna, sapevo dove fosse, conoscevo il piccolo cimitero del paese come le mie tasche. Durante le mie vacanze, andavamo là per pregare sulla tomba di un cugino e di altre persone care. Nuova crisi di pianto, quanti ricordi! Ho rivissuto tutta la mia infanzia, il giorno in cui lei ci ha accolti in casa, i miei addii quando sono partito per la Francia, la sua malattia; tutti i miei pensieri erano rivolti a colei che aveva avuto un ruolo così importante nella mia vita. Anche se mi manchi terribilmente, riposa in pace nonna, te lo sei meritato. Nella tua nuova casa, non esistono né miseria, né sofferenza, rivolgi uno sguardo ogni tanto sulla Terra e proteggi il tuo Nelinho; ti amo con tutto me stesso! Mamma volle andare a Fatima, un importante luogo di pellegrinaggio. Mamma disse che aveva fatto un voto alla Vergine e che doveva mantenerlo; ci accompagnò anche mia zia. Nel santuario, animato da strani sentimenti, guardai la statua della Santa Madre. Iniziai a tremare e mi sentii pervaso da una grande forza interiore. All’improvviso, entrai in uno stato di torpore che mi ricordò stranamente lo stato in cui mi trovavo all’epoca in cui facevo uso di sostanze stupefacenti. Sentii una voce, una debole voce, che sussurrava, era il frutto della mia immaginazione o era reale? Poco importa, ero sereno, iniziai a pregare: Nostra Signora di Fatima ti supplico dammi la forza per affrontare ancora le prove future, sii accanto a me nei momenti difficili, fai in modo che io non soffra, abbi pietà di me! Oh! Nostra Signora di Fatima, lo so che la mia malattia è incurabile, non cerco un miracolo, ma chiedo soltanto che tu mi possa dare il coraggio e la forza di vivere il più a lungo possibile senza soffrire, e ti chiedo scusa per tutte le persone alle quali ho potuto fare del male. La mia anima rientrò nel corpo e la mia mente tornò alla realtà quando mia madre si strinse a me e rivolse anche lei una preghiera alla Vergine: « Nossa Senhora de Fatima, deia uma ajuda ao meu filho, ele nao mèrece isto tudo » « Nostra Signora di Fatima, aiuta mio figlio che ha sofferto così tanto !» Guardando la statua, ebbi la sensazione che mi stesse sorridendo e che stesse dicendo: « Non aver paura, Emanuel, io veglierò su di te !» Quel giorno capii che, avendo la fede, mi sarebbe potuto succedere qualsiasi disgrazia, ma lei sarebbe stata sempre al mio fianco. Prostrato davanti all’altare, per più di mezz’ora, uniti nello stesso fervore, eravamo riconoscenti a Dio e alla Vergine Maria per averci permesso di condividere quest’istante privilegiato. Non mi ero mai sentito così sereno e felice. Qualche giorno dopo, Anifa e Thibaud arrivarono in autobus, erano letteralmente stremati. Potete immaginarvi, viaggiare per 30 ore dormendo soltanto 5 ore, è veramente una cosa estenuante! Tuttavia furono felici di poter trascorrere un po’ di tempo in Portogallo. Uno dei miei cugini che frequentava l’ambiente della notte, ci fissò un appuntamento con il padrone di una discoteca vicina a casa, la più grande discoteca del nord del Portogallo. Non ho mai saputo come avesse fatto per convincerlo, ma era necessario che fossi all’altezza per non deluderlo e per fare in modo che non ricevesse lamentele. Come stabilito, il gestore della discoteca mi chiamò, spiegai la mia arte facendo i giochi con le carte e gli numeri di magia che io sapevo fare meglio. Lui fu subito affascinato dal mio modo di fare e mi propose un contratto. L’indomani fece incollare su una parte delle mura e dei cartelloni della città, dei manifesti con la mia foto e quella di Anifa, sui quali si poteva leggere: « SPETTACOLO DI GRANDE MAGIA» Sabato sera a il « CLUB LA PENHA » La mamma, molto fiera, si rivolse ai passanti, dicendo: “è mio figlio” indicandomi con il dito. 3 giorni prima dello spettacolo, sentii salire la pressione. Ero così eccitato, potete rendervene conto! Uno spettacolo in una delle discoteche più famose del paese. Che onore! Che fama! Anifa ed io ripetevamo lo spettacolo sotto lo sguardo attento di Thibaud; sulle frequenze delle radio locali, i DJ mandavano degli spot pubblicitari a tutte le ore. I vicini vennero a congratularsi. Strano come poco tempo prima io ero per loro un drogato ed adesso ero diventato quasi una star, quanto è strana la vita! Mamma aveva paura per me, non aveva mai visto un mio spettacolo e pensava che non fossi all’altezza. « E se non ci riesci ? Si lasciò sfuggire scettica. » Io le risposi con un’aria sicura: « Non preoccuparti mamma,andrà tutto bene.» 2000 persone dovevano assistere al nostro spettacolo, bisognava mantenere il nostro autocontrollo e soprattutto evitare di sbagliare. Avevo invitato qualche vicino, degli amici e qualche membro della mia famiglia; la maggior parte di loro non aveva mai avuto l’occasione di varcare la porta di un edificio così. Anifa ed io, morti di paura, mettemmo a punto gli ultimi dettagli nell’atrio. Thibaud, come al solito, non diceva nulla per paura di stressarci ancora di più. Anche io, rivolsi un’ultima preghiera alla Santa Vergine, affinché andasse tutto bene, per lo spettacolo. E soprattutto affinché tutto andasse bene, nonostante i miei problemi di salute egli attacchi di diarrea. La mamma, in compagnia dei nostri famigliari e dei nostri amici, tremava per me. Tutte le persone sembravano pazze, stavano pogando nella sala. Il DJ annunciò con un’introduzione musicale l’inizio dello spettacolo, ci presentammo accompagnati dagli applausi del pubblico con i nostri abiti di luce. I primi minuti il mio cuore batteva molto forte, rimasi qualche istante immobile e in sospeso davanti a quella folla in delirio, ma subito, utilizzando le mie tecniche di rilassamento apprese con lo yoga, tornai in me e presentai uno spettacolo eccezionale da far invidia ai professionisti del settore. Che trionfo! Le persone erano entusiaste, battevano le mani ed i piedi chiedendo un bis! Fu sensazionale! Prima di uscire, presi il microfono per l’ultima volta e rivolgendomi a mia madre,che stava piangendo per la gioia, dissi: « Mamma, ho fatto questo spettacolo soprattutto per te, ti ringrazio di avermi sempre appoggiato, darò a te l’incasso di questa serata » Tutta la sala, emozionata, si alzò in piedi e mi rese un’interminabile ovazione. Molto toccato da questa testimonianza di affetto che mi lenì il cuore, mi sentii immensamente fiero e soddisfatto. Che serata indimenticabile! Dopo questo spettacolo, diventai l’idolo della città. È incredibile come il passaparola può farvi acquistare rapidamente una grande notorietà. In un mese, grazie alle esibizioni, tutte le discoteche volevano ingaggiarmi. Firmai una dozzina di contratti senza dover dimostrare la mia competenza. L’ingaggio per ogni serata era l’equivalente di 5 mesi di salario di un operaio portoghese. Un’entrata di denaro notevole per un lavoro che ci appassiona! Man mano che ci esibivamo, ci sentivamo sempre più a nostro agio. Trascorremmo le ultime settimane di vacanza a casa delle mie sorelle. Era necessario riposare bene prima di ritornare in Francia. Al ritorno Anifa e Thibaud vennero in macchina con me, Anifa sul sedile anteriore e Thibaud su quello posteriore. Feci mettere Thibaud in un baule, non per oltrepassare la frontiera in clandestinità, ma perché non c’era molto spazio a causa dell’attrezzatura per i numeri di magia che portavo con me. Povero Thibaud! Chiuso come un animale, con quel caldo asfissiante; ogni tanto sua moglie gli dava un po’ d’acqua e qualche patatina per fare in modo che il viaggio fosse meno pesante. Una volta giunto a Strasburgo, dopo aver lasciato i miei amici, avevo soltanto un desiderio: incontrare Monique per sentirle dire che aveva cambiato idea sul nostro divorzio. Invece lei era rimasta sulle sue posizioni. Durante la mia assenza si era data da fare per preparare tutti i documenti necessari. Non volendo intavolare nuove discussioni per tentare di convincerla, feci un passo indietro, con il cuore gonfio. Come ero deluso, Monique, ma rispettavo la tua scelta. Qualche giorno dopo, mi venne fatta la proposta di lavorare come mago in un locale che stava per aprire a Forbach. Fu l’occasione per riprendermi e per lasciare definitivamente Monique. Sapevo che la prova sarebbe stata terribile, ma alla fine la distanza mi avrebbe permesso di dimenticarla più facilmente. Il soggiorno in Portogallo mi aveva dato fiducia. Mi resi conto che con un po’ di forza di volontà, avrei potuto gestire la mia vita, senza dover essere continuamente assistito da qualcuno. Tuttavia, l’idea di lasciare Monique mi terrorizzava. Lasciato solo, ebbi l’impressine di essere un leoncino che vaga per la giungla alla mercé dei predatori. Avrei avuto la forza di continuare a combattere senza il sostegno di mia moglie? Informai Anifa e Thibaud dell’eventuale lavoro a Forbach. Dovetti affrontare subito un problema, chi si sarebbe occupato dei corsi di kung fu? Avevo pensato a Thibaud, ma egli rifiutò la mia proposta, affermando che non voleva occuparsi di due scuole: Strasburgo e Saverne. Trovai la soluzione, avrei avvertito gli allievi che presto si sarebbero interrotti i corsi. Spiegai loro nel bene e nel male che avevo difficoltà nel continuare ad insegnare loro all’interno della palestra. Con il passare degli anni, erano diventati miei amici, si dispiacevano di dover cercare una nuova palestra per coltivare la loro passione quando noi formavano una squadra così valida. Il giorno degli addii, mi augurarono tutta la felicità possibile promettendomi alcuni di loro di venire ad applaudirmi a Forbach. Anifa non volle che le nostre strade si separassero, amava assistermi durante gli spettacoli; si licenziò dal lavoro di segretaria, poco remunerato e decise di vivere quest’avventura con me. Thibaud, disoccupato, non sollevò alcun problema, poiché Anifa avrebbe guadagnato l’equivalente di due stipendi, e così non si preoccupò troppo di poter trovare un nuovo lavoro in questa regione già colpita, all’epoca, da un elevato tasso di disoccupazione. La rottura con Monique fu dolorosa. Il fatto di perderla per sempre mi fece ammalare, non riuscivo ancora a capire come lei aveva desiderato mettere la parola fine alla nostra relazione. Fu molto duro da sopportare! Alcuni miei allievi vennero a sollevarmi il morale e ad aiutarmi per il trasloco. Vorrei di sfuggita fare loro una strizzatina d’occhio per ringraziarli del loro sostegno. Strinsi Monique, abbracciandola molto forte, lei mi augurò «Buona fortuna ». Alcune separazioni comportano dei drammi, tra di noi non c’era alcuna animosità, noi ci separammo con il cuore gonfio, senza odio, tutto era chiaro, eravamo consapevoli che ognuno di noi doveva seguire per la sua strada da solo. Avevamo trovato una casa in affitto a Forbach, a pochi chilometri dal luogo di lavoro. La vecchia 4 L di Anifa ci portò al locale dove non erano ancora terminati i lavori, i gestori volevano trasformare una discoteca in un teatro di varietà. Per non ritardare la data di inaugurazione, anche noi partecipavamo volentieri ai lavori utilizzando martelli e pennelli. Se avessimo capito prima ciò che sarebbe successo, certamente non avremmo messo le mani in pasta. Infatti il nostro impresario Y.W. ci ha raggirato ben bene. Mi è ancora debitore della ridicola somma di 3000 euro dei quali, evidentemente, non vedrò neanche l’ombra. Grazie alla solerzia e alla bravura del personale, la data dell’inaugurazione poté essere rispettata. Sala piena il giorno dell’apertura! Tutte le personalità del luogo erano presenti, il sindaco di Forbach era in prima fila. Noi dividevamo i camerini con la cosiddetta compagnia “Moulin Rouge”. Dopo la loro esibizione sul palcoscenico, osservai queste ragazze; provenivano veramente dal celebre cabaret parigino? Avevo dei dubbi, anche sotto uno spesso strato di trucco e vestite con i più graziosi abiti, esse non avevano l’aspetto di professioniste. Y.W. per fare una buona pubblicità al locale forse le aveva prese in qualche bisca parigina. La cosa che mi stupì maggiormente era come potesse sborsare una simile somma per le spese per l’albergo e le esibizioni di questi artisti mentre discuteva già sul nostro prezzo che non era eccessivo. Inizialmente l’ambiente fu piuttosto simpatico; avevamo fatto amicizia con gli altri artisti. Aveva preso a rate un “furgoncino”, pagabile in tre anni, credendo che con il mio salario, sarei stato in grado di pagare facilmente le rate ogni mese. Il Signor W. ci faceva lavorare dalle sei del pomeriggio alle cinque del mattino e credetemi, non fu una passeggiata di salute. Secondo il nostro contratto, noi eravamo stati ingaggiati per fare uno spettacolo di magia mentre il direttore chiedeva che io dovessi occuparmi dell’accoglienza, Anifa del guardaroba e Thibaud, che non capiva niente di contabilità, doveva gestire il bar; certamente il signor Y.W. cercava una copertura nel caso in cui ci fossero stati dei controlli fiscali o di altro genere. Tutto ciò puzzava di imbroglio anche a dei chilometri di distanza ! Fortunatamente, avevamo altri contratti al di fuori di quel locale: spettacoli per bambini, animazioni per le feste aziendali, che ci permisero di pagare l’affitto della nostra abitazione. Nel giro di tre mesi, crollo totale! Non avevamo più denaro ed io, inoltre, avevo il peso di un debito sulle spalle. Facemmo il nostro ultimo spettacolo il 31 dicembre 1992. quella sera c’erano molti invitati fra i quali Patricia Kaas, una bambina del paese, e Bernard M.Pas, un gran chiacchierone, Patricia si era già montata la testa? Questo non toglie nulla al suo talento di cantante. Bernard, meno riservato, iniziò a corteggiarmi, mi trovava bello e mi fece dei complimenti sulle mie prodezze. Credo che volesse che gli impartissi delle lezioni particolari. Nonostante la sua fama, non avevo voglia di corrispondere le sue avances, avevo dato già abbastanza in questo campo e lo sto pagando abbastanza adesso. Fu una sera stupenda, massacrante certo, perché, poiché il locale avrebbe chiuso per una decina di giorni, avevamo fatto due spettacoli. Un riposo ben meritato! Il lavoro notturno è usurante, n sapevo qualche cosa, ma per i miei due amici fu una scoperta. Approfittai di quei giorni di riposo per andare dalle mie sorelle a Strasburgo, mentre Anifa e Thibaud andarono dai loro genitori. Quando tornammo al locale, tutto il personale fu invitato a sedersi attorno ad un gran tavolo che il nostro caro Signor Y.W. aveva fatto collocare al centro della pista. Come avviene in tutti i locali, c’era una rotazione, alcuni artisti restavano, altri andavano via e, per dare un po’ di energia allo spettacolo se ne assumevano di nuovi. Assistetti a questa riunione pensando che la cosa non mi riguardasse, avevo firmato il contratto per tre anni, avevo molto tempo per cercare un nuovo impiego. Ero piuttosto contento, le persone amavano le nostre esibizioni e anche se ci occupavamo di lavori che non avevano nulla a chef are con il nostro interesse principale, ci accontentavamo di fare il nostro lavoro correttamente. Una grande sorpresa: eravamo sulla lista di quelli che dovevano andare via. Verdetto : eravamo stati licenziati tutti e tre per mancanza professionale. Motivo: ci eravamo lamentati più volte sulla cattiva gestione del locale e avevamo cercato di destabilizzare il resto del personale sul quale avevamo una cattiva influenza. E colmo dei colmi, fummo mandati via senza avere un soldo perché in apparenza non c’era più denaro nel fondo cassa. « Allora, Signor Yves, in quel momento vi siete sentito forte! Si figuri che l’insignificante piccolo mago si era subito reso conto dei suoi modi di fare senza scrupoli. Avendo capito che noi non avremmo mai accettato il suo modo di fare,Lei ha ideato, fin nel minimo dettaglio, questo stratagemma e per paura che gli azionisti del locale, dei fabbricanti di mobili, che vivono nei Vosgi, potessero venire a sapere dei sui traffici loschi, ha preferito metterci alla porta.. I nostri contratti erano stati contraffatti, le nostre buste paga in un solo esemplare per evitare di pagare le tasse ». Yves aveva previsto tutto, era un malfattore, sfortunatamente l’avevamo capito troppo tardi. Doveva ai suoi debitori centinaia di migliaia di franchi in tutta la Francia. I miei amici ed io eravamo disperati; io ero più infastidito degli altri, dovevo finire di pagare le rate della macchina. Non volevo venderla in nessun caso; era il mio mezzo di lavoro, mi serviva per trasportare il materiale se io volevo continuare i miei spettacoli. Mi rimase un’unica soluzione, tornare a Strasburgo per vivere con una delle mie sorelle e per i miei amici, chiedere alla mamma di Thibaud di ospitarli finché non avessero trovato un nuovo lavoro. Mi sentivo in colpa per aver permesso ad Anifa di licenziarsi dal suo lavoro di segretaria per seguirmi. Ma ormai il danno era fatto ed era necessario trovare una soluzione. Anifa, per fortuna, fu assunta di nuovo dal suo datore di lavoro ed io, andavo nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche per cercare di avere un contratto. Feci i conti, con un lavoro fisso e qualche lavoretto, il problema si sarebbe risolto, avrei potuto vivere dignitosamente e avrei potuto saldare il mio debito. Sfortunatamente, niente andò come avevo previsto ed inoltre, passare da un impiego come artista ad un lavoro come sguattero in un ristorante, non fu facile, era difficile far marcia indietro! Una sera avevo appuntamento in una discoteca per firmare un contratto. Dio mio ! Quando vidi la pista, capii che non sarei stato in grado di esibirmi in questo edificio con tutto il mio materiale. Rimasi a bere un bicchiere nonostante la musica techno che il DJ metteva non fosse veramente la mia passione. Non c’era molta gente e l’ambiente era gradevole! Vicino a me due uomini stavano parlando piacevolmente. Uno dei due mi fissò continuamente, rivolgendomi dei timidi sorrisi. Dopo circa dieci minuti, egli iniziò a parlarmi: “ Perché hai questa faccia? Dai, sorridi!” Con uno smagliante sorriso, lo guardai con aria divertita. “ Ora va meglio, aggiunse, quando si ha un bel sorriso come il tuo, è necessario approfittarne!” Il complimento di questo uomo mi colpì. Venni a sapere che erano soldati canadesi di stanza in Germania. Quello che mi aveva parlato era un bel uomo sulla trentina con un fort accento canadese che mi faceva piacere ascoltare. Mi offrì gentilmente da bere. Notai che l’altro uomo non era molto virile, certamente era un gay o un bisessuale. Considerandoli molto avvenenti, conversai con loro per più di due ore. Alla fine si alzarono per ritornare alla base. Il mio ammiratore sembrò triste di dover andare via. Anche io, avrei preferito terminare la serata con loro perché erano estremamente simpatici. Tuttavia decisi di rimanere fino all’orario di chiusura del locale. Un’ora dopo vidi l’uomo che mi si era avvicinato, varcare di nuovo la porta. Felice nel rivederlo, mi affrettai a chiedergli per quale motivo era ritornato. « Per te, mi rispose. Avevo voglia di conoscerti meglio, perché ti trovo un bel ragazzo » Mi confidò che si chiamava André, sposato e padre, era un caporale e di origini canadesi. Tutto confuso, mi confessò che era la prima volta che aveva osato rimorchiare un uomo, non capiva il suo atteggiamento non avendo mai provato dell’attrazione per degli uomini. Fu molto sconvolto nello scoprire un altro aspetto della sua personalità. Discutemmo di molte cose davanti ad una bottiglia; mi sentivo veramente bene in sua compagnia. Quando la discoteca chiuse, vedendo che lui era un po’ sbronzo, gli consigliai di passare la notte nel mio furgoncino su un vecchio materasso che serviva a sistemare le scatole di magiche. Avendo bevuto quanto lui, non avevo più le idee chiare neanche io. Accesi una stufetta e mi stesi vicino a lui, quasi addormentato. Subito, mi strinse fra le sue braccia, non cercai neanche di allontanarlo, rendendomi conto che da molto tempo, non avevo provato una simile felicità. Avvinghiati come una coppia di innamorati, sprofondammo in un sonno profondo che durò soltanto tre ore. André, al risveglio, mi invitò a fare colazione al bar all’angolo. Mi annunciò che sarebbe rimasto solo 15 giorni in Germania e poi sarebbe ripartito per il Quebec. Come fu grande la mia delusione! Non avrei mai immaginato di potermi innamorare di lui. Fu la prima volta anche per me. Anche se occasionalmente avevo dormito con degli uomini per soldi, non avevo mai provato una qualsiasi attrazione per alcuno di loro. Che cosa inaudita! Il mio amore per André fu intenso, non esattamente come quello per mia moglie, ma provavo dei sentimenti, non ci capivo più nulla! Mi sono anche chiesto se non stessi per diventare gay, ero stato bisessuale per tutta la mia vita senza prestare attenzione alle mie pulsioni, e il mio amore per Monique, come spiegarlo? Avrei potuta amarla? Come è misteriosa e imprevedibile la vita! Analizzando la situazione, cercavo delle scuse: mancanza di affetto, problemi psicologici sorti per la mancanza prolungata di mia madre, l’assenza di mio padre e la separazione da mia moglie. Alla fine conclusi che era meglio non scervellarsi troppo, l’importante era che io trovassi la felicità. Non avrei perso niente della mia virilità, né il mio talento da mago, né le mie qualità come insegnante di arti marziali, avrei vissuto un’esperienza come tutti quegli uomini che, nonostante i loro principi ben saldi, avevano finito per cedere alle loro pulsioni sessuali. André, prima di ritornare in caserma, mi chiese di andarlo a trovare la sera al ristorante cinese. Il mio cuore sussultò di gioia, il mio più grande desiderio era quello di rivederlo per continuare la nostra strana avventura. Eccitante e palpitante! Andai a casa di Emilia a farmi una doccia et a dormire un po’, doveva infatti recuperare un po’ di sonno. Giunta sera, mi agghindai come se dovessi andare al mio primo appuntamento galante e lo incontrai, allegramente, nel posto e all’ora stabilita. Mi disse che, anche lui, era molto preso e non aveva smesso di pensare a me per tutto il giorno. Gli rimanevano 15 giorni di congedo che avrebbe voluto trascorrere con me prima di partire per il Canada. Le parole di André mi riscaldavano il cuore, tuttavia non potevo mentire a questo uomo sul mio stato di salute. Io sono molto onesto, era necessario che gli parlassi dell’Aids e di tutte le altre mie malattie. Prendendo il coraggio a due mani, lo misi al corrente dei miei problemi di salute, chiedendomi se non si sarebbe allontanato da me, apprendendo la terribile notizia. Pendendo dalle mie labbra, mi ascoltò con devozione, mandando giù le parole che gli snocciolavo. L’emozione mi fece tartagliare più del solito. Spesso il suo viso si immobilizzava, si schiarì la voce, fece una smorfia, avevo fatto male a parlargli. Morto di paura, io lo scrutavo cercando di leggere i suoi pensieri; dissi fra me che lui aveva capito il pericolo corso. Tiro’ la sua sedia verso di me, mi prese per le spalle e pianse amaramente. Il cuore infranto, accarezzò la mia mano ignorando i clienti che ci lanciavano degli sguardi indiscreti e perfidi con l’aria di dire: "Guarda questi due pedali!" Non sentivo alcun imbarazzo a mostrare la mia gratitudine. Infine, avevo trovato una persona premurosa e sincera che mi ha capiva e sosteneva la mia anima solitaria in preda a una profonda tristezza ... e tanto peggio! se fosse un uomo. Questo è quello che stavo cercando. Un amico profondo, un fratello, un padre. Qualcuno che mi capiva e mi amava, lo volevo tutto in una volta, non ho solo restare single. Abbiamo concluso la serata in una camera d'albergo non per indulgere a pratiche sessuali, ma ci abbracciammo e ci coccolammo. E, francamente, ero felice. Il nostro rapporto è stato intenso, siamo stati in perfetto accordo. Il giorno dopo, voleva portarmi in Germania per visitare la base militare. Ero ansioso di scoprire l'ambiente in cui aveva vissuto gli ultimi 3 anni, in più le persone al di fuori del servizio non erano autorizzate ad accedervi. Con un pass che aveva recuperato da un ufficiale superiore, sono stato in grado di penetrare in tutti gli edifici esistenti. Mi consiglio’ di dire che facevo parte della famiglia. Eravamo comunque spiati, tutta la caserma era sotto sorveglianza. Sono stato molto impressionato dall'immensità del sito, la disciplina e il rigore che ha prevalso all'interno dell'area, non avendo fatto il servizio militare mi erano sfuggiti questi tipi di vincoli. Le opportunità fornite per consentire ai militari di uscire da questa atmosfera spartana, erano numerose. Cinema, pista di pattinaggio, parrucchiere, bar, generi alimentari, vestiario e il ristorante, era assolutamente incredibile, avevano pensato a tutto! Andre mi presento’ ai suoi amici, tutti ragazzi molto simpatici che mi ha fecero ridere con i loro accenti diversi canadesi. Questo posto era così diverso dal mondo in cui ero abituato a vivere. E 'stato davvero emozionante! In qualche giorno Andre sapeva tutto della mia vita. Mi propose di pagare due rate del credito della mia auto ovvero: (1 100 EUR) Ero imbarazzato, insistette talmente che accettai la sua offerta, pensando che se non fossi riuscito a trovare altri contratti, non sarei riuscito assolvere le mie prossime scadenze, senza la mia vettura, era impossibile lavorare. Il fine settimana successivo il nostro incontro, ho avuto un contratto da onorare. Lo invitai con un gruppo di amici ad assistere ad uno spettacolo di micro magia che non richiedeva l'assistenza di Anif. Ho incontrato il suo sguardo alla fine dello spettacolo, i suoi occhi, color verde giada, brillavano di gioia, mi ha fatto un ampio sorriso che dimostrava che era molto fiero di me. I 15 giorni trascorsi con lui furono indimenticabili. Monique mi chiese di venire da lei a firmare le carte del divorzio. Chiesi ad Andre di accompagnarmi per presentarlo alla mia ex moglie e per sostenermi in questo momento. Non fu facile tornare in quell’appartamento dove avevamo vissuto tanti anni di felicità. I ricordi sfilavano mentre salivo le scale. Andre, una volta ancora indovino’ i miei pensieri, sapeva che il momento in cui avrei firmato il mio contratto di divorzio, sarebbe stato fondamentale, in quanto una parte della mia vita sarebbe crollata. Non c'erano alternative, bisognava regolarizzare la situazione. Apponendo la mia firma in fondo alla pagina, persi quasi i sensi, André mi battè sulla spalla e disse: "Non ti preoccupare, Manu, ce la farai!" Monique ci osservo’, perplessa, evidentemente aveva notato che c’era qualcosa di forte tra lui e me. Alla vigilia della sua partenza, Andre organizzo’ una bicchierata d'addio. Sapevo che presto non lo avrei più visto, cercai di non pensare troppo per vivere a pieno gli ultimi momenti di felicità. Era combattuto tra il desiderio di ritrovare la sua famiglia in Quebec e stare con me. Doveva abbandonare la moglie, e il figlio che attendeva con impazienza suo padre, per vivere in Francia? Scelta difficile! Avrei voluto con tutto il cuore che non partisse, ma ancora una volta, la stessa domanda ritorno’ come con Monique, avrei il diritto di chiedere un simile sacrificio? Stavo perdendo un amico eccezionale e anche se avessi avuto il suo indirizzo, non mi permetterei mai, per rispetto verso la moglie e il figlio, di sollecitarlo quando sarebbe stato di nouvo con la sua famiglia. Avre voluto che l’ultima notte non finisse mai. Parlammo fino all'alba, pesando i pro ei contro, non riuscendo a trovare la giusta soluzione al nostro problema. Ha incollato la sua foto su un nastro di Celine Dion, mi piace soprattutto la canzone "l'amore esiste ancora" i cui versi sono i seguenti: "Quando mi addormento contro il tuo corpo, allora non ho dubbi, l'amore esiste ancora. Per amarti una volta per tutte, per amarti a tutti i costi, nonostante il male che corre e fa l'amore con la morte. " Avevo l’impressione ascoltando Celine, che parlasse direttamente a me. Il testo èra adeguato al mio caso , faceva allusione alla malattia e rispecchiava perfettamente i sentimenti, così confusi, provati per questo uomo. E 'strano, ascoltando alcuni brani, si potrebbe pensare che sono per noi, ci ritroviamo, spesso hanno molte similitudini con la nostra vita. Vidi chiaramente che il mio amico ha cercato di spiegare: "Qualunque sia il colore, la religione, l'aspetto fisico o anche il sesso della persona, indipendentemente l’handicap o la malattia! La cosa più importante su questa terra è amare ed essere amato, ho avuto sentimenti per Andre, non credevo a questo tipo di impulso per un uomo, ma l'amore e l'amicizia é così bella anche se è tra due uomini o due donne, a prescindere! " Il giorno dopo l'ho accompagnato all'aeroporto con il cuore pesante. Un silenzio pesante regnava in macchina. Le parole ci mancarono per esprimere il profondo dolore che sentivamo. Siamo stati male fino al fondo delle nostre viscere. Quando vidi l'aereo decollare, il terreno crollo’ sotto i miei piedi, il mio stomaco annodato, mi si contorceva dal dolore perché i crampi ripresero. Difficile tornare alla realtà! E poi la seconda volta in un breve periodo di tempo mi rimisi in discussione. Come riuscire a ricostruirmi dopo un'altra delusione? Eccomi ancora single, era l'unica cosa che temevo di più: la solitudine, ho avuto paura, avevo paura di finire i miei giorni da solo, e se mi fosse accaduto qualcosa? come avrei fatto a uscirne da solo nessuno, a sostenermi, a darmi aiuto. Qualche tempo dopo, Andre telefono’ a casa di Emilia chiese di me. Ero assente quel giorno, non ho mai saputo quello che aveva da dire. Ha promesso a mia di richiamare ma non ha mai ripreso contatto con me. Perché? L'unica cosa che ricordo di quella tenera amicizia è il nastro di Celine Dion che tengo preziosamente, anche se quasi inascoltabile, in quanto il nastro è così consumato a forza di girare. I miei pensieri vanno ad Andre quando vedo quest’ artista in TV. Avrei tanto voluto che rimanessimo buoni amici. La mia malattia si era più o meno stabilizzata, salvo che la diarrea persistette, ma imparai a convivere con questo handicap. La quotidianità era ritornata, soggiornai da mia sorella vivendo grazie ad alcuni spettacoli, che mi permisero di pagare le ultime rate del Combi. Un pomeriggio di marzo, incontrai un amico che non avevo visto da anni. Mi disse che aveva aperto un negozio in una piccola città del nord dell’ Alsazia. Nell'apprendere che non avevo lavoro fisso, mi propose di lavorare con lui, disse che aveva bisogno di qualcuno che lo rimpiazzi durante le sue assenze. Che occasione! Fui felice dell'offerta. Ho imparato in fretta a distinguere i prodotti spediti in tutto il mondo. Il lavoro fu molto piacevole, i clienti non scazzottavano alla porta, non vi era alcuna tensione, avrei preferito al limite, più di agitazione perché i giorni non passano abbastanza velocemente. Sono diventato disilluso dopo poche settimane nel negozio. Il mio capo inizio’ senza motivo a bisticciare con me. Che cambiamento improvviso! Prese piacere di ridicolizzarmi di fronte ai clienti e amici per mostrare loro che lui era il capo. Mi resi conto come fosse arrogante, autoritario e con un grave complesso di inferiorità che lo costringeva a molestarmi tutto il tempo. Tutto quello che facevo infastidiva questo personaggio ignobile. Nulla era di suo gradimento. Se la prendeva per ogni cosa, godendo di vedere che mi ritiravo , a piangere, in quella sorta di ripostiglio adiacente il negozio. Cercai di non prendere in considerazione anche i suoi attacchi continui, perché, finanziariamente, mi andava bene di avere questo lavoro. Il mio capo, inoltre, originario di Strasburgo, invece di percorrere 85 km ogni giorno e trovarsi negli soliti ingorghi in autostrada, aveva affittato un appartamento vicino al suo negozio. Mi propose di condividerlo con lui concordai con tutto il cuore dicendomi che avrei dovuto pagare di più per la benzina e che avrei potuto rimanere di più a letto la mattina. E 'stata una pessima idea, mai avrei dovuto accettare la sua proposta. Ogni sera, rintanato in casa, abbiamo avuto dei faccia a faccia tempestosi, il signore sapeva tutto, mi prendeva per un ritardato senza un grammo di intelligenza. Questa gentaglia mi ha sotterro’, in ogni caso, era il capo, non c'era nulla da contestare. Una mattina, svegliandomi un’ eruzione, dei brufoli all’altezza dell’anca sinistra un forte prurito a cui prestai troppo poca attenzione, dicendo che era solo un allergia da un alimento che non riuscivo a tollerare. Durante il giorno, tuttavia, il dolore divenne sempre più intenso, l'eruzione cutanea che si estese alla coscia mi paralizzava l'intero lato sinistro del fianco ed ebbi una febbre alta e costante. Che cosa mi è succedeva ancora? Decisi di andare a vedere un medico generalista preso a caso dall’elenco telefonico. Questo ultimo, esitante sulla diagnosi, mi mando da un dermatologo che mi ha disse che era una "zona", un derivato della varicella, che andava curato solo con gli antibiotici. Da quel giorno la mia salute declino’, un mese dopo sono stato colpito da flebiti e una perdita dei denti. Il mio sistema immunitario divenne deficiente; stanco, fui reso fragile ed esposto a tutte le malattie. Le medicine aiutavano, ebbi un costante desiderio di dormire. Il medico mi diede un trattamento per la coagulazione del sangue e mi consigliò di riposarmi, non ascoltai le sue raccomandazioni, continuando a lavorare per non infastidire il mio capo. L'unica cosa positiva di questo lavoro fu quella di avere incontrato una coppia di ristoratori che venivano a rifornirsi nel negozio, andai da loro regolarmente per bere un caffè dopo il lavoro. Liliane, la proprietaria, gentile, allegra, vivace, era di una gentilezza rara , toccante. Suo marito, Jean-Paul, un carattere autoritario, probabilmente a causa del suo passato militare, gestiva una ventina di persone a bacchetta. Tutto doveva essere perfetto, nessuno aveva diritto di errore, senno diveniva spietato, primo avvertimento sanzione e il licenziamento se la persona opponeva resistenza. La cucina era abbastanza buona, ci mangiai spesso fino a simpatizzare con gli gestori. La corrente passava tra di noi e pian pianino scoprii altri aspetti della personalità del padrone di casa, e iniziai ad apprezzarlo. Liliane è sempre stata al mio ascolto, abbiamo avuto una tale complicità che gli dissi del mio passato e confessai, un po 'più tardi, ero malato. Avere un amico comune che soffriva della stessa malattia, come me, ci faceva sentire ancora più vicini. Fece conoscenza con altre persone simpatiche: Patrick, Astrid, Filippo, tutti più grandi di me ma ancora ragazzini. Molto burloni, intrattenevano tutta la galleria. Giovanni Paolo organizzava serate a tema in cui, di volta in volta, mi potevo rappresentare. Patrick, anche con un gruppo di musicisti fu chiamato. Liliane mi presentò a sua cugina, Giuditta, divenne una buona amica, che più tardi mi fu di grande aiuto. Avevo promesso a mio fratello di prestargli il mio combi per andare in Portogallo con la sua famiglia e mi dissi: "Dopo tutto, perché non approfittare dell viaggio per andare a rilassarmi da mia mamma" Il virus zona mi ha fatto perdere ancora più energia, era tempo di prendere il toro per le corna! Durante il mio soggiorno in Portogallo, il mio capo mi chiamo’ per avvertirmi che ci sarà, al mio ritorno un bel cambiamento nella mia vita professonale. Ma che cosa aveva ancora progettato questo pazzo diabolico? Mi aspettavo il peggio anche se affermava che sarebbe stata una bella sorpresa. Al mio ritorno, sono rimasto scioccato di apprendere che aveva preso con Giovanni Paolo, il ristoratore, un impianto situato nel paese natale, non lontano dal mio posto di lavoro. I muri della sala, risalente al dopoguerra sembravano essere in buone condizioni, ma l'interno, poco funzionale, doveva essere rimesso a nuovo. Indovinate chi avrebbe dovuto affrontare questo arduo compito? Per più di tre mesi, dalla mattina alla sera, mi occupai della pittura, tappezzeria, rivestimenti in piastrelle. Lillian si prese cura di tutte le decorazioni: scelta delle tende, piatti, tovaglie e degli altri accessori. Installai una scena per il mio spettacolo di magia pensando che sarebbe un di più per attirare i clienti. Il risultato fu incredibile, fummo molto orgogliosi della ristrutturazione. Il 1995 sembro’essere molto promettente, avrei avuto finalmente la mia scena. Il giorno dell’apertura, abbiamo invitato amici e parenti, si aggiunsero anche alcuni abitanti del villaggio, incuriositi, ci spiavano per riferire poi agli altri ristoratori della piazza. Dalla prima settimana, ho notato che sarebbe stato molto difficile far lavorare questo ristorante. Non essendo del villaggio e non parlando l’alsaziano, sentivo che non avremmo avuto la possibilità di perseverare. Gli abitanti del villaggio avevano gia il loro punto di riferimento negli altri due ristoranti da anni specializzati come noi nella torta flambbée, in più non dovevamo fare affidamento alla clientela esterna; Feci il mio numero di magia assistito da Anif, Thibaud approvo’, come al solito, nonostante la brutta esperienza di Forbach. Albina, un’ amica portoghese, divertente e gentile, era stata la moglie del fratello di mia cognata, fu incaricata di recuperare l'auto, è così che tutti e tre vennero , con il cuore leggero, il venerdì, Sabato e Domenica sera. Il mio capo non apprezzo’ affatto la loro compagnia, il contrario mi avrebbe sorpreso. Sostenne che sarei stato in grado di fare il mio piccolo show da solo, che i miei tre amici, durante la ricezione non pagando, avrebbero comportato dei costi aggiuntivi al ristorante per mangiare e bere. Non tenni conto delle sue allusioni, avrebbe avuto la fortuna di non dover rimborsare le spese di benzina di Albina, fui sempri io ad aprire il portafoglio. Assumemmo Judith, nei fine settimana. Quante risate dopo la chiusura! Fu il momento migliore della serata, ci incontravamo intorno ad un tavolo a bere l'ultimo drink raccontando barzellette. Questo spesso si trasformava in delirio, tra Albina e Anif, non ricordo quale fosse la più divertente. Per fortuna avevamo ancora quei pochi momenti di relax perché la vita non era poi così rosea. Dal secondo mese, il ristorante andava meglio, tutti gli abitanti del villaggio erano venuti a vedere ma tornavano di nuovo ai soliti ristoranti, non c'erano molte persone, nonostante i miei spettacoli di magia. Contando il denaro, l’incasso non copriva nemmeno l'investimento, era senza speranza! Mi sentivo in colpa, pensando che il mio spettacolo fosse nullo, che la gente non si sarebbe mossa per vedere qualcosa di così patetico. Albina e Anif, per fortuna, sostenevano il contrario, sono stato così male che non potevo più sopportare le critiche. Un pomeriggio di febbraio, prendendo la doccia, ho notato che la mia gamba era quasi raddoppiata e tirava verso il rosso porpora. Essendo da solo nell’ appartamento, fui preso dal panico perché a ogni movimento, si gonfiava ulteriormente. Non capivo cosa stava succedendo, non riuscivo a muovermi, strisciai per raggiungere il telefono e chiedere aiuto a Jean-Paul. Arrivo’subito una volta viste le condizioni della gamba, senza esitazione, prese il telefono per chiamare un'ambulanza. La diagnosi fu rapida: una ricaduta di flebite, dopo essere andato allo scanner, il medico mi disse che avevo un embolia polmonare e che potevo considerarmi felice di essere sopravissuto. Era ancora una grande paura della mia vita, non avrei mai immaginato di passare così vicino alla morte. Per sapere dove è stata bloccata la vena, mi legaroni i piedi e le mani e appeso come un maiale che veniva sgozzato. Iniettarono un prodotto di un colore biancastro nell'ano, misero dell’aria, mi gonfiarono come un pallone per avere una migliore idea di quello che stava succedendo dentro il mio corpo. Il dolore fu atroce, fui sul punto di svenire. Mi torturarono, mi chiesi se il martirio avrebbe smesso quando l’aria doveva uscire, uno dei medici mi disse di aver finalmente trovato il coagulo di sangue. Accidenti! che sollievo! Rimasi all’ospedale dieci giorni, per fluidificare il sangue e consentire il coagulo di riassorbirsi. Una specie di vacanza, per necessità, ma sapevo benissimo che fuori l'ospedale, avrei immediatamente ripreso la mia attività. Mi avevano avvertito che il mio capo diceva in ristorante che non ero malato, che era il modo migliore per godersi le vacanze gratis. Dovetti rimanere vigile, una ricaduta avrebbe potuto essere fatale, mi fu diagnosticata un'insufficienza venosa, come molti membri della mia famiglia. Difficile eredità che avrei gestito megliose non fossi già stato malato. No, non ascoltai i consigli che mi diede il medico lasciando l'ospedale, io farfalla, di nuovo, tra tavoli del ristorante per non attirare l'ira del boss. Per quasi un mese, ho giocato l'infermiera nel farmi ogni giorno le iniezioni. L’affluenza nel in ristorante, nonostante i nostri sforzi, è stata ridotta a un rigagnolo, ma la Flammkuchen era deliziosa. L 'unico giorno in cui eravamo pieni è stato quando la squadra di calcio o la mia famiglia, con gli amici, veniva a trovarci. In quelle sere, mi applicai a fare i miei spettacoli per permettergli di passare una bella serata e soprattutto per dargli voglia di ritornare. Quando il proprietario aveva fatto contato la cassa e che l’incasso era scadente, sapevo che non sarei sfuggito all'ammonizione eterna: "Il tuo show è nullo, non vali niente, non vuoi lavorare, scansafatiche!" Ebbene, era sempre colpa mia, cedevo e spesso piangevo in segreto. Mi rifugiai ancora una volta nell’ alcool per dimenticare tutti i miei problemi. Tuttavia, non ho chiesto niente a nessuno, il ristorante, non era una mia scelta, non avrei dovuto mettere tutto sulla mia schiena. Il proprietario calcolo’ e ricalcolo’ di tutti i soldi che entrano andati in spese e per l'acquisto di materie prime, non traeva alcun beneficio, non potendo pagare gli stipendi, non ebbi la possibiltà di pagare le rate rimanenti del Combi. Un ufficiale giudiziario venne a confiscarlo una mattina, proprio quando avevo quasi finito il mio prestito. La presi male, soprattutto perché tutto quello che è successo non dipese dalla mia volontà. Esplosi letteralmente, ma il mio capo, impassibile, ha rispose: "Voi siete nutriti e alloggiati, quindi chiudete il becco!" Sì, non dissi niente, non avevo scelta, avrei potuto solo aggravare la situazione. Lasciammo l'appartamento in città per risparmiare denaro e ci installammo in quello situato sopra al ristorante ma ancora non arrivammo a sbarcare il lunario. La sera, quando avevo bevuto troppo, le angoscie ritornavano, telefonai ad Albina per farmi rassicurare, era l'unica persona con cui mi potevo confidare, non volevo che le mie sorelle fossero a conoscenza delle mie angoscie. A causa del mio disagio, mi rimisi a bere, la solitudine mi pesava, è diventata la mia unica compagnia. Sono caduto una volta di più in alcol, ma ho potuto imparare dai miei errori e mi maledico per essere stato così debole. Avrei solo bisogno di un po 'di rassicurazione, di qualcuno che mi dica: "Manu, é bene quello che fai, non arrenderti" Purtroppo, questo non era il caso, rimostranze senza fine! come vivere con un datore di lavoro che ti ¨molesta tutto il giorno? Dimenticavo i miei problemi quando ero sul palco, ma calato il sipario, le luci soffuse, dovevo mettere in chiaro che la sera non era andata bene, che i clienti avevano, ancora una volta, snobbato l'istituzione. Iniziavo quindi la mia nuova bottiglia di whisky per dimenticare ... dimenticare ... ... volevo solo dimenticare! Per i miei 32 anni, ho invitato i miei amici e familiari. Serata favolosa! Ero circondato da tutte le persone che amavo. Per cambiare dalla tradizionale torta, ho servito un couscous. Uno spettacolo era ovviamente previsto. Mi sono divertito, quella notte, non mancavano gli telespettatori. Un enorme sorpresa mi attendeva, Anif aveva montato un numero di cabaret di cabaret. Aveva preso l’essenza, la mia assistente, era assolutamente geniale! La mamma doveva venire a trovarci a Natale, sono stato molto felice ma al tempo stesso sgomentato perché si sarebbe resa conto che avevo iniziato a bere di nuovo. Cercai di ridurre, con molta fatica, il consumo di alcol. E’ a casa di mia sorella che mamma si installo’, l'emozione era troppo forte, ho letteralmente ceduto rivedendola. Lei capi subito che ero depresso e mi suggeri, dopo aver ascoltato con attenzione la mia storia, di lasciare immediatamente, il mio datore di lavoro per iniziare a cercare un altro lavoro. Il consiglio fu stato piuttosto saggio! Tuttavia, dimentico’ che, oltre ad un nuovo lavoro, avrei avuto bisogno di un alloggio. Avrei potuto continuare lo show, se solo avessi avuto il mio combi! ahimè ... bene! Non girare il coltello nella piaga! La invitai a venire ad assaggiare la nostra torta flambée e guardare lo spettacolo, l'ultima volta che l’aveva vista era tanto tempo fa. Come concordato, è arrivata nella serata di sabato, accompagnata da tutta la famiglia. Anif Thibaud furono felici di vederla, avevano veramente apprezzato la sua gentilezza durante il loro soggiorno in Portogallo. Albina fu anche felice di incontrarla, si erano gia intraviste nella la famiglia di mio cognato quando lei era ancora sposata. Fui particolarmente nervoso di salire sul palco, nella speranza di piacere a mia madre e sentire dopo lo spettacolo: "E 'stato bello, figlio mio, complimenti! Hai fatto progressi enormi. " Queste parole mi ridanno fiducia e dissipano i miei dubbi. Il ristorante era quasi pieno, ero molto motivato. Avevo riservato di fronte al palco, il miglior tavolo per mia madre, in modo da poter essere nei primi posti per potere vedere suo figlio. Dopo lo spettacolo di "Grand Illusion" durato 40 minuti, c'è stata una pausa di un'ora per consentire agli artisti di recuperare. Perché tutto è stato calcolato, le persone che sceglievano di assistere alla seconda parte del programma riprendeva una bottiglia, cio’ aumentava considerabimente il conto. Ricominciai poi con il mio spettacolo "mime-change" di circa 30 minuti, mi preso un sacco di energia, il suo successo dipendeva per la maggiorparte dalla rapidità del cambiamento dei costumi e trucco. Dall’alto del palco guardai mia madre, ammirando ed emozionata ha cercato di non piangere per non destabilizzarmi, senza alcun risultato! Gli fu impossibile contenere la sua emozione. Ho avuto problemi a concentrarmi, tutti i miei pensieri andavano a lei che aveva versato tante lacrime in vita sua, ma quella notte furono lacrime di felicità. Per il "mimo" mi trasformai in 5 personaggi diversi. Cominciai indossando un costume di Pierrot, pieno di lustrini, terminai su una canzone di Léo Ferré, travestito da vecchio, curvo e tremante, Fu difficile riconoscermi sotto il mio trucco. Ma il più forte momento della serata, è stato senza dubbio il mimo sulla canzone di Charles Aznavour dal titolo "Come dicono". Il mio trucco si scollo’, cantando sul palco: "Io vivo da solo con la mamma in un appartamento molto vecchio ..." Il testo è talmente rappresentativo per me che sono scoppiato in lacrime, guardando verso mia madre che ha pianto più forte. Un applauso scrosciante corono’ il mio successo, la gente si congratulava con me per essere in grado di trasmettere tanta emozione. "Grande attore", dissero, è tutt'altro che la commedia, questa canzone è stata una delle migliori canzoni di Charles, sei grande! Che gioia ascoltare le tue canzoni, in realtà le amo tutte. Sei veramente un grande artista! Purtroppo, non giocavo la commedia, era della mia vita che si trattava, poco importa , i loro elogi mi scaldavano il cuore. Ho preso la libertà di mettermi a tavola con la mia famiglia per una buona mezz'ora pensando che per una volta che mia madre veniva a trovarmi, potevo dedicarle qualche minuto ,naturalmente, in tarda serata, le solite critiche partirono: "Fannullone, te la prendi comoda stasera, te ne sei approfittato!" Avrei voluto levargli gli occhi, e dire che quando la sua famiglia o degli amici venivano a cenare, beveva e rideva a crepapelle tutta la sera! non si preoccupava in quei momenti di lasciarmi tutto il lavoro in ogni caso qualunque cosa io faccessi , non avrei mai potuto accontentarlo. Era geloso del mio talento come mago? o forse perché ero meglio di lui? Non sono mai riuscito a scoprire cosa stava succedendo nella sua testa, tanto era duro, amaro, negativo, irrazionale nelle sue sentenze. Non bisognava mai criticare le sue idee e quelli che non erano d'accordo non cercavano più di discutere e contradirlo, sapevano che non sarebbe sevito a niente. Questo individuo machiavellico mi ha rovinato la vita per quasi 3 anni,l’ ho odiato con tutto me stesso. Una sera decise di portarmi in città per fuggire da quel villaggio mortale. Dopo una notte a bere, ancor più limitato rispetto a quando era sobrio, comincio’ a guidare. Che angoscia! Egli fece zig-zag, ad alta velocità sulla strada stretta attraverso la foresta, in curva su due ruote. Ho guardato con la coda dell'occhio, l'orecchio capelli rizzati, labbra serrate, odorante di alcool per chilometri, riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti e si avvicinava, costantemente, contro altri piloti. In qualsiasi momento, ho pensato che sarebbe atterrato in un fosso o sbattuto contro un albero. Paura della morte, gli chiesi di fermare l'auto, gli proposi di prendere il volante. Non volendo sentire nulla, premette come furia, sull’ 'acceleratore. Ebbi voglia di vomitare tutte le budella, pensando che in caso di incidente a quella velocità, non ci saremmo salvati. Morire in tali circostanze, mentre mi stavo battendo per sopravvivere alle mie malattie, sarebbe stato veramente troppo idiota! Ancora una volta, questo personaggio egoista non aveva avuto compassione per il prossimo. Faceva sempre come gli pareva. Non smisi di lamentarmi per cercare di sensibilizzarlo, quando all'improvviso diede un colpo di freno violento, sarei certamente sbalzato attraverso il parabrezza, se non avessi messo le cinture, e oh! Miracolosamente, si fermo’. Infine, fu ragionevole! in un momento di lucidità, sicuramente penso’ che fosse meglio farmi guidare. Ripresi respiro, allentai la cintura e rapidamente spingendo la porta per paura del riavvio, non ebbi ancora fatto il giro della macchina che ando’ come un turbine, lasciandomi a terra. Fui sotto una pioggia battente nel bosco, alle due del mattino, a 5 km dall’ appartamento, in una strada dove non avevo praticamente senza possibilità trovare altri automobilisti. Inoltre, non vidi una sola auto durante la mia passeggiata forzata. Speravo che, afflitto dal senso di colpa, si voltasse indietro a prendermi, senza alcun risultato! Lo sentii russarea scuotere le pareti, spingendo la porta del ristorante. Avrei , voluto in primo luogo, svuotarlo dal suo letto, ma alla fine fu meglio lasciarlo dormire a covare il suo vino. Con tutta la rabbia accumulata in questi ultimi mesi, di certo non ero in grado di controllare le mie azioni, quando vidi il suo sorriso sarcastico. Vi racconto un altro aneddoto per descrivere come é stato realmente un uomo disgustoso! Un giorno facendo i piatti, ho imbrattato il suolo. Senza dire una parola, lasciò la cucina e riapparve poco dopo, il fucile in mano. I suoi occhi, pieni di odio, minaccio’ di uccidermi puntando il fucile verso di me, gridando: "Fai cadere ancora una goccia sul pavimento e sei un uomo morto!" Non potevo credere alle mie orecchie, quello che pretendeva di essere mio amico e avevo stimato in passato stava di fronte a me con la ferma intenzione di uccidermi. Ovviamente, avevo a che fare con un pazzo, ripensai alla mamma e che fosse tempo di lasciare questo pazzo prima che accada l’irreparabile. Per Natale e Capodanno, che di solito si festeggiano in famiglia, chiudemmo chiuso il ristorante. Ero contento avrei potuto farmi coccolare di più da mia madre. Essendo esaurito mentalmente e fisicamente, ne avevo un gran bisogno. Sentivo che le mie energie mi stavano lasciando come se mi stessi dirigendo verso un'altra malattia. Credo che quando si é malati, senti le cose venire. Ho dovuto compiere notevoli sforzi per alzarmi la mattina, volevo solo restare nel mio letto, per non pensare a niente. Rimurginavo, senza fermare il pensiero oscuro che correva nella mia testa. Mi chiedevo quale sarebbe stata la prossima prova , se fossi stato capace di affrontarla. E 'davvero terribile pensare che la tua vita è appesa a un filo sottile che potrebbe rompersi in qualsiasi momento. Allora mi stimolai per evitare di sprofondare ulteriormente nella depressione. Mia madre tornò in Portogallo nel mese di febbraio, una separazione di più! Il ristorante non andava più, l'umore del boss divenne sempre più cupo, io essendo il suo capro espiatorio, lo presi sulla schiena. Iniziammo a organizzare serate danzanti ... senza successo, la gente non si spostava. Poi seguì una sala giochi dove, purtroppo, sono stato l'unico a giocare per ore, solo per fare qualche rumore per far credere alla gente che il ristorante era affollato, mi sono divertii, a volte nelle mie notti oscure. Alcolizzato, giocavo a flipper fino al mattino, questo infastidiva il proprietario che dormiva appena dall'altra parte del muro, e gridava incessantemente: NON E’ ANCORA FINITO QUESTO RUMORE, ho fatto finta di non ascoltare Volevo battere il record che avevo fatto la sera prima. E, infine, abbiamo proposto di consegnare torte flambée in un raggio di 10 km, anche questo un piano che ando male! 4-5 ordini da consegnare in direzioni opposte, non ci rese più ricchi soprattutto dopo la deduzione della benzina. Avendo esaurito tutte le possibilità che possano porre rimedio alla situazione, abbiamo dovuto ammettere che avevamo fallito miseramente. A quanto pare i clienti, per lo più residenti del villaggio non si sentivano a loro agio perché non noi non capivamo l’l alsaziano, e qui ", proprio nel Mille" era l'unica ragione! non si doveva cercare altrove, non eravamo degli alsaziani. Le facce dei portoghesi e il loro capo, non li piacevano. In questo villaggio arretrato e razzista, che non avrebbe lasciato alcuna possibilità, avevano un solo desiderio: vederci partire prima possibile. Credo che se avessimo aperto un bordello, con dei spettacoli erotici, tutti gli anziani del villaggio avrebbe gareggiato in una sedia a rotelle o stampelle per arrivare al goodies, e se avessimo fatto un po 'più di pubblicità due pippe per il prezzo di una, sicuramente, i cittadini sarebbero venuti quando c'è sesso, funziona sempre. Durante le mie rappresentazioni, rido nonostante il mio dispiacere. Nel mese di luglio, decisi di tornare in Portogallo con gli amici che avevano affittato un camper. Feci la strada con la mia auto, una Ford offerta da persone di cuore che, purtroppo, e mi dispiace sinceramente, oggi non fanno più parte della mia cerchia di amici per circostanze che non voglio esporre. Comunque, ripeto, queste sono persone che contarono molto per me e se dovetti rompere la nostra amicizia è che ne dipendeva la sopravvivenza della coppia. Sentimenti di dubbi o incomprensioni, sospetti spesso possono cambiare il corso della nostra esistenza, ma l'analisi dei dialoghi pertinenti sensati potrebbero salvare i buoni rapporti con la famiglia e gli amici. Perché non lavorare in questa direzione, per preservare ciò che è meglio, l'amore e l'amicizia? In Portogallo, approfittammo di tutte le cose buone che questo bellissimo paese poteva offrire: aria fresca, le nuotate, i prodotti alimentari sani della terra e del mare la sera, non era triste, abbiamo preso sacre ubriacate con il porto o altri alcolici, come al solito, quando ero a casa. Irragionevole nel mio stato, direte voi, ma se non mi lasciavo andare ogni tanto, che sarebbe rimasto di me sulla terra? Spesso, le mie imprudenze ebbero un grave impatto sulla mia salute, come la diarrea (hey, è stato un tempo che non l’avevo citata) che ha colpito la mia vita quotidiana. Torno di nuovo! ogni volta che mi pulivo il sedere, era un vero dolore. Se mi ripeto riguardo a questo problema è per spiegarvi come mi ha rovinato la vita. Dicevo quindi, facemmo la festa con parenti e amici Gafanha, il piccolo villaggio dove abitavano le mie sorelle. I giovani, amichevoli e molto aperti, ci donavano un’accoglienza calorosa, contrariamente a Guimaraes, il mio villaggio natale, dove a parrte alcuni membri della mia famiglia, non conoscevo più molta gente. Tutti i miei vecchi amici si sono sposati e non frequentavano più i bistrot. Gafanha Encarnacao era un villaggio preso d'assalto dai turisti d'estate, soprattutto americani ridacchiando sulle spiagge, credevamo di essere negli Stati Uniti. Questo luogo cambio’ molto negli anni '90, c’erano bar e ristoranti tipici, molti club, noti anche per le loro originalità, l'apertura al 1: 30 pm - chiusura alle ore 8 Dopo aver ballato tutta la notte, si poteva fare colazione nella sala da tè, riprendere un drink in un bistrot e andare a avanti, ma per una persona malata, non era molto facile seguire il ritmo, recuperavo più lentamente rispetto ad altri. La mamma vedeva di cattivo occhio queste scappatelle notturne, sapevo che aveva ragione, ma non potei fare a meno di unirmi ai miei amici. Durante il mio soggiorno in Portogallo, persi peso, di nuovo, non a causa di nuovi problemi di salute che si aggiungevano ai vecchi, ma la mancanza di appetito, e la fatica delle uscite, portarono a una caduta libera di quei chili che avevo recuperato durante l’anno. Inoltre, arrivati a Gafanha le mie paure scomparvero come per magia, da mia madre, mi sentivo protetto. Capivo, però, che non dovevo tirare troppo la corda. Le cure nel mio paese non erano molto adatte alla mia malattia e per farmi rimpatriare in Francia in caso di emergenza, avrei dovuto avere una buona assicurazione, che pero’non mi potevo permettere di pagare. Alla fine, in quell 'anno 1997, le vacanze sono state abbastanza tranquille. Mi alzavo presto per giocare alla guida e interprete per i miei amici che non capivano una parola di portoghese, non mi rimaneva molta energia per passare alcune notti insonni. Tornato in Francia, brutta sorpresa! Durante la mia assenza, Jean-Paul e il mio datore di lavoro aveva chiuso la struttura. Mi sono trovato in strada, senza casa, senza lavoro. Il mio personale business, i costumi e le attrezzature di magia vennero stipati in un garage di Giovanni Paolo. Ero combattuto tra un senso di gioia e di paura, lieto che questa avventura fosse finita e di non dover più stare con il mio torturatore, ma anche ansioso perché non avevo un tetto. Ma ti perdono amico mio, non c’é l’ho con te, spero che tu riesca trovare la pace in te, il resto della tua vita ti porti felicità, perché nonostante quello che mi hai fatto soffrire, io so che c'è una parte di te che è buona, peccato non ho avuto molta possibilità di vederla, sono sicuro che hai avuto i tuoi problemi, amico mio , si dimentica, non ne parliamo piu, prendi cura di te! La coppia di amici che mi aveva accompagnato in Portogallo mi propose, gentilmente, di accogliermi giusto il tempo di riorganizzarmi . Dopo un attento esame, pensai che l'idea non era poi così male, comunque, era solo una situazione temporanea, contavo trovare rapidamente un lavoro. In effetti, la mia inattività è stata di breve durata. Poco dopo, Giovanni Paolo mi ha offerto un posto di barista nella sua birreria. Fui contento, avevo sempre trovato quel posto simpatico e il feeling tra il datore di lavoro e i lavoratori era buono, a condizione di essere performante; ricordatevi Giovanni Paolo controllava tutti, con l'età, era diventato sempre più esigente. Questa non è una critica, il suo carattere intransigente gli ha permesso di gestire correttamente il business, i suoi affari andavano bene. Tutto era tornato alla normalità, il mio morale Sali’ di nuovo, trovai finalmente una vita normale. Purtroppo, delle nuove sfide mi aspettavano, 3 mesi dopo la mia assunzione, una flebite scoppiò seguita da altre due. Persi un altro dente, un segno che il mio corpo si stava indebolendo. Pur cercando di farmi uscire dalla preoccupazione per la mia salute, una telefonata mi annuncio’ la morte di un altro amico affetto da l'AIDS. Fred il mio amico con cui lavorai al bar Airmen, con il quale andavo spesso fuori, piaceva a Monique, si conoscevano era un bravo ragazzo, è morto tre mesi dopo la scoperta della sua malattia. Perché così veloce? Fu una sberla ! Mi chiesi di nuovo se presto sarebbe stato il mio turno? Le mie gengive si ritiravano e i denti cadevano uno dopo l'altro, ero sconvolto. A ogni dente caduto c’era la disperazione, perdevo una parte di me, cominciai a piangere, gridando: "Mio Dio, come potro’ sorridere, mangiare, come faro’ a salire sul palco senza i miei denti, un mago senza denti, non potro’ mai trovare acquirenti per il mio spettacolo, e la mia scena di mimo, un clown senza denti ". Mi immaginavo sul palco, il grande dispiacere di chi évenuto a vedermi, gridando: "Dio mio, che orrore!" Psicologicamente, il morale subi’ un bel colpo. Il fisico anche ne risente: anche se si è giovani, senza i denti, dimostri 10 anni più vecchio, io che ero un maniaco, mi lavavo 4-5 volte al giorno, avevo ancora un bel sorriso . La clinica dentale di Strasburgo aveva già creato una targa per l'innesto di denti finti, non era molto estetico. Potevo sopportare questa protesi, io, che ho vomitavo anche con un pelo in bocca? Non poteva permettersi di pagarmi gli impianti che mi avrebbero valorizzato e nessuno se ne sarebbe accorto. Dietro il mio bar, mi sforzai a non sorridere troppo, avevo paura di spaventare i clienti. Liliane, la proprietaria, mi ha consiglio’ di andare al suo medico, un amico di famiglia. Quest'ultimo mi ha chiesto di fare un esame del sangue presso l'Ospedale Civile di Strasburgo, in particolare per analizzare il mio T4. Questo termine medico non vi dirà forse molto: i T4 sono i leucociti che il virus del AIDS attacca per primo rendendo deboli progressivamente le difese immunitarie. 15 giorni dopo l'esame del sangue, il medico ha detto che avevo solo "10" T4, mentre in una persona di buona costituzione il valore é compreso tra 500 e 1000. Mi chiedevo come fossi riuscito a fuggire ad altre malattie come il cancro della pelle o dei polmoni. Con poche difese, una semplice influenza mi poteva far morire. Avevo davvero un angelo custode vegliava su di me. Anche i medici erano stupiti, avevano visto morire persone che avevano molto più T4 di me, come si dice, un miracolo. La terapia HAART fu introdotta, con urgenza. Pensare che la mia vita dipendesse da questi farmaci non è stato rassicurante. 26 pillole da ingoiare, in due volte solo, per il resto dei miei giorni per continuare questa corsa ad ostacoli, che agonia! Potevo già immaginare gli effetti collaterali: male allo stomaco, problemi renali, mal di testa e diarrea .... Avrei avuto ancora la forza di superare questo? Ho spesso guardato i flaconi dei medicinalei, chiedendomi se ne valeva la pena di avvelenarmi. Sarebbe molto più semplice di fermare tutto cosi non sarei a carico della società. Mi sono detto: "Manu, non ne hai abbastanza di tutta questa sofferenza? Vuoi ancora a lungo giocare alla cavia? Non hai capito che ti usano per i loro esperimenti? queste persone non si curano dei tuoi sentimenti di dolore che provi. Vuoi chiedere loro di trovare un'altra vittima per servire la loro nobile causa? " Ma bisognava rassegnarsi? Avevo solo 33 anni, due anni in più di mio padre quando morì. Eppure, con gli antibiotici, la tubercolosi si cura bene. Perché non aveva seguito le raccomandazioni del suo medico? Avremmo potuto conoscerci , avremmo avuto la possibilità di vederlo invecchiare. Sono caduto di nuovo, nei miei pensieri oscuri: "E 'meglio così, Manu, tutte le tue storie lo avrebbero certamente colpito, questo uomo così fiero della sua discendenza, avrebbe dovuto affrontare tutte queste verità?" Stavo rivivendo quello che mio padre aveva vissuto, ma la mia scelta era diversa. Ha dovuto combattere, avevo ancora delle cose da vivere. Non avevo il diritto di abbandonare la mia famiglia, mia madre non avrebbe potuto sopravvivere, sapendo della mia morte. Mi rivolsi a Dio sperando che sarebbe d'accordo a mandarmi la stessa energia che avevo ricevuto quando avevo pregato la Vergine Maria a Fatima: "Santa Maria, vi prego, non abbandonarmi, dammi la forza necessaria per continuare il mio viaggio, che mi permetta di essere per gli altri pazienti un modello di coraggio, di mostrare che con un poco volontà e con la tua gentilezza, essi potranno affrontare tutti i loro problemi. Mio Dio, ti prego con tutta l'anima, aiutami! " I miei timori non erano infondati, gli effetti collaterali della terapia di combinazione non si fecero attendere a lungo attendere, ero malato a morire. Durante i primi giorni di trattamento, stetti malissimo, letteralmente in bilico tra: perdita di memoria, nausea, mal di testa, sudorazione fredda facevano parte della mia vita quotidiana. Non riuscivo a dormire, spendendo la metà della notte in bagno, vomitavo fino alle budella, ho sputato sangue e ancora e ancora questa diarrea mi ha dava tregua. Non volevo condividere le mie angoscie con i miei amici, mi avevano già ospitato e allora perché imporre, in aggiunta il mio lamento. Ero solo, così solo, nessuno mi poteva aiutare! Vidi un’uscita da tutti i miei problemi, bisognava tornare a Strasburgo da mia sorella Celeste. Avevamo già parlato in precedenza di questa eventualità, mi disse che nei momenti cruciali, solo la famiglia ti può aiutare. I portoghesi sono molto uniti, si aiutano a vicenda e nessuno mi ha mai deluso. Era la soluzione migliore, almeno a casa sua, sarei stato circondato, si sarebbe presa cura di me e avere la compagnia dei miei nipoti non mi dispiaceva. Installato da mia sorella, mi sentivo molto più tranquillo condivisi una stanza con Filipe, 20 anni, era un ragazzo interessante. Abbiamo trascorso le nostre serate a guardare la TV, per commentare l’attualità, è stato molto gratificante! Ebbe una totale fiducia in me, che mi chiedeva consigli su argomenti che non avrebbe discusso con i suoi genitori. Mio nipote fu un supporto inestimabile! L’altro mio nipote, Jose, è veniva a trovarmi regolarmente, lui e Filippe fecero del loro meglio per farmi dimenticare la mia malattia. Ogni volta che ho preso le medicine, mi incoraggiavano, vai zio Manu, è per il tuo bene, sappiamo che è difficile, ma vogliamo tenerti per tanto tempo con noi, sei il nostro zio preferito, non vogliamo perderti zio. "Grazie a voi, miei cari nipoti alla la vostra gentilezza, la vostra comprensione, siete riusciti a farmi dimenticare a volte questa tripla cura difficile da digerire, sono così orgoglioso di voi, Illuminate i miei giorni tristi!" Credo che senza la mia famiglia, non sarei ancora in vita, mi hanno dato la forza di continuare la mia lotta. Sono convinto che le persone sole e abbandonate si lascino andare, deperire, perché continuando a vivere, nessuno sarà dispiaciuto per me. Seguite il mio consiglio, se un giorno siete affetti da una grave malattia, non rimanete isolati, andate dalla tua famiglia, non rifiutate il loro aiuto, la solitudine è veramente la cosa peggiore in questi momenti dolorosi. Due mesi dopo feci delle analisi, il mio T4 era salito a 250, quindi il virus non era rilevabile (sonno) ripresi il gusto della vita. Pensai di riprendere gli spettacoli di magia, quando il mio dottore mi consigliò di mettermi in invalidità. Fui preso dal panico nel sentire questo termine per me era sinonimo di disabilità: disabilità quindi incapace di assumere me stesso completamente. Iniziai le procedure interminabili e lunghe trafile amministrative. Cercai di condurre una vita sana, no alcol ad oltranza, pasti e sonno ben regolati e nonostante tutti i miei sforzi, un ascesso anale mi ha mando in ospedale per cinque giorni. Il problema fu risolto, due mesi dopo, una recidiva e un ulteriore intervento in anestesia generale. Quell'anno tornai in Portogallo. Yves, un amico di lunga data, anche lui residente a Strasburgo doveva raggiungermi con Thierry, uno dei miei ex allievi. Non potei giocare alla guida, come facevo di solito. Thierry dormi’ a casa, ma, per mancanza di spazio, Yves ando’all’hotel. Il semplice fatto di recuperarlo al mattina e accompagnarlo la sera mi stancava già. Andare in discoteca, non ne parliamo! So che gli sarebbe piaciuto coinvolgermi di più, ma purtroppo, la mia condizione non me lo permetteva. Allora scusate amici, se ho fallito nel mio dovere! Temetti i 2 200 km per tornare indietro, avevo appena recuperato quelli dell’ andata. In una posizione scomoda, presi il volante, ho dovetti supportare dei dolori terribili per concentrarmi solo sulla strada soprattutto perché non ero in viaggio da solo, mio nipote Thierry Filipe e voleva tornare a Strasburgo. Il dolore mi fece interrompere il percorso. Decisi di visitare degli amici a La Rochelle e colsi l'occasione per trascorrere qualche giorno con loro. Batterie ricaricate, il resto del viaggio fu meno doloroso. Il giorno dopo il mio arrivo, fui di nuovo ricoverato per un altro ascesso anale; nuova anestesia e inserimento di un drenaggio. Facendo il calcolo, ho avuto una decina di operazioni connesse allo stesso problema. Quando fui dimesso, consultai un Angiologo che, visitandomi, mi chiese come potevo vivere in tali condizioni. Il mio ano è stato infettato nel punto più alto, con queste ripetute diarree, nessuna cura era possibile. Bisognava deviare la traiettoria delle feci per consentire all'ano di guarire correttamente. Seguii attentamente quello che il medico cerco’ di farmi capire. Quando mi disse che avrei dovuto mettere un ano artificiale (stomia) per un anno, sono quasi svenuto, e in più, essendo indebolito, l'operazione non era esente da rischi. Mi vidi ad andarmene in giro con un sacchetto di m ... sulla pancia. Le domande scorrevano: poteva staccarsi nel sonno? Potrebbe esplodere? come svuotarlo? passerà inosservato sotto i vestiti? Un forte sospetto mi disse che non era la fine dei miei problemi, anticipai, se il mio intervento andava male, scrissi una lettera alla mia famiglia. Ho voluto dimostrare tutto il mio amore e la mia gratitudine per tutto quello che mi avevano dato in questi anni. Ho incoraggiato i miei fratelli e sorelle a prendersi cura di nostra madre. Ho detto a mamma, che dal al di là, vegliero’ su di lei. Meus O deus, que tao é sofrer triste! " "Oh! mio Dio è difficile soffrire! " L'intera famiglia si raccolse intorno a me per rassicurarmi. Alla lettura della mia lettera, ho potuto vedere sulla loro faccia un sacco di emozioni, anche mio cognato che non piangeva mai fatico’ a trattenere le lacrime. Non riuscii a dormire quella notte, come se avessi vissuto i miei ultimi momenti. Lasciai la casa con la paura, chiedendomi se avrei la fortuna di ritornarci. Alla clinica, subito si presero cura di me, tra esami del sangue e gli elettrocardiogrammi, non ebbi molto tempo per provare pena per me stesso. Il chirurgo mi disse che l'operazione si sarebbe svolta verso le 9 e le 10 la mattina seguente. Nella stanza, mi sentii così solo. Vidi scorrere la mia vita, ricordai tutti gli errori. Sapevo che avevo fatto buone azioni e che mi avrebbero aiutato forse a guadagnare il paradiso. Pregai Dio con tutte le mie forze: "Signore, che la tua volontà sia fatta, la mia vita ora riposa nelle tue mani”. Potresti, nella tua grande bontà, assistere il chirurgo durante l'operazione e permettermi di trascorrere ancora un po di tempo con la mia famiglia? Mio Dio, te ne sarei eternamente grato. Alle 9.30, come previsto, mi ritrovai disteso sul tavolo operatorio. Il prodotto che l'anestesista mi aveva iniettato rapidamente fece effetto. Nel mio inconscio, il famoso tunnel bianco apparve, una sorta di istinto mi ha spinto ad andare avanti fino a raggiungere la luce accecante. Mi sentivo così bene, eppure mi sono reso conto che raggiungere la fine di questo lungo corridoio, non si può tornare indietro. Ho lottato, sapendo che non era ancora il mio momento. Mi svegliai, il corpo rigido, battendo i denti. Un’ infermiera mi sorrise e mi disse che tutto andava bene. Intubato, circondato da tubi e apparecchi, sono ritornato dal nulla lentamente, neanche la morfina che mi avevano somministrato, non mi dava sollievo, il dolore era lancinante. Quando ho ripreso i sensi, la mia prima preoccupazione fu vedere e sentire se avessero fissato la tasca. In effetti, lei era lì, c'era anche una sonda nel mio pene, un altro in bocca. La mia famiglia aspettava di avere notizie sull’operazione, sono stati sollevati dal fatto che l'intervento aeva avuto successo. L'infermiera fece entrare due persone alla volta in modo da non stancarmi troppo. Ha chiesto loro di indossare guanti, mascherina e camice per evitare di trasmettermi germi. Li guardai e piansi, incapace di parlare, cercai di farmi capire a gesti. Mia sorella mi prese la mano e disse: "Andrà tutto bene Manu, ti vogliamo bene!" Queste parole andarono diritte al mio cuore. Grazie a voi mie amate sorelle per la vostra presenza, per il vostro sostegno in questo difficile momento! Com’é confortante sentirsi circondati, ma mi mancava la mamma terribilmente. Doveva rassicurarmi me. Avrei tanto voluto che fosse li. Dopo 5 giorni in terapia intensiva, ritrovai la mia stanza, io ero ancora sotto morfina. Un fisioterapista passava a vedermi ogni giorno. Il suo compito era di far lavorare i miei muscoli, perché mi ero fuso visibilmente. Quando l'infermiera tolse la medicazione sopra la stomia, non riusciia staccare gli occhi da quel buco nel mezzo del mio addome. Che orrore! Era disgustoso! Una sensazione di disgusto scese su di me, non avevo mai visto niente di così abietto che avrebbe fatto parte di me adesso. Indovinando ciò che stava succedendo nella mia testa, mi ha rassicuro’: "Si calmi! Niente panico! così tante persone avevano fatto lo stesso intervento, come voi e che ora stanno bene ". "Ma si ricordi, ha aggiunto, ci sono norme specifiche di igiene da seguire". Mi sentii impotente, come un bambino che imparava a pulirsi per la prima volta. Non è stato facile accettare che le feci uscissero attraverso un foro nello stomaco per 34 anni mentre veniva naturale. Ora le feci uscivano dalla mia pancia, fu difficile da accettare, ma doveva andare cosi, ovviamente, la mia vita sarebbe cambiata. Con tutta la volontà del mondo, non riuscivo a gestire. Chiusi gli occhi quando l’infermiera mi medicava, rifiutandomi di imparare i passi base: staccare e svuotare la borsa, pulire il foro dallo sporco, sostituire il sacchetto. Ho pensato spesso a quegli uomini sposati stomizzati che devono dividere il letto con le loro mogli. Più di uno avrebbe perso i loro mezzi cercando di onorare la moglie per paura di affrontare il suo sguardo. Ho anche avuto un pensiero per quelle povere donne. Anche loro dovevano avere il coraggio di passare il resto della loro vita con un uomo con questo tipo di disabilità. Mi sono immaginato nelle loro pratiche sessuali, felice che Monica aveva avuto l'idea di porre fine al nostro rapporto prima dell'intervento. Non avrei voluto che mi veda in questo stato di degrado fisico. Dopo una ventina di giorni passati in ospedale, la bilancia segno’ 10 kg di meno. Ero uno scheletro ambulante! mie ossa doloranti, le mie gambe mi sostenevano appena. Mia sorella cerco di portarmi a casa, dove una grande sorpresa che mi aspettava. Mamma era lì! E 'arrivata 18 ottobre, il giorno dei miei 34 anni. Non posso descrivere la mia felicità nel vederla. Fra risate e lacrime, disse: "Sono qui, figlio mio, smetti di piangere, non ti preoccupare, ti rimetterai presto." Ho risposto, purtroppo: "Ma guardami, mamma, hai visto come sono diventato? Riconosci ancora tuo figlio? " "Certo", aggiunge lei, ai miei occhi rimarrai sempre lo stesso: il mio piccolo Nelinho, ti amo figlio mio "! Nelinho! era dolce di sentire, di nuovo, questo nome in bocca. Sono tornato il bambino che amava. Avere mia madre accanto, è stato il dono più grande che le mie sorelle avrebbero potuto offrirmi per il mio compleanno. Mi ha fatto piacere che si prenda cura di me durante la mia convalescenza, ero convinto che con lei, avrei recuperato molto meglio. Nulla è più forte dell'amore di una madre! Mia mamma è tutto per me è la persona che amo di più al mondo, eppure vi assicuro, ho tagliato il cordone lungo tempo, forse non completamente, perché l'amore che provo per Lei è così immenso. Forse questo è normale! è "la mia mamma" Si era presa cura di me dalla mattina alla sera, si prese cura di tutto, dei pasti, della mia pulizia, ha svuotato la mia tasca anche quando l'infermiera non è venuta. Ero molto imbarazzato che avesse a che fare con questo compito. Non era infastidita, il mio buco nell'addome non la impressionava, una madre può fare qualsiasi cosa per amore del suo bambino. Ho cominciato, lentamente, ad abituarmi al mio ano artificiale, eppure mi ponevo mille domande: Come è possibile flirtare con questo sacchetto attaccato alla mia pancia? Come fare dello sport? Come nuotare? Mamma, dopo 3 mesi in Francia, è tornata in Portogallo. Facevo le medicazioni da solo, scarico, servizi igienici, attaccavo la borsa. Una cosa mi turba ancora, il lezzo che essa emanava. Naturalmente che la sacca rovinava la il mia vita anche se a volte non andava come previsto. Quante volte mi sono svegliato in una pozza di merda, perché la busta si era staccata. Quante volte dovetti rientrare dalle serate prima del previsto perché ancora una volta si staccava la tasca, e centinaia di perdite: in autobus, in treno, in metropolitana, in auto ... In tali momenti, è meglio avere un ricambio su se stessi, ma purtroppo non è sempre stato così, perché tutto può succedere e quando succede a te, ti assicuro che si sta male, c’è solo una cosa da fare cambiarla. L’ho cambiata in qualsiasi posizione, come un contorsionista: in auto, nei bagni del treno - non facile soprattutto in movimento nella natura. Certo, non bisogna andare in gabinetto dopo di me. Immaginate di avere fare una puzzetta è già disgustoso, quindi 1 000 puzzette rilasciate in una volta. Rispetto a questo, Hiroshima, non é niente! 10 anni dopo il mio stoma, la mia famiglia, fa ancora fatica a sopportare la puzza è talmente persistente che si ha l’impressione di essere di fronte a un letamaio. Io non ho trovato finora, nessun prodotto per nasconderla eppure ho provato ogni marca di deodorante spray in commercio, anche se spesso ho diritto ai loro commenti: "Dio mio, Manu, come puzza!" Mi dispiace imporre questi odori. A volte mi chiedo come hanno il coraggio di vivere con me, obbligato a sopportarmi con le mie malattie e soprattutto perché li impestavo. Devo dire che ho un cognato eccezionale, mai in 8 anni, mi ha rivolto una parola di rimprovero. Trovo, inoltre, che durante tutto questo tempo, non abbiamo molto discusso tra uomini. Vorrei per avere un rapporto diverso con lui, andando a vedere il calcio o al cinema, un drink o semplicemente parlare. Gli scambi sono il nostro solo "ciao" al mattino e "ciao", la sera, ma so che mi vuole bene. Mi era già stato riferito che si vantò al pub per il mio coraggio è arrivato a casa, si ritirava, si comportava come se io non esistessi. "Sei strano, Manuel, quasi non ti capisco. Ho imparato a conoscerti, in tutti questi anni, infatti, sei un brontolone dal cuore d'oro. Che peccato che tu non possa esprimere i propri sentimenti un po di più! Ho interferito nella vostra vita insieme e spesso mi sento come un parassita. E 'per questo motivo che mi isolo alla sera, lasciandovi stare insieme. Io preferisco mangiare i miei pasti in camera mia in modo che possiate ritrovarvi, non devo condividere la vostra intimità. Voglio dirti, Manuel, non avrei potuto avere un cognato migliore e il resto della mia vita non sarà sufficiente per esprimerti la mia gratitudine. " Qui, anche un piccolo messaggio per la mia sorellina Celeste: "Mia cara sorella, il mio cuore trabocca di amore per te, se io non ho parlato prima, forse per modestia o semplicemente perché queste cose sono più facili da scrivere. La tua bontà, il tuo perdono e la tua misericordia mi dà la forza di vivere! Tu sei così devota, troppo spesso, sono costretto, di volta in volta, essere duro con te perché mi preoccupo per la tua salute preziosa come la mia, se non di più. Non vorrei che accada a te, non potrei sopportare di perderti, ancora di meno di altri le mie sorelle. Sei il mio equilibrio, la mia ragione di vita. Hai il dono di sostituto materno, quando la sua assenza pesa su di me. Spero che tu non debba mai soffrire, non lo meriti. Mia cara Celeste, senza di te non sono niente, per cui mi scuso per i miei colpi di testa , per gli eccessi di collera, non sono destinati a te personalmente, questo è il mio modo di evacuare tutte le sofferenze accumulate dalla mia malattia. Nessuno è perfetto! con tutto il mio passato, lo sono meno degli altri. Avresti avuto mille motivi per mettermi alla porta, ma al contrario, hai continuato a sostenermi e non lo dimenticherò mai. Mi auguro una cosa sola, mia amata sorella, di vivere più a lungo possibile con voi. Prometto di fare, ora, gli sforzi per contenere la mia rabbia in modo che non perdiate il vostro sorriso delizioso. Mia cara Celeste, ti amo teneramente. " Mina anche tu, ti ringrazio per tutto, sei sempre lì quando sto male, sei la più forte le ragazze non saprò mai come ringraziarti per il l’amore che mi dai, ti amo sorella mia, vorrei che ti godessi la vita, fa quello che hai voglia di fare Mimi, pensa a te, OK! Emilia la mia sorellina, hai due anni più di me, ma per me sei la mia sorellina, anche tu sei lì sempre per tutto , anche di più, mi vizi con il tuo amore, la tua bontà, sei sempre pronta a farmi doni per farmi piacere, ti preoccupi per me, vorrei vederti più felice, più soddisfatta. Vi amo tutte e tre, vi amo veramente. Antonio, tu mio fratello, mi dispiace una sola cosa: che non ti interessi a me non chiedi mai notizie e non passi mai. Viviamo a pochi chilometri gli uni dagli altri e ti vedo solo una volta ogni due anni in Portogallo. Non chiami mai,neanche mamma o nemmeno per Natale, non ti capisco, abbiamo lo stesso sangue che scorre nelle nostre vene. Ma cosa che è successo nel tuo cuore? Ci conosciamo appena, eppure io ti voglio bene. Ogni volta che ci incrociamo, sono felice, rispetto la tua scelta mio fratello, ma non sei forse influenzato da qualcuno, o tua moglie? Ma l'uomo e capo della famiglia hai forse paura di lei? La mia storia potrebbe finire qui. Le diarree, episodi di malattia di Crohn, i pannoloni, le ore passate in bagno, sembrava tutto così lontano. Ho pensato che con l'installazione della stomia, i miei problemi fossero risolti. Fate voi! Mi sbagliavo. Un mese dopo, ebbi la spiacevole sorpresa di vedere apparire un altro ascesso nella stessa posizione. Il medico mi ricovero’ di nuovo. Ogni risveglio divenne sempre più doloroso, l'anestetico serviva certamente a qualcosa. Non c'è da stupirsi che non avevo nemmeno eliminato il prodotto dal precedente intervento, che mi veniva iniettata ancora un’altra dose di questo veleno. Questa volta, il chirurgo decise di fare una biopsia della zona infetta. Mi annuncio’ qualche giorno dopo, aveva rilevato un cancro dell'ano. Io riuscivo a capire! Perché non aveva fatto fare queste analisi prima ? Avremmo potuto evitare tutte le recidive! Oh, mio Dio! non che, anche il cancro, perché, perché? Ho già sofferto abbastanza, quale prova volete ancora farmi subire? Preso dal panico, ho subito chiamato le mie sorelle per chiedere a loro di venirmi a trovare subito. Avendo appreso l’orribile notizia, erano crollate, il medico ci spiego’ il percorso del trattamento che mi stava prescrivendo, a cominciare dalla tappa più importante: la radioterapia per fermare le metastasi. Ero consapevole che non sarebbe stata una passeggiata, data in punti in cui il cancro si trovava. Preso l’appuntamento dal radiologo, ho iniziato la mia prima seduta di 30 che avrei dovuto sopportare. Poco sorridente, lui mi informo’ che sarei potuto diventare sterile. Ebbi voglia di ridere, la notizia sembrava così assurda, non avevo più rapporti da anni. Per un altro uomo, il fatto di non essere in grado di procreare sarebbe drammatico. Sapevo che non potevo avere figli, quindi la sterilità era l'ultima delle mie preoccupazioni. Due volte a settimana, sono andato alla clinica nella Orangerie per la mia radioterapia. E’ sempre da solo, mai nessuno ad accompagnarmi, ho avuto così tanto bisogno di una presenza, qualcuno che mi sostiene, ma non volevo dare preoccupazioni alla mia famiglia per non fargli perdere il lavoro a causa mia. Ogni paziente era accompagnato da una persona cara, ho avuto solo la mia ombra e me stesso, nessuno a prendere la mia mano, nessuno per farmi sorridere, solo un piccolo sorriso mi avrebbe dato un po ' speranza, di forza per affrontare questa situazione. Com'è triste essere soli. Ho passato ore in attesa del mio turno. Mi guardai intorno, non avrei mai immaginato che così tante persone possono essere affette da questa malattia odiosa. E 'stato spaventoso, persone di ogni età atteso attendevano, calmamente, in un clima funereo che mi dava la pelle d'oca. Tutti erano molto tranquilli, parlavano poco, perché esporre i propri problemi sapendo che altri pazienti erano lì per lo stesso motivo. Quando il dottore mi ha chiamato, mi chiese di spogliarmi e di presentarmi, completamente nudo davanti ai medici. Erano per lo più degli interni, che come per l'AIDS, mi visitavano come se avessero a che fare con una specie rara. In precedenza, non mi sentivo in imbarazzo, ma ora, con la mia tasca, mi sentivo davvero umiliato. Ne avevano sicuramente visti altri, ma non mi interessava,si trattava di me e del mio orgoglio, quest’ultimo dovetti lasciarlo nello spogliatoio, non è facile quando si é un essere umano. Superai le prime 10 sedute abbastanza bene. Dal 11 °, il raggio sempre posizionato alla stessa altezza del mio ano per bersagliare correttamente la zona infetta, ha cominciato a bruciare la mia pelle. Potei sentire, spesso, un odore di carne bruciata. Mi ricordava l’odore del pollo quando si passa sulla la fiamma per eliminare i resti delle piume. Strinsi i denti, il dolore fu atroce, ero ansioso di porre fine, ho contato i minuti che passavano e quando il medico disattivava il laser, mi dicevo: "ok Manu, meno uno". Al termine della 30a seduta, il mio ano era completamente bruciato. Non è stato drammatico! comunque io non volevo sfilare, le natiche in aria, in un campo di nudisti. Penso che con il mio culo bruciato e la mia borsa di merda appesa al mio ventre, farei scappare tutti i naturisti, se volete stare da soli in un angolo di spiaggia lontano dallo sguardo dei turisti, mi chiamate, vedrete che nel vedermi nudo, non ci sarà nessuno dopo 5 minuti. Tornai in clinica regolarmante per i controlli. Tutte le bruciature guarirono bene. Accidenti! Finalmente! Ero fuori dalla galera. Un altro test superato, a quando il prossimo? Voglio ringraziare il Dipartimento di Radioterapia, ho davvero apprezzato la gentilezza e la competenza del personale. Nonostante tutta la simpatia che provo per loro, mi piacerebbe non rivederli più. Poco dopo, notai che la stomia non aveva più lo stesso aspetto dei primi giorni. Delle croste si formarono e in alcuni punti, ci sono state piaghe che spurgavano. Le tasche non erano più adeguate al diametro del foro. A ogni doccia o a ogni cambio di tasca, sentii un dolore insopportabile. Mi resi conto che c'era un nuovo problema. Nessuno mi aveva detto che nei mesi che seguirono l'intervento chirurgico, lo stoma tende ad evolvere e questo è spesso si basata sulle variazioni di peso. Visto che avevo recuperato qualche chilo, questo cambiamento era normale. Avrei dovuto misurare la mia stoma per regolare il diametro interno della protezione della barriera cutanea alla sua forma e dimensione. Ma non ero stato informato. Questa è la prova che c'è molto disinformazione negli ospedali. Stesso caso per l'espansione. Un stomaterapeuta di seguito mi disse che bisognava farsi espandere due volte l'anno, dato che il buco aveva la tendenza a chiudersi. Gli stomizzati non hanno alcun interesse a ignorare queste regole altrimenti in caso di ostruzione, possono lasciarci loro pelle. Questo è ciò che mii è quasi accaduto molte volte. La mia ultima espansione data inizio giugno 2005. E 'stata fatta in anestesia generale, come tutte le altre, perché questa è la mia 21a operazione grande o piccola, in quel momento, il chirurgo mi disse che avevo bisogno di questa per una tasca per un anno. L'ansia a ogni intervento! L’ultima mi marco’in modo particolare, il chirurgo fece una biopsia e l'individuo’ un cancro al mio stoma. Ancora una, ho dovuto subire un'altra importante operazione per rimuovere le metastasi, e un trauma alla scoperta di un’ orribile cicatrice sulla pancia. Penso che un agricoltore avrebbe fatto meglio sviscerando il suo maiale. Il mio ventre, per cui si poteva ancora chiamare così, era stato tagliato dal basso verso l'alto, enormi punti di sutura tenevano in qualche modo i miei brandelli di carne. Fui furioso, mi irritai contro il chirurgo è stato davvero un lavoro buttato su! Poi, ragionando, dicendo che se ero in questo stato era perché aveva certamente grattato per eliminare eventuali metastasi. Peccato poi per l'estetica, era meglio fermare il cancro, le cicatrici svaniscono con il tempo. Ho messo 5 mesi per ritrovarmi la pancia di un aspetto quasi normale. In tutto questo tempo, rimurginai: quando finiranno questi problemi? Perché la vita mi riserva tutte queste prove? Esausto, ho aspirato, finalmente, una tregua. Vorrei che il buon Dio mi conceda la grazia di vivere da almeno 3 anni senza alcun intervento, sarei stato il più felice degli uomini. Sfortunatamente, non ascolto’ le mie preghiere, i guai continuarono, gengiviti su gengiviti, ostruzioni intestinali e poi, tre mesi di cortisone, arrivederci alla mia testa dopo tre mesi, tutto gonfio. Avrei dovuto fare il conto delle ore trascorse in ospedale nel corso degli ultimi 8 anni e presumo non sia finita, saro’ in pace solo quando sarò morto. Che vita di m...! Ho così tanta merda nella mia vita che potrei riempire una piscina olimpionica. No, io rifiuto questa idea, Manu bisogna continuare a lottare, ricorda, tu sei il modello di coraggio di migliaia di persone, non puoi lasciarti andare! Ultimamente, la mia condizione è stabile e il risultato delle analisi del sangue sono corretti. Anche se il mio T4 gioca al yo-yo, nel complesso, sto bene, nessun nuovo virus è stato rilevato. Ad ogni bilancio, la stessa ossessione! Io aspetto, con paura, i risultati. Quando la notizia è buona, una sensazione di sollievo di felicità mi danno il coraggio di continuare la mia lotta. Al servizio medico dell’ ospedale di Strasburgo, il personale è molto gentile. Penso che il loro lavoro non è facile. Confrontandosi giornalmente con la miseria umana e irrispettosa verso le persone che spesso li trattano male, non perdono il loro sorriso amichevole, e si fanno in quattro per aiutare i pazienti. Le infermiere sono anche molto gentili, gliene sono molto grato. Senza di loro e il mio medico, non sarei più di questo mondo. Voglio ricordare a quelle persone vili che le aggrediscono, terribile come possa essere la loro malattia, nulla dà loro alcun diritto di offendere gli altri. Credo di aver scelto il medico più competente e più simpatico del servizio. Le Dr. Hess-Kempf, non voglio fare il suo nome, una bella donna, che ha all'incirca la mia stessa età ed è sempre al mio ascolto. E’ molto gentile, sempre pacata, mi sento veramente bene con lei. Che fortuna ad avere una bella relazione con il proprio medico! Le confido le mie preoccupazioni, anche lei si confidò spesso, dopo tutto lei anche hai suoi problemi. Sono molto legato a lei e non vorrei in nessun caso, cambiare terapeuta. Ritorno su questi pazienti che si lamentano, davvero, non capisco. In Francia, la medicina è una delle migliori al mondo, la nostra copertura è indubbiamente superiore a quella di molti altri paesi, anche gli Stati Uniti, non hanno gli stessi vantaggi e credetemi, mi sono informato, una parte della mia famiglia vive lì. Senza soldi, niente cure, tutto ha un prezzo se si paga un'assicurazione sanitaria esorbitante, gli ospedali vi accettano se no muori. In Portogallo, nemmeno due ore di aereo dalla Francia, la medicina è ancora diversa da tutti gli altri paesi in Europa. E 'come gli Stati Uniti, se non si stipula l'assicurazione sanitaria, si è trattati, ma a quali condizioni! Vi aggiungono in lista di attesa e il tempo per essere accettati in un ospedale, potrebbe essere troppo tardi. E 'disgustoso! Il denaro governa il mondo, se ne possedete, è possibile avere la vostra camera in 24 ore, sei povero, tanto peggio per te! dovevi essere nato ricco per avere il diritto di vivere. Questi medici, che cosa riprovevole! Non c'è da meravigliarsi che possiamo vederli andare in giro in Audi o Mercedes. Per questo motivo, verifico che tutto sia in ordine prima di tornare al mio paese, se mi è capitasse qualche problema di salute, vorrei tornare in Francia perché odio essere ricoverato li. Ho quasi abbreviato la mia vacanza più di una volta, ma, fortunatamente, le cose sono messe a posto in seguito. Nel mio paese, è facile trovare partner sessuali. Dopo notti a bere e distrutte dai farmaci, alcune persone perdono completamente la testa, avrete solo l'imbarazzo della scelta. Ho avuto offerte ma ostacolato dall’ imbarazzo e dalla paura della scoperta del mio stoma, rifiuto, costantemente, tutti i rapporti. Io non sono frustrato di vivere cosi tenuto conto che non ho fatto sesso per quasi 10 anni. Già, 12 anni senza fare l'amore, io che ero adepto, la bestia del sesso, come tutto ciò é lontano ora, ho solo ricordi, ma gradualmente si affievoliscono dalla mia memoria. Dopo il mio intervento, e ancora prima, molto cose sono cambiate. Non proprio facile l’ astinenza, perché anch'io, come la maggior parte degli uomini, ho sollecitazioni e desideri. Fortunatamente, la masturbazione calma le passioni, e in questo modo, non mi sento esposto allo sguardo del mio partner. Cosa che è rassicurante è il fatto che piaccio ancora, nonostante tutto quello che ho sopportato. Mi dicono che sono un bel ragazzo, ne sono lusingato e accetto il complimento. Non pensare che mi gonfio per questo. Questa è una spinta per il mio morale, mi dà più coraggio per affrontare la malattia, tutti gli elementi positivi possono essere utili al morale. Mi piace mettermi in valore, prendere cura del mio aspetto, è molto importante per me, mi sento di essere in condizioni di parità con il resto del maschi. Vorrei fare questo passo, ignorare la stomia, mettere il mio orgoglio in un cassetto e cercare di trovare un partner che mi ami con tutto il mio handicap. Il mio medico ha fortemente raccomandato una relazione, è essenziale al il mio sviluppo. È vero che io sono troppo giovane per vivere come i monaci del Monastero Shaolin educati , solo dalle tecniche del kung fu. Essi insegnano che si deva "impallidire solo di fronte alla tigre." Non è dell'animale che parlano, i seguaci di kung-fu biogna sapere che la tigre è un eufemismo per i buddisti per indicare le donne. Nel mio caso, nonostante la mia passione per questa grande arte, non cerco di fuggire la "tigre", come i fratelli Shaolin Secolare, i quali, credo fermamente, se avessero potuto lasciare il celibato cosa avrebbero scelto?. È che la decisione non è facile da prendere, lasciare che il tempo faccia il suo corso, e penso che arriverà il giorno prima che io diventi vecchio e gobbo, quando abbandonero’ tutti i miei pregiudizi. Chissa’se, nel tempo, la frustrazione accumulata negli anni, non causerà una grande passione. Mi appello, se siete interessati, io sono un cuore da prendere, ho un fisico abbastanza piacevole soprattutto con Botox, il miracolo che ha cancellato i segni della mia malattia, mi ha ringiovanito, almeno di dieci anni, bella iniziativa per il mio medico che ha pensato le mie guance erano troppo profonde e il risultato è sorprendente, sembro un giovane adesso, per non esagerare, non facevo la mia età già prima del mio trattamento. Lì, realizzo che il mio comportamento é narcisistico e allora! va bene per sentirsi bene con se stessi. Questa è la prima volta in molti anni! L'anno scorso, mio nipote Jose Miguel si sposo’ con una bellaragazza Lucy. Ho avuto l'onore di essere scelto come testimone. Il matrimonio è stato grande, mio nipote è stato superbo nel suo smoking, e la sposa, raggiante nel suo bel vestito bianco. Mi rendo conto che gli anni filano ad una velocità incredibile, l’ho visto nascere e si già si é sposato. La sua partenza mi ha colpito molto, come la perdita di una persona care. Non è molto lontano, lo vedo ancora a seconda delle sue disponibilità, ma abbiamo condiviso tanto, mi ha sostenuto durante tutte le fasi della mia malattia che non lo dimenticherò mai. I suoi genitori, impegnati nel loro lavoro, non possono sempre essere all’ ascolto, gli ho mostrato tutto l'affetto che non potevo dare il mio figlio, ero come un secondo padre. La casa è così vuota da quando Josè Filippe se n’é andato a vivere la propria vita. "Se tu sapessi, Jose Miguel, come mi manchi, ricordati io sarò sempre lì per te, come tu lo sei stato per me, ti auguro tutto il meglio con Lucy!" Ho anche un pensiero per mia nipote Sandra. "Lo so, cara, che la tua vita non fu rosea. Tu stavi cercando, disperatamente, l’anima gemella, so che hai sofferto, sei nella mia stessa situazione, chi altro avrebbe potuto capire meglio, ma avevo trovato la mia lei e lei mi ha lasciato. Sei sempre stato la mia nipote preferita. Mi ricordo che da bambina mi sciolsi letteralmente quando sei venuta ad abbracciarmi e balbettasti "Zio Manu. E’ come se fosse ieri! Ora che hai trovato un bravo ragazzo in Portogallo e presto ci lascerai per unirti a lui, prego con tutta l'anima, che tu sia felice! Vedi, le cose funzionano per voi, non disperate, tu che pensavi che saresti rimasta zitella acida e irascibile. Ricordati dei tuoi genitori e pensa un po ', a zio Manu, anche se era un po' duro con te quando era ubriaco, non smise mai di amarti. Puoi contare su di me, mia cara Sandra, alla minima preoccupazione nella tua vita, ricorda, lo zio Manu saranno sempre lì per te. " Io sono lo zio più amato della terra. I miei nipoti, così diversi nella personalità, tuttavia, hanno una cosa in comune: la grandezza delle loro anime. "Filippo, Jose, Sandra, Joanna, Marina, Elisabetta, Jessica, siete assolutamente favolosi. Grazie per tutto il vostro amore, so che da adolescenti, abbiamo altri desideri piuttosto di condividere le giornate con uno zio malato. Siete stati li a prendervi cura di me, senza di voi al mio fianco, il fardello sarebbe stato molto più difficile da sopportare. Sono orgoglioso di quello che siete diventati, adulti responsabili ed equilibrati che sanno far fronte agli eventi della vita " Il 2006 è stato per me un anno di emozioni piuttosto forti. Durante la navigazione in rete con un amico ho incontrato un amico da Montpellier, Andrea, spendendo le mie serate nella mia piccola stanza che ho occupato per 10 anni. Siamo diventati amici attraverso la webcam, ci potevano vedere, parlare di tutto e niente. Gli ho detto quello che avevo, si confesso’anche lui è sieropositivo e viveva da solo da più di due mesi, è stato il nostro episodio serale dalle 23 alle 2:00 di notte. Decisi di incontrarlo, dopo una breve vacanza invernale, solo per prendere un po’ di colore. Il nostro incontro è stato bello e commovente, mi aspettava alla stazione di Montpellier, bello e sorridente. E 'stato magico, conoscevo il mio futuro amico. Dopo aver trascorso oltre 15 giorni insieme, per raccontare la nostra vita e conoscerci, ho capito che Andrea era un ragazzo simpatico, dolce e sensibile. Mi accettava per come ero, per me tutto fu molto forte! Non ho mai pensato che qualcuno potrebbe essere ancora interessato a me e mi ami con la mia disabilità, la mia tasca, il mio impianto, il mio virus. Finalmente ho trovato qualcuno perbene! No! dispiace non fu una donna, ma non importa. Ero felice e stavo bene con me stesso. Gli ultimi 10 anni di solitudine in una stanza da solo, giusto internet e TV come hobby hanno lasciatro il segno. Ma adesso sono mai solo. Anche voi che siete soli, male con voi stessi, qualunque sia il vostro handicap! C'è sempre qualcuno che sarà lì per voi, anche se è dello stesso sesso - per me, il sesso non mi interessa. Ho superato il corso ora, voglio solo essere felice di non vivere da solo come un eremita. In due, è così bello ridere, piangere, mangiare, condividere, meraviglioso. Anche se le persone dicono "Oh! due uomini insieme", lasciamoli dire. Ho finalmente capito che le voci non mi interessano, siate felici per me come lo sono per voi, e francamente, lo ammetto, amo Andrea, a modo mio, amo la mia famiglia mia mamma, i miei amici e tu Andrea, ti amo troppo. L’amore tra due persone che si rispettano a vicenda. La famiglia è fantastica, bella. Sono lì quando hai bisogno di loro e viceversa. Ma la famiglia non è tutto, ricordatevi di pensare anche la vostra felicità, perché ve la meritate! Andrea ha lasciato la sua bella città di Montpellier per venire a vivere con me in un appartamento, non lontano dal centro di Strasburgo. Non è facile per lui che ha lasciato la sua bella città del Sud, ma quando c'è l'amore, si può lasciare tutto, fino a quando l'amore o l'amicizia è forte e sincera. Sì, infine, sono felice, ringrazio Dio. Non avrei mai pensato di avere un po 'di felicità, come ha cambiato la mia vita, il mio modo di essere. Ah! la vita è meravigliosa insieme. Condividere, dare e ricevere: tre parole che non si può descrivere, è veramente bella! Quindi io non sono più disponibile, arrivate troppo tardi. Credo che questo sia un buon amico vero per la vita, mi lo auguro con tutta l'anima. Ridiamo bene insieme, come ci sbaruffiamo ogni tanto, ma così è la vita. E 'semplicemente la vita con i suoi alti e bassi, ma quanto é bella la vita! Peccato che è così breve, dovremmo vivere 300 anni per fare quello che vogliamo e vivere per sempre con la persona che ami. Anche al di là di questo, io mi godo ogni momento passato con lui e se il futuro ci porta via cosa non si sa mai - lui sarà sempre mio amico, non importa quello che succede. Jose e Elizabeth sono già genitori. Yep! Sono diventato zio 6 volte già, io sono felice. E tu Sandra, a quando il settimo? La famiglia cresce, gli altri sono già partiti, zii, genitori dei miei fratellastri, i miei zii, le zie. Ogni morte è una grande sofferenza, ma la vita va avanti. Nel 2007, ho anche vinto un ernia, l'operazione è andata bene, un'operazione pesante mi attese ancora una volta, mi spaventava, ma volli continuare la mia lotta, ancora e ancora, fino alla fine: per me, la mia famiglia, i miei amici, per voi. Andrea ed io partiamo in vacanza in agosto in Portogallo. Spero che tutto vada bene, che non avro’ alcun problema. Ho detto a tutti che stavo facendo, il seguito della mia biografia per approfondirla. Non avendo la stoffa di uno scrittore, certamente non voglio vincere un premio letterario. Questo libro mi ha permesso di esprimere con parole e frasi semplici, i miei più forti risentimenti. E ' una buona terapia scrivere, può rivelare i segreti che sono messi a nudo, ma ho ancora molti segreti, come tutti abbiamo i nostri giardini segreti. Non credo di aver detto tutto, nessuno ha mai raccontare tutta la sua vita, ma il mio più grande messaggio é l’amore che ho voluto trasmettere attraverso questo libro. Sono orgoglioso di trasmettere un messaggio di speranza per i pazienti che mi leggono. Dedico uno dei miei libri alla Vergine di Fatima, che così gentilmente mi ha dato una mano, mi ha dato la forza per affrontare tutte le sofferenze. "Oh! Santa Madre di Dio, grazie per il vostro appoggio nei momenti più cruciali, ho messo la mia anima ai tuoi piedi, io vi venero e vi adoro. Mai senza il tuo aiuto sarei riuscito a sopportare tutto il mio dolore, sia benedetta, Madre di Cristo. Ti prego, continua a proteggere me, me, peccatore, fino all'ora della mia morte! " Ho smesso di fumare dopo 20 anni di dipendenza da questa droga. La mia decisione è vantaggiosa in termini della mia malattia e anche il mio portafoglio, visto il prezzo delle sigarette in questi giorni! Quando facevo dello sport, non sentivo troppo effetto nocivi del tabacco, dal giorno in cui ho lasciato lo sport, in sostanza, dopo aver posizionato la stomia, le cose sono cambiate, ho avuto problemi per passare una ventina di metri e su per le scale, mi sono dovuto fermare ad ogni pianerottolo per riprendere fiato. Di fronte al mio computer, ho fumato di continuo, ero arrivato a due pacchetti al giorno. E 'diventato molto debilitante e malsano, la mancanza di ossigeno ha diminuito le mie difese naturali. E 'un giorno nello scrivere questo libro che ebbi il declic e ora sono molto felice. Mi sento diverso, ho un netto miglioramento del gusto e dell'olfatto. Per quest’ ultimo, questo non è necessariamente una buona cosa perché mi impediva di sentire l'odore quando cambiavo la mia tasca. Capisco meglio ora, i commenti delle persone che hanno occupato il bagno dopo di me! Come ho detto, indulgendo al fumo era molto costoso, metà della mia pensione di invalidità fini’ lì. Ho solo 480 € al mese, non molto per soddisfare le mie voglie. Ora, con il senno di poi, dico "Che spreco!" Il denaro è andato in fiamme mi avrebbe permesso di comprare cose più utili. Che cosa vuoi? Quella a sigaretta al momento che mi ha permise di calmare i miei timori. Non fu facile dare uno stop a questo vizio. Se voglio conservare il resto del mio stato di salute per qualche tempo, un divieto totale di fumo si impone! Non rimpiango questa decisione, io sono orgoglioso di essere stato in grado di perseverare e vincere. La mia dentiera, non la sopporto! Mi rovina la vita che ho cinquanta reflussi al giorno. Se il mio libro vende bene, voglio fare sopratutto una cosa: rifare i denti, mettere gli impianti. Lo so che è super costoso, io sarei disposto a investire, anche a credito, perché è veramente difficile per me vivere, mi impedisce di uscire, vedere, conoscere altre persone, perché sono sempre costretto a sgattaiolare fuori a vomitare. Mi perdo un sacco di cose buone della vita a causa di una semplice protesi . Se potessi farne a meno, lo farei, ma vedi, senza denti, mi sento giù, e in realtà non è molto estetico borsa per la cacca protesi in alto, culo bruciato, che mi resta come uomo normale? Mi basta fare un bel sorriso per mostrare alla gente che ho la gioia di vivere, e per vivere un po 'meglio, riacquistare una certa dignità. C'è un dentista con un grande cuore per aiutarmi a realizzare il mio sogno? Denti, solo dei denti ma senza protesi senza i vomiti, Mi auguro che si trovi presto un vaccino contro l'AIDS, sono incredibili tante scoperte, sono sicuro che nel prossimo futuro, un eminente studioso scoprirà la formula magica. "Voi che siete affetti da questa malattia maledetta, abbiate la pazienza di aspettare quel giorno, tenete duro e da allora, attenzione, proteggetevi per non trasmetterla agli altri. Sappiate che se non prendete le vostre precauzioni e se il vostro partner é infettoi, avrete la loro malattia sulla coscienza , è un crimine molto dannoso ancora più pesante se voi foste a conoscenza del vostro status. Se non si vuole parte parte di coloro che vendicano la loro malattia ad altri, seguite il mio consiglio. Essere onesti con gli altri è una delle più grandi virtù, specialmente quando si tratta di salvare vite umane ". In attesa di trovare un vaccino, non fate nulla, soprattutto la sera sotto i fumi dell’alcool su effetto di droghe, dove si incontra gente una notte, perché é questo che si dice “che non capiterà mai a noi.” Ci si pensa invincibili, i più forti. Ma con questo pensiero si diventa più vulnerabili, più fragili. Ricordatevi di proteggervi, non essere egoisti, pensate alla persona con la quale state, perché non è scritto sulla tua fronte o sulla sua: "Sono sieropositivo", anche se lo siete tutti e due ! Allora prudenza, quel breve momento di piacere può far marcire il resto della tua vita. E ricordate, la triplice terapia non cura l'AIDS, ma aiuta semplicemente a sentirsi meglio, per sopravvivere. Molte persone muoiono ancora oggi, anche sotto la terapia tripla e questi farmaci non sono da prendere alla leggera, ci sono molti effetti collaterali come mal di testa, nausea, vomito, mal di stomaco, diarrea, febbre, rash, prurito o gonfiore, aumento degli enzimi epatici, dolori articolari, dolori muscolari, vertigini, tosse, sintomi nasali, affaticamento, insonnia, perdita di capelli, anemia, globuli rossi ridotti, mancanza di respiro, cambiamento della pigmentazione, bruciore alla bocca dello stomaco, dolore al petto, tessuti muscolari alterati, disturbi epatici come aumento di volume del fegato, aumento del fegato grasso, infiammazione del fegato e del pancreas, cambiamenti nella pigmentazione delle unghie e della pelle, sudorazione, sintomi simil-influenzali, sonnolenza, minzione frequente, ingrandimento del seno nei maschi, dolore al petto , brividi, perdita di appetito, alterazioni del gusto, formicolio, convulsioni, riduzione della capacità di attenzione, depressione e sentimenti di ansia, ecc. Per non parlare di alcune persone: la morte. Fate in modo da non essere costretti alla triplice terapia, vi renderà la vita orribile, tutto il resto della vostra vita, un semplice preservativo vi eviterà tutti gli effetti collaterali! A tutti gli altri pazienti che soffrono di malattie gravi, non mollate, continuate a battervi, lottate fino alla fine, siate positivi. Il morale è molto importante. Io so che non è facile, ma nulla è certo in questo mondo, dobbiamo lottare per proprio posto, per dimostrare che esistiamo e vogliamo vivere, aggrappatevi alla vita. A coloro che lamentano di questo e di quello, basta lamentarsi, pensate agli altri che soffrono in silenzio, i loro figli colpiti da malattie cosidette orfane, tutti coloro che veramente lottano per rimanere in vita, poi, un mal di testa, mal di denti, si dimentica, felice di essere sano, e vi auguro di rimanerlo tutta la vita, ma attenzione comunque! Spero di non aver troppo sconvolto la mia famiglia, so che si impara da ogni altra faccia, non giudicate me e le mie sorelle, i miei nipoti! Mamma, io sono ancora il tuo Nelinho. Accettami come sono, e sii felice per me. Vi amo, Vi ho sempre amato, siete tutto per me. La nostra famiglia è molto unita, restiamolo , per sempre. Sono così orgoglioso di tutti voi, voi siete quello che amo di più al mondo, voi, le mie sorelle, i miei nipoti e pronipoti, la mamma, la mia famiglia, I LOVE YOU! In conclusione, per tornare alla prefazione. Per tutte le persone con AIDS, cancro o altre malattie: Battetevi! È ancora possibile trovare delle soddisfazioni su questa terra. Non disperate, ci saranno senza dubbio giorni migliori. Gli scienziati stanno lavorando giorno e notte non abbandonano, perché le cifre sono allarmanti, l'AIDS è devastante oltre ogni immaginazione. Proteggersi con il preservativo è l'unica soluzione per salvare la vita di una persona innocente. Mi rammarico profondamente, non avendolo utilizzato nel 1986, ci sono voluti solo pochi secondi e mi sarei risparmiato tutta questa sofferenza. Che incoscienza! un breve momento di piacere per gli anni di agonia. È troppo tardi per avere rimpianti. Ho subito pesantemente le conseguenze della mia disattenzione. Non ce l’ho con la persona che mi ha infettato, spero solo che non fosse intenzionale, comunque, preferisco non sapere. Vi prego, non fare lo stesso errore che ho fatto, spot pubblicitari, le scuole, informano regolarmente, la presenza di AIDS nel mondo. Si tratta di una piaga, non prendere alla leggera i loro consigli, anche se mi sto ripetendo, comprate i preservativi a qualsiasi prezzo , non vi sono scuse. Vi prego! "Proteggetevi” Vi auguro con tutto il cuore: "Buona fortuna e che Dio vi mantenga in buona salute!" e se ti senti solo e hai bisogno di una spinta, io sono qui per tenerti la mano, potete contattarmi via e-mail al seguente indirizzo. [email protected] Neldragon perché, come NEL Nelinho, Dragon è il mio segno cinese 142 perché il 141 e 143 erano già occupato da qualcun altro. Abbi coraggio, e se vi posso aiutare a tirarti su il morale, ne sarò felice! Vorrei anche i vostri pensieri sulla mia autobiografia, mi aiuterà a farne magari un seguito, se Dio vuole, ne scriverò un altro per i miei 30 anni di combattimenti. Nel frattempo, voi che soffrite, battetevi , ne vale la pena, continuate la lotta fino alla fine. Dio vi benedica! Emanuel. Ringrazio la mia famiglia e gli amici, sempre pronto a sostenermi nei momenti difficili: Mamma, Celeste, Mina, Emilia, Antonio, Philip Jose, Lucy, Sandra, Elizabeth, Nuno, Jessica, Joanna, Marina, Cristina, Gabriele, Daniel. Euclide, Manuel Alberto. Per l'ultima nata, e Hugo Miguel Lara, il mio piccolo grand-nipoti, un grande bacio agli altri pronipoti che non conosco dalla parte di mio fratello. La mia ex-moglie, Monique de Castro Daniele ed Elisabetta, due tecnici di laboratorio, Daniele grazie a voi per il vostro sostegno contro la mia malattia Miche Tia, Tio Toninho, Tio Tia Rosa, Manuel, Elisabetta, a Zé Paulo. Laida, Zé, Zélito Marguaret, Dany, Emanuel, Heavy, Paulo, Natalya, Gabriele, Marco. A Lili, la mia parrucchiera, Albina, sempre lì a farmi ridere, non cambiate ragazze, restate tali, è anche Ade, le tre sorelle divertenti da morire, vi amo! Amici della Francia: Thibaud, Anif, Thierry Judith, Jean-Eric, Sebastiano, Maria, Jean-Marie, Yves, Laetitia, Maniseng Sotha, mamma e papà Liliane Thailong, Giovanni Paolo, e Anne Hung, Nola, Soumeth, Lee, Chino, Thierry, Nelly, Kham, Faty La Rochelle, Pan, Tid, Mitsoulu, Gilles, Carlos Filipe, Manuel, Claude, Bruno, Bridget, Caroline e se dimentico qualcuno, mi scuso, sei qui nel mio pensiero. Un pensiero per il mio forte amico Judith sempre pronto ad aiutare e condividere momenti indimenticabili. Amici di Portogallo: Patel, Suelly, Cristina Rui, Catarina, Nuno, Paulo, Pilas, Batista, Manel Joao Ricardo, Carlos Ferreira, Fernando, Bina, Cave da Dino di Gafanha Encarnacao, Alberto Ferreira, Folitas Joao Lola Anna Maria, Romi Portogallo, José Luis, Paulo Carlos, Emilia, Nel, Carlos do Bar Oliveira, Rui, il mio amico Jose Torre, Rosa, Leonor Fernando, Belem, Andre Micinhas Lopes, Cristina, la mia figlioccia, Claudia . A tuute le Maria e Manuel tutti perché ne conosco molti. Se mai voglia di visitare il Portogallo, Gafanha, dove trascorsi le mie vacanze, vedrete è un super grazioso villaggio di pescatori. I miei amici BINA e da Dino grotta vi daranno il benvenuto nel loro grazioso bar-ristorante. Inoltre, si affittano camere piacevoli, a prezzi ragionevoli. Ah sì! Encarnação Gafanha non do Carmo, né da Nazaré. Un grande grazie a Sebastian, il mio farmacista, e Astrid Liliane correzzioni per questo libro. Grazie Astrid per il lavoro che hai fornito. Un grande ringraziamento al negozio Pianeta Saturno Strasburgo mi ha gentilmente offerto un portatile super per continuare la mia ouvrage.Grazie tante, ci sono persone di cuore su questa terra! Lilian, la ringrazio per tutto, le parole non possono esprimere la vostra gentilezza e la vostra generosità. Sebastian, tu sei diventato mio amico, dove hai lavorato, ti sei reso conto di seguito di quello che avevo, ma senza vedere il paziente, hai visto un essere umano, ho subito apprezzato la tua gentilezza presso la farmacia VINES eri il più simpaticol. Abbiamo passato ore a cercare i migliori prodotti quali borse, integratori, la tua pazienza è infinita, e grazie ancora per le nostre serate passate insieme, amico mio! Ai miei medici: DR Bernard-Henry, il dottor Hess-Kempf, Dr. Christian Loeb, il dottor Reibel, Lantz Dr, Dr. partigiano. Dott. Urban. Un affettuoso pensiero per i miei amici che sono morti di AIDS o il cancro. Dominic (morto di AIDS), Fred (morto di AIDS), Alain (morto di AIDS), Virgilio (morto di AIDS), Cirillo (morto di AIDS), Sandra (morta di AIDS), il signor Pascal (morto di AIDS) Joel (morto di AIDS), Pascal (morto di AIDS), Claude (morto di AIDS), Didier (morto di AIDS), Jacques (morto di AIDS), Christopher, Luca (morto di AIDS), Betty (morta di cancro) Serge (morto di AIDS), Patrick (morto di AIDS). Michele N. (morto di cancro), Michelle C. (morta di cancro) Il mio ipnotizzatore Jean-Marc (morto di arresto cardiaco), ho appreso della sua morte nel 2009, non ho mai pensato che ci avrebbe lasciato così presto. Grazie amico mio, grazie per tutto quello che hai fatto per me, senza di te io non sarei più in giro, ma credo che con il bene che hai fatto, sei andato in paradiso. Tu hai la tua stella, che brillerà per sempre nel nostro cuore, la mia e quelle degli altri. Per la voce di mia sorella grande cuore cantante Zaniboni o visitare il loro sito web. http://zani.musicblog.fr Per tutti gli amanti di Piat e Barbara. A TUTTI! "Dall’alto dei cieli, proteggetemi! Non dimenticherò mai i momenti meravigliosi passati insieme, anche se non vi ho seguito nel vozstro ultimo viaggio, io sono con voi con tutto il cuore. La nostra amicizia è eterna, vi posso assicurare che quando arriverà il momento, quando il Signore mi chiamerà a Lui, sarò felice di vedervi nella vita ultraterrena. Dio vi benedica, riposa in pace! " Papà, nonna, nonno, anche voi proteggetemi! Mi mancate così tanto ma perdonate il mio egoismo, non ho alcun desiderio di morire, mi batterò con tutte le mie forze contro la mia malattia, al fine di prolungare la mia permanenza sulla terra. Andrea è partito, addio amico mio, sono tornato ancora e ancora .. solo fino a quando? A mia mamma, le mie sorelle, miei amici per voi! il mio libro vi é offerto, dove ce la mia vita le mie gioie e i miei dolori. Si volete fare un dono per migliorare il mio quotidiano, allora lasciate parlare il vostro cuore.