Osservatorio Piemonte Op Sett. ottobre 2012 Periodico indipendente di politica e cultura Sommario Su questo numero: Arcipelago, Matteo Renzi, Cacciari e Ricolfi, Gabanelli e Conf-commercio, Manzoni (Riky), Ires Piemonte e Gilberto Un numero un po’ travagliato questo, doveva uscire a settembre ma una serie di impegni di alcuni redattori e il susseguirsi di eventi politici che “invecchiavano” da un giorno all’altro gli articoli ci hanno costretto ad accorpare con il numero di ottobre l’uscita di OP. Abbiamo cercato di proporre ai nostri lettori una serie di spunti di riflessione che reputiamo interessanti e originali. Dalle proposte politiche di Arcipelago un’associazione che vede fra i principali promotori a livello di Piemonte e Liguria Carlo Viscardi di Alessandria già dirigente della Margherita con cui da qualche tempo ci confrontiamo, e a livello nazionale i proff.ri Cacciari e Ricolfi. Abbiamo poi riportato in maniera pressoché integrale l’intervento di Matteo Renzi a Torino il 12 ottobre u.s. nell’ambito del tour per le primarie del Pd. Abbiamo dedicato anche la copertina all’outsider perché riteniamo sia fra i “nuovi” politici che, con gli inevitabili limiti, ha qualcosa di diverso, ed in parte anche originale, da raccontare agli italiani. Segue poi un articolo critico su una trasmissione della Gabanelli nella quale, riteniamo, un po’ superficialmente si propone l’abolizione del denaro cash a favore di quello elettronico, critica corroborata da una studio di Confcommercio. Una serie di brevi articoli sugli sprechi in Regione Piemonte proposti da tutti i sindacati presenti nell’ente seguito da un estratto del libro sull’altra casta, quella dei sindacati. Attraverso la seconda puntata dell’analisi storica del prof. Niall Ferguson vengono analizzati i motivi che hanno portato, in questo periodo storico, la cultura occidentale a diventare egemone nella civiltà contemporanea. Passiamo all’estero con il “nostro” prof. Manzoni insegnante di Lettere che ci propone due articoli intriganti: “libertà di parola o no? “ a partire dalle vicende di wikileaks e Assange in occidente e dalle Pussy Riot condannate in Russia per una manifestazione contro Putin in una chiesa. Poi un articolo sull’Europa che sta attraversando un periodo critico sotto il profilo economico conseguente o derivante dalle politiche economiche adottate. I contenuti dell’ultimo rapporto della banca d’Italia con particolare attenzione al “nostro” Piemonte, proposto dall’Ires Piemonte. Infine le pagine di Gilberto già prof. Universitario che ci propone fra le altre note anche una raccolta di detti celebri sulle banche. Buona lettura. Settembre - ottobre 2012 Osservatoriopiemonte Periodico indipendente di politica, cultura, storia. - Aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Sede legale 15020 Cantavenna di Gabiano (AL) - Stampato in proprio Editore: Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti: [email protected] cell. 335-7782879 Distribuzione gratuita. www.osservatoriopiemonte.it 2 Dalle isole alla nuova terra ...ricostituire una nuova terra dove diritto, politica, partecipazione, solidarietà, merito, amicizia, lealtà, rispetto, delle persone come delle leggi e del territorio, siano il pane quotidiano... Nelle pagine successive troverete un documento dell’associazione politico culturale Arcipelago. L’idea che muove l’associazione è quella di creare un network, o se preferite, una rete, fra le varie realtà locali che “fanno” politica sul territorio. Questa realtà è costituita da gruppi, associazioni o singole persone che simili a tante isole si sono staccate dal continente dove grandi partiti, parlamentari, gruppi di potere, lobbies, sempre più impegnati a difendere il particulare hanno da tempo dimenticato il pubblico interesse di tante persone che, per questo, hanno preso la via del mare. L’idea di connettere quelle isole che costituiscono ormai un arcipelago, magari andando anche a crearne dove non ce ne sono, ci sembra una buona idea. L’obiettivo è quello di ricostituire una nuova terra dove diritto, politica, partecipazione, solidarietà, merito, amicizia, lealtà, rispetto, delle persone come delle leggi siano il pane quotidiano. Dove il confronto, la ragione e il sentimento siano l’anima della politica; dove lo Stato torni ad essere un interlocutore per imprese, cittadini e non un soggetto sempre più dedito a perseguirle o perseguitarle attraverso una burocrazia sempre più incomprensibile e sempre meno utile ad aiutarle nei momenti critici. Un continente che torni ad essere la sicura terra dove fondare una società più giusta in cui comuni ideali concorrano a costruire condizioni di vita più serena per tutti. Un progetto certamente ambizioso, in una realtà che passa dalle urla di chi denuncia sempre, senza mai proporre soluzioni, alle silenziose intese di coloro che fanno mercimonio di diritto e principi. Per questo stiamo seguendo con un certo interesse l’iniziativa di Arcipelago, per vedere se ha la “stoffa” per diventare una affidabile alternativa allo statu quo che francamente non ci piace. Per riuscirci a nostro modesto parere, è necessario si attuino alcune condizioni per conseguire qualche risultato tangibile; di queste vogliamo far cenno. Pur riconoscendo la necessità per l’associazione ad avere suoi connotati politici comuni deve esser garantita la massima libertà di espressione alle “isole” Le isole non si devono “assimilare” ma “federare”. Sulla bandiera della federazione ci saranno i valori di riferimento, che sono quelli evidenziati ma ogni isola deve poter esprimere i propri. Così i gruppi che si battono per la difesa dell’ambiente, piuttosto che quelli che la valorizzazione del territorio, o intervengono nelle realtà sociali disagiate, quelli che tutelano le diverse categorie sociali, dovranno esser interlocutori ma dovranno poter continuare a fare il loro lavoro. Sembra ovvio ma non lo è. Far politica costa e se non si dispone di finanziamenti è difficile. Si pensi che la realtà politica oggi si sviluppa all’interno di due estremi, da una parte i partiti tradizionali con sedi, funzionari, finanziamenti pubblici e di lobbies più o meno interessate, dall’altra da movimenti “smaterializzati” dove la tecnologia telematica diventa l’unico o il principale strumento di confronto. Entrambe queste realtà hanno però un dato in comune che inevitabilmente ne mina le fondamenta: le decisioni sul cosa, come, dove, quando, intervenire nella politica sono gestite da ristretti gruppi di potere se non addirittura da singole persone. Possiamo chiamarle segreterie dei partiti, presidenti, coordinatori, leader, o non dare loro nemmeno un nome, ma la realtà che le accomuna è una concentrazione di potere, denaro e immagine (complici i media) che li rendono referenti di una fetta più o meno grande di elettorato. Chi vuol vivere dei liberi contributi dei cittadini deve fare inevitabilmente i conti con questa realtà. Chi vuole connetter le isole deve saper che le isole, se sono soggetti politici attivi, dedicano il loro tempo e le loro scarse risorse a iniziative sul territorio e nel sociale e difficil- 3 mente potranno sostenere organizzazioni o addirittura un partito tradizionalmente strutturato. Ciò che invece potranno fare è scambiarsi dei servizi, come? Da una parte si fornisce uno strumento di formazione, informazione, comunicazione, dibattito e partecipazione, allargamento del consenso fra le isole, queste da parte loro collaborano con interventi, proposte, critiche, informazione, promuovendo presso altri gruppi, conoscenti, amici, parenti, le nuove idee. Un semplice snello coordinamento che sappia relazionarsi con ciascuna isola e quando necessario possa fornire strumenti di crescita e relazione fra le stesse. Capiterà spesso che qualche “isola” sia in disaccordo con qualche altra, niente di male, ci sarà modo di confrontarsi; che ognuna continui a fare il proprio servizio pubblico su base volontaristica nel proprio ambito di intervento. Il coordinamento si faccia carico di proporre periodicamente momenti di confronto, dibattito, su temi specifici. Magari dopo un primo confronto sul blog, giornale o sito si potrà arrivare ad approvare una documento comune in un convegno o meeting dedicato. E’ evidente quindi che i coordinatori assumono un ruolo determinante. Qualora si ritenesse che Arcipelago debba entrare nelle istituzioni, se questa è la strda che si vuole percorrere, sarà bene aver chiarito per tempo aspetti importanti: primo fra tutti si corre da soli o si entra in coalizione con altri partiti? In quest’ultimo caso in quale coalizione? Ovvero con coalizioni che sostengono Monti o contrarie alle sue politiche? Quelli sopra accennati sono passaggi difficilmente eludibili se si vuol tentare di creare la nuova metaforica terra. Il rischio è quello di diventare le truppe per ufficiali e generali senza eserciti che una volta vinta la loro battaglia elettorale, rinuncino a continuare la titanica impresa puntando a ritornare al vecchio sicuro continente perpetuando proprio quel sistema che a noi non piace. Staremo a vedere. 4 “ASSOCIAZIONE ARCIPELAGO” MERCOLEDI’ 7 Novembre 2012 ore 17.30 GAM Galleria d’Arte Moderna Via Magenta 31 -- Torino FEDERALISMO. Una sfida perduta? Politica in Italia: vigilia di una nuova fase Massimo Cacciari e Luca Ricolfi Conduce Marco Castelnuovo (La Stampa) CHE FARE, QUI E ORA, CON URGENZA? Le istanze sociali, economiche, ambientali, morali e politiche che salgono prepotentemente nel nostro paese non riescono a essere rappresentate nei luoghi di decisione democratica. Cresce l’antipolitica o, meglio, l’antidemocrazia ed i partiti presenti nelle istituzioni democratiche attardano il cambiamento in una strategia che pare di distrazione e dilazione. La nostra democrazia è a rischio ; sempre più sentiamo parlare di democrazia partecipata o di democrazia diretta, dimenticando che queste forme non possono essere sostitutive dell’asse portante ma solo aggiuntive e relative. Che fare allora, una volta per tutte, prima che sia troppo tardi? Occorre ricreare da capo gli strumenti di partecipazione dei cittadini alle decisioni. Occorre ridare rappresentanza ai cittadini e ai territori con collegi uninominali in cui si scelgono i candidati delle parti con primarie di diritto pubblico. Occorre ricostruire l’architettura istituzionale per il governo dei territori nelle autonomie previste in Costituzione ridando ruoli e dignità ad ogni struttura. Occorre avviare un processo costituente nel paese; una legislatura costituente, con una Assemblea Costituente Diffusa sul Territorio. Occorre un Arcipelago non come soggetto/partito, ma soggetto politico UNITARIO, di ricostruzione del paese, delle sue dignitose culture politiche, delle proprie e rinnovate istituzioni, abbandonando al proprio destino chi ha amministrato politica e istituzioni come cosa a servizio loro. Arcipelago Per l’alternativa politica in Italia Proponiamo una serie di valutazioni redatte dall’Associazione Arcipelago sulle quale i nostri lettori, se lo riterranno, potranno inviarci le loro osservazioni che sarà nostra cura pubblicare nei prossimi numeri di OP. La questione urgente del nostro tempo Una fase della vicenda politica italiana si è disastrosamente conclusa. Essa è segnata da una profonda crisi generale di un intero sistema politico e sociale conseguente, all’interno di una crisi economica, strutturale, europea e globale. Il nostro apparato concettuale, culturale, economico e, ovviamente, politico è ormai obsoleto e gli strumenti utilizzati e perpetuati dall’attuale politica, dati per scontati, sono invece esauriti. Ad essere venuta meno è la storica missione strategica della politica: combattere le disuguaglianze, fornire un metodo democratico per la coesione sociale ed il governo virtuoso delle risorse naturali. Sono trent'anni che le diseguaglianze aumentano ed è fallito ogni tentativo di progettare una politica redistributiva per tendere ad un'effettiva “uguaglianza delle condizio- ni di partenza”, una società rispettosa ed un governo lungimirante delle risorse naturali ed economiche. E’ ormai palese e chiaro ad ogni cittadino che occorre dare spiegazioni vere sull'origine di queste insipienze indicandone le responsabilità e offrire risposte concrete mettendo in gioco forze nuove e capaci di lucidità e competenze adeguate respingendo con chiarezza la doppia morale, divenuta egemone nel sistema politico contemporaneo italiano e che ha portato con se il conseguente disastro dei conti, dell'etica pubblica, dell'economia e della politica. Noi sosteniamo che occorre partire da una strategia di uguaglianza e di lunga visione: è questa la “nuova, grande missione della politica”. Dobbiamo investire nel futuro, individuare e formare una nuova classe dirigente. Negli ultimi anni hanno prevalso le sterili posizioni “contro” qualcuno e non “per” il Paese e su questa contrapposizione la politica ha chiesto il consenso. Berlusconi ed il berlusconismo rappresentano un fenomeno negativo e di massa, dilagato al di là di ogni confine politico tra i partiti. Ha saputo interpretare il profondo cambiamento e deserto culturale degli ultimi vent'anni e lo ha portato dentro la politica. La politica sarà chiamata a trasformare le paure individuali in speranza ma soprattutto un progetto condiviso. Le tre direttrici da non perdere di vista sono: - un progetto a lungo termine per la crescita qualitativa, la tutela e la valorizzazione del nostro Paese - un soggetto, davvero Politico, capace di portarlo a compimento. - Una proposta di governo sapiente e credibile che sappia indicare le azioni per il governo delle crisi ai vari livelli, per la mobilitazione virtuosa della società, per il recupero delle risorse distrutte e dissipate, comprese quelle fisiche, materiali e ambientali senza le quali ogni discorso è vano. L’azione politica a cui ci accingiamo non è una continuazione o ripresa, ma una nuova partenza, un nuovo inizio; un'Alternativa politica vera. Senza un soggetto nuovo, ampio, democratico e radicato nel fuoco delle controversie e del dibattito culturale nessun progetto nuovo è davvero possibile. Il bipolarismo in Italia è confermato e consolidato nella coscienza dei cittadini di questo nostro Paese; rappresenta le linee di tendenza della società italiana. In questo ambito intendiamo agire. Tuttavia, il problema di un ritorno al passato esiste, La Democrazia è a rischio perchè i cittadini non hanno il controllo reale della rappresentanza politica: non possono scegliere i loro rappresentanti nelle istituzioni. Questo perché il sistema degli attuali partiti si sciacqua con primarie di vario tipo ma non vuole vere Primarie di Diritto Pubblico, che siano regola e legge anche per i partiti, in diritto dei Cittadini. I cittadini devono potersi misurare nei fondamentali collegi uninominali. Solo così si può garantire rappresentanza con capacità di controllo e di governo degli uomini, delle cose e dell’ambiente. Come Costituzione vuole. Questa grave crisi politica, ma soprattutto della politica, è accompagnata anche da una crisi dell'economia reale, oltre che finanziaria e monetaria e fiscale, con enormi squilibri ed insostenibili disuguaglianze. Vi è un pericolo di conflitto sociale, in grado di creare nuovi soggetti politici non collocati sul fronte della solidarietà, ma della contrapposizione irresponsabile, col rischio di una vittoria dell'egoismo corporativo. Difendere, letteralmente, la Costituzione, per noi potrebbe anche voler dire adeguarla o cambiarla ma attraverso un processo Costituente nuovo. Serve una vera e nuova identità, che non si inventa ma si costruisce a partire dalle culture politiche, tradizionali e nuove, orfane di partiti ma ricche di novità e attenzioni nella società civile e nella cultura “E' indispensabile porsi come alternativa seria e credibile, presentarsi come ipotesi altra e convincere rispetto al governo della destra. Ci vuole un Noi che si ponga realisticamente e con intelligenza di fronte a Loro”. (Gianfranco Pasquino). Ci impegneremo quindi - per creare le condizioni affinchè vi sia coscienza del cambiamento necessario - per costruire questo progetto in modo ampio e trasversale con “chi fa politica tutti i giorni ma in politica non è” - per aiutare, attraverso un nuovo soggetto politico ampio e plurale, 5 la costruzione di una alternativa politica vera, attraverso una aggregazione di forze e soggetti che concorreranno alla costruzione di una coalizione libera, davvero democratica e responsabile, per il governo del paese. Cercheremo di dare possibili risposte a tre contraddizioni del nostro tempo: - Più Europa, ma quale Europa? L’Europa dei Popoli o dei Governi ? - La dicotomia tra cittadino e potere. Quale Democrazia in questo Paese? - Quale Stato per il nostro Paese. Quale Federalismo? Il nostro obiettivo è quello di strutturare una nuova proposta politica. E, in concreto, auspichiamo che possano nascere delle Isole, libere, plurali, solidali, di impegno e discussione, all'interno di ogni realtà territoriale, sociale e culturale. Isole che dovranno costituire un Arcipelago di agorà per questo Paese. E’ un percorso forse innovativo, fuori dagli schemi: è un percorso che fida nel cuore e nelle menti dei cittadini che hanno compreso appieno la fine di un sistema. Massimo Cacciari Dopo aver aderito giovanissimo a Potere Operaio entrò nel Partito Comunista Italiano, ricoprendo cariche apparentemente lontane dai suoi interessi filosofici: responsabile della Commissione Industria del PCI Veneto negli anni settanta, fu poi eletto alla Camera dei deputati dal 1976 al 1983, e fu membro della Commissione Industria della Camera. Fu sindaco di Venezia dal 1993 al 2000, fra i principali sostenitori dei Democratici di Romano Prodi e si parlò di lui come un probabile leader dell'Ulivo. Fin dall'inizio della sua attività politica vede nel federalismo una tradizione da recuperare per i progressisti italiani, è a favore di un Ulivo del Nord, del centro e del sud. È sostenitore dell'alleanza con la Lega, laddove buona parte dei dirigenti vedono in questa alleanza un freno ai voti del centrosud. In preparazione delle elezioni regionali del 2000, aveva compreso che per vincere in una regione tradizionalmente moderata, la sinistra avrebbe dovuto agganciare una parte dell'elettorato in fuga dalla ex DC, e mosse alcuni significativi passi, ma non riuscì a convincere fino in fondo l'elettorato autonomista. La sua sconfitta alle Regionali del 2000, quando fu candidato per la presidenza della regione Veneto, fece tramontare l'ipotesi che potesse diventare il futuro leader dell'Ulivo. Cacciari ottenne in quella tornata il 38,2% dei voti, uscendo sconfitto dal rappresentante del Polo per le Libertà Giancarlo Galan che ricevette il 54,9% dei consensi. In quella tornata elettorale, Cacciari ottenne un seggio da consigliere regionale. Arcipelago Luca Ricolfi Laureato in Filosofia nel 1973 all'Università di Torino, dal 1990 al ‘92 ha insegnato Sociologia presso l'Università di Modena, passando poi a insegnare presso l'ateneo torinese del quale è divenuto professore ordinario nel 1999. 6 1999. Attualmente è titolare del corso di Analisi dei dati presso la Facoltà di Psicologia. Negli anni Ottanta e Novanta ha contribuito ai rapporti Iard sulla condizione giovanile in Italia. Nel 2002 ha fondato, sempre presso l'Università di Torino, l' "Osservatorio del Nord Ovest", un istituto di ricerca che conduce rilevazioni sugli atteggiamenti della popolazione riguardo a economia, società, cultura, politica. Nel 2004 ha fondato la rivista Polena, acronimo per "POLitical and ELectoral NAvigations", caratterizzata dallo studio del comportamento elettorale e delle metodologie di comunicazione degli agenti politici, analizzati attraverso gli strumenti propri di statistica, matematica, scienze politiche e psicologia. È editorialista di La Stampa dal 2005, e dal 2008 scrive la rubrica "Fatti&Credenze" su Panorama. Nel 2006 ha vinto il Premiolino, prestigioso premio giornalistico italiano. Arcipelago il PD e le primarie Occorrono parole diritte più che metafore, quando la tempesta rischia di rovinare irrimediabilmente l’imbarcazione. Tuttavia una ripresa della metafora del dito non vogliamo negarcela. E’ vero lo stolto guarda il dito, ma il politico italiano pare guardi il gomito. Spesso sollevato, alzato si dice, oltremodo. D’Alema non ha costruito un gruppo dirigente, tanto meno diffuso. Ha costruito un gruppo di potere che si avvale della politica per annaspare tra i poteri, senza pudori, eliminandone le autonomie. Si pensi a Violante, per dirne una, ma anche al suo rapporto con la Rai, le banche, le cooperative, i sindacati, etc. Infatti la politica del saggio se non si chiude nella torre d’avorio o se non pratica il machiavellismo o la sua variante leninista magari edulcorata per il POSSESSO del potere, dovrebbe essere rivolta a 1) promuovere elites plurali e tolleranti, 2) contenere le lobbies con metodo democratico ma fermo, 3) combattere i comitati d’affari con verità e moralità democratica. D’Alema ha invece mescolato il tutto in una mappazza inestricabile per un fine che è il controllo del potere da parte di una oligarchia storica che, a suo avviso è legittimata da una storia che lui ritiene superiore. Questa sua oligarchia non disdegna alleanze sfrontate pensando che tale propria superiorità prima o poi vinca. Invece ha fatto perdere tutti. Occhetto e gli Italiani. Lavoratori e cittadini. Democrazia e partiti. Renzi non dice la verità, la evita con cura parlando di “rottamazione” quando tutti dovrebbero sapere che in politica, ed in economia, è molto meglio una accurata e profonda riparazione piuttosto che una veloce rottamazione. E’ come chi pensa che la droga o la medicina dopante possa sostituire la cura e l’attenzione alla persona. Renzi dica qualcosa sul potere e sul suo funzionamento oggi in Italia anziché parlare di geronti dallo scranno di una posizione di potere non piccolo. Unto peraltro dalle visite e dagli occhiolini all’avversario. Invece della fatina si occupi dei nani e dei giganti e dica ciò che pensa. Gli italiani hanno diritto di sapere e sanno, ma non trovano chi li rappresenta in verità calzante. Diverso è il discorso delle primarie come principio. Queste infatti calzano bene la domanda di rappresentanza e del diritto di scelta dei candidati e non tra i candidati selezionati da altri in forma fintamente allargata. A questo compito selettivo devono avere diritto TUTTI i cittadini a contribuire. Si faccia una legge che lo consenta… pare semplice. Ma queste primarie sono l’esatto contrario. Sono una stortura e una mancata risposta alla vera domanda di democrazia. Sono primarie di distrazione della domanda vera che sale dal basso. Solo chi terrà ferma la barra del timone senza più mediazioni propedeutiche, o peggio, pedagogiche, potrà essere legittimato a parlare di democrazia senza il timore di essere sbertucciato dal popolo in fermento. Solo così si offre alla democrazia un contributo vero. Monti. Monti ha dato una risposta alla crisi, ha portato l’Italia fuori dal rischio Grecia, Portogallo, Spagna e… Argentina, anche se non definitivamente. Passi concreti li ha fatti. Monti è stata la risorsa più alta che questo sistema degli attuali partiti ha saputo mettere in campo. Il problema è quello dell’alternativa democratica, ricostruente e definitiva a questo sistema. Pena il ritorno punto e a capo come in un tragico gioco dell’oca. Infatti l’Europa ed i mercati di questo hanno timore, in questo caso, esattamente come i cittadini. Monti è una pezza, ma i pantaloni nuovi occorre cucirli con una stoffa nuova ed un nuovo taglio. Più calzante. Per questo dobbiamo partire dalla questione della democrazia e della rappresentanza democratica proponendo un metodo e non un’altra pezza recuperata dai vecchi calzoni sdruciti o dai jeans usurati ad arte come i giovani oggi usano. E la Democrazia necessita per suo ontologico statuto può partire solo da TUTTI i cittadini, non dagli iscritti ai partiti o da liste improvvide e improvvisate. Le proposte dell’Arcipelago vogliono andare in quel senso ovvio. Altro non intravvediamo Bizantinismi e contorsioni da barocco pur fiammato non fanno altro che alimentare il medio evo sociale che viviamo. Monti: l’alta risorsa... dei partiti Ovviamente ognuno ha i suoi legittimi convincimenti, da parte nostra non crediamo che Monti abbia svolto un gran lavoro. Certamente ha svolto un lavoro, diremmo il lavoro “sporco” in nome e per conto di un sistema incarnato sostanzialmente da una classe politica che aveva, ed ha, perso ogni credibilità, sia essa l’aggregazioni politica che era al governo, ma anche quella che si candida a succederle. L’azione economica di Monti si poteva espletare fra due estremi: da una parte ridurre sprechi, incidere nei costi strutturali causati dalle cosiddette caste attraverso incisive riforme, dall’altro estremo colpire i soggetti politicamente meno tutelati e quindi più deboli. Ecco cosa è stato fatto. La pressione fiscale non è mai cresciuta così in fretta, hanno aumentato le accise sui carburanti, le tasse locali, il tributo sui rifiuti, il ticket sulle ricette mediche, hanno introdotto l’imposta sulla casa, tassato i risparmi, aumentato i contributi ai lavoratori autonomi e l’Iva per tutti, in pensione si va più tardi. Un neo laureato in farmacia che voglia aprire una farmacia nel Regno Unito può farlo spendendo 300.000 € nelle stesse condizioni in Italia deve disporre di almeno 3 milioni di €. Rispetto agli altri Paesi UE l'Italia ha il più basso livello di efficienza nella giustizia. E’ al 25° posto su Continua a pag. 63 7 21 ottobre u.s. Renzi è stato a Torino: Ecco il resoconto del suo intervento Questo Paese diventerà un Paese civile quando il vero marchio d’infamia non sarà aver fallito, il vero marchio di infamia sarà non averci neanche provato. 8 Le primarie sono una grande opportunità non solo e tanto di andare a votare ma di riportare l’entusiasmo nelle facce di chi fa politica. Quando vi vedo, credo di dovervi un grazie perché quando ci sono centinaia di comitati che si mettono in gioco ci sono persone che fino a ieri erano abituati a pensare che la politica fossero solo gli Scilipoti e gli Erbatman e oggi invece si mettono loro in prima persona in gioco, si mettono loro in prima persona ad approfondire un programma, a condividere una iniziativa a fare delle telefonate, a fare la raccolta firme perché noi, ormai facciamo una raccolta firme alla settimana. Per votare alle primarie si doveva fare la raccolta firme per le primarie, la raccolta firme per la coalizione, la firma per l’albo degli elettori, la firma per l’iscrizione… non ho capito nemmeno bene a che cosa, beh noi vediamo che oggi c’è una grande novità nell’aria, c’è un vento nuovo che non si ferma con le mani, c’è un vento nuovo che dice che abbiamo il desiderio profondo di tornare a credere nella politica. Questa settimana che cosa è accaduto? Perché a Torino abbiamo deciso di cambiare e di non fare lo stesso format che stiamo proponendo in tutte le sedi nel lungo viaggio nell’Italia vera? E’ una cosa bellissima girare per l’Italia, noi siamo partiti da Verona poi la seconda tappa l’abbiamo fata a Longarone per dire che la tutela del territorio, del suolo, l’attenzione e la lotta contro gli errori umani è fondamentale, sono passati 49 anni da una delle più grandi stragi al mondo causate da mano umana, la strage del Vajont. Poi siamo andati nei luoghi più simbolici, siamo andati a Brescello per dire che Peppone e don Camillo stanno nei nostri cuori, ma abbiamo l’idea di una politica che sia in grado di scaldare il futuro e non soltanto il passato. Abbiamo toccato 74 province. Ma perché a Torino cambiamo? per la storia di questa città, innanzitutto. Questa città è una città particolare, è una città che ha sputo rinnovarsi e cambiare che ha saputo dare del tu alla crisi in modo diverso da tante altre realtà metropolitane. E’ una città che vive l’appartenenza della sinistra in modo più forte che altre città, è una città che merita qualcosa di più di ciò che abbiamo fatto da tutte le altre parti e poi non nascondiamocelo, in questa settimana è accaduto qualcosa di molto significativo e importante. Due dei più autorevoli leader del centro-sinistra hanno scelto di fare un passo indietro. Hanno scelto di lasciare i propri posti di responsabilità. Non dirò “era ora” ma quando arriviamo a certi gesti per me è importante saper riconoscere quel gesto e voltare pagina. Oggi noi abbiamo bisogno di voltare pagina di raccontare che tipo di ultimo mese di campagna elettorale per le primarie vogliamo fare perché non avrebbe senso dire: ma che bello questi risultati li abbiamo raggiunti, sono sotto gli occhi di tutti. Stiamo arrivando ed abbiamo quasi superato mille comitati, abbiamo una partecipazione popolare impressionante, però non ci basta, adesso staremo a raccontare ciò che è accaduto in questo primo mese. Io vorrei cogliere l’occasione di Torino per provare a dire una cosa diversa sulla critica più forte che ci viene fatta. Matteo Renzi con Berlusconi (fotomontaggio) E cioè sul fatto che noi non rappresentiamo la vera sinistra, che noi siamo degli figli illegittimi di una storia... anzi probabilmente degli infiltrati di un’altra storia, perché? per tanti motivi. Sono stato accusato per aver chiesto il voto ai delusi del centro-destra come se non fosse chiaro che (non importa esser laureati in matematica) se non prendi il voto di quello che l’altra volta ha vinto le elezioni la volta dopo riperdi. E quindi se non vogliamo votare il barone De Coubertin è chiaro che dobbiamo prendere anche il voto degli altri, mi sembra una cosa così banale. Però oggi per una volta non parleremo ai delusi del centro-destra, ci perdoneranno gli amici che hanno ricevuto sino ad oggi costanti appelli a rimettersi un discussione. Non parleremo nemmeno di tutto l’elenco delle proposte che noi abbiamo fatto. Mi si dice che noi non abbiamo un programma. Vi invito a verificarlo non soltanto sul sito ma sta girando anche del materiale cartaceo: le proposte per le piccole e medie imprese, tra l’altro abbiamo anche delle infografiche che rappresentano i nostri progetti, potranno piacere o no, ma sono progetti seri e significativi. Abbiamo fatto proposte sulla cultura, innovazione, ambiente, su tutto, non ne parliamo amici, oggi mi concentrerei soprattutto su un punto chiedendovi in anticipo un minimo di comprensione, e cioè quello di provare a dire che cosa significhi per noi essere di sinistra o se preferite di centro-sinistra e se preferite esser del Partito Democratico in un città che ha dato il “la” con il discorso al Lingotto di Veltroni alla storia del Pd. Chiamatelo come vi pare, quella roba là, quella roba che porta ad appartenere ad una lunga storia. Diceva un amico che anche se vuoi fare delle rotte nuove devi posizionarti sulle mappe vecchie. Se non hai la capacità di dirti dove stai non sarai capace di capire il percorso che vuoi fare. Noi vogliamo andare verso rotte nuove, non ci accontentiamo dell’idea che fino a questo momento una parte significativa della sinistra ha espresso, diciamo di cambiare rotta di andare dove altri non sono stati. E non basta per fare questo nemmeno fare l’elenco delle cose De Coubertin di sinistra che io, noi, abbiamo realizzato nella mia città. Già sarebbero interessanti per provare a definire una appartenenza o un’altra: quando facciamo il piano strutturale a volumi zero nel consumo di suolo, diciamo che la nostra sinistra è più quella dei giardini e dei bambini che quella delle cooperative e dei costruttori; quando diciamo che si aprono le biblioteche e i musei fino a mezzanotte diciamo che la nostra sinistra è quella dei cittadini più che degli spettatori. Quando diciamo che si pedonalizzano le piazze del centro diciamo che nelle piazze dobbiamo tornare a sentire il rumore dei passi e non soltanto lo strobazzio dei clacson, che nella pazza ci dev’essere un incrocio di anime ci deve essere un luogo di confronto di condivisione, la piazza è quella, noi non siamo codici fiscali, siamo cittadini, siamo persone, siamo donne e uomini non siamo semplicemente gente. E allora la piazza diventa il luogo dell’incontro il luogo della speranza. Non serve stare a raccontare ciò che abbiamo fatto o non fatto anche se personalmente ritengo di sinistra persino aver tentato di metter mano ai conti nella fondazione lirico-sinfonica o nella azienda di trasporto pubblico locale. Vorrei cercare di dire che noi, voi, che da qualche settimana state animando il dibattito politico, siete di sinistra, siamo di sinistra. Noi siamo di sinistra perché pensiamo che il futuro sia casa nostra. In questi anni ci hanno raccontato una idea di futuro in cui la preoccupazione per il domani era maggiore del piacere di aspettare il domani o di costruire il domani. Ci hanno negato il futuro in tanti grandi e piccoli luoghi simboli. Sicuramente con il debito pubblico. Mentre voi cittadini operosi di Torino mettevate da parte denaro, per costruire una ricchezza privata che è oggi una delle ricchezze più altre d’Europa: l’Italia ha oggi un ricchezza privata che 4 volte il debito pubblico, i nostri rappresentanti in parlamento spendeva anche ciò che non avevano. Spendevano i denari di un debito pubblico che è raddoppiato nel giro di 20 anni dal 60% al 123% ipotecavano il futuro dei nostri figli. Oggi noi nel bilancio della comunità, della famiglia italiana, spendiamo circa 80 miliardi, poco meno, per gli interessi sul debito e 60 miliardi per la scuola e 62 miliardi per il welfare. Detto con uno slogan noi spendiamo di più per le colpe dei padri che per l’educazione di figli o per l’assistenza dei nonni. Questo deriva da una visione della politica che ha negato il domani, siamo di sinistra perché vogliamo che il futuro sia un luogo da attendere e da attendere e da costruire con piacere. La parola progressista fa riferimento a un domani verso il quale andiamo a viso aperto a testa alta, non verso il quale andiamo rannicchiati impauriti privi di speranza, angosciati. Quanta sinistra è diventata conservatrice negli ultimi anni quanta sinistra ha pensato che per difendersi dalle incognite del domani si dovesse forzatamente averne timore e paura senza far passare il messaggio, anche pedagogico che chi rischia, chi ha coraggio, chi si mette in gioco, sta costruendo un pezzo di domani. Se voi siete qui, se noi siamo qui, se noi siamo di sinistra, è perché pensiamo che la sinistra sia curiosità e ricerca, la sinistra non è mai anatema verso gli altri, la sinistra non può esser una posizione talebana e integralista per la quale se quello vicino a me ha una opinione leggermente diversa da me, imme- 9 diatamente diventa il mio avversario che deve esser distrutto con tutte le armi possibili e immaginabili. Non è questo la sinistra, è la loro sinistra non è la nostra. La nostra sinistra è fatta di curiosità. Se qualcuno non la pensa come me sono curioso di capire le sue ragioni, e probabilmente nel capire le sue ragioni farò un passo in avanti anche io, non so se cambierò la mia posizione, non è fondamentale la mia posizione, ma sarò più ricco dentro e da questo nasce una profonda laicità della sinistra. Fatelo dire a una persona che è cristiana e cattolica, la vera laicità della sinistra non sta nel cancellare le opinioni degli altri, sta nell’accoglierle tutte e nel rispettare le regole del gioco che in questo paese hanno una fonte straordinaria nella carta costituzionale che tutti citano e poco applicano. A partire da quell’articolo 1 della Repubblica democratica fondata sul lavoro… e affondata sulla rendita. No dogmi, no pregiudizi, ma dialogo, ascolto, desiderio di capire. Se qualcuno vicino a me ha delle idee diverse da me, penso di dover capire perché le dice e come le comunica perché la sinistra che noi siamo, che noi rappresentiamo, che noi vogliamo vincente in questo Paese, è una sinistra che non ha paura della comunicazione, non ha paura di dire che la comunicazione è un valore non è un disvalore. Senza la comunicazione non c’è niente al mondo, non c’è una storia d’amore senza comunicazione, non c’è un rapporto in famiglia senza comunicazione, non c’è un dialogo fra una città, senza comunicazione. Aver ceduto ad una visione berlusconiana e contemporaneamente antiberlusconiana per la quale la comunicazione è il principale disvalore del nostra tempo è un clamoroso autogoal che una certa sinistra fa. E’ chiaro che tu devi comunicare qualcosa a qualcuno, la comunicazione di plastica non serve, la comunicazione della plastica è nociva. Ma la comunicazione come capacità di raccontare una storia di entusiasmare le persone, di appassionare 10 le persone, di far credere a quelle persone che con quella storia condivisa possiamo esser migliori, possiamo l’un con l’altro sforzarci di esser migliori, è un grande valore di sinistra che noi abbiamo perduto, schiavi e subalterni ad una cultura che ha voluto considerare la comunicazione una parolaccia semplicemente perché c’era al di là un qualcuno che comunicava il niente, direi soprattutto, il niente. La sinistra che vogliamo noi è la sinistra del coraggio, il coraggio è contagioso, ma il coraggio significa che tu ti metti in gioco e puoi anche perdere, puoi anche non farcela, e puoi anche fallire. Questo Paese diventerà un Paese civile quando il vero marchio d’infamia non sarà aver fallito, il vero marchio di infamia sarà non averci neanche provato. E questo vale per molta parte della mia generazione che ha paura, che teme, che preferisce rinviare. Una conseguenza una declinazione del coraggio è che la sinistra che noi vogliamo è una sinistra che decide, che ascolta tutti, concerta tutto ciò che c’è da concertare, ma concerta innanzitutto l’ora in cui si decide. Perché non è possibile che questo paese continui dall’Ilva, al Sulcis, all’Alcoa da tante piccole e grandi realtà, non soltanto di politica industriale, ad aver ben chiaro quello che c’è da fare e a non farlo perché si preferisce rimandare al giorno dopo. Se noi crediamo in una sinistra del coraggio, noi siamo nelle condizioni di poter dettare le regole alla agenda della politica, e siamo anche nella condizione, fatemelo dire dicendo per l’ultima volta una parola sulle regole delle primarie. Se abbiamo il coraggio di affrontare il futuro del Paese, che sarà dif- ficile… chi vi racconta che la crisi è finita vi sta prendendo in giro. La crisi è una profonda trasformazione delle regole del gioco economico. Non è soltanto che la crisi inizia e finisce, il racconto della crisi che dovrà esser superata non potrà prevedere che la crisi ad un certo punto termina e noi torniamo nella congiuntura precedente, a vedere gli indicatori andare su, magari!. Oggi noi stiamo assistendo ad una profonda trasformazione delle regole del gioco dell’economia e non soltanto dell’economia e allora la crisi non avrà una fine. E’ un cambiamento, non è una crisi e come tutte le crisi ha in sé un elemento di opportunità, è la più grande opportunità che ha l’Italia. Se questa è l’idea che abbiamo della crisi, chi vuole governare il paese per i prossimi 5 anni deve avere il coraggio i mettere tutto ciò che può sul tavolo. Non può avere paura dei diciassettenni o aver paura del voto libero degli italiani modificando le regole che erano sempre state le stesse facendo un atto che, caro segretario, non fa male a noi. Noi non abbiamo paura delle regole, a noi non fanno male le regole, fanno male a te perché cambiando le regole hai messo le condizioni per poter dire che queste primarie sono ispirate dalla vostra paura e non dal nostro coraggio. Noi le faremo lo stesso le primarie, qualsiasi regola mettiate noi siamo disponibili a fare di tutto, non ce ne andiamo da casa nostra neanche se ci cacciano. Ma ci dispiace per il nostro segretario perché avere dato l’impressione, qualcosa più dell’impressione, di voler cambiare le regole in corso d’opera non è dovuto al tentativo di infiltrazioni della destra. Quando le primarie sono state infiltrate come a Napoli sono state infiltrate dai capobastone del centrosinistra, non le hanno infiltrate quelli della destra, le hanno infiltrate quelli che adesso stanno con chi sappiamo. Però noi a questo punto prendiamoci un impegno guardandoci negli occhi, noi accettiamo le regole e porteremo tutto il nostro entusia- smo dentro questa partita e io dico che sarà ancora più bello vincere quando le regole le hanno fatte gli altri. E’ una sinistra che tiene insieme due valori, che tiene insieme fondamentalmente il valore del merito. Cosa significa il valore del merito? Significa prendere l’art. 3 della costituzione, il più bello della costituzione, anche se ciascuno ha il suo preferito, per me è l’art. 3 comma 2 è l’uguaglianza sostanziale. Dice che la repubblica rimuove gli ostacoli, assicura cioè quello che i costituzionalisti chiamano l’uguaglianza sostanziale. Cos’è l’uguaglianza oggi in un mondo che vede allargarsi la forbice delle ingiustizia e delle disuguaglianze? L’uguaglianza è valore profondamente di sinistra. E forse uno dei valori costitutivo la sinistra, ma l’uguaglianza non è l’uguaglianza all’arrivo. Una certa cultura ideologizzata legata all’ispirazione del 18 politico, fatemela dire tutta, in questo modo ha preteso di farci credere che tutto il senso dell’uguaglianza fosse l’uguaglianza sul punto d’arrivo. Cioè che tutta l’uguaglianza stesse nel desiderio di arrivare tutti nello steso punto. Signori… non è così. L’uguaglianza della nostra sinistra è che tutti devono essere messi nella stessa condizione di partire dallo stesso punto. Che il figlio dell’operaio deve avere lo stesso diritto del figlio dell’imprenditore di potersela giocare, se è bravo ce la fa, se non è bravo sarà aiutato, ma l’uguaglianza sostanziale significa dire che noi abbiamo bisogno di cancellare quelle indecorose statistiche dell’OCSE che dicono che in Italia il figlio dell’operaio ha un quarto delle possibilità che ha in Francia di arrivare alla laurea. Vi rendere conto che dopo chilometri di discussione stenografate sul valore dell’uguaglianza noi abbiamo il Paese con la minore mobilità sociale perché, chi pretendeva di difendere l’uguaglianza dal basso dei propri steccati ideologici, ha costruito le condizioni per cui non va avanti chi ha merito ma va avanti, al di là delle condizioni di merito, chi invece è partito avvantaggiato. La nostra sinistra dà una chance non nega una opportunità. E’ evidente però che la nostra sinistra declina in modo diverso la solidarietà, tu parti allo stesso modo degli altri, se non ce la fai, non è che ti lasciamo solo. Uno che fa il sindaco, uno che fa il primo cittadino, sa che il suo compito è essere l’ultimo cittadino che sa dove si nascondono nicchie di dolore, luoghi di disperazione. Oggi abbiamo tante forme di disperazione, sicuramente cresce la povertà, i dati economici dimostrano come nella quarta settimana del mese tutti gli indicatori di consumo vadano giù. Anche per questo chi di voi avrà tempo e modo potrà verificare le proposte concrete di sostegno che noi abbiamo cercato di mette in campo. Però quello che è ancora più importante, lasciatemela dire in questo modo, è che c’è una profonda forma di disperazione nel nostro tempo che è la solitudine. Bauman ha scritto qualche anno fa sulla solitudine del cittadino globale, noi molto più modestamente possiamo verificare una solitudine che riguarda il ragazzino di 15 anni privato della relazione con le agenzie educative oltre che con la famiglia, ma che riguarda sempre di più anche gli anziani. Oggi noi abbiamo un aumento della vita media, che è un fatto positivo, che impone delle scelte in materia previdenziale, in materia sanitaria ma che porta soprattutto le persone ad avere dei luoghi dove poter dire: Noi. Io trovo davvero sintomatico che di tutte le realtà legate communication alla information tecnology quella che, più sorprendentemente di ogni altro, ha avuto successo nel campo negli ultimi anni è la diffusione dei social 11 network. Un miliardo di persone oggi usano Facebook, tutti noi dobbiamo raccontare, spiegare, illustrare, in particolare spiegare alla nuova generazione che inviare un poke non vale come un abbraccio vero, che stringere un amicizia su Facebook non avrà mai lo stesso valore di stringere una mano o di incrociare una persona o di incrociare uno sguardo e condivider un sentimento o una emozione; dobbiamo spiegarlo con forza. Ma dobbiamo anche esser capaci di raccontarci; se c’è questa diffusione c’è un bisogno di Noi; in un mondo nel quale l’Io è stato esasperato che porta la nostra discussione sulla solidarietà, ad assumere criteri e connotati diversi rispetto al passato; non può esser l’assistenzialismo. E’ il farsi prossimo, è il farsi compagni di strada, è il farsi capaci di condividere con le persone, e non soltanto di erogare un servizio. Quando vogliono discutere, i signori dei ministeri romani, dei fondi, considerino che questo Paese ha visto eliminare per i non autosufficienti, il fondo per la disabilità; si ricordino che in questo loro sguardo tutto incentrato sulla erogazione del servizio, noi stiamo perdendo la dimensione più profonda che è la dimensione non tanto dell’umanità, ma della ricerca di un nuovo umanesimo di cui questa Terra e questo tempo hanno un disperato bisogno. La solidarietà allora non è semplicemente erogare dei servizi, avere delle statistiche, ragionare concre- 12 tamente con dei numeri. è prendersi cura l’uno dell’altro e dimostrare che così facendo noi siamo cittadini, non siamo dei numeri. Noi siamo delle persone, siamo un popolo capace di rischiare. E da questo punto di vista che viene immediatamente la sinistra che noi immaginiamo sul benessere; lo voglio dire oggi che sui giornali non si è spenta l’eco della polemica sulla finanza. (Ironicamente) Io sono arrivato un po’ in ritardo e mi scuso perché stavo arrivando con l’aereo dalle Cayman dove sono andato a prelevare le ultime risorse, che erano fondamentali... Io credo che abbiamo un punto di vista troppo spesso ossessionato dall’idea del denaro. E’ una sinistra ossessionata, quando uno deve attaccare: penso ai manifesti che Rifondazione Comunista attaccò durante il governo Prodi: - Anche i ricchi piangano -. A me avevano insegnato che compito della sinistra era che ridessero i poveri, non che piangessero anche gli altri. Ma è molto importante questo: è ossessionata quando vede nella finanza e nel mondo ad esso connesso tutto ciò che serve o non serve al Paese. In questi giorni hanno polemizzato con noi perché siamo andati a fare due iniziative a Milano, una con il mondo del volontariato con Vita il mensile del no-porofit, un dibattito di due ore e mezza dove Vita ci ha presentato progetti, idee proposte molto interessanti, abbiamo condiviso, discusso, abbiamo parlato, come fa chi non sta chiuso nel palazzo e cerca di ascoltare. E’ giusto o no avere un servizio civile universale?, io dico che non soltanto è giusto aver un servizio civile universale, ma che dovrebbe essere civile e obbligatorio non solo universale. Almeno di tre mesi, ma dove ai ragazzi di 18 – 20 anni viene data una occasione di comunità. Si è discusso dalle slot machine sino all’Iva sulle cooperative sociali. Spazio suo giornali: zero. Poi siamo andati a parlare con un gruppo di persone che lavora nella finanza; ci è stato detto per tanto tempo: voi non siete credibili, se andate voi al governo i finanzieri che operano sui mercati non vi ascoltano nemmeno. Invece ci han- no ascoltato, più interessati di quello che pensano i nostri amici e compagni di strada. Abbiamo discusso, abbiamo detto loro che il trionfo della finanza sulla economia reale è una vergogna, che impoverisce e stritola la vita quotidiana. Ma che questo trionfo deriva da che cosa? deriva dalla incapacità politica di dettare le regole. Non c’è una finanza buona e una finanza cattiva, c’è la capacità della politica di esser seria, autorevole, credibile, e c’è la capacità della politica di esser subalterna e meschina. Quando penso alla mia città penso alla storia della finanza, non voglio tediarvi, ma se Firenze è diventata quello che è, è perché c’erano le persone che facevano i soldi con le banche e con la finanza. I Fiorentini (i Pratesi via), hanno inventato la cambiale, (i Fiorentini hanno inventato gli assegni a vuoto, ma questa è un’altra storia) nel costruire questi prodotti finanziari che cosa è accaduto, è accaduto che un po’ per la paura dell’inferno, che qualche vescovo e frate instillavano: se tu fai soldi con l’usura vai all’inferno; un po’ per il desiderio di bello che piano piano emergeva, larga parte dei denari conquistati con la finanza tornavano nelle Pale d’altare, nelle biblioteche pubbliche, nelle istituzioni, come gli Innocenti, dove ai bambini abbandonati veniva dato un futuro. La finanza nasce così nella mia città,e non solo nella mia città se è vero come è vero che proprio da Firenze parte il grande cammino della finanza. Bene, oggi la finanza ha o non ha l’autorevolezza dei politici come controparte? Non lo so, ma io credo che noi dobbiamo esser molto più autorevoli, e abbiamo dei grandi esempi su come dobbiamo fare. Basta fare il contrario di quello che hanno fatto quei politici che, lo so bene nella mia regione, hanno accompagnato il percorso degli istituti di credito riuscendo a distruggere in 15 anni ciò che i Senesi avevano fatto in 600 anni di storia. Lo so bene cosa vuol dire il rapporto fra finanza e politica quando non funziona, abbiamo degli esempi, abbiamo dei chiari esempi su come non deve fare la politica con la finanza. Un governo, il presidente del consiglio, il suo ministro dell’industria, Lorenzo de Medici: banchiere, poeta, protettore delle arti nella Firenze, culla del Rinascimento non devono dichiarare il giorno prima che inizi l’Opa su Telecom che quelli sono capitani coraggiosi e poi scoprire che quell’operazione è stata finanziata non soltanto con una scalata in Lussemburgo, ma intervenendo come è noto con quelle che si definiscono - Scalate a leva - e di cui ancora oggi Telecom paga i danni. Se vogliamo esser seri e credibili prendiamo esempi di come la politica è stata subalterna alla finanza e facciamo il contrario. Ma non prendiamo lezioni da chi ci dice delle isole Cayman, perché, signori, bisogna conoscere le regole del gioco. Certo alle Cayman va anche chi ha voglia di evadere e chi evade bisogna prenderlo sia alle Cayman che a Torino che a Firenze. Chi evade sta rubando pezzi di futuro e in questi anni la politica è stata forte coi deboli, ma debole coi veri poteri forti, che hanno portato a 120 miliardi di € l’evasione in questo Paese; non ci raccontiamo storie. Se vogliono governare ci devono portare la giustificazione su quello che in questi venti anni non hanno fatto per combattere l’evasione. Partire dalla cosa più banale: incrociare le banche dati anziché rincorre uno scontrino, che è importante per carità; ma oggi il sistema italiano è tale che può saper tutto di tutti. Ma alle Cayman non ci va solo chi vuole evadere. Le Cayman sono uno di quegli stati in cui va chi vuole utilizzare un certo tipo di normativa, un certo tipo di diritto come il Lussemburgo, come parzialmente l’Irlanda, in cui hanno sede l’80% dei fondi di investimento che comprano i titoli di stato. Allora se uno viene a dire che non si deve neanche parlare con quelli che hanno l’utilizzo legale e legittimo delle strutture della finanza di oggi, vuol dire che non vendiamo più i titoli di stato, non paghiamo più gli stipendi. Ma di cosa stiamo discutendo? di che cosa stiamo parlando?, ma perché dobbiamo aver questo atteggiamento?. E’ chiaro che però noi abbiamo il dovere di raccontare che cos’è per noi la sinistra, per noi la sinistra è quella del benessere, ma per noi il benessere non è un fattore economico, o per lo meno, non è soltanto economico. Benessere significa stare bene, significa, fatevelo dire da uno che viene da una famiglia contadina, ritrovarsi attorno a una tavolata e scoprirsi compagni, cioè coloro che condividono il pane, condividono l’essenziale, riscoprire il gusto della socialità, il gusto di avere tre milioni di italiani che fanno volontariato, il gusto di vedere persone che fanno assistenza che si mettono in gioco. Questo tipo di benessere, di stare bene, è indipendente dall’aspetto economico, poi è evidente dobbiamo far sì che la ricchezza cresca, la ricchezza economica, ma dentro la nostra idea di sinistra c’è una certa idea di benessere, di felicità, che non coincide con il successo. Il vero successo è esser felici, non è che la felicità deve imporre per forza di raggiungere il successo. E ancora, per procedere rapidamente, la sinistra che noi vogliamo è una sinistra che profuma di scuola e che sarà capace di vincere la propria sfida quando torneremo a dare il giusto valore sociale alla maestra, al maestro, all’insegnante. Io vengo da un piccolo paese in cui la signora maestra era La Signora Maestra, non prendeva niente, prendeva poco anche allora, non aveva un riconoscimento economico per ciò che faceva, ma tutti intorno a lei erano in grado di attribuirle la gratitudine per il servizio che svolgeva. Chi di voi lavora oggi nella scuola sa che lavora sulla frontiera e sul crinale più impegnativo, nell’educare, nel trarre fuori, nello strappare i ragazzi dal loro destino, e sa che a lavorare oggi nella scuola, tutto cospira contro di lui, perché a lavorare nella scuola non si immagina un riconoscimento sociale per chi fa l’insegnate oggi. Noi però vorremmo riproporvi un patto: fare della scuola il pilastro della ripartenza. Sì certo, restituire quel valore sociale all’insegnamento e agli insegnanti, ma contemporaneamente richiedervi uno sforzo, perché portare il merito nella scuola, portare il merito negli insegnanti non significa voler fregare l’insegnate bravo, significa voler valorizzare l’insegnate bravo e voler fregare quello che è un mangiapane a tradimento, che c’è e che voi conoscete, e che talvolta conoscete meglio di noi. Non la voglio fare troppo lunga perche sarebbero tante le cose che mi sono segnato, ma quando par- liamo di sinistra dovremmo dire che a sinistra ci si deve ricordare delle donne non una volta all’anno, quando si fa la manifestazione: Se non ora, quando? così tutti pensano che pulendosi la coscienza e trovandosi un alibi siamo più belli, più bravi e più giusti. Ieri l’altro una ragazza a Palermo è diventata la 101a vittima di quello che qualcuno continua a chiamare in modo indecente: omicidio passionale; passionale di che… Quelli sono omicidi efferati e tragici, e quella nostra concittadina è morta per difendere sua sorella dagli attacchi dell’ex fidanzato. Eppure sul tema della violenza alle donne, sul tema del lavoro femminile, oggi l’Italia è un Paese che ha una occupazione femminile (unico Paese dei grandi Paesi europei), che è sotto il 50% Se ci pensate fa impressione; fa impressione che la Svezia sta al 77%, fa impressione che la Germania sia al 71%, che la Francia sia al 64%, che la media europea sia al 63% e che l’Italia sia al 49,9%. Questi sono i dati che abbiamo messo sul sito internet: www.matteorenzi.it, perché? Perché vogliamo che si possa cambiare l’agenda della politica. Allora la proposta di Morando e di Ichino per intervenire sulla tassazione del lavoro femminile, la proposta per aver qualcosa come 85.000 posti di lavoro facendo un servizio che si chiama: asili nido. E’ possibile, prioritario, percorribile se allochia- 13 mo diversamente i fondi europei e del welfare. Abbiamo il 12,8% di bambini che va all’asilo nido in Italia, in Francia siamo al 40%, l’agenda di Lisbona impone il 33%. Per ogni bambino che non va all’asilo nido, c’è una occasione educativa e pedagogica perduta per quel bambino, ma c’è anche una volta su 4 una madre che è costretta a scegliere fra la maternità e la professione. La sinistra delle donne è la sinistra che riserva le quote, perché in questi venti anni, so che è un tema aperto, io a Firenze avevo messo metà uomini e metà donne in giunta; mi hanno contestato mi hanno detto che le quote non andavano bene, e allora ho messo una donna il più, così ci siamo tolti il problema, e adesso le pari opportunità le ho date a un uomo: problema risolto. Però qual è il concetto, il concetto è che la sinistra in questi anni ha immaginato di poter delegare la questione femminile a qualche associazione o a qualche parlamentare, per inciso, sempre la solita, che in nome della questione femminile ha sostanzialmente costruito un ulteriore blocco nel ricambio del gruppo dirigente. Noi pensiamo che la questione femminile sia semplicemente liberare una Italia ciò che già c’è, che è forte che tiene in piedi la nostra società e che trova dei simboli inaccettabili, come quello per il quale, le donne magistrato sono lo stesso numero degli uomini magistrato, ma le donne al vertice della magistratura sono una su sei, con un atteggiamento che si può ripercuotere su tutti gli altri settori. 14 La sinistra che noi vogliamo è la sinistra delle cultura, è la sinistra nella quale possiamo scrivere pagine e pagine. Qui un amico, che è Alessandro Baricco, che ringrazio di cuore per la presenza e la generosità con la quale ogni tanto gli vado a rubare un po’ di idee, (fermo restando che quando dico qualcosa di sbagliato la colpa è mia naturalmente), che più volte ha cercato di provocarci su questo. Su come provare a cambiare le regole del gioco, della cultura, su come collegare una scommessa culturale, su un investimento educativo, su come ragionare di domanda e offerta. Signori se la frase di Tremonti: Con la cultura non si mangia, è una frase che noi vogliamo respingere e penso che tutti voi vogliate respingere quella frase (io peraltro sono sindaco di una città che con la cultura si è sempre mangiato, anche troppo), se vogliamo respingere quella frase di Tremonti allora dobbiamo esser conseguenti, dobbiamo dire che la cultura non può essere lasciata a dei presunti addetti ai lavori che in questi anni hanno ricevuto una delega in bianco, disinteressata dalla politica e che hanno portato i nostri beni culturali ad esser uno dei principali problemi del Paese, non una delle principali risorse del Paese. E’ imbarazzante questo tema, c’è da vergognarsi. Se mi avessero detto quando andavo al liceo, venti anni fa, che Abu Dhabi sarebbe diventata una capitale del turismo culturale perché faceva un accordo da 750 milioni di dollari con il Louvre, quando a Firenze ancora da 32 anni non ci sono i soldi dallo Stato per chiudere i lavori agli Uffizi: il 7° o 8° lotto, Louvre Abu Dhabi (in verità era uno solo, ma stanno spezzettandolo per avere tante occasioni di inaugurazione), se mi avessero detto questo, avrei sgranato gli occhi, eppure è così. Allora fatemi fare un esempio, lo voglio fare in questa città che ha dimostrato con grande coraggio di potere investire e invertire la rotta in questo senso. Torino ha infatti saputo ripensare e ripensarsi grazie al lavoro di tanti di voi che siete qui, grazie al lavoro di Sergio Chiamparino, grazie al lavoro di persone che hanno avuto il coraggio di cambiare faccia a questa città. Fatemi fare un esempio banale, un storia che però può essere utile per capire di che cosa stiamo parlando: la torre dal m…. di Palazzo Vecchio. Voi avete presente la torre di Palazzo Vecchio a Firenze?, è uno dei simboli della città. Io ho avuto uno scontro pazzesco perché ho detto: signori possiamo aprire questa torre. Risposte: Stai violando il Sancta Sanctorum della storia della città, non sai che cosa è accaduto lì… Sì che lo so: la dentro c’è una piccola cella si chiama l’Albeghettino. Bisogna salire 198 dei 223 scalini che portano alla cima della torre, in quell’Alberghettino sono state detenute tante persone. E’ una piccola cella, uno di questi era Girolamo Savonarola. Savonarola lì ha vissuto le ultime ore prima di essere accompagnato, scesi i 198 scalini, portato sulla piazza della Signoria dove c’era un bel cotto dell’Impruneta ad aspettarlo, e c’era soprattutto il boia che lo ha prima impiccato e poi fatto bruciare. Io immagino che valore identitario abbia per Firenze: Savonarola di lì ha visto per le ultime volte quella città che aveva tanto amato quel popolo per il quale aveva speso e si era prodigato in educazione. Savonarola era quello che aveva aperto il Salone del Gran Consiglio che oggi è il Salone dei 500, eppure quel popolo lo metteva a morte. E ancora mi pare di sentire i passi dei partigiani che due a due, o tre a tre, salgono i gradini della torre perché l’11 agosto del ‘44 era un mattina, c’era il sole, erano le 7 e mezza, Firenze vuole liberarsi prima che arrivino gli alleati. Vuole liberarsi da sola come scriverà Sandro Pertini in pagine tanto belle e allora i partigiani salgono la torre arrivano in cima e suonano la campana della Martinella. Lo so che quello è un luogo identitario e penso alle poesie che Neruda ha scritto dalla piazza della Signoria guardando la torre, o quando più banalmente, finanziati donne e uomini amanti, si sono presi per mano e hanno guardato quella torre pensando a cosa significasse per loro. E’ un grande valore identitario. Ma mi spiegate il motivo per cui questo luogo identitario non può essere aperto alla città? E mi hanno detto. sapete che c’è? C’è che se la apri farai un danno erariale. L’abbiamo aperta la torre, in un mese e mezzo abbiamo fatto break even, adesso ci guadagniamo e ci sono 10 persone a lavorare in più. E’ soltanto un simbolo di come investendo sui beni culturali l’Italia può svoltare e cambiare davvero se soltanto troverà il coraggio di farlo. La sinistra che noi vogliamo e poi rapidamente chiudo, è la sinistra delle imprese, perché quando una persona decide di investire e intraprendere, ci sono qui degli imprenditori che lo sanno bene, fa un atto che è contro natura… Scusate se voi siete semplicemente interessati al profitto, non dovete investire, fate una bella operazione finanziaria, avete meno tasse e non vi preoccupate. Non c’ è da pagare l’Irap, da andare in una burocrazia che è allucinante, da seguire l’iter di una giustizia civile, che è 126° al mondo perché la classe politica che c’è stata fino ad oggi ha discusso sempre dei vari processi brevi, processi lunghi, perché si riferivano al Presidente del Consiglio, ma si è dimenticata di riformare la giustizia civile che è una delle cose che tira giù, più forte di tutte, l’economia italiana. Bene se voi fate gli imprenditori non perché vi sta a cuore semplicemente la ricchezza, certo non siete la Fatebefratelli e quindi evidentemente avete un vostro interesse, ma lo fate anche e soprattutto perché vi piace l’idea di mettervi in gioco, di creare valore, di creare posti di lavoro, di creare speranza. La sinistra deve esser più rispettosa, più attenta al dolore di questi piccoli imprenditori che oggi non ce la fanno più, che oggi sono in una situazione di crisi, che oggi sono in una situazione per la quale hanno dato fondo anche al proprio patrimonio. Perché se ci sono quei furbetti vari accompagnati più o meno dalla politica, c’è anche una sacco di bella gente in questa Italia, che provando a spaccarsi la schiena e mettendo la sveglia alla mattina presto, è stata capace di fare grandi cose. La sinistra che noi vogliamo è una sinistra che parla un linguaggio gentile. San Suu Kyi il premio nobel per la pace Birmano, quando ha ricevuto il premio Nobel per la pace ha detto della parole moto belle sull’onore e la gentilezza in politica. Io, questa settimana ho ricevuto il titolo di un quotidiano che mi ha ferito violentemente, non trovo parola diversa da violentemente. Perché l’Unità il quotidiano che, pensate, fu fondato da Antonio Gramsci, ha pensato di scrivere che le nostre idee erano idee fascistoidi. Ora io non so cosa pensano quelli dell’Unità, per me fascista continua ad esser un insulto e fascistoide un insultoide. Quello che voglio dire all’Unità è che faremo un buon servizio alla nostra sinistra quando recupereremo la correttezza del linguaggio e dell’espressione. Noi non abbiamo replicato, siamo andati ad Argenta, paese totalmente distrutto dalla seconda guerra mondiale, in questo viaggio abbiamo fermato il camper ed abbiamo messo un fiore sulla tomba di due persone. Uno Don Giovanni Minzoni: era il sacerdote al quale i fascisti hanno spaccato la testa nel 1923 perché aveva difeso il diritto dei boy scout di passare davanti alla piazza della sua chiesa. Per alcuni di noi è un personaggio straordinario, un martire del suo tempo, come per quelli di noi che vengono dagli scout lo è Beppe Diana morto nel 1995 per mano della Camorra a Casal di Principe. Quello che abbiamo fatto dopo, è andare sulla tomba di Natale un giovane partigiano socialista anche lui ucciso ad Argenta ed abbiamo detto, con questi due mazzi di fiori, molto semplici, all’Unità e a quelli che pensano di poter insultare, che per noi fascista continua ad esser un insulto. Sarà un gran giorno quando si accorgeranno che è un insulto anche per loro. Da noi naturalmente non lo riceveranno mai, neanche quando ci accusano dell’inaccusabile. E infine la sinistra che noi vogliamo è la sinistra dell’Europa. Avrei tante altre sinistre da raccontarvi ma una fatemela dire. La sinistra che noi immaginiamo è una sinistra che crede nei diritti civili non solo in campagna elettorale, perché è inaccettabile che il tema dei diritti civili sia strumentalizzato volta per volta in campagna elettorale e poi non sia vissuto nella pratica. Noi nei primi 100 giorni se toccherà a noi governare il Paese faremo la legge sulle Civil Partneship sul modello del diritto inglese lo faremo perché pensiamo sia la cosa più ovvia naturale e più logica. Nel momento in cui diciamo sì ai diritti civili, siamo in condizioni di chiedere a tutti i cittadini qualunque sia il loro orientamento religioso, politico, culturale, sessuale, esistenziale di ricordarsi che accanto a dei diritti civili di privati, ci sono dei doveri di privati che vanno riscoperti, e che il nostro paese non sarà il paese del libero tutti, delle sanatorie, degli interventi ex post. Sarà il paese in cui si rispettano le regole, perché le regole sono la prima condizione di guardarsi negli occhi e di essere fieramente cittadini, ma ci vogliono anche i doveri privati, non bastano i diritti civili. Il tema finale è il tema dell’Europa. Io non so cosa pensiate voi del Nobel all’Unione Europea, vi dico che per me è un po’ un Nobel di incoraggiamento, è un po’ come nei vecchi premi agli attori, un premio alla carriera perché l’Europa è la più nobile invenzione degli ultimi 70 anni, perché ciascuno di noi ha in famiglia qualcuno che è andato a fare la guerra in Francia o in Germania o che ha sparato nella ex Jugoslavia, quindi ciascuno di noi conosce, non perché ha letto un libro, o perché ha visto un videogame sulla play station. Ciascuno di noi sa che c’è stato un momento in cui l’Europa era il luogo della contraddizione nella guerra. Mio nonno è entrato in Francia per sparare, la mia generazione va in Francia per fare l’Erasmus, c’è una bella differenza. C’è in questa storia di 70 anni il pensiero di Gobetti, bisogna amare 15 l’Italia con orgoglio da Europei scriveva nel 1924. C’è un pensiero di Giorgio Ambrosoli che scrivendo quella che diventa la lettera testamento alla moglie, dopo aver fatto quello che sappiamo lo aveva fatto in nome della giustizia, dell’etica e della deontologia professionale, scrive “Anna carissima so che saprai educare i nostri figli ed educarli al nome della Patria, si chiami Italia o si chiami Europa” c’è Spinelli che nel ’41 mentre la guerra sta distruggendo il continente immagina il manifesto europeista. C’è la forza dei politici degli statisti che hanno saputo fare con De Gasperi, Adenauer, Schumann e poi Mitterrand, Kohl, l’Europa, quando tutto cospirava per non farla. C’è tanta storia nell’Europa. Però c’è un problema che l’Europa che c’è oggi è l’Europa che sta zitta di fronte al dolore dei ragazzi che stanno in Iran, la mia sinistra non sta zitta di fronte al dolore dell’Iran, di fronte l dolore della Siria, di fronte al dolore ed alle condizioni delle donne del Mediterraneo di fronte alla strage di Cristiani in Nigeria. La nostra sinistra non si occupa soltanto dei fondi europei e dello spread, ragiona della libertà, perché è una sinistra libera. E da questo punto di vista è una sinistra che è capace di cambiare le regole del gioco. Io non voglio parlare in termini astratti, se si guarda la slide che sta nel sito del Ministero per la coesione territoriale ci rendiamo conto di quanto sia concretamente da cambiare il nostro Paese di quanto noi possiamo concretamente fare. E’ una slide che dimostra come i fondi europei in Italia tra il 2007 e il 2013 sono stati di 99 miliardi e 286 milioni di €; soldi nostri che noi abbiamo dato all’Europa e che l’Europa ci ha restituito in misura minore perché questa Europa è un Europa della quale siamo contribuenti attivi, e meno male, vuol dire che siamo un grande Paese,. Guardate che disastro, è un sito ufficiale, non è il mio sito, abbiamo monitorato 16 46,6 miliardi di € 53 miliardi vanno direttamente via, non li recuperiamo, non li stiamo spendendo. Quanto potremo fare per i nostri prodotti, non soltanto nell’agroalimentare, ma quanto potremo fare per le nostre aziende quanto potremo fare per rinnovare i processi, quanto potremo fare per dare un futuro all’Italia se non buttassimo via nel silenzio della classe politica, 53 miliardi di €. E pensate a questa cifra 473.048: i progetti monitorati. Non soltanto spendiamo 47 miliardi ma li mettiamo in 473.000 progetti. Che cosa allucinante, anziché metterli in 100, 500, mille progetti li dividiamo in mille rivoli. E’ chiaro poi che la formazione professionale serve più alle società che fanno formazione professionale, che al licenziato cinquantenne che non trova lavoro e che dovrebbe esser riconvertito, perché ne abbiamo 473.048. E’ chiaro che perdiamo l’occasione per esser credibili. Però la nostra sinistra per dirla con Gustav Mahler persa che la nostra tradizione non è adorare le ceneri, la tradizione è custodire il fuoco. E’ prendere i grandi Valori del passato e esportarli nel futuro, la scommessa che abbiamo fatto è la scommessa di provare a giocarci la partita della primarie. Io non lo so come andrà a finire non lo so davvero penso che se guardo l’entusiasmo dei palazzetti dello sport, delle piazze, dei luoghi, nei quali ci troviamo vi dico che dovremo mettercela tutta per perderla perché siete una forza impressionante. Tanto è vero che secondo me dovremo levare questo nome Matteo Renzi, perché non è quello il vero elemento di forza. Forse all’inizio c’è stato un gesto do coraggio che ha aperto al discussione. Ma noi dobbiamo cambiare la grafica perché sta accadendo qualcosa di nuovo e di diverso, tante persone si stanno mettendo in gioco con il desiderio di tornare a dare credibilità alla politica. Io ho verso di voi pochi ma chiari obblighi, Il 1° se perdiamo, anzi se perdo, in tanFirenze Torre di Arnolfo ti mi dicono che cosa fari dopo, ti farai un tuo partito? Ma signori stiamo scherzando? ma la nostra sinistra è leale, la nostra sinistra è capace di rispettare le regole, la nostra sinistra dice che quando si perde non si scappa con il pallone sotto braccio, si dà una mano a chi ha vinto perché questa è la correttezza delle relazioni dentro il grande gioco delle primarie. Non si scappa, si può perdere, ma non si può perdere la faccia e siccome ho visto qualcuno che ha detto, se vince Renzi noi scateneremo la guerra, come chi diceva “al mio segnale scatenate l’inferno”, vorrei dire che se toccherà a noi perdere, al nostro segnale scateneremo un sorriso di collaborazione, di disponibilità di lavoro comune perché noi non siamo a scatenare le guerre, noi siamo a fare politica in modo libero senza condizionamenti, non abbiamo niente da chiedere abbiamo molto entusiasmo da dare. C’è un passaggio in più che devo dirvi se sono onesto fino in fondo. In tutte le partite delle primarie si è utilizzato la figura del frontliner nel caso di sconfitta. Se si perde nelle primarie solitamente il frontliner ha un premio di consolazione, una regola non scritta: hai combattuto una buona battaglia eccoti il premio di consolazione. Guardate l’elenco di quelli ch sono andati alle primarie nel 2005, primarie dell’Unione. Se levate il mio amico Ivan Scalfarotto e se levate la candidata senza nome che non mi ricordo nemmeno come si chiamasse, perché era volutamente Adriana senza nome, trovo Fausto Bertinotti 11%, premio di consolazione: Presidente della camera dei deputati, Clemente Mastella (non capisco i sorrisi ironici sugli statisti Irpini) meno del 5%: Ministro di Grazia e giustizia (di grazia sicuramente sulla giustizia si può discutere) Antonio Di Pietro meno del 5%, Ministro dei Lavori Pubblici, e guardate come ride Pecoraro Scanio meno del 2%: Ministro dell’Ambiente. Se volete c’è quella del 2007, ma c’è la Bindi poi mi fa le dichiarazioni contro e si sta tutto il giorno a litigare. Lo stesso anche nel 2007, prendetelo per buono o andate a controllarlo su internet. Continua in ultima pagina Quando la Gabanelli vuole “insegnare ai gatti ad arrampicare” ...ovvero: spiegare a Monti come tassare gli italiani... Ad aprile andò in onda la trasmissione Report della nota giornalista Gabanelli nel quale si sosteneva l’opportunità e la necessità di abolire sostanzialmente il denaro cash per sostituirlo con i diversi sistemi di pagamento elettronici. Alla puntata, come sempre ricca di dati e interviste qualificate, ha partecipato anche il Presidente del consiglio pro-tempore Mario Monti al quale la conduttrice ha proposto una, ma bisognerebbe dire: La, soluzione dei problemi economici italiani. Noi siamo umili giornalisti certamente con meno capacità esperienza e soprattutto mezzi della collega (ci consenta di chiamarla così) Gabanelli, ma francamente spiegare a Monti come far pagare le tasse agli italiani ci è sembrato un tantinello presuntuoso, per l’appunto come insegnare ad un gatto come arrampicarsi su una pianta. Comunque abbiamo voluto anche noi dire la nostra e per questo abbiamo riportato dialoghi, interviste e commenti espressi nella trasmissione e dopo le nostre (modestissime) valutazioni, aiutandoci anche con quanto scritto in una recente ricerca del centro studi di Confcommercio. Da Report del 15 aprile 2012 Mezza Italia guadagna meno di 15.000 € ed è senza lavoro un gio- vane su 3 e Monti intervistato da Report afferma che “i problemi che oggi i giovani italiani devono affrontare e che pesano su di loro, sono frutto del forte debito pubblico e della scarsa crescita italiana e tutte e due queste cose sono in gran parte il prodotto della insufficiente lotta alla evasione che c’è stata nel passato.” Nel 2011 sono state fatte 4 manovre con un impatto di 48,914 miliardi che diventeranno 75 nel 2013 e 81 nel 2014 La pressione fiscale non è mai cresciuta così in fretta, ci hanno aumentato le accise sui carburanti, le tasse locali, il tributo sui rifiuti, il ticket sulle ricette mediche, hanno introdotto l’imposta sulla casa, tassato i risparmi, aumentato i contributi agli autori autonomi e l’Iva per tutti, in pensione si va più tardi. Stiamo facendo tutti questi sacrifici per racimolare 81 miliardi in tre anni, mentre 120 - 150 miliardi restano ogni anno nelle tasche degli evasori e sono tanti visto che abbiamo 300 miliardi di nero. Stiamo parlando di un sommerso che può arrivare per l’Istat al 17,5€ del PIL secondo altri studi al 22%. Fra le interviste per strada di Report un agente di commercio afferma che “evadere è legittima difesa” ma la voce del commentatore ci spiega che “la legittima difesa ci ha portato sull’orlo della bancarotta. Eppure ci sarebbe un sistema con cui avremmo subito i soldi per abbassare subito le tasse e fare gli investimenti che servono per dare lavoro alla gente, ci sarebbe e fa leva sulla tracciabilità” Il riferimento è alla moneta elettronica. Per la Gabanelli l’alternativa è fra aumentare le tasse a chi già le paga o tagliare i servizi, oppure introdurre il POS. Su questa domanda retorica si chiede se non valga la pena optare per i secondi Nel 2010 il gettito fiscale è stato di 146 miliardi, più o meno ci dice, la 17 stessa cifra che si frega l’evasione quindi conclude “potremmo esser un Paese prospero e felice”, invece abbiamo dipendenti e pensionati che pagano i servizi ai lavoratori autonomi e imprenditori che evadono e detestano lo stato perché è inerme e li tartassa. Invece di continuare a lamentarci potemmo immaginare un sistema che mette gli onesti in condizione di emarginare i disonesti? Il sommerso vive di nero, il nero vive di contante. C’è la possibilità di farlo emergere in fretta semplicemente cambiando le abitudini?” Nel servizio di Stefania Rimini: dopo altre interviste a cittadini che usano il contante per pagare l’idraulico o per fare acquisti, la cronista ci informa che “I blitz della finanza dagli alberghi di Cortina, agli orafi di Firenze stanno ottenendo un certo effetto mediatico per cui gli scontrini sono aumentati, ma, (sempre per la curatrice del servizio), basta farsi un giro nei negozi del quartiere per capire che la microevasione è sempre arzilla.” Oreste Saccone (www.fiscoequo.it) afferma che nel precedente governo il sistema sanzionatorio è stato fortemente ridimensionato la punto che il nostro evasore di massa medio, nel momento in cui viene beccato ha interesse a chiudere in adesione, perché paga una sanzione pari al 16,66% cioè poco più di un finanziamento di medio-lungo periodo”. “E’ come se uno avesse chiesto un prestito allo Stato, un prestito a consumo” Se gira contante evadere è più facile. Pensiamo a quello che gestisce un agriturismo e invece di pagare i fornitori con un bonifico, va a fare la spesa all’ipermercato paga in contanti e poi si dimentica di dare la ricevuta ai clienti. O il commerciante che vende cash, non fa lo scontrino e poi va a rifornirsi nei magazzini all’ingrosso, senza lasciare nessuna traccia per il fisco. Come quelli gestiti da cinesi nella zona industriale di Padova oggetto di interviste da parte di Report. Con il Pos invece rimane tutto tracciato e toccherebbe pagare le tasse, questo è il problema. Invece con il contante è un attimo farlo 18 sparire all’estero, basta andare in uno dei 35.000 chioschi di Money transfer. Erano 700 solo 10 anni fa; ¼ delle transazioni sono verso la Cina e poi ci sono tutte le badanti dell’est. Alcuni Money transfer arrivano a movimentare oltre un milione di € al giorno, più di uno sportello bancario. Oggi il massimo che si può spedire per la legge sono 999€ alla settimana, prima, ai tempi di Tremonti erano 12.500€. Ma basta un documento falso per aggirare il limite, oppure rivolgersi a compagnie diverse che non sono collegate fra loro e quindi non sanno se una persona ha già fatto il trasferimento. Anche al criminalità movimenta i soldi frazionando sotto la soglia dei 1000 €. Giorgio Toschi (generale della Guardia di finanza) intervistato, afferma che “i denari contante sono il mezzo con cui le organizzazioni criminali continuano a ricorrere per regolare i propri rapporti economici.” Vale anche per gli evasori. Sarà un caso che anche in Italia i 4/5 della banconote ad 500 € sono concentrati vicino alla frontiera con la Svizzera; a Forlì, vicino alla frontiera con San Marino e nel triveneto, definite le “rampe di fuga dei capitali.” Bruno Buratti (altro Generale di Finanza) afferma che l’uso del contante spesso viene interposto all’interno di operazioni tracciate al fine di interrompere il tracciamento. Queste operazioni possono esser bonifici, assegni, pagamenti con assegni o carte di credito, tutti sistemo che impediscono di fare del nero. Attilio Befera (Equitalia) parla di un sommerso attorno ai 300 miliardi, 120-150 miliardi di evasione alla cui base c’è sempre il contante. Gabanelli arriva quindi alla conclusione che finché non si riduce l’uso del contante da questo giro non se ne esce. Conviene lasciare che ogni anno 900 milioni vadano verso l’est senza lasciare traccia?, oppure che 7 miliardi di € l’anno attraverso i Money transfer vadano verso l’Asia soprattutto in Cina? Sono i nostri acquisti cash e i loro acquisti in nero. Non sarebbe più conveniente pagare in maniera tracciabile? Colf, badanti e i cinesi che stanno qui visto che usufruiscono delle nostre scuole, dei nostri ospedali delle nostre strade. Per contenere l’evasione si sono inventati gli studi di settore iniqui per definizione, poi c’è il redditometro che è un po’ come la pesca a strascico, dentro ci va a finire di tutto. Lo scorso anno nei 467.000 accertamenti, sono finiti casi di persone che ad esempio avevano un’auto da 40.000€ ed uno stipendio basso che prendeva in contanti, ma pur avendo dimostrato che poteva mantenere l’auto perché single, convivente con la madre pensionata, che non fuma, non viaggia, non ha spese e conduce una vita moderata è stato multato. Il libretto cointestato non è stato ritenuto strumento valido, se si prelevano soldi in contanti. Così se fai un prestito a tuo fratello la tua dichiarazione non basta perché ti dicono che non è tracciato. E le multe sono dell’ordine di 40-50.000€ e se fai ricorso rischi di pagare il doppio perché le sanzioni non sono più ridotte e così rischi di pagare 7080mila € per non aver fatto nulla di illecito. Se avesse pagato con bancomat, dice Report, si sarebbe potuto difendere meglio. E quando si prende lo stipendio in contante è difficile far valere i propri diritti, ancor di più se si lavora in nero e il datore di lavoro è una S.r.l. Per Gilberto Cerutti, avvocato nel settore delle imprese “le S.r.l. praticano una evasione fiscale sistematica perché si estingue, si cancella e ne sorge un’altra come l’Araba fenice magari con la stessa compagine sociale, o con soci di comodo, o parentele.” Basta una seduta dal notaio per chiudere una S.r.l. e se anche non pagano i dipendenti,questi non possono neanche rivolgersi al tribunale se la società fatturava meno di 300.000€ all’anno per tre anni consecutivi. Sempre l’avv. Cerutti : “Il liquidatore che viene nominato, se qualcuno preferisce non cancellarsi, normalmente è un cittadino bulgaro, albanese, ucraino, moldavo, e la società viene trasferita in una qualunque città di un Paese dell’est dove risulta impossibile notificare gli atti, ed i soci non hanno nessuna ripercussione.” Sono 454.000 le società s.r.l., molte operano con ampi margini di nero, con straordinari retribuiti a forfait. Gli evasori spesso rientrano anche nei trenta milioni di contribuenti che si prendono le presta- sono lavoratori che hanno lavorato 180 ore e ne sono state segnate 51 ed il resto viene pagato come rimborso spese che non è tassato. Altri hanno 744 € tassati e 466 di diarie; il rimborso spese c’è in tutte le buste paga e si aggira su imprti uguali o poco inferiori al percepito come stipendio, casi limite di buste paga con 266 € di stipendio e 586€ di premi. Nessuna delle buste paga gestite dal sindacato è a posto.” E’ quindi immaginabile quanta evasione fiscale queste società hanno prodotto. Il direttore di una di questa S.r.l. afferma di applicare strettamente le norme di legge anche richiedendo più documentazione di quella prevista dalle norme, inoltre il zioni agevolate: buoni casa, riduzione della tassa rifiuti, borse di studio, pur non avendone diritto, passando magari davanti a chi ne ha effettivamente bisogno. Per tutte queste fattispecie, per cui il cittadino beneficia di riduzioni, è necessario che le transazioni avvengano con strumenti tracciati cioè non in contanti. Anche i soci delle cooperativo spesso, sono soci solo per modo di dire, e si trovano a evadere contro i loro interessi. Report intervista uno di questi “soci” che dichiara di avere una busta paga che non corrisponde esattamente alla realtà, perché c’è il problema delle tasse e di versare meno contributi, così si introducono voci come le trasferte i rimborsi spese con cui pagano meno e il “socio” ha meno contributi. Altri risultano part-time quando lavorano dalle 12 ore in su con gli effetti negativi sulla futura pensione. Il segretario Filt (Rocco Lamparelli) carte alla mano evidenzia che “ci DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) attesta e certifica la regolarità del versamento dei contributi assicurativi e previdenziali richiesto addirittura mensilmente. Nelle ispezioni della Finanza su 10 cooperative sono stati trovati 37 lavoratori in nero. Il vicepresidente Confcooperative Lazio (Giuseppe Sparvoli) evidenzia che alle grandi aziende nel cambio appalto viene chiesto di ridurre i costi, non accettando la riduzione di questi costi, si viene esclusi dall’appalto, per cui subentrano altre cooperative che per tre anni sono sicure che se evadono nessuno le controlla, e poi le mettono in liquidazione e c’è un sistema continuo di riciclaggio di cooperative false. Quindi il nero lo fanno tutti dall’ambulante alla S.r.l. dalla piccola cooperativa alla grande società, i padroni di casa, i fornitori, i dipendenti vogliono essere pagati in nero almeno in parte, e la motivazio- ne è sempre la stessa. Un tassista intervistato, dichiara candidamente “che tutto ciò che può evadere lo evade perché se denunciasse tutto ciò che deve alla fine non ce la può fare a sopravvivere.” Così Gabanelli afferma che nell’evasione di massa, quando ne beccano uno lo massacrano. Si porta il caso di un giovane imprenditore che gestiva un ristorante sul lago Maggiore. Nel 2007 riceve un controllo dell’ispettorato del lavoro, ha 11 dipendenti in regola e tre non assunti che erano studenti nel periodo delle vacanze i quali avendo iniziato a lavorare dal 1° giugno, dovevano essere iscritti da prima, ma essendo inseriti nel libro matricola dalla stessa data, il gestore è stato sanzionato con 34.000 €. In altro caso i clienti di un ristorante hanno lasciato il soldi del conto con lo scontrino sul tavolo prima di uscire, il finanziere verifica, ma fa la multa lo stesso perché il titolare non si è accertato che portassero via lo scontrino. Sempre il nostro giovane ristoratore prova a fare le pratiche previste per - l’emersione del sommerso -, perde un giorno intero negli uffici, nessuno sapeva come mettere in regola i ragazzi. Nel verbale della finanza risulterebbe poi che una ragazza lavorava presso di lui mentre era a scuola. Così l’Inps continua a mandargli cartelle per svariate migliaia di € , i processi non hanno portato a niente (salvo i costi degli avvocati) che alla fine gli hanno suggerito di continuare a non intestarsi nulla. Così a trent’anni l’imprenditore oberato dai debiti ha aperto una nuova attività ma assolutamente senza dipendenti. Ne aveva 14 oggi non ne ha più. Per la Gabanelli la colpa di questa situazione è dovuta al troppo nero, si crea insomma una specie di circolo vizioso: se lo si fa perché le tasse sono troppo alte, ma le tasse non si abbassano perché troppi evadono. Sono milioni di microevasioni che sommate fanno 1/5 del Pil e nell’inefficienza del sistema si colpisce nel mucchio. Chi è quel pazzo che in questa situazione ha voglia di far partire una nuova impresa? Sapendo già che deve evadere perché lo fa il suo concorrente? La conduttrice spiega: ”Adesso il 19 governo Monti ci chiede di lasciare sempre più tracce delle nostre operazioni per permettere al fisco di rilevare le anomalie. Guardano come spendiamo i soldi, qualcuno lo vive come una violenza, giustamente perché vanno a ficcare il naso nei tuoi stili di vita. Ma anche questo è un prezzo da pagare a quelli che evadono, perché mica puoi mettere un finanziare dietro a ogni professionista ad ogni commerciante o ad ogni imprenditore!” Per Monti: “Con un forte contrasto all’evasione si acquista legittimità e comprensione agli occhi dei cittadini, in altre misure che sono pesanti, ma che erano e sono essenziali per evitare che l’Italia potesse fare la fine della Grecia…” Per le aziende ritorna l’elenco clienti e fornitori, soppresso da Tremonti nel 2008, così diventa più rischioso non registrare le fatture, faranno anche la radiografia del conto corrente e le banche su richiesta della agenzia delle entrate dovranno trasmettere i dati relativi ai saldi e ai movimenti e poi ci chiedono di fare i nostri pagamenti oltre i mille Euro evitando i contanti. Se si paga un medico col bonifico piuttosto che con la carta, il professionista non ha la tentazione di non rilasciare la ricevuta per il semplice motivo che il sistema la individua e quindi in automatico viene segnalato come persona che evade. Monti: “ ci sarà in prospettiva una convergenza dell’Italia verso l’uso che si osserva negli altri Paesi, di usare di più gli strumenti di pagamento diversi dal contante.” Vuol dire che dovremo usare di più i bonifici, gli assegni, le carte di pagamento e installare i POS le 20 macchinette che leggono le carte. Alcuni cittadini intervistati ritengono che questo sia “solo un sistema del governo per fregare più soldi ai cittadini”, altri affermano che “se diventasse obbligatorio (il Pos) chiuderebbero il negozio.” Per ora è vietato solo il pagamento cash sopra i 1.000 €, così 850.000 pensionati devono aver il conto in banca, che qualcuno lamenta esser un servizio di cui loro non hanno bisogno, infatti molti continuano a pagare in contanti affitto e spese varie. Anche se il governo ha previsto che il conto corrente deve esser gratuito sino ai 1.500 € al di là delle contestazioni delle banche, vedremo quanti pensionati impareranno a utilizzare bonifici assegni o carte di pagamento. La responsabile servizi di pagamento dell’Abi (Rita Camporeale) è convinta che attraverso gli strumenti di pagamento elettronico si può ridurre l’elusione e l’evasione fiscale ed, ovviamente, sono favorevoli ad un abbassamento della soglia di pagamento in contanti, avevano infatti proposto la soglia a 500 € e non a 1000 € Ma Monti spiega che “Nel sistema dell’euro esiste la banconota da 500€ e sarebbe stato paradossale arrivare a dichiarare non utilizzabile una banconota che esiste. E poi l’abitudine in Italia è ancora molto quella dell’uso del contante”. Report rileva che “Eppure abbiamo dato prova di flessibilità cambiando addirittura moneta dalle Lire all’Euro da un anno all’altro, ma l’idea di mettere dentro al radar tutte le nostre spese quotidiane ci spaventa.” Un cittadino intervistato evidenzia che quando si devono pagare avvocati, dentisti, notai per centinaia o migliaia di euro non viene pretesa la fattura mentre al bar per il caffè giornalisti e finanza imperversano. Con il limite dei 1000€ i professionisti che continuano a farsi pagare in nero possono continuare a farlo e anche l’artigiano che chiede 80 senza fattura e 100 con fattura può continuare a farlo. C’è un paese in provincia di Piacenza in cui gli abitanti pagano solo in contanti, c’è un solo negozio che non ha il POS, anche la pensione arriva in posta che è il fulcro finanziario del paese è in contanti La trasmissione ricorda poi che Tremonti pagava 4000€ in contanti per l’affitto di un alloggio al suo braccio destro, e la conduttrice denuncia inoltre come in 11 anni di Governo Tremonti abbia smantellato le misure per la tracciabilità, e che tutti i suoi condoni hanno certamente favorito e incrementato la cultura della evasione. Ritorna su Monti che all’inizio avevano pensato di abbassare la soglia dei 999€ a 500, ma poi ci ha ripensato e contesta la giustificazione data (la banconota da 500 € c’è bisognava usarla” affermando “allora anche il tabacco c’è, bisogna fumare, ma visto che è dannoso per la salute ne hanno abolito il consumo nei luoghi pubblici” . “Nelle banche inglesi non è possibile ritirare una banconota da 500 € perché hanno verificato che nel 90% dei casi l’uso è illegale, detto dal Paese che è il più grande riciclatore mondiale fa un po’ specie” I costi del contante. Dal 1° giugno gli stipendi della pubblica amministrazione sopra i 1000 € non sarà più possibile ritirarli in contante ma verranno depositati sul conto. L’ex direttore dell’ufficio del tesoro che ogni mese paga un milione e mezzo di dipendenti pubblici ha lottato venti anni per arrivare a questo risultato. Gestire il contante dei 20.000 uffici periferici della Amministrazione Statale ha un costo enorme perché ogni ufficio quando pagava stipendi accessori, incentivanti, straordinari e turni ad ognuno di questi un cassiere doveva andare in banca ritirare i soldi, scortato dalla Guardia di finanza, ritornava in ufficio, chiamava tutti i dipendenti che andavano a riscuo- Pagare con il cellulare tere il compenso. E questo accadeva anche più volte al mese, a seconda di quando si pagava lo stipendio, il compenso incentivante o i turni di straordinario, ecc. Gli impiegati andavano a ritirarsi lo stipendio durante gli orari di ufficio con permesso dal lavoro, in certi casi venne fatto una circolare per limitare i pagamenti in contanti. Tutto questo fino a poco tempo fa. Si è dovuto arrivare sino al 2012 per cambiare. Il conto in banca aveva comunque dei costi e delle spese, il governo Monti ha dovuto fare un decreto per costringere il sistema bancario ad offrire un conto corrente senza costi per tutti quei pensionati obbligati ad aprirlo. Il conto corrente deve essere gratuito ma non è stato ancora deciso che i servizi bancari sono servizi pubblici. Le banche non mollano l’osso e qualche impiegato brontola perché non può più riscuotere in contanti, ma poi si abitueranno, mentre a tutti gli altri il governo ha preferito non dare troppo disturbo fissando un limite al contente che di fatto è una rete piena di buchi. La cronista chiede a Villiam Rossi professore di Diritto tributario università di Bologna “il pensionato che continua a lavorare in nero per l’azienda di prima e quindi la sua pensione non la tocca e va solo a depositare, quello viene segnalato con il limite dei 1000 €?” Risposta “Molto probabilmente no, più facile che emerga dalla incompatibilità dei movimenti che ha nel suo conto corrente rispetto alla pensione” e più di tanti non li possono controllare perché la pratica è talmente diffusa...” Rossi: “I controlli mediante gli operatori finanziari, fino adesso ne sono stati fatti 10.000 in un anno, e non è che se ne faranno molti di più…” Cronista: “capirai…” Per la precisione le indagini finanziarie sono state 11.500 lo scorso anno su 40 milioni di contribuenti, c’è quindi troppa gente che evade e senza un sistema di controllo automatico fortemente dissuasivo non li puoi fermare. Alla domanda “se viene abbassato il limite del consumo del contante anche a 100 € per tutti è sufficiente a impedire il sommerso il nero? “ Rossi risponde “ no, sono misure giuste ma non sono sufficienti, per- ché purtroppo possiamo fare tutte le regole possibili immaginabili, ma se qualcuno vuole evadere e ha la complicità del suo interlocutore, lo fa” Continua la cronista “ a meno che non gli rendi così difficile e penoso usare il contante che conviene in ogni caso usare la carta o altro” e Rossi “Sì, bisognerebbe arrivare a stimolare di più l’uso della carta elettronica”. Così Gabanelli conclude che “il fenomeno di massa non lo fermi con un tetto a 1000 € ma neanche a 500, sappiamo che quei 120- 150 miliardi di € all’anno che mancano all’appello si nutrono principalmente di contante, vuol dire che se pagassimo tutto in modo tracciabile, milioni di micro-evasioni verrebbero subito a galla, per noi che differenza fa?: nessuna; chi ha invece assolutamente bisogno di contanti? Gli spacciatori, i tangentisti, quelli che fanno il nero e quelli che evadono” In Italia circolano 37 milioni di bancomat e 34 milioni di carte di credito ma rispetto al resto d’Europa noi queste carte le usiamo tre volte di meno.” Dall’Italia agli stati Uniti passando per la Polonia come si usa la carta e che costi ha? Anche al casello dell’autostrada gli italiani preferiscono fare la coda nella corsia dei contanti mentre la corsia dei pagamenti con carta è sempre libera. Esiste anche il problema delle frodi anche se sono recuperabili. La dott.ssa Di Mattia esperta dei sistemi di pagamento del CRIF così si esprime: “L’incidenza sul numero delle transazioni è pari allo 0,014% un numero veramente contenuto. Le carte, per iniziativa della Comunità Euroapea, hanno ormai al loro interno il chip che è un sistema di sicurezza che permette alla carta di esser meno facilmente duplicabile” Quindi per chi scegli di pagare con sistemi tracciabili in Italia non dovrebbe fare nessuna differenza: se il maglione che sto comprando costa 100 € non devo pagare 105 perché sto utilizzando una carta di pagamento. E’ vietato. Ma se si appoggia ad un conto corrente può avere un costo l’operazione fatta con carta. Nell’estratto conto è come ogni altra operazione, quindi alla fine gli costa come cliente. Dipende da banca a banca e dal costo della gestione del conto. Poi c’è il canone annuale della carta attorno ai trenta € che si può anche azzerare in certi contratti, per i bonifici invece il costo a certi sportelli può arrivare anche a 7 €, fatto su internet molto meno. La cronista suggerisce di cambiare banca se non si fanno buone condizioni per i pagamenti tracciabili. Chi non va d’accordo con le banche può utilizzare carte prepagate che non hanno bisogno di esser associate ad un conto. Costo attorno ai 10 € e si possono far anche bonifici con le Carte Conto con codice Iban che permettono di fare anche le classiche operazioni bancarie come l’accredito dello stipendio e l’addebito delle bollette. Siccome la tracciabilità deve esser garantita il tabaccaio o chi fa la ricarica della carta, deve agire come se fosse un bancario, quando arriva il cliente per ricaricare deve controllare l’identità su un documento, inserire il codice fiscale, anche perché certe carte si possono ricaricare sino a 50.000€ all’anno. Eppure nonostante tutti mezzi a disposizione per pagare in manie- 21 ra tracciabile in Italia il 91% delle transazioni finanziarie si fa in contanti, contro il 59% in Francia e il 69% nel Regno Unito. Persino in una economia meno avanzata come la Polonia pagano con la carta importi medi da 25 €. Un ragazzo polacco intervistato afferma che in un mese usa l’equivalente di circa 70€ in contanti giusto per le piccole spese: gomma da masticare, bibite, sigarette, ecc. In Polonia si paga con la carta anche la metro e il caffè. Ma la patria del no-cash sono gli Stati Uniti. Accade così di dover pagare il parcheggio dell’auto con la carta e la polizia municipale viene allertata in centrale quando la sosta scade, tutti i negozi hanno la loro gift-card: una prepagata da spendere sul posto che si usa come regalo di compleanno e nel bar accettano la carta anche solo per un caffè. Persino la lavanderia automatica ha un suo circuito che ti permette di fare il bucato senza usare il gettone, e quando si esaurisce si può ricaricare al momento con il bancomat, mentre se devo 5 dollari ad un amico glieli posso restituire con il cellulare (vedi foto pagina prec.) Funziona così: dopo esserti connesso, inserisci l’importo, firmi sullo schermo del cellulare per autorizzare la transazione, quindi basta spedire la ricevuta al tuo (ex) creditore via mail. Anche in Europa si stanno introducendo queste tecnologie per pagare ovunque, basta avere un telefonino o un tablet connesso a internet e un lettore di carta di credito che costa un dollaro. Molti piccoli commercianti ce l’hanno, la commissione che si paga è il 22 2,75%, alla fine comparirà la transazione nell’estratto conto: tutto tracciato e Google sta lanciando anche il borsellino elettronico. Il portafoglio elettronico è una applicazione per il cellulare che memorizza le informazioni di base per effettuare i pagamenti e i dati della tua carta negli elementi sicuri del telefono, le commissioni sul bancomat a carico dei negozianti sono molto più basse che in Italia, al massimo 27 centesimi su un acquisto da 100 $. Negli Usa circa il 98% dei negozi accetta il bancomat. Una coppia americana intervistata afferma di usare meno di 25$ al mese ciascuno, spesso non hanno con loro nemmeno il portafoglio, ma solo le carte. Anche a Milano è possibile pagare il caffè con il cellulare, è comodo rispetto al POS normale perché velocizza molto le transazioni inoltre permette di pagare anche piccoli importi come un caffè o un gelato. E’ una tecnologia che si sta testando in una serie di negozi. Uno di questi McDonald dichiara circa 15.000 transazioni al mese. Per utilizzar il servizio bisogna avere abilitato il telefonino che all’interno ha un chip particolare, una tecnologia a corto raggio e nei prossimi anni tutti i telefonini che verranno messi in vendita avranno questa tecnologia. Ma già oggi con un normale telefonino si può evitare il contante pagando via sms. A Firenze come in tante altre città mandando un sms all’azienda trasporti urbani, mi torna indietro un messaggio sul cellulare e che posso far vedere al controllore, così per i parcheggi in zona blu, le corse dei taxi e i biglietti per gli spettacoli. A Torino per pagare il taxi basta inquadrare un codice a barre bidimensionali In questo caso l’utente si iscrive presso la sua banca lascia i suoi dati sensibili solo una volta, dopo di che varrà il suo numero di cellulare e gli verrà richiesto solo un codice di sicurezza che verrà inviato alla banca, il costo verrà dedotto dal conto corrente o carta di credito. Si può utilizzare anche con Smartphone o Pc al posto del POS. Tutte tecnologie che possono esser usate anche per pagare stipendio alla badante, il conto dell’idraulico ecc. Basta un cellulare sia per chi paga che per chi riceve il pagamento. E se il cellulare “non prende” per mancanza di segnale, basta una normale linea del telefono che fa funzionare il POS. In Italia ci sono un milione e mezzo di POS, siamo quindi sopra la media europea, e ci sono anche i POS evoluti: sono i POS in mobilità che usano la rete GSM invece delle normali linee telefoniche. Quindi sotto il profilo tecnologico si potrebbe già oggi fare qualsiasi cosa senza il contante. Visto che il governo spinge per la tracciabilità dovrebbe esser possibile usare la carta soprattutto con le società a capitale pubblico, invece capita di andare all’Aci per pagare un bollo auto e sentirsi rispondere che si accettano solo contanti, così come alle Poste che accettano solo le carte di pagamento Postamat, Postepay e tutte le carte emesse dalle banche con il marchio Bancomat. Ma per mandare una raccomandata accettano solo carte emesse solo da loro stessi. Oltre alle grandi aziende anche quelle piccole non amano il bancomat ad esempio un farmacista afferma che con certi farmaci il cui ricarico è solo del 20-30% o anche meno perdere anche un 2% con il pagamento elettronico non conviene. Inoltre sotto certe cifre c’è la quota fissa di 50 centesimi, quindi se la cifra è bassa uno rischia addirittura di rimetterci. La conduttrice di Report arriva quindi alla conclusione che se vogliamo pagare con sistemi tracciabili, le banche devono calare le commissioni e devono anche farsi concorrenza, perché oggi una vera concorrenza non c’è. Lo dimostra che se vuoi sapere chi ti fa la migliore offerta devi prenderti una settimana di permesso e poi non è detto. Report ha chiesto alle prime 6 banche qual è la commissione media che applicano al piccolo negoziante. A rispondere in 24 ore è stata solo Poste che comunica che sulla carta di credito applicano l’1,25% di commissione , gli altri istituti ci hanno impiegato fra i 5 e i 10 giorni per rispondere: Intesa applica l’1,20%; l’UBI l’1,44%, BPM l’1,5%. Mentre Montepaschi e UniCredit non l’hanno voluto comunicare. Il sistema delle banche è opaco e l’opacità favorisce i prezzi alti, ci si aspetta quindi un intervento governativo, va detto che per chi compra non ci sarebbero ricarichi, però ogni tanto una occhiata all’estratto conto è bene darla. Il problema delle commissioni è per chi vende ed oggi accettare i pagamenti con carta ha dei costi. Alcuni negozianti hanno verificato che in un anno si aggirano sui 500 €: 15 € di noleggio POS, l’operazione bancaria tutti i giorni, la telefonata e le commissioni sull’importo di transazione. Per Giovanni Calabrò direttore generale dell’Antitrust “Il costo c’è ed in alcuni casi si è assistito e si assiste tutt’ora a valori delle commissioni molto molto elevate, in alcuni casi anche sopra al 4-5%, ma quello che conta è che scenda la commissione interbancaria che raggiunge spesso quasi l’1% comunque supera almeno 0,60-0,70% solo quella.” Giustamente rileva la conduttrice che “Quindi l’esercente si ritrova con un costo troppo alto.” L’Antitrust ha fatto 6 milioni di multa a MasterCard e a 8 banche per queste commissioni e per le clausole con cui convenzionano i negozi. Però queste commissioni comunque le ridurranno? Ma c’è da fidarsi? Prendiamo il caso delle prepagate che sono aumentate del 16%, ma i costi sono calati? Per Calabrò il costi stanno invece aumentando, nonostante l’uso delle carte prepagate si stai diffondendo sempre più. E’ intervenuto il Governo che ha azzerato le commissioni per i benzinai, per il pieno sino a 100 €, dopodiché il Governo ha disposto che se le banche non trovano un sistema per ridurre i costi entro la fine del 2012 le commissioni verranno abbassate per decreto. I piccoli esercenti nel frattempo come fanno? La carta utilizzata maggiormente è il bancomat nella funzione pago bancomat, e su quella i costi sono sicuramente più bassi, anche perché il numero di transazioni è già molto elevato già adesso, ed anche le transazioni interbancarie a seguito dell’intervento dell’antitrust sono state recentemente ridotte con commissioni sotto l’1% . Per uno studio fatto dall’osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano anche il contante ha un costo per l’esercente: fra trasporto e conteggio, stima in 1-2% sul fatturato di un tabaccaio quindi 1000 € all’anno su 100.000 € di fatturato, tali costi hanno una crescita esponenziale con il crescer del fatturato Da qui Gabanelli afferma che il costo per le imprese arriva a 10 miliardi all’anno, e poi “come li valuti il benzinaio, il gioielliere il tabaccaio uccisi per rubare l’incasso?” Quindi non esistono reali ostacoli per cominciare a pagare tutto in modo tracciabile, le infrastrutture ci sono, l’offerta degli strumenti è ampia, certo devono diminuire i costi per l’esercente. Però in un paese che fa 300 miliardi l’anno di sommerso sarà un po’ difficile che uno decida spontaneamente di cambiare strada. Ci vuole una forte motivazione, potrebbe esser quella di stabilire una soglia di sbarramento: se stai sotto ci guadagni, se stai sopra ti fai male, ma capire dove bisogna piazzare l’asticella vuol dire sapere quanto ragionevolmente di cash ti serve ogni mese. Vale a dire di quanto io ho bisogno in contanti per i casi in cui non si può pagare in altro modo. Prima di tutto bisogna che non ci siano costi aggiuntivi per cittadini e commercianti quando si utilizzano carte, anche per i professionisti non deve costare più dell’1% che abbiamo visto esser il costo minimo per la gestione del contante. A quel punto cosa importa se si tassa l’uso del contante visto che posso pagare in altro modo? L’elettricista, il medico, il commercialista si possono tutti pagare in modo tracciabile con un bonifico, assegno, carta di credito, anche la paghetta ai figli la si può dare con la carta. Fino a che punto si può fare ameno della moneta? Ragionevolmente, secondo Report, servono attorno ai 150 € in contanti, se esistesse una ritenuta sull’uso del contante quanto inciderebbe su un italiano medio? Nell’ipotesi fatta dalla trasmissione l’uso fino a 150 € non dovrebbe essere penalizzato, per cui se la ritenuto sui prelievi fosse del 33% lo Stato dovrebbe accreditare una volta al mese 50€ ognuno in busta paga sulla pensione o sottoforma di detrazione fiscale. Così nessuno ci rimetterebbe, mentre chi riuscisse ad eliminare del tutto l’uso del contante non avrebbe niente da compensare, e quindi si ritroverebbe con un aumento netto di 50 € al mese cioè 600 € all’anno in più a testa. “E’ solo l’idea di una strada possibile” almeno secondo il ragionamento della Gabanelli “che per ora non è alterato dall’assunzione di sostanze stupefacenti” (lo dice lei), “abbiamo capito che per il parcheggio, il giornale, per la candela in chiesa per la frutta per strada, per le caldarroste, per gli spiccioli della quotidianità possono stare dentro ai 150 €. E’ una cifra arbitraria serve per spiegare il ragionamento, e dentro questa soglia nessuno deve esser penalizzato anzi il contrario. Riassumendo: “Stiamo pensando ad un sistema che possa permettere di far riemergere almeno una parte di quei 300 miliardi l’anno in nero perché ci siamo stufati di sobbarcarci ogni giorno una tassa a causa di chi evade. Il sommerso vive di contanti, quindi bisognereb- 23 be scoraggiarne l’uso, utilizzando mezzi tracciabili naturalmente. Come si scoraggia l’uso del contante?: un dissuasore potrebbe essere un 33% applicato al deposito e al prelievo, abbiamo visto che ragionevolmente ci servono 150 € al mese di cash, quel 33% equivale al 50€ che però mi vengono riaccreditati alla fine del mese che vuol dire 600 € l’anno, su 36 milioni di abitanti sono 36 miliardi all’anno che ritornano indietro. Lì per lì uno dice ma tutta questa storia del denaro tracciabile non era per portare del denaro alle casse?. Certamente sì, perché i 36 miliardi sono un partita di giro che ritornano al cittadino per i suoi 150 € al mese in contanti. Quindi nessuno ha tirato fuori un € in più, ma immaginiamo che l’intera popolazione paghi tutto in modo tracciabile, si ritroverà con 600 € in tasca in più all’anno, in questo caso come si copre questo esborso? Quei 36 miliardi lo stato ce li avrebbe già in tasca perché le operazioni che prima venivano fatte in nero adesso sarebbero accompagnate da fattura sulle quali versi l’imposta pertanto emergerebbe una parte cospicua dei 300 mld che oggi sono in nero, metti che in questo modo dei 120 150 miliardi di evasione ne acchiappi subito 100, 36 abbiamo detto tornano alle famiglie. Ed è un bello stimolo all’aumento dei consumi, ne restano 64 per cominciare ad eliminare una tassa ingiusta che è l’IRAP, per dare la possibilità di detrarre una parte dell’Iva sulle spese che oggi non sono più considerate, dall’idraulico al muratore, per fare investimenti e creare posti di lavoro, cominciare ad abbattree il debito liberandoci dal ricatto della speculazione. E poi inneschi il meccanismo virtuoso della concorrenza leale. Perché oggi se non fai fattura riesci a stare sul mercato se 24 paghi tutto: no. L’obiettivo quindi non è quello di aggiungere una nuova tassa ma rendere preferibile pagare in altri modi e allora vediamo nella pratica cosa cambierebbe per il Paese se si cambiasse con una ritenuta del 33% sia sul deposito che sul prelievo di contante. Oggi la ditta Evasore ti propone 121 € con fattura o 100 in nero in contanti, e per entrambe la bilancia pende verso il nero. Come cambierebbe se ci fosse una tassa sull’uso del contante? Poniamo del 33%. Per pagare in contente la ditta Evasore, il cliente va a prelevare le banconote per 100 €, ma invece di 100 se ne vedrebbero scalare dal conto 150 a causa della tassa sul prelievo. A quel punto il cliente non avrebbe più nessun interesse a pagare in contanti il nero diventano preferibili pagare con bonifico, assegno o carta e la bilancia pende verso la fattura 121 €. Ma se la ditta Evasore proponesse uno sconto ancora maggiore tipo 121 con fattura oppure 80 in contanti, per il cliente non farebbe differenza, ma all’impresa Evasore non conviene perché quando va a versare 80 € in più in contanti gliene accreditano solo 53 a causa della tassa sul deposito. A quel punto anche per la ditta Evasore la bilancia pende verso la fattura.” A questo punto Report fa la proposta a Monti che così risponde: “non sono molte le trasmissioni che oltre a indagare la realtà mi fanno anche proposte di politica economica, questa sembra meritevole di consi- derazione e fra le finalità che ispirano a prima vista c’è una certa pesantezza pratica, e vedo una analogia con la tassa sulle transazioni finanziarie in qualche caso, la Tobin tax che è vero si riferisce ad un contesto completamente diverso, cioè le grandi transazioni finanziarie, mentre questa è riferita alla microevasione, (…) in veste di presidente del Consiglio non mi trovo a mio agio nel dare risposte senza un adeguato studio e valutazioni su politica economica, mi sembra una idea che merita di essere considerata.” Per Gabanelli sono più i vantaggi degli svantaggi, e se poi qualcuno si vuole pagare la cena o il gioiello per l’amate, si compri la prepagata o se preferisce paghi in contanti pagandoci sopra il 33% senza farla troppo lunga perché la partita è decisamente più elevata. Il contributo conclude la conduttrice è da giornalisti, se interessa, i tecnici dovrebbero poi studiare mettere a punto, aggiustare il tiro, e anche veder la questione della soglia che magari per i negozianti potrebbe non andar bene, rivedere le compensazioni, di sicuro è che quando il sistema si autoregola non c’è più bisogno di mandare i finanzieri a controllare gli scontrini, ma tutte le forze potrebbero esser concentrare sulle grandi operazioni di riciclaggio o le grandi operazioni di evasione potrebbero esser impiegate a controllare per esempio, chi consegna direttamente il contante alle banche, i corrieri delle banche che forniscono il servizio completo per portarlo fuori confine. E qui ci fermiamo nel resoconto della trasmissione che prosegue poi con un inchiesta sul banco di Desio e l’invio di capitali in Svizzera. Secondo noi… calma e gesso con i soldi dei cittadini Improponibile oggi dare ad uno Stato colabrodo altri 150 miliardi che andranno sostanzialmente a ricadere sui già ultra tassati cittadini italiani... Ci sembra giusto a questo punto fare alcune osservazioni sulla proposta che Report ha ripreso e sviluppato nella trasmissione del 15 aprile u.s. (La Repubblica ne aveva scritto qualche giorno prima) che è certamente interessante e teoricamente applicabile. Il termine teoricamente riguarda il nostro Paese, e questi tempi, perché se è vero che la Svezia, primo Paese a introdurre le banconote, prevede di passare a No-cash, per l’Italia ci pare esistano condizioni sostanzialmente diverse e riteniamo che un passaggio più o meno repentino come prospettato da Report possa produrre gravi conseguenze che nella trasmissione non sono state nemmeno accennate. I dati Istat ci dicono che il nero è di 300 miliardi per cui fra Iva, Irpef, Irpeg e tasse varie l’evaso è stimabile fra i 120 e i 150 miliardi, diremmo più 150 che 120. Secondo l’ipotesi Report facendo emergere il sommerso verrebbero sic et simpliciter fatturati i 300 miliardi, grosso modo, 100 da subito il resto poi, e gli evasori verrebbero così stroncati nei loro illeciti utili. Facciamo un conto della serva: Ipotesi a) beni e Servizi prodotti o erogati dalla azienda Italia Evasioni, fatti in nero: - 300 miliardi di fatturato non denunciato, deduciamo un po’ di spese (risorse materiali in parte acquistati in nero, risorse umana in parte in nero, tipo finti soci di cooperative ecc.), supponiamo in tutto fra dichiarato e non, costi per 100 miliardi. All’evasore restano 200 miliardi di utili in nero. Ipotesi b) Gli stessi beni e servizi fatturati secondo Report: - 300 miliardi fatturati, deduciamo spese: i costi tutti rigorosamente fatturati, cresceranno un po’, diciamo a 150 miliardi, sul resto l’azienda paga le tasse non potendo fare più nero. Quindi continuando a considerare attorno al 50% (Squinzi parla del 75%) le tasse da versare allo Stato gli utili saranno ora di 75 mld su 150. Ci è difficile immaginare che i soci di Italia Evasioni si accollino tutte le spese imposte dallo Stato passando da 200 mld di utili a 75 mld, quindi più verosimilmente faranno un ragionamento diverso: Ipotesi c) Se voglio guadagnare 200 miliardi devo aggiungere 150 miliardi di spese fatturate, e considerare 100 miliardi di tasse su 200 miliardi. Totale 200+150+100=450 miliardi. Devo quindi fornire gli stessi beni e servizi agli italiani al prezzo di 450 mld. Quindi lo Stato incasserà 150 mld di tasse in più dagli evasori e i cittadini consumatori e utenti, pagheranno per gli stessi beni e servizi forniti dalla Italia Evasioni 150 mld in più. Mettiamoci pure un po’ di tara perché magari qualche evasore rinuncerà ad un po’ di guadagno ma non crediamo di sbagliarci di molto. Però il ragionamenti sia di Report che nostro sottintendono due condizioni: rispettivamente che tutte le partite Iva che in qualche misura fanno del nero, possano rinunciare a una buona parte di utili sostanzialmente riducendo da 200 a 75 miliardi o, viceversa nell’ipotesi nostra, possano accrescere da 200 a 450 mld il fatturato. Non sarà certamente così, perché una parte di partite Iva che campa al limite della sopravvivenza grazie a una parte più o meno cospicua di nero e che non riesce ad accrescere il fatturato del necessario per coprire le tasse in più, chiuderà i battenti, con conseguenti disoccupati, e perdita, presente e futura, per lo Stato di quel poco che, comunque, pagavano di tasse. Quelle aziende che potranno accresceranno i prezzi di beni e servizi, ai limiti ammessi dal mercato, se, come probabile, non ce la faranno a coprire tutte le maggiori spese dovranno ridimensionare l’azienda per ridurre i costi e compensare in qualche modo le maggiori tasse che ora, non più evasori, devono pagare, e fra le prime voci di questi costi figura la mano d’opera… Non ci pare un grande risultato. Passiamo ad un’altra considerazio- 25 ne; nell’ipotesi di Report se lo sconto sui beni e servizi praticato dalla azienda che chiama Evasore è alto dice ad esempio del 20% il cliente ci potrebbe stare a rinunciar alla fattura, ma con un tassa del 33% anche per chi versa denaro liquido in banca l’Evasore ci perderebbe. Noi crediamo invece che verosimilmente Evasore non porterebbe il cash in banca ma lo utilizzerebbe per acquistare in nero: operazione che non sarà il solo a fare, creando una sorta di mercato nero parallelo in cui le transazioni avvengono solo cash. E’ un po’ ciò che succedeva nei paesi dell’ex blocco sovietico. Un turista occidentale che si recava in visita in URSS o in uno dei paesi satelliti doveva versare tutto il denaro che aveva, cash o Travel cheques, alla frontiera. I funzionari davano il corrispondente controvalore nella valuta locale (Rubli sovietici, scellini ungheresi, ecc.) al cambio ufficiale. Girando per i negozi o nelle piazze, esisteva poi un mercato parallelo in cui i dollari o le valute occidentali venivano cambiate a due tre anche 10 volte il cambio ufficiale. Così si poteva comprare un souvenir a 10.000 Fiorini oppure a 1 dollaro che al cambio ufficiale corrispondeva a non più di 2000 Fiorini (il rapporto è puramente indicativo) Si tenga poi presente che i turisti che vengono in Italia già oggi sono (comprensibilmente) esonerato dall’uso del Cash oltre i 1000 €. Immaginiamo quindi in un Paese come l’Italia che conta ogni anno l’arrivo di milioni di turisti quale mole di mercato nero della valuta si potrebbe creare. Le carte sono semplicemente e correttamente una comodità per il cittadino che liberamente decide di usufruirne. Noi crediamo che se in Italia i sistemi tracciabili non sono amati dai cittadini è semplicemente perché non si fidano dello Stato e ne hanno ben donde. Una dei grandi refrain pubblicitari Le informazioni fuorvianti di introdotto da Monti, e ripreso pariReport pari da Report, vuole che in Italia i La trasmissione cita Stati Uniti, Poservizi mancano o non funzionano lonia, Inghilterra come Paesi in cui a causa dell’evasione. si fa ampio uso di denaro elettroniDa qui Monti ha scatenato una sorco, non ci risulta però che in questi ta di Maccartismo nei confronti dePaesi sia tassato il cash, così come gli evasori che riteniamo non solo non ci risulta che tutto il denaro ingiustificato ma la “foglia di fico” inviato in Cina o nei paesi dell’est per nascondere le vergogne delle Europa da badanti e commercianti ataviche disfunzioni italiane che attraverso le Money transfer sia costano ben più dell’evasione. “nero” ossia non abbia pagato le Ricordiamo tutti la pubblicità della giuste tasse. Presidenza del Consiglio “ più scuoA molti infatti sarà capitato di inviale, più ospedali, più servizi se non re denaro all’estero per amici o si evadono le tasse” parenti in difficoltà o semplicemenNoi crediamo che questi servizi siate per acquisti versando denaro no carenti (quando sono presenti contante proveniente da regolari sul territorio) a causa dell’ineffiguadagni e stipendi. cienza dello Stato non per mancanNon siamo a conoscenza di Paesi al za di soldi e quindi per l’evasione. mondo in cui il cash è tassato al Anzi siamo propensi a credere che 33% o anche meno; queste forme anche queste inefficienze invogliadi pagamento sono sempre affianno a evadere. cati alle banconote. Ci piace la metafora della “vasca Che nessuno ci abbia mai pensato? Italia” piena di buchi da cui si perOppure è proprio per i citati rischi de acqua da tutte le parti, con un che ciò non accade? Monti che, per riempirla, invece di tappare i buchi vuole aumentare il getto Nel mondo prevale la tendenza a ridurre la pressione fiscale… non in Italia dell’acqua oltre i limiti di portata del VAR. % ASSOLUTA 2000-2012 rubinetto. Italia Con un’altra metafo3,4 ra il nostro è uno Giappone 2,9 Stato tossico che Norvegia 0,6 chiede più soldi ai Francia 0,4 cittadini per farsi Regno Unito dosi crescenti di 0,0 sprechi. Svizzera -0,6 -0,9 -1,0 -1,2 -1,2 -1,3 -1,4 EuroArea17 Unione Europea 27 Grecia Olanda Belgio Austria -2,1 -2,5 -2,8 Spagna Germania Danimarca -3,5 Stati Uniti -4,0 Finlandia -4,5 Canada 26 Svezia -6,3 Sprechi o evasione? Gli “inventori” delle istituzioni hanno scoperto sin dall’antica Roma che è molto più efficace chiedere soldi per “carrozzoni” inutili e dannosi che per sé stessi come persone. E’ la stesso logica dei Vuccumprà o dei lavavetri: se chiedo la carità pochi la danno, se fornisco un servizio anche se non se ne sente il bisogno, posso chieder soldi. Con questi criteri si creano e finanziano partiti, cariche pubbliche, enti strumentali, gruppi, associazioni e istituzioni. Sarebbe interessante contare quanti enti, associazioni, istituzioni tutti con presidenti, consigli d’amministrazione, bilanci più o meno milionari, sono presenti negli altri Paesi europei: senza saperlo siamo sicuri che l’Italia li batte tutti. A questo servono buona parte delle tasse dei cittadini e naturalmente tutto questo va a scapito dell’efficienza dei servizi. Quanto costa un posto letto in ospedale, una sentenza della giustizia, una persona/km su mezzo pubblico o una t/km di merce trasportata in Italia o in Europa? Tralasciamo confronti con USA, Cina o Brasile con cui comunque nel mercato globalizzato siamo volenti o nolenti in competizione. Quanti credono che se tutti lo di efficienza del sistema giudiziastudi della Confcommercio, "il tempagassero le tasse le inefficienze rio ed è agli ultimi posti per la capo di attesa per una sentenza di come per incanto scomparirebbepacità di risolvere controversie tra fallimento o di insolvenza è praticaro? imprese, per la diffusione di pagamente raddoppiato passando, da Quanti credono che semplicemente menti irregolari e tangenti, per i uno a quasi due anni (quasi 5 volte invece con più soldi ci sarebbero costi e i tempi di adempimento dei tempi dell'Irlanda e il doppio del più sprechi? gli obblighi fiscali, occorre un nuRegno Unito)". "Anche sul fronte Lo studio della mero di ore quasi 5 volte superiore dei servizi pubblici ai cittadini - seConfocommercio a quello del Lussemburgo. Negli condo il rapporto - l'Italia mostra Riproponiamo, se c’è ancora qualultimi dieci anni, sottolinea l'ufficio risultati tutt'altro che brillanti, in cuno che non lo sa, gli elementi particolare per la scardella tossicità del nostro Stato tratti dal recente Lo studio considera una serie di parametri che chiama sa qualità ed efficienza studio di Confcommercio determinanti dell’evasione fiscale e li compara con gli delle istituzioni e delle ma non solo (leggetevi i altri Stati Europei. L’Italia si trova in fondo alle classi- infrastrutture". Ma lo studio non si fernumeri precedenti di OP) fiche. ma qui, esamina anche Sulla benzina e sul gasocosa accadrebbe all’elio abbiamo le tasse più Determinanti Migliore Italia Peggiore vazione fiscale se il alte d'Europa 58,2% qui dell’evasione Belpaese si allineasse a non mi pare ci possano essere evasori, ma il suo efficienza del quadro giuridico Svezia Italia (25°) Slovacchia (26°) ciascuno dei parametri determinanti l’evasiocosto cresce... ne, delle altre nazioni Lo studio considera una giorni per ottenere una sentenza serie di parametri che definitiva in materia contrattuale Finlandia Italia (23°) Slovenia (24°) più virtuose. Così scopriamo che aumentanchiama Determinanti do solo dell’1% detti dell’evasione fiscale e numero di procedure giudiziarie li compara con gli altri per fare rispettare un contratto Irlanda Italia (23°) Cipro (24°) parametri l’emersione del sommerso sarebbe Stati Europei. L’Italia si Svezia Italia (23°) Messico (26°) di qualche punto % trova sempre in fondo istituzioni alle classifiche. Rispetto infrastrutture Francia Italia (26°) come ci raccontano i grafici nelle pagine agli altri Paesi infatti l'Italia ha il più basso livel- tempi di pagamento della P.A. Finlandia Italia (18°) seguenti. tempo per gli adempimenti fiscali Lussembugo Italia (22°) Messico (25°) 27 I determinanti considerati nello studio di ConfCommercio Importanza delle variabili determinanti Se aumentasse dell’1% La % di sommerso economico in Italia cambierebbe del… …la percezione dell’output pubblico -0,8 …la facilità dell’adempimento -0,5 …l’efficacia/efficienza del sistema dei controlli/sistema giudiziario -0,5 …la pressione fiscale legale media 0,5 …la progressività del sistema tributario 0,1 “L’arte si spinge anche più avanti attraverso l’imitazione di quel prodotto razionale che è l’opera più eccellente della natura: l’uomo. Viene infatti creato dall’arte quel grande LEVIATANO chiamato REPUBBLICA o STATO (in latino CIVITAS) che non è altro che un uomo artificiale, anche se ha una statura e una forza maggiori rispetto all’uomo naturale, per proteggere e difendere il quale è stato voluto. (…) La moltitudine così unita in una sola persona si chiama STATO (…). E’ questa la generazione di quel grande LEVIATANO, o piuttosto (per parlare con maggiore rispetto) di quel dio mortale, al quale dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa" (T. Hobbes, 1651). 28 TASSO DI SOMMERSO ECONOMICO (% DEL PIL) Come si modificherebbe il tasso di sommerso economcio se… la percezione dell’output pubblico in Italia, come per incanto, si portasse ai livelli del Belgio 17,5 17,5 16,5 15,5 14,5 13,5 13,9 maggiore imposta emersa = 38 mld. di euro a favore dei contribuenti in regola 12,5 4,1 5,2 11,5 INDICATORE (1-7) DI PERCEZIONE DELL'OUTPUT PUBBLICO 29 TASSO DI SOMMERSO ECONOMCIO (% DEL PIL) Come si modificherebbe il tasso di sommerso economico se… i costi dell’adempimento fiscale spontaneo si riducessero, per miracolo ai livelli della Danimarca 17,5 17,5 16,5 15,5 14,5 16,2 maggiore imposta emersa = 14 mld. di euro… 13,5 12,5 5,5 6,4 11,5 INDICATORE (1-7) DI FACILITA' DELL'ADEMPIMENTO SPONTANEO 30 TASSO DI SOMMERSO ECONOMICO (% DEL PIL) Come si modificherebbe il tasso di sommerso economico se… l’efficacia/ efficienza dei controlli/sistema giudiziario (valore atteso della pena) fossero di colpo portati agli standard degli USA 17,5 17,5 maggiore imposta emersa = 56 mld. di euro… 16,5 15,5 14,5 13,5 12,5 11,5 12,2 3,2 5,1 INDICATORE (1-7) DELL'EFFICACIA E DELL'EFFICIENZA DEL SISTEMA DEI CONTROLLI 31 A proposto di evasione... Evasione ma non solo L’evasione fiscale è solo una parte del Noe (Economa non rilevata). Il fatturato delle - Attività illegali mafia, camorra, ‘ndrangheta in Italia è in costante crescita (vedi numeri passati di OP) Spend and tax or tax and spend? Alcune conclusioni dello studio di Confcommercio Come si calcola l’evasione fiscale Non riteniamo possibile un equilibrio macroeconomico e sociale nel quale, oltre ai circa 800 miliardi di entrate, il settore privato dovesse consegnare altri 154 miliardi di euro annuali al settore pubblico. Il processo di restituzione fiscale, più volte invocato e da più parti, non è soltanto una comprensibile e legittima aspirazione dei contribuenti in regola né semplicemente uno strumento per creare consenso sociale verso i comportamenti fiscalmente corretti: esso costituisce parte integrante della lotta al sommerso economico e all’evasione fiscale. Gli equilibri macroeconomici attuali non consentono di ipotizzare alcuna ulteriore migrazione netta di risorse dal settore privato al settore pubblico, neppure mediante recupero di imposte evase. Pertanto, immaginare che la lotta all’evasione fiscale, senza il parallelo processo di restituzione fiscale, possa avere successo, è una pura illusione. Una perfetta strategia di controlli e accertamenti porterebbe, in questa ipotesi, semplicemente a una riduzione del livello di attività economica piuttosto che un incremento dell’imposta recuperata. In Italia, la frazione di Pil dovuta al sommerso economico è pari al 17,5%, un valore moderatamente decrescente negli ultimi dieci anni Se consideriamo la pressione fiscale apparente del 2012 (cioè data dal rapporto tra gettito e Pil, così come queste grandezze vengono osservate e cioè ci appaiono) le nostre stime dicono 45,2% (non dissimile dalle valutazioni di altri centri di ricerca e da quelle dello stesso Governo contenuto nel DEF 2012). Ora, se da questo rapporto togliamo la parte di Pil che non paga imposte - cioè assumiamo che sull’imponibile sommerso non venga pagata alcuna imposta - otteniamo la pressione fiscale effettiva o legale, cioè quella che mediamente è sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato in Italia: questo valore è pari al 55% [(cioè 45,2/(1-0,175)]. Questo valore non solo è il più levato nella nostra storia economica recente ma costituisce un record mondiale assoluto. Moltiplicando il valore nominale del Pil stimato per il 2012, pari a circa 1600 miliardi di euro, per il tasso di sommerso economico (17,5%) per l’aliquota media (legale o effettiva) pari al 55%, l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). 32 Nell’approccio economico all’evasione fiscale, adottato da ConfCommercio, non si può proprio prescindere da quanto “Stato” ci sia all’interno del sistema economico. Tanto più che l’evidenza empirica chiarisce che la dimensione delle pretese fiscali della pubblica amministrazione è determinata, nel medio lungo termine, dall’ampiezza della spesa pubblica. Questo concetto si sintetizza come schema dello spend and tax, contrapposto a un più liberale tax and spend. Se la tassazione fosse determinata prima della spesa, cioè se la spesa avesse un vincolo nella tassazione, non si potrebbe creare debito pubblico (vengono prima le risorse e poi, vincolate alle prime, le spese). Se vale lo spend and tax, per ridurre le tasse bisogna soprattutto ridurre le spese. Se maggiore voracità genera maggiori imposte necessarie, ciò non implica che tali imposte siano realmente versate. Maggiori pretese della pubblica amministrazione implicano maggiori vantaggi nell’adottare l’opzione exit, cioè di uscita dal sistema dell’economia legale per rifugiarsi nel sommerso. Con la conseguenza di un aumento delle pretese fiscali sui contribuenti che per qualche ragione non possono o non riescono ad evadere. Ma anche questi ultimi, a parità di altre condizioni, avranno meno voglia di partecipare all’attività produttiva, visto che minori ne risulteranno i vantaggi economici. In tempi di crisi economica l’assunto è uno solo: la spesa pubblica deve essere diminuita!! A proposito di sprechi dedichiamo alcune pagine alle denunce dei sindacati regionali sugli sprechi e sulle disfunzioni dell’ente... ma ce n’è per tutti... Come è noto, uno dei “giochetti economici” meglio riusciti dalla politica e messo in atto da sempre nell’Ente Regione Piemonte (ma non solo), riguarda l’istituzione di società a partecipazione totale o maggioritaria dell’Ente, di aziende regionali, istituti, consorzi, organismi ed enti strumentali… Questi “carrozzoni” determinano uno sproposito di costi a carico dell’Ente Regione Piemonte!!! Sarebbe ora che anche il Governo della Regione Piemonte, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento e razionalizzazione delle spesa pubblica, procedesse a promuovere una serie di azioni legislative volte alla vendita o alla cessione delle quote di proprietà, delle società regionali. Risulta quindi improcrastinabile che il Governo regionale attivi realmente una politica, volta ad una netta riduzione della partecipazione (laddove non più necessaria) del nostro Ente, diretta o indiretta, a consorzi e società a partecipazione regionale attraverso la dismissione, liquidazione, fusione o all’incorporazione delle succitate realtà. Questa tematica deve essere affrontata in Consiglio Regionale, i partiti non possono e non devono fare, su questi temi, teria, per iniziare a ridurre gli sprechi presenti all’interno della nostra Amministrazione. Degenerazioni e sprechi generati e voluti, in molti casi, dagli stessi interessi della politica. Che dire infatti in merito ai compensi dei Presidenti e/o Amministratori delegati delle società a totale o maggioritaria partecipazione regionale e di quelli spettanti a ciascun componente degli organi di amministrazione e degli organi di vigilanza e controllo? Che si vieti a tali società di adottare provvedimenti atti ad incrementare tali compensi, anzi si obblighino a ridurli!!! Occorre infine fare chiarezza: o Sull’incremento delle spese per consulenze attivate da tali società e sui costi relativi a carico dell’ Ente Regione Piemonte; o sulle modalità utilizzate per le assunzioni del personale sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. o sui costi di tale personale… Il tutto ovviamente salvaguardando, in termini occupazionali, il personale di ruolo di tali ambiti lavorativi. “orecchie da mercante”. Che i cittadini/elettori sappiano ricordarsi delle azioni messe in campo dalla politica in questo momento storico. Chiediamo pertanto al Consiglio Regionale di legiferare su questa ma- 33 Le spese non sono diminuite neanche la magistratura è riuscita nell’ impresa! 34 I tagli sui rimborsi e le indennità dei Consiglieri regionali sono solo del 20% e a decorrere in alcuni casi dal 2013 ed in altri dal 2015. C’è da vergognarsi AD OGGI LE COSE RIMANGONO COME SONO! Constatiamo che i dati su i rimborsi e le indennità dei Consiglieri regionali, pubblicati sul sito del Consiglio regionale e comunicati alla stampa, sono solo parziali. La vera entità dei rimborsi si attesta su circa 2.050.000,00 euro annui, in aggiunta ai 600.000,00 euro riportati dai giornali a favore di 69 soggetti percettori anziché dei 60 consiglieri statutariamente previsti. Totale 2.650.000,00 € Come promesso con questo comunicato inizia la pubblicazione di ALTRI SPRECHI REGIONALI Ad esempio: ARESS (AGENZIA REGIONALE PER I SERVIZI SANITARI), doppione dell’Assessorato alla Sanità è costata alla collettività piemontese circa: · € 4.841.000,00 per l’anno 2008; · € 4.923.500,00 per l’anno 2009; · € 5.861.593,00 per l’anno 2010; · € 6.791.587,00 per l’anno 2011. A fronte di queste concrete spese, che cosa ci hanno guadagnato i cittadini piemontesi? - Sono diminuiti i tempi di attesa nella sanità? …Tutt’altro… - Sono aumentate le performances degli ospedali in tema di salute? … Tutt’altro… Basta una piccola testimonianza per capire la destinazione dei soldi pubblici erogati dalla Regione Piemonte e gestiti dall’ARESS : (notizia tratta da LA STAMPA del 20/04/2012) Il Direttore Zanon: “…non ne sapevo nulla!… All’ARESS Piemonte il sorvegliante di notte era il figlio del responsabile economico e finanziario del personale. Ma il Rag. Pietro Cicorella, dopo aver imposto all’agenzia interinale interpellata dall’ente regionale di servizi sanitari un unico candidato per quel posto, suo figlio Marco Giuseppe, avrebbe fatto il possibile e l’impossibile per ridurre al minimo la fatica al proprio rampollo. Così al minimo, secondo i Carabinieri del NAS, che, il “sorvegliante di famiglia” neanche si presentava al lavoro pur percependo 3.000 euro al mese. Ora il padre è sempre in servizio “ma senza potere di firma”, puntualizza Zanon, “l’ho sostituito con il Direttore amministrativo delle Molinette preso come consulente” (e quanto costa questa duplicazione?)". Ecco dove finiscono i soldi dei contribuenti !!! S.C.R. – PIEMONTE S.P.A. Altro esempio di spreco La S.C.R. – Piemonte S.p.A. è stata istituita con la legge regionale n. 19/2007, al fine “di razionalizzare la spesa pubblica e ottimizzare le procedure di scelta degli appaltatori pubblici nelle materie di interesse regionale”. Quindi deve occuparsi in nome e per conto della Regione Piemonte di tutte le procedure di gara e di appalti e di forniture di beni e servizi. In realtà la SCR si è sempre occupata solo parzialmente degli appalti regionali, infatti la “mole” di lavoro consta di appena 34 procedure svolte in materia di opere pubbliche sanitarie, opere pubbliche di viabilità e fornitura di alcuni beni. Non doveva essere una centrale di committenza in cui riversare tutte le procedure regionali di gara e forniture, come dispone la legge e le successive dichiarazioni in tal senso da parte dell’Assessore Bonino? Nulla di tutto questo!!!!! L’ulteriore aggravante deriva dal fatto che quelle poche attività svolte rientrano nelle competenze di 5 Direzioni regionali (Trasporti, Sanità, Opere Pubbliche, Patrimonio e Comunicazione), composte da oltre 700 dipendenti della Regione Piemonte. ALTRO DOPPIONE Possibile che oltre 700 unità di personale dell’Ente regione non fosse in grado di espletare con efficienza tale carico di lavoro? NOOO!! Altrimenti come si potevano sprecare le risorse pubbliche pagate dai contribuenti e stanziate dalla Regione Piemonte? Ecco quanto costa ai contribuenti SCR, secondo i dati dei bilanci di previsione relativi agli anni 20102011-2012: per rimborsi: nel 2010 euro 9.700.000,00 nel 2011 euro 15.255.252,00 nel 2012 euro 22.289.777,00; per fondo inizio attività euro 2.000.000,00 per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012; capitale sociale interamente versato dalla Regione Piemonte euro 1.120.000,00; per assistenza informatica, raccolta dati della Direzione Trasporti: euro 862.000,00 nel 2011 euro 360.000,00 nel 2012; per attività di promozione euro 100.000,00 nel 2012; somme rimborsate dalla Regione Piemonte ad SCR in percentuale sulle attività svolte, secondo quanto previsto nelle convenzioni con cui vengono affidati gli incarichi. A fronte di 34 attività svolte nel 2011 la SCR è costata ai contribuenti negli ultimi 5 anni circa 85.000.000,00 di euro. A cosa servono quindi tali risorse pubbliche se le funzioni sono cosi poche e facilmente espletabili dalle Direzioni regionali? Da dove si ricava l’efficienza posta a fondamento della nascita di tale carrozzone? Ecco la risposta: mantenere e supportare i costi di una sede prestigiosa sita in Corso Marconi a Torino; pagare i lauti compensi agli amministratori della società; pagare i dipendenti assunti in forma privatistica e clientelare (48 unità, suddivisi in 8 dirigenti, 7 quadri e 33 impiegati per un totale di costi del personale pari ad euro 3.512.632,00 annui), con un dirigente ogni 6 dipendenti. Il consulente LUPPI, assunto dal Presidente Cota ad un costo di euro 100.000,00 per individuare gli sprechi nell’Ente (c’era proprio bisogno di lui? Non è proprio il suo lauto compenso un altro spreco?), si è mai fatto un giro in C.so Marconi.? Ultima chicca: la società vanta un risparmio di euro 220.000,00 su attività informatiche non affidate al CSI. In pratica la SCR (società re- gionale) afferma che il CSI (altra società regionale) pratica tariffe esose. Ma è mai possibile che la Regione Piemonte riesce ad avvalersi solo di fornitori in esclusiva così cari???? Nella primavera scorsa il Consiglio regionale ha affrontato la questione, istituendo anche una Commissione di indagine per verificare le storture di SCR stessa. Si citano, esempio, le dichiarazioni del consigliere Buquicchio: il 26/4/2012 testualmente affermava “più competenze e controlli su SCR, altrimenti è meglio chiudere”; sullo Spiffero affermava “ SCR SpA andrebbe chiusa, costa troppo e mancano le competenze necessarie per proseguire l’attività”. E che dire degli scandali che hanno travolto SCR? Riportiamo: La Repubblica del 14/4/2012 “ Tangenziali a colpi di tangenti. La SCR travolta dallo scandalo. Indagati costruttore e funzionari”; La Repubblica del 18/4/2012 “Dallo scandalo SCR…..PD e parte del PDL chiedono di sciogliere la società di appalti”. Tranquilli, SCR è ancora viva, ma soprattutto la Giunta regionale ha ritenuto di premiare tali inefficienze portando lo stanziamento di SCR dai 9.700.000,00 del 2010 ai 22.289.777,00 del 2012. Vergogna e… ancora vergogna! Torino 11/10/2012 NOTA: le fonti utilizzate per questo articolo sono la Legge regionale 19/2007, ultimo bilancio approvato SCR 31/12/2011, convenzione quadro tra Regione Piemonte ed SCR, bilanci della Regione Piemonte 2010, 2011 e 2012 35 FINPIEMONTE S.P.A…. Continuano gli esempi di spreco delle risorse regionali La Finpiemonte S.p.A. nasce nel 1977 come Istituto Finanziario Regionale a prevalente partecipazione regionale, istituita con la legge regionale n. 8/1976, per agire quale strumento dell’attività di programmazione ed attuazione del piano di sviluppo economico regionale secondo criteri di economicità. Il suo ruolo si concretizza in attività di supporto nella gestione di finanziamenti agevolati inerenti alle differenti materie di competenza regionale e di Partecipazioni. Nel 2007 la Regione Piemonte ha diviso in due la società: FINPIEMONTE S.p.A: (in house) a capitale completamente pubblico e FINPIEMONTE PARTECIPAZIONI S.p.A. a capitale misto per razionalizzare le attività relative alle partecipazioni, investendo notevoli somme e successivamente disponendo forti aumenti di capitale che dovevano servire al rilancio dell’economia piemontese. Finpiemonte SpA ha dichiarato che nei suoi oltre 30 anni di attività ha erogato fondi regionali e comunitari per oltre 3.000.000.000,00 di euro. Ben un terzo di queste risorse sono state attribuite alla S.P.A. dalla Regione Piemonte negli ultimi 5 anni. Per questo servizio la Regione ha pagato corrispettivi per circa 18 Milioni di Euro. A PROPOSITO DI ECONOMICITA’: (un altro DOPPIONE?) Qualcuno ha verificato quali sarebbero stati i costi se l’erogazione degli stessi contributi fosse avvenuta a seguito di istruttorie svolte dai competenti uffici regionali? Trattandosi di attività relative a materie di competenza regionale, sono stati individuati i responsabili dei procedimenti? Finpiemonte ha reso trasparente il procedimento per conoscere a chi e quanto è stato erogato? Quali sono i presupposti che rendono conveniente ed efficace, per l’Ente Regione, l’affidamento totale o parziale di attività di istruttoria riguardanti assegnazione e/o erogazione di contributi regionali? In questa fase di recessione e di carenza di risorse economiche disponibili in ogni ambito di intervento regionale chi controlla le scelte di Finpiemonte che applica tariffe che risentono di forti spese di gestione come il costoso affitto della “prestigiosa” sede di Galleria San Federico ed il ricorso a consulenti? Torino 19/10/2012 NOTA:la fonte utilizzata per questo comunicato e il sito internet di Finpiemonte. 36 Tagliato il ticket restaurant negli Enti Pubblici Sgomento per il taglio del valore del Ticket restaurant. Un’ennesima mannaia che si abbatte contro i dipendenti del comparto del pubblico impiego. Una riduzione del potere d’acquisto di circa 80 Euro mensili, non poca cosa considerato che da anni: 1) non viene stipulato un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di tipo economico; 2) non vengono attuate politiche di progressioni di carriera (orizzontali o verticali); 3) non si fa più contrattazione decentrata che abbia come politica del personale l’obiettivo di un recupero del potere d’acquisto; 4) sono in aumento in maniera esponenziale i costi energetici del fabbisogno famigliare (luce, acqua, gas, benzina/gasolio), i lavoratori, come riferiscono le indagini e numerose testimonianze non riescono più a pagare neppure le bollette; 5) sono in aumento i costi correlati all’utilizzo della macchina, assicurazioni in testa, mentre aumentano i costi dei biglietti dei mezzi pubblici; 6) da anni sono in aumento i prezzi dei generi alimentari soprattutto quelli di prima necessità; 7) sono in aumento le tasse scolastiche, i prezzi dei testi scolastici e i relativi accessori necessari per la frequentazione, compresi gli abbonamenti per studenti dei mezzi di trasporto pubblico; 8) sono in aumento i costi degli affitti (decine di migliaia la cause di sfratto per insolvenza), l’IMU ha determinato dei costi dell’immobile intollerabili al punto da indurre tanti proprietari a scaricare sugli affitti i rincari o a metterli in vendita (vanificati anni di sacrifici); 9) sono in aumento i costi per le medicine necessarie per le cure, delle analisi, soprattutto quelle specialistiche (mancano le risorse economiche, le persone e non solo anziane non si curano più, paradossalmente è diventato un lusso economico curarsi); 10) sono aumentate le spese in generale determinando l’impossibi- lità di usufruire delle vacanze estive, vedasi la forte contrazione rilevata dai vari Istituti in merito. Il decalogo sopradescritto non descrive in maniera compiuta il disagio economico di cui è permeata la società italiana, la lista è ancor più lunga ed ormai investe vasti strati della sociètà italiana. Caliamo un velo pietoso sulla politica degli investimenti, poiché non esiste, eppure sarebbe necessaria, per rimettere in moto la richiesta alla domanda del mercato, almeno quello interno. Ci chiediamo, è mai possibile che in tutto questo bailamme, in una società liberale come quella attuale, l’unica cosa che si riesce a controllare e bloccare, siano solo i salari e le pensioni con particolare riferimento poi a noi del Pubblico Impiego? Ricordiamo che analisi serie hanno certificato che la classe operaia e impiegatizia italiana è tra quelle che nella Comunità europea è retribuita meno, segnando un forte disavanzo salariale e quindi del potere d’acquisto, al contrario, invece consideriamo quanto sia stata sbrigativa la riforma delle pensioni, la riforma del Welfare sacrifici richiesti per uniformarci agli standard europei. Nel caso del pubblico impiego poi, si ricorda ai più, che si è spostata la contrattazione su un doppio binario, Nazionale (CCNL), locale (contrattazione decentrata) favorendo sempre più l’erogazione di un salario accessorio flessibile ma per sua natura vulnerabile e quindi agli occhi dei politici furbastri, all’occorrenza, facilmente da rimuovere, vanificando anni di conquiste sindacali. Questo fenomeno, così, applicandolo nel futuro ingenererà gravi squilibri economici, perché il salario accessorio conseguito negli anni scorsi è servito come tampone (precario aggiungiamo NOI) a parziale tutela del potere d’acquisto. Tornando alle origini del tema non condividiamo l’azione dello Stato e della Regione Piemonte perché sia i primi che i secondi nella loro concertazione hanno commesso gravi errori di fondo che non trovano alcuna giustificazione poiché: come è noto a tutti, vi sono regioni più produttive di altre; b) vi sono regioni con un reddito procapite maggiore di altre; c) vi sono regioni i cui bilanci risultano essere più virtuosi di altre regioni; d) non si è tenuto conto delle differenze salariali poiché si è tolto la stessa cifra senza distinzione tra chi prende 27.000 Euro e i 150.000 Euro, perché gli effetti che tale disposizione ha nei confronti dei redditi più bassi è devastante, ricordiamo quanta difficoltà prima del provvedimento per arrivare a completare l’ultima settimana del mese (verrebbe da pensare che gli ultimi la mantengono perché il sacrificio maggiore viene chiesto a chi prende 27.000 Euro). e) non si è tenuto conto infine degli effetti, della ricaduta che tale azione avrà sul territorio, sugli esercenti, bar, ristoranti, mense, ecc. ecc. perché una cosa è sicura vi sarà una forte contrazione dei consumi. Ricordiamo ai più smemorati che sulla mensa è stata concertata con l’Amministrazione dell’Ente Regione Piemonte, nelle precedenti legislature, la dismissione in cambio di un adeguato ticket che è risultato il frutto di: 1) economie ricavate dalla dismissione di locali adibiti per la mensa; 2) economie dal risparmio di attrezzature e macchinari utilizzabili per il servizio di mensa; 3) economie ricavate dal risparmio di gas, luce, acqua. Ricordiamo inoltre che il valore del ticket di 11 euro (aggiornato nel corso degli anni e da tempo non più aumentato), è frutto di analisi dei costi di ristorazione effettuati su tutto il territorio regionale, confronto effettuato a suo tempo con i gestori di ristorazione da parte dei funzionari del nostro Ente. Ma in tutti questi anni i prezzi alla vendita dei generi alimentari sono aumentati o diminuiti? Noi siamo indignati dall’atteggiamento di questo governo regionale che disdice gli accordi sottoscritti tra la precedente Giunta regionale e le OO.SS.. Cosa direbbero questi “politici” se anche le OO.SS. facessero altrettanto? Sarebbe considerata una cosa seria? Anche sulle politiche sul Personale questa Amministrazione non è affidabile. Come mai in conferenza StatoRegioni l’Assessore Quaglia non ha espresso perplessità, sulla legittimità della legge 135/2012 (spending review) in materia di personale? Tale legge non lede forse i nostri diritti acquisiti previsti e conseguiti dal CCNL e conseguiti con la contrattazione integrativa, decentrata? (vedasi accordi sottoscritti in passato tra le OO.SS e l’Ente Regione Piemonte sulla mensa e sui ticket). Perché la Regione si è attivata per sollevare i limiti di incostituzionalità di tale legge solo sul tema che riguarda la riforma del sistema delle province? Perché l’Assessore leghista QUAGLIA non propone di tagliare il Ticket agli uffici di comunicazione ai Direttori e ai Dirigenti, magari ottenendo lo stesso il risultato di significativi risparmi? Giulio MELONI (Dirigente sindacale CSA Ente Regione Piemonte) a) non si è tenuto conto delle differenze territoriale, poiché 37 Ce n’è per tutti... Riportiamo un estratto del libro (2008) -L’altra casta- Un vecchio libro, ancora attuale 38 Proponiamo ai nostri lettori un “vecchio” libro, pubblicato nel 2008 dove si parla dell’- altra – casta quella sindacale che ci pare ancora attuale specialmente in periodo di crisi. Nel leggere questo articolo o il libro il lettore abbia l’avvertenza di ricordare che i riferimenti allo scenario politico sono quelli di 5 anni fa, per il resto però poco è mutato. Riportiamo sotto le indicazioni del libro e la recensione dell’editore. L'ALTRA CASTA. PRIVILEGI. CARRIERE. STIPENDI. FATTURATI DA MULTINAZIONALE. L'INCHIESTA SUI SINDACATI Editore: BOMPIANI Pubblicazione: 04/2008 Numero di pagine: 224 Prezzo: € 15,00 ISBN: 9788845260490 Un libro che farà molto arrabbiare la Destra e la Sinistra, il Governo e l'opposizione, ma soprattutto: i sindacati. "Le allegre finanze del sindacato: la sola Cgil ha un giro d'affari valutato in un miliardo di euro. I delegati delle tre centrali sindacali sono 700 mila, sei volte più dei carabinieri. I loro permessi equivalgono a un milione di giornate lavorative al mese. E costano al sistema-paese un miliardo e 854 milioni di euro l'anno." I sindacati sono oggi nel pieno di una profonda crisi di legittimità, che rischia di cancellare anche i loro meriti storici. Lo strapotere e l'invadenza delle tre grandi centrali confederali, e le sempre più scoperte ambizioni politiche dei loro leader, hanno prodotto nel paese un senso di rigetto. Lo documentano tutti i più recenti sondaggi d'opinione: solo un italiano su venti si sente pienamente rappresentato dalle sigle sindacali e meno di uno su dieci dichiara di averne fiducia. L'immagine del sindacato come di un soggetto responsabile, capace di interpretare gli interessi generali, si è dunque dissolta. E ha lasciato il posto a quella di una casta iperburocratizzata e autoreferenziale che ha perso via via il contatto con il paese reale, quello delle buste pa- ga sempre più leggere e delle fabbriche dove si muore troppo spesso. Un apparato che, in nome di una concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di avere l'ultima parola sempre e su ogni cosa. Che si presenta come il legittimo rappresentante di tutti i lavoratori. Ma bada in realtà solo agli interessi dei suoi iscritti, che valgono ormai meno di un quarto dell'intero sistema produttivo nazionale. E perciò si mette puntualmente di traverso a qualunque riforma in grado di mettere in discussione uno 'status quo' fatto di privilegi Abbiamo scelto di riportare una parte del capitolo 3, dal titolo: Professione privilegiati. Gli altri capitoli delle 224 pagine sono dedicati a: 1 - I tre porcellini (nomignolo con cui D'Alema chiama CGIL , CISl e UIL) (C'è una dolorosa omologazione del sindacato al sistema dei partiti, una voglia nient'affatto repressa dei sindacalisti di farsi ceto politico, di farsi stato - Fausto Bertinotti 1992) (Negli altri Paesi lo sciopero deve esser approvato dai lavoratori. Da noi c'è una legge solo per i servizi pubblici essenziali. Così i sindacati, in perenne concorrenza fra loro, ne proclamano cinque al giorno. E i conti non tornano: in Danimarca c'è un terzo di vertenze in più, ma le astensioni dal lavoro sono venti volte meno.) 2 - Le allegre finanze dei sindacati italiani, Le tre confederazioni cono l'ottava azienda privata italiana. Hanno un apparato tentacolare dove solo i dipendenti diretti sono ventimila. E un fatturato da multinazionale, alimentato da un sistema occulto di finanziamenti statali. Ecco perchè si sono sempre rifiutati di rendere pubblici i loro bilanci. 3 - Professione privilegiati 4 -Il fantastico mondo del pubblico impiego 5 - Dove comandano loro Alberto Asor Rosa, 2007 Pensioni loro Per molti burocrati del sindacato la vecchiaia si presenta serena. Grazie a un regalo dell'amico Treu riceveranno infatti un assegno doppio. E ben 23 mila di loro hanno potuto riscattare, senza controlli, presunti periodi di lavoro in nero. I leader l'hanno fatto proprio tutti. Millecentocinquantaquattro. Sono i fortunati italiani, quasi tutti pezzi grossi del sindacato, che possono godere una doppia pensione. Grazie a una legge, la 564 del 1996, firmata da Tiziano Treu, ex ministro del lavoro in quota Cisl. Punto di partenza è lo Statuto dei lavoratori: prevede che ai dipendenti in aspettativa per lo svolgimento di incarichi sindacali l'Inps versi dei contributi figurativi, calcolati sulla base dello stipendio che veniva pagato dall'azienda di provenienza. Per il sindacato, esonerato dal pagamento dei contributi, è un bel vantaggio. Per il suo funzionario un po' meno. Intanto perché forse le confederazioni gli garantiscono una busta paga più pesante della precedente e quindi una parte del suo salario non è coperta da versamenti. La fregatura c'è poi di sicuro se la sua pensione verrà calcolata con il sistema retributivo e quindi sulla base degli ultimi dieci anni dell'ex stipendio aziendale, che nel frattempo è rimasto fermo. Così, per consentire al sindacato di mantenere intonso il suo privilegio, Treu ne ha inventato un altro, ammettendo la doppia contribuzione. E inventando così la figura del sindacalista bipensionato. Già che c'era ha esteso il cadeau anche ai sindacalisti distaccati, quelli cioè che continuano a percepire lo stipendio dall'ente pubblico di provenienza pur lavorando esclusivamente per Cgil, Cisl o Uil. Ma per 13 mila e 795 esponenti delle tre centrali e 9 mila e 390 loro colleghi di altre sigle sindacali la tombola era arrivata già da tempo. Esattamente il 9 luglio del 1974, quando è entrata in vigore la legge 252, meglio nota con il nome del deputato socialista Giovanni Mosca, già leader Cgil. La normativa era nata con un nobile intento: consentire a qualche centinaio di persone che nel primo dopoguerra avevano prestato la loro attività in nero per i partiti o i sindacati di mettersi in regola con i versamenti pensionistici. Bastava un'attestazione formale rilasciata da un legale rappresentante del presunto datore di lavoro, al costo dei soli contributi figurativi, si potevano riscattare anni e anni di fatica. Troppo semplice. Com'era ampiamente prevedibile, la sanatoria s'è presto trasformata in una gigantesca carnevalata. A gennaio 1976, termine di scadenza della legge, erano piovute sull'Inps 19 mila e 500 domande. A quel punto, invece di chiudere a doppia mandata i forzieri dell'Istituto previdenziale, il governo ha avuto l'alzata di ingegno di concedere una proroga dei termini: lesti ci si sono infilati altri 6 mila. Poi, forse per paura che qualcuno avesse perso l'occasione, Palazzo Chigi ha concesso una terza finestra, alla quale si sono presentati in 15 mila. Quando, il 12 aprile 1980, la giostra s'è finalmente fermata c'erano saliti in 40 mila e 500. Uno scherzo che finora è costato all'Inps qualcosa come 10 miliardi di euro. Al 2001, secondo stime giornalistiche, la perdita accumulata dall'ente derivava per oltre tre milioni dalla Cgil, per poco meno di 700 mila euro dalla Cisl e per quasi 450 mila dalla Uil. Dentro ci sono proprio tutti i grandi capi del sindacalismo italiano. L'attuale presidente del senato, Franco Marini, ex segretario generale della Cisl. Il suo dirimpettaio alla camera, Fausto Bertinotti, ex della Cgil. Il vice-ministro per lo sviluppo economico, Sergio D'Antoni, ex capo della Cisl. E poi ancora: gli ex leader Bruno Trentin (Cgil) e Pietro Larizza (Uil) e Ottaviano Del Turco. In base alla documentazione presentata, l'ex segretario generale aggiunto della Cgil avrebbe iniziato a lavorare a tempo pieno per il sindacato alla tenera età di 14 anni. Si vede proprio che il Telefono azzurro ancora non c'era. A fare la parte del leone è stata ancora una volta la Cgil, che è riuscita a infilare nella sanatoria 9 mila e 368 dei suoi (più dell'allora Pci: 8 mila e 81). La Cisl s'è fermata a quota 3 mila e 42. La Uil a mille e 385. Sempre alla Cgil va il record dei baby-lavoratori messi in regola: 31 dei 76 under 14; 3 mila e 577 degli 11 mila e 848 con età compresa tra i 14 e i 18 anni. Nel derby tra partiti e sindacati, Cgil, Cisl e Uil (più altri) battono Dc, Pci e Psi 23 mila e 185 a 13 mila e 935. La carica dei 700 mila Tanti sono i delegati sindacali in Italia. Sei volte più dei carabinieri. Solo i permessi che le aziende sono tenute a concedere loro costano al sistema paese 154 milioni di euro all'anno. Una parte la paga lo stato, che continua a stipendiare i travet prestati a Cgil, Cisl e Uil. Uno dei maggiori privilegi dei sindacati italiani consiste nel non dover pagare uno stipendio a circa un dipendente su sette. Su un organico di 20 mila tra alti dirigenti, capetti e funzionari, infatti, Cgil, Cisl e Uil nel biennio 2004-2005 hanno ricevuto in omaggio 2 mila e 584 impiegati pubblici. Il meccanismo è quello del distacco e prevede che l'amministrazione di provenienza continui a fornire graziosamente la busta paga, comprensiva beninteso di premi di produttività e buoni pasto, al piccolo esercito affaccendato in questioni sindacali. Che, esaurita 39 la missione, si ritrova pure con un privilegio in più. Lo stabilisce, a pagina 38, il volume curato dal dipartimento per la funzione pubblica e intitolato Prerogative sindacali e normativa di riferimento. Dice l'articolo 18: "II dipendente o dirigente che riprende servizio può, a domanda, essere trasferito, con precedenza rispetto agli altri richiedenti, in altra sede della propria amministrazione quando dimostri di aver svolto attività sindacale e di aver avuto il domicilio nell'ultimo anno nella sede richiesta ovvero in altra amministrazione, anche di diverso comparto, nella stessa sede". Il linguaggio è involuto, ma il senso resta chiaro: i galloni sindacali danno il diritto a sorpassare la fila. La più generosa nel distribuire personale è stata la scuola (oltre mille distaccati), seguita a ruota dagli enti locali, dal servizio sanitario nazionale, dai ministeri e dagli enti pubblici non economici. Il sindacato, che da sempre vede come fumo negli occhi ogni forma di flessibilità del lavoro, in questo caso fa un'eccezione per sé: se una metà dei distacchi deve essere a tempo pieno, l'altra può essere trasformata in più part time per un equivalente numero di ore. Non solo, nel corso di un anno la posizione di distacco può essere ripartita a piacimento tra più dipendenti: per esempio fra tre ministeriali che prendono quattro mesi ciascuno. Alla fine, co- 40 munque, il regalo è costato al contribuente qualcosa come 77 milioni e 500 euro (Irap e oneri sociali esclusi). A questa cifra vanno sommate le ore di permessi orari e giornalieri per lo svolgimento dell'attività sindacale dei travet pubblici. Ogni dipendente vale novanta minuti di permesso l'anno. Per calcolare il monte ore bisogna dunque moltiplicare il numero degli statali per 1,5. Fa 5 milioni, 409 mila e 150 ore. Secondo l'Istat, che ha analizzato un campione di imprese private, industriali e di servizi, nel 2005 il costo per un'azienda di un'ora di lavoro era pari a 18,4 euro. I permessi per l'attività sindacale costano dunque allo stato 99 milioni, 528 mila e 360 euro. Ma la cuccagna non è ancora finita. Già, perché ci sono i permessi retribuiti per le riunioni di organismi direttivi statutari. Secondo l'ultima relazione sullo stato della pubblica amministrazione si tratta di 475 mila e 508 ore di pensosi conclavi che hanno un costo di 8 milioni, 749 mila e 347 euro. E tutti questi calcoli sono fatti per difetto. Lo dimostra il documento appena citato, le cui ultime trenta pagine sono costituite dall'elenco delle amministrazioni che non hanno fornito i dati: 70 enti pubblici non economici (dall'Automobil Club di Forlì all'ente parco nazionale della Sila), due province (Carbonia e Ogliastra), mille e 41 comuni (da Favignana a Viggiù), 11 camere di commercio (da Frosinone a Lucca), 12 lacp (da Vercelli a Benevento), 96 enti regionali (dall'ente parco naturale Sasso Simone e Simoncello all'Agenzia campana mobilità), 166 Unioni comunali (da quella della Bassa valle del Torto a quella di Sorvolo e Mezzani), 57 comunità montane (da Arcisate Valceresio a Poggio Mirteto), 19 comunità collinari (da Castelnuovo Don Bosco a Villaromagnano), due Autorità di bacino (Biella e Venezia), 32 enti di regioni a statuto speciale (dal comune di Trieste all'Azienda di promozione turistica Monte Rosa), 47 enti di province autonome (dal comune di Ton all'Istituto trentino di cultura), 49 Asl (da Barletta a Sanremo), 10 enti di ricerca (dal Museo storico della fisica all'Istituto italiano di medicina sociale) e 9 università (dal Politecnico di Torino alla Scuola superiore studi e perfezionamento Sant'Anna di Pisa). Ma quelli dei pubblici dipendenti sono solo spiccioli, in confronto al costo totale dei permessi cumulati dall'intero mondo sindacale, a carico questa volta delle imprese, pubbliche o private che siano. Bruno Manghi, capo del centro studi fiorentino dell'organizzazione di Bonanni, ha fatto due conti. "Oggi," racconta, "in Italia ci sono 700 mila persone con un mandato sindacale, a tutti i livelli: delegati, dirigenti, membri di commissioni. Nessuno nel mondo laico ha questo potere". Tanto per avere un'idea, i carabinieri in servizio sono 110 mila. Per ogni divisa della Benemerita ci sono dunque in circolazione un po' più di sei delegati. Il problema è che ognuno di loro ha diritto, in base allo Statuto dei lavoratori, a otto ore di permessi retribuiti al mese. Stiamo parlando, dunque, di 5 milioni e 600 mila ore di lavoro, sempre al mese. Che però, nei fatti, sono di più. Lo stesso Statuto, infatti, concede ulteriori otto ore ai delegati che facciano parte anche di un direttivo sindacale. Secondo Cazzola, si trova in questa condizione almeno la metà dei delegati, ma il calcolo è molto prudente. Quindi per 350 mila di loro scatta un raddoppio dei permessi. Il totale sale così a 8 milioni e 400 mila ore mensili (pari a 1 milione e 50 mila giornate lavorative da otto ore ciascuna). Per il sistema Italia il costo dei permessi è dunque di 154 milioni e 560 mila euro. Al mese. Scrive Mattarella: "La disciplina dei permessi per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali consente ai sindacati di trasferire sul datore di lavoro (e almeno in parte, attraverso la contrattazione collettiva, su tutti i lavoratori, anche quelli non iscritti ai sindacati) una parte dei propri costi di gestione. Se poi si considera la quantità di dirigenti sindacali che sono dipendenti pubblici, ci si rende conto che gran parte di questi costi è di fatto sostenuta dalla finanza pubblica". Una poltrona non si nega a nessuno Nei due rami del parlamento potrebbero costituire il quarto gruppo più numeroso. Ma gli ex sindacalisti sono davvero ovunque: al governo, negli enti locali, nelle società partecipate dai comuni, nelle camere di commercio, negli istituti di previdenza, al Cnel, negli albi professionali... Ma il capitolo dei privilegi cui da diritto la carriera sindacale non si esaurisce certo con i permessi. Dove Cgil, Cisl e Uil funzionano storicamente al meglio è nella gara ad accaparrarsi le poltrone, che del resto imprese e amministrazioni pubbliche non hanno mai lesinato. Secondo l'analisi di uno studioso del calibro di Sabino Cassese, intorno al 1980 si poteva calcolare che nel 50% degli organi collegiali amministrativi sedessero rappresentanti dei lavoratori, per un totale non inferiore a ottanta o centomila persone. E che nell'amministrazione statale i collegi caratterizzati dalla presenza di sindacalisti fossero alcune migliaia, corrispondenti a circa il 20% del totale. Sempre secondo Cassese, si poteva ritenere che il 7% degli amministratori di enti pubblici fosse di provenienza sindacale. E che nei soli consigli di amministrazione degli enti pubblici avessero trovato spazio circa 26 mila membri di designazione sindacale, con una concentrazione in quelli di maggiori dimensioni, dove l'occupazione raggiungeva un quarto dei posti disponibili. Quella dei sindacati italiani è una ragnatela davvero impressionante. I loro uomini siedono su poltrone di ogni ordine e grado. Dalla seconda e terza carica dello stato, conquistate con Marini e Bertinotti, all'oscuro Albo professionale degli stimatori e pesatori pubblici. Basta sfogliare La Navicella, il volume che contiene le autobiografie dei 630 deputati e dei 315 senatori della repubblica, per capire lo straordinario peso che hanno assunto nella vita politica italiana. Ottanta di loro, l'8,46% del totale se non si tiene conto dei senatori a vita, raccontano di aver ricoperto, prima o poi, un incarico sindacale. A Montecitorio sono 53: 31 hanno avuto a che fare con la Cgil, 10 con la Cisl, 3 con la Uil, 9 con altri sindacati, dal Cocer dei cara-binieri all'Ugl. In ordine alfabetico, si comincia con Paolo Affronti dell'Udeur, un ex cislino che è stato segretario di Carlo Donat Cattin e Franco Marini e si finisce con Maurizio Zipponi di Rifondazione comunista, un passato come capo della Fiom di Milano. Se si mettessero tutti insieme formerebbero il quarto gruppo parlamentare dopo quelli dell'Ulivo (218 deputati), di Forza Italia (133) e di Alleanza nazionale (72). I loro voti sarebbero pari alla somma di quelli che possono vantare l'Italia dei valori di Antonio Di Pietro (19), i radicali della Rosa nel pugno (18) e i cani sciolti confluiti nel raggruppamento misto (16). Stessa storia a Palazzo Madama, dove nel dicembre del 2007 il pattuglione dei sindacalisti dismessi s'è arricchito con la partecipazione straordinaria di Pietro Larizza, subentrato al dimissionario Goffredo Bettini, plenipoten-ziario del nuovo leader del Partito democratico Walter Veltroni. Con l'ex segretario della Uil e poi presidente del Cnel i senatori già sindacalisti sono 27: 13 prima di conquistare uno scranne parlamentare si sono fatti le ossa nella Cgil, 7 hanno imparato a battibeccare nella Cisl, 2 sono cresciuti nelle fumose sale riunioni della Uil e 5 vengono da organizzazioni minori. Dalla A alla Z, la parata si apre con Salvatore Adduce dell'Ulivo, che sotto le insegne della Cgil ha diretto la camera del lavoro di Ferrandina e si chiude con Stefano Zuccherini di Rifondazione, un tempo espo-nente della Fiom-Cgil in Umbria. Anche in questo ramo del parlamento se marciassero tutti insieme appassionatamente gli ex sindacalisti rappresenterebbero la quarta forza dopo quelle dell'Ulivo (101 senatori), di Forza Italia (71) e di An (41), a pari merito con il gruppo di Rifondazione comunista. Un'armata trasversale, pronta a saldarsi in nome dei vecchi tempi ogni volta che nelle aule parla-mentari fa capolino un progetto di legge indigesto ai big di Cgil, Cisl e Uil. Un patrimonio di esperienze acquisite sul campo che un leader accorto come Prodi non poteva certo lasciare fuori dalle stanze dei bottoni del governo. Così, vengono dalla Cgil il ministro del lavoro Cesare Damiano e il suo sottosegretario Rosa Rinaldi (a completare l'occupazione di un dicastero chiave per i sindacati ci pensa l'altro sottosegretario Antonio Montagnino, ex della Cisl). Il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, è un ex delegato della Fiom-Cgil e sempre da corso d'Italia viene il suo vice Franca Dosaggio (arruffapopoli dei lavoratori dei trasporti). Due sono i viceministri: l'ex numero uno della Cisl, D'Antoni, allo sviluppo economico e Patrizia Sentinelli, già Cgil scuola, alla Farnesina. E altrettanti i sottosegretari, entrambi di matrice Cgil: Alfiero Grandi all'economia e Giampaolo Patta alla salute. Negli enti locali hanno trovato stipendio e auto blu l'ex grande capo della Cgil, Sergio Cofferati, atterrato sulla poltrona di primo cittadino di Bologna; l'ex leader dei chimici e poi dei metalmeccanici di corso d'Italia, Gaetano Sateriale, approdato al municipio di Ferrara; l'ex segretario generale aggiunto sempre della Cgil, Ottaviano Del Turco, che dopo una comparsata governativa addirittura come ministro delle finanze ha trovato il suo buen retiro nel governatorato del natio Abruzzo. Un'altra vera e propria riserva di caccia per i sindacalisti in pensione è l'incredibile mondo degli enti previdenzia-li, a partire dall'Inps, che ha finito per assumere un model-lo organizzativo da socialismo reale. Funziona così. Al vertice c'è un consiglio di amministrazione di nove membri. I sindacati ne sono usciti all'epoca di Tangentopoli, ma solo per traslocare nell'altro organismo di controllo: il consiglio di indirizzo e vigilanza (23 componenti), dove fanno il bello e il cattivo tempo con Rita Cavaterra, Paolo Francesco Franco, Francesco Rampi e Giuseppe Turudda (Cgil), Sergio Ammannati, Giuseppe Galli e Moreno Cori (Cisl) e Rocco Carannante (tesoriere della Uil). Ci sono poi un collegio dei sindaci (altre sette poltrone) e un direttore generale (Vittorio Crecco, caro a Marini). Per completare il primo livello della 41 piramide, quello degli organismi nazionali, bisogna aggiungere i comitati amministratori dei fondi e delle gestioni: 192 componenti che nel 2004 si sono riuniti, nel complesso, 513 volte, spendendo 2 milioni di euro. Se questo è il vertice dell'Inps, la sua base deve essere proporzionata. E lo è. I comitati regionali fruttano altri 542 incarichi (nel 2005 sono stati convocati mille e 267 volte, al costo di 2 milioni e 900 mila euro). Ma non basta. Ogni comitato regionale può costituire fino a tre commissioni istruttorie. Se non ha sbagliato i calcoli, l'Inps ne ha censite 34. Continuando a scendere verso il basso si incappa nei 102 comitati provinciali (che contano 3 mila e 264 teste). In un'infinita moltiplicazione di seggiole e strapuntini, ogni organo provinciale gestisce quattro commissioni speciali, una delle quali ha diritto a creare due ulteriori sottocommissioni. E non è ancora finita. In ogni provincia ci sono una commissione per la cassa integrazione nell'industria, una per i sussidi nell'edilizia e una per l'integrazione salariale agli operai agricoli. Fa altri 520 posti per le prime, 686 per le seconde e 789 per le ultime. Il pallottoliere dice che alla fine si tratta di 6 mila e 222 persone che s'affollano in 18 mila riunioni all'anno (49 al giorno, contando anche Natale, Pasqua e Ferragosto). Di recente, al termine di un'aspra trattativa, a sigillo del loro potere i sindacalisti 42 interni sono riusciti ad accaparrarsi anche 10 dei 50 posti auto nel parcheggio sul piazzale della direzione generale. Gli altri enti sono più piccoli, ma il sistema è copiato con la carta carbone da quello dell'Inps, dove due diverse commissioni sovraintendono agli affari previdenziali dei pescatori. E chissà se una si occupa di quelli d'acqua dolce e l'altra di quelli d'acqua salata? Analoga è anche la lottizzazione. A capo del Civ (Consiglio di indirizzo e vigilanza) dell'Inpdap (dipendenti pubblici) si è sistemato Guido Abbadessa, ex Cgil. Al vertice dell'Enpals (lavoratori dello spettacolo e dello sport) staziona Amalia Ghisani, ex segre-tario confederale della Cisl. Il presidente del Civ dell'Ipsema (marittimi) è Giancarlo Fontanelli, ex segretario confederale della Uil. A commissario straordinario dell'Ipost è stato nominato Giovanni Ialongo, in quota ancora a Marini. E quando si è parlato di una razionalizzazione del settore, con la nascita di un unico super-Inps, idea che al sindacato fa venire l'orticaria, il nome più gettonato è stato quello di Tiziano Treu, che vuoi dire Cisl. Anche fuori dal mondo previdenziale a disposizione dell'armata sindacale c'è un po' di tutto. Le 102 poltrone, per esempio, una per provincia, messe a disposizione dal sistema delle camere di commercio. Consessi creati quasi ad hoc per garantire altri posti, con relativi gettoni di presenza. Come i Crei, i Consigli regionali dell'economia e lavoro, recente filiazione su base locale del Cnel, un organo previsto addirittura dalla Costituzione e spiegato nei sussidiari, ma del tutto inutile: nel suo mezzo secolo di vita ha presentato dodici proposte di legge, tutte rimaste lettera morta. Dotato di una splendida sede nel cuore di villa Borghese, a Roma, il Cnel costa 15 milioni di euro l'anno: l'87% della somma serve semplicemente per pagare le spese di funzionamento dell'ente, che col tempo è diventato sempre più uno scivolo di lusso verso la pensione per ex sindacalisti e politici decotti. Solo 1 milione e 50 mila euro finanziano quelle ricerche nel mondo dell'economia e del lavoro che dovrebbero essere compito del Cnel. Tre milioni tondi se ne vanno invece per assicurare un gettone mensile di 2 mila euro lordi ai 121 consiglieri, 44 dei quali sono nominati in rappresentanza dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati e 18 di quelli autonomi. D'Alema, ai tempi della bicamerale, propose di eliminare lo spreco alla fonte, chiudendo il Cnel. I sindacati fecero la faccia feroce e il progetto rientrò immediatamente nei cassetti. Scampato il pericolo, il Consiglio s'è appunto ramificato nel territorio con la nascita dei Crei. Lo statuto di quello della Sardegna, per citarne uno, riserva ai rappresentanti dei lavoratori 10 posti su 26. I sin- Foto sopra: vecchio manifesto sull’Altra casta con Angeletti, Epifani (all’epoca segretario della CGIL) e Bonanni compiti amministrativi alle regioni le ha ridato improvviso slan-cio. Gli organi amministrativi regionali composti esclusivamente o in parte da rappresentanti dei lavoratori sono spuntati qua e là come funghi. Tenerne una contabilità è davvero impossibile. A titolo d'esempio, nei soli 18 mesi tra il 1° gennaio 2001 e il 30 giugno 2002 sono nati: il Comitato di distretto nei distretti industriali della Basilicata, il Comitato civico per la sanità di Bolzano, l'Osservatorio regionale per il turismo della Val d'Aosta, la Commissione consultiva per gli impianti di carburante del Lazio, la Commissione per il diritto al lavoro dei disabili del Friuli. E ancora: la Sottocommissione per la gestione del fondo per la promozione dell'acces- so al lavoro delle persone disa-bili della Basilicata, la Commissione regionale sull'amianto del Friuli, le Commissioni provinciali per l'artigianato dell'Emilia, la Commissione per la programmazione del fondo per l'avviamento al lavoro delle persone con disabilità della Calabria, il Forum regionale per le politiche giovanili del Lazio, la Commissione regionale per l'artigianato della Val d'Aosta, la Conferenza regionale del turismo del Friuli, le Commissioni provinciali espropri del Piemonte. E poi: il Consiglio regionale lavori pubblici della Lombardia, la Commissione consultiva carburanti del Friuli, il Comitato consultivo per la gestione del demanio marittimo per finalità turisticoricreative dell'Emilia ecc. (Inserzione pubblicitaria) dacati, che in base alla legge possono essere chiamati a partecipare perfino alle sedute delle conferenze permanenti affiancate ai prefetti, sono poi maggioranza negli organi collegiali per la tenuta dei registri di imprese e albi professionali. È il caso, per esempio, delle imprese artigiane, di quelle per lo smaltimento dei rifiuti, degli agenti e dei rappresentanti di commercio, degli autotrasportatori per conto terzi, degli agenti di assicurazione. Sono sempre le organizzazioni dei lavoratori, inspiegabilmente, a gestire i fondi statali per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e a rastrellare decine di poltrone nella fitta rete delle 395 società partecipate dai comuni e capaci di fatturare 35 miliardi di euro in settori che vanno dal gas all'acqua, dai trasporti ai rifiuti, dai musei al turismo. A Roma, per esempio, il numero due di Trambus, con uno stipendio di oltre 93 mila euro l'anno, è l'ex segretario generale aggiunto della Cisl e già sottosegretario al ministero del lavoro, Raffaele Morese, mentre Fulvio Vento, già Cgil, è consigliere di Zètema Progetto Cultura e presidente dell'Atac. E Stefano Bianchi, un tempo segretario generale della Cgil Roma e Lazio, è a capo di Met.Ro. A Torino Bruno Torresin, ex assessore con un passato nella Uil, s'è accomodato sulla poltrona di amministratore delegato della Trm, l'azienda incaricata del trattamento dei rifiuti, che gli versa 70 mila euro l'anno. Nel Gruppo torinese trasporti le confederazioni sono riuscite addirittura a fare en plein: il presidente è Giancarlo Guiati, ex della Fiom di Mirafiori, mentre l'amministratore delegato è Tommaso Panero, che viene dalle file della Cisl. Se, sul finire degli anni ottanta, l'espansione del sinda-cato nel mondo pubblico è sembrata subire una battuta d'arresto, il trasferimento di una serie di funzioni e 43 Quando scienza e buon governo hanno portato la civiltà occidentale a prevalere sull’oriente mussulmano “Il sovrano è il primo servitore dello stato, è ben pagato perché mantenga la dignità adeguata alla sua carica, ma in cambio gli si chiede di lavorare diligentemente per il bene dello Stato” . Federico II di Prussia (1712-1786) Circa tre secoli fa il destino della civiltà occidentale è appesa a un filo Nel 1683 alle porte della capitale austriaca Vienna due eserciti nemici sono schierati l’uno contro l’altro, l’oriente Mussulmano e l’occidente Cristiano. L’esito di quello scontro sarà decisivo per l’Occidente, e risulterà fatale per i suoi nemici d’oriente. L’assedio di Vienna non è che uno dei tanti attacchi che la civiltà Occidentale ha dovuto subire da parte dei suoi nemici orientali nel corso della storia. Ma negli ultimi tre secoli a parte qualche sporadica battuta d’arresto l’Occidente ha sempre avuto la meglio, perché? Niall Fergusson ha individuato sei fattori decisivi che ha chiamato i fattori del successo che hanno assicurato il predominio dell’Occidente. Il primo è la competizione fra i piccoli e bellicosi regni europei che ne favorì l’ascesa nei confronti del monolitico impero Cinese. Il segreto numero due oggetto di questo successo è la scienza e in particolare alcuni dei suoi aspetti che favorirono la vittoria dell’Occidente in guerra. Ma se perdesse il primato scientifico la nostra civiltà sarebbe destinata al tramonto?. Senza la supremazia scientifica oggi non ci sarebbe nessuna superpotenza occidentale, ma non è sempre stato così. Mille anni fa era il mondo Mussulmano a detenere il primato scientifico, sulla base dei fondamenti appresi dai Greci e dagli indiani, i matematici arabi inventano l’algebra. Biblioteche come la casa della sapienza a Baghdad non avevano eguali in occidente, e la scienza araba permette- 44 Federico il Grande va di perfezionare le tecniche di navigazione e le armi. E allora come mai in seguito il mondo mussulmano rimarrà così indietro rispetto all’occidentale in campo tecnologico? In che modo la rivoluzione scientifica ha contribuito all’ascesa della civiltà occidentale sia a livello militare che accademico? Per rispondere a queste domande bisogna fare un viaggio indietro nel tempo. Torniamo ad oltre 300 anni fa quando per l’ultima volta un impero islamico minacciò l’occidente, seguiamo l’invasore orientale nel suo cammino da Istanbul sino alle porte di Vienna. Questa battaglia decise le sorti dell’Occidente, da un parte l’esercito Mussulmano capeggiato dal Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pashagran, dall’altra le armate di difesa di Leopoldo I imperatore del sacro Romano impero e sovrano degli Asburgo d’Austria. E’ il momento cruciale nello scontro cruciale fra civiltà iniziato nel settimo secolo quando l’Islam inizia a diffondersi dal deserto arabo. Nel luglio del 1683 l’esercito Ottomano assedia Vienna, le prospettive per i cristiano che la difendono appaiono davvero sfavorevoli. A Vienna e in tutta l’Europa centrale risuonano le campane che invitano i fedeli a implorare la misericordia divina. Ci si può fare una idea della disperazione e allo stesso tempo del disprezzo dei viennesi dalle iscrizioni sull’antico campanile del Duomo: una recita: Maometto cane torna a casa. Ma non sono i turchi mussulmani a tirarsi indietro, suscitando lo sdegno di molti l’imperatore cristiano Leopoldo decide che la prudenza è la più grande delle virtù… e fugge. A metà luglio le armate turche giungono a una distanza inferiore ai 450 passi dalle mura della città, il destino dell’Occidente è appeso a un filo, è uno di quei momenti in cui tutto potrebbe volgere in trage- dia. La vittoria ottomana sembra inevitabile, ma poi Mustafa ha una esitazione fatale. I suoi uomini avevano marciato andando ben oltre le loro forze, i viveri scarseggiavano, inoltre anche se Vienna fosse caduta non aveva fatto piani per una occupazione a lungo termine, per quanto sarebbero dovuti restare lì lontani da casa? L’esercito avrebbe superato l’inverno? Mustafa avrebbe potuto vincere l’assedio ma avrebbe ottenuto la pace?. L’esitazione di Kara Mustafa dà tempo agli occidentali di chiamare a raccolta gli alleati, e di preparare una strategia militare per respingere l’orda Ottomana. Un esercito di liberazione di 60.000 uomini avanza verso Vienna al comando di Jan III Sobieski re di Polonia, che pur appesantito e avanti con gli anni ambisce ancora alla gloria. Il 12 settembre 1683 l’esercito cristiano caricò scendendo dalle colline sopra Vienna, secondo un testimone oculare turco dell’epoca: “come un fulmine di pece nera che scende dalla montagna devastando tutto ciò che incontra”. Alle 17:30 Sobieski fece irruzione nella tenda d Kara Mustafa, ma la trovò deserta: era fuggito, l’assedio però era finito e l’Occidente era salvo. Sobieski esultante comunica al papa: “venimmo, vedemmo e Dio vinse” Cento palle di cannone, sparate dai turchi sulla città, vennero fuse e impiegate per forgiare la campana del duomo di santo Stefano, la Pummerin come venne chiamata, è ornata da 6 teste di turco. Per Kara Mustafa il prezzo della disfatta è davvero alto, viene giustiziato per ordine del Sultano, strangolato con una corda di seta. Per l’impero Ottomano fu l’inizio della fine, un eccesso delle ambizioni imperialiste dalle conseguenze disastrose. Per la prima volta gli ottomani furono costretti ad accettare un trattato di pace imposto dai vittoriosi nemici cristiani. Da quel momento in poi, dalla fine del 600 fino alla dissoluzione dell’impero agli inizi del 900, il potere dei Turchi in Europa venne inesorabilmente ridimensionato. Contemporaneamente l’impero austriaco acquistò una condizione di prestigio e di predominio nell’Europa centrale. La liberazione dall’assedio di Vienna fu un momento chiave per l’ascesa dell’Occidente. Negli anni a seguire si osservò un interesse crescente degli gli occidentali per la scienza della guerra e del governo. Di fatto, la vera differenza fra oriente e occidente, risiedeva nel diverso grado in cui la scienza veniva sistematicamente coltivata e applicata nell’ambito della politica di potenza. Perché il mondo islamico fallì in questo? E perché l’occidente ebbe tanto successo? Settanta anni dopo l’assedio di Vienna emergono due figure che simboleggiano il crescente divario fra il mondo occidentale e il suo principale nemico d’oriente. A Istambul il sultano Osman III (1699-1754) governa sull’impero Ottomano sempre più debole, mentre a Postdam il re di Prussia Federico il Grande avvia un programma di riforme che alla fine darà, non solo alla Prussia, ma all’intero Occidente un vantaggi indiscutibile sui suoi rivali. Federico II Hohenzollern (17121786), detto il Grande, vive alle porte di Berlino in un castello da lui stesso progettato, l’ha chiamato Sans Soucì (senza pensieri), ma Federico è tutto tranne che spensierato quando si tratta di governare il suo paese. Nel 1752 Federico scrisse il primo di due testamenti politici destinati al suo successore. In esso affermava: “Il sovrano è il primo servitore dello stato, è ben pagato perché mantenga la dignità adeguata alla sua carica, ma in cambio gli si chiede di lavorare diligentemente per il bene dello Stato” in altre parole Federico subordinava fermamente la propria gratificazione personale agli interes- si dello stato prussiano. Basta vedere la semplicità del suo sobrio palazzo, governata da una servitù sorprendentemente ristretta, per uno dei monarchi più influenti d’Europa, serve da esempio per l’intera burocrazia Prussiana. Seguendo l’esempio del re, la classe dei funzionari pubblici, opera in un clima di disciplina, efficienza, e tolleranza zero verso la corruzione. Non potrebbe esserci contrasto più netto con l’atmosfera dissoluta cui vennero allevati i rampolli del sultano nel palazzo Topkapi di Istanbul. Settanta anni dopo la rovinosa disfatta nell’assedio di Vienna il sultano Osman III viene rinchiuso in una prigione dorata, Kafes, gabbia appunto, all’interno dell’harem come diciamo noi. E’ lì che Osman trascorre i suoi giorni, dilettandosi con sesso e delizie turche ma mantenendosi estraneo agli affari di governo. Quando finalmente diventa sultano all’età di 57 anni, né ha trascorsi 51 rinchiuso nel suo harem con uno stuolo di concubine. Ormai ha talmente in odio le donne da aver escogitato uno stratagemma per tenerle alla larga da sé, calzare scarpe ferrate, appena sentono il rumore dei suoi passi, le signore debbono fuggire via. Mezzo secolo passato a schivare le concubine non è certo il modo migliore per prepararsi a governare. Qui a Istanbul la degenerazione della classe dirigente diventò sistematica finendo col contagiare completamente la cultura di governo. La scuola, al palazzo Topkapi, una volta considerata la migliore dell’impero accoglieva i più validi fra i Cristiani fatti schiavi e li istruiva per seguire il Sultano, questa selezione in base al talento, aveva prodotto una amministrazione fondata sulla meritocrazia e non sulla ereditarietà, in un momento in cui in Europa non esisteva nulla di simile. Ma poco a poco le cose cominciarono a cambiare, anche i Turchi per nascita ottennero di accedere alle cariche pubbliche e le promozioni dipesero sempre più da tangenti e favoritismi e non dal merito. Le spese superano il gettito fiscale, l’inflazione aumenta, la corruzione dilaga, le forze centrifughe si rafforzano e si accendono anche conflitti religiosi fra fondamentalisti e mistici, l’impero è ormai allo sface- Campana Pummerin 45 lo. Se si esaminano le carte negli archivi storici di Istanbul si ha l’impressione di un sistema di governo allo sbando. Al di là dei contenuti, basta anche solo vedere la grafia con cui sono scritti. Se confrontiamo un registro catastale del 1458 è accurato, stupendo, quasi un opera d’arte. Confrontiamolo con un altro registro risalente a circa 250 anni dopo, del 1694: è un disastro, è pieno di cancellature, sbavature sembra che sia stato compilato molto più in fretta e con molta meno cura, magari saranno diventati più efficienti, ma di sicuro non più ordinati. Se paragonato alla decadenza della amministrazione di Osman III, Federico il grande è impegnato nel governo razionale della Prussia. Possiamo vedere come fosse amministrata bene, se anche qui andiamo a vedere gli archivi segreti di Stato, dove si trovano i verbali perfettamente conservati del Gabinetto di Federico. Pagine su pagine di editti reali e missive. L’agosto del 1756 fu un mese impegnativo per lui, fu il mese in cui ordinò l’invasione della vicina Sassonia, all’inizio della guerra dei 7 anni. Fu questa organizzazione impeccabile che distinse nettamente l’Occidente dal resto del mondo e la sua assenza condannò l’impero Ottomano a un declino inesorabile. Per Federico, il sovrano era il servitore non il padrone dello Stato, dichiarava: “non posso avere interessi, che non siano al tempo stesso quelli del mio popolo, se sono incompatibili, la priorità va sempre data all’interesse e al vantaggio del paese”. In altre parole, istruzione, cultura e tolleranza rafforzavano lo Stato anziché indebolirlo, e per ribadire questo concetto, dispose la costruzione di una serie di edifici spettacolari. Se la sua dimora privata è sobria, questi grandiosi edifici pubblici sono pensati come manifesti politici. Uno dei primi edifici di quelli che Federico concepì come una specie Foro nel cuore di Berlino, è il meraviglioso teatro dell’Opera di stato. A differenza dei suoi omologhi nordeuropei, non era annesso a nessuna reggia o corte, si trattava di una istituzione completamente au- tonoma, il cui scopo non era l’appagamento del sovrano, bensì la diffusione della cultura. Accanto al teatro dell’Opera Federico fa edificare una cattedrale cattolica romana, benché sia agnostico Federico è disposto a tollerare la religione, purché non interferisca con la vita politica della nazione. La gente in Prussia era libera di pregare come voleva, purché il suo credo non intralciasse la ricerca scientifica e il progresso tecnologico, era uno stato laico dove pastori e preti non avevano alcun potere. Al contrario il progresso degli Ottomani viene gravemente ostacolato dalla religione. A detta di un ecclesiastico mussulmano “è raro che uno possa interessarsi a questa scienza forestiera senza ripudiare la religione e allentare le redini della pietà dentro di sé”. Gli scienziati Mussulmani non possono neanche accedere alle più moderne ricerche europee perché la religione vieta loro di leggere testi stampati. Per gli Ottomani la scrittura è sacra, inchiostro e calamaio sono venerati religiosamente e l’arte della calligrafia è preferita alla stampa. L’inchiostro dello studioso, si dice è più sacro del sangue del martire. Se paragoniamo la rivoluzione scientifica ad un forum di studiosi che da ogni parte d’Europa si scrivono e si pubblicano, allora è come se l’impero Ottomano non si sia mai collegato in rete. Nel 1515 un decreto di Selim I condanna a morte chiunque sia coinvolto nella diffusione della stampa, un tabù che rimarrà in vigore sino al XVIII secolo. Questa incapacità di conciliare la scienza e l’Islam risultò fatale, il rifiuto dei libri stampati e concentrarsi sul lavo- 46 Taqī al-Dīn al-Rāṣid ro degli amanuensi portò gli Ottomani ad autoescludersi dal sapere occidentale e quindi dal progresso. L’unica opera di scienza tradotta in ottomano nel XVIII secolo fu il trattato sulle possibili cure della sifilide. Il che la dice lunga sulla priorità della corte del Sultano. Nelle scuole Ottomane la scienza cede il passo agli studi religiosi. Le sorti di un osservatorio costruito ad Istanbul nel 1577 dall’illustre astronomo Taqī al-Dīn al-Rāṣid mostrano il divario culturale fra Federico e Osman. Taqī al-Dīn al-Rāṣid (15261585) è un religioso e insegna in una scuola islamica ma è anche Christofer Wren una scienziato di straordinaria apertura mentale e creatività, come i filosofi persiani del passato, sostiene che l’indagine razionale del mondo naturale è compatibile con la fede islamica. Dal suo osservatorio di Istambul Taqī al-Dīn al-Rāṣid studia il sistema solare. Autore di numerosi trattati di astronomia, matematica e ottica progetta anche orologi astronomici estremamente precisi, e conduce persino esperimenti sulla forza vapore. Ma l’11 settembre 1577 Taqī al-Dīn al-Rāṣid commette un errore gravissimo, una cometa attraversa i cieli di Istanbul seminando il panico. Interrogato come esperto, astrologo predice che potrebbe esser il segno di una prossima vittoria militare degli ottomani sui persiani. Purtroppo si sbagliò e di conseguenza a lui e al suo osservatorio fu attribuita a colpa della sconfitta, il sultano cedette alle pressioni religiose e nel gennaio del 1580 appena tre anni dopo la fine dei lavori l’osservatorio di Taqī al-Dīn al-Rāṣid venne demolito. Il potente clero Musulmano, di fatto, soffocava ogni possibilità di sviluppo scientifico per gli Ottomani, nello stesso periodo in ciò le chiese cristiane in Europa allentavano il controllo sulla libera ricerca pubblica. Alla fine di XVII secolo in tutta Europa i governanti promuovono attivamente la scienza, nel 1662 la Royal Society di Londra riceve il proprio statuto da re Carlo II, che diventerà un modello per istituzioni analoghe a Parigi, Vienna e Berlino. Tra i fondatori della società figurano Christofer Wren (1632-1723) architetto, matematico, scienziato e astronomo famoso per aver ricostruito la capitale inglese dopo l’incendio del 1666 Quando nel 1675 Carlo II commissionò a Wren la costruzione di un osservatorio a Greenwich non lo fece per motivi di prestigio o inte- ressi personale, ma perché capì che la scienza era nell’interesse della nazione. La Royal Society era così importante perché promuoveva un nuovo modello di comunità scientifica, dove le idee potevano circolare e i problemi esser affrontati collettivamente. Un classico esempio fu la teoria della gravità di Isaac Newton, a cui non sarebbe mai giunto senza la precedente opera del fondatore della Royal Society, Robert Hooke. Il lavoro di squadra giova perfino ai geni. In occidente scienza e governo illuminato lavorano insieme e nessun sovrano lo sa meglio di Federico il Grande, il quale offre premi in denaro agli scienziati per trovar soluzione di problemi irrisolti. Tuttavia i governanti come Federico erano interessati alla scienza, non solo per motivi puramente intellettuali, intuirono che le conoscenze scientifiche potevano esser determinanti per il potere militare dell’Occidente. Il sapere si era trasformato in un’arma di conquista. Nella metà del XVIII secolo Federico il Grande di Prussia è il simbolo di questo legame fra scienza e potenza militare, il fulcro delle sue operazioni è Potsdam. Oggi è un anonimo sobborgo di Berlino, ma ai tempi di Federico la maggior parte degli abitanti di Postdam è costituita da soldati. Quasi tutti gli edifici di Postdam sono in qualche modo legati all’ambito militare. Ciò che oggi è una banca, ai tempi di Federico era un posto di guardia, così fece costruire l’orfanotrofio militare, gioiello barocco, la chiesa delle guarnigione e la scuola di equitazione. Nelle vie residenziali le case presentano un piano attico aggiuntivo per l’acquartieramento dei soldati. L’esercito cessa di essere un mero strumento del potere dinastico per diventare parte integrante della società Prussiana dove gli aristocratici Junker sono gli ufficiali e i contadini i soldati. E’ rimasta famosa l’affermazione : “la monarchia prussiana non è uno stato con un esercito bensì un esercito con uno stato” Qui, la società e l’esercito, erano legati indissolubilmente ,i proprietari terrieri dovevano servire come ufficiali e gli uomini comuni pren- dere il posto dei mercenari nelle truppe. La Prussia era l’esercito e l’esercito era la Prussia. L’addestramento e la professionalità sono elementi chiave del successo militare prussiano, la disciplina e la rapidità di movimento in battaglia sono la qualità che renderà la sua fanteria leggendaria come si può vedere da una mappa dell’epoca che riporta le fasi della battaglia di Leuthen, combattuta nel dicembre 1757 quando l’esistenza stessa della Prussia fu minacciata da una formidabile coalizione di Francia, Russia e Austria. Non è la prima, né sarà l’ultima volta che l’occidente è dilaniato da guerre intestine, ma sono proprio questi conflitti a sollecitare l’innovazione. Nonostante il divario nel numero delle forze in campo: 29.000 prussiani contro 66.000 austriaci la battaglia si risolse in una schiacciante vittoria Prussiana: 6.400 morti fra i prussiani 10.000 fra gli austriaci oltre a 12.000 prigionieri. La fanteria prussiana attaccò di sorpresa le lunghe linee austriache sul fianco meridionale. Mentre venivano respinti, gli austriaci tentarono disperatamente di riorganizzarsi, ma furono raggiunti prima dalla cavalleria Prussiana e poi dalla micidiale artiglieri di Federico. Fu una lezione devastante di scienza bellica. L’artiglieria era fondamentale, come la mobilità e la disciplina, per l’affermazione Prussiana. Federico dichiarava: “Non combattiamo più contro degli uomini, le guerre che intraprenderemo d’ora in poi saranno duelli di artiglieria. A Leuthen i prussiani disponeva di 63 cannoni da campo e 8 obici, oltre a 10 “brontoloni”, cannoni così chiamati per il rimbombo prodotto durante lo sparo. Armi come queste erano un esempio della applicazione e delle conoscenze scientifiche in ambito bellico. Una artiglieria mobile e precisa è la chiave del successo militare dell’occidente che durerà per oltre duecento anni. L’applicazione della scienza all’artiglieria illustrava perfettamente il progresso cumulativo che stava avvenendo in Europa grazie agli stati in competizione fra loro che imparavano l’uno dall’altro. La rivoluzione scientifica è un periodo d’oro per i geni della tecnologia. 47 Intorno al 1740 un matematico autodidatta di nome Benjamin Robins applica la meccanica newtoniana ai problemi di artiglieri utilizzando equazioni differenziali per fornire la prima vera descrizione degli effetti della resistenza dell’aria su proiettili ad alta velocità. Calcolando l’effetto del vento e dell’aria Robins riesce ad ottenere un miglioramento sensazionale della precisione di tiro dei cannoni. Non ci vuole molto prima che Federico il Grande commissioni una traduzione i tedesco dei “Nuovi principi di artiglieria” di Robins. Il traduttore Leonhard Euler, non sa resistere e perfeziona l’opera integrandola con un appendice di tavole per determinare velocità, gittata, altezza massima, tempo di volo di un proiettile sparato con una certa velocità iniziale ed angolo di elevazione. La scienza consegna così all’occidente un’arma micidiale l’artiglieria di precisione. Ma da questa rivoluzione balistica gli Ottomani restarono in gran parte esclusi. Solo lentamente nel corso del XVIII secolo gli Ottomani si rendono conto che si devono mettere al passo con le rivoluzioni in atto in occidente nel campo della scienza e del governo. E uno dei modi più scontato per farlo, fu quello di iniziare a pubblicare e leggere libri anziché affidarsi alle tradizionali trascrizioni degli amanuensi. Fra i primi tipografi Ottomani figura Ibrahim Müteferrika, un eclettico 48 ufficiale ottomano nato in Transilvania. Nel 1731 Müteferrika presentò la sultano Mahamud I il libro “Basi razionali per la politica delle nazioni” in cui sollevò il quesito che da allora in avanti ossessionò i mussulmani. Come mai, si chiedeva, le nazioni cristiane un tempo così deboli rispetto a quelle mussulmane, ormai dominano tante terre e sconfiggono persino le armate ottomane un tempo vittoriose? Nel rispondere Müteferrika toccò tanti argomenti. Citò il sistema parlamentare olandese e inglese, la conquista cristiana del Nuovo mondo e dell’estremo oriente e sottolineò anche come, mentre gli ottomani governavano in base alla Sharia, la legge sacra, in Europa scrisse: “le leggi sono dettate dalla ragione”. Il messaggio era chiarissimo: l’impero ottomano deve assimilare la rivoluzione scientifica e l’illuminismo se vuole rimanere una superpotenza credibile. Ma i libri da soli non bastano. Una riforma militare richiede l’importazione di competenze europee. Un ufficiale francese di origine ungherese François de Tott è chiamato a supervisionare l’edificazione di nuovi bastioni intorno alla capitale. Navigando lungo il Bosforo, De Tott si rese conto che molte fortificazioni erano poste in punti sbagliati, le navi nemiche sarebbero state completamente fuori tiro, tanto valeva che gli Ottomani sparassero a salve. Nelle sue memorie De Tott è spietato con gli Ottomani, definendo i loro castelli più simili ai resti di un assedio che ad allestimenti difensivi. Deciso a modernizzare le antiquate forze armate del Sultano De Tott istituisce un corso di scienze matematiche per la marina, fa edificare una nuova fonderia per la realizzazione di obici, promuove la produzione di unità mobili di artiglieria. Anche l’esercito ottomano iniziò a marciare con un ritmo tutto nuovo. Immaginate di arrivare a Istanbul a metà del XIX secolo, forse vi attendereste di esser ricevuto al rullo dei tamburi che diffuMüteferrika sero il terrore ai tempi di Allah e Maometto ai difensori di Vienna nel 1673, invece la melodia che sarebbe venuta alle vostre orecchie sarebbe stata composta da Giuseppe Donizetti, fatto giungere qui dall’Italia per musicare uno speciale inno nazionale, con stile italiano e quasi operistico per l’impero Ottomano. Il simbolo più duraturo di questa epoca venne fatto costruire dal 31° Sultano dell’impero Ottomano Abdülmecid I, (o Abdul Mejid I). Cultore della lingua francese, Abdülmecid anela ad emulare la civiltà occidentale in ogni suo aspetto. Così abbandona le agiatezze del palazzo Topkapi, la dimora storica dei sultani, per trasferirsi in una nuova sede di governo, fatta costruire in stile occidentale, il palazzo Durmabahace. Edificato fra il 1843 e il 1856, il palazzo conta oltre 285 stanze, 44 saloni e una spettacolare scala di cristallo, 14 tonnellate di foglie d’oro sono state usate per decorare le volte del palazzo, da cui pendono ben 36 lampadari. L’ambiente più grande è il salone Muayede, vi si trova il più grande tappeto del mondo, e un lampadario che pesa oltre 4 tonnellate. E’ la dimostrazione di quanto gli ottomani sono disposti a fare pur di imitare i costumi occidentali. C’è un orologio, che è anche termometro, un barometro e un calendario, fu un dono del pascià egiziano al sultano, presenta anche una bella iscrizione in arabo, Possa ogni tuo minuto valere un’ora ed ora cento anni. Si direbbe un capolavoro di tecnologia orientale se non fosse per un piccolo particolare, era stato costruito in Austria la Wilhelm Kirche. L’orologio dimostra perfettamente come una mera dimostrazione di occidentalizzazione per quanto impressionante non possa sostituire una autentica modernizzazione ottomana. Gli ottomani non avevano ancora capito che, se davvero volevano esser come l’occidente, serviva ben più di un palazzo in stile occidentale. Avevano bisogno di una nuova costituzione, di un nuovo alfabeto di uno stato totalmente nuovo. E se alla fine hanno ottenuto tutto questo è dovuto in larghissima parte a un uomo. Mustafa Kemal Ata- türk. La sua missione era quella di diventare il Federico il Grande della Turchia. Per sei secoli, oriente mussulmano e occidente cristiano, sono stati impegnati a combattersi, adesso agli inizi del XX secolo sotto il governo di Kemal Atatürk questo conflitto ha finalmente termine. Per secoli, sostiene Atatürk, i turchi si sono allontanati dall’occidente in direzione dell’oriente, ora sotto la sua guida raggiungeranno finalmente la loro meta sulle rive del Bosforo. L’oriente incontrerà l’occidente non solo geograficamente ma anche culturalmente. Centrale per l’occidentalizzazione della Turchia è l’introduzione di un sistema di governo laico, alla religione non sarà più permesso di dominare la scena politica, si faranno leggi laiche per uno stato laico. Secondo Atatürk la Turchia non poteva avviarsi verso la modernità finché l’islam avesse avuto un ruolo così di rilievo nella vita pubblica, si propose quindi di estirpare risolutamente a religione dalla politica per creare uno stato genuinamente laico, ovviamente la separazione fra chiesa e stato è di per sé molto occidentale. Per dare impulso alla ricerca scientifica Atatürk crea una nuova università ad Istanbul in stile occidentale, e una delle prime strutture scientifiche che fa edificare è un osservatorio, mentre l’osservatorio di Taqī al-Dīn al-Rāṣid era stato demolito nel XVI secolo per le pressioni del clero mussulmano, presso Atatürk gli scienziati possono finalmente svolgere il proprio lavoro senza differenze religiose. Progresso scientifico e potenza militare per Atatürk andavano di pari passo. La scienza, sosteneva, era l’unica vera guida nella vita, ecco finalmente un leader turco illuminato. Questo bastò per trasformare la Turchia nel paese moderno che conosciamo oggi, ma non riuscì a salvare l’eredità più esclusiva degli ottomani, il loro impero in terra santa. Quando l’11 novembre 1917 il comandante inglese Edmund Allenby conquista Gerusalemme segna la fine del dominio Ottomano in terra santa. Chi comanderà lì adesso? Alla porta di Jaffa, che Allenby varcò nel 1917, per sconfiggere i turchi ed il loro controllo su Gerusa- lemme che durava da 5 secoli, gli inglesi fecero delle promesse ai nemici interni del sultano, agli arabi promisero regni indipendenti, e agli ebrei una patria nazionale, ma ben prima della ritirata degli inglesi nel 1948 apparve chiaro che queste due promesse erano sostanzialmente incompatibili. Gerusalemme, oggi, è l’equivalente della Vienna del 1683 una città fortificata ai limiti della civiltà occidentale. Fondato nel 1948 come stato laico per gli ebrei ma non esclusivamente per gli ebrei, Israele è indubbiamente un avamposto occidentale, ma è sotto assedio. A Gerusalemme, che Israele considera la propria capitale, il muro che l’attraversa non è un struttura propriamente amata nel mondo, ma se si passa del tempo in Israele, si capisce perché la gente non si sente al sicuro. Si sente minacciata da Hamas a Gaza, dagli Hezbollah nel vicino Libano, dalla Siria, dai fratelli mussulmani in Egitto, dall’Iran per non parlare dell’Arabia Saudita. Persino la Turchia si è allontanata dalla eredità laica di Atatürk per abbracciare, secondo alcuni, una politica estera neo-Ottomana. Ecco perché molti israeliani si sentono minacciati come i viennesi nel 1683; si sentono assediati da un implacabile avversario religioso. Anche qui tuttavia dispongono dell’arma della scienza moderna per tenere a bada i nemici. Israele è all’avanguardia nella ricerca scientifica e tecnologica. Una azienda vicina a Tel Aviv sta sperimentando un nuovo tipo di macchine elettriche la cui ricarica richiede lo stesso tempo, se non meno, della sosta da un benzinaio. Nel solo 2008 gli inventori israeliana hanno depositato 9591 nuovi brevetti, un paese come l’Iran appena 50. Israele conta la percentuale di scienziati e ingegneri più alta del mondo. La storia ci insegna che un piccolo paese può sconfiggere avversari più consistenti se ha la scienza dalla sua parte, pensiamo alla Prussia di Federico il Grande. Tuttavia oggi il divario fra occidente ed oriente sembra orientato a ridursi. Kemal Atatürk Fino ad ora Israele è stata l’unica potenza nucleare in medio oriente, ma adesso l’Iran sta per realizzare il vecchio sogno nel cassetto di possedere la più potente arma di distruzione di massa. Più di tre secoli dopo l’assedio di Vienna il mondo islamico si è reso finalmente conto che non c’è potere senza il sapere. Da Teheran a Riyāḍ, fino alla scuola privata mussulmana finanziata dai Sauditi che è stata fondata a Londra, il tabù che vietava l’istruzione delle donne sta svanendo. La maggior parte delle sue allieve alla King Fahad Academy di Londra, indossa il velo come impone la religione. In questa scuola l’istruzione impartita è chiaramente di stampo islamico, ma ciò non impedisce di studiare i principi della biochimica. La domanda chiave è: per quanto tempo ancora l’occidente riuscirà a mantenere il primato scientifico su cui, fra le altre cose, ha basato per secoli la propria superiorità militare? è un altro segreto del successo che il resto del mondo è riuscito a carpirgli, ma la scienza è solo uno dei sei segreti che le ha permesso all’occidente di distinguersi dal resto del mondo. Gli Iraniani potranno anche riuscire a copiare i nostri armamenti più letali, ma come la mettiamo con la Democrazia? 49 Libertà di parola… o no? Occidente - Russia: due vicende parallele Di Riccardo Manzoni mb 339.1002650 e-mail: [email protected] I Fatti In Russia tre ragazze sono state condannate a due anni di carcere per istigazione all’odio religioso; in Gran Bretagna Assange deve rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador per evitare di essere molto probabilmente estradato negli Stati Uniti. Cosa avranno mai commesso di tanto grave per andare incontro ad un simile destino? Semplice: nel primo caso le Pussy Ryot condannate hanno cantato incappucciate nella Chiesa di Cristo Salvatore ed invocato la Madonna per ottenere la liberazione dal governo di Putin; nel secondo Assange ha rivelato, attraverso il sito di Wikileaks, documenti considerati dagli USA fondamentali per la sicurezza nazionale americana e quindi questi ultimi vogliono fargliela pagare cara. Queste due vicende toccano direttamente il punto fondamentale di ogni democrazia, la libertà di espressione, e mettono a confronto la visione moderna e quella tradizionale. La prima sottolinea l’importanza assoluta della libertà di parola che non deve arrestarsi di fronte a niente, anche a costo di produrre scandalo e suscitare polemiche; la seconda subordina questo diritto ad altri principi, come il rispetto dei credenti o la Ragion di Stato. 50 Julian Assange Allo stesso tempo vi è però una profonda differenza per i contesti nei quali si sono svolti gli eventi descritti, in quanto Russia e mondo anglosassone sono agli antipodi. RUSSIA La Russia non ha mai conosciuto, se non recentemente, la libertà di espressione e la democrazia; inoltre sotto il comunismo ha subito la distruzione di molte chiese e la persecuzione del clero ortodosso. Ciò non le ha comunque impedito di conservare la propria fede, sia pure in modo clandestino, tanto che la fine del Regime ha coinciso con il rifiorire della fede cristiana, sentita come parte integrante della propria identità. Non deve quindi stupire che il processo alle Pussy Ryot abbia riaperto ferite chiuse solo di recente, toccato tasti profondi e fatto venire alla luce come al solito le due anime contrapposte della Russia: quella più urbana, istruita e filo-occidentale si è schierata a favore di queste ragazze e del loro gruppo tanto da inviare un altissimo numero di domande di adesione, mentre quella più tradizionalista sperava in una condanna molto più severa. Visto che in Russia quasi tutti i processi si concludono con la condanna dell’imputato era quasi scontato prevedere che sarebbe finita così anche in questo caso, ma la sentenza è comunque interessante per vari motivi. Innanzitutto pone seri interrogativi sull’effettiva indipen- denza della magistratura, in quanto sembra essere fatta su misura secondo i desideri di Putin che si era augurato “una condanna non troppo severa”. Inoltre pone un dilemma più generale su quale deve essere il compito della Giustizia. Essa deve limitarsi ad applicare la legge oppure essere anche interprete dei sentimenti del popolo? La risposta in teoria dovrebbe essere che la magistratura fa rispettare la legge senza curarsi né delle pressioni eventuali da parte del Potere né degli umori popolari. In realtà la situazione è più complessa perché la Giustizia, come la classe politica, per essere davvero efficace deve godere del sostegno del popolo, altrimenti la sua azione diventa poco per volta sempre più vulnerabile e di conseguenza debole. Quanto detto dovrebbe essere peraltro notissimo proprio a noi Italiani per almeno due motivi. Il primo è che l’Italia, tra i paesi occidentali, è quello più simile alla Russia in quanto entrambi hanno da moltissimo tempo problemi simili, come uno Stato ipertrofico, un netto distacco di stili di vita tra politici e cittadini ed un alto tasso di corruzione con la conseguenza comune che i cittadini si fidano poco delle Istituzioni. Il secondo ha a che fare con la nostra storia recente, in quanto dovremmo ricordarci che tutti i più grandi successi della magistratura, come la vittoria contro il terrorismo, le sentenze di condanna dei capi mafiosi e le inchieste sulla corruzione all’inizio degli anni Novanta, sono stati accompagnati da manifestazioni di massa nelle quali milioni di cittadini esprimevano il loro totale appoggio nei confronti dei magistrati impegnati in queste attività. Quanto detto rende il caso delle Pussy Ryot più problematico di quanto potrebbe apparire a prima vista, in quanto da un punto di vista strettamente giuridico la sentenza è senza dubbio eccessiva, tanto più che non hanno fatto nulla di davvero grave; se invece si analizza questo processo nel contesto più ampio della storia e della psicologia della Russia la sentenza diventa quantomeno comprensibile e si capisce perché ben il 43% dei Russi considera la pena inflitta addirittura troppo lieve. La diversa percezione tra l’opinione pubblica occidentale ed una così larga parte di Russi da un lato rimanda alle due visioni del mondo ricordate all’inizio, dall’altro dovrebbe suscitare seri interrogativi politici. Per quel che riguarda il primo argomento emerge come l’Occidente si identifichi nella visione moderna che considera la libertà di espressione fondamentale e prioritaria rispetto ad ogni altro principio; non a caso le Pussy Ryot hanno ottenuto totale solidarietà da cantanti occidentali che chiedevano la loro immediata scarcerazione e consideravano semplicemente inconcepibile quanto stava avvenendo in Russia. Certo, il fatto che cantanti sostengano così esplicitamente altre cantanti può fare pensare ad una difesa “corporativa”, ma è comunque significativa della mentalità occidentale, visto che nei nostri paesi non potrebbe mai verificarsi qualcosa di analogo. In Russia invece molta popolazione ha conservato un attaccamento alla tradizione ed alla religione a sua volta incomprensibile in un gran numero di intellettuali e cantanti occidentali. Non a caso le Pussy Ryot sono state denunciate da persone comuni rimaste profondamente turbate dalla loro esibizione nella Chiesa di Cristo Salvatore; il fatto che queste ragazze siano filooccidentali e che almeno una sia atea ha ulteriormente peggiorato la loro situazione facendole apparire a molti loro connazionali estranee all’autentica identità russa e simbolo vivente della corruzione occidentale. Inoltre il fatto che l’Occidente le difenda e di conseguenza giustifichi quanto fatto da loro è visto nell’ottica tradizionale come la riprova di quanto l’Occidente sia ormai dimentico dei valori sacri come il rispetto di Dio e sia quindi pericoloso per sé e per gli altri. Prima ancora che a livello politico, emerge infatti un reciproco pregiudizio consolidato nei secoli: da un lato in Russia molti considerano l’Occidente pericoloso ed inquinatore della “santa” identità russa; dall’altro in Occidente una parte consistente di opinione pubblica vede la Russia come un paese profondamente corrotto, forse neanche europeo, e quindi è portata a giudicare qualsiasi decisione dell’Autorità in modo molto più severo di quanto non farebbe verso altri paesi occidentali. A proposito dei rapporti politici tra Russia ed Occidente, la vicenda delle Pussy Ryot mette quest’ultimo in una posizione molto scomoda: se interviene in loro difesa agevola chi le accusa di essere “nemiche della Patria” e rischia di aggravare ancora di più la loro situazione; se non fa nulla si mostra incoerente con i suoi principi e quindi perde credibilità agli occhi dei suoi ammiratori, ma anche dei suoi avversari suscitando solo disprezzo nei suoi confronti. Inoltre l’Europa si trova davanti ad un dilemma ulteriore perché da un lato deve rendere i legami con la Russia sempre più stretti, dall’altro emerge ogni giorno di più che i modi di pensare sono sostanzialmente diversi e ciò dovrebbe viceversa spingerla a chiedersi quanto sia possibile costruire relazioni davvero solide con essa. Infatti questo processo è solo l’ultimo episodio di uno stillicidio continuo di situazioni che fanno sistematicamente affiorare una “psicologia profonda” opposta: la guerra nell’ex Jugoslavia, la Cecenia, le riforme attuate in Russia, la democrazia come idea-guida sia all’interno sia in politica estera. Alla base di tutti questi approcci vi sono certamente interessi concreti, ma anche ragioni storiche più profonde. Infatti l’Europa è stata la culla dell’Illuminismo e del Romanticismo, filosofie tra loro contrapposte ma che hanno cambiato profonda- mente la società e che davano importanza alla libertà, anche se in modo diverso: l’Illuminismo insisteva su quella individuale e ha creato le premesse per la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, mentre il Romanticismo esaltava la libertà collettiva ed il principio di autodeterminazione dei popoli. Questo spiega perché ancora oggi l’opinione pubblica europea dia così tanta importanza alla democrazia, alla libertà di espressione in qualsiasi circostanza e quindi appoggi le Pussy Ryot ed i popoli che combattono contro la dittatura o per l’indipendenza. In Russia invece l’Illuminismo non ha mai attecchito in profondità ed in seguito alle guerre contro Napoleone la Russia è addirittura diventata un bastione ideologico, oltre che politico-militare del pensiero controrivoluzionario anti illuministico; quanto al Romanticismo, la Russia subì una profonda, ma parziale influenza proveniente dalla Germania. Infatti da essa arrivò il populismo e più tardi il sonderweg, “via particolare”, ideologia che esalta la peculiarità di questi due paesi e teorizza quindi la necessità di creare un modello politico, economico e sociale diverso da tutti gli altri. Non arrivò invece il concetto di autodeterminazione dei popoli per evidenti motivi politici: la Russia era un grande impero multietnico e questa ideologia avrebbe minato le basi stesse dell’unità della Russia, come sarebbe successo nel Novecento sia con la rivoluzione comunista sia sotto Gorbaciov. Quest’ultima esperienza in particolare spinge i Russi a considerare la democrazia, i diritti umani e l’auto- Pussy Ryot 51 determinazione dei popoli grimaldelli usati dall’Occidente per imporre il suo predominio ed i suoi valori. Non deve stupire quindi che i Russi rimangano sordi verso principi per noi fondamentali e che sostituiscano al principio dell’autodeterminazione dei popoli quello della sovranità assoluta dello Stato, tanto che Putin ha coniato l’espressione “democrazia sovranista” per indicare che nessuno può interferire negli affari interni. Questo approccio si vede anche in Cina ed in parte negli USA ed è il risultato della Seconda Guerra Mondiale: mentre le nazioni dell’Europa occidentale, indipendentemente dal fatto di essere vincitrici o vinte, decidevano di abbandonare il concetto della sovranità assoluta per evitare guerre future, USA, URSS e Cina accentuavano al loro interno proprio questo principio passato poi alla Russia. Esiste però una differenza importante tra USA da un lato e Russia e Cina dall’altro. Gli USA non vogliono alcuna limitazione di sovranità nazionale, ma allo stesso tempo considerano la libertà un valore supremo e di conseguenza intervengono negli altri Stati per esportare o difendere la democrazia. Russia e Cina partendo dal principio della sovranità assoluta non solo non tollerano intromissioni esterne in casa loro, ma si oppongono a priori a qualsiasi intervento di uno o più Stati in un’altra nazione. Questo spiega perché la Russia non solo non accetta critiche alle condanne inflitte alle Pussy Ryot ma oggi non vuole sentire parlare di interventi in Siria, così come in passato è stata estremamente critica verso la guerra dell’Occidente contro Milosevic. Questi retroterra storici ed ideologici spiegano perché quasi sempre si verifica la con- 52 ché quasi sempre si verifica la contrapposizione psicologica, prima che politica, tra Occidente e Russia vista in precedenza. Se però la condanna comminata alle Pussy Ryot è comprensibile e coerente con il passato della Russia, la vicenda di Assange è molto più problematica perché obbliga l’Occidente a “gettare la maschera” ed a guardarsi in faccia per quello che è davvero e non per quello che vorrebbe essere. L’OCCIDENTE Essa infatti fa entrare in cortocircuito il mondo anglosassone in quanto emerge chiaramente che i principi che ne stanno alla base, come la libertà di parola, vengono messi in seria discussione quando l’opportunità politica lo chiede. Per la verità questo mondo, soprattutto nella versione americana, non è pienamente occidentale in senso stretto, come emerge ancora oggi dalla presenza di umori antieuropei al suo interno. Infatti, se è vero che l’Inghilterra ha vissuto esperienze analoghe ad altri paesi europei e che gli USA hanno conservato istituzioni e modi di pensare un tempo presenti in Europa e poi spariti, è anche vero che l’Inghilterra ha avuto per molti secoli un’identità separata dal resto dell’Europa e che gli USA hanno creato una società basata su principi opposti a quelli europei. Da questo punto di vista più che parlare del mondo anglosassone come di una parte dell’Occidente sarebbe più corretto affermare che l’Europa occidentale è diventata, e sta diventando sempre più, un prolungamento del mondo anglosassone, dato che ne ha accolto i principi base in tutti i campi. Un tipico esempio è proprio la democrazia e di conseguenza la libertà di parola: per molti secoli essa fu prerogativa dell’Inghilterra, tanto che ancora nel Settecento Voltaire esaltava questo modello in contrapposizione a quello francese, basato sulla monarchia assoluta. Solo da quel momento essa iniziò a divenire un punto di riferimento prima in Francia, poi nel resto d’Europa. Quanto agli USA, la loro costituzione permette una libertà di parola ancora più ampia di quella che esiste nei nostri paesi. Proprio per questi profondi retroterra storici la vicenda di Assange è grottesca e grottesca e getta pesanti interrogativi sull’onestà intellettuale del mondo anglosassone. Intendiamoci: anche il comportamento di Assange in teoria è sbagliato, visto che in Italia per anni si è detto che ci si difende “nel” processo e non “dal” processo (in polemica con le leggi sulla Giustizia volute da Berlusconi). Inoltre è indubbio che la Svezia sia uno dei paesi più corretti del mondo e che proprio la Svezia ha detto che non ha nessun accordo segreto per estradare Assange negli USA e quindi bisognerebbe crederle. Infine bisognerebbe prendere con le dovute cautele tutte le informazioni provenienti da Internet e tutte le persone che usano questo strumento perché esso è un mondo virtuale particolarmente soggetto all’esagerazione quando non alla mistificazione. Rimane il fatto che la reazione furente degli USA alle rivelazioni di Assange fa capire quanto egli abbia divulgato segreti che per loro dovevano invece restare segreti e vogliano fargliela pagare. Conoscendo la determinazione che caratterizza gli Stati Uniti è fin troppo facile prevedere che non si fermeranno finché non avranno raggiunto il loro obiettivo. Anche la volontà, poi rientrata, della Gran Bretagna di ritirare l’immunità diplomatica all’ambasciata dell’Ecuador fa capire l’importanza della posta in palio, ben superiore all’accusa di stupro proveniente dalla Svezia ed alimenta le paure, o i pretesti, di Assange per non consegnarsi alle autorità svedesi. Proprio questi atteggiamenti suscitano gli interrogativi ricordati in precedenza: dove è finita la trasparenza dell’informazione e più in generale la trasparenza in politica interna decantata dal mondo anglosassone in Unione Sovietica ai tempi di Gorbaciov col nome di glasnost? Che fine ha fatto il sogno wilsoniano di abolire la diplomazia segreta ed introdurre trasparenza anche nei rapporti internazionali? In base a quale principio gli USA, che si vantano del loro giornalismo, considerato di fatto un vero e proprio potere che deve controllare e denunciare gli abusi dell’Autorità, vogliono processare chi fa altrettanto a livello internazionale? Oppure gli USA credono a questi valori solo al loro interno, La maschera tratta dal film - V per vendetta - icona della ribellione sociale Woodrow Wilson paesi? Se fosse così, però, come potrebbero sostenere in modo credibile di voler esportare la democrazia e dimostrare che hanno torto gli antiamericani che dicono che in realtà gli Stati Uniti vogliono soltanto espandere la loro zona di influenza? Analoghi interrogativi nascono spontanei osservando il comportamento della Gran Bretagna: perché la culla della democrazia e della libertà di pensiero, nota dall’Ottocento per aver dato ospitalità a perseguitati politici di ben più ampio spessore, ora si accanisce così tanto contro Assange? Perché segue gli USA in una questione destinata non solo a non portarle alcun vantaggio, ma che le costa moltissime sterline e ne mette in risalto la subordinazione ai “cugini d’oltreoceano” anziché difendere la libertà di parola di Assange e con essa la sua sovranità nazionale? Certo, il fatto di vantarsi di avere con gli USA “relazioni speciali” e l’eterna riconoscenza dovuta loro per averle fatto vincere le due guerre mondiali possono spiegare l’attuale comportamento della Gran Bretagna. Non bisogna dimenticare però che in occasione della guerra contro Gheddafi l’attuale governo, d’accordo con Sarkozy, si era mosso in totale autonomia nei confronti degli USA spingendo anzi questi ultimi a seguire la propria iniziativa; gli interrogativi ricordati poco fa rimangono quindi senza una vera risposta convincente. Quello che è certo è che la vicenda di Assange mette in pessima luce il mondo anglosassone e stupisce come quest’ultimo non lo capisca. Infatti essa fa emergere un “teatrino della politica” nel quale ognuna delle parti in causa sbandiera principi teorici di fatto calpestati a proprio comodo, dando vita ad un mondo da “Alice nel paese delle meraviglie”, cioè completamente opposto rispetto a quella che normalmente è la realtà. Va sottolineato infatti che gli Stati che sostengono Assange, come Ecuador e Russia di solito non brillano per libertà di stampa al loro interno ma in questo caso si comportano in modo garantista. In realtà la loro scelta è dettata innanzitutto dal nazionalismo legato a ragioni di consenso interno, ma è innegabile che comunque facciano la parte dei “buoni” che difendono un perseguitato politico. Ciò è vero in particolare per l’Ecuador per due motivi; innanzitutto ha dato protezione diplomatica e quindi si è esposto in prima persona, inoltre evidenzia la sindrome di “Davide contro Golia”; peraltro risalta ancora di più la sua azione, laddove paesi ben più importanti non hanno fatto nulla in difesa di Assange. Viceversa Regno Unito ed USA, nazioni dove lo Stato di diritto è una realtà consolidata, per ora escono malissimo da questo pasticcio diplomatico; infatti esso permette di accusarli di falsità perché nella realtà non rispettano la libertà di espressione tanto sbandierata a parole. Inoltre il fatto che loro, grandi potenze mondiali, non mollino la presa sull’Ecuador, paese piccolo e povero, aggrava la loro posizione perché li rende accusabili anche di arroganza internazionale e di imperialismo; in una parola tutta questa situazione sembra fatta apposta per confermare i peggiori pregiudizi su di loro. In realtà a “metterci la faccia” è la Gran Bretagna, ma è evidente che essa è “il braccio” che si muove in sintonia con gli USA, vera mente ispiratrice della caccia ad Assange e quindi questi ultimi hanno quantomeno le stesse responsabilità del Regno Unito. Questa vicenda fa inoltre emergere molto bene il doppio sistema di giudizio di opinione pubblica, intellettuali e cantanti nei nostri paesi: mentre il sostegno alle Pussy Ryot è stato totale, non si è levata nessuna voce paragonabile in difesa di Assange. Ciò si spiega col fatto che gran parte di queste persone provengono da Gran Bretagna ed Usa, quindi tendono ad essere molto critiche solo con le altre nazioni, ma altrettanto indulgenti con le loro. I paesi anglosassoni sono considerati un modello da imitare anche da molti europei, che di conseguenza sono portati a solidarizzare di meno con Assange rispetto alle Pussy Ryot, percepite come ragazze condannate da un potere ingiusto e spesso corrotto. Questa idealizzazione del mondo anglosassone risale al Settecento con Voltaire e continua nell’Ottocento con politici europei ed italiani come Filippo d’Orleans e Cavour, ma diventa ancora più diffusa dopo la Seconda Guerra Mondiale con la “Guerra Fredda”. Per diversi decenni infatti Britannici ed Americani riescono con il “soft power” ad “entrare nei cuori e nelle teste” degli Europei divenendo il simbolo stesso del Bene in lotta contro le te ne bre so v ie ti c he . Q ue sta “operazione d’immagine” ha successo in parte sfruttando la secolare simpatia europea verso il mondo anglosassone e viceversa l’altrettanto atavica diffidenza di molti europei verso la Russia, in parte insistendo su contrapposizioni ideologiche tipiche di quel periodo e fa sentire i suoi effetti ancora ai nostri giorni. Infatti molti europei oggi adulti sono cresciuti assorbendo da bambini il clima culturale appena descritto evidenziando molto bene il doppio sistema di giudizio. Proprio l’abilità e la lungimiranza dimostrate in passato rendono viceversa incomprensibile l’incapacità di USA e Gran Bretagna di capire i “danni d’immagine” a lungo termine causati loro dall’incaponirsi contro Assange. Purtroppo per ora la situazione è in stallo e si può solo sperare che gli USA rinuncino al desiderio di voler processare Assange e contribuiscano in tal modo a normalizzare la situazione. In caso contrario avranno molti più problemi a presentarsi come i difensori della libertà di pensiero, a basare su questo la loro egemonia gettando invece le basi del loro discredito, facilitando l’avvento di potenze con una “narrazione” più coerente e quindi più convincente. 53 Vince l’Europa Riccardo Manzoni mb 339.1002650 mail: [email protected] 54 Giovanni Calvino I FATTI Le elezioni olandesi sono state inequivocabili: i partiti favorevoli all’Unione Europea hanno vinto, quelli contrari hanno perso, malgrado i sondaggi facessero pensare ad esiti ben diversi. Questa differenza tra intenzioni di voto e risultati finali non è nuova e si è verificata spesso anche in Italia, come per esempio nel 2006. In quell’occasione Berlusconi sembrava destinato ad una sconfitta clamorosa, mentre perse per appena 24.000 voti e riuscì a fare cadere il secondo governo Prodi dopo poco più di due anni, anche per le divisioni che minavano dall’interno una maggioranza esigua e fragile. Sia questi precedenti italiani sia le ultime elezioni olandesi pongono un interrogativo che si ripresenta ogni volta che si verificano situazioni simili: perché i politici continuano ad usare uno strumento che già in passato si é dimostrato così inaffidabile? La risposta è alquanto semplice: essi hanno bisogno di capire la popolarità delle loro proposte, oltre che quella personale, e considerano i sondaggi il mezzo più veloce e semplice per arrivare al risultato che si propongono. Dopotutto questo sistema funziona molto bene in tutti gli altri ambiti, perché proprio in politica dà risultati così deludenti? La risposta a questo interrogativo è più complessa perché ha a che fare con la natura umana. Essa è composta sia da una parte razionale sia da una irrazionale e ciò ha conseguenze non solo nella vita quotidiana, ma anche in ambito politico. Infatti questo significa che le persone intervistate rispondono al sondaggio in base al proprio stato d’animo, spesso molto critico verso l’esistente. Quando devono votare davvero, però, prevale spesso la paura verso il nuovo tante volte invocato a parole e di conseguenza preferiscono soluzioni già sperimentate. Inoltre le elezioni sono condizionate dal passato storico e culturale dei vari paesi che porta a valutazioni molto diverse sull’attuale politica economica, come é emerso molto bene in Olanda. LE CAUSE Questo paese ha preferito dare fiducia ai partiti favorevoli all’Unione Europea sia per la sua anima profonda sia per i limiti oggettivi di quelli ostili all’UE. Esso ha sempre basato la sua forza sul commercio navale e questo ha influito notevolmente sulla sua identità, molto più simile all’Inghilterra che al resto d’Europa sia a livello di modelli politici sia di mentalità più generale. Non a caso Olanda ed Inghilterra sono stati per molto tempo gli unici Stati liberali, mentre quasi tutti gli altri erano, o si avviavano a diventare, monarchie assolute. Inoltre Olandesi ed Inglesi sono popoli molto concreti, pragmatici e lontani da ogni estremismo ideologico. Allo stesso tempo l’Olanda è calvinista e ciò porta anche i partiti di sinistra ad un rigore morale di tipo americano impensabile negli altri paesi europei. Un esempio è l’aiuto ai disoccupati: negli USA Bill Clinton aveva varato un provvedimento molto simile a quello adottato ai nostri giorni dai socialisti ad Amsterdam. Esso prevede di concedere il sussidio di disoccupazione solo a chi è veramente senza possibilità di trovare un impiego; se invece il senza lavoro non si presenta al colloquio per accettare l’occupazione trovatagli dall’Amministrazione Pubblica, o la rifiuta, perde il diritto al sussidio. Questo sistema permette di aiutare chi è veramente in difficoltà distinguendo i disoccupati autentici da quelli finti che vogliono soltanto vivere a spese della collettività. Malgrado i suoi evidenti vantaggi, esso si trova solo in Olanda e negli Stati Uniti, mentre dovrebbe essere adottato anche negli altri paesi europei, tantopiù in tempi come quelli attuali, contrassegnati dalla necessità di tagliare sprechi e spese improduttive. Ciò si spiega con la netta differenza esistente tra il calvinismo, religione predominante in Olanda e negli USA, e le altre confessioni religiose cristiane. Il calvinismo nel bene e nel male è una religione che esalta l’individua- lismo, in quanto mette in primo trodurne di nuove non è sbagliata piano il comportamento e le capama è impraticabile per le attuali cità del singolo. Esso abbina libertà difficoltà economiche e rischia di e responsabilità e ciò significa che essere persino diseducativa. Infatti ciascuno di noi si comporta nel moin questo modo si continuerebbe do che ritiene migliore e ne paga le con gli “aiuti a pioggia” senza diconseguenze, positive o negative stinguere i veri bisognosi da quelli che siano. In questo modo nessuno finti, come invece avviene in Olanpuò accusare la società di essere da e negli USA. Va detto per la veresponsabile per gli errori commesrità che l’aiuto dello Stato ancora si, come invece avviene da noi sia oggi distingue nettamente il modela ragione sia, spesso, a torto. lo europeo da quello americano, Le altre confessioni, invece, sia tanto che recentemente è stato pure con gradi diversi, sono comuproposto di considerare lo Stato nitarie e quindi maggiormente porSociale patrimonio dell’identità eutate alla solidarietà verso i più deropea da riscoprire e valorizzare. boli. Questo modo di pensare non Da questo punto di vista l’Olanda rimane limitato alla sfera religiosa, ha il giusto equilibrio tra rigore e ma influenza in generale tutta la solidarietà e può essere considerasocietà sia a livello politico sia a ta una felice sintesi tra USA ed livello sociale. Europa. Infatti se è vero che preNel primo caso ciò emerge molto senta una mentalità riconducibile al bene dalle ideologie che teorizzano calvinismo, è altrettanto vero che la subordinazione dell’individuo allo nei mesi scorsi ha accentuato anStato. Esse sono nate e hanno avucora di più l’attenzione verso gli to fortuna in ambito cattolico, ortoemarginati con provvedimenti condosso oppure nella variante tedecreti a favore dei senza fissa dimosca del luteranesimo, da sempre ra. Ciò si spiega col fatto che tra molto più gerarchica e Olanda da un lato ed USA e Regno “statolatrica” di quella affermatasi Unito dall’altro esiste una fondain Scandinavia, mentre non a caso mentale differenza geografica, che sono sempre rimaste ininfluenti in ha a sua volta importanti ripercusOlanda e negli Stati Uniti. sioni sull’identità nazionale. In campo sociale in Italia molte Il mondo anglosassone è sempre forze politiche e sindacali hanno stato nettamente distinto dal contiuna visione “romantica” dei disocnente europeo e questo lo ha porcupati, considerati a priori “vittime tato ad elaborare ideologie che del Sistema” senza analizzare i mosottolineavano la sua diversità, cotivi reali che hanno determinato me la Britishness in Gran Bretagna questa situazione. Ciò ha portato in e l’Eccezionalismo negli Stati Uniti. passato a degenerazioni impensaIn tal modo sono sopravvissuti anbili in altri paesi, come ottenere la cora oggi umori antieuropei che già riassunzione di persone colte in in passato avevano portato a creaflagranza di reato mentre rubavare una società basata su modelli no, a danno dei disoccupati onesti opposti a quelli dell’Europa contiche avrebbero Totale aiuti di Stato in UE in percentuale potuto ottenere il tanto sospirato posto di lavoro. Queste forze a maggior ragione vogliono difendere in modo acritico il sistema esistente e magari estendere ancora di più le protezioni sociali, per esempio introducendo un salario minimo per i giovani. Di per sé l’idea di mantenere le garanzie attuali e magari in- nentale. Questa “psicologia profonda” è stata poi accentuata ulteriormente dal pananglismo. Esso è un’ideologia che teorizza ed esalta la solidarietà tra gli Anglosassoni, e quindi ha contribuito a rafforzare i legami transoceanici a scapito di quelli con i paesi europei. L’Olanda invece fa parte dell’Europa senza la minima ombra di dubbio e questo fa sì che non abbia mai nutrito ostilità verso gli altri paesi europei e che non siano mai nate ideologie equivalenti a quelle viste poco fa nel mondo anglosassone. Di conseguenza essa, pur mantenendo la propria specificità, ha adottato in modo del tutto naturale modelli già presenti nel resto del Continente come lo Stato Sociale. Proprio le caratteristiche analizzate fino ad adesso spiegano il successo dei partiti favorevoli all’UE: essi hanno affermato con grande franchezza la necessità di proseguire la politica del rigore per rimanere nell’Unione Europea. In realtà in passato gli Olandesi avevano bocciato in massa la Costituzione Europea, ma un conto è respingere un singolo provvedimento, anche se importantissimo, un altro è “saltare il fosso” ed uscire dall’UE. Messi davanti al bivio se mantenere l’Euro oppure tornare alla moneta nazionale, gli Olandesi hanno preferito di gran lunga la prima alternativa per l’europeismo e la concretezza che da sempre li contraddistinguono. Questo “linguaggio della verità” del resto aveva già avuto successo mesi fa in Grecia portando alla vittoria “Nuova Democrazia”, partito conservatore favorevole a mante- del PIL, Industria e Servizi 55 nere gli impegni presi con l’UE. A maggior ragione ha avuto notevoli consensi in Olanda, paese calvinista e rigorista, dove il consenso per la politica della Merkel è superiore perfino a quello che si registra nella stessa Germania. Inoltre essa non suscita ostilità perché gli Olandesi hanno due vantaggi rispetto agli altri paesi impegnati nella politica di austerità, avere una situazione economica migliore ed essere un popolo germanico. Il primo fa sì che i sacrifici per quanto duri siano tutto sommato limitati e non abbiano effetti troppo gravi sulla popolazione. Il secondo porta la Merkel, paladina della politica del rigore, a trattarli con maggiore rispetto evitando frasi come “fare i compiti a casa” riservate ad Italia, Spagna e Grecia. Questo diverso atteggiamento ottiene il risultato di rendere minoritari i sentimenti antitedeschi, il che dovrebbe spingere la Merkel ad adottare lo stesso approccio anche con gli altri popoli. Inoltre è innegabile che una decisione drastica come quella di uscire dall’Unione Europea, già problematica per nazioni fondamentali come Francia, Germania ed Italia, è del tutto impensabile per un paese piccolo, anche se molto sviluppato, come l’Olanda. La sconfitta dei partiti antieuropei, però, non si spiega solo col fatto che le elezioni erano diventate un referendum sulla permanenza o meno nell’Unione Europea ma ha radici più profonde che riguardano la loro stessa natura. Essi si rifanno al populismo, spesso confuso a torto con l’estrema destra. Infatti quest’ultima, come peraltro anche l’estrema sinistra, ha una ideologia ben precisa che permette di affrontare tutti gli aspetti politici, economici e sociali. Di con- 56 seguenza estrema destra ed estrema sinistra in passato si sono presentate come vere e proprie nuove religioni e volevano mobilitare il popolo suscitando in esso una fede incondizionata. Questo aspetto fondamentale è stato analizzato molto bene da famosi intellettuali, storici e giornalisti italiani e stranieri, che operano una netta distinzione tra totalitarismo ed autoritarismo. Nel primo rientrano estrema destra ed estrema sinistra per i motivi visti in precedenza, nel secondo le dittature militari tradizionali che basano il proprio potere sulla passività dei cittadini, chiamati all’obbedienza senza partecipare alla vita politica. Inoltre il fatto che estrema destra ed estrema sinistra abbiano una visione del mondo molto articolata le rende ancora oggi pericolose. Non a caso il Sistema fa di tutto per marginalizzarle perché si rende conto che sono pericolose per la sua stessa esistenza. Il populismo presenta alcuni aspetti comuni con l’estrema destra, come la lotta all’immigrazione ed all’Unione Europea, e per questo motivo viene usato con significato negativo e combattuto, ma in realtà è molto diverso. Infatti, è un’ideologia generica che esalta il popolo in contrapposizione alle classi dirigenti senza avere una visione organica in grado di risolvere i problemi. L’intellettuale Marco Tarchi in una sua conferenza ha fatto notare a questo proposito che la sua vaghezza si mostra pienamente proprio quando si cerca di darne una definizione esatta. Io stesso posso garantire che quanto detto da Tarchi è giustissimo in base ad un’esperienza empirica compiuta in passato. Infatti per curiosità ho cercato su più dizionari il significato di questo termine e le definizioni sono state sempre diverse tra loro. La caratteristica appena descritta all’inizio può peraltro essere un punto di forza per due motivi. Innanzitutto permette al populismo di essere di destra, di sinistra o non riconducibile a nessuno schema a seconda delle circostanze. Inoltre lo rende poco pericoloso a livello ideologico e quindi in alcuni paesi viene Geert Wilders considerato una forza con la quale allearsi per governare. In seguito però diventa una debolezza molto grave. Infatti quando partiti populistici vincono le elezioni finiscono sempre per deludere le aspettative e quindi alla fine perdono consensi. Questo aspetto è stato colto molto bene in passato da un osservatore politico che proponeva una soluzione paradossale, opposta a quella adottata comunemente, per combattere i populisti. Infatti affermava che bisognerebbe permettere a questi ultimi di arrivare al potere perché così emergerebbe la loro inconsistenza e di conseguenza non avrebbero più alcuna credibilità. CONFRONTO OLANDA ALTRI PAESI Quanto detto fino adesso, infatti, non spiega solo la sconfitta del Partito della Libertà di Wilders in Olanda, ma anche il netto calo di consensi per Lega Nord e PDL in Italia. In realtà da noi la situazione è più complessa per gli scandali che hanno colpito questi due partiti, ma certamente l’incapacità di proporre soluzioni per uscire dalla crisi economica ha giocato un ruolo importante. Infatti i populisti in tutti i paesi mostrano notevoli limiti in economia, argomento oggi sentito come prioritario dai cittadini, e ciò li condanna alla sconfitta. Questo è dovuto al fatto che sia Wilders sia Lega Nord e PDL si ispirano al liberismo, teoria economica che si sviluppa spesso nelle zone più avanzate e dinamiche. Da questo punto di vista sono in linea con la propria storia perché sia l’Olanda sia la Lombardia già in passato esaltavano questa ideologia. Intendiamoci: io stesso sono in parte liberista, in quanto sono convinto che bisogna incentivare le capacità individuali abolendo tutte le tasse ed i vincoli burocratici che oggi ostacolano lo sviluppo economico. Inoltre attuerei agevolazioni fiscali per incoraggiare le imprese a rimanere in Italia e magari farne venire di nuove. Allo stesso tempo, però, sono altrettanto convinto che lo Stato ha il diritto, per non dire il dovere, di intervenire in prima persona per difendere l’economia nazionale e per correggere lacune e storture esistenti. I populisti, invece, spesso sono nettamente contrari ad interventi diretti dello Stato in economia. Questo modo di ragionare innesca un cortocircuito che li rende impotenti davanti all’attuale crisi. Infatti come possono risolverla basandosi sul liberismo quando molti, sia di destra sia di sinistra, affermano che essa è frutto proprio dell’eccessivo liberismo e che i governi devono stabilire nuove regole in grado di riportare l’economia sotto controllo? E’ evidente che non possono e quindi Wilders, Lega Nord e PDL rimangono senza soluzioni. Da questo punto di vista è interessante confrontare le elezioni olandesi con quelle francesi di qualche mese fa, in quanto gli esiti sono stati opposti e paradossali per il diverso sistema elettorale. Infatti in Olanda vige il proporzionale e così Wilders, populista di destra, anche se è stato superato dal populista di sinistra, ha ancora più di una decina di deputati. In Francia, dove viceversa esiste il maggioritario, Marine Le Pen, estrema destra, non solo ha avuto consensi maggiori di Melanchon, estrema sinistra, ma ha reso il suo partito ancora più forte di prima. Nonostante questi successi, il sistema elettorale penalizza notevolmente il Front National, che oggi ha pochissimi rappresentanti in Parlamento e per molto tempo non ne ha avuto nessuno. Il netto calo di Wilders da un lato e l’ulteriore avanzata di Le Pen dall’altro si spiegano proprio con le profonde differenze tra Partito della Libertà e Front National. Il primo è una formazione politica recente che ha sempre basato gran parte della sua attività sulla lotta all’immigrazione, soprattutto islamica, in nome della sicurezza e della difesa dell’identità olandese. L’approccio appena descritto gli ha garantito molti consensi quando l’opinione pubblica considerava questo problema prioritario, anche per reazione all’omicidio del regista Theo Van Gogh e più in generale agli attentati compiuti dagli estremisti islamici. Non a caso negli stessi anni la Lega Nord, movimento che conduce le stesse battaglie, attirava su di sé voti di chi non era mai stato leghista, come è emerso molto bene studiando i flussi elettorali. Essi dimostravano come la Lega Nord “pescava” da un lato tra elettori di destra che non avevano accettato la fusione tra Alleanza Nazionale e Forza Italia, dall’altro tra elettori di sinistra delusi che vedevano nella Lega Nord un movimento concreto e pulito. In entrambi i casi sia il Partito della Libertà sia la Lega Nord erano diventati forze di primo piano in grado di condizionare la politica dei rispettivi paesi tenendo in vita o facendo cadere il governo e sembravano destinati ad ottenere sempre nuovi successi. Non appena però la situazione è mutata e l’economia, non più l’immigrazione, è diventata l’argomento principale, il Partito della Libertà e la Lega Nord sono apparsi improvvisamente qualcosa di superato, incapace di rispondere ai nuovi problemi. Questo spiega perché in Olanda Wilders è stato superato dal populista di sinistra, che invece dava molta importanza ai problemi economici e sociali e quindi era considerato più adatto per risolvere le sfide dei nostri giorni. Inoltre proprio il fatto di aver avuto un notevole peso politico in passato impedisce ora a Wilders ed alla Lega Nord di presentarsi in modo credibile come il nuovo che sa affrontare al meglio le esigenze della nostra epoca. Il Front National, invece, pur condividendo con il Partito della Libertà elementi importanti come la lotta all’immigrazione ed all’Unione Europea tanto da voler tornare alle rispettive monete nazionali, presenta anche significative differenze. Infatti non solo è presente sulla scena politica da alcuni decenni, ma è anche erede di diverse tradizioni culturali: quella cattolica tradizionalistica, quella più propriamente nazionalistica e quella più legata all’ideologia fascista. Questo spiega perché il Front National abbia da sempre anche una spiccata anima sociale, tanto che già Jean Marie Le Pen ( suo fondatore e capo storico) diceva con orgoglio: “Siamo il secondo partito operaio di Francia”. Essa é molto viva ancora oggi e spiega perché il Front National continua a ricevere notevoli consensi provenienti dagli operai e dalle zone colpite dalla deindustrializzazione, oltre che da chi vuole una Francia “francese”, sicura e pienamente sovrana fuori dall’UE e dalla NATO. Inoltre il Front National è sempre stato tenuto ai margini della vita politica e ciò in realtà lo rafforza perché lo fa percepire come vera forza antisistema. In tal modo questo partito gode di una “eterna giovinezza politica” e può mantenere intatta la propria immagine davanti all’elettorato, a differenza di Hollande in Francia e dei Fratelli Musulmani in Egitto. Se è vero infatti che Wilders, Lega Nord e PDL hanno registrato un notevole calo di consensi dopo anni di governo diretto od indiretto, è anche vero che sembra esistere una vera e propria “maledizione del potere” che non risparmia nemmeno persone e forze al governo solo da qualche mese come quelle ricordate sopra. Tra i due casi vi è però una differenza importante che sta alla base del disincanto appena descritto. Wilders, Lega Nord e PDL hanno 57 avuto ampia possibilità di incidere sui destini del proprio paese e hanno deluso gli elettori per i loro limiti visti in precedenza. Hollande ed i Fratelli Musulmani, invece, sono al potere da poco tempo e non hanno potuto ancora lasciare un segno della loro attività. Il disamore nei loro confronti ha quindi radici più complesse che hanno a che fare con la natura stessa della società. Essa in Occidente è particolarmente frenetica e questa caratteristica sta influenzando anche le nazioni islamiche più avanzate come l’Egitto. Ciò significa che i cittadini si aspettano dai politici risposte in tempi rapidissimi senza rendersi conto che le cariche sono in genere quinquennali perché i problemi da affrontare richiedono anni per essere risolti. Solo alla fine del mandato i cittadini hanno il diritto di valutare l’operato dei governanti e decidere se punirli o premiarli. Pretendere di attuare questo giudizio dopo pochi mesi o comunque “in corso d’opera” invece non solo è inutile, ma permette ai politici di affermare di non avere avuto ancora abbastanza tempo per mantenere le promesse fatte. Infine le elezioni olandesi e la sentenza tedesca favorevole al Fondo Salva-Stati non sono state solo due vittorie di chi vuole un’Europa sempre più unita, ma hanno evidenziato una situazione politica per certi versi simile, per altri opposta. Infatti sia in Germania sia in Olanda i partiti dichiaratamente contrari all’Unione Europea o arretrano o non decollano, ma i motivi sono molto diversi. In Germania ciò è dovuto sia alla 58 sua storia passata sia alla situazione presente. Da un lato l’esperienza del nazismo impedisce di votare forze che si richiamano a quell’esperienza, dall’altro l’insuccesso del Partito della Ragione dimostra che non ci sono persone carismatiche in grado di coagulare consenso creando nuovi partiti euroscettici. Inoltre già nell’attuale maggioranza ci sono deputati che si fanno portavoce delle critiche al rafforzamento dell’Unione Europea, come si è visto bene proprio in occasione dei ricorsi presentati alla Corte di Karlsruhe. Una situazione simile, peraltro, si era già presentata nei decenni scorsi a proposito dei milioni di profughi tedeschi dell’Europa Orientale cacciati dalle loro abitazioni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Anche in quel caso la CDU, partito centrista e colonna portante del sistema politico, aveva depotenziato l’estrema destra prestando molta attenzione a questo problema con un atteggiamento ben diverso da quello tenuto dalla DC nei confronti dei profughi italiani dell’Istria e della Dalmazia. Quanto detto non significa però che in Germania il sentimento antieuropeo sia assente, come emerso nei giorni precedenti alla sentenza, quando moltissimi cittadini manifestavano contro il Fondo Salva-Stati. Va detto che i Tedeschi hanno ragione nel protestare contro gli aiuti agli altri paesi, ma alla base di tutto esiste una doppia interpretazione sul significato da dare alla politica del rigore. Infatti la Merkel da un lato vorrebbe aiutare il meno possibile gli Stati in difficoltà, dall’altro sarebbe favo- revole a continuare a concedere prestiti legati a pesanti condizioni in modo da accentuare l’egemonia della Germania in Europa. Questo piano però non viene spiegato chiaramente e ciò impedisce la nascita di un dibattito capace di approvare o rifiutare in modo consapevole la politica adottata fino ad adesso. Inoltre la mancanza di chiarezza alimenta frustrazione non solo nei paesi che ricevono aiuti ma che in cambio devono attuare drastici tagli di spesa e consistenti aumenti di tasse, ma anche negli stessi Tedeschi che vedono i loro soldi finire in nazioni considerate inaffidabili per la loro mentalità, prima ancora che per scelte politiche. In Olanda invece non ci si vergogna del proprio passato ed esistono ben due partiti populistici antieuropei con capi carismatici, ma gli Olandesi per i motivi visti in precedenza rimangono favorevoli all’Unione Europea. In realtà molti olandesi sono contrari ad aiutare popoli europei tanto diversi da loro, ma In Olanda questo sentimento porta ad esiti opposti a quelli visti in Germania. Infatti se è vero che in entrambi questi paesi rafforza la volontà di continuare la politica del rigore è anche vero che in Olanda finisce per premiare le forze europeiste, considerate le migliori paladine di essa. Ciò è facilitato ulteriormente dal fatto che l’entità della spesa sostenuta per aiutare i paesi in difficoltà non è uguale per tutti, in quanto anche i più accaniti critici della Germania concordano sul fatto che quest’ultima fornisce un sostegno finanziario decisamente superiore agli altri Stati. Questo disequilibrio porta gli Olandesi a tollerare con maggiore facilità la politica dei salvataggi rispetto ai Tedeschi, colpiti pesantemente in prima persona. Si può quindi concludere affermando che in Olanda esiste una situazione speculare ed opposta rispetto alla Germania. Infatti in quest’ultima esistono diffusi umori antieuropei che però non trovano adeguata rappresentanza politica. In Olanda invece esistono partiti contrari all’Unione Europea ma gli Olandesi preferiscono affidarsi a coloro che vogliono difendere una politica favorevole all’UE. I principali contenuti dell'ultimo Rapporto annuale della Banca d'Italia sull'economia del Piemonte Tratto da politiche Piemonte edito dall’Ires Piemonte. A cura di Roberto Cullino, Banca d’Italia – Sede di Torino. Introduzione L'articolo espone i principali contenuti dell'ultimo Rapporto annuale della Banca d'Italia sull'economia del Piemonte, che contiene, oltre alla consueta analisi della congiuntura economica, approfondimenti sugli effetti della crisi sulle imprese e sulle famiglie piemontesi. E' diviso pertanto in due parti: la prima evidenzia una congiuntura economica che è tornata a peggiorare concentrandosi sulle determinanti che hanno causato questo arretramento; la seconda mostra le ripercussioni che la crisi scoppiata nel 2008 ha sulle famiglie, soprattutto in relazione al processo di accumulazione della ricchezza (divenuto negativo nel 2010) e dell'indebitamento che, pur essendo cresciuto negli ultimi anni, rimane relativamente basso nel confronto nazionale. Il quadro macro economico. A partire dall'estate del 2011 la congiuntura economica in Piemonte è tornata a peggiorare, ponendo fine alla fase di ripresa che si era avviata nella seconda metà del 2009. Vi hanno influito il rallentamento dell'economia mondiale e le turbolenze finanziarie connesse alle tensioni sul debito sovrano nell'area dell'euro. Nel complesso del 2011, in base alle stime di Prometeia, il PIL del Piemonte è cresciuto dello 0,7 per cento, in netto rallentamento rispetto all'anno precedente (2,0 per cento). La decelerazione dell'attività è stata particolarmente marcata nell'industria, ma ha interessato anche i servizi. È proseguita la fase di crisi nel settore delle costruzioni. Nel mercato del credito l'aggravarsi della crisi finanziaria ha comportato dall'estate del 2011 accresciute difficoltà di raccolta per le banche e un irrigidimento delle politiche di offerta del credito, a cui si sono associate una flessione Logo della Banca d’Italia della domanda di prestiti di imprese e famiglie e maggiori difficoltà di rimborso dei finanziamenti da parte della aziende. La dinamica del credito bancario si è nuovamente indebolita dall'autunno ed è divenuta negativa nei primi tre mesi del 2012; i tassi di interesse hanno ripreso a crescere, mentre la qualità del credito è tornata a peggiorare dall'ultimo trimestre dello scorso anno. In un contesto di incertezza eccezionalmente elevata sull'evoluzione dell'economia, le aspettative a breve termine delle imprese rilevate con l'indagine della Banca d'Italia condotta nei mesi di marzo e aprile 2012 sono improntate al pessimismo per quanto riguarda la domanda interna, mentre previsioni migliori riguardano gli ordini esteri. La dinamica economica recente del Piemonte è stata confrontata con quella di un gruppo di regioni europee che nel 2007 – l'anno precedente lo scoppio della crisi internazionale presentavano caratteristiche strutturali simili. La nostra regione si è caratterizzata per un recupero più lento sia del prodotto totale sia di quello pro capite. Anche la ripresa delle esportazioni, da cui è provenuto il principale impulso espansivo nell'ultimo biennio, è stata inferiore alla media del gruppo di regioni di confronto e del commercio mondiale, a causa di una crescita dell'export minore di quella della domanda estera delle principali aree di sbocco e dei comparti merceologici più dinamici e di un orientamento ancora contenuto verso i mercati emergenti. Tra i fattori che possono contribuire alla competitività di una regione vi è la dotazione di capitale umano. Nel Rapporto sull'economia del Piemonte dell'anno scorso erano stati evidenziati ritardi nel confronto europeo a metà anni degli anni 2000. Tra il 2004 e il 2010 il livello di istruzione è migliorato in Piemonte, ma permane un gap negativo nel numero di diplomati rispetto alla media delle regioni italiane del 59 Nord Ovest e nel numero di laureati (rispetto sia alla macro area di riferimento sia alla media italiana). L'apprendimento degli studenti piemontesi, in base alle indagini Invalsi e OCSE-PISA, è superiore alla media del Paese, ma inferiore a quello del Nord Ovest e i divari sono maggiori per i gradi di istruzione più elevati. Al termine del percorso scolastico risulta overeducated, cioè addetto ad attività che richiedono competenze inferiori a quelle acquisite mediante il percorso di studi, circa un sesto dei giovani diplomati della regione (più che nel Nord Ovest e in Italia) e un quarto dei giovani laureati (come nella macro area; poco meno che in Italia). Le imprese. Il nuovo peggioramento della congiuntura dall'estate 2011 ha colpito le imprese piemontesi in una situazione finanziaria resa fragile dal prolungato periodo di debolezza economica. Nostre analisi sui bilanci delle imprese sempre presenti in Centrale dei bilanci dal 2005 mostrano che nel 2010 in base alle indagini della Banca d'Italia, la crescita del fatturato si è nettamente ridimensionata nell'industria ed è stata negativa nel commercio; la quota di aziende industriali e di servizi in utile è calata. I finanziamenti bancari alle imprese sono tornati a ridursi dall'autunno del 2011. Alla contrazione dei prestiti, che interessa tutte le classi dimensionali di impresa, hanno contribuito l'indebolimento della domanda, dovuto all'evoluzione negativa della congiuntura, e il peggioramento delle condizioni di accesso al credito. Analisi condotte su un campione di circa 15 mila imprese piemontesi mostrano come il calo del credito e l'incremento dello spread sui tassi di interesse siano stati di entità differente tra le classi di rischio delle imprese e tra le tipologie di banche, ma comunque abbastanza diffusi (fig. 1). La quota delle imprese che hanno segnalato nelle indagini della Banca d'Italia un peggioramento nelle condizioni di accesso al credito nel 2011 è aumentata; tali imprese mentre l'incidenza delle partite deteriorate è rimasta stabile su valori superiori a quelli precedenti la crisi del 2008-09. Le famiglie. In base alle stime preliminari disponibili, i consumi delle famiglie piemontesi nel 2011 hanno ristagnato, dopo la lieve ripresa registrata nell'anno precedente. Sulla dinamica dello scorso anno hanno influito l'andamento negativo del reddito disponibile, calato in termini reali per il secondo anno consecutivo, e le incerte prospettive del mercato del lavoro, le cui condizioni sono tornate a peggiorare nei primi mesi del 2012. La crisi scoppiata nel 2008 ha inciso sulla spesa media delle famiglie piemontesi, calata tra il 2007 e il 2010 di oltre il 4 per cento in termini reali. La crisi ha rallentato inoltre il processo di accumulazione della ricchezza delle famiglie, che è divenuto negativo nel 2010 (fig. 2). In particolare, essa ha impattato sulla componente finanziaria della ricchezza, scesa da un li- Figura 1. Fonte: elaborazioni su dati Centrale dei bilanci e Centrale dei rischi. Campione chiuso di imprese di cui si dispone del bilancio sull'anno 2007 e poi presenti nelle segnalazioni della Centrale dei rischi tra il primo trimestre 2007 e l'ultimo del 2011. (1) Le imprese sono classificate sulla base dello score calcolato dalla Centrale dei bilanci sui dati di bilancio del 2007. Il criterio di classificazione adottato è il seguente: rischio basso, score 1,2,3,4; rischio medio, score 5 e 6; rischio alto, score 7, 8 e 9. (ultimo anno per il quale erano disponibili i dati) solo il 35 per cento delle imprese aveva recuperato i livelli di fatturato del 2007 e solo il 43 per cento era tornato ai livelli di redditività (ROA) precedenti la crisi; il margine operativo lordo (in rapporto all'attivo) era rimasto in media inferiore ai valori del 2007 in tutti i principali comparti. Nel 2011 la situazione economica delle imprese è tornata peggiorare: 60 erano caratterizzate nel 2010 da una situazione economica e finanziaria meno solida, con un indebitamento più elevato in rapporto ai mezzi propri e un maggiore peso degli oneri finanziari sul MOL. L'accresciuta fragilità finanziaria delle imprese si è riflessa nelle difficoltà di rimborso dei debiti bancari: il flusso di nuove sofferenze in rapporto ai prestiti è tornato a salire nel quarto trimestre del 2011, vello pro capite di 85 mila euro nel 2006 a 80 mila nel 2010. Nel complesso, alla fine del 2010 la ricchezza accumulata dalle famiglie piemontesi (comprensiva anche della componente reale, rappresentata in larga prevalenza dalle abitazioni di proprietà) era pari a 8,1 volte il reddito disponibile, valore in linea con la media nazionale ed elevato nel confronto internazionale. L'indebitamento delle famiglie pie- Figura 2. Fonte: elaborazioni su dati Banca d'Italia, Istat, Agenzia del Territorio, Isvap, Covip, Inps e Lega delle Cooperative. (1) Calcolata utilizzando la popolazione residente a fine anno. montesi, pur essendo cresciuto a ritmi significativi negli ultimi anni soprattutto per l'espansione dei mutui immobiliari, è relativamente basso nel confronto nazionale: nel 2011 esso era pari al 49 per cento del reddito disponibile (53 nella media nazionale), dal 29 nel 2003 (fig. 3a). La crisi si è riflessa in una minore partecipazione delle famiglie al mercato dei mutui: le nuove erogazioni si sono ridotte rispetto ai massimi raggiunti nel biennio 2006-07 (fig. 3b). Essa ha determinato inoltre un cambiamento delle caratteristiche dei nuovi mutui erogati. In particolare, è aumentata la quota delle erogazioni a tasso variabile e di quelle di importo più elevato; nel contempo si sono ridotti i mutui alle persone con meno di 35 anni e agli stranieri, riflettendo sia fattori di domanda sia politiche più selettive delle banche verso segmenti di clientela considerati più rischiosi. Il documento è consultabile all'indirizzo: www.bancaditalia.it Figura 3. Fonte: Banca d'Italia, Istat (pannello a), Rilevazioni sui tassi di interesse attivi e passivi (pannello b). (1) Incidenza alla fine del periodo di riferimento di mutui per l'acquisto di abitazioni, prestiti finalizzati al credito al consumo e altri prestiti alle famiglie consumatrici sul reddito disponibile. La categoria "mutui" comprende anche altri prestiti diversi dal credito al consumo, la cui incidenza sul debito delle famiglie consumatrici è tuttavia trascurabile. I dati per il 2010 e il 2011 sono provvisori. – (2) I dati si riferiscono alle nuove erogazioni e alla residenza della controparte. 61 Le pagine di Gilberto La mancanza di una “Intelligentia” di destra L’Italia è caratterizzata dalla mancanza, dalla completa assenza di una “intelligentia” di destra. Il mondo accademico è palesemente schierato al centro sinistra, così come la cosiddetta società civile per non parlare di arti, musica e spettacolo dove l’esponente di destra quando esiste è visto come un corpo estraneo al pianeta di riferimento. Non è quindi né superfluo né inutile domandarsi da cosa dipenda questa assenza e, nel caso, provare a porre rimedi. Disponiamo, è vero, di alcuni nomi di spicco. Penso a Pierangelo Buttafuoco, a Marcello Veneziani, Nicola Porro e Mario Sechi , ma faccio fatica ad andare un po’ più in là, a trovare altri nomi, altri volti. La politica di destra è stata caratterizzata per decenni da negazioni. No a questo, no a quello. No all’immigrazione, no alla droga, no alla delinquenza, senza che alcuno i questi argomenti fosse mai risolto, anzi quelli che hanno potuto aggravarsi si sono aggravati senza che neppure la destra, quando ne ha avuto la possibilità, abbia saputo trovare rimedi e soluzioni. La legge Bossi Fini sull’immigrazione era una vera schifezza. La situazione carceraria urla vendetta al cielo. Il narco traffico governa mezza finanza speculativa. Altro che balle. Una destra incapace di propositività. Una destra sempre affannata a guardare nello specchietto retrovisore, ai fulgidi esempi di Almirante o Mussolini, una destra brontolona o peggio aggressiva come quei 62 o peggio aggressiva come quei soggetti da bar che sono sempre incazzati con tutti e con tutto. Pessima immagine. Una destra ancorata a Nietsche o Ezra Pound (nomi che tutti sventolano ma che pochissimi hanno mai sfogliato). Una destra con poche idee, confuse e ancor meno progetti i cui soggetti politici di riferimento sarebbero gli ex “colonnelli” di Fini, divenuti i portalettere di Berlusconi. Gesumaria, ma come si fa ? Come scrissi nello scorso intervento pubblicato da “Il Borghese” di Agosto/ Settembre la destra deve stabilire chi rappresenta, di quali categorie e istanze sociali è portavoce, che modello economico desidera configurare e, partendo da quegli elementi, definire la propria cultura e i propri rappresentanti culturali. Senza questo “esercizio di stile” parlare di destra è superfluo. Detti celebri sulle banche Siccome qualcuno tra i miei migliori amici continua a pensare che gli italiani siano fessi e la BCE sia un covo di geni benefici, mi permetto trasmettere alcune frasi celebri relative al sistema bancario che, forse, esemplificano meglio di quanto sappia fare io l'attuale congiuntura continentale e nazionale. Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti… Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l’emissione del denaro, dapprima attraverso l’inflazione e poi con la deflazione queste banche e le compagnie che nasceranno intorno priveranno il popolo di tutti i suoi beni, finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i l o r o p a d r i hanno conquistato col sangue . (Thomas Jefferson, 1820!). L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema ban- rata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro c he ne tra g go n o p ro f it to . (Maurice Allais, premio Nobel per l’economia). La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere. (Amschel Mayer Rothschild, 1773) I politici più potenti in assoluto non sono nient’altro che i camerieri dei banchieri. (Ezra Pound) Che cos’è una rapina in banca a confronto della fondazione di una banca? (Bertolt Brecht) Non è tollerabile che una banca centrale, isolata e privata, che non ha nessuna responsabilità né l’obbligo di spiegare quello che fa, possa continuare a creare disoccupazione mentre i governi stanno zitti. (Modigliani, premio Nobel per l’Economia, su “Il Tempo” del 22/10/2000). La crisi economica attuale è stata generata da un manipolo di pazzi che si fanno chiamare “illuminati” . Frase di G. Tremonti ad “annozero” rai tre primavera 2009. Beh veda Riotta, i problemi inerenti alla crisi attuale sorgono quando a fianco di una moneta buona con reale copertura, nasce una moneta cattiva parallela, privata e senza copertura… Quando banche s.p.a. diventano più grandi delle stesse economie di uno stato, agiscono più per i loro interessi, (...ossia di chi?..), che per quelli dei cittadini. Questo è un problema da tentare di risolvere … G.Tremonti nel 09/09, al TG 1 delle 20. Dare alle banche la possibilità di creare la moneta è come darsi in schiavitù e pagarsela pure. (Sir Josiah Stamp, governatore della banca d’Inghilterra). Bisogna capire che tutto il sapere universitario e tutto il sistema mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi. (1920 Ezra Pound). È assurdo dire che il nostro paese può emettere $30,000,000 in titoli di stato, ma non $30,000,000 moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa ingrassa l’usuraio che la presta perpetuamente, l’altra invece aiuterebbe la collettività essendo erogata dallo stato e quindi di proprietà del popolo. (Thomas Edison – New York Times, 1921 Monti: l’alta risorsa dei partiti Da pagina 7 26, del sistema giudiziario ed è agli ultimi posti per la capacità di risolvere controversie tra imprese. Per i costi e i tempi di adempimento degli obblighi fiscali, occorre un numero di ore quasi 5 volte superiore a quello del Lussemburgo. Negli ultimi dieci anni, il tempo di attesa per una sentenza di fallimento o di insolvenza è praticamente raddoppiato passando, da uno a quasi due anni (quasi 5 volte i tempi dell'Irlanda e il doppio del Regno Unito). Anche sul fronte dei servizi pubblici ai cittadini l'Italia mostra risultati tutt'altro che brillanti, in particolare per la scarsa qualità ed efficienza delle istituzioni e delle infrastrutture. Naturalmente sono solo rapide pennellate di un quadro ben più fosco. Sempre in tema di Caste, vogliamo parlare dei sindacati. Le tre confederazioni sono l'ottava azienda privata italiana. Hanno un apparato dove solo i dipendenti diretti sono ventimila. E un fatturato da multinazionale, alimentato da un sistema occulto di finanziamenti statali per questo si sono sempre rifiutati di rendere pubblici i loro bilanci. 700 mila sono i delegati sindacali in Italia. Sei volte più dei carabinieri. Solo in permessi, che le aziende sono tenute a concedere loro, costano al sistema paese 154 milioni di euro all'anno. Una parte la paga lo stato, che continua a stipendiare i travet prestati a Cgil, Cisl e Uil. Uno dei maggiori privilegi dei sindacati italiani consiste nel non dover pagare uno stipendio a circa un dipendente su sette. Su un organico di 20 mila tra alti dirigenti, capetti e funzionari, infatti, Cgil, Cisl e Uil nel biennio 2004-2005 hanno ricevuto in omaggio 2 mila e 584 impiegati pubblici. Vogliamo accennare alla Istituzione per eccellenza la Camera dei deputati? nel 2011 per il suo funzionamento ha speso 1,66 miliardi di €; i parlamenti di Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna messi insie- me: 1,52 miliardi di €. Rimandiamo alla lettura dei precedenti numeri di OP ogni approfondimento. Come si fa allora a dire che Monti ha lavorato bene?. Semplice basta accettare il fatto che il suo intervento sia avvenuto a “sistema invariato”, senza cioè riformare strutturalmente il sistema. Strutturale non è solo l’evasione fiscale, strutturali sono le Caste, la partitocrazia come degenerazione della politica, gli sprechi della pubblica amministrazione e non ci riferiamo alla foglia di fico dei ticket ridotti a 7 € e tanto altro ancora… In pratica Monti gestisce la macelleria sociale e la politica mantiene i suoi privilegi. L’ultima conquista di questi privilegi? non assumersi nemmeno l’onere per cui sono (stra)pagati ed eletti: governare! Basta mettere in campo una “alta risorsa”. Una risorsa che comunque ha la stessa capacità di chi l’ha messa in campo; hai visto mai che dalle quaglie nascesse un’aquila? 63 Matteo Renzi a Torino Continua da pag 16 Tutti quelli che perdono hanno un premio di consolazione. Amici miei se perdo le primarie non faccio né il ministro, né il sottosegretario, né il parlamentare perché la nostra non è una battaglia su una poltrona è una battaglia per le idee. Io rimango dove sono se i fiorentini mi tengono, ma non accetto si barattare per un posto la battaglia che noi stiamo facendo. (Applausi) vedo un grande entusiasmo all’idea che si perda… Ma c’è anche l’ipotesi che si vinca. Quando ero presidente della Provincia e dissi che per me le province vanno abolite, raro caso di tacchino che vuole anticipare il natale, suscitando una qualche forma di complessa e discussa difficoltà all’interno dei miei colleghi, allora mi candidai alla guida del comune di Firenze e dissi, se vinco cambio Firenze, se perdo cambio mestiere. Nel caso di vittoria che cosa faremo? Faremo una cosa banale, faremo quello che abbiamo detto. Dandoci questa regola del gioco, da qui al 31 di ottobre chiuderemo il lungo viaggio in Italia, lo consiglio in amicizia a Niki ed a Pierluigi, ed anche agli altri candidati, ma fate anche voi il giro di tutte le province se volete naturalmente, per me è stato molto istruttivo e bello passare da Bolzano a Matera da Isernia alla Basilicata dal Salento fino al Friuli Venezia Giulia dalla provincia di Imperia fino a Reggio Calabria. E’ stato bello ed è stato molto istruttiva, in questo lungo viaggio abbiamo capito che c’è un Italia viva che chiede spazio che chiede di entrare, noi proveremo nel mese di novembre a organizzarci perché logisticamente possano entrare con le nuove regole delle primarie e contemporaneamente si possa avere un luogo fisico col quale chiudere l’elaborazione del programma. Il 1516-17 novembre, alla stazione Leopolda ci daremo appuntamento per chiudere definitivamente tutto il lavoro che 64 i vari comitati stanno facendo sulla base della nostra bozza di programma per cambiare e modificare; anche questa è partecipazione partire del basso è partire dal confronto con le persone avendo naturalmente delle idee chiare da potere condividere. A quel punto ce la giocheremo e ce la giocheremo senza alcuna polemica e con molta leggerezza. Ma io voglio finire qui non chiedendovi semplicemente il voto. In verità la cosa più bella l’abbiamo detto all’inizio, noi abbiamo con le primarie una grande occasione che è quella di riscoprirci portatori sani di entusiasmo verso la politica. E allora in questo mese finale organizzatevi e incuriositevi, appassionatevi e informatevi, mettetevi in gioco e provate a scandagliare le nostre proposte e le nostre idee, cambiatele se volete, ma torniamo insieme a considerare la nostra comunità come una comunità capace di speranza perché rende vivo e bello il sorriso dei bambini. Dico questa frase che non è mia, è una frase del presidente degli Stati Uniti Barack Obama del quale vorrei farvi vedere l’ultimo video: Immaginate, immaginate per un momento qui c’era una ragazzina che stava appena iniziando ad esser consapevole della democrazia, stava appena iniziando a capire di dove dell’esser una cittadina, iniziava a mettere a fuoco il fatto che un giorno anche lei avrebbe potuto rivestire un ruolo importante per il futuro della nazione. Era stata elet- ta nel consiglio della sua scuola, vedeva il fatto di mettersi al servizio del pubblico come una cosa entusiasmante e incoraggiante, era là per incontrare da sua deputata, qualcuno di cui si fidava che poteva essere un modello di riferimento, vedeva tutto questo attraverso gli occhi di una bambina immune al cinismo e alle invettive che noi adulti diamo spesso per scontati. Voglio mantenere in vita le sue aspettative, voglio che la nostra democrazia sia bella come Christina l’aveva immaginata. Voglio che l’America si comporti bene come aveva immaginato lei. Tutti noi, tutti dovremmo fare tutto ciò che è nelle nostre capacità per fare in modo che questo Paese possa mantenere in vita le aspettative dei nostri bambini. Come è già stato detto Christina era nata l’11 settembre 2012, uno dei 50 bambini nati in quel giorno ritratti nel libro -Faces of hope-. Accanto ad ogni foto in quel libro c’erano alcuni simpatici desideri di bambino. -Spero darai una mano a chi ne ha bisognodiceva uno di questi, -Spero tu conosca tutte le parole dell’inno nazionale e spero tu le voglia cantare con una mano sul cuore-, -Spero tu possa saltare nelle pozzanghere- se ci sono delle pozzanghere in paradiso spero che Christina ci possa saltare dentro oggi. E qui su questa Terra, qui sulla Terra, mettiamo le nostre mani sui nostri cuori, e impegnamoci come americani a realizzare un Paese che sia sempre degno della sua gentilezza e del suo spirito felice.E su queste parole del Presidente americano OP si ferma nel suo resoconto. Per chi volesse vedere il video del protagonista, può andare al suo sito, con le inevitabili differenze fra il più impegnativo, ma riteniamo anche più proficuo leggere, rispetto al più passivo e distraente guardare e sentire... Barack Obama