Pubblicazioni
Antologia di scrittori garibaldini - a cura di GAETANO MARIANI, Cappelli
Editore, Bologna, 1960
Opportunamente, nel momento storico che vede l'Italia faticosamente impegnata nel consolidamento di una delle peculiarità più congeniali al moto risorgimentale, la democrazia cioè, viene offerta dalla ricorrenza del Centenario dell'Unità, mediante una serie di manifestazioni alle quali sono interessati tutti
settori della pubblica informazione, la possibilità di un ripensamento degli
spiriti che al compiere dell'Unità presiedettero.
Ed un ripensamento dello spirito garibaldino, che fu quello intorno al quale
si enucleò buona parte, ed il più delle volte la più genuina, dell'azione risorgimentale è quanto di più consentaneo possa darsi, al di fuori dei vieti schemi
introdotti nelle coscienze nell'ultimo quindicennio di vita politica, alla democrazia in atto. Che è inserimento, come soggetto di storia, nel corpo della
nazione elaborante i propri destini, del popolo meridionale (ci si consenta la
dichiarazione, non certamente sollecitata da una falsa valutazione etnica), alla
luce dello spirito garibaldino che fu capace di consegnare una coscienza all'allora
più derelitto troncone di questa nostra Patria.
Un ripensamento del garibaldinismo tanto più agevole appare oggi, in clima
di celebrazioni e ad un secolo di distanza dagli avvenimenti ai quali dette luogo,
quando gli animi rasserenati possono con obiettività considerarne le più svariate
ed apparentemente difformi circostanze, con la messe di studi, memorie, ricerche
e monografie che man mano vengono alla luce.
Arduo, allo stato attuale delle cose, un censimento, arduo e, non è inutile
aggiungerlo, superfluo : come un filo che regolarmente si sdipana sotto i nostri
occhi, appassionatamente, vediamo di giorno in giorno recar contributi, da
parte di studiosi, ad un argomento che mai ha cessato di interessare e per il
fascino che promana dall'uomo, Eroe tra i più schietti dell'epica risorgimentale,
e per le idee e realizzazioni che l'uomo impersonò.
Ci sia concesso intanto segnalare alcune pubblicazioni d'indiscutibile interesse :
tutto il fascicolo del maggio 1960 de L'Osservatore politico e letterario dedicato
all'impresa de « I Mille », nel fascicolo di giugno della stessa rivista : Nuovi
documenti sulle navi dei Mille, nel fascicolo di agosto un pregevole discorso su
Garibaldi di Riccardo Bacchelli; nel primo fascicolo del 1960 della Nuova Rivista
Storica: Lo scioglimento dell'esercito meridionale garibaldino per Franco Molfese; ampi resoconti e studi di carattere garibaldino su Il Veltro, la cordiale
rivista della « Dante », nel fascicolo di agosto-settembre 1960; articoli, durante
tutta l'annata 1960, nella Nuova Antologia, tra i quali ricordiamo per la cospicuità
quello di Ferdinando Di Lauro su La campagna di Garibaldi nell'Italia meridionale.
Si può dire che tanto le riviste specializzate quanto quelle d'informazione hanno
recato ampi contributi all'argomento e se si tien conto del fatto che anche i
rotocalchi, in una maniera divulgativa e fondata particolarmente sulla documen-
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tazione iconografica si sono prodigati, il quadro è davvero confortante ! I congressi (da non trascurare quello di Storia del Risorgimento, concluso, giustamente,
a Palermo e a Napoli con relazioni da cui sono scaturite fondamentali acquisizioni), le mostre, a carattere bibliografico ed iconografico, la radio, la televisione,
il cinema. Tutta un'ansia di aderire, senza preconcetti che non siano quelli deil'avveduta investigazione scientifica, ad avvenimenti nello svolgersi dei quali la
fede dì un popolo, che mai aveva cessato di credere nei propri destini, compì
il miracolo dell'Unità della Patria.
Anche l'editoria si è naturalmente impegnata, ma è all'Antologia di scrittori
garibaldini, curata da Gaetano Mariani che intendiamo adesso dedicare la nostra
attenzione.
Già gli scrittori garibaldini avevano avuto una loro sistemazione nell'antologia curata con ottima determinazione nel 1948 da Giani Stuparich per l'editore
Garzanti : cominciava a farsi strada il concetto di una letteratura garibaldina,
sulla scorta di alcune precise indicazioni crociane, ma il numero degli scrittori
era stato limitato a sei, ché intendimento dello Stuparich era stato « di raccogliere scritti che si facessero leggere da un lettore moderno soprattutto per un
certo valore narrativo »: e la statura degli scrittori esemplati rispondeva pienamente allo scopo. Restava pertanto tagliata fuori tutta una congerie di testimonianze, alcune delle quali, per altro programma, trovarono ospitalità nell'Antologia di memorialisti dell'Ottocento, in due tomi, curata per l'Editore Ricciardi
da Gaetano Trombatore. I garibaldini venivano così inquadrati, e l'angolo di.
visuale non è criticamente privo di una certa suggestione, nella ricca memorialistica del secolo scorso.
Lo scopo dell'antologia del Mariani, che è fine intenditore di poesia, non è
diverso, in sostanza, da quello dello Stuparich, se il curatore dichiara che non
era suo compito fornire una valutazione del garibaldinismo sul piano storico
politico e che nella sua antologia « S'è voluto far posto anche a uomini che, sia
pure per un attimo si sentirono scrittori, capaci di trasmettere quelle sensazioni
che avevano provato nel vivo della battaglia o dinanzi al leggendario condottiero »: uomini, se scrittori di professione o giornalisti tanto meglio, ma uomini
che al cospetto di avvenimenti che travalicano l'umana comprensione reagiscono
con i più immediati moti dello spirito.
Così accanto a pagine note e tecnicamente elaborate altre se ne incontrano
meno note e frettolosamente stese, sotto l'urgere delle emozioni, con una
prosa scarna e disadorna, ma non per questo meno idonea alla necessaria resa
spirituale. Si pensi alla commossa pagina, tratta dal Giornaletto di campo, in cui
Giovanni Cairoli ricorda con angoscia la morte del fratello Enrico; si pensi alle
pagine scanzonate, tratte dai Ricordi di un garibaldino in cui il chirurgo Giovanni
del Greco, Veritas in letteratura, descrive con una prosa agile e tutta cose la
marcia da Palermo a Milazzo.
Si pensi, e con un senso di legittima soddisfazione, al Torna dei Ricordi di
un orfano, che qui sono esemplati con alcuni dei loro tratti migliori. (A quando,
prof. Vallone, una nuova edizione dell'aureo libretto del pittore galatinese?).
Quel che prova la validità della scelta operata dal Mariani è l'appassionata
introduzione nella quale l'antologista riesce, da par suo, a dimensionare, mediante alcune sagaci intuizioni critiche, il posto che merita la letteratura garibaldina nel più vasto quadro degli spiriti e delle forme caratterizzanti la narrativa
e l'arte dell'Ottocento; originale e non privo d'interesse, in tempi come i nostri
in cui si fa in letteratura — con la pretesa di produrre nuovi e più consoni ai
tempi elementi di tecnica narrativa —, l'accento sulla scoperta del dialetto da
parte degli scrittori garibaldini per una più immediata adesione al fatto narrativo : « I nostri garibaldini non hanno naturalmente (salvo in qualche momento
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Abba) una coscienza letteraria così scaltrita da affrontare in pieno il problema
del rapporto lingua-dialetto, ma ne sentono l'urgenza ». Che è una indicazione
da non trascurare da chi vorrà riprendere, un giorno, il discorso intorno alla
letteratura garibaldina laddove è stato lasciato da critici che pur con gusto si
so-no interessati al capitolo letterario del quale con tanto acume oggi il Mariano
ci sottopone una scelta di testi.
Gli autori esemplati, diciotto in tutto (e non si può davvero dire che il quadro
sia incompleto, di qualche esclusione, come quelle del De Roberto, del Faldella,
del Pratesi, del Cadolini il Mariano avendo giustificato la necessità), di volta in
volta sono introdotti da calzanti medaglioncini completi di aggiornata bibliografia che nell'insieme rappresentano altrettanti orientamenti per penetrare il
più costruttivamente possibile nel vivo delle pagine offerte.
E' assente, in ogni caso, da questo libro, che degnamente trova 'posto nel
fatto commemorativo, il freddo rigore accademico dell'antologista che intende
esemplare momenti di letteratura o documenti di storia; c'è invece il calore
umano di uomini che, con azioni di guerra, che il più delle volte i politici — fuorviati dal giuoco lucido ed inumano imposto dalla ragione di stato — considerarono inframmettenza cercando ad ogni costo di neutralizzarne la portata,
ambirono ad essere veicoli di amor patrio per le generazioni che sarebbero venute
dopo di loro.
ENZO PANAREO
di SANT 'ANDREA " La cannula „ Lecce, Società Editrice " Risorgimento „ 1960, pp. 280
A. GORGONI
Chi sa che non ci sia una segreta riserva pirandelliana tra un titolo, franco
,e spregiudicato (residuo di un buon realismo tardo ottocentesco) e i versi,
estatici e assorti, di Dante (Par. XXXI, 88-90), con cui si apre il romanzo: La tua
magnificenza in me custodi, con quel che segue.
Il Gorgoni, è chiaro, è alla sua prima prova, al suo primo tentativo di
narratore : è chiaro, perché un narratore più esperto, con un « mestiere » più
adatto avrebbe più adeguatamente dosato le sue forze, misurato le sue possibilità
o concretato gli effetti nei punti chiave del romanzo. Qui invece la materia è
molta (anche se s'indovina un intenso lavoro di potatura); la generosità con cui
si affrontano i tempi sempre aperta, cordiale, convinta. Vicenda storica e travaglio
spirituale, esperienza di cose e uomini e parentesi « mediche », questo ed altro,
tutto si mescola, si rifonde, si affaccia infine dinanzi alla coscienza dei personaggi.
Più sotto ancora si legge e si scopre un altro impasto, ora più felice ora meno,
tra istintività (un certo vigore giovanile represso, ma non adugiato dall'età
matura) e cultura. Già, proprio cultura letteraria in un buon medico che ha
studiato a Napoli, ove le combinazioni medico-letterarie non sono una cosa nuova.
La coltura del Gorgoni, come s'indovina nel romanzo, è varia, anche se limitata
al romanzo e al racconto moderni : un'accensione di tono o cadenza fa pensare
a D'Annunzio, un'impennata polemico-politica a certe pagine eloquenti e focose
dell'Oríani e di certi diaristi, la compiacenza di un realismo prepotente e vigoroso alle tante pagine « mondane » tra Da Verona e Mariani, certo gusto ironico
e caustico (forse la cosa migliore ne La cannula) alle suggestioni di Campanile e
di altri romanzieri umoristici (eletti e mediocri, come si vede, ma tutto fa
storia). Eppure in una vicenda così complessa, varia e mutevole non c'è romanzo;
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ci sono pagine belle e persuasive, ma non unità. Né certo noi parliamo dell'unità
che nell'Ottocento si ricercava nella trama, ma di quella che consegue o vuole
ogni opera pensata nel suo insieme. Bisogna allora leggere il romanzo come opera
sciolta, come antologia di parti. Se il lettore acconsentirà, noi vorremmo indicargli
le prime e ultime, ove appunto, nel piacere di una bella lettura, sentirà anche
le sbalzanti qualità di questo narratore.
Ad ogni modo le pagine più propriamente « polemiche » (e non perché ivi
si faccia polemica), tra tutte, sono quelle che meno ci convincono.
Crediamo in sostanza e in tutta buona fede di aver scoperto un novelliere
nel romanziere. Se così è (ma può anche non essere), il Gorgoni ha una sua via
da percorrere.
ALDO VALLONE
NEMO l'EBANO, Da un ponte sul _Po,
Carpena editore, Sarzana, 1961.
Contro la poesia discorsiva, parlata, prosastica o prosaica, s'appuntano gli strali di
tanti critici messi di malumore dalla valanga di libri di poesia che si pubblicano in questi
anni. Riguardo al tono, essi possono trovare sostegno nell'autorità del Carducci, che già ai
suoi tempi disse che la poesia non ha « ragion d'esistere se non con l'intonazione montata almeno d'un grado su la prosa ». Riguardo ai contenuti, spesso davvero grezzi e im-poetici, essi invocano il carattere metaforico della poesia, che rifugge dalla realtà così com'è,
dalle impressioni e dalle passioni non ripensate e rielaborate nella catarsi dell'espressioneartistica. Questi critici hanno delle ragioni dalla loro parte ma hanno anche, a nostro av7-,
viso, almeno due torti. 11 primo è quello di voler far credere che l'innocua stampa di
qualche centinaio di libretti scritti in versi e dalla tiratura forse appena sufficiente a soddisfare i classici venticinque lettori -possa dar luogo a chi sa quale marasma culturale e di
costume. Diamine, in tanto spaccio di carta stampata che si fa oggigiorno, si trova a ridire proprio su una sparuta pattuglia che ha, se non altro, il merito di documentare un nobile e difficile esercizio dell'espressione umana, quale appunto la poesia. E quest'esercizio
è oggi così diffuso perchè la poesia è scesa dall'Olimpo a prestare il suo linguaggio anche
a un diario, a una confessione, a una serie d'appunti, a un resoconto di viaggio ecc., e
cioè ad argomenti per tradizione tenuti molti gradini più in basso della poesia o stimati,.
tutt'al più, adatti alla poesia giambica o satirica. L'altro torto è quello di condannare in
blocco la poesia delle cose », degli oggetti, dei fatti (un poeta recentemente ha intitolato,
i suoi versi « Come stanno le cose »). Ma, senza scomodare il Manzoni (per il quale « i fatti,
appunto in quanto conformi alla verità per dir così materiale, posseggono al più alto gradoil carattere del vero poetico »), vediamo qualche precedente in tale genere di poesia
Sul tetto di una casa cresce l'erba,
come sui .resti di un incendio. Pochi
passi più in là c'è il. Pastificio, il rosso
suo fumaiolo. Ma la giostra suona
all'ultima miseria delle cose,
alle merci che sembrano rifiuti
Come diverso il giovane barista,
pure nato di te, da te si sente
Mi fa un caffè come un trionfo, e i buoni
occhi in volto gli ridono sportivi.
Sono cose, fatti, per l'appunto, e li ha messi in poesia Umberto Saba nel 1934. Chi si
sognerebbe di dire che non son poesia ? Perchè sono sentimenti senza scorie, immagini vive come in una pittura, rappresentazioni di cose conformi alla verità materiale ma aventi
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anche in sè quel « vero poetico » di cui parla il Manzoni. Dunque bisogna distinguere tra
cose che vivono e rivivono poeticamente e cose che invece restano inerti come in un dizionario. Un pastificio è nient'altro che un pastificio e un caffè preso in un bar di sobborgo
è nient'altro che nn caffè; tutto .sta a trovare in quelle cose la « verità » di cui si diceva.
Certo è innegabile che. la poesia che s'è andata affermando in questi anni è ricca di sentimento poetico, ma povera di arte. Vi predomina il contenuto a scapito della forma, l'urgere
dei temi è andato di pari passo con l'indifferenza alla l'orina. Ma queste son constatazioni,
e la critica non ha che da prenderne atto e indagarne ragioni e sviluppi.
S'è fatto tutto questo discorso a proposito del libro di Nerio Tebano, Da un ponte
sul Po, ch'è un caso proprio di nudo diario poetico scritto da un meridionale emigrato
da Taranto a Torino per cercarvi lavoro, e che annota in foglietti di versi scarni e dolenti
momenti di nostalgia, di sconforto, di solitudine, incontri con gli operai meridionali, quadretti della sua vita di boh!n?e. Il tono è tanto dimesso che rare volte sale di quel famoso
grado sulla prosa, che il Carducci riteneva necessario alla poesia.
Molto spesso si tratta di un discorso comune e umile, franto in piccoli versi che accennano appena a un ritmo :
Non so dire la solitudine
delle camere d'affitto,
lo squallore.
Persino la mia voce
mi è estranea.
La padrona di casa,
quando esce per la spesa,
blocca il telefono
e chiude il contatore
dell'acqua.
È la rinuncia ad ogni parvenza di discorso lirico in favore di un lirismo interiore che
vive e si compiace di questa rinunzia assoluta alla letteratura, alle immagini, ai suoni.
Un discorso a zero che ha, tuttavia, qualcosa di fiabesco, come una fiaba racccontata a sè,
stesso :
La soffitta
dove abito ora
è in cima
a un'enorme scala
d'un vecchio palazzo.
Vivo nell'attesa
delle lettere
che tardano ad arrivare.
La Puglia è distante
più di mille chilometri.
Credo che non ci si possa armare di severità di fronte alla poesia di Tebano, e sfoderare argomenti per abbatterla o per negarla. Il suo è un libro che vuol esser « letto » con
lo stesso animo disarmato e dimesso con cui l'autore l'ha scritto. E nemmeno forse si può,
dire : questa poesia è più poesia, questa meno. Perchè è un libro unitario, una lettera da un
esilio, nella quale però il documento umano non è mai tanto nudo e assoluto da soverchiare
un sincero sentimento poetico. E del resto, forse sarebbe il caso di chiederci col Croce :
« come può essere nuda una espressione se è espressiva, e come può essere ornata, cioè,
caricata di un qualche cosa che sarebbe un dippiù dell'espressione, estraneo a questa ? »
il Meridione di Tebano è un'aspirazione, un mito gentile, un simbolo forse d'innocenza
e di fanciullezza, una terra d'Utopia, dove il sole e il mare sembra che proteggano gli uomini e
li conservino ad un'antica libertà
Più non sento
l'antica voce dei pescatori
correre dietro l'esodo
delle nuvole trascinate dal vento.
Invano cerco gli ulivi,
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i mandorli della mia terra.
Soltanto pagine consunte
di libri e di giornali
mi raccontano il Sud Ogni domenica vado alla stazione
a interrogare i volti di sole
della mia gente LUCIANO DE ROSA
DELIO DE LORENTIIS -
Rocce e macerie - Arti grafiche N. Schena - Fasano
di Puglia (s.. a.).
Decio De Lorentiis è un appassionato del Salento, delle sue coste, delle sue grotte preistoriche, della sua campagna silenziosa. La penisola salentina ha una sua romantica bellezza
selvaggia, incline a rivelarsi solo a chi. come De Lorentiis, la scruti e la interroghi profondamente, « scientificamente »: i monumenti megalitici, i resti fossili, i graffiti, le rovine
delle antiche torri di vedetta sono i difficili documenti di una storia che, per rivivere, ha
bisogno di conoscenza e di poesia insieme. All'intensa poesia « vissuta », egli ora ha voluto
aggiungere la comunicazione .« scritta », pubblicando una raccoitina di versi di cui, nella
premessa, ha esposto le ragioni. Una prima ragione è la dedica « ai vecchi marinai di Castro », per « ricordare la loro purezza ». Questi marinai « dignitosi sempre, sopratutto nella
loro povertà, sereni dopo le sconfitte (e furono tante) credettero nel mare, mezzo e fonte di
vita per le loro famiglie, e non lo considerarono mai un nemico. Accettarono la vita che il
destino loro offrì ed ebbero fede ». La seconda ragione (e s'intuisce quanto per lui sia vera)
è di dare ascolto « alle pene e alle sofferenze » della natura e di « tutte » le sue creature,
non solo degli uomini, che, a torto, « si sentono gli unici esseri capaci dello spasimo della
,sofferenza ».
De Lorentiis svolge i due motivi con semplicità e irnmedialezza di forma, certamente
«aderente al suo mondo. Ma, insieme, non sa staccarsi da una inspiegabile obbedienza ai canoni di certo linguaggio poetico convenzionale (del resto inutile), che troppe volte svia la
limpidezza e la sincerità dell'espressione, con toni aulici, con « ornati », con circonlocuzioni
rettoriche e senza vita. Così che ci si imbatte in parole fastidiosamente tronche (senza intima necessità formale) come : vision superba, raggi del sol. traggon, dell'uom, lor miseria,
sfarfallar le vele ecc; o in arcaismi come : vetusta, opra, tenzone, possanza, satisfare ecc.
Ma una volta sgombrata la lettura da questi intralci, il libretto mostra molti squarci limpidi e sentiti. Citiamo per intero questo « Ritorno », i citi versi finali così bene fondono
insieme la rapida visività della scena (la barca che rientra veloce al porto) e i pensieri del
vecchio pescatore :
La mano ferma sulla sbarra pronta
ad ogni cenno. Nella bocca nuda,
tremante allo sforzo ormai vano
delle gengive, la pipa esala
lieve filo di fumo.
Lieve come il respiro
che la alimenta.
Ma il cuore è fermo
eppure è fermo il polso.
Inclinata sull'onda che la spinge,
in una con il refolo violento,
la barca vola, preceduta
dal pensiero del vecchio
fisso alla pace della sua dimora.
LUCIANO
DE ROSA
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