Osservatorio
Piemonte
Op
Sett. ottobre 2012
Periodico indipendente
di politica e cultura
Sommario
Su questo
numero:
Arcipelago,
Matteo Renzi,
Cacciari e Ricolfi,
Gabanelli e
Conf-commercio,
Manzoni (Riky),
Ires Piemonte
e
Gilberto
Un numero un po’ travagliato questo, doveva uscire a settembre ma
una serie di impegni di alcuni redattori e il susseguirsi di eventi
politici che “invecchiavano” da un
giorno all’altro gli articoli ci hanno
costretto ad accorpare con il numero di ottobre l’uscita di OP.
Abbiamo cercato di proporre ai nostri lettori una serie di spunti di
riflessione che reputiamo interessanti e originali.
Dalle proposte politiche di Arcipelago un’associazione che vede fra i
principali promotori a livello di Piemonte e Liguria Carlo Viscardi di
Alessandria già dirigente della Margherita con cui da qualche tempo ci
confrontiamo, e a livello nazionale i
proff.ri Cacciari e Ricolfi.
Abbiamo poi riportato in maniera
pressoché integrale l’intervento di
Matteo Renzi a Torino il 12 ottobre
u.s. nell’ambito del tour per le primarie del Pd. Abbiamo dedicato
anche la copertina all’outsider perché riteniamo sia fra i “nuovi” politici che, con gli inevitabili limiti, ha
qualcosa di diverso, ed in parte
anche originale, da raccontare agli
italiani. Segue poi un articolo critico
su una trasmissione della Gabanelli
nella quale, riteniamo, un po’ superficialmente si propone l’abolizione del denaro cash a favore di
quello elettronico, critica corroborata da una studio di Confcommercio.
Una serie di brevi articoli sugli
sprechi in Regione Piemonte proposti da tutti i sindacati presenti nell’ente seguito da un estratto del libro sull’altra casta, quella dei sindacati.
Attraverso la seconda puntata dell’analisi storica del prof. Niall Ferguson vengono analizzati i motivi che
hanno portato, in questo periodo
storico, la cultura occidentale a
diventare egemone nella civiltà
contemporanea. Passiamo all’estero con il “nostro” prof. Manzoni
insegnante di Lettere che ci propone due articoli intriganti: “libertà di
parola o no? “ a partire dalle vicende di wikileaks e Assange in occidente e dalle Pussy Riot condannate in Russia per una manifestazione
contro Putin in una chiesa. Poi un
articolo sull’Europa che sta attraversando un periodo critico sotto il
profilo economico conseguente o
derivante dalle politiche economiche adottate. I contenuti dell’ultimo
rapporto della banca d’Italia con
particolare attenzione al “nostro”
Piemonte, proposto dall’Ires Piemonte. Infine le pagine di Gilberto
già prof. Universitario che ci propone fra le altre note anche una raccolta di detti celebri sulle banche.
Buona lettura.
Settembre - ottobre 2012
Osservatoriopiemonte
Periodico indipendente di politica, cultura, storia. - Aut. tribunale di Torino
n° 5554 del 2-11-2001 - Direttore Responsabile: Enzo Gino.
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Dalle isole alla nuova terra
...ricostituire
una nuova
terra
dove diritto,
politica,
partecipazione,
solidarietà,
merito,
amicizia, lealtà,
rispetto, delle
persone come
delle leggi
e del territorio,
siano il pane
quotidiano...
Nelle
pagine
successive troverete un documento dell’associazione politico
culturale
Arcipelago.
L’idea che muove l’associazione è quella di
creare un network, o se preferite,
una rete, fra le varie realtà locali
che “fanno” politica sul territorio.
Questa realtà è costituita da gruppi, associazioni o singole persone
che simili a tante isole si sono staccate dal continente dove grandi
partiti, parlamentari, gruppi di potere, lobbies, sempre più impegnati a difendere il particulare hanno
da tempo dimenticato il pubblico
interesse di tante persone che, per
questo, hanno preso la via del mare. L’idea di connettere quelle isole
che costituiscono ormai un arcipelago, magari andando anche a crearne dove non ce ne sono, ci sembra una buona idea.
L’obiettivo è quello di ricostituire
una nuova terra dove diritto, politica, partecipazione, solidarietà, merito, amicizia, lealtà, rispetto, delle
persone come delle leggi siano il
pane quotidiano. Dove il confronto,
la ragione e il sentimento siano
l’anima della politica; dove lo Stato
torni ad essere un interlocutore per
imprese, cittadini e non un soggetto sempre più dedito a perseguirle
o perseguitarle attraverso una burocrazia sempre più incomprensibile e sempre meno utile ad aiutarle
nei momenti critici. Un continente
che torni ad essere la sicura terra
dove fondare una società più giusta
in cui comuni ideali concorrano a
costruire condizioni di vita più serena per tutti.
Un progetto certamente ambizioso,
in una realtà che passa dalle urla di
chi denuncia sempre, senza mai
proporre soluzioni, alle silenziose
intese di coloro che fanno mercimonio di diritto e principi.
Per questo stiamo seguendo con
un certo interesse l’iniziativa di Arcipelago, per vedere se ha la
“stoffa” per diventare una affidabile
alternativa allo statu quo che francamente non ci piace. Per riuscirci
a nostro modesto parere, è necessario si attuino alcune condizioni
per conseguire qualche risultato
tangibile; di queste vogliamo far
cenno. Pur riconoscendo la necessità per l’associazione ad avere suoi
connotati politici comuni deve esser
garantita la massima libertà di espressione alle “isole”
Le isole non si devono “assimilare”
ma “federare”.
Sulla bandiera della federazione ci
saranno i valori di riferimento, che
sono quelli evidenziati ma ogni isola deve poter esprimere i propri.
Così i gruppi che si battono per la
difesa dell’ambiente, piuttosto che
quelli che la valorizzazione del territorio, o intervengono nelle realtà
sociali disagiate, quelli che tutelano
le diverse categorie sociali, dovranno esser interlocutori ma dovranno
poter continuare a fare il loro lavoro. Sembra ovvio ma non lo è.
Far politica costa e se non si dispone di finanziamenti è difficile.
Si pensi che la realtà politica oggi si
sviluppa all’interno di due estremi,
da una parte i partiti tradizionali
con sedi, funzionari, finanziamenti
pubblici e di lobbies più o meno
interessate, dall’altra da movimenti
“smaterializzati” dove la tecnologia
telematica diventa l’unico o il principale strumento di confronto.
Entrambe queste realtà hanno però
un dato in comune che inevitabilmente ne mina le fondamenta: le
decisioni sul cosa, come, dove,
quando, intervenire nella politica
sono gestite da ristretti gruppi di
potere se non addirittura da singole
persone.
Possiamo chiamarle segreterie dei
partiti, presidenti, coordinatori,
leader, o non dare loro nemmeno
un nome, ma la realtà che le accomuna è una concentrazione di potere, denaro e immagine (complici i
media) che li rendono referenti di
una fetta più o meno grande di
elettorato.
Chi vuol vivere dei liberi contributi
dei cittadini deve fare inevitabilmente i conti con questa realtà.
Chi vuole connetter le isole deve
saper che le isole, se sono soggetti
politici attivi, dedicano il loro tempo
e le loro scarse risorse a iniziative
sul territorio e nel sociale e difficil-
3
mente potranno sostenere organizzazioni o addirittura un partito
tradizionalmente strutturato.
Ciò che invece potranno fare è
scambiarsi dei servizi, come?
Da una parte si fornisce uno
strumento di formazione, informazione, comunicazione, dibattito e partecipazione, allargamento del consenso fra le isole, queste da parte loro collaborano con
interventi, proposte, critiche,
informazione, promuovendo
presso altri gruppi, conoscenti,
amici, parenti, le nuove idee.
Un semplice snello coordinamento che sappia relazionarsi con
ciascuna isola e quando necessario possa fornire strumenti di
crescita e relazione fra le stesse.
Capiterà spesso che qualche
“isola” sia in disaccordo con
qualche altra, niente di male, ci
sarà modo di confrontarsi; che
ognuna continui a fare il proprio
servizio pubblico su base volontaristica nel proprio ambito di
intervento. Il coordinamento si
faccia carico di proporre periodicamente momenti di confronto,
dibattito, su temi specifici.
Magari dopo un primo confronto
sul blog, giornale o sito si potrà
arrivare ad approvare una documento comune in un convegno o
meeting dedicato. E’ evidente
quindi che i coordinatori assumono un ruolo determinante. Qualora si ritenesse che Arcipelago
debba entrare nelle istituzioni, se
questa è la strda che si vuole
percorrere, sarà bene aver chiarito per tempo aspetti importanti: primo fra tutti si corre da soli
o si entra in coalizione con altri
partiti? In quest’ultimo caso in
quale coalizione?
Ovvero con coalizioni che sostengono Monti o contrarie alle sue
politiche?
Quelli sopra accennati sono passaggi difficilmente eludibili se si
vuol tentare di creare la nuova
metaforica terra.
Il rischio è quello di diventare le
truppe per ufficiali e generali
senza eserciti che una volta vinta
la loro battaglia elettorale, rinuncino a continuare la titanica impresa puntando a ritornare al
vecchio sicuro continente perpetuando proprio quel sistema che
a noi non piace.
Staremo a vedere.
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“ASSOCIAZIONE ARCIPELAGO”
MERCOLEDI’ 7 Novembre 2012 ore 17.30
GAM
Galleria d’Arte Moderna Via Magenta 31 -- Torino
FEDERALISMO. Una sfida perduta?
Politica in Italia:
vigilia di una nuova fase
Massimo Cacciari e Luca Ricolfi
Conduce
Marco Castelnuovo (La Stampa)
CHE FARE, QUI E ORA, CON URGENZA?
Le istanze sociali, economiche, ambientali, morali e politiche che
salgono prepotentemente nel nostro paese non riescono a
essere rappresentate nei luoghi di decisione democratica.
Cresce l’antipolitica o, meglio, l’antidemocrazia ed i partiti
presenti nelle istituzioni democratiche attardano il cambiamento
in una strategia che pare di distrazione e dilazione.
La nostra democrazia è a rischio ; sempre più sentiamo parlare
di democrazia partecipata o di democrazia diretta, dimenticando
che queste forme non possono essere sostitutive dell’asse
portante ma solo aggiuntive e relative.
Che fare allora, una volta per tutte,
prima che sia troppo tardi?
Occorre ricreare da capo gli strumenti di partecipazione dei
cittadini alle decisioni.
Occorre ridare rappresentanza ai cittadini e ai territori con collegi
uninominali in cui si scelgono i candidati delle parti con primarie
di diritto pubblico.
Occorre ricostruire l’architettura istituzionale per il governo dei
territori nelle autonomie previste in Costituzione ridando ruoli e
dignità ad ogni struttura.
Occorre avviare un processo costituente nel paese; una
legislatura costituente, con una Assemblea Costituente Diffusa
sul Territorio.
Occorre un Arcipelago non come soggetto/partito, ma soggetto
politico UNITARIO, di ricostruzione del paese, delle sue dignitose
culture politiche, delle proprie e rinnovate istituzioni,
abbandonando al proprio destino chi ha amministrato politica e
istituzioni come cosa a servizio loro.
Arcipelago
Per l’alternativa politica in Italia
Proponiamo una serie di valutazioni
redatte dall’Associazione Arcipelago sulle quale i nostri lettori, se
lo riterranno, potranno inviarci le
loro osservazioni che sarà nostra
cura pubblicare nei prossimi numeri
di OP.
La questione urgente del nostro tempo
Una fase della vicenda politica italiana si è disastrosamente conclusa. Essa è segnata da una profonda crisi generale di un intero sistema politico e sociale conseguente, all’interno di una crisi economica, strutturale, europea e globale.
Il nostro apparato concettuale, culturale, economico e, ovviamente,
politico è ormai obsoleto e gli strumenti utilizzati e perpetuati dall’attuale politica, dati per scontati, sono invece esauriti.
Ad essere venuta meno è la storica
missione strategica della politica:
combattere le disuguaglianze, fornire un metodo democratico per la
coesione sociale ed il governo virtuoso delle risorse naturali.
Sono trent'anni che le diseguaglianze aumentano ed è fallito ogni
tentativo di progettare una politica
redistributiva per tendere ad un'effettiva “uguaglianza delle condizio-
ni di partenza”, una società rispettosa ed un governo lungimirante
delle risorse naturali ed economiche.
E’ ormai palese e chiaro ad ogni
cittadino che occorre dare spiegazioni vere sull'origine di queste insipienze indicandone le responsabilità e offrire risposte concrete mettendo in gioco forze nuove e capaci
di lucidità e competenze adeguate
respingendo con chiarezza la doppia morale, divenuta egemone nel
sistema politico contemporaneo
italiano e che ha portato con se il
conseguente disastro dei conti,
dell'etica pubblica, dell'economia e
della politica.
Noi sosteniamo che occorre partire
da una strategia di uguaglianza e
di lunga visione: è questa la
“nuova, grande missione della politica”.
Dobbiamo investire nel futuro, individuare e formare una nuova classe dirigente. Negli ultimi anni hanno prevalso le sterili posizioni
“contro” qualcuno e non “per” il
Paese e su questa contrapposizione
la politica ha chiesto il consenso.
Berlusconi ed il berlusconismo rappresentano un fenomeno negativo
e di massa, dilagato al di là di ogni
confine politico tra i partiti. Ha saputo interpretare il profondo cambiamento e deserto culturale degli
ultimi vent'anni e lo ha portato
dentro la politica.
La politica sarà chiamata a trasformare le paure individuali in speranza ma soprattutto un progetto condiviso.
Le tre direttrici da non perdere di
vista sono:
- un progetto a lungo termine per
la crescita qualitativa, la tutela e la
valorizzazione del nostro Paese
- un soggetto, davvero Politico,
capace di portarlo a compimento.
- Una proposta di governo sapiente
e credibile che sappia indicare le
azioni per il governo delle crisi ai
vari livelli, per la mobilitazione virtuosa della società, per il recupero
delle risorse distrutte e dissipate,
comprese quelle fisiche, materiali e
ambientali senza le quali ogni discorso è vano.
L’azione politica a cui ci accingiamo
non è una continuazione o ripresa,
ma una nuova partenza, un nuovo
inizio; un'Alternativa politica vera.
Senza un soggetto nuovo, ampio,
democratico e radicato nel fuoco
delle controversie e del dibattito
culturale nessun progetto nuovo è
davvero possibile.
Il bipolarismo in Italia è confermato
e consolidato nella coscienza dei
cittadini di questo nostro Paese;
rappresenta le linee di tendenza
della società italiana. In questo
ambito intendiamo agire.
Tuttavia, il problema di un ritorno
al passato esiste, La Democrazia è
a rischio perchè i cittadini non hanno il controllo reale della rappresentanza politica: non possono scegliere i loro rappresentanti nelle
istituzioni. Questo perché il sistema
degli attuali partiti si sciacqua con
primarie di vario tipo ma non vuole
vere Primarie di Diritto Pubblico,
che siano regola e legge anche per
i partiti, in diritto dei Cittadini. I
cittadini devono potersi misurare
nei fondamentali collegi uninominali. Solo così si può garantire rappresentanza con capacità di controllo
e di governo degli uomini, delle
cose e dell’ambiente. Come Costituzione vuole.
Questa grave crisi politica, ma soprattutto della politica, è accompagnata anche da una crisi dell'economia reale, oltre che finanziaria e
monetaria e fiscale, con enormi
squilibri ed insostenibili disuguaglianze. Vi è un pericolo di conflitto
sociale, in grado di creare nuovi
soggetti politici non collocati sul
fronte della solidarietà, ma della
contrapposizione irresponsabile, col
rischio di una vittoria dell'egoismo
corporativo.
Difendere, letteralmente, la Costituzione, per noi potrebbe anche
voler dire adeguarla o cambiarla
ma attraverso un processo Costituente nuovo.
Serve una vera e nuova identità,
che non si inventa ma si costruisce
a partire dalle culture politiche,
tradizionali e nuove, orfane di partiti ma ricche di novità e attenzioni
nella società civile e nella cultura
“E' indispensabile porsi come alternativa seria e credibile, presentarsi
come ipotesi altra e convincere
rispetto al governo della destra. Ci
vuole un Noi che si ponga realisticamente e con intelligenza di fronte a Loro”. (Gianfranco Pasquino).
Ci impegneremo quindi
- per creare le condizioni affinchè vi
sia coscienza del cambiamento necessario
- per costruire questo progetto in
modo ampio e trasversale con “chi
fa politica tutti i giorni ma in politica non è”
- per aiutare, attraverso un nuovo
soggetto politico ampio e plurale,
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la costruzione di una alternativa
politica vera, attraverso una aggregazione di forze e soggetti che concorreranno alla costruzione di una
coalizione libera, davvero democratica e responsabile, per il governo
del paese.
Cercheremo di dare possibili risposte a tre contraddizioni del nostro
tempo:
- Più Europa, ma quale Europa?
L’Europa dei Popoli o dei Governi ?
- La dicotomia tra cittadino e potere. Quale Democrazia in questo
Paese?
- Quale Stato per il nostro Paese.
Quale Federalismo?
Il nostro obiettivo è quello di strutturare una nuova proposta politica.
E, in concreto, auspichiamo che
possano nascere delle Isole, libere,
plurali, solidali, di impegno e discussione, all'interno di ogni realtà
territoriale, sociale e culturale.
Isole che dovranno costituire un
Arcipelago di agorà per questo Paese. E’ un percorso forse innovativo, fuori dagli schemi: è un percorso che fida nel cuore e nelle menti
dei cittadini che hanno compreso
appieno la fine di un sistema.
Massimo Cacciari
Dopo aver aderito giovanissimo a Potere Operaio entrò
nel Partito Comunista Italiano, ricoprendo cariche apparentemente lontane dai suoi
interessi filosofici: responsabile della Commissione Industria del PCI Veneto negli
anni settanta, fu poi eletto
alla Camera dei deputati dal
1976 al 1983, e fu membro
della Commissione Industria
della Camera.
Fu sindaco di Venezia dal
1993 al 2000, fra i principali
sostenitori dei Democratici
di Romano Prodi e si parlò di lui come un probabile leader dell'Ulivo. Fin
dall'inizio della sua attività politica vede nel federalismo una tradizione da
recuperare per i progressisti italiani, è a favore di un Ulivo del Nord, del
centro e del sud. È sostenitore dell'alleanza con la Lega, laddove buona
parte dei dirigenti vedono in questa alleanza un freno ai voti del centrosud. In preparazione delle elezioni regionali del 2000, aveva compreso che
per vincere in una regione tradizionalmente moderata, la sinistra avrebbe
dovuto agganciare una parte dell'elettorato in fuga dalla ex DC, e mosse
alcuni significativi passi, ma non riuscì a convincere fino in fondo l'elettorato autonomista. La sua sconfitta alle Regionali del 2000, quando fu candidato per la presidenza della regione Veneto, fece tramontare l'ipotesi che
potesse diventare il futuro leader dell'Ulivo. Cacciari ottenne in quella tornata il 38,2% dei voti, uscendo sconfitto dal rappresentante del Polo per le
Libertà Giancarlo Galan che ricevette il 54,9% dei consensi. In quella tornata elettorale, Cacciari ottenne un seggio da consigliere regionale.
Arcipelago
Luca Ricolfi
Laureato in Filosofia nel 1973 all'Università di Torino, dal 1990 al ‘92 ha
insegnato Sociologia presso l'Università di Modena, passando poi a insegnare presso l'ateneo torinese del quale è
divenuto professore ordinario nel
1999.
6
1999.
Attualmente è titolare del corso di
Analisi dei dati presso la Facoltà di
Psicologia.
Negli anni Ottanta e Novanta ha
contribuito ai rapporti Iard sulla
condizione giovanile in Italia. Nel
2002 ha fondato, sempre presso
l'Università di Torino, l'
"Osservatorio del Nord Ovest", un
istituto di ricerca che conduce rilevazioni sugli atteggiamenti della
popolazione riguardo a economia,
società, cultura, politica.
Nel 2004 ha fondato la rivista Polena, acronimo per
"POLitical and ELectoral
NAvigations", caratterizzata
dallo studio del comportamento elettorale e delle
metodologie di comunicazione degli agenti politici,
analizzati attraverso gli
strumenti propri di statistica, matematica, scienze
politiche e psicologia.
È editorialista di La Stampa
dal 2005, e dal 2008 scrive
la rubrica "Fatti&Credenze"
su Panorama. Nel 2006 ha
vinto il Premiolino, prestigioso premio giornalistico
italiano.
Arcipelago il PD e le primarie
Occorrono parole diritte più che
metafore, quando la tempesta rischia di rovinare irrimediabilmente
l’imbarcazione.
Tuttavia una ripresa della metafora
del dito non vogliamo negarcela. E’
vero lo stolto guarda il dito, ma il
politico italiano pare guardi il gomito. Spesso sollevato, alzato si dice,
oltremodo.
D’Alema non ha costruito un gruppo dirigente, tanto meno diffuso.
Ha costruito un gruppo di potere
che si avvale della politica per annaspare tra i poteri, senza pudori,
eliminandone le autonomie. Si pensi a Violante, per dirne una, ma
anche al suo rapporto con la Rai, le
banche, le cooperative, i sindacati,
etc. Infatti la politica del saggio se
non si chiude nella torre d’avorio o
se non pratica il machiavellismo o
la sua variante leninista magari
edulcorata per il POSSESSO del
potere, dovrebbe essere rivolta a
1) promuovere elites plurali e tolleranti,
2) contenere le lobbies con metodo
democratico ma fermo,
3) combattere i comitati d’affari
con verità e moralità democratica.
D’Alema ha invece mescolato il tutto in una mappazza inestricabile
per un fine che è il controllo del
potere da parte di una oligarchia
storica che, a suo avviso è legittimata da una storia che lui ritiene
superiore.
Questa sua oligarchia non disdegna
alleanze sfrontate pensando che
tale propria superiorità prima o poi
vinca. Invece ha fatto perdere tutti.
Occhetto e gli Italiani. Lavoratori e
cittadini. Democrazia e partiti.
Renzi non dice la verità, la evita
con cura parlando di “rottamazione” quando tutti dovrebbero
sapere che in politica, ed in economia, è molto meglio una accurata e
profonda riparazione piuttosto che
una veloce rottamazione.
E’ come chi pensa che la droga o la
medicina dopante possa sostituire
la cura e l’attenzione alla persona.
Renzi dica qualcosa sul potere e sul
suo funzionamento oggi in Italia
anziché parlare di geronti dallo
scranno di una posizione di potere
non piccolo. Unto peraltro dalle
visite e dagli occhiolini all’avversario. Invece della fatina si occupi dei
nani e dei giganti e dica ciò che
pensa. Gli italiani hanno diritto di
sapere e sanno, ma non trovano
chi li rappresenta in verità calzante.
Diverso è il discorso delle primarie
come principio.
Queste infatti calzano bene la domanda di rappresentanza e del
diritto di scelta dei candidati e non
tra i candidati selezionati da altri in
forma fintamente allargata. A questo compito selettivo devono avere
diritto TUTTI i cittadini a contribuire. Si faccia una legge che lo consenta… pare semplice. Ma queste
primarie sono l’esatto contrario.
Sono una stortura e una mancata
risposta alla vera domanda di democrazia. Sono primarie di distrazione della domanda vera che sale
dal basso. Solo chi terrà ferma la
barra del timone senza più mediazioni propedeutiche, o peggio, pedagogiche, potrà essere legittimato
a parlare di democrazia senza il
timore di essere sbertucciato dal
popolo in fermento. Solo così si
offre alla democrazia un contributo
vero.
Monti. Monti ha dato una risposta
alla crisi, ha portato l’Italia fuori dal
rischio Grecia, Portogallo, Spagna
e… Argentina, anche se non
definitivamente. Passi concreti li ha
fatti. Monti è stata la risorsa più
alta che questo sistema degli
attuali partiti ha saputo mettere in campo. Il problema è quello
dell’alternativa democratica, ricostruente e definitiva a questo sistema. Pena il ritorno punto e a capo
come in un tragico gioco dell’oca.
Infatti l’Europa ed i mercati di questo hanno timore, in questo caso,
esattamente come i cittadini. Monti
è una pezza, ma i pantaloni nuovi
occorre cucirli con una stoffa nuova
ed un nuovo taglio. Più calzante.
Per questo dobbiamo partire dalla
questione della democrazia e della
rappresentanza democratica proponendo un metodo e non un’altra
pezza recuperata dai vecchi calzoni
sdruciti o dai jeans usurati ad arte
come i giovani oggi usano. E la
Democrazia necessita per suo ontologico statuto può partire solo da
TUTTI i cittadini, non dagli iscritti ai
partiti o da liste improvvide e improvvisate. Le proposte dell’Arcipelago vogliono andare in quel senso
ovvio. Altro non intravvediamo Bizantinismi e contorsioni da barocco
pur fiammato non fanno altro che
alimentare il medio evo sociale che
viviamo.
Monti: l’alta
risorsa...
dei partiti
Ovviamente ognuno ha i suoi legittimi convincimenti, da parte nostra
non crediamo che Monti abbia svolto un gran lavoro. Certamente ha
svolto un lavoro, diremmo il lavoro
“sporco” in nome e per conto di un
sistema incarnato sostanzialmente
da una classe politica che aveva,
ed ha, perso ogni credibilità, sia
essa l’aggregazioni politica che era
al governo, ma anche quella che si
candida a succederle.
L’azione economica di Monti si poteva espletare fra due estremi: da
una parte ridurre sprechi, incidere
nei costi strutturali causati dalle
cosiddette caste attraverso incisive
riforme, dall’altro estremo colpire i
soggetti politicamente meno tutelati e quindi più deboli.
Ecco cosa è stato fatto.
La pressione fiscale non è mai cresciuta così in fretta, hanno aumentato le accise sui carburanti, le tasse locali, il tributo sui rifiuti, il ticket
sulle ricette mediche, hanno introdotto l’imposta sulla casa, tassato i
risparmi, aumentato i contributi ai
lavoratori autonomi e l’Iva per tutti,
in pensione si va più tardi.
Un neo laureato in farmacia che
voglia aprire una farmacia nel Regno Unito può farlo spendendo
300.000 € nelle stesse condizioni in
Italia deve disporre di almeno 3
milioni di €.
Rispetto agli altri Paesi UE l'Italia
ha il più basso livello di efficienza
nella giustizia. E’ al 25° posto su
Continua a pag. 63
7
21 ottobre u.s. Renzi è stato a Torino:
Ecco il resoconto del suo intervento
Questo Paese
diventerà un
Paese civile
quando il vero
marchio
d’infamia non
sarà aver fallito,
il vero marchio
di infamia sarà
non averci
neanche
provato.
8
Le primarie sono una grande opportunità non solo e tanto di andare a votare ma di riportare l’entusiasmo nelle facce di chi fa politica.
Quando vi vedo, credo di dovervi
un grazie perché quando ci sono
centinaia di comitati che si mettono in gioco ci sono persone che
fino a ieri erano abituati a pensare
che la politica fossero solo gli Scilipoti e gli Erbatman e oggi invece si
mettono loro in prima persona in
gioco, si mettono loro in prima persona ad approfondire un programma, a condividere una iniziativa a
fare delle telefonate, a fare la raccolta firme perché noi, ormai facciamo una raccolta firme alla settimana. Per votare alle primarie si
doveva fare la raccolta firme per le
primarie, la raccolta firme per la
coalizione, la firma per l’albo degli
elettori, la firma per l’iscrizione…
non ho capito nemmeno bene a
che cosa, beh noi vediamo che oggi c’è una grande novità nell’aria,
c’è un vento nuovo che non si ferma con le mani, c’è un vento nuovo che dice che abbiamo il desiderio profondo di tornare a credere
nella politica.
Questa settimana che cosa è accaduto? Perché a Torino abbiamo
deciso di cambiare e di non fare lo
stesso format che stiamo proponendo in tutte le sedi nel lungo
viaggio nell’Italia vera?
E’ una cosa bellissima girare per
l’Italia, noi siamo partiti da Verona
poi la seconda tappa l’abbiamo fata
a Longarone per dire che la tutela
del territorio, del suolo, l’attenzione
e la lotta contro gli errori umani è
fondamentale, sono passati 49 anni
da una delle più grandi stragi al
mondo causate da mano umana, la
strage del Vajont. Poi siamo andati
nei luoghi più simbolici, siamo andati a Brescello per dire che Peppone e don Camillo stanno nei nostri
cuori, ma abbiamo l’idea di una
politica che sia in grado di scaldare
il futuro e non soltanto il passato.
Abbiamo toccato 74 province. Ma
perché a Torino cambiamo? per la
storia di questa città, innanzitutto.
Questa città è una città particolare,
è una città che ha sputo rinnovarsi
e cambiare che ha saputo dare del
tu alla crisi in modo diverso da tante altre realtà metropolitane. E’ una
città che vive l’appartenenza della
sinistra in modo più forte che altre
città, è una città che merita qualcosa di più di ciò che abbiamo fatto
da tutte le altre parti e poi non nascondiamocelo, in questa settimana
è accaduto qualcosa di molto significativo e importante. Due dei più
autorevoli leader del centro-sinistra
hanno scelto di fare un passo indietro. Hanno scelto di lasciare i propri
posti di responsabilità. Non dirò
“era ora” ma quando arriviamo a
certi gesti per me è importante
saper riconoscere quel gesto e voltare pagina.
Oggi noi abbiamo bisogno di voltare pagina di raccontare che tipo di
ultimo mese di campagna elettorale per le primarie vogliamo fare
perché non avrebbe senso dire: ma
che bello questi risultati li abbiamo
raggiunti, sono sotto gli occhi di
tutti.
Stiamo arrivando ed abbiamo quasi
superato mille comitati, abbiamo
una partecipazione popolare impressionante, però non ci basta,
adesso staremo a raccontare ciò
che è accaduto in questo primo
mese.
Io vorrei cogliere l’occasione di Torino per provare a dire una cosa
diversa sulla critica più forte che ci
viene fatta.
Matteo Renzi con Berlusconi (fotomontaggio)
E cioè sul fatto che noi non rappresentiamo la vera sinistra, che noi
siamo degli figli illegittimi di una
storia... anzi probabilmente degli
infiltrati di un’altra storia, perché?
per tanti motivi. Sono stato accusato per aver chiesto il voto ai delusi
del centro-destra come se non fosse chiaro che (non importa esser
laureati in matematica) se non
prendi il voto di quello che l’altra
volta ha vinto le elezioni la volta
dopo riperdi. E quindi se non vogliamo votare il barone De Coubertin è chiaro che dobbiamo prendere
anche il voto degli altri, mi sembra
una cosa così banale. Però oggi per
una volta non parleremo ai delusi
del centro-destra, ci perdoneranno
gli amici che hanno ricevuto sino
ad oggi costanti appelli a rimettersi
un discussione.
Non parleremo nemmeno di tutto
l’elenco delle proposte che noi abbiamo fatto. Mi si dice che noi non
abbiamo un programma. Vi invito a
verificarlo non soltanto sul sito ma
sta girando anche del materiale
cartaceo: le proposte per le piccole
e medie imprese, tra l’altro abbiamo anche delle infografiche che
rappresentano i nostri progetti,
potranno piacere o no, ma sono
progetti seri e significativi.
Abbiamo fatto proposte sulla cultura, innovazione, ambiente, su tutto,
non ne parliamo amici, oggi mi
concentrerei soprattutto su un punto chiedendovi in anticipo un minimo di comprensione, e cioè quello
di provare a dire che cosa significhi
per noi essere di sinistra o se preferite di centro-sinistra e se preferite esser del Partito Democratico in
un città che ha dato il “la” con il
discorso al Lingotto di Veltroni alla
storia del Pd.
Chiamatelo come vi pare, quella
roba là, quella roba che porta ad
appartenere ad una lunga storia.
Diceva un amico che anche se vuoi
fare delle rotte nuove devi posizionarti sulle mappe vecchie. Se non
hai la capacità di dirti dove stai non
sarai capace di capire il percorso
che vuoi fare.
Noi vogliamo andare verso rotte
nuove, non ci accontentiamo dell’idea che fino a questo momento
una parte significativa della sinistra
ha espresso, diciamo di cambiare
rotta di andare dove altri non sono
stati. E non basta per fare questo
nemmeno fare l’elenco delle cose
De Coubertin
di sinistra che io, noi, abbiamo realizzato nella mia città.
Già sarebbero interessanti per provare a definire una appartenenza o
un’altra: quando facciamo il piano
strutturale a volumi zero nel consumo di suolo, diciamo che la nostra
sinistra è più quella dei giardini e
dei bambini che quella delle cooperative e dei costruttori; quando
diciamo che si aprono le biblioteche
e i musei fino a mezzanotte diciamo che la nostra sinistra è quella
dei cittadini più che degli spettatori. Quando diciamo che si pedonalizzano le piazze del centro diciamo
che nelle piazze dobbiamo tornare
a sentire il rumore dei passi e non
soltanto lo strobazzio dei clacson,
che nella pazza ci dev’essere un
incrocio di anime ci deve essere un
luogo di confronto di condivisione,
la piazza è quella, noi non siamo
codici fiscali, siamo cittadini, siamo
persone, siamo donne e uomini
non siamo semplicemente gente. E
allora la piazza diventa il luogo dell’incontro il luogo della speranza.
Non serve stare a raccontare ciò
che abbiamo fatto o non fatto anche se personalmente ritengo di
sinistra persino aver tentato di
metter mano ai conti nella fondazione lirico-sinfonica o nella azienda di trasporto pubblico locale.
Vorrei cercare di dire che noi, voi,
che da qualche settimana state
animando il dibattito politico, siete
di sinistra, siamo di sinistra.
Noi siamo di sinistra perché pensiamo che il futuro sia casa nostra.
In questi anni ci hanno raccontato
una idea di futuro in cui la preoccupazione per il domani era maggiore
del piacere di aspettare il domani o
di costruire il domani. Ci hanno
negato il futuro in tanti grandi e
piccoli luoghi simboli. Sicuramente
con il debito pubblico. Mentre voi
cittadini operosi di Torino mettevate da parte denaro, per costruire
una ricchezza privata che è oggi
una delle ricchezze più altre d’Europa: l’Italia ha oggi un ricchezza
privata che 4 volte il debito pubblico, i nostri rappresentanti in parlamento spendeva anche ciò che non
avevano. Spendevano i denari di
un debito pubblico che è raddoppiato nel giro di 20 anni dal 60% al
123% ipotecavano il futuro dei nostri figli. Oggi noi nel bilancio della
comunità, della famiglia italiana,
spendiamo circa 80 miliardi, poco
meno, per gli interessi sul debito e
60 miliardi per la scuola e 62 miliardi per il welfare.
Detto con uno slogan noi spendiamo di più per le colpe dei padri che
per l’educazione di figli o per l’assistenza dei nonni.
Questo deriva da una visione della
politica che ha negato il domani,
siamo di sinistra perché vogliamo
che il futuro sia un luogo da attendere e da attendere e da costruire
con piacere.
La parola progressista fa riferimento a un domani verso il quale andiamo a viso aperto a testa alta,
non verso il quale andiamo rannicchiati impauriti privi di speranza,
angosciati.
Quanta sinistra è diventata conservatrice negli ultimi anni quanta sinistra ha pensato che per difendersi
dalle incognite del domani si dovesse forzatamente averne timore
e paura senza far passare il messaggio, anche pedagogico che chi
rischia, chi ha coraggio, chi si mette in gioco, sta costruendo un pezzo di domani.
Se voi siete qui, se noi siamo qui,
se noi siamo di sinistra, è perché
pensiamo che la sinistra sia curiosità e ricerca, la sinistra non è mai
anatema verso gli altri, la sinistra
non può esser una posizione talebana e integralista per la quale se
quello vicino a me ha una opinione
leggermente diversa da me, imme-
9
diatamente diventa il mio avversario che deve esser distrutto con
tutte le armi possibili e immaginabili. Non è questo la sinistra, è la
loro sinistra non è la nostra.
La nostra sinistra è fatta di curiosità. Se qualcuno non la pensa come
me sono curioso di capire le sue
ragioni, e probabilmente nel capire
le sue ragioni farò un passo in avanti anche io, non so se cambierò
la mia posizione, non è fondamentale la mia posizione, ma sarò più
ricco dentro e da questo nasce una
profonda laicità della sinistra.
Fatelo dire a una persona che è
cristiana e cattolica, la vera laicità
della sinistra non sta nel cancellare
le opinioni degli altri, sta nell’accoglierle tutte e nel rispettare le regole del gioco che in questo paese
hanno una fonte straordinaria nella
carta costituzionale che tutti citano
e poco applicano. A partire da
quell’articolo 1 della Repubblica
democratica fondata sul lavoro… e
affondata sulla rendita.
No dogmi, no pregiudizi, ma dialogo, ascolto,
desiderio di capire. Se
qualcuno vicino a me ha
delle idee diverse da
me, penso di dover capire perché le dice e
come le comunica perché la sinistra che noi
siamo, che noi rappresentiamo, che noi vogliamo vincente in questo Paese, è una sinistra
che non ha paura della
comunicazione, non ha
paura di dire che la comunicazione è un valore non è un
disvalore. Senza la comunicazione
non c’è niente al mondo, non c’è
una storia d’amore senza comunicazione, non c’è un rapporto in
famiglia senza comunicazione, non
c’è un dialogo fra una città, senza
comunicazione. Aver ceduto ad una
visione berlusconiana e contemporaneamente antiberlusconiana per
la quale la comunicazione è il principale disvalore del nostra tempo è
un clamoroso autogoal che una
certa sinistra fa. E’ chiaro che tu
devi comunicare qualcosa a qualcuno, la comunicazione di plastica
non serve, la comunicazione della
plastica è nociva.
Ma la comunicazione come capacità
di raccontare una storia di entusiasmare le persone, di appassionare
10
le persone, di far credere a quelle
persone che con quella storia condivisa possiamo esser migliori, possiamo l’un con l’altro sforzarci di
esser migliori, è un grande valore
di sinistra che noi abbiamo perduto, schiavi e subalterni ad una cultura che ha voluto considerare la
comunicazione una parolaccia semplicemente perché c’era al di là un
qualcuno che comunicava il niente,
direi soprattutto, il niente.
La sinistra che vogliamo noi è la
sinistra del coraggio, il coraggio è
contagioso, ma il coraggio significa
che tu ti metti in gioco e puoi anche perdere, puoi anche non farcela, e puoi anche fallire. Questo Paese diventerà un Paese civile quando il vero marchio d’infamia non
sarà aver fallito, il vero marchio di
infamia sarà non averci neanche
provato.
E questo vale per molta parte della
mia generazione che ha paura, che
teme, che preferisce rinviare. Una
conseguenza una declinazione del
coraggio è che la sinistra che noi
vogliamo è una sinistra che decide,
che ascolta tutti, concerta tutto ciò
che c’è da concertare, ma concerta
innanzitutto l’ora in cui si decide.
Perché non è possibile che questo
paese continui dall’Ilva, al Sulcis,
all’Alcoa da tante piccole e grandi
realtà, non soltanto di politica industriale, ad aver ben chiaro quello
che c’è da fare e a non farlo perché
si preferisce rimandare al giorno
dopo. Se noi crediamo in una sinistra del coraggio, noi siamo nelle
condizioni di poter dettare le regole
alla agenda della politica, e siamo
anche nella condizione, fatemelo
dire dicendo per l’ultima volta una
parola sulle regole delle primarie.
Se abbiamo il coraggio di affrontare il futuro del Paese, che sarà dif-
ficile… chi vi racconta che la crisi è
finita vi sta prendendo in giro. La
crisi è una profonda trasformazione
delle regole del gioco economico.
Non è soltanto che la crisi inizia e
finisce, il racconto della crisi che
dovrà esser superata non potrà
prevedere che la crisi ad un certo
punto termina e noi torniamo nella
congiuntura precedente, a vedere
gli indicatori andare su, magari!.
Oggi noi stiamo assistendo ad una
profonda trasformazione delle regole del gioco dell’economia e non
soltanto dell’economia e allora la
crisi non avrà una fine. E’ un cambiamento, non è una crisi e come
tutte le crisi ha in sé un elemento
di opportunità, è la più grande opportunità che ha l’Italia.
Se questa è l’idea che abbiamo
della crisi, chi vuole governare il
paese per i prossimi 5 anni deve
avere il coraggio i mettere tutto ciò
che può sul tavolo. Non può avere
paura dei diciassettenni o aver
paura del voto libero degli italiani
modificando le regole
che erano sempre state
le stesse facendo un
atto che, caro segretario, non fa male a noi.
Noi non abbiamo paura
delle regole, a noi non
fanno male le regole,
fanno male a te perché
cambiando le regole hai
messo le condizioni per
poter dire che queste
primarie sono ispirate
dalla vostra paura e non
dal nostro coraggio.
Noi le faremo lo stesso
le primarie, qualsiasi regola mettiate noi siamo disponibili a fare di
tutto, non ce ne andiamo da casa
nostra neanche se ci cacciano. Ma
ci dispiace per il nostro segretario
perché avere dato l’impressione,
qualcosa più dell’impressione, di
voler cambiare le regole in corso
d’opera non è dovuto al tentativo
di infiltrazioni della destra.
Quando le primarie sono state infiltrate come a Napoli sono state infiltrate dai capobastone del centrosinistra, non le hanno infiltrate
quelli della destra, le hanno infiltrate quelli che adesso stanno con chi
sappiamo.
Però noi a questo punto prendiamoci un impegno guardandoci negli
occhi, noi accettiamo le regole e
porteremo tutto il nostro entusia-
smo dentro questa partita e io dico
che sarà ancora più bello vincere
quando le regole le hanno fatte gli
altri.
E’ una sinistra che tiene insieme
due valori, che tiene insieme fondamentalmente il valore del merito.
Cosa significa il valore del merito?
Significa prendere l’art. 3 della costituzione, il più bello della costituzione, anche se ciascuno ha il suo
preferito, per me è l’art. 3 comma
2 è l’uguaglianza sostanziale. Dice
che la repubblica rimuove gli ostacoli, assicura cioè quello che i costituzionalisti chiamano l’uguaglianza
sostanziale. Cos’è l’uguaglianza
oggi in un mondo che vede allargarsi la forbice delle ingiustizia e
delle disuguaglianze? L’uguaglianza
è valore profondamente di sinistra. E forse uno dei valori costitutivo la sinistra, ma l’uguaglianza
non è l’uguaglianza all’arrivo.
Una certa cultura ideologizzata legata all’ispirazione del 18 politico,
fatemela dire tutta, in questo modo
ha preteso di farci credere che tutto il senso dell’uguaglianza fosse
l’uguaglianza sul punto d’arrivo.
Cioè che tutta l’uguaglianza stesse
nel desiderio di arrivare tutti nello
steso punto.
Signori… non è così.
L’uguaglianza della nostra sinistra è
che tutti devono essere messi nella
stessa condizione di partire dallo
stesso punto. Che il figlio dell’operaio deve avere lo stesso diritto del
figlio dell’imprenditore di potersela
giocare, se è bravo ce la fa, se non
è bravo sarà aiutato, ma l’uguaglianza sostanziale significa dire
che noi abbiamo bisogno di cancellare quelle indecorose statistiche
dell’OCSE che dicono che in Italia il
figlio dell’operaio ha un quarto delle possibilità che ha in Francia di
arrivare alla laurea.
Vi rendere conto che dopo chilometri di discussione stenografate sul
valore dell’uguaglianza noi abbiamo
il Paese con la minore mobilità sociale perché, chi pretendeva di difendere l’uguaglianza dal basso dei
propri steccati ideologici, ha costruito le condizioni per cui non va
avanti chi ha merito ma va avanti,
al di là delle condizioni di merito,
chi invece è partito avvantaggiato.
La nostra sinistra dà una chance
non nega una opportunità.
E’ evidente però che la nostra sinistra declina in modo diverso la solidarietà, tu parti allo stesso modo
degli altri, se non ce la fai, non è
che ti lasciamo solo. Uno che fa il
sindaco, uno che fa il primo cittadino, sa che il suo compito è essere
l’ultimo cittadino che sa dove si
nascondono nicchie di dolore, luoghi di disperazione. Oggi abbiamo
tante forme di disperazione, sicuramente cresce la povertà, i dati economici dimostrano come nella
quarta settimana del mese tutti gli
indicatori di consumo vadano giù.
Anche per questo chi di voi avrà
tempo e modo potrà verificare le
proposte concrete di sostegno che
noi abbiamo cercato di mette in
campo. Però quello che è ancora
più importante, lasciatemela dire in
questo modo, è che c’è una profonda forma di disperazione nel
nostro tempo che è la solitudine.
Bauman ha scritto qualche anno fa
sulla solitudine del cittadino globale, noi molto più modestamente
possiamo verificare una solitudine
che riguarda il ragazzino di 15 anni
privato della relazione con le agenzie educative oltre che con la famiglia, ma che riguarda sempre di più
anche gli anziani.
Oggi noi abbiamo un aumento della
vita media, che è un fatto positivo,
che impone delle scelte in materia
previdenziale, in materia sanitaria
ma che porta soprattutto le persone ad avere dei luoghi dove poter
dire: Noi. Io trovo davvero sintomatico che di tutte le realtà legate
communication
alla information
tecnology quella che, più sorprendentemente di ogni altro, ha avuto
successo nel campo negli ultimi
anni è la diffusione dei social
11
network.
Un miliardo di persone oggi usano
Facebook, tutti noi dobbiamo raccontare, spiegare, illustrare, in particolare spiegare alla nuova generazione che inviare un poke non
vale come un abbraccio vero, che
stringere un amicizia su Facebook
non avrà mai lo stesso valore di
stringere una mano o di incrociare
una persona o di incrociare uno
sguardo e condivider un sentimento o una emozione; dobbiamo spiegarlo con forza.
Ma dobbiamo anche esser capaci di
raccontarci; se c’è questa diffusione c’è un bisogno di Noi; in un
mondo nel quale l’Io è stato esasperato che porta la nostra discussione sulla solidarietà, ad assumere
criteri e connotati diversi rispetto al
passato; non può esser l’assistenzialismo. E’ il farsi prossimo, è il
farsi compagni di strada, è il farsi
capaci di condividere con le persone, e non soltanto di erogare un
servizio.
Quando vogliono discutere, i signori dei ministeri romani, dei fondi,
considerino che questo Paese ha
visto eliminare per i non autosufficienti, il fondo per la disabilità; si
ricordino che in questo loro sguardo tutto incentrato sulla erogazione
del servizio, noi stiamo perdendo la
dimensione più profonda che è la
dimensione non tanto dell’umanità,
ma della ricerca di un nuovo umanesimo di cui questa Terra e questo tempo hanno un disperato bisogno.
La solidarietà allora non è semplicemente erogare dei servizi, avere
delle statistiche, ragionare concre-
12
tamente con dei numeri. è prendersi cura l’uno dell’altro e dimostrare che così facendo noi siamo
cittadini, non siamo dei numeri.
Noi siamo delle persone, siamo un
popolo capace di rischiare.
E da questo punto di vista che viene immediatamente la sinistra che
noi immaginiamo sul benessere; lo
voglio dire oggi che sui giornali non
si è spenta l’eco della polemica sulla finanza.
(Ironicamente) Io sono arrivato un
po’ in ritardo e mi scuso perché
stavo arrivando con l’aereo dalle
Cayman dove sono andato a prelevare le ultime risorse, che erano
fondamentali...
Io credo che abbiamo un punto di
vista troppo spesso ossessionato
dall’idea del denaro. E’ una sinistra
ossessionata, quando uno deve
attaccare: penso ai manifesti che
Rifondazione Comunista attaccò
durante il governo Prodi: - Anche i
ricchi piangano -.
A me avevano insegnato che compito della sinistra era che ridessero
i poveri, non che piangessero anche gli altri. Ma è molto importante
questo: è ossessionata quando vede nella finanza e nel mondo ad
esso connesso tutto ciò che serve o
non serve al Paese. In questi giorni
hanno polemizzato con noi perché
siamo andati a fare due iniziative a
Milano, una con il mondo del volontariato con Vita il mensile del
no-porofit, un dibattito di due ore e
mezza dove Vita ci ha presentato
progetti, idee proposte molto interessanti, abbiamo condiviso, discusso, abbiamo parlato, come fa
chi non sta chiuso nel palazzo e
cerca di ascoltare.
E’ giusto o no avere un servizio
civile universale?, io dico che non
soltanto è giusto aver un servizio
civile universale, ma che dovrebbe
essere civile e obbligatorio non solo
universale.
Almeno di tre mesi, ma dove ai
ragazzi di 18 – 20 anni viene data
una occasione di comunità. Si è
discusso dalle slot machine sino
all’Iva sulle cooperative sociali.
Spazio suo giornali: zero.
Poi siamo andati a parlare con un
gruppo di persone che lavora nella
finanza; ci è stato detto per tanto
tempo: voi non siete credibili, se
andate voi al governo i finanzieri
che operano sui mercati non vi ascoltano nemmeno. Invece ci han-
no ascoltato, più interessati di
quello che pensano i nostri amici e
compagni di strada. Abbiamo discusso, abbiamo detto loro che il
trionfo della finanza sulla economia
reale è una vergogna, che impoverisce e stritola la vita quotidiana.
Ma che questo trionfo deriva da
che cosa? deriva dalla incapacità
politica di dettare le regole. Non c’è
una finanza buona e una finanza
cattiva, c’è la capacità della politica
di esser seria, autorevole, credibile,
e c’è la capacità della politica di
esser subalterna e meschina.
Quando penso alla mia città penso
alla storia della finanza, non voglio
tediarvi, ma se Firenze è diventata
quello che è, è perché c’erano le
persone che facevano i soldi con le
banche e con la finanza.
I Fiorentini (i Pratesi via), hanno
inventato la cambiale, (i Fiorentini
hanno inventato gli assegni a vuoto, ma questa è un’altra storia) nel
costruire questi prodotti finanziari
che cosa è accaduto, è accaduto
che un po’ per la paura dell’inferno,
che qualche vescovo e frate instillavano: se tu fai soldi con l’usura
vai all’inferno; un po’ per il desiderio di bello che piano piano emergeva, larga parte dei denari conquistati con la finanza tornavano
nelle Pale d’altare, nelle biblioteche
pubbliche, nelle istituzioni, come gli
Innocenti, dove ai bambini abbandonati veniva dato un futuro.
La finanza nasce così nella mia città,e non solo nella mia città se è
vero come è vero che proprio da
Firenze parte il grande cammino
della finanza.
Bene, oggi la finanza ha o non ha
l’autorevolezza dei politici come
controparte? Non lo so, ma io credo che noi dobbiamo esser molto
più autorevoli, e abbiamo dei grandi esempi su come dobbiamo fare.
Basta fare il contrario di quello che
hanno fatto quei politici che, lo so
bene nella mia regione, hanno accompagnato il percorso degli istituti
di credito riuscendo a distruggere
in 15 anni ciò che i Senesi avevano
fatto in 600 anni di storia.
Lo so bene cosa vuol dire il rapporto fra finanza e politica quando non
funziona, abbiamo degli esempi,
abbiamo dei chiari esempi su come
non deve fare la politica con la finanza.
Un governo, il presidente del consiglio, il suo ministro dell’industria,
Lorenzo de Medici: banchiere, poeta, protettore delle arti nella Firenze, culla del Rinascimento
non devono dichiarare il giorno
prima che inizi l’Opa su Telecom
che quelli sono capitani coraggiosi
e poi scoprire che quell’operazione
è stata finanziata non soltanto con
una scalata in Lussemburgo, ma
intervenendo come è noto con
quelle che si definiscono - Scalate a
leva - e di cui ancora oggi Telecom
paga i danni. Se vogliamo esser
seri e credibili prendiamo esempi
di come la politica è stata subalterna alla finanza e facciamo il contrario.
Ma non prendiamo lezioni da chi ci
dice delle isole Cayman, perché,
signori, bisogna conoscere le regole del gioco. Certo alle Cayman va
anche chi ha voglia di evadere e
chi evade bisogna prenderlo sia
alle Cayman che a Torino che a
Firenze. Chi evade sta rubando
pezzi di futuro e in questi anni la
politica è stata forte coi deboli, ma
debole coi veri poteri forti, che
hanno portato a 120 miliardi di €
l’evasione in questo Paese; non ci
raccontiamo storie. Se vogliono
governare ci devono portare la giustificazione su quello che in questi
venti anni non hanno fatto per
combattere l’evasione.
Partire dalla cosa più banale: incrociare le banche dati anziché rincorre uno scontrino, che è importante
per carità; ma oggi il sistema italiano è tale che può saper tutto di
tutti. Ma alle Cayman non ci va
solo chi vuole evadere. Le Cayman
sono uno di quegli stati in cui va
chi vuole utilizzare un certo tipo di
normativa, un certo tipo di diritto
come il Lussemburgo, come parzialmente l’Irlanda, in cui hanno
sede l’80% dei fondi di investimento che comprano i titoli di stato.
Allora se uno viene a dire che non
si deve neanche parlare con quelli
che hanno l’utilizzo legale e legittimo delle strutture della finanza di
oggi, vuol dire che non vendiamo
più i titoli di stato, non paghiamo
più gli stipendi. Ma di cosa stiamo
discutendo? di che cosa stiamo
parlando?, ma perché dobbiamo
aver questo atteggiamento?.
E’ chiaro che però noi abbiamo il
dovere di raccontare che cos’è per
noi la sinistra, per noi la sinistra è
quella del benessere, ma per noi il
benessere non è un fattore economico, o per lo meno, non è soltanto economico. Benessere significa
stare bene, significa, fatevelo dire
da uno che viene da una famiglia
contadina, ritrovarsi attorno a una
tavolata e scoprirsi compagni, cioè
coloro che condividono il pane,
condividono l’essenziale, riscoprire
il gusto della socialità, il gusto di
avere tre milioni di italiani che fanno volontariato, il gusto di vedere
persone che fanno assistenza che
si mettono in gioco. Questo tipo di
benessere, di stare bene, è indipendente dall’aspetto economico,
poi è evidente dobbiamo far sì che
la ricchezza cresca, la ricchezza
economica, ma dentro la nostra
idea di sinistra c’è una certa idea di
benessere, di felicità, che non coincide con il successo.
Il vero successo è esser felici, non
è che la felicità deve imporre per
forza di raggiungere il successo. E
ancora, per procedere rapidamente, la sinistra che noi vogliamo è
una sinistra che profuma di scuola
e che sarà capace di vincere la propria sfida quando torneremo a dare
il giusto valore sociale alla maestra,
al maestro, all’insegnante. Io vengo da un piccolo paese in cui la
signora maestra era La Signora
Maestra, non prendeva niente,
prendeva poco anche allora, non
aveva un riconoscimento economico per ciò che faceva, ma tutti intorno a lei erano in grado di attribuirle la gratitudine per il servizio
che svolgeva. Chi di voi lavora oggi
nella scuola sa che lavora sulla
frontiera e sul crinale più impegnativo, nell’educare, nel trarre fuori,
nello strappare i ragazzi dal loro
destino, e sa che a lavorare oggi
nella scuola, tutto cospira contro di
lui, perché a lavorare nella scuola
non si immagina un riconoscimento
sociale per chi fa l’insegnate oggi.
Noi però vorremmo riproporvi un
patto: fare della scuola il pilastro
della ripartenza.
Sì certo, restituire quel valore sociale all’insegnamento e agli insegnanti, ma contemporaneamente
richiedervi uno sforzo, perché portare il merito nella scuola, portare il
merito negli insegnanti non significa voler fregare l’insegnate bravo,
significa voler valorizzare l’insegnate bravo e voler fregare quello che
è un mangiapane a tradimento,
che c’è e che voi conoscete, e che
talvolta conoscete meglio di noi.
Non la voglio fare troppo lunga
perche sarebbero tante le cose che
mi sono segnato, ma quando par-
liamo di sinistra dovremmo dire che
a sinistra ci si deve ricordare delle
donne non una volta all’anno,
quando si fa la manifestazione: Se
non ora, quando? così tutti pensano che pulendosi la coscienza e
trovandosi un alibi siamo più belli,
più bravi e più giusti.
Ieri l’altro una ragazza a Palermo è
diventata la 101a vittima di quello
che qualcuno continua a chiamare
in modo indecente: omicidio passionale; passionale di che…
Quelli sono omicidi efferati e tragici, e quella nostra concittadina è
morta per difendere sua sorella
dagli attacchi dell’ex fidanzato.
Eppure sul tema della violenza alle
donne, sul tema del lavoro femminile, oggi l’Italia è un Paese che ha
una occupazione femminile (unico
Paese dei grandi Paesi europei),
che è sotto il 50%
Se ci pensate fa impressione; fa
impressione che la Svezia sta al
77%, fa impressione che la Germania sia al 71%, che la Francia sia al
64%, che la media europea sia al
63% e che l’Italia sia al 49,9%.
Questi sono i dati che abbiamo
messo sul sito internet:
www.matteorenzi.it, perché? Perché vogliamo che si possa cambiare l’agenda della politica. Allora la
proposta di Morando e di Ichino
per intervenire sulla tassazione del
lavoro femminile, la proposta per
aver qualcosa come 85.000 posti di
lavoro facendo un servizio che si
chiama: asili nido. E’ possibile,
prioritario, percorribile se allochia-
13
mo diversamente i fondi europei e
del welfare.
Abbiamo il 12,8% di bambini che
va all’asilo nido in Italia, in Francia
siamo al 40%, l’agenda di Lisbona
impone il 33%. Per ogni bambino
che non va all’asilo nido, c’è una
occasione educativa e pedagogica
perduta per quel bambino, ma c’è
anche una volta su 4 una madre
che è costretta a scegliere fra la
maternità e la professione.
La sinistra delle donne è la sinistra
che riserva le quote, perché in questi venti anni, so che è un tema
aperto, io a Firenze avevo messo
metà uomini e metà donne in giunta; mi hanno contestato mi hanno
detto che le quote non andavano
bene, e allora ho messo una donna
il più, così ci siamo tolti il problema, e adesso le pari opportunità le
ho date a un uomo: problema risolto.
Però qual è il concetto, il concetto
è che la sinistra in questi anni ha
immaginato di poter delegare la
questione femminile a qualche associazione o a qualche parlamentare, per inciso, sempre la solita, che
in nome della questione femminile
ha sostanzialmente costruito un
ulteriore blocco nel ricambio del
gruppo dirigente.
Noi pensiamo che la questione
femminile sia semplicemente liberare una Italia ciò che già c’è, che
è forte che tiene in piedi la nostra
società e che trova dei simboli inaccettabili, come quello per il quale, le donne magistrato sono lo
stesso numero degli uomini magistrato, ma le donne al vertice della
magistratura sono una su sei, con
un atteggiamento che si può ripercuotere su tutti gli altri settori.
14
La sinistra che noi vogliamo è la
sinistra delle cultura, è la sinistra
nella quale possiamo scrivere pagine e pagine. Qui un amico, che è
Alessandro Baricco, che ringrazio di
cuore per la presenza e la generosità con la quale ogni tanto gli vado
a rubare un po’ di idee, (fermo restando che quando dico qualcosa
di sbagliato la colpa è mia naturalmente), che più volte ha cercato di
provocarci su questo. Su come provare a cambiare le regole del gioco,
della cultura, su come collegare
una scommessa culturale, su un
investimento educativo, su come
ragionare di domanda e offerta.
Signori se la frase di Tremonti: Con
la cultura non si mangia, è una
frase che noi vogliamo respingere e
penso che tutti voi vogliate respingere quella frase (io peraltro sono
sindaco di una città che con la cultura si è sempre mangiato, anche
troppo), se vogliamo respingere
quella frase di Tremonti allora dobbiamo esser conseguenti, dobbiamo dire che la cultura non può essere lasciata a dei presunti addetti
ai lavori che in questi anni hanno
ricevuto una delega in bianco, disinteressata dalla politica e che
hanno portato i nostri beni culturali
ad esser uno dei principali problemi
del Paese, non una delle principali
risorse del Paese. E’ imbarazzante
questo tema, c’è da vergognarsi.
Se mi avessero detto quando andavo al liceo, venti anni fa, che Abu
Dhabi sarebbe diventata una capitale del turismo culturale perché
faceva un accordo da 750 milioni di
dollari con il Louvre, quando a Firenze ancora da 32 anni non ci
sono i soldi dallo Stato per chiudere i lavori agli Uffizi: il 7° o 8° lotto,
Louvre Abu Dhabi
(in verità era uno solo, ma stanno
spezzettandolo per avere tante
occasioni di inaugurazione), se mi
avessero detto questo, avrei sgranato gli occhi, eppure è così.
Allora fatemi fare un esempio, lo
voglio fare in questa città che ha
dimostrato con grande coraggio di
potere investire e invertire la rotta
in questo senso. Torino ha infatti
saputo ripensare e ripensarsi grazie
al lavoro di tanti di voi che siete
qui, grazie al lavoro di Sergio
Chiamparino, grazie al lavoro di
persone che hanno avuto il coraggio di cambiare faccia a questa
città.
Fatemi fare un esempio banale, un
storia che però può essere utile per
capire di che cosa stiamo parlando:
la torre dal m…. di Palazzo Vecchio.
Voi avete presente la torre di Palazzo Vecchio a Firenze?, è uno dei
simboli della città.
Io ho avuto uno scontro pazzesco
perché ho detto: signori possiamo
aprire questa torre. Risposte: Stai
violando il Sancta Sanctorum della
storia della città, non sai che cosa
è accaduto lì…
Sì che lo so: la dentro c’è una piccola cella si chiama l’Albeghettino.
Bisogna salire 198 dei 223 scalini
che portano alla cima della torre, in
quell’Alberghettino sono state detenute tante persone. E’ una piccola
cella, uno di questi era Girolamo
Savonarola. Savonarola lì ha vissuto le ultime ore prima di essere
accompagnato, scesi i 198 scalini,
portato sulla piazza della Signoria
dove c’era un bel cotto dell’Impruneta ad aspettarlo, e c’era soprattutto il boia che lo ha prima impiccato e poi fatto bruciare.
Io immagino che valore identitario
abbia per Firenze: Savonarola di lì
ha visto per le ultime volte quella
città che aveva tanto amato quel
popolo per il quale aveva speso e si
era prodigato in educazione. Savonarola era quello che aveva aperto
il Salone del Gran Consiglio che
oggi è il Salone dei 500, eppure
quel popolo lo metteva a morte. E
ancora mi pare di sentire i passi dei
partigiani che due a due, o tre a
tre, salgono i gradini della torre
perché l’11 agosto del ‘44 era un
mattina, c’era il sole, erano le 7 e
mezza, Firenze vuole liberarsi prima che arrivino gli alleati. Vuole
liberarsi da sola come scriverà Sandro Pertini in pagine tanto belle e
allora i partigiani salgono la torre
arrivano in cima e suonano la campana della Martinella. Lo so che
quello è un luogo identitario e penso alle poesie che Neruda ha scritto
dalla piazza della Signoria guardando la torre, o quando più banalmente, finanziati donne e uomini
amanti, si sono presi per mano e
hanno guardato quella torre pensando a cosa significasse per loro.
E’ un grande valore identitario. Ma
mi spiegate il motivo per cui questo
luogo identitario non può essere
aperto alla città? E mi hanno detto.
sapete che c’è? C’è che se la apri
farai un danno erariale.
L’abbiamo aperta la torre, in un
mese e mezzo abbiamo fatto break
even, adesso ci guadagniamo e ci
sono 10 persone a lavorare in più.
E’ soltanto un simbolo di come investendo sui beni culturali l’Italia
può svoltare e cambiare davvero se
soltanto troverà il coraggio di farlo.
La sinistra che noi vogliamo e poi
rapidamente chiudo, è la sinistra
delle imprese, perché quando una
persona decide di investire e intraprendere, ci sono qui degli imprenditori che lo sanno bene, fa un atto
che è contro natura…
Scusate se voi siete semplicemente
interessati al profitto, non dovete
investire, fate una bella operazione
finanziaria, avete meno tasse e non
vi preoccupate. Non c’ è da pagare
l’Irap, da andare in una burocrazia
che è allucinante, da seguire l’iter
di una giustizia civile, che è 126° al
mondo perché la classe politica che
c’è stata fino ad oggi ha discusso
sempre dei vari processi brevi, processi lunghi, perché si riferivano al
Presidente del Consiglio, ma si è
dimenticata di riformare la giustizia
civile che è una delle cose che tira
giù, più forte di tutte, l’economia
italiana.
Bene se voi fate gli imprenditori
non perché vi sta a cuore semplicemente la ricchezza, certo non siete
la Fatebefratelli e quindi evidentemente avete un vostro interesse,
ma lo fate anche e soprattutto perché vi piace l’idea di mettervi in
gioco, di creare valore, di creare
posti di lavoro, di creare speranza.
La sinistra deve esser più rispettosa, più attenta al dolore di questi
piccoli imprenditori che oggi non ce
la fanno più, che oggi sono in una
situazione di crisi, che oggi sono in
una situazione per la quale hanno
dato fondo anche al proprio patrimonio.
Perché se ci sono quei furbetti vari
accompagnati più o meno dalla
politica, c’è anche una sacco di
bella gente in questa Italia, che
provando a spaccarsi la schiena e
mettendo la sveglia alla mattina
presto, è stata capace di fare grandi cose.
La sinistra che noi vogliamo è una
sinistra che parla un linguaggio
gentile. San Suu Kyi il premio nobel
per la pace Birmano, quando ha
ricevuto il premio Nobel per la pace
ha detto della parole moto belle
sull’onore e la gentilezza in politica.
Io, questa settimana ho ricevuto il
titolo di un quotidiano che mi ha
ferito violentemente, non trovo
parola diversa da violentemente.
Perché l’Unità il quotidiano che,
pensate, fu fondato da Antonio
Gramsci, ha pensato di scrivere che
le nostre idee erano idee fascistoidi.
Ora io non so cosa pensano quelli
dell’Unità, per me fascista continua
ad esser un insulto e fascistoide un
insultoide.
Quello che voglio dire all’Unità è
che faremo un buon servizio alla
nostra sinistra quando recupereremo la correttezza del linguaggio e
dell’espressione.
Noi non abbiamo replicato, siamo
andati ad Argenta, paese totalmente distrutto dalla seconda guerra
mondiale, in questo viaggio abbiamo fermato il camper ed abbiamo
messo un fiore sulla tomba di due
persone. Uno Don Giovanni Minzoni: era il sacerdote al quale i fascisti hanno spaccato la testa nel 1923 perché aveva difeso il diritto dei
boy scout di passare davanti alla
piazza della sua chiesa. Per alcuni
di noi è un personaggio straordinario, un martire del suo tempo, come per quelli di noi che vengono
dagli scout lo è Beppe Diana morto
nel 1995 per mano della Camorra a
Casal di Principe. Quello che abbiamo fatto dopo, è andare sulla tomba di Natale un giovane partigiano
socialista anche lui ucciso ad Argenta ed abbiamo detto, con questi
due mazzi di fiori, molto semplici,
all’Unità e a quelli che pensano di
poter insultare, che per noi fascista
continua ad esser un insulto.
Sarà un gran giorno quando si accorgeranno che è un insulto anche
per loro.
Da noi naturalmente non lo riceveranno mai, neanche quando ci accusano dell’inaccusabile.
E infine la sinistra che noi vogliamo
è la sinistra dell’Europa.
Avrei tante altre sinistre da raccontarvi ma una fatemela dire. La sinistra che noi immaginiamo è una
sinistra che crede nei diritti civili
non solo in campagna elettorale,
perché è inaccettabile che il tema
dei diritti civili sia strumentalizzato
volta per volta in campagna elettorale e poi non sia vissuto nella pratica. Noi nei primi 100 giorni se
toccherà a noi governare il Paese
faremo la legge sulle Civil Partneship sul modello del diritto inglese
lo faremo perché pensiamo sia la
cosa più ovvia naturale e più logica.
Nel momento in cui diciamo sì ai
diritti civili, siamo in condizioni di
chiedere a tutti i cittadini qualunque sia il loro orientamento religioso, politico, culturale, sessuale,
esistenziale di ricordarsi che accanto a dei diritti civili di privati, ci sono dei doveri di privati che vanno
riscoperti, e che il nostro paese
non sarà il paese del libero tutti,
delle sanatorie, degli interventi ex
post.
Sarà il paese in cui si rispettano le
regole, perché le regole sono la
prima condizione di guardarsi negli
occhi e di essere fieramente cittadini, ma ci vogliono anche i doveri
privati, non bastano i diritti civili.
Il tema finale è il tema dell’Europa.
Io non so cosa pensiate voi del
Nobel all’Unione Europea, vi dico
che per me è un po’ un Nobel di
incoraggiamento, è un po’ come
nei vecchi premi agli attori, un premio alla carriera perché l’Europa è
la più nobile invenzione degli ultimi
70 anni, perché ciascuno di noi ha
in famiglia qualcuno che è andato a
fare la guerra in Francia o in Germania o che ha sparato nella ex
Jugoslavia, quindi ciascuno di noi
conosce, non perché ha letto un
libro, o perché ha visto un videogame sulla play station.
Ciascuno di noi sa che c’è stato un
momento in cui l’Europa era il luogo della contraddizione nella guerra. Mio nonno è entrato in Francia
per sparare, la mia generazione va
in Francia per fare l’Erasmus, c’è
una bella differenza.
C’è in questa storia di 70 anni il
pensiero di Gobetti, bisogna amare
15
l’Italia con orgoglio da Europei scriveva nel 1924.
C’è un pensiero di Giorgio Ambrosoli che scrivendo quella che diventa la lettera testamento alla moglie,
dopo aver fatto quello che sappiamo lo aveva fatto in nome della
giustizia, dell’etica e della deontologia professionale, scrive “Anna carissima so che saprai educare i nostri figli ed educarli al nome della
Patria, si chiami Italia o si chiami
Europa” c’è Spinelli che nel ’41
mentre la guerra sta distruggendo
il continente immagina il manifesto
europeista. C’è la forza dei politici
degli statisti che hanno saputo fare
con De Gasperi, Adenauer, Schumann e poi Mitterrand, Kohl, l’Europa, quando tutto cospirava per
non farla. C’è tanta storia nell’Europa.
Però c’è un problema che l’Europa
che c’è oggi è l’Europa che sta zitta
di fronte al dolore dei ragazzi che
stanno in Iran, la mia sinistra non
sta zitta di fronte al dolore dell’Iran, di fronte l dolore della Siria, di
fronte al dolore ed alle condizioni
delle donne del Mediterraneo di
fronte alla strage di Cristiani in Nigeria. La nostra sinistra non si occupa soltanto dei fondi europei e
dello spread, ragiona della libertà,
perché è una sinistra libera. E da
questo punto di vista è una sinistra
che è capace di cambiare le regole
del gioco. Io non voglio parlare in
termini astratti, se si guarda la
slide che sta nel sito del Ministero
per la coesione territoriale ci rendiamo conto di quanto sia concretamente da cambiare il nostro Paese di quanto noi possiamo concretamente fare.
E’ una slide che dimostra come i
fondi europei in Italia tra il 2007 e
il 2013 sono stati di 99 miliardi e
286 milioni di €;
soldi nostri che noi
abbiamo dato all’Europa e che l’Europa
ci ha restituito in
misura minore perché questa Europa è
un Europa della quale siamo contribuenti
attivi, e meno male,
vuol dire che siamo
un grande Paese,.
Guardate che disastro, è un sito ufficiale, non è il mio sito,
abbiamo monitorato
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46,6 miliardi di € 53 miliardi vanno
direttamente via, non li recuperiamo, non li stiamo spendendo.
Quanto potremo fare per i nostri
prodotti, non soltanto nell’agroalimentare, ma quanto potremo fare
per le nostre aziende quanto potremo fare per rinnovare i processi,
quanto potremo fare per dare un
futuro all’Italia se non buttassimo
via nel silenzio della classe politica,
53 miliardi di €.
E pensate a questa cifra 473.048: i
progetti monitorati. Non soltanto
spendiamo 47 miliardi ma li mettiamo in 473.000 progetti. Che cosa
allucinante, anziché metterli in 100,
500, mille progetti li dividiamo in
mille rivoli. E’ chiaro poi che la formazione professionale serve più
alle società che fanno formazione
professionale, che al licenziato cinquantenne che non trova lavoro e
che dovrebbe esser riconvertito,
perché ne abbiamo 473.048. E’
chiaro che perdiamo l’occasione
per esser credibili. Però la nostra
sinistra per dirla con Gustav Mahler
persa che la nostra tradizione non
è adorare le ceneri, la tradizione è
custodire il fuoco. E’ prendere i
grandi Valori del passato e esportarli nel futuro, la scommessa che
abbiamo fatto è la scommessa di
provare a giocarci la partita della
primarie. Io non lo so come andrà
a finire non lo so davvero penso
che se guardo l’entusiasmo dei palazzetti dello sport, delle piazze, dei
luoghi, nei quali ci troviamo vi dico
che dovremo mettercela tutta per
perderla perché siete una forza
impressionante. Tanto è vero che
secondo me dovremo levare questo
nome Matteo Renzi, perché non è
quello il vero elemento di forza.
Forse all’inizio c’è stato un gesto do
coraggio che ha aperto al discussione. Ma noi dobbiamo cambiare la grafica perché sta accadendo qualcosa di
nuovo e di diverso,
tante
persone
si
stanno mettendo in
gioco con il desiderio
di tornare a dare
credibilità alla politica.
Io ho verso di voi
pochi ma chiari obblighi,
Il 1° se perdiamo,
anzi se perdo, in tanFirenze Torre di Arnolfo
ti mi dicono che cosa fari dopo, ti
farai un tuo partito? Ma signori
stiamo scherzando? ma la nostra
sinistra è leale, la nostra sinistra è
capace di rispettare le regole, la
nostra sinistra dice che quando si
perde non si scappa con il pallone
sotto braccio, si dà una mano a chi
ha vinto perché questa è la correttezza delle relazioni dentro il grande gioco delle primarie. Non si
scappa, si può perdere, ma non si
può perdere la faccia e siccome ho
visto qualcuno che ha detto, se
vince Renzi noi scateneremo la
guerra, come chi diceva “al mio
segnale scatenate l’inferno”, vorrei
dire che se toccherà a noi perdere,
al nostro segnale scateneremo un
sorriso di collaborazione, di disponibilità di lavoro comune perché noi
non siamo a scatenare le guerre,
noi siamo a fare politica in modo
libero senza condizionamenti, non
abbiamo niente da chiedere abbiamo molto entusiasmo da dare. C’è
un passaggio in più che devo dirvi
se sono onesto fino in fondo. In
tutte le partite delle primarie si è
utilizzato la figura del frontliner nel
caso di sconfitta.
Se si perde nelle primarie solitamente il frontliner ha un premio di
consolazione, una regola non scritta: hai combattuto una buona battaglia eccoti il premio di consolazione. Guardate l’elenco di quelli ch
sono andati alle primarie nel 2005,
primarie dell’Unione.
Se levate il mio amico Ivan Scalfarotto e se levate la candidata senza
nome che non mi ricordo nemmeno
come si chiamasse, perché era volutamente Adriana senza nome,
trovo Fausto Bertinotti 11%, premio di consolazione: Presidente
della camera dei deputati, Clemente Mastella (non capisco i sorrisi
ironici sugli statisti Irpini) meno del
5%: Ministro di Grazia e giustizia
(di grazia sicuramente sulla giustizia si può discutere) Antonio Di
Pietro meno del 5%, Ministro dei
Lavori Pubblici, e guardate come
ride Pecoraro Scanio meno del 2%:
Ministro dell’Ambiente.
Se volete c’è quella del 2007, ma
c’è la Bindi poi mi fa le dichiarazioni
contro e si sta tutto il giorno a litigare. Lo stesso anche nel 2007,
prendetelo per buono o andate a
controllarlo su internet.
Continua in ultima pagina
Quando la Gabanelli
vuole “insegnare ai gatti ad arrampicare”
...ovvero:
spiegare a
Monti come
tassare gli
italiani...
Ad aprile andò in onda la trasmissione Report della nota giornalista
Gabanelli nel quale si sosteneva
l’opportunità e la necessità di abolire sostanzialmente il denaro cash
per sostituirlo con i diversi sistemi
di pagamento elettronici.
Alla puntata, come sempre ricca di
dati e interviste qualificate, ha partecipato anche il Presidente del
consiglio pro-tempore Mario Monti
al quale la conduttrice ha proposto
una, ma bisognerebbe dire: La,
soluzione dei problemi economici
italiani.
Noi siamo umili giornalisti certamente con meno capacità esperienza e soprattutto mezzi della collega
(ci consenta di chiamarla così) Gabanelli, ma francamente spiegare a
Monti come far pagare le tasse agli
italiani ci è sembrato un tantinello
presuntuoso, per l’appunto come
insegnare ad un gatto come arrampicarsi su una pianta.
Comunque abbiamo voluto anche
noi dire la nostra e per questo abbiamo riportato dialoghi, interviste
e commenti espressi nella trasmissione e dopo le nostre (modestissime) valutazioni, aiutandoci anche
con quanto scritto in una recente
ricerca del centro studi di Confcommercio.
Da Report del 15 aprile 2012
Mezza Italia guadagna meno di
15.000 € ed è senza lavoro un gio-
vane su 3 e Monti intervistato da
Report afferma che “i problemi che
oggi i giovani italiani devono affrontare e che pesano su di loro,
sono frutto del forte debito pubblico e della scarsa crescita italiana e
tutte e due queste cose sono in
gran parte il prodotto della insufficiente lotta alla evasione che c’è
stata nel passato.”
Nel 2011 sono state fatte 4 manovre con un impatto di 48,914 miliardi che diventeranno 75 nel 2013
e 81 nel 2014
La pressione fiscale non è mai cresciuta così in fretta, ci hanno aumentato le accise sui carburanti, le
tasse locali, il tributo sui rifiuti, il
ticket sulle ricette mediche, hanno
introdotto l’imposta sulla casa, tassato i risparmi, aumentato i contributi agli autori autonomi e l’Iva per
tutti, in pensione si va più tardi.
Stiamo facendo tutti questi sacrifici
per racimolare 81 miliardi in tre
anni, mentre 120 - 150 miliardi
restano ogni anno nelle tasche degli evasori e sono tanti visto che
abbiamo 300 miliardi di nero. Stiamo parlando di un sommerso che
può arrivare per l’Istat al 17,5€ del
PIL secondo altri studi al 22%.
Fra le interviste per strada di Report un agente di commercio afferma che “evadere è legittima difesa” ma la voce del commentatore
ci spiega che “la legittima difesa ci
ha portato sull’orlo della bancarotta. Eppure ci sarebbe un sistema
con cui avremmo subito i soldi per
abbassare subito le tasse e fare gli
investimenti che servono per dare
lavoro alla gente, ci sarebbe e fa
leva sulla tracciabilità”
Il riferimento è alla moneta elettronica.
Per la Gabanelli l’alternativa è fra
aumentare le tasse a chi già le paga o tagliare i servizi, oppure introdurre il POS. Su questa domanda
retorica si chiede se non valga la
pena optare per i secondi
Nel 2010 il gettito fiscale è stato di
146 miliardi, più o meno ci dice, la
17
stessa cifra che si frega l’evasione
quindi conclude “potremmo esser
un Paese prospero e felice”, invece
abbiamo dipendenti e pensionati
che pagano i servizi ai lavoratori
autonomi e imprenditori che evadono e detestano lo stato perché è
inerme e li tartassa. Invece di continuare a lamentarci potemmo immaginare un sistema che mette gli
onesti in condizione di emarginare i
disonesti? Il sommerso vive di nero, il nero vive di contante. C’è la
possibilità di farlo emergere in fretta semplicemente cambiando le
abitudini?”
Nel servizio di Stefania Rimini: dopo altre interviste a cittadini che
usano il contante per pagare l’idraulico o per fare acquisti, la cronista ci informa che “I blitz della
finanza dagli alberghi di Cortina,
agli orafi di Firenze stanno ottenendo un certo effetto mediatico per
cui gli scontrini sono aumentati,
ma, (sempre per la curatrice del
servizio), basta farsi un giro nei
negozi del quartiere per capire che
la microevasione è sempre arzilla.”
Oreste Saccone (www.fiscoequo.it)
afferma che nel precedente governo il sistema sanzionatorio è stato
fortemente ridimensionato la punto
che il nostro evasore di massa medio, nel momento in cui viene beccato ha interesse a chiudere in adesione, perché paga una sanzione
pari al 16,66% cioè poco più di un
finanziamento di medio-lungo periodo”.
“E’ come se uno avesse chiesto un
prestito allo Stato, un prestito a
consumo”
Se gira contante evadere è più facile. Pensiamo a quello che gestisce
un agriturismo e invece di pagare i
fornitori con un bonifico, va a fare
la spesa all’ipermercato paga in
contanti e poi si dimentica di dare
la ricevuta ai clienti.
O il commerciante che vende cash,
non fa lo scontrino e poi va a rifornirsi nei magazzini all’ingrosso, senza lasciare nessuna traccia per il fisco.
Come quelli gestiti da cinesi
nella zona industriale di
Padova oggetto di interviste
da parte di Report.
Con il Pos invece rimane
tutto tracciato e toccherebbe pagare le tasse, questo
è il problema. Invece con il
contante è un attimo farlo
18
sparire all’estero, basta andare in
uno dei 35.000 chioschi di Money
transfer. Erano 700 solo 10 anni fa;
¼ delle transazioni sono verso la
Cina e poi ci sono tutte le badanti
dell’est. Alcuni Money transfer arrivano a movimentare oltre un milione di € al giorno, più di uno sportello bancario. Oggi il massimo che
si può spedire per la legge sono
999€ alla settimana, prima, ai tempi di Tremonti erano 12.500€. Ma
basta un documento falso per aggirare il limite, oppure rivolgersi a
compagnie diverse che non sono
collegate fra loro e quindi non sanno se una persona ha già fatto il
trasferimento.
Anche al criminalità movimenta i
soldi frazionando sotto la soglia dei
1000 €.
Giorgio Toschi (generale della
Guardia di finanza) intervistato,
afferma che “i denari contante sono il mezzo con cui le organizzazioni criminali continuano a ricorrere
per regolare i propri rapporti economici.”
Vale anche per gli evasori. Sarà un
caso che anche in Italia i 4/5 della
banconote ad 500 € sono concentrati vicino alla frontiera con la
Svizzera; a Forlì, vicino alla frontiera con San Marino e nel triveneto,
definite le “rampe di fuga dei capitali.”
Bruno Buratti (altro Generale di
Finanza) afferma che l’uso del contante spesso viene interposto all’interno di operazioni tracciate al fine
di interrompere il tracciamento.
Queste operazioni possono esser
bonifici, assegni, pagamenti con
assegni o carte di credito, tutti sistemo che impediscono di fare del
nero.
Attilio Befera (Equitalia) parla di un
sommerso attorno ai 300 miliardi,
120-150 miliardi di evasione alla
cui base c’è sempre il contante.
Gabanelli arriva quindi alla conclusione che finché non si riduce l’uso
del contante da questo giro non se
ne esce. Conviene lasciare che ogni
anno 900 milioni vadano verso l’est
senza lasciare traccia?, oppure che
7 miliardi di € l’anno attraverso i
Money transfer vadano verso l’Asia
soprattutto in Cina? Sono i nostri
acquisti cash e i loro acquisti in
nero.
Non sarebbe più conveniente pagare in maniera tracciabile? Colf, badanti e i cinesi che stanno qui visto
che usufruiscono delle nostre scuole, dei nostri ospedali delle nostre
strade.
Per contenere l’evasione si sono
inventati gli studi di settore iniqui
per definizione, poi c’è il redditometro che è un po’ come la pesca a
strascico, dentro ci va a finire di
tutto.
Lo scorso anno nei 467.000 accertamenti, sono finiti casi di persone
che ad esempio avevano un’auto
da 40.000€ ed uno stipendio basso
che prendeva in contanti, ma pur
avendo
dimostrato che poteva
mantenere l’auto perché single,
convivente con la madre pensionata, che non fuma, non viaggia, non
ha spese e conduce una vita moderata è stato multato. Il libretto
cointestato non è stato ritenuto
strumento valido, se si prelevano
soldi in contanti. Così se fai un prestito a tuo fratello la tua dichiarazione non basta perché ti dicono
che non è tracciato. E le multe sono dell’ordine di 40-50.000€ e se
fai ricorso rischi di pagare il doppio
perché le sanzioni non sono più
ridotte e così rischi di pagare 7080mila € per non aver fatto nulla di
illecito.
Se avesse pagato con bancomat,
dice Report, si sarebbe potuto difendere meglio. E quando si prende
lo stipendio in contante è difficile
far valere i propri diritti, ancor di
più se si lavora in nero e il datore
di lavoro è una S.r.l.
Per Gilberto Cerutti, avvocato nel
settore delle imprese “le
S.r.l. praticano una evasione fiscale sistematica perché si estingue, si cancella
e ne sorge un’altra come
l’Araba fenice magari con
la stessa compagine sociale, o con soci di comodo, o
parentele.”
Basta una seduta dal notaio per chiudere una S.r.l.
e se anche non pagano i
dipendenti,questi non possono neanche rivolgersi al tribunale se la
società fatturava meno di 300.000€
all’anno per tre anni consecutivi.
Sempre l’avv. Cerutti : “Il liquidatore che viene nominato, se qualcuno
preferisce non cancellarsi, normalmente è un cittadino bulgaro, albanese, ucraino, moldavo, e la società viene trasferita in una qualunque città di un Paese dell’est dove
risulta impossibile notificare gli atti,
ed i soci non hanno nessuna ripercussione.”
Sono 454.000 le società s.r.l., molte operano con ampi margini di
nero, con straordinari retribuiti a
forfait. Gli evasori spesso rientrano
anche nei trenta milioni di contribuenti che si prendono le presta-
sono lavoratori che hanno lavorato
180 ore e ne sono state segnate 51
ed il resto viene pagato come rimborso spese che non è tassato. Altri
hanno 744 € tassati e 466 di diarie; il rimborso spese c’è in tutte le
buste paga e si aggira su imprti
uguali o poco inferiori al percepito
come stipendio, casi limite di buste
paga con 266 € di stipendio e 586€
di premi. Nessuna delle buste paga
gestite dal sindacato è a posto.”
E’ quindi immaginabile quanta evasione fiscale queste società hanno
prodotto.
Il direttore di una di questa S.r.l.
afferma di applicare strettamente
le norme di legge anche richiedendo più documentazione di quella
prevista dalle norme, inoltre il
zioni agevolate: buoni casa, riduzione della tassa rifiuti, borse di
studio, pur non avendone diritto,
passando magari davanti a chi ne
ha effettivamente bisogno.
Per tutte queste fattispecie, per cui
il cittadino beneficia di riduzioni, è
necessario che le transazioni avvengano con strumenti tracciati
cioè non in contanti. Anche i soci
delle cooperativo spesso, sono soci
solo per modo di dire, e si trovano
a evadere contro i loro interessi.
Report intervista uno di questi
“soci” che dichiara di avere una
busta paga che non corrisponde
esattamente alla realtà, perché c’è
il problema delle tasse e di versare
meno contributi, così si introducono voci come le trasferte i rimborsi
spese con cui pagano meno e il
“socio” ha meno contributi. Altri
risultano part-time quando lavorano dalle 12 ore in su con gli effetti
negativi sulla futura pensione.
Il segretario Filt (Rocco Lamparelli)
carte alla mano evidenzia che “ci
DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) attesta e certifica la regolarità del versamento
dei contributi assicurativi e previdenziali richiesto addirittura mensilmente.
Nelle ispezioni della Finanza su 10
cooperative sono stati trovati 37
lavoratori in nero.
Il vicepresidente Confcooperative
Lazio (Giuseppe Sparvoli) evidenzia
che alle grandi aziende nel cambio
appalto viene chiesto di ridurre i
costi, non accettando la riduzione
di questi costi, si viene esclusi dall’appalto, per cui subentrano altre
cooperative che per tre anni sono
sicure che se evadono nessuno le
controlla, e poi le mettono in liquidazione e c’è un sistema continuo
di riciclaggio di cooperative false.
Quindi il nero lo fanno tutti dall’ambulante alla S.r.l. dalla piccola cooperativa alla grande società, i padroni di casa, i fornitori, i dipendenti vogliono essere pagati in nero almeno in parte, e la motivazio-
ne è sempre la stessa.
Un tassista intervistato, dichiara
candidamente “che tutto ciò che
può evadere lo evade perché se
denunciasse tutto ciò che deve alla
fine non ce la può fare a sopravvivere.”
Così Gabanelli afferma che nell’evasione di massa, quando ne beccano
uno lo massacrano. Si porta il caso
di un giovane imprenditore che
gestiva un ristorante sul lago Maggiore. Nel 2007 riceve un controllo
dell’ispettorato del lavoro, ha 11
dipendenti in regola e tre non assunti che erano studenti nel periodo delle vacanze i quali avendo
iniziato a lavorare dal 1° giugno,
dovevano essere iscritti da prima,
ma essendo inseriti nel libro matricola dalla stessa data, il gestore è
stato sanzionato con 34.000 €. In
altro caso i clienti di un ristorante
hanno lasciato il soldi del conto con
lo scontrino sul tavolo prima di uscire, il finanziere verifica, ma fa la
multa lo stesso perché il titolare
non si è accertato che portassero
via lo scontrino. Sempre il nostro
giovane ristoratore prova a fare le
pratiche previste per - l’emersione
del sommerso -, perde un giorno
intero negli uffici, nessuno sapeva
come mettere in regola i ragazzi.
Nel verbale della finanza risulterebbe poi che una ragazza lavorava
presso di lui mentre era a scuola.
Così l’Inps continua a mandargli
cartelle per svariate migliaia di € , i
processi non hanno portato a niente (salvo i costi degli avvocati) che
alla fine gli hanno suggerito di continuare a non intestarsi nulla. Così
a trent’anni l’imprenditore oberato
dai debiti ha aperto una nuova attività ma assolutamente senza dipendenti.
Ne aveva 14 oggi non ne ha più.
Per la Gabanelli la colpa di questa
situazione è dovuta al troppo nero,
si crea insomma una specie di circolo vizioso: se lo si fa perché le
tasse sono troppo alte, ma le tasse
non si abbassano perché troppi
evadono.
Sono milioni di microevasioni che
sommate fanno 1/5 del Pil e nell’inefficienza del sistema si colpisce
nel mucchio. Chi è quel pazzo che
in questa situazione ha voglia di far
partire una nuova impresa? Sapendo già che deve evadere perché lo
fa il suo concorrente?
La conduttrice spiega: ”Adesso il
19
governo Monti ci chiede di lasciare
sempre più tracce delle nostre operazioni per permettere al fisco di
rilevare le anomalie. Guardano come spendiamo i soldi, qualcuno lo
vive come una violenza, giustamente perché vanno a ficcare il
naso nei tuoi stili di vita. Ma anche
questo è un prezzo da pagare a
quelli che evadono, perché mica
puoi mettere un finanziare dietro a
ogni professionista ad ogni commerciante o ad ogni imprenditore!”
Per Monti: “Con un forte contrasto
all’evasione si acquista legittimità e
comprensione agli occhi dei cittadini, in altre misure che sono pesanti, ma che erano e sono essenziali
per evitare che l’Italia potesse fare
la fine della Grecia…”
Per le aziende ritorna l’elenco clienti e fornitori, soppresso da Tremonti nel 2008, così diventa più rischioso non registrare le fatture,
faranno anche la radiografia del
conto corrente e le banche su richiesta della agenzia delle entrate
dovranno trasmettere i dati relativi
ai saldi e ai movimenti e poi ci
chiedono di fare i nostri pagamenti
oltre i mille Euro evitando i contanti.
Se si paga un medico col bonifico
piuttosto che con la carta, il professionista non ha la tentazione di non
rilasciare la ricevuta per il semplice
motivo che il sistema la individua e
quindi in automatico viene segnalato come persona che evade.
Monti: “ ci sarà in prospettiva una
convergenza dell’Italia verso l’uso
che si osserva negli altri Paesi, di
usare di più gli strumenti di pagamento diversi dal contante.”
Vuol dire che dovremo usare di più
i bonifici, gli assegni, le carte di
pagamento e installare i POS le
20
macchinette che leggono le carte.
Alcuni cittadini intervistati ritengono che questo sia “solo un sistema
del governo per fregare più soldi ai
cittadini”, altri affermano che “se
diventasse obbligatorio (il Pos)
chiuderebbero il negozio.”
Per ora è vietato solo il pagamento
cash sopra i 1.000 €, così 850.000
pensionati devono aver il conto in
banca, che qualcuno lamenta esser
un servizio di cui loro non hanno
bisogno, infatti molti continuano a
pagare in contanti affitto e spese
varie.
Anche se il governo ha previsto che
il conto corrente deve esser gratuito sino ai 1.500 € al di là delle contestazioni delle banche, vedremo
quanti pensionati impareranno a
utilizzare bonifici assegni o carte di
pagamento.
La responsabile servizi di pagamento dell’Abi (Rita Camporeale) è convinta che attraverso gli strumenti di
pagamento elettronico si può ridurre l’elusione e l’evasione fiscale ed,
ovviamente, sono favorevoli ad un
abbassamento della soglia di pagamento in contanti, avevano infatti
proposto la soglia a 500 € e non a
1000 €
Ma Monti spiega che “Nel sistema
dell’euro esiste la banconota da
500€ e sarebbe stato paradossale
arrivare a dichiarare non utilizzabile
una banconota che esiste. E poi
l’abitudine in Italia è ancora molto
quella dell’uso del contante”.
Report rileva che “Eppure abbiamo
dato prova di flessibilità cambiando
addirittura moneta dalle Lire all’Euro da un anno all’altro, ma l’idea di
mettere dentro al radar tutte le
nostre spese quotidiane ci spaventa.”
Un cittadino intervistato evidenzia
che quando si devono pagare avvocati, dentisti, notai per centinaia o
migliaia di euro non viene pretesa
la fattura mentre al bar per il caffè
giornalisti e finanza imperversano.
Con il limite dei 1000€ i professionisti che continuano a farsi pagare
in nero possono continuare a farlo
e anche l’artigiano che chiede 80
senza fattura e 100 con fattura può
continuare a farlo.
C’è un paese in provincia di Piacenza in cui gli abitanti pagano solo in
contanti, c’è un solo negozio che
non ha il POS, anche la pensione
arriva in posta che è il fulcro finanziario del paese è in contanti
La trasmissione ricorda poi che
Tremonti pagava 4000€ in contanti
per l’affitto di un alloggio al suo
braccio destro, e la conduttrice denuncia inoltre come in 11 anni di
Governo Tremonti abbia smantellato le misure per la tracciabilità, e
che tutti i suoi condoni hanno certamente favorito e incrementato la
cultura della evasione.
Ritorna su Monti che all’inizio avevano pensato di abbassare la soglia
dei 999€ a 500, ma poi ci ha ripensato e contesta la giustificazione data (la banconota da 500 € c’è
bisognava usarla” affermando
“allora anche il tabacco c’è, bisogna
fumare, ma visto che è dannoso
per la salute ne hanno abolito il
consumo nei luoghi pubblici” .
“Nelle banche inglesi non è possibile ritirare una banconota da 500 €
perché hanno verificato che nel
90% dei casi l’uso è illegale, detto
dal Paese che è il più grande riciclatore mondiale fa un po’ specie”
I costi del contante.
Dal 1° giugno gli stipendi della
pubblica amministrazione sopra i
1000 € non sarà più possibile ritirarli in contante ma verranno depositati sul conto.
L’ex direttore dell’ufficio del tesoro
che ogni mese paga un milione e
mezzo di dipendenti pubblici ha
lottato venti anni per arrivare a
questo risultato. Gestire il contante
dei 20.000 uffici periferici della Amministrazione Statale ha un costo
enorme perché ogni ufficio quando
pagava stipendi accessori, incentivanti, straordinari e turni ad ognuno di questi un cassiere doveva
andare in banca ritirare i soldi,
scortato dalla Guardia di finanza,
ritornava in ufficio, chiamava tutti i
dipendenti che andavano a riscuo-
Pagare con il cellulare
tere il compenso. E questo accadeva anche più volte al mese, a seconda di quando si pagava lo stipendio, il compenso incentivante o
i turni di straordinario, ecc.
Gli impiegati andavano a ritirarsi lo
stipendio durante gli orari di ufficio
con permesso dal lavoro, in certi
casi venne fatto una circolare per
limitare i pagamenti in contanti.
Tutto questo fino a poco tempo fa.
Si è dovuto arrivare sino al 2012
per cambiare.
Il conto in banca aveva comunque
dei costi e delle spese, il governo
Monti ha dovuto fare un decreto
per costringere il sistema bancario
ad offrire un conto corrente senza
costi per tutti quei pensionati obbligati ad aprirlo.
Il conto corrente deve essere gratuito ma non è stato ancora deciso
che i servizi bancari sono servizi
pubblici. Le banche non mollano
l’osso e qualche impiegato brontola
perché non può più riscuotere in
contanti, ma poi si abitueranno,
mentre a tutti gli altri il governo ha
preferito non dare troppo disturbo
fissando un limite al contente che
di fatto è una rete piena di buchi.
La cronista chiede a Villiam Rossi
professore di Diritto tributario università di Bologna “il pensionato
che continua a lavorare in nero per
l’azienda di prima e quindi la sua
pensione non la tocca e va solo a
depositare, quello viene segnalato
con il limite dei 1000 €?”
Risposta “Molto probabilmente no,
più facile che emerga dalla incompatibilità dei movimenti che ha nel
suo conto corrente rispetto alla
pensione” e più di tanti non li possono controllare perché la pratica è
talmente diffusa...”
Rossi: “I controlli mediante gli operatori finanziari, fino adesso ne sono stati fatti 10.000 in un anno, e
non è che se ne faranno molti di
più…” Cronista: “capirai…”
Per la precisione le indagini finanziarie sono state 11.500 lo scorso
anno su 40 milioni di contribuenti,
c’è quindi troppa gente che evade
e senza un sistema di controllo automatico fortemente dissuasivo non
li puoi fermare.
Alla domanda “se viene abbassato
il limite del consumo del contante
anche a 100 € per tutti è sufficiente a impedire il sommerso il nero? “
Rossi risponde “ no, sono misure
giuste ma non sono sufficienti, per-
ché purtroppo possiamo fare tutte
le regole possibili immaginabili, ma
se qualcuno vuole evadere e ha la
complicità del suo interlocutore, lo
fa”
Continua la cronista “ a meno che
non gli rendi così difficile e penoso
usare il contante che conviene in
ogni caso usare la carta o altro” e
Rossi “Sì, bisognerebbe arrivare a
stimolare di più l’uso della carta
elettronica”.
Così Gabanelli conclude che “il fenomeno di massa non lo fermi con
un tetto a 1000 € ma neanche a
500, sappiamo che quei 120- 150
miliardi di € all’anno che mancano
all’appello si nutrono principalmente di contante, vuol dire che se
pagassimo tutto in modo tracciabile, milioni di micro-evasioni verrebbero subito a galla, per noi che
differenza fa?: nessuna; chi ha invece assolutamente bisogno di
contanti? Gli spacciatori, i tangentisti, quelli che fanno il nero e quelli
che evadono”
In Italia circolano 37 milioni di bancomat e 34 milioni di carte di credito ma rispetto al resto d’Europa noi
queste carte le usiamo tre volte di
meno.”
Dall’Italia agli stati Uniti passando
per la Polonia come si usa la carta
e che costi ha?
Anche al casello dell’autostrada gli
italiani preferiscono fare la coda
nella corsia dei contanti mentre la
corsia dei pagamenti con carta è
sempre libera.
Esiste anche il problema delle frodi
anche se sono recuperabili. La
dott.ssa Di Mattia esperta dei sistemi di pagamento del CRIF così si
esprime: “L’incidenza sul numero
delle transazioni è pari allo 0,014%
un numero veramente contenuto.
Le carte, per iniziativa della Comunità Euroapea, hanno ormai al loro
interno il chip che è un sistema di
sicurezza che permette alla carta di
esser meno facilmente duplicabile”
Quindi per chi scegli di pagare con
sistemi tracciabili in Italia non dovrebbe fare nessuna differenza: se
il maglione che sto comprando costa 100 € non devo pagare 105
perché sto utilizzando una carta di
pagamento. E’ vietato.
Ma se si appoggia ad un conto corrente può avere un costo l’operazione fatta con carta. Nell’estratto
conto è come ogni altra operazione, quindi alla fine gli costa come
cliente. Dipende da banca a banca
e dal costo della gestione del conto. Poi c’è il canone annuale della
carta attorno ai trenta € che si può
anche azzerare in certi contratti,
per i bonifici invece il costo a certi
sportelli può arrivare anche a 7 €,
fatto su internet molto meno.
La cronista suggerisce di cambiare
banca se non si fanno buone condizioni per i pagamenti tracciabili.
Chi non va d’accordo con le banche
può utilizzare carte prepagate che
non hanno bisogno di esser associate ad un conto. Costo attorno ai
10 € e si possono far anche bonifici
con le Carte Conto con codice Iban
che permettono di fare anche le
classiche operazioni bancarie come
l’accredito dello stipendio e l’addebito delle bollette.
Siccome la tracciabilità deve esser
garantita il tabaccaio o chi fa la
ricarica della carta, deve agire come se fosse un bancario, quando
arriva il cliente per ricaricare deve
controllare l’identità su un documento, inserire il codice fiscale,
anche perché certe carte si possono ricaricare sino a 50.000€ all’anno. Eppure nonostante tutti mezzi
a disposizione per pagare in manie-
21
ra tracciabile in Italia il 91% delle
transazioni finanziarie si fa in contanti, contro il 59% in Francia e il
69% nel Regno Unito.
Persino in una economia meno avanzata come la Polonia pagano
con la carta importi medi da 25 €.
Un ragazzo polacco intervistato
afferma che in un mese usa l’equivalente di circa 70€ in contanti giusto per le piccole spese: gomma da
masticare, bibite, sigarette, ecc.
In Polonia si paga con la carta anche la metro e il caffè.
Ma la patria del no-cash sono gli
Stati Uniti. Accade così di dover
pagare il parcheggio dell’auto con
la carta e la polizia municipale viene allertata in centrale quando la
sosta scade, tutti i negozi hanno la
loro gift-card: una prepagata da
spendere sul posto che si usa come
regalo di compleanno e nel bar
accettano la carta anche solo per
un caffè.
Persino la lavanderia automatica ha
un suo circuito che ti permette di
fare il bucato senza usare il gettone, e quando si esaurisce si può
ricaricare al momento con il bancomat, mentre se devo 5 dollari ad
un amico glieli posso restituire con
il cellulare (vedi foto pagina prec.)
Funziona così: dopo esserti connesso, inserisci l’importo, firmi sullo
schermo del cellulare per autorizzare la transazione, quindi basta spedire la ricevuta al tuo (ex) creditore
via mail.
Anche in Europa si stanno introducendo queste tecnologie per pagare ovunque, basta avere un telefonino o un tablet connesso a
internet e un lettore di carta di
credito che costa un dollaro.
Molti piccoli commercianti ce l’hanno, la commissione che si paga è il
22
2,75%, alla fine comparirà la transazione nell’estratto conto: tutto
tracciato e Google sta lanciando
anche il borsellino elettronico.
Il portafoglio elettronico è una applicazione per il cellulare che memorizza le informazioni di base per
effettuare i pagamenti e i dati della
tua carta negli elementi sicuri del
telefono, le commissioni sul bancomat a carico dei negozianti sono
molto più basse che in Italia, al
massimo 27 centesimi su un acquisto da 100 $. Negli Usa circa il
98% dei negozi accetta il bancomat.
Una coppia americana intervistata
afferma di usare meno di 25$ al
mese ciascuno, spesso non hanno
con loro nemmeno il portafoglio,
ma solo le carte.
Anche a Milano è possibile pagare il
caffè con il cellulare, è comodo
rispetto al POS normale perché
velocizza molto le transazioni inoltre permette di pagare anche piccoli importi come un caffè o un
gelato. E’ una tecnologia che si sta
testando in una serie di negozi.
Uno di questi McDonald dichiara
circa 15.000 transazioni al mese.
Per utilizzar il servizio bisogna avere abilitato il telefonino che all’interno ha un chip particolare, una
tecnologia a corto raggio e nei
prossimi anni tutti i telefonini che
verranno messi in vendita avranno
questa tecnologia.
Ma già oggi con un normale telefonino si può evitare il contante pagando via sms.
A Firenze come in tante altre città
mandando un sms all’azienda trasporti urbani, mi torna indietro un
messaggio sul cellulare e che posso
far vedere al controllore, così per i
parcheggi in zona blu, le corse dei
taxi e i biglietti per gli spettacoli.
A Torino per pagare il taxi basta
inquadrare un codice a barre bidimensionali
In questo caso l’utente si iscrive
presso la sua banca lascia i suoi
dati sensibili solo una volta, dopo di
che varrà il suo numero di cellulare
e gli verrà richiesto solo un codice
di sicurezza che verrà inviato alla
banca, il costo verrà dedotto dal
conto corrente o carta di credito. Si
può utilizzare anche con Smartphone o Pc al posto del POS.
Tutte tecnologie che possono esser
usate anche per pagare stipendio
alla badante, il conto dell’idraulico
ecc. Basta un cellulare sia per chi
paga che per chi riceve il pagamento. E se il cellulare “non prende”
per mancanza di segnale, basta
una normale linea del telefono che
fa funzionare il POS.
In Italia ci sono un milione e mezzo
di POS, siamo quindi sopra la media europea, e ci sono anche i POS
evoluti: sono i POS in mobilità che
usano la rete GSM invece delle
normali linee telefoniche.
Quindi sotto il profilo tecnologico si
potrebbe già oggi fare qualsiasi
cosa senza il contante.
Visto che il governo spinge per la
tracciabilità dovrebbe esser possibile usare la carta soprattutto con le
società a capitale pubblico, invece
capita di andare all’Aci per pagare
un bollo auto e sentirsi rispondere
che si accettano solo contanti, così
come alle Poste che accettano solo
le carte di pagamento Postamat,
Postepay e tutte le carte emesse
dalle banche con il marchio Bancomat.
Ma per mandare una raccomandata
accettano solo carte emesse solo
da loro stessi.
Oltre alle grandi aziende anche
quelle piccole non amano il bancomat ad esempio un farmacista afferma che con certi farmaci il cui
ricarico è solo del 20-30% o anche
meno perdere anche un 2% con il
pagamento elettronico non conviene. Inoltre sotto certe cifre c’è la
quota fissa di 50 centesimi, quindi
se la cifra è bassa uno rischia addirittura di rimetterci.
La conduttrice di Report arriva
quindi alla conclusione che se vogliamo pagare con sistemi tracciabili, le banche devono calare le
commissioni e devono anche farsi
concorrenza, perché oggi una vera
concorrenza non c’è.
Lo dimostra che se vuoi sapere chi
ti fa la migliore offerta devi prenderti una settimana di permesso e
poi non è detto. Report ha chiesto
alle prime 6 banche qual è la commissione media che applicano al
piccolo negoziante. A rispondere in
24 ore è stata solo Poste che comunica che sulla carta di credito
applicano l’1,25% di commissione ,
gli altri istituti ci hanno impiegato
fra i 5 e i 10 giorni per rispondere:
Intesa applica l’1,20%; l’UBI l’1,44%, BPM l’1,5%. Mentre Montepaschi e UniCredit non l’hanno
voluto comunicare.
Il sistema delle banche è opaco e
l’opacità favorisce i prezzi alti, ci si
aspetta quindi un intervento governativo, va detto che per chi compra
non ci sarebbero ricarichi, però
ogni tanto una occhiata all’estratto
conto è bene darla.
Il problema delle commissioni è per
chi vende ed oggi accettare i pagamenti con carta ha dei costi.
Alcuni negozianti hanno verificato
che in un anno si aggirano sui 500
€: 15 € di noleggio POS, l’operazione bancaria tutti i giorni, la telefonata e le commissioni sull’importo
di transazione.
Per Giovanni Calabrò direttore generale dell’Antitrust “Il costo c’è ed
in alcuni casi si è assistito e si assiste tutt’ora a valori delle commissioni molto molto elevate, in alcuni
casi anche sopra al 4-5%, ma quello che conta è che scenda la commissione interbancaria che raggiunge spesso quasi l’1% comunque
supera almeno 0,60-0,70% solo
quella.”
Giustamente rileva la conduttrice
che “Quindi l’esercente si ritrova
con un costo troppo alto.”
L’Antitrust ha fatto 6 milioni di multa a MasterCard e a 8 banche per
queste commissioni e per le clausole con cui convenzionano i negozi.
Però queste commissioni comunque le ridurranno? Ma c’è da fidarsi? Prendiamo il caso delle prepagate che sono aumentate del 16%,
ma i costi sono calati? Per Calabrò
il costi stanno invece aumentando,
nonostante l’uso delle carte prepagate si stai diffondendo sempre
più.
E’ intervenuto il Governo che ha
azzerato le commissioni per i benzinai, per il pieno sino a 100 €, dopodiché il Governo ha disposto che se
le banche non trovano un sistema
per ridurre i costi
entro la fine del
2012 le commissioni verranno abbassate per decreto. I
piccoli
esercenti
nel frattempo come fanno?
La carta utilizzata
maggiormente è il
bancomat nella funzione pago bancomat, e su quella i costi sono sicuramente più bassi, anche perché il
numero di transazioni è già molto
elevato già adesso, ed anche le
transazioni interbancarie a seguito
dell’intervento dell’antitrust sono
state recentemente ridotte con
commissioni sotto l’1% .
Per uno studio fatto dall’osservatorio Mobile Payment del Politecnico
di Milano anche il contante ha un
costo per l’esercente: fra trasporto
e conteggio, stima in 1-2% sul fatturato di un tabaccaio quindi 1000
€ all’anno su 100.000 € di fatturato, tali costi hanno una crescita
esponenziale con il crescer del fatturato
Da qui Gabanelli afferma che il costo per le imprese arriva a 10 miliardi all’anno, e poi “come li valuti
il benzinaio, il gioielliere il tabaccaio
uccisi per rubare l’incasso?”
Quindi non esistono reali ostacoli
per cominciare a pagare tutto in
modo tracciabile, le infrastrutture ci
sono, l’offerta degli strumenti è
ampia, certo devono diminuire i
costi per l’esercente.
Però in un paese che fa 300 miliardi l’anno di sommerso sarà un po’
difficile che uno decida spontaneamente di cambiare strada. Ci vuole
una forte motivazione, potrebbe
esser quella di stabilire una soglia
di sbarramento: se stai sotto ci
guadagni, se stai sopra ti fai male,
ma capire dove bisogna piazzare
l’asticella vuol dire sapere quanto
ragionevolmente di cash ti serve
ogni mese. Vale a dire di quanto io
ho bisogno in contanti per i casi in
cui non si può pagare in altro modo.
Prima di tutto bisogna che non ci
siano costi aggiuntivi per cittadini e
commercianti quando si utilizzano
carte, anche per i professionisti
non deve costare più dell’1% che
abbiamo visto esser il costo minimo
per la gestione del contante.
A quel punto cosa importa se si
tassa l’uso del contante visto che
posso pagare in altro modo?
L’elettricista, il medico, il commercialista si possono tutti pagare in
modo tracciabile con un bonifico,
assegno, carta di credito, anche la
paghetta ai figli la si può dare con
la carta.
Fino a che punto si può fare ameno
della moneta? Ragionevolmente,
secondo Report, servono attorno ai
150 € in contanti, se esistesse una
ritenuta sull’uso del contante quanto inciderebbe su un italiano medio? Nell’ipotesi fatta dalla trasmissione l’uso fino a 150 € non dovrebbe essere penalizzato, per cui
se la ritenuto sui prelievi fosse del
33% lo Stato dovrebbe accreditare
una volta al mese 50€ ognuno in
busta paga sulla pensione o sottoforma di detrazione fiscale.
Così nessuno ci rimetterebbe, mentre chi riuscisse ad eliminare del
tutto l’uso del contante non avrebbe niente da compensare, e quindi
si ritroverebbe con un aumento
netto di 50 € al mese cioè 600 €
all’anno in più a testa.
“E’ solo l’idea di una strada possibile” almeno secondo il ragionamento della Gabanelli “che per ora non
è alterato dall’assunzione di sostanze stupefacenti” (lo dice lei),
“abbiamo capito che per il parcheggio, il giornale, per la candela in
chiesa per la frutta per strada, per
le caldarroste, per gli spiccioli della
quotidianità possono stare dentro
ai 150 €. E’ una cifra arbitraria serve per spiegare il ragionamento, e
dentro questa soglia nessuno deve
esser penalizzato anzi il contrario.
Riassumendo: “Stiamo pensando
ad un sistema che possa permettere di far riemergere almeno una
parte di quei 300 miliardi l’anno in
nero perché ci siamo stufati di sobbarcarci ogni giorno una tassa a
causa di chi evade. Il sommerso
vive di contanti, quindi bisognereb-
23
be scoraggiarne l’uso, utilizzando
mezzi tracciabili naturalmente. Come si scoraggia l’uso del contante?:
un dissuasore potrebbe essere un
33% applicato al deposito e al prelievo, abbiamo visto che ragionevolmente ci servono 150 € al mese
di cash, quel 33% equivale al 50€
che però mi vengono riaccreditati
alla fine del mese che vuol dire 600
€ l’anno, su 36 milioni di abitanti
sono 36 miliardi all’anno che ritornano indietro. Lì per lì uno dice ma
tutta questa storia del denaro tracciabile non era per portare del denaro alle casse?.
Certamente sì, perché i 36 miliardi
sono un partita di giro che ritornano al cittadino per i suoi 150 € al
mese in contanti. Quindi nessuno
ha tirato fuori un € in più, ma immaginiamo che l’intera popolazione
paghi tutto in modo tracciabile, si
ritroverà con 600 € in tasca in più
all’anno, in questo caso come si
copre questo esborso? Quei 36
miliardi lo stato ce li avrebbe già in
tasca perché le operazioni che prima venivano fatte in nero adesso
sarebbero accompagnate da fattura
sulle quali versi l’imposta pertanto
emergerebbe una parte cospicua
dei 300 mld che oggi sono in nero,
metti che in questo modo dei 120 150 miliardi di evasione ne acchiappi subito 100, 36 abbiamo
detto tornano alle famiglie. Ed è
un bello stimolo all’aumento dei
consumi, ne restano 64 per cominciare ad eliminare una tassa
ingiusta che è l’IRAP, per dare la
possibilità di detrarre una parte
dell’Iva sulle spese che oggi non
sono più considerate, dall’idraulico al muratore, per fare investimenti e creare posti di lavoro,
cominciare ad abbattree il debito
liberandoci dal ricatto della speculazione. E poi inneschi il meccanismo virtuoso della concorrenza
leale. Perché oggi se non fai fattura riesci a stare sul mercato se
24
paghi tutto: no.
L’obiettivo quindi non
è quello di aggiungere
una nuova tassa ma
rendere preferibile pagare in altri modi e
allora vediamo nella
pratica cosa cambierebbe per il Paese se si
cambiasse
con una
ritenuta del 33% sia
sul deposito che sul
prelievo di contante.
Oggi la ditta Evasore ti propone
121 € con fattura o 100 in nero in
contanti, e per entrambe la bilancia
pende verso il nero.
Come cambierebbe se ci fosse una
tassa sull’uso del contante? Poniamo del 33%.
Per pagare in contente la ditta Evasore, il cliente va a prelevare le
banconote per 100 €, ma invece di
100 se ne vedrebbero scalare dal
conto 150 a causa della tassa sul
prelievo. A quel punto il cliente non
avrebbe più nessun interesse a
pagare in contanti il nero diventano
preferibili pagare con bonifico, assegno o carta e la bilancia pende
verso la fattura 121 €. Ma se la
ditta Evasore proponesse uno sconto ancora maggiore tipo 121 con
fattura oppure 80 in contanti, per il
cliente non farebbe differenza, ma
all’impresa Evasore non conviene
perché quando va a versare 80 € in
più in contanti gliene accreditano
solo 53 a causa della tassa sul deposito. A quel punto anche per la
ditta Evasore la bilancia pende verso la fattura.”
A questo punto Report fa la proposta a Monti che così risponde: “non
sono molte le trasmissioni che oltre
a indagare la realtà mi fanno anche
proposte di politica economica,
questa sembra meritevole di consi-
derazione e fra le finalità che ispirano a prima vista c’è una certa
pesantezza pratica, e vedo una
analogia con la tassa sulle transazioni finanziarie in qualche caso, la
Tobin tax che è vero si riferisce ad
un contesto completamente diverso, cioè le grandi transazioni finanziarie, mentre questa è riferita alla
microevasione, (…) in veste di presidente del Consiglio non mi trovo
a mio agio nel dare risposte senza
un adeguato studio e valutazioni su
politica economica, mi sembra una
idea che merita di essere considerata.”
Per Gabanelli sono più i vantaggi
degli svantaggi, e se poi qualcuno
si vuole pagare la cena o il gioiello
per l’amate, si compri la prepagata
o se preferisce paghi in contanti
pagandoci sopra il 33% senza farla troppo lunga perché la partita è
decisamente più elevata.
Il contributo conclude la conduttrice è da giornalisti, se interessa, i
tecnici dovrebbero poi studiare
mettere a punto, aggiustare il tiro,
e anche veder la questione della
soglia che magari per i negozianti
potrebbe non andar bene, rivedere
le compensazioni, di sicuro è che
quando il sistema si autoregola
non c’è più bisogno di mandare i
finanzieri a controllare gli scontrini,
ma tutte le forze potrebbero esser
concentrare sulle grandi operazioni
di riciclaggio o le grandi operazioni
di evasione potrebbero esser impiegate a controllare per esempio,
chi consegna direttamente il contante alle banche, i corrieri delle
banche che forniscono il servizio
completo per portarlo fuori confine.
E qui ci fermiamo nel resoconto
della trasmissione che prosegue poi
con un inchiesta sul banco di Desio
e l’invio di capitali in Svizzera.
Secondo noi… calma e gesso con i soldi dei
cittadini
Improponibile
oggi dare ad
uno Stato
colabrodo
altri 150
miliardi
che andranno
sostanzialmente
a ricadere
sui già
ultra tassati
cittadini
italiani...
Ci sembra giusto a questo punto
fare alcune osservazioni sulla proposta che Report ha ripreso e sviluppato nella trasmissione del 15
aprile u.s. (La Repubblica ne aveva
scritto qualche giorno prima) che è
certamente interessante e teoricamente applicabile.
Il termine teoricamente riguarda il
nostro Paese, e questi tempi, perché se è vero che la Svezia, primo
Paese a introdurre le banconote,
prevede di passare a No-cash, per
l’Italia ci pare esistano condizioni
sostanzialmente diverse e riteniamo che un passaggio più o meno
repentino come prospettato da Report possa produrre gravi conseguenze che nella trasmissione non
sono state nemmeno accennate.
I dati Istat ci dicono che il nero è di
300 miliardi per cui fra Iva, Irpef,
Irpeg e tasse varie l’evaso è stimabile fra i 120 e i 150 miliardi, diremmo più 150 che 120.
Secondo l’ipotesi Report facendo
emergere il sommerso verrebbero
sic et simpliciter fatturati i 300 miliardi, grosso modo, 100 da subito
il resto poi, e gli evasori verrebbero
così stroncati nei loro illeciti utili.
Facciamo un conto della serva:
Ipotesi a) beni e Servizi prodotti o
erogati dalla azienda Italia Evasioni, fatti in nero:
- 300 miliardi di fatturato non denunciato, deduciamo un po’ di spese (risorse materiali in parte acquistati in nero, risorse umana in parte in nero, tipo finti soci di cooperative ecc.), supponiamo in tutto
fra dichiarato e non, costi per 100
miliardi. All’evasore restano 200
miliardi di utili in nero.
Ipotesi b) Gli stessi beni e servizi
fatturati secondo Report:
- 300 miliardi fatturati, deduciamo
spese: i costi tutti rigorosamente
fatturati, cresceranno un po’, diciamo a 150 miliardi, sul resto l’azienda paga le tasse non potendo fare
più nero. Quindi continuando a
considerare attorno al 50%
(Squinzi parla del 75%) le tasse da
versare allo Stato gli utili saranno
ora di 75 mld su 150.
Ci è difficile immaginare che i soci
di Italia Evasioni si accollino tutte le
spese imposte dallo Stato passando
da 200 mld di utili a 75 mld, quindi
più verosimilmente faranno un ragionamento diverso:
Ipotesi c) Se voglio guadagnare
200 miliardi devo aggiungere 150
miliardi di spese fatturate, e considerare 100 miliardi di tasse su 200
miliardi. Totale 200+150+100=450
miliardi. Devo quindi fornire gli
stessi beni e servizi agli italiani al
prezzo di 450 mld.
Quindi lo Stato incasserà 150 mld
di tasse in più dagli evasori e i cittadini consumatori e utenti, pagheranno per gli stessi beni e servizi
forniti dalla Italia Evasioni 150 mld
in più.
Mettiamoci pure un po’ di tara perché magari qualche evasore rinuncerà ad un po’ di guadagno ma non
crediamo di sbagliarci di molto.
Però il ragionamenti sia di Report
che nostro sottintendono due condizioni: rispettivamente che tutte
le partite Iva che in qualche misura
fanno del nero, possano rinunciare
a una buona parte di utili sostanzialmente riducendo da 200 a 75
miliardi o, viceversa nell’ipotesi nostra, possano accrescere da 200 a
450 mld il fatturato.
Non sarà certamente così, perché
una parte di partite Iva che campa
al limite della sopravvivenza grazie
a una parte più o meno cospicua di
nero e che non riesce ad accrescere il fatturato del necessario per
coprire le tasse in più, chiuderà i
battenti, con conseguenti disoccupati, e perdita, presente e futura,
per lo Stato di quel poco che, comunque, pagavano di tasse.
Quelle aziende che potranno accresceranno i prezzi di beni e servizi,
ai limiti ammessi dal mercato, se,
come probabile, non ce la faranno
a coprire tutte le maggiori spese
dovranno ridimensionare l’azienda
per ridurre i costi e compensare in
qualche modo le maggiori tasse
che ora, non più evasori, devono
pagare, e fra le prime voci di questi
costi figura la mano d’opera…
Non ci pare un grande risultato.
Passiamo ad un’altra considerazio-
25
ne; nell’ipotesi di Report se lo sconto sui beni e servizi praticato dalla
azienda che chiama Evasore è alto
dice ad esempio del 20% il cliente
ci potrebbe stare a rinunciar alla
fattura, ma con un tassa del 33%
anche per chi versa denaro liquido
in banca l’Evasore ci perderebbe.
Noi crediamo invece che verosimilmente Evasore non porterebbe il
cash in banca ma lo utilizzerebbe
per acquistare in nero: operazione
che non sarà il solo a fare, creando
una sorta di mercato nero parallelo
in cui le transazioni avvengono solo
cash.
E’ un po’ ciò che succedeva nei
paesi dell’ex blocco sovietico. Un
turista occidentale che si recava in
visita in URSS o in uno dei paesi
satelliti doveva versare tutto il denaro che aveva, cash o Travel cheques, alla frontiera. I funzionari
davano il corrispondente controvalore nella valuta locale (Rubli sovietici, scellini ungheresi, ecc.) al cambio ufficiale.
Girando per i negozi o nelle piazze,
esisteva poi un mercato parallelo in
cui i dollari o le valute occidentali
venivano cambiate a due tre anche
10 volte il cambio ufficiale.
Così si poteva comprare un souvenir a 10.000 Fiorini oppure a 1 dollaro che al cambio ufficiale corrispondeva a non più di 2000 Fiorini
(il rapporto è puramente indicativo)
Si tenga poi presente che i turisti
che vengono in Italia già oggi sono
(comprensibilmente) esonerato
dall’uso del Cash oltre i 1000 €.
Immaginiamo quindi in un Paese
come l’Italia che conta ogni anno
l’arrivo di milioni di turisti quale
mole di mercato nero della valuta
si potrebbe creare.
Le carte sono semplicemente e
correttamente una comodità per il
cittadino che liberamente decide di
usufruirne.
Noi crediamo che se in Italia i sistemi tracciabili non sono amati dai
cittadini è semplicemente perché
non si fidano dello Stato e ne hanno ben donde.
Una dei grandi refrain pubblicitari
Le informazioni fuorvianti di
introdotto da Monti, e ripreso pariReport
pari da Report, vuole che in Italia i
La trasmissione cita Stati Uniti, Poservizi mancano o non funzionano
lonia, Inghilterra come Paesi in cui
a causa dell’evasione.
si fa ampio uso di denaro elettroniDa qui Monti ha scatenato una sorco, non ci risulta però che in questi
ta di Maccartismo nei confronti dePaesi sia tassato il cash, così come
gli evasori che riteniamo non solo
non ci risulta che tutto il denaro
ingiustificato ma la “foglia di fico”
inviato in Cina o nei paesi dell’est
per nascondere le vergogne delle
Europa da badanti e commercianti
ataviche disfunzioni italiane che
attraverso le Money transfer sia
costano ben più dell’evasione.
“nero” ossia non abbia pagato le
Ricordiamo tutti la pubblicità della
giuste tasse.
Presidenza del Consiglio “ più scuoA molti infatti sarà capitato di inviale, più ospedali, più servizi se non
re denaro all’estero per amici o
si evadono le tasse”
parenti in difficoltà o semplicemenNoi crediamo che questi servizi siate per acquisti versando denaro
no carenti (quando sono presenti
contante proveniente da regolari
sul territorio) a causa dell’ineffiguadagni e stipendi.
cienza dello Stato non per mancanNon siamo a conoscenza di Paesi al
za di soldi e quindi per l’evasione.
mondo in cui il cash è tassato al
Anzi siamo propensi a credere che
33% o anche meno; queste forme
anche queste inefficienze invogliadi pagamento sono sempre affianno a evadere.
cati alle banconote.
Ci piace la metafora della “vasca
Che nessuno ci abbia mai pensato?
Italia” piena di buchi da cui si perOppure è proprio per i citati rischi
de acqua da tutte le parti, con un
che ciò non accade?
Monti che, per riempirla, invece di
tappare i buchi vuole
aumentare il getto
Nel mondo prevale la tendenza a ridurre la pressione fiscale… non in Italia
dell’acqua oltre i
limiti di portata del
VAR. % ASSOLUTA 2000-2012
rubinetto.
Italia
Con un’altra metafo3,4
ra il nostro è uno
Giappone
2,9
Stato tossico che
Norvegia
0,6
chiede più soldi ai
Francia
0,4
cittadini per farsi
Regno Unito
dosi crescenti di
0,0
sprechi.
Svizzera
-0,6
-0,9
-1,0
-1,2
-1,2
-1,3
-1,4
EuroArea17
Unione Europea 27
Grecia
Olanda
Belgio
Austria
-2,1
-2,5
-2,8
Spagna
Germania
Danimarca
-3,5
Stati Uniti
-4,0
Finlandia
-4,5
Canada
26
Svezia
-6,3
Sprechi o
evasione?
Gli “inventori” delle
istituzioni hanno scoperto sin dall’antica
Roma che è molto
più efficace chiedere
soldi per “carrozzoni”
inutili e dannosi che
per sé stessi come
persone.
E’ la stesso logica
dei Vuccumprà o dei
lavavetri: se chiedo
la carità pochi la danno, se
fornisco un servizio anche se
non se ne sente il bisogno,
posso chieder soldi.
Con questi criteri si creano e
finanziano partiti, cariche
pubbliche, enti strumentali,
gruppi, associazioni e istituzioni.
Sarebbe interessante contare
quanti enti, associazioni, istituzioni tutti con presidenti,
consigli d’amministrazione,
bilanci più o meno milionari,
sono presenti negli altri Paesi
europei: senza saperlo siamo
sicuri che l’Italia li batte tutti.
A questo servono buona parte
delle tasse dei cittadini e naturalmente tutto questo va a
scapito dell’efficienza dei servizi.
Quanto costa un posto letto in
ospedale, una sentenza della
giustizia, una persona/km su
mezzo pubblico o una t/km di
merce trasportata in Italia o
in Europa? Tralasciamo confronti con USA, Cina o Brasile
con cui comunque nel mercato globalizzato siamo volenti o
nolenti in competizione.
Quanti credono che se tutti
lo di efficienza del sistema giudiziastudi della Confcommercio, "il tempagassero le tasse le inefficienze
rio ed è agli ultimi posti per la capo di attesa per una sentenza di
come per incanto scomparirebbepacità di risolvere controversie tra
fallimento o di insolvenza è praticaro?
imprese, per la diffusione di pagamente raddoppiato passando, da
Quanti credono che semplicemente
menti irregolari e tangenti, per i
uno a quasi due anni (quasi 5 volte
invece con più soldi ci sarebbero
costi e i tempi di adempimento dei tempi dell'Irlanda e il doppio del
più sprechi?
gli obblighi fiscali, occorre un nuRegno Unito)". "Anche sul fronte
Lo studio della
mero di ore quasi 5 volte superiore
dei servizi pubblici ai cittadini - seConfocommercio
a quello del Lussemburgo. Negli
condo il rapporto - l'Italia mostra
Riproponiamo, se c’è ancora qualultimi dieci anni, sottolinea l'ufficio
risultati tutt'altro che brillanti, in
cuno che non lo sa, gli elementi
particolare per la scardella tossicità del nostro
Stato tratti dal recente Lo studio considera una serie di parametri che chiama sa qualità ed efficienza
studio di Confcommercio determinanti dell’evasione fiscale e li compara con gli delle istituzioni e delle
ma non solo (leggetevi i altri Stati Europei. L’Italia si trova in fondo alle classi- infrastrutture".
Ma lo studio non si fernumeri precedenti di OP) fiche.
ma qui, esamina anche
Sulla benzina e sul gasocosa accadrebbe all’elio abbiamo le tasse più Determinanti
Migliore
Italia
Peggiore
vazione fiscale se il
alte d'Europa 58,2% qui dell’evasione
Belpaese si allineasse a
non mi pare ci possano
essere evasori, ma il suo efficienza del quadro giuridico
Svezia Italia (25°) Slovacchia (26°) ciascuno dei parametri
determinanti l’evasiocosto cresce...
ne, delle altre nazioni
Lo studio considera una giorni per ottenere una sentenza
serie di parametri che definitiva in materia contrattuale
Finlandia Italia (23°) Slovenia (24°) più virtuose. Così scopriamo che aumentanchiama Determinanti
do solo dell’1% detti
dell’evasione fiscale e numero di procedure giudiziarie
li compara con gli altri per fare rispettare un contratto
Irlanda Italia (23°) Cipro (24°) parametri l’emersione
del sommerso sarebbe
Stati Europei. L’Italia si
Svezia Italia (23°) Messico (26°) di qualche punto %
trova sempre in fondo istituzioni
alle classifiche. Rispetto infrastrutture
Francia
Italia (26°) come ci raccontano i
grafici nelle pagine
agli altri Paesi infatti l'Italia ha il più basso livel- tempi di pagamento della P.A.
Finlandia
Italia (18°) seguenti.
tempo per gli adempimenti fiscali Lussembugo Italia (22°)
Messico (25°)
27
I determinanti
considerati nello studio
di ConfCommercio
Importanza delle variabili determinanti
Se aumentasse dell’1%
La % di sommerso economico
in Italia cambierebbe del…
…la percezione dell’output pubblico
-0,8
…la facilità dell’adempimento
-0,5
…l’efficacia/efficienza del sistema dei controlli/sistema giudiziario
-0,5
…la pressione fiscale legale media
0,5
…la progressività del sistema tributario
0,1
“L’arte
si spinge anche più avanti attraverso l’imitazione di quel prodotto razionale che è l’opera
più eccellente della natura: l’uomo. Viene infatti
creato dall’arte quel grande LEVIATANO chiamato
REPUBBLICA o STATO (in latino CIVITAS) che
non è altro che un uomo artificiale, anche se ha
una statura e una forza maggiori rispetto all’uomo naturale, per proteggere e difendere il quale
è stato voluto. (…) La moltitudine così unita in
una sola persona si chiama STATO (…). E’ questa
la generazione di quel grande LEVIATANO, o
piuttosto (per parlare con maggiore rispetto) di
quel dio mortale, al quale dobbiamo, sotto il Dio
immortale, la nostra pace e la nostra difesa" (T.
Hobbes, 1651).
28
TASSO DI SOMMERSO ECONOMICO (% DEL PIL)
Come si modificherebbe il tasso di sommerso economcio se… la percezione dell’output
pubblico in Italia, come per incanto, si portasse ai livelli del Belgio
17,5
17,5
16,5
15,5
14,5
13,5
13,9
maggiore imposta emersa
= 38 mld. di euro a favore dei
contribuenti in regola
12,5
4,1
5,2
11,5
INDICATORE (1-7) DI PERCEZIONE DELL'OUTPUT PUBBLICO
29
TASSO DI SOMMERSO ECONOMCIO (% DEL PIL)
Come si modificherebbe il tasso di sommerso economico se… i costi dell’adempimento
fiscale spontaneo si riducessero, per miracolo ai livelli della Danimarca
17,5
17,5
16,5
15,5
14,5
16,2
maggiore imposta emersa = 14 mld. di euro…
13,5
12,5
5,5
6,4
11,5
INDICATORE (1-7) DI FACILITA' DELL'ADEMPIMENTO
SPONTANEO
30
TASSO DI SOMMERSO ECONOMICO (% DEL PIL)
Come si modificherebbe il tasso di sommerso economico se… l’efficacia/
efficienza dei controlli/sistema giudiziario (valore atteso della pena) fossero di colpo
portati agli standard degli USA
17,5
17,5
maggiore imposta emersa = 56 mld. di euro…
16,5
15,5
14,5
13,5
12,5
11,5
12,2
3,2
5,1
INDICATORE (1-7) DELL'EFFICACIA E
DELL'EFFICIENZA DEL SISTEMA DEI CONTROLLI
31
A proposto di evasione...
Evasione ma non solo
L’evasione fiscale è solo una parte
del Noe (Economa non rilevata). Il
fatturato delle - Attività illegali mafia, camorra, ‘ndrangheta in Italia è in costante crescita (vedi numeri passati di OP)
Spend and tax or
tax and spend?
Alcune conclusioni dello
studio di Confcommercio
Come si calcola
l’evasione fiscale
Non riteniamo possibile un equilibrio macroeconomico e
sociale nel quale, oltre ai circa
800 miliardi di entrate, il settore privato dovesse consegnare
altri 154 miliardi di euro annuali al settore pubblico.
Il processo di restituzione fiscale, più volte invocato e da
più parti, non è soltanto una
comprensibile e legittima aspirazione dei contribuenti in regola né semplicemente uno
strumento per creare consenso
sociale verso i comportamenti
fiscalmente corretti: esso costituisce parte integrante della
lotta al sommerso economico e
all’evasione fiscale.
Gli equilibri macroeconomici
attuali non consentono di ipotizzare alcuna ulteriore migrazione netta di risorse dal settore privato al settore pubblico,
neppure mediante recupero di
imposte evase. Pertanto, immaginare che la lotta all’evasione fiscale, senza il parallelo
processo di restituzione fiscale, possa avere successo, è una
pura illusione. Una perfetta
strategia di controlli e accertamenti porterebbe, in questa
ipotesi, semplicemente a una
riduzione del livello di attività
economica piuttosto che un
incremento dell’imposta recuperata.
In Italia, la frazione di Pil dovuta al
sommerso economico è pari al
17,5%, un valore moderatamente
decrescente negli ultimi dieci anni
Se consideriamo la pressione fiscale apparente del 2012 (cioè data
dal rapporto tra gettito e Pil, così
come queste grandezze vengono
osservate e cioè ci appaiono) le
nostre stime dicono 45,2% (non
dissimile dalle valutazioni di altri
centri di ricerca e da quelle dello
stesso Governo contenuto nel DEF
2012).
Ora, se da questo rapporto togliamo la parte di Pil che non paga
imposte - cioè assumiamo che sull’imponibile sommerso non venga
pagata alcuna imposta - otteniamo
la pressione fiscale effettiva o legale, cioè quella che mediamente è
sopportata da un euro di prodotto
legalmente e totalmente dichiarato
in Italia: questo valore è pari al
55% [(cioè 45,2/(1-0,175)].
Questo valore non solo è il più levato nella nostra storia economica
recente ma costituisce un record
mondiale assoluto.
Moltiplicando il valore nominale del
Pil stimato per il 2012, pari a circa
1600 miliardi di euro, per il tasso di
sommerso economico (17,5%) per
l’aliquota media (legale o effettiva)
pari al 55%, l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di
euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso).
32
Nell’approccio economico all’evasione fiscale, adottato da ConfCommercio, non si può proprio prescindere da quanto “Stato” ci sia all’interno del sistema economico.
Tanto più che l’evidenza empirica
chiarisce che la dimensione delle
pretese fiscali della pubblica amministrazione è determinata, nel medio lungo termine, dall’ampiezza
della spesa pubblica.
Questo concetto si sintetizza come
schema dello spend and tax, contrapposto a un più liberale tax and
spend. Se la tassazione fosse determinata prima della spesa, cioè
se la spesa avesse un vincolo nella
tassazione, non si potrebbe creare
debito pubblico (vengono prima le
risorse e poi, vincolate alle prime,
le spese).
Se vale lo spend and tax, per ridurre le tasse bisogna soprattutto ridurre le spese. Se maggiore voracità genera maggiori imposte necessarie, ciò non implica che tali imposte siano realmente versate.
Maggiori pretese della pubblica
amministrazione implicano maggiori vantaggi nell’adottare l’opzione
exit, cioè di uscita dal sistema dell’economia legale per rifugiarsi nel
sommerso.
Con la conseguenza di un aumento
delle pretese fiscali sui contribuenti
che per qualche ragione non possono o non riescono ad evadere.
Ma anche questi ultimi, a parità di
altre condizioni, avranno meno voglia di partecipare all’attività produttiva, visto che minori ne risulteranno i vantaggi economici.
In tempi di crisi economica l’assunto è uno solo: la spesa pubblica
deve essere diminuita!!
A proposito di
sprechi
dedichiamo
alcune pagine
alle denunce
dei sindacati
regionali sugli
sprechi e sulle
disfunzioni
dell’ente...
ma ce n’è per
tutti...
Come è noto, uno dei “giochetti
economici” meglio riusciti dalla politica e messo in atto da sempre
nell’Ente Regione Piemonte (ma
non solo), riguarda l’istituzione di
società a partecipazione totale o
maggioritaria dell’Ente, di aziende
regionali, istituti, consorzi, organismi ed enti strumentali…
Questi “carrozzoni” determinano
uno sproposito di costi a carico
dell’Ente Regione Piemonte!!!
Sarebbe ora che anche il Governo
della Regione Piemonte, al fine di
concorrere agli obiettivi di contenimento e razionalizzazione delle
spesa pubblica, procedesse a promuovere una serie di azioni legislative volte alla vendita o alla cessione delle quote di proprietà, delle
società regionali.
Risulta quindi improcrastinabile che
il Governo regionale attivi realmente una politica, volta ad una netta
riduzione della partecipazione
(laddove non più necessaria) del
nostro Ente, diretta o indiretta, a
consorzi e società a partecipazione
regionale attraverso la dismissione,
liquidazione, fusione o
all’incorporazione delle
succitate realtà.
Questa tematica deve
essere affrontata in Consiglio Regionale, i partiti
non possono e non devono fare, su questi temi,
teria, per iniziare a ridurre gli sprechi presenti all’interno della nostra
Amministrazione.
Degenerazioni e sprechi generati e
voluti, in molti casi, dagli stessi
interessi della politica.
Che dire infatti in merito ai compensi dei Presidenti e/o Amministratori delegati delle società a totale o maggioritaria partecipazione
regionale e di quelli spettanti a ciascun componente degli organi di
amministrazione e degli organi di
vigilanza e controllo? Che si vieti a
tali società di adottare provvedimenti atti ad incrementare tali
compensi, anzi si obblighino a ridurli!!!
Occorre infine fare chiarezza:
o Sull’incremento delle spese per
consulenze attivate da tali società e
sui costi relativi a carico dell’ Ente
Regione Piemonte;
o sulle modalità utilizzate per le
assunzioni del personale sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.
o sui costi di tale personale… Il
tutto ovviamente salvaguardando,
in termini occupazionali, il personale di ruolo di tali ambiti lavorativi.
“orecchie da mercante”.
Che i cittadini/elettori
sappiano ricordarsi delle
azioni messe in campo
dalla politica in questo
momento storico.
Chiediamo pertanto al
Consiglio Regionale di
legiferare su questa ma-
33
Le spese non
sono
diminuite
neanche la
magistratura
è riuscita
nell’
impresa!
34
I tagli sui rimborsi e le indennità
dei Consiglieri regionali sono solo
del 20% e a decorrere in alcuni
casi dal 2013 ed in altri dal 2015.
C’è da vergognarsi
AD OGGI LE COSE RIMANGONO
COME SONO!
Constatiamo che i dati su i rimborsi
e le indennità dei Consiglieri regionali, pubblicati sul sito del Consiglio
regionale e comunicati alla stampa,
sono solo parziali.
La vera entità dei rimborsi si attesta su circa 2.050.000,00 euro annui, in aggiunta ai 600.000,00 euro
riportati dai giornali a favore di 69
soggetti percettori anziché dei 60
consiglieri statutariamente previsti.
Totale 2.650.000,00 €
Come promesso con questo comunicato inizia la pubblicazione di ALTRI SPRECHI REGIONALI
Ad esempio:
ARESS (AGENZIA REGIONALE PER
I SERVIZI SANITARI),
doppione dell’Assessorato alla Sanità è costata alla collettività
piemontese circa:
· € 4.841.000,00 per
l’anno 2008;
· € 4.923.500,00 per
l’anno 2009;
· € 5.861.593,00 per
l’anno 2010;
· € 6.791.587,00 per
l’anno 2011.
A fronte di queste concrete spese, che cosa ci
hanno guadagnato i
cittadini piemontesi?
- Sono diminuiti i tempi
di attesa nella sanità? …Tutt’altro…
- Sono aumentate le
performances degli ospedali in tema di salute? … Tutt’altro…
Basta una piccola testimonianza per capire la
destinazione dei soldi
pubblici erogati dalla
Regione Piemonte e
gestiti dall’ARESS :
(notizia tratta da LA
STAMPA del 20/04/2012)
Il Direttore Zanon: “…non ne sapevo nulla!… All’ARESS Piemonte il
sorvegliante di notte era il figlio del
responsabile economico e finanziario del personale. Ma il Rag. Pietro
Cicorella, dopo aver imposto all’agenzia interinale interpellata dall’ente regionale di servizi sanitari un
unico candidato per quel posto,
suo figlio Marco Giuseppe, avrebbe
fatto il possibile e l’impossibile per
ridurre al minimo la fatica al proprio rampollo. Così al minimo, secondo i Carabinieri del NAS, che, il
“sorvegliante di famiglia” neanche
si presentava al lavoro pur percependo 3.000 euro al mese. Ora il
padre è sempre in servizio “ma
senza potere di firma”, puntualizza
Zanon, “l’ho sostituito con il Direttore amministrativo delle Molinette
preso come consulente” (e quanto
costa questa duplicazione?)".
Ecco dove finiscono i soldi dei contribuenti !!!
S.C.R. – PIEMONTE S.P.A.
Altro esempio di spreco
La S.C.R. – Piemonte S.p.A. è stata
istituita con la legge regionale n.
19/2007, al fine “di razionalizzare
la spesa pubblica e ottimizzare le
procedure di scelta degli appaltatori pubblici nelle materie di interesse
regionale”. Quindi deve occuparsi
in nome e per conto della Regione
Piemonte di tutte le procedure di
gara e di appalti e di forniture di
beni e servizi.
In realtà la SCR si è sempre occupata solo parzialmente degli appalti
regionali, infatti la “mole” di lavoro
consta di appena 34 procedure
svolte in materia di opere pubbliche sanitarie, opere pubbliche di
viabilità e fornitura di alcuni beni.
Non doveva essere una centrale di
committenza in cui riversare tutte
le procedure regionali di gara e
forniture, come dispone la legge e
le successive dichiarazioni in tal
senso da parte dell’Assessore Bonino? Nulla di tutto questo!!!!!
L’ulteriore aggravante deriva dal
fatto che quelle poche attività svolte rientrano nelle competenze di 5
Direzioni regionali (Trasporti, Sanità, Opere Pubbliche, Patrimonio e
Comunicazione), composte da oltre
700 dipendenti della Regione Piemonte.
ALTRO DOPPIONE
Possibile che oltre 700 unità di personale dell’Ente regione non fosse
in grado di espletare con efficienza
tale carico di lavoro? NOOO!! Altrimenti come si potevano sprecare le
risorse pubbliche pagate dai contribuenti e stanziate dalla Regione
Piemonte?
Ecco quanto costa ai contribuenti
SCR, secondo i dati dei bilanci di
previsione relativi agli anni 20102011-2012:
per rimborsi:
nel 2010 euro 9.700.000,00
nel 2011 euro 15.255.252,00
nel 2012 euro 22.289.777,00;
per fondo inizio attività euro
2.000.000,00 per ciascuno degli
anni 2010, 2011 e 2012;
capitale sociale interamente versato dalla Regione Piemonte euro
1.120.000,00;
per assistenza informatica, raccolta
dati della Direzione Trasporti:
euro 862.000,00 nel 2011
euro 360.000,00 nel 2012;
per attività di promozione euro
100.000,00 nel 2012;
somme rimborsate dalla Regione
Piemonte ad SCR in percentuale
sulle attività svolte, secondo quanto previsto nelle convenzioni con
cui vengono affidati gli incarichi.
A fronte di 34 attività svolte nel
2011 la SCR è costata ai contribuenti negli ultimi 5 anni circa 85.000.000,00 di euro.
A cosa servono quindi tali risorse
pubbliche se le funzioni sono cosi
poche e facilmente espletabili dalle
Direzioni regionali? Da dove si ricava l’efficienza posta a fondamento
della nascita di tale carrozzone?
Ecco la risposta:
mantenere e supportare i costi di
una sede prestigiosa sita in Corso
Marconi a Torino;
pagare i lauti compensi agli amministratori della società;
pagare i dipendenti assunti in forma privatistica e clientelare (48
unità, suddivisi in 8 dirigenti, 7
quadri e 33 impiegati per un totale
di costi del personale pari ad euro
3.512.632,00 annui), con un dirigente ogni 6 dipendenti.
Il consulente LUPPI, assunto dal
Presidente Cota ad un costo di euro 100.000,00 per individuare gli
sprechi nell’Ente (c’era proprio bisogno di lui? Non è proprio il suo
lauto compenso un altro spreco?),
si è mai fatto un giro in C.so Marconi.?
Ultima chicca: la società vanta un
risparmio di euro 220.000,00 su
attività informatiche non affidate al
CSI. In pratica la SCR (società re-
gionale) afferma che il CSI (altra
società regionale) pratica tariffe
esose. Ma è mai possibile che la
Regione Piemonte riesce ad avvalersi solo di fornitori in esclusiva
così cari????
Nella primavera scorsa il Consiglio
regionale ha affrontato la questione, istituendo anche una Commissione di indagine per verificare le
storture di SCR stessa. Si citano,
esempio, le dichiarazioni del consigliere Buquicchio:
il 26/4/2012 testualmente affermava “più competenze e controlli su
SCR, altrimenti è meglio chiudere”;
sullo Spiffero affermava “ SCR SpA
andrebbe chiusa, costa troppo e
mancano le competenze necessarie
per proseguire l’attività”.
E che dire degli scandali che hanno
travolto SCR? Riportiamo:
La Repubblica del 14/4/2012 “ Tangenziali a colpi di tangenti. La SCR
travolta dallo scandalo. Indagati
costruttore e funzionari”;
La Repubblica del 18/4/2012 “Dallo
scandalo SCR…..PD e parte del PDL
chiedono di sciogliere la società di
appalti”.
Tranquilli, SCR è ancora viva, ma
soprattutto la Giunta regionale ha
ritenuto di premiare tali inefficienze
portando lo stanziamento di SCR
dai 9.700.000,00 del 2010 ai
22.289.777,00 del 2012.
Vergogna e… ancora vergogna!
Torino 11/10/2012
NOTA: le fonti utilizzate per questo
articolo sono la Legge regionale
19/2007, ultimo bilancio approvato
SCR 31/12/2011, convenzione quadro tra Regione Piemonte ed SCR,
bilanci della Regione Piemonte
2010, 2011 e 2012
35
FINPIEMONTE S.P.A….
Continuano gli esempi di
spreco delle risorse regionali
La Finpiemonte S.p.A. nasce nel
1977 come Istituto Finanziario Regionale a prevalente partecipazione
regionale, istituita con la legge regionale n. 8/1976, per agire quale
strumento dell’attività di programmazione ed attuazione del piano di
sviluppo economico regionale secondo criteri di economicità. Il suo
ruolo si concretizza in attività di
supporto nella gestione di finanziamenti agevolati inerenti alle differenti materie di competenza regionale e di Partecipazioni.
Nel 2007 la Regione Piemonte ha
diviso in due la società: FINPIEMONTE S.p.A: (in house) a capitale
completamente pubblico e FINPIEMONTE PARTECIPAZIONI S.p.A. a
capitale misto per razionalizzare le
attività relative alle partecipazioni,
investendo notevoli somme e successivamente disponendo forti aumenti di capitale che dovevano
servire al rilancio dell’economia
piemontese.
Finpiemonte SpA ha dichiarato che
nei suoi oltre 30 anni di attività ha
erogato fondi regionali e comunitari
per oltre 3.000.000.000,00 di euro.
Ben un terzo di queste risorse sono
state attribuite alla S.P.A. dalla Regione Piemonte negli ultimi 5 anni.
Per questo servizio la Regione ha
pagato corrispettivi per circa 18
Milioni di Euro.
A PROPOSITO DI ECONOMICITA’:
(un altro DOPPIONE?)
Qualcuno ha verificato quali sarebbero stati i costi se l’erogazione
degli stessi contributi fosse avvenuta a seguito di istruttorie svolte dai
competenti uffici regionali?
Trattandosi di attività relative a
materie di competenza regionale,
sono stati individuati i responsabili
dei procedimenti?
Finpiemonte ha reso trasparente il
procedimento per conoscere a chi e
quanto è stato erogato?
Quali sono i presupposti che rendono conveniente ed efficace, per
l’Ente Regione, l’affidamento totale
o parziale di attività di istruttoria
riguardanti assegnazione e/o erogazione di contributi regionali?
In questa fase di recessione e di
carenza di risorse economiche disponibili in ogni ambito di intervento regionale chi controlla le scelte
di Finpiemonte che applica tariffe
che risentono di forti spese di gestione come il costoso affitto della
“prestigiosa” sede di Galleria San
Federico ed il ricorso a consulenti?
Torino 19/10/2012
NOTA:la fonte utilizzata per questo
comunicato e il sito internet di Finpiemonte.
36
Tagliato il ticket
restaurant negli
Enti Pubblici
Sgomento per il taglio del valore
del Ticket restaurant.
Un’ennesima mannaia che si abbatte contro i dipendenti del comparto
del pubblico impiego.
Una riduzione del potere d’acquisto
di circa 80 Euro mensili, non poca
cosa considerato che da anni:
1) non viene stipulato un Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro
(CCNL) di tipo economico;
2) non vengono attuate politiche di
progressioni di carriera (orizzontali
o verticali);
3) non si fa più contrattazione decentrata che abbia come politica
del personale l’obiettivo di un recupero del potere d’acquisto;
4) sono in aumento in maniera
esponenziale i costi energetici del
fabbisogno famigliare (luce, acqua,
gas, benzina/gasolio), i lavoratori,
come riferiscono le indagini e numerose testimonianze non riescono
più a pagare neppure le bollette;
5) sono in aumento i costi correlati
all’utilizzo della macchina, assicurazioni in testa, mentre aumentano i
costi dei biglietti dei mezzi pubblici;
6) da anni sono in aumento i prezzi
dei generi alimentari soprattutto
quelli di prima necessità;
7) sono in aumento le tasse scolastiche, i prezzi dei testi scolastici e i
relativi accessori necessari per la
frequentazione, compresi gli abbonamenti per studenti dei mezzi di
trasporto pubblico;
8) sono in aumento i costi degli
affitti (decine di migliaia la cause di
sfratto per insolvenza), l’IMU ha
determinato dei costi dell’immobile
intollerabili al punto da indurre tanti proprietari a scaricare sugli affitti
i rincari o a metterli in vendita
(vanificati anni di sacrifici);
9) sono in aumento i costi per le
medicine necessarie per le cure,
delle analisi, soprattutto quelle specialistiche (mancano le risorse economiche, le persone e non solo
anziane non si curano più, paradossalmente è diventato un lusso
economico curarsi);
10) sono aumentate le spese in
generale determinando l’impossibi-
lità di usufruire delle vacanze estive, vedasi la forte contrazione rilevata dai vari Istituti in merito.
Il decalogo sopradescritto non descrive in maniera compiuta il disagio economico di cui è permeata la
società italiana, la lista è ancor più
lunga ed ormai investe vasti strati
della sociètà italiana.
Caliamo un velo pietoso sulla politica degli investimenti, poiché non
esiste, eppure sarebbe necessaria,
per rimettere in moto la richiesta
alla domanda del mercato, almeno
quello interno.
Ci chiediamo, è mai possibile che in
tutto questo bailamme, in una società liberale come quella attuale,
l’unica cosa che si riesce a controllare e bloccare, siano solo i salari e
le pensioni con particolare riferimento poi a noi del Pubblico Impiego? Ricordiamo che analisi serie
hanno certificato che la classe operaia e impiegatizia italiana è tra
quelle che nella Comunità europea
è retribuita meno, segnando un
forte disavanzo salariale e quindi
del potere d’acquisto, al contrario,
invece consideriamo quanto sia
stata sbrigativa la riforma delle
pensioni, la riforma del Welfare
sacrifici richiesti per uniformarci
agli standard europei.
Nel caso del pubblico impiego poi,
si ricorda ai più, che si è spostata
la contrattazione su un doppio binario, Nazionale (CCNL), locale
(contrattazione decentrata) favorendo sempre più l’erogazione di
un salario accessorio flessibile ma
per sua natura vulnerabile e quindi
agli occhi dei politici furbastri, all’occorrenza, facilmente da rimuovere, vanificando anni di conquiste
sindacali. Questo fenomeno,
così, applicandolo nel futuro
ingenererà gravi squilibri economici, perché il salario accessorio
conseguito negli anni scorsi è
servito come tampone (precario
aggiungiamo NOI) a parziale
tutela del potere d’acquisto.
Tornando alle origini del tema
non
condividiamo l’azione dello Stato
e della Regione Piemonte perché sia i primi che i secondi nella loro concertazione hanno
commesso gravi errori di fondo
che non trovano alcuna giustificazione poiché:
come è noto a tutti, vi sono regioni
più produttive di altre;
b) vi sono regioni con un reddito
procapite maggiore di altre;
c) vi sono regioni i cui bilanci risultano essere più virtuosi di altre regioni;
d) non si è tenuto conto delle differenze salariali poiché si è tolto la
stessa cifra senza distinzione tra
chi prende 27.000 Euro e i 150.000
Euro, perché gli effetti che tale disposizione ha nei confronti dei redditi più bassi è devastante, ricordiamo quanta difficoltà prima del
provvedimento per arrivare a completare l’ultima settimana del mese
(verrebbe da pensare che gli ultimi
la mantengono perché il sacrificio
maggiore viene chiesto a chi prende 27.000 Euro).
e) non si è tenuto conto infine degli
effetti, della ricaduta che tale azione avrà sul territorio, sugli esercenti, bar, ristoranti, mense, ecc. ecc.
perché una cosa è sicura vi sarà
una forte contrazione dei consumi.
Ricordiamo ai più smemorati che
sulla mensa è stata concertata con
l’Amministrazione dell’Ente Regione
Piemonte, nelle precedenti legislature, la dismissione in cambio di un
adeguato ticket che è risultato il
frutto di:
1) economie ricavate dalla dismissione di locali adibiti per la mensa;
2) economie dal risparmio di attrezzature e macchinari utilizzabili
per il servizio di mensa;
3) economie ricavate dal risparmio
di gas, luce, acqua.
Ricordiamo inoltre che il valore del
ticket di 11 euro (aggiornato nel
corso degli anni e da tempo non
più aumentato), è frutto di analisi
dei costi di ristorazione effettuati
su tutto il territorio regionale, confronto effettuato a suo tempo con i
gestori di ristorazione da parte dei
funzionari del nostro Ente.
Ma in tutti questi anni i prezzi alla
vendita dei generi alimentari sono
aumentati o diminuiti?
Noi siamo indignati dall’atteggiamento di questo governo regionale
che disdice gli accordi sottoscritti
tra la precedente Giunta regionale
e le OO.SS.. Cosa direbbero questi
“politici” se anche le OO.SS. facessero altrettanto? Sarebbe considerata una cosa seria? Anche sulle
politiche sul Personale questa Amministrazione non è affidabile.
Come mai in conferenza StatoRegioni l’Assessore Quaglia non ha
espresso perplessità, sulla legittimità della legge 135/2012 (spending
review) in materia di personale?
Tale legge non lede forse i nostri
diritti acquisiti previsti e conseguiti
dal CCNL e conseguiti con la contrattazione integrativa, decentrata?
(vedasi accordi sottoscritti in passato tra le OO.SS e l’Ente Regione
Piemonte sulla mensa e sui ticket).
Perché la Regione si è attivata per
sollevare i limiti di incostituzionalità
di tale legge solo sul tema che riguarda la riforma del sistema delle
province? Perché l’Assessore leghista QUAGLIA non propone di tagliare il Ticket agli uffici di comunicazione ai Direttori e ai Dirigenti,
magari ottenendo lo stesso il risultato di significativi risparmi?
Giulio MELONI
(Dirigente sindacale CSA Ente
Regione Piemonte)
a) non si è tenuto conto delle
differenze territoriale, poiché
37
Ce n’è per tutti...
Riportiamo
un estratto
del libro
(2008)
-L’altra casta-
Un vecchio libro,
ancora attuale
38
Proponiamo ai nostri lettori un
“vecchio” libro, pubblicato nel 2008
dove si parla dell’- altra – casta
quella sindacale che ci pare ancora
attuale specialmente in periodo di
crisi. Nel leggere questo articolo o
il libro il lettore abbia l’avvertenza
di ricordare che i riferimenti allo
scenario politico sono quelli di 5
anni fa, per il resto però poco è
mutato.
Riportiamo sotto le indicazioni del
libro e la recensione dell’editore.
L'ALTRA CASTA. PRIVILEGI.
CARRIERE. STIPENDI.
FATTURATI DA
MULTINAZIONALE.
L'INCHIESTA SUI SINDACATI
Editore: BOMPIANI
Pubblicazione: 04/2008
Numero di pagine: 224
Prezzo: € 15,00
ISBN: 9788845260490
Un libro che farà molto arrabbiare
la Destra e la Sinistra, il Governo e
l'opposizione, ma soprattutto: i
sindacati. "Le allegre finanze del
sindacato: la sola Cgil ha un giro
d'affari valutato in un miliardo di
euro. I delegati delle tre centrali
sindacali sono 700 mila, sei volte
più dei carabinieri. I loro permessi
equivalgono a un milione di giornate lavorative al mese. E costano al
sistema-paese un miliardo e 854
milioni di euro l'anno."
I sindacati sono oggi nel pieno di
una profonda crisi di legittimità,
che rischia di cancellare anche i
loro meriti storici. Lo strapotere e
l'invadenza delle tre grandi centrali
confederali, e le sempre più scoperte ambizioni politiche dei loro
leader, hanno prodotto nel paese
un senso di rigetto. Lo documentano tutti i più recenti sondaggi d'opinione: solo un italiano su venti si
sente pienamente rappresentato
dalle sigle sindacali e meno di uno
su dieci dichiara di averne fiducia.
L'immagine del sindacato come di
un soggetto responsabile, capace
di interpretare gli interessi generali,
si è dunque dissolta. E ha lasciato il
posto a quella di una casta iperburocratizzata e autoreferenziale che
ha perso via via il contatto con il
paese reale, quello delle buste pa-
ga sempre più leggere e delle fabbriche dove si muore troppo spesso. Un apparato che, in nome di
una concertazione degenerata in
diritto di veto, pretende di avere
l'ultima parola sempre e su ogni
cosa. Che si presenta come il legittimo rappresentante di tutti i lavoratori. Ma bada in realtà solo agli
interessi dei suoi iscritti, che valgono ormai meno di un quarto dell'intero sistema produttivo nazionale.
E perciò si mette puntualmente di
traverso a qualunque riforma in
grado di mettere in discussione
uno 'status quo' fatto di privilegi
Abbiamo scelto di riportare una
parte del capitolo 3, dal titolo: Professione privilegiati.
Gli altri capitoli delle 224 pagine
sono dedicati a:
1 - I tre porcellini (nomignolo
con cui D'Alema chiama CGIL ,
CISl e UIL)
(C'è una dolorosa omologazione del
sindacato al sistema dei partiti, una
voglia nient'affatto repressa dei
sindacalisti di farsi ceto politico, di
farsi stato - Fausto Bertinotti 1992)
(Negli altri Paesi lo sciopero deve
esser approvato dai lavoratori. Da
noi c'è una legge solo per i servizi
pubblici essenziali. Così i sindacati,
in perenne concorrenza fra loro, ne
proclamano cinque al giorno. E i
conti non tornano: in Danimarca
c'è un terzo di vertenze in più, ma
le astensioni dal lavoro sono venti
volte meno.)
2 - Le allegre finanze dei sindacati italiani,
Le tre confederazioni cono l'ottava
azienda privata italiana. Hanno un
apparato tentacolare dove solo i
dipendenti diretti sono ventimila. E
un fatturato da multinazionale, alimentato da un sistema occulto di
finanziamenti statali. Ecco perchè si
sono sempre rifiutati di rendere
pubblici i loro bilanci.
3 - Professione privilegiati
4 -Il fantastico mondo del pubblico impiego
5 - Dove comandano loro Alberto Asor Rosa, 2007
Pensioni loro
Per molti burocrati del sindacato la
vecchiaia si presenta serena. Grazie a un regalo dell'amico Treu riceveranno infatti un assegno doppio. E ben 23 mila di loro hanno
potuto riscattare, senza controlli,
presunti periodi di lavoro in nero.
I leader l'hanno fatto proprio tutti.
Millecentocinquantaquattro. Sono i
fortunati italiani, quasi tutti pezzi
grossi del sindacato, che possono
godere una doppia pensione.
Grazie a una legge, la 564 del 1996, firmata da Tiziano Treu, ex ministro del lavoro in quota Cisl. Punto
di partenza è lo Statuto dei lavoratori: prevede che ai dipendenti in
aspettativa per lo svolgimento di
incarichi sindacali l'Inps versi dei
contributi figurativi, calcolati sulla
base dello stipendio che veniva
pagato dall'azienda di provenienza.
Per il sindacato, esonerato dal pagamento dei contributi, è un bel
vantaggio. Per il suo funzionario un
po' meno. Intanto perché forse le
confederazioni gli garantiscono una
busta paga più pesante della precedente e quindi una parte del suo
salario non è coperta da versamenti. La fregatura c'è poi di sicuro se
la sua pensione verrà calcolata con
il sistema retributivo e quindi sulla
base degli ultimi dieci anni dell'ex
stipendio aziendale, che nel frattempo è rimasto fermo. Così, per
consentire al sindacato di mantenere intonso il suo privilegio, Treu ne
ha inventato un altro, ammettendo la doppia contribuzione. E inventando così la figura del sindacalista bipensionato. Già che c'era ha
esteso il cadeau
anche ai sindacalisti
distaccati,
quelli
cioè che continuano
a percepire lo stipendio
dall'ente
pubblico di provenienza pur lavorando esclusivamente
per Cgil, Cisl o Uil.
Ma per 13 mila e
795 esponenti delle
tre centrali e 9 mila
e 390 loro colleghi
di altre sigle sindacali la tombola era
arrivata già da tempo. Esattamente il
9 luglio del 1974,
quando è entrata in
vigore la legge 252,
meglio nota con il
nome del deputato
socialista Giovanni Mosca, già
leader Cgil. La normativa era nata
con un nobile intento: consentire a
qualche centinaio di persone che
nel primo dopoguerra avevano prestato la loro attività in nero per i
partiti o i sindacati di mettersi in
regola con i versamenti pensionistici. Bastava un'attestazione formale
rilasciata da un legale rappresentante del presunto datore di lavoro,
al costo dei soli contributi figurativi,
si potevano riscattare anni e anni
di fatica. Troppo semplice. Com'era
ampiamente prevedibile, la sanatoria s'è presto trasformata in una
gigantesca carnevalata. A gennaio
1976, termine di scadenza della
legge, erano piovute sull'Inps 19
mila e 500 domande. A quel punto,
invece di chiudere a doppia mandata i forzieri dell'Istituto previdenziale, il governo ha avuto l'alzata di
ingegno di concedere una proroga
dei termini: lesti ci si sono infilati
altri 6 mila. Poi, forse per paura
che qualcuno avesse perso l'occasione, Palazzo Chigi ha concesso
una terza finestra, alla quale si sono presentati in 15 mila. Quando, il
12 aprile 1980, la giostra s'è finalmente fermata c'erano saliti in 40
mila e 500. Uno scherzo che finora
è costato all'Inps qualcosa come 10
miliardi di euro. Al 2001, secondo
stime giornalistiche, la perdita accumulata dall'ente derivava per
oltre tre milioni dalla Cgil, per poco
meno di 700 mila euro dalla Cisl e
per quasi 450 mila dalla Uil.
Dentro ci sono proprio tutti i grandi
capi del sindacalismo italiano. L'attuale presidente del senato, Franco
Marini, ex segretario generale della
Cisl. Il suo dirimpettaio alla camera, Fausto Bertinotti, ex della Cgil.
Il vice-ministro per lo sviluppo economico, Sergio D'Antoni, ex capo
della Cisl. E poi ancora: gli ex
leader Bruno Trentin (Cgil) e Pietro
Larizza (Uil) e Ottaviano Del Turco.
In base alla documentazione presentata, l'ex segretario generale
aggiunto della Cgil avrebbe iniziato
a lavorare a tempo pieno per il sindacato alla tenera età di 14 anni. Si
vede proprio che il Telefono azzurro ancora non c'era. A fare la parte
del leone è stata ancora una volta
la Cgil, che è riuscita a infilare nella
sanatoria 9 mila e 368 dei suoi (più
dell'allora Pci: 8 mila e 81). La Cisl
s'è fermata a quota 3 mila e 42. La
Uil a mille e 385. Sempre alla Cgil
va il record dei baby-lavoratori
messi in regola: 31 dei 76 under
14; 3 mila e 577 degli 11 mila e
848 con età compresa tra i 14 e i
18 anni. Nel derby tra partiti e sindacati, Cgil, Cisl e Uil (più altri) battono Dc, Pci e Psi 23 mila e 185 a
13 mila e 935.
La carica dei 700 mila
Tanti sono i delegati sindacali in
Italia. Sei volte più dei carabinieri.
Solo i permessi che le aziende sono
tenute a concedere loro costano al
sistema paese 154 milioni di euro
all'anno. Una parte la paga lo stato,
che continua a stipendiare i travet
prestati a Cgil, Cisl e Uil.
Uno dei maggiori privilegi dei sindacati italiani consiste
nel non dover pagare
uno stipendio a circa un
dipendente su sette. Su
un organico di 20 mila
tra alti dirigenti, capetti
e funzionari, infatti,
Cgil, Cisl e Uil nel biennio 2004-2005 hanno
ricevuto in omaggio 2
mila e 584 impiegati
pubblici. Il meccanismo
è quello del distacco e
prevede che l'amministrazione di provenienza
continui a fornire graziosamente la busta
paga, comprensiva beninteso di premi di produttività e buoni pasto,
al piccolo esercito affaccendato in questioni
sindacali. Che, esaurita
39
la missione, si ritrova pure con un
privilegio in più. Lo stabilisce, a
pagina 38, il volume curato dal dipartimento per la funzione pubblica
e intitolato Prerogative sindacali e
normativa di riferimento. Dice l'articolo 18: "II dipendente o dirigente
che riprende servizio può, a domanda, essere trasferito, con precedenza rispetto agli altri richiedenti, in altra sede della propria amministrazione quando dimostri di aver
svolto attività sindacale e di aver
avuto il domicilio nell'ultimo anno
nella sede richiesta ovvero in altra
amministrazione, anche di diverso
comparto, nella stessa sede". Il
linguaggio è involuto, ma il senso
resta chiaro: i galloni sindacali danno il diritto a sorpassare la fila.
La più generosa nel distribuire personale è stata la scuola (oltre mille
distaccati), seguita a ruota dagli
enti locali, dal servizio sanitario
nazionale, dai ministeri e dagli enti
pubblici non economici. Il sindacato, che da sempre vede come fumo
negli occhi ogni forma di flessibilità
del lavoro, in questo caso fa un'eccezione per sé: se una metà dei
distacchi deve essere a tempo pieno, l'altra può essere trasformata
in più part time per un equivalente
numero di ore. Non solo, nel corso
di un anno la posizione di distacco
può essere ripartita a piacimento
tra più dipendenti: per esempio fra
tre ministeriali che prendono quattro mesi ciascuno. Alla fine, co-
40
munque, il regalo è costato
al contribuente qualcosa come 77 milioni e 500 euro
(Irap e oneri sociali esclusi).
A questa cifra vanno sommate le ore di permessi orari e
giornalieri per lo svolgimento
dell'attività sindacale dei travet pubblici. Ogni dipendente
vale novanta minuti di permesso l'anno. Per calcolare il
monte ore bisogna dunque
moltiplicare il numero degli
statali per 1,5. Fa 5 milioni,
409 mila e 150 ore. Secondo
l'Istat, che ha analizzato un
campione di imprese private,
industriali e di servizi, nel
2005 il costo per un'azienda
di un'ora di lavoro era pari a
18,4 euro. I permessi per
l'attività sindacale costano
dunque allo stato 99 milioni,
528 mila e 360 euro. Ma la
cuccagna non è ancora finita.
Già, perché ci sono i permessi retribuiti per le riunioni di organismi
direttivi statutari. Secondo l'ultima
relazione sullo stato della pubblica
amministrazione si tratta di 475
mila e 508 ore di pensosi conclavi
che hanno un costo di 8 milioni,
749 mila e 347 euro. E tutti questi
calcoli sono fatti per difetto. Lo
dimostra il documento appena citato, le cui ultime trenta pagine sono
costituite dall'elenco delle amministrazioni che non hanno fornito i
dati: 70 enti pubblici non economici
(dall'Automobil Club di Forlì all'ente
parco nazionale della Sila), due
province (Carbonia e Ogliastra),
mille e 41 comuni (da Favignana a
Viggiù), 11 camere di commercio
(da Frosinone a Lucca), 12 lacp (da
Vercelli a Benevento), 96 enti regionali (dall'ente parco naturale
Sasso Simone e Simoncello all'Agenzia campana mobilità), 166 Unioni comunali (da quella della Bassa valle del Torto a quella di Sorvolo e Mezzani), 57 comunità montane (da Arcisate Valceresio a Poggio
Mirteto), 19 comunità collinari (da
Castelnuovo Don Bosco a Villaromagnano), due Autorità di bacino
(Biella e Venezia), 32 enti di regioni
a statuto speciale (dal comune di
Trieste all'Azienda di promozione
turistica Monte Rosa), 47 enti di
province autonome (dal comune di
Ton all'Istituto trentino di cultura),
49 Asl (da Barletta a Sanremo), 10
enti di ricerca (dal Museo storico
della fisica all'Istituto italiano di
medicina sociale) e 9 università
(dal Politecnico di Torino alla Scuola superiore studi e perfezionamento Sant'Anna di Pisa). Ma quelli dei
pubblici dipendenti sono solo spiccioli, in confronto al costo totale dei
permessi cumulati dall'intero mondo sindacale, a carico questa volta
delle imprese, pubbliche o private
che siano. Bruno Manghi, capo del
centro studi fiorentino dell'organizzazione di Bonanni, ha fatto due
conti. "Oggi," racconta, "in Italia ci
sono 700 mila persone con un
mandato sindacale, a tutti i livelli:
delegati, dirigenti, membri di commissioni. Nessuno nel mondo laico
ha questo potere". Tanto per avere
un'idea, i carabinieri in servizio sono 110 mila. Per ogni divisa della
Benemerita ci sono dunque in circolazione un po' più di sei delegati.
Il problema è che ognuno di loro
ha diritto, in base allo Statuto dei
lavoratori, a otto ore di permessi
retribuiti al mese. Stiamo parlando,
dunque, di 5 milioni e 600 mila ore
di lavoro, sempre al mese. Che
però, nei fatti, sono di più. Lo stesso Statuto, infatti, concede ulteriori
otto ore ai delegati che facciano
parte anche di un direttivo sindacale. Secondo Cazzola, si trova in
questa condizione almeno la metà
dei delegati, ma il calcolo è molto
prudente. Quindi per 350 mila di
loro scatta un raddoppio dei permessi. Il totale sale così a 8 milioni
e 400 mila ore mensili (pari a 1
milione e 50 mila giornate lavorative da otto ore ciascuna). Per il sistema Italia il costo dei permessi è
dunque di 154 milioni e 560 mila
euro. Al mese. Scrive Mattarella:
"La disciplina dei permessi per i
dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali consente ai sindacati di trasferire sul datore di lavoro
(e almeno in parte, attraverso la
contrattazione collettiva, su tutti i
lavoratori, anche quelli non iscritti
ai sindacati) una parte dei propri
costi di gestione. Se poi si considera la quantità di dirigenti sindacali
che sono dipendenti pubblici, ci si
rende conto che gran parte di questi costi è di fatto sostenuta dalla
finanza pubblica".
Una poltrona non si nega a
nessuno
Nei due rami del parlamento potrebbero costituire il quarto gruppo
più numeroso. Ma gli ex sindacalisti
sono davvero ovunque: al governo,
negli enti locali, nelle società partecipate dai comuni, nelle camere di
commercio, negli istituti di previdenza, al Cnel, negli albi professionali...
Ma il capitolo dei privilegi cui da
diritto la carriera sindacale non si
esaurisce certo con i permessi. Dove Cgil, Cisl e Uil funzionano storicamente al meglio è nella gara ad
accaparrarsi le poltrone, che del
resto imprese e amministrazioni
pubbliche non hanno mai lesinato.
Secondo l'analisi di uno studioso
del calibro di Sabino Cassese, intorno al 1980 si poteva calcolare che
nel 50% degli organi collegiali amministrativi sedessero rappresentanti dei lavoratori, per un totale
non inferiore a ottanta o centomila
persone. E che nell'amministrazione statale i collegi caratterizzati
dalla presenza di sindacalisti fossero alcune migliaia, corrispondenti a
circa il 20% del totale. Sempre secondo Cassese, si poteva ritenere
che il 7% degli amministratori di
enti pubblici fosse di provenienza
sindacale. E che nei soli consigli di
amministrazione degli enti pubblici
avessero trovato spazio circa 26
mila membri di designazione sindacale, con una concentrazione in
quelli di maggiori dimensioni, dove
l'occupazione raggiungeva un quarto dei posti disponibili.
Quella dei sindacati italiani è una
ragnatela davvero impressionante.
I loro uomini siedono su poltrone di
ogni ordine e grado. Dalla seconda
e terza carica dello stato, conquistate con Marini e Bertinotti, all'oscuro Albo professionale degli stimatori e pesatori pubblici. Basta
sfogliare La Navicella, il volume che
contiene le autobiografie dei 630
deputati e dei 315 senatori della
repubblica, per capire lo straordinario peso che hanno assunto nella
vita politica italiana. Ottanta di loro, l'8,46% del totale se non si tiene conto dei senatori a vita, raccontano di aver ricoperto, prima o
poi, un incarico sindacale. A Montecitorio sono 53: 31 hanno avuto a
che fare con la Cgil, 10 con la Cisl,
3 con la Uil, 9 con altri sindacati,
dal Cocer dei cara-binieri all'Ugl. In
ordine alfabetico, si comincia con
Paolo Affronti dell'Udeur, un ex
cislino che è stato segretario di
Carlo Donat Cattin e Franco Marini
e si finisce con Maurizio Zipponi di
Rifondazione comunista, un passato come capo della Fiom di Milano.
Se si mettessero tutti insieme formerebbero il quarto gruppo parlamentare dopo quelli dell'Ulivo (218
deputati), di Forza Italia (133) e di
Alleanza nazionale (72). I loro voti
sarebbero pari alla somma di quelli
che possono vantare l'Italia dei
valori di Antonio Di Pietro (19), i
radicali della Rosa nel pugno (18) e
i cani sciolti confluiti nel raggruppamento misto (16).
Stessa storia a Palazzo Madama,
dove nel dicembre del 2007 il pattuglione dei sindacalisti dismessi s'è
arricchito con la partecipazione
straordinaria di Pietro Larizza, subentrato al dimissionario Goffredo
Bettini, plenipoten-ziario del nuovo
leader del Partito democratico Walter Veltroni. Con l'ex segretario
della Uil e poi presidente del Cnel i
senatori già sindacalisti sono 27:
13 prima di conquistare uno scranne parlamentare si sono fatti le
ossa nella Cgil, 7 hanno imparato a
battibeccare nella Cisl, 2 sono cresciuti nelle fumose sale riunioni della Uil e 5 vengono
da organizzazioni minori.
Dalla A alla Z, la parata si
apre con Salvatore Adduce
dell'Ulivo, che sotto le insegne della Cgil ha diretto la
camera del lavoro di Ferrandina e si chiude con Stefano Zuccherini di Rifondazione, un tempo espo-nente
della Fiom-Cgil in Umbria.
Anche in questo ramo del parlamento se marciassero tutti insieme
appassionatamente gli ex sindacalisti rappresenterebbero la quarta
forza dopo quelle dell'Ulivo (101
senatori), di Forza Italia (71) e di
An (41), a pari merito con il gruppo
di Rifondazione comunista. Un'armata trasversale, pronta a saldarsi
in nome dei vecchi tempi ogni volta
che nelle aule parla-mentari fa capolino un progetto di legge indigesto ai big di Cgil, Cisl e Uil. Un patrimonio di esperienze acquisite sul
campo che un leader accorto come
Prodi non poteva certo lasciare
fuori dalle stanze dei bottoni del
governo. Così, vengono dalla Cgil il
ministro del lavoro Cesare Damiano
e il suo sottosegretario Rosa Rinaldi (a completare l'occupazione di
un dicastero chiave per i sindacati
ci pensa l'altro sottosegretario Antonio Montagnino, ex della Cisl). Il
ministro della solidarietà sociale,
Paolo Ferrero, è un ex delegato
della Fiom-Cgil e sempre da corso
d'Italia viene il suo vice Franca Dosaggio (arruffapopoli dei lavoratori
dei trasporti). Due sono i viceministri: l'ex numero uno della Cisl,
D'Antoni, allo sviluppo economico e
Patrizia Sentinelli, già Cgil scuola,
alla Farnesina. E altrettanti i sottosegretari, entrambi di matrice Cgil:
Alfiero Grandi all'economia e Giampaolo Patta alla salute. Negli enti
locali hanno trovato stipendio e
auto blu l'ex grande capo della
Cgil, Sergio Cofferati, atterrato sulla poltrona di primo cittadino di
Bologna; l'ex leader dei chimici e
poi dei metalmeccanici di corso
d'Italia, Gaetano Sateriale, approdato al municipio di Ferrara; l'ex
segretario generale aggiunto sempre della Cgil, Ottaviano Del Turco,
che dopo una comparsata governativa addirittura come ministro delle
finanze ha trovato il suo buen retiro nel governatorato del natio Abruzzo.
Un'altra vera e propria riserva di
caccia per i sindacalisti in pensione
è l'incredibile mondo degli enti previdenzia-li, a partire dall'Inps, che
ha finito per assumere un model-lo
organizzativo da socialismo reale.
Funziona così. Al vertice c'è un
consiglio di amministrazione di nove membri. I sindacati ne sono usciti all'epoca di Tangentopoli, ma
solo per traslocare nell'altro organismo di controllo: il consiglio di indirizzo e vigilanza (23 componenti),
dove fanno il bello e il cattivo tempo con Rita Cavaterra, Paolo Francesco Franco, Francesco Rampi e
Giuseppe Turudda (Cgil), Sergio
Ammannati, Giuseppe Galli e Moreno Cori (Cisl) e Rocco Carannante
(tesoriere della Uil). Ci sono poi un
collegio dei sindaci (altre sette poltrone) e un direttore generale
(Vittorio Crecco, caro a Marini). Per
completare il primo livello della
41
piramide, quello degli organismi
nazionali, bisogna aggiungere i
comitati amministratori dei fondi e
delle gestioni: 192 componenti che
nel 2004 si sono riuniti, nel complesso, 513 volte, spendendo 2
milioni di euro. Se questo è il vertice dell'Inps, la sua base deve essere proporzionata. E lo è. I comitati
regionali fruttano altri 542 incarichi
(nel 2005 sono stati convocati mille
e 267 volte, al costo di 2 milioni e
900 mila euro). Ma non basta. Ogni
comitato regionale può costituire
fino a tre commissioni istruttorie.
Se non ha sbagliato i calcoli, l'Inps
ne ha censite 34. Continuando a
scendere verso il basso si incappa
nei 102 comitati provinciali (che
contano 3 mila e 264 teste). In
un'infinita moltiplicazione di seggiole e strapuntini, ogni organo provinciale gestisce quattro commissioni speciali, una delle quali ha
diritto a creare due ulteriori sottocommissioni. E non è ancora finita.
In ogni provincia ci sono una commissione per la cassa integrazione
nell'industria, una per i sussidi nell'edilizia e una per l'integrazione
salariale agli operai agricoli. Fa altri
520 posti per le prime, 686 per le
seconde e 789 per le ultime. Il pallottoliere dice che alla fine si tratta
di 6 mila e 222 persone che s'affollano in 18 mila riunioni all'anno (49
al giorno, contando anche Natale,
Pasqua e Ferragosto). Di recente,
al termine di un'aspra trattativa, a
sigillo del loro potere i sindacalisti
42
interni sono riusciti ad accaparrarsi
anche 10 dei 50 posti auto nel parcheggio sul piazzale della direzione
generale. Gli altri enti sono più piccoli, ma il sistema è copiato con la
carta carbone da quello dell'Inps,
dove due diverse commissioni sovraintendono agli affari previdenziali dei pescatori. E chissà se una
si occupa di quelli d'acqua dolce e
l'altra di quelli d'acqua salata? Analoga è anche la lottizzazione. A capo del Civ (Consiglio di indirizzo e
vigilanza) dell'Inpdap (dipendenti
pubblici) si è sistemato Guido Abbadessa, ex Cgil. Al vertice dell'Enpals (lavoratori dello spettacolo e
dello sport) staziona Amalia Ghisani, ex segre-tario confederale della
Cisl. Il presidente del Civ dell'Ipsema (marittimi) è Giancarlo Fontanelli, ex segretario confederale della Uil. A commissario straordinario
dell'Ipost è stato nominato Giovanni Ialongo, in quota ancora a Marini. E quando si è parlato di una
razionalizzazione del settore, con la
nascita di un unico super-Inps, idea
che al sindacato fa venire l'orticaria, il nome più gettonato è stato
quello di Tiziano Treu, che vuoi
dire Cisl.
Anche fuori dal mondo previdenziale a disposizione dell'armata sindacale c'è un po' di tutto. Le 102 poltrone, per esempio, una per provincia, messe a disposizione dal
sistema delle camere di commercio. Consessi creati quasi ad hoc
per garantire altri posti, con relativi
gettoni di presenza. Come i Crei, i
Consigli regionali dell'economia e
lavoro, recente filiazione su base
locale del Cnel, un organo previsto
addirittura dalla Costituzione e
spiegato nei sussidiari, ma del tutto
inutile: nel suo mezzo secolo di vita
ha presentato dodici proposte di
legge, tutte rimaste lettera morta.
Dotato di una splendida sede nel
cuore di villa Borghese, a Roma, il
Cnel costa 15 milioni di euro l'anno: l'87% della somma serve semplicemente per pagare le spese di
funzionamento dell'ente, che col
tempo è diventato sempre più uno
scivolo di lusso verso la pensione
per ex sindacalisti e politici decotti.
Solo 1 milione e 50 mila euro finanziano quelle ricerche nel mondo
dell'economia e del lavoro che dovrebbero essere compito del Cnel.
Tre milioni tondi se ne vanno invece per assicurare un gettone mensile di 2 mila euro lordi ai 121 consiglieri, 44 dei quali sono nominati
in rappresentanza dei lavoratori
dipendenti, pubblici e privati e 18
di quelli autonomi. D'Alema, ai
tempi della bicamerale, propose di
eliminare lo spreco alla fonte, chiudendo il Cnel. I sindacati fecero la
faccia feroce e il progetto rientrò
immediatamente nei cassetti.
Scampato il pericolo, il Consiglio s'è
appunto ramificato nel territorio
con la nascita dei Crei. Lo statuto
di quello della Sardegna, per citarne uno, riserva ai rappresentanti
dei lavoratori 10 posti su 26. I sin-
Foto sopra: vecchio manifesto sull’Altra casta con Angeletti, Epifani (all’epoca segretario della CGIL)
e Bonanni
compiti amministrativi alle regioni
le ha ridato improvviso slan-cio. Gli
organi amministrativi regionali
composti esclusivamente o in parte
da rappresentanti dei lavoratori
sono spuntati qua e là come funghi. Tenerne una contabilità è davvero impossibile. A titolo d'esempio, nei soli 18 mesi tra il 1° gennaio 2001 e il 30 giugno 2002 sono
nati: il Comitato di distretto nei
distretti industriali della Basilicata, il
Comitato civico per la sanità di Bolzano, l'Osservatorio regionale per il
turismo della Val d'Aosta, la Commissione consultiva per gli impianti
di carburante del Lazio, la Commissione per il diritto al lavoro dei disabili del Friuli. E ancora: la Sottocommissione per la gestione del
fondo per la promozione dell'acces-
so al lavoro delle persone disa-bili
della Basilicata, la Commissione
regionale sull'amianto del Friuli, le
Commissioni provinciali per l'artigianato dell'Emilia, la Commissione
per la programmazione del fondo
per l'avviamento al lavoro delle
persone con disabilità della Calabria, il Forum regionale per le politiche giovanili del Lazio, la Commissione regionale per l'artigianato
della Val d'Aosta, la Conferenza
regionale del turismo del Friuli, le
Commissioni provinciali espropri del
Piemonte. E poi: il Consiglio regionale lavori pubblici della Lombardia, la Commissione consultiva carburanti del Friuli, il Comitato consultivo per la gestione del demanio
marittimo per finalità turisticoricreative dell'Emilia ecc.
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dacati, che in base alla legge possono essere chiamati a partecipare
perfino alle sedute delle conferenze
permanenti affiancate ai prefetti,
sono poi maggioranza negli organi
collegiali per la tenuta dei registri
di imprese e albi professionali. È il
caso, per esempio, delle imprese
artigiane, di quelle per lo smaltimento dei rifiuti, degli agenti e dei
rappresentanti di commercio, degli
autotrasportatori per conto terzi,
degli agenti di assicurazione. Sono
sempre le organizzazioni dei lavoratori, inspiegabilmente, a gestire i
fondi statali per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica e a rastrellare decine di
poltrone nella fitta rete delle 395
società partecipate dai comuni e
capaci di fatturare 35 miliardi di
euro in settori che vanno
dal gas all'acqua, dai trasporti ai rifiuti, dai musei
al turismo. A Roma, per
esempio, il numero due di
Trambus, con uno stipendio di oltre 93 mila euro
l'anno, è l'ex segretario
generale aggiunto della
Cisl e già sottosegretario
al ministero del lavoro,
Raffaele Morese, mentre
Fulvio Vento, già Cgil, è
consigliere di Zètema Progetto Cultura e presidente
dell'Atac. E Stefano Bianchi, un tempo segretario
generale della Cgil Roma e
Lazio, è a capo di Met.Ro.
A Torino Bruno Torresin,
ex assessore con un passato nella Uil, s'è accomodato sulla poltrona di amministratore delegato della
Trm, l'azienda incaricata
del trattamento dei rifiuti,
che gli versa 70 mila euro
l'anno. Nel Gruppo torinese trasporti le confederazioni sono riuscite addirittura a fare en plein: il presidente è Giancarlo Guiati,
ex della Fiom di Mirafiori,
mentre l'amministratore
delegato è Tommaso Panero, che viene dalle file
della Cisl. Se, sul finire
degli anni ottanta, l'espansione del sinda-cato nel
mondo pubblico è sembrata subire una battuta d'arresto, il trasferimento di
una serie di funzioni e
43
Quando scienza e buon governo hanno
portato la civiltà occidentale a prevalere
sull’oriente mussulmano
“Il sovrano è il
primo servitore
dello stato, è ben
pagato perché
mantenga la
dignità adeguata
alla sua carica, ma
in cambio gli si
chiede di lavorare
diligentemente per
il bene dello
Stato” .
Federico II di
Prussia
(1712-1786)
Circa tre secoli fa il destino della
civiltà occidentale è appesa a un
filo
Nel 1683 alle porte della capitale
austriaca Vienna due eserciti nemici sono schierati l’uno contro l’altro,
l’oriente Mussulmano e l’occidente
Cristiano. L’esito di quello scontro
sarà decisivo per l’Occidente, e
risulterà fatale per i suoi nemici
d’oriente.
L’assedio di Vienna non è che uno
dei tanti attacchi che la civiltà Occidentale ha dovuto subire da parte
dei suoi nemici orientali nel corso
della storia.
Ma negli ultimi tre secoli a parte
qualche sporadica battuta d’arresto
l’Occidente ha sempre avuto la meglio, perché?
Niall Fergusson ha individuato sei
fattori decisivi che ha chiamato i
fattori del successo che hanno assicurato il predominio dell’Occidente.
Il primo è la competizione fra i piccoli e bellicosi regni europei che ne
favorì l’ascesa nei confronti del monolitico impero Cinese.
Il segreto numero due oggetto di
questo successo è la scienza e in
particolare alcuni dei suoi aspetti
che favorirono la vittoria
dell’Occidente in guerra.
Ma se perdesse il primato scientifico la nostra
civiltà sarebbe destinata
al tramonto?.
Senza la supremazia
scientifica oggi non ci
sarebbe nessuna superpotenza occidentale, ma
non è sempre stato così.
Mille anni fa era il mondo Mussulmano a detenere il primato scientifico, sulla base dei fondamenti appresi dai Greci e
dagli indiani, i matematici arabi inventano l’algebra. Biblioteche come la
casa della sapienza a
Baghdad non avevano
eguali in occidente, e la
scienza araba permette-
44
Federico il Grande
va di perfezionare le tecniche di
navigazione e le armi.
E allora come mai in seguito il
mondo mussulmano rimarrà così
indietro rispetto all’occidentale in
campo tecnologico?
In che modo la rivoluzione scientifica ha contribuito all’ascesa della
civiltà occidentale sia a livello militare che accademico?
Per rispondere a queste domande
bisogna fare un viaggio indietro nel
tempo.
Torniamo ad oltre 300 anni fa
quando per l’ultima volta un impero
islamico minacciò l’occidente, seguiamo l’invasore orientale nel suo
cammino da Istanbul sino alle porte di Vienna.
Questa battaglia decise le sorti dell’Occidente, da un parte l’esercito
Mussulmano capeggiato dal Gran
Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pashagran, dall’altra le armate di difesa di Leopoldo I imperatore del
sacro Romano impero e sovrano
degli Asburgo d’Austria. E’ il momento cruciale nello scontro cruciale fra civiltà iniziato nel settimo
secolo quando l’Islam inizia a diffondersi dal deserto arabo. Nel luglio del 1683 l’esercito Ottomano
assedia Vienna, le prospettive per i
cristiano che la difendono appaiono
davvero sfavorevoli.
A Vienna e in tutta l’Europa centrale risuonano le campane che invitano i fedeli a implorare la misericordia divina. Ci si può fare una idea
della disperazione e allo stesso
tempo del disprezzo dei viennesi
dalle iscrizioni sull’antico campanile
del Duomo: una recita: Maometto
cane torna a casa.
Ma non sono i turchi mussulmani a
tirarsi indietro, suscitando lo sdegno di molti l’imperatore cristiano
Leopoldo decide che la prudenza è
la più grande delle virtù… e fugge.
A metà luglio le armate turche
giungono a una distanza inferiore
ai 450 passi dalle mura della città,
il destino dell’Occidente è appeso a
un filo, è uno di quei momenti in
cui tutto potrebbe volgere in trage-
dia. La vittoria ottomana sembra
inevitabile, ma poi Mustafa ha una
esitazione fatale.
I suoi uomini avevano marciato
andando ben oltre le loro forze, i
viveri scarseggiavano, inoltre anche
se Vienna fosse caduta non aveva
fatto piani per una occupazione a
lungo termine, per quanto sarebbero dovuti restare lì lontani da casa?
L’esercito avrebbe superato l’inverno? Mustafa avrebbe potuto vincere l’assedio ma avrebbe ottenuto la
pace?.
L’esitazione di Kara Mustafa dà
tempo agli occidentali di chiamare
a raccolta gli alleati, e di preparare
una strategia militare per respingere l’orda Ottomana.
Un esercito di liberazione di 60.000
uomini avanza verso Vienna al comando di Jan III Sobieski re di Polonia, che pur appesantito e avanti
con gli anni ambisce ancora alla
gloria.
Il 12 settembre 1683 l’esercito cristiano caricò scendendo dalle colline sopra Vienna, secondo un testimone oculare turco dell’epoca:
“come un fulmine di pece nera che
scende dalla montagna devastando
tutto ciò che incontra”. Alle 17:30
Sobieski fece irruzione nella tenda
d Kara Mustafa, ma la trovò deserta: era fuggito, l’assedio però era
finito e l’Occidente era salvo.
Sobieski esultante comunica al papa: “venimmo, vedemmo e Dio
vinse”
Cento palle di cannone, sparate dai
turchi sulla città, vennero fuse e
impiegate per forgiare la campana
del duomo di santo Stefano, la
Pummerin come venne chiamata, è
ornata da 6 teste di turco. Per Kara
Mustafa il prezzo della disfatta è
davvero alto, viene giustiziato per
ordine del Sultano, strangolato con
una corda di seta.
Per l’impero Ottomano fu l’inizio
della fine, un eccesso delle ambizioni imperialiste dalle conseguenze
disastrose. Per la prima volta gli
ottomani furono costretti ad accettare un trattato di pace imposto dai
vittoriosi nemici cristiani. Da quel
momento in poi, dalla fine del 600
fino alla dissoluzione dell’impero
agli inizi del 900, il potere dei Turchi in Europa venne inesorabilmente ridimensionato.
Contemporaneamente l’impero austriaco acquistò una condizione di
prestigio e di predominio nell’Europa centrale.
La liberazione dall’assedio di Vienna fu un momento chiave per l’ascesa dell’Occidente. Negli anni a
seguire si osservò un interesse crescente degli gli occidentali per la
scienza della guerra e del governo.
Di fatto, la vera differenza fra oriente e occidente, risiedeva nel
diverso grado in cui la scienza veniva sistematicamente coltivata e
applicata nell’ambito della politica
di potenza.
Perché il mondo islamico fallì in
questo? E perché l’occidente ebbe
tanto successo?
Settanta anni dopo l’assedio di
Vienna emergono due figure che
simboleggiano il crescente divario
fra il mondo occidentale e il suo
principale nemico d’oriente.
A Istambul il sultano Osman III
(1699-1754) governa sull’impero
Ottomano sempre più debole, mentre a Postdam il re di Prussia Federico il Grande avvia un programma
di riforme che alla fine darà, non
solo alla Prussia, ma all’intero Occidente un vantaggi indiscutibile sui
suoi rivali.
Federico II Hohenzollern (17121786), detto il Grande, vive alle
porte di Berlino in un castello da lui
stesso progettato, l’ha chiamato
Sans Soucì (senza pensieri), ma
Federico è tutto tranne che spensierato quando si tratta di governare il suo paese. Nel 1752 Federico
scrisse il primo di due testamenti
politici destinati al suo successore.
In esso affermava: “Il sovrano è il
primo servitore dello stato, è ben
pagato perché mantenga la dignità adeguata alla sua carica,
ma in cambio gli si
chiede di lavorare diligentemente per il bene dello Stato” in altre
parole Federico subordinava fermamente la
propria gratificazione
personale agli interes-
si dello stato prussiano. Basta vedere la semplicità del suo sobrio
palazzo, governata da una servitù
sorprendentemente ristretta, per
uno dei monarchi più influenti d’Europa, serve da esempio per l’intera
burocrazia Prussiana.
Seguendo l’esempio del re, la classe dei funzionari pubblici, opera in
un clima di disciplina, efficienza, e
tolleranza zero verso la corruzione.
Non potrebbe esserci contrasto più
netto con l’atmosfera dissoluta cui
vennero allevati i rampolli del sultano nel palazzo Topkapi di Istanbul.
Settanta anni dopo la rovinosa disfatta nell’assedio di Vienna il sultano Osman III viene rinchiuso in
una prigione dorata, Kafes, gabbia
appunto, all’interno dell’harem come diciamo noi. E’ lì che Osman
trascorre i suoi giorni, dilettandosi
con sesso e delizie turche ma mantenendosi estraneo agli affari di
governo.
Quando finalmente diventa sultano
all’età di 57 anni, né ha trascorsi
51 rinchiuso nel suo harem con
uno stuolo di concubine. Ormai ha
talmente in odio le donne da aver
escogitato uno stratagemma per
tenerle alla larga da sé, calzare
scarpe ferrate, appena sentono il
rumore dei suoi passi, le signore
debbono fuggire via. Mezzo secolo
passato a schivare le concubine
non è certo il modo migliore per
prepararsi a governare. Qui a Istanbul la degenerazione della classe dirigente diventò sistematica
finendo col contagiare completamente la cultura di governo.
La scuola, al palazzo Topkapi, una
volta considerata la migliore dell’impero accoglieva i più validi fra i
Cristiani fatti schiavi e li istruiva per
seguire il Sultano, questa selezione
in base al talento, aveva prodotto
una amministrazione fondata sulla
meritocrazia e non sulla ereditarietà, in un momento in cui in Europa
non esisteva nulla di simile. Ma
poco a poco le cose cominciarono a
cambiare, anche i Turchi per nascita ottennero di accedere alle cariche pubbliche e le promozioni dipesero sempre più da tangenti e favoritismi e non dal merito.
Le spese superano il gettito fiscale,
l’inflazione aumenta, la corruzione
dilaga, le forze centrifughe si rafforzano e si accendono anche conflitti religiosi fra fondamentalisti e
mistici, l’impero è ormai allo sface-
Campana Pummerin
45
lo. Se si esaminano le carte negli
archivi storici di Istanbul si ha l’impressione di un sistema di governo
allo sbando. Al di là dei contenuti,
basta anche solo vedere la grafia
con cui sono scritti.
Se confrontiamo un registro catastale del 1458 è accurato, stupendo, quasi un opera d’arte.
Confrontiamolo con un altro registro risalente a circa 250 anni dopo, del 1694: è un disastro, è pieno
di cancellature, sbavature sembra
che sia stato compilato molto più in
fretta e con molta meno cura, magari saranno diventati più efficienti,
ma di sicuro non più ordinati.
Se paragonato alla decadenza della
amministrazione di Osman III, Federico il grande è impegnato nel
governo razionale della Prussia.
Possiamo vedere come fosse amministrata bene, se anche qui andiamo a vedere gli archivi segreti di
Stato, dove si trovano i verbali perfettamente conservati del Gabinetto di Federico.
Pagine su pagine di editti reali e
missive.
L’agosto del 1756 fu un mese impegnativo per lui, fu il mese in cui
ordinò l’invasione della vicina Sassonia, all’inizio della guerra dei 7
anni.
Fu questa organizzazione impeccabile che distinse nettamente l’Occidente dal resto del mondo e la sua
assenza condannò l’impero Ottomano a un declino inesorabile.
Per Federico, il sovrano era il servitore non il padrone dello Stato,
dichiarava: “non posso avere interessi, che non siano al tempo stesso quelli del mio popolo, se sono
incompatibili, la priorità va sempre
data all’interesse e al vantaggio del
paese”.
In altre parole, istruzione, cultura e
tolleranza rafforzavano lo Stato
anziché indebolirlo, e per ribadire
questo concetto, dispose la costruzione di una serie di edifici spettacolari.
Se la sua dimora privata è sobria,
questi grandiosi edifici pubblici sono pensati come manifesti politici.
Uno dei primi edifici di quelli che
Federico concepì come una specie
Foro nel cuore di Berlino, è il meraviglioso teatro dell’Opera di stato. A
differenza dei suoi omologhi nordeuropei, non era annesso a nessuna reggia o corte, si trattava di
una istituzione completamente au-
tonoma, il cui scopo non era l’appagamento del sovrano, bensì la
diffusione della cultura.
Accanto al teatro dell’Opera Federico fa edificare una cattedrale cattolica romana, benché sia agnostico
Federico è disposto a tollerare la
religione, purché non interferisca
con la vita politica della nazione. La
gente in Prussia era libera di pregare come voleva, purché il suo
credo non intralciasse la ricerca
scientifica e il progresso tecnologico, era uno stato laico dove pastori
e preti non avevano alcun potere.
Al contrario il progresso degli Ottomani viene gravemente ostacolato
dalla religione. A detta
di un ecclesiastico mussulmano “è raro che
uno possa interessarsi
a questa scienza forestiera senza ripudiare la
religione e allentare le
redini della pietà dentro
di sé”.
Gli scienziati Mussulmani non possono neanche accedere alle più
moderne ricerche europee perché la religione
vieta loro di leggere
testi stampati. Per gli
Ottomani la scrittura è
sacra, inchiostro e calamaio sono venerati religiosamente e l’arte della calligrafia è preferita
alla stampa. L’inchiostro dello studioso, si
dice è più sacro del
sangue del martire.
Se paragoniamo la rivoluzione scientifica ad un
forum di studiosi che
da ogni parte d’Europa
si scrivono e si pubblicano, allora è come se
l’impero Ottomano non
si sia mai collegato in
rete.
Nel 1515 un decreto di
Selim I condanna a
morte chiunque sia
coinvolto nella diffusione della stampa, un
tabù che rimarrà in vigore sino al XVIII secolo.
Questa incapacità di
conciliare la scienza e
l’Islam risultò fatale, il
rifiuto dei libri stampati
e concentrarsi sul lavo-
46
Taqī al-Dīn al-Rāṣid
ro degli amanuensi portò gli Ottomani ad autoescludersi dal sapere
occidentale e quindi dal progresso.
L’unica opera di scienza tradotta in
ottomano nel XVIII secolo fu il trattato sulle possibili cure della sifilide. Il che la dice lunga sulla priorità della corte del Sultano.
Nelle scuole Ottomane la scienza
cede il passo agli studi religiosi. Le
sorti di un osservatorio costruito ad
Istanbul nel 1577 dall’illustre astronomo Taqī al-Dīn al-Rāṣid mostrano il divario culturale fra Federico e
Osman. Taqī al-Dīn al-Rāṣid (15261585) è un religioso e insegna in
una scuola islamica ma è anche
Christofer Wren
una scienziato di straordinaria apertura mentale e creatività, come
i filosofi persiani del passato, sostiene che l’indagine razionale del
mondo naturale è compatibile con
la fede islamica.
Dal suo osservatorio di Istambul
Taqī al-Dīn al-Rāṣid studia il sistema solare. Autore di numerosi trattati di astronomia, matematica e
ottica progetta anche orologi astronomici estremamente precisi, e
conduce persino esperimenti sulla
forza vapore. Ma l’11 settembre
1577 Taqī al-Dīn al-Rāṣid commette un errore gravissimo, una cometa attraversa i cieli di Istanbul seminando il panico. Interrogato come esperto, astrologo predice che
potrebbe esser il segno di una
prossima vittoria militare degli ottomani sui persiani. Purtroppo si sbagliò e di conseguenza a lui e al suo
osservatorio fu attribuita a colpa
della sconfitta, il sultano cedette
alle pressioni religiose e nel gennaio del 1580 appena tre anni dopo
la fine dei lavori l’osservatorio di
Taqī al-Dīn al-Rāṣid venne demolito.
Il potente clero Musulmano, di fatto, soffocava ogni possibilità di sviluppo scientifico per gli Ottomani,
nello stesso periodo in ciò le chiese
cristiane in Europa allentavano il
controllo sulla libera ricerca pubblica.
Alla fine di XVII secolo in tutta Europa i governanti promuovono attivamente la scienza, nel 1662 la
Royal Society di Londra riceve il
proprio statuto da re Carlo II, che
diventerà un modello per istituzioni
analoghe a Parigi, Vienna e Berlino.
Tra i fondatori della società figurano Christofer Wren (1632-1723)
architetto, matematico, scienziato e
astronomo famoso per aver ricostruito la capitale inglese dopo l’incendio del 1666
Quando nel 1675 Carlo II commissionò a Wren la costruzione di un
osservatorio a Greenwich non lo
fece per motivi di prestigio o inte-
ressi personale, ma perché capì
che la scienza era nell’interesse
della nazione.
La Royal Society era così importante perché promuoveva un nuovo
modello di comunità scientifica,
dove le idee potevano circolare e i
problemi esser affrontati collettivamente.
Un classico esempio fu la teoria
della gravità di Isaac Newton, a cui
non sarebbe mai giunto senza la
precedente opera del fondatore
della Royal Society, Robert Hooke.
Il lavoro di squadra giova perfino ai
geni.
In occidente scienza e governo
illuminato lavorano insieme e nessun sovrano lo sa meglio di Federico il Grande, il quale offre premi in
denaro agli scienziati per trovar
soluzione di problemi irrisolti.
Tuttavia i governanti come Federico erano interessati alla scienza,
non solo per motivi puramente intellettuali, intuirono che le conoscenze scientifiche potevano esser
determinanti per il potere militare
dell’Occidente. Il sapere si era trasformato in un’arma di conquista.
Nella metà del XVIII secolo Federico il Grande di Prussia è il simbolo
di questo legame fra scienza e potenza militare, il fulcro delle sue
operazioni è Potsdam. Oggi è un
anonimo sobborgo di Berlino, ma ai
tempi di Federico la maggior parte
degli abitanti di Postdam è costituita da soldati.
Quasi tutti gli edifici di Postdam
sono in qualche modo legati all’ambito militare.
Ciò che oggi è una banca, ai tempi
di Federico era un posto di guardia,
così fece costruire l’orfanotrofio
militare, gioiello barocco, la chiesa
delle guarnigione e la scuola di equitazione. Nelle vie residenziali le
case presentano un piano attico
aggiuntivo per l’acquartieramento
dei soldati. L’esercito cessa di essere un mero strumento del potere
dinastico per diventare parte integrante della società Prussiana dove
gli aristocratici Junker sono gli ufficiali e i contadini i soldati.
E’ rimasta famosa l’affermazione :
“la monarchia prussiana non è uno
stato con un esercito bensì un esercito con uno stato”
Qui, la società e l’esercito, erano
legati indissolubilmente ,i proprietari terrieri dovevano servire come
ufficiali e gli uomini comuni pren-
dere il posto dei mercenari nelle
truppe. La Prussia era l’esercito e
l’esercito era la Prussia. L’addestramento e la professionalità sono
elementi chiave del successo militare prussiano, la disciplina e la rapidità di movimento in battaglia sono
la qualità che renderà la sua fanteria leggendaria come si può vedere
da una mappa dell’epoca che riporta le fasi della battaglia di Leuthen,
combattuta nel dicembre 1757
quando l’esistenza stessa della
Prussia fu minacciata da una formidabile coalizione di Francia, Russia
e Austria.
Non è la prima, né sarà l’ultima
volta che l’occidente è dilaniato da
guerre intestine, ma sono proprio
questi conflitti a sollecitare l’innovazione. Nonostante il divario nel
numero delle forze in campo:
29.000 prussiani contro 66.000
austriaci la battaglia si risolse in
una schiacciante vittoria Prussiana:
6.400 morti fra i prussiani 10.000
fra gli austriaci oltre a 12.000 prigionieri. La fanteria prussiana attaccò di sorpresa le lunghe linee
austriache sul fianco meridionale.
Mentre venivano respinti, gli austriaci tentarono disperatamente di
riorganizzarsi, ma furono raggiunti
prima dalla cavalleria Prussiana e
poi dalla micidiale artiglieri di Federico. Fu una lezione devastante di
scienza bellica.
L’artiglieria era fondamentale, come la mobilità e la disciplina, per
l’affermazione Prussiana. Federico
dichiarava: “Non combattiamo più
contro degli uomini, le guerre che
intraprenderemo d’ora in poi saranno duelli di artiglieria. A Leuthen i
prussiani disponeva di 63 cannoni
da campo e 8 obici, oltre a 10
“brontoloni”, cannoni così chiamati
per il rimbombo prodotto durante
lo sparo. Armi come queste erano
un esempio della applicazione e
delle conoscenze scientifiche in
ambito bellico.
Una artiglieria mobile e precisa è la
chiave del successo militare dell’occidente che durerà per oltre duecento anni.
L’applicazione della scienza all’artiglieria illustrava perfettamente il
progresso cumulativo che stava
avvenendo in Europa grazie agli
stati in competizione fra loro che
imparavano l’uno dall’altro. La rivoluzione scientifica è un periodo d’oro per i geni della tecnologia.
47
Intorno al 1740 un matematico
autodidatta di nome Benjamin Robins applica la meccanica newtoniana ai problemi di artiglieri utilizzando equazioni differenziali per
fornire la prima vera descrizione
degli effetti della resistenza dell’aria su proiettili ad alta velocità.
Calcolando l’effetto del vento e
dell’aria Robins riesce ad ottenere
un miglioramento sensazionale della precisione di tiro dei cannoni.
Non ci vuole molto prima che Federico il Grande commissioni una traduzione i tedesco dei “Nuovi principi di artiglieria” di Robins. Il traduttore Leonhard Euler, non sa resistere e perfeziona l’opera integrandola con un appendice di tavole
per determinare velocità, gittata,
altezza massima, tempo di volo di
un proiettile sparato con una certa
velocità iniziale ed angolo di elevazione.
La scienza consegna così all’occidente un’arma micidiale l’artiglieria
di precisione. Ma da questa rivoluzione balistica gli Ottomani restarono in gran parte esclusi. Solo lentamente nel corso del XVIII secolo gli
Ottomani si rendono conto che si
devono mettere al passo con le
rivoluzioni in atto in occidente nel
campo della scienza e del governo.
E uno dei modi più scontato per
farlo, fu quello di iniziare a pubblicare e leggere libri anziché affidarsi
alle tradizionali trascrizioni degli
amanuensi.
Fra i primi tipografi Ottomani figura
Ibrahim Müteferrika, un eclettico
48
ufficiale ottomano nato in Transilvania.
Nel 1731 Müteferrika presentò la
sultano Mahamud I il libro “Basi
razionali per la politica delle nazioni” in cui sollevò il quesito che da
allora in avanti ossessionò i mussulmani. Come mai, si chiedeva, le
nazioni cristiane un tempo così deboli rispetto a quelle mussulmane,
ormai dominano tante terre e sconfiggono persino le armate ottomane un tempo vittoriose?
Nel rispondere Müteferrika toccò
tanti argomenti. Citò il sistema parlamentare olandese e inglese, la
conquista cristiana del Nuovo mondo e dell’estremo oriente e sottolineò anche come, mentre gli ottomani governavano in base alla Sharia, la legge sacra, in Europa scrisse: “le leggi sono dettate dalla ragione”.
Il messaggio era chiarissimo: l’impero ottomano deve assimilare la
rivoluzione scientifica e l’illuminismo se vuole rimanere una superpotenza credibile.
Ma i libri da soli non bastano. Una
riforma militare richiede l’importazione di competenze europee.
Un ufficiale francese di origine ungherese François de Tott è chiamato a supervisionare l’edificazione
di nuovi bastioni intorno alla capitale.
Navigando lungo il Bosforo, De Tott
si rese conto che molte fortificazioni erano poste in punti sbagliati, le
navi nemiche sarebbero state completamente fuori tiro, tanto valeva
che gli Ottomani sparassero
a salve.
Nelle sue memorie De Tott
è spietato con gli Ottomani,
definendo i loro castelli più
simili ai resti di un assedio
che ad allestimenti difensivi.
Deciso a modernizzare le
antiquate forze armate del
Sultano De Tott istituisce un
corso di scienze matematiche per la marina, fa edificare una nuova fonderia per
la realizzazione di obici, promuove la produzione di unità mobili di artiglieria. Anche
l’esercito ottomano iniziò a
marciare con un ritmo tutto
nuovo. Immaginate di arrivare a Istanbul a metà del
XIX secolo, forse vi attendereste di esser ricevuto al
rullo dei tamburi che diffuMüteferrika
sero il terrore ai tempi di Allah e
Maometto ai difensori di Vienna nel
1673, invece la melodia che sarebbe venuta alle vostre orecchie sarebbe stata composta da Giuseppe
Donizetti, fatto giungere qui dall’Italia per musicare uno speciale inno nazionale, con stile italiano e
quasi operistico per l’impero Ottomano.
Il simbolo più duraturo di questa
epoca venne fatto costruire dal 31°
Sultano dell’impero Ottomano Abdülmecid I, (o Abdul Mejid I). Cultore della lingua francese, Abdülmecid anela ad emulare la civiltà
occidentale in ogni suo aspetto.
Così abbandona le agiatezze del
palazzo Topkapi, la dimora storica
dei sultani, per trasferirsi in una
nuova sede di governo, fatta costruire in stile occidentale, il palazzo Durmabahace.
Edificato fra il 1843 e il 1856, il
palazzo conta oltre 285 stanze, 44
saloni e una spettacolare scala di
cristallo, 14 tonnellate di foglie d’oro sono state usate per decorare le
volte del palazzo, da cui pendono
ben 36 lampadari. L’ambiente più
grande è il salone Muayede, vi si
trova il più grande tappeto del
mondo, e un lampadario che pesa
oltre 4 tonnellate.
E’ la dimostrazione di quanto gli
ottomani sono disposti a fare pur di
imitare i costumi occidentali.
C’è un orologio, che è anche termometro, un barometro e un calendario, fu un dono del pascià egiziano al sultano, presenta anche
una bella iscrizione in arabo, Possa
ogni tuo minuto valere un’ora ed
ora cento anni.
Si direbbe un capolavoro di tecnologia orientale se non fosse per un
piccolo particolare, era stato costruito in Austria la Wilhelm Kirche.
L’orologio dimostra perfettamente
come una mera dimostrazione di
occidentalizzazione per quanto impressionante non possa sostituire
una autentica modernizzazione ottomana.
Gli ottomani non avevano ancora
capito che, se davvero volevano
esser come l’occidente, serviva ben
più di un palazzo in stile occidentale. Avevano bisogno di una nuova
costituzione, di un nuovo alfabeto
di uno stato totalmente nuovo. E
se alla fine hanno ottenuto tutto
questo è dovuto in larghissima parte a un uomo. Mustafa Kemal Ata-
türk. La sua missione era quella di
diventare il Federico il Grande della
Turchia.
Per sei secoli, oriente mussulmano
e occidente cristiano, sono stati
impegnati a combattersi, adesso
agli inizi del XX secolo sotto il governo di Kemal Atatürk questo
conflitto ha finalmente termine.
Per secoli, sostiene Atatürk, i turchi
si sono allontanati dall’occidente in
direzione dell’oriente, ora sotto la
sua guida raggiungeranno finalmente la loro meta sulle rive del
Bosforo. L’oriente incontrerà l’occidente non solo geograficamente
ma anche culturalmente.
Centrale per l’occidentalizzazione
della Turchia è l’introduzione di un
sistema di governo laico, alla religione non sarà più permesso di
dominare la scena politica, si faranno leggi laiche per uno stato laico.
Secondo Atatürk la Turchia non
poteva avviarsi verso la modernità
finché l’islam avesse avuto un ruolo
così di rilievo nella vita pubblica, si
propose quindi di estirpare risolutamente a religione dalla politica per
creare uno stato genuinamente
laico, ovviamente la separazione
fra chiesa e stato è di per sé molto
occidentale.
Per dare impulso alla ricerca scientifica Atatürk crea una nuova università ad Istanbul in stile occidentale, e una delle prime strutture
scientifiche che fa edificare è un
osservatorio, mentre l’osservatorio
di Taqī al-Dīn al-Rāṣid era stato
demolito nel XVI secolo per le pressioni del clero mussulmano, presso
Atatürk gli scienziati possono finalmente svolgere il proprio lavoro
senza differenze religiose.
Progresso scientifico e potenza militare per Atatürk andavano di pari
passo. La scienza, sosteneva, era
l’unica vera guida nella vita, ecco
finalmente un leader turco illuminato. Questo bastò per trasformare la
Turchia nel paese moderno che
conosciamo oggi, ma non riuscì a
salvare l’eredità più esclusiva degli
ottomani, il loro impero in terra
santa.
Quando l’11 novembre 1917 il comandante inglese Edmund Allenby
conquista Gerusalemme segna la
fine del dominio Ottomano in terra
santa. Chi comanderà lì adesso?
Alla porta di Jaffa, che Allenby varcò nel 1917, per sconfiggere i turchi ed il loro controllo su Gerusa-
lemme che durava da 5 secoli, gli
inglesi fecero delle promesse ai
nemici interni del sultano, agli arabi
promisero regni indipendenti, e agli
ebrei una patria nazionale, ma ben
prima della ritirata degli inglesi nel
1948 apparve chiaro che queste
due promesse erano sostanzialmente incompatibili.
Gerusalemme, oggi, è l’equivalente
della Vienna del 1683 una città fortificata ai limiti della civiltà occidentale. Fondato nel 1948 come stato
laico per gli ebrei ma non esclusivamente per gli ebrei, Israele è
indubbiamente un avamposto occidentale, ma è sotto assedio.
A Gerusalemme, che Israele considera la propria capitale, il muro che
l’attraversa non è un struttura propriamente amata nel mondo, ma se
si passa del tempo in Israele, si
capisce perché la gente non si sente al sicuro. Si sente minacciata da
Hamas a Gaza, dagli Hezbollah nel
vicino Libano, dalla Siria, dai fratelli
mussulmani in Egitto, dall’Iran per
non parlare dell’Arabia Saudita.
Persino la Turchia si è allontanata
dalla eredità laica di Atatürk per
abbracciare, secondo alcuni, una
politica estera neo-Ottomana. Ecco
perché molti israeliani si sentono
minacciati come i viennesi nel
1683; si sentono assediati da un
implacabile avversario religioso.
Anche qui tuttavia dispongono dell’arma della scienza moderna per tenere a bada i nemici. Israele è all’avanguardia nella ricerca scientifica
e tecnologica. Una azienda
vicina a Tel Aviv sta sperimentando un nuovo tipo di
macchine elettriche la cui
ricarica richiede lo stesso
tempo, se non meno, della
sosta da un benzinaio. Nel
solo 2008 gli inventori israeliana hanno depositato
9591 nuovi brevetti, un
paese come l’Iran appena
50. Israele conta la percentuale di scienziati e ingegneri più alta del mondo.
La storia ci insegna che un
piccolo paese può sconfiggere avversari più consistenti se ha la scienza dalla
sua parte, pensiamo alla
Prussia di Federico il Grande. Tuttavia oggi il divario
fra occidente ed oriente
sembra orientato a ridursi.
Kemal Atatürk
Fino ad ora Israele è stata l’unica
potenza nucleare in medio oriente,
ma adesso l’Iran sta per realizzare
il vecchio sogno nel cassetto di
possedere la più potente arma di
distruzione di massa. Più di tre secoli dopo l’assedio di Vienna il
mondo islamico si è reso finalmente conto che non c’è potere senza il
sapere. Da Teheran a Riyāḍ, fino
alla scuola privata mussulmana
finanziata dai Sauditi che è stata
fondata a Londra, il tabù che vietava l’istruzione delle donne sta svanendo. La maggior parte delle sue
allieve alla King Fahad Academy di
Londra, indossa il velo come impone la religione. In questa scuola
l’istruzione impartita è chiaramente
di stampo islamico, ma ciò non impedisce di studiare i principi della
biochimica.
La domanda chiave è: per quanto
tempo ancora l’occidente riuscirà a
mantenere il primato scientifico su
cui, fra le altre cose, ha basato per
secoli la propria superiorità militare? è un altro segreto del successo
che il resto del mondo è riuscito a
carpirgli, ma la scienza è solo uno
dei sei segreti che le ha permesso
all’occidente di distinguersi dal resto del mondo.
Gli Iraniani potranno anche riuscire
a copiare i nostri armamenti più
letali, ma come la mettiamo con la
Democrazia?
49
Libertà di parola… o no?
Occidente - Russia: due vicende parallele
Di Riccardo Manzoni
mb 339.1002650
e-mail: [email protected]
I Fatti
In Russia tre ragazze sono state
condannate a due anni di carcere
per istigazione all’odio religioso; in
Gran Bretagna Assange deve rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador
per evitare di essere molto probabilmente estradato negli Stati Uniti.
Cosa avranno mai commesso di
tanto grave per andare incontro ad
un simile destino? Semplice: nel
primo caso le Pussy Ryot condannate hanno cantato incappucciate
nella Chiesa di Cristo Salvatore ed
invocato la Madonna per ottenere
la liberazione dal governo di Putin;
nel secondo Assange ha rivelato,
attraverso il sito di Wikileaks, documenti considerati dagli USA fondamentali per la sicurezza nazionale
americana e quindi questi ultimi
vogliono fargliela pagare cara.
Queste due vicende toccano direttamente il punto fondamentale di
ogni democrazia, la libertà di espressione, e mettono a confronto
la visione moderna e quella tradizionale.
La prima sottolinea l’importanza
assoluta della libertà di parola che
non deve arrestarsi di fronte a
niente, anche a costo di produrre
scandalo e suscitare polemiche; la
seconda subordina questo diritto
ad altri principi, come il rispetto dei
credenti o la Ragion di Stato.
50
Julian Assange
Allo stesso tempo vi è però una
profonda differenza per i contesti
nei quali si sono svolti gli eventi
descritti, in quanto Russia e mondo
anglosassone sono agli antipodi.
RUSSIA
La Russia non ha mai conosciuto,
se non recentemente, la libertà di
espressione e la democrazia; inoltre sotto il comunismo ha subito la
distruzione di molte chiese e la persecuzione del clero ortodosso. Ciò
non le ha comunque impedito di
conservare la propria fede, sia pure
in modo clandestino, tanto che la
fine del Regime ha coinciso con il
rifiorire della fede cristiana, sentita
come parte integrante della propria
identità. Non deve quindi stupire
che il processo alle Pussy Ryot abbia riaperto ferite chiuse solo di
recente, toccato tasti profondi e
fatto venire alla luce come al solito
le due anime contrapposte della
Russia: quella più urbana, istruita e
filo-occidentale si è schierata a favore di queste ragazze e del loro
gruppo tanto da inviare un altissimo numero di domande di adesione, mentre quella più tradizionalista sperava in una condanna molto
più severa.
Visto che in Russia quasi tutti i processi si concludono con la condanna dell’imputato era quasi scontato
prevedere che sarebbe finita così
anche in questo caso, ma la sentenza è comunque interessante per
vari motivi. Innanzitutto pone seri
interrogativi sull’effettiva indipen-
denza della magistratura, in quanto
sembra essere fatta su misura secondo i desideri di Putin che si era
augurato “una condanna non troppo severa”. Inoltre pone un dilemma più generale su quale deve essere il compito della Giustizia. Essa
deve limitarsi ad applicare la legge
oppure essere anche interprete dei
sentimenti del popolo?
La risposta in teoria dovrebbe essere che la magistratura fa rispettare
la legge senza curarsi né delle
pressioni eventuali da parte del
Potere né degli umori popolari. In
realtà la situazione è più complessa
perché la Giustizia, come la classe
politica, per essere davvero efficace deve godere del sostegno del
popolo, altrimenti la sua azione
diventa poco per volta sempre più
vulnerabile e di conseguenza debole. Quanto detto dovrebbe essere
peraltro notissimo proprio a noi
Italiani per almeno due motivi. Il
primo è che l’Italia, tra i paesi occidentali, è quello più simile alla Russia in quanto entrambi hanno da
moltissimo tempo problemi simili,
come uno Stato ipertrofico, un netto distacco di stili di vita tra politici
e cittadini ed un alto tasso di corruzione con la conseguenza comune
che i cittadini si fidano poco delle
Istituzioni.
Il secondo ha a che fare con la nostra storia recente, in quanto dovremmo ricordarci che tutti i più
grandi successi della magistratura,
come la vittoria contro il terrorismo, le sentenze di condanna dei
capi mafiosi e le inchieste sulla corruzione all’inizio degli anni Novanta, sono stati accompagnati da manifestazioni di massa nelle quali
milioni di cittadini esprimevano il
loro totale appoggio nei confronti
dei magistrati impegnati in queste
attività.
Quanto detto rende il caso delle
Pussy Ryot più problematico di
quanto potrebbe apparire a prima
vista, in quanto da un punto di vista strettamente giuridico la sentenza è senza dubbio eccessiva,
tanto più che non hanno fatto nulla
di davvero grave; se invece si analizza questo processo nel contesto
più ampio della storia e della psicologia della Russia la sentenza diventa quantomeno comprensibile e
si capisce perché ben il 43% dei
Russi considera la pena inflitta addirittura troppo lieve. La diversa
percezione tra l’opinione pubblica
occidentale ed una così larga parte
di Russi da un lato rimanda alle
due visioni del mondo ricordate
all’inizio, dall’altro dovrebbe suscitare seri interrogativi politici.
Per quel che riguarda il primo argomento emerge come l’Occidente si
identifichi nella visione moderna
che considera la libertà di espressione fondamentale e prioritaria
rispetto ad ogni altro principio; non
a caso le Pussy Ryot hanno ottenuto totale solidarietà da cantanti
occidentali che chiedevano la loro
immediata scarcerazione e consideravano semplicemente inconcepibile quanto stava avvenendo in
Russia. Certo, il fatto che cantanti
sostengano così esplicitamente
altre cantanti può fare pensare ad
una difesa “corporativa”, ma è comunque significativa della mentalità occidentale, visto che nei nostri
paesi non potrebbe mai verificarsi
qualcosa di analogo.
In Russia invece molta popolazione
ha conservato un attaccamento alla
tradizione ed alla religione a sua
volta incomprensibile in un gran
numero di intellettuali e cantanti
occidentali. Non a caso le Pussy
Ryot sono state denunciate da persone comuni rimaste profondamente turbate dalla loro esibizione nella
Chiesa di Cristo Salvatore; il fatto
che queste ragazze siano filooccidentali e che almeno una sia
atea ha ulteriormente peggiorato la
loro situazione facendole apparire a
molti loro connazionali estranee
all’autentica identità russa e simbolo vivente della corruzione occidentale. Inoltre il fatto che l’Occidente
le difenda e di conseguenza giustifichi quanto fatto da loro è visto
nell’ottica tradizionale come la riprova di quanto l’Occidente sia ormai dimentico dei valori sacri come
il rispetto di Dio e sia quindi pericoloso per sé e per gli altri. Prima
ancora che a livello politico, emerge infatti un reciproco pregiudizio
consolidato nei secoli: da un lato in
Russia molti considerano l’Occidente pericoloso ed inquinatore della
“santa” identità russa; dall’altro in
Occidente una parte consistente di
opinione pubblica vede la Russia
come un paese profondamente
corrotto, forse neanche europeo, e
quindi è portata a giudicare qualsiasi decisione dell’Autorità in modo
molto più severo di quanto non
farebbe verso altri paesi occidentali. A proposito dei rapporti politici
tra Russia ed Occidente, la vicenda
delle Pussy Ryot mette quest’ultimo
in una posizione molto scomoda:
se interviene in loro difesa agevola
chi le accusa di essere “nemiche
della Patria” e rischia di aggravare
ancora di più la loro situazione; se
non fa nulla si mostra incoerente
con i suoi principi e quindi perde
credibilità agli occhi dei suoi ammiratori, ma anche dei suoi avversari
suscitando solo disprezzo nei suoi
confronti. Inoltre l’Europa si trova
davanti ad un dilemma ulteriore
perché da un lato deve rendere i
legami con la Russia sempre più
stretti, dall’altro emerge ogni giorno di più che i modi di pensare sono sostanzialmente diversi e ciò
dovrebbe viceversa spingerla a
chiedersi quanto sia possibile costruire relazioni davvero solide con
essa. Infatti questo processo è solo
l’ultimo episodio di uno stillicidio
continuo di situazioni che fanno
sistematicamente affiorare una
“psicologia profonda” opposta: la
guerra nell’ex Jugoslavia, la Cecenia, le riforme attuate in Russia, la
democrazia come idea-guida sia
all’interno sia in politica estera. Alla
base di tutti questi approcci vi sono
certamente interessi concreti, ma
anche ragioni storiche più profonde. Infatti l’Europa è stata la culla
dell’Illuminismo e del Romanticismo, filosofie tra loro contrapposte
ma che hanno cambiato profonda-
mente la società e che davano importanza alla libertà, anche se in
modo diverso: l’Illuminismo insisteva su quella individuale e ha creato
le premesse per la Dichiarazione
universale dei Diritti dell’Uomo,
mentre il Romanticismo esaltava la
libertà collettiva ed il principio di
autodeterminazione dei popoli.
Questo spiega perché ancora oggi
l’opinione pubblica europea dia così
tanta importanza alla democrazia,
alla libertà di espressione in qualsiasi circostanza e quindi appoggi
le Pussy Ryot ed i popoli che combattono contro la dittatura o per
l’indipendenza.
In Russia invece l’Illuminismo non
ha mai attecchito in profondità ed
in seguito alle guerre contro Napoleone la Russia è addirittura diventata un bastione ideologico, oltre
che politico-militare del pensiero
controrivoluzionario anti illuministico; quanto al Romanticismo, la
Russia subì una profonda, ma parziale influenza proveniente dalla
Germania. Infatti da essa arrivò il
populismo e più tardi il sonderweg,
“via particolare”, ideologia che esalta la peculiarità di questi due
paesi e teorizza quindi la necessità
di creare un modello politico, economico e sociale diverso da tutti gli
altri. Non arrivò invece il concetto
di autodeterminazione dei popoli
per evidenti motivi politici: la Russia era un grande impero multietnico e questa ideologia avrebbe minato le basi stesse dell’unità della
Russia, come sarebbe successo nel
Novecento sia con la rivoluzione
comunista sia sotto Gorbaciov.
Quest’ultima esperienza in particolare spinge i Russi a considerare la
democrazia, i diritti umani e l’auto-
Pussy Ryot
51
determinazione dei popoli grimaldelli usati dall’Occidente per imporre il suo predominio ed i suoi valori. Non deve stupire quindi che i
Russi rimangano sordi verso principi per noi fondamentali e che sostituiscano al principio dell’autodeterminazione dei popoli quello della
sovranità assoluta dello Stato, tanto che Putin ha coniato l’espressione “democrazia sovranista” per
indicare che nessuno può interferire negli affari interni. Questo approccio si vede anche in Cina ed in
parte negli USA ed è il risultato
della Seconda Guerra Mondiale:
mentre le nazioni dell’Europa occidentale, indipendentemente dal
fatto di essere vincitrici o vinte,
decidevano di abbandonare il concetto della sovranità assoluta per
evitare guerre future, USA, URSS e
Cina accentuavano al loro interno
proprio questo principio passato
poi alla Russia. Esiste però una
differenza importante tra USA da
un lato e Russia e Cina dall’altro.
Gli USA non vogliono alcuna limitazione di sovranità nazionale, ma
allo stesso tempo considerano la
libertà un valore supremo e di conseguenza intervengono negli altri
Stati per esportare o difendere la
democrazia.
Russia e Cina partendo dal principio della sovranità assoluta non
solo non tollerano intromissioni
esterne in casa loro, ma si oppongono a priori a qualsiasi intervento
di uno o più Stati in un’altra nazione. Questo spiega perché la Russia
non solo non accetta critiche alle
condanne inflitte alle Pussy Ryot
ma oggi non vuole sentire parlare
di interventi in Siria, così come in
passato è stata estremamente critica verso la guerra dell’Occidente
contro Milosevic. Questi retroterra
storici ed ideologici spiegano perché quasi sempre si verifica la con-
52
ché quasi sempre si verifica la contrapposizione psicologica, prima
che politica, tra Occidente e Russia
vista in precedenza. Se però la
condanna comminata alle Pussy
Ryot è comprensibile e coerente
con il passato della Russia, la vicenda di Assange è molto più problematica perché obbliga l’Occidente a “gettare la maschera” ed a
guardarsi in faccia per quello che è
davvero e non per quello che vorrebbe essere.
L’OCCIDENTE
Essa infatti fa entrare in cortocircuito il mondo anglosassone in
quanto emerge chiaramente che i
principi che ne stanno alla base,
come la libertà di parola, vengono
messi in seria discussione quando
l’opportunità politica lo chiede. Per
la verità questo mondo, soprattutto
nella versione americana, non è
pienamente occidentale in senso
stretto, come emerge ancora oggi
dalla presenza di umori antieuropei
al suo interno. Infatti, se è vero
che l’Inghilterra ha vissuto esperienze analoghe ad altri paesi europei e che gli USA hanno conservato
istituzioni e modi di pensare un
tempo presenti in Europa e poi
spariti, è anche vero che l’Inghilterra ha avuto per molti secoli un’identità separata dal resto dell’Europa e che gli USA hanno creato una
società basata su principi opposti a
quelli europei. Da questo punto di
vista più che parlare del mondo
anglosassone come di una parte
dell’Occidente sarebbe più corretto
affermare che l’Europa occidentale
è diventata, e sta diventando sempre più, un prolungamento del
mondo anglosassone, dato che ne
ha accolto i principi base in tutti i
campi. Un tipico esempio è proprio
la democrazia e di conseguenza la
libertà di parola: per molti secoli
essa fu prerogativa dell’Inghilterra,
tanto che ancora nel Settecento
Voltaire esaltava questo modello
in contrapposizione a quello francese, basato sulla monarchia
assoluta. Solo da quel momento
essa iniziò a divenire un punto di
riferimento prima in Francia, poi
nel resto d’Europa. Quanto agli
USA, la loro costituzione permette una libertà di parola ancora
più ampia di quella che esiste nei
nostri paesi. Proprio per questi
profondi retroterra storici la vicenda di Assange è grottesca e
grottesca e getta pesanti interrogativi sull’onestà intellettuale del
mondo anglosassone.
Intendiamoci: anche il comportamento di Assange in teoria è sbagliato, visto che in Italia per anni si
è detto che ci si difende “nel” processo e non “dal” processo (in polemica con le leggi sulla Giustizia
volute da Berlusconi). Inoltre è
indubbio che la Svezia sia uno dei
paesi più corretti del mondo e che
proprio la Svezia ha detto che non
ha nessun accordo segreto per estradare Assange negli USA e quindi bisognerebbe crederle. Infine
bisognerebbe prendere con le dovute cautele tutte le informazioni
provenienti da Internet e tutte le
persone che usano questo strumento perché esso è un mondo
virtuale particolarmente soggetto
all’esagerazione quando non alla
mistificazione.
Rimane il fatto che la reazione furente degli USA alle rivelazioni di
Assange fa capire quanto egli abbia
divulgato segreti che per loro dovevano invece restare segreti e vogliano fargliela pagare. Conoscendo
la determinazione che caratterizza
gli Stati Uniti è fin troppo facile
prevedere che non si fermeranno
finché non avranno raggiunto il
loro obiettivo. Anche la volontà, poi
rientrata, della Gran Bretagna di
ritirare l’immunità diplomatica all’ambasciata dell’Ecuador fa capire
l’importanza della posta in palio,
ben superiore all’accusa di stupro
proveniente dalla Svezia ed alimenta le paure, o i pretesti, di Assange
per non consegnarsi alle autorità
svedesi. Proprio questi atteggiamenti suscitano gli interrogativi
ricordati in precedenza: dove è
finita la trasparenza dell’informazione e più in generale la trasparenza
in politica interna decantata dal
mondo anglosassone in Unione
Sovietica ai tempi di Gorbaciov col
nome di glasnost? Che fine ha fatto
il sogno wilsoniano di abolire la
diplomazia segreta ed introdurre
trasparenza anche nei rapporti internazionali? In base a quale principio gli USA, che si vantano del loro
giornalismo, considerato di fatto un
vero e proprio potere che deve
controllare e denunciare gli abusi
dell’Autorità, vogliono processare
chi fa altrettanto a livello internazionale? Oppure gli USA credono a
questi valori solo al loro interno,
La maschera tratta dal film - V per vendetta - icona della ribellione sociale
Woodrow Wilson
paesi? Se fosse così, però, come
potrebbero sostenere in modo credibile di voler esportare la democrazia e dimostrare che hanno torto
gli antiamericani che dicono che in
realtà gli Stati Uniti vogliono soltanto espandere la loro zona di influenza?
Analoghi interrogativi nascono
spontanei osservando il comportamento della Gran Bretagna: perché
la culla della democrazia e della
libertà di pensiero, nota dall’Ottocento per aver dato ospitalità a
perseguitati politici di ben più ampio spessore, ora si accanisce così
tanto contro Assange? Perché segue gli USA in una questione destinata non solo a non portarle alcun
vantaggio, ma che le costa moltissime sterline e ne mette in risalto
la subordinazione ai “cugini d’oltreoceano” anziché difendere la libertà di parola di Assange e con essa
la sua sovranità nazionale? Certo, il
fatto di vantarsi di avere con gli
USA “relazioni speciali” e l’eterna
riconoscenza dovuta loro per averle
fatto vincere le due guerre mondiali
possono spiegare l’attuale comportamento della Gran Bretagna. Non
bisogna dimenticare però che in
occasione della guerra contro
Gheddafi l’attuale governo, d’accordo con Sarkozy, si era mosso in
totale autonomia nei confronti degli
USA spingendo anzi questi ultimi a
seguire la propria iniziativa; gli interrogativi ricordati poco fa rimangono quindi senza una vera risposta convincente. Quello che è certo
è che la vicenda di Assange mette
in pessima luce il mondo anglosassone e stupisce come quest’ultimo non lo capisca. Infatti
essa fa emergere un “teatrino
della politica” nel quale ognuna
delle parti in causa sbandiera
principi teorici di fatto calpestati
a proprio comodo, dando vita ad
un mondo da “Alice nel paese
delle meraviglie”, cioè completamente opposto rispetto a quella
che normalmente è la realtà.
Va sottolineato infatti che gli Stati che sostengono Assange, come
Ecuador e Russia di solito non
brillano per libertà di stampa al
loro interno ma in questo caso si
comportano in modo garantista.
In realtà la loro scelta è dettata
innanzitutto dal nazionalismo
legato a ragioni di consenso interno, ma è innegabile che comunque facciano la parte dei
“buoni” che difendono un perseguitato politico. Ciò è vero in particolare per l’Ecuador per due motivi;
innanzitutto ha dato protezione
diplomatica e quindi si è esposto in
prima persona, inoltre evidenzia la
sindrome di “Davide contro Golia”;
peraltro risalta ancora di più la sua
azione, laddove paesi ben più importanti non hanno fatto nulla in
difesa di Assange.
Viceversa Regno Unito ed USA,
nazioni dove lo Stato di diritto è
una realtà consolidata, per ora escono malissimo da questo pasticcio diplomatico; infatti esso permette di accusarli di falsità perché
nella realtà non rispettano la libertà
di espressione tanto sbandierata a
parole. Inoltre il fatto che loro,
grandi potenze mondiali, non mollino la presa sull’Ecuador, paese piccolo e povero, aggrava la loro posizione perché li rende accusabili
anche di arroganza internazionale e
di imperialismo; in una parola tutta
questa situazione sembra fatta apposta per confermare i peggiori
pregiudizi su di loro. In realtà a
“metterci la faccia” è la Gran Bretagna, ma è evidente che essa è “il
braccio” che si muove in sintonia
con gli USA, vera mente ispiratrice
della caccia ad Assange e quindi
questi ultimi hanno quantomeno le
stesse responsabilità del Regno
Unito. Questa vicenda fa inoltre
emergere molto bene il doppio sistema di giudizio di opinione pubblica, intellettuali e cantanti nei
nostri paesi: mentre il sostegno alle
Pussy Ryot è stato totale, non si è
levata nessuna voce paragonabile
in difesa di Assange. Ciò si spiega
col fatto che gran parte di queste
persone provengono da Gran Bretagna ed Usa, quindi tendono ad
essere molto critiche solo con le
altre nazioni, ma altrettanto indulgenti con le loro. I paesi anglosassoni sono considerati un modello
da imitare anche da molti europei,
che di conseguenza sono portati a
solidarizzare di meno con Assange
rispetto alle Pussy Ryot, percepite
come ragazze condannate da un
potere ingiusto e spesso corrotto.
Questa idealizzazione del mondo
anglosassone risale al Settecento
con Voltaire e continua nell’Ottocento con politici europei ed italiani
come Filippo d’Orleans e Cavour,
ma diventa ancora più diffusa dopo
la Seconda Guerra Mondiale con la
“Guerra Fredda”. Per diversi decenni infatti Britannici ed Americani
riescono con il “soft power” ad
“entrare nei cuori e nelle teste”
degli Europei divenendo il simbolo
stesso del Bene in lotta contro le
te ne bre so v ie ti c he . Q ue sta
“operazione d’immagine” ha successo in parte sfruttando la secolare simpatia europea verso il mondo
anglosassone e viceversa l’altrettanto atavica diffidenza di molti
europei verso la Russia, in parte
insistendo su contrapposizioni ideologiche tipiche di quel periodo e fa
sentire i suoi effetti ancora ai nostri
giorni. Infatti molti europei oggi
adulti sono cresciuti assorbendo da
bambini il clima culturale appena
descritto evidenziando molto bene
il doppio sistema di giudizio. Proprio l’abilità e la lungimiranza dimostrate in passato rendono viceversa
incomprensibile l’incapacità di USA
e Gran Bretagna di capire i “danni
d’immagine” a lungo termine causati loro dall’incaponirsi contro Assange. Purtroppo per ora la situazione è in stallo e si può solo sperare che gli USA rinuncino al desiderio di voler processare Assange e
contribuiscano in tal modo a normalizzare la situazione. In caso
contrario avranno molti più problemi a presentarsi come i difensori
della libertà di pensiero, a basare
su questo la loro egemonia gettando invece le basi del loro discredito, facilitando l’avvento di potenze
con una “narrazione” più coerente
e quindi più convincente.
53
Vince l’Europa
Riccardo Manzoni
mb 339.1002650
mail: [email protected]
54
Giovanni Calvino
I FATTI
Le elezioni olandesi sono state inequivocabili: i partiti favorevoli all’Unione Europea hanno vinto, quelli
contrari hanno perso, malgrado i
sondaggi facessero pensare ad esiti
ben diversi. Questa differenza tra
intenzioni di voto e risultati finali
non è nuova e si è verificata spesso
anche in Italia, come per esempio
nel 2006. In quell’occasione Berlusconi sembrava destinato ad una
sconfitta clamorosa, mentre perse
per appena 24.000 voti e riuscì a
fare cadere il secondo governo Prodi dopo poco più di due anni, anche per le divisioni che minavano
dall’interno una maggioranza esigua e fragile. Sia questi precedenti
italiani sia le ultime elezioni olandesi pongono un interrogativo che si
ripresenta ogni volta che si verificano situazioni simili: perché i politici
continuano ad usare uno strumento che già in passato si é dimostrato così inaffidabile?
La risposta è alquanto semplice:
essi hanno bisogno di capire la popolarità delle loro proposte, oltre
che quella personale, e considerano i sondaggi il mezzo più veloce e
semplice per arrivare al risultato
che si propongono. Dopotutto questo sistema funziona molto bene in
tutti gli altri ambiti, perché proprio
in politica dà risultati così deludenti? La risposta a questo interrogativo è più complessa perché ha a
che fare con la natura umana.
Essa è composta sia da una
parte razionale sia da una
irrazionale e ciò ha conseguenze non solo nella vita
quotidiana, ma anche in ambito politico. Infatti questo
significa che le persone intervistate rispondono al sondaggio in base al proprio
stato d’animo, spesso molto
critico verso l’esistente.
Quando devono votare davvero, però, prevale spesso la
paura verso il nuovo tante
volte invocato a parole e di
conseguenza preferiscono
soluzioni già sperimentate.
Inoltre le elezioni sono condizionate dal passato storico
e culturale dei vari paesi che
porta a valutazioni molto
diverse sull’attuale politica economica, come é emerso molto bene
in Olanda.
LE CAUSE
Questo paese ha preferito dare
fiducia ai partiti favorevoli all’Unione Europea sia per la sua anima
profonda sia per i limiti oggettivi di
quelli ostili all’UE.
Esso ha sempre basato la sua forza
sul commercio navale e questo ha
influito notevolmente sulla sua identità, molto più simile all’Inghilterra che al resto d’Europa sia a
livello di modelli politici sia di mentalità più generale. Non a caso Olanda ed Inghilterra sono stati per
molto tempo gli unici Stati liberali,
mentre quasi tutti gli altri erano, o
si avviavano a diventare, monarchie assolute. Inoltre Olandesi ed
Inglesi sono popoli molto concreti,
pragmatici e lontani da ogni estremismo ideologico. Allo stesso tempo l’Olanda è calvinista e ciò porta
anche i partiti di sinistra ad un rigore morale di tipo americano impensabile negli altri paesi europei. Un
esempio è l’aiuto ai disoccupati:
negli USA Bill Clinton aveva varato
un provvedimento molto simile a
quello adottato ai nostri giorni dai
socialisti ad Amsterdam. Esso prevede di concedere il sussidio di
disoccupazione solo a chi è veramente senza possibilità di trovare
un impiego; se invece il senza lavoro non si presenta al colloquio per
accettare l’occupazione trovatagli
dall’Amministrazione Pubblica, o la
rifiuta, perde il diritto al sussidio.
Questo sistema permette di aiutare
chi è veramente in difficoltà distinguendo i disoccupati autentici da
quelli finti che vogliono soltanto
vivere a spese della collettività.
Malgrado i suoi evidenti vantaggi,
esso si trova solo in Olanda e negli
Stati Uniti, mentre dovrebbe essere
adottato anche negli altri paesi europei, tantopiù in tempi come quelli
attuali, contrassegnati dalla necessità di tagliare sprechi e spese improduttive. Ciò si spiega con la netta differenza esistente tra il calvinismo, religione predominante in
Olanda e negli USA, e le altre confessioni religiose cristiane.
Il calvinismo nel bene e nel male è
una religione che esalta l’individua-
lismo, in quanto mette in primo
trodurne di nuove non è sbagliata
piano il comportamento e le capama è impraticabile per le attuali
cità del singolo. Esso abbina libertà
difficoltà economiche e rischia di
e responsabilità e ciò significa che
essere persino diseducativa. Infatti
ciascuno di noi si comporta nel moin questo modo si continuerebbe
do che ritiene migliore e ne paga le
con gli “aiuti a pioggia” senza diconseguenze, positive o negative
stinguere i veri bisognosi da quelli
che siano. In questo modo nessuno
finti, come invece avviene in Olanpuò accusare la società di essere
da e negli USA. Va detto per la veresponsabile per gli errori commesrità che l’aiuto dello Stato ancora
si, come invece avviene da noi sia
oggi distingue nettamente il modela ragione sia, spesso, a torto.
lo europeo da quello americano,
Le altre confessioni, invece, sia
tanto che recentemente è stato
pure con gradi diversi, sono comuproposto di considerare lo Stato
nitarie e quindi maggiormente porSociale patrimonio dell’identità eutate alla solidarietà verso i più deropea da riscoprire e valorizzare.
boli. Questo modo di pensare non
Da questo punto di vista l’Olanda
rimane limitato alla sfera religiosa,
ha il giusto equilibrio tra rigore e
ma influenza in generale tutta la
solidarietà e può essere considerasocietà sia a livello politico sia a
ta una felice sintesi tra USA ed
livello sociale.
Europa. Infatti se è vero che preNel primo caso ciò emerge molto
senta una mentalità riconducibile al
bene dalle ideologie che teorizzano
calvinismo, è altrettanto vero che
la subordinazione dell’individuo allo
nei mesi scorsi ha accentuato anStato. Esse sono nate e hanno avucora di più l’attenzione verso gli
to fortuna in ambito cattolico, ortoemarginati con provvedimenti condosso oppure nella variante tedecreti a favore dei senza fissa dimosca del luteranesimo, da sempre
ra. Ciò si spiega col fatto che tra
molto più gerarchica e
Olanda da un lato ed USA e Regno
“statolatrica” di quella affermatasi
Unito dall’altro esiste una fondain Scandinavia, mentre non a caso
mentale differenza geografica, che
sono sempre rimaste ininfluenti in
ha a sua volta importanti ripercusOlanda e negli Stati Uniti.
sioni sull’identità nazionale.
In campo sociale in Italia molte
Il mondo anglosassone è sempre
forze politiche e sindacali hanno
stato nettamente distinto dal contiuna visione “romantica” dei disocnente europeo e questo lo ha porcupati, considerati a priori “vittime
tato ad elaborare ideologie che
del Sistema” senza analizzare i mosottolineavano la sua diversità, cotivi reali che hanno determinato
me la Britishness in Gran Bretagna
questa situazione. Ciò ha portato in
e l’Eccezionalismo negli Stati Uniti.
passato a degenerazioni impensaIn tal modo sono sopravvissuti anbili in altri paesi, come ottenere la
cora oggi umori antieuropei che già
riassunzione di persone colte in
in passato avevano portato a creaflagranza di reato mentre rubavare una società basata su modelli
no, a danno dei disoccupati onesti
opposti a quelli dell’Europa contiche
avrebbero
Totale aiuti di Stato in UE in percentuale
potuto ottenere il
tanto
sospirato
posto di lavoro.
Queste forze a
maggior ragione
vogliono difendere
in modo acritico il
sistema esistente
e magari estendere ancora di più le
protezioni sociali,
per esempio introducendo un salario minimo per i
giovani. Di per sé
l’idea di mantenere le garanzie attuali e magari in-
nentale. Questa “psicologia profonda” è stata poi accentuata ulteriormente dal pananglismo. Esso è
un’ideologia che teorizza ed esalta
la solidarietà tra gli Anglosassoni,
e quindi ha contribuito a rafforzare
i legami transoceanici a scapito di
quelli con i paesi europei.
L’Olanda invece fa parte dell’Europa senza la minima ombra di dubbio e questo fa sì che non abbia
mai nutrito ostilità verso gli altri
paesi europei e che non siano mai
nate ideologie equivalenti a quelle
viste poco fa nel mondo anglosassone. Di conseguenza essa, pur
mantenendo la propria specificità,
ha adottato in modo del tutto naturale modelli già presenti nel resto
del Continente come lo Stato Sociale. Proprio le caratteristiche analizzate fino ad adesso spiegano il successo dei partiti favorevoli all’UE:
essi hanno affermato con grande
franchezza la necessità di proseguire la politica del rigore per rimanere nell’Unione Europea. In realtà in
passato gli Olandesi avevano bocciato in massa la Costituzione Europea, ma un conto è respingere un
singolo provvedimento, anche se
importantissimo, un altro è “saltare
il fosso” ed uscire dall’UE. Messi
davanti al bivio se mantenere l’Euro oppure tornare alla moneta nazionale, gli Olandesi hanno preferito di gran lunga la prima alternativa per l’europeismo e la concretezza che da sempre li contraddistinguono.
Questo “linguaggio della verità” del
resto aveva già avuto successo
mesi fa in Grecia portando alla vittoria “Nuova Democrazia”, partito
conservatore favorevole a mante-
del PIL, Industria e Servizi
55
nere gli impegni presi con l’UE. A
maggior ragione ha avuto notevoli
consensi in Olanda, paese calvinista e rigorista, dove il consenso per
la politica della Merkel è superiore
perfino a quello che si registra nella
stessa Germania. Inoltre essa non
suscita ostilità perché gli Olandesi
hanno due vantaggi rispetto agli
altri paesi impegnati nella politica
di austerità, avere una situazione
economica migliore ed essere un
popolo germanico. Il primo fa sì
che i sacrifici per quanto duri siano
tutto sommato limitati e non abbiano effetti troppo gravi sulla popolazione. Il secondo porta la Merkel,
paladina della politica del rigore, a
trattarli con maggiore rispetto evitando frasi come “fare i compiti a
casa” riservate ad Italia, Spagna e
Grecia. Questo diverso atteggiamento ottiene il risultato di rendere
minoritari i sentimenti antitedeschi,
il che dovrebbe spingere la Merkel
ad adottare lo stesso approccio
anche con gli altri popoli. Inoltre è
innegabile che una decisione drastica come quella di uscire dall’Unione Europea, già problematica
per nazioni fondamentali come
Francia, Germania ed Italia, è del
tutto impensabile per un paese
piccolo, anche se molto sviluppato,
come l’Olanda.
La sconfitta dei partiti antieuropei,
però, non si spiega solo col fatto
che le elezioni erano diventate un
referendum sulla permanenza o
meno nell’Unione Europea ma ha
radici più profonde che riguardano
la loro stessa natura.
Essi si rifanno al populismo, spesso
confuso a torto con l’estrema destra. Infatti quest’ultima, come peraltro anche l’estrema sinistra, ha
una ideologia ben precisa che permette di affrontare tutti gli aspetti
politici, economici e sociali. Di con-
56
seguenza estrema destra ed estrema sinistra in passato si sono presentate come vere e proprie nuove
religioni e volevano mobilitare il
popolo suscitando in esso una fede
incondizionata. Questo aspetto fondamentale è stato analizzato molto
bene da famosi intellettuali, storici
e giornalisti italiani e stranieri, che
operano una netta distinzione tra
totalitarismo ed autoritarismo. Nel
primo rientrano estrema destra ed
estrema sinistra per i motivi visti in
precedenza, nel secondo le dittature militari tradizionali che basano il
proprio potere sulla passività dei
cittadini, chiamati all’obbedienza
senza partecipare alla vita politica.
Inoltre il fatto che estrema destra
ed estrema sinistra abbiano una
visione del mondo molto articolata
le rende ancora oggi pericolose.
Non a caso il Sistema fa di tutto
per marginalizzarle perché si rende
conto che sono pericolose per la
sua stessa esistenza.
Il populismo presenta alcuni aspetti
comuni con l’estrema destra, come
la lotta all’immigrazione ed all’Unione Europea, e per questo motivo
viene usato con significato negativo
e combattuto, ma in realtà è molto
diverso. Infatti, è un’ideologia generica che esalta il popolo in contrapposizione alle classi dirigenti
senza avere una visione organica in
grado di risolvere i problemi. L’intellettuale Marco Tarchi in una sua
conferenza ha fatto notare a questo proposito che la sua vaghezza
si mostra pienamente proprio
quando si cerca di darne una definizione esatta.
Io stesso posso garantire che
quanto detto da Tarchi è giustissimo in base ad un’esperienza empirica compiuta in passato. Infatti per
curiosità ho cercato su più dizionari
il significato di questo termine e le
definizioni sono state
sempre diverse tra loro.
La caratteristica appena
descritta all’inizio può
peraltro essere un punto
di forza per due motivi.
Innanzitutto permette al
populismo di essere di
destra, di sinistra o non
riconducibile a nessuno
schema a seconda delle
circostanze. Inoltre lo
rende poco pericoloso a
livello ideologico e quindi in alcuni paesi viene
Geert Wilders
considerato una forza con la quale
allearsi per governare. In seguito
però diventa una debolezza molto
grave. Infatti quando partiti populistici vincono le elezioni finiscono
sempre per deludere le aspettative
e quindi alla fine perdono consensi.
Questo aspetto è stato colto molto
bene in passato da un osservatore
politico che proponeva una soluzione paradossale, opposta a quella
adottata comunemente, per combattere i populisti. Infatti affermava
che bisognerebbe permettere a
questi ultimi di arrivare al potere
perché così emergerebbe la loro
inconsistenza e di conseguenza
non avrebbero più alcuna credibilità.
CONFRONTO OLANDA ALTRI PAESI
Quanto detto fino adesso, infatti,
non spiega solo la sconfitta del Partito della Libertà di Wilders in Olanda, ma anche il netto calo di consensi per Lega Nord e PDL in Italia.
In realtà da noi la situazione è più
complessa per gli scandali che hanno colpito questi due partiti, ma
certamente l’incapacità di proporre
soluzioni per uscire dalla crisi economica ha giocato un ruolo importante. Infatti i populisti in tutti i
paesi mostrano notevoli limiti in
economia, argomento oggi sentito
come prioritario dai cittadini, e ciò
li condanna alla sconfitta. Questo è
dovuto al fatto che sia Wilders sia
Lega Nord e PDL si ispirano al liberismo, teoria economica che si sviluppa spesso nelle zone più avanzate e dinamiche. Da questo punto
di vista sono in linea con la propria
storia perché sia l’Olanda sia la
Lombardia già in passato esaltavano questa ideologia.
Intendiamoci: io stesso sono in
parte liberista, in quanto sono convinto che bisogna incentivare le
capacità individuali abolendo tutte
le tasse ed i vincoli burocratici che
oggi ostacolano lo sviluppo economico. Inoltre attuerei agevolazioni
fiscali per incoraggiare le imprese a
rimanere in Italia e magari farne
venire di nuove. Allo stesso tempo,
però, sono altrettanto convinto che
lo Stato ha il diritto, per non dire il
dovere, di intervenire in prima persona per difendere l’economia nazionale e per correggere lacune e
storture esistenti.
I populisti, invece, spesso sono
nettamente contrari ad interventi
diretti dello Stato in economia.
Questo modo di ragionare innesca
un cortocircuito che li rende impotenti davanti all’attuale crisi. Infatti
come possono risolverla basandosi
sul liberismo quando molti, sia di
destra sia di sinistra, affermano
che essa è frutto proprio dell’eccessivo liberismo e che i governi devono stabilire nuove regole in grado
di riportare l’economia sotto controllo? E’ evidente che non possono
e quindi Wilders, Lega Nord e PDL
rimangono senza soluzioni. Da questo punto di vista è interessante
confrontare le elezioni olandesi con
quelle francesi di qualche mese fa,
in quanto gli esiti sono stati opposti
e paradossali per il diverso sistema
elettorale. Infatti in Olanda vige il
proporzionale e così Wilders, populista di destra, anche se è stato
superato dal populista di sinistra,
ha ancora più di una decina di deputati. In Francia, dove viceversa
esiste il maggioritario, Marine Le
Pen, estrema destra, non solo ha
avuto consensi maggiori di Melanchon, estrema sinistra, ma ha reso
il suo partito ancora più forte di
prima. Nonostante questi successi,
il sistema elettorale penalizza notevolmente il Front National, che oggi
ha pochissimi rappresentanti in
Parlamento e per molto tempo non
ne ha avuto nessuno. Il netto calo
di Wilders da un lato e l’ulteriore
avanzata di Le Pen dall’altro si
spiegano proprio con le profonde
differenze tra Partito della Libertà e
Front National.
Il primo è una formazione politica
recente che ha sempre basato gran
parte della sua attività sulla lotta
all’immigrazione, soprattutto islamica, in nome della sicurezza e
della difesa dell’identità olandese.
L’approccio appena descritto gli ha
garantito molti consensi quando
l’opinione pubblica considerava
questo problema prioritario, anche
per reazione all’omicidio del regista
Theo Van Gogh e più in generale
agli attentati compiuti dagli estremisti islamici. Non a caso negli
stessi anni la Lega Nord, movimento che conduce le stesse battaglie,
attirava su di sé voti di chi non era
mai stato leghista, come è emerso
molto bene studiando i flussi elettorali. Essi dimostravano come la
Lega Nord “pescava” da un lato tra
elettori di destra che non avevano
accettato la fusione tra Alleanza
Nazionale e Forza Italia, dall’altro
tra elettori di sinistra delusi che
vedevano nella Lega Nord un movimento concreto e pulito. In entrambi i casi sia il Partito della Libertà sia la Lega Nord erano diventati forze di primo piano in grado di
condizionare la politica dei rispettivi
paesi tenendo in vita o facendo
cadere il governo e sembravano
destinati ad ottenere sempre nuovi
successi. Non appena però la situazione è mutata e l’economia, non
più l’immigrazione, è diventata l’argomento principale, il Partito della
Libertà e la Lega Nord sono apparsi
improvvisamente qualcosa di superato, incapace di rispondere ai nuovi problemi. Questo spiega perché
in Olanda Wilders è stato superato
dal populista di sinistra, che invece
dava molta importanza ai problemi
economici e sociali e quindi era
considerato più adatto per risolvere
le sfide dei nostri giorni. Inoltre
proprio il fatto di aver avuto un
notevole peso politico in passato
impedisce ora a Wilders ed alla
Lega Nord di presentarsi in modo
credibile come il nuovo che sa affrontare al meglio le esigenze della
nostra epoca.
Il Front National, invece, pur condividendo con il Partito della Libertà
elementi importanti come la lotta
all’immigrazione ed
all’Unione Europea
tanto da voler tornare alle rispettive
monete nazionali,
presenta
anche
significative differenze. Infatti non
solo è presente
sulla scena politica
da alcuni decenni,
ma è anche erede
di diverse tradizioni culturali: quella
cattolica tradizionalistica, quella più
propriamente nazionalistica e quella
più legata all’ideologia fascista. Questo spiega perché il
Front National abbia da sempre anche una spiccata
anima sociale, tanto che già Jean
Marie Le Pen ( suo
fondatore e capo
storico) diceva con
orgoglio: “Siamo il secondo partito
operaio di Francia”. Essa é molto
viva ancora oggi e spiega perché il
Front National continua a ricevere
notevoli consensi provenienti dagli
operai e dalle zone colpite dalla
deindustrializzazione, oltre che da
chi vuole una Francia “francese”,
sicura e pienamente sovrana fuori
dall’UE e dalla NATO. Inoltre il
Front National è sempre stato tenuto ai margini della vita politica e
ciò in realtà lo rafforza perché lo fa
percepire come vera forza antisistema. In tal modo questo partito
gode di una “eterna giovinezza politica” e può mantenere intatta la
propria immagine davanti all’elettorato, a differenza di Hollande in
Francia e dei Fratelli Musulmani in
Egitto.
Se è vero infatti che Wilders, Lega
Nord e PDL hanno registrato un
notevole calo di consensi dopo anni
di governo diretto od indiretto, è
anche vero che sembra esistere
una vera e propria “maledizione del
potere” che non risparmia nemmeno persone e forze al governo solo
da qualche mese come quelle ricordate sopra. Tra i due casi vi è però
una differenza importante che sta
alla base del disincanto appena
descritto.
Wilders, Lega Nord e PDL hanno
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avuto ampia possibilità di incidere
sui destini del proprio paese e hanno deluso gli elettori per i loro limiti
visti in precedenza.
Hollande ed i Fratelli Musulmani,
invece, sono al potere da poco
tempo e non hanno potuto ancora
lasciare un segno della loro attività.
Il disamore nei loro confronti ha
quindi radici più complesse che
hanno a che fare con la natura
stessa della società. Essa in Occidente è particolarmente frenetica e
questa caratteristica sta influenzando anche le nazioni islamiche più
avanzate come l’Egitto. Ciò significa che i cittadini si aspettano dai
politici risposte in tempi rapidissimi
senza rendersi conto che le cariche
sono in genere quinquennali perché i problemi da affrontare richiedono anni per essere risolti. Solo
alla fine del mandato i cittadini
hanno il diritto di valutare l’operato
dei governanti e decidere se punirli
o premiarli. Pretendere di attuare
questo giudizio dopo pochi mesi o
comunque “in corso d’opera” invece non solo è inutile, ma permette
ai politici di affermare di non avere
avuto ancora abbastanza tempo
per mantenere le promesse fatte.
Infine le elezioni olandesi e la sentenza tedesca favorevole al Fondo
Salva-Stati non sono state solo due
vittorie di chi vuole un’Europa sempre più unita, ma hanno evidenziato una situazione politica per certi
versi simile, per altri opposta. Infatti sia in Germania sia in Olanda i
partiti dichiaratamente contrari all’Unione Europea o arretrano o non
decollano, ma i motivi sono molto
diversi.
In Germania ciò è dovuto sia alla
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sua storia passata sia alla situazione presente. Da un lato l’esperienza del nazismo impedisce di votare
forze che si richiamano a quell’esperienza, dall’altro l’insuccesso del
Partito della Ragione dimostra che
non ci sono persone carismatiche
in grado di coagulare consenso
creando nuovi partiti euroscettici.
Inoltre già nell’attuale maggioranza
ci sono deputati che si fanno portavoce delle critiche al rafforzamento
dell’Unione Europea, come si è visto bene proprio in occasione dei
ricorsi presentati alla Corte di Karlsruhe. Una situazione simile, peraltro, si era già presentata nei decenni scorsi a proposito dei milioni
di profughi tedeschi dell’Europa
Orientale cacciati dalle loro abitazioni dopo la fine della Seconda
Guerra Mondiale. Anche in quel
caso la CDU, partito centrista e
colonna portante del sistema politico, aveva depotenziato l’estrema
destra prestando molta attenzione
a questo problema con un atteggiamento ben diverso da quello
tenuto dalla DC nei confronti dei
profughi italiani dell’Istria e della
Dalmazia. Quanto detto non significa però che in Germania il sentimento antieuropeo sia assente,
come emerso nei giorni precedenti
alla sentenza, quando moltissimi
cittadini manifestavano contro il
Fondo Salva-Stati. Va detto che i
Tedeschi hanno ragione nel protestare contro gli aiuti agli altri paesi, ma alla base di tutto esiste una
doppia interpretazione sul significato da dare alla politica del rigore.
Infatti la Merkel da un lato vorrebbe aiutare il meno possibile gli Stati
in difficoltà, dall’altro sarebbe favo-
revole a continuare a concedere
prestiti legati a pesanti condizioni
in modo da accentuare l’egemonia
della Germania in Europa. Questo
piano però non viene spiegato
chiaramente e ciò impedisce la nascita di un dibattito capace di approvare o rifiutare in modo consapevole la politica adottata fino ad
adesso. Inoltre la mancanza di
chiarezza alimenta frustrazione non
solo nei paesi che ricevono aiuti ma
che in cambio devono attuare drastici tagli di spesa e consistenti aumenti di tasse, ma anche negli
stessi Tedeschi che vedono i loro
soldi finire in nazioni considerate
inaffidabili per la loro mentalità,
prima ancora che per scelte politiche.
In Olanda invece non ci si vergogna del proprio passato ed esistono
ben due partiti populistici antieuropei con capi carismatici, ma gli Olandesi per i motivi visti in precedenza rimangono favorevoli all’Unione Europea.
In realtà molti olandesi sono contrari ad aiutare popoli europei tanto
diversi da loro, ma In Olanda questo sentimento porta ad esiti opposti a quelli visti in Germania. Infatti
se è vero che in entrambi questi
paesi rafforza la volontà di continuare la politica del rigore è anche
vero che in Olanda finisce per premiare le forze europeiste, considerate le migliori paladine di essa. Ciò
è facilitato ulteriormente dal fatto
che l’entità della spesa sostenuta
per aiutare i paesi in difficoltà non
è uguale per tutti, in quanto anche
i più accaniti critici della Germania
concordano sul fatto che quest’ultima fornisce un sostegno finanziario
decisamente superiore agli altri
Stati.
Questo disequilibrio porta gli Olandesi a tollerare con maggiore facilità la politica dei salvataggi rispetto
ai Tedeschi, colpiti pesantemente
in prima persona.
Si può quindi concludere affermando che in Olanda esiste una situazione speculare ed opposta rispetto
alla Germania. Infatti in quest’ultima esistono diffusi umori antieuropei che però non trovano adeguata
rappresentanza politica.
In Olanda invece esistono partiti
contrari all’Unione Europea ma gli
Olandesi preferiscono affidarsi a
coloro che vogliono difendere una
politica favorevole all’UE.
I principali contenuti dell'ultimo Rapporto
annuale della Banca d'Italia sull'economia
del Piemonte
Tratto da politiche Piemonte
edito dall’Ires Piemonte.
A cura di Roberto Cullino,
Banca d’Italia – Sede di Torino.
Introduzione
L'articolo espone i principali contenuti dell'ultimo Rapporto annuale
della Banca d'Italia sull'economia
del Piemonte, che contiene, oltre
alla consueta analisi della congiuntura economica, approfondimenti
sugli effetti della crisi sulle imprese
e sulle famiglie piemontesi.
E' diviso pertanto in due parti: la
prima evidenzia una congiuntura
economica che è tornata a peggiorare concentrandosi sulle determinanti che hanno causato questo
arretramento; la seconda mostra le
ripercussioni che la crisi scoppiata
nel 2008 ha sulle famiglie, soprattutto in relazione al processo di
accumulazione della ricchezza
(divenuto negativo nel 2010) e dell'indebitamento che, pur essendo
cresciuto negli ultimi anni, rimane
relativamente basso nel confronto
nazionale.
Il quadro macro economico.
A partire dall'estate del 2011 la
congiuntura economica in Piemonte
è tornata a peggiorare, ponendo
fine alla fase di ripresa che si era
avviata nella seconda metà del 2009. Vi hanno influito il rallentamento dell'economia mondiale e le turbolenze finanziarie connesse alle
tensioni sul debito sovrano nell'area dell'euro. Nel complesso del 2011, in base alle stime di Prometeia, il
PIL del Piemonte è cresciuto dello
0,7 per cento, in netto rallentamento rispetto all'anno precedente
(2,0 per cento). La decelerazione
dell'attività è stata particolarmente
marcata nell'industria, ma ha interessato anche i servizi. È proseguita la fase di crisi nel settore delle costruzioni.
Nel mercato del credito
l'aggravarsi della crisi
finanziaria ha comportato dall'estate del 2011
accresciute difficoltà di
raccolta per le banche e
un irrigidimento delle
politiche di offerta del
credito, a cui si sono
associate una flessione
Logo della Banca d’Italia
della domanda di prestiti di imprese e famiglie e maggiori difficoltà di
rimborso dei finanziamenti da parte
della aziende. La dinamica del credito bancario si è nuovamente indebolita dall'autunno ed è divenuta
negativa nei primi tre mesi del 2012; i tassi di interesse hanno ripreso
a crescere, mentre la qualità del
credito è tornata a peggiorare dall'ultimo trimestre dello scorso anno.
In un contesto di incertezza eccezionalmente elevata sull'evoluzione
dell'economia, le aspettative a breve termine delle imprese rilevate
con l'indagine della Banca d'Italia
condotta nei mesi di marzo e aprile
2012 sono improntate al pessimismo per quanto riguarda la domanda interna, mentre previsioni migliori riguardano gli ordini esteri.
La dinamica economica recente del
Piemonte è stata confrontata con
quella di un gruppo di regioni europee che nel 2007 – l'anno precedente lo scoppio della crisi internazionale presentavano caratteristiche strutturali simili. La nostra regione si è caratterizzata per un
recupero più lento sia del prodotto
totale sia di quello pro capite. Anche la ripresa delle esportazioni, da
cui è provenuto il principale impulso espansivo nell'ultimo biennio, è
stata inferiore alla media del gruppo di regioni di confronto e del
commercio mondiale, a causa di
una crescita dell'export minore di
quella della domanda estera delle
principali aree di sbocco e dei comparti merceologici più dinamici e di
un orientamento ancora contenuto
verso i mercati emergenti.
Tra i fattori che possono contribuire alla competitività di una regione
vi è la dotazione di capitale umano.
Nel Rapporto sull'economia del Piemonte dell'anno scorso erano stati
evidenziati ritardi nel confronto
europeo a metà anni degli anni
2000. Tra il 2004 e il 2010 il livello
di istruzione è migliorato in Piemonte, ma permane un gap negativo nel numero di diplomati rispetto
alla media delle regioni italiane del
59
Nord Ovest e nel numero di laureati (rispetto sia alla macro area di
riferimento sia alla media italiana).
L'apprendimento degli studenti piemontesi, in base alle indagini Invalsi e OCSE-PISA, è superiore alla
media del Paese, ma inferiore a
quello del Nord Ovest e i divari sono maggiori per i gradi di istruzione
più elevati. Al termine del percorso
scolastico risulta overeducated,
cioè addetto ad attività che richiedono competenze inferiori a quelle
acquisite mediante il percorso di
studi, circa un sesto dei giovani
diplomati della regione (più che nel
Nord Ovest e in Italia) e un quarto
dei giovani laureati (come nella
macro area; poco meno che in Italia).
Le imprese. Il nuovo peggioramento della congiuntura dall'estate 2011 ha colpito le imprese piemontesi
in una situazione finanziaria resa
fragile dal prolungato periodo di
debolezza economica. Nostre analisi sui bilanci delle imprese sempre
presenti in Centrale dei bilanci dal
2005 mostrano che nel 2010
in base alle indagini della Banca
d'Italia, la crescita del fatturato si è
nettamente ridimensionata nell'industria ed è stata negativa nel
commercio; la quota di aziende
industriali e di servizi in utile è calata. I finanziamenti bancari alle
imprese sono tornati a ridursi dall'autunno del 2011. Alla contrazione dei prestiti, che interessa tutte
le classi dimensionali di impresa,
hanno contribuito l'indebolimento
della domanda, dovuto all'evoluzione negativa della congiuntura, e il
peggioramento delle condizioni di
accesso al credito. Analisi condotte
su un campione di circa 15 mila
imprese piemontesi mostrano come
il calo del credito e l'incremento
dello spread sui tassi di interesse
siano stati di entità differente tra le
classi di rischio delle imprese e tra
le tipologie di banche, ma comunque abbastanza diffusi (fig. 1). La
quota delle imprese che hanno segnalato nelle indagini della Banca
d'Italia un peggioramento nelle
condizioni di accesso al credito nel
2011 è aumentata; tali imprese
mentre l'incidenza delle partite deteriorate è rimasta stabile su valori
superiori a quelli precedenti la crisi
del 2008-09.
Le famiglie.
In base alle stime preliminari disponibili, i consumi delle famiglie piemontesi nel 2011 hanno ristagnato,
dopo la lieve ripresa registrata nell'anno precedente. Sulla dinamica
dello scorso anno hanno influito
l'andamento negativo del reddito
disponibile, calato in termini reali
per il secondo anno consecutivo, e
le incerte prospettive del mercato
del lavoro, le cui condizioni sono
tornate a peggiorare nei primi mesi
del 2012. La crisi scoppiata nel 2008 ha inciso sulla spesa media delle
famiglie piemontesi, calata tra il
2007 e il 2010 di oltre il 4 per cento in termini reali. La crisi ha rallentato inoltre il processo di accumulazione della ricchezza delle famiglie,
che è divenuto negativo nel 2010
(fig. 2). In particolare, essa ha impattato sulla componente finanziaria della ricchezza, scesa da un li-
Figura 1.
Fonte: elaborazioni su dati Centrale dei bilanci e Centrale dei rischi. Campione chiuso di imprese di cui si dispone
del bilancio sull'anno 2007 e poi presenti nelle segnalazioni della Centrale dei rischi tra il primo trimestre 2007 e
l'ultimo del 2011.
(1) Le imprese sono classificate sulla base dello score calcolato dalla Centrale dei bilanci sui dati di bilancio del 2007. Il criterio di classificazione adottato è il seguente: rischio basso, score 1,2,3,4; rischio medio, score 5 e 6; rischio
alto, score 7, 8 e 9.
(ultimo anno per il quale erano
disponibili i dati) solo il 35 per cento delle imprese aveva recuperato i
livelli di fatturato del 2007 e solo il
43 per cento era tornato ai livelli di
redditività (ROA) precedenti la crisi; il margine operativo lordo (in
rapporto all'attivo) era rimasto in
media inferiore ai valori del 2007 in
tutti i principali comparti.
Nel 2011 la situazione economica
delle imprese è tornata peggiorare:
60
erano caratterizzate nel 2010 da
una situazione economica e finanziaria meno solida, con un indebitamento più elevato in rapporto ai
mezzi propri e un maggiore peso
degli oneri finanziari sul MOL.
L'accresciuta fragilità finanziaria
delle imprese si è riflessa nelle difficoltà di rimborso dei debiti bancari: il flusso di nuove sofferenze in
rapporto ai prestiti è tornato a salire nel quarto trimestre del 2011,
vello pro capite di 85 mila euro nel
2006 a 80 mila nel 2010. Nel complesso, alla fine del 2010 la ricchezza accumulata dalle famiglie piemontesi (comprensiva anche della
componente reale, rappresentata
in larga prevalenza dalle abitazioni
di proprietà) era pari a 8,1 volte il
reddito disponibile, valore in linea
con la media nazionale ed elevato
nel confronto internazionale.
L'indebitamento delle famiglie pie-
Figura 2. Fonte: elaborazioni su dati Banca d'Italia, Istat, Agenzia del Territorio, Isvap, Covip, Inps e Lega delle
Cooperative.
(1) Calcolata utilizzando la popolazione residente a fine anno.
montesi, pur essendo cresciuto a
ritmi significativi negli
ultimi anni soprattutto
per l'espansione dei
mutui immobiliari, è
relativamente basso
nel confronto nazionale: nel 2011 esso era
pari al 49 per cento
del reddito disponibile
(53 nella media nazionale), dal 29 nel 2003
(fig. 3a). La crisi si è
riflessa in una minore
partecipazione
delle
famiglie al mercato
dei mutui: le nuove
erogazioni si sono
ridotte rispetto ai
massimi raggiunti nel
biennio 2006-07 (fig.
3b). Essa ha determinato inoltre un
cambiamento delle caratteristiche
dei nuovi mutui erogati.
In particolare, è aumentata la quota delle
erogazioni a tasso variabile e di quelle di
importo più elevato;
nel contempo si sono
ridotti i mutui alle persone con meno di 35
anni e agli stranieri,
riflettendo sia fattori di
domanda sia politiche
più selettive delle banche verso segmenti di
clientela
considerati
più rischiosi.
Il documento è consultabile all'indirizzo:
www.bancaditalia.it
Figura 3. Fonte: Banca d'Italia, Istat (pannello a), Rilevazioni sui tassi di interesse attivi e passivi (pannello b). (1)
Incidenza alla fine del periodo di riferimento di mutui per l'acquisto di abitazioni, prestiti finalizzati al credito al consumo e altri prestiti alle famiglie consumatrici sul reddito disponibile. La categoria "mutui" comprende anche altri
prestiti diversi dal credito al consumo, la cui incidenza sul debito delle famiglie consumatrici è tuttavia trascurabile.
I dati per il 2010 e il 2011 sono provvisori. – (2) I dati si riferiscono alle nuove erogazioni e alla residenza della controparte.
61
Le pagine di Gilberto
La mancanza di una
“Intelligentia” di destra
L’Italia è caratterizzata dalla mancanza, dalla completa assenza di
una “intelligentia” di destra. Il
mondo accademico è palesemente
schierato al centro sinistra, così
come la cosiddetta società civile
per non parlare di arti, musica e
spettacolo dove l’esponente di destra quando esiste è visto come un
corpo estraneo al pianeta di riferimento.
Non è quindi né superfluo né inutile domandarsi da cosa dipenda
questa assenza e, nel caso, provare a porre rimedi.
Disponiamo, è vero, di alcuni nomi
di spicco. Penso a Pierangelo Buttafuoco, a Marcello Veneziani, Nicola Porro e Mario Sechi , ma faccio fatica ad andare un po’ più in
là, a trovare altri nomi, altri volti.
La politica di destra è stata caratterizzata per decenni da negazioni.
No a questo, no a quello. No all’immigrazione, no alla droga, no alla
delinquenza, senza che alcuno i
questi argomenti fosse mai risolto,
anzi quelli che hanno potuto aggravarsi si sono aggravati senza che
neppure la destra, quando ne ha
avuto la possibilità, abbia saputo
trovare rimedi e soluzioni. La legge
Bossi Fini sull’immigrazione era
una vera schifezza. La situazione
carceraria urla vendetta al cielo.
Il narco traffico governa mezza
finanza speculativa. Altro che balle.
Una destra incapace di propositività. Una destra sempre affannata a
guardare nello specchietto retrovisore, ai fulgidi esempi di Almirante
o Mussolini, una destra brontolona
o peggio aggressiva come quei
62
o peggio aggressiva come quei
soggetti da bar che sono sempre
incazzati con tutti e con tutto. Pessima immagine. Una destra ancorata a Nietsche o Ezra Pound (nomi
che tutti sventolano ma che pochissimi hanno mai sfogliato). Una destra con poche idee, confuse e ancor meno progetti i cui soggetti
politici di riferimento sarebbero gli
ex “colonnelli” di Fini, divenuti i
portalettere di Berlusconi. Gesumaria, ma come si fa ? Come scrissi
nello scorso intervento pubblicato
da “Il Borghese” di Agosto/
Settembre la destra deve stabilire
chi rappresenta, di quali categorie
e istanze sociali è portavoce, che
modello economico desidera configurare e, partendo da quegli elementi, definire la propria cultura e i
propri rappresentanti culturali. Senza questo “esercizio di stile” parlare
di destra è superfluo.
Detti celebri sulle banche
Siccome qualcuno tra i miei migliori
amici continua a pensare che gli
italiani siano fessi e la BCE sia un
covo di geni benefici, mi
permetto trasmettere alcune frasi
celebri relative al sistema bancario
che, forse, esemplificano meglio di
quanto sappia fare io l'attuale
congiuntura continentale e nazionale.
Io credo che le istituzioni bancarie
siano più pericolose per le
nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti… Se il
popolo americano permetterà mai
alle banche private di controllare
l’emissione del denaro, dapprima
attraverso l’inflazione e poi con la
deflazione queste banche e le compagnie che nasceranno intorno
priveranno il popolo
di tutti i suoi beni,
finché i loro figli si
ritroveranno
senza
neanche una casa
sul continente che i
l o r o
p a d r i
hanno
conquistato
col sangue .
(Thomas
Jefferson, 1820!).
L’attuale creazione di
denaro dal nulla operata dal sistema ban-
rata dal sistema bancario è identica
alla creazione di moneta da parte
di
falsari.
La
sola
differenza è che sono diversi coloro
c he ne tra g go n o p ro f it to .
(Maurice Allais, premio Nobel
per l’economia).
La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo
Conferenze di Pace, in modo che
nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le
guerre devono essere dirette in
modo tale che le Nazioni, coinvolte
in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più
sotto il nostro potere. (Amschel
Mayer Rothschild, 1773)
I politici più potenti in assoluto non
sono nient’altro che i camerieri dei
banchieri. (Ezra Pound)
Che cos’è una rapina in banca a
confronto della fondazione di una
banca? (Bertolt Brecht)
Non è tollerabile che una banca
centrale, isolata e privata, che non
ha nessuna responsabilità né l’obbligo di spiegare quello che fa,
possa continuare a creare disoccupazione mentre i governi stanno
zitti. (Modigliani, premio Nobel
per l’Economia, su “Il Tempo”
del 22/10/2000).
La crisi economica attuale è stata
generata da un manipolo di pazzi
che si fanno chiamare “illuminati” .
Frase di G. Tremonti ad
“annozero” rai tre primavera
2009.
Beh veda Riotta, i problemi inerenti
alla crisi attuale sorgono quando
a fianco di una moneta buona con
reale copertura, nasce una moneta
cattiva parallela, privata e senza
copertura… Quando banche s.p.a.
diventano più grandi delle stesse
economie di uno stato, agiscono
più per i loro interessi, (...ossia di
chi?..), che per quelli dei cittadini.
Questo è un problema da tentare
di risolvere …
G.Tremonti nel 09/09, al TG 1
delle 20. Dare alle banche la possibilità di creare la moneta è come
darsi in schiavitù e pagarsela pure.
(Sir Josiah Stamp, governatore
della banca d’Inghilterra).
Bisogna capire che tutto il sapere
universitario e tutto il sistema
mantenere l’ignoranza pubblica del
sistema usurocratico e dei suoi
meccanismi. (1920 Ezra Pound).
È assurdo dire che il nostro paese
può emettere $30,000,000 in titoli
di stato, ma non $30,000,000 moneta.
Entrambe sono promesse di
pagamento; ma una promessa ingrassa l’usuraio che la presta
perpetuamente, l’altra invece aiuterebbe la collettività essendo
erogata dallo stato e quindi di proprietà del popolo. (Thomas Edison – New York Times, 1921
Monti: l’alta risorsa dei partiti
Da pagina 7
26, del sistema giudiziario ed è agli
ultimi posti per la capacità di risolvere controversie tra imprese.
Per i costi e i tempi di adempimento degli obblighi fiscali, occorre un
numero di ore quasi 5 volte superiore a quello del Lussemburgo.
Negli ultimi dieci anni, il tempo di
attesa per una sentenza di fallimento o di insolvenza è praticamente raddoppiato passando, da
uno a quasi due anni (quasi 5 volte
i tempi dell'Irlanda e il doppio del
Regno Unito).
Anche sul fronte dei servizi pubblici
ai cittadini l'Italia mostra risultati
tutt'altro che brillanti, in particolare
per la scarsa qualità ed efficienza
delle istituzioni e delle infrastrutture. Naturalmente sono solo rapide
pennellate di un quadro ben più
fosco. Sempre in tema di Caste,
vogliamo parlare dei sindacati.
Le tre confederazioni sono l'ottava
azienda privata italiana. Hanno un
apparato dove solo i dipendenti
diretti sono ventimila. E un fatturato da multinazionale, alimentato da
un sistema occulto di finanziamenti
statali per questo si sono sempre
rifiutati di rendere pubblici i loro
bilanci. 700 mila sono i delegati
sindacali in Italia. Sei volte più dei
carabinieri. Solo in permessi, che le
aziende sono tenute a concedere
loro, costano al sistema paese 154
milioni di euro all'anno. Una parte
la paga lo stato, che continua a
stipendiare i travet prestati a Cgil,
Cisl e Uil. Uno dei maggiori privilegi
dei sindacati italiani consiste nel
non dover pagare uno stipendio a
circa un dipendente su sette. Su un
organico di 20 mila tra alti dirigenti,
capetti e funzionari, infatti, Cgil,
Cisl e Uil nel biennio 2004-2005
hanno ricevuto in omaggio 2 mila e
584 impiegati pubblici.
Vogliamo accennare alla Istituzione
per eccellenza la Camera dei deputati? nel 2011 per il suo funzionamento ha speso 1,66 miliardi di €; i
parlamenti di Francia, Germania,
Spagna, Gran Bretagna messi insie-
me: 1,52 miliardi di €.
Rimandiamo alla lettura dei precedenti numeri di OP ogni approfondimento.
Come si fa allora a dire che Monti
ha lavorato bene?. Semplice basta
accettare il fatto che il suo intervento sia avvenuto a “sistema invariato”, senza cioè riformare strutturalmente il sistema.
Strutturale non è solo l’evasione
fiscale, strutturali sono le Caste, la
partitocrazia come degenerazione
della politica, gli sprechi della pubblica amministrazione e non ci riferiamo alla foglia di fico dei ticket
ridotti a 7 € e tanto altro ancora…
In pratica Monti gestisce la macelleria sociale e la politica mantiene i
suoi privilegi. L’ultima conquista di
questi privilegi? non assumersi
nemmeno l’onere per cui sono
(stra)pagati ed eletti: governare!
Basta mettere in campo una “alta
risorsa”. Una risorsa che comunque
ha la stessa capacità di chi l’ha
messa in campo; hai visto mai che
dalle quaglie nascesse un’aquila?
63
Matteo Renzi a Torino
Continua da pag 16
Tutti quelli che perdono hanno un
premio di consolazione. Amici miei
se perdo le primarie non faccio né
il ministro, né il sottosegretario, né
il parlamentare perché la nostra
non è una battaglia su una poltrona è una battaglia per le idee. Io
rimango dove sono se i fiorentini
mi tengono, ma non accetto si barattare per un posto la battaglia
che noi stiamo facendo. (Applausi)
vedo un grande entusiasmo all’idea
che si perda…
Ma c’è anche l’ipotesi che si vinca.
Quando ero presidente della Provincia e dissi che per me le province vanno abolite, raro caso di tacchino che vuole anticipare il natale,
suscitando una qualche forma di
complessa e discussa difficoltà all’interno dei miei colleghi, allora mi
candidai alla guida del comune di
Firenze e dissi, se vinco cambio
Firenze, se perdo cambio mestiere.
Nel caso di vittoria che cosa faremo? Faremo una cosa banale, faremo quello che abbiamo detto.
Dandoci questa regola del gioco,
da qui al 31 di ottobre chiuderemo
il lungo viaggio in Italia, lo consiglio in amicizia a Niki ed a Pierluigi,
ed anche agli altri candidati, ma
fate anche voi il giro di tutte le province se volete naturalmente, per
me è stato molto istruttivo e bello
passare da Bolzano a Matera da
Isernia alla Basilicata dal Salento
fino al Friuli Venezia Giulia dalla
provincia di Imperia fino a Reggio
Calabria. E’ stato bello ed è stato
molto istruttiva, in questo lungo
viaggio abbiamo capito
che c’è un Italia viva
che chiede spazio che
chiede di entrare, noi
proveremo nel mese di
novembre a organizzarci
perché logisticamente
possano entrare con le
nuove regole delle primarie e contemporaneamente si possa avere un
luogo fisico col quale
chiudere l’elaborazione
del programma. Il 1516-17 novembre, alla
stazione Leopolda ci
daremo appuntamento
per chiudere definitivamente tutto il lavoro che
64
i vari comitati stanno facendo sulla
base della nostra bozza di programma per cambiare e modificare; anche questa è partecipazione
partire del basso è partire dal confronto con le persone avendo naturalmente delle idee chiare da potere condividere. A quel punto ce la
giocheremo e ce la giocheremo
senza alcuna polemica e con molta
leggerezza. Ma io voglio finire qui
non chiedendovi semplicemente il
voto. In verità la cosa più bella l’abbiamo detto all’inizio, noi abbiamo con le primarie una grande occasione che è quella di riscoprirci
portatori sani di entusiasmo verso
la politica. E allora in questo mese
finale organizzatevi e incuriositevi,
appassionatevi e informatevi, mettetevi in gioco e provate a scandagliare le nostre proposte e le nostre
idee, cambiatele se volete, ma torniamo insieme a considerare la
nostra comunità come una comunità capace di speranza perché rende
vivo e bello il sorriso dei bambini.
Dico questa frase che non è mia, è
una frase del presidente degli Stati
Uniti Barack Obama del quale vorrei farvi vedere l’ultimo video:
Immaginate, immaginate per un
momento qui c’era una ragazzina
che stava appena iniziando ad esser consapevole della democrazia,
stava appena iniziando a capire di
dove dell’esser una cittadina, iniziava a mettere a fuoco il fatto che un
giorno anche lei avrebbe potuto
rivestire un ruolo importante per il
futuro della nazione. Era stata elet-
ta nel consiglio della sua scuola,
vedeva il fatto di mettersi al servizio del pubblico come una cosa
entusiasmante e incoraggiante, era
là per incontrare da sua deputata,
qualcuno di cui si fidava che poteva
essere un modello di riferimento,
vedeva tutto questo attraverso gli
occhi di una bambina immune al
cinismo e alle invettive che noi adulti diamo spesso per scontati.
Voglio mantenere in vita le sue
aspettative, voglio che la nostra
democrazia sia bella come Christina
l’aveva immaginata. Voglio che l’America si comporti bene come aveva immaginato lei. Tutti noi, tutti
dovremmo fare tutto ciò che è nelle nostre capacità per fare in modo
che questo Paese possa mantenere
in vita le aspettative dei nostri
bambini. Come è già stato detto
Christina era nata l’11 settembre
2012, uno dei 50 bambini nati in
quel giorno ritratti nel libro -Faces
of hope-. Accanto ad ogni foto in
quel libro c’erano alcuni simpatici
desideri di bambino. -Spero darai
una mano a chi ne ha bisognodiceva uno di questi, -Spero tu conosca tutte le parole dell’inno nazionale e spero tu le voglia cantare
con una mano sul cuore-, -Spero tu
possa saltare nelle pozzanghere- se
ci sono delle pozzanghere in paradiso spero che Christina ci possa
saltare dentro oggi. E qui su questa
Terra, qui sulla Terra, mettiamo le
nostre mani sui nostri cuori, e impegnamoci come americani a realizzare un Paese che sia sempre
degno della sua gentilezza e del suo spirito
felice.E su queste parole del
Presidente americano
OP si ferma nel suo
resoconto.
Per chi volesse vedere
il video del protagonista, può andare al suo
sito, con le inevitabili
differenze fra il più
impegnativo, ma riteniamo anche più proficuo leggere, rispetto
al più passivo e distraente guardare e sentire...
Barack Obama
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