STRATEGIA E SCELTE DI GOVERNO
DELL’IMPRESA
di
Pietro Genco
Professore Emerito nell’Università di Genova
1. OGGETTO DELLA LEZIONE:
• La gestione strategica dell’impresa ed, in particolare i
temi che riguardano la definizione e l’attuazione delle
scelte strategiche costituiscono il momento più
significativo e compiuto dell’attività di governo
dell’impresa
E’ interessante chiedersi come si colloca e quali
collegamenti sussistono tra la problematiche
della gestione strategica e quelle più ampie e
generali riconducibili all’attività di governo.
Tali temi sono oggetto di studio di una disciplina
autonoma, quale la “corporate governance” (CG)
Tema assai vasto e complesso, tanto più che i contenuti
della CG non si possono definire in modo univoco
essendo molto articolato il “campo di indagine” e
differente l’approccio metodologico, poiché sono
molteplici i versanti disciplinari da cui viene affrontato
(dall’economia generale all’economia manageriale, al
diritto, alla sociologia, …)
• Come sempre accade in questi casi, il problema può
essere risolta organizzando i temi da affrontare intorno
ad alcune questioni di fondo riguardanti:
 il contenuto dell’attività di governo
 il soggetto dotato del potere di governo e a cui fanno capo le scelte di
governo
 le fonti e gli strumenti che legittimano l’esercizio del potere di governo
 le logiche e le finalità che ispirano le scelte di governo
Le esigenze di tempo e la vastità del campo di indagine
impongono ovviamente delle semplificazioni, procedendo
per rapidi richiami e facendo riferimento solo ad alcune
questioni poste precedentemente
2. IL CONTENUTO DELL’ATTIVITÀ DI
GOVERNO
L’attività di governo può essere considerata un
contenitore di decisioni che definiscono gli
orientamenti di fondo dell’impresa e i percorsi
del suo sviluppo attraverso la strategia di
impresa (decisioni strategiche)
• LE DECISIONI STRATEGICHE :
-Presentano connotazioni peculiari
(orizzonti
temporali di lungo periodo, ristretto numero di
decisori, carattere non ripetitivo, formulazione in
condizioni di incertezza);
-Segnano una chiara linea di demarcazione dalla
moltitudine di altre scelte richieste dalla gestione
dell’impresa (amministrative , tattiche, operative)
che risultano coerenti e subordinate alle prime.
IL CONCETTO DI STRATEGIA :
(scelte volte alla creazione di un vantaggio competitivo duraturo e difendibile)
 non
e’
rinserrabile
nelle
anguste
definizioni
manualistiche,spesso più attente al momento strumentale e
alla loro formalizzazione in un piano aziendale,
 vanno enfatizzate le scelte riguardanti la soluzione dei
problemi derivanti dal coinvolgimento, in ogni scelta
strategica, delle aspettative di rilevanti forze e soggettività
ambientali (stakeholders), ognuna delle quali è portatrice di
specifiche aspettative che l’impresa deve soddisfare, pena il
mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati o
addirittura il fallimento della complessiva strategia.
Quali aspettative?
-Rendimenti attesi dagli azionisti;
-Remunerazioni dei managers (monetari e non);
-Sviluppo dei redditi e dell’occupazione del territorio in cui l’impresa opera;
-Rispetto degli standard di qualità dell’ambiente naturale
-Etc…
IL CONCETTO DI STRATEGIA:
• Presuppone la definizione di obiettivi realistici e
misurabili,da perseguire coerentemente con i
contenuti, le modalità di attuazione, gli orizzonti
temporali, le risorse da allocare al disegno
strategico rivolto alla creazione di un vantaggio
competitivo.
• La concezione dell’attività di governo, connessa
strettamente alle scelte strategiche (vantaggio
competitivo e soddisfazione delle aspettative degli
stakeholders) evidenzia anche la valenza che
assumono gli assetti di governo (chi decide e sulla
base di quale legittimazione) quale determinante:
 della competitività delle singole imprese;
del ruolo delle imprese nel favorire la capacità di
sviluppo di interi sistemi socio-economici territoriali a
scala locale, nazionale ed internazionale (valenza marcoeconomica)
approccio normativo alla C.G.
3. STRATEGIE E LOGICHE CHE ISPIRANO
LE SCELTE STRATEGICHE
In sostanza, con le scelte strategiche si dà la
risposta, nella prassi operativa, ad una delle
questioni più dibattute nella teoria dell’impresa:
• Quali sono le finalità che informano le
decisioni di chi ha il potere di governo
dell’impresa (soggetto economico)?
Negli studi di C. G. questo è un interrogativo
centrale in quanto, proprio alla luce della
teoria dell’impresa, si osserva che il titolare
effettivo del potere di governo può essere:
- Il proprietario dell’impresa (o detentore del
capitale di comando);
- Un manager professionista;
- Soggetti che sono portatori di motivazioni
differenti nelle scelte di governo
IL DIBATTITO SULLE FINALITÀ
DELL’IMPRESA
È un tema su cui si sono confrontati studiosi di
molte discipline senza pervenire a risposte
univoche. In rapida sintesi si possono
individuare tre filoni che ipotizzano:
• Comportamenti massimizzanti una funzione obiettivo;
• Comportamenti “soddisfacentisti”;
• Comportamenti che riattualizzano la massim. Del profitto
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TEORIE CHE MASSIMIZZANO LA
FUNZIONE OBIETTIVO:
• Massimizzazione del profitto quale obiettivo
principale dell’impresa (postulato della teoria
neoclassica, fondata su premesse di razionalità
oggettiva);
• Massimizzazione di altre funzioni-obiettivo (fatturato,
sviluppo dimensionale, sicurezza del management; il
profitto come vincolo)(Baumol, Marris, Williamson,
ecc.)
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TEORIE DEI COMPORTAMENTI
“SODDISFACENTISTI”:
L’impresa non ha obiettivi come istituzione;essi
vengono definiti dalle persone che decidono
(organizzazione). Se il potere di governo è frutto
di una coalizione di soggetti e forze personali, gli
obiettivi sono il risultato di mediazioni,
attraverso cui si possono conseguire risultati
soddisfacenti, non massimi (Cyert – March).
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TEORIE CHE RIATTUALIZZANO LA
MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO:
La realtà delle imprese non riflette le ipotesi
sottostanti alle teorie classica e neoclassica ma
rimane un principio ispiratore la cui valenza
interpretative E normativa rimane valida
(Saraceno).
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LA FINALITÀ DELLA SOPRAVVIVENZA.
Per combinare motivazioni dei decisori e obiettivi d’impresa
è stata proposta quale finalità ultima dell’impresa la sua
sopravvivenza, intesa come capacità di perdurare nel
tempo.
È una finalità da declinare a seconda dell’orizzonte
temporale cui le decisioni si riferiscono: nel lungo termine,
la capacità dell’impresa di influire e modificare a proprio
vantaggio l’ambiente nel quale opera rappresenta una
chiave interpretativa valida della finalità che informa i suoi
comportamenti (strategia)
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COME LEGGERE I DIVERSI ESITI CUIPERVENGONO
GLI STUDI DI TEORIA DELL’IMPRESA.
Le diverse risposte al problema delle finalità, sono il frutto di
analisi di tempo in tempo riferite a contesti e oggetti di indagine
assai differenti quali:
• La dimensione dell’impresa e la configurazione degli assetti
proprietari (grande corporation e separazione tra proprietà e
controllo);
• Il funzionamento del mercato dei capitali;
• Il ruolo di condizionamento degli stakeholders rilevanti (centri
di decisione politica, organizzazioni rappresentative di forze
sociali, movimenti di opinione, ecc.)
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LA CREAZIONE DI VALORE QUALE RIFERIMENTO
CUI ANCORARE LA FUNZIONE OBIETTIVO
DELL’IMPRESA
• È uno schema concettuale (di stampo manageriale) che
ha cercato di dare una risposta in modo eclettico al
quesito delle finalità di impresa;
• Ha una valenza rilevante in quanto presupposto di
funzioni-obiettivo:
* massimizzanti;
* di sopravvivenza e sviluppo equilibrato
dell’impresa nel lungo periodo;
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(SEGUE)
•PRESENTA ALTRE VALENZE RILEVANTI QUALI:
* Vale per ogni tipologia di impresa (grande,piccola;
pubblica,privata; ecc.);
* È condivisibile da tutti i soggetti interessati
alla vitalità
dell’impresa (stakeholder);
* È misurabile ed è quindi uno strumento essenziale per
valutare la coerenza delle scelte compiute con la funzione
obiettivo dell’impresa.
La creazione di valore è quindi un’attitudine che trova una sintesi
nella strategia d’impresa.
Il valore creato o da creare costituisce un modo per definire
sinteticamente gli obiettivi stategici dell’impresa.
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QUALE SIGNIFICATO ATTRIBUIRE ALLA
LOCUZIONE “CREARE VALORE”? E PER CHI SI
CREA IL VALORE?
Al primo interrogativo si può rispondere ricordando che la
creazione di valore (in condizioni di economicità)s ignifica
progettare edare risposte utili ai bisogni espressi dal
mercato con un uso appropriato e conveniente delle risorse
Si crea valore attraverso :
- la produzione di beni e servizi (trasformazione fisica e/o
combinazione di risorse materiali e immateriali di input in
output);
- Lo scambio (creazione di utilità di tempo e di luogo)
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La risposta al secondo interrogativo pone la
questione della ripartizione del valore creato
dall’impresa.
Anche su questa questione si è aperto un ampio
dibattito in cui si confrontano due posizioni
riconducibili sinteticamente a:
-STAKEHOLDER VIEW;
-SHAREHOLDER VIEW:
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LA “STAKEHOLDER VIEW”
Linea di pensiero che, facendo leva su principi
etici E di responsabilità sociale, sostiene che
nella ripartizione del valore, la priorità va
assegnata alla soddisfazione delle aspettative di
diverse categorie di portatori di interessi, in
relazione al contributo rilevante che essi
forniscono al successo dell’impresa.
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LA “SHAREHOLDER VIEW”
Linea di pensiero secondo cui la creazione di valore deve porsi l’obiettivo
prioritario di soddisfare le aspettative dell’azionista.
Tra i capisaldi di questa impostazione vi sono le seguenti considerazioni:
* Il perseguimento di obiettivi “sociali” invece che reddituali può
determinare un danno non solo per l’impresa ma anche per l’interesse
collettivo perché può minare la solidità aziendale e le prospettive di
sopravvivenza;
* Il perseguimento di una funzione obiettivo “socialmente
responsabile” dovrebbe in effetti considerare una molteplicità di
obiettivi spesso tra loro conflittuali e non misurabili;
* Se l’impresa non consegue un reddito soddisfacente del capitale
investito dagli azionisti, non sarà in grado di attrarre le risorse
finanziarie necessarie allo sviluppo dell’impresa (e alla sopravvivenza);
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(SEGUE)
* Massimizzare il valore per l’azionista assicura che siano
soddisfatte le aspettative degli altri stakeholder, in quanto il
diritto alla remunerazione dei primi ha un carattere residuale.
* Massimizzare il valore per l’azionista significa massimizzare il
valore dell’impresa;
* I mercati finanziari sono efficienti, cioè scontano esattamente
tutti i cash-flow che l’impresa è in grado di generare in futuro.
Rispecchiando il reale valore creato, la performance azionaria
può essere adottata quale parametro da massimizzare.
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CRITICHE ALLA SHARHOLDER VIEW
- Non tutti i mercati finanziari sono efficienti per cui il valore
creato nell’impresa non viene trasferito completamente
all’azionista;
- Il principio della creazione di valore per l’azionista induce allo
“short-termism”:si adottano scelte che privilegiano risultati di
breve periodo a scapito di visioni di più ampio respiro.
(Questa miopia gestionale potrebbe ad es . ridurre gli
investimenti nelle ricerca e in altre attività a redditività
differita);
- In caso di separazione tra proprietà e controllo le motivazioni
dei manager potrebbero non perseguire obiettivi di creazione
di valore per l’azionista.
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STRATEGIA E DISTRIBUZIONE DEL
VALORE CREATO.
La distribuzione del valore creato nell’impresa, pur
attuandosi in vista della soddisfazione delle aspettative
dell’azionista investe, in misura e con modalità differenti
tutti gli altri stakeholder che vengono coinvolti nelle
scelte dell’impresa.
I
legami
che
sussistono
tra
scelte
di
governo(formulazione della strategia) e distribuzione del
valore creato si possono cogliere
dallo schema
concettuale della fig.1.
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LE INTERRELAZIONI TRA I SUB SISTEMI
DEL VALORE
• Nel processo di creazione del valore, il valore per il
cliente finale assume un ruolo centrale: l’impresa
infatti può creare valore per gli shareholders (e per
gli stakeholders) solo se sviluppa un sistema di
offerta che genera per i clienti un valore d’uso
percepito positivo e superiore al valore atteso.
• Allo stesso tempo la creazione di valore per gli
stakeholders consente di attrarre risorse, contributi e
consensi che, se destinati al miglioramento del
sistema di offerta, possono contribuire alla creazione
di nuovo valore per il clienti.
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STRATEGIA E PROCESSI DI RIASSETTO
ORGANIZZATIVO (il gruppo di imprese)
•La stretta connessione tra attuazione della strategia e
struttura organizzativa aziendale costituisce, come è noto, un
assunto paradigmatico dell’economia di impresa, secondo cui
ai contenuti del processo strategico sono deterministicamente
associati adeguamenti della struttura organizzativa (Chandler,
1962).
•Oltre al superamento del paradigma chandleriano, gli
adeguamenti strutturali apportati dal soggetto economico non
investono solo o tanto, le architetture organizzative della
singola impresa ( struttura funzionale, divisionale, a matrice,
etc..), ma trascendono il concetto di impresa basato sui confini
definiti dal quadro normativo che replica la forma e
l’autonomia giuridica scelte all’atto della sua costituzione.
(segue)
• Le strategie di corporate, in particolare, innescano
processi di riassetto organizzativo che sfociano in
configurazioni di governo riferite non alla singola
impresa, ma ad un gruppo di imprese, ad una rete
di imprese e così via.
• Per cogliere il significato di questo fondamentale
profilo dei rapporti strategia/assetti di governo, il
momento generatore dei riassetti organizzativi
risiede nelle modalità di attuazione delle strategie
ed in particolare in quelle di crescita esterna
• In questi casi, una strategia di integrazione
verticale, di diversificazione, etc… si attua
attraverso, ad esempio, operazioni di:
- acquisizione di imprese già esistenti;
- conferimento in una società di pacchetti di
controllo di altre imprese
- scorporo di rami di attività e loro
conferimenti in altre società
• Il risultato è la formazione di un gruppo
derivante da due distinti processi:
- l’aggregazione di imprese precedentemente
autonome
- il frazionamento (disaggregazione) di un
unico monopolista aziendale
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