Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione Rivista trimestrale • dicembre 2006 n. 69, anno 21 ISSN 1720-9714 DOSSIER EBP E PRATICHE OBSOLETE AMBIENTE Dallo statuto è costituita l’associazione denominata “Società Nazionale Operatori della Prevenzione”, in sigla , con finalità scientifiche e culturali. L’associazione, in quanto ente non commerciale, si propone di: • sostenere l’impegno politico e culturale per lo sviluppo di un sistema integrato di prevenzione, finalizzato alla rimozione dei rischi e alla promozione della salute negli ambienti di vita e di lavoro, con particolare attenzione alla rete dei servizi e presidi pubblici • promuovere conoscenze e attività che sviluppino la prevenzione e la promozione della salute dei lavoratori e della popolazione in relazione a rischi derivanti dallo stato dell’ambiente e dalle condizioni di vita e di lavoro • favorire lo scambio di esperienze e informazioni fra gli operatori e il confronto sulla metodologia e i contenuti dell’attività, per raggiungere l’omogeneità delle modalità di intervento perseguendo il miglioramento continuo di qualità e l’appropriatezza delle attività di prevenzione a livello nazionale • promuovere il confronto e l’integrazione tra sistema di prevenzione pubblico e sistema di prevenzione delle imprese • promuovere un ampio confronto con le istituzioni, le forze sociali e le altre associazioni scientifiche su questi temi • diffondere l’informazione e la cultura della prevenzione. L’associazione non ha fini di lucro. Tariffa regime libero: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DRCB Roma UN E SALUTE: RITORNO AL FUTURO APPROCCIO INTEGRATO PER LA SANITÀ VETERINARIA indice Rivista trimestrale della Società nazionale degli operatori della prevenzione Pagine aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Editoriale Editore: Snop • Società nazionale operatori della prevenzione • via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milano www.snop.it Pratiche obsolete: luci e ombre di un disegno di legge . . . . . . . . . . . . . . . 3 Alberto Baldasseroni Alta definizione Numero 69 dicembre 2006 • anno 21 Direttore responsabile: Claudio Venturelli Direttore: Alberto Baldasseroni Direttore editoriale: Eva Benelli Comitato scientifico di redazione: Alberto Baldasseroni, Roberto Calisti, Emilio Cipriani, Maria Elisa Damiani, Giorgio Di Leone, Annunziata Giangaspero, Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca Pietrantoni, Luigi Salizzato, Domenico Spinazzola, Domenico Taddeo, Claudio Venturelli, Luciano Venturi Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna, Anna Maria Zaccheddu Progetto grafico: Corinna Guercini Copertina e impaginazione: Bruno Antonini Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma tel. 068175644 e-mail: [email protected] Stampa: Tipografia Graffiti srl - Pavona (Roma) Abbonamento annuale per 4 numeri: 26,00 euro c/c postale n. 36886208 intestato a Snop Indicare la causale del versamento e l’indirizzo a cui spedire la rivista Singolo numero: 10,00 euro «Idrofobia e altre malattie non meno appiccicaticce» . . . . . . . . . . . . . . 5 Adriano Mantovani, Agostino Macrì, Santino Prosperi, Luciano Venturi Uomo e animale, una convivenza possibile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Caterina Ravaglia, Donatella Saporetti Dossier Il pensiero magico e la salute pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Paolo D’Argenio Caro Cesare… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Giovanni Berlinguer Ebp: sulla frontiera della nuova sanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Luigi Salizzato E il certificato, cacciato dalla porta, rientrò dalla finestra . . . . . . . . . . 24 Giorgio Ferigo Medicina del lavoro, un altro mondo è possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Gianpiero Mancini Raccogliere le evidenze: la sintesi realista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Liliana Leone Il buratto grosso Quando anche Bersani era «corporativo» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Giorgio Ferigo Alta definizione Autoriz. Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86 Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA sped. in abbonamento postale 70% DRCB Roma. L’editore Snop, titolare del trattamento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali degli abbonati non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricorda che gli interressati possono far valere i propri diritti ai sensi dell’articolo 7 del suddetto decreto. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, si rende nota l’esistenza di una banca dati personali di uso redazionale presso Zadigroma, via Monte Cristallo 6. Responsabile trattamento dati: Angelo Todone. I dati necessari per l’invio della rivista sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’editore Snop per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lettera C del DPR 26/10/1972 n. 633 e successive modificazioni e integrazioni, nonché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989). Finito di stampare nel mese di gennaio 2007 «Perché proprio a me?» Come si costruiscono scelte condivise. . . . . . . 35 Paolo Lauriola Chiare, fresche e dolci acque? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 Luca Carneglia Vita da Snop Autonomia e responsabilità dell’assistente sanitario . . . . . . . . . . . . . . .42 Maria Elisa Damiani e Gabriella Tritta La parola a… Ambiente e salute: ritorno al futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Marcello Panarese Quando la malattia crea la differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Luigi Sudano Pagine aperte L’inaffondabile diseguaglianza e nasci in Sierra Leone, è difficile che tu possa festeggiare il tuo trentaquattresimo compleanno. Per quella data sarai probabilmente già stato ucciso dal tifo, dalla malaria, dalla dissenteria o dal gesto violento di un altro giovane armato di kalashnikov o di machete. Insomma, la tua aspettativa di vita è di 34 anni. Se nasci in Giappone, hai ottime probabilità di festeggiare il tuo ottantunesimo compleanno e ti resterà ancora qualcosa. Morirai in un ospedale con l’aria condizionata, o in casa circondato da figli e nipoti. Ti porterà via una malattia cardiocircolatoria o un tumore o una emorragia interna di cui neppure ti accorgerai. Negli 81,9 anni di aspettativa di vita, nasceranno, moriranno e nasceranno ancora tre persone in Sierra Leone. Abbiamo scelto questo tra i tantissimi dati messi a disposizione dallo stupendo volume A caro prezzo. Le diseguaglianze nella salute. 2° Rapporto dell’Osservatorio italiano sulla salute globale, edizioni ETS (344 pagine, 20 euro). Sono numeri e circostanze che appartengono a un antico luogo comune, quello della diseguaglianza di fronte alle possibilità della vita e prima di tutto alla salute. Un luogo comune che si basa su una realtà così granitica da non essere stata intaccata né S Manuale di medical humanities A cura di Roberto Bucci Zadigroma (Roma), 2006 pp. 320, 30 euro dalla globalizzazione, né dalla dimensione sempre più massiccia di strutture internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità, né dal moltiplicarsi di organizzazioni non governative composte da medici o comunque dedite a migliorare la condizione di vita dei “malati della Terra”. Il volume, introdotto da un saggio di Giovanni Berlinguer sull’origine sociale delle malattie, raccoglie una serie di interventi che mostrano la complessità e la ricchezza dei temi che indagano le diseguaglianze di fronte alla salute. Andando ad esaminare anche temi poco studiati come la “Patologia della diseguaglianza e ricerca scientifica” (Nicoletta Dentice, una lunga esperienza in Medici senza frontiere), o come “Le diseguaglianze negli stili di vita” (Eva Buiatti e Fabio Voller). Ma, come dice Giovanni Berlinguer nell’introduzione, esistono rischi (l’accentuarsi dei conflitti e delle guerre asimmetriche, per esempio) ma anche opportunità. Basate, queste, «sull’impegno dei governi, sull’attività delle amministrazioni locali, sulle iniziative della società civile, sulle lotte dei lavoratori, su movimenti sociali e culturali animati da valori morali». Quasi un invito a darsi da fare, per ognuno di noi. Romeo Bassoli Come punto di incontro fra medicina e discipline umanistiche, le medical humanities rappresentano uno spazio per il dialogo fra i saperi, per una pratica più completa della medicina. Con il Manuale, anche il lettore italiano può finalmente orientarsi nel panorama internazionale delle medical humanities. Recenti progressi in medicina vol. 97, n. 10-12, ottobre-dicembre 2006 Pensiero Scientifico Editore (Roma) fascicolo 15 euro In occasione del sessantesimo anniversario della rivista, che dal 1946 offre una rassegna mensile della letteratura medico-chirurgica internazionale, l’editore ha realizzato un cofanetto con tre fascicoli speciali monotematici: Il mondo, il medico, la persona; Sanità, ricerca, tecnologia; Medicina domani. Chronic disease: an economic perspective Marc Suhrcke, Rachel Nugent, David Stuckler, Lorenzo Rocco www.oxha.org/initiatives/economics/ chronic-disease-an-economicperspective In questo rapporto, scritto grazie al supporto della Oxford Health Alliance, gli autori dimostrano come le malattie croniche abbiano un forte impatto sull’economia, sia nei Paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo. Diventa quindi non solo strategico, ma anche assolutamente irrinunciabile tenerne conto nella pianificazione degli interventi, sia nazionali che internazionali. 2 pagine aperte • numero 68 69 Editoriale Pratiche obsolete: luci e ombre di un disegno di legge Alberto Baldasseroni e il censimento delle leggi regionali per la semplificazione della burocrazia nella sanità pubblica non inganna, la prima normativa di rilievo a questo proposito risale al 1996, quando si è fatto un timido accenno all’inutilità di alcuni esami complementari alla visita per il rilascio del libretto per alimentarista. La norma era della Regione Lazio e, a scanso di equivoci, ribadiva la necessità di effettuare la visita medica e certificare l’impossibile, cioè l’assenza di malattie infettive in atto. Insomma un “pannicello caldo”, non certo un atto coraggioso e risoluto nella giusta direzione. A distanza di “soli” dieci anni, da qualche mese ci ritroviamo a discutere di un Disegno di legge (Ddl) articolato e complesso, frutto di un lavoro non certo episodico, varato dal governo per orientare meglio le sempre scarse energie economiche e umane del Servizio sanitario nazionale nel campo della prevenzione. In altre parole, per semplificare la vita dei cittadini. Un salto S numero 69 epocale, verrebbe da dire. Se il certificato è inutile Fra le pratiche di cui si propone l’abolizione alcune erano ormai diventate proverbiali per la vessatorietà nei confronti di utenti e operatori. Basti pensare al surreale “certificato di sana e robusta costituzione”, da chiedersi solamente ai sani e robusti, ma già abolito per i non-sani e i non-robusti (legge per i diritti dei portatori di handicap). Ma anche a quello spuntato nel 1992 per certificare l’idoneità di carrozzieri, elettrauto e meccanici in genere, addetti alle revisioni delle automobili da parte di un fantomatico “ufficiale sanitario” abolito quattordici anni prima dalla Legge 833 di riforma sanitaria. Questo Ddl sanerebbe anche l’impresentabile situazione che si è venuta a creare in diverse Regioni, che hanno autonomamente deciso di abolire il cosiddetto Libretto di idoneità sanitaria per gli alimentari- sti (Lisa, pag. 14), introdotto con la Legge 283 del 1962 prima della Riforma sanitaria 833 del 1978 e attualmente rinnegato in metà Italia (ma richiesto nell’altra metà!). Un’altra abolizione proposta, particolarmente apprezzabile, è quella della famigerata “visita per l’avviamento al lavoro degli apprendisti”, caso esemplare di cattiva legiferazione da parte del Parlamento. Chi opera nei Servizi di prevenzione sui luoghi di lavoro si trova infatti nella incresciosa situazione di dover certificare due volte la stessa cosa, ovvero l’idoneità al lavoro di un giovane apprendista minorenne: una volta perché apprendista, l’altra perché minorenne. Ma di queste perle se ne possono trovare diverse scorrendo l’elenco contenuto nel Ddl e, soprattutto, leggendo la relazione del gruppo di lavoro del ministero della Salute. Sviste o mancanze? Tutto bene quindi? Non proprio. Innanzitutto il Ddl non contiene nulla che riguardi la sanità veterinaria, che pure è stata oggetto di alcune proposte in seno al gruppo di lavoro. A conferma di come questo tema sia un tabù, in sede ministeriale è stato addirittura posto un veto sull’argomento. Evidentemente i tempi non sono ancora maturi per tradurre in pratica le linee guida di funzionamento del dipartimento di Prevenzione delle Asl, approvate dalla conferenza delle Regioni nel 2002, anche nel campo della sanità veterinaria. Un secondo punto critico è la mancata abolizione delle visite di idoneità per i minori avviati al lavoro in settori privi di rischi lavorativi. Questa proposta era l’unica dell’elenco basata su prove scientifiche di inutilità, raccolte nel dossier Salem (Sorveglianza apprendisti al lavoro e minori, pag. 21), che ha fatto una valutazione di efficacia del programma di sanità pubblica di sorveglianza di apprendisti e minori avviati al lavoro in settori non a rischio. Aver accettato di escludere que- 3 sta abolizione dalla lista varata dal Consiglio dei ministri è contro il principio basilare della prevenzione basta su prove di efficacia (o evidence based prevention, Ebp), ovvero che siano le prove di efficacia o inefficacia a fornire gli elementi decisivi per una scelta. Non sempre è possibile, ma quando queste prove esistono non si possono ignorare, perché significherebbe vanificare il lavoro della comunità scientifica. C’è anche da notare che il provvedimento è giunto all’attenzione dell’opinione pubblica come iniziativa per la “semplificazione amministrativa”, anche grazie al traino di una ben più notiziabile querelle: quella che riguarda l’uso di sostanze stupefacenti a fini terapeutici e il riordino delle regole per la vendita e la somministrazione. Ancora una volta si è persa l’occasione per trasmettere il messaggio corretto che non si trattava di una semplificazione amministrativa, ma di giustizia sociale, efficacia della sanità pubblica, equità nell’accesso a trattamenti sanitari di garantita utilità. Non vorremmo che passasse l’idea che abolire cose inutili imposte dalla sanità pubblica significa risparmiare risorse e che quindi l’operazione si concludesse con un semplice ridimensionamento quantitativo della prevenzione. Sarebbe una vera e propria beffa. All’insegna dell’Ebp Il provvedimento del governo è ora atteso da un iter parlamentare, non privo di insidie. Preoccupa in particolare che l’intero Ddl possa diventare oggetto di dispute ideologiche legate all’impiego di sostanze stupefacenti a fini terapeutici. In genere, nei regimi democratici, la legislazione arriva a suggello di un’istanza della società civile, espressa in Parlamento dai rappresentanti della maggioranza. Questo è perlomeno il percorso in cui crediamo fermamente. Viene quindi da chiedersi se la nostra “società civile” abbia, in questo caso, veramente espresso questo auspicio. La risposta la avremo nel momento in cui questo Ddl diventerà legge dello Stato. Non possiamo però ignorare che valori come “equità, diritto di accesso a trattamenti efficaci, rispetto per la dignità delle persone, interesse della collettività” caratterizzano tuttora il nostro servizio sanitario, anche se sono quotidianamente minacciati da nuove parole d’ordine, apparentemente affini ma talvolta opposte. Quello delle prestazioni inutili e obsolete è un terreno essenziale per il riorientamento della sanità pubblica. Liberare risorse per dedicare energie a temi finora sottovalutati o solo superficialmente affrontati, ma che valgono assai di più, in termini di carico di malattia e disabilità evitabili per la collettività, è un imperativo ineludibile. Pur senza tacere le preoccupazioni sopra ricordate, non possiamo quindi non dirci soddisfatti del fatto che i temi dell’Ebp siano entrati con forza nell’agenda del governo di questo Paese. Abbonatevi 4 editoriale • numero 68 Alta definizione «Idrofobia e altre malattie non meno appiccicaticce» Adriano Mantovani, Agostino Macrì, Santino Prosperi, Luciano Venturi l fatto che alcune malattie possano colpire simultaneamente persone e animali è noto sin dall’antichità. Le prime segnalazioni di infezioni trasmesse da animali all’uomo riguardano malattie occupazionali: per esempio, Tito Livio narra che nell’anno di Roma 328 una forma di rogna fu trasmessa dal bestiame ai lavoratori agricoli. La prima malattia individuata come trasmissibile dagli animali all’uomo è la rabbia, “la madre di tutte le zoonosi”, la cui trasmissibilità da cane a cane è stata segnalata novecento anni prima della nostra era, e quella da cane a uomo circa cinque secoli più tardi. Si pensa che il cane sia stato domesticato 11-14 mila anni or sono e che il domesticamento degli animali e l’agricoltura abbiano segnato l’ingresso della società umana nella morfologia attuale: circa 12 mila anni, che corrispondono a 500 generazioni umane, 3000 generazioni canine e 150 mila del virus della rabbia. Durante il Medioevo sono I numero 69 state segnalate malattie trasmesse dagli animali all’uomo, soprattutto tramite alimenti. Il fervore religioso portava però più a valorizzare la diversità dell’uomo, plasmato a immagine divina, piuttosto che ad accettare le caratteristiche in comune con gli animali. Il Rinascimento ha portato invece al risorgere della medicina comparata, già in auge nelle civiltà precedenti. L’esistenza di malattie trasmissibili dagli animali all’uomo è nota fin dai tempi più antichi, ma è solo a metà dell’Ottocento che è comparso per la prima volta il termine “zoonosi”. Da allora questa definizione è in continua evoluzione ed è oggetto di un profondo dibattito concettuale ancora in corso. Una discussione che riflette il conflitto tra un’impostazione verticale della sanità pubblica veterinaria, improntata alla ricerca e all’insegnamento, e un’altra orizzontale, allargata ai servizi del territorio impostati sulla collaborazione interprofessionale. come “antropozoonosi” e “zooantroponosi”. Nel 1951 e nel 1954 le definiva come «malattie animali trasmisIl primo a utilizzare il termine zoonosi («infezioni da sibili all’uomo», mentre nel veleni animali contagiosi») 1959 è passata a «malattie e infezioni trasmesse natuè il medico tedesco Rudolf ralmente da (altri) animali Virchow, nel 1855. Nel 1824 Antonio Alessandrini vertebrati all’uomo». Da notare come la parola parla di «idrofobia e altre malattie non meno appicci- “altri” sia messa tra parentesi per rispetto alle culture caticce», mentre Bruno non evoluzioniste. Si è inolGalli Valerio pubblica, nel 1894, un manuale intitolato tre discusso se inserire Zoonosi: malattie trasmissi- nella definizione l’espressione “e viceversa”, per bili dall’animale all’uomo, indicare l’eventualità che pubblicato dalla Hoepli. L’Organizzazione mondiale l’uomo possa a sua volta della sanità (Oms) oggi uti- trasmettere l’infezione acquisita dall’animale. lizza il semplice termine Quando però si è constata“zoonosi”, evitando forme to che l’uomo è un ospite complesse ed esplicative Definizioni d’epoca paratenico per quasi tutte le zoonosi, ovvero che è “a fondo cieco” e quindi incapace di trasmettere a sua volta l’infezione, si è deciso di non inserire la frase nella definizione. L’uomo è infatti l’ospite definitivo solo per Taenia saginata e Taenia solium, mentre le altre zoonosi completano il loro ciclo vitale in assenza dell’uomo. Si può supporre che gli agenti di zoonosi abbiano compiuto, e compiano tuttora, una sorta di errore evolutivo. Infatti non hanno utilizzato e non utilizzano il loro occasionale passaggio nell’uomo per compiere il salto di specie, 5 Tabella 1 - Numero di parassiti condivisi dall’uomo con animali domestici (d); selvatici (sel); sinantropici (sin) 6 zoonosi che colpiscono ruminanti domestici (bovini, caprini, ovini), sei generazioni di cani, cinque miliardi di generazioni di batteri e innumerevoli bovini (d) 50 generazioni di virus. cani (d, sin, sel) 66 zoonosi con gravi conse- Considerando l’impatto equini (d) 35 sociale, si possono distinguenze per l’uomo, ma di ovi-caprini (d) 46 guere zoonosi dei poveri e scarsa importanza per gli dei ricchi. Un ruolo primaanimali (per esempio febroditori (d, sin, sel) 32 rio è quello dei piani di bre Q, trichinellosi). suini (d) 42 profilassi: nel dopoguerra uccelli (d, sin, sel) 26 L’esperienza italiana porta sono state eliminate dal inoltre a inserire nel secon- territorio italiano la rabbia (urbana e silvestre), la do gruppo anche la leishmorva, la trichinellosi, l’enmeccanismo occorso, a suo dentificazione delle zoonosi maniosi. La prevalenza delle zoonosi cefalopatia spongiforme tempo, per la peste classica e del loro ruolo, nonché al cambia di continuo, in con- bovina (Bse), mentre sono e che oggi si teme avvenga loro controllo. state fortemente ridotte la Finora ne sono state iden- seguenza dell’evoluzione per il virus dell’influenza del parassita, della mutata brucellosi e la tubercolosi tificate circa duecento, di aviaria. recettività umana (è il caso bovina. Il controllo di queIn questa visione, gli agen- origine virale, batterica, per esempio delle coinfezio- ste zoonosi si è rivelato un ti di alcune zoonosi (brucel- fungina, protozoaria, problema di natura politini degli immunocomproelmintica e da artropodi. losi, carbonchio, febbre Q, messi) e animale, delle dif- ca, condizionato da legislaNotevole è il numero di morva, tularemia e altre) sono stati considerati adat- parassiti condivisi dall’uo- ferenti abitudini alimentari zione, ricerca e risorse. Infine, i recenti casi della mo con varie specie anima- e di vita, delle tecniche di ti per la guerra batterioloBse e dell’influenza aviaria allevamento e dell’induli (vedi tabella 1). gica, in quanto si limitano hanno evidenziato l’impatNel 1975 l’Oms ha suddivi- stria alimentare, dei rapa colpire la popolazione to dei mass media nel porti tra uomo, animali e bersaglio e non si trasmet- so le zoonosi in base alla determinare l’importanza ambiente, nonché delle loro rilevanza in: tono a catena. migliorate capacità diagno- di una zoonosi. zoonosi con gravi riper- stiche (ma attenzione alle zoonosi “dimenticate” che cussioni sulle produzioni Lo sviluppo delle animali, ma scarsa rilevan- poi riemergono!). Nel corso Il campo si allarga conoscenze za per l’uomo (per esempio, di una generazione umana afta epizootica, malattia di (25 anni) possiamo avere Gran parte del ventesimo Poco dopo il 1950, all’intercirca cinque generazioni di no sia dell’Oms sia di vari secolo è stata dedicata all’i- Newcastle) Paesi ha cominciato a svilupparsi la sanità pubblica Tabella 2 - Principali infezioni zoonotiche presenti nella Regione mediterranea, veterinaria, con il compito definita “la culla delle zoonosi”. Da qui il fatto che l’Oms di individuare le singole ha costituito il Centro mediterraneo delle zoonosi, con sede ad Atene zoonosi, in termini di eziologia, epidemiologia, importanza socioeconomibatteriosi: brucellosi, carbonchio, leptospirosi, listeriosi, morva, salmonellosi, ca, misure di controllo, tubercolosi zoonotica, tularemia piani di profilassi. micosi: criptococcosi, dermatomicosi L’attenzione non è più limiclamidiosi e ricketziosi: febbre bottonosa, febbre Q, ornitosi, tifo murino tata soltanto agli animali virosi : Bse, ectima contagioso, febbre del Nilo occidentale, domestici, ma si estende febbre della Valle del Rift, rabbia anche a quelli selvatici e protozoosi: criptosporidiosi, leishmaniosi cutanea, leishmaniosi viscerale, sinantropici. toxoplasmosi Oggi l’attività prioritaria e più dinamica della sanità elmintosi: cenurosi, dirofilariosi, echinococcosi cistica, echinococcosi pubblica veterinaria è multioculare, fasciolosi, Larva migrans, teniosi/cisticercosi (Taenia determinare il ruolo delle saginata, T. solium), trichinellosi zoonosi nella politica aligravemente sia l’uomo sia gli animali (per esempio brucellosi, salmonellosi, tubercolosi zoonotica) alta definizione • numero 69 Alta definizione SANITÀ PUBBLICA, UNA VISIONE INTEGRATA Il continuo processo di revisione delle conoscenze scientifiche, che nel caso della sanità pubblica induce cambiamenti nelle politiche per la promozione della salute, trova in questo articolo la conferma che la prevenzione è una disciplina attiva. Una disciplina che cerca di interpretare il proprio ruolo mantenendo viva l’attenzione anche verso l’evoluzione dei criteri storicamente adottati per descrivere i contenuti scientifici delle materie di competenza. Impostare una riflessione per giungere a far includere tra le fonti di zoonosi tutti i fattori nocivi legati agli animali e ai loro prodotti, nonché inserire fra questi anche gli invertebrati eduli e tossici, è un segno evidente della capacità di adeguare continuamente i contenuti e la sistematizzazione delle proprie conoscenze tecniche e scientifiche all’evoluzione delle condizioni di vita. E quindi, in un mondo globalizzato ai nuovi rischi per la salute delle comunità locali. Pedro Acha, Jean Blancou, Calvin Schwabe, James Steele sono soltanto alcuni dei nomi di coloro che hanno fatto la storia e la prassi delle malattie trasmissibili dagli animali all’uomo. A questi va indubbiamente aggiunto quello di Adriano Mantovani, che insieme ad alcuni collaboratori propone un interessante contributo ai lettori della rivista. La voce “zoonosi-antropozoonosi” dell’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “Giovanni Treccani”, nell’aggiornamento del 1995, riporta una definizione originale proprio di Adriano Mantovani, uno dei padri della riforma sanitaria, pioniere e maestro della sanità pubblica veterinaria, di cui va anche ricordato con riconoscenza l’imponente lavoro tuttora portato avanti nelle sedi tecnico-scientifiche delle maggiori organizzazioni sovranazionali. Si auspica che, sollecitati da questo articolo, possano giungere considerazioni, spunti critici ed elaborazioni sul tema da parte dei professionisti impegnati sul campo e interessati all’argomento. Potrebbero così contribuire ad ampliare gli spazi di interesse su cui la rivista ha fondato storicamente la propria autorevolezza e diffusione, in una visione sempre più interdisciplinare e integrata della sanità pubblica. delle zoonosi, e delle malattie animali in genere, sull’economia, sul commercio nazionale e internazionale e sulla società civile risponde a logiche di tipo olistico e comprende sia gli agenti biologici (già pre- mentare e nel commercio in genere. Partita come “ispezione degli alimenti”, questa disciplina è divenuta infatti “igiene degli alimenti” e infine “sicurezza alimentare”. Il concetto di base che domina la sicurezza alimentare per quanto riguarda i prodotti di origine animale è quello “dall’allevamento alla tavola” e va quindi al di là della prevenzione dei soli agenti trasmissibili: questo implica che gli animali siano indenni da malattie trasmissibili, nutriti con prodotti che non diano residui, allevati in ambienti idonei, trasformati e conservati igienicamente. Altri compiti della sanità pubblica veterinaria sono: determinare l’influenza numero 69 Le prime definizioni e la tradizione danno per acquisito che le zoonosi siano infezioni dovute ad agenti biologici trasmissibili. L’evoluzione della sanità pubblica ha però dimostrafinalizzare il benessere animale alla gestione delle to che questa interpretaziopopolazioni animali e come ne è troppo ristretta e comprende solo una parte dei strumento di controllo delle zoonosi e delle malat- problemi per l’uomo che possono derivare dagli anitie animali mali, quella dovuta ad promuovere la collabora- agenti biologici trasmissizione interprofessionale tra bili (vedi tabella 2). le categorie interessate, cer- Queste considerazioni cando di superare problemi hanno portato nel 2001 alla proposta di definire le zooculturali e corporativi nosi come «danno alla salute e/o qualità della vita trasferire anche in altri umana derivante da rapPaesi l’approccio italiano, porti con (altri) animali». che include nella sanità pubblica veterinaria tutti i Questa definizione, a cui problemi di rilevanza sani- hanno contribuito diversi taria, sociale ed economica autori e che è stata oggetto di dibattito e variazioni, derivanti dagli animali. Luigi Salizzato gli autori Adriano Mantovani, Agostino Macrì, Elisabetta Lasagna, Ivana Purificato, Centro di Collaborazione Oms/Fao per la Sanità pubblica veterinaria Santino Prosperi, Luciano Venturi, Università di Bologna, dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e patologia animale Luigi Salizzato, Ausl di Cesena, dipartimento di Sanità pubblica 7 Oms e sanità pubblica veterinaria: vent’anni spesi bene el 1984 l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Istituto superiore di sanità fondano il Centro di collaborazione Oms per la Ricerca e la formazione in sanità pubblica veterinaria, con finanziamenti del ministero degli Esteri italiano. Sei anni dopo, grazie al coinvolgimento dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, prende il nome di Centro di collaborazione Oms/Fao e, a partire dal 2002, entra a far parte del dipartimento della Salute animale e di sicurezza alimentare. Le funzioni e le attività del Centro sono molte e diversificate: N ricerca su zoonosi e malattie legate agli alimenti di origine animale monitoraggio degli animali presenti in zone urbane e rurali interventi veterinari in casi di emergenza non epidemica e organizzazione di tutti gli aspetti della sanità pubblica veterinaria legati a programmi dell’Oms e della Fao organizzazione di congressi, corsi di formazione e di aggiornamento del personale Oms e Fao sviluppo e applicazione di metodi diagnostici 8 standard, raccolta e distribuzione di reagenti di riferimento laboratorio di riferimento per il Programma mediterraneo di controllo delle zoonosi informazione e consulenza in materia di sanità veterinaria. Tra le istituzioni con cui il Centro ha collaborato c’è la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (ministero degli Esteri italiano), il dipartimento per la Sorveglianza e la risposta alle malattie infettive (Oms), l’Iss, l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”. Più nel dettaglio, il Centro di collaborazione Oms/Fao ha condotto ricerche su echinococcosi cistica, zoonosi in persone immunocompromesse, igiene urbana veterinaria, collaborazione interprofessionale e sorveglianza dei rischi occupazionali. Si è inoltre occupato di progetti internazionali: nello Zambia ha sostenuto importanti iniziative sulla gestione dei pozzi idrici per controllare la theileriosi maligna, nel Salvador si è occupato della formazione sulle implicazioni dei prodotti caseari, di origine animale e ittica per la salute pubblica. Nei Territori palestinesi il personale del Centro di collaborazione Oms/Fao ha pianificato programmi di monitoraggio per la brucellosi, in collaborazione con le istituzioni mediche e agricole. Nel campo della comunicazione e divulgazione, il Centro ha pubblicato, a partire dal 1987, una serie di rapporti sui diversi aspetti della sanità pubblica veterinaria in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo e con altre istituzioni. Dei manuali, pubblicati in inglese, francese, italiano e spagnolo, sono state fatte anche delle sintesi in arabo e russo. Questi primi venti anni di pubblicazioni del Centro di collaborazione Oms/Fao descrivono un periodo di intensa attività ad alti livelli di qualità. Un’attività fortemente apprezzata e utilizzata sia da parte di organizzazioni come l’Oms, la Fao e il Centro mediterraneo di controllo zoonosi, sia da operatori di sanità pubblica di molte parti del mondo. Di particolare importanza è stato il Congresso internazionale di Igiene urbana veterinaria, organizzato nel 1999, e la partecipazione a congressi mondiali di storia della medicina. Elisabetta Lasagna Ivana Purificato senti nelle definizioni originali di zoonosi), sia quelli di tipo chimico e fisico (vedi tabella 3). La ricerca di denominazioni più esplicative e soddisfacenti è sinora rimasta infruttuosa: gli operatori devono quindi essere preparati ad affrontare i problemi secondo questo concetto allargato. A titolo di esempio si può citare la pratica dell’igiene urbana veterinaria, che richiede competenze sulle malattie trasmissibili, la gestione di popolazioni animali domestici o sinantropici, l’igiene ambientale e la sicurezza alimentare, ed esige un’impostazione epidemiologica allargata. Dalla tradizione al futuro La definizione proposta, di tipo orizzontale (trasversale), si addice alla impostazione di lavoro dei servizi di sanità pubblica, basati sull’epidemiologia, che affrontano i problemi nel loro complesso tenendo conto di tutte le possibilità e di tutte le varianti. Viene inoltre rafforzata dalla tendenza dell’Oms a impiegare l’accezione “epidemie del futuro” per definire patologie di massa emergenti dovute ad agenti non biologici. Si accorda invece scarsamente con l’impostazione accademica di tipo verticale, che privilegia l’attività specialistica incentrata sulle scienze di base. Ancor meno si accorda, infine, con le tendenze attuali della politica della ricerca che punta sulla iperspecializzazione. La proposta di allargamento del termine zoonosi ad alta definizione • numero 69 Alta definizione Tabella 3 - Cause non infettive di danno alla salute umana dovute ad animali allergeni acari e miceti da “animalizzazione” dell’ambiente da animali (peli, piume) in alimenti di origine animale avvelenamenti contatto con animali irritanti morsi di serpente punture di artropodi inquinamento da animali sporcizia rumore sovraffollamento da “animalizzazione” dell’ambiente da prodotti chimici usati per gli animali in relazione ad alimenti di origine animale allergeni antibiotici diossine ormoni sostanze chimiche tossine traumi beccate calci graffi morsicature agenti non biologici è solo un indicatore di un problema più importante. È certo auspicabile che vengano concordati un termine onnicomprensivo, che abbracci tutti i problemi che derivano all’uomo dagli animali, che comprenda anche i problemi non biologici di natura chimica e fisica e uno distinto per quelli biologici. L’importante è considerare l’insieme dei problemi derivanti all’uomo dagli animali come un unicum, stabilendo le priorità per i servizi sanitari, l’insegnamento e la ricerca. L’impostazione tradizionale provoca anche difficoltà e imbarazzo per coloro che organizzano corsi di formazione per gli operatori delle Asl: mentre fino a pochi anni fa questi corsi venivano tenuti quasi esclusivamente da docenti universitari, attualmente si tende a impiegare soprattutto addetti ai lavori. Questo da un lato testimonia una maggiore maturità di una parte importante degli operatori, dall’altro mostra la difficoltà di diversi docenti ad affrontare e trasmettere i problemi del territorio. Siamo di fronte a un cambiamento culturale e pratico, caratterizzato da un conflitto tra un’impostazione verticale (specialistica) di ricerca e insegnamento e un’altra orizzontale (allargata) dei servizi del territorio. La discussione sul concetto di zoonosi ne è una diretta conseguenza e una conferma. La questione è stata affrontata positivamente dai servizi sanitari italiani, impostati sulla collaborazione interprofessionale e su una concezione olistica che comprende rapporti tra sanità e benessere animale e qualità della vita umana. 9 numero 69 Alta definizione Uomo e animale, una convivenza possibile? Caterina Ravaglia, Donatella Saporetti Con l’esplosione dell’urbanizzazione sono sempre di più gli animali presenti in città, sia quelli da compagnia sia quelli che hanno trovato nuovi habitat e che condividono lo stesso ambiente dell’uomo senza però appartenervi. Questa stretta convivenza è sempre più difficile e ha presentato alle istituzioni una realtà nuova, caratterizzata da paure, passioni e morbosità. È solo integrando competenze diverse che si potranno trovare strategie adeguate e migliorare la fruibilità dell’ambiente urbano, in una rapporto di totale benessere tra uomo, animali e ambiente. ei secoli, il rapporto tra uomo e animali ha attraversato una prima fase di pura predazione, seguita poi da quella di addomesticamento e sfruttamento a fini alimentari. Negli ultimi trent’anni, però, molteplici fattori sociali e culturali hanno modificato ulteriormente questo rapporto, spesso caratterizzato da intensi rapporti affettivi e di compagnia, ma anche di semplice godimento estetico, fino a condizioni di vera e propria promiscuità. L’uomo ha costruito le città ed è stato accompagnato da alcune specie animali, mentre altre vi si sono N 10 insediate indipendentemente dalla sua volontà, spesso senza controllo. Con l’esplosione dell’urbanizzazione sono aumentati il numero e la varietà di animali da compagnia nelle città e si sono modificati gli equilibri dei sistemi ecologici. Nuovi habitat e nicchie trofiche sono stati forniti a tutta una serie di animali sinantropici (che condividono cioè lo stesso ambiente dell’uomo senza tuttavia appartenervi, sfruttandone le risorse ambientali e alimentari), a volte considerati simpatici o indifferenti ma, molto più spesso, antipatici o addirittura odiati. La stretta convivenza tra uomo e animale presenta sempre più aspetti critici e ha messo le istituzioni pubbliche di fronte a diversi problemi e a una realtà finora sconosciuta, caratterizzata da paure, fobie, passioni e morbosità: esigenze, in definitiva, opposte per ogni singolo cittadino. Compare la Iuv La nascita dell’igiene urbana veterinaria (Iuv), intesa come «complesso di attività sanitarie associate ai rapporti uomo-animaleambiente in ambito urbano», risale al 1977, quando queste problematiche sono state affrontate per la prima volta durante un incontro a Roma tra alcuni esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La Iuv ha trovato così le condizioni per affermarsi nell’eradicazione della rabbia dal nostro Paese (1973), consentendo di superare la contrapposizione tra uomo e animale. Attualmente, la possibile diffusione della leishmaniosi e una gestione inappro- priata della comunicazione del rischio associato potrebbero riproporre situazioni di convivenza “non amichevole”. In quegli anni iniziarono a essere richieste ai servizi veterinari una serie di competenze, che non riguardavano più solamente le produzioni animali, ma anche i problemi strettamente conseguenti alla coesistenza dell’uomo e degli animali nell’ambiente urbano. La “socio-sanità pubblica” si è arricchita di nuove competenze, ma anche di conflittualità, per il suo doppio ruolo di responsabile della salute e del benessere del singolo animale come clinico e di garante della salute pubblica nella prevenzione dalle malattie infettive. Il passaggio da attività rurali a urbane è stata un’inversione di tendenza per i servizi veterinari pubblici, mentre per Regioni, Province, Comuni e forze dell’ordine è stato l’ingresso in una realtà nuova, in continua evoluzione ed espansione. Una realtà in cui in particolare Comuni e Aziende sanitarie locali (Asl) ricoprono il ruolo di alta definizione • numero 69 Alta definizione protagonisti. Nei Paesi fortemente industrializzati, l’evoluzione del modello di convivenza tra uomo e animale ha portato allo sviluppo di una maggiore sensibilità nell’opinione pubblica, dovuta anche a migliori conoscenze etologiche e a una più ampia diffusione della filosofia animalista, che riconosce loro un insieme di diritti in quanto esseri viventi. Dalla fine degli anni Ottanta sono state emanate norme, in particolare la Legge 281 del 1991, che regolano il rapporto tra uomo e animali. Tra queste, molte sono state espressamente concepite per tutelare gli animali e il loro benessere, sancendo così il riconoscimento giuridico e filosofico dell’animale come soggetto di diritto. Le amministrazioni comunali si sono trovate ad affrontare una materia inedita e lontana dai consueti confini applicativi, come quelli dell’edilizia, dell’urbanistica, dell’ambiente, dei servizi sociali, delle attività culturali, ecc. La loro difficoltà, la stessa per i servizi veterinari, è gestire un ampio ventaglio di competenze, apparentemente in conflitto tra loro. Contemporaneamente vanno tutelati sia il benessere degli animali, nel rispetto del cittadino animalista, sia le persone che non desiderano contatti con gli animali (a volte francamente zoofobici), ma anche l’intera comunità dal punto di vista sanitario, attraverso la prevenzione e il controllo di malattie infettive. Ricerche eseguite in undici numero 69 Da Scienza e Vita, n. 112, maggio 1958; pag. 38. Paesi europei hanno rilevato che, mediamente, è presente quasi un animale da compagnia per ciascuno dei suoi 275 milioni di abitanti (70 animali per 100 persone) e che circa il 46% delle famiglie possiede un animale, tra cui cani, gatti, uccelli, cavie, topolini, criceti, conigli, tartarughe, rettili e altri. Amore e odio Un’indagine condotta dall’Istituto di ricerca Swg nel 2001 ha messo in luce come i cani in particolare siano fonte di fastidio per il 32% delle persone intervistate, contro un 66% che li difende e un 2% che ne è indifferente. Non è facile raggiungere un’armoniosa integrazione degli animali in città: molti Comuni, spinti dalla necessità di fornire risposte adeguate e far rispettare le innumerevoli norme in materia, hanno istituito gli Uffici per i diritti degli animali. Questi si propongono come centri di riferimento, custodi della completa visione di tutti gli aspetti di natura 11 le autrici Caterina Ravaglia, Comune di Ravenna, ufficio per i Diritti degli animali Donatella Saporetti, Ausl di Ravenna, dipartimento di Sanità pubblica zione verso i felini randagi, e monitoraggio delle colonie feline accettazione delle richieste di sterilizzazione chirurgica dei gatti provenienti dalle colonie feline, in collaborazione con i servizi veterinari delle Asl promozione di campasociale che emergono nei riguardi degli animali. L’obiettivo dichiarato è coordinare le iniziative per la tutela degli animali, in collaborazione con gli altri enti pubblici coinvolti, e fornire risposte ai cittadini. Nell’ambito dei principi fissati dalle leggi e in collaborazione con i dipartimenti di Sanità pubblica delle Asl, svolgono molteplici attività e servizi, tra cui: gne di adozione a favore dei cani e dei gatti senza padrone raccolta delle informazioni sulla normativa vigente ricerca e successiva trasmissione alle autorità competenti delle denunce per maltrattamenti di animali gestione delle rinunce di censimento delle specie proprietà dei cani e redazione di liste d’attesa in base alle priorità animali presenti nel territorio, con particolare atten- collaborazione con le Ogni ufficio svolge anche attività specifiche, che rispondono alle peculiarità di ogni territorio, ma il filo conduttore resta comunque elaborazione e promoil recupero dell’equilibrio zione di strategie e pronella relazione tra uomo, grammi per sensibilizzare animali e ambiente. la popolazione contro il randagismo, l’abbandono e Compito dei Comuni e dei il maltrattamento degli ani- servizi veterinari è mantenere un approccio organico mali e multidisciplinare, facenmonitoraggio delle mor- do confluire le singole competenze in una perfetta sicature e dei cani con sinergia operativa, alla “aggressività non controllata”, in collaborazione con conquista di una nuova cultura di coesistenza. i servizi veterinari Gli enti pubblici si dovranno impegnare sempre più promozione dell’educain campagne di educazione zione dei cittadini e informazione. Soltanto grazie al contributo coordierogazione di informanato di diverse professionazioni sulla corretta gestiolità si potranno individuare ne dei piccioni in città strategie adeguate per programmare gli interventi e collaborazione nella per una migliore fruibilità gestione delle strutture di dell’ambiente urbano, in ricovero per cani e gatti una rapporto di totale gestione delle aree verdi benessere tra uomo, animali e ambiente. riservate ai cani. associazioni animaliste e coordinamento delle loro attività 12 alta definizione • numero 69 IL PENSIERO MAGICO E LA SALUTE PUBBLICA Abbandonare il pensiero magico e rifarsi solamente a quanto scientificamente dimostrato: un principio che vale non soltanto per la medicina, ma anche per la prevenzione. Molte delle misure preventive previste dall’attuale normativa italiana sono ormai superate, perché rispetto a quando sono state introdotte le conoscenze si sono evolute e alcuni problemi che volevano combattere non ci sono più. Ma se la società e la salute cambiano, anche la legge deve adeguarsi. Da qui la nascita del movimento dell’evidence based prevention, per una prevenzione sempre più utile alla sanità e sempre meno schiava dell’abitudine. Punto di partenza (e non di arrivo, speriamo) il disegno di legge recentemente approvato dal governo italiano per la semplificazione di una serie di pratiche ritenute ormai obsolete alla luce delle evidenze scientifiche. Dossier Paolo D’Argenio T utti noi desideriamo cure e interventi preventivi che funzionino bene contro le malattie. Tuttavia, per quanto possa apparire bizzarro, la nozione di efficacia delle cure e degli interventi preventivi si è diffusa solo recentemente ed è difficile da concettualizzare e da comunicare. In altre parole, professionisti, decisori e l’intera popolazione fanno fatica ad astrarsi dall’esperienza personale e dal buon senso, per avvicinarsi all’idea che è necessario disporre di prove scientifiche che mostrino se i trattamenti funzionano. Molti hanno numero 69 osservato che nel nostro Paese c’è una carenza di cultura scientifica a tutti i livelli della società, il che rappresenta un grosso ostacolo per lo sviluppo di una moderna sanità pubblica. Per esempio, il pensiero magico tende a esagerare il valore del certificato medico che può essere preso in considerazione come una misura per affrontare problemi di salute. Ancora recentemente l’opinione pubblica ha mostrato preoccupazione perchè le modelle filiformi potrebbero rappresentare un pessimo esempio per le adolescenti e la salute delle stesse inceneritori 13 l’autore Paolo D’Argenio ministero della Salute, direzione della Prevenzione modelle potrebbe essere a rischio. Ebbene, uno dei rimedi individuati è stato: per fare la modella, ci vuole il certificato medico. È molto triste osservare la pervasività del pensiero magico. Per coloro che devono prendere decisioni, sotto la pressione di varie forze (i media, l’industria, la finanza, i sindacati), il fascino del pensiero magico può essere legato al fatto che, per alleggerire la pressione, bisogna decidere in fretta con misure comprensibili ai più. E quello che è facilmente comprensibile è quanto basato sul senso comune. Ma anche il nostro buon senso è spesso inquinato dal pensiero magico. Come situazione tipo immaginiamo un gruppo di studenti ecologisti che vi invita a illustrare i danni per la salute provocati dall’inquinamento atmosferico. Voi vi affannate a spiegare che il più grave inquinante indoor è il fumo di sigarette e gli studenti, che intanto hanno affumicato tutta la stanza fumando a più non posso, vi guardano come un millantatore: state davvero dicendo che il fumo di sigarette è più grave dello smog? State addirittura dicendo che non ci sono prove sui danni del cosiddetto smog elettromagnetico? Siete costretti a dire qualche parola di congedo, prima di guadagnare rapidamente la porta, sotto sguardi di commiserazione degli ecologisti che non riescono a credere alle loro orecchie. E in effetti non ci credono. Prendiamola da lontano A partire dagli anni Novanta, la comunità scientifica internazionale si è impegnata nel ridefinire le basi teoriche delle pratiche sanitarie ed è giunta all’elaborazione di linee guida e raccomandazioni per la buona pratica clinica: la cosiddetta evidence based medicine (Ebm). Anche la prevenzione non fa eccezione: l’efficacia delle misure di prevenzione, sia quelle che consistono in modifiche del sistema regolatorio, sia quelle rivolte alla comunità, sia infine quelle che si rivolgono ai singoli individui, deve essere valutata sulla base di prove empiriche. In Italia, all’interno dei servizi di prevenzione, nasce quindi un movimento di opinione, quello dell’evidence based prevention (Ebp), con l’obiettivo di migliorare la pratica della prevenzione e renderla sempre più utile per la salute pubblica. Propulsori dell’iniziativa sono l’Agenzia regionale sanitaria della Toscana, la Snop e alcuni dipartimenti, come quelli di Verona e Cesena. Oggi la legislazione italiana contiene numerose norme che impongono misure preventive che non sono più ritenute valide dalla comunità scientifica rispetto all’epoca in cui la misura è stata introdotta, oppure norme relative a problemi di salute pubblica che ormai non esistono più. Queste pratiche sono spesso percepite dai cittadini come un inutile aggravio burocratico, mentre per il servizio sanitario rappresentano uno spreco di risorse e portano a perdita di credibilità. Su queste misure, nel 2001 Giorgio Ferigo dà alle stampe il suo Il certificato come sevizia – L’igiene pubblica tra irrazionalità e irrilevanza, un libro radicale e irriverente che mette in discussione il buon senso come generatore di mostri. L’iniziativa Ebp non intende essere solo un movimento di opinione, ma agire anche come un gruppo di pressione per adeguare la normativa alle conoscenze scientifiche disponibili. L’attività è frizzante fin dall’inizio: si crea una mailing list per mettere in contatto gli operatori della prevenzione, si organizzano tre convegni nazionali, corsi di formazione, incontri, seminari e workshop periodici. Tra questi, di grande importanza i due convegni, organizzati in Veneto dal Dipartimento di Verona e da quello Lisa? Non fa per noi 14 Nell’ambito di un pacchetto di misure, definibile come “Programma di sanità pubblica”, sulla salubrità e sicurezza alimentare, viene previsto anche il rilascio o il rinnovo del Libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi (Lisa). L’obbligo del Lisa è stato recentemente messo in discussione da diverse norme regionali e in particolare dalla Legge regionale della Toscana 24 del 12 maggio 2003 “Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare”. Questa norma è stata impugnata da parte del Governo nazionale di fronte alla Corte costituzionale, ma in suo favore, e quindi per l’abolizione del Lisa, è stato realizzato uno studio da parte della Asl 10 di Firenze. Il documento, dal titolo “Valutazione dell’efficacia dell’intervento libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi (Lisa) all’interno dei programmi di salute pubblica per la salubrità e la sicurezza degli alimenti”, è stato pubblicato da Alberto Baldasseroni, Sarah Bernhardt e Antonella Ciani Passeri, con il contributo di Emanuela Balocchini e Claudia Dellisanti. dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili di Conegliano, cui partecipa attivamente anche la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Siti). Si cominciano a fare studi collaborativi, pochi purtroppo, per valutare efficacia e costi degli interventi di prevenzione previsti dalla legge, mettendo a disposizione i risultati. Incidere sulle decisioni Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 18 ottobre 2001, la tutela della salute è prevista come materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L’iniziativa Ebp concentra i suoi sforzi principalmente sull’abolizione dell’obbligo del Libretto di idoneità sanitaria per gli alimentaristi (Lisa, vedi il box in questa pagina). Nel giugno del 2002, gli operatori della Snop inviano una lettera al ministero della Salute, sottolineando come il libretto sanitario non sia sostenuto da alcuna prova di efficacia e sia quindi una “pratica di vergognosa e dispendiosa inutilità”. Nel 2003 alcune Regioni approvano l’abrogazione del libretto. Il ministero ricorre allora alla Corte Costituzionale contro i provvedimenti regionali, aprendo un conflitto sulla competenza a legiferare nel campo. Con la pubblicazione, nel mese di novembre, dello studio “Valutazione dell’efficacia dell’intervento libretto di idoneità sanitaria per alimentaristi all’interno dei programmi di salute pubblica per la salubrità e la sicurezza degli alimenti”, coordinato dalla Asl 10 di Firenze, vengono presentate le basi scientifiche a sostegno dell’abolizione del libretto di idoneità. All’inizio del 2004 anche altre Regioni si muovono nella direzione dell’abolizione del libretto, emanando decreti e promuovendo corsi di aggiornamento del personale addetto al settore alimentare. Una cassa di risonanza Nell’ottobre del 2004, quando il ministro della Salute è Girolamo Sirchia e il direttore generale della prevenzione Donato Greco, viene istituito, con il Decreto del ministro della Salute del 13 ottobre 2004, un gruppo di lavoro con i seguenti compiti: redigere un elenco delle autorizzazioni, idoneità e certificazioni sanitarie previste dalla normativa vigente nazionale e regionale valutare le prove di efficacia ai fini della salute della popolazione esistenti per queste procedure, classificandole in tre categorie: certamente utili, certamente inutili, di utilità incerta proporre modifiche dell’attuale quadro normativo di riferimento, in particolare riguardo alle eventuali pratiche inutili. Molte di queste pratiche hanno finalità di tutela e interessano anche altri settori, oltre a quello sanitario, per cui, al momento della nomina della commissione il ministero della Salute valuta l’opportunità di coinvolgere altri ministeri, come per esempio quelli del Lavoro e della Pubblica istruzione. Si opta invece per un gruppo di lavoro agile, interno al sistema sanitario, e quindi composto prevalentemente da “chi fa i certificati, le autorizzazioni, ecc” piuttosto che da funzionari dei diversi ministeri interessati. Una scelta dettata essenzialmente dai tempi stretti che il ministro intende dare al gruppo di lavoro, per cui si preferisce l’omogeneità piuttosto che la rappresentazione di interessi e punti di vista differenti. Fin dall’inizio emerge con chiarezza la profonda differenza di approccio tra chi opera a livello centrale e chi lavora nelle realtà locali: chi applica direttamente le misure all’interno di una Asl si interroga su significato e utilità del proprio lavoro e la quantità di risorse, umane ed economiche, impegnate. Chi invece, a livello nazionale, lavora sui principi, non ha una piena percezione di come le norme siano effettivamente applicate nella realtà. L’approccio adottato dalla com- segue a pag. 17 Il documento è il risultato di un lavoro volto a sostenere su basi scientifiche l’emanazione dell’abolizione sostenuta dalle prove di efficacia, e riguarda esclusivamente la componente relativa al Lisa, e non l’intero Programma di sanità pubblica sulla salubrità e sicurezza degli alimenti. Per affrontare la valutazione di un’azione di sanità pubblica, gli autori hanno affrontato il problema con la metodologia classica della Ebp: analisi logica dei fattori determinanti del programma, ricerche sistematiche di numero 69 letteratura scientifica, con la raccolta di elementi di documentazione originale da survey svolte anche in campo europeo, raccolte di dati a livello di Aziende sanitarie italiane, analisi dei soggetti interessati. La conclusione a cui sono arrivati gli autori è l’inconsistenza fra intervento attuato e outcome di salute: di conseguenza ritengono sostenibile da un punto di vista scientifico ed epidemiologico l’abolizione del Lisa. Resta ovviamente da valutare l’efficacia delle altre fasi in cui è possibile articolare il Programma di sanità pubblica. In 15 Tabella - Elenco completo delle procedure di cui è stata proposta la semplificazione nella relazione tecnica prodotta dal gruppo di lavoro nominato dal ministro della Salute 1. Certificato di sana e robusta costituzione 2. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego 3. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di insegnanti e altro personale di servizio nelle scuole 4. Certificato di idoneità fisica al servizio civile volontario 5. Certificato per vendita dei generi di monopolio 6. Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di apprendisti non a rischio 7. Certificato per abilitazione alla conduzione di generatori di vapore (caldaie) 8. Certificato sanitario per l’impiego dei gas tossici 9. Certificato per l’esonero dalle lezioni di educazione fisica 10. Scheda sanitaria per colonie e centri estivi 11. Certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche 12. Certificato di idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionale 13. Libretto di idoneità sanitaria per i parrucchieri 14. Certificato di idoneità all’esercizio dell’attività di autoriparazione 15. Certificato di idoneità a svolgere la mansione di fochino 16. Certificato di idoneità alla conduzione di impianti di risalita 17. Certificato per maestro di sci 18. Certificato di idoneità fisica a fare il giudice onorario e il giudice di pace 19. Certificato di idoneità per i lavoratori extra-comunitari dello spettacolo 20. Certificato per ottenere sovvenzioni contro cessione del quinto della retribuzione 21. Medicina scolastica: obbligo della presenza del medico scolastico 22. Medicina scolastica: obbligo della tenuta di registri di medicina scolastica 23. Medicina scolastica: obbligo della presentazione di certificato medico oltre i cinque giorni di assenza 24. Medicina scolastica: obbligo di periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici 25. Partecipazione delle Asl alla Commissione Comunale “Parrucchieri, barbieri ed estetisti” 26. Abolizione dell’obbligo dell’Rx torace per silicosi e asbestosi 27. Ambito veterinario: isolamento di animali per il controllo dell’infezione rabbica 28. Ambito veterinario: sospensione, in via temporanea e sperimentale, della visita veterinaria prima del carico, con relativa attestazione sanitaria, dei suini domestici, da allevamento e da macello, da trasportare fuori comune 29. Accertamenti medici per i lavoratori a rischio di silicosi e asbestosi 30. Polizia mortuaria: trattamenti antiputrefattivi 31. Polizia mortuaria: certificazione dello stato delle condizioni igieniche dei carri funebri e dell’autorimessa per i carri funebri 32. Polizia mortuaria: certificato di trasporto da Comune a Comune 33. Polizia mortuaria: assistenza alle operazioni di esumazione ed estumulazione 34. Polizia mortuaria: rilascio dei pareri per la costruzione di edicole funerarie e di sepolcri privati 35. Polizia mortuaria: disposizioni in materia di cremazione. Obbligo di verifica della firma del sanitario certificatore 36. Polizia mortuaria: delega ai medici di medicina generale della visita e certificato necroscopico 16 37. Polizia mortuaria: certificato di conformità del feretro dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili missione è molto semplice. Si individuano tre principi fondamentali, per decidere della possibile inutilità delle diverse misure: mancata attualità: l’analisi preliminare dei determinanti storici, epidemiologici, sociali che hanno portato all’emanazione della procedura mostra che il problema di salute non esiste più presenza di duplicazioni: altre norme successive mirano a raggiungere più, o altrettanto, efficacemente gli stessi obiettivi assenza di coerenza logica: assenza di congruità tra obiettivi perseguiti dalla procedura e metodi adottati per raggiungerli. La commissione preferisce impiegare il concetto di coerenza logica, piuttosto di quello di efficacia, per la difficoltà a reperire studi scientifici sull’efficacia di certificazioni, idoneità sanitarie e autorizzazioni, ma anche per la difficoltà di comunicare la nozione di efficacia. Una proposta non semplice In sei mesi la commissione presenta al ministro un documento, che propone l’eliminazione di trentasette procedure, per ognuna delle quali viene presentata una scheda tecnica (vedi tabella). Oltre ai criteri citati, questa proposta mira a coprire l’intero arco di attività dei servizi compresi nei dipartimenti di Prevenzione (igiene pubblica, igiene degli alimenti, tutela della salute nei luoghi di lavoro, medicina veterinaria) e a permettere all’Italia di adeguarsi alle direttive europee. Ma anche a consentire la liberazione di risorse da riutilizzare in interventi preventivi di provata efficacia. Dal documento sono espunti due provvedimenti, proposti inizialmente per l’eliminazione, riguardanti la vaccinazione antirabbica per le vittime di morsi di cane, con obbligo di osservazione dell’animale, e l’obbligo di presenza di un veterinario in caso di macellazione dei suini effettuata a domicilio. Il caso della vaccinazione antirabbica è esemplare. L’infezione non è attualmente presente in Italia e sembrerebbe razionale rafforzare il sistema di sorveglianza nei confronti di quegli animali, come le volpi o i cani inselvatichiti, che potrebbero riportare l’infezione in Italia, piuttosto che per la prevenzione dell’infezione il cui rischio è attualmente uguale a zero. D’altro canto, i morsi di cane sono un problema molto serio in Italia, del tutto sottaciuto, e su cui la sanità pubblica non fa quasi nulla. Così, utilizziamo risorse per scongiurare un rischio che non esiste, ma non facciamo nulla per evitare aggressioni frequenti con conseguenze spesso non banali. Queste osservazioni stridono contro il fatto che la rabbia è una malattia grave e prevenibile col vaccino: un solo caso di rabbia provocherebbe in Italia forte allarme sociale, mentre le migliaia di vittime di morsi di cani non rabidi sono più difficili da prevenire e creano meno allarme sociale. In questo caso, la divergenza è sulle priorità e sulla destinazione delle nostre risorse. Nell’aprile del 2006 il documento approda alla scrivania del ministro della Salute, Francesco Storace, ma rimane nel cassetto. I membri regionali del gruppo di lavoro, portano la relazione all’attenzione del coordinamento degli assessori alla Sanità che ne condivide i contenuti. Le Regioni predispongono una bozza di testo di legge regionale Problemi di contenuto e tecnica giuridica Nel luglio del 2006 il documento arriva all’attenzione del nuovo ministro Livia Turco, in un clima più favorevole, anche grazie alle iniziative del ministro per lo Sviluppo economico Pierluigi Bersani. Si può così ripartire, e il testo può essere sottoposto al vaglio degli altri ministeri interessati: Lavoro, Trasporti, Pubblica istruzione, dipartimento della Funzione pubblica. da pag. 15 base a revisioni sistematiche di letteratura sull’argomento, sono a disposizione altri strumenti giudicati efficaci e appropriati per perseguire lo scopo di tutela della salute pubblica attraverso la prevenzione delle tossinfezioni alimentari. In particolare, alcune modalità su come effettuare la vigilanza ispettiva di ristorazione e gli interventi di formazione nei confronti di addetti e preposti sembrano avere le maggiori probabilità di raggiungere lo scopo. Questo conferma la razionalità della scelta fatta dalla Toscana, che nella sua legge di abrogazione dell’obnumero 69 bligo del Lisa introduce però l’obbligo di specifiche attività formative per questi operatori. Il documento dell’Asl 10 di Firenze è disponibile all’indirizzo www.epicentro.iss.it/ebp/Dossier%20LISA%2024 %20nov%202003_ZADIG1.pdf. 17 DDL E RISORSE IN RETE Decreto del ministro della Salute che istituisce il gruppo di lavoro per la semplificazione, www.epicentro.iss.it/discussioni/obsolete/pdf/GRUPPO%20 LAVORO.pdf Relazione conclusiva del gruppo di lavoro sulla semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla salute, www.epicentro.iss.it/discussioni/obsolete/pdf/Documento%20EBP% 20finale.pdf Presentazione sul sito del ministero della Salute, www.ministerosalute.it/dettaglio/phPrimoPiano.jsp?id=351&area= ministero&colore=2 Testo del disegno di legge, www.ministerosalute.it/resources/static/primopiano/351/Schema.pdf Relazione di accompagnamento, www.ministerosalute.it/resources/static/primopiano/351/relazione_ illustrativa.pdf Il 19 ottobre 2006 il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge, presentato dal ministro della Salute Livia Turco, che riguarda una serie di “misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria”, www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/semplificazione_sanita/ index.html Il 16 novembre 2006 la Conferenza Unificata Stato Regioni Comuni approva il disegno di legge, www.governo.it/backoffice/allegati/29821-3304.pdf Il 1 dicembre 2006 il Consiglio dei Ministri approva nuovamente il disegno di legge, dopo l’approvazione della Conferenza Unificata, www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=29941 Il Presidente del Consiglio dei Ministri presenta al Parlamento il disegno di legge affinché svolga l’iter parlamentare. È un confronto non semplice: la proposta richiede un grosso impegno ai giuristi, a cui tocca la ricerca, la verifica ed eventualmente la formulazione, della nuova versione di ben trentasette norme, ciascuna delle quali può aver subito nel tempo modifiche. Un lavoro certosino: mentre si cerca la formulazione giuridica appropriata, risorge sempre il dubbio: perché eliminare questa misura? Si tratta comunque di una tutela e, alla fine, male non farà! Come comunicare l’efficacia ai giuristi, in poco tempo? Non si può, bisogna usare concetti più semplici con argomentazioni forti e accettabili in base al senso comune: un provvedimento “doppione” va abolito, ma si può abolire un provvedimento perché privo di basi razionali? Il risultato di questo lavoro è il disegno di legge (Ddl) “Misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria”, approvato dal Consiglio dei ministri il 19 ottobre 2006. Un buon compromesso, che rappresenta certamente un passo avanti. L’iniziativa Ebp, con l’accordo delle società scientifiche della sanità pubblica, dovrà seguire l’iter legislativo del disegno di legge e cogliere questo passaggio come un’opportunità per avviare con i decisori una riflessione sul peso, ancora troppo scarso, delle evidenze scientifiche nel processo decisionale. 18 dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili sto r il te tera gue o am a let Berlin i h c l ni bli del Pub grale Giovan voro ale a e l t a l oci in tta d o de za s scri inistr viden enti e al m lla pr preced e e de giorni tazion gge. n nei prese o di le n a l g l a dise del Caro Cesare… Roma, 19 ottobre 2006 Caro Cesare, seguo sempre con molta simpatia e adesione il tuo impegnativo e fruttuoso lavoro. Come (ex) medico del lavoro, cioè nell’abito in cui mi hai incontrato a Milano, vorrei segnalarti una proposta proveniente dal (nuovo) ministero della Salute, che mi è stata avanzata da un gruppo di colleghi, igienisti e dirigenti dei servizi di prevenzione. Ti accludo tale proposta, che è basata sull’idea di semplificare molte pratiche dei dipartimenti di prevenzione in base alle reale efficacia. Trascrivo a questo fine le considerazioni essenziali svolte dal gruppo, di cui fa parte Alberto Baldasseroni che è stato un mio allievo e che è direttore della rivista Snop (Società nazionale operatori della prevenzione). Scopo del gruppo era quello di stilare un elenco di pratiche obsolete, prive di giustificazione logica o epidemiologica, ovvero superate dal subentrare di altra legislazione più moderna. Si auspicava così di svecchiare le attività svolte dagli operatori della prevenzione dei dipartimenti delle Ausl italiane, gravate finora di pesanti carichi burocratici a danno di nuove iniziative, per esempio nel campo della promozione della salute e degli stili di vita più salubri. La commissione, della quale facevo parte, ha in effetti prodotto un tale elenco di circa cinquanta pratiche, prevalentemente certificatorie, da abolire. Il lavoro della commissione si è concluso nel giro di sei mesi. Il ministro dell’epoca, Francesco Storace, non ha ritenuto di prendere in considerazione le conclusioni della commissione. Non così la Conferenza delle Regioni, che ha invece fatto proprio il documento all’inizio del 2006. Con il cambio di governo l’iniziativa ha ripreso slancio, almeno presso il ministero della Salute, ed è stato preparato un testo coerente con i suggerimenti della commissione, rivisto dagli esperti di cose legali del ministero. A questo punto (luglio scorso) è iniziato il confronto con gli altri ministeri interessati, primo tra i quali quello del lavoro, dato che un buon numero delle certificazioni da abolire avevano come oggetto i certificati per “il lavoro” (sana e robusta costituzione richiesta al personale degli enti pubblici, certificato per lo svolgimento dell’attività di fochino, per il rilascio del patentino per l’uso di gas tossici, per la conduzione di caldaie, per l’esercizio di impianti di risalita a fune, ecc). In particolare era prevista anche l’abolizione delle visite preventive per i minori e gli apprendisti avviati a lavori privi di rischi professionali, tuttora svolte dai medici dei servizi di prevenzione delle Ausl (quelle per i minori avviati a lavori rischiosi vengono svolte dal medico scelto dal padrone). Su questo tema abbiamo a suo tempo (2001) costruito un “dossier” di prove di efficacia, chiamato in acronimo Salem, nel quale un panel di esperti (medici del lavoro, igienisti, ecc) ha formulato la raccomandazione di abbandonare questa pratica, poiché priva di qualsiasi prova di efficacia nella salvaguardia della salute di questi giovani lavoratori. Il 18 luglio e poi il 21 settembre, l’Ufficio legislativo del ministero del Lavoro (nella persona di Paolo Onelli) ha manifestato al ministero della Salute motivate riserve, per il timore che si allentassero le visite e le certificazioni e potessero crescere i rischi. Mi sembra tuttavia che ci siano molte forme di tutela superflue o superate da altri interventi più efficaci, basati ovviamente sulle regole della 626, che ben comprende la sorveglianza e la valutazione dei rischi. Ti ringrazio per la tua attenzione e ti invio i miei più vivi auguri per il tuo lavoro. Cordialmente, Giovanni Berlinguer 19 numero 69 EBP: SULLA FRONTIERA DELLA NUOVA SANITÀ Dossier L 20 avorare insieme per cambiare la pratica della prevenzione e renderla sempre più efficace nel tutelare la salute della popolazione: è questa l’anima dell’evidence based prevention (Ebp), movimento di operatori sanitari che cooperano per costruire un patrimonio comune per chi lavora nel campo della prevenzione. Da una parte raccogliendo tutti gli interventi di cui sia stata dimostrata l’utilità e l’efficacia da studi basati su metodologie scientifiche, dall’altra eliminando progressivamente tutte quelle pratiche di prevenzione dimostratesi inutili o inefficaci. Dal momento che alcune di queste pratiche sono stabilite per legge, dallo Stato o dalle Regioni, il movimento dell’Ebp intende proporre delle modifiche all’attuale normativa nel campo della prevenzione. In Italia, la promozione di azioni utili per adeguare le proprie attività ai principi dell’Ebp da parte degli operatori della sanità pubblica, e quindi lo sviluppo di una prevenzione basata su prove di efficacia, è strettamente legata all’attività delle Regioni. È in ambito regionale, infatti, che si coglie maggiormente l’azione degli operatori dei servizi, conseguente a un orientamento al cam- Luigi Salizzato Le Regioni sono state protagoniste assolute del movimento Ebp nel percorso di raccolta delle prove scientifiche a favore dell’efficacia di alcune pratiche preventive e a sfavore di altre, dimostratesi inutili. Il quadro nazionale, però, è ancora molto disomogeneo: attualmente i cittadini sono infatti soggetti a tutele e obblighi diversi in materia di prevenzione e sanità pubblica semplicemente a seconda della Regione in cui vivono. Il disegno di legge recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri è un tentativo concreto di colmare questa disparità. biamento oppure condizionata dalla resistenza all’innovazione. Operatori in fermento In questi anni, i provvedimenti adottati dalle Regioni per abolire le pratiche inutili e sostituirle con altre più efficaci sono stati definiti sulla base di iniziative sviluppate in ambito professionale. Lo stesso gruppo promotore nazionale dell’Ebp si è caratterizzato per una presenza significativa di operatori di sanità pubblica attivi in diverse Regioni, prevalentemente del Centro e del Nord. La spinta al cambiamento è venuta inizialmente dall’elaborazione originale di alcuni operatori e ricercatori, ma i risultati più significativi sono stati conseguiti nelle situazioni in cui sono diventati protagonisti settori significativi degli operatori dei servizi. Perché questo modo di lavorare, ancora minoritario se si considera l’insieme degli ambiti di intervento della sanità pubblica, si affermi in modo solido, occorre necessariamente che la base di consenso attivo nei servizi si allarghi a macchia d’olio. Le linee guida sulle attività di prevenzione, adottate nel luglio 2002 dalla Conferenza Stato Regioni, hanno recepito quanto si stava definendo in settori autorevoli, anche se minoritari, dell’ambito professionale dei servizi di prevenzione e sanità pubblica. dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili Nel documento, l’Ebp viene descritta come uno degli elementi culturali che caratterizzano la sanità pubblica, accanto all’epidemiologia, l’integrazione professionale e sociale, la comunicazione e il miglioramento di qualità: questi elementi culturali sono necessari per sostenere un riorientamento della prevenzione dall’adempimento burocratico al lavoro programmato per conseguire obiettivi di salute. L’Agenzia sanitaria regionale (Ars) della Toscana, l’Istituto superiore di sanità (Iss) e, negli ultimi anni, anche il ministero della Salute hanno sostenuto la crescita del movimento, con diverse iniziative: il corso di formazione nazionale, i dossier sulle pratiche inutili, la sezione sull’Ebp di EpiCentro (sito web ufficiale del Centro nazionale di epidemiologia, promozione e sorveglianza della salute), il gruppo di lavoro ministeriale sulla semplificazione, per arrivare alla recente costituzione del sottocomitato sull’Ebp del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie. Anche la Snop ha fatto la sua parte, così come diverse società scientifiche e alcuni centri universitari, che stanno dimostrando un certo interesse all’argomento. C’è bisogno del lavoro di tutti, ma i protagonisti del cambiamento sono stati, e devono sempre più essere, gli operatori dei servizi. Non servono centri di eccellenza che lavorino per noi, ma ci sono utili centri specializzati nella ricerca che lavorano con noi. La strada da seguire è quella tracciata dai gruppi di lavoro che, in Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, hanno analizzato sistematicamente le attività inutili, formulando proposte di semplificazione che sono state recepite dalle amministrazioni regionali con proprie leggi o delibere. In tempi di tagli significativi alla spesa nel Servizio sanitario nazionale, questi provvedimenti hanno consentito di riorientare le risorse professionali verso lo svolgimento di attività appropriate. I servizi di prevenzione, anche per effetto del Piano nazionale della prevenzione e dei rispettivi piani regionali, stanno infatti realizzando diverse azioni in nuovi ambiti di intervento, per rispondere a problemi di salute emergenti, come per esempio i progetti per la prevenzione degli incidenti stradali, per incrementare l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale o per inserire il criterio della sicurezza stradale nella progettazione urbanistica e dei nuovi insediamenti produttivi. Accanto a questo, però, si assiste anche al tentativo di rinnovare azioni relative a problematiche su cui i servizi intervengono da tempo e in cui si è reso necessario un riorientamen- to dall’adempimento burocratico all’obiettivo di salute. Basti pensare al problema della salubrità e sicurezza in ambito domestico, che richiede ai nostri servizi di non accontentarsi di rilasciare certificati di antigienicità, ma piuttosto di attivarsi per migliorare il più possibile lo stato degli alloggi dove vivono i cittadini più poveri e gli immigrati. È proprio questa la nuova frontiera dell’Ebp: promuovere un’azione costruttiva ed efficace, cogliendo le opportunità nate grazie alla demolizione delle pratiche inutili. Un quadro disomogeneo A questo punto può essere utile fare un bilancio sintetico dei provvedimenti adottati dalle diverse Regioni e raccolti nella “banca dati ebp regioni”, pubblicata su EpiCentro (www.epicentro.iss.it/ebpregioni/) e aggiornata a dicembre 2006. Si tratta di 96 tra leggi, delibere e documenti, alcuni di tipo programmatico-organizzativo, linee guida o simili, altri di tipo normativo, dedicati cioè specificamente al riordino di norme, per lo più per abolire o sospendere pratiche di non dimostrata efficacia, ma anche per introdurre pratiche efficaci, come per esempio l’attività di formazione o di sorveglianza epidemiologica mirata. Nella banca dati sono inoltre documentati gli studi Visitare gli apprendisti Ogni anno in Italia vengono effettuate più di 180 mila visite mediche a giovani apprendisti e minori avviati a lavorazioni non a rischio. Questo dato rappresenta la porzione di sorveglianza sanitaria rimasta in carico alle strutture del Servizio sanitario nazionale in seguito all’adozione della normativa europea con il Decreto legislativo 345 del 4 agosto 1999. Tuttavia, i costi stimati legati a visite mediche ed esami integrativi superano i 10 milioni di euro ogni anno. È in questo scenario che si inserisce lo studio numero 69 segue a pag. 22 «Sorveglianza apprendisti al lavoro e minori (progetto Salem): valutazione di efficacia del programma di sanità pubblica di sorveglianza di apprendisti e minori avviati al lavoro in settori non a rischio», realizzato da Alberto Baldasseroni, Sarah Bernhardt, Daniela Cervino, Aligi Gardini e Luigi Salizzato. Scopo del progetto è stato cercare di capire se ci sono (ed eventualmente quali sono) le prove di efficacia del programma, e soprattutto se ha senso continuare a investire risorse da parte del Ssn. Gli autori hanno analizzato i diversi aspetti del pro- 21 l’autore Luigi Salizzato Ausl di Cesena, dipartimento di Sanità pubblica locali su cui si sono basati i provvedimenti legislativi e le prime valutazioni di impatto delle nuove norme sui servizi di prevenzione (Veneto e Lombardia). Dal punto di vista geografico, non si sono rilevate notizie di provvedimenti adottati in questo campo solo per due Regioni, la Valle d’Aosta e la Sardegna. Per quanto riguarda invece i contenuti, i provvedimenti sono molto diversi da una Regione all’altra. Gli ambiti di intervento possono essere così sintetizzati: certificazioni di idoneità varie (igiene, medicina legale, medicina del lavoro), medicina scolastica, procedure veterinarie (profilassi di malattie infettive), polizia mortuaria. Il provvedimento maggiormente abolito o sospeso è il già citato Libretto di idoneità sanitaria per gli alimentaristi (Lisa, vedi pag. 14), con sette leggi regionali (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Basilicata, Sicilia), cinque delibere di giunta regionale e provinciale (Liguria, Piemonte, Umbria, Marche, Calabria, Trento), e due leggi regionali (Lazio e Puglia), limitatamente all’obbligo per i farmaci- sti. Altre Regioni o Province autonome (Campania e Bolzano) hanno adottato provvedimenti di regolamentazione sui Lisa, rispondenti solo in parte ai criteri dell’Ebp. L’articolazione delle pratiche oggetto di nuova regolamentazione varia notevolmente. Alcune Regioni, come il Friuli Venezia Giulia, hanno favorito la costituzione di gruppi di lavoro di professionisti, igienisti e veterinari, e, sulla base della documentazione da loro prodotta, hanno adottato delibere e leggi articolate nei diversi ambiti specialistici. Altre Regioni, invece, si sono limitate ad adottare un unico provvedimento riferito alla semplificazione di una sola pratica. In mezzo ai due estremi ci sono diversi gradi di impegno istituzionale, ma le Regioni più ricche di iniziative restano comunque quelle del Centro Nord, indipendentemente dallo schieramento politico al governo regionale. Allo stato attuale, ci sono quindi cittadini che, a seconda delle Regioni dove vivono, sono soggetti a obblighi e protetti da tutele diversi in materia di prevenzione e sanità pubblica. Il percorso normativo Il tentativo di porre rimedio a questa disparità è iniziato nell’ottobre del 2004, con la nomina da parte del ministro della Salute di un gruppo di lavoro, a cui hanno partecipato operatori delle Regioni e dello stesso ministero. Sulla base degli studi svolti e dei provvedimenti adottati in ambito regionale è stato possibile produrre in pochi mesi, nel maggio del 2005, il testo di un provvedimento di semplificazione contenente la proposta di abolizione di 53 pratiche inutili, in tutti i settori specialistici della prevenzione. A questo punto sono entrati in azione altri uffici ministeriali, contrari alla proposta, e il percorso di approvazione del documento si è arrestato. Non è la prima volta e non sarà l’ultima: è una questione di cultura, ma anche di interessi corporativi. Basti ricordare il ricorso avviato dal governo alla Corte Costituzionale contro le leggi regionali approvate da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio, risolto da una sentenza del maggio 2004 a favore delle Regioni. La proposta della commissione ministeriale è stata comunque approvata dalla Conferenza delle Regio-ni e delle Province Autonome nel febbraio del 2006, quindi senza accordo con lo Stato, iniziativa quest’ultima motivata dal contributo dato alla stesura del documento dai rappresentanti delle Regioni. Per poter rendere esecutivi i contenuti del provvedimento è stato dato mandato a un apposito gruppo di lavoro di elaborare un progetto di da pag. 21 22 gramma che, come ogni intervento di sanità pubblica, si presenta complesso e articolato, di certo non limitato al solo problema della visita medica di avviamento al lavoro. Lo studio è il prodotto di due gruppi di ricercatori che hanno lavorato separatamente, il primo raccogliendo le prove e il secondo valutandole ed esprimendo raccomandazioni sull’efficacia del programma di sanità pubblica. L’approccio utilizzato è stato multidisciplinare: sono state prese in considerazione diverse tecniche di indagine, come la rivisitazione storica, la ricerca e l’ana- lisi sistematica della letteratura pertinente, l’indagine sulla pratica attuata in altri Paesi europei, la classica raccolta di dati e l’analisi con la partecipazione dei soggetti socialmente interessati. Per valutare i costi, i ricercatori si sono basati sui dati del rilevamento trimestrale delle forze lavoro Istat 2001 per la classe d’età fra i 15 e i 19 anni, considerando come settori “non a rischio” quelli classificati dal censimento Istat 2001 come addetti al commercio, altri servizi e delle istituzioni, escludendo quindi gli addetti all’indossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili legge, che poi le singole Regioni adotteranno. Nel frattempo Friuli Venezia Giulia e Umbria hanno adottato nuove norme regionali che recepiscono gran parte della proposta di abrogazione di pratiche di non dimostrata efficacia elaborata dal gruppo di lavoro ministeriale. Negli ultimi mesi qualcosa si muove anche a livello del ministero della Salute, grazie all’impegno dei dirigenti che hanno da sempre sostenuto il progetto Ebp. Il ministro della Salute in carica, Livia Turco, ha proposto al Consiglio dei Ministri un Ddl per l’abolizione della maggior parte delle pratiche inutili evidenziate nella proposta del 2005, che lo ha approvato nell’ottobre del 2006. La maggior parte, ma non tutte, perché alcune sono state accantonate per non ostacolare l’iter di approvazione dell’intera proposta. Sulla loro semplificazione o abolizione si sono infatti espressi con parere contrario la direzione generale della Sanità veterinaria, relativamente a profilassi anti- rabbica e visita veterinaria per trasporto di suini fuori dai Comuni, e il ministero del Lavoro, relativamente alla visita di idoneità per minori avviati al lavoro in settori privi di rischi lavorativi. Entrambe le proposte erano sostenute da valutazioni di inefficacia, contenute nel caso della sanità veterinaria in documenti elaborati dai colleghi veterinari del Friuli Venezia Giulia, e nel dossier Salem (vedi pag. 21) per quanto riguarda i minori. Se il disegno di legge diventerà una legge dello Stato verrà comunque conseguito un importante risultato, sia per la rilevanza del provvedimento, sia perché sarà possibile liberare risorse professionali per realizzare programmi di lavoro per la promozione della salute o, come dalle ultime indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, sviluppare iniziative per guadagnare salute. Gli obiettivi potranno essere quelli individuati dal Piano nazionale della prevenzione e dai diversi piani regionali, ma anche altri rispondenti dustria. Il costo medio globale attribuito a ogni visita è stato calcolato in 56,36 euro. I ricercatori che hanno svolto la fase di valutazione sono concordi nell’affermare che benché le prove siano insufficienti per dimostrare una vera e propria inefficacia del programma, tuttavia la sua efficacia, così come viene condotto nei servizi delle Asl, è improbabile. In conclusione, poiché non esistono né elementi in grado di affermare l’utilità del programma in esame, né elementi logici che permettano una riprogettazione del programma di sanità pubblica così numero 69 ai bisogni individuati nelle diverse realtà locali. La concretezza dei risultati conseguiti dovrebbe convincere un numero sempre maggiore di operatori dei servizi pubblici di prevenzione e sanità pubblica a considerare l’Ebp come uno strumento indispensabile del proprio lavoro. BIBLIOGRAFIA Conferenza Stato Regioni, “Linee guida per la prevenzione sanitaria e per lo svolgimento delle attività del dipartimento di Prevenzione delle Asl”, 25 luglio 2002. http://palazzochigi.it/backoffice/allegati/16935-961.pdf Dipartimento di Prevenzione Ulss 20 Verona, sezione dedicata all’Ebp: http://prevenzione.ulss20. verona.it/evidence.html Dipartimento di Sanità pubblica Ausl Cesena, www.ausl-cesena. emr.it/Azienda/SanitàPubblica/Ev idenceBasedPrevention/tabid/309 /Default.asp come prescritto dalla legge, i ricercatori raccomandano, relativamente alle visite mediche, l’abbandono del programma ed eventualmente la sua sostituzione con altre procedure di provata efficacia. Rimane da valutare, perché non considerata nel dossier, l’efficacia delle attività di counselling per la sicurezza e l’igiene del lavoro che vengono effettuate in occasione del primo avviamento al lavoro. La versione completa del dossier è disponibile all’indirizzo www.epicentro.iss.it/ebp/SALeM%20 completo.PDF. 23 E IL CERTIFICATO, CACCIATO DALLA PORTA, RIENTRÒ DALLA FINESTRA Dossier I 24 l 18 agosto 2005, il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha licenziato la Legge numero 21 dal titolo: «Norme di semplificazione in materia di igiene, medicina del lavoro e sanità pubblica». In questa legge, all’articolo 2, punto 1, si abolivano una ventina di certificati medici tra i più scombinati, esilaranti, privi di fondamento scientifico e di comprovata, sfolgorante, sesquipedale inutilità. Ma dentro la mela c’era il bau. Il bau stava in una frasetta (articolo 2, punto 3) che recitava così: «È fatto salvo il rilascio [...] di certificazioni richieste da uffici periferici, ubicati nel territorio regionale, di enti o istituzioni aventi sede al di fuori del predetto territorio». E poiché tutti i certificati aboliti al punto 1 sono richiesti da «uffici periferici di istituzioni aventi sede» a Roma, là nei falansteri, tutti i certificati aboliti al punto 1 si devono rilasciare ugualmente in grazia del punto 3. Si trattava di una vera e propria trappola, tesa da qualche funzionario astuto e da qualche leguleio prono all’assessore. Tesa ai consiglieri regionali, ai medici proponenti, ai cittadini tutti del Friuli Venezia Giulia (la segnaliamo ai colleghi del Trentino, che ce Giorgio Ferigo Abolire un certificato, per quanto inutile alla luce dell’Ebp, è un percorso quantomai difficile, perché ci si va a scontrare con una concezione alquanto arcaica della sanità pubblica. L’esperienza del Friuli Venezia Giulia in proposito è esemplare: con una legge dell’estate del 2005, il Consiglio regionale ha abrogato una ventina di certificati inutili, rientrati prontamente dalla finestra grazie a un piccolo articolo all’interno della stessa legge. Dando il via così alla rumorosa “canea dei burocrati”, pronti a difendere strenuamente la propria coperta di Linus... l’hanno copiata pari pari). Caldaisti daltonici e fochini in difficoltà Questo comma ha subito scatenato la canea dei burocrati. Una specie di idolatria certificatoria aveva sorretto finora la loro esistenza. Ora i fondamenti della loro fede vacillavano, il dubbio si insinuava nelle loro «animule vagule e blandule». Come fantolini a cui sia stato tolto il pollice da succhiare o la coperta di Linus o come tabagisti senza più sigarette, avevano crisi di panico e di tremito. Quel comma sembrava loro la gomena nel pelago, lo spuntone sul baratro, l’appiglio salvifico al quale aggrapparsi. Così, a metà ottobre, una riunione ce ne mette davanti una rappresentativa delegazione. C’è la battagliera Ragioneria provinciale dello Stato, che ha già deciso che l’abrogazione del certificato di idoneità all’impiego non avrà corso. Così, ha già emanato un diktat e lo ha diffuso a pavidi «provveditori agli studi», o come si chiamano adesso, che lo hanno diffuso agli «autonomi» dirigenti scolastici. È un diktat molto pesante: minaccia di non dar corso ai contratti in mancanza del certificato. Così, gli insegnanti iniziano il loro piccolo calvario: si recano dal medico, che li informa dell’abolizione. Poi tornano alla scuola, che li informa della dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili minaccia; ritornano quindi dal medico, poi a scuola, e via così. Alla fine i medici cedono, perché non si deve far correre la gente per un pezzo di carta. C’è l’ingegnere della Commissione per le caldaie a vapore che sostiene l’indispensabilità della visita medica, altrimenti il caldaista daltonico potrebbe premere il bottone del colore sbagliato e far saltare in aria la città (dice proprio così!). Non fa nemmeno l’ipotesi che i colori s’imparino a riconoscere da piccoli, alla scuola materna, con l’aiuto di una maestra o della mamma, oppure che il loro nome sia una convenzione condivisa. E che chiedere a un tale il colore di un maglione, di una matita o di una cartellina non configuri esercizio abusivo di professione medica: lo può fare perfino un ingegnere, e perfino l’ingegnere che interroga il caldaista per dargli il patentino. Se costui poi non riconosce il verde, lo mandi dal medico: chissà, forse è daltonico. La Questura, invece, non pone problemi. Il suo rappresentante, ingrugnato, annuncia di aver già pronta la sevizia alternativa per i fochini: una sevizia alternativa si trova sempre, questa stava in una legge del 1956 (o del 1931, o del 1913, o del 1883). Questo complicherà vieppiù la vita ai fochini, e nel contempo renderà chiaro a tutti che i semplificatori sono dei complicatori, e che la trafila non si tocca. L’incontro con le burocrazie lamentose finisce con una circolare che, in buona sostanza, sospende non la legge regionale (non può farlo), bensì la sua efficacia (e questo può farlo benissimo, e il risultato è lo stesso). Farina del diavolo, tutta crusca. La legge «correttiva» Nel frattempo, il 17 ottobre 2005, il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con «legale domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12», aveva ricorso contro la Regione Friuli Venezia Giulia «per la declaratoria di incostituzionalità e conseguente annullamento» della Legge 21.Tra parentesi, presidente del Consiglio dei ministri era quel Silvio Berlusconi che aveva promesso di «rivoltare la burocrazia come un calzino»; così «prouvant qu’il n’avait guère de la suite dans les idées». L’avvocato contestava in particolare l’abolizione del certificato di idoneità al servizio civile, «censurabile in quanto invade una materia [...] riservata alla legislazione esclusiva statale essendo riconducibile alla materia “difesa e sicurezza dello Stato”»; l’abrogazione del certificato di idoneità all’insegnamento che «incide illegittimamente nelle materie “ordi- namento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”»; l’eliminazione del certificato per l’assunzione dei minori e degli apprendisti minori, che lede (udite!) «i diritti civili e sociali in materia di salute e di tutela e sicurezza del lavoro»; e infine l’eliminazione dei certificati per fochini, conduttori di caldaie a vapore e manipolatori di gas tossici perché (udite udite!) così si viola l’articolo 16 del Decreto legislativo 626/94, secondo il quale gli accertamenti sanitari dei lavoratori «comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente». Obiezioni di forma, come si vede, relative alla competenza nel legiferare, se si eccettua lo svarione finale, sufficiente a confinare l’avvocato dietro la lavagna con le orecchie d’asino in capo e il cartello di «somaro» sulla schiena. Il presidente del Consiglio dei ministri successivo, Romano Prodi, ha ritirato il ricorso avverso alla Legge regionale 21. L’atto di rinuncia era «in corso di notificazione al 29.9.2006» e il ritiro era subordinato all’approvazione di alcuni aggiustamenti. Così, si arriva alla legge «correttiva», approvata dal Consiglio regionale (Legge regionale 19 del 26 ottobre 2006), che contiene, per quanto riguarda il nostro discorso, due soli articoli. Il primo abo- Salsicce fatte in casa Le norme sulla macellazione a domicilio per uso privato sono ancora stabilite dal Regio Decreto del 20 dicembre 1928, secondo cui è richiesta la presenza del veterinario per poter compiere un’ispezione completa delle carni. L’Area di sanità pubblica veterinaria Ass 2 del Friuli Venezia Giulia ha condotto uno studio per valutare se sia possibile consentire a un ausiliario specializzato di osservare durante la macellazione a domicilio lo stato igienico-sanitario ante e post mortem, per motivi di efficienza a parità di efficacia, limitando così l’intervento numero 69 segue a pag. 26 del veterinario a casi particolari. Secondo lo studio, la regolamentazione del 1928 è superata e va aggiornata sulla base dei mutamenti di carattere epidemiologico, organizzativo e gestionale della sanità pubblica. Anche in base al Regolamento CE del 29 aprile 2004, che esclude l’applicazione delle norme sanitarie «alla produzione primaria per uso domestico privato e alla preparazione, manipolazione o alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo privato domestico». In base ai dati, la situazione epidemiologica in Italia e 25 l’autore Giorgio Ferigo, Ass 3 “Alto Friuli” lisce l’abolizione del certificato di idoneità a svolgere il servizio civile, mentre il secondo recita: «Gli enti pubblici possono accertare il possesso dell’idoneità fisica o psicofisica all’impiego mediante una visita preassuntiva da parte di medici specialisti in medicina del lavoro o medicina legale dipendenti da enti pubblici e istituti specializzati di diritto pubblico convenzionati col datore di lavoro, che ne sopporta il costo». Possono, non devono: ma figuratevi se ne faranno a meno i feticisti del certificato, che nelle direzioni regionali, provinciali, comunali, consortili, frazionali sono legioni. E queste superstizioni le paghiamo noi. L’onere della prova Be’, è evidente: non si tagliano le unghie alla burocrazia col consenso, o addirittura con l’avallo, e men che meno col giubilo della burocrazia. Tuttavia, passi comunicativi, o anche soltanto lenitivi, dovrebbero essere compiuti nei loro confronti, nelle misure omeopatiche che sono in grado di sopportare. I sindacati dovrebbero convenire che il lavoro dei minori non si tutela in questo modo, così come i carabinieri dovrebbero conoscere la verace utilità del porto d’armi. Altro punto: il titolare della salute è il ministro della Salute e, nelle Regioni, l’assessore alla salute. Non gli stranamore della difesa, i geometri dell’edilizia, gli stradaroli dei trasporti, i cartomanti del pubblico impiego. Ministro della Salute e assessore alla Salute si devono riappropriare del loro potere, troppo spesso condiviso, spartito, devoluto a logiche non sanitarie. In particolare, è da ridefinire il rapporto col ministero dell’Interno, titolare antico della sanità pubblica della quale detiene ancora pezzi significativi. Terzo: nell’imporre un qualsiasi obbligo ai suoi concittadini, chiunque lo proponga è tenuto a verificarne la razionalità, la ragionevolezza, la dimostrabile efficacia, la buona efficienza, l’effettiva utilità. Nello specifico, è tenuto a verificare che i certificati rispondano a fini di salute e non ad astratti postulati di diritto amministrativo. L’onere della prova non spetta solo a coloro che si battono per l’abrogazione di queste scemenze, ma anche (e soprattutto) a coloro che si adoperano per mantenerle in vita. Noi di prove contro ne abbiamo portate a decine: siamo curiosissimi di conoscere le prove a favore addotte da quanti hanno da pag. 25 26 voluto ripristinare il certificato di preassunzione per il pubblico impiego. Siamo curiosissimi di sapere come si svolgerà la cosiddetta visita medica necessaria per rilasciarlo, quali parametri esaminerà e quanto appropriati e congrui, completi, predittivi., ecc. In Friuli c’è ancora molto da fare. E mentre affoghiamo nel mare delle superstizioni ottocentesche, il resto del mondo corre, e ci supera perfino il Botswana. segue a pag. 28 nei Paesi dell’Ue non desta particolare allarme, perché i servizi di sorveglianza sono in grado di prevenire, o comunque controllare, la trasmissione all’uomo. Tuttavia, nell’Ue si spendono ogni anno oltre 570 milioni di euro per la ricerca della Trichinella nelle carni di suini provenienti da allevamenti industriali, caratterizzati da una gestione, anche di tipo igienico-sanitario, capace di garantire un elevato livello di biosicurezza con un rischio quasi nullo nei confronti di questo parassita. Nonostante i costi, l’attuale sistema di sorveglianza non è sempre efficace, come documentato dalle epidemie di trichinellosi umana che si verificano ogni anno in alcuni Paesi dell’Ue per il consumo di carni di suini allevati allo stato brado o in piccole fattorie, di cinghiali oggetto di attività venatoria, e di cavalli importati da Paesi terzi. Secondo la Commissione internazionale sulla trichinellosi, poiché il rischio di trasmissione di Trichinella ai suini, o alle altre specie animali di allevamento recettive, è sostanzialmente limitato alla loro alimentazione, le dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 MEDICINA DEL LAVORO, UN ALTRO MONDO È POSSIBILE Dossier L a dimostrazione dell’efficacia delle attività preventive trova fondamentalmente la sua ragion d’essere in un presupposto etico. In un sistema a risorse finite non si può fare tutto quello che la conoscenza, l’esperienza e la tecnologia ci consentirebbero di fare. Bisogna quindi eliminare le pratiche non efficaci, o meno efficaci, a favore di quelle più efficaci in termini di guadagno di salute complessiva, o quantomeno di riduzione del rischio. Fino a poco tempo fa, in medicina del lavoro il problema della presunta inefficacia di alcune pratiche è stato poco sentito, tutt’al più limitato ad alcuni aspetti clinici della disciplina, come per esempio l’utilità di certi esami diagnostici nelle persone esposte ad agenti cancerogeni per l’apparato respiratorio. Le pratiche di tutela della salute nei luoghi di lavoro, inserite in programmi di sanità pubblica e svolte dai Servizi territoriali delle Ausl, sono considerate da molti efficaci di per sé, senza la necessità di dimostrazioni particolari, ma come risultato di una semplice analisi logica. Forse perché sono connotate da una forte valenza di prevenzione primaria (vedi i piani mirati di prevenzione). numero 69 Gianpiero Mancini In medicina del lavoro il problema della presunta inefficacia di alcune pratiche è stato poco sentito fino a tempi recenti. Le pratiche di tutela della salute nei luoghi di lavoro sono sempre state considerate efficaci di per sé. Tuttavia, l’efficacia dei programmi di prevenzione va rivalutata alla luce del nuovo contesto storico e sociale. In Italia, le singole esperienze di valutazione sono ancora il frutto di iniziative personali, mentre si dovrebbero trovare obiettivi comuni e intensificare le relazioni professionali tra gli operatori interessati ai temi dell’Ebp. Naturalmente, su questo giudizio pesano moltissimo anche i risultati positivi ottenuti negli ultimi trent’anni in termini di riduzione della morbilità e della mortalità da lavoro, sia nel campo degli infortuni sul lavoro, sia in quello delle malattie professionali. Spesso queste analisi non consentono di dimostrare con certezza un rapporto di causalità tra le azioni intraprese e i risultati conseguiti. Certamente si possono invocare altri fattori, come il miglioramento della tecnologia e dei processi di lavoro. Tuttavia, anche in questo caso, il fenomeno è così rilevante da far ritenere “probabilmente efficaci” le attività preventive messe in campo. I tempi cambiano per tutto Pur ammettendo che abbia solide basi logiche ed empiriche, questa convinzione va comunque rapportata, e quindi considerata valida, nel contesto storico e sociale in cui è maturata. Infatti non solo mutano la tecnologia, l’organizzazione e i rapporti di lavoro, i lavoratori stessi (per esempio, in termini di nazionalità), ma i trend di riduzione della morbilità e della mortalità da lavoro subiscono contestualmente un generale rallentamento, se non addirittura un arresto o un’inversione di tendenza. Bisogna quindi chiedersi se i programmi e le attività di prevenzione svolti finora sono ancora attuali e funzionano, oppure se 27 vanno sostituiti, modificati o almeno integrati con altri. Analizzando accuratamente il contesto, in particolare quello socioeconomico, possiamo individuare azioni che, specialmente se diverse dalle precedenti, possiamo valutare come efficaci da un punto di vista logico, e quindi tali da essere incluse in atti di indirizzo di politica nazionale e regionale. È questo il caso, per esempio, di programmi di definizione e diffusione di buone pratiche preventive, in collaborazione con associazioni di datori di lavoro e sindacali, come il miglioramento sul territorio della qualità della formazione dei lavoratori, del processo di valutazione del rischio chimico e cancerogeno, ecc. Pur essendo assolutamente condivisibili, queste indicazioni, enunciate in questo modo, rischiano però di essere poco più che semplici indirizzi per chi li promuove, o intendimenti per chi li deve attuare. Quello che veramente conta, invece, è arrivare a capire se una certa strategia, semplice o complessa che sia, possieda o meno un effetto preventivo misurabile e, non meno importante, in quale contesto produttivo. Se le attività prefissate o raccomandate sono diverse da quelle tradizionalmente messe in atto, o anche se queste ultime sono svolte in un contesto profondamente mutato rispetto al passato, bisogna valutarne l’efficacia preventi- va sui più importanti outcome di salute: infortuni e malattie professionali, a maggior ragione se appaiono meno sotto controllo rispetto a prima. Qualcosa si sta muovendo Negli ultimi anni, molti operatori della prevenzione si sono incontrati più volte (in congressi, seminari, riunioni più ristrette) per discutere di Ebp riguardo alla tutela della salute nei luoghi di lavoro. Non solo per le ragioni già esposte, ma anche a seguito di richieste particolari da parte di organismi superiori o per il semplice desiderio, che dovrebbe essere naturale per un professionista (quantomeno della salute), di conoscere i risultati del proprio agire senza accontentarsi di una giustificazione istituzionale del proprio ruolo o posizione. Dopo una prima fase di scambio di opinioni e di idee, questo gruppo, definibile come tale non sempre per la condivisione di relazioni, ma per sensibilità e valori, ha iniziato a produrre risultati nell’ambito della ricerca delle prove di efficacia in sanità pubblica: presentazione di interventi di prevenzione svolti a cui era stata associata un’esperienza di monitoraggio revisioni di letteratura (anche grigia, specialmente nel nostro Paese), su quanto era presente in termini di valutazioni di efficacia di interventi nei luoghi di lavoro progettazione, e in alcuni casi già compimento, di studi primari sull’efficacia di uno specifico programma di prevenzione. Quest’ultimo è il caso del lavoro di valutazione dell’efficacia di un intervento di prevenzione degli infortuni oculari in metalmeccanica nel territorio dell’Ausl di Imola, che ho condotto insieme ad alcuni colleghi, i cui risultati sono stati pubblicati nel dicembre 2005 sulla rivista Occupational and Environmental Medicine. Il lavoro dimostrava la piena e duratura efficacia di un intervento basato prevalentemente su di una robusta campagna informativa (con fasi, strumenti e destinatari specificati), accompagnata da sopralluoghi di rinforzo. Al di là del suo valore scientifico, questo studio potrebbe costituire un esempio di come ci si dovrebbe porre di fronte alle attività proprie di noi operatori della prevenzione: quando si può, valutarne l’efficacia già mentre le si svolge e diffonderne poi i risultati (anche quelli negativi, se attendibili). In questo modo altri colleghi e organizzazioni ne potranno trarre vantaggi immediatamente applicabili, o almeno alcuni spunti di valutazione. da pag. 26 28 moderne strutture di allevamento e l’applicazione di una gestione razionale riducono, o eliminano, il rischio di infestazione. Gli esami trichinoscopici eseguiti sui singoli capi allevati in queste condizioni potrebbero quindi essere eliminati, oppure potrebbero essere eseguiti su un campione casuale di suini macellati a domicilio, selezionato secondo un criterio di accuratezza che tenga conto sia del basso livello di rischio presente, sia del diverso peso della macellazione nelle aree territoriali interessate. Secondo gli autori, si potrebbe applicare un sistema di sorveglianza attiva su base campionaria che rilevi la prevalenza dell’infestazione in allevamento con una confidenza significativa e ritengono «auspicabile la sospensione dell’esecuzione sistematica dell’esame trichinoscopico sulle carni dei suini macellati a domicilio, qualora provenienti da strutture di allevamento le cui caratteristiche siano equiparabili a quanto indicato dalla Commissione internazionale sulla trichinellosi». Il testo dello studio è disponibile all’indirizzo www.epicentro. iss.it/temi/veterinaria/MacellazioneSuini_Friuli.pdf. dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili l’autore Gianpiero Mancini area Tutela della salute negli ambienti di lavoro e sicurezza, Ausl Ravenna Attivare nuove sinergie Pur essendo sicuramente utili, queste esperienze di valutazione rappresentano, insieme a poche altre, il frutto di iniziative pressoché personali. Si avverte chiaramente la necessità di coagulare maggiormente attorno a obiettivi comuni, ma anche a relazioni professionali più strette, gli operatori che nel recente passato hanno manifestato interesse per questi temi. È in questa direzione che si colloca il seminario di lavoro organizzato nel maggio scorso a Bertinoro dall’unità operativa di Medicina del lavoro dell’Università di Bologna e da quella di Epidemio- logia dell’Ausl 10 di Firenze. All’incontro, che è stata una preziosa occasione per confrontare le esperienze condotte, è stato inoltre invitato il collega Jos Verbeek, membro della Cochrane Collaboration, che ne ha illustrato i piani e le modalità di lavoro, oltre a chiarire il suo punto di vista sulla Evidence Based Prevention in Occupational Health (Ebpoh) e la propria esperienza sul campo. A conclusione dell’iniziativa, sono stati assunti alcuni impegni, in vista della costituzione di un gruppo italiano che supporti l’iniziativa della Cochrane Collaboration in questo campo. In particolare saranno curati gli strumenti di comunicazione (newsletter, sito internet dedicato, interventi su riviste scientifiche diffuse nell’ambiente professionale, ecc) e si avvierà un corso di formazione specifico dedicato alla Ebp in medicina del lavoro rivolto agli operatori. È prevista anche un’attiva collaborazione al progetto della Cochrane Collaboration. Alla luce di queste svariate inizia- tive occorre certamente rivedere la convinzione, invero piuttosto diffusa, che sia impossibile condurre studi di valutazione di efficacia in medicina del lavoro validi nel disegno epidemiologico, e quindi anche nelle conclusioni, a causa soprattutto di vincoli etici o rappresentati da certe rigidità dei protocolli o dei piani di lavoro. BIBLIOGRAFIA G. Mancini et al, “Prevention of work related eye injuries: long term assessment of the effectiveness of a multicomponent intervention among metal workers”. Occup Environ Med, 2005; 62: 830-835. A. Baldasseroni et al, “Sorveglianza Apprendisti al Lavoro e Minori (progetto SALeM): valutazione di efficacia del programma di sanità pubblica di sorveglianza di apprendisti e minori avviati al lavoro in settori non a rischio”, www.epicentro. iss.it/ebp/pro-salem.asp In corsa per l’Ebp In Italia sono più di un milione i minorenni che svolgono gare sportive ufficiali almeno una volta all’anno. Per questa fascia di atleti, gli accertamenti prima della partecipazione sono a carico del Ssn, con un costo annuale di circa 74 milioni di euro. Da qui la necessità di un bilancio in termini di efficacia e benefici attesi per la salute pubblica: è nato così il “Dossier Fidippide: valutazione di efficacia del programma di sanità pubblica per l’avviamento all’attività sportiva agonistica e il periodico controllo sanitario di giovani al di sotto dei 35 anni”, a numero 69 segue a pag. 31 cura dell’Agenzia regionale di sanità pubblica (Ars) della Toscana. Intitolato al leggendario padre della maratona, il dossier affronta, oltre alle prove di efficacia previste dal programma di sanità pubblica (visita medica, screening cardiologico, di funzionalità respiratoria e muscoloscheletrica), anche aspetti più qualitativi: i determinanti alla base della sua adozione, le attività intraprese negli altri Paesi europei, le opinioni dei soggetti interessati. Viene anche tracciato un bilancio dei costi e dei risultati dell’effettiva applicazione del pro- 29 RACCOGLIERE LE EVIDENZE: LA SINTESI REALISTA Dossier L a produzione e l’utilizzo delle prove di efficacia dei programmi di prevenzione in ambito sociosanitario sono oggetto di un acceso dibattito, che coinvolge operatori sociosanitari, policy makers e ricercatori. Le criticità riguardano sia la natura stessa delle “evidenze” e del processo di cumulazione, sia la diffusione e l’utilizzo delle conoscenze prodotte dalle revisioni sistematiche (vedi bibliografia). Nel corso del workshop “Valutare la prevenzione”, in occasione dell’VIII Congresso dell’Associazione italiana di valutazione (Aiv), ho avuto l’opportunità di illustrare le origini e le caratteristiche salienti di alcuni orientamenti che si muovono sotto il comune denominatore dell’evidence movement. L’intento era quello di rispondere ad alcune problematiche poste dall’Ebp grazie alla proposta metodologica della sintesi realista. In particolare, sono stati confrontati due metodi di revisione sistematica, evidenziando alcune pro- Liliana Leone All’interno del movimento Ebp, la modalità di produzione delle revisioni sistematiche è oggetto di un acceso dibattito, sia per quanto riguarda la raccolta delle conoscenze, sia sul grado di fruibilità e utilità delle evidenze. Accanto alla tradizionale meta-analisi, non priva di criticità, si sta affermando sempre più un metodo alternativo di revisione sistematica, quello della sintesi realista, che cerca di rispondere alle esigenze metodologiche, ma anche di tradurre i risultati in raccomandazioni utilizzabili dai decisori politici. blematiche di ordine metodologico connesse ai processi di cumulazione delle conoscenze e alcuni limiti legati al grado di fruibilità e utilità delle evidenze: da una parte la meta-analisi, adottata per esempio dalla Cochrane Library e dalla Campbell Collaboration, dall’altra la cosiddetta “sintesi realista”, un metodo di revisione sistematica recentemente sviluppato in Gran Bretagna da Ray Pawson, dell’Università di Leeds. La versione integrale di questo articolo è pubblicata, con il titolo “Evidenze di efficacia nei programmi di prevenzione delle dipendenze: review sistematiche e sintesi theory-driven”, sul sito dell’associazione, www.snop.it 30 Metodi a confronto Un esempio della debole capacità informativa delle meta-analisi condotte in alcuni settori della prevenzione dei programmi di salute pubblica e la frequenza con cui si denunciano scarsità di evidenze, carenze inerenti la scarsa qualità dei disegni sperimentali o limiti di ordine pratico connessi alla scarsa capacità delle metaanalisi di informare e quindi influenzare i processi decisionali. Ci sono poi alcuni limiti metodologici, evidenziati da alcuni esponenti del movimento denominato evidence based policy, sottesi al processo stesso di sviluppo e accumulo delle conoscenze nelle revisioni sistematiche. dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 Dossier ebp e pratiche inutili Il processo di revisione della sintesi realista rappresenta un metodo alternativo per condurre revisioni sistematiche e cerca di rispondere ai due ordini di problemi precedentemente menzionati: metodologici e di traduzione dei risultati in raccomandazioni utilizzabili dai decisori politici. Questo procedimento prende in considerazione gli stessi processi di accumulo delle conoscenze scientifiche e trae origine da una concezione popperiana della scienza: pone cioè l’accento sulle ipotesi teoriche sottostanti le ricerche sperimentali, sul processo di confutazione e di verifica degli assunti teorici e utilizza prevalentemente il metodo deduttivo. I singoli studi le singole valutazioni non rappresentano quindi delle monadi, ma sono compresi all’interno delle ipotesi esplicative che li avevano generati e delle teorie (o quasi teorie) che intendevano confutare. Si tratta di un metodo molto recente applicato in diversi campi, dal welfare all’educazione, dall’ambiente e rigenerazione urbana alla giustizia, e che di recente inizia a trovare applicazioni anche nel settore sanitario. Anche questo approccio, come altri prima, critica il modello della black box sottostante alla logica delle revisioni sistematiche basate sulla meta-analisi. I programmi sociosanitari non sono altamente riproducibili e le variazioni contingenti che sorgono nell’implementazione sul campo non sono necessariamente casuali. Esistono infatti fattori che possono essere oscurati dalle comuni analisi, per esempio il modo con cui gli operatori interpretano il programma in determinate situazioni, oppure il modo con cui diversi sottogruppi dei beneficiari reagiscono alla proposta. La critica principale si concentra su due assunti sottostanti al procedimento della meta-analisi: i trattamenti devono essere concreti, circoscritti e riproducibili (e altamente standardizzati come nel caso di alcune cure mediche) e i soggetti beneficiari hanno un ruolo prevalentemente passivo, poiché i trattamenti funzionerebbero in modo indipendente dal loro giudizio (possibilità di controllare effetti placebo). Mettere in pratica Accogliendo alcune indicazioni sviluppate dalla sintesi realista e dal movimento della evidence based policy, in tre regioni del Nord Italia è stata realizzata una ricerca valutativa che proponeva un parallelismo tra la nozione di strategia applicata ai diversi approcci di prevenzione e quella di “famiglia di meccanismi” propria della sintesi realista. La sistematizzazione delle evidenze attraverso la nozione di strategia di intervento ne favorirebbe l’utilizzo, in quanto maggiormente in grado di influenzare le teorie implicite ed esplicite degli operatori e dei decisori. Il focus del lavoro, Per una prevenzione efficace, è posto su pratiche di estrazione, contestualizzazione, diffusione e utilizzo delle conoscenze e delle raccomandazioni prodotte dalle revisioni sistematiche e dalle linee guida sviluppate a livello internazionale nel settore della prevenzione delle dipendenze. Si espone un caso di ricerca-azione caratterizzato da approcci fortemente partecipativi, in cui sono state ricodificate e riaggregate le evidenze offerte dalle maggiori revisioni sistematiche e linee guida in materia di prevenzione delle dipendenze. Queste evidenze sono state in seguito incorporate all’interno di una valutazione che ha interessato undici Asl del Nord Italia, e utilizzate come parametro di riferimento per giudicare l’adeguatezza delle metodologie di intervento adottate in un campione di 122 progetti. A seguito di questo lavoro, il procedimento adottato e le indicazioni scaturite sono state utilizzate anche al di fuori del settore della prevenzione delle dipendenze. In alcune Asl (Bergamo, Milano 1) è stata avviata una programmazione congiunta dei dipartimenti e servizi che a diverso titolo si segue a pag. 32 da pag. 29 gramma in Italia. Sulla base di questi dati, un gruppo di esperti si è espresso sull’esistenza e l’affidabilità di prove di efficacia delle diverse componenti del programma, formulando anche delle raccomandazioni per i decisori riguardo allo screening preventivo per l’avviamento all’attività sportiva nei giovani al di sotto dei 35 anni. La visita medica può essere mantenuta, ma ne va accentuato il valore di consiglio e orientamento nella scelta della pratica sportiva più adatta, per aumentare la soddisfazione e quindi la probabilità di proseguire più a lungo numero 69 possibile nello svolgimento dell’attività fisica (che si è dimostrata efficace nel prevenire malattie cardiovascolari e altre patologie). Riguardo allo screening cardiovascolare, l’attività in corso da circa trent’anni può essere mantenuta, sostenendo gli sforzi in atto in alcune aree del Paese per una sua valutazione di efficacia su base osservazionale. Dove non sono in corso studi di efficacia retrospettiva, può essere offerta, a patto che sia garantito un adeguato controllo della qualità della prestazione. Ogni offerta di atti- 31 l’autore Liliana Leone Facoltà di Sociologia, Università di Roma “La Sapienza” occupano di programmi di prevenzione rivolti ai giovani (dipartimenti di Prevenzione, dipartimenti per le Dipendenze, Servizio famiglia, infanzia o età evolutiva). Quella della sintesi realista è una proposta particolarmente promettente, sia perché il ruolo dei contesti (aspetti socioeconomici, organizzativi, culturali, demografici) è irrinunciabile per spiegare il funzionamento e il successo dei programmi di salute pubblica, sia perché il richiamo alle varie teorie del cambiamento sociale è abbastanza esplicito nei diversi approcci di prevenzione. La letteratura sulla prevenzione delle dipendenze, per esempio, fa riferimento a diversi modelli di intervento (influenza sociale, comprensivi e combinati, cognitivi e di promozione della salute) in cui sono chiamate in causa diverse teorie: quella dell’apprendimento sociale di Bandura, della normative beliefs di Hansen, dello sviluppo sociale di Hawkins e Catalano, della dissonanza cognitiva di Festinger. Le revisioni sistematiche, per contro, vengono in genere realizzate in funzione di una classificazione di programmi che hanno in comune le sostanze o i comportamenti considerati dannosi (alcol, tabacco, droghe illecite, marijuana, utilizzo del casco), sebbene i decisori tendano a utilizzare strategie simili anche in politiche e ambiti di intervento differenti. Il suggerimento è quindi quello di tenere conto di questo gap e al contempo dare l’opportunità di sviluppare revisioni sistematiche di programmi di promozione della salute aventi in comune proprio le strategie di intervento, le teorie del cambiamento sociale e le famiglie di meccanismi alla base dei cambiamenti auspicati. BIBLIOGRAFIA S. Bernhardt, “Metodologia della valutazione di prove di efficacia in sanità pubblica”. Tesi di specializzazione, AA 2002-2003 Università di Firenze, www.epicentro.iss.it/ebp/metodologia.asp A. Boaz et al, “The practice of research reviewing I. An assessment of 28 review reports”. Esrc UK Centre for Evidence Based Policy and Practice, 2004. L. Leone, M. Ruffa, “Teoria e meccanismi nella valutazione d’efficacia dei programmi prevenzione”. Abstract presentato al workshop “Valutare la prevenzione” nel corso dell’VIII Congresso Aiv (Catania, 17-19 marzo 2005), www.valutazioneitaliana.it/workshop/mostrapaper.php?id_paper= 31 L. Leone, “Review sistematiche, sintesi theory-driven e utilizzazione delle evidenze. Il caso dei programmi di prevenzione”. Rivista Italiana di Valutazione, Franco Angeli, in via di pubblicazione. L. Leone, C. Celata, Per una prevenzione efficace. Il Sole24ore Sanità, 2006. R. Pawson, Evidence Based Policy. Sage, Londra, 2006. M. Petticrew, “Why certain systematic reviews reach uncertain conclusions”. Bmj, 2003; 326 (7392): 756-758. W. Solesbury, “Evidence Based Policy: Whence it Came and Where it’s Going”. Esrc UK Centre for Evidence Based Policy and Practice, 2001. L. Rychetnik, M. Frommer, A Schema for Evaluating Evidence on Public Health Interventions; Version 4. National Public Health Partnership, Melbourne, 2002. da pag. 31 32 vità al di fuori di queste condizioni non è giustificata. Lo screening respiratorio è inutile ai fini descritti nel dossier, per cui se ne raccomanda l’abolizione. Lo screening muscoloscheletrico andrebbe abolito, perché inutile ai fini descritti nel dossier, mentre può essere mantenuto in forma sperimentale per alcuni sport a impegno estremo per l’apparato muscoloscheletrico, garantendone la valutazione su base osservazionali (per valutarne l’utilità nella prevenzione di complicanze invalidanti legate a malformazioni congenite). Non è stato possibile invece esprimere valutazioni sulla necessità di una ripetizione periodica e sull’eventuale frequenza ottimale che gli screening (dei quali si suggerisce il mantenimento) debbono avere. Su questo punto dovrà intervenire un documento di consenso tra gli esperti che tenga conto del bilanciamento tra i costi e i possibili, ma non dimostrati, benefici. Il testo completo del dossier è disponibile al seguente indirizzo: www.epicentro.iss.it/ebp/pdf/Dossier_ Fidippide.pdf. dossier ebp e pratiche inutili • numero 69 il buratto grosso Quando anche Bersani era «corporativo» Giorgio Ferigo I l 9 agosto 1745, i gastaldi dell’Arte dei Sartori di Venezia fecero un’ispezione «sotto il portico di Cà Dolfin al ponte dei Bareteri, alla botega di sartor di domino Antonio Capello», dove beccarono sul fatto «domino Antonio Biliani lavorante, che tagliava con misura una velada [di] pano blu, in contrafatione delle leggi dell’Arte nostra». La contrafatione riguardava il fatto che Antonio Billiani, pur essendo solo un lavorante sarto, stava eseguendo un’operazione da maestro sarto («tagliare con misura»): secondo le regole, avrebbe potuto soltanto imbastire e cucire quel che il maestro sarto aveva già tagliato, così come il garzone sarto poteva solo bordare asole e attaccar bottoni. È questo uno degli innumerevoli processetti presenti nell’Archivio di Stato di Venezia (nei fondi Arti, Militia da Mar, Giustizia Vecchia), che riguardano la complessa vita quotidiana delle corporazioni, le diatribe dell’una contro l’altra, i conflitti tra gli iscritti a una medesima corporazione (o arte o fraglia o scola o università). Le norme della mariegola, minuziose e talvolta dementi, ma scritte in elegante calligrafia e con i capilettera adorni, non comprendevano soltanto le tappe della carriera e le mansioni professionali. Per esempio riguardavano la difesa degli associati: basti pensare alla difesa dei sarti contro la «molteplicità delle done, che lavorano di sartore, ben note come contrafacienti nelle case...; Ebrei, che fano infinità di abiti nuovi, e li vendono; e strazzaroli, che fanno il medesimo..., tutti danni rilevantissimi all’Arte nostro». come dimenticare gli standard di qualità: per esempio, i tintori «di cremese» non potevano «tenzer né di grana, né d’alchimia, ma puro cremese». Come a Venezia, le cose andavano allo stesso modo da Milano a Bruges a Manchester, da Bologna a Messina a Granada, da Udine a Berlino a Lubecca. Il sistema corporativo finì quando i «malfattori franzesi» esportarono la loro rivoluzione nelle contrade d’Europa e piantarono sulle piazze e nei broli l’Albero della Libertà (libertà che, prima di tutto, era economica e commerciale): ebbe fine dunque Trenta stemmi delle «Arti» attive nella città di Orvieto tra il XIII e il XVII secolo Corporazioni senza fine Ancora, potevano regolare il tipo di prodotto: vedi i passamaneri, che potevano produrre «cordele rasade schiette, con oro a opera e senza», ma non «le cordelle alla napolitana» né manufatti «che sia con seda et oro», oppure i tellaroli, che potevano tessere tele di lino e canapa, anche mischiate a lana, ma soltanto ai fustagneri era concesso di lavorare il «filo a bombaso, e la lana» (per i non veneti, il bombaso è il cotone). E 33 numero 69 negli anni terribili ed esaltanti tra fine Settecento e inizio Ottocento. Soltanto in Italia il sistema corporativo non è mai terminato per davvero, se il 3 luglio 2006 è stato firmato il cosiddetto “decreto Bersani”, per tentare di sciogliere qualche lacciolo corporativo e di togliere qualche zeppa antiliberale di tassinari, avvocati, bancari, farmacisti, assicuratori. Sia lode a Bersani, dunque, e Dio l’abbia in gloria. Decreto vecchio fa buon brodo Tuttavia, neanche il ministro Bersani è senza peccato. Basti ricordare il celebre articolo 3 della Legge n. 85 del 22 marzo 2001, che imponeva che a rilasciare o rinnovare la patente ai diabetici fosse uno «specialista nell’area della diabeto- logia e malattie del ricambio». Diabetologi a far patenti non se ne trovarono: da qui la caccia a preattestati da allegare, controfirme di specialisti da apporre a tergo, chiose cautelative da aggiungere in calce al modello A. Da qui, i richiami ministeriali ai riottosi (buon ultimo quello del direttore generale del dipartimento dei Trasporti terrestri del 19 dicembre 2005) e restituzioni di certificati incompleti agli utenti adirati. Ebbene, quel decreto fu proposto e firmato, tra gli altri, dal liberalizzatore Bersani, che trattava i comuni medici patentatori proprio come i gastaldi dell’Arte trattavano tre secoli fa la lavoranzìa di Antonio Billiani. E proprio in nome di un presunto standard di qualità, identico a quello che proibiva di far fustagni ai tellaroli, che magari erano in grado di produrne di ottimi, a pelo alto e a pelo basso, rasati e tempestini. La differenza è questa: un certificato di patente non è né una velada di panno blu, né un fustagno a pelo basso, ma soltanto un pezzo di carta. Non garantisce niente e nessuno, se non l’accesso al pezzo di carta successivo. Sia ben chiaro: non si contesta qui la lobby dei diabetologi per difendere quella dei medici legali o degli oculisti (che su un blog veneto hanno dato vita a un dibattito surreale a proposito di visite per patenti), ma l’esistenza stessa delle lobby mediche. Tuttavia, il buon Bersani farà presto a ravvedersi. Non serve nemmeno che scriva un decreto ad hoc, tanto meno in segreto. Il decreto c’è già, da quasi tre anni: è quello del 30 set- tembre 2003). Oppure, se preferite, da dodici anni: quello dell’8 settembre 1994. Bersani deve soltanto concertare con i suoi colleghi dei ministeri dei Trasporti e della Salute di farlo entrare finalmente in vigore. Oltre ai sediai che eludono le tasse, non bisogna colpire anche i ministeri che eludono le leggi? Molti di noi saranno onorati di obbedire agli ordini. Certo, qualche medico tirerà giù porchi, come un tassinaro a fine turno. Qualcun altro avrà l’emicrania, come un farmacista senza Saridon, oppure architetterà nuovi introiti, come un bancario in astinenza da dobloni. Ma gli italiani saranno felici di entrare finalmente nell’Europa delle patenti di guida ragionevoli. E gli italiani, com’è stato autorevolmente detto, un po’ di felicità se la meritano. il buratto grosso • numero 69 Alta definizione «Perché proprio a me?» Come si costruiscono scelte condivise Paolo Lauriola a realizzazione di nuovi inceneritori per i rifiuti o il potenziamento di quelli già esistenti è sempre più oggetto di dibattito in Italia. Un recente articolo pubblicato su Arpa Rivista, “Legittime paure ed egoismi più o meno consapevoli, un aiuto dall’etica”, sottolinea un dato sostanziale delle società moderne: la crisi del ruolo della scienza e della tecnologia, che si accompagna a una profonda crisi della rappresentanza politica. Nell’opinione comune, scienza e tecnologia non sono più in grado di offrire le certezze di un tempo: secondo un importante libro di Paolo Vineis, Nel crepuscolo della probabilità. La medicina tra scienza ed etica, siamo nel cosiddetto “crepuscolo delle probabilità”. I tradizionali canali di rappresentazione e aggregazione (istituzioni, partiti, sindaca- L ti e le stesse religioni) sono in profonda crisi di identità e legittimazione. Questa è una possibile chiave di interpretazione delle difficoltà legate a un problema emergente della nostra democrazia: ottenere il consenso e prendere decisioni difficili. Nel suo articolo “Scienza e politica, patto d’alleanza”, apparso su La repubblica lo scorso 23 agosto, Umberto Galimberti partiva invece dalla constatazione che scienza, economia e tecnologia si condizionano fortemente l’una con l’altra. Se in teoria la scienza può diventare l’etica dell’economia e della tecnica (scientia est potentia, come sosteneva Bacone), «i condizionamenti tecnici ed economici, che limitano l’esercizio di questo potere, obbligano la scienza a cercarsi un altro alleato che può trovare, come vuole l’indicazione di Platone, nella “politica” Questo articolo è tratto da quello pubblicato sul Bollettino dell’Ordine dei medici di Modena. Si ringraziano per i preziosi suggerimenti Vanna Rinaldi e Stefano Bellentani di Isde-Modena numero 69 Il dibattito etico in corso in Italia sull’opportunità di potenziare gli inceneritori per i rifiuti o costruirne di nuovi è lo spunto per riflettere sul ruolo cruciale della sanità pubblica su temi di rilevanza sociale come la qualità dell’ambiente e gli effetti sulla salute. In vista della prossima Conferenza interministeriale su ambiente e salute dell’Oms, che si svolgerà a Roma nel 2009, l’autore propone alcuni spunti di riflessione sia per medici e cittadini che si stanno formando un giudizio, sia per le amministrazioni, chiamate a prendere le decisioni. intesa in senso alto». Alcune organizzazioni di medici, tra cui l’International Society Doctors for the Environment (Isde), e anche alcuni Ordini provinciali dei medici hanno focalizzato la loro attenzione sul tema degli inceneritori, provocando un grande clamore. Ma perché i medici? Sicuramente perché a parte l’interesse professionale su un tema che ha come focus la salute, il medico è in generale un testimone diretto, e per quanto possibile attivo, della sofferenza. Inoltre, il tema della medicina che si occupa di sanità pubblica diventa sempre più l’oggetto di un interesse e di una pratica sociale condivisa. A questo si accompagna il dato del Censis secondo cui la fonte informativa principale sui problemi connessi con la salute è il medico, soprattutto quello di famiglia: il 64% delle fonti di informazione sono i camici bianchi, il 12% il nucleo familiare, il 7% gli amici, il 6% il farmacista, il 4% i colleghi di lavoro, il 30% la televisione, il 36% la carta stampata (il totale è superiore a 100 perché le risposte non erano mutuamente esclusive). Su temi di rilevanza sociale come la qualità dell’ambiente e gli effetti sulla 35 e delle situazioni particolari». La Weil istituisce inoltre un legame tra l’idea guida della scienza moderna, il numero, e il principale modello etico corrente, l’utilitarismo. A causa del Scienza ed etica presupposto dominante, Tra il riconoscimento di un quello della forza, la sciennesso causale e l’assunzio- za moderna non può amare la verità. ne di una decisione o l’attribuzione di una responsa- Nella sua biografia Simone bilità morale c’è un rappor- Weil. Biografia di un pensiero, Gabriella Fiori scrito molto più stretto di ve: «Siamo guidati e illusi quanto sembri. Come dal valore di quantità […]. sostiene Paolo Vineis, la predizione di un intervento La mente, schiacciata dalla (medico o ambientale) non quantità, giustifica il proprio disagio erigendo a cripuò essere separata dal terio centrale dell’epoca problema etico (ovvero la l’efficacia». liceità dell’intervento). Il rapporto tra causalità ed Secondo la Weil, i principi etici su cui bisogna fondaretica è un argomento si, sottratti a quelli della ampiamente affrontato da forza e della quantità, sono Simone Weil, secondo cui c’è una netta differenza tra l’equilibrio, il rispetto e il dovere e diritto: la nozione bisogno di radici, nella del dovere è incondizionata prospettiva dell’azione: la conoscenza non avviene (non uccidere), mentre quella del diritto è sempre sulla base di astrazioni logiche, ma a partire da un legata a certe condizioni, comprendendo «la conside- individuo che opera nel mondo e partecipa attivarazione degli stati di fatto salute, ci si rende conto di quanto la competenza scientifica, politica ed etica del medico sia cruciale. 36 mente alla vita dell’intera comunità. culturale si presta facilmente all’obiezione di irrazionalismo, lasciando la risoluzione dei problemi ai modelli di ciascun sottoLa valutazione dei gruppo della società. rischi ambientali Corrado Poli, dell’Università di Bergamo, sostiene Secondo Kristin Shraderche nel caso dei rischi Frechette, dell’Università di Notre Dame (Indiana), si ambientali la contraddizione tra scienza e antropolopossono identificare due gia, oltre al dilemma tra opposte tendenze nella fatto e valore, si esplicita valutazione dei rischi in altri quattro aspetti. Il ambientali: quella scientiprimo è il problema della sta, che ritiene possibile standardizzazione, il tentauna valutazione oggettiva e di validità universale dei tivo di uniformare le procerischi, e quella antropologi- dure di stima e di valutazione in modo da «spendeca, secondo cui non solo re la stessa quantità di non è possibile un calcolo oggettivo, ma il concetto di fondi per ciascuna vita salvata, nelle diverse situaziorischio è intriso delle creni».Tra l’altro, la valutaziodenze profonde e dei modelli culturali che carat- ne quantitativa del rischio non tiene conto quasi mai terizzano specifici sottodi tutte le variabili (biologigruppi della popolazione. che, ecologiche, sociali, culAllo scientismo si obietta turali, economiche e politidi non esplicitare i valori che) che variamente condiimpliciti, imponendo sotto le mentite spoglie del calco- zionano un effetto. Ma questa uniformità, solo econolo razionale uno specifico mica, violerebbe il rispetto punto di vista ideologico. D’altra parte, il relativismo di valori e criteri di giudizio diversi. Il secondo è il dilemma dei partecipanti, che si riferisce alla definizione di soglie accettabili in caso di esposizione a singoli fattori ambientali, anche se il rischio complessivo può essere superiore alla somma dei rischi singolarmente considerati. Il dilemma de minimis, invece, riguarda l’abitudine di stabilire le soglie accettabili di esposizione in termini medi per tutta la popolazione, senza però considerare la distribuzione del rischio, che si concentra in genere nei gruppi sociali più deprivati. Questo aspetto conduce direttamente all’ultimo dilemma, quello del consenso: l’analisi del alta definizione • numero 69 Alta definizione STORIA DEL “PREOCCUPARSI PRIMA” Negli ultimi tempi il principio di precauzione ha fatto letteralmente irruzione nella scienza e nella politica. Questo principio ha una lunga storia in medicina e in sanità pubblica: il principale obiettivo della sanità pubblica è prevenire le malattie e promuovere la salute, il che equivale ad applicare appieno i principi di prevenzione e di precauzione. La prima enunciazione effettiva, però, è avvenuta in Germania negli anni Settanta, con il cosiddetto Vorsorgeprinzp, il “principio del preoccuparsi prima”: venne preso in considerazione in relazione alle piogge acide, i cambiamenti climatici e l’inquinamento del Mare del Nord. In questo contesto, Vorsorge implicava l’uso delle migliori tecnologie per minimizzare l’inquinamento di quella sorgente. In generale, questo approccio viene preso in considerazione quando il danno ambientale non è ancora identificabile, o addirittura in assenza di rischio. La prima enunciazione del principio di precauzione in ambito internazionale risale al 1972, alla Conferenza delle Nazioni Unite sul- l’ambiente umano a Stoccolma. Nel 1992, al termine della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, la Dichiarazione di Rio annuncia: «per proteggere l’ambiente si devono applicare largamente misure di precauzione da parte degli stati secondo le loro capacità. In caso di rischi e di danni gravi o irreversibili, l’assenza di certezze scientifiche non deve servire come pretesto per rimandare a più tardi l’adozione di misure efficaci volte a prevenire la degradazione dell’ambiente». Più recentemente, la Direzione generale “Politica dei consumatori e protezione della loro salute” ha definito il principio di precauzione come «un approccio di gestione dei rischi in una situazione d’incertezza scientifica, che esprime l’esigenza di un’azione a fronte di un rischio proporzionalmente grave senza attendere i risultati della ricerca scientifica». La stessa Direzione generale precisa che il principio di precauzione deve tenere conto non solo dei rischi acuti, ma di rischi cronici per le generazioni future. cedure scientifiche di identificazione della natura e dell’entità del rischio, e “gestione del rischio” (risk management), che si riferisce invece agli aspetti relativi alla regolamentazione, cioè alle scelte politiche. Per sottolineare l’importanza di questa azione vale la Il principio pena ricordare tre situaziodi precauzione ni in cui questo principio non è stato applicato e le Per comporre questi diffegravi conseguenze che ne renti approcci l’Organizsono seguite: la prima è zazione mondiale della quella dei milioni di bambisanità ha recentemente ni che nel mondo hanno proposto di scomporre il sofferto di danni al sistema principio di precauzione nervoso a seguito dell’e(vedi box) in diversi passposizione al piombo presaggi, uno dei quali è rappresentato dalla valutazio- sente nelle vernici delle ne del rischio, cioè la stima pareti, negli smalti e nella benzina. Le altre due sono quantitativa degli effetti. L’Agenzia americana per la enormi danni per la salute provocati dal fumo di protezione dell’ambiente tabacco e dall’amianto, (Epa) ha introdotto anche soprattutto per il ritardo la distinzione tra “valutacon cui si sono ottenuti zione del rischio” (risk assessment), ovvero le pro- risultati convincenti sulla loro pericolosità. Il richiamo al principio di precauzione implica la necessità di maggiori conoscenze, ma anche di fare comunque riferimento a quelle tecnologie su cui si hanno maggiori certezze di sicurezza. Non implica solo uno sforzo diagnostico, ma soprattutto di proposta. Né è il blocco di un’attività, ma la responsabilità di sviluppare conoscenze, ed eventualmente proposte, nuove. Più specificamente, insieme a procedure come il cosiddetto health impact assessment (la valutazione, anche attraverso simulazioni, degli effetti sanitari), il principio di precauzione consente di indirizzare, in situazioni di incertezza, verso una decisione che tenga conto della libertà di iniziativa, della proprietà, dell’equità e della dignità. Secondo l’Oms, l’implemen- rischio sembra mirare a ottenere capziosamente il consenso della popolazione esposta, attraverso calcoli apparentemente oggettivi, ma cela contraddizioni e conflitti di interesse. numero 69 tazione di un’azione precauzionale che sia realmente efficace e che abbia un impatto sinergico può risultare in una situazione cosiddetta win-win, utile cioè sia per i decisori che per la popolazione in generale. Questo implica incentivi e supporto per ricerca, sviluppo e innovazione, in una prospettiva di tecnologie più sicure e pulite. All’origine dell’incertezza In ambito scientifico, riconoscere una situazione di incertezza è centrale nell’applicazione del principio di precauzione. In generale si identificano tre ordini principali di incertezza, non sempre distinguibili. L’incertezza statistica è quella più facilmente quantificabile e che, se opportu- 37 l’autore Paolo Lauriola, direttore della struttura tematica di Epidemiologia ambientale dell’Arpa Emilia Romagna malmente la maggiore preoccupazione nella ricerca scientifica tradizionale è proprio nell’evitare il primo tipo di errore. Sulla base di queste considerazioni, sono state ipotizzate alcune possibili soluzioni: proteggere i sistemi con 38 namente affrontata, può essere sicuramente ridotta. L’incertezza del modello si realizza quando più di un fattore di rischio opera nel determinare un effetto: in questi casi il modello è costruito facendo riferimento a certe assunzioni e semplificazioni, che spesso non tengono conto della vera relazione che lega le diverse variabili. In effetti questo è tanto più vero quando si considera che il mondo reale è la confluenza di sistemi biologici, ecologici, sociali, culturali, economici e politici. Nessun sistema sperimentale può tenere conto di tutti in modo esaustivo e ancor meno può definirne le interrelazioni. Infine, l’incertezza fondamentale, altrimenti detta ignoranza, è legata alla complessità e all’unicità dei sistemi investigati. Un’eccessiva preoccupazione per evitare un errore di primo tipo (o errore alfa), che deriva dall’aver accettato un’associazione che non esiste, può aumentare la probabilità di un errore di secondo tipo (errore beta), che si verifica quando si esclude un’associazione che invece esiste. Questa situazione è gravissima laddove non si riconosca, e quindi non si prevenga, un rischio, e tanto più grave se si pensa che nor- analizzare l’incertezza in BIBLIOGRAFIA modo esplicito e trasparente. In preparazione alla prossima Conferenza interministeriale su ambiente e salute, che si svolgerà a Roma nel 2009, l’Oms ha lanciato le seguenti proposte di elementi chiave nell’applicazione del principio di precauzione preso come stima: capacità di recupero: i sistemi non sottoposti a stress sono più resistenti anche di fronte a forti coinvolgere fin dall’inicambiamenti zio la popolazione sia nella valutazione che nella gestione del rischio imparare e applicare: la sperimentazione e il principio di precauzione identificare vantaggi e sono tra loro compatibili svantaggi di tutte le alquando l’esperimento è ternative condotto su una scala spazio-temporale in cui elevare il livello della doil principio di precauziocumentazione delle prone non è ancora primave da parte di tutti riamente necessario attribuire l’onere della prova ai proponenti attribuire a chi sostiene la proposta l’onere della prova, ovvero l’onere aumentare la trasparendella persuasione e della za: se la decisione non responsabilità, e non la può trovare la propria semplice esclusione dellegittimazione nella la possibilità di poter scienza si deve ricorrere pervenire a dimostrare alla disponibilità, all’ol’assoluta sicurezza nestà e a decisioni meditate e condivise tra le parti interessate fissare degli obiettivi, per definire politiche per l’ambiente e la salute porre maggiore attenzione agli effetti delle decisioni, non solo limitate stabilire delle alternaagli effetti immediati ma tive, che possono essere anche a quelli più lontavalutate utilizzando la ni nel tempo. health impact assessement Proposte che possono essere elemento di riflessione adottare un processo sia per chi sta formandosi trasparente, inclusivo e aperto già a partire dal- un giudizio, medici e cittale prime fasi del proces- dini, ma anche per le ammiso decisionale, per crea- nistrazioni. Ovvero per chi, re un rapporto di fiducia oltre al giudizio, dovrà tra istituzioni, imprese e giungere a una decisone meditata e condivisa. cittadini G. Tarro, Bioetica e cultura della prevenzione. Apèiron, Bologna, 2002. S. Weil, La prima radice. Se, Milano, 1990. K. Shradere-Frechette, Risk and rationality. University of California Press, Berkeley, 1991. C. Poli, “La responsabilità per l’ambiente”. In: L’arco di Giano, 1994; IV: 97-110. Oms, Dealing with uncertainity: setting the agenda for the 5th Ministerial Conference on Environment and health, 2009. Copenaghen, dicembre 2005. Nas Risk Assssmenet in Federal Government. National Academy Press, Washington, 1983. C. Petrini, Bioetica, am- biente, rischio. Evidenze, problematicità, documenti istituzionali nel mondo. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2003. M. Martuzzi, J. Ticker, The precautionary principle: protecting public health, the environment and the future of our children. Oms Europa, Roma, 2006. alta definizione • numero 69 Alta definizione Chiare, fresche e dolci acque? Luca Carneglia a qualche tempo in Italia è in corso un tentativo di rilancio del settore termale. Stabilimenti e aziende hanno quindi cercato di riqualificare e aggiornare la propria offerta, con proposte che andassero oltre quelle più classiche, di tipo terapeutico o riabilitativo. Ecco allora che il settore si è orientato sempre più verso tutte quelle prestazioni “del benessere” di cui vengono apprezzate le proprietà tonificanti e rilassanti: bagno caldo, piscina, idromassaggio. La modalità di erogazione dei servizi termali non cambia molto tra prestazioni sanitarie e prestazioni estetiche, o comunque inerenti al benessere. Tuttavia alla domanda che proviene dal mercato occorre rispondere con un’offerta che tuteli diversi aspetti: D il rispetto della modalità sostanziale con cui queste vengono somministrate, perché per quella modalità riconosciute e perciò poi autorizzate (per esempio la balneoterapia) numero 69 il mantenimento delle caratteristiche fisico-chimiche intrinseche delle acque e il rispetto di parametri igienici, sanitari e microbiologici, da una parte per garantire la sicurezza degli utenti, dall’altra per rispettare la qualità originale dell’acqua l’esistenza di un’indicazione terapeutica alla loro esecuzione. Fra le proposte terapeutiche “emergenti”, i bagni collettivi in piscine termali pongono particolari problemi igienistici. Le acque termali sono acque minerali utilizzate a fini terapeutici e seguono quindi la legislazione relativa alle acque minerali. Salvo alcune eccezioni, le acque termali non possono quindi essere sottoposte ad alcun trattamento, pena la perdita delle loro proprietà originali (compreso il microbismo naturale, che ne è il presupposto terapeutico). Indipendentemente dalle caratteristiche qualitative dell’acqua al momento dell’immissione, non si può Il rilancio del settore termale in Italia pone diverse criticità per la sanità pubblica. Per aggiornare la propria offerta, stabilimenti e aziende propongono sempre più spesso, accanto ai servizi classici di tipo terapeutico o riabilitativo, prestazioni estetiche, come bagni tonificanti e rilassanti. Di fronte alle nuove esigenze economiche e di mercato occorre però al più presto un adeguamento normativo, perché i riferimenti che riguardano le piscine tradizionali non sono direttamente applicabili alle piscine termali e possono risultare addirittura fuorvianti. quindi ipotizzare un sistema di trattamento che continui a esercitare la sua azione disinfettante residua in vasca, durante la balneazione collettiva. D’altra parte è poco realistico che un’acqua batteriologicamente pura all’immissione continui a rimanere tale dopo essere stata a contatto con la superficie di uno o più corpi umani, in assenza di disinfettanti. Se si ammette la balneoterapia collettiva, diventa necessario modificare la definizione di sicurezza igienica (conteggio di germi indicatori di inquinamento fecale pari a zero), oppure rinunciare all’asso- luta preservazione, anche in vasca, delle caratteristiche chimiche e microbiologiche originali dell’acqua termale. Queste considerazioni, tuttavia, valgono soltanto se la balneazione termale ha un obiettivo terapeutico. Al contrario, l’uso dell’acqua termale per scopi estetici, di benessere o semplicemente ludici, per quanto legittimo, non vincola ad alcun riconoscimento qualitativo dell’acqua. Al contrario, questo tipo di utilizzi non dovrebbe richiedere l’applicazione di trattamenti con azione disinfettante residua finalizzati al massimo livello di sicurezza igienica. 39 Un vuoto normativo 40 Una conferma indiretta di questo arriva dalla Legge 323 del 2000, secondo cui gli stabilimenti termali possono erogare prestazioni di carattere estetico, purché “in appositi e distinti locali”. Il vuoto normativo su quali siano i requisiti di minima sicurezza igienica dovrebbe quindi riguardare soltanto le piscine termali, in caso di balneoterapia classica in seduta collettiva. Al riguardo, la Circolare 17 del ministero della Salute preannunciava provvedimenti normativi sulla costruzione, manutenzione, vigilanza delle piscine termali e sulla microbiologia degli impianti termali, da emanarsi alla conclusione di studi che nel settembre 1991 risultavano “essere in corso”, ma che poi non sono mai stati utilizzati. L’accordo della Conferenza Stato Regioni del 16 gennaio 2003 sulle piscine esclude dall’ambito della sua applicazione le piscine destinate a “usi speciali”, fra i quali quelle termali. Gli usi speciali sono quelli in cui «l’acqua viene utilizzata come mezzo terapeutico in relazione alle sue caratteristiche fisico-chimiche intrinseche e/o alle modalità con cui viene in contatto dei bagnanti e nelle quali l’esercizio delle attività di balneazione viene effettuato sotto il controllo sanitario specialistico». Il provvedimento rimanda alle Regioni il compito di disciplinare gli impianti alimentati con acque termali o marine. Con la Delibera di Giunta Regionale 637 del 30 giugno 2003, la Regione Toscana ha fornito alle aziende Usl le direttive per il controllo igienico sanitario delle piscine a uso natatorio e le caratteristiche di qualità delle acque utilizzate negli impianti. Non c’è però alcun riferimento alle piscine a “usi speciali” alimentate con acqua termale. La parola alla letteratura Se da una parte il vuoto normativo non impedisce i movimenti del mercato sul territorio ovunque ne venga intravista un’opportunità, dall’altro anche la letteratura sembra insufficiente per fare valutazioni definitive. Un buon punto di partenza per soddisfare i vincoli tecnici e sanitari, e nello stesso tempo andare incontro alle esigenze del mercato, sembrano essere le piscine ad acqua fluente, che hanno una portata d’acqua continua in entrata e in uscita dalla vasca tale da garantire un numero sufficiente di ricambi idrici giornalieri. Questo sembra, almeno in teoria, un convincente presupposto di igienicità, insieme a un’attenta gestione dell’affollamento e dei criteri per l’accesso alle vasche. Al riguardo si è espressa anche l’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui «le piscine termali che non usano disinfettanti richiedono metodi alternativi per mantenere l’acqua microbiologicamente sicura. È necessario un alto tasso di ricambio idrico, anche se non completamente efficace, se non c’è un altro modo di prevenire la contaminazione microbica. Nelle piscine termali, dove l’uso dei disinfettanti è indesiderabile o dove è difficile mantenere un adeguato disinfettante residuo, il riscaldamento dell’acqua fino a 70 °C ogni giorno durante i periodi di non uso potrebbe aiutare a prevenire la proliferazione microbica». Un esempio di procedura raccomandata per assicurare la buona qualità dell’acqua nelle piscine termali è quello dello Stato americano di Victoria del 1999, secondo cui le piscine termali devono essere connesse a filtri utilizzati esclusivamente per l’impianto termale. L’impianto di filtrazione dovrebbe garantire il ricircolo completo dell’intero volume d’acqua a un tasso nominale di almeno una volta ogni 30 minuti. Le piscine termali dovrebbero essere drenate almeno una volta alla settimana per permettere la pulizia del pavimento e delle pareti, per poi essere nuovamente riempite con acqua fresca. In aggiunta dovrebbero essere munite di skimmer per drenare continuamente il pelo dell’acqua. Alcuni Paesi europei raccomandano di svuotare le vasche ogni giorno. Per prevenire il sovraffollamento delle piscine termali, alcuni raccomandano che siano chiaramente identificabili i sedili installati per gli utilizzatori, un minimo volume di acqua per sedile, un volume minimo totale e una profondità massima dell’acqua (Deutsches Institut für Normung, 1997). Essendo poi di fatto impos- sibile pretendere un’acqua con colimetria zero, occorre definirne un limite accettabile. Le specifiche caratteristiche dell’acqua all’origine (durezza, pH, temperatura, ecc) possono favorire o meno lo sviluppo microbico, in generale o di alcune specie rispetto ad altre, e permettere un habitat ideale per la colonizzazione e lo sviluppo di germi come Legionella e Mycobacterium. Anche Pseudomonas aeruginosa può rappresentare un problema, visto che si sono registrate infezioni cutanee in caso di carenze di manutenzione o strutturali dell’impianto. Secondo l’Oms, la concentrazione di P. aeruginosa non deve superare 1/100 ml. Il fatto che si tratti di acqua fluente (per esempio, con un ricambio totale ogni mezz’ora) e che le vasche vengano frequentemente svuotate per essere sanificate autorizza però a considerare trascurabile la preoccupazione per la proliferazione microbica, soprattutto se le operazioni sono frequenti ed estese a tutto l’impianto di adduzione e trattamento filtrante. Limiti accettabili Ci sono anche altre variabili che possono influire sulla sicurezza igienica: la sensibilità degli ospiti, la distanza tra bagnanti (che dipende dalla superficie della piscina), la diluizione della carica infettante (che dipende dal volume d’acqua), il numero di ricambi orari, l’affollamento, la presenza o meno di soggetti infettivi. alta definizione • numero 69 Alta definizione Se si considera quello della proliferazione microbica un problema trascurabile, nella balneoterapia collettiva le problematiche di sicurezza sanitaria sono limitate al pericolo dell’acqua quale veicolo di agenti infettivi diffusi da una persona all’altra durante la balneazione. I coliformi hanno un significato come germi indicatori di inquinamento fecale; proprio per la loro funzione di traccianti, però, escludere la loro presenza è indispensabile quando non se ne conosce l’origine, perché indicano una situazione fuori controllo e quindi potenzialmente pericolosa. Ma nel caso di specie, l’origine dell’inquinamento deriva da circostanze conosciute, monitorabili e perciò può essere accettato come inevitabile, fino a un certo punto. Da questo punto di vista i limiti colimetrici dell’acqua in vasca sono esclusivamente indicativi della corretta gestione della piscina e dovranno essere stabiliti in base al valore massimo colimetrico ammissibile per dichiarare balenabile un’acqua e, dati certi presupposti strutturali, di funzionamento e di regolamento sanitario di una piscina, in base all’affollamento che previene il deterioramento della colimetria oltre il limite ammesso. Stabilire un nesso tra inquinamento accettabile dell’acqua, affluenza e capacità depurativa del ricambio richiederà una serie di esperimenti che registrino tutte le variabili sopracitate. In questo contesto assumerà particolare rilevanza l’anamnesi da parte del medico termale, che dovrà indagare su precedenti riguardanti malattie trasmissibili come epatite A, enteriti, malattie cutanee, ecc. E altrettanto importante sarà il regolamento sanitario, che dovrà stabilire preventivamente e monitorare le operazioni di sanificazione preliminare del corpo (doccia) e i percorsi di accesso. Le nuove esigenze economiche e di mercato rendono quindi necessaria una normativa chiara in tema di piscine termali, dato che i riferimenti normativi classici che riguardano le piscine tradizionali non sono direttamente applicabili e possono risultare addirittura fuorvianti. l’autore Luca Carneglia Dipartimento di prevenzione Asl 5 di Pisa BIBLIOGRAFIA Organizzazione mondiale della sanità, “Guidelines For Safe RecreationalWater Environments. Vol. 2: Swimming pools, spas and similar recreational-water environments. Final draft for consultation”. Agosto 2000, www.who.int/water_ sanitation_health/bathing/r ecreaII-intro.pdf 41 numero 69 Vita da Snop Autonomia e responsabilità dell’assistente sanitario Maria Elisa Damiani e Gabriella Tritta per perseguire obiettivi di salute. Lavorando per proCercare il significato di autonomia e responsabilità cessi integrati, ma caratterizzati da un unico punto professionale dell’assistente sanitario e l’integradi riferimento per l’utenza, zione con altre professioni sono stati il fulcro di una si ottiene una sinergia tra tavola rotonda organizzata il 4 aprile 2006 dal didiverse competenze speciapartimento di Sanità pubblica di Bologna, in collalistiche e ci si adegua alla borazione con la Snop e l’Associazione nazionale complessità dei problemi degli assistenti sanitari. Nella prevenzione, i prointersettoriali da affrontare. blemi vanno gestiti migliorando e valorizzando le Altro tema importante è competenze dei singoli professionisti, ma anche instato l’autonomia profestegrandole con gli altri servizi e stringendo alleanze sionale, ovvero l’insieme con i cittadini. delle competenze e abilità che un soggetto può esprimere ed esercitare in forza iniziative appropriate assie- dell’acquisizione di titoli ntegrazione e autonoabilitanti all’esercizio di mia dell’assistente sani- me ad altri attori e perfeuna professione, senza tario nella prevenzione e zionando l’uso degli strusanità pubblica: da questo menti disponibili. Oltre che limitazioni o condizionapromuovere e agevolare la menti dall’esterno (salvo i tema ha preso il via la tavola rotonda “Autonomia collaborazione tra i diversi vincoli dell’organizzazione del lavoro in cui il profesattori, bisogna contestuae responsabilità dell’assilizzare le conoscenze scien- sionista è immerso). L’altra stente sanitario”, che si è faccia della medaglia è il tifiche e la padronanza di svolta il 4 aprile 2006 a strumenti operativi aggior- concetto di responsabilità, Bologna e che ha avuto cioè l’obbligo di rispondere nati negli ambiti locali di un’adesione al di là delle della propria condotta: lesiaspettative: hanno parteci- intervento, ma anche conpato oltre 300 persone pro- frontarsi con il sistema del- va di altrui interessi (civil’autocontrollo, pur mante- le), in violazione della legge venienti non solo penale (penale), oppure in nendo un proprio ruolo di dall’Emilia Romagna, ma violazione delle regole delanche da Veneto, Trentino, vigilanza. Marche, Toscana, Piemonte L’integrazione professiona- l’organizzazione (disciplinare). Come gestire l’autole, ovvero la condivisione e Puglia. nomia, ossia il riconoscidi conoscenze, obiettivi e La sanità pubblica deve mento di libertà e dignità azioni fra i diversi profesadeguarsi ai bisogni di da una parte, e la responsionisti, è indispensabile salute rilevati nella comusabilizzazione sui piani per sviluppare azioni utili nità locale, sviluppando I 42 della conoscenza e del suo trasferimento nell’attività professionale dall’altra? Prendendo in considerazione la tipologia delle organizzazioni in cui i professionisti operano, il loro modello e il livello di complessità. Le condotte dei professionisti vanno rapportate alle caratteristiche della struttura, alla tipologia professionale, numerosità e qualifica dei componenti, all’interno di sistemi dotati di strumenti di regolamentazione, linee guida, protocolli, intese, condivisi e dettati dai detentori del potere decisionale. Solo una seria formazione può farci sperare di superare le difficoltà interpretative, perché rimarranno pur sempre spazi di operatività comuni esposti alle insidie prodotte dalla labilità dei confini. Nella seconda sessione, intitolata “L’assistente sanitario e gli obiettivi di salute”, è emerso come la sanità pubblica operi tramite alleanze, che attraversano orizzontalmente i vari confini disciplinari, professionali e organizzativi. In questa collaborazione si vita da snop • numero 69 Vita da Snop fonda lo sviluppo e la traduzione nella pratica di politiche basate su prove di efficacia in tutte le aree che hanno un impatto sulla salute e sul benessere della popolazione. Per garantire il miglioramento continuo dei servizi erogati e la salvaguardia degli standard assistenziali serve il cosiddetto governo clinico, cioè l’insieme dei comportamenti, responsabilità e azioni che l’organizzazione e i professionisti si danno in modo sistematico e continuativo. In quest’attività l’assistente sanitario ha un ruolo strategico, effettuando sorveglianza e controllo delle malattie infettive, valutazioni epidemiologiche, programmi di screening della popolazione, informazione sanitaria, promozione della salute e lavorando quindi nello sviluppo del Piano regionale della prevenzione. Dal campo Nella terza sessione il significato di autonomia, responsabilità professionale e integrazione fra professionisti è stato immerso nella prassi attraverso il confronto di alcune esperienze in differenti ambiti lavorativi. La figura professionale dell’assistente sanitario è le autrici Maria Elisa Damiani, dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Bologna Gabriella Tritta, Staff educazione alla salute dell’Ausl di Modena numero 69 stata contestualizzata nell’ambito delle linee generali del Piano sanitario nazionale, del Piano sanitario regionale e del Piano nazionale della prevenzione, nonché delle diverse linee guida, programmi e leggi regionali dell’Emilia Romagna. Quindi si è parlato dell’organizzazione, pianificazione e realizzazione della pratica vaccinale: la somministrazione del vaccino è soltanto l’epifenomeno del percorso vaccinale e l’assistente sanitario esplica le sue competenze per promuovere negli utenti l’autodeterminazione e la partecipazione alle scelte di salute. La stesura di un regolamento, per la definizione dei ruoli e delle responsabilità riguardo alle procedure e alle fasi operative di gestione dell’ambulatorio vaccinale pediatrico, insieme a un gruppo di lavoro che integri le diverse competenze professionali e le diverse aree territoriali, sono strumenti essenziali nella prassi dove l’autonomia, la responsabilità e l’integrazione si realizzano. La peculiare competenza dell’assistente sanitario emerge, però, anche durante le emergenze, in quanto è l’operatore in grado di garantire, con elevati livelli di autonomia e di responsabilità, gli interventi di prevenzione diretta, inchiesta, sorveglianza e controllo, informazione, educazione e counselling sulla persona, sulla famiglia e sulla collettività. La specifica competenza deve trovare adeguata valorizzazione in un contesto di integrazione con le altre professionalità, data la complessità delle situazioni e l’evoluzione promozione di stili di vita sani. In questo scenario si inquadra il progetto “Provincia Senza Fumo” dell’Azienda Usl di Piacenza, che si realizza tramite iniziative con gruppi omogenei e di comunicazione di massa, e specificatamente attraverso la prevenzione nelle scuole, la collaborazione dei medici di medicina generale, la promozione dell’astensione dal fumo negli ambienti sanitari, il centro Zefiro per imparare a smettere di fumare. Anche in questo ambito autonomia e responsabilità sono strettamente correlati all’integrazione: infatti le azioni vedono l’interessamento di diversi alleati locali. Nell’ambito della pediatria di comunità, un problema emergente è la gestione dei bambini, principalmente stranieri, affetti da patologie croniche. In questo ambito l’autonomia e la responsabilità professionale si esprimono attraverso la pianificazione degli interventi, la definizione delle priorità da esplicitare, la competenza nel fornire risposte appropriate e scientificamente corrette, la conoscenza delle tecniche e la capacità di supportare la famiglia. Grazie all’accurata conoscenza del territorio e delle sue risorse, l’assistente sanitario costruisce Un occhio di riguardo insieme alla famiglia una rete di collegamenti e di Il Decreto ministeriale 69 del 1997 sul profilo profes- solidarietà che consente a sionale dell’assistente sani- quest’ultima di muoversi tra i servizi e di non sentirtario conferisce un vasto spazio alla funzione educa- si soli. È qui che si esplica tiva, ossia all’attuazione di in modo significativo il precise metodologie che sti- concetto di interazione fra molino l’interiorizzazione e professionisti, non solo sanitari, ma anche della l’assimilazione delle inforscuola, dei servizi sociali, mazioni finalizzate alla continua delle conoscenze. Un caso particolare in cui l’assistente sanitario si è rivelato strategico è quello degli accertamenti sul controllo del rischio biologico negli studi professionali odontoiatrici, che si attiva con la valutazione delle procedure e delle modalità applicative. Il controllo ha evidenziato che il principale fattore di rischio in ambito odontoiatrico per la trasmissione di infezioni è l’adozione di comportamenti non corretti e in particolare l’erroneo utilizzo degli apparecchi di sterilizzazione, la sequenza sbagliata delle operazioni, la scarsa consapevolezza del significato delle diverse azioni, comportamenti che possono essere migliorati dopo le verifiche effettuate. Ci sono poi ampi studi di popolazione, come lo Studio Argento, indagine sulla salute nella terza età in Emilia Romagna, lo Studio Quadri, indagine nazionale sulla qualità dell’assistenza alle persone con diabete, e Passi (vedi Snop 68, “Passi… avanti nella salute”), prima studio e ora sistema di sorveglianza indagine nazionale sugli stili di vita, in cui l’assistente sanitario può dare un contributo vitale. 43 della questura, dell’Ufficio stranieri, dei patronati e degli enti di volontariato. Un’ulteriore responsabilità è la presa in carico, anche con la semplificazione dell’accesso ai servizi, di gruppi di popolazione caratterizzati particolarmente vulnerabili, come Sinti e Rom. In questo ambito lavorativo responsabilità significa compiere un salto di qualità nell’ero- gazione delle prestazioni sanitarie nella prevenzione, privilegiando l’aspetto comunicativo e relazionale. Oltre a prendersi in carico la persona e la famiglia nella sua globalità, occorre fornire una prestazione professionale qualificata, competente e appropriata rispetto a indicazioni evidence based. Per costruire un rapporto di fiducia serve un atteggiamento di ascolto e di osservazione, rinunciando temporaneamente alle proprie convinzioni. In questo caso la responsabilità sta nel rendere ragione della propria competenza professionale specifica per facilitare la famiglia, la donna, la madre, il capofamiglia a scegliere intenzionalmente se affidarsi o meno a un servizio, per costruire una rete di relazioni tra i diver- si organismi istituzionali, e non, in grado di rispondere con loro ai loro bisogni. Resta la convinzione che le complesse problematiche da gestire nella prevenzione vadano affrontate con il miglioramento delle competenze dei singoli professionisti, valorizzate in un contesto di autonomia e responsabilità, ma anche di integrazione nei servizi e alleanze con i cittadini. 44 vita da snop • numero 69 La parola a… Ambiente e salute: ritorno al futuro Marcello Panarese preso in considerazione a sufficienza negli attuali interventi normativi. Nell’ambito dei programmi di azione comunitaria sulle malattie ci sono stati diversi interventi connessi all’inquinamento, alla promozione della salute e al monitoraggio sanitario: il programma d’azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2003-2008) è un nuovo e fondamentale strumento alla base della strategia della Comunità europea in proposito. Nel contesto del Sesto programma quadro, la ricerca su ambiente e salute può essere finanziata nell’ambito di varie priorità tematiche: qualità e sicurezza dei prodotti alimentari, sviluppo sostenibile, genomica e biotecnologie per la salute, nanotecnologie e nanoscienze. Per la prima volta, il programma di lavoro del Centro comune di ricerca europeo prevede un’area scientifica integrata su ambiente e salute a cui si l’autore aggiungono varie azioni dirette. Marcello Panarese Gli obiettivi del Piano saniCoordinatore nazionale tario nazionale 2002-2005 Arpa - Fp Cgil si limitano ad affrontare a definizione del rapporto tra ambiente e salute dell’Oms comprende «sia gli effetti patologici diretti delle sostanze chimiche, delle radiazioni e di alcuni agenti biologici, sia gli effetti (spesso indiretti) sulla salute e sul benessere dell’ambiente fisico, psicologico, sociale ed estetico in generale, compresi l’alloggio, lo sviluppo urbano, l’utilizzo del territorio e i trasporti». È il percorso complesso di tutte le azioni di intervento e gestione realizzate a tutela della salute. I dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, dell’Oms e di varie istituzioni scientifiche nazionali dimostrano che molti problemi in campo ambientale e sanitario hanno origine da un’interazione tra ambiente e salute che è molto più complessa di quanto si possa pensare. Tutto questo non viene L numero 69 Lo stretto legame tra ambiente e salute è sempre più evidente e complesso di quanto si possa pensare. Le norme che prendono in considerazione questi problemi non sono però sufficienti. Le Agenzie regionali per la prevenzione e l’ambiente, avendo le capacità tecniche e scientifiche necessarie, devono svolgere un ruolo di primo piano nella programmazione della prevenzione e in particolare nella tutela dell’ambiente e della salute. Ecco una proposta basata su una nuova coscienza collettiva della prevenzione e più adatta alla complessità scientifica necessaria. solo alcuni temi, trattati per di più in maniera disorganica: la prevenzione, infatti, è affrontata solo dal punto di vista medico e dell’affermazione di corretti stili di vita. Ancora una volta si giustifica così l’arretratezza culturale in materia e le gravi ricadute sulla qualità della produzione normativa e di programmazione dello Stato e, di conseguenza, anche delle Regioni, in materia di prevenzione. Le Agenzie regionali per la prevenzione e l’ambiente (Arpa) sono chiamate a rispondere, insieme ai dipartimenti della Prevenzione, alla program- mazione dell’attività sanitaria della prevenzione in Italia. Sono quindi strumenti della pubblica amministrazione per la tutela dell’ambiente e della salute. Hanno le capacità tecniche e scientifiche necessarie al controllo qualitativo e quantitativo delle matrici ambientali, alla valutazione tecnica e scientifica dei progetti a supporto degli enti locali e all’attività di prevenzione alla diffusione di agenti nocivi alla salute. Nel corso degli anni, però, le Arpa non hanno affermato la giustezza del modello referendario, anche per l’assenza di un’idea guida in grado di spe- 45 cificarne meglio il ruolo e l’integrazione delle la funzione. istanze ambientali e saLe Arpa, insieme a quasi nitarie in politiche che tutto il settore della prehanno ripercussioni divenzione sanitaria, soffrono rette o indirette su quedella distrazione di risorse sti temi, prestando partiverso l’ospedalizzazione colare attenzione all’adella salute e della vaghezspetto preventivo za della propria ragione d’esistenza. la comprensione integrata del ciclo degli inquinanti, per valutare possibili scenari di rischio Una proposta di lavoro 46 deguatezza dell’attuale modello organizzativo delle Arpa. Il modello organizzativo non potrà che essere coerente con l’evoluzione subita dalle strutture della prevenzione del nostro Paese, senza nessun ritorno al passato, ma modificando un’esperienza che sta mostrando tutti i suoi limiti. Non è pensabile che le Arpa rientrino nelle Ausl, dalle quali il quesito A più di dieci anni dal refe- l’integrazione della nor- referendario le aveva staccate. Sarebbe utile invece rendum del 1993, che ha mativa, per contrastare abrogato le competenze Usl la frammentazione delle una soluzione che confermi in materia di ambiente azioni prodotta dalle at- e consolidi anche dal punto di vista scientifico la dando vita alle Arpa, è tuali norme. necessità di integrare comnecessario discutere della petenze ambientali e saninecessità di un nuovo qua- È interessante riflettere tarie nell’ambito del sistedro normativo della presull’integrazione dei sogma sanitario nazionale e venzione a livello nazionale getti interessati, perché e periferico. istituire una struttura pub- regionale. Sulla base di una nuova blica unitaria con all’inter- Il modello generale dell’organizzazione territoriale coscienza collettiva della no tutte le professionalità prevenzione si dovrà ragio- utili alla vigilanza sanitaria delle strutture integrate di nare su un modello orgae ambientale (in particolare tutela e prevenzione delnizzativo del settore che sia l’attività antinfortunistica e l’ambiente e della salute dovrà nascere dall’assunpiù adatto alla complessità della medicina del lavoro), zione degli obiettivi di tutee al livello di approfondiin grado di promuovere il la e prevenzione nei Piani mento scientifico necessacoordinamento con il sanitari regionali a cui querio. Dagli studi e dai docu- mondo accademico e le menti di indirizzo comuni- organizzazioni scientifiche ste stesse strutture dovrantari, oltre che dalla storica e non governative, è l’unico no dare risposta. La loro maturazione delle esperien- vero supporto possibile per efficacia dovrà essere determinata attraverso la ze e delle battaglie a tutela le amministrazioni naziodefinizione di un modello della salute, nasce un nali, regionali e locali, il minimo di articolazione di approccio integrato su sindacato e l’industria in ogni struttura dipartimenambiente e salute, che grado di dare risposta implica: reale alla complessità degli tale provinciale, da indicare nelle leggi che ordinano obiettivi. il Servizio sanitario naziol’integrazione delle nale e i Servizi sanitari informazioni, ovvero regionali. In tal modo si mettere in relazione le L’unione fa la forza eviterebbe che con semplici conoscenze disponibili, atti si possa snaturare il per fornire una panora- La necessità di adeguare legame fra strutture e terrimica strategica dei peri- tutte le strutture che opecoli per la salute insiti rano sui temi della salute e torio creando, invece, le necessarie sinergie di internell’ambiente dell’ambiente alle azioni indicate nella pianificazio- vento sia sul campo l’integrazione delle atti- ne nazionale e comunitaria ambientale che su quello della prevenzione sanitaria. segue il percorso di rispovità di ricerca nei proA questo proposito il grammi di studio con te- sta alla richiesta di tutela diffondersi di varie forme della salute e dell’ambienmatiche riguardanti te, rivelando l’evidente ina- di illegalità all’interno del l’ambiente e la salute mondo del lavoro toglie capacità di controllo al sindacato e ai lavoratori. Inoltre, chiama in causa le Regioni, a cui compete la responsabilità sul lavoro, sulla salute e la sicurezza e a cui si chiedono impegni precisi sul quadro legislativo, sulle modalità di incentivazione alle imprese e su tutta la partita della responsabilità della prevenzione, dei controlli e delle sanzioni. Questa proposta lega strettamente l’obiettivo della difesa delle matrici ambientali alla tutela della salute dei cittadini in forma preventiva, consentendo anche di sostenere autorevolmente il rapporto con le amministrazioni pubbliche verso cui queste strutture avrebbero una naturale proiezione. Aprire un dibattito sul futuro della prevenzione in senso lato, coinvolgere tutte le strutture e gli operatori interessati, ragionare su un modello organizzativo integrato della prevenzione vuol dire anche affrontare in positivo il problema del reperimento delle risorse per i livelli essenziali di tutela e assistenza, piuttosto che con quelli del taglio dei finanziamenti e dell’esternalizzazione di attività di esclusiva competenza del settore pubblico. la parola a … • numero 69 La parola a… Quando la malattia crea la differenza Luigi Sudano a monotonia del concetto è sempre la stessa: promuovere le vaccinazioni significa favorire le ditte farmaceutiche o compiere un’azione sociale? Sono anni che questo dibattito divide gli operatori del settore e infervora gli animi. Purtroppo, però, si assiste sempre più spesso a una banalizzazione spiccia di queste due posizioni. Che i vaccini siano nati per sconfiggere le malattie è un fatto risaputo. Quando è stato messo a punto il primo vaccino, però, esistevano reali necessità e, sia pur con l’umano scetticismo, furono accettati e considerati l’invenzione del secolo. Oggi se un estremista, di qualsiasi setta religiosa o ideologia politica, aprisse la fatidica busta in una stazione della metropolitana di una qualsiasi città, pro- L l’autore Luigi Sudano, responsabile Servizi attività vaccinali Ausl Valle d’Aosta numero 69 prio mentre arriva la lunga fila di vagoni che sposta una pari massa d’aria, i nostri servizi sarebbero tempestati di telefonate di gente che decide spontaneamente di vaccinarsi per le malattie più strane. Eppure, le malattie per cui, presi dal panico, intendiamo vaccinarci, da noi non circolano. Analogamente, se scoppia qualche caso di una malattia “X” in una scuola, i genitori non solo tengono a casa i loro figli, ma chiedono (anzi, pretendono) che siano immediatamente vaccinati. Se esistesse un vaccino contro i pidocchi possiamo scommettere che la ditta produttrice sarebbe ai vertici dei titoli in borsa. Questo tipo di situazioni, che rischiano di creare problemi enormi sia dal punto di vista della copertura vaccinale sia da quello economico, si possono risolvere in due modi. Il primo è la linea dura, ancorata a concetti di risparmio: una solida giustificazione che però, di fronte alla salute, perde la propria solidità e che rischia di essere un boome- In un momento in cui si sta discutendo se abolire l’obbligo di legge per le vaccinazioni, serve una riflessione profonda sugli aspetti economici di quello che è il cardine fondamentale della prevenzione. Da sempre ci si chiede se promuovere le vaccinazioni sia compiere un’azione sociale o promuovere i guadagni delle ditte farmaceutiche. In una società civile che mira a traguardi di salute reali per la popolazione serve però una posizione radicalmente diversa sulla cultura della prevenzione, al di là delle valutazioni economiche o dell’impegno del personale. rang sia per il decisore politico sia per l’operatore assalito da uno stuolo di genitori. Il secondo, sposato dalla maggioranza, è stabilire a monte che i vaccini siano l’unico rimedio valido per evitare certe malattie. Risparmi, ma di chi? La linea dura deve prepararci a fronteggiare le persone convinte dell’utilità delle vaccinazioni, che si stupiscono dell’incoerenza tra ciò di cui dispone la scienza e ciò che l’uomo trasforma in una scelta economica di fronte alla salute, bene sancito anche dalla Costituzione. All’operatore, soggiogato dal decisore a seguire la linea dura, il convinto genitore dirà: «Se io non vaccino mio figlio, tu risparmi i soldi del vaccino, ma spendi quelli per le medicine se mio figlio poi si ammala. E per continuare a farti risparmiare soldi, mi devo anche pagare il vaccino». A questo punto chi si occupa di vaccini riflette su quanto ha imparato nelle più qualificate sedi scientifiche sulle modalità di diffusione delle malattie, sugli R con zero e su quel pallino arancione che trasmette la malattia ad altri due, tre, 47 48 servono a poco. O ancora, se vogliamo favorire, ancora di più di quanto non abbiamo già fatto, la nascita delle medicine alternative. E come reagiranno le donne che dovranno pagare per non rischiare di avere un tumore della cervice? In una società civile che mira a traguardi di salute reali per la sua popolazione è necessario assumere una posizione radicalmente quattro pallini verdi. E sco- lusso di spendere dei soldi diversa sulla cultura della prevenzione, al di là delle pre una sorta d’incoerenza. per vaccinare il proprio figlio. valutazioni economiche o Poi, inevitabilmente, sale Personalmente ci leggo la dell’impegno del personale. alla mente quello che si potrebbe definire il concet- più grande incoerenza, e il Alcune categorie di medici dubbio etico su certe decidevono essere pagati di più to “sociale” delle vaccinaper vaccinare, per compiezioni: vaccinarsi è mostrare sioni mi assale e mette in una coscienza sociale verso dubbio la mia appartenen- re un loro dovere, sia etico gli altri, in quanto si inter- za a un servizio. Mi chiedo che istituzionale. Abbiamo bisogno di dare soldi in più rompe l’eventuale trasmis- perché sono pagato per dare un servizio e quale per raggiungere certi obietsione della malattia. servizio fornisco alla mia tivi, che dovrebbero essere Il “povero operatore” si raggiunti solo ed esclusivatrova spesso a dover fare i popolazione se devo farla pagare. Mi domando se mente attraverso un’estenconti in tasca ai genitori, non sarebbe meglio chiasione democratica della prima di vaccinare il loro bambino. Parallelamente, i marlo negozio piuttosto che cultura della prevenzione servizio d’igiene pubblica. (altrimenti detta sensibilità “normopensanti” stanno facendo notevoli sforzi che Applicando tariffe differen- professionale). A volte ziate o criteri diversi nel applicare criteri di costoper estendere a tutta la beneficio sulla prevenzione popolazione ogni interven- somministrare un vaccino to preventivo, anche a quel- (il povero non paga, il ricco è una nota stonata che crea sì), mi sembra di essere un’abominevole incoerenza lo zoccolo duro che nessuuna sorta di Robin Hood sul concetto stesso di preno riesce a raggiungere (il nella foresta di Sherwood, venzione. Il personale che salto dal 90 al 95% di contro il mio decisore, lo manca lo si può assumere copertura). Non da ultimo sceriffo di Nottingham. in deroga, oppure si può il Centro per il controllo e evitare a monte di rilasciala prevenzione delle malatre pareri favorevoli sulla tie del ministero della concessione dei part time. Salute, che più che proScegliere O ancora, si può evitare di muovere l’intervento predove investire collocare, in certi posti, ventivo in sé (ogni Regione personale che ha diritto di sta operando nel più ampio Bisogna poi chiedersi se concetto di federalismo) vogliamo fermare la scienza accedere a questo benefipersegue proprio l’obiettivo o interdire la ricerca scienti- cio, il che crea inevitabilmente disservizi e malanidi raggiungere anche la fica, che per il 90% viene quota di popolazione che realizzata dalle ditte farma- mi verso chi deve fare, sfugge a quell’intervento. ceutiche. Oppure se voglia- oltre al proprio, anche l’altrui lavoro. Una direzione Nonostante ci sia ancora mo rafforzare i concetti qualcuno che si chiede degli antivaccinatori, che si che non è in grado di quali siano le fasce di sentiranno ancora più auto- discernere questi elementi andrebbe penalizzata, al popolazione più deboli che rizzati a sostenere che le non possono permettersi il vaccinazioni non servono o pari dei propri dipendenti o di un magistrato che si renda causa di un errore di giudizio. In un momento in cui si sta discutendo se abolire l’obbligo di legge per le vaccinazioni, penalizzare in questo modo un settore così delicato rischia di produrre un effetto perverso e disincentivante. Come si può immaginare di far pagare ciò che, istituzionalmente e come obbligo morale e sociale, è il cardine fondamentale della prevenzione? Ci si interroga sulle strategie vaccinali quali migliori elementi per raggiungere uno scopo nobile. In assenza di una strategia, però, perché non studiata o perché non ritenuta necessaria, si lasci la possibilità di una libera somministrazione, sia pur condizionata dalla scelta del genitore. Per la sanità è un segnale di efficienza e di sensibilità etica. la parola a… • numero 69