La voce
dell’ordine
di Pistoia
Rivista di informazione medica
n. 6 aprile 2007
Trimestrale - Anno IV - n° 6 - aprile 2007
Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa
sped. abb. post.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art.1, comma 1, DCB/PO”
Ordine provinciale
dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri
della provincia di Pistoia
Il giuramento
di Ippocrate
Prometto,
Nel nome di Apollo medico
E di Asclepio e di Igea e Panacea
E nel nome di tutti gli dei,
Chiamandoli a testimoni,
Di mantener fede,
Secondo le mie forze
e Secondo il mio giudizio,
A questo giuramento
E a questo patto da me sottoscritto.
Sommario
Pierluigi Benedetti
“DEL GIURAMENTO”
3 “Del giuramento”
4 L’editoriale
5 Alcune riflessioni sulla Evidence Based Medicine
7 Spigolature
• A proposito di... “scoliosi” (un dubbio di Ippocrate)
9 L’opinione
• Il caso Welby e il rapporto con i media
10 Med-news
11 «Notizie dall’Ordine»
12 Testimonianze
• La qualità della vita in epilessia
13 Cultura
• “Un’epidemia dimenticata”. La spagnola a Pistoia
La voce dell’ordine di Pistoia
Bollettino ufficiale trimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi
e Odontoiatri di Pistoia
anno IV n. 6 – aprile 2007, dir. resp. Dott. Gianluca Taliani,
Reg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04
Grafica e impaginazione: Pretesto, Pistoia
Stampa: Tipografica Pistoiese
In occasione della presentazione della nuova stesura del
Codice Deontologico, ed approfittando del rinnovo della
veste tipografica del Bollettino, c’è sembrato appropriato
riportare, sulla copertina del Giornale, la frase iniziale del
Giuramento d’Ippocrate.
Questa scelta vuol essere un invito a riflettere sul valore etico, che la professione medica, ha avuto fin dalla sua origine,
in ogni ambiente sociale.
Il medico, infatti, ha dovuto, da sempre, confrontarsi dialetticamente con i suoi simili nelle fasi più delicate e difficili
dell’esistenza umana (la nascita, la malattia, la morte) e si è
trovato nella necessità di operare scelte sempre impegnative, molto spesso difficili, a volte, in situazioni nelle quali,
non potendo ricevere aiuto dalla sua scienza, ha avuto per
guida soltanto i propri principi morali.
Il Giuramento d’Ippocrate ci richiama, appunto, a questi
principi; cioè ci richiama al dovere che, nei limiti, delle capacità umane, il medico ha di essere vicino a chi, per malattia, ha bisogno del suo aiuto.
Il messaggio, che ci trasmette, dopo tanti secoli, è ancora
attuale: il medico deve comportarsi (“condurre la sua vita”),
secondo il diritto umano e divino”, seguendo il principio etico fondamentale del perseguimento del bene del prossimo.
L’alternativa è sempre stata catastrofica, come hanno dimostrato le esperienze tragiche di un passato, fin troppo
recente.
Riportando soltanto l’Incipit del Giuramento, si è voluto sottolineare il suo valore simbolico, prescindendo dal significato letterale dell’intero testo, che ognuno può leggere in
qualsiasi libro di Storia della Medicina.
Non abbiamo voluto nemmeno, commentare la lettera del
Giuramento, proprio per non rimanere irretiti in discussioni
d’ordine letterario ed interpretativo, che ci avrebbero portato lontano dal suo spirito e dal suo significato universale.
Fra l’altro, quanto più la critica storica e letteraria ha cercato
di andare a fondo, tanto più ci siamo ritrovati in mano un
testo impoverito, dubbio, frammentato; e, a volte, per alcuni
aspetti, legato allo spirito di sette e conventicole chiuse al
mondo esterno.
E quale testo avremmo dovuto riportare? Esistono molte
versioni del Giuramento
La forma, di solito riferita, è databile all’età imperiale romana, al tempo di Galeno, quindi di almeno 600 anni posteriore
ad Ippocrate.
Ed, infatti, il titolo riportato, letteralmente, significa “Giuramento alla maniera d’Ippocrate”, formulazione introdotta da
Galeno, la quale è divenuta “il Giuramento d’Ippocrate” per
antonomasia.
Bisogna aggiungere, a testimonianza dell’universalità dei
principi espressi nel Giuramento, che questo testo è stato usato come modello, con poche modifiche, non solo nel
Mondo “Occidentale”, ma anche dalle Scuole arabe di medicina, durante il Medio Evo, naturalmente sostituendo al
nome degli antichi dei (Apollo ecc.) il nome del Dio Unico; il
resto è quasi la traduzione letterale del giuramento riferito
da Galeno.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
4
È molto probabile che nessun medico della Scuola di Cos, ai
tempi d’Ippocrate, lo abbia conosciuto, nella forma in cui oggi lo
leggiamo, ma questo non toglie niente al suo valore.
Esso è la testimonianza che, già prima dell’età dei grandi filosofi
greci (V–IV sec. a.C.), esisteva una Scuola Medica, che poneva
le sue basi su principi etici e razionali fondamentali, universalmente accettati.
Principi razionali ed etici, che suscitavano l’ammirazione di Platone, il quale più di una volta si riferisce alla Scuola Ippocratica,
riconoscendo alla scienza medica di detta scuola, la dignità della più alta speculazione filosofica.
Nel Fedro (270 b e seg.), Platone, con le parole di Socrate, fa riferimento esplicito al modo di ragionare dei medici “ippocratei”.
Afferma che essi ricercavano la guarigione (il bene) del malato,
assicurandone “salute e vigore con farmaci e nutrimento”, attraverso l’osservazione della realtà e l’interpretazione logica dei
dati dell’esperienza; e prende ad esempio questo tipo di ragionamento, per procedere verso la conoscenza della verità e per
arrivare alla liberazione dell’uomo dall’ignoranza
Il fine assoluto perseguito, sia dal medico che dal filosofo, è,
in ultima analisi, molto simile: la liberazione dell’essere umano
dalla sofferenza fisica e morale, prescindendo da ogni condizionamento determinato da fattori sociali di qualsiasi genere..
Più in generale, si può affermare che i medici ed i filosofi antichi,
avevano compreso che, quando gli uomini decidevano di vivere insieme, dandosi leggi scritte per regolare i rapporti sociali,
prima di questo, esisteva già, fra di loro, un accordo tacito su
alcuni principi di comportamento accettati da tutti; cioè esisteva
un’etica condivisa, su cui si fondava tutto il resto.
In altre parole esistevano (ed esistono) leggi universali (etiche)
“non scritte”, su cui si fonda il vivere civile degli uomini.
Leggi etiche, alle quali fa, esplicitamente, riferimento Tucidide, quando afferma che “la trasgressione di queste leggi (non
scritte) porta, a chi le infrange, una vergogna, condannata da
tutti”.(Storie II libro 37).
Il Giuramento si basa su queste leggi etiche universali, che, sia
cronologicamente che per importanza, vengono prima di tutte le
altre, poiché esse sono la base stessa della società.
Era ben chiaro agli antichi filosofi che l’etica veniva prima della politica.
Forse sarebbe cosa utile e benefica, se alcuni dei “maestri di
pensiero” dei nostri giorni, rileggessero, ogni tanto, qualche pagina degli antichi Autori (per esempio, della “Costituzione degli
Ateniesi” d’Aristotele).
Con questo spirito, noi Medici moderni, dobbiamo meditare sul
valore del Giuramento.
Dobbiamo tenere presente l’esortazione ad usare, sempre, a
“fin di bene” le conoscenze, che abbiamo, cioè ad agire in modo
che, in nessuna circostanza, “il nostro ingegno corra, che virtù
non lo guidi” (Dante Inf. c.XXVI v.22); ed accettare, da questo
antico testo, anche una lezione d’umiltà, poiché, pur essendo
la medicina moderna incommensurabilmente più avanzata dal
punto di vista scientifico, rispetto a quella d’Ippocrate, lo spirito deontologico, espresso nel Giuramento, rimane insuperato;
così come rimangono insuperate le idee degli antichi Filosofi,
uno dei quali, forse contemporaneo d’Ippocrate, affermava che,
chi non ha interesse a conoscere il passato, non ha speranza
di futuro.
Buona lettura !
(E se la cosa può interessare a qualcuno, ci sarà tempo di parlare degli antichi Maestri).
L’EDITORIALE
Egisto Bagnoni
Presidente dell’Ordine
di Pistoia
Carissimi colleghi,
questo Codice deontologico rinnovato è stato
presentato alle autorità sanitarie ed all’opinione pubblica in data 16.12.2006.E frutto di un
lungo lavoro di confronto e di discussione nelle
varie commissioni FNOMCEO ,nel Comitato centrale e successivamente nel Consiglio nazionale
che lo ha definitivamente approvato. Allegato al
testo troverai le linee guida inerenti gli articoli
30,52,53,54,55,56 e 57del C.D. L’ultima edizione
risale al 1998 e questo ulteriore aggiornamento
si è reso necessario per un adeguamento all’evoluzione della società e della scienza medica che
pongono sempre nuove problematiche di natura
etico-deontologica.La federazione Nazionale ha
ritenuto necessario rivedere le regole di comportamento dei professionisti affinché possano affrontare con maggiore consapevolezza la discussione in atto sui problemi come fecondazione
assistita,autonomia del cittadino e direttive anticipate ,consenso informato,test predittivi e molti altri. La esigenza di dare un valore etico alla
professione medica era sentita già dalla cultura
dell’antica Grecia che pone con Ippocrate il bene
del paziente come unico obiettivo da raggiungere
come ben evidenziato nel giuramento. E necessario a mio avviso che il medico debba avere una
profonda conoscenza degli articoli del codice per
esercitare una professione sempre più a rischio
per le possibili implicazioni giuridiche e per la
crescente richiesta di informazioni da parte dei
cittadini perché disorientati per la continua divulgazione di notizie incontrollate da parte dei
media. Individualmente il medico ha il dovere
di svolgere la professione secondo i principi fondanti della deontologia stringendo un patto con
il cittadino, tenendo conto delle sue volontà ,per
raggiungere un obiettivo condiviso.Tutti i professioni hanno l’obbligo del rispetto di un codice di
comportamento con regole scelte collegialmente
in modo autonomo ed in particolare la medicina
in difesa di un bene che è anche un diritto costituzionale.
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Alcune riflessioni sulla
Evidence Based Medicine
Leandro Barontini
Terapia Intensiva
Presidio Ospedaliero di Pistoia
L’
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L’EBM, nella sua forma essenziale, considera
l’”evidenza”, cioè la “prova sperimentale”, una forma di conoscenza scientifica nettamente superiore ad
altre quali la fisiopatologia o l’esperienza clinica ed
implicitamente considera che le osservazioni scientifiche, le “evidenze”, possano essere ottenute in modo
puro, indipendente dalle teorie e dalle conoscenze di
base dello sperimentatore. L’EBM non considera l’essenziale interconnessione che esiste fra osservazione
e teoria di sfondo.
La convinzione alla base della EBM è che i trials clinici controllati forniscano veramente la “prova” dell’efficacia o dell’inefficacia di un trattamento, e che
questa “prova” sia indipendente da ogni pregiudizio e
da ogni ipotesi o teoria precedente e perciò sia obiettiva. Ebbene, l’epistemologia contemporanea ci ha
insegnato che ogni fatto, ogni dato sperimentale che
viene raccolto è sempre dipendente da qualche teoria. Popper2, filosofo della scienza, ha sostenuto che
l’osservazione pura, cioè l’osservazione priva di una
componente teorica, non esiste, noi osserviamo certi fatti basandoci su teorie di sfondo e li osserviamo
in un certo modo perché possediamo certi strumenti
quali lo sfigmomanometro, l’elettrocardiografo, etc
che a loro volta dipendono da altre conoscenze anatomiche, fisiche, biochimiche, etc.
Le nostre “prove”, le nostre “evidenze” sono quindi
sempre relative al nostro sapere attuale ed agli strumenti che possediamo in un certo momento storico;
pertanto di ciò che crediamo “provato” oggi potremmo dubitare domani. Anche la EBM non sfugge a questa situazione generale del sapere scientifico.
Con il cambiare delle teorie biomediche, un’osservazione che inizialmente rafforza un’ipotesi, potrà in un
secondo tempo avvalorare un’ipotesi diversa.
L’oggettività e la correttezza delle osservazioni non
possono garantire la verità delle conclusioni3.
L’EBM, sottovalutando il fatto che la scienza è un sapere congetturale e fallibile che non è in grado di fornire la certezza di aver raggiunto la verità, rischia di
generare nel medico un eccessivo senso di sicurezza
nelle conoscenze quando queste abbiano trovato un
sostegno nell’evidenza empirica. La complessità dell’organismo umano e le relazioni che si stabiliscono
fra questo e l’ambiente possono ostacolare qualsiasi
semplificazione sperimentale.
B) Quali informazioni sono valide per la EBM
L’EBM classifica le “evidenze” in base al metodo usato
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
EBM (Evidence Based Medicine) (Medicina basata sulle prove di efficacia) è nata nel 1992, da
una serie di studi iniziati oltre dieci anni prima presso
il Dipartimento di Epidemiologia Clinica e Biostatistica dell’Università canadese Mc.Master e aventi come
oggetto il miglior uso della letteratura scientifica per
l’aggiornamento medico.
L’EBM si è presentata al mondo medico con la pubblicazione su JAMA del lavoro di DL Sackett intitolato
Evidence-based Medicine: a New Approach to Teaching
the Practice of Medicine.1 È nata, quindi, come approccio didattico alla Medicina pratica anche se, successivamente, è stata descritta come una disciplina clinica
nuova, con il compito di selezionare e poi segnalare ai
medici clinici i più importanti ed affidabili dati sperimentali ottenuti della ricerca in campo sanitario.
All’interno della EBM si è sviluppato il concetto che
le “evidenze” devono avere un ruolo preminente nelle
decisioni del clinico, intendendo con il termine “evidenze” le informazioni aggiornate e metodologicamente valide della letteratura medica.
Non vi è dubbio che alla EBM debbano essere riconosciuti notevoli meriti in quanto:
• Ha posto l'accento sull'importanza delle questioni
metodologiche in Medicina.
• Ha richiamato con forza l'esigenza del rigore nella
valutazione dei dati.
• Ha sottolineato la necessità di far riferimento a conoscenze generali che derivano dalle esperienze di
molti ricercatori.
• Grazie all'informatica e ad Internet, ha messo a
punto una tecnica che consente di reperire e valutare in breve tempo molte informazioni consegnate
alla letteratura.
Una volta riconosciuti i meriti della EBM è necessario
aggiungere che, finchè essa viene presentata come un
nuovo approccio all’aggiornamento clinico, i vantaggi
che essa apporta appaiono ragionevoli. Ma quando la
EBM viene presentata come una scelta di fondo e la si
propone come il principale punto di riferimento per il
comportamento clinico, il giudizio sembra essere piegato da un entusiasmo eccessivo e diviene necessario
esaminare questo “nuovo paradigma medico” con occhio più critico per cercare di vederne non solo i pregi,
ma anche i limiti.
A) Il quadro epistemologico di sfondo su cui si
basa l’EBM ovvero l’Empirismo ed il concetto di
Evidenza.
5
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
6
per raccoglierle assegnando la massima qualità agli
studi clinici randomizzati controllati (Randomized
Controlled Trials) e alle Metanalisi senza considerare altre fonti non statistiche di informazioni mediche
quali l’esperienza professionale del medico e le caratteristiche peculiari del paziente.
C) Il metodo statistico
In estrema sintesi il metodo utilizzato dagli studi considerati validi dalla EBM è il test delle ipotesi con il
valore P per la significatività statistica che funziona
così:
Consideriamo che due gruppi di pazienti scelti con il
metodo casuale (randomized) siano sottoposti a terapia con due farmaci diversi A e B.
Si evidenzia una differente risposta nei due gruppi e
conseguentemente si considerano due ipotesi:
• L’ipotesi nulla cioè le due terapie sono equivalenti
e la differenza osservata è casuale
• L’ipotesi alternativa cioè una delle due terapie è
migliore dell’altra.
Il ricercatore deve decidere in quale misura credere
nell’ipotesi alternativa e sottopone quindi i dati ad un
test statistico, adeguato al tipo di dati, che fornisce un
livello di significatività sotto forma del valore P.
Deve essere a questo punto evidenziato che il valore
P non fornisce una risposta diretta, il valore P rappresenta una probabilità frequentistica e fornisce la
seguente informazione: c’è una probabilità del x %,
per esempio 4%, P = 0,04 di ottenere una simile differenza fra i dati se l’ipotesi nulla è vera.
È stato per convezione stabilito che
P ≥ 0.1 = Assenza di evidenza contro l’ipotesi nulla
P fra 0,1 e 0,05 = Debole evidenza contro l’ipotesi
nulla
P fra 0,05 e 0,01 = Moderata evidenza contro l’ipotesi
nulla
P < a 0,001 = Fortissima evidenza contro l’ipotesi
nulla
Sostanzialmente il valore P è la stima della probabilità di commettere un errore rifiutando l’ipotesi nulla;
questo valore però non ci può dire nulla sulla verità
della ipotesi alternativa; quello che si può affermare
è solo che possiamo rifiutare l’ipotesi nulla con un
margine accettabile di errore.
Per trarre delle conclusioni sull’ipotesi alternativa si
deve essere totalmente sicuri che l’esperimento sia
stato condotto bene, con una numerosità campionaria
sufficiente e che l’unica differenza fra i gruppi sia, nel
caso dell’esempio, il farmaco usato; situazione questa
non facilmente ottenibile se non in condizioni sperimentali molto rigide, quasi ideali.
Vale a dire che, mentre i ricercatori dovrebbero voler conoscere la probabilità che “l’ipotesi alternativa”
sia vera, sulla base dei dati ottenuti in un particolare
trial, in realtà il metodo statistico utilizzato si limita
a calcolare la probabilità P di commettere un errore
rifiutando “l’ipotesi nulla”.
Secondo Goodman4 i metodi dell’inferenza statistica
comunemente accettati non sono “evidence based” e
starebbero diffondendo un idea distorta del modo di
ragionare in medicina.
D) La EBM non è evidence based
Il metodo statistico e soprattutto la metodologia EBM
non sono “evidence based”, cioè non soddisfano i
propri principi di efficacia. Non sono cioè disponibili
“prove di efficacia” considerate valide dalla EBM a sostegno del fatto che il processo di decisione clinica sia
migliorato dall’utilizzo della EBM stessa.
E) La Biosingolarità
L’utilità dell’applicazione dell’EBM al singolo paziente
è limitata poichè le circostanze a livello individuale
variano e per un notevole numero di sottogruppi di
pazienti noi non abbiamo evidenze. Questa situazione
in realtà può essere molto rara o molto comune, perché tutto dipende da quale grado di somiglianza si è
disposti a ritenere sufficiente per poter considerare i
soggetti inclusi nelle ricerche sperimentali rappresentativi del caso clinico singolo che si sta affrontando. I
criteri utilizzabili in proposito possono essere diversi,
e naturalmente la diagnosi è quello fondamentale; tuttavia è raramente sufficiente e devono essere abbinati
almeno il sesso e l’età, ma anche lo stadio clinico della malattia e le comorbidità sono molto importanti.
I soggetti inclusi nelle sperimentazioni, nei “Trials”
più rigorosi vengono in genere selezionati tra quelli
afferenti a centri di ricerca specializzati, ciò significa
che essi hanno una diagnosi certa ed accuratamente
definita secondo i migliori standard disponibili, sono
idealmente privi di fattori confondenti che possano
influire sugli esiti della ricerca (ad esempio malattie associate), vengono seguiti in modo meticoloso e
mostrano quasi sempre una elevata aderenza al trattamento. Si tratta di caratteristiche che riducono in
diversa misura, ma a volte enormemente, la rappresentatività di questi pazienti rispetto a quelli seguiti
normalmente dal medico.
Nel complesso, quanto maggiore è il rigore che si
richiede per ritenere provata l’efficacia di un trattamento in una determinata categoria di soggetti, tanto
meno automatica ne risulterà la trasferibilità alla pratica clinica quotidiana.
Conclusioni
Prima di tutto dobbiamo ricordare come la medicina
clinica sia una disciplina particolare, una disciplina
prevalentemente idiografica ovvero che si occupa dell’individuale, non di leggi generali ma di eventi singolari ed il compito del clinico è quello di spiegare
perché certi fenomeni morbosi si sono verificati in
quel particolare malato, oggi ed in quel determinato
ambiente di vita.
In effetti originariamente definita come “un nuovo paradigma emergente per la pratica medica”5, l’EBM ha
ricevuto, dopo alcuni anni, una definizione più cauta
e realistica e lo stesso Sackett chiarisce che l’EBM è un
metodo con una doppia polarità:
“Praticare l’EBM significa integrare l’esperienza clinica individuale con le migliori conoscenze esterne derivanti dalla revisione sistematica delle ricerche. Senza
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spigolature
utilizzare i migliori risultati della ricerca clinica, la
pratica rischia di divenire rapidamente obsoleta, con
danno per il paziente. Senza l’esperienza clinica, la
pratica rischia di subire la tirannia delle evidenze, perché anche le migliori evidenze esterne possono essere
inapplicabili o inappropriate per il paziente. Nessuna
delle due, da sola, è sufficiente”6.
Da queste considerazioni consegue che il medico,
quando non tiene nel dovuto conto la propria esperienza professionale, di fatto non può sostenere di
adottare l’EBM come metodo clinico.
Vale la pena di ribadire che l’applicazione della EBM
richiede secondo questa più cauta definizione due
componenti:
• La considerazione delle migliori evidenze scientifiche disponibili al momento;
• L’esperienza clinica del singolo professionista cioè
le abilità che acquisisce col tempo nel fare diagnosi, nel decidere la terapia e nel coinvolgere il
paziente, che lo aiutano a decidere se le evidenze
fornite dalla letteratura possono essere applicate a
quel particolare paziente.
Non dobbiamo mai dimenticare che il medico si può
trovare ad agire in aree della pratica diagnostico terapeutica dove si possono ottenere chiare indicazioni in
senso positivo o negativo derivanti dalla sperimentazione, dai trial clinici, ma anche in molte situazioni
cliniche per le quali egli non dispone di tali indicazioni e le sue decisioni devono svilupparsi in una zona di
incertezza (zona grigia).
In ultima analisi il medico clinico affronta casi singoli cioè persone particolari con geni ed esperienze
uniche.
Come ha scritto nel 1948 Massimo Aloisi, Patologo
generale:
“Il clinico ha un enorme bagaglio di nozioni dietro di
sé ma di fronte al malato si trova spesso come quel
naturalista che solleva una pietra e vede un animale
nuovo o di nuova apparenza; a questo punto si differenzierà chi è abituato a farsi prendere immediatamente dall’interesse scientifico da chi è semplicemente un
approssimativo applicatore di ricette stereotipe”7.
1.Evidence-Based Medicine Working Group. Evidence-Based Medicine. A new approach to teaching the practice of medicine. JAMA 1992;
268:2420.
2.Popper KR “Problemi scopi e responsabilità della scienza” 1969 pg 121-58.
3.Federspil G., Vettor R. Ital Hearth J Suppl 2001; 2 (6): 614-623.
4.Goodman SN. Toward evidence-based medical statistics. 1: The P value fallacy. Ann Intern Med 1999; 130: 995.
5.Evidence-Based Medicine Working Group. Evidence-Based Medicine. A new approach to teaching the practice of medicine. JAMA 1992;
268:2420.
6.Sackett DL, Rosemberg WMC, Gray JAM, Haynes RB, Richardson WS. Evidence-based medicine: what it is and what it isn’t. BMJ
1996;312:71.
7.Aloisi M. La Medicina come arte e come scienza Ann. Univ. Ferrara 1948-49/ 1949-50.
A proposito di... “scoliosi”
(un dubbio di Ippocrate)
Pierluigi Benedetti
Specialista in Ortopedia
e Traumatologia
a quando è nato nell’uomo il desiderio di conoscere e di studiare le malattie, la deformità scoliotica, per la sua visibilità, ha suscitato curiosità e
interesse.
Non meraviglia, quindi, che se ne parli nel Corpus
Hippocraticum; ed è interessante notare, leggendo
le parti in cui si tratta della patologia non traumatica della colonna vertebrale, la perplessità dell’Autore, quando riflette sulla diversità della prognosi delle
“scoliosi”.
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Infatti aveva notato che situazioni cliniche, apparentemente simili, in alcuni individui evolvevano in senso
gravissimo e maligno, mentre, in altri casi, le deformità si limitavano a “una gobba”, più o meno vistosa,
che si stabilizzava e consentiva una vita praticamente
normale.
Cioè non riusciva a capire come soggetti portatori,
almeno in apparenza, della stessa deformità, alcuni
fossero “sani”, altri “malati”.
In altre parole Ippocrate non riuscì a trovare sintomi o
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
D
7
spigolature
Ippocrate
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
8
criteri, in base ai quali potesse classificare queste forme, di deformità vertebrale non traumatica, le quali,
al loro esordio, avevano sintomi simili.
L’unico criterio, su cui, egli azzardò un’ipotesi (e non
fu poco), fu il criterio dell’età.
Aveva infatti osservato che, spesso, quanto prima insorgeva la curvatura del rachide, tanto più la malattia
era pericolosa.
Per dare una risposta al suo dubbio dovevano passare
molti secoli.
Non che il problema delle deformità spontanee del
rachide non abbia interessato i medici-scienziati, che
vennero dopo Ippocrate, ma perché la strada dell’accertamento diagnostico era preclusa dalla assoluta
impossibilità di studiare il rachide in vivo, per l’ovvia
mancanza di tecniche adatte.
Parlando di medicina antica e deformità del rachide,
si deve ricordare, almeno per inciso, Galeno (II secolo
d.C.), che, dopo Ippocrate, si interessò di questa patologia, introducendo, per primo, i termini di scoliosi e
cifosi, e intuì, studiando la fisiologia umana e animale, il concetto di postura.
Infatti riferisce di aver rilevato che un uomo si stanca
più a stare fermo in posizione eretta, che a camminare; e lo spiegava ammettendo che esistesse un movimento invisibile dei muscoli durante la statica).
Dopo Galeno per più di 1000 anni non si fecero sostanziali passi avanti e soltanto nel XVI secolo, con il
risveglio dell’interesse per lo studio della natura e per
le “arti” mediche, ci fu un significativo progresso nel
campo del trattamento delle deformità del rachide, pur
rimanendo oscuro il significato eziopatogenetico delle
scoliosi.
Verso la metà del ‘500 Ambroise Paré ebbe l’idea di
usare una parte della corazza dei soldati del tempo (il
“corpetto”, da cui il nome di corsetto), per sostenere
il rachide scoliotico e impedire l’aggravamento delle
curve.
L’evoluzione della tecnica di costruzione delle armature conosce infatti nel XVI secolo uno sviluppo molto
particolare, secondario all’introduzione delle armi da
fuoco.
Avendo perso la sua importanza dal punto di vista
pratico, come arma di difesa, la corazza divenne un
prestigioso capo di abbigliamento e di distinzione per
le classi nobili, e gli “armaioli” del tempo furono veri
artisti nel modellare leggere lamine metalliche come
se fossero stoffe.
I corsetti furono poi migliorati in tutti i modi possibili,
utilizzando, oltre al metallo, materiali diversi, primo
fra tutti il cuoio.
Ma si dovette attendere fino alla fine del XIX secolo
per cominciare a distinguere fra i vari tipi di scoliosi,
quando con la scoperta dei raggi X, fu possibile studiare in vivo lo scheletro e la radiografia permise di
distinguere fra: 1) le scoliosi strutturali, deformità,
in cui le vertebre vanno incontro ad alterazioni anatomo-patologiche per un processo, la cui eziologia e
patogenesi sono spesso sconosciute e 2) le scoliosi
posturali, in cui le vertebre sono normali e la cui causa è in molti casi nota.
Quindi si può dire che la scienza medica, sulla base
di conoscenze fisiche (raggi X), ha potuto risolvere il
dubbio d’Ippocrate e di tutti i medici, che dopo di lui
si erano posti lo stesso problema.
E infatti la diagnosi differenziale fra scoliosi strutturali e posturali (o atteggiamenti scoliotici) è la base di
ogni trattamento razionale di questa patologia.
Ma, se per ipotesi fantastica Ippocrate o Galeno potessero vedere come si tratta della scoliosi nella moderna società “dell’immagine”, rimarrebbero, a dir poco,
stupiti e delusi.
Oggi, infatti, non si parla di scoliosi soltanto come di
una importante patologia del rachide, di cui, nell’ambito delle discipline mediche, si occupa l’ortopedia,
ma la scoliosi è spesso argomento di conversazione
nelle palestre, nei negozi di scarpe, nei talk show televisivi e si leggono, sui giornali, articoli, nei quali
vengono confuse malattie a evoluzione potenzialmente grave o gravissima, con condizioni che, spesso, non
sono patologiche.
Quasi che più di un secolo di studi scientifici sulla malattia, fosse passato senza lasciar traccia.
Per concludere, quello che interessa, al di là delle note
storiche, che hanno offerto l’occasione per entrare in
argomento, è richiamare l’attenzione sull’importanza
e la delicatezza della precocità della diagnosi differenziale fra le SCOLIOSI STRUTTURALI e le scoliosi
posturali (o atteggiamenti scoliotici), nei soggetti in
età dell’accrescimento.
È un rischio grave non distinguere le due forme.
Infatti può essere molto pericoloso cercare di ottenere, per esempio, un ipotetico “riequilibrio posturale”,
con un plantare od un apparecchio ortodontico, in un
soggetto in crescita affetto da una scoliosi strutturale,
in cui le vertebre cominciano ad andare incontro ad
un processo che le porterà a gravi o gravissime alterazioni anatomo-patologiche.
Infatti si procrastina la diagnosi di una malattia, che,
curata precocemente, viene bloccata o almeno molto
rallentata nella sua evoluzione.
Di questa attenzione siamo in debito con Galeno e
Ippocrate.
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l’opinione
Il caso Welby
e il rapporto con i media
Ione Niccolai
Specialista in Anestesia
e Rianimazione
S
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paziente indispensabile perché qualsiasi atto medico
possa essere attuato e che risponde a due corollari:
a) il consenso informato
b) la verità secondo coscienza espressa dal medico.
L’informazione e il consenso richiesto non possono e
non devono essere intesi come un mero atto legale,
ma la possibilità, da parte del medico, di conquistare
la fiducia del malato e quindi il suo consenso; quindi
non è solo uno scambio d’informazioni, ma di valore
e di condivisione.
Il paziente deve sapere per scegliere ed il medico deve
sapere informare con rispetto estremo della sensibilità
dell’altro e cercando dentro di se la capacità di non
togliere la speranza.
Certamente questo è uno dei campi più difficili che
non può scaturire da incontri affrettati e fugaci, ma,
da una ricerca da parte del medico, d’adeguati elementi positivi che scaturiscano dalla scelta delle parole e dei termini, che consentano al malato di sperare e
soprattutto di lottare e non rinunciare a vivere.
Secondo me, in questo sta la beneficità della fiducia
del paziente, nella consapevolezza di dover agire fino
alla fine di un iter di cura, solo per un bene in senso
lato che è il valore della vita e forse l’ineluttabilità
della morte intesa come compimento.
Tutto questo è e deve essere norma per ognuno di
noi sempre, non ha bisogno di ulteriori regole. Oltre
a questo, non si può normare la disponibilità, l’attenzione, il soccorso, la comprensione, la delicatezza e
soprattutto la responsabilità.
Welby nel suo letto
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
ono rimasta molto colpita, dal caso Welby, soprattutto rattristata dal gran clamore che i media ne
hanno fatto, togliendo al silenzio del privato, una situazione che certamente riguardava solo lui, la sua
famiglia ed il suo medico curante.
Purtroppo è molto frequente, da parte dei media, che
si faccia spettacolo della sofferenza, del dolore, della
morte. Gli episodi da citare sarebbero moltissimi, e
tutti molto tristi.
Ci sono state anche strumentalizzazioni politiche e
non, enormi difficoltà e inappropiatezze di linguaggio, con grande confusione di termini.
Si chiesto a gran voce, da più parti, norme e leggi che
rispondessero a questo caso ed a tutti i casi analoghi che si presenteranno in futuro, anche se si sa che
sarebbe estremamente difficile racchiuderli in caselle
precise. Ho visto definire da un settimanale, non ricordo quale, ma secondo me molto acutamente, che leggi
come quelle richieste “ ucciderebbero la discrezione e
la possibilità di scegliere”.
Certamente, certe decisioni, non possono essere regolate, né tanto meno legiferate, senza pesanti incursioni nel privato del paziente, nella libertà del medico, e
nel suo rapporto di cura.
Personalmente, non penso, che debbano essere oggetto di nuove norme, di nuove leggi dello stato alcuni
aspetti deontologici riguardanti la professione medica
da sempre regolata dal codice deontologico patrimonio essenziale della responsabilità del medico e del
rapporto medico-paziente.
È la bioetica che ormai regola e delinea ogni caratteristica che questo rapporto deve avere e che deve
diventare sempre di più patrimonio dei medici e degli
operatori sanitari.
La vera bioetica, quella più lontana possibile dal clamore dei media, “il pensiero dell’altro di noi” fondamento essenziale d’ogni idea “di prendersi cura di”
quella insomma che entra nella sfera dei rapporti interpersonali, della responsabilità che ognuno di noi ha
per il suo prossimo, in rapporto con la situazione di
vita e del ruolo rivestito, quella, in poche parole che è
l’etica in senso lato e, nel nostro, campo la bioetica.
Essa configura in modo ineludibile il rapporto medico-paziente, come rapporto transpersonale in cui l’etica è misura di un riconoscimento reciproco. Alcune
caratteristiche dell’atto medico che sono già ineluttabili, si potrebbero riassumere, come rispetto della
persona che coincidono con l’autodeterminazione del
9
med-news
notizie flash
Ginecomastia
in età prepubere
Banali prodotti commerciali contenenti estratti di lavanda e di
altre piante profumate possono
indurre ginecomastia in età prepubere. Queste sostanze presentano effetti estrogenizzanti
ed anti androgenici.
N Engl J Med, 2 febbraio.
Farmaci anti retrovirali
Il governo tailandese potrà importare costosissimi farmaci
anti retrovirali senza obbligo di
brevetto. Questa misura ne consentirà la distribuzione gratuita
in Tailandia ed altri paesi endemici per l’AIDS.
N. Engl. J. Med., 8 febbraio.
Organizzazione Mondiale
della Sanità
Il nuovo direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità è la dott.ssa Margaret
Chan, ex ministro della sanità del
governo cinese. Nel precedente
mandato Chan si è misurata con
la gestione di due gravi emergenze: i primi casi di influenza
aviaria nel 1997 e l’epidemia di
SARS del 2003.
N. Engl. J. Med., 15 febbraio.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
10
Zanzara tigre
Una zanzara
tigre è il vettore di una
nuova infezione virale
con sintomatologia artralgica diffusa in
India. Sono già mille i casi documentati di viaggiatori occidentali
di ritorno dalle aree infette.
N. Engl J. Med., 22 febbraio.
la genetica delle metastasi
Identificata la “firma genetica” dei tumori con prognosi sfavorevole
La ricerca sulle metastasi ha identificato nuovi
elementi che consentiranno di prevedere se
un tumore sarà in grado o meno di diffondersi
a distanza nell’organismo in cui è originato: si
tratta di un gruppo di geni che sono espressi
selettivamente nei tumori altamente metastatici, ma non in quelli non metastatici. Una
vera “firma genica” dell’aggressività tumorale. È il risultato di un ampio studio statunitense condotto su portatori di tumori mammari,
polmonari, prostatici e di medulloblastomi.
“L’espressione di questi 186 geni nei tumori
primitivi dei pazienti” afferma il dott. Liu dell’università del Michigan “consente di prevedere in modo affidabile e riproducibile quale
sarà il decorso clinico della malattia nel corso
degli anni”. Si tratta infatti di geni che controllano aspetti critici della capacità delle cellule tumorali di riprodursi a distanza, quali la
possibilità di auto replicarsi, di differenziarsi e
di interagire con i tessuti sani dell’organo in
cui attecchiscono. Solo, quindi, le cellule che
esprimono questi geni sarebbero capaci di in-
vadere e di produrre
metastasi a distanza,
determinando così
l’evoluzione clinica
più sfavorevole della
malattia. La possibilità di prevedere la
storia futura del singolo portatore di tumore
potrebbe aprire orizzonti nuovi per l’oncologia.
Prima di tutto, la possibilità di adottare misure
terapeutiche diversificate in base a una prognosi formulata già in fasi molto iniziali della
malattia. Addirittura, lo sviluppo di farmaci
capaci di bloccare in modo specifico soltanto
quelle cellule che esprimono i geni “sbagliati”.
Infine, le firme geniche potrebbero costituire
uno strumento di grande utilità per identificare
i meccanismi biologici che sono alla base della capacità delle cellule tumorali di produrre
metastasi (N. Engl. J. Med. 2007; 356: 217).
Gianna Mannori
i danni provocati dall’inquinamento
atmosferico
L’aria urbana provoca un aumento nel rischio di malattie cardiovascolari
Respirare l’aria delle nostre città può costituire
un danno per la salute: questa è storia risaputa da tempo. Ben altra cosa, tuttavia, è riuscire
a capire se chi vive in aree urbane presenti
effettivamente un rischio maggiore di ammalarsi rispetto a chi respira aria più pulita. Questo è lo scopo dello studio prospettico svolto
da Miller e coll. dell’università di Washington a
Seattle, che si sono proposti di quantificare il
rischio di contrarre malattie cardiovascolari in
coloro che, vivendo in città, vengono esposti ai
vari contaminanti ambientali dispersi nell’aria.
Studiando nel tempo un ampio campione di
donne in età postmenopausa distribuite su
36 aree urbane degli Stati Uniti, i ricercatori
hanno potuto osservare un aumento di incidenza di malattie cardiovascolari in coloro che
respirano aria più inquinata, con un aumento
del rischio di mortalità pari addirittura al 76%
per incremento di inquinante atmosferico. Lo
studio ha inoltre consentito di chiarire che all’interno delle singole città esistono zone in
cui è più probabile ammalarsi rispetto ad altre,
proponendo così delle vere “mappe di rischio”
da inquinamento atmosferico. L’insorgenza
di malattie cardiovascolari sarebbe legata
ad un tipo specifico di particelle fini presenti
nell’aria che, per composizione e dimensioni,
sono state identificate come uno dei prodotti
di combustione liberati dagli autoveicoli e dai
fumi industriali. Sebbene il meccanismo di
danno non sia stato ancora del tutto chiarito,
si ipotizza che questi contaminanti agiscano
con un effetto lesivo diretto sulle pareti vascolari, innescando negli endoteli un processo infiammatorio e ossidativo che porta infine alla
formazione di placche aterosclerotiche. La
portata di questo ed altri studi sull’argomento
è stata tale da indurre l’EPA, il più importante
istituto per la protezione ambientale statunitense, ad abbassare il livello massimo di materiale particolato considerato accettabile per
legge nell’aria urbana. È auspicabile che l’impulso a contenere le quantità di contaminanti
aerei si diffonda su scala ancora maggiore (N.
Engl. J. Med. 2007; 356: 447).
Gianna Mannori
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med-news
neoplasie ematologiche maligne
Dai derivati di una molecola “maledetta” nascono speranze di cura per alcune neoplasie ematologiche maligne
I meno giovani di noi ricordano la tristissima vicenda legata ad un farmaco (la
talidomide), che fu introdotto in commercio nel 1956, come sedativo, e che,
cinque anni dopo, fu ritirato per i suoi
effetti teratogeni.
Si calcola che circa 12.000 bambini abbiano riportato danni gravi, determinati
dall’uso di questo medicinale da parte
delle madri, che lo avevano assunto nei
primi mesi di gravidanza.
I casi si verificarono soprattutto in Australia e nella parte occidentale della
Germania, mentre gli Stati Uniti furono
risparmiati quasi completamente da
questa “epidemia” (come fu definita in
quegli anni), perché questo farmaco non
era stato approvato dalla FDA (Food and
Drug Administration).
Le malformazioni consistevano in difetti
agli arti (amelia, micromelia, focomelia
ecc.) ed in alterazioni di vario genere in
molti organi ed apparati.
L’emozione suscitata da questi fatti fu
notevole, il farmaco fu bandito, ma gli
studi su di esso non furono abbandonati.
La talidomide, infatti, si dimostrò efficace per la cura dell’eritema nodoso, dei
pazienti colpiti dalla lebbra.
Negli anni seguenti alcuni suoi derivati
furono usati, con successo, nella cura
dell’artrite reumatoide, del morbo di
Crohn ed infine nell’infezione da HIV.
Le ricerche hanno dimostrato la capacità
di questi farmaci di modulare la risposta
immunitaria fisiologica, in particolare di
interferire con la produzione di alcune
molecole, prodotte dai monociti, implicate nel controllo dello sviluppo dei tumori.
Il loro studio, come immunomodulatori,
come oggi sono definiti, ha portato a
decisivi progressi nella terapia di alcune
neoplasie ematologiche maligne.
Queste notizie sono riportate nel volume
14 di Haematologica Reports (novembre
2006), in cui si riferisce dei lavori dell’XI
Congresso dell’Associazione Ematologica Europea, che si è tenuto ad Amsterdam, nel giugno del 2006.
Da studi clinici, che vanno avanti già
da alcuni anni, sembra che le sindromi
mielodisplasiche, il mieloma multiplo e
la leucemia linfatica cronica, anche nelle
forme resistenti a trattamenti convenzionali, siano sensibili, in un numero di
casi statisticamente consistente, a questi farmaci.
Fra di essi una molecola in particolare
(la lenalidomide), la cui struttura è relativamente simile a quella della talidomide, è particolarmente efficace nel
migliorare la qualità e la prospettiva di
vita di molti pazienti, colpiti da queste
gravi malattie.
Un breve commento a questa notizia, potrebbe essere il seguente: “Bisogna studiare tutto! Bisogna studiare sempre!”.
Pierluigi Benedetti
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• Iscrizione all’ONAOSI
La Fondazione ONAOSI, impegnata nell’assistenza agli orfani
dei sanitari italiani, auspica che
tutti i medici liberi professionisti,
convenzionati e dipendenti da
strutture private confermino la
loro adesione alla Fondazione,
nonostante la Legge Finanziaria
2007 abbia individuato, quali contribuenti obbligatori dell’ONAOSI,
solo i sanitari dipendenti pubblici.
Info: www.onaosi.it
• Convegno Regionale Enpam
Sabato 5 maggio si svolgerà presso la Camera di Commercio di Livorno, Piazza del Municipio 48 un
convegno a livello regionale sulla
previdenza ENPAM organizzato
dall’Ordine di Livorno. Parteciperanno: il Presidente, il Vice Pre-
sidente e alcuni consiglieri della
Fondazione, nonché funzionari
ENPAM con postazioni informatiche in modo che i Colleghi possano avere informazioni in tempo
reale sulla propria posizione contributiva.
È possibile prenotare la consulenza dei funzionari ENPAM mediante
l’invio all’Ordine di Livorno del
modulo che segue scaricabile anche dal sito www.medicilivorno.it,
sezione download.
•U.F. Igiene e Sanità pubblica
Richiesta dati per ART
Per riorganizzare la tenuta informatica di ART, è necessario l’aggiornamento di tutti gli apparecchi
radiologici e tutte le sorgenti radioattive presenti nei Comuni di
Pistoia, Quarrata, Montale, Serravalle, Marliana, Piteglio, Sambuca,
San Marcello, Cutigliano e Abetone. Ogni detentore di apparecchi
radiologici deve compilare il mo-
dello A; ogni detentore di sorgenti
radioattive deve compilare il modello B. Il progetto ART prevede
anche la gestione in proprio delle
comunicazioni suddette, in questo
caso gli interessati devono rivolgersi al Dipartimento di Prevenzione della Az. USL per ottenere
username e password.
• Tirocinio in medicina
generale
La Regione Toscana ha pubblicato
sul burt del 7 marzo 2007 il bando
di concorso Triennale di formazione specifica in medicina generale per l’anno 2007-2010.
Detto bando sarà pubblicato entro
il 30 marzo 2007 sulla Gazzetta
Ufficiale e sarà disponibile anche
presso la segreteria dell’ordine
dopo quella data. Si raccomanda
ai medici interessati di non inviare
la domanda alla Regione Toscana,
prima della pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, pena l’esclusione dal concorso.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
• XXVIII Premio Letterario
La lega contro i tumori, sez. di
Parma, ha indetto per il prossimo
autunno la XXVIII edizione del Premio Letterario Nazionale di narrativa. Tema: situazione di carattere
neoplastico.
Al 1° classificato: premio di euro
1.000,00; al 2° di euro 500,00 e
al 3° di euro 250,00. Gli elaborati non dovranno superare le otto
facciate, spazio due e dovranno
risultare inediti e mai premiati in
altri concorsi, corredati dalle generalità dell’autore. La quota di
partecipazione è di euro 35,00
da versare con assegno o vaglia
postale intestato a: Lega contro i
tumori, sez. di Parma e dà diritto a
partecipare alla cena nella stessa
serata. Le opere concorrenti, in
numero di 10 copie, dovranno essere inviate alla Lega contro i tumori, sez. di Parma – via Gramsci,
14 – 43100 Parma entro e non
oltre il 31 maggio 2007.
11
testimonianze
La qualità della vita in epilessia
Emanuele Bartolini
Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Neurologia, Università di Pisa
Dott. Stefano Bartolini
U.O. Neurologia, USL 3 Pistoia
L’
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
12
Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la Qualità della
Vita come “la percezione di ciascun individuo del proprio benessere in rapporto alla propria cultura, al contesto sociale in cui
vive, alle sue aspettative ed alle sue preoccupazioni” e  la Qualità
della Vita in Relazione alla Salute (Health Related Quality Of Life:
HRQOL)  come “uno stato di completo benessere fisico, psichico,
sociale, non la mera assenza di malattia”.
L’epilessia è una patologia cronica che richiede trattamento a lungo termine; il vissuto dell’individuo può essere coinvolto nella sua
globalità.
Frequenza e gravità delle crisi condizionano il benessere fisico, ma
può essere coinvolta anche la vita sociale, in ambito scolastico, familiare, lavorativo.
Le funzioni psicologiche possono essere inficiate, sia dal punto di
vista cognitivo, per quel che riguarda attenzione memoria e concentrazione, sia dal punto di vista del contenuto emozionale, per
quanto concerne stima di sé, ansia, depressione.
Ciò che rende però la valutazione della Qualità di Vita in epilessia
del tutto peculiare è la presenza dello stigma, che tipicamente caratterizza questa patologia.
Lo stigma può essere “sentito” o “vissuto”. Nel primo caso prevale
la componente di percezione soggettiva del pregiudizio sociale (la
vergogna e la paura di essere “malato”), nel secondo l’esperienza
diretta delle limitazioni pubbliche nella vita del soggetto (episodi
effettivi di discriminazione).
Le crisi comiziali d’altronde mal si adattano alle comuni aspettativi
sociali che impongono la piena capacità di self control nel comportamento quotidiano.  Alla persona con epilessia è troppo spesso
impedito di partecipare a molte attività; ciò condiziona il benessere
emotivo e lo sviluppo di relazioni sociali adeguate. La prognosi sociale può essere meno buona di quella clinica.
La perdita del controllo che avviene durante una crisi, la sua imprevedibilità, il senso di impotenza evocano paure che possono
sfociare in stereotipi negativi. In particolare ciò è vero in base al
comune pregiudizio per cui le crisi epilettiche sono identificate con
la convulsione tonico clonica, oppure alla credenza che l’epilessia
sia contagiosa, e ancora che la malattia si associ a particolari tratti
di personalità .
Nel 1954 Lennox sosteneva che “l’Epilessia è l’unica malattia in cui
la sofferenza dipende più dall’atteggiamento della società che dalla
malattia stessa”.
I pazienti si confrontano con la propria malattia in modo differente,
in relazione alle diverse età della vita e all’esperienza personale.
Per esempio un adolescente le cui crisi non sono controllate è più
sensibile alla possibile perdita di indipendenza, all’impossibilità di
guidare un auto, all’eventuale isolamento sociale.
Un paziente in età lavorativa dovrà confrontarsi con la necessità
di gestire le proprie crisi nell’ ambiente di lavoro o con la difficoltà
nello stipulare assicurazioni sulla vita o sulla salute.
A partire dalla diagnosi l’atteggiamento può essere diverso; mentre alcuni pazienti possono essere impauriti, o scettici, o reagire
con rabbia altri possono trarre sollievo da un inquadramento diagnostico che ponga fine a un periodo di incertezze sulla propria
condizione.
Durante il decorso della malattia stessa alcuni pazienti si responsabilizzano e hanno molta cura di sè, altri possono sentirsi privi di
aiuto, intimoriti, ansiosi, depressi.
L’intervento terapeutico non può essere limitato alla riduzione del
numero delle crisi; un soddisfacente controllo delle stesse non può
prescindere da un precoce inquadramento e da un’adeguata gestione dell’aspetto comportamentale.
La misura della Qualità della Vita in epilessia è ardua. Si possono
utilizzare diverse scale; alcune di questi sono aspecifiche e multidimensionali (Short Form-36), altre sono specifiche per epilessia
(Impact of Epilepsy Scale, Liverpool HRQOL Battery), altre ancora
utilizzano un core generico come Short Form-36 sul quale sono aggiunti items specifici (QOLIE-31, QOLIE-89).
In letteratura è descritto come la Qualità di Vita in epilessia dipenda
fortemente da frequenza delle crisi, dal tipo di crisi, dalla presenza
di comorbidità psichiatriche (soprattutto di depressione), dal numero e dagli effetti avversi dei farmaci antiepilettici, dall’impatto
oggettivo e soggettivo sulla vita quotidiana dell’individuo.
In questo senso la persona con epilessia si trova a dover gestire una
lunga serie di problematiche.
Ad esempio, l’esordio della malattia in età prescolare può pregiudicare il raggiungimento di un adeguato livello di istruzione.
Per quanto riguarda la donna il quadro presenta alcune peculiarità;
particolare rilevanza assume la gestione della terapia farmacologia.
Farmaci induttori degli enzimi microsomiali epatici, quali carbamazepina, fenitoina o fenobarbital, possono pregiudicare l’efficacia di
una terapia contraccettiva ormonale.
Talora la gravidanza può modificare la frequenza delle crisi e richiedere quindi modificazioni terapeutiche; alcuni farmaci, come il valproato, hanno potenziale teratogeno e dovrebbero essere evitati. Lo
stesso valproato può essere associato alla sindrome dell’ovaio policistico, per cui deve essere usato con cautela nella donna giovane.
Circa la metà delle donne con epilessia presenta alterazioni del ciclo
mestruale, anche indipendentemente dalla terapia.
Altro aspetto di notevole importanza per la persona con epilessia
è il lavoro.
Sebbene nella gran parte dei casi la malattia non comprometta la
capacità lavorativa spesso il paziente va incontro a notevoli limitazioni, come il precoce pensionamento o la disoccupazione.
Particolarmente importante per la Qualità di Vita è la possibilità di
guidare. Spesso si trovano a confliggere due posizioni: se da una
parte il conseguimento della patente è un fattore essenziale di inserimento socio professionale, d’altra parte i rischi connessi alla
comparsa di crisi durante la guida sono seri.
In Italia i pazienti possono ottenere il rilascio della patente per sole
categorie A e B dopo che sono trascorsi almeno due anni senza
manifestazioni critiche, indipendentemente dall’assunzione di una
terapia anti epilettica. La validità della patente non può essere superiore a due anni.
Il controllo delle crisi è allora determinante il benessere del paziente; coloro le cui crisi sono completamente controllate dai farmaci 
non presentano una grossa diminuzione della HRQOL, mentre la
farmacoresistenza è associata a gravi conseguenze psicosociali. Esiste una proporzionalità inversa fra Qualità della Vita e frequenza e
gravità delle crisi.
Si tratta quindi di una questione particolarmente complessa.
L’istruzione è il primo passo per accettare la malattia e le sue implicazioni.
Il disagio del paziente nasce in gran parte da informazioni imprecise e fuorvianti.
In questo senso è rivolto l’impegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’International Bureau of Epilepsy  che, fin dal
1997, si impegnano nella campagna “Epilessia Fuori dall’Ombra”,
nel contesto di un attenzione globale all’ individuo, al fine di migliorare diagnosi, trattamento, accettabilità e Qualità di Vita della
persona con epilessia.
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cultura
“Un’epidemia dimenticata”
La spagnola a Pistoia
Cesare Santoro
N
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Non posso però avere il ricordo diretto
dell’epidemia, passata “al riparo” nei
mesi di gestazione, ma solo quello perdurato in tutti i successivi anni della mia
infanzia e giovinezza, sempre vivo e incancellabile nei racconti familiari e della
gente.
Dal 1915 al 1919, perciò, e nel libro di
Gian Carlo figura, tanto per farsi un’idea
di quel che fu, una tabella riassuntiva dei
morti per spagnola nell’Ospedale Militare
di Pistoia estratta dal nostro ricercatore,
dagli elenchi dei due volumi redatti dai
due Cappellani Militari in quel periodo
in servizio.
Ricerca improba, per ritrovare dati riferibili all’ambiente cittadino, per altro scarsi
o addirittura inesistenti o affioranti tra le
vecchie carte delle parrocchie – gli atti di
morte – della Curia e della Misericordia –
per le prestazioni assistenziali e non solo
– dall’Archivio di Stato e da quelli del
Comune, dell’Azienda Sanitaria locale n.
3, della Forteguerriana. Ricerca puntuale, puntigliosa quasi, instancabilmente
appassionata dei due autori, lavoro di
indagine accurata dei nostri due veri topi
di biblioteca che traspare qua e là nelle
pagine dello scritto compilate con stile
accattivante e che si fanno leggere prima
con curiosità, poi con interesse, infine
con soddisfazione. Come le prime pagine, per noi medici, sulla breve storia della malattia dalle quali apprendiamo che
la prima descrizione e denominazione fu
fatta da un italiano – si parla del 1300
– e, come al solito, solo nel 1600 “propagandata” ad opera degli inglesi! e mi
è piaciuto il richiamo classico della frase
ciceroniana che, se vorrete conoscerlo,
andate a procurarvi il libretto. Da un cultore di Storia della Medicina quale Gian
Carlo non potevamo aspettarci altro.
Ma io ho avuto qualcosa in più: una brevissima, concisa dedica ma con tanto,
tanto “amore”. Grazie, Nic.
LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA
on sono un “recensore”, tanto meno
un “censore” e men che mai un “critico”; tuttavia non mi è stato possibile
non soddisfare la richiesta del nostro Presidente di presentare in questo bollettino
un libretto, per più aspetti pregevole, del
carissimo amico Gian Carlo Niccolai, per
gli amici “veri”, il Nic. Sarebbe bastato
alla bisogna riprodurre la premessa di
Roberto Barontini, altro non meno caro
collega e Presidente dell’Istituto Storico
della Resistenza che ha voluto pubblicare il lavoro che Giancarlo ha scritto con
la collaborazione di Paolo Nesti “naturalista e cultore di storia locale”.
La prima domanda che mi son posto
quando ho avuto in mano il libretto è
stata, ovviamente: l’Istituto della Resistenza, e perché? La spiegazione l’ho
trovata subito in quel che scrive Barontini manifestando l’interesse a mantenere
memoria delle vicende “della nostra terra e delle nostre genti soprattutto quando
vi è stato dolore, sofferenza e morte”. E
dove dolore, sofferenza e morte se non
nelle epidemie e nelle guerre? E qui epidemia e guerra furono contemporanee.
Il libretto del Nic soddisfa in pieno questo interesse, rievocando, nel titolo e
sottotitolo, un terribile evento di più di
ottant’anni fa, dal 1915 al 1919 e che solo
“poche persone (ovviamente anziane)
sono in grado di testimoniare”, al giorno
d’oggi.
Io gli ottanta li ho abbondantemente passati e mi considero, se così si può dire,
“figlio della spagnola”, non perché tale
fosse mia Madre ma perché, nei primi
mesi del mio concepimento, contrasse, e
fortunatamente superò la tremenda malattia, come tutti quelli di famiglia, famiglia “allargata” come a quei tempi usava in Sicilia, e non solo, comprendente,
oltre al marito – mio Padre – e il primo
figlio, le sorelle nubili accorse a condividere disagi, malattia e assistenza.
13
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Egr. Collega,
questo Laboratorio si è da sempre impegnato, oltre che sulla riduzione dei tempi delle risposte fornite,
anche sul versante della qualità delle prestazioni erogate, per garantire al curante dati affidabili su cui basare
una terapia medica efficace.
Grazie anche alla vostra collaborazione, desideriamo ampliare la gamma degli esami forniti consentendovi
di formulare diagnosi più precise e ancora più rapide nell’ambito delle malattie infettive comunitarie,
adottando nuovi test e nuove tecnologie che si sono dimostrate affidabili e precise, superando in velocità le
metodiche tradizionali ormai obsolete.
In particolare vorremmo inserire i seguenti esami, tutti eseguibili e refertabili nel corso della stessa giornata:
1. Ricerca diretta dell’antigene pneumococcico nelle urine per la conferma di una broncopolmonite
acuta o per il riacutizzarsi di una broncopneumopatia cronica, specie nell’anziano.
2. Ricerca diretta dell’antigene della Legionella pneumophila nelle urine per la diagnosi di una
polmonite da Legionella la cui terapia mirata deve iniziare precocemente per salvare la vita del
soggetto.
3. Ricerca diretta del virus dell’Influenza A e B (compreso il virus dell’influenza aviaria) su materiali
respiratori per una rapida conferma o esclusione di questa diffusa infezione respiratoria,
particolarmente aggressiva nei pazienti anziani non vaccinati.
4. Ricerca diretta del virus Respiratorio Sinciziale causa molto frequente (~ 75% dei casi) di gravi
bronchioliti nei bambini fino a 2 anni di vita o di polmoniti.
5. Ricerca diretta della Streptococcus pyogenes da tampone, con conferma colturale dopo 24 ore.
6. Ricerca diretta dell’antigene specifico di Plasmodium falciparum nel sangue in caso di sospetta
malaria contratta dopo soggiorno in aree endemiche. All’esame diretto segue comunque
l’esecuzione di uno striscio sottile e spesso la conferma o l’evidenza di un’altra specie di
Plasmodium.
7. Ricerca diretta dell’antigene di Helicobacter pylori nelle feci per la conferma del batterio
nell’apparato digerente (stomaco e/o duodeno) del paziente e per conferma dell’efficacia della
terapia antibiotica.
Desideriamo implementare e migliorare la ricerca e la conferma dei ceppi batterici portatori di importanti
fattori di resistenza agli antibiotici (Staphylococcus aureus meticillino resistente, batteri Gram negativi
resistenti alle ß-lattamasi) che si stanno sempre più diffondendo nella popolazione comunitaria e che
richiedono specifici farmaci per la cura dell’infezione.
Proponiamo infine il controllo e la verifica microbiologica dei campioni biologici dei soggetti che intendono
sottoporsi all’inseminazione artificiale omologa.
Tutta questa parte innovativa, insieme con altre indagini microbiologiche di uso più routinario, quali ad
esempio la diagnostica delle infezioni superficiali da miceti (dermatofiti e Candida), sarà resa possibile
grazie alla collaborazione e supervisione del Dr Roberto Rossetti, già responsabile dell’U.O. di Microbiologia
dell’Ospedale di Pistoia.
Renderemo inoltre disponibile un test di tipizzazione del cariotipo umano per l’identificazione di
sindromi legate ad aberrazioni cromosomiche numeriche e in grado di provocare gravi malattie e difetti
dell’accrescimento. Il test sarà eseguito una volta la settimana da uno specialista in Genetica Medica, e la
risposta sarà disponibile entro 10 giorni dall’esecuzione ambulatoriale del prelievo del materiale biologico.
Un ulteriore impegno che ci sentiamo di prendere, sarà la pubblicazione a cadenza periodica, cartacea o
via e-mail, di report epidemiologici dei batteri più frequentemente isolati dai vari campioni biologici e le loro
sensibilità ai farmaci di più largo impiego in medicina comunitaria, per permettervi di conoscere la tipologia
dei batteri coinvolti nelle più comuni infezioni sulla popolazione residente ed evidenziarne le eventuali
variazioni dei profili di resistenza agli antibiotici.
Inoltre, tramite la casella di posta elettronica, sarà possibile a tutti voi avere un rapporto diretto e immediato
col laboratorio, oppure proporre nuovi test, fare commenti sui report, dare suggerimenti per migliorare il
nostro lavoro o anche criticarlo se ritenete ci siano motivi per farlo, chiedendoci di migliorare il servizio
fornito nelle parti che, a vostro giudizio, non funzionano come dovrebbero.
È del tutto evidente lo sforzo organizzativo ed economico che questo laboratorio si accinge a fare, e su
cui impegna gran parte del suo futuro, seppure in un momento di grave difficoltà della sanità a causa
delle limitate risorse disponibili. Ma è una carta che desideriamo giocare, sperando nel vostro consenso
e appoggio a questa iniziativa, anche nell’interesse della popolazione servita che si può giovare di nuovi,
rapidi ed efficienti mezzi di diagnostica per una migliore gestione della salute.
Vi saremmo grati anche di un solo cenno di assenso o di commento a questa iniziativa tramite la casella di
posta elettronica o di un SMS, al numero telefonico del laboratorio 0573.31899, indicando cortesemente il
vostro nome.
Tutto ciò ci è necessario per programmare con anticipo la nostra futura attività.
Ringraziandovi ancora per la vostra generosa collaborazione si porgono distinti saluti.
Il Responsabile
Dott.ssa Nesi Giuliana
Laboratorio Fleming Biodata Services
E-mail: [email protected]
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Bollettino n. 6 - Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della