Il Canzoniere di Petrarca
Luoghi, figure, sentimenti, ideali
Indice
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Vita di Francesco
Petrarca
Percorsi tematici del
Canzoniere
Lo stile
Petrarchismo e
antipetrarchismo
Glossario
Fonti bibliografiche e
sitografia
Vita di Francesco Petrarca
1312: la famiglia si
stabilisce ad Avignone,
allora sede del Papato.
Primi studi di Petrarca
e frequenza della
facoltà di
giurisprudenza a
Montpellier (13161320). Conoscenza dei
classici e della poesia
lirica in volgare.
Incontro con Laura
nella chiesa di santa
Chiara di Avignone (6
aprile 1327).
1337: ritiro a Valchiusa
(Vaucluse) in una casetta
isolata per dedicarsi in
solitudine al lavoro
letterario.
20 luglio 1304: nascita ad
Arezzo da famiglia di
origine fiorentina. Il
padre (ser Pietro detto
Petracco o Petraccolo)
era stato bandito da
Firenze perché guelfo
bianco (ottobre 1302).
1330: al servizio come cappellano del
cardinale Giovanni Colonna. Numerosi
viaggi in Europa (Parigi, Fiandre,
Germania, Roma).
Vita di Francesco Petrarca
1342: incontro ed
amicizia ad Avignone
con Cola di Rienzo.
Monacazione del
fratello Gherardo e
crisi spirituale di
6 aprile 1348:
Petrarca. Nascita
morte di Laura.
della figlia illegittima
Francesca.
1342: soggiorno solitario
a Selvapiana
sull’Appennino, ospite di
Azzo da Correggio,
signore di Parma (nuovo
desiderio di solitudine).
1347: fallimento
dell’insurrezione romana di
Cola di Rienzo. Rottura
definitiva con i Colonna.
1350: incontro a Firenze
con Boccaccio, suo
principale ammiratore. A
Roma per il Giubileo.
8 aprile 1341 (giorno di
Pasqua): conferimento a
Petrarca della laurea poetica
a Roma, in Campidoglio.
Vita di Francesco Petrarca
1370: residenza ad Arquà, piccola località
sui Colli Euganei, in una villetta appartata
(raccoglimento finale).
1362: soggiorno
18 luglio 1374: morte e sepoltura ad
Arquà (oggi denominata Arquà Petrarca). a Venezia (la
Repubblica gli
1353: da Valchiusa a Milano
aveva offerto
presso la corte viscontea.
una residenza).
Missioni diplomatiche per
conto della signoria. Nuovo
incontro con Boccaccio
(1359).
1368: trasferimento
a Padova, ospite del
signore Francesco
da Carrara.
Percorsi tematici del Canzoniere
L’io petrarchesco e Laura
Il narcisismo di Laura
Memoria e paesaggio
L’intellettuale
Petrarca
Risoluzione finale del
dissidio
L’amore
Morte e trasfigurazione
di Laura
Impegno civile e
riflessione politica
L’io petrarchesco e Laura:
il soggetto lirico
Al centro del Canzoniere non troviamo tanto quella Laura che di continuo è
oggetto esplicito dei testi, quanto l’io del poeta. Attraverso l’amore per la
donna, il soggetto lirico mette alla prova se stesso. La poesia amorosa di
Petrarca è fondata sulla ricchezza interiore e sulla complessità psicologica e
affettiva.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel che sono,
del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, ode sovente
di me medesimo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
RVF, I
Altichiero, Francesco Petrarca, 1370 ?
L’io petrarchesco e Laura:
la personalità di Laura
Non bisogna però credere che Laura non abbia nessuna personalità specifica,
che sia insomma solamente l’occasione perché il poeta eserciti la propria
interiorità. Laura si mostra dotata di una sua specifica personalità, definita da
tappe biografiche, dalle notizie anagrafiche e dalla concezione morale e
ideologica.
Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna non vi vid’io
poi che in me conosceste il gran desio
ch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra.
Mentr’io portava i be’ pensier’ celati,
ch’ànno la mente desïando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch’Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l’amoroso sguardo in sé raccolto.
Quei ch’i’ più desïava in voi m’è tolto:
sì mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gelo,
de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra.
RVF, XI
Miniatore fiorentino, Ritratto di Laura,
Biblioteca Laurenziana ms Plut. 41,1F9r.
L’io petrarchesco e Laura:
il nome di Laura
Alcuni termini sono utilizzati come senhal
per riecheggiare il nome di Laura.
Il “lauro” (= alloro) richiama sia la sacralità
dell’arte (in quanto pianta sacra del dio
Apollo) sia la “laurea” poetica conseguita da
Petrarca a Roma.
“L’aura” (= l’aere) riecheggia un motivo
culturale diffuso nella lirica provenzale: il
tema dell’aura, cioè del vento che soffia dal
paese dell’amata portandone il ricordo fino
al poeta (cfr. RVF, XV).
“L’auro” (= l’oro) determina invece bisticci
di parole per rimarcare stilisticamente la
bellezza di Laura: la bionda capigliatura
richiama l’immagine del sole (e nuovamente
di Apollo – come Laura – ispiratore della
poesia).
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ‘n mille dolci nodi gli avolgea,
e ‘l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi.
RVF, XC, 1-4
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch’a gran pena porto,
et prendo allor del vostr’aere conforto
che ‘l fa gir oltra dicendo: Oimè lasso!
RVF, XV, 1-4
L’aura che ‘l verde lauro et l’aureo crine
soavemente sospirando move,
fa con sue viste leggiadrette et nove
l’anime da’ lor corpi pellegrine.
RVF, CCXLVI, 1-4
L’amore
La trama dell’amore per Laura è scandita in modo meticoloso da tutta una
serie di riferimenti cronologici e di anniversari. In questa fitta partitura di
echi e rimandi cronologici si dispongono i momenti di una storia d’amore che
è insieme un itinerario morale. Ecco a titolo esemplificativo alcuni motivi:
 Tema della sublimazione dell’amore e del
potere salvifico della donna
 Tema della lontananza e della solitudine
Tema della celebrazione della bellezza di
Laura
 Tema dell’amore come causa di aspri
conflitti interiori
Laura incorona Petrarca, Biblioteca Laurenziana Ashb. 1263, f. 7r.
Sublimazione dell’amore
e del potere salvifico
della donna
Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.
I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora
che sí alto miraron gli occhi mei,
et dico: Anima, assai ringratiar dêi
che fosti a tanto honor degnata allora.
Da lei ti vèn l'amoroso pensero,
che mentre 'l segui al sommo ben t'invia,
pocho prezando quel ch'ogni huom desia;
da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero,
sí ch'i' vo già de la speranza altero.
RVF, XIII
N.H.J. Westlake,Visione di Beatrice dal
Purgatorio, 1864.
Tema della lontananza e della
solitudine
Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
Il poeta cerca luoghi isolati
ove vestigio human l'arena stampi.
per nascondere agli altri la
vista del proprio stato, dal
Altro schermo non trovo che mi scampi
quale risulta evidente il suo
dal manifesto accorger de le genti,
amore. Il paesaggio è comperché negli atti d'alegrezza spenti
plice della vicenda interiore
di fuor si legge com'io dentro avampi:
del poeta, ovunque inseguito da Amore.
sí ch'io mi credo omai che monti et piagge
La compresenza dei temi
et fiumi et selve sappian di che tempre
della solitudine, dell’isola- sia la mia vita, ch'è celata altrui.
mento, del rapporto privilegiato col paesaggio e del
Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
dialogo interiore con i sen- cercar non so ch'Amor non venga sempre
timenti fa di questo testo
ragionando con meco, et io co llui.
un eccezionale prototipo
del modello lirico petrarRVF, XXXV
chesco.
Celebrazione della bellezza di Laura
Tra quantunque leggiadre donne et belle
giunga costei ch'al mondo non à pare,
col suo bel viso suol dell'altre fare
quel che fa 'l dí de le minori stelle.
Amor par ch'a l'orecchie mi favelle,
dicendo: Quanto questa in terra appare,
fia 'l viver bello; et poi 'l vedrem turbare,
perir vertuti, e 'l mio regno con elle.
Come Natura al ciel la luna e 'l sole,
a l'aere i vènti, a la terra herbe et fronde,
a l'uomo et l'intellecto et le parole,
et al mar ritollesse i pesci et l'onde:
tanto et piú fien le cose oscure et sole,
se Morte li occhi suoi chiude et asconde.
RVF, CCXVIII
Ghirlandaio, Giovanna degli Albizi, 1488.
L’amore come causa di aspri
conflitti interiori
Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
RVF, CXXXIV
E. Munch, Ceneri (particolare), 1894.
Il narcisismo di Laura
La lontananza di Laura dal
poeta non è soltanto lontananza nello spazio, ma anche distanza psicologica. La donna è
spesso caratterizzata come
fredda e altera, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “cattiva”.
Origine del dolore è anzitutto il
desiderio inappagato, suscitato
dalla bellezza sensuale di Laura: questo è il tema del ciclo
dei sonetti dello specchio
(XLIV-XLVI). Laura contempla
la propria bellezza riflessa, si
chiude in sé stessa e si sottrae
all’amore del poeta.
Caravaggio, Narciso, 1599.
Il narcisismo di Laura
L'oro et le perle e i fior' vermigli e i bianchi,
che 'l verno devria far languidi et secchi,
son per me acerbi et velenosi stecchi,
ch'io provo per lo petto et per li fianchi.
Però i dí miei fien lagrimosi et manchi,
ché gran duol rade volte aven che 'nvecchi:
ma piú ne colpo i micidiali specchi,
che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.
Questi poser silentio al signor mio,
che per me vi pregava, ond'ei si tacque,
veggendo in voi finir vostro desio;
questi fuor fabbricati sopra l'acque
d'abisso, et tinti ne l'eterno oblio,
onde 'l principio de mia morte nacque.
RVF, XLVI
Laura ha qui un atteggiamento analogo
a quello di Narciso. Sono ripresi non
solo l’elemento della bellezza e dello
specchiarsi, ma anche quello dell’acqua
come elemento inquietante. Lo specchio è fabbricato in Inferno e immerso
nel Lete, fume eterno dell’oblio (vv. 1214) e quindi emblema della sordità del
mondo. È però interessante che a morire non sia Laura, ma il poeta (v. 14):
Petrarca, implicitamente è come la
ninfa Eco, che si consumò d’amore per
Narciso sino a ridursi a sola voce senza
corpo. Più sottilmente, c’è un rapporto
sotterraneo tra la vanità della donna e
Petrarca che, con la sua poesia, l’ha
alimentata.
Morte e trasfigurazione di Laura
Il 6 aprile 1348 muore Laura. Dopo aver dato sfogo alla iniziale disperazione, il
poeta si appresta a riconsiderare tutta la lunga storia del proprio amore alla luce della definitiva scomparsa di Laura dalla scena terrena. L’esperienza di distanza vissuta finché Laura era viva cede ora progressivamente il passo a una
possibilità di incontro che prima non era stata mai conseguita con altrettanta
serenità e sicurezza.
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
oimè il leggiadro portamento altero;
oimè il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero
facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!
et oimè il dolce riso, onde uscío 'l dardo
di che morte, altro bene omai non spero:
alma real, dignissima d'impero,
se non fossi fra noi scesa sí tardo!
Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire,
ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo,
via men d'ogni sventura altra mi dole.
Di speranza m'empieste et di desire,
quand'io partí' dal sommo piacer vivo;
ma 'l vento ne portava le parole.
RVF, CCLXVII
J. E. Millais, Ophelia, 1852.
Morte e trasfigurazione di Laura
La figura di Laura subisce alla fine del Canzoniere una profonda trasformazione.
Laura perde, dopo la morte, i tratti in qualche modo ambigui e complessi che ne
caratterizzano il comportamento da viva, presentandosi come la portatrice di un
valore definitivo capace di dare un nuovo significato alle cose. Questa trasformazione è affidata qui anche – per la prima volta – a interventi diretti della donna,
che consola il poeta a superare la limitata passione che lo ha fino a quel momento legato a lei.
Se lamentar augelli, o verdi fronde
mover soavemente a l'aura estiva,
o roco mormorar di lucide onde
s'ode d'una fiorita et fresca riva,
là 'v'io seggia d'amor pensoso et scriva,
lei che 'l ciel ne mostrò, terra n'asconde,
veggio, et odo, et intendo ch'anchor viva
di sí lontano a' sospir' miei risponde.
"Deh, perché inanzi 'l tempo ti consume?
- mi dice con pietate - a che pur versi
degli occhi tristi un doloroso fiume?
Di me non pianger tu, ché' miei dí fersi
morendo eterni, et ne l'interno lume,
quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi".
RVF, CCLXXIX
Memoria e paesaggio
Decisivo appare nel Canzoniere il tema della memoria.
Nasce, soprattutto nella
sperimentazione attorno al
tema della memoria, la “specializzazione” del linguaggio
poetico come linguaggio rievocativo: il poeta qui si rivolge ai luoghi che hanno accolto in passato la presenza
di Laura, e, come in un testamento, chiede di essere
sepolto appunto in quei luoghi, nella speranza che un
giorno Laura stessa, tornandovi, possa essere presa
infine da pietà alla vista della
sua tomba.
Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.
RVF, CXXVI, 1-13
J. W. Waterhouse, Ophelia, 1894.
Impegno civile e riflessione politica
Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all’assedio
di Montemassi, 1328 .
Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion' che crudel guerra;
e i cor', che 'ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda;
ivi fa che 'l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s'oda.
RVF, CXXVIII, 1-16
Con la canzone all’Italia Petrarca critica
severamente il particolarismo che divide e
mette gli uni contro gli altri sovrani e
popoli appartenenti a una stessa tradizione
e a una stessa cultura. Vi è un solenne
richiamo alla civiltà nazionale italiana,
fondata sulla tradizione di Roma. Oltre
all’invito alla pace, il poeta interviene
anche su una questione destinata a grande
rilevanza nel dibattito politico dei due
secoli successivi: l’utilizzo da parte dei
signori italiani di truppe mercenarie
straniere.
Impegno civile e riflessione politica
Fanno nucleo a sé i tre sonetti dedicati a criticare la corruzione della curia avignonese (CXXXVI-CXXXIII). L’attributo di “babilonesi” con cui i tre testi sono anche noti,
deriva dal fatto che Petrarca (come già Dante) personifica la curia nella grande Babilonia “madre delle prostitute e delle abominazioni della terra” (Apocalisse XVII, 118). Qui si invoca sugli ecclesiastici corrotti la pioggia di fuoco, la stessa punizione
che Dio aveva riservato a Sodoma e Gomorra, le due città bibliche del peccato.
Fiamma dal ciel su le tue treccie piova,
malvagia, che dal fiume et da le ghiande
per l'altrui impoverir se' ricca et grande,
poi che di mal oprar tanto ti giova;
nido di tradimenti, in cui si cova
quanto mal per lo mondo oggi si spande,
de vin serva, di lecti et di vivande,
in cui Luxuria fa l'ultima prova.
Per le camere tue fanciulle et vecchi
vanno trescando, et Belzebub in mezzo
co' mantici et col foco et co li specchi.
Già non fustú nudrita in piume al rezzo,
ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi:
or vivi sí ch'a Dio ne venga il lezzo.
Distruzione di Babilonia, arazzo di Angers, sec. XIV.
RVF, CXXXVI
L’intellettuale Petrarca
Petrarca afferma il ruolo del nuovo intellettuale pre-umanistico: il suo ruolo è innalzato dalla superiorità conoscitiva, consapevole dell’elitaria attività intellettuale e della solitudine dell’uomo di cultura che ne consegue. È così che esorta un amico a
percorrere la via dello studio, meno facile della via che conduce al successo e alla
vile ricchezza. Ma solo attraverso il non-coinvolgimento nelle vicende pratiche è
possibile il distacco e la superiorità del giudizio morale che il poeta si attribuisce.
La gola e 'l sonno et l'otïose piume
ànno del mondo ogni vertú sbandita,
ond'è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;
et è sí spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s'informa humana vita,
che per cosa mirabile s'addita
chi vòl far d'Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,
dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via:
tanto ti prego piú, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.
Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca, 1376.
RVF, VII
Risoluzione finale del dissidio
La riflessione sulla morte di Laura porta alla sua accettazione e a una condizione
rasserenata, nella quale il pentimento porta alla conversione. La lunga lotta per
la conquista della coscienza, intesa qui come padronanza del proprio complesso
mondo interiore, appare finalmente vinta. Il Canzoniere si chiude con la
conquista di un nuovo oggetto d’amore: non più la donna desiderata, né l’angelo
stilnovistico, né una nuova Beatrice. Il referente femminile al quale è dedicato
l’ultimo componimento è la Vergine Maria, l’incarnazione più alta di quel nuovo
modello di femminilità che Laura pian piano è venuta determinando.
Petrarca chiede alla Madonna l’aiuto
ancora necessario per completare il
distacco dall’esperienza mondana. In
questo modo la canzone conclusiva alla
Sonetto I
Voi ch’ascoltate
Canzoniere
Vergine si colloca idealmente prima del
in rime sparse il suono
sonetto proemiale che introduce il
Canzoniere, il quale mostra, con il
Canzone
distacco esplicito del poeta, che la
CCCLXVI
preghiera alla Madonna è stata
Vergine bella,
che di sol vestita
effettivamente realizzata.
Risoluzione finale del dissidio
Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che 'n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so 'ncominciar senza tu' aita,
et di Colui ch'amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s'a mercede
miseria extrema de l'humane cose
già mai ti volse, al mio prego t'inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench'i' sia terra, et tu del ciel regina.
RVF, CCCLXVI, 1-13
Giotto, Madonna col Bambino, 1320-30.
Lo stile





Lessico
La metafora
Stile antirealistico e
musicale
Equilibrio e variazione
Forme metriche
utilizzate
Lessico
Per il rigore delle sue scelte tematiche, Petrarca mette a punto un lessico
rigoroso. Sono esclusi tutti i termini che alludono a realtà basse, come
quelle del corpo e della quotidianità. Petrarca tende a una certa generalità e
astrattezza:
Preferenza a nominare le classi piuttosto
che le specie o gli individui:
fiori; augelli
erbe, fronde, lauri  verdi
sassi  duri
L’aggettivazione allude a una
qualità eminente e quasi
stereotipa del nome cui si
riferisce:
acque  chiare, fresche et dolci
viso, riso, occhi, sguardo  dolce,
soave, vago
chiome, capei  biondi, d’oro, crespi
La metafora
L’apertura agli altri campi dalla realtà e dell’esperienza umana avviene
attraverso la metafora. In questo modo, Petrarca può anche ricorrere al
lessico guerresco:
Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai,
ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d'Amor: però m'andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:
però al mio parer non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco.
RVF, III
La figura dominante in questo sonetto
è la metafora che assimila l’innamoramento a un assalto: fui preso, v. 3; mi
legaro, v. 4; far riparo, v. 5; colpi, v. 6;
disarmato, v. 9; ferir, saetta, v. 13;
armata, arco, v. 14.
Dato il contesto, anche l’immagine della via aperta degli occhi, divenuti uscio
et varco alle lagrime (vv. 10-11), può
essere ricondotta alle fortificazioni che
cingevano le città medievali, e rientrare nell’area metaforica dominante.
Stile antirealistico e musicale
Lo stile del Canzoniere è nettamente antirealistico: esso tende a risolvere la
realtà delle cose in un mondo coerente di parole. L’attenzione alla musica
del verso è costante. Spesso è la ripetizione o concentrazione dei nessi
consonantici a dare forza all’espressione, oppure il poeta tende a variare i
timbri vocalici pur tenendo fermi altri suoni:
ChiArE, frEsChE Et dolci ACQuE
RVF, CXXVI, 1
Favola Fui gran tempo, onde sovente
di ME MEdesiMO MEco MI vergogno
et del mio VaneGGiar VergoGNa è ‘l frutto,
e ‘l pentersi, e ‘l Conoscer CHiaramente
CHe Quanto piace al mondo è breve Sogno.
RVF, I, 10-14
La musicalità è giocata sul ritorno del
suono k e sull’alternanza di a ed e.
Affollarsi di allitterazioni che
non hanno funzione imitativa
(cioè non riproducono un
suono naturale), piuttosto
hanno la funzione di
sottolineare il significato
intensificandolo.
Equilibrio e variazione
Il carattere intellettuale della struttura poetica è confermato dalla tendenza
all’aequitas. Versi e strofe si basano su richiami, riprese, simmetrie,
parallelismi, opposizioni. Al tempo stesso, Petrarca evita accuratamente ogni
rigidità, ricorrendo spesso alla variatio. Egli ottiene così insieme saldezza
architettonica e libertà, simulando una naturalezza che è invece il frutto di
calcoli accurati:
Solo e pensoso;
Disposizione binaria degli
aggettivi, per conferire un’armonia
piana ai versi …
Canuto e bianco;
Debile e fallace;
Dolci rime leggiadre;
Alma e bella
… a cui si associa spesso la
figura dell’antitesi:
Pace non trovo, e non ò da far guerra
E temo, e spero; et ardo, e son un ghiaccio
[…] Pascomi di dolor, piangendo rido
RVF,CXXXIV 1-4;12
Forme metriche utilizzate
Un altro aspetto formale da segnalare è la varietà metrica dei componimenti:
317 sonetti;
29 canzoni;
9 sestine;
7 ballate;
4 madrigali.
Saranno questi tipi metrici ad assumere valore di modello per la lirica italiana
successiva, che dal Canzoniere accoglierà inoltre altri aspetti metrici:
- canonizzazione dell’endecasillabo con l’accento secondario in quarta o sesta
posizione, oltre a quello fisso sulla decima;
- tendenza a evitare dialefe e dieresi;
- limitazione dei versi nella canzone all’endecasillabo e al settenario;
- riduzione delle stanze della canzone a cinque, sette o dieci.
Petrarchismo e antipetrarchismo
Nel ‘400 il Canzoniere di Petrarca cominciò a essere oggetto di imitazione. L’apice di questa tendenza fu raggiunto nel
‘500 da Pietro Bembo che teorizzò l’eccellenza del volgare petrarchesco (Prose
della volgar lingua, 1525). Bembo compose rime di stretta osservanza petrarchesca: con lui perciò si fa iniziare il petrarchismo, imponente fenomeno di cultura e di costume, che nel ‘500 celebrò
la sua stagione trionfale in Italia e in
Europa.
Pietro Bembo
Pietro Aretino
Contemporaneamente sorse una vivace
corrente di antipetrarchismo parodistico,
significativo nella storia della fortuna del
Canzoniere, perché la parodia è sempre, implicitamente, consacrazione di
valori e riconoscimento dello statuto di
capolavoro (Teofilo Folengo, Pietro Aretino, Francesco Berni). Anche William
Shakespeare rivelò la conoscenza della
lirica petrarchesca rovesciandone scherzosamente i motivi, nei sonetti dedicati
alla “dark lady”.
Teofilo Folengo
Francesco Berni
William Shakespeare
La donna petrarchesca di Pietro Bembo
Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura
Ch’ a l’aura su la neve ondeggi e vole,
Occhi soavi e più chiari che ‘l sole,
Da far giorno seren la notte oscura,
Riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura
Rubini e perle, ond’escono parole
Sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle,
Man d’avorio, che i cor distringe e fura,
Cantar, che sembra d’armonia divina,
Senno maturo a la più verde etade,
Leggiadria non veduta unqua fra noi,
Occhi soavi
Crin d’oro
crespo
Riso, rubini
e perle
Giunta a somma beltà somma onestade,
Fur l’esca del mio foco, e sono in voi
Grazie, ch’a poche il ciel largo destina.
Pietro Bembo, dalle Rime, 1530.
Sandro Botticelli, Giovanna degli Albizi, 1486.
Neve (viso
candido)
La donna antipetrarchesca
di Francesco Berni
Chiome d’argento fino, irte e attorte
Senz’arte intorno ad un bel viso d’oro;
Fronte crespa, u’ mirando io mi scoloro,
Dove spunta i suoi strali Amor e Morte;
Occhi di perle vaghi, luci torte
Da ogni obietto diseguale a loro;
Ciglie di neve, e quelle, ond’io m’accoro,
Dita e man dolcemente grosse e corte;
Chiome d’argento,
fronte crespa
Occhi di perle
vaghi (cisposi e
lacrimosi)
Labbra di latte, bocca ampia celeste;
Denti d’ebano rari e pellegrini;
Inaudita ineffabile armonia;
Costumi alteri e gravi: o voi, divini
Servi d’Amor, palese fo che queste
Son le bellezze della donna mia.
Viso d’oro
(viso giallo)
Francesco Berni, Rime, 1535.
Quentin Metsys, Vecchia grottesca, 1525.
Labbra di
latte
(pallide)
La “dark lady” di William Shakespeare
Niente simili al sole gli occhi della mia bella
Ben più rosso è corallo che il rosso delle labbra sue
Se neve è bianca, allora lei ha oscure le mammelle:
Se i capelli son crini, nero crine la prospera sul capo:
Niente simili al sole gli
occhi della mia bella
(occhi scuri)
Rose
sulle
guance
sue non
vedo
Screziate rose ho visto, rosse e bianche,
Ma tali rose sulle guance sue non vedo,
E in parecchi profumi è assai miglior delizia
Che non nel fiato che la mia bella rende.
Adoro il suo parlare, eppure so bene
Che musica ha concenti assai più grati:
Dea non vidi mai, confesso, camminare:
La mia bella se ne va coi piedi sul terreno.
Nero crine la
prospera sul capo
Ben più rosso è
corallo che il
rosso delle
labbra sue
(labbra pallide)
Eppure, per il cielo, io la stimo tanto rara,
Qual donna mai tradita da strambi paragoni.
William Shakespeare, Sonetti, 1592-99,
traduzione di G. Melchiori.
Anonimo, Mary Fitton, circa 1595.
Glossario
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Allitterazione: figura retorica, che consiste nella
ripetizione degli stessi suoni all’inizio o all’interno di due o più parole, ad es. di ME MEdesimo
MEco MI vergogno, dove viene ripetuto il suono
me/mi.
Antitesi: figura retorica (dal greco antìthesis
“opposizione”), che conferisce risalto a due immagini consecutive, sfruttandone il senso più o
meno opposto.
Ballata: forma metrica destinata originariamente a essere cantata e ballata, composta da strofe di identico schema, ciascuna preceduta da
un ritornello o ripresa.
Canzone: componimento poetico, formato da
un numero non determinato di strofe, o stanze,
uguali fra loro per quanto riguarda la struttura
metrica e la disposizione delle rime.
Dialefe: la pronuncia in due sillabe di due vocali, una alla fine di una parola, l’altra all’inizio
della successiva.
Dieresi: la pronuncia in due sillabe di due vocali
consecutive appartenenti alla stessa parola.
Endecasillabo: verso di dieci sillabe più, solitamente, una sillaba non accentata dopo la decima.
Madrigale: forma metrica solitamente formata
da due piedi di tre versi l’uno variamente legati
tra loro da rima a cui fa seguito un distico a rima baciata.
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Metafora: figura retorica (dal greco metaphorà
“trasporto, mutazione”), che consiste nella sostituzione di un termine con un altro, designante
un oggetto che abbia almeno una qualità in comune con l’oggetto designato dal termine
sostituito.
Senhal: nella poesia provenzale l’identità della
donna amata va tenuta nascosta per motivi di
opportunità sociale: perciò ella non compare
con il suo nome, ma con un senhal. Petrarca
usa il nome di Laura con lo stesso intento
allusivo, ma moltiplicandone i significati. Come
in altri casi, Petrarca complica e riqualifica gli
elementi compositivi della lirica precedente.
Sestina: forma strofica inventata dal provenzale
Arnaut Daniel, in cui ogni stanza ha sei versi e
sei rime: ogni verso è irrelato all’interno della
strofa, ma trova corrispondenza nelle stanze
successive.
Settenario: verso con accento fisso sulla sesta
sillaba e un altro accento principale, non fisso,
su una delle prime quattro sillabe.
Sonetto: metro di origine italiana, inventato dal
poeta siciliano Giacomo da Lentini. Si compone
di quattordici versi endecasillabi distribuiti in
quattro gruppi di quattro e tre versi (4 + 4 + 3
+ 3), detti, rispettivamente, quartine e terzine.
Fonti bibliografiche e sitografia
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Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata, Mondadori, Milano, 1996;
Francesco Petrarca, Canzoniere, con un’introduzione di Roberto Antonelli e un saggio
di Gianfranco Contini, Preliminari sulla lingua del Petrarca, Einaudi, Torino, 1992;
Mario Biagioni, Raffaele Donnarumma (et alii), I testi, le immagini, le culture, I –
Dalle origini al 1610, G. B. Palumbo Editore, Palermo, 2007, (volume di base: pp.
358-408; volume per generi: pp. 236-270);
Umberto Bosco, Francesco Petrarca, Editori Laterza, Bari, 1961;
Roberto Fedi, Invito alla lettura di Petrarca, Mursia, Milano, 2002;
Romano Luperini, Pietro Cataldi, (et alii), La scrittura e l’interpretazione, vol. 1, tomo
II, Il letterato umanista e la vita di corte fra Trecento e Quattrocento: il modello di
Petrarca, G. B. Palumbo Editore, Palermo, 1998, pp. 47-124;
Cesare Segre, Clelia Martignoni (a cura di), Testi nella storia, I – Dalle origini al
Quattrocento, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1991, pp. 577-708;
Cesare Segre, Clelia Martignoni (a cura di), Testi nella storia, II – Dal Quattrocento al
Settecento, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1991, pp. 339-406;
Lucilla Sergiacomo, Costantino Cea, Gino Ruozzi, I volti della letteratura, I, Dalle
origini all’età comunale, Paravia, Milano, 2005, pp. 434-521;
www.letteratura.it/Petrarca/index.htm
www.it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Petrarca
www.roberto-crosio.net/DIDATTICA_IN_RETE/3_ita_modu.htm
www.franciscus.unifi.it/index.htm
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