Il Canzoniere di Petrarca Luoghi, figure, sentimenti, ideali Indice Vita di Francesco Petrarca Percorsi tematici del Canzoniere Lo stile Petrarchismo e antipetrarchismo Glossario Fonti bibliografiche e sitografia Vita di Francesco Petrarca 1312: la famiglia si stabilisce ad Avignone, allora sede del Papato. Primi studi di Petrarca e frequenza della facoltà di giurisprudenza a Montpellier (13161320). Conoscenza dei classici e della poesia lirica in volgare. Incontro con Laura nella chiesa di santa Chiara di Avignone (6 aprile 1327). 1337: ritiro a Valchiusa (Vaucluse) in una casetta isolata per dedicarsi in solitudine al lavoro letterario. 20 luglio 1304: nascita ad Arezzo da famiglia di origine fiorentina. Il padre (ser Pietro detto Petracco o Petraccolo) era stato bandito da Firenze perché guelfo bianco (ottobre 1302). 1330: al servizio come cappellano del cardinale Giovanni Colonna. Numerosi viaggi in Europa (Parigi, Fiandre, Germania, Roma). Vita di Francesco Petrarca 1342: incontro ed amicizia ad Avignone con Cola di Rienzo. Monacazione del fratello Gherardo e crisi spirituale di 6 aprile 1348: Petrarca. Nascita morte di Laura. della figlia illegittima Francesca. 1342: soggiorno solitario a Selvapiana sull’Appennino, ospite di Azzo da Correggio, signore di Parma (nuovo desiderio di solitudine). 1347: fallimento dell’insurrezione romana di Cola di Rienzo. Rottura definitiva con i Colonna. 1350: incontro a Firenze con Boccaccio, suo principale ammiratore. A Roma per il Giubileo. 8 aprile 1341 (giorno di Pasqua): conferimento a Petrarca della laurea poetica a Roma, in Campidoglio. Vita di Francesco Petrarca 1370: residenza ad Arquà, piccola località sui Colli Euganei, in una villetta appartata (raccoglimento finale). 1362: soggiorno 18 luglio 1374: morte e sepoltura ad Arquà (oggi denominata Arquà Petrarca). a Venezia (la Repubblica gli 1353: da Valchiusa a Milano aveva offerto presso la corte viscontea. una residenza). Missioni diplomatiche per conto della signoria. Nuovo incontro con Boccaccio (1359). 1368: trasferimento a Padova, ospite del signore Francesco da Carrara. Percorsi tematici del Canzoniere L’io petrarchesco e Laura Il narcisismo di Laura Memoria e paesaggio L’intellettuale Petrarca Risoluzione finale del dissidio L’amore Morte e trasfigurazione di Laura Impegno civile e riflessione politica L’io petrarchesco e Laura: il soggetto lirico Al centro del Canzoniere non troviamo tanto quella Laura che di continuo è oggetto esplicito dei testi, quanto l’io del poeta. Attraverso l’amore per la donna, il soggetto lirico mette alla prova se stesso. La poesia amorosa di Petrarca è fondata sulla ricchezza interiore e sulla complessità psicologica e affettiva. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel che sono, del vario stile in ch’io piango et ragiono fra le vane speranze e ‘l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, ode sovente di me medesimo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto, e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. RVF, I Altichiero, Francesco Petrarca, 1370 ? L’io petrarchesco e Laura: la personalità di Laura Non bisogna però credere che Laura non abbia nessuna personalità specifica, che sia insomma solamente l’occasione perché il poeta eserciti la propria interiorità. Laura si mostra dotata di una sua specifica personalità, definita da tappe biografiche, dalle notizie anagrafiche e dalla concezione morale e ideologica. Lassare il velo o per sole o per ombra, donna non vi vid’io poi che in me conosceste il gran desio ch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra. Mentr’io portava i be’ pensier’ celati, ch’ànno la mente desïando morta, vidivi di pietate ornare il volto; ma poi ch’Amor di me vi fece accorta, fuor i biondi capelli allor velati, et l’amoroso sguardo in sé raccolto. Quei ch’i’ più desïava in voi m’è tolto: sì mi governa il velo che per mia morte, et al caldo et al gelo, de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra. RVF, XI Miniatore fiorentino, Ritratto di Laura, Biblioteca Laurenziana ms Plut. 41,1F9r. L’io petrarchesco e Laura: il nome di Laura Alcuni termini sono utilizzati come senhal per riecheggiare il nome di Laura. Il “lauro” (= alloro) richiama sia la sacralità dell’arte (in quanto pianta sacra del dio Apollo) sia la “laurea” poetica conseguita da Petrarca a Roma. “L’aura” (= l’aere) riecheggia un motivo culturale diffuso nella lirica provenzale: il tema dell’aura, cioè del vento che soffia dal paese dell’amata portandone il ricordo fino al poeta (cfr. RVF, XV). “L’auro” (= l’oro) determina invece bisticci di parole per rimarcare stilisticamente la bellezza di Laura: la bionda capigliatura richiama l’immagine del sole (e nuovamente di Apollo – come Laura – ispiratore della poesia). Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ‘n mille dolci nodi gli avolgea, e ‘l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi. RVF, XC, 1-4 Io mi rivolgo indietro a ciascun passo col corpo stancho ch’a gran pena porto, et prendo allor del vostr’aere conforto che ‘l fa gir oltra dicendo: Oimè lasso! RVF, XV, 1-4 L’aura che ‘l verde lauro et l’aureo crine soavemente sospirando move, fa con sue viste leggiadrette et nove l’anime da’ lor corpi pellegrine. RVF, CCXLVI, 1-4 L’amore La trama dell’amore per Laura è scandita in modo meticoloso da tutta una serie di riferimenti cronologici e di anniversari. In questa fitta partitura di echi e rimandi cronologici si dispongono i momenti di una storia d’amore che è insieme un itinerario morale. Ecco a titolo esemplificativo alcuni motivi: Tema della sublimazione dell’amore e del potere salvifico della donna Tema della lontananza e della solitudine Tema della celebrazione della bellezza di Laura Tema dell’amore come causa di aspri conflitti interiori Laura incorona Petrarca, Biblioteca Laurenziana Ashb. 1263, f. 7r. Sublimazione dell’amore e del potere salvifico della donna Quando fra l'altre donne ad ora ad ora Amor vien nel bel viso di costei, quanto ciascuna è men bella di lei tanto cresce 'l desio che m'innamora. I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora che sí alto miraron gli occhi mei, et dico: Anima, assai ringratiar dêi che fosti a tanto honor degnata allora. Da lei ti vèn l'amoroso pensero, che mentre 'l segui al sommo ben t'invia, pocho prezando quel ch'ogni huom desia; da lei vien l'animosa leggiadria ch'al ciel ti scorge per destro sentero, sí ch'i' vo già de la speranza altero. RVF, XIII N.H.J. Westlake,Visione di Beatrice dal Purgatorio, 1864. Tema della lontananza e della solitudine Solo et pensoso i piú deserti campi vo mesurando a passi tardi et lenti, et gli occhi porto per fuggire intenti Il poeta cerca luoghi isolati ove vestigio human l'arena stampi. per nascondere agli altri la vista del proprio stato, dal Altro schermo non trovo che mi scampi quale risulta evidente il suo dal manifesto accorger de le genti, amore. Il paesaggio è comperché negli atti d'alegrezza spenti plice della vicenda interiore di fuor si legge com'io dentro avampi: del poeta, ovunque inseguito da Amore. sí ch'io mi credo omai che monti et piagge La compresenza dei temi et fiumi et selve sappian di che tempre della solitudine, dell’isola- sia la mia vita, ch'è celata altrui. mento, del rapporto privilegiato col paesaggio e del Ma pur sí aspre vie né sí selvagge dialogo interiore con i sen- cercar non so ch'Amor non venga sempre timenti fa di questo testo ragionando con meco, et io co llui. un eccezionale prototipo del modello lirico petrarRVF, XXXV chesco. Celebrazione della bellezza di Laura Tra quantunque leggiadre donne et belle giunga costei ch'al mondo non à pare, col suo bel viso suol dell'altre fare quel che fa 'l dí de le minori stelle. Amor par ch'a l'orecchie mi favelle, dicendo: Quanto questa in terra appare, fia 'l viver bello; et poi 'l vedrem turbare, perir vertuti, e 'l mio regno con elle. Come Natura al ciel la luna e 'l sole, a l'aere i vènti, a la terra herbe et fronde, a l'uomo et l'intellecto et le parole, et al mar ritollesse i pesci et l'onde: tanto et piú fien le cose oscure et sole, se Morte li occhi suoi chiude et asconde. RVF, CCXVIII Ghirlandaio, Giovanna degli Albizi, 1488. L’amore come causa di aspri conflitti interiori Pace non trovo, et non ò da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio. Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra, né per suo mi riten né scioglie il laccio; et non m'ancide Amore, et non mi sferra, né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio. Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et ò in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. RVF, CXXXIV E. Munch, Ceneri (particolare), 1894. Il narcisismo di Laura La lontananza di Laura dal poeta non è soltanto lontananza nello spazio, ma anche distanza psicologica. La donna è spesso caratterizzata come fredda e altera, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “cattiva”. Origine del dolore è anzitutto il desiderio inappagato, suscitato dalla bellezza sensuale di Laura: questo è il tema del ciclo dei sonetti dello specchio (XLIV-XLVI). Laura contempla la propria bellezza riflessa, si chiude in sé stessa e si sottrae all’amore del poeta. Caravaggio, Narciso, 1599. Il narcisismo di Laura L'oro et le perle e i fior' vermigli e i bianchi, che 'l verno devria far languidi et secchi, son per me acerbi et velenosi stecchi, ch'io provo per lo petto et per li fianchi. Però i dí miei fien lagrimosi et manchi, ché gran duol rade volte aven che 'nvecchi: ma piú ne colpo i micidiali specchi, che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi. Questi poser silentio al signor mio, che per me vi pregava, ond'ei si tacque, veggendo in voi finir vostro desio; questi fuor fabbricati sopra l'acque d'abisso, et tinti ne l'eterno oblio, onde 'l principio de mia morte nacque. RVF, XLVI Laura ha qui un atteggiamento analogo a quello di Narciso. Sono ripresi non solo l’elemento della bellezza e dello specchiarsi, ma anche quello dell’acqua come elemento inquietante. Lo specchio è fabbricato in Inferno e immerso nel Lete, fume eterno dell’oblio (vv. 1214) e quindi emblema della sordità del mondo. È però interessante che a morire non sia Laura, ma il poeta (v. 14): Petrarca, implicitamente è come la ninfa Eco, che si consumò d’amore per Narciso sino a ridursi a sola voce senza corpo. Più sottilmente, c’è un rapporto sotterraneo tra la vanità della donna e Petrarca che, con la sua poesia, l’ha alimentata. Morte e trasfigurazione di Laura Il 6 aprile 1348 muore Laura. Dopo aver dato sfogo alla iniziale disperazione, il poeta si appresta a riconsiderare tutta la lunga storia del proprio amore alla luce della definitiva scomparsa di Laura dalla scena terrena. L’esperienza di distanza vissuta finché Laura era viva cede ora progressivamente il passo a una possibilità di incontro che prima non era stata mai conseguita con altrettanta serenità e sicurezza. Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, oimè il leggiadro portamento altero; oimè il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo! et oimè il dolce riso, onde uscío 'l dardo di che morte, altro bene omai non spero: alma real, dignissima d'impero, se non fossi fra noi scesa sí tardo! Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire, ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo, via men d'ogni sventura altra mi dole. Di speranza m'empieste et di desire, quand'io partí' dal sommo piacer vivo; ma 'l vento ne portava le parole. RVF, CCLXVII J. E. Millais, Ophelia, 1852. Morte e trasfigurazione di Laura La figura di Laura subisce alla fine del Canzoniere una profonda trasformazione. Laura perde, dopo la morte, i tratti in qualche modo ambigui e complessi che ne caratterizzano il comportamento da viva, presentandosi come la portatrice di un valore definitivo capace di dare un nuovo significato alle cose. Questa trasformazione è affidata qui anche – per la prima volta – a interventi diretti della donna, che consola il poeta a superare la limitata passione che lo ha fino a quel momento legato a lei. Se lamentar augelli, o verdi fronde mover soavemente a l'aura estiva, o roco mormorar di lucide onde s'ode d'una fiorita et fresca riva, là 'v'io seggia d'amor pensoso et scriva, lei che 'l ciel ne mostrò, terra n'asconde, veggio, et odo, et intendo ch'anchor viva di sí lontano a' sospir' miei risponde. "Deh, perché inanzi 'l tempo ti consume? - mi dice con pietate - a che pur versi degli occhi tristi un doloroso fiume? Di me non pianger tu, ché' miei dí fersi morendo eterni, et ne l'interno lume, quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi". RVF, CCLXXIX Memoria e paesaggio Decisivo appare nel Canzoniere il tema della memoria. Nasce, soprattutto nella sperimentazione attorno al tema della memoria, la “specializzazione” del linguaggio poetico come linguaggio rievocativo: il poeta qui si rivolge ai luoghi che hanno accolto in passato la presenza di Laura, e, come in un testamento, chiede di essere sepolto appunto in quei luoghi, nella speranza che un giorno Laura stessa, tornandovi, possa essere presa infine da pietà alla vista della sua tomba. Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udïenza insieme a le dolenti mie parole extreme. RVF, CXXVI, 1-13 J. W. Waterhouse, Ophelia, 1894. Impegno civile e riflessione politica Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, 1328 . Italia mia, benché 'l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sí spesse veggio, piacemi almen che ' miei sospir' sian quali spera 'l Tevero et l'Arno, e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio. Rettor del cielo, io cheggio che la pietà che Ti condusse in terra Ti volga al Tuo dilecto almo paese. Vedi, Segnor cortese, di che lievi cagion' che crudel guerra; e i cor', che 'ndura et serra Marte superbo et fero, apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda; ivi fa che 'l Tuo vero, qual io mi sia, per la mia lingua s'oda. RVF, CXXVIII, 1-16 Con la canzone all’Italia Petrarca critica severamente il particolarismo che divide e mette gli uni contro gli altri sovrani e popoli appartenenti a una stessa tradizione e a una stessa cultura. Vi è un solenne richiamo alla civiltà nazionale italiana, fondata sulla tradizione di Roma. Oltre all’invito alla pace, il poeta interviene anche su una questione destinata a grande rilevanza nel dibattito politico dei due secoli successivi: l’utilizzo da parte dei signori italiani di truppe mercenarie straniere. Impegno civile e riflessione politica Fanno nucleo a sé i tre sonetti dedicati a criticare la corruzione della curia avignonese (CXXXVI-CXXXIII). L’attributo di “babilonesi” con cui i tre testi sono anche noti, deriva dal fatto che Petrarca (come già Dante) personifica la curia nella grande Babilonia “madre delle prostitute e delle abominazioni della terra” (Apocalisse XVII, 118). Qui si invoca sugli ecclesiastici corrotti la pioggia di fuoco, la stessa punizione che Dio aveva riservato a Sodoma e Gomorra, le due città bibliche del peccato. Fiamma dal ciel su le tue treccie piova, malvagia, che dal fiume et da le ghiande per l'altrui impoverir se' ricca et grande, poi che di mal oprar tanto ti giova; nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva, di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l'ultima prova. Per le camere tue fanciulle et vecchi vanno trescando, et Belzebub in mezzo co' mantici et col foco et co li specchi. Già non fustú nudrita in piume al rezzo, ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi: or vivi sí ch'a Dio ne venga il lezzo. Distruzione di Babilonia, arazzo di Angers, sec. XIV. RVF, CXXXVI L’intellettuale Petrarca Petrarca afferma il ruolo del nuovo intellettuale pre-umanistico: il suo ruolo è innalzato dalla superiorità conoscitiva, consapevole dell’elitaria attività intellettuale e della solitudine dell’uomo di cultura che ne consegue. È così che esorta un amico a percorrere la via dello studio, meno facile della via che conduce al successo e alla vile ricchezza. Ma solo attraverso il non-coinvolgimento nelle vicende pratiche è possibile il distacco e la superiorità del giudizio morale che il poeta si attribuisce. La gola e 'l sonno et l'otïose piume ànno del mondo ogni vertú sbandita, ond'è dal corso suo quasi smarrita nostra natura vinta dal costume; et è sí spento ogni benigno lume del ciel, per cui s'informa humana vita, che per cosa mirabile s'addita chi vòl far d'Elicona nascer fiume. Qual vaghezza di lauro, qual di mirto? Povera et nuda vai philosophia, dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via: tanto ti prego piú, gentile spirto, non lassar la magnanima tua impresa. Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca, 1376. RVF, VII Risoluzione finale del dissidio La riflessione sulla morte di Laura porta alla sua accettazione e a una condizione rasserenata, nella quale il pentimento porta alla conversione. La lunga lotta per la conquista della coscienza, intesa qui come padronanza del proprio complesso mondo interiore, appare finalmente vinta. Il Canzoniere si chiude con la conquista di un nuovo oggetto d’amore: non più la donna desiderata, né l’angelo stilnovistico, né una nuova Beatrice. Il referente femminile al quale è dedicato l’ultimo componimento è la Vergine Maria, l’incarnazione più alta di quel nuovo modello di femminilità che Laura pian piano è venuta determinando. Petrarca chiede alla Madonna l’aiuto ancora necessario per completare il distacco dall’esperienza mondana. In questo modo la canzone conclusiva alla Sonetto I Voi ch’ascoltate Canzoniere Vergine si colloca idealmente prima del in rime sparse il suono sonetto proemiale che introduce il Canzoniere, il quale mostra, con il Canzone distacco esplicito del poeta, che la CCCLXVI preghiera alla Madonna è stata Vergine bella, che di sol vestita effettivamente realizzata. Risoluzione finale del dissidio Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sí, che 'n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so 'ncominciar senza tu' aita, et di Colui ch'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede: Vergine, s'a mercede miseria extrema de l'humane cose già mai ti volse, al mio prego t'inchina, soccorri a la mia guerra, bench'i' sia terra, et tu del ciel regina. RVF, CCCLXVI, 1-13 Giotto, Madonna col Bambino, 1320-30. Lo stile Lessico La metafora Stile antirealistico e musicale Equilibrio e variazione Forme metriche utilizzate Lessico Per il rigore delle sue scelte tematiche, Petrarca mette a punto un lessico rigoroso. Sono esclusi tutti i termini che alludono a realtà basse, come quelle del corpo e della quotidianità. Petrarca tende a una certa generalità e astrattezza: Preferenza a nominare le classi piuttosto che le specie o gli individui: fiori; augelli erbe, fronde, lauri verdi sassi duri L’aggettivazione allude a una qualità eminente e quasi stereotipa del nome cui si riferisce: acque chiare, fresche et dolci viso, riso, occhi, sguardo dolce, soave, vago chiome, capei biondi, d’oro, crespi La metafora L’apertura agli altri campi dalla realtà e dell’esperienza umana avviene attraverso la metafora. In questo modo, Petrarca può anche ricorrere al lessico guerresco: Era il giorno ch'al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i' fui preso, et non me ne guardai, ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d'Amor: però m'andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: però al mio parer non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l'arco. RVF, III La figura dominante in questo sonetto è la metafora che assimila l’innamoramento a un assalto: fui preso, v. 3; mi legaro, v. 4; far riparo, v. 5; colpi, v. 6; disarmato, v. 9; ferir, saetta, v. 13; armata, arco, v. 14. Dato il contesto, anche l’immagine della via aperta degli occhi, divenuti uscio et varco alle lagrime (vv. 10-11), può essere ricondotta alle fortificazioni che cingevano le città medievali, e rientrare nell’area metaforica dominante. Stile antirealistico e musicale Lo stile del Canzoniere è nettamente antirealistico: esso tende a risolvere la realtà delle cose in un mondo coerente di parole. L’attenzione alla musica del verso è costante. Spesso è la ripetizione o concentrazione dei nessi consonantici a dare forza all’espressione, oppure il poeta tende a variare i timbri vocalici pur tenendo fermi altri suoni: ChiArE, frEsChE Et dolci ACQuE RVF, CXXVI, 1 Favola Fui gran tempo, onde sovente di ME MEdesiMO MEco MI vergogno et del mio VaneGGiar VergoGNa è ‘l frutto, e ‘l pentersi, e ‘l Conoscer CHiaramente CHe Quanto piace al mondo è breve Sogno. RVF, I, 10-14 La musicalità è giocata sul ritorno del suono k e sull’alternanza di a ed e. Affollarsi di allitterazioni che non hanno funzione imitativa (cioè non riproducono un suono naturale), piuttosto hanno la funzione di sottolineare il significato intensificandolo. Equilibrio e variazione Il carattere intellettuale della struttura poetica è confermato dalla tendenza all’aequitas. Versi e strofe si basano su richiami, riprese, simmetrie, parallelismi, opposizioni. Al tempo stesso, Petrarca evita accuratamente ogni rigidità, ricorrendo spesso alla variatio. Egli ottiene così insieme saldezza architettonica e libertà, simulando una naturalezza che è invece il frutto di calcoli accurati: Solo e pensoso; Disposizione binaria degli aggettivi, per conferire un’armonia piana ai versi … Canuto e bianco; Debile e fallace; Dolci rime leggiadre; Alma e bella … a cui si associa spesso la figura dell’antitesi: Pace non trovo, e non ò da far guerra E temo, e spero; et ardo, e son un ghiaccio […] Pascomi di dolor, piangendo rido RVF,CXXXIV 1-4;12 Forme metriche utilizzate Un altro aspetto formale da segnalare è la varietà metrica dei componimenti: 317 sonetti; 29 canzoni; 9 sestine; 7 ballate; 4 madrigali. Saranno questi tipi metrici ad assumere valore di modello per la lirica italiana successiva, che dal Canzoniere accoglierà inoltre altri aspetti metrici: - canonizzazione dell’endecasillabo con l’accento secondario in quarta o sesta posizione, oltre a quello fisso sulla decima; - tendenza a evitare dialefe e dieresi; - limitazione dei versi nella canzone all’endecasillabo e al settenario; - riduzione delle stanze della canzone a cinque, sette o dieci. Petrarchismo e antipetrarchismo Nel ‘400 il Canzoniere di Petrarca cominciò a essere oggetto di imitazione. L’apice di questa tendenza fu raggiunto nel ‘500 da Pietro Bembo che teorizzò l’eccellenza del volgare petrarchesco (Prose della volgar lingua, 1525). Bembo compose rime di stretta osservanza petrarchesca: con lui perciò si fa iniziare il petrarchismo, imponente fenomeno di cultura e di costume, che nel ‘500 celebrò la sua stagione trionfale in Italia e in Europa. Pietro Bembo Pietro Aretino Contemporaneamente sorse una vivace corrente di antipetrarchismo parodistico, significativo nella storia della fortuna del Canzoniere, perché la parodia è sempre, implicitamente, consacrazione di valori e riconoscimento dello statuto di capolavoro (Teofilo Folengo, Pietro Aretino, Francesco Berni). Anche William Shakespeare rivelò la conoscenza della lirica petrarchesca rovesciandone scherzosamente i motivi, nei sonetti dedicati alla “dark lady”. Teofilo Folengo Francesco Berni William Shakespeare La donna petrarchesca di Pietro Bembo Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura Ch’ a l’aura su la neve ondeggi e vole, Occhi soavi e più chiari che ‘l sole, Da far giorno seren la notte oscura, Riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura Rubini e perle, ond’escono parole Sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle, Man d’avorio, che i cor distringe e fura, Cantar, che sembra d’armonia divina, Senno maturo a la più verde etade, Leggiadria non veduta unqua fra noi, Occhi soavi Crin d’oro crespo Riso, rubini e perle Giunta a somma beltà somma onestade, Fur l’esca del mio foco, e sono in voi Grazie, ch’a poche il ciel largo destina. Pietro Bembo, dalle Rime, 1530. Sandro Botticelli, Giovanna degli Albizi, 1486. Neve (viso candido) La donna antipetrarchesca di Francesco Berni Chiome d’argento fino, irte e attorte Senz’arte intorno ad un bel viso d’oro; Fronte crespa, u’ mirando io mi scoloro, Dove spunta i suoi strali Amor e Morte; Occhi di perle vaghi, luci torte Da ogni obietto diseguale a loro; Ciglie di neve, e quelle, ond’io m’accoro, Dita e man dolcemente grosse e corte; Chiome d’argento, fronte crespa Occhi di perle vaghi (cisposi e lacrimosi) Labbra di latte, bocca ampia celeste; Denti d’ebano rari e pellegrini; Inaudita ineffabile armonia; Costumi alteri e gravi: o voi, divini Servi d’Amor, palese fo che queste Son le bellezze della donna mia. Viso d’oro (viso giallo) Francesco Berni, Rime, 1535. Quentin Metsys, Vecchia grottesca, 1525. Labbra di latte (pallide) La “dark lady” di William Shakespeare Niente simili al sole gli occhi della mia bella Ben più rosso è corallo che il rosso delle labbra sue Se neve è bianca, allora lei ha oscure le mammelle: Se i capelli son crini, nero crine la prospera sul capo: Niente simili al sole gli occhi della mia bella (occhi scuri) Rose sulle guance sue non vedo Screziate rose ho visto, rosse e bianche, Ma tali rose sulle guance sue non vedo, E in parecchi profumi è assai miglior delizia Che non nel fiato che la mia bella rende. Adoro il suo parlare, eppure so bene Che musica ha concenti assai più grati: Dea non vidi mai, confesso, camminare: La mia bella se ne va coi piedi sul terreno. Nero crine la prospera sul capo Ben più rosso è corallo che il rosso delle labbra sue (labbra pallide) Eppure, per il cielo, io la stimo tanto rara, Qual donna mai tradita da strambi paragoni. William Shakespeare, Sonetti, 1592-99, traduzione di G. Melchiori. Anonimo, Mary Fitton, circa 1595. Glossario (clicca sul lemma per tornare alla pagina di riferimento) Allitterazione: figura retorica, che consiste nella ripetizione degli stessi suoni all’inizio o all’interno di due o più parole, ad es. di ME MEdesimo MEco MI vergogno, dove viene ripetuto il suono me/mi. Antitesi: figura retorica (dal greco antìthesis “opposizione”), che conferisce risalto a due immagini consecutive, sfruttandone il senso più o meno opposto. Ballata: forma metrica destinata originariamente a essere cantata e ballata, composta da strofe di identico schema, ciascuna preceduta da un ritornello o ripresa. Canzone: componimento poetico, formato da un numero non determinato di strofe, o stanze, uguali fra loro per quanto riguarda la struttura metrica e la disposizione delle rime. Dialefe: la pronuncia in due sillabe di due vocali, una alla fine di una parola, l’altra all’inizio della successiva. Dieresi: la pronuncia in due sillabe di due vocali consecutive appartenenti alla stessa parola. Endecasillabo: verso di dieci sillabe più, solitamente, una sillaba non accentata dopo la decima. Madrigale: forma metrica solitamente formata da due piedi di tre versi l’uno variamente legati tra loro da rima a cui fa seguito un distico a rima baciata. Metafora: figura retorica (dal greco metaphorà “trasporto, mutazione”), che consiste nella sostituzione di un termine con un altro, designante un oggetto che abbia almeno una qualità in comune con l’oggetto designato dal termine sostituito. Senhal: nella poesia provenzale l’identità della donna amata va tenuta nascosta per motivi di opportunità sociale: perciò ella non compare con il suo nome, ma con un senhal. Petrarca usa il nome di Laura con lo stesso intento allusivo, ma moltiplicandone i significati. Come in altri casi, Petrarca complica e riqualifica gli elementi compositivi della lirica precedente. Sestina: forma strofica inventata dal provenzale Arnaut Daniel, in cui ogni stanza ha sei versi e sei rime: ogni verso è irrelato all’interno della strofa, ma trova corrispondenza nelle stanze successive. Settenario: verso con accento fisso sulla sesta sillaba e un altro accento principale, non fisso, su una delle prime quattro sillabe. Sonetto: metro di origine italiana, inventato dal poeta siciliano Giacomo da Lentini. Si compone di quattordici versi endecasillabi distribuiti in quattro gruppi di quattro e tre versi (4 + 4 + 3 + 3), detti, rispettivamente, quartine e terzine. Fonti bibliografiche e sitografia Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata, Mondadori, Milano, 1996; Francesco Petrarca, Canzoniere, con un’introduzione di Roberto Antonelli e un saggio di Gianfranco Contini, Preliminari sulla lingua del Petrarca, Einaudi, Torino, 1992; Mario Biagioni, Raffaele Donnarumma (et alii), I testi, le immagini, le culture, I – Dalle origini al 1610, G. B. Palumbo Editore, Palermo, 2007, (volume di base: pp. 358-408; volume per generi: pp. 236-270); Umberto Bosco, Francesco Petrarca, Editori Laterza, Bari, 1961; Roberto Fedi, Invito alla lettura di Petrarca, Mursia, Milano, 2002; Romano Luperini, Pietro Cataldi, (et alii), La scrittura e l’interpretazione, vol. 1, tomo II, Il letterato umanista e la vita di corte fra Trecento e Quattrocento: il modello di Petrarca, G. B. Palumbo Editore, Palermo, 1998, pp. 47-124; Cesare Segre, Clelia Martignoni (a cura di), Testi nella storia, I – Dalle origini al Quattrocento, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1991, pp. 577-708; Cesare Segre, Clelia Martignoni (a cura di), Testi nella storia, II – Dal Quattrocento al Settecento, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1991, pp. 339-406; Lucilla Sergiacomo, Costantino Cea, Gino Ruozzi, I volti della letteratura, I, Dalle origini all’età comunale, Paravia, Milano, 2005, pp. 434-521; www.letteratura.it/Petrarca/index.htm www.it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Petrarca www.roberto-crosio.net/DIDATTICA_IN_RETE/3_ita_modu.htm www.franciscus.unifi.it/index.htm