Società Nazionale degli
Operatori della Prevenzione
Rivista trimestrale • dicembre 2006 n. 69, anno 21
ISSN 1720-9714
DOSSIER EBP E PRATICHE OBSOLETE
AMBIENTE
Dallo statuto
è costituita l’associazione denominata “Società Nazionale
Operatori della Prevenzione”, in sigla
, con finalità
scientifiche e culturali. L’associazione, in quanto ente non
commerciale, si propone di:
• sostenere l’impegno politico e culturale per lo sviluppo di
un sistema integrato di prevenzione, finalizzato alla rimozione dei rischi e alla promozione della salute negli
ambienti di vita e di lavoro, con particolare attenzione
alla rete dei servizi e presidi pubblici
• promuovere conoscenze e attività che sviluppino la prevenzione e la promozione della salute dei lavoratori e della
popolazione in relazione a rischi derivanti dallo stato dell’ambiente e dalle condizioni di vita e di lavoro
• favorire lo scambio di esperienze e informazioni fra gli
operatori e il confronto sulla metodologia e i contenuti
dell’attività, per raggiungere l’omogeneità delle modalità
di intervento perseguendo il miglioramento continuo di
qualità e l’appropriatezza delle attività di prevenzione a
livello nazionale
• promuovere il confronto e l’integrazione tra sistema di
prevenzione pubblico e sistema di prevenzione delle
imprese
• promuovere un ampio confronto con le istituzioni, le
forze sociali e le altre associazioni scientifiche su questi
temi
• diffondere l’informazione e la cultura della prevenzione.
L’associazione non ha fini di lucro.
Tariffa regime libero: Poste Italiane S.p.A.
Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DRCB Roma
UN
E SALUTE: RITORNO AL FUTURO
APPROCCIO INTEGRATO PER LA SANITÀ VETERINARIA
indice
Rivista trimestrale della Società nazionale
degli operatori della prevenzione
Pagine aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Editoriale
Editore: Snop • Società nazionale operatori
della prevenzione • via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milano
www.snop.it
Pratiche obsolete: luci e ombre di un disegno di legge . . . . . . . . . . . . . . . 3
Alberto Baldasseroni
Alta definizione
Numero 69 dicembre 2006 • anno 21
Direttore responsabile: Claudio Venturelli
Direttore: Alberto Baldasseroni
Direttore editoriale: Eva Benelli
Comitato scientifico di redazione:
Alberto Baldasseroni, Roberto Calisti, Emilio Cipriani,
Maria Elisa Damiani, Giorgio Di Leone, Annunziata
Giangaspero, Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca
Pietrantoni, Luigi Salizzato, Domenico Spinazzola,
Domenico Taddeo, Claudio Venturelli, Luciano Venturi
Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna,
Anna Maria Zaccheddu
Progetto grafico: Corinna Guercini
Copertina e impaginazione: Bruno Antonini
Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma
tel. 068175644 e-mail: [email protected]
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Singolo numero: 10,00 euro
«Idrofobia e altre malattie non meno appiccicaticce» . . . . . . . . . . . . . . 5
Adriano Mantovani, Agostino Macrì,
Santino Prosperi, Luciano Venturi
Uomo e animale, una convivenza possibile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
Caterina Ravaglia, Donatella Saporetti
Dossier
Il pensiero magico e la salute pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Paolo D’Argenio
Caro Cesare… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Giovanni Berlinguer
Ebp: sulla frontiera della nuova sanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
Luigi Salizzato
E il certificato, cacciato dalla porta, rientrò dalla finestra . . . . . . . . . . 24
Giorgio Ferigo
Medicina del lavoro, un altro mondo è possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Gianpiero Mancini
Raccogliere le evidenze: la sintesi realista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Liliana Leone
Il buratto grosso
Quando anche Bersani era «corporativo» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
Giorgio Ferigo
Alta definizione
Autoriz. Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2007
«Perché proprio a me?» Come si costruiscono scelte condivise. . . . . . . 35
Paolo Lauriola
Chiare, fresche e dolci acque? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
Luca Carneglia
Vita da Snop
Autonomia e responsabilità dell’assistente sanitario . . . . . . . . . . . . . . .42
Maria Elisa Damiani e Gabriella Tritta
La parola a…
Ambiente e salute: ritorno al futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Marcello Panarese
Quando la malattia crea la differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
Luigi Sudano
Pagine aperte
L’inaffondabile
diseguaglianza
e nasci in
Sierra
Leone, è difficile che tu possa
festeggiare il tuo
trentaquattresimo
compleanno. Per
quella data sarai
probabilmente già
stato ucciso dal
tifo, dalla malaria, dalla dissenteria o dal gesto violento di
un altro giovane armato di
kalashnikov o di machete.
Insomma, la tua aspettativa di
vita è di 34 anni.
Se nasci in Giappone, hai ottime probabilità di festeggiare il
tuo ottantunesimo compleanno e ti resterà ancora qualcosa. Morirai in un ospedale con
l’aria condizionata, o in casa
circondato da figli e nipoti. Ti
porterà via una malattia cardiocircolatoria o un tumore o
una emorragia interna di cui
neppure ti accorgerai. Negli
81,9 anni di aspettativa di
vita, nasceranno, moriranno e
nasceranno ancora tre persone
in Sierra Leone.
Abbiamo scelto questo tra i
tantissimi dati messi a disposizione dallo stupendo volume
A caro prezzo. Le diseguaglianze nella salute. 2°
Rapporto dell’Osservatorio italiano sulla salute globale, edizioni ETS (344 pagine, 20
euro). Sono numeri e circostanze che appartengono a un
antico luogo comune, quello
della diseguaglianza di fronte
alle possibilità della vita e
prima di tutto alla salute. Un
luogo comune che si basa su
una realtà così granitica da
non essere stata intaccata né
S
Manuale di medical humanities
A cura di Roberto Bucci
Zadigroma (Roma), 2006
pp. 320, 30 euro
dalla globalizzazione, né dalla dimensione sempre più
massiccia di strutture internazionali
come l’Organizzazione mondiale
della sanità, né dal
moltiplicarsi di
organizzazioni non
governative composte da
medici o comunque dedite a
migliorare la condizione di
vita dei “malati della Terra”.
Il volume, introdotto da un
saggio di Giovanni Berlinguer
sull’origine sociale delle
malattie, raccoglie una serie di
interventi che mostrano la
complessità e la ricchezza dei
temi che indagano le diseguaglianze di fronte alla salute.
Andando ad esaminare anche
temi poco studiati come la
“Patologia della diseguaglianza e ricerca scientifica”
(Nicoletta Dentice, una lunga
esperienza in Medici senza
frontiere), o come “Le diseguaglianze negli stili di vita” (Eva
Buiatti e Fabio Voller).
Ma, come dice Giovanni
Berlinguer nell’introduzione,
esistono rischi (l’accentuarsi
dei conflitti e delle guerre
asimmetriche, per esempio)
ma anche opportunità. Basate,
queste, «sull’impegno dei
governi, sull’attività delle
amministrazioni locali, sulle
iniziative della società civile,
sulle lotte dei lavoratori, su
movimenti sociali e culturali
animati da valori morali».
Quasi un invito a darsi da
fare, per ognuno di noi.
Romeo Bassoli
Come punto di incontro fra medicina e
discipline umanistiche, le medical humanities rappresentano uno spazio per il
dialogo fra i saperi, per una pratica più
completa della medicina. Con il Manuale, anche il lettore italiano può finalmente orientarsi nel panorama internazionale delle medical humanities.
Recenti progressi in medicina
vol. 97, n. 10-12, ottobre-dicembre 2006
Pensiero Scientifico Editore (Roma)
fascicolo 15 euro
In occasione del sessantesimo anniversario della rivista, che dal 1946 offre
una rassegna mensile della letteratura
medico-chirurgica internazionale, l’editore ha realizzato un cofanetto con tre
fascicoli speciali monotematici: Il
mondo, il medico, la persona; Sanità,
ricerca, tecnologia; Medicina domani.
Chronic disease:
an economic perspective
Marc Suhrcke, Rachel Nugent,
David Stuckler, Lorenzo Rocco
www.oxha.org/initiatives/economics/
chronic-disease-an-economicperspective
In questo rapporto, scritto grazie al supporto della Oxford Health Alliance, gli
autori dimostrano come le malattie croniche abbiano un forte impatto sull’economia, sia nei Paesi ricchi che in quelli
in via di sviluppo. Diventa quindi non
solo strategico, ma anche assolutamente
irrinunciabile tenerne conto nella pianificazione degli interventi, sia nazionali
che internazionali.
2
pagine aperte • numero 68
69
Editoriale
Pratiche obsolete: luci e ombre
di un disegno di legge
Alberto Baldasseroni
e il censimento delle
leggi regionali per
la semplificazione
della burocrazia nella
sanità pubblica non inganna, la prima normativa di
rilievo a questo proposito
risale al 1996, quando si è
fatto un timido accenno
all’inutilità di alcuni esami
complementari alla visita
per il rilascio del libretto
per alimentarista. La
norma era della Regione
Lazio e, a scanso di equivoci, ribadiva la necessità di
effettuare la visita medica e
certificare l’impossibile,
cioè l’assenza di malattie
infettive in atto. Insomma
un “pannicello caldo”, non
certo un atto coraggioso e
risoluto nella giusta direzione. A distanza di “soli”
dieci anni, da qualche mese
ci ritroviamo a discutere di
un Disegno di legge (Ddl)
articolato e complesso,
frutto di un lavoro non
certo episodico, varato dal
governo per orientare
meglio le sempre scarse
energie economiche e
umane del Servizio sanitario nazionale nel campo
della prevenzione. In altre
parole, per semplificare la
vita dei cittadini. Un salto
S
numero 69
epocale, verrebbe da dire.
Se il certificato
è inutile
Fra le pratiche di cui si
propone l’abolizione alcune
erano ormai diventate proverbiali per la vessatorietà
nei confronti di utenti e
operatori. Basti pensare al
surreale “certificato di
sana e robusta costituzione”, da chiedersi solamente
ai sani e robusti, ma già
abolito per i non-sani e i
non-robusti (legge per i
diritti dei portatori di handicap). Ma anche a quello
spuntato nel 1992 per certificare l’idoneità di carrozzieri, elettrauto e meccanici
in genere, addetti alle revisioni delle automobili da
parte di un fantomatico
“ufficiale sanitario” abolito
quattordici anni prima
dalla Legge 833 di riforma
sanitaria.
Questo Ddl sanerebbe
anche l’impresentabile
situazione che si è venuta a
creare in diverse Regioni,
che hanno autonomamente
deciso di abolire il cosiddetto Libretto di idoneità
sanitaria per gli alimentari-
sti (Lisa, pag. 14), introdotto con la Legge 283 del
1962 prima della Riforma
sanitaria 833 del 1978 e
attualmente rinnegato in
metà Italia (ma richiesto
nell’altra metà!). Un’altra
abolizione proposta, particolarmente apprezzabile, è
quella della famigerata
“visita per l’avviamento al
lavoro degli apprendisti”,
caso esemplare di cattiva
legiferazione da parte del
Parlamento. Chi opera nei
Servizi di prevenzione sui
luoghi di lavoro si trova
infatti nella incresciosa
situazione di dover certificare due volte la stessa
cosa, ovvero l’idoneità al
lavoro di un giovane
apprendista minorenne:
una volta perché apprendista, l’altra perché minorenne. Ma di queste perle se
ne possono trovare diverse
scorrendo l’elenco contenuto nel Ddl e, soprattutto,
leggendo la relazione del
gruppo di lavoro del ministero della Salute.
Sviste o mancanze?
Tutto bene quindi? Non
proprio. Innanzitutto il Ddl
non contiene nulla che
riguardi la sanità veterinaria, che pure è stata oggetto di alcune proposte in
seno al gruppo di lavoro. A
conferma di come questo
tema sia un tabù, in sede
ministeriale è stato addirittura posto un veto sull’argomento. Evidentemente i
tempi non sono ancora
maturi per tradurre in pratica le linee guida di funzionamento del dipartimento di Prevenzione delle Asl,
approvate dalla conferenza
delle Regioni nel 2002,
anche nel campo della
sanità veterinaria.
Un secondo punto critico è
la mancata abolizione delle
visite di idoneità per i
minori avviati al lavoro in
settori privi di rischi lavorativi. Questa proposta era
l’unica dell’elenco basata
su prove scientifiche di inutilità, raccolte nel dossier
Salem (Sorveglianza
apprendisti al lavoro e
minori, pag. 21), che ha
fatto una valutazione di
efficacia del programma di
sanità pubblica di sorveglianza di apprendisti e
minori avviati al lavoro in
settori non a rischio. Aver
accettato di escludere que-
3
sta abolizione dalla lista
varata dal Consiglio dei
ministri è contro il principio basilare della prevenzione basta su prove di efficacia (o evidence based prevention, Ebp), ovvero che
siano le prove di efficacia o
inefficacia a fornire gli elementi decisivi per una scelta. Non sempre è possibile,
ma quando queste prove
esistono non si possono
ignorare, perché significherebbe vanificare il lavoro
della comunità scientifica.
C’è anche da notare che il
provvedimento è giunto
all’attenzione dell’opinione
pubblica come iniziativa
per la “semplificazione
amministrativa”, anche
grazie al traino di una ben
più notiziabile querelle:
quella che riguarda l’uso di
sostanze stupefacenti a fini
terapeutici e il riordino
delle regole per la vendita e
la somministrazione.
Ancora una volta si è
persa l’occasione per trasmettere il messaggio corretto che non si trattava di
una semplificazione amministrativa, ma di giustizia
sociale, efficacia della
sanità pubblica, equità nell’accesso a trattamenti
sanitari di garantita utilità.
Non vorremmo che passasse l’idea che abolire cose
inutili imposte dalla sanità
pubblica significa risparmiare risorse e che quindi
l’operazione si concludesse
con un semplice ridimensionamento quantitativo
della prevenzione. Sarebbe
una vera e propria beffa.
All’insegna dell’Ebp
Il provvedimento del governo è ora atteso da un iter
parlamentare, non privo di
insidie. Preoccupa in particolare che l’intero Ddl
possa diventare oggetto di
dispute ideologiche legate
all’impiego di sostanze stupefacenti a fini terapeutici.
In genere, nei regimi democratici, la legislazione arriva a suggello di un’istanza
della società civile, espressa in Parlamento dai rappresentanti della maggioranza. Questo è perlomeno
il percorso in cui crediamo
fermamente. Viene quindi
da chiedersi se la nostra
“società civile” abbia, in
questo caso, veramente
espresso questo auspicio.
La risposta la avremo nel
momento in cui questo Ddl
diventerà legge dello Stato.
Non possiamo però ignorare che valori come “equità,
diritto di accesso a trattamenti efficaci, rispetto per
la dignità delle persone,
interesse della collettività”
caratterizzano tuttora il
nostro servizio sanitario,
anche se sono quotidianamente minacciati da nuove
parole d’ordine, apparentemente affini ma talvolta
opposte. Quello delle prestazioni inutili e obsolete è
un terreno essenziale per il
riorientamento della sanità
pubblica.
Liberare risorse per dedicare energie a temi finora sottovalutati o solo superficialmente affrontati, ma che
valgono assai di più, in termini di carico di malattia e
disabilità evitabili per la
collettività, è un imperativo
ineludibile.
Pur senza tacere le preoccupazioni sopra ricordate,
non possiamo quindi non
dirci soddisfatti del fatto
che i temi dell’Ebp siano
entrati con forza nell’agenda del governo di questo
Paese.
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4
editoriale • numero 68
Alta definizione
«Idrofobia e altre malattie
non meno appiccicaticce»
Adriano Mantovani, Agostino Macrì,
Santino Prosperi, Luciano Venturi
l fatto che alcune malattie possano colpire
simultaneamente persone e animali è noto sin dall’antichità. Le prime segnalazioni di infezioni trasmesse da animali all’uomo
riguardano malattie occupazionali: per esempio,
Tito Livio narra che nell’anno di Roma 328 una
forma di rogna fu trasmessa dal bestiame ai lavoratori agricoli.
La prima malattia individuata come trasmissibile
dagli animali all’uomo è la
rabbia, “la madre di tutte le
zoonosi”, la cui trasmissibilità da cane a cane è stata
segnalata novecento anni
prima della nostra era, e
quella da cane a uomo
circa cinque secoli più
tardi. Si pensa che il cane
sia stato domesticato 11-14
mila anni or sono e che il
domesticamento degli animali e l’agricoltura abbiano segnato l’ingresso della
società umana nella morfologia attuale: circa 12 mila
anni, che corrispondono a
500 generazioni umane,
3000 generazioni canine e
150 mila del virus della
rabbia.
Durante il Medioevo sono
I
numero 69
state segnalate malattie
trasmesse dagli animali
all’uomo, soprattutto tramite alimenti. Il fervore
religioso portava però più
a valorizzare la diversità
dell’uomo, plasmato a
immagine divina, piuttosto
che ad accettare le caratteristiche in comune con gli
animali. Il Rinascimento ha
portato invece al risorgere
della medicina comparata,
già in auge nelle civiltà
precedenti.
L’esistenza di malattie trasmissibili dagli animali all’uomo è nota fin dai tempi più antichi, ma è solo a
metà dell’Ottocento che è comparso per la prima
volta il termine “zoonosi”. Da allora questa definizione è in continua evoluzione ed è oggetto di un
profondo dibattito concettuale ancora in corso.
Una discussione che riflette il conflitto tra un’impostazione verticale della sanità pubblica veterinaria,
improntata alla ricerca e all’insegnamento, e un’altra orizzontale, allargata ai servizi del territorio
impostati sulla collaborazione interprofessionale.
come “antropozoonosi” e
“zooantroponosi”. Nel 1951
e nel 1954 le definiva come
«malattie animali trasmisIl primo a utilizzare il termine zoonosi («infezioni da sibili all’uomo», mentre nel
veleni animali contagiosi») 1959 è passata a «malattie
e infezioni trasmesse natuè il medico tedesco Rudolf
ralmente da (altri) animali
Virchow, nel 1855. Nel
1824 Antonio Alessandrini vertebrati all’uomo». Da
notare come la parola
parla di «idrofobia e altre
malattie non meno appicci- “altri” sia messa tra parentesi per rispetto alle culture
caticce», mentre Bruno
non evoluzioniste. Si è inolGalli Valerio pubblica, nel
1894, un manuale intitolato tre discusso se inserire
Zoonosi: malattie trasmissi- nella definizione l’espressione “e viceversa”, per
bili dall’animale all’uomo,
indicare l’eventualità che
pubblicato dalla Hoepli.
L’Organizzazione mondiale l’uomo possa a sua volta
della sanità (Oms) oggi uti- trasmettere l’infezione
acquisita dall’animale.
lizza il semplice termine
Quando però si è constata“zoonosi”, evitando forme
to che l’uomo è un ospite
complesse ed esplicative
Definizioni d’epoca
paratenico per quasi tutte
le zoonosi, ovvero che è “a
fondo cieco” e quindi incapace di trasmettere a sua
volta l’infezione, si è deciso
di non inserire la frase
nella definizione. L’uomo è
infatti l’ospite definitivo
solo per Taenia saginata e
Taenia solium, mentre le
altre zoonosi completano il
loro ciclo vitale in assenza
dell’uomo.
Si può supporre che gli
agenti di zoonosi abbiano
compiuto, e compiano tuttora, una sorta di errore
evolutivo. Infatti non
hanno utilizzato e non utilizzano il loro occasionale
passaggio nell’uomo per
compiere il salto di specie,
5
Tabella 1 - Numero di parassiti condivisi dall’uomo
con animali domestici (d);
selvatici (sel); sinantropici (sin)
6
zoonosi che colpiscono
ruminanti domestici (bovini, caprini, ovini), sei generazioni di cani, cinque
miliardi di generazioni di
batteri e innumerevoli
bovini (d)
50
generazioni di virus.
cani (d, sin, sel)
66
zoonosi con gravi conse- Considerando l’impatto
equini (d)
35
sociale, si possono distinguenze per l’uomo, ma di
ovi-caprini (d)
46
guere zoonosi dei poveri e
scarsa importanza per gli
dei ricchi. Un ruolo primaanimali (per esempio febroditori (d, sin, sel)
32
rio è quello dei piani di
bre
Q,
trichinellosi).
suini (d)
42
profilassi: nel dopoguerra
uccelli (d, sin, sel)
26
L’esperienza italiana porta sono state eliminate dal
inoltre a inserire nel secon- territorio italiano la rabbia
(urbana e silvestre), la
do gruppo anche la leishmorva, la trichinellosi, l’enmeccanismo occorso, a suo dentificazione delle zoonosi maniosi.
La prevalenza delle zoonosi cefalopatia spongiforme
tempo, per la peste classica e del loro ruolo, nonché al
cambia di continuo, in con- bovina (Bse), mentre sono
e che oggi si teme avvenga loro controllo.
state fortemente ridotte la
Finora ne sono state iden- seguenza dell’evoluzione
per il virus dell’influenza
del parassita, della mutata brucellosi e la tubercolosi
tificate circa duecento, di
aviaria.
recettività umana (è il caso bovina. Il controllo di queIn questa visione, gli agen- origine virale, batterica,
per esempio delle coinfezio- ste zoonosi si è rivelato un
ti di alcune zoonosi (brucel- fungina, protozoaria,
problema di natura politini degli immunocomproelmintica e da artropodi.
losi, carbonchio, febbre Q,
messi) e animale, delle dif- ca, condizionato da legislaNotevole è il numero di
morva, tularemia e altre)
sono stati considerati adat- parassiti condivisi dall’uo- ferenti abitudini alimentari zione, ricerca e risorse.
Infine, i recenti casi della
mo con varie specie anima- e di vita, delle tecniche di
ti per la guerra batterioloBse e dell’influenza aviaria
allevamento e dell’induli (vedi tabella 1).
gica, in quanto si limitano
hanno evidenziato l’impatNel 1975 l’Oms ha suddivi- stria alimentare, dei rapa colpire la popolazione
to dei mass media nel
porti tra uomo, animali e
bersaglio e non si trasmet- so le zoonosi in base alla
determinare l’importanza
ambiente, nonché delle
loro rilevanza in:
tono a catena.
migliorate capacità diagno- di una zoonosi.
zoonosi con gravi riper- stiche (ma attenzione alle
zoonosi “dimenticate” che
cussioni sulle produzioni
Lo sviluppo delle
animali, ma scarsa rilevan- poi riemergono!). Nel corso Il campo si allarga
conoscenze
za per l’uomo (per esempio, di una generazione umana
afta epizootica, malattia di (25 anni) possiamo avere
Gran parte del ventesimo
Poco dopo il 1950, all’intercirca cinque generazioni di no sia dell’Oms sia di vari
secolo è stata dedicata all’i- Newcastle)
Paesi ha cominciato a svilupparsi la sanità pubblica
Tabella 2 - Principali infezioni zoonotiche presenti nella Regione mediterranea, veterinaria, con il compito
definita “la culla delle zoonosi”. Da qui il fatto che l’Oms di individuare le singole
ha costituito il Centro mediterraneo delle zoonosi, con sede ad Atene zoonosi, in termini di eziologia, epidemiologia,
importanza socioeconomibatteriosi: brucellosi, carbonchio, leptospirosi, listeriosi, morva, salmonellosi,
ca, misure di controllo,
tubercolosi zoonotica, tularemia
piani di profilassi.
micosi: criptococcosi, dermatomicosi
L’attenzione non è più limiclamidiosi e ricketziosi: febbre bottonosa, febbre Q, ornitosi, tifo murino
tata soltanto agli animali
virosi : Bse, ectima contagioso, febbre del Nilo occidentale,
domestici, ma si estende
febbre della Valle del Rift, rabbia
anche a quelli selvatici e
protozoosi: criptosporidiosi, leishmaniosi cutanea, leishmaniosi viscerale,
sinantropici.
toxoplasmosi
Oggi l’attività prioritaria e
più dinamica della sanità
elmintosi: cenurosi, dirofilariosi, echinococcosi cistica, echinococcosi
pubblica veterinaria è
multioculare, fasciolosi, Larva migrans, teniosi/cisticercosi (Taenia
determinare il ruolo delle
saginata, T. solium), trichinellosi
zoonosi nella politica aligravemente sia l’uomo sia
gli animali (per esempio
brucellosi, salmonellosi,
tubercolosi zoonotica)
alta definizione • numero 69
Alta definizione
SANITÀ PUBBLICA, UNA VISIONE INTEGRATA
Il continuo processo di revisione delle conoscenze scientifiche, che nel caso della sanità pubblica induce cambiamenti nelle politiche per la promozione della salute, trova in
questo articolo la conferma che la prevenzione è una
disciplina attiva. Una disciplina che cerca di interpretare
il proprio ruolo mantenendo viva l’attenzione anche verso
l’evoluzione dei criteri storicamente adottati per descrivere i contenuti scientifici delle materie di competenza.
Impostare una riflessione per giungere a far includere tra
le fonti di zoonosi tutti i fattori nocivi legati agli animali
e ai loro prodotti, nonché inserire fra questi anche gli
invertebrati eduli e tossici, è un segno evidente della capacità di adeguare continuamente i contenuti e la sistematizzazione delle proprie conoscenze tecniche e scientifiche
all’evoluzione delle condizioni di vita. E quindi, in un
mondo globalizzato ai nuovi rischi per la salute delle
comunità locali.
Pedro Acha, Jean Blancou, Calvin Schwabe, James Steele
sono soltanto alcuni dei nomi di coloro che hanno fatto la
storia e la prassi delle malattie trasmissibili dagli animali
all’uomo. A questi va indubbiamente aggiunto quello di
Adriano Mantovani, che insieme ad alcuni collaboratori
propone un interessante contributo ai lettori della rivista.
La voce “zoonosi-antropozoonosi” dell’Enciclopedia
Italiana di Scienze, Lettere e Arti dell’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana “Giovanni Treccani”, nell’aggiornamento del 1995, riporta una definizione originale
proprio di Adriano Mantovani, uno dei padri della riforma sanitaria, pioniere e maestro della sanità pubblica
veterinaria, di cui va anche ricordato con riconoscenza
l’imponente lavoro tuttora portato avanti nelle sedi tecnico-scientifiche delle maggiori organizzazioni sovranazionali. Si auspica che, sollecitati da questo articolo, possano
giungere considerazioni, spunti critici ed elaborazioni sul
tema da parte dei professionisti impegnati sul campo e
interessati all’argomento. Potrebbero così contribuire ad
ampliare gli spazi di interesse su cui la rivista ha fondato
storicamente la propria autorevolezza e diffusione, in una
visione sempre più interdisciplinare e integrata della
sanità pubblica.
delle zoonosi, e delle malattie animali in genere, sull’economia, sul commercio
nazionale e internazionale
e sulla società civile
risponde a logiche di tipo
olistico e comprende sia gli
agenti biologici (già pre-
mentare e nel commercio in
genere. Partita come “ispezione degli alimenti”, questa disciplina è divenuta
infatti “igiene degli alimenti” e infine “sicurezza alimentare”. Il concetto di
base che domina la sicurezza alimentare per quanto
riguarda i prodotti di origine animale è quello “dall’allevamento alla tavola” e
va quindi al di là della prevenzione dei soli agenti trasmissibili: questo implica
che gli animali siano indenni da malattie trasmissibili,
nutriti con prodotti che non
diano residui, allevati in
ambienti idonei, trasformati e conservati igienicamente. Altri compiti della
sanità pubblica veterinaria
sono:
determinare l’influenza
numero 69
Le prime definizioni e la
tradizione danno per acquisito che le zoonosi siano
infezioni dovute ad agenti
biologici trasmissibili.
L’evoluzione della sanità
pubblica ha però dimostrafinalizzare il benessere
animale alla gestione delle to che questa interpretaziopopolazioni animali e come ne è troppo ristretta e comprende solo una parte dei
strumento di controllo
delle zoonosi e delle malat- problemi per l’uomo che
possono derivare dagli anitie animali
mali, quella dovuta ad
promuovere la collabora- agenti biologici trasmissizione interprofessionale tra bili (vedi tabella 2).
le categorie interessate, cer- Queste considerazioni
cando di superare problemi hanno portato nel 2001 alla
proposta di definire le zooculturali e corporativi
nosi come «danno alla salute e/o qualità della vita
trasferire anche in altri
umana derivante da rapPaesi l’approccio italiano,
porti con (altri) animali».
che include nella sanità
pubblica veterinaria tutti i Questa definizione, a cui
problemi di rilevanza sani- hanno contribuito diversi
taria, sociale ed economica autori e che è stata oggetto
di dibattito e variazioni,
derivanti dagli animali.
Luigi Salizzato
gli autori
Adriano
Mantovani,
Agostino Macrì,
Elisabetta Lasagna,
Ivana Purificato,
Centro di Collaborazione Oms/Fao per
la Sanità pubblica
veterinaria
Santino Prosperi,
Luciano Venturi,
Università di Bologna,
dipartimento di Sanità
pubblica veterinaria e
patologia animale
Luigi Salizzato,
Ausl di Cesena,
dipartimento di Sanità
pubblica
7
Oms e sanità pubblica veterinaria:
vent’anni spesi bene
el 1984 l’Organizzazione mondiale
della sanità e
l’Istituto superiore di
sanità fondano il Centro
di collaborazione Oms per
la Ricerca e la formazione
in sanità pubblica veterinaria, con finanziamenti
del ministero degli Esteri
italiano.
Sei anni dopo, grazie al
coinvolgimento
dell’Organizzazione per
l’alimentazione e l’agricoltura, prende il nome di
Centro di collaborazione
Oms/Fao e, a partire dal
2002, entra a far parte del
dipartimento della Salute
animale e di sicurezza alimentare.
Le funzioni e le attività
del Centro sono molte e
diversificate:
N
ricerca su zoonosi e
malattie legate agli alimenti di origine animale
monitoraggio degli animali presenti in zone
urbane e rurali
interventi veterinari in
casi di emergenza non
epidemica e organizzazione di tutti gli aspetti della
sanità pubblica veterinaria legati a programmi
dell’Oms e della Fao
organizzazione di congressi, corsi di formazione e di aggiornamento del
personale Oms e Fao
sviluppo e applicazione
di metodi diagnostici
8
standard, raccolta e distribuzione di reagenti di riferimento
laboratorio di riferimento per il Programma mediterraneo di controllo delle
zoonosi
informazione e consulenza in materia di sanità
veterinaria.
Tra le istituzioni con cui il
Centro ha collaborato c’è la
Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo
(ministero degli Esteri italiano), il dipartimento per
la Sorveglianza e la risposta alle malattie infettive
(Oms), l’Iss, l’Istituto zooprofilattico sperimentale
dell’Abruzzo e del Molise
“G. Caporale”.
Più nel dettaglio, il Centro
di collaborazione Oms/Fao
ha condotto ricerche su
echinococcosi cistica, zoonosi in persone immunocompromesse, igiene urbana veterinaria, collaborazione interprofessionale e
sorveglianza dei rischi
occupazionali. Si è inoltre
occupato di progetti internazionali: nello Zambia ha
sostenuto importanti iniziative sulla gestione dei
pozzi idrici per controllare
la theileriosi maligna, nel
Salvador si è occupato
della formazione sulle
implicazioni dei prodotti
caseari, di origine animale
e ittica per la salute pubblica. Nei Territori palestinesi
il personale del Centro di
collaborazione Oms/Fao ha
pianificato programmi di
monitoraggio per la brucellosi, in collaborazione
con le istituzioni mediche
e agricole.
Nel campo della comunicazione e divulgazione, il
Centro ha pubblicato, a
partire dal 1987, una serie
di rapporti sui diversi
aspetti della sanità pubblica veterinaria in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale di
Teramo e con altre istituzioni. Dei manuali, pubblicati in inglese, francese,
italiano e spagnolo, sono
state fatte anche delle sintesi in arabo e russo.
Questi primi venti anni di
pubblicazioni del Centro
di collaborazione Oms/Fao
descrivono un periodo di
intensa attività ad alti
livelli di qualità.
Un’attività fortemente
apprezzata e utilizzata sia
da parte di organizzazioni
come l’Oms, la Fao e il
Centro mediterraneo di
controllo zoonosi, sia da
operatori di sanità pubblica di molte parti del
mondo. Di particolare
importanza è stato il
Congresso internazionale
di Igiene urbana veterinaria, organizzato nel 1999, e
la partecipazione a congressi mondiali di storia
della medicina.
Elisabetta Lasagna
Ivana Purificato
senti nelle definizioni originali di zoonosi), sia quelli
di tipo chimico e fisico
(vedi tabella 3). La ricerca
di denominazioni più esplicative e soddisfacenti è
sinora rimasta infruttuosa:
gli operatori devono quindi
essere preparati ad affrontare i problemi secondo
questo concetto allargato.
A titolo di esempio si può
citare la pratica dell’igiene
urbana veterinaria, che
richiede competenze sulle
malattie trasmissibili, la
gestione di popolazioni animali domestici o sinantropici, l’igiene ambientale e la
sicurezza alimentare, ed
esige un’impostazione epidemiologica allargata.
Dalla tradizione
al futuro
La definizione proposta, di
tipo orizzontale (trasversale), si addice alla impostazione di lavoro dei servizi
di sanità pubblica, basati
sull’epidemiologia, che
affrontano i problemi nel
loro complesso tenendo
conto di tutte le possibilità
e di tutte le varianti. Viene
inoltre rafforzata dalla tendenza dell’Oms a impiegare l’accezione “epidemie del
futuro” per definire patologie di massa emergenti
dovute ad agenti non biologici. Si accorda invece scarsamente con l’impostazione
accademica di tipo verticale, che privilegia l’attività
specialistica incentrata
sulle scienze di base.
Ancor meno si accorda,
infine, con le tendenze
attuali della politica della
ricerca che punta sulla
iperspecializzazione.
La proposta di allargamento del termine zoonosi ad
alta definizione • numero 69
Alta definizione
Tabella 3 - Cause non infettive di danno alla
salute umana dovute ad animali
allergeni
acari e miceti da “animalizzazione” dell’ambiente
da animali (peli, piume)
in alimenti di origine animale
avvelenamenti
contatto con animali irritanti
morsi di serpente
punture di artropodi
inquinamento
da animali
sporcizia
rumore
sovraffollamento
da “animalizzazione” dell’ambiente
da prodotti chimici usati per gli animali
in relazione ad alimenti di origine animale
allergeni
antibiotici
diossine
ormoni
sostanze chimiche
tossine
traumi
beccate
calci
graffi
morsicature
agenti non biologici è solo
un indicatore di un problema più importante. È certo
auspicabile che vengano
concordati un termine
onnicomprensivo, che
abbracci tutti i problemi
che derivano all’uomo
dagli animali, che comprenda anche i problemi
non biologici di natura chimica e fisica e uno distinto
per quelli biologici.
L’importante è considerare
l’insieme dei problemi derivanti all’uomo dagli animali come un unicum, stabilendo le priorità per i servizi sanitari, l’insegnamento
e la ricerca. L’impostazione
tradizionale provoca anche
difficoltà e imbarazzo per
coloro che organizzano
corsi di formazione per gli
operatori delle Asl: mentre
fino a pochi anni fa questi
corsi venivano tenuti quasi
esclusivamente da docenti
universitari, attualmente si
tende a impiegare soprattutto addetti ai lavori.
Questo da un lato testimonia una maggiore maturità
di una parte importante
degli operatori, dall’altro
mostra la difficoltà di
diversi docenti ad affrontare e trasmettere i problemi
del territorio.
Siamo di fronte a un cambiamento culturale e pratico, caratterizzato da un
conflitto tra un’impostazione verticale (specialistica)
di ricerca e insegnamento e
un’altra orizzontale (allargata) dei servizi del territorio. La discussione sul concetto di zoonosi ne è una
diretta conseguenza e una
conferma. La questione è
stata affrontata positivamente dai servizi sanitari
italiani, impostati sulla collaborazione interprofessionale e su una concezione
olistica che comprende rapporti tra sanità e benessere
animale e qualità della vita
umana.
9
numero 69
Alta definizione
Uomo e animale,
una convivenza possibile?
Caterina Ravaglia, Donatella Saporetti
Con l’esplosione dell’urbanizzazione sono sempre di
più gli animali presenti in città, sia quelli da compagnia sia quelli che hanno trovato nuovi habitat e che
condividono lo stesso ambiente dell’uomo senza però
appartenervi. Questa stretta convivenza è sempre
più difficile e ha presentato alle istituzioni una realtà
nuova, caratterizzata da paure, passioni e morbosità. È solo integrando competenze diverse che si potranno trovare strategie adeguate e migliorare la
fruibilità dell’ambiente urbano, in una rapporto di
totale benessere tra uomo, animali e ambiente.
ei secoli, il rapporto tra uomo e animali ha attraversato una prima fase di pura
predazione, seguita poi da
quella di addomesticamento e sfruttamento a fini alimentari. Negli ultimi
trent’anni, però, molteplici
fattori sociali e culturali
hanno modificato ulteriormente questo rapporto,
spesso caratterizzato da
intensi rapporti affettivi e
di compagnia, ma anche di
semplice godimento estetico, fino a condizioni di vera
e propria promiscuità.
L’uomo ha costruito le città
ed è stato accompagnato
da alcune specie animali,
mentre altre vi si sono
N
10
insediate indipendentemente dalla sua volontà, spesso
senza controllo.
Con l’esplosione dell’urbanizzazione sono aumentati
il numero e la varietà di
animali da compagnia
nelle città e si sono modificati gli equilibri dei sistemi
ecologici.
Nuovi habitat e nicchie trofiche sono stati forniti a
tutta una serie di animali
sinantropici (che condividono cioè lo stesso ambiente dell’uomo senza tuttavia
appartenervi, sfruttandone
le risorse ambientali e alimentari), a volte considerati simpatici o indifferenti
ma, molto più spesso, antipatici o addirittura odiati.
La stretta convivenza tra
uomo e animale presenta
sempre più aspetti critici e
ha messo le istituzioni pubbliche di fronte a diversi
problemi e a una realtà
finora sconosciuta, caratterizzata da paure, fobie, passioni e morbosità: esigenze,
in definitiva, opposte per
ogni singolo cittadino.
Compare la Iuv
La nascita dell’igiene urbana veterinaria (Iuv), intesa
come «complesso di attività sanitarie associate ai
rapporti uomo-animaleambiente in ambito urbano», risale al 1977, quando
queste problematiche sono
state affrontate per la
prima volta durante un
incontro a Roma tra alcuni
esperti dell’Organizzazione
mondiale della sanità
(Oms). La Iuv ha trovato
così le condizioni per affermarsi nell’eradicazione
della rabbia dal nostro
Paese (1973), consentendo
di superare la contrapposizione tra uomo e animale.
Attualmente, la possibile
diffusione della leishmaniosi e una gestione inappro-
priata della comunicazione
del rischio associato
potrebbero riproporre
situazioni di convivenza
“non amichevole”.
In quegli anni iniziarono a
essere richieste ai servizi
veterinari una serie di competenze, che non riguardavano più solamente le produzioni animali, ma anche i
problemi strettamente conseguenti alla coesistenza
dell’uomo e degli animali
nell’ambiente urbano. La
“socio-sanità pubblica” si è
arricchita di nuove competenze, ma anche di conflittualità, per il suo doppio
ruolo di responsabile della
salute e del benessere del
singolo animale come clinico e di garante della salute
pubblica nella prevenzione
dalle malattie infettive.
Il passaggio da attività
rurali a urbane è stata
un’inversione di tendenza
per i servizi veterinari pubblici, mentre per Regioni,
Province, Comuni e forze
dell’ordine è stato l’ingresso in una realtà nuova, in
continua evoluzione ed
espansione. Una realtà in
cui in particolare Comuni e
Aziende sanitarie locali
(Asl) ricoprono il ruolo di
alta definizione • numero 69
Alta definizione
protagonisti.
Nei Paesi fortemente industrializzati, l’evoluzione del
modello di convivenza tra
uomo e animale ha portato
allo sviluppo di una maggiore sensibilità nell’opinione pubblica, dovuta anche
a migliori conoscenze etologiche e a una più ampia
diffusione della filosofia
animalista, che riconosce
loro un insieme di diritti in
quanto esseri viventi.
Dalla fine degli anni
Ottanta sono state emanate
norme, in particolare la
Legge 281 del 1991, che
regolano il rapporto tra
uomo e animali. Tra queste, molte sono state
espressamente concepite
per tutelare gli animali e il
loro benessere, sancendo
così il riconoscimento giuridico e filosofico dell’animale come soggetto di
diritto.
Le amministrazioni comunali si sono trovate ad
affrontare una materia inedita e lontana dai consueti
confini applicativi, come
quelli dell’edilizia, dell’urbanistica, dell’ambiente,
dei servizi sociali, delle
attività culturali, ecc. La
loro difficoltà, la stessa per
i servizi veterinari, è gestire un ampio ventaglio di
competenze, apparentemente in conflitto tra loro.
Contemporaneamente
vanno tutelati sia il benessere degli animali, nel
rispetto del cittadino animalista, sia le persone che
non desiderano contatti
con gli animali (a volte
francamente zoofobici), ma
anche l’intera comunità dal
punto di vista sanitario,
attraverso la prevenzione e
il controllo di malattie
infettive.
Ricerche eseguite in undici
numero 69
Da Scienza e Vita, n. 112, maggio 1958; pag. 38.
Paesi europei hanno rilevato che, mediamente, è presente quasi un animale da
compagnia per ciascuno
dei suoi 275 milioni di abitanti (70 animali per 100
persone) e che circa il 46%
delle famiglie possiede un
animale, tra cui cani, gatti,
uccelli, cavie, topolini, criceti, conigli, tartarughe,
rettili e altri.
Amore e odio
Un’indagine condotta
dall’Istituto di ricerca Swg
nel 2001 ha messo in luce
come i cani in particolare
siano fonte di fastidio per
il 32% delle persone intervistate, contro un 66% che
li difende e un 2% che ne è
indifferente. Non è facile
raggiungere un’armoniosa
integrazione degli animali
in città: molti Comuni,
spinti dalla necessità di
fornire risposte adeguate e
far rispettare le innumerevoli norme in materia,
hanno istituito gli Uffici
per i diritti degli animali.
Questi si propongono come
centri di riferimento, custodi della completa visione di
tutti gli aspetti di natura
11
le autrici
Caterina
Ravaglia,
Comune di Ravenna,
ufficio per i Diritti degli
animali
Donatella Saporetti,
Ausl di Ravenna,
dipartimento di Sanità
pubblica
zione verso i felini randagi,
e monitoraggio delle colonie feline
accettazione delle richieste di sterilizzazione chirurgica dei gatti provenienti dalle colonie feline, in
collaborazione con i servizi
veterinari delle Asl
promozione di campasociale che emergono nei
riguardi degli animali.
L’obiettivo dichiarato è
coordinare le iniziative per
la tutela degli animali, in
collaborazione con gli altri
enti pubblici coinvolti, e
fornire risposte ai cittadini.
Nell’ambito dei principi fissati dalle leggi e in collaborazione con i dipartimenti
di Sanità pubblica delle
Asl, svolgono molteplici
attività e servizi, tra cui:
gne di adozione a favore
dei cani e dei gatti senza
padrone
raccolta delle informazioni sulla normativa
vigente
ricerca e successiva trasmissione alle autorità competenti delle denunce per
maltrattamenti di animali
gestione delle rinunce di
censimento delle specie
proprietà dei cani e redazione di liste d’attesa in base
alle priorità
animali presenti nel territorio, con particolare atten-
collaborazione con le
Ogni ufficio svolge anche
attività specifiche, che
rispondono alle peculiarità
di ogni territorio, ma il filo
conduttore resta comunque
elaborazione e promoil recupero dell’equilibrio
zione di strategie e pronella relazione tra uomo,
grammi per sensibilizzare
animali e ambiente.
la popolazione contro il
randagismo, l’abbandono e Compito dei Comuni e dei
il maltrattamento degli ani- servizi veterinari è mantenere un approccio organico
mali
e multidisciplinare, facenmonitoraggio delle mor- do confluire le singole competenze in una perfetta
sicature e dei cani con
sinergia operativa, alla
“aggressività non controllata”, in collaborazione con conquista di una nuova
cultura di coesistenza.
i servizi veterinari
Gli enti pubblici si dovranno impegnare sempre più
promozione dell’educain campagne di educazione
zione dei cittadini
e informazione. Soltanto
grazie al contributo coordierogazione di informanato di diverse professionazioni sulla corretta gestiolità si potranno individuare
ne dei piccioni in città
strategie adeguate per programmare gli interventi e
collaborazione nella
per una migliore fruibilità
gestione delle strutture di
dell’ambiente urbano, in
ricovero per cani e gatti
una rapporto di totale
gestione delle aree verdi benessere tra uomo, animali e ambiente.
riservate ai cani.
associazioni animaliste e
coordinamento delle loro
attività
12
alta definizione • numero 69
IL PENSIERO MAGICO
E LA SALUTE PUBBLICA
Abbandonare il pensiero magico e rifarsi solamente a quanto scientificamente dimostrato: un principio che vale non
soltanto per la medicina, ma anche per la prevenzione.
Molte delle misure preventive previste dall’attuale normativa italiana sono ormai superate, perché rispetto a quando
sono state introdotte le conoscenze si sono evolute e alcuni
problemi che volevano combattere non ci sono più. Ma se la
società e la salute cambiano, anche la legge deve adeguarsi.
Da qui la nascita del movimento dell’evidence based prevention, per una prevenzione sempre più utile alla sanità e sempre meno schiava dell’abitudine. Punto di partenza (e non
di arrivo, speriamo) il disegno di legge recentemente approvato dal governo italiano per la semplificazione di una serie
di pratiche ritenute ormai obsolete alla luce delle evidenze
scientifiche.
Dossier
Paolo D’Argenio
T
utti noi desideriamo cure e
interventi preventivi che
funzionino bene contro le
malattie. Tuttavia, per
quanto possa apparire bizzarro,
la nozione di efficacia delle cure e
degli interventi preventivi si è diffusa solo recentemente ed è difficile da concettualizzare e da comunicare. In altre parole, professionisti, decisori e l’intera popolazione fanno fatica ad astrarsi dall’esperienza personale e dal buon
senso, per avvicinarsi all’idea che
è necessario disporre di prove
scientifiche che mostrino se i trattamenti funzionano. Molti hanno
numero 69
osservato che nel nostro Paese c’è
una carenza di cultura scientifica
a tutti i livelli della società, il che
rappresenta un grosso ostacolo
per lo sviluppo di una moderna
sanità pubblica.
Per esempio, il pensiero magico
tende a esagerare il valore del certificato medico che può essere
preso in considerazione come una
misura per affrontare problemi di
salute. Ancora recentemente l’opinione pubblica ha mostrato
preoccupazione perchè le modelle
filiformi potrebbero rappresentare un pessimo esempio per le adolescenti e la salute delle stesse
inceneritori
13
l’autore
Paolo D’Argenio
ministero della Salute,
direzione della Prevenzione
modelle potrebbe essere a rischio.
Ebbene, uno dei rimedi individuati è stato: per fare la modella,
ci vuole il certificato medico.
È molto triste osservare la pervasività del pensiero magico. Per
coloro che devono prendere decisioni, sotto la pressione di varie
forze (i media, l’industria, la
finanza, i sindacati), il fascino del
pensiero magico può essere legato al fatto che, per alleggerire la
pressione, bisogna decidere in
fretta con misure comprensibili ai
più. E quello che è facilmente
comprensibile è quanto basato
sul senso comune.
Ma anche il nostro buon senso è
spesso inquinato dal pensiero
magico. Come situazione tipo immaginiamo un gruppo di studenti ecologisti che vi invita a illustrare i danni per la salute provocati dall’inquinamento atmosferico. Voi vi affannate a spiegare che
il più grave inquinante indoor è il
fumo di sigarette e gli studenti,
che intanto hanno affumicato tutta la stanza fumando a più non
posso, vi guardano come un millantatore: state davvero dicendo
che il fumo di sigarette è più grave dello smog? State addirittura
dicendo che non ci sono prove sui
danni del cosiddetto smog elettromagnetico? Siete costretti a dire
qualche parola di congedo, prima
di guadagnare rapidamente la
porta, sotto sguardi di commiserazione degli ecologisti che non
riescono a credere alle loro orecchie. E in effetti non ci credono.
Prendiamola da lontano
A partire dagli anni Novanta, la
comunità scientifica internazionale si è impegnata nel ridefinire
le basi teoriche delle pratiche sanitarie ed è giunta all’elaborazione di linee guida e raccomandazioni per la buona pratica clinica:
la cosiddetta evidence based medicine (Ebm).
Anche la prevenzione non fa eccezione: l’efficacia delle misure di
prevenzione, sia quelle che consistono in modifiche del sistema regolatorio, sia quelle rivolte alla
comunità, sia infine quelle che si
rivolgono ai singoli individui, deve essere valutata sulla base di
prove empiriche.
In Italia, all’interno dei servizi di
prevenzione, nasce quindi un movimento di opinione, quello dell’evidence based prevention (Ebp),
con l’obiettivo di migliorare la
pratica della prevenzione e renderla sempre più utile per la salute pubblica. Propulsori dell’iniziativa sono l’Agenzia regionale sanitaria della Toscana, la Snop e
alcuni dipartimenti, come quelli
di Verona e Cesena.
Oggi la legislazione italiana contiene numerose norme che impongono misure preventive che
non sono più ritenute valide dalla
comunità scientifica rispetto all’epoca in cui la misura è stata introdotta, oppure norme relative a
problemi di salute pubblica che
ormai non esistono più.
Queste pratiche sono spesso percepite dai cittadini come un inutile aggravio burocratico, mentre
per il servizio sanitario rappresentano uno spreco di risorse e
portano a perdita di credibilità.
Su queste misure, nel 2001 Giorgio Ferigo dà alle stampe il suo Il
certificato come sevizia – L’igiene
pubblica tra irrazionalità e irrilevanza, un libro radicale e irriverente che mette in discussione il
buon senso come generatore di
mostri.
L’iniziativa Ebp non intende essere solo un movimento di opinione,
ma agire anche come un gruppo
di pressione per adeguare la normativa alle conoscenze scientifiche disponibili.
L’attività è frizzante fin dall’inizio: si crea una mailing list per
mettere in contatto gli operatori
della prevenzione, si organizzano
tre convegni nazionali, corsi di
formazione, incontri, seminari e
workshop periodici. Tra questi, di
grande importanza i due convegni, organizzati in Veneto dal Dipartimento di Verona e da quello
Lisa? Non fa per noi
14
Nell’ambito di un pacchetto di misure, definibile come
“Programma di sanità pubblica”, sulla salubrità e sicurezza alimentare, viene previsto anche il rilascio o il rinnovo del Libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi
(Lisa).
L’obbligo del Lisa è stato recentemente messo in discussione da diverse norme regionali e in particolare dalla
Legge regionale della Toscana 24 del 12 maggio 2003
“Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare”. Questa norma è stata impugnata
da parte del Governo nazionale di fronte alla Corte
costituzionale, ma in suo favore, e quindi per l’abolizione del Lisa, è stato realizzato uno studio da parte della
Asl 10 di Firenze. Il documento, dal titolo “Valutazione
dell’efficacia dell’intervento libretto di idoneità sanitaria
per alimentaristi (Lisa) all’interno dei programmi di
salute pubblica per la salubrità e la sicurezza degli alimenti”, è stato pubblicato da Alberto Baldasseroni,
Sarah Bernhardt e Antonella Ciani Passeri, con il contributo di Emanuela Balocchini e Claudia Dellisanti.
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
di Conegliano, cui partecipa attivamente anche la Società italiana
di igiene, medicina preventiva e
sanità pubblica (Siti). Si cominciano a fare studi collaborativi, pochi purtroppo, per valutare efficacia e costi degli interventi di prevenzione previsti dalla legge, mettendo a disposizione i risultati.
Incidere sulle decisioni
Con la riforma del Titolo V della
Costituzione del 18 ottobre 2001,
la tutela della salute è prevista come materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L’iniziativa Ebp concentra i suoi sforzi
principalmente sull’abolizione dell’obbligo del Libretto di idoneità
sanitaria per gli alimentaristi (Lisa, vedi il box in questa pagina).
Nel giugno del 2002, gli operatori
della Snop inviano una lettera al
ministero della Salute, sottolineando come il libretto sanitario
non sia sostenuto da alcuna prova di efficacia e sia quindi una
“pratica di vergognosa e dispendiosa inutilità”.
Nel 2003 alcune Regioni approvano l’abrogazione del libretto. Il
ministero ricorre allora alla Corte
Costituzionale contro i provvedimenti regionali, aprendo un conflitto sulla competenza a legiferare nel campo.
Con la pubblicazione, nel mese di
novembre, dello studio “Valutazione dell’efficacia dell’intervento
libretto di idoneità sanitaria per
alimentaristi all’interno dei programmi di salute pubblica per la
salubrità e la sicurezza degli alimenti”, coordinato dalla Asl 10 di
Firenze, vengono presentate le
basi scientifiche a sostegno dell’abolizione del libretto di idoneità. All’inizio del 2004 anche altre Regioni si muovono nella direzione dell’abolizione del libretto,
emanando decreti e promuovendo
corsi di aggiornamento del personale addetto al settore alimentare.
Una cassa di risonanza
Nell’ottobre del 2004, quando il
ministro della Salute è Girolamo
Sirchia e il direttore generale
della prevenzione Donato Greco,
viene istituito, con il Decreto del
ministro della Salute del 13 ottobre 2004, un gruppo di lavoro con
i seguenti compiti:
redigere un elenco delle autorizzazioni, idoneità e certificazioni sanitarie previste dalla normativa vigente nazionale e regionale
valutare le prove di efficacia ai
fini della salute della popolazione
esistenti per queste procedure,
classificandole in tre categorie:
certamente utili, certamente inutili, di utilità incerta
proporre modifiche dell’attuale
quadro normativo di riferimento,
in particolare riguardo alle eventuali pratiche inutili.
Molte di queste pratiche hanno
finalità di tutela e interessano
anche altri settori, oltre a quello
sanitario, per cui, al momento
della nomina della commissione il
ministero della Salute valuta l’opportunità di coinvolgere altri
ministeri, come per esempio quelli del Lavoro e della Pubblica
istruzione.
Si opta invece per un gruppo di
lavoro agile, interno al sistema
sanitario, e quindi composto prevalentemente da “chi fa i certificati, le autorizzazioni, ecc” piuttosto che da funzionari dei diversi
ministeri interessati. Una scelta
dettata essenzialmente dai tempi
stretti che il ministro intende dare
al gruppo di lavoro, per cui si preferisce l’omogeneità piuttosto che
la rappresentazione di interessi e
punti di vista differenti.
Fin dall’inizio emerge con chiarezza la profonda differenza di
approccio tra chi opera a livello
centrale e chi lavora nelle realtà
locali: chi applica direttamente le
misure all’interno di una Asl si
interroga su significato e utilità
del proprio lavoro e la quantità di
risorse, umane ed economiche,
impegnate. Chi invece, a livello
nazionale, lavora sui principi, non
ha una piena percezione di come
le norme siano effettivamente
applicate nella realtà.
L’approccio adottato dalla com-
segue a pag. 17
Il documento è il risultato di un lavoro volto a sostenere
su basi scientifiche l’emanazione dell’abolizione sostenuta dalle prove di efficacia, e riguarda esclusivamente la
componente relativa al Lisa, e non l’intero Programma
di sanità pubblica sulla salubrità e sicurezza degli alimenti.
Per affrontare la valutazione di un’azione di sanità pubblica, gli autori hanno affrontato il problema con la
metodologia classica della Ebp: analisi logica dei fattori
determinanti del programma, ricerche sistematiche di
numero 69
letteratura scientifica, con la raccolta di elementi di
documentazione originale da survey svolte anche in
campo europeo, raccolte di dati a livello di Aziende sanitarie italiane, analisi dei soggetti interessati.
La conclusione a cui sono arrivati gli autori è l’inconsistenza fra intervento attuato e outcome di salute: di
conseguenza ritengono sostenibile da un punto di vista
scientifico ed epidemiologico l’abolizione del Lisa. Resta
ovviamente da valutare l’efficacia delle altre fasi in cui è
possibile articolare il Programma di sanità pubblica. In
15
Tabella - Elenco completo delle procedure di cui è stata proposta la semplificazione
nella relazione tecnica prodotta dal gruppo di lavoro nominato dal ministro della Salute
1. Certificato di sana e robusta costituzione
2. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego
3. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di insegnanti e altro personale di servizio nelle scuole
4. Certificato di idoneità fisica al servizio civile volontario
5. Certificato per vendita dei generi di monopolio
6. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di apprendisti non a rischio
7. Certificato per abilitazione alla conduzione di generatori di vapore (caldaie)
8. Certificato sanitario per l’impiego dei gas tossici
9. Certificato per l’esonero dalle lezioni di educazione fisica
10. Scheda sanitaria per colonie e centri estivi
11. Certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche
12. Certificato di idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionale
13. Libretto di idoneità sanitaria per i parrucchieri
14. Certificato di idoneità all’esercizio dell’attività di autoriparazione
15. Certificato di idoneità a svolgere la mansione di fochino
16. Certificato di idoneità alla conduzione di impianti di risalita
17. Certificato per maestro di sci
18. Certificato di idoneità fisica a fare il giudice onorario e il giudice di pace
19. Certificato di idoneità per i lavoratori extra-comunitari dello spettacolo
20. Certificato per ottenere sovvenzioni contro cessione del quinto della retribuzione
21. Medicina scolastica: obbligo della presenza del medico scolastico
22. Medicina scolastica: obbligo della tenuta di registri di medicina scolastica
23. Medicina scolastica: obbligo della presentazione di certificato medico oltre i cinque giorni di assenza
24. Medicina scolastica: obbligo di periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici
25. Partecipazione delle Asl alla Commissione Comunale “Parrucchieri, barbieri ed estetisti”
26. Abolizione dell’obbligo dell’Rx torace per silicosi e asbestosi
27. Ambito veterinario: isolamento di animali per il controllo dell’infezione rabbica
28. Ambito veterinario: sospensione, in via temporanea e sperimentale, della visita veterinaria prima
del carico, con relativa attestazione sanitaria, dei suini domestici, da allevamento e da macello,
da trasportare fuori comune
29. Accertamenti medici per i lavoratori a rischio di silicosi e asbestosi
30. Polizia mortuaria: trattamenti antiputrefattivi
31. Polizia mortuaria: certificazione dello stato delle condizioni igieniche dei carri funebri
e dell’autorimessa per i carri funebri
32. Polizia mortuaria: certificato di trasporto da Comune a Comune
33. Polizia mortuaria: assistenza alle operazioni di esumazione ed estumulazione
34. Polizia mortuaria: rilascio dei pareri per la costruzione di edicole funerarie e di sepolcri privati
35. Polizia mortuaria: disposizioni in materia di cremazione. Obbligo di verifica della firma del sanitario
certificatore
36. Polizia mortuaria: delega ai medici di medicina generale della visita e certificato necroscopico
16
37. Polizia mortuaria: certificato di conformità del feretro
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
missione è molto semplice. Si individuano tre principi fondamentali, per decidere della possibile
inutilità delle diverse misure:
mancata attualità: l’analisi preliminare dei determinanti storici,
epidemiologici, sociali che hanno
portato all’emanazione della procedura mostra che il problema di
salute non esiste più
presenza di duplicazioni: altre
norme successive mirano a raggiungere più, o altrettanto, efficacemente gli stessi obiettivi
assenza di coerenza logica:
assenza di congruità tra obiettivi
perseguiti dalla procedura e
metodi adottati per raggiungerli.
La commissione preferisce impiegare il concetto di coerenza logica, piuttosto di quello di efficacia,
per la difficoltà a reperire studi
scientifici sull’efficacia di certificazioni, idoneità sanitarie e autorizzazioni, ma anche per la difficoltà di comunicare la nozione di
efficacia.
Una proposta non semplice
In sei mesi la commissione presenta al ministro un documento,
che propone l’eliminazione di
trentasette procedure, per ognuna
delle quali viene presentata una
scheda tecnica (vedi tabella). Oltre
ai criteri citati, questa proposta
mira a coprire l’intero arco di attività dei servizi compresi nei dipartimenti di Prevenzione (igiene
pubblica, igiene degli alimenti, tutela della salute nei luoghi di lavoro, medicina veterinaria) e a permettere all’Italia di adeguarsi alle
direttive europee. Ma anche a
consentire la liberazione di risorse da riutilizzare in interventi preventivi di provata efficacia.
Dal documento sono espunti due
provvedimenti, proposti inizialmente per l’eliminazione, riguardanti la vaccinazione antirabbica
per le vittime di morsi di cane,
con obbligo di osservazione dell’animale, e l’obbligo di presenza
di un veterinario in caso di macellazione dei suini effettuata a domicilio. Il caso della vaccinazione
antirabbica è esemplare. L’infezione non è attualmente presente
in Italia e sembrerebbe razionale
rafforzare il sistema di sorveglianza nei confronti di quegli
animali, come le volpi o i cani inselvatichiti, che potrebbero riportare l’infezione in Italia, piuttosto
che per la prevenzione dell’infezione il cui rischio è attualmente
uguale a zero. D’altro canto, i morsi di cane sono un problema molto serio in Italia, del tutto sottaciuto, e su cui la sanità pubblica
non fa quasi nulla. Così, utilizziamo risorse per scongiurare un rischio che non esiste, ma non facciamo nulla per evitare aggressioni frequenti con conseguenze
spesso non banali.
Queste osservazioni stridono
contro il fatto che la rabbia è una
malattia grave e prevenibile col
vaccino: un solo caso di rabbia
provocherebbe in Italia forte allarme sociale, mentre le migliaia
di vittime di morsi di cani non rabidi sono più difficili da prevenire
e creano meno allarme sociale. In
questo caso, la divergenza è sulle
priorità e sulla destinazione delle
nostre risorse.
Nell’aprile del 2006 il documento
approda alla scrivania del ministro della Salute, Francesco
Storace, ma rimane nel cassetto. I
membri regionali del gruppo di
lavoro, portano la relazione all’attenzione del coordinamento degli
assessori alla Sanità che ne condivide i contenuti. Le Regioni predispongono una bozza di testo di
legge regionale
Problemi di contenuto
e tecnica giuridica
Nel luglio del 2006 il documento
arriva all’attenzione del nuovo
ministro Livia Turco, in un clima
più favorevole, anche grazie alle
iniziative del ministro per lo Sviluppo economico Pierluigi Bersani. Si può così ripartire, e il testo
può essere sottoposto al vaglio
degli altri ministeri interessati:
Lavoro, Trasporti, Pubblica istruzione, dipartimento della Funzione pubblica.
da pag. 15
base a revisioni sistematiche di letteratura sull’argomento, sono a disposizione altri strumenti giudicati efficaci e
appropriati per perseguire lo scopo di tutela della salute
pubblica attraverso la prevenzione delle tossinfezioni alimentari. In particolare, alcune modalità su come effettuare la vigilanza ispettiva di ristorazione e gli interventi di formazione nei confronti di addetti e preposti sembrano avere le maggiori probabilità di raggiungere lo
scopo. Questo conferma la razionalità della scelta fatta
dalla Toscana, che nella sua legge di abrogazione dell’obnumero 69
bligo del Lisa introduce però l’obbligo di specifiche attività formative per questi operatori.
Il documento dell’Asl 10 di Firenze è disponibile all’indirizzo www.epicentro.iss.it/ebp/Dossier%20LISA%2024
%20nov%202003_ZADIG1.pdf.
17
DDL E RISORSE IN RETE
Decreto del ministro della Salute che istituisce il gruppo di lavoro
per la semplificazione,
www.epicentro.iss.it/discussioni/obsolete/pdf/GRUPPO%20 LAVORO.pdf
Relazione conclusiva del gruppo di lavoro sulla semplificazione degli
adempimenti amministrativi connessi alla salute,
www.epicentro.iss.it/discussioni/obsolete/pdf/Documento%20EBP%
20finale.pdf
Presentazione sul sito del ministero della Salute,
www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPiano.jsp?id=351&area=
ministero&colore=2
Testo del disegno di legge,
www.ministerosalute.it/resources/static/primopiano/351/Schema.pdf
Relazione di accompagnamento,
www.ministerosalute.it/resources/static/primopiano/351/relazione_
illustrativa.pdf
Il 19 ottobre 2006 il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge,
presentato dal ministro della Salute Livia Turco, che riguarda una serie
di “misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria”,
www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/semplificazione_sanita/
index.html
Il 16 novembre 2006 la Conferenza Unificata Stato Regioni Comuni
approva il disegno di legge,
www.governo.it/backoffice/allegati/29821-3304.pdf
Il 1 dicembre 2006 il Consiglio dei Ministri approva nuovamente il disegno di legge, dopo l’approvazione della Conferenza Unificata,
www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=29941
Il Presidente del Consiglio dei Ministri presenta al Parlamento il disegno di legge affinché svolga l’iter parlamentare.
È un confronto non semplice: la
proposta richiede un grosso impegno ai giuristi, a cui tocca la ricerca, la verifica ed eventualmente la
formulazione, della nuova versione di ben trentasette norme, ciascuna delle quali può aver subito
nel tempo modifiche. Un lavoro
certosino: mentre si cerca la formulazione giuridica appropriata,
risorge sempre il dubbio: perché
eliminare questa misura? Si tratta
comunque di una tutela e, alla fine, male non farà! Come comunicare l’efficacia ai giuristi, in poco
tempo? Non si può, bisogna usare
concetti più semplici con argomentazioni forti e accettabili in base al senso comune: un provvedimento “doppione” va abolito, ma
si può abolire un provvedimento
perché privo di basi razionali?
Il risultato di questo lavoro è il disegno di legge (Ddl) “Misure di
semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria”, approvato dal Consiglio dei ministri il
19 ottobre 2006. Un buon compromesso, che rappresenta certamente un passo avanti. L’iniziativa
Ebp, con l’accordo delle società
scientifiche della sanità pubblica,
dovrà seguire l’iter legislativo del
disegno di legge e cogliere questo
passaggio come un’opportunità
per avviare con i decisori una riflessione sul peso, ancora troppo
scarso, delle evidenze scientifiche
nel processo decisionale.
18
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
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Caro Cesare…
Roma, 19 ottobre 2006
Caro Cesare,
seguo sempre con molta simpatia e adesione il tuo impegnativo e fruttuoso lavoro.
Come (ex) medico del lavoro, cioè nell’abito in cui mi hai incontrato a Milano, vorrei segnalarti una
proposta proveniente dal (nuovo) ministero della Salute, che mi è stata avanzata da un gruppo di
colleghi, igienisti e dirigenti dei servizi di prevenzione.
Ti accludo tale proposta, che è basata sull’idea di semplificare molte pratiche dei dipartimenti
di prevenzione in base alle reale efficacia. Trascrivo a questo fine le considerazioni essenziali svolte dal
gruppo, di cui fa parte Alberto Baldasseroni che è stato un mio allievo e che è direttore della rivista
Snop (Società nazionale operatori della prevenzione).
Scopo del gruppo era quello di stilare un elenco di pratiche obsolete, prive di giustificazione logica o
epidemiologica, ovvero superate dal subentrare di altra legislazione più moderna. Si auspicava così di
svecchiare le attività svolte dagli operatori della prevenzione dei dipartimenti delle Ausl italiane, gravate
finora di pesanti carichi burocratici a danno di nuove iniziative, per esempio nel campo della
promozione della salute e degli stili di vita più salubri. La commissione, della quale facevo parte, ha in
effetti prodotto un tale elenco di circa cinquanta pratiche, prevalentemente certificatorie, da abolire. Il
lavoro della commissione si è concluso nel giro di sei mesi. Il ministro dell’epoca, Francesco Storace,
non ha ritenuto di prendere in considerazione le conclusioni della commissione. Non così la
Conferenza delle Regioni, che ha invece fatto proprio il documento all’inizio del 2006. Con il cambio di
governo l’iniziativa ha ripreso slancio, almeno presso il ministero della Salute, ed è stato preparato un
testo coerente con i suggerimenti della commissione, rivisto dagli esperti di cose legali del ministero.
A questo punto (luglio scorso) è iniziato il confronto con gli altri ministeri interessati, primo tra i quali
quello del lavoro, dato che un buon numero delle certificazioni da abolire avevano come oggetto
i certificati per “il lavoro” (sana e robusta costituzione richiesta al personale degli enti pubblici, certificato
per lo svolgimento dell’attività di fochino, per il rilascio del patentino per l’uso di gas tossici, per
la conduzione di caldaie, per l’esercizio di impianti di risalita a fune, ecc). In particolare era prevista
anche l’abolizione delle visite preventive per i minori e gli apprendisti avviati a lavori privi di rischi
professionali, tuttora svolte dai medici dei servizi di prevenzione delle Ausl (quelle per i minori avviati a
lavori rischiosi vengono svolte dal medico scelto dal padrone). Su questo tema abbiamo a suo tempo
(2001) costruito un “dossier” di prove di efficacia, chiamato in acronimo Salem, nel quale un panel di
esperti (medici del lavoro, igienisti, ecc) ha formulato la raccomandazione di abbandonare
questa pratica, poiché priva di qualsiasi prova di efficacia nella salvaguardia della salute di questi
giovani lavoratori.
Il 18 luglio e poi il 21 settembre, l’Ufficio legislativo del ministero del Lavoro (nella persona di Paolo
Onelli) ha manifestato al ministero della Salute motivate riserve, per il timore che si allentassero le visite
e le certificazioni e potessero crescere i rischi. Mi sembra tuttavia che ci siano molte forme di tutela
superflue o superate da altri interventi più efficaci, basati ovviamente sulle regole della 626, che ben
comprende la sorveglianza e la valutazione dei rischi.
Ti ringrazio per la tua attenzione e ti invio i miei più vivi auguri per il tuo lavoro.
Cordialmente,
Giovanni Berlinguer
19
numero 69
EBP: SULLA FRONTIERA
DELLA NUOVA SANITÀ
Dossier
L
20
avorare insieme per cambiare la pratica della prevenzione e renderla sempre più efficace nel tutelare la salute della
popolazione: è questa l’anima dell’evidence based prevention (Ebp),
movimento di operatori sanitari
che cooperano per costruire un
patrimonio comune per chi lavora nel campo della prevenzione.
Da una parte raccogliendo tutti
gli interventi di cui sia stata
dimostrata l’utilità e l’efficacia da
studi basati su metodologie
scientifiche, dall’altra eliminando
progressivamente tutte quelle
pratiche di prevenzione dimostratesi inutili o inefficaci. Dal
momento che alcune di queste
pratiche sono stabilite per legge,
dallo Stato o dalle Regioni, il
movimento dell’Ebp intende proporre delle modifiche all’attuale
normativa nel campo della prevenzione.
In Italia, la promozione di azioni
utili per adeguare le proprie attività ai principi dell’Ebp da parte
degli operatori della sanità pubblica, e quindi lo sviluppo di una
prevenzione basata su prove di
efficacia, è strettamente legata
all’attività delle Regioni. È in
ambito regionale, infatti, che si
coglie maggiormente l’azione
degli operatori dei servizi, conseguente a un orientamento al cam-
Luigi Salizzato
Le Regioni sono state protagoniste assolute del movimento
Ebp nel percorso di raccolta delle prove scientifiche a favore dell’efficacia di alcune pratiche preventive e a sfavore di
altre, dimostratesi inutili. Il quadro nazionale, però, è
ancora molto disomogeneo: attualmente i cittadini sono
infatti soggetti a tutele e obblighi diversi in materia di prevenzione e sanità pubblica semplicemente a seconda della
Regione in cui vivono. Il disegno di legge recentemente
approvato dal Consiglio dei Ministri è un tentativo concreto di colmare questa disparità.
biamento oppure condizionata
dalla resistenza all’innovazione.
Operatori in fermento
In questi anni, i provvedimenti
adottati dalle Regioni per abolire
le pratiche inutili e sostituirle con
altre più efficaci sono stati definiti sulla base di iniziative sviluppate in ambito professionale. Lo
stesso gruppo promotore nazionale dell’Ebp si è caratterizzato
per una presenza significativa di
operatori di sanità pubblica attivi
in diverse Regioni, prevalentemente del Centro e del Nord. La
spinta al cambiamento è venuta
inizialmente dall’elaborazione
originale di alcuni operatori e
ricercatori, ma i risultati più
significativi sono stati conseguiti
nelle situazioni in cui sono diventati protagonisti settori significativi degli operatori dei servizi.
Perché questo modo di lavorare,
ancora minoritario se si considera l’insieme degli ambiti di intervento della sanità pubblica, si
affermi in modo solido, occorre
necessariamente che la base di
consenso attivo nei servizi si
allarghi a macchia d’olio.
Le linee guida sulle attività di
prevenzione, adottate nel luglio
2002 dalla Conferenza Stato
Regioni, hanno recepito quanto si
stava definendo in settori autorevoli, anche se minoritari, dell’ambito professionale dei servizi di
prevenzione e sanità pubblica.
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
Nel documento, l’Ebp viene
descritta come uno degli elementi
culturali che caratterizzano la
sanità pubblica, accanto all’epidemiologia, l’integrazione professionale e sociale, la comunicazione e il miglioramento di qualità:
questi elementi culturali sono
necessari per sostenere un riorientamento della prevenzione
dall’adempimento burocratico al
lavoro programmato per conseguire obiettivi di salute.
L’Agenzia sanitaria regionale
(Ars) della Toscana, l’Istituto
superiore di sanità (Iss) e, negli
ultimi anni, anche il ministero
della Salute hanno sostenuto la
crescita del movimento, con
diverse iniziative: il corso di formazione nazionale, i dossier sulle
pratiche inutili, la sezione
sull’Ebp di EpiCentro (sito web
ufficiale del Centro nazionale di
epidemiologia, promozione e sorveglianza della salute), il gruppo
di lavoro ministeriale sulla semplificazione, per arrivare alla
recente costituzione del sottocomitato sull’Ebp del Centro per il
controllo e la prevenzione delle
malattie. Anche la Snop ha fatto
la sua parte, così come diverse
società scientifiche e alcuni centri
universitari, che stanno dimostrando un certo interesse all’argomento. C’è bisogno del lavoro
di tutti, ma i protagonisti del cambiamento sono stati, e devono
sempre più essere, gli operatori
dei servizi. Non servono centri di
eccellenza che lavorino per noi,
ma ci sono utili centri specializzati nella ricerca che lavorano con
noi.
La strada da seguire è quella tracciata dai gruppi di lavoro che, in
Friuli Venezia Giulia, Piemonte,
Veneto, Emilia Romagna e
Toscana, hanno analizzato sistematicamente le attività inutili,
formulando proposte di semplificazione che sono state recepite
dalle amministrazioni regionali
con proprie leggi o delibere. In
tempi di tagli significativi alla
spesa nel Servizio sanitario
nazionale, questi provvedimenti
hanno consentito di riorientare le
risorse professionali verso lo
svolgimento di attività appropriate. I servizi di prevenzione,
anche per effetto del Piano nazionale della prevenzione e dei
rispettivi piani regionali, stanno
infatti realizzando diverse azioni
in nuovi ambiti di intervento, per
rispondere a problemi di salute
emergenti, come per esempio i
progetti per la prevenzione degli
incidenti stradali, per incrementare l’utilizzo dei dispositivi di
protezione individuale o per inserire il criterio della sicurezza stradale nella progettazione urbanistica e dei nuovi insediamenti
produttivi. Accanto a questo,
però, si assiste anche al tentativo
di rinnovare azioni relative a problematiche su cui i servizi intervengono da tempo e in cui si è
reso necessario un riorientamen-
to dall’adempimento burocratico
all’obiettivo di salute. Basti pensare al problema della salubrità e
sicurezza in ambito domestico,
che richiede ai nostri servizi di
non accontentarsi di rilasciare
certificati di antigienicità, ma
piuttosto di attivarsi per migliorare il più possibile lo stato degli
alloggi dove vivono i cittadini più
poveri e gli immigrati. È proprio
questa la nuova frontiera
dell’Ebp: promuovere un’azione
costruttiva ed efficace, cogliendo
le opportunità nate grazie alla
demolizione delle pratiche inutili.
Un quadro disomogeneo
A questo punto può essere utile
fare un bilancio sintetico dei
provvedimenti adottati dalle diverse Regioni e raccolti nella
“banca dati ebp regioni”, pubblicata su EpiCentro (www.epicentro.iss.it/ebpregioni/) e aggiornata
a dicembre 2006. Si tratta di 96
tra leggi, delibere e documenti, alcuni di tipo programmatico-organizzativo, linee guida o simili, altri di tipo normativo, dedicati
cioè specificamente al riordino di
norme, per lo più per abolire o sospendere pratiche di non dimostrata efficacia, ma anche per introdurre pratiche efficaci, come
per esempio l’attività di formazione o di sorveglianza epidemiologica mirata. Nella banca dati sono inoltre documentati gli studi
Visitare gli apprendisti
Ogni anno in Italia vengono effettuate più di 180 mila
visite mediche a giovani apprendisti e minori avviati a
lavorazioni non a rischio. Questo dato rappresenta la
porzione di sorveglianza sanitaria rimasta in carico alle
strutture del Servizio sanitario nazionale in seguito
all’adozione della normativa europea con il Decreto legislativo 345 del 4 agosto 1999. Tuttavia, i costi stimati
legati a visite mediche ed esami integrativi superano i
10 milioni di euro ogni anno.
È in questo scenario che si inserisce lo studio
numero 69
segue a pag. 22
«Sorveglianza apprendisti al lavoro e minori (progetto
Salem): valutazione di efficacia del programma di sanità
pubblica di sorveglianza di apprendisti e minori avviati
al lavoro in settori non a rischio», realizzato da Alberto
Baldasseroni, Sarah Bernhardt, Daniela Cervino, Aligi
Gardini e Luigi Salizzato. Scopo del progetto è stato cercare di capire se ci sono (ed eventualmente quali sono)
le prove di efficacia del programma, e soprattutto se ha
senso continuare a investire risorse da parte del Ssn.
Gli autori hanno analizzato i diversi aspetti del pro-
21
l’autore
Luigi Salizzato
Ausl di Cesena, dipartimento
di Sanità pubblica
locali su cui si sono basati i provvedimenti legislativi e le prime
valutazioni di impatto delle nuove norme sui servizi di prevenzione (Veneto e Lombardia). Dal
punto di vista geografico, non si
sono rilevate notizie di provvedimenti adottati in questo campo
solo per due Regioni, la Valle
d’Aosta e la Sardegna. Per quanto riguarda invece i contenuti, i
provvedimenti sono molto diversi
da una Regione all’altra.
Gli ambiti di intervento possono
essere così sintetizzati: certificazioni di idoneità varie (igiene, medicina legale, medicina del lavoro), medicina scolastica, procedure veterinarie (profilassi di malattie infettive), polizia mortuaria.
Il provvedimento maggiormente
abolito o sospeso è il già citato Libretto di idoneità sanitaria per gli
alimentaristi (Lisa, vedi pag. 14),
con sette leggi regionali (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia,
Emilia Romagna, Toscana, Basilicata, Sicilia), cinque delibere di
giunta regionale e provinciale (Liguria, Piemonte, Umbria, Marche, Calabria, Trento), e due leggi
regionali (Lazio e Puglia), limitatamente all’obbligo per i farmaci-
sti. Altre Regioni o Province autonome (Campania e Bolzano) hanno adottato provvedimenti di regolamentazione sui Lisa, rispondenti solo in parte ai criteri dell’Ebp.
L’articolazione delle pratiche oggetto di nuova regolamentazione
varia notevolmente. Alcune Regioni, come il Friuli Venezia Giulia, hanno favorito la costituzione
di gruppi di lavoro di professionisti, igienisti e veterinari, e, sulla
base della documentazione da loro prodotta, hanno adottato delibere e leggi articolate nei diversi
ambiti specialistici.
Altre Regioni, invece, si sono limitate ad adottare un unico provvedimento riferito alla semplificazione di una sola pratica. In mezzo ai due estremi ci sono diversi
gradi di impegno istituzionale,
ma le Regioni più ricche di iniziative restano comunque quelle del
Centro Nord, indipendentemente
dallo schieramento politico al governo regionale.
Allo stato attuale, ci sono quindi
cittadini che, a seconda delle Regioni dove vivono, sono soggetti a
obblighi e protetti da tutele diversi in materia di prevenzione e sanità pubblica.
Il percorso normativo
Il tentativo di porre rimedio a
questa disparità è iniziato nell’ottobre del 2004, con la nomina da
parte del ministro della Salute di
un gruppo di lavoro, a cui hanno
partecipato operatori delle Regioni e dello stesso ministero. Sulla
base degli studi svolti e dei provvedimenti adottati in ambito regionale è stato possibile produrre
in pochi mesi, nel maggio del
2005, il testo di un provvedimento di semplificazione contenente
la proposta di abolizione di 53
pratiche inutili, in tutti i settori
specialistici della prevenzione. A
questo punto sono entrati in azione altri uffici ministeriali, contrari alla proposta, e il percorso di
approvazione del documento si è
arrestato. Non è la prima volta e
non sarà l’ultima: è una questione
di cultura, ma anche di interessi
corporativi. Basti ricordare il ricorso avviato dal governo alla
Corte Costituzionale contro le leggi regionali approvate da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna,
Toscana e Lazio, risolto da una
sentenza del maggio 2004 a favore delle Regioni. La proposta della commissione ministeriale è stata comunque approvata dalla
Conferenza delle Regio-ni e delle
Province Autonome nel febbraio
del 2006, quindi senza accordo
con lo Stato, iniziativa quest’ultima motivata dal contributo dato
alla stesura del documento dai
rappresentanti delle Regioni. Per
poter rendere esecutivi i contenuti del provvedimento è stato dato
mandato a un apposito gruppo di
lavoro di elaborare un progetto di
da pag. 21
22
gramma che, come ogni intervento di sanità pubblica, si
presenta complesso e articolato, di certo non limitato al
solo problema della visita medica di avviamento al lavoro. Lo studio è il prodotto di due gruppi di ricercatori
che hanno lavorato separatamente, il primo raccogliendo le prove e il secondo valutandole ed esprimendo raccomandazioni sull’efficacia del programma di sanità
pubblica. L’approccio utilizzato è stato multidisciplinare:
sono state prese in considerazione diverse tecniche di
indagine, come la rivisitazione storica, la ricerca e l’ana-
lisi sistematica della letteratura pertinente, l’indagine
sulla pratica attuata in altri Paesi europei, la classica
raccolta di dati e l’analisi con la partecipazione dei soggetti socialmente interessati.
Per valutare i costi, i ricercatori si sono basati sui dati
del rilevamento trimestrale delle forze lavoro Istat 2001
per la classe d’età fra i 15 e i 19 anni, considerando
come settori “non a rischio” quelli classificati dal censimento Istat 2001 come addetti al commercio, altri servizi e delle istituzioni, escludendo quindi gli addetti all’indossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
legge, che poi le singole Regioni
adotteranno. Nel frattempo Friuli
Venezia Giulia e Umbria hanno
adottato nuove norme regionali
che recepiscono gran parte della
proposta di abrogazione di pratiche di non dimostrata efficacia
elaborata dal gruppo di lavoro
ministeriale.
Negli ultimi mesi qualcosa si
muove anche a livello del ministero della Salute, grazie all’impegno dei dirigenti che hanno da
sempre sostenuto il progetto Ebp.
Il ministro della Salute in carica,
Livia Turco, ha proposto al Consiglio dei Ministri un Ddl per l’abolizione della maggior parte delle pratiche inutili evidenziate nella proposta del 2005, che lo ha approvato nell’ottobre del 2006.
La maggior parte, ma non tutte,
perché alcune sono state accantonate per non ostacolare l’iter di
approvazione dell’intera proposta. Sulla loro semplificazione o
abolizione si sono infatti espressi
con parere contrario la direzione
generale della Sanità veterinaria,
relativamente a profilassi anti-
rabbica e visita veterinaria per
trasporto di suini fuori dai Comuni, e il ministero del Lavoro, relativamente alla visita di idoneità
per minori avviati al lavoro in settori privi di rischi lavorativi.
Entrambe le proposte erano sostenute da valutazioni di inefficacia, contenute nel caso della sanità veterinaria in documenti elaborati dai colleghi veterinari del
Friuli Venezia Giulia, e nel dossier Salem (vedi pag. 21) per
quanto riguarda i minori.
Se il disegno di legge diventerà
una legge dello Stato verrà comunque conseguito un importante risultato, sia per la rilevanza del
provvedimento, sia perché sarà
possibile liberare risorse professionali per realizzare programmi
di lavoro per la promozione della
salute o, come dalle ultime indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, sviluppare iniziative per guadagnare salute. Gli
obiettivi potranno essere quelli individuati dal Piano nazionale della
prevenzione e dai diversi piani regionali, ma anche altri rispondenti
dustria. Il costo medio globale attribuito a ogni visita è
stato calcolato in 56,36 euro. I ricercatori che hanno
svolto la fase di valutazione sono concordi nell’affermare
che benché le prove siano insufficienti per dimostrare
una vera e propria inefficacia del programma, tuttavia
la sua efficacia, così come viene condotto nei servizi delle
Asl, è improbabile. In conclusione, poiché non esistono
né elementi in grado di affermare l’utilità del programma in esame, né elementi logici che permettano una
riprogettazione del programma di sanità pubblica così
numero 69
ai bisogni individuati nelle diverse
realtà locali.
La concretezza dei risultati conseguiti dovrebbe convincere un numero sempre maggiore di operatori dei servizi pubblici di prevenzione e sanità pubblica a considerare
l’Ebp come uno strumento indispensabile del proprio lavoro.
BIBLIOGRAFIA
Conferenza Stato Regioni,
“Linee guida per la prevenzione
sanitaria e per lo svolgimento
delle attività del dipartimento di
Prevenzione delle Asl”, 25 luglio
2002. http://palazzochigi.it/backoffice/allegati/16935-961.pdf
Dipartimento di Prevenzione
Ulss 20 Verona, sezione dedicata
all’Ebp: http://prevenzione.ulss20.
verona.it/evidence.html
Dipartimento di Sanità pubblica
Ausl Cesena, www.ausl-cesena.
emr.it/Azienda/SanitàPubblica/Ev
idenceBasedPrevention/tabid/309
/Default.asp
come prescritto dalla legge, i ricercatori raccomandano,
relativamente alle visite mediche, l’abbandono del programma ed eventualmente la sua sostituzione con altre
procedure di provata efficacia. Rimane da valutare, perché non considerata nel dossier, l’efficacia delle attività
di counselling per la sicurezza e l’igiene del lavoro che
vengono effettuate in occasione del primo avviamento al
lavoro. La versione completa del dossier è disponibile
all’indirizzo www.epicentro.iss.it/ebp/SALeM%20
completo.PDF.
23
E IL CERTIFICATO, CACCIATO DALLA
PORTA, RIENTRÒ DALLA FINESTRA
Dossier
I
24
l 18 agosto 2005, il Consiglio
regionale del Friuli Venezia
Giulia ha licenziato la Legge
numero 21 dal titolo: «Norme di
semplificazione in materia di
igiene, medicina del lavoro e
sanità pubblica».
In questa legge, all’articolo 2,
punto 1, si abolivano una ventina
di certificati medici tra i più
scombinati, esilaranti, privi di
fondamento scientifico e di comprovata, sfolgorante, sesquipedale inutilità.
Ma dentro la mela c’era il bau. Il
bau stava in una frasetta (articolo
2, punto 3) che recitava così: «È
fatto salvo il rilascio [...] di certificazioni richieste da uffici periferici, ubicati nel territorio regionale,
di enti o istituzioni aventi sede al
di fuori del predetto territorio». E
poiché tutti i certificati aboliti al
punto 1 sono richiesti da «uffici
periferici di istituzioni aventi
sede» a Roma, là nei falansteri,
tutti i certificati aboliti al punto 1
si devono rilasciare ugualmente in
grazia del punto 3.
Si trattava di una vera e propria
trappola, tesa da qualche funzionario astuto e da qualche leguleio
prono all’assessore. Tesa ai consiglieri regionali, ai medici proponenti, ai cittadini tutti del Friuli
Venezia Giulia (la segnaliamo ai
colleghi del Trentino, che ce
Giorgio Ferigo
Abolire un certificato, per quanto inutile alla luce
dell’Ebp, è un percorso quantomai difficile, perché ci si va
a scontrare con una concezione alquanto arcaica della
sanità pubblica. L’esperienza del Friuli Venezia Giulia in
proposito è esemplare: con una legge dell’estate del 2005, il
Consiglio regionale ha abrogato una ventina di certificati
inutili, rientrati prontamente dalla finestra grazie a un piccolo articolo all’interno della stessa legge. Dando il via così
alla rumorosa “canea dei burocrati”, pronti a difendere
strenuamente la propria coperta di Linus...
l’hanno copiata pari pari).
Caldaisti daltonici
e fochini in difficoltà
Questo comma ha subito scatenato la canea dei burocrati.
Una specie di idolatria certificatoria aveva sorretto finora la loro
esistenza. Ora i fondamenti della
loro fede vacillavano, il dubbio si
insinuava nelle loro «animule
vagule e blandule». Come fantolini a cui sia stato tolto il pollice da
succhiare o la coperta di Linus o
come tabagisti senza più sigarette, avevano crisi di panico e di
tremito. Quel comma sembrava
loro la gomena nel pelago, lo
spuntone sul baratro, l’appiglio
salvifico al quale aggrapparsi.
Così, a metà ottobre, una riunione
ce ne mette davanti una rappresentativa delegazione.
C’è la battagliera Ragioneria provinciale dello Stato, che ha già
deciso che l’abrogazione del certificato di idoneità all’impiego non
avrà corso. Così, ha già emanato
un diktat e lo ha diffuso a pavidi
«provveditori agli studi», o come
si chiamano adesso, che lo hanno
diffuso agli «autonomi» dirigenti
scolastici. È un diktat molto
pesante: minaccia di non dar
corso ai contratti in mancanza
del certificato. Così, gli insegnanti iniziano il loro piccolo calvario:
si recano dal medico, che li informa dell’abolizione. Poi tornano
alla scuola, che li informa della
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
minaccia; ritornano quindi dal
medico, poi a scuola, e via così.
Alla fine i medici cedono, perché
non si deve far correre la gente
per un pezzo di carta.
C’è l’ingegnere della Commissione per le caldaie a vapore che sostiene l’indispensabilità della visita medica, altrimenti il caldaista
daltonico potrebbe premere il bottone del colore sbagliato e far saltare in aria la città (dice proprio
così!). Non fa nemmeno l’ipotesi
che i colori s’imparino a riconoscere da piccoli, alla scuola materna, con l’aiuto di una maestra
o della mamma, oppure che il loro nome sia una convenzione condivisa.
E che chiedere a un tale il colore
di un maglione, di una matita o di
una cartellina non configuri esercizio abusivo di professione medica: lo può fare perfino un ingegnere, e perfino l’ingegnere che
interroga il caldaista per dargli il
patentino. Se costui poi non riconosce il verde, lo mandi dal medico: chissà, forse è daltonico.
La Questura, invece, non pone
problemi. Il suo rappresentante,
ingrugnato, annuncia di aver già
pronta la sevizia alternativa per i
fochini: una sevizia alternativa si
trova sempre, questa stava in una
legge del 1956 (o del 1931, o del
1913, o del 1883).
Questo complicherà vieppiù la
vita ai fochini, e nel contempo
renderà chiaro a tutti che i semplificatori sono dei complicatori,
e che la trafila non si tocca.
L’incontro con le burocrazie
lamentose finisce con una circolare che, in buona sostanza, sospende non la legge regionale (non
può farlo), bensì la sua efficacia (e
questo può farlo benissimo, e il
risultato è lo stesso). Farina del
diavolo, tutta crusca.
La legge «correttiva»
Nel frattempo, il 17 ottobre 2005,
il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con «legale domicilio in Roma,
via dei Portoghesi n. 12», aveva
ricorso contro la Regione Friuli
Venezia Giulia «per la declaratoria di incostituzionalità e conseguente annullamento» della Legge 21.Tra parentesi, presidente
del Consiglio dei ministri era quel
Silvio Berlusconi che aveva promesso di «rivoltare la burocrazia
come un calzino»; così «prouvant
qu’il n’avait guère de la suite
dans les idées».
L’avvocato contestava in particolare l’abolizione del certificato di
idoneità al servizio civile, «censurabile in quanto invade una materia [...] riservata alla legislazione
esclusiva statale essendo riconducibile alla materia “difesa e
sicurezza dello Stato”»; l’abrogazione del certificato di idoneità
all’insegnamento che «incide illegittimamente nelle materie “ordi-
namento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali”»; l’eliminazione del certificato per l’assunzione
dei minori e degli apprendisti
minori, che lede (udite!) «i diritti
civili e sociali in materia di salute
e di tutela e sicurezza del lavoro»;
e infine l’eliminazione dei certificati per fochini, conduttori di caldaie a vapore e manipolatori di
gas tossici perché (udite udite!)
così si viola l’articolo 16 del
Decreto legislativo 626/94, secondo il quale gli accertamenti sanitari dei lavoratori «comprendono
esami clinici e biologici e indagini
diagnostiche mirati al rischio
ritenuti necessari dal medico
competente».
Obiezioni di forma, come si vede,
relative alla competenza nel legiferare, se si eccettua lo svarione
finale, sufficiente a confinare l’avvocato dietro la lavagna con le
orecchie d’asino in capo e il cartello di «somaro» sulla schiena.
Il presidente del Consiglio dei
ministri successivo, Romano
Prodi, ha ritirato il ricorso avverso alla Legge regionale 21. L’atto
di rinuncia era «in corso di notificazione al 29.9.2006» e il ritiro era
subordinato all’approvazione di
alcuni aggiustamenti.
Così, si arriva alla legge «correttiva», approvata dal Consiglio
regionale (Legge regionale 19 del
26 ottobre 2006), che contiene, per
quanto riguarda il nostro discorso, due soli articoli. Il primo abo-
Salsicce fatte in casa
Le norme sulla macellazione a domicilio per uso privato
sono ancora stabilite dal Regio Decreto del 20 dicembre
1928, secondo cui è richiesta la presenza del veterinario
per poter compiere un’ispezione completa delle carni.
L’Area di sanità pubblica veterinaria Ass 2 del Friuli
Venezia Giulia ha condotto uno studio per valutare se
sia possibile consentire a un ausiliario specializzato di
osservare durante la macellazione a domicilio lo stato
igienico-sanitario ante e post mortem, per motivi di efficienza a parità di efficacia, limitando così l’intervento
numero 69
segue a pag. 26
del veterinario a casi particolari. Secondo lo studio, la
regolamentazione del 1928 è superata e va aggiornata
sulla base dei mutamenti di carattere epidemiologico,
organizzativo e gestionale della sanità pubblica. Anche
in base al Regolamento CE del 29 aprile 2004, che
esclude l’applicazione delle norme sanitarie «alla produzione primaria per uso domestico privato e alla preparazione, manipolazione o alla conservazione domestica di
alimenti destinati al consumo privato domestico».
In base ai dati, la situazione epidemiologica in Italia e
25
l’autore
Giorgio Ferigo,
Ass 3 “Alto Friuli”
lisce l’abolizione del certificato di
idoneità a svolgere il servizio civile, mentre il secondo recita: «Gli
enti pubblici possono accertare il
possesso dell’idoneità fisica o psicofisica all’impiego mediante una
visita preassuntiva da parte di
medici specialisti in medicina del
lavoro o medicina legale dipendenti da enti pubblici e istituti
specializzati di diritto pubblico
convenzionati col datore di lavoro, che ne sopporta il costo».
Possono, non devono: ma figuratevi se ne faranno a meno i feticisti del certificato, che nelle direzioni regionali, provinciali, comunali, consortili, frazionali sono
legioni. E queste superstizioni le
paghiamo noi.
L’onere della prova
Be’, è evidente: non si tagliano le
unghie alla burocrazia col consenso, o addirittura con l’avallo, e
men che meno col giubilo della
burocrazia. Tuttavia, passi comunicativi, o anche soltanto lenitivi,
dovrebbero essere compiuti nei
loro confronti, nelle misure omeopatiche che sono in grado di sopportare. I sindacati dovrebbero
convenire che il lavoro dei minori
non si tutela in questo modo, così
come i carabinieri dovrebbero
conoscere la verace utilità del
porto d’armi.
Altro punto: il titolare della salute è il ministro della Salute e, nelle
Regioni, l’assessore alla salute.
Non gli stranamore della difesa, i
geometri dell’edilizia, gli stradaroli dei trasporti, i cartomanti del
pubblico impiego. Ministro della
Salute e assessore alla Salute si
devono riappropriare del loro
potere, troppo spesso condiviso,
spartito, devoluto a logiche non
sanitarie. In particolare, è da ridefinire il rapporto col ministero
dell’Interno, titolare antico della
sanità pubblica della quale detiene ancora pezzi significativi.
Terzo: nell’imporre un qualsiasi
obbligo ai suoi concittadini,
chiunque lo proponga è tenuto a
verificarne la razionalità, la
ragionevolezza, la dimostrabile
efficacia, la buona efficienza, l’effettiva utilità. Nello specifico, è
tenuto a verificare che i certificati
rispondano a fini di salute e non
ad astratti postulati di diritto
amministrativo.
L’onere della prova non spetta
solo a coloro che si battono per
l’abrogazione di queste scemenze,
ma anche (e soprattutto) a coloro
che si adoperano per mantenerle
in vita. Noi di prove contro ne
abbiamo portate a decine: siamo
curiosissimi di conoscere le prove
a favore addotte da quanti hanno
da pag. 25
26
voluto ripristinare il certificato di
preassunzione per il pubblico
impiego. Siamo curiosissimi di
sapere come si svolgerà la cosiddetta visita medica necessaria
per rilasciarlo, quali parametri
esaminerà e quanto appropriati e
congrui, completi, predittivi., ecc.
In Friuli c’è ancora molto da fare.
E mentre affoghiamo nel mare
delle superstizioni ottocentesche,
il resto del mondo corre, e ci supera perfino il Botswana.
segue a pag. 28
nei Paesi dell’Ue non desta particolare allarme, perché i
servizi di sorveglianza sono in grado di prevenire, o
comunque controllare, la trasmissione all’uomo.
Tuttavia, nell’Ue si spendono ogni anno oltre 570 milioni di euro per la ricerca della Trichinella nelle carni di
suini provenienti da allevamenti industriali, caratterizzati da una gestione, anche di tipo igienico-sanitario,
capace di garantire un elevato livello di biosicurezza con
un rischio quasi nullo nei confronti di questo parassita.
Nonostante i costi, l’attuale sistema di sorveglianza non
è sempre efficace, come documentato dalle epidemie di
trichinellosi umana che si verificano ogni anno in alcuni
Paesi dell’Ue per il consumo di carni di suini allevati
allo stato brado o in piccole fattorie, di cinghiali oggetto
di attività venatoria, e di cavalli importati da Paesi
terzi.
Secondo la Commissione internazionale sulla trichinellosi, poiché il rischio di trasmissione di Trichinella ai
suini, o alle altre specie animali di allevamento recettive,
è sostanzialmente limitato alla loro alimentazione, le
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
MEDICINA DEL LAVORO,
UN ALTRO MONDO È POSSIBILE
Dossier
L
a dimostrazione dell’efficacia
delle attività preventive
trova fondamentalmente la
sua ragion d’essere in un presupposto etico. In un sistema a risorse finite non si può fare tutto
quello che la conoscenza, l’esperienza e la tecnologia ci consentirebbero di fare. Bisogna quindi
eliminare le pratiche non efficaci,
o meno efficaci, a favore di quelle
più efficaci in termini di guadagno di salute complessiva, o
quantomeno di riduzione del
rischio.
Fino a poco tempo fa, in medicina
del lavoro il problema della presunta inefficacia di alcune pratiche è stato poco sentito, tutt’al
più limitato ad alcuni aspetti clinici della disciplina, come per
esempio l’utilità di certi esami
diagnostici nelle persone esposte
ad agenti cancerogeni per l’apparato respiratorio. Le pratiche di
tutela della salute nei luoghi di
lavoro, inserite in programmi di
sanità pubblica e svolte dai
Servizi territoriali delle Ausl,
sono considerate da molti efficaci
di per sé, senza la necessità di
dimostrazioni particolari, ma
come risultato di una semplice
analisi logica. Forse perché sono
connotate da una forte valenza di
prevenzione primaria (vedi i piani
mirati di prevenzione).
numero 69
Gianpiero Mancini
In medicina del lavoro il problema della presunta inefficacia di alcune pratiche è stato poco sentito fino a tempi
recenti. Le pratiche di tutela della salute nei luoghi di lavoro sono sempre state considerate efficaci di per sé.
Tuttavia, l’efficacia dei programmi di prevenzione va rivalutata alla luce del nuovo contesto storico e sociale. In
Italia, le singole esperienze di valutazione sono ancora il
frutto di iniziative personali, mentre si dovrebbero trovare
obiettivi comuni e intensificare le relazioni professionali tra
gli operatori interessati ai temi dell’Ebp.
Naturalmente, su questo giudizio
pesano moltissimo anche i risultati positivi ottenuti negli ultimi
trent’anni in termini di riduzione
della morbilità e della mortalità
da lavoro, sia nel campo degli
infortuni sul lavoro, sia in quello
delle malattie professionali.
Spesso queste analisi non consentono di dimostrare con certezza
un rapporto di causalità tra le
azioni intraprese e i risultati conseguiti.
Certamente si possono invocare
altri fattori, come il miglioramento della tecnologia e dei processi
di lavoro. Tuttavia, anche in questo caso, il fenomeno è così rilevante da far ritenere “probabilmente efficaci” le attività preventive messe in campo.
I tempi cambiano per tutto
Pur ammettendo che abbia solide
basi logiche ed empiriche, questa
convinzione va comunque rapportata, e quindi considerata valida, nel contesto storico e sociale
in cui è maturata. Infatti non solo
mutano la tecnologia, l’organizzazione e i rapporti di lavoro, i lavoratori stessi (per esempio, in termini di nazionalità), ma i trend di
riduzione della morbilità e della
mortalità da lavoro subiscono
contestualmente un generale rallentamento, se non addirittura un
arresto o un’inversione di tendenza. Bisogna quindi chiedersi se i
programmi e le attività di prevenzione svolti finora sono ancora
attuali e funzionano, oppure se
27
vanno sostituiti, modificati o almeno integrati con altri.
Analizzando accuratamente il
contesto, in particolare quello
socioeconomico, possiamo individuare azioni che, specialmente se
diverse dalle precedenti, possiamo valutare come efficaci da un
punto di vista logico, e quindi tali
da essere incluse in atti di indirizzo di politica nazionale e regionale. È questo il caso, per esempio,
di programmi di definizione e diffusione di buone pratiche preventive, in collaborazione con associazioni di datori di lavoro e sindacali, come il miglioramento sul
territorio della qualità della formazione dei lavoratori, del processo di valutazione del rischio
chimico e cancerogeno, ecc. Pur
essendo assolutamente condivisibili, queste indicazioni, enunciate
in questo modo, rischiano però di
essere poco più che semplici indirizzi per chi li promuove, o intendimenti per chi li deve attuare.
Quello che veramente conta, invece, è arrivare a capire se una certa
strategia, semplice o complessa
che sia, possieda o meno un effetto preventivo misurabile e, non
meno importante, in quale contesto produttivo.
Se le attività prefissate o raccomandate sono diverse da quelle
tradizionalmente messe in atto, o
anche se queste ultime sono svolte in un contesto profondamente
mutato rispetto al passato, bisogna valutarne l’efficacia preventi-
va sui più importanti outcome di
salute: infortuni e malattie professionali, a maggior ragione se
appaiono meno sotto controllo
rispetto a prima.
Qualcosa si sta muovendo
Negli ultimi anni, molti operatori
della prevenzione si sono incontrati più volte (in congressi, seminari, riunioni più ristrette) per discutere di Ebp riguardo alla tutela della salute nei luoghi di lavoro. Non solo per le ragioni già
esposte, ma anche a seguito di richieste particolari da parte di organismi superiori o per il semplice desiderio, che dovrebbe essere
naturale per un professionista
(quantomeno della salute), di conoscere i risultati del proprio agire senza accontentarsi di una giustificazione istituzionale del proprio ruolo o posizione.
Dopo una prima fase di scambio
di opinioni e di idee, questo gruppo, definibile come tale non sempre per la condivisione di relazioni, ma per sensibilità e valori, ha
iniziato a produrre risultati nell’ambito della ricerca delle prove
di efficacia in sanità pubblica:
presentazione di interventi di
prevenzione svolti a cui era stata
associata un’esperienza di monitoraggio
revisioni di letteratura (anche
grigia, specialmente nel nostro
Paese), su quanto era presente in
termini di valutazioni di efficacia
di interventi nei luoghi di lavoro
progettazione, e in alcuni casi
già compimento, di studi primari
sull’efficacia di uno specifico programma di prevenzione.
Quest’ultimo è il caso del lavoro
di valutazione dell’efficacia di un
intervento di prevenzione degli
infortuni oculari in metalmeccanica nel territorio dell’Ausl di
Imola, che ho condotto insieme ad
alcuni colleghi, i cui risultati sono
stati pubblicati nel dicembre 2005
sulla rivista Occupational and
Environmental Medicine.
Il lavoro dimostrava la piena e
duratura efficacia di un intervento basato prevalentemente su di
una robusta campagna informativa (con fasi, strumenti e destinatari specificati), accompagnata
da sopralluoghi di rinforzo.
Al di là del suo valore scientifico,
questo studio potrebbe costituire
un esempio di come ci si dovrebbe porre di fronte alle attività proprie di noi operatori della prevenzione: quando si può, valutarne
l’efficacia già mentre le si svolge e
diffonderne poi i risultati (anche
quelli negativi, se attendibili).
In questo modo altri colleghi e
organizzazioni ne potranno trarre
vantaggi immediatamente applicabili, o almeno alcuni spunti di
valutazione.
da pag. 26
28
moderne strutture di allevamento e l’applicazione di
una gestione razionale riducono, o eliminano, il rischio
di infestazione. Gli esami trichinoscopici eseguiti sui singoli capi allevati in queste condizioni potrebbero quindi
essere eliminati, oppure potrebbero essere eseguiti su un
campione casuale di suini macellati a domicilio, selezionato secondo un criterio di accuratezza che tenga conto
sia del basso livello di rischio presente, sia del diverso
peso della macellazione nelle aree territoriali interessate.
Secondo gli autori, si potrebbe applicare un sistema di
sorveglianza attiva su base campionaria che rilevi la
prevalenza dell’infestazione in allevamento con una confidenza significativa e ritengono «auspicabile la sospensione dell’esecuzione sistematica dell’esame trichinoscopico sulle carni dei suini macellati a domicilio, qualora
provenienti da strutture di allevamento le cui caratteristiche siano equiparabili a quanto indicato dalla
Commissione internazionale sulla trichinellosi». Il testo
dello studio è disponibile all’indirizzo www.epicentro.
iss.it/temi/veterinaria/MacellazioneSuini_Friuli.pdf.
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
l’autore
Gianpiero
Mancini
area Tutela della salute
negli ambienti di lavoro
e sicurezza, Ausl Ravenna
Attivare nuove sinergie
Pur essendo sicuramente utili,
queste esperienze di valutazione
rappresentano, insieme a poche
altre, il frutto di iniziative pressoché personali. Si avverte chiaramente la necessità di coagulare
maggiormente attorno a obiettivi
comuni, ma anche a relazioni professionali più strette, gli operatori che nel recente passato hanno
manifestato interesse per questi
temi.
È in questa direzione che si colloca il seminario di lavoro organizzato nel maggio scorso a Bertinoro dall’unità operativa di Medicina del lavoro dell’Università di
Bologna e da quella di Epidemio-
logia dell’Ausl 10 di Firenze. All’incontro, che è stata una preziosa occasione per confrontare le
esperienze condotte, è stato inoltre invitato il collega Jos Verbeek,
membro della Cochrane Collaboration, che ne ha illustrato i piani
e le modalità di lavoro, oltre a
chiarire il suo punto di vista sulla
Evidence Based Prevention in Occupational Health (Ebpoh) e la
propria esperienza sul campo.
A conclusione dell’iniziativa, sono stati assunti alcuni impegni,
in vista della costituzione di un
gruppo italiano che supporti l’iniziativa della Cochrane Collaboration in questo campo.
In particolare saranno curati gli
strumenti di comunicazione (newsletter, sito internet dedicato, interventi su riviste scientifiche diffuse nell’ambiente professionale,
ecc) e si avvierà un corso di formazione specifico dedicato alla
Ebp in medicina del lavoro rivolto
agli operatori. È prevista anche
un’attiva collaborazione al progetto della Cochrane Collaboration.
Alla luce di queste svariate inizia-
tive occorre certamente rivedere
la convinzione, invero piuttosto
diffusa, che sia impossibile condurre studi di valutazione di efficacia in medicina del lavoro validi nel disegno epidemiologico, e
quindi anche nelle conclusioni, a
causa soprattutto di vincoli etici o
rappresentati da certe rigidità dei
protocolli o dei piani di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
G. Mancini et al, “Prevention of
work related eye injuries: long
term assessment of the effectiveness of a multicomponent intervention among metal workers”.
Occup Environ Med, 2005; 62:
830-835.
A. Baldasseroni et al,
“Sorveglianza Apprendisti al
Lavoro e Minori (progetto
SALeM): valutazione di efficacia
del programma di sanità pubblica di sorveglianza di apprendisti
e minori avviati al lavoro in settori non a rischio”, www.epicentro.
iss.it/ebp/pro-salem.asp
In corsa per l’Ebp
In Italia sono più di un milione i minorenni che svolgono gare sportive ufficiali almeno una volta all’anno. Per
questa fascia di atleti, gli accertamenti prima della partecipazione sono a carico del Ssn, con un costo annuale
di circa 74 milioni di euro. Da qui la necessità di un
bilancio in termini di efficacia e benefici attesi per la
salute pubblica: è nato così il “Dossier Fidippide: valutazione di efficacia del programma di sanità pubblica per
l’avviamento all’attività sportiva agonistica e il periodico
controllo sanitario di giovani al di sotto dei 35 anni”, a
numero 69
segue a pag. 31
cura dell’Agenzia regionale di sanità pubblica (Ars)
della Toscana. Intitolato al leggendario padre della
maratona, il dossier affronta, oltre alle prove di efficacia
previste dal programma di sanità pubblica (visita medica, screening cardiologico, di funzionalità respiratoria e
muscoloscheletrica), anche aspetti più qualitativi: i
determinanti alla base della sua adozione, le attività
intraprese negli altri Paesi europei, le opinioni dei soggetti interessati. Viene anche tracciato un bilancio dei
costi e dei risultati dell’effettiva applicazione del pro-
29
RACCOGLIERE LE EVIDENZE:
LA SINTESI REALISTA
Dossier
L
a produzione e l’utilizzo delle
prove di efficacia dei programmi di prevenzione in
ambito sociosanitario sono oggetto di un acceso dibattito, che
coinvolge operatori sociosanitari,
policy makers e ricercatori. Le criticità riguardano sia la natura
stessa delle “evidenze” e del processo di cumulazione, sia la diffusione e l’utilizzo delle conoscenze
prodotte dalle revisioni sistematiche (vedi bibliografia).
Nel corso del workshop “Valutare
la prevenzione”, in occasione
dell’VIII Congresso dell’Associazione italiana di valutazione
(Aiv), ho avuto l’opportunità di
illustrare le origini e le caratteristiche salienti di alcuni orientamenti che si muovono sotto il
comune denominatore dell’evidence movement.
L’intento era quello di rispondere
ad alcune problematiche poste
dall’Ebp grazie alla proposta metodologica della sintesi realista.
In particolare, sono stati confrontati due metodi di revisione sistematica, evidenziando alcune pro-
Liliana Leone
All’interno del movimento Ebp, la modalità di produzione
delle revisioni sistematiche è oggetto di un acceso dibattito,
sia per quanto riguarda la raccolta delle conoscenze, sia sul
grado di fruibilità e utilità delle evidenze. Accanto alla tradizionale meta-analisi, non priva di criticità, si sta affermando sempre più un metodo alternativo di revisione sistematica, quello della sintesi realista, che cerca di rispondere alle esigenze metodologiche, ma anche di tradurre i risultati in raccomandazioni utilizzabili dai decisori politici.
blematiche di ordine metodologico connesse ai processi di cumulazione delle conoscenze e alcuni
limiti legati al grado di fruibilità
e utilità delle evidenze: da una
parte la meta-analisi, adottata
per esempio dalla Cochrane Library e dalla Campbell Collaboration, dall’altra la cosiddetta
“sintesi realista”, un metodo di
revisione sistematica recentemente sviluppato in Gran Bretagna da Ray Pawson, dell’Università di Leeds.
La versione integrale di questo articolo è pubblicata, con il titolo
“Evidenze di efficacia nei programmi di prevenzione delle dipendenze: review sistematiche e sintesi theory-driven”, sul sito dell’associazione, www.snop.it
30
Metodi a confronto
Un esempio della debole capacità
informativa delle meta-analisi
condotte in alcuni settori della
prevenzione dei programmi di salute pubblica e la frequenza con
cui si denunciano scarsità di evidenze, carenze inerenti la scarsa
qualità dei disegni sperimentali o
limiti di ordine pratico connessi
alla scarsa capacità delle metaanalisi di informare e quindi influenzare i processi decisionali. Ci
sono poi alcuni limiti metodologici, evidenziati da alcuni esponenti del movimento denominato evidence based policy, sottesi al processo stesso di sviluppo e accumulo delle conoscenze nelle revisioni sistematiche.
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
Dossier ebp e pratiche inutili
Il processo di revisione della sintesi realista rappresenta un metodo alternativo per condurre revisioni sistematiche e cerca di
rispondere ai due ordini di problemi precedentemente menzionati: metodologici e di traduzione
dei risultati in raccomandazioni
utilizzabili dai decisori politici.
Questo procedimento prende in
considerazione gli stessi processi
di accumulo delle conoscenze
scientifiche e trae origine da una
concezione popperiana della
scienza: pone cioè l’accento sulle
ipotesi teoriche sottostanti le
ricerche sperimentali, sul processo di confutazione e di verifica
degli assunti teorici e utilizza prevalentemente il metodo deduttivo. I singoli studi le singole valutazioni non rappresentano quindi
delle monadi, ma sono compresi
all’interno delle ipotesi esplicative che li avevano generati e delle
teorie (o quasi teorie) che intendevano confutare.
Si tratta di un metodo molto
recente applicato in diversi
campi, dal welfare all’educazione,
dall’ambiente e rigenerazione
urbana alla giustizia, e che di
recente inizia a trovare applicazioni anche nel settore sanitario.
Anche questo approccio, come
altri prima, critica il modello della
black box sottostante alla logica
delle revisioni sistematiche basate sulla meta-analisi. I programmi sociosanitari non sono altamente riproducibili e le variazioni
contingenti che sorgono nell’implementazione sul campo non
sono necessariamente casuali.
Esistono infatti fattori che possono essere oscurati dalle comuni
analisi, per esempio il modo con
cui gli operatori interpretano il
programma in determinate situazioni, oppure il modo con cui
diversi sottogruppi dei beneficiari reagiscono alla proposta. La
critica principale si concentra su
due assunti sottostanti al procedimento della meta-analisi: i trattamenti devono essere concreti, circoscritti e riproducibili (e altamente standardizzati come nel
caso di alcune cure mediche) e i
soggetti beneficiari hanno un
ruolo prevalentemente passivo,
poiché i trattamenti funzionerebbero in modo indipendente dal
loro giudizio (possibilità di controllare effetti placebo).
Mettere in pratica
Accogliendo alcune indicazioni
sviluppate dalla sintesi realista e
dal movimento della evidence
based policy, in tre regioni del
Nord Italia è stata realizzata una
ricerca valutativa che proponeva
un parallelismo tra la nozione di
strategia applicata ai diversi
approcci di prevenzione e quella
di “famiglia di meccanismi” propria della sintesi realista. La
sistematizzazione delle evidenze
attraverso la nozione di strategia
di intervento ne favorirebbe l’utilizzo, in quanto maggiormente in
grado di influenzare le teorie
implicite ed esplicite degli operatori e dei decisori.
Il focus del lavoro, Per una prevenzione efficace, è posto su pratiche di estrazione, contestualizzazione, diffusione e utilizzo delle
conoscenze e delle raccomandazioni prodotte dalle revisioni
sistematiche e dalle linee guida
sviluppate a livello internazionale nel settore della prevenzione
delle dipendenze. Si espone un
caso di ricerca-azione caratterizzato da approcci fortemente partecipativi, in cui sono state ricodificate e riaggregate le evidenze
offerte dalle maggiori revisioni
sistematiche e linee guida in
materia di prevenzione delle
dipendenze.
Queste evidenze sono state in
seguito incorporate all’interno di
una valutazione che ha interessato undici Asl del Nord Italia, e utilizzate come parametro di riferimento per giudicare l’adeguatezza delle metodologie di intervento
adottate in un campione di 122
progetti.
A seguito di questo lavoro, il procedimento adottato e le indicazioni scaturite sono state utilizzate
anche al di fuori del settore della
prevenzione delle dipendenze. In
alcune Asl (Bergamo, Milano 1) è
stata avviata una programmazione congiunta dei dipartimenti e
servizi che a diverso titolo si
segue a pag. 32
da pag. 29
gramma in Italia. Sulla base di questi dati, un gruppo
di esperti si è espresso sull’esistenza e l’affidabilità di
prove di efficacia delle diverse componenti del programma, formulando anche delle raccomandazioni per i decisori riguardo allo screening preventivo per l’avviamento
all’attività sportiva nei giovani al di sotto dei 35 anni.
La visita medica può essere mantenuta, ma ne va accentuato il valore di consiglio e orientamento nella scelta
della pratica sportiva più adatta, per aumentare la soddisfazione e quindi la probabilità di proseguire più a lungo
numero 69
possibile nello svolgimento dell’attività fisica (che si è
dimostrata efficace nel prevenire malattie cardiovascolari
e altre patologie).
Riguardo allo screening cardiovascolare, l’attività in
corso da circa trent’anni può essere mantenuta, sostenendo gli sforzi in atto in alcune aree del Paese per una
sua valutazione di efficacia su base osservazionale. Dove
non sono in corso studi di efficacia retrospettiva, può
essere offerta, a patto che sia garantito un adeguato controllo della qualità della prestazione. Ogni offerta di atti-
31
l’autore
Liliana
Leone
Facoltà di Sociologia,
Università di Roma
“La Sapienza”
occupano di programmi di prevenzione rivolti ai giovani (dipartimenti di Prevenzione, dipartimenti per le Dipendenze, Servizio
famiglia, infanzia o età evolutiva).
Quella della sintesi realista è una
proposta particolarmente promettente, sia perché il ruolo dei
contesti (aspetti socioeconomici,
organizzativi, culturali, demografici) è irrinunciabile per spiegare
il funzionamento e il successo dei
programmi di salute pubblica, sia
perché il richiamo alle varie teorie del cambiamento sociale è
abbastanza esplicito nei diversi
approcci di prevenzione. La letteratura sulla prevenzione delle
dipendenze, per esempio, fa riferimento a diversi modelli di intervento (influenza sociale, comprensivi e combinati, cognitivi e
di promozione della salute) in cui
sono chiamate in causa diverse
teorie: quella dell’apprendimento
sociale di Bandura, della normative beliefs di Hansen, dello sviluppo sociale di Hawkins e
Catalano, della dissonanza cognitiva di Festinger. Le revisioni
sistematiche, per contro, vengono
in genere realizzate in funzione di
una classificazione di programmi
che hanno in comune le sostanze
o i comportamenti considerati
dannosi (alcol, tabacco, droghe
illecite, marijuana, utilizzo del
casco), sebbene i decisori tendano
a utilizzare strategie simili anche
in politiche e ambiti di intervento
differenti. Il suggerimento è quindi quello di tenere conto di questo
gap e al contempo dare l’opportunità di sviluppare revisioni sistematiche di programmi di promozione della salute aventi in comune proprio le strategie di intervento, le teorie del cambiamento
sociale e le famiglie di meccanismi alla base dei cambiamenti
auspicati.
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da pag. 31
32
vità al di fuori di queste condizioni non è giustificata.
Lo screening respiratorio è inutile ai fini descritti nel
dossier, per cui se ne raccomanda l’abolizione.
Lo screening muscoloscheletrico andrebbe abolito, perché
inutile ai fini descritti nel dossier, mentre può essere
mantenuto in forma sperimentale per alcuni sport a
impegno estremo per l’apparato muscoloscheletrico,
garantendone la valutazione su base osservazionali (per
valutarne l’utilità nella prevenzione di complicanze invalidanti legate a malformazioni congenite).
Non è stato possibile invece esprimere valutazioni sulla
necessità di una ripetizione periodica e sull’eventuale
frequenza ottimale che gli screening (dei quali si suggerisce il mantenimento) debbono avere. Su questo punto
dovrà intervenire un documento di consenso tra gli
esperti che tenga conto del bilanciamento tra i costi e i
possibili, ma non dimostrati, benefici.
Il testo completo del dossier è disponibile al seguente
indirizzo: www.epicentro.iss.it/ebp/pdf/Dossier_
Fidippide.pdf.
dossier ebp e pratiche inutili • numero 69
il buratto grosso
Quando anche Bersani
era «corporativo»
Giorgio Ferigo
I
l 9 agosto 1745, i gastaldi dell’Arte dei Sartori di
Venezia fecero un’ispezione «sotto il portico di Cà
Dolfin al ponte dei
Bareteri, alla botega di sartor di domino Antonio
Capello», dove beccarono
sul fatto «domino Antonio
Biliani lavorante, che
tagliava con misura una
velada [di] pano blu, in
contrafatione delle leggi
dell’Arte nostra». La contrafatione riguardava il
fatto che Antonio Billiani,
pur essendo solo un lavorante sarto, stava eseguendo un’operazione da maestro sarto («tagliare con
misura»): secondo le regole, avrebbe potuto soltanto
imbastire e cucire quel che
il maestro sarto aveva già
tagliato, così come il garzone sarto poteva solo bordare asole e attaccar bottoni.
È questo uno degli innumerevoli processetti presenti
nell’Archivio di Stato di
Venezia (nei fondi Arti,
Militia da Mar, Giustizia
Vecchia), che riguardano la
complessa vita quotidiana
delle corporazioni, le diatribe dell’una contro l’altra, i
conflitti tra gli iscritti a
una medesima corporazione (o arte o fraglia o scola
o università).
Le norme della mariegola,
minuziose e talvolta
dementi, ma scritte in elegante calligrafia e con i
capilettera adorni, non
comprendevano soltanto le
tappe della carriera e le
mansioni professionali. Per
esempio riguardavano la
difesa degli associati: basti
pensare alla difesa dei sarti
contro la «molteplicità
delle done, che lavorano di
sartore, ben note come contrafacienti nelle case...;
Ebrei, che fano infinità di
abiti nuovi, e li vendono; e
strazzaroli, che fanno il
medesimo..., tutti danni
rilevantissimi all’Arte
nostro».
come dimenticare gli standard di qualità: per esempio, i tintori «di cremese»
non potevano «tenzer né di
grana, né d’alchimia, ma
puro cremese».
Come a Venezia, le cose
andavano allo stesso modo
da Milano a Bruges a
Manchester, da Bologna a
Messina a Granada, da
Udine a Berlino a Lubecca.
Il sistema corporativo finì
quando i «malfattori franzesi» esportarono la loro
rivoluzione nelle contrade
d’Europa e piantarono
sulle piazze e nei broli
l’Albero della Libertà
(libertà che, prima di tutto,
era economica e commerciale): ebbe fine dunque
Trenta stemmi delle «Arti» attive
nella città di Orvieto tra il XIII e il XVII secolo
Corporazioni
senza fine
Ancora, potevano regolare
il tipo di prodotto: vedi i
passamaneri, che potevano
produrre «cordele rasade
schiette, con oro a opera e
senza», ma non «le cordelle
alla napolitana» né manufatti «che sia con seda et
oro», oppure i tellaroli, che
potevano tessere tele di lino
e canapa, anche mischiate
a lana, ma soltanto ai fustagneri era concesso di lavorare il «filo a bombaso, e la
lana» (per i non veneti, il
bombaso è il cotone). E
33
numero 69
negli anni terribili ed esaltanti tra fine Settecento e
inizio Ottocento.
Soltanto in Italia il sistema
corporativo non è mai terminato per davvero, se il 3
luglio 2006 è stato firmato
il cosiddetto “decreto
Bersani”, per tentare di
sciogliere qualche lacciolo
corporativo e di togliere
qualche zeppa antiliberale
di tassinari, avvocati, bancari, farmacisti, assicuratori. Sia lode a Bersani, dunque, e Dio l’abbia in gloria.
Decreto vecchio fa
buon brodo
Tuttavia, neanche il ministro Bersani è senza peccato. Basti ricordare il celebre
articolo 3 della Legge n. 85
del 22 marzo 2001, che
imponeva che a rilasciare o
rinnovare la patente ai diabetici fosse uno «specialista nell’area della diabeto-
logia e malattie del ricambio». Diabetologi a far
patenti non se ne trovarono: da qui la caccia a preattestati da allegare, controfirme di specialisti da
apporre a tergo, chiose
cautelative da aggiungere
in calce al modello A. Da
qui, i richiami ministeriali
ai riottosi (buon ultimo
quello del direttore generale del dipartimento dei
Trasporti terrestri del 19
dicembre 2005) e restituzioni di certificati incompleti
agli utenti adirati.
Ebbene, quel decreto fu
proposto e firmato, tra gli
altri, dal liberalizzatore
Bersani, che trattava i
comuni medici patentatori
proprio come i gastaldi
dell’Arte trattavano tre
secoli fa la lavoranzìa di
Antonio Billiani. E proprio
in nome di un presunto
standard di qualità, identico a quello che proibiva di
far fustagni ai tellaroli, che
magari erano in grado di
produrne di ottimi, a pelo
alto e a pelo basso, rasati e
tempestini.
La differenza è questa: un
certificato di patente non è
né una velada di panno blu,
né un fustagno a pelo
basso, ma soltanto un
pezzo di carta. Non garantisce niente e nessuno, se
non l’accesso al pezzo di
carta successivo. Sia ben
chiaro: non si contesta qui
la lobby dei diabetologi per
difendere quella dei medici
legali o degli oculisti (che
su un blog veneto hanno
dato vita a un dibattito
surreale a proposito di visite per patenti), ma l’esistenza stessa delle lobby
mediche.
Tuttavia, il buon Bersani
farà presto a ravvedersi.
Non serve nemmeno che
scriva un decreto ad hoc,
tanto meno in segreto. Il
decreto c’è già, da quasi tre
anni: è quello del 30 set-
tembre 2003). Oppure, se
preferite, da dodici anni:
quello dell’8 settembre
1994. Bersani deve soltanto
concertare con i suoi colleghi dei ministeri dei
Trasporti e della Salute di
farlo entrare finalmente in
vigore. Oltre ai sediai che
eludono le tasse, non bisogna colpire anche i ministeri che eludono le leggi?
Molti di noi saranno onorati di obbedire agli ordini.
Certo, qualche medico
tirerà giù porchi, come un
tassinaro a fine turno.
Qualcun altro avrà l’emicrania, come un farmacista
senza Saridon, oppure
architetterà nuovi introiti,
come un bancario in astinenza da dobloni. Ma gli
italiani saranno felici di
entrare finalmente
nell’Europa delle patenti di
guida ragionevoli. E gli italiani, com’è stato autorevolmente detto, un po’ di felicità se la meritano.
il buratto grosso • numero 69
Alta definizione
«Perché proprio a me?» Come si
costruiscono scelte condivise
Paolo Lauriola
a realizzazione di
nuovi inceneritori
per i rifiuti o il potenziamento di quelli già esistenti è sempre più oggetto
di dibattito in Italia.
Un recente articolo pubblicato su Arpa Rivista,
“Legittime paure ed egoismi più o meno consapevoli, un aiuto dall’etica”, sottolinea un dato sostanziale
delle società moderne: la
crisi del ruolo della scienza
e della tecnologia, che si
accompagna a una profonda crisi della rappresentanza politica. Nell’opinione
comune, scienza e tecnologia non sono più in grado
di offrire le certezze di un
tempo: secondo un importante libro di Paolo Vineis,
Nel crepuscolo della probabilità. La medicina tra
scienza ed etica, siamo nel
cosiddetto “crepuscolo
delle probabilità”. I tradizionali canali di rappresentazione e aggregazione
(istituzioni, partiti, sindaca-
L
ti e le stesse religioni) sono
in profonda crisi di identità
e legittimazione. Questa è
una possibile chiave di
interpretazione delle difficoltà legate a un problema
emergente della nostra
democrazia: ottenere il consenso e prendere decisioni
difficili.
Nel suo articolo “Scienza e
politica, patto d’alleanza”,
apparso su La repubblica
lo scorso 23 agosto,
Umberto Galimberti partiva invece dalla constatazione che scienza, economia e
tecnologia si condizionano
fortemente l’una con l’altra.
Se in teoria la scienza può
diventare l’etica dell’economia e della tecnica (scientia
est potentia, come sosteneva Bacone), «i condizionamenti tecnici ed economici,
che limitano l’esercizio di
questo potere, obbligano la
scienza a cercarsi un altro
alleato che può trovare,
come vuole l’indicazione di
Platone, nella “politica”
Questo articolo è tratto da quello pubblicato sul
Bollettino dell’Ordine dei medici di Modena. Si ringraziano per i preziosi suggerimenti Vanna Rinaldi e
Stefano Bellentani di Isde-Modena
numero 69
Il dibattito etico in corso in Italia sull’opportunità
di potenziare gli inceneritori per i rifiuti o costruirne di nuovi è lo spunto per riflettere sul ruolo cruciale della sanità pubblica su temi di rilevanza sociale come la qualità dell’ambiente e gli effetti sulla
salute. In vista della prossima Conferenza interministeriale su ambiente e salute dell’Oms, che si svolgerà a Roma nel 2009, l’autore propone alcuni
spunti di riflessione sia per medici e cittadini che si
stanno formando un giudizio, sia per le amministrazioni, chiamate a prendere le decisioni.
intesa in senso alto».
Alcune organizzazioni di
medici, tra cui
l’International Society
Doctors for the
Environment (Isde), e
anche alcuni Ordini provinciali dei medici hanno focalizzato la loro attenzione
sul tema degli inceneritori,
provocando un grande clamore. Ma perché i medici?
Sicuramente perché a parte
l’interesse professionale su
un tema che ha come focus
la salute, il medico è in
generale un testimone
diretto, e per quanto possibile attivo, della sofferenza.
Inoltre, il tema della medicina che si occupa di sanità
pubblica diventa sempre
più l’oggetto di un interesse e di una pratica sociale
condivisa. A questo si
accompagna il dato del
Censis secondo cui la fonte
informativa principale sui
problemi connessi con la
salute è il medico, soprattutto quello di famiglia: il
64% delle fonti di informazione sono i camici bianchi,
il 12% il nucleo familiare,
il 7% gli amici, il 6% il farmacista, il 4% i colleghi di
lavoro, il 30% la televisione, il 36% la carta stampata (il totale è superiore a
100 perché le risposte non
erano mutuamente esclusive). Su temi di rilevanza
sociale come la qualità dell’ambiente e gli effetti sulla
35
e delle situazioni particolari». La Weil istituisce inoltre un legame tra l’idea
guida della scienza moderna, il numero, e il principale modello etico corrente,
l’utilitarismo. A causa del
Scienza ed etica
presupposto dominante,
Tra il riconoscimento di un quello della forza, la sciennesso causale e l’assunzio- za moderna non può
amare la verità.
ne di una decisione o l’attribuzione di una responsa- Nella sua biografia Simone
bilità morale c’è un rappor- Weil. Biografia di un pensiero, Gabriella Fiori scrito molto più stretto di
ve: «Siamo guidati e illusi
quanto sembri. Come
dal valore di quantità […].
sostiene Paolo Vineis, la
predizione di un intervento La mente, schiacciata dalla
(medico o ambientale) non quantità, giustifica il proprio disagio erigendo a cripuò essere separata dal
terio centrale dell’epoca
problema etico (ovvero la
l’efficacia».
liceità dell’intervento).
Il rapporto tra causalità ed Secondo la Weil, i principi
etici su cui bisogna fondaretica è un argomento
si, sottratti a quelli della
ampiamente affrontato da
forza e della quantità, sono
Simone Weil, secondo cui
c’è una netta differenza tra l’equilibrio, il rispetto e il
dovere e diritto: la nozione bisogno di radici, nella
del dovere è incondizionata prospettiva dell’azione: la
conoscenza non avviene
(non uccidere), mentre
quella del diritto è sempre sulla base di astrazioni
logiche, ma a partire da un
legata a certe condizioni,
comprendendo «la conside- individuo che opera nel
mondo e partecipa attivarazione degli stati di fatto
salute, ci si rende conto di
quanto la competenza
scientifica, politica ed etica
del medico sia cruciale.
36
mente alla vita dell’intera
comunità.
culturale si presta facilmente all’obiezione di irrazionalismo, lasciando la
risoluzione dei problemi ai
modelli di ciascun sottoLa valutazione dei
gruppo della società.
rischi ambientali
Corrado Poli, dell’Università di Bergamo, sostiene
Secondo Kristin Shraderche nel caso dei rischi
Frechette, dell’Università
di Notre Dame (Indiana), si ambientali la contraddizione tra scienza e antropolopossono identificare due
gia, oltre al dilemma tra
opposte tendenze nella
fatto e valore, si esplicita
valutazione dei rischi
in altri quattro aspetti. Il
ambientali: quella scientiprimo è il problema della
sta, che ritiene possibile
standardizzazione, il tentauna valutazione oggettiva
e di validità universale dei tivo di uniformare le procerischi, e quella antropologi- dure di stima e di valutazione in modo da «spendeca, secondo cui non solo
re la stessa quantità di
non è possibile un calcolo
oggettivo, ma il concetto di fondi per ciascuna vita salvata, nelle diverse situaziorischio è intriso delle creni».Tra l’altro, la valutaziodenze profonde e dei
modelli culturali che carat- ne quantitativa del rischio
non tiene conto quasi mai
terizzano specifici sottodi tutte le variabili (biologigruppi della popolazione.
che, ecologiche, sociali, culAllo scientismo si obietta
turali, economiche e politidi non esplicitare i valori
che) che variamente condiimpliciti, imponendo sotto
le mentite spoglie del calco- zionano un effetto. Ma questa uniformità, solo econolo razionale uno specifico
mica, violerebbe il rispetto
punto di vista ideologico.
D’altra parte, il relativismo di valori e criteri di giudizio diversi. Il secondo è il
dilemma dei partecipanti,
che si riferisce alla definizione di soglie accettabili in
caso di esposizione a singoli fattori ambientali, anche
se il rischio complessivo
può essere superiore alla
somma dei rischi singolarmente considerati. Il dilemma de minimis, invece,
riguarda l’abitudine di stabilire le soglie accettabili di
esposizione in termini medi
per tutta la popolazione,
senza però considerare la
distribuzione del rischio,
che si concentra in genere
nei gruppi sociali più
deprivati. Questo aspetto
conduce direttamente
all’ultimo dilemma, quello
del consenso: l’analisi del
alta definizione • numero 69
Alta definizione
STORIA DEL “PREOCCUPARSI PRIMA”
Negli ultimi tempi il principio di precauzione ha fatto letteralmente irruzione nella scienza e nella politica. Questo
principio ha una lunga storia in medicina e in sanità
pubblica: il principale obiettivo della sanità pubblica è prevenire le malattie e promuovere la salute, il che equivale
ad applicare appieno i principi di prevenzione e di precauzione. La prima enunciazione effettiva, però, è avvenuta in Germania negli anni Settanta, con il cosiddetto
Vorsorgeprinzp, il “principio del preoccuparsi prima”:
venne preso in considerazione in relazione alle piogge
acide, i cambiamenti climatici e l’inquinamento del Mare
del Nord. In questo contesto, Vorsorge implicava l’uso
delle migliori tecnologie per minimizzare l’inquinamento
di quella sorgente.
In generale, questo approccio viene preso in considerazione quando il danno ambientale non è ancora identificabile, o addirittura in assenza di rischio. La prima enunciazione del principio di precauzione in ambito internazionale risale al 1972, alla Conferenza delle Nazioni Unite sul-
l’ambiente umano a Stoccolma. Nel 1992, al termine
della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, la Dichiarazione di Rio annuncia: «per proteggere
l’ambiente si devono applicare largamente misure di precauzione da parte degli stati secondo le loro capacità. In
caso di rischi e di danni gravi o irreversibili, l’assenza di
certezze scientifiche non deve servire come pretesto per
rimandare a più tardi l’adozione di misure efficaci volte a
prevenire la degradazione dell’ambiente».
Più recentemente, la Direzione generale “Politica dei consumatori e protezione della loro salute” ha definito il
principio di precauzione come «un approccio di gestione
dei rischi in una situazione d’incertezza scientifica, che
esprime l’esigenza di un’azione a fronte di un rischio proporzionalmente grave senza attendere i risultati della
ricerca scientifica». La stessa Direzione generale precisa
che il principio di precauzione deve tenere conto non solo
dei rischi acuti, ma di rischi cronici per le generazioni
future.
cedure scientifiche di identificazione della natura e
dell’entità del rischio, e
“gestione del rischio” (risk
management), che si riferisce invece agli aspetti relativi alla regolamentazione,
cioè alle scelte politiche.
Per sottolineare l’importanza di questa azione vale la
Il principio
pena ricordare tre situaziodi precauzione
ni in cui questo principio
non è stato applicato e le
Per comporre questi diffegravi conseguenze che ne
renti approcci l’Organizsono seguite: la prima è
zazione mondiale della
quella dei milioni di bambisanità ha recentemente
ni che nel mondo hanno
proposto di scomporre il
sofferto di danni al sistema
principio di precauzione
nervoso a seguito dell’e(vedi box) in diversi passposizione al piombo presaggi, uno dei quali è rappresentato dalla valutazio- sente nelle vernici delle
ne del rischio, cioè la stima pareti, negli smalti e nella
benzina. Le altre due sono
quantitativa degli effetti.
L’Agenzia americana per la enormi danni per la salute
provocati dal fumo di
protezione dell’ambiente
tabacco e dall’amianto,
(Epa) ha introdotto anche
soprattutto per il ritardo
la distinzione tra “valutacon cui si sono ottenuti
zione del rischio” (risk
assessment), ovvero le pro- risultati convincenti sulla
loro pericolosità.
Il richiamo al principio di
precauzione implica la
necessità di maggiori conoscenze, ma anche di fare
comunque riferimento a
quelle tecnologie su cui si
hanno maggiori certezze di
sicurezza. Non implica solo
uno sforzo diagnostico, ma
soprattutto di proposta. Né
è il blocco di un’attività,
ma la responsabilità di sviluppare conoscenze, ed
eventualmente proposte,
nuove. Più specificamente,
insieme a procedure come
il cosiddetto health impact
assessment (la valutazione,
anche attraverso simulazioni, degli effetti sanitari), il
principio di precauzione
consente di indirizzare, in
situazioni di incertezza,
verso una decisione che
tenga conto della libertà di
iniziativa, della proprietà,
dell’equità e della dignità.
Secondo l’Oms, l’implemen-
rischio sembra mirare a
ottenere capziosamente il
consenso della popolazione
esposta, attraverso calcoli
apparentemente oggettivi,
ma cela contraddizioni e
conflitti di interesse.
numero 69
tazione di un’azione precauzionale che sia realmente efficace e che abbia un
impatto sinergico può
risultare in una situazione
cosiddetta win-win, utile
cioè sia per i decisori che
per la popolazione in generale. Questo implica incentivi e supporto per ricerca,
sviluppo e innovazione, in
una prospettiva di tecnologie più sicure e pulite.
All’origine
dell’incertezza
In ambito scientifico, riconoscere una situazione di
incertezza è centrale nell’applicazione del principio
di precauzione. In generale
si identificano tre ordini
principali di incertezza,
non sempre distinguibili.
L’incertezza statistica è
quella più facilmente quantificabile e che, se opportu-
37
l’autore
Paolo
Lauriola,
direttore della struttura tematica di
Epidemiologia
ambientale dell’Arpa
Emilia Romagna
malmente la maggiore
preoccupazione nella ricerca scientifica tradizionale è
proprio nell’evitare il primo
tipo di errore.
Sulla base di queste considerazioni, sono state ipotizzate alcune possibili soluzioni:
proteggere i sistemi con
38
namente affrontata, può
essere sicuramente ridotta.
L’incertezza del modello si
realizza quando più di un
fattore di rischio opera nel
determinare un effetto: in
questi casi il modello è
costruito facendo riferimento a certe assunzioni e
semplificazioni, che spesso
non tengono conto della
vera relazione che lega le
diverse variabili.
In effetti questo è tanto più
vero quando si considera
che il mondo reale è la confluenza di sistemi biologici,
ecologici, sociali, culturali,
economici e politici.
Nessun sistema sperimentale può tenere conto di
tutti in modo esaustivo e
ancor meno può definirne
le interrelazioni. Infine, l’incertezza fondamentale,
altrimenti detta ignoranza,
è legata alla complessità e
all’unicità dei sistemi investigati.
Un’eccessiva preoccupazione per evitare un errore di
primo tipo (o errore alfa),
che deriva dall’aver accettato un’associazione che
non esiste, può aumentare
la probabilità di un errore
di secondo tipo (errore
beta), che si verifica quando si esclude un’associazione che invece esiste.
Questa situazione è gravissima laddove non si riconosca, e quindi non si prevenga, un rischio, e tanto più
grave se si pensa che nor-
analizzare l’incertezza in BIBLIOGRAFIA
modo esplicito e trasparente.
In preparazione alla prossima Conferenza interministeriale su ambiente e salute, che si svolgerà a Roma
nel 2009, l’Oms ha lanciato
le seguenti proposte di elementi chiave nell’applicazione del principio di precauzione preso come stima:
capacità di recupero: i
sistemi non sottoposti a
stress sono più resistenti
anche di fronte a forti
coinvolgere fin dall’inicambiamenti
zio la popolazione sia
nella valutazione che
nella gestione del rischio
imparare e applicare: la
sperimentazione e il
principio di precauzione identificare vantaggi e
sono tra loro compatibili
svantaggi di tutte le alquando l’esperimento è
ternative
condotto su una scala
spazio-temporale in cui
elevare il livello della doil principio di precauziocumentazione delle prone non è ancora primave da parte di tutti
riamente necessario
attribuire l’onere della
prova ai proponenti
attribuire a chi sostiene
la proposta l’onere della
prova, ovvero l’onere
aumentare la trasparendella persuasione e della
za: se la decisione non
responsabilità, e non la
può trovare la propria
semplice esclusione dellegittimazione nella
la possibilità di poter
scienza si deve ricorrere
pervenire a dimostrare
alla disponibilità, all’ol’assoluta sicurezza
nestà e a decisioni meditate e condivise tra le
parti interessate
fissare degli obiettivi,
per definire politiche per
l’ambiente e la salute
porre maggiore attenzione agli effetti delle decisioni, non solo limitate
stabilire delle alternaagli effetti immediati ma
tive, che possono essere
anche a quelli più lontavalutate utilizzando la
ni nel tempo.
health impact assessement
Proposte che possono essere elemento di riflessione
adottare un processo
sia per chi sta formandosi
trasparente, inclusivo e
aperto già a partire dal- un giudizio, medici e cittale prime fasi del proces- dini, ma anche per le ammiso decisionale, per crea- nistrazioni. Ovvero per chi,
re un rapporto di fiducia oltre al giudizio, dovrà
tra istituzioni, imprese e giungere a una decisone
meditata e condivisa.
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and the future of our children. Oms Europa, Roma,
2006.
alta definizione • numero 69
Alta definizione
Chiare, fresche e
dolci acque?
Luca Carneglia
a qualche tempo in
Italia è in corso un
tentativo di rilancio
del settore termale.
Stabilimenti e aziende
hanno quindi cercato di
riqualificare e aggiornare
la propria offerta, con proposte che andassero oltre
quelle più classiche, di tipo
terapeutico o riabilitativo.
Ecco allora che il settore si
è orientato sempre più
verso tutte quelle prestazioni “del benessere” di cui
vengono apprezzate le proprietà tonificanti e rilassanti: bagno caldo, piscina,
idromassaggio.
La modalità di erogazione
dei servizi termali non
cambia molto tra prestazioni sanitarie e prestazioni
estetiche, o comunque inerenti al benessere. Tuttavia
alla domanda che proviene
dal mercato occorre rispondere con un’offerta che
tuteli diversi aspetti:
D
il rispetto della modalità
sostanziale con cui queste vengono somministrate, perché per quella
modalità riconosciute e
perciò poi autorizzate
(per esempio la balneoterapia)
numero 69
il mantenimento delle
caratteristiche fisico-chimiche intrinseche delle
acque e il rispetto di
parametri igienici, sanitari e microbiologici, da
una parte per garantire
la sicurezza degli utenti,
dall’altra per rispettare
la qualità originale dell’acqua
l’esistenza di un’indicazione terapeutica alla
loro esecuzione.
Fra le proposte terapeutiche “emergenti”, i bagni
collettivi in piscine termali
pongono particolari problemi igienistici. Le acque termali sono acque minerali
utilizzate a fini terapeutici
e seguono quindi la legislazione relativa alle acque
minerali. Salvo alcune eccezioni, le acque termali non
possono quindi essere sottoposte ad alcun trattamento, pena la perdita
delle loro proprietà originali (compreso il microbismo
naturale, che ne è il presupposto terapeutico).
Indipendentemente dalle
caratteristiche qualitative
dell’acqua al momento dell’immissione, non si può
Il rilancio del settore termale in Italia pone diverse
criticità per la sanità pubblica. Per aggiornare la
propria offerta, stabilimenti e aziende propongono
sempre più spesso, accanto ai servizi classici di tipo
terapeutico o riabilitativo, prestazioni estetiche,
come bagni tonificanti e rilassanti. Di fronte alle
nuove esigenze economiche e di mercato occorre
però al più presto un adeguamento normativo, perché i riferimenti che riguardano le piscine tradizionali non sono direttamente applicabili alle piscine
termali e possono risultare addirittura fuorvianti.
quindi ipotizzare un sistema di trattamento che continui a esercitare la sua
azione disinfettante residua
in vasca, durante la balneazione collettiva. D’altra
parte è poco realistico che
un’acqua batteriologicamente pura all’immissione
continui a rimanere tale
dopo essere stata a contatto con la superficie di uno
o più corpi umani, in
assenza di disinfettanti.
Se si ammette la balneoterapia collettiva, diventa
necessario modificare la
definizione di sicurezza
igienica (conteggio di
germi indicatori di inquinamento fecale pari a zero),
oppure rinunciare all’asso-
luta preservazione, anche
in vasca, delle caratteristiche chimiche e microbiologiche originali dell’acqua
termale.
Queste considerazioni, tuttavia, valgono soltanto se la
balneazione termale ha un
obiettivo terapeutico. Al
contrario, l’uso dell’acqua
termale per scopi estetici, di
benessere o semplicemente
ludici, per quanto legittimo,
non vincola ad alcun riconoscimento qualitativo dell’acqua. Al contrario, questo tipo di utilizzi non
dovrebbe richiedere l’applicazione di trattamenti con
azione disinfettante residua
finalizzati al massimo livello di sicurezza igienica.
39
Un vuoto normativo
40
Una conferma indiretta di
questo arriva dalla Legge
323 del 2000, secondo cui
gli stabilimenti termali possono erogare prestazioni di
carattere estetico, purché
“in appositi e distinti locali”. Il vuoto normativo su
quali siano i requisiti di
minima sicurezza igienica
dovrebbe quindi riguardare
soltanto le piscine termali,
in caso di balneoterapia
classica in seduta collettiva.
Al riguardo, la Circolare 17
del ministero della Salute
preannunciava provvedimenti normativi sulla
costruzione, manutenzione,
vigilanza delle piscine termali e sulla microbiologia
degli impianti termali, da
emanarsi alla conclusione
di studi che nel settembre
1991 risultavano “essere in
corso”, ma che poi non
sono mai stati utilizzati.
L’accordo della Conferenza
Stato Regioni del 16 gennaio 2003 sulle piscine
esclude dall’ambito della
sua applicazione le piscine
destinate a “usi speciali”,
fra i quali quelle termali.
Gli usi speciali sono quelli
in cui «l’acqua viene utilizzata come mezzo terapeutico in relazione alle sue
caratteristiche fisico-chimiche intrinseche e/o alle
modalità con cui viene in
contatto dei bagnanti e
nelle quali l’esercizio delle
attività di balneazione
viene effettuato sotto il
controllo sanitario specialistico». Il provvedimento
rimanda alle Regioni il
compito di disciplinare gli
impianti alimentati con
acque termali o marine.
Con la Delibera di Giunta
Regionale 637 del 30 giugno 2003, la Regione
Toscana ha fornito alle
aziende Usl le direttive per
il controllo igienico sanitario delle piscine a uso natatorio e le caratteristiche di
qualità delle acque utilizzate negli impianti. Non c’è
però alcun riferimento alle
piscine a “usi speciali” alimentate con acqua termale.
La parola
alla letteratura
Se da una parte il vuoto
normativo non impedisce i
movimenti del mercato sul
territorio ovunque ne
venga intravista un’opportunità, dall’altro anche la
letteratura sembra insufficiente per fare valutazioni
definitive.
Un buon punto di partenza
per soddisfare i vincoli tecnici e sanitari, e nello stesso tempo andare incontro
alle esigenze del mercato,
sembrano essere le piscine
ad acqua fluente, che
hanno una portata d’acqua
continua in entrata e in
uscita dalla vasca tale da
garantire un numero sufficiente di ricambi idrici
giornalieri. Questo sembra,
almeno in teoria, un convincente presupposto di
igienicità, insieme a un’attenta gestione dell’affollamento e dei criteri per l’accesso alle vasche.
Al riguardo si è espressa
anche l’Organizzazione
mondiale della sanità,
secondo cui «le piscine termali che non usano disinfettanti richiedono metodi
alternativi per mantenere
l’acqua microbiologicamente sicura. È necessario un
alto tasso di ricambio idrico, anche se non completamente efficace, se non c’è
un altro modo di prevenire
la contaminazione microbica. Nelle piscine termali,
dove l’uso dei disinfettanti
è indesiderabile o dove è
difficile mantenere un adeguato disinfettante residuo,
il riscaldamento dell’acqua
fino a 70 °C ogni giorno
durante i periodi di non
uso potrebbe aiutare a prevenire la proliferazione
microbica».
Un esempio di procedura
raccomandata per assicurare la buona qualità dell’acqua nelle piscine termali è quello dello Stato americano di Victoria del 1999,
secondo cui le piscine termali devono essere connesse a filtri utilizzati esclusivamente per l’impianto termale.
L’impianto di filtrazione
dovrebbe garantire il ricircolo completo dell’intero
volume d’acqua a un tasso
nominale di almeno una
volta ogni 30 minuti. Le
piscine termali dovrebbero
essere drenate almeno una
volta alla settimana per
permettere la pulizia del
pavimento e delle pareti,
per poi essere nuovamente
riempite con acqua fresca.
In aggiunta dovrebbero
essere munite di skimmer
per drenare continuamente
il pelo dell’acqua.
Alcuni Paesi europei raccomandano di svuotare le
vasche ogni giorno. Per
prevenire il sovraffollamento delle piscine termali,
alcuni raccomandano che
siano chiaramente identificabili i sedili installati per
gli utilizzatori, un minimo
volume di acqua per sedile,
un volume minimo totale e
una profondità massima
dell’acqua (Deutsches
Institut für Normung,
1997).
Essendo poi di fatto impos-
sibile pretendere un’acqua
con colimetria zero, occorre
definirne un limite accettabile. Le specifiche caratteristiche dell’acqua all’origine
(durezza, pH, temperatura,
ecc) possono favorire o
meno lo sviluppo microbico, in generale o di alcune
specie rispetto ad altre, e
permettere un habitat ideale per la colonizzazione e lo
sviluppo di germi come
Legionella e
Mycobacterium. Anche
Pseudomonas aeruginosa
può rappresentare un problema, visto che si sono
registrate infezioni cutanee
in caso di carenze di manutenzione o strutturali dell’impianto.
Secondo l’Oms, la concentrazione di P. aeruginosa
non deve superare 1/100
ml. Il fatto che si tratti di
acqua fluente (per esempio,
con un ricambio totale ogni
mezz’ora) e che le vasche
vengano frequentemente
svuotate per essere sanificate autorizza però a considerare trascurabile la
preoccupazione per la proliferazione microbica,
soprattutto se le operazioni
sono frequenti ed estese a
tutto l’impianto di adduzione e trattamento filtrante.
Limiti accettabili
Ci sono anche altre variabili che possono influire sulla
sicurezza igienica: la sensibilità degli ospiti, la distanza tra bagnanti (che dipende dalla superficie della
piscina), la diluizione della
carica infettante (che
dipende dal volume d’acqua), il numero di ricambi
orari, l’affollamento, la presenza o meno di soggetti
infettivi.
alta definizione • numero 69
Alta definizione
Se si considera quello della
proliferazione microbica un
problema trascurabile,
nella balneoterapia collettiva le problematiche di sicurezza sanitaria sono limitate al pericolo dell’acqua
quale veicolo di agenti
infettivi diffusi da una persona all’altra durante la
balneazione.
I coliformi hanno un significato come germi indicatori di inquinamento fecale;
proprio per la loro funzione
di traccianti, però, escludere la loro presenza è indispensabile quando non se
ne conosce l’origine, perché
indicano una situazione
fuori controllo e quindi
potenzialmente pericolosa.
Ma nel caso di specie, l’origine dell’inquinamento
deriva da circostanze conosciute, monitorabili e perciò può essere accettato
come inevitabile, fino a un
certo punto.
Da questo punto di vista i
limiti colimetrici dell’acqua
in vasca sono esclusivamente indicativi della corretta gestione della piscina
e dovranno essere stabiliti
in base al valore massimo
colimetrico ammissibile
per dichiarare balenabile
un’acqua e, dati certi presupposti strutturali, di funzionamento e di regolamento sanitario di una piscina,
in base all’affollamento che
previene il deterioramento
della colimetria oltre il
limite ammesso.
Stabilire un nesso tra
inquinamento accettabile
dell’acqua, affluenza e
capacità depurativa del
ricambio richiederà una
serie di esperimenti che
registrino tutte le variabili
sopracitate.
In questo contesto assumerà particolare rilevanza
l’anamnesi da parte del
medico termale, che dovrà
indagare su precedenti
riguardanti malattie trasmissibili come epatite A,
enteriti, malattie cutanee,
ecc. E altrettanto importante sarà il regolamento sanitario, che dovrà stabilire
preventivamente e monitorare le operazioni di sanificazione preliminare del
corpo (doccia) e i percorsi
di accesso.
Le nuove esigenze economiche e di mercato rendono quindi necessaria una
normativa chiara in tema
di piscine termali, dato che
i riferimenti normativi
classici che riguardano le
piscine tradizionali non
sono direttamente applicabili e possono risultare
addirittura fuorvianti.
l’autore
Luca
Carneglia
Dipartimento di
prevenzione Asl 5
di Pisa
BIBLIOGRAFIA
Organizzazione mondiale
della sanità, “Guidelines
For Safe RecreationalWater Environments.
Vol. 2: Swimming pools,
spas and similar
recreational-water
environments. Final draft
for consultation”. Agosto
2000, www.who.int/water_
sanitation_health/bathing/r
ecreaII-intro.pdf
41
numero 69
Vita da Snop
Autonomia e responsabilità
dell’assistente sanitario
Maria Elisa Damiani e Gabriella Tritta
per perseguire obiettivi di
salute. Lavorando per proCercare il significato di autonomia e responsabilità
cessi integrati, ma caratterizzati da un unico punto
professionale dell’assistente sanitario e l’integradi riferimento per l’utenza,
zione con altre professioni sono stati il fulcro di una
si ottiene una sinergia tra
tavola rotonda organizzata il 4 aprile 2006 dal didiverse competenze speciapartimento di Sanità pubblica di Bologna, in collalistiche e ci si adegua alla
borazione con la Snop e l’Associazione nazionale
complessità dei problemi
degli assistenti sanitari. Nella prevenzione, i prointersettoriali da affrontare.
blemi vanno gestiti migliorando e valorizzando le
Altro tema importante è
competenze dei singoli professionisti, ma anche instato l’autonomia profestegrandole con gli altri servizi e stringendo alleanze
sionale, ovvero l’insieme
con i cittadini.
delle competenze e abilità
che un soggetto può esprimere ed esercitare in forza
iniziative appropriate assie- dell’acquisizione di titoli
ntegrazione e autonoabilitanti all’esercizio di
mia dell’assistente sani- me ad altri attori e perfeuna professione, senza
tario nella prevenzione e zionando l’uso degli strusanità pubblica: da questo menti disponibili. Oltre che limitazioni o condizionapromuovere e agevolare la menti dall’esterno (salvo i
tema ha preso il via la
tavola rotonda “Autonomia collaborazione tra i diversi vincoli dell’organizzazione
del lavoro in cui il profesattori, bisogna contestuae responsabilità dell’assilizzare le conoscenze scien- sionista è immerso). L’altra
stente sanitario”, che si è
faccia della medaglia è il
tifiche e la padronanza di
svolta il 4 aprile 2006 a
strumenti operativi aggior- concetto di responsabilità,
Bologna e che ha avuto
cioè l’obbligo di rispondere
nati negli ambiti locali di
un’adesione al di là delle
della propria condotta: lesiaspettative: hanno parteci- intervento, ma anche conpato oltre 300 persone pro- frontarsi con il sistema del- va di altrui interessi (civil’autocontrollo, pur mante- le), in violazione della legge
venienti non solo
penale (penale), oppure in
nendo un proprio ruolo di
dall’Emilia Romagna, ma
violazione delle regole delanche da Veneto, Trentino, vigilanza.
Marche, Toscana, Piemonte L’integrazione professiona- l’organizzazione (disciplinare). Come gestire l’autole, ovvero la condivisione
e Puglia.
nomia, ossia il riconoscidi conoscenze, obiettivi e
La sanità pubblica deve
mento di libertà e dignità
azioni fra i diversi profesadeguarsi ai bisogni di
da una parte, e la responsionisti, è indispensabile
salute rilevati nella comusabilizzazione sui piani
per sviluppare azioni utili
nità locale, sviluppando
I
42
della conoscenza e del suo
trasferimento nell’attività
professionale dall’altra?
Prendendo in considerazione la tipologia delle organizzazioni in cui i professionisti operano, il loro
modello e il livello di complessità. Le condotte dei
professionisti vanno rapportate alle caratteristiche
della struttura, alla tipologia professionale, numerosità e qualifica dei componenti, all’interno di sistemi
dotati di strumenti di regolamentazione, linee guida,
protocolli, intese, condivisi
e dettati dai detentori del
potere decisionale. Solo
una seria formazione può
farci sperare di superare le
difficoltà interpretative,
perché rimarranno pur
sempre spazi di operatività
comuni esposti alle insidie
prodotte dalla labilità dei
confini.
Nella seconda sessione,
intitolata “L’assistente
sanitario e gli obiettivi di
salute”, è emerso come la
sanità pubblica operi tramite alleanze, che attraversano orizzontalmente i vari
confini disciplinari, professionali e organizzativi. In
questa collaborazione si
vita da snop • numero 69
Vita da Snop
fonda lo sviluppo e la traduzione nella pratica di
politiche basate su prove di
efficacia in tutte le aree che
hanno un impatto sulla
salute e sul benessere della
popolazione. Per garantire
il miglioramento continuo
dei servizi erogati e la salvaguardia degli standard
assistenziali serve il cosiddetto governo clinico, cioè
l’insieme dei comportamenti, responsabilità e azioni
che l’organizzazione e i
professionisti si danno in
modo sistematico e continuativo. In quest’attività
l’assistente sanitario ha un
ruolo strategico, effettuando sorveglianza e controllo
delle malattie infettive,
valutazioni epidemiologiche, programmi di screening della popolazione,
informazione sanitaria,
promozione della salute e
lavorando quindi nello sviluppo del Piano regionale
della prevenzione.
Dal campo
Nella terza sessione il
significato di autonomia,
responsabilità professionale e integrazione fra professionisti è stato immerso
nella prassi attraverso il
confronto di alcune esperienze in differenti ambiti
lavorativi.
La figura professionale dell’assistente sanitario è
le autrici
Maria
Elisa Damiani,
dipartimento di Sanità
pubblica dell’Ausl di
Bologna
Gabriella Tritta, Staff
educazione alla salute
dell’Ausl di Modena
numero 69
stata contestualizzata nell’ambito delle linee generali
del Piano sanitario nazionale, del Piano sanitario
regionale e del Piano nazionale della prevenzione,
nonché delle diverse linee
guida, programmi e leggi
regionali dell’Emilia
Romagna. Quindi si è parlato dell’organizzazione,
pianificazione e realizzazione della pratica vaccinale:
la somministrazione del
vaccino è soltanto l’epifenomeno del percorso vaccinale e l’assistente sanitario
esplica le sue competenze
per promuovere negli utenti l’autodeterminazione e la
partecipazione alle scelte di
salute. La stesura di un
regolamento, per la definizione dei ruoli e delle
responsabilità riguardo alle
procedure e alle fasi operative di gestione dell’ambulatorio vaccinale pediatrico, insieme a un gruppo di
lavoro che integri le diverse competenze professionali e le diverse aree territoriali, sono strumenti essenziali nella prassi dove l’autonomia, la responsabilità e
l’integrazione si realizzano.
La peculiare competenza
dell’assistente sanitario
emerge, però, anche durante le emergenze, in quanto
è l’operatore in grado di
garantire, con elevati livelli
di autonomia e di responsabilità, gli interventi di
prevenzione diretta, inchiesta, sorveglianza e controllo, informazione, educazione e counselling sulla persona, sulla famiglia e sulla
collettività. La specifica
competenza deve trovare
adeguata valorizzazione in
un contesto di integrazione
con le altre professionalità,
data la complessità delle
situazioni e l’evoluzione
promozione di stili di vita
sani. In questo scenario si
inquadra il progetto
“Provincia Senza Fumo”
dell’Azienda Usl di
Piacenza, che si realizza
tramite iniziative con gruppi omogenei e di comunicazione di massa, e specificatamente attraverso la prevenzione nelle scuole, la
collaborazione dei medici
di medicina generale, la
promozione dell’astensione
dal fumo negli ambienti
sanitari, il centro Zefiro per
imparare a smettere di
fumare. Anche in questo
ambito autonomia e
responsabilità sono strettamente correlati all’integrazione: infatti le azioni vedono l’interessamento di
diversi alleati locali.
Nell’ambito della pediatria
di comunità, un problema
emergente è la gestione dei
bambini, principalmente
stranieri, affetti da patologie croniche. In questo
ambito l’autonomia e la
responsabilità professionale si esprimono attraverso
la pianificazione degli
interventi, la definizione
delle priorità da esplicitare,
la competenza nel fornire
risposte appropriate e
scientificamente corrette, la
conoscenza delle tecniche e
la capacità di supportare la
famiglia. Grazie all’accurata conoscenza del territorio
e delle sue risorse, l’assistente sanitario costruisce
Un occhio di riguardo
insieme alla famiglia una
rete di collegamenti e di
Il Decreto ministeriale 69
del 1997 sul profilo profes- solidarietà che consente a
sionale dell’assistente sani- quest’ultima di muoversi
tra i servizi e di non sentirtario conferisce un vasto
spazio alla funzione educa- si soli. È qui che si esplica
tiva, ossia all’attuazione di in modo significativo il
precise metodologie che sti- concetto di interazione fra
molino l’interiorizzazione e professionisti, non solo
sanitari, ma anche della
l’assimilazione delle inforscuola, dei servizi sociali,
mazioni finalizzate alla
continua delle conoscenze.
Un caso particolare in cui
l’assistente sanitario si è
rivelato strategico è quello
degli accertamenti sul controllo del rischio biologico
negli studi professionali
odontoiatrici, che si attiva
con la valutazione delle
procedure e delle modalità
applicative. Il controllo ha
evidenziato che il principale fattore di rischio in
ambito odontoiatrico per la
trasmissione di infezioni è
l’adozione di comportamenti non corretti e in particolare l’erroneo utilizzo
degli apparecchi di sterilizzazione, la sequenza sbagliata delle operazioni, la
scarsa consapevolezza del
significato delle diverse
azioni, comportamenti che
possono essere migliorati
dopo le verifiche effettuate.
Ci sono poi ampi studi di
popolazione, come lo
Studio Argento, indagine
sulla salute nella terza età
in Emilia Romagna, lo
Studio Quadri, indagine
nazionale sulla qualità dell’assistenza alle persone
con diabete, e Passi (vedi
Snop 68, “Passi… avanti
nella salute”), prima studio
e ora sistema di sorveglianza indagine nazionale
sugli stili di vita, in cui
l’assistente sanitario può
dare un contributo vitale.
43
della questura, dell’Ufficio
stranieri, dei patronati e
degli enti di volontariato.
Un’ulteriore responsabilità
è la presa in carico, anche
con la semplificazione dell’accesso ai servizi, di
gruppi di popolazione
caratterizzati particolarmente vulnerabili, come
Sinti e Rom. In questo
ambito lavorativo responsabilità significa compiere
un salto di qualità nell’ero-
gazione delle prestazioni
sanitarie nella prevenzione,
privilegiando l’aspetto
comunicativo e relazionale.
Oltre a prendersi in carico
la persona e la famiglia
nella sua globalità, occorre
fornire una prestazione
professionale qualificata,
competente e appropriata
rispetto a indicazioni evidence based. Per costruire
un rapporto di fiducia
serve un atteggiamento di
ascolto e di osservazione,
rinunciando temporaneamente alle proprie convinzioni. In questo caso la
responsabilità sta nel rendere ragione della propria
competenza professionale
specifica per facilitare la
famiglia, la donna, la
madre, il capofamiglia a
scegliere intenzionalmente
se affidarsi o meno a un
servizio, per costruire una
rete di relazioni tra i diver-
si organismi istituzionali, e
non, in grado di rispondere
con loro ai loro bisogni.
Resta la convinzione che le
complesse problematiche
da gestire nella prevenzione vadano affrontate con il
miglioramento delle competenze dei singoli professionisti, valorizzate in un
contesto di autonomia e
responsabilità, ma anche di
integrazione nei servizi e
alleanze con i cittadini.
44
vita da snop • numero 69
La parola a…
Ambiente e salute:
ritorno al futuro
Marcello Panarese
preso in considerazione a
sufficienza negli attuali
interventi normativi.
Nell’ambito dei programmi
di azione comunitaria sulle
malattie ci sono stati diversi interventi connessi all’inquinamento, alla promozione della salute e al monitoraggio sanitario: il programma d’azione comunitario nel campo della
sanità pubblica (2003-2008)
è un nuovo e fondamentale
strumento alla base della
strategia della Comunità
europea in proposito.
Nel contesto del Sesto programma quadro, la ricerca
su ambiente e salute può
essere finanziata nell’ambito di varie priorità tematiche: qualità e sicurezza dei
prodotti alimentari, sviluppo sostenibile, genomica e
biotecnologie per la salute,
nanotecnologie e nanoscienze. Per la prima volta,
il programma di lavoro del
Centro comune di ricerca
europeo prevede un’area
scientifica integrata su
ambiente e salute a cui si
l’autore
aggiungono varie azioni
dirette.
Marcello Panarese
Gli obiettivi del Piano saniCoordinatore nazionale
tario nazionale 2002-2005
Arpa - Fp Cgil
si limitano ad affrontare
a definizione del rapporto tra ambiente e
salute dell’Oms comprende «sia gli effetti patologici diretti delle sostanze
chimiche, delle radiazioni e
di alcuni agenti biologici,
sia gli effetti (spesso indiretti) sulla salute e sul
benessere dell’ambiente
fisico, psicologico, sociale
ed estetico in generale,
compresi l’alloggio, lo sviluppo urbano, l’utilizzo del
territorio e i trasporti». È il
percorso complesso di tutte
le azioni di intervento e
gestione realizzate a tutela
della salute.
I dati dell’Agenzia europea
dell’ambiente, dell’Oms e
di varie istituzioni scientifiche nazionali dimostrano
che molti problemi in
campo ambientale e sanitario hanno origine da un’interazione tra ambiente e
salute che è molto più complessa di quanto si possa
pensare.
Tutto questo non viene
L
numero 69
Lo stretto legame tra ambiente e salute è sempre più
evidente e complesso di quanto si possa pensare. Le
norme che prendono in considerazione questi problemi non sono però sufficienti. Le Agenzie regionali per la prevenzione e l’ambiente, avendo le capacità tecniche e scientifiche necessarie, devono svolgere un ruolo di primo piano nella programmazione
della prevenzione e in particolare nella tutela dell’ambiente e della salute. Ecco una proposta basata
su una nuova coscienza collettiva della prevenzione
e più adatta alla complessità scientifica necessaria.
solo alcuni temi, trattati
per di più in maniera disorganica: la prevenzione,
infatti, è affrontata solo dal
punto di vista medico e
dell’affermazione di corretti
stili di vita. Ancora una
volta si giustifica così l’arretratezza culturale in
materia e le gravi ricadute
sulla qualità della produzione normativa e di programmazione dello Stato e,
di conseguenza, anche
delle Regioni, in materia di
prevenzione.
Le Agenzie regionali per la
prevenzione e l’ambiente
(Arpa) sono chiamate a
rispondere, insieme ai
dipartimenti della
Prevenzione, alla program-
mazione dell’attività sanitaria della prevenzione in
Italia. Sono quindi strumenti della pubblica amministrazione per la tutela
dell’ambiente e della salute.
Hanno le capacità tecniche
e scientifiche necessarie al
controllo qualitativo e
quantitativo delle matrici
ambientali, alla valutazione
tecnica e scientifica dei
progetti a supporto degli
enti locali e all’attività di
prevenzione alla diffusione
di agenti nocivi alla salute.
Nel corso degli anni, però,
le Arpa non hanno affermato la giustezza del
modello referendario,
anche per l’assenza di un’idea guida in grado di spe-
45
cificarne meglio il ruolo e
l’integrazione delle
la funzione.
istanze ambientali e saLe Arpa, insieme a quasi
nitarie in politiche che
tutto il settore della prehanno ripercussioni divenzione sanitaria, soffrono
rette o indirette su quedella distrazione di risorse
sti temi, prestando partiverso l’ospedalizzazione
colare attenzione all’adella salute e della vaghezspetto preventivo
za della propria ragione
d’esistenza.
la comprensione integrata del ciclo degli inquinanti, per valutare possibili scenari di rischio
Una proposta di lavoro
46
deguatezza dell’attuale
modello organizzativo delle
Arpa. Il modello organizzativo non potrà che essere
coerente con l’evoluzione
subita dalle strutture della
prevenzione del nostro
Paese, senza nessun ritorno al passato, ma modificando un’esperienza che
sta mostrando tutti i suoi
limiti. Non è pensabile che
le Arpa rientrino nelle
Ausl, dalle quali il quesito
A più di dieci anni dal refe- l’integrazione della nor- referendario le aveva staccate. Sarebbe utile invece
rendum del 1993, che ha
mativa, per contrastare
abrogato le competenze Usl
la frammentazione delle una soluzione che confermi
in materia di ambiente
azioni prodotta dalle at- e consolidi anche dal punto
di vista scientifico la
dando vita alle Arpa, è
tuali norme.
necessità di integrare comnecessario discutere della
petenze ambientali e saninecessità di un nuovo qua- È interessante riflettere
tarie nell’ambito del sistedro normativo della presull’integrazione dei sogma sanitario nazionale e
venzione a livello nazionale getti interessati, perché
e periferico.
istituire una struttura pub- regionale.
Sulla base di una nuova
blica unitaria con all’inter- Il modello generale dell’organizzazione territoriale
coscienza collettiva della
no tutte le professionalità
prevenzione si dovrà ragio- utili alla vigilanza sanitaria delle strutture integrate di
nare su un modello orgae ambientale (in particolare tutela e prevenzione delnizzativo del settore che sia l’attività antinfortunistica e l’ambiente e della salute
dovrà nascere dall’assunpiù adatto alla complessità della medicina del lavoro),
zione degli obiettivi di tutee al livello di approfondiin grado di promuovere il
la e prevenzione nei Piani
mento scientifico necessacoordinamento con il
sanitari regionali a cui querio. Dagli studi e dai docu- mondo accademico e le
menti di indirizzo comuni- organizzazioni scientifiche ste stesse strutture dovrantari, oltre che dalla storica
e non governative, è l’unico no dare risposta. La loro
maturazione delle esperien- vero supporto possibile per efficacia dovrà essere
determinata attraverso la
ze e delle battaglie a tutela le amministrazioni naziodefinizione di un modello
della salute, nasce un
nali, regionali e locali, il
minimo di articolazione di
approccio integrato su
sindacato e l’industria in
ogni struttura dipartimenambiente e salute, che
grado di dare risposta
implica:
reale alla complessità degli tale provinciale, da indicare nelle leggi che ordinano
obiettivi.
il Servizio sanitario naziol’integrazione delle
nale e i Servizi sanitari
informazioni, ovvero
regionali. In tal modo si
mettere in relazione le
L’unione fa la forza
eviterebbe che con semplici
conoscenze disponibili,
atti si possa snaturare il
per fornire una panora- La necessità di adeguare
legame fra strutture e terrimica strategica dei peri- tutte le strutture che opecoli per la salute insiti
rano sui temi della salute e torio creando, invece, le
necessarie sinergie di internell’ambiente
dell’ambiente alle azioni
indicate nella pianificazio- vento sia sul campo
l’integrazione delle atti- ne nazionale e comunitaria ambientale che su quello
della prevenzione sanitaria.
segue il percorso di rispovità di ricerca nei proA questo proposito il
grammi di studio con te- sta alla richiesta di tutela
diffondersi di varie forme
della salute e dell’ambienmatiche riguardanti
te, rivelando l’evidente ina- di illegalità all’interno del
l’ambiente e la salute
mondo del lavoro toglie
capacità di controllo al sindacato e ai lavoratori.
Inoltre, chiama in causa le
Regioni, a cui compete la
responsabilità sul lavoro,
sulla salute e la sicurezza e
a cui si chiedono impegni
precisi sul quadro legislativo, sulle modalità di incentivazione alle imprese e su
tutta la partita della
responsabilità della prevenzione, dei controlli e delle
sanzioni.
Questa proposta lega strettamente l’obiettivo della
difesa delle matrici
ambientali alla tutela della
salute dei cittadini in
forma preventiva, consentendo anche di sostenere
autorevolmente il rapporto
con le amministrazioni
pubbliche verso cui queste
strutture avrebbero una
naturale proiezione.
Aprire un dibattito sul
futuro della prevenzione in
senso lato, coinvolgere
tutte le strutture e gli operatori interessati, ragionare
su un modello organizzativo integrato della prevenzione vuol dire anche
affrontare in positivo il problema del reperimento
delle risorse per i livelli
essenziali di tutela e assistenza, piuttosto che con
quelli del taglio dei finanziamenti e dell’esternalizzazione di attività di esclusiva competenza del settore
pubblico.
la parola a … • numero 69
La parola a…
Quando la malattia
crea la differenza
Luigi Sudano
a monotonia del concetto è sempre la
stessa: promuovere le
vaccinazioni significa favorire le ditte farmaceutiche
o compiere un’azione sociale? Sono anni che questo
dibattito divide gli operatori del settore e infervora gli
animi. Purtroppo, però, si
assiste sempre più spesso a
una banalizzazione spiccia
di queste due posizioni.
Che i vaccini siano nati per
sconfiggere le malattie è un
fatto risaputo. Quando è
stato messo a punto il
primo vaccino, però, esistevano reali necessità e, sia
pur con l’umano scetticismo, furono accettati e considerati l’invenzione del
secolo.
Oggi se un estremista, di
qualsiasi setta religiosa o
ideologia politica, aprisse
la fatidica busta in una stazione della metropolitana
di una qualsiasi città, pro-
L
l’autore
Luigi
Sudano,
responsabile Servizi
attività vaccinali
Ausl Valle d’Aosta
numero 69
prio mentre arriva la lunga
fila di vagoni che sposta
una pari massa d’aria, i
nostri servizi sarebbero
tempestati di telefonate di
gente che decide spontaneamente di vaccinarsi per
le malattie più strane.
Eppure, le malattie per cui,
presi dal panico, intendiamo vaccinarci, da noi non
circolano. Analogamente,
se scoppia qualche caso di
una malattia “X” in una
scuola, i genitori non solo
tengono a casa i loro figli,
ma chiedono (anzi, pretendono) che siano immediatamente vaccinati. Se esistesse un vaccino contro i
pidocchi possiamo scommettere che la ditta produttrice sarebbe ai vertici dei
titoli in borsa.
Questo tipo di situazioni,
che rischiano di creare problemi enormi sia dal punto
di vista della copertura
vaccinale sia da quello economico, si possono risolvere in due modi.
Il primo è la linea dura,
ancorata a concetti di
risparmio: una solida giustificazione che però, di
fronte alla salute, perde la
propria solidità e che
rischia di essere un boome-
In un momento in cui si sta discutendo se abolire
l’obbligo di legge per le vaccinazioni, serve una riflessione profonda sugli aspetti economici di quello
che è il cardine fondamentale della prevenzione. Da
sempre ci si chiede se promuovere le vaccinazioni
sia compiere un’azione sociale o promuovere i guadagni delle ditte farmaceutiche. In una società civile che mira a traguardi di salute reali per la popolazione serve però una posizione radicalmente diversa
sulla cultura della prevenzione, al di là delle valutazioni economiche o dell’impegno del personale.
rang sia per il decisore
politico sia per l’operatore
assalito da uno stuolo di
genitori.
Il secondo, sposato dalla
maggioranza, è stabilire a
monte che i vaccini siano
l’unico rimedio valido per
evitare certe malattie.
Risparmi, ma di chi?
La linea dura deve prepararci a fronteggiare le persone convinte dell’utilità
delle vaccinazioni, che si
stupiscono dell’incoerenza
tra ciò di cui dispone la
scienza e ciò che l’uomo
trasforma in una scelta
economica di fronte alla
salute, bene sancito anche
dalla Costituzione.
All’operatore, soggiogato
dal decisore a seguire la
linea dura, il convinto genitore dirà: «Se io non vaccino mio figlio, tu risparmi i
soldi del vaccino, ma spendi quelli per le medicine se
mio figlio poi si ammala. E
per continuare a farti
risparmiare soldi, mi devo
anche pagare il vaccino».
A questo punto chi si occupa di vaccini riflette su
quanto ha imparato nelle
più qualificate sedi scientifiche sulle modalità di diffusione delle malattie, sugli
R con zero e su quel pallino arancione che trasmette
la malattia ad altri due, tre,
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servono a poco. O ancora,
se vogliamo favorire, ancora di più di quanto non
abbiamo già fatto, la nascita delle medicine alternative. E come reagiranno le
donne che dovranno pagare
per non rischiare di avere
un tumore della cervice?
In una società civile che
mira a traguardi di salute
reali per la sua popolazione è necessario assumere
una posizione radicalmente
quattro pallini verdi. E sco- lusso di spendere dei soldi diversa sulla cultura della
prevenzione, al di là delle
pre una sorta d’incoerenza. per vaccinare il proprio
figlio.
valutazioni economiche o
Poi, inevitabilmente, sale
Personalmente ci leggo la
dell’impegno del personale.
alla mente quello che si
potrebbe definire il concet- più grande incoerenza, e il Alcune categorie di medici
dubbio etico su certe decidevono essere pagati di più
to “sociale” delle vaccinaper vaccinare, per compiezioni: vaccinarsi è mostrare sioni mi assale e mette in
una coscienza sociale verso dubbio la mia appartenen- re un loro dovere, sia etico
gli altri, in quanto si inter- za a un servizio. Mi chiedo che istituzionale. Abbiamo
bisogno di dare soldi in più
rompe l’eventuale trasmis- perché sono pagato per
dare un servizio e quale
per raggiungere certi obietsione della malattia.
servizio fornisco alla mia
tivi, che dovrebbero essere
Il “povero operatore” si
raggiunti solo ed esclusivatrova spesso a dover fare i popolazione se devo farla
pagare. Mi domando se
mente attraverso un’estenconti in tasca ai genitori,
non sarebbe meglio chiasione democratica della
prima di vaccinare il loro
bambino. Parallelamente, i marlo negozio piuttosto che cultura della prevenzione
servizio d’igiene pubblica.
(altrimenti detta sensibilità
“normopensanti” stanno
facendo notevoli sforzi che Applicando tariffe differen- professionale). A volte
ziate o criteri diversi nel
applicare criteri di costoper estendere a tutta la
beneficio sulla prevenzione
popolazione ogni interven- somministrare un vaccino
to preventivo, anche a quel- (il povero non paga, il ricco è una nota stonata che crea
sì), mi sembra di essere
un’abominevole incoerenza
lo zoccolo duro che nessuuna sorta di Robin Hood
sul concetto stesso di preno riesce a raggiungere (il
nella foresta di Sherwood,
venzione. Il personale che
salto dal 90 al 95% di
contro il mio decisore, lo
manca lo si può assumere
copertura). Non da ultimo
sceriffo di Nottingham.
in deroga, oppure si può
il Centro per il controllo e
evitare a monte di rilasciala prevenzione delle malatre pareri favorevoli sulla
tie del ministero della
concessione dei part time.
Salute, che più che proScegliere
O ancora, si può evitare di
muovere l’intervento predove investire
collocare, in certi posti,
ventivo in sé (ogni Regione
personale che ha diritto di
sta operando nel più ampio Bisogna poi chiedersi se
concetto di federalismo)
vogliamo fermare la scienza accedere a questo benefipersegue proprio l’obiettivo o interdire la ricerca scienti- cio, il che crea inevitabilmente disservizi e malanidi raggiungere anche la
fica, che per il 90% viene
quota di popolazione che
realizzata dalle ditte farma- mi verso chi deve fare,
sfugge a quell’intervento.
ceutiche. Oppure se voglia- oltre al proprio, anche l’altrui lavoro. Una direzione
Nonostante ci sia ancora
mo rafforzare i concetti
qualcuno che si chiede
degli antivaccinatori, che si che non è in grado di
quali siano le fasce di
sentiranno ancora più auto- discernere questi elementi
andrebbe penalizzata, al
popolazione più deboli che rizzati a sostenere che le
non possono permettersi il vaccinazioni non servono o pari dei propri dipendenti
o di un magistrato che si
renda causa di un errore di
giudizio.
In un momento in cui si sta
discutendo se abolire l’obbligo di legge per le vaccinazioni, penalizzare in questo modo un settore così
delicato rischia di produrre
un effetto perverso e disincentivante. Come si può
immaginare di far pagare
ciò che, istituzionalmente e
come obbligo morale e
sociale, è il cardine fondamentale della prevenzione?
Ci si interroga sulle strategie vaccinali quali migliori
elementi per raggiungere
uno scopo nobile. In assenza di una strategia, però,
perché non studiata o perché non ritenuta necessaria, si lasci la possibilità di
una libera somministrazione, sia pur condizionata
dalla scelta del genitore.
Per la sanità è un segnale
di efficienza e di sensibilità
etica.
la parola a… • numero 69
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Numero 69 dicembre 2006