Anno XVIII N. 3 Maggio 2011 Unitre Arenzano Cogoleto Università delle Tre Età NOI Nuovi Nuo vi Orizzonti Insieme Trimestrale dell’Unitre - Sede Arenzano Cogoleto - Reg. Tribunale di Genova n. 29/94 del 30/11/94 Redazione: Unitre - 16011 Arenzano, via Terralba, 79 - Tel. e Fax 010 9112640 e.mail: [email protected] - Internet: www.unitre.org Unitre è... ... amicizia da gustare insieme 2 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 L’uomo e la forza della Natura Il terremoto e il maremoto giapponese dell’11 marzo ci hanno risvegliato dal delirio di onnipotenza che ci faceva credere che tutto fosse sotto controllo, grazie alle nostre sofisticate tecnologie. La natura ogni tanto con potenti scossoni ci ricorda quello che meglio di noi sapevano gli antichi, dai profeti biblici ai Greci, ai Latini fino al nostro Leopardi (rileggiamo il suo Dialogo della Natura e di un Islandese): di fronte alla potenza della natura siamo ben poca cosa, quasi niente. Non niente. In quel quasi c’è lo spazio per la nostra azione operosa e costruttiva. Noi possiamo pensare, e agire di conseguenza, ridimensionando la nostra volontà di potenza, modulando un rapporto con la natura tutta, rispettoso di equilibri e confini. Scriveva Pascal “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. È in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale”. Redazione di NOI Fabia Binci, Direttore Responsabile Maria Rosa Baghino Maria Berlingeri Cesari Marilina Bortolozzi Selma Braschi Beppe Cameirana Roberta Campo Ida Fattori Gianna Guazzoni Idelma Mauri Edda Sinesi La centrale di Fukushima I Giapponesi, da sempre consapevoli di vivere in un territorio ad elevato rischio sismico, hanno cercato con tutti i mezzi offerti dalla tecnologia più avanzata di arginare il pericolo e si sono preparati ad affrontare il problema della terra che trema. Le case sono costruite con sistemi capaci di resistere alle scosse più violente. Non oso pensare a cosa sarebbe avvenuto da noi, con una scossa tellurica di magnitudo 9, secondo la scala Richter. Le sue numerose centrali nucleari sono tarate per affrontare terremoti ma al sisma si è aggiunto lo tsunami di una violenza non prevista e la centrale di Fukushima è stata pesantemente danneggiata. Le forze della natura hanno messo in crisi tutti i criteri di sicurezza che devono essere ripensati. Hanno collaborato Amici di Arenzano Auser (Marisa Carrea) A.V.O. AR.CO.(RosaAnna Princi) Töre di Saraceni (P. Robello) WWF (Marabotti - Vallarino) Gruppo Biblioteca Francesca Antoniotti Fanny Casali Sanna Nuccia Cavallino Angela Caviglia Maria Elena Dagnino Patrizia Detti Emilia Garaventa Lorenzo Giusto Giuseppina Marchiori Franco Merega Maria Luisa Moreno Loredana Odazzi Gianni Paglieri Giorgio Stella Maura Stella Fiorenza Torella Distribuzione Auser, Pina Antignani, Guglielmo Famà, Rina Rancati, Pericle Robello, Rosanna Trogi Maggio 2011 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Conosco un po’ il Giappone sia perché lo ho visitato sia la sua poesia che amo. Non mi ha stupito la dignità composta e operosa della sua gente. Una millenaria sapienza li ha abituati ad accettare i colpi del destino come un fato ineluttabile e a superare il dolore individuale per trovare risorse e rimettersi in moto come nazione: è già avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Ho il privilegio di frequentare il corso Unitre di Giapponese e ad ogni incontro sono affascinata dalla cortesia premurosa di Miwa, dalla sua infinita pazienza, dalla delicatezza efficace dei suoi metodi. Con un’altra insegnante, di fronte alle difficoltà della lingua, avrei già desistito. Anche in questo tragico frangente Miwa, pur molto provata (si è appannata la luce dei suoi occhi, incrinata per la commozione la sua voce), è unica. Ci tiene aggiornati di quello che avviene nel suo paese, corregge le informazioni sensazionalistiche della stampa, ci suggerisce siti internet, ci invia video, ma sempre con gentilezza e discrezione. Siamo soliti dimenticare quando si spengono i riflettori sulla tragedia, ma il Giappone ha bisogno della nostra solidarietà. Non possiamo limitarci a guardare immagini di distruzione al sicuro delle nostre case, a provare facili emozioni, magari sentenziando con superficialità, cercando i colpevoli e esprimendo giudizi tracotanti. Una riflessione sul nostro futuro si impone per tutti, certo, ma rispettiamo il dolore del popolo giapponese e proviamo a fare qualcosa di concreto, partecipando a iniziative sicure di raccolta fondi pro emergenza Giappone. Fabia Binci Tokyo: tomba di Edoardo Chiossone A Tokyo, nella piccola sezione dedicata a stranieri illustri del cimitero di Aoyama, è sepolto il nostro concittadino Edoardo Chiossone (1833 - 1898), chiamato dall’imperatore Meiji nel 1875, per organizzare e dirigere l'Officina Carte e Valori del Ministero delle Finanze. Poesia come un albero Il 7 maggio, alle 16,30, per ricordare il legame della nostra terra con il Giappone, si terrà la cerimonia di “piantamento” di un albero nel Parco Comunale, ai cui rami saranno appese poesie haiku, come foglie vaganti en plein air. All’evento, inserito nelle manifestazioni per il decennale della Carta di Arenzano per la Terra e per l’Uomo, seguirà, in Sala Consiliare, un reading poetico a più voci su temi ecologici-ambientali, con intermezzi musicali del Duo Novecento. Sommario L’uomo e la forza della natura .......................... Maria saluta ...................................................... Grazie, Maria e Scintille di solidarietà ................. Vent’anni sono tanti ........................................ Vita Unitre ....................................................... Personaggi Unitre ............................................ Premio di Poesia “Città di Arenzano” ................. Essere o non essere... su Facebook ................. San Bartolomeo alla Certosa ............................. Commenda di Pré ............................................ A cena con gli amici ......................................... Storia della geografia e delle esplorazioni ........... L’angolo dei libri ................................................ Leggiamo insieme ............................................ Capolavori nascosti ........................................... Matisse ............................................................ Un viaggio in Irlanda ......................................... 2 4 5 6 7 8 10 11 12 13 14 16 18 19 20 22 23 Dante, il primo Italiano ..................................... Quando la ingua italiana è una lingua straniera .. WWF: Biodetersivi alla spina ............................. A.V.O. AR.CO ................................................... Consorzio Arenzano per voi ............................ Töre di Saraceni ................................................ Amici di Arenzano ............................................ Auser: Feste antiche, care a tuttii .................... “Le cognate” di Michel Tremblay e poesie ......... Una giornata di sole ......................................... La trebbiatura .................................................. Le emozioni della musica .................................. L’angolo di Marilina - Perché .............................. La moda di Roberta .......................................... Ricordi degli anni 50 e poesie ........................... Ricette estive .................................................. Memorandum ................................................... 24 27 28 30 32 34 36 37 38 39 40 42 43 44 45 46 48 4 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Maria saluta... Carissimi Amici. Sabato 26 marzo si è tenuta l’Assemblea degli Associati Unitre per il rinnovo del Direttivo e questa volta ho ritenuto opportuno non candidarmi più. La mia è stata una decisione molto ponderata e anche un po’ sofferta, per me infatti si chiude un periodo importante della mia vita; problemi di salute mi impediscono di dedicarmi alla nostra Associazione come vorrei e poi, dopo 12 anni, mi sembrava giusto passare il testimone. Lascio il mio incarico serena perché la nuova Presidente ha tutta la mia stima. Fabia Binci è una persona veramente speciale e l’Unitre sarà in mani capaci e sicure. È comunque mia intenzione continuare a dare il mio contributo come e quando mi sarà richiesto. Desidero ringraziare tutte quelle persone che in tutti questi anni mi hanno supportato e sopportato, tutti i Membri del Direttivo che si sono succeduti e, se permettete, un grazie particolare va a Mino, mio marito, che mi ha sempre spronato e al quale è toccato mangiare tante pizze, se arrivavo a casa tardi dopo le riunioni del C. D. A Fabia il mio grazie e il mio augurio di cuore di tanti, tanti anni di una buona e fruttuosa Presidenza. Auguri anche a tutto il nuovo Direttivo. Vi abbraccio tutti con tanto affetto e ricordatevi, in me troverete sempre un’amica sincera. Maria Cesari Berlingeri Nuovo Direttivo Presidente: Vicepresidenti: Direttore dei corsi: Tesoriere: Segretario: Revisori dei conti: Rappresentanti degli studenti: Gestione tecnica: Gestione segreteria Arenzano: Gestione segreteria Cogoleto: Gestione contratti, fisco: Delegati al Consiglio Nazionale Unitre: Delegati al Regionale Unitre: Fabia Binci Aldo Maglierini Franco Merega Francesca Antoniotti Pierluigi Signorelli Idelma Mauri Licia Marceglia Guido Molinari Silvano Morando Loretta Emiliani Luciano Gerbi Adriana Mauri Marinella Fabris Lino Pavanelli Loredana Odazzi Vanna Checchetto Silvano Morando Fabia Binci e Idelma Mauri Fabia Binci o Idelma Mauri Presidente Onorario: Maria Cesari Maggio 2011 5 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Grazie, Maria Vorrei ringraziare gli assocati che mi hanno eletto, per la fiducia che mi accordano che mi sprona a fare di più e meglio di quanto non sia riuscita a fare finora, con il sostegno di tutti coloro che hanno a cuore la nostra Unitre. Vorrei, in particolare, ringraziare Maria per il particolare carisma con cui ha rivestito il suo ruolo di Presidente, per ben dodici anni. Maria, per tanti anni Presidente, da questo momento ha aggiunto un titolo: la nostra Presidente onoraria. Gentile, generosa e materna; capace di entrare in empatia con le persone che incontra; di mettersi nei panni degli altri, di ascoltare, di consigliare, di rispettare. Con un asso nella manica: trattare gli altri sempre alla pari, mai mettendosi un gradino sopra, con uno sguardo orizzontale. Ha innestato sulla pianticella Unitre ancora giovane, sorrisi, parole di conforto, gesti di condivisione, convivialità… Ne è nato un giardino, ma bisogna difenderlo dai parassiti, dai rovi, dal maltempo… Bisogna concimarlo, continuare a spargere sorrisi, parole di conforto, gesti di condivisione. Le persone speciali non vanno mai in pensione. Possono per un po’ smettere di remare e lasciar remare gli altri, ma restano sulla barca, aiutano a mantenere la rotta con la loro esperienza, la loro capacità di vedere e di sentire. A tutto il nuovo Direttivo i miei auguri. Fabia Binci Scintille di Solidarietà La Legge Finanziaria 2011 prevede la possibilità di destinare il cinque per mille delle proprie imposte a associazioni di volontariato, di promozione sociale e ad altri enti. Anche l’Unitre (C. F. 95028210102) può beneficiarne. L’assemblea degli associati del 13 dicembre 2010 ha deliberato che i proventi saranno utilizzati per inizia- San Francesco ONLUS - Adozione bimbi Burundi - Convento N. Signora degli Angeli - Genova Voltri. • 451 all’Opera San Francesco per i Poveri ONLUS Milano. • 451 alla Fondazione Istituto C. Besta, Milano per ricerca malattie rare. • 451 (+ • 1 di spese) all’Associazione COPOS di Sant’Egidio Genova. tive di volontariato. La somma di • 1.805 ricevuta dallo Stato per le dichiarazioni del 2006 è stata versata, il 23 dicembre 2010, agli Enti che di seguito si elencano, scelti dalla commissione ad hoc istituita: • 451 all’Associazione L’Unitre ha anche versato, il 21 giugno 2010, • 250 al Consorzio Arenzano per voi. Inoltre ha al suo attivo 2 adozioni a distanza e per questo, il 21 febbraio 2011, ha versato alla Comunità di Sant’Egidio la somma di • 626. I nostri ragazzi Una grande novità nella vita di Natalia, la bambina ucraina che abbiamo adottato a distanza: è stata adottata da una famiglia americana, assieme alla sorella Alina e al fratello Aleksandr, e non vive più nel Centro di Motovilovka. Siamo felici di averla aiutata fino ad ora e le mandiamo ogni augurio di felicità nella sua nuova famiglia. Abbiamo accolto al suo posto - tramite adozione a distanza - Valerij, un bimbo dello stesso Centro. Il piccolo Valerij é orfano di padre, viveva con la madre che soffre di problemi mentali e non é in grado di occuparsi di lui. Così è stato accolto nell’istituto “La casa della gioia” di Motovilovka. Valerij é un bimbo allegro e socievole, frequenta regolarmente la scuola, si impegna molto nello studio e ottiene ottimi risultati. Noi lo vogliamo aiutare a crescere bene. Forza, Valerij, ti siamo vicini. 6 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Vent’anni sono tanti Alla fine di questo anno accademico 2010/ 2011, la nostra Unitre si appresta a compiere venti anni della sua esistenza (questo numero di N.O.I. è l’ultimo del 19° anno). Mi viene in mente una frase attribuita a Napoleone “Giunge più lontano chi non sa dove va”. Nel senso di distanza chilometrica è certamente vero, nel senso letterario, penso sia meglio conoscere la strada. Da tempo mi chiedo: “I nostri soci fondatori avevano intravisto o già conoscevano gli obiettivi da raggiungere? Già conoscevano Arenzano: Auditorium Santo Bambino la strada?”. Inaugurazione A.A. 1992 - 1993 Certamente non sono stati i primi in Italia. L’Unitre nasce a Torino nel 1975 per opera della grande Irma Re. Mi piacerebbe quindi ri- hanno dimostrato una grande capacità organizzativa volgere queste domande alla Presidentessa Naziona- e senso profondo di umanità) e, spero non ultimi, a le, Irma Re, colei che ha avuto la grande idea, la feli- tutti gli allievi e collaboratori. ce intuizione. L’Accademia di Umanità costituisce uno dei pilastri Dopo Torino l’Unitre si è espansa su gran parte del dell’associazione, che realizza le sue finalità princiterritorio nazionale, con prevalenza in Piemonte, dove pali: negli anni novanta, dopo la fondazione, ha costiconta 86 sedi. La nostra Unitre ha raggiunto obiettivi tuito uno dei “fiori all’occhiello” della nostra Unitre e straordinari fin dai primi anni successivi al 1992, poi continua ad esserlo tuttora. c’è stata un’esplosione di adesioni. Sono certo che il nostro Consiglio Direttivo ha già in Non a caso proprio Irma Re, (che ci ha onorato del- mente i programmi per i festeggiamenti. la sua presenza alcune volte) durante le sue numeroHo voluto anticipare con questo piccolo scritto, gli se visite presso le sedi locali in città e paesi, negli eventi che verranno, lasciando spazio poi, per i “grossi anni novanta, citava come esempio la nostra Unitre, calibri” che sapranno onorare al meglio, il traguardo sia per la presenza qualitativa, sia per il numero dei raggiunto. Beppe Cameirana corsi e per il numero dei partecipanti (record nazionale in un certo periodo, nel rapporto iscritti e popolazione, avendo sempre avuto, altresì, docenti di bravura e disponibilità). Bastano questi risultati a rendere orgogliosa la nodi Angela Caviglia stra associazione, ma soprattutto è doveroso da parte di tutti porgere un Mi rinchiuderò caloroso ringraziamento nella gabbia dei ricordi ai soci fondatori, a quelli e butterò via ordinari venuti dopo, a la chiave perché tutti i docenti che si sono prestati in questi venti a nessuno venga anni, ai Consigli Direttivi lo sghiribizzo che si sono succeduti Il primo numero di liberarmi (quasi sempre formati del nostro giornale dalle stesse persone che Fuga Maggio 2011 7 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Vita Unitre “L’anno accademico sta per finire… Che peccato!” Sì, avete capito bene… “che peccato!” E avete ragione a meravigliarvi, infatti in questi anni in cui studenti e professori, di ogni ordine e grado, non fanno altro che lamentarsi della scuola, sentire una tale affermazione può, senza dubbio, suscitare un certo stupore. Eppure è proprio così. Mi dispiace che questi mesi siano passati così in fretta. Solo ieri era settembre, solo ieri sono entrata, con qualche perplessità, nella segreteria dell’UNITRE. Possiamo fare gli spavaldi quanto si vuole, possiamo darci un tono, ma la verità è che tutti, chi più chi meno, siamo un po’ timidi. La nostra timidezza poi si manifesta più chiaramente se tutti gli altri già si conoscono mentre noi non conosciamo nessuno. E tutti in quella segreteria si conoscevano! Anzi si salutavano calorosamente, proprio come vecchi amici. Si davano anche tutti del tu. Mi guardavo in giro, io non conoscevo proprio nessuno, neppure di vista. Chissà come mi troverò? Farò bene ad iscrivermi? Mi sono iscritta. Sono tornata a casa stringendo il libretto verde che mi era stato consegnato. Ho iniziato a sfogliarlo. Ho letto il nome di tante persone sconosciute. Le proposte culturali erano varie, talvolta intriganti. Ho, diligentemente, letto anche tutto il regolamento. Il libretto verde suggerisce la frequenza ad un massimo di sei corsi. E qui sono cominciate le difficoltà. Come un bambino all’interno di un negozio di giocattoli continuavo Arenzano: Villa Maddalena Festa di fine A.A. 1994 - 1995 Maria Cesari Gruppo Teatrale Unitre La Panchina infatti ad andare da una pagina all’altra. Un corso mi sembrava che avrebbe potuto essere interessante ma l’altro mi incuriosiva ancora di più. Sempre più incerta, e anche un po’ confusa, ho deciso che era indispensabile darsi un metodo. Ho stabilito quindi di seguire l’indice per giorno, in modo da non creare sovrapposizioni di orario e di operare delle scelte che rispondessero al vecchio adagio “mens sana in corpore sano”: ovvero un po’ di attività motorie e un po’ di corsi utili a tenere in esercizio anche il pensiero. Nel frattempo mio marito ha iniziato a ronzarmi intorno. Allungava l’occhio sul libretto verde, ma non voleva far neppure intuire un suo interessamento. È suonato il telefono e mi sono allontanata, lasciando il libretto verde sul tavolo. Al mio ritorno era immerso nella lettura di tale libretto. Ed ecco iscritto anche lui! … E, chi lo avrebbe mai supposto?, al gruppo teatrale! Sono … x … anni che siamo sposati, ma che il suo più segreto desiderio fosse quello di salire su di un palcoscenico non lo avevo neppure mai intuito. Abbiamo iniziato a frequentare. A Natale ci sono state diverse feste “di classe”. Un insegnante ci ha regalato un angioletto della Lindt che, nonostante la mia proverbiale golosità, non mangerò mai perché mi è troppo caro. Ora l’anno sta per finire. Il prossimo settembre, in segreteria al momento dell’iscrizione, mi darò del tu con tutti anch’io. Sarà un bel momento perché mi ritroverò con tanti amici. Mi resta solo ancora un dubbio, o meglio una tentazione. E se fingessi di non aver letto il regolamento e mi iscrivessi a qualche corso in più? Maura Stella 8 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Personaggi Unitre Incontro con Miwa Wakabayashi a cura di Beppe Cameirana Nell’Unitre, nei corsi di lingue, hanno sempre “fatto da padrone le lingue “classiche” europee, Inglese, Francese, Spagnolo e Tedesco, a noi molto vicine. Non sono mancati però, fin dal 1992, tentativi anche riusciti, di affrontare lingue di paesi culturalmente molto diversi dai nostri europei, come il Russo, l’Arabo e il Giapponese. Lingue molto diverse, difficili da imparare, con un “alfabeto” (se così si può chiamare), molto complicato come nell’Arabo e nel Giapponese, forse meno complesso nel Russo con i caratteri Cirillici. Da cinque anni è in programma il corso di Giapponese tenuto dalla bravissima Miwa, coadiuvata anche dal marito italiano Gianpiero Borello, per la parte informatica. Nel mese di marzo ho voluto incontrare la docente Miwa per una breve intervista. to l’incidente della centrale nucleare di Fukushima di cui tutto il mondo parla ed ha paura. Questo fatto ha colpito molto noi Giapponesi, anche mentalmente. Credo che tutti i Giapponesi, vuoi chi vive in Giappone vuoi chi vive all’estero, abbiano pensato a cosa fare per potere aiutare il Giappone in questo frangente. Nel mio caso, poiché vivo all’estero, ad Arenzano, ho pensato di dare il piccolo mio contributo alla situazione informando gli studenti, durante le lezioni all’Unitre di Giapponese, su come evolve la situazione. Vorrei inoltre comunicare i tanti messaggi di affetto e vicinanza che ho ricevuto dagli Italiani al mio Paese. Credo che purtroppo occorrerà molto tempo per ricostruire il Giappone, ad ogni modo ho fiducia nel futuro e spero di potere contribuire anch’io personalmente a tale ricostruzione. Grazie di cuore per il vostro interesse e per lo spazio che mi concedete per esprimere il mio pensiero. Miwa, prima di parlare del tuo corso di lingua, vorrei dirti che sono molto addolorato per l’immane tragedia che ha colpito il tuo Paese, così come lo sono tutti gli amici dell’Unitre e certamente tutti gli Italiani. Quasi tutti i docenti dell’Unitre sono persone Nello stesso tempo mi fa piacere aver sapu- di “una certa età”, molti ex insegnanti già ritito, nel nostro colloquio telefonico, che i tuoi pa- rati dal lavoro. Tu sei molto giovane cosa ti ha renti rimasti in Giappone non hanno subito danni spinto a insegnare la tua lingua? fisici. Il tuo è un Paese forte, sono certo che si Mi sono laureata in letteratura giapponese e ho saprà risollevare, così come ha fatto dopo la l’abilitazione per l’insegnamento del Giapponese, quindi seconda guerra mondiale. mi interessa molto questo campo. Prima di tutto vorrei ringraziare tutti coloro che hanno Inoltre, tenendo il corso di lingua giapponese, fare espresso interessamento, direttamente o indiretta- amicizia con persone interessate alla lingua e alla culmente, verso questo cataclisma che ha colpito il Giap- tura giapponese, è una cosa piacevole per me. pone ed i Giapponesi. Terremoti ed inondaSappiamo che il Nihon-go class: zioni sono comuni in Giapponese è una Miwa tra i suoi allievi Giappone tanto che la lingua difficile, (algente sa, in generale, meno per noi). Cocome affrontarli visto me riesci a renderche vi sono continue la comprensibile a persone adulte coesercitazioni; questa volta però la tragedia me gli allievi delnon si è limitata solo ad l’Unitre? un grandissimo terreNon credere che sia moto ed allo tsunami, così difficile, sicurama anche ha provocamente imparare i ca- Maggio 2011 9 N.O.I. nuovi orizzonti insieme ratteri giapponesi è molto faticoso, ma al contrario, la grammatica è molto semplice anche rispetto all’Inglese, che è già più semplice rispetto all’Italiano. Ad ogni modo svolgendo gli esercizi e i compiti a casa si impara. Ogni tanto, al corso, facciamo giochi sulla lingua o sulla cultura per renderlo più divertente e meno scolastico. ni e usanze antiche, soprattutto durante le ricorrenze annuali e stagionali. Per esempio, durante il capodanno, andiamo ai templi scintoisti/buddisti per pregare per un buon nuovo anno. In primavera andiamo ad ammirare la fioritura degli alberi. Nelle notti d’estate seguiamo i fuochi di artificio indossando lo Yukata (Kimono leggero estivo di cotone), in autunno le foglie rosse, gialle etc. Gioco didattico: Se è possibile, puoi spiegare Giorgia e Hyottoko brevemente le caratteristiche Quali sono le principali diffeprincipali della lingua con riferirenze che trovi fra la tua cultura e la nostra? mento all’uso degli ideogrammi? Credo che siano diversi il modo di parlare, di penNella lingua giapponese ci sono quattro tipi di casare e di comportarsi nelle varie situazioni. ratteri 1) - Kanji: Ideogrammi cinesi, ma non sono proprio Miwa se lo permetti ti faccio una domanda pertutti uguali a quelli originali cinesi. 2) - Hiragana: Fonemi sillabici giapponesi, in pratica sonale: hai sposato recentemente Gianpiero, come il vostro alfabeto. Vengono utilizzati per scri- come vi siete conosciuti? Da quando ero in Giappone studiavo già l’Italiano, vere, per esempio, i suffissi verbali e le postper cui cercavo persone che usavano questa lingua posizioni, possono anche sostituire i kanji. 3) - Katakana: Altro gruppo fonetico sillabico che vie- per praticarla, viceversa lui studiava già il Giapponene utilizzato per scrivere le parole e i nomi stranie- se ed è venuto in Giappone per il suo lavoro, così ci ri, non cinesi, importati e per le onomatopee o per siamo conosciuti. questione di stile. 4)- Romaji: Segni romani (i caratteri latini), ma non sono tutti uguali a quelli italiani. Quali risultati pensi di poter ottenere dai tuoi allievi? Dipende dalle motivazioni e dai desideri soggettivi, ma in genere se si frequentasse il corso costantemente e si svolgessero gli esercizi ed i compiti a casa, si riuscirebbe a leggere almeno gli Hiragana e a comporre frasi semplici. Alcune persone potrebbero anche arrivare al livello di poter affrontare l’esame per la certificazione della Lingua Giapponese. Il tuo paese ha sempre avuto per noi occidentali un grande fascino. Oggi il Giappone è un paese fra i più avanzati tecnologicamente, per molti anni è stato leader nel campo dell’elettronica, che cosa è rimasto ancora delle vostre tradizioni, usi e costumi? Ai Giapponesi piacciono molto le novità ma, contemporaneamente, sono anche ancorati alle tradizio- Come ti trovi nel nostro paese molto diverso e lontano dal tuo? Generalmente mi trovo abbastanza bene, anche se, vivendo all’estero, naturalmente si trovano ogni tanto anche difficoltà e problemi, ma credo che i problemi ci siano vivendo in ogni luogo. Credo, quindi, che abituarsi, adeguarsi e integrarsi nella località in cui si vive sia il segreto per trovarsi sempre bene. Ho assistito furtivamente in silenzio ad una tua lezione, prima dell’intervista (forse te ne sarai accorta) e ne sono rimasto affascinato, spero di potermi iscrivere per il prossimo anno. Miwa ti ringrazio a nome dell’Unitre e mio per la tua gentilezza, cordialità e disponibilità, spero tu possa continuare con il tuo insegnamento in futuro, con gli allievi che hai e con altri nuovi che si iscriveranno. Con simpatia, Beppe 10 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Premio di Poesia “Città di Arenzano” dedicato a Lucia Morpurgo Rodocanachi Il Premio di Poesia “Città di Arenzano”, istituito dal Comune di Arenzano e dalla nostra Unitre, con il proposito di promuovere la poesia come bene irrinunciabile e antidoto efficace al degrado del linguaggio, è arrivato alla IV edizione. Durante l’anno il direttivo organizzativo (Fabia Binci, Angela Caviglia, Rocky Marotta e Franco Merega) realizza, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e con la Biblioteca “G. Mazzini” di Arenzano, una serie di eventi atti a promuovere la poesia e ad essere per il territorio un centro di operatività culturale. Al Premio è affiancato un concorso di poesia “Luci a mare” per la scuola primaria e secondaria di primo grado, al quale quest’anno hanno partecipato circa 400 ragazzi. La Giuria Tecnica (Umberto Piersanti, Roberto Galaverni e Stefano Verdino) ha selezionato i tre finalisti, ma sarà la Giuria Popolare composta da trenta persone a scegliere il “supervincitore”, nella cerimonia conclusiva del 18 giugno, alle ore 21, presso il Grand Hotel. È un appuntamento al quale non possono mancare tutti coloro che amano la poesia. Finalisti 2011 Fabio Pusterla concorre con Le terre emerse Einaudi 2009 Antonio Riccardi concorre con Aquarama e altre poesie d’amore Garzanti 2009 Gian Mario Villalta concorre con Vanità della mente Mondadori 2011 Maggio 2011 11 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Essere o non essere… su Facebook Molti di noi della terza età ricordano una follia collettiva degli anni cinquanta, il fungo cinese. Era un repellente vegetale molliccio, che stava costantemente immerso in una vaschetta di acqua; quest’acqua veniva poi bevuta - da chi ne aveva il coraggio - e si diceva che avesse proprietà taumaturgiche, più che terapeutiche, contro i principali malanni che affliggevano l’umanità. Poi la moda passò, dopo un paio di anni, e del fungo cinese non si parlò più. Era diventata un’ossessione collettiva. Oggi si potrebbe attaccare a Facebook questa definizione, a livello planetario: basta dare uno sguardo ai numeri. In Italia ci sono 18 milioni di persone iscritte a Facebook e saranno di più quando leggerete questo pezzo. In America ve ne sono sette su dieci. Ogni anno vengono caricate su Facebook 750 milioni di foto, un numero davvero impressionante. Il 48% degli utenti controlla Facebook appena si sveglia. Ogni ora si registrano un milione di “mi piace”, cinque milioni di aggiornamenti di stato e trenta milioni di commenti. Ripeto, ogni ora. E per concludere, il 57% delle persone ammette di parlare più sui social network che non nella vita reale. Sono i numeri di un grande successo, oppure l’espressione numerica della più grande ossessione collettiva mai verificatasi a livello mondiale? La risposta non è semplice: proviamo a fare un paio di considerazioni senza divinizzare o demonizzare il fenomeno. Facebook nasce con intenzioni semplici, come mostra il film “The Social Network” apparso di recente al cinema: il nome si riferisce agli annuari con le foto di ogni singolo membro (facebook, il libro con le fac- ce) che alcuni college e scuole statunitensi pubblicano all’inizio dell’anno accademico e distribuiscono ai nuovi studenti e al personale della facoltà come mezzo per conoscere le persone del campus. Evidentemente in questi anni il sito di Facebook ha assunto una dimensione diversa, imprevedibile, dovuta forse ad una latente richiesta di libertà e comunicazione di cui solo ora il mondo prende coscienza. In una foto che gira in rete da qualche tempo si vede Mark Zuckerberg, fondatore e proprietario di Facebook, che parla con il presidente Barak Obama ed alcuni altri selezionati personaggi del mondo hi-tech durante una cena riservata che ha avuto luogo alla Casa Bianca, su iniziativa di Obama, il 17 febbraio 2011. Il più tecnologico dei politici moderni, che deve ai social network buona parte del suo successo tra i giovani durante le elezioni americane, sottolinea - seppure in maniera informale - l’interesse strategico di tali realtà. Non serve perdere tempo a discutere aridamente se essere o non essere su Facebook. La cosa non ha alcuna importanza: ciò che veramente conta é capire dove Facebook può portare, ci piaccia o no. Viviamo certo un momento di estrema turbolenza e non é ignorando il vortice che ci si salva, bensì conoscendolo e, per quanto possibile, facendone un uso positivo, scatenando la nostra creatività per trovare e mettere in pratica utilizzi virtuosi delle nuove tecnologie: Obama insegna. Pensate davvero che Mark Zuckerberg sia stato invitato a cena dal Presidente degli Stati Uniti solo perché vale 50 miliardi di dollari? I soldi sono l’ultimo dei problemi: Facebook al momento non é neppure quotato in Borsa. Penso che Obama si preoccupi di non perdere il controllo su situazioni con potenziali sociali inimmaginabili. Ed é su Facebook. Franco Merega 12 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme San Bartolomeo alla Certosa Visita guidata Oggi, 21 gennaio 2011. Un freddo veramente micidiale. È la prima cosa che voglio scrivere. Mi sono coperta come se fossi al Polo Nord. Al freddo naturalmente si è aggiunto il vento. Le mie amiche e compagne di esperienza, come amo chiamarle, mi hanno subito distratta con mille discorsi ed il freddo si è fatto più accettabile. Sampierdarena, Stazione, bus n. 8 e incontro con un’adorabile guida, Lucia, che ci ha finora accompagnate nelle nostre scorribande culturali. Siamo giunte ad un primo chiostro di questa imponente Certosa e qui lo sgomento è stato veramente grande. Questa mirabile costruzione del 1400 è completamente in stato di abbandono, vuoi per la mancanza assoluta di sensibilità e forse di fondi, vuoi perché ormai è davvero difficile il recupero dal punto di vista economico perché il degrado è andato veramente oltre. Gli archi gotici del chiostro basso sono stati chiusi col cemento per far posto a cantine, box e magazzini vari. Il secondo piano, aggiunto alla costruzione, con archi questa volta chissà perché romanici, ancorché siano stati costruiti in un secondo tempo, presenta rovine e distacchi ormai in stato avanzato. Le spiegazioni della guida, che spaziano dalla costruzione del complesso da parte di monaci certosini, arrivati qui su invito della famiglia Di Negro, e descrivono l’ambientazione antica del complesso, non fanno altro che peggiorare la nostra angoscia nel vedere lo stato attuale non solo ma anche l’attuale colloca- Il chiostro di San Bartolomeo alla Certosa zione in mezzo a palazzoni invadenti, che senz’altro hanno rappresentato una soluzione di dormitorio per molte famiglie di lavoratori portuali e non. Difficile immaginare campi di grano e terrazzamenti a vite e alberi da frutto. Difficile anche immaginare i monaci al lavoro nelle loro celle/laboratorio, nel silenzio e nella quiete della campagna! Direi quasi impossibile. Siamo quindi risalite alla Chiesa nella speranza di trovare situazioni di migliore conservazione. No, non proprio. Si salva leggermente la Chiesa vera e propria. Il secondo chiostro, pare il più grande d’Italia (ma forse della Liguria), è adibito a campo di calcio mentre le antiche costruzioni dei monaci sono state trasformate in asilo. I sotterranei con le cripte sepolcrali di prelati e di un Di Negro, con moglie e figlio, non si sottraggono al degrado. Le stanze per l’accoglienza agli immigrati comunque potrebbero essere tenute in uno stato più decoroso, cosicché anche loro possano sensibilizzarsi alla nostra Tomba cultura e godere di situadi Benedetto Di Negro zioni confortevoli e piacevoli. Se un ospite viene a casa mia non gli faccio trovare la casa sporca e sottosopra, ma cerco di accoglierlo in un ambiente dignitoso. Cerco insomma di fargli vivere un piccolo sogno e semmai di far sì che la sua sosta non sia soltanto transitoria. Se non ha una bella casa, almeno qui trovi la possibilità di godere di un minimo di conforto. Sono sicura che tutti ne sarebbero felici. Insomma questa visita mi ha lasciato nel cuore molta tristezza e come al solito la consapevolezza, condivisa anche con le mie amiche, di vivere ad Arenzano in un ambiente privilegiato, anche se semplice e a volte scomodo. Come al solito comunque ne è valsa la pena. Alla prossima. Loredana Odazzi Maggio 2011 13 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Commenda di Pré Visita guidata 25 febbraio 2011: in treno, col solito gruppo di amiche Unitre, alla volta di via di Pré per la visita alla Commenda, così chiamata perché i capi, a cui erano demandati gli incarichi di assistenza e di organizzazione, si chiamavano Commendatari. La Commenda di Pré nasce dall’esigenza, sentita nel Medioevo, di offrire ospitalità a tutti i Pellegrini in arrivo ed in partenza per le varie Crociate e/o ai luoghi di culto. Sappiamo infatti che allora era usanza recarsi ai vari Santuari e cito Santiago di Compostela, Loreto, Roma, Gerusalemme come città Santa ecc, per ottenere indulgenze e favori in cambio del sacrificio cui si sottoponevano i pellegrini. A volte addirittura i ‘ricchi’ pagavano i ‘poveri’ per effettuare questo viaggio al posto loro. Il viaggio era non solo lungo, ma anche irto di pericoli. Inoltre in particolare la Commenda rimetteva ‘in sesto’ coloro che, arrivati da terre lontane, dovevano imbarcarsi per la Terra Santa per combattere contro i pagani. Qui venivano rifocillati (e pare bene, con alimenti di ottima qualità) curati e insomma rimessi in piedi per la continuazione del viaggio. La Commenda era nelle mani dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni o di Malta. Essi assistevano, curavano, davano sepoltura e comunque conforto a tutti. Le donne erano alloggiate in un altro palazzo. La Commenda sorgeva in riva al mare! L’edificio è in stile romanico e nessuno di noi si aspettava di trovare tale ampiezza di volumi al di là della bellissima facciata. Essa infatti nasconde l’ospedale vero e proprio, la chiesa inferiore (quella superiore è stata resa accessibile lateralIl campanile mente dall’alto della Commenda nel 700, trasformando l’abside in Loggia della Commenda San Giovanni di Prè ingresso e l’ingresso precedente in abside). È stata quindi capovolta per essere separata da quella inferiore. Inizialmente infatti la chiesa era su due livelli, come tutte le chiese edificate dall’Ordine dei Cavalieri di Malta. Essi non potevano per regola farsi seppellire nella chiesa, e pare quindi che l’unica tomba esistente, con tanto di sarcofago di marmo, sia di qualche benefattore o persona gradita ai Cavalieri, ma non di uno di loro. L’esterno è come al solito fatiscente, perché si trova in una zona trascurata di Genova: bottigliette, cartacce, sporcizia varia, vetri infranti accolgono il visitatore. Immediatamente si ha una sensazione di disagio e si vorrebbe scappare. Poi la curiosità, l’interesse e il rispetto per la nostra storia ci fa resistere ed entriamo. All’interno l’amministrazione comunale ha restaurato come poteva, anche con qualche pretesa di raffinatezza, come per esempio tramite video e pannelli esplicativi sulla vita di allora. Purtroppo non sono stati destinati altri fondi per la salvaguardia delle parti esterne. Alla fine devo dire che sono molto contenta di essere potuta entrare in questo piccolo mondo di storia e di aver avuto l’opportunità di approfondire ancora una volta la tipologia di vita dei nostri antenati. In fondo siamo tutti orgogliosi del nostro passato. Quanta fatica e quanta sofferenza traspare, però, sempre da queste visioni del tempo che fu! Loredana Odazzi 14 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 A cena con gli amici Fa parte della nostra cultura la consuetudine di ral- dalla prima fase del pasto, era il clou dell’incontro, legrare una riunione di amici o familiari, sia essa rituale o scelta od improvvisata, con un buon pranzetto o con il semplice Facciamoci una pizza insieme. Non mancano le cene di lavoro o quelle fra persone legate da interessi comuni, segnatamente da quelli politici: a tavola gli animi si distendono, sono più aperti al dialogo, con le dovute pause di riflessione fra un boccone e l’altro e con il calore di un buon bicchiere. Un piatto ben cucinato, arricchito da un buon vino, dispone meglio alla cordialità e al successo dello scopo per cui il simposio avviene. Già, il simposio: questo termine oggi è solitamente usato nel significato figurativo di incontro ad alto livello fra studiosi per discutere di un tema di elevato interesse culturale. La parola è di origine greca (sun = insieme + posis = bevanda) come pure la consuetudine di cui il nome è espressione. Nella vita e nella cultura greca, così aperta allo spirito di socialità, il simposio aveva una sua forma rituale, caratterizzata da determinate regole e procedure perché il bere insieme era un rito collettivo in cui persone della stessa estrazione si riunivano per riflettere insieme su temi fondanti delle società e della cultura dominante, sia in rapporto alle memorie e ai valori del passato, sia nella prospettiva dell’azione futura. Vi si univa la pratica del pasto sacrificale con quella centrale del gustare collettivamente il vino, sia pure annacquato, bevanda connessa al culto di Dioniso, in cui si esalta il dono trasmesso di superare i limiti della natura umana per penetrare nella forza creativa dell’universo in cui elementi divini ed umani si fondono nell’unità trasfigurata dell’insieme. Quell’unità perduta era segnata dal rito sacrificale che precedeva il banchetto: le carni del sacrificio, la libagione, il canto del peana segnavano la condizione attuale di separazione fra i due mondi; il momento del bere insieme, che avveniva dopo e separatamente fra persone che recavano in capo una corona d’edera e le cui mani dovevano essere pulite. Poesia, musica, danza, brevi spettacoli con buffoni, giocolieri, con la partecipazione di etere, ed anche qualche gara in giuochi - passatempo, intervallavano piacevolmente le alternanze dei discorsi in cui si venivano snodando i ragionamenti intorno all’asse logico del tema guidato dal simposiarca. Costui era il re del simposio, colui che, eletto o sorteggiato, regolava la miscelazione dell’acqua e del vino, le modalità del bere, la grandezza delle coppe, la quantità spettante a ciascuno. Con la presenza dei filosofi, particolarmente con i sofisti, ma soprattutto con Socrate, venne ridotta o eliminata la parte più leggera e diversiva per dare più spazio alla discussione culturale tanto che la consuetudine produsse un genere letterario il simposio appunto, di cui fu forse iniziatore Senofonte e massimo esponente Platone. Ci sono somiglianze fra i due testi: l’occasione del simposio è la vittoria in un agone e la presenza di un ospite senza invito. Il testo di Senofonte per la vittoria di Agatocle nel pancrazio, una specie di lotta libera, ha un carattere più leggero e divertente in cui Socrate, al centro dell’interesse, sollecita una piacevole discussione sul tema dell’eros, in modo garbato e scherzoso, più vicino al livello ed alla mentalità comune, anche se sempre ad un livello di saggia guida. Il linguaggio, agile ed elegante, anticipa la koinè ellenistica, cioè quella lingua greca che dominò, come lingua internazionale dei commerci e soprattutto della cultura, che si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo e lasciò segni riconoscibili in tutte le lingue europee. La bellezza che sollecita l’amore giustamente inteso conduce alla libertà d’animo nei riguardi della ricchezza, al senso della moderazione e del decoro e Maggio 2011 15 N.O.I. nuovi orizzonti insieme non importa se nella sua forma smagliante sfiorisce del 416 e, tra convitati di alto livello umano e cultura- rapidamente perché, dice Socrate, “a ogni età si accompagna la sua bellezza”. le, tratta anch’esso del tema dell’Eros nelle sue più varie dimostrazioni, da quella tra amante ed amato o E ancora: “come è possibile che coloro tra cui c’è amore non si guardino l’un l’altro con inevitabile piacere, non si parlino con affetto, non nutrano reciproca fiducia, non abbiano cura l’uno dell’altro, non condividano la gioia per le cose fatte bene, e non soffrano insieme se capita qualcosa di avverso? O non trascorrano il tempo felici, stando insieme in salute, e non stiano insieme più di frequente se uno dei due è malato? O non si diano pensiero l’uno dell’altro quando sono lontani, più che quando sono vicini? Tutte queste cose non sono forse propizie all’amore? È appunto grazie a tutto questo che, desiderando l’amore e godendolo, vivono sino alla vecchiaia”. Il Simposio di Platone trae occasione dalla vittoria del poeta Agatone nelle feste delle Grandi Dionisiache amata a quello coniugale. L’Amore celeste e l’Amore Volgare si contrappongono, ma è il primo ad avere un carattere più elevato, perché guida la persona ai sentimenti più nobili ed al proprio perfezionamento. Interviene così Pausania, lo storico, commensale del simposio platonico: “Abbietto è l’amante volgare, innamorato più del corpo che dell’anima: non è un individuo che resti saldo, come salda non è nemmeno la cosa che egli ama. Infatti quando svanisce il fiore della bellezza del corpo del quale era preso “si ritira a volo” ad onta dei molti discorsi e delle promesse. Chi invece si è innamorato dello spirito quando è nobile resta costante per tutta la vita perché si è attaccato a una cosa che resta ben salda”. Anche qui interviene Socrate per dire che chi cerca un’anima bella per unire la propria con una comunanza profonda riuscirà “a capire che tutto il bello che riguarda solo il corpo è cosa ben da poco”. Così il banchetto diventa un confronto di idee, una palestra di discussione sui temi che riguardano la società e i valori su cui la vita democratica poggia i suoi fondamenti. Tiziano: Amor sacro e Amor profano Roma, Galleria Borghese Martedì 3 maggio 2011 ore 21 Teatro Gassman Borgio Verezzi Emilia Garaventa Sabato 14 maggio 2011 ore 16 Auditorium Santuario Gesù Bambino La Panchina Il coro “Eco del mare” Gruppo Teatrale Unitre Regia: Patrizia Detti Direzione: Ada Bongiovanni Maglierini Pianoforte: Anna Venezia presenta presenta Le cognate Il concerto di primavera 16 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 Storia della geografia e delle esplorazioni Il Corso di “Storia della geografia e delle Esploralassia che lo contiene e che comprende oltre cento zioni” si pone l’obiettivo di raccontare la meravigliosa miliardi di stelle. Al di fuori della nostra galassia ve storia del progressivo ampliarsi dell’orizzonte geograne sono altre formate a loro volta da centinaia di mifico degli uomini e della scoperta della Terra. liardi di stelle, quasi sempre più grandi del Sole. L’uniLa storia delle esplorazioni è intessuta di miti e di verso è in movimento, le stelle nascono e muoiono, e leggende e ci fa conoscere i protagonisti di queste tutte le galassie si muovono, sono fenomeni che avimprese che spesso sono degli eroi solitari, altre volvengono in tempi lunghissimi rispetto alla vita umate gruppi di uomini della stessa tempra, o addirittura na, al punto che a noi uomini pare di vivere in un interi popoli, che hanno saputo osare oltrepassando i universo immobile. limiti imposti dalle cognizioni scientifiche e tecniche *** della propria epoca. Infine, forse con un poco di preLa Geografia è una disciplina molto antica che risunzione, il corso si propone di dare un quadro chiaro sponde all’esigenza dell’uomo di conoscere l’ambienanche se sintetico della storia della conoscenza del te. Oggi, i geografi di tutto il mondo attribuiscono alla mondo, così come si è andata disegnando attraverso geografia il significato di scienza che studia il rapporl’evoluzione del pensiero geografico e il procedere to delle società umane con l’ambiente in cui vivono, delle esplorazioni. che è in continua evoluzione per cui vi è stretta relaL’uomo ha sempre sognato di conoscere, di esplozione tra storia e geografia. rare e di conquistare la parte della Terra che si estenLa geografia è anche rappresentazione cartografica deva al di là dei limiti del suo e una carta non è soltanto la orizzonte geografico, di cui averiproduzione grafica di un terriva sentito parlare e di cui cotorio ma una sorta di trascrizionosceva leggende e descrizione della storia, un riassunto grani fantastiche. fico dell’espandersi di una culDa sempre l’uomo ha avvertura. Marinai, soldati, amminitito nel suo cuore il desiderio stratori hanno sempre avuto biinsopprimibile di quell’altrove sogno di carte e ad essi hanno da scoprire, intessuto di miti e risposto i cartografi, che erano, di meraviglie, quel lontano scomatematici, specialisti di callinosciuto che continua a rendegrafia e della stampa, agrimenre inquieto il suo cuore e lo sori, astronomi, piloti esperti nel spinge a osare, a partire, ad atdisegno nautico. traversare il mare o a mettersi La “terra cognita” prima La carta è ritratto del territoin cammino. rio… ma è stata anche segno di di Cristoforo Colombo Oggi la Terra è tutta esploradominio o di conoscenza. Infatta, conosciuta, misurata e il nostro altrove è ancora ti i principi decoravano le sale dei loro palazzi con nel nostro cuore, ma non è più sulla Terra, bensì nelcarte geografiche e molti ricchi borghesi ornavano le lo spazio che ci apprestiamo a esplorare, a conquiloro case con carte che erano decorative come i quastare con tecnologie e strumenti sempre più sofistidri, e insegnavano qualcosa. cati. Quelle carte erano opere d’arte impareggiabili e i La Terra, la nostra casa, è stata considerata per disegni che le abbellivano davano una vivida descrimillenni il centro dell’Universo ma a partire dalla rivozione del mondo conosciuto ma, col trascorrere del luzione copernicana si è rivelata una piccola cosa, un tempo hanno perduto precisione e affidabilità, e i loro piccolissimo punto, in un disegno infinitamente più colori sono sbiaditi… come avviene per i ricordi . grande. La Terra sembra enorme soltanto se la conNei pochi esemplari originali che ancora possediafrontiamo con le dimensioni dello spazio in cui si svolmo, troviamo mari che continuano ad essere simili a ge la vita quotidiana degli esseri umani che la popoquelli che sono stati e altri mari che nel corso dei lano, ma è solo una porzione infinitesimale dell’unisecoli sono diventati diversi, città che non sono più e verso che la circonda. Il Sistema solare di cui la Terra città che non sono state… Collocando una carta acfa parte ha dimensioni molto piccole rispetto alla gacanto all’altra possiamo rileggere la storia dell’uomo. Maggio 2011 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Negli incontri di quest’anno abbiamo raccontato l’ampliarsi progressivo dell’orizzonte geografico, partendo dall’uomo della preistoria il cui spazio era delimitato da barriere naturali, fatto di luoghi impervi, di impetuosi corsi d’acqua, ricoperto dalla volta celeste con gli astri che regolavano i tempi della sua vita. Siamo giunti alla vigilia della scoperta del Nuovo Mondo, preludio dell’impresa di Cristoforo Colombo che con l’impresa di Alessandro Magno, alla fine del IV sec. a. C. e con i viaggi nell’Oceano Pacifico nel XVIII secolo (che racconteremo) è uno dei momenti che più di ogni altro hanno segnato la storia delle esplorazioni. Le motivazioni che hanno spinto l’uomo a varcare il limite del suo orizzonte sono state originate da molte ragioni, aumenti demografici, sete di ricchezza, desiderio di conquista, fuga da guerre e carestie, oppure semplicemente dalla sua innata intraprendenza e curiosità che lo spinse a varcare le Colonne d’Ercole, a navigare verso ponente per raggiungere il levante, ad affrontare mari tempestosi e freddi, l’Oceano, “il Mare dell’oscurità” come lo chiamavano gli Arabi, a navigare attorno alla Terra per ritornare dove era partito, per appagare il desiderio di raggiungere paesi fantastici dei quali aveva sentito soltanto parlare… come le Indie o il favoloso regno di Prete Gianni. Gli uomini che attuarono quelle imprese erano abili, immaginosi e intraprendenti e hanno tracciato la mappa del mondo che noi tutti conosciamo. Poco alla volta dimostrarono che tutti i mari formavano un mare solo, che disponendo di navi adatte, di abilità e di coraggio, si poteva raggiungere qualunque regione del mondo bagnata da un oceano, e ancora più importante… ritornarne. Oggi le scoperte sono finite e la geografia, dopo essere stata solo visione del mondo, racconto fantastico o visione di fede, addirittura causa di eresia, è diventata finalmente una scienza esatta. Per conoscere l’intero pianeta che lo ospita l’uomo ha impiegato circa diecimila anni, misurati a 17 partire dal Neolitico fino alla spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen, nel 1911. Il nostro viaggio sulla nave dell’Unitre è iniziato nello scorso Ottobre, nell’aula B di Villa Mina: è partito dalla preistoria, è passato attraverso i Sovrani di Uruk che “regnavano dal Mare Inferiore al Mare Superiore”, ha esaminato le prime speculazioni dei Greci sulla forma e sull’origine del mondo, raccontato l’impresa di Alessandro Magno che allargò a dismisura il mondo verso l’Asia, la grandezza di Roma e del suo impero, gli Arabi, i Vichinghi e il mistero di una mappa falsa che li vuole in America quattrocento anni prima di Colombo, il risveglio dell’Occidente, i mercanti sulla via delle spezie, i missionari, la scoperta dell’Oriente, fino alla vigilia della più grande rivoluzione geografica dell’era moderna, la scoperta dell’America. La “nostra nave” ha ora raggiunto un porto calmo e ben riparato nel quale trascorreremo un po’ di tempo in attesa di alzare ancora la vela, al ritorno del prossimo autunno, quando gli Alisei ci spingeranno attraverso l’Atlantico fino all’Isola di Guanahani nelle Bahamas dove rivivremo una data fatidica e risaputa, quella del 12 Ottobre 1492. Con Magellano, racconteremo la prima circumnavigazione del mondo e con altri capitani esploreremo il Pacifico sconfinato dove si sono perduti gentiluomini e pirati e tutti quei mari dove sono state piantate tante bandiere su altrettante isole e terre e continenti, dall’uomo che in tal modo testimoniava la sua vittoria e ne prendeva possesso in nome di un re, di un impero, di una repubblica. La prima parte del nostro viaggio si è dunque conclusa. Abbiamo viaggiato “insieme” e siamo diventati amici. Non c’è “ciurma”… e nemmeno comandanti … sulla nave che ha le vele sempre gonfie del vento della curiosità e della gioia del raccontare. Come veri compagni di viaggio, ad ogni tappa del nostro vagabondare tra storia e geografia, ci siamo ritrovati tutti insieme per una nuova partenza. Abbiamo raccontato molte cose e le domande sono state tante, segno evidente che questo viaggiare alla scoperta della Terra ci ha affascinato e interessato. Un grazie sentito ai miei “compagni di viaggio” nell’attesa di riunirci ancora tutti a bordo per issare le vele e per intraprendere altri viaggi. Buona estate a tutti Gianni Paglieri 18 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 L’angolo dei libri a cura del Gruppo Biblioteca Clara Sanchez, Il profumo delle foglie di limone, ed. Garzanti Spagna. Costa Blanca. L’aria è pervasa dal profumo di limoni che arriva fino al mare. Il sole è ancora caldo nonostante sia già settembre inoltrato. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha lavoro, è in rotta con i genitori e incinta di un uomo che non è sicura di amare. Un giorno incontra una coppia di amabili vecchietti, Frederik e Karin Christensen. Sono come i nonni che non ha mai conosciuto. Le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti, la accolgono nella loro villa piena di fiori: Un paradiso. Ma, in realtà, si tratta dell’inferno perché loro sono dei criminali nazisti. Sandra, forse, può smascherarli con l’aiuto di Julian, scampato al campo di concentramento e che da molti giorni segue i loro movimenti, ma non è facile convincerla della verità. Dopo una comprensibile incredulità, comincia a guardarli con occhi diversi. Adesso rischia molto. Ma non importa. Perché tutti devono sapere. Perchè è impossibile restituire la vita alle vittime, ma si può almeno fare in modo che tutto ciò che è successo non cada nell’oblio. E che il male non rimanga impunito. Uscito in sordina in Spagna, ben presto ha scalato le classifiche. Grazie al passaparola del pubblico. Poi è venuta la consacrazione della critica: la vittoria del Nadal, il premio più antico e prestigioso. Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere Daniel Pennac Flora M. Mayor, La figlia del reverendo, ed. Neri Pozza Dedmayne è un villaggio insignificante nelle contee orientali dell’Inghilterra. Non ha una casa signorile, né un parco, né un giardino che gli dia prestigio. Non ha una vita sociale degna di questo nome. Non c’è gente altolocata, né le solite ricche bigotte che possono contribuire alle necessità della canonica. Il canonico, il reverendo Yocelyn, ha ormai ottantadue anni. È un vecchio accidioso e risentito che vive con la figlia Mary. Mary è nata lì e non ha mai lasciato il circondario. “Inosservata come i biancospini nelle aiuole” è sempre stata fedele al ruolo di figlia nubile, condannata al ruolo di governante - padrona di casa accanto all’erudito e indifferente padre. Un giorno si trasferisce nelle vicinanze il figlio di un vecchio amico del padre, Robert Herbert. Tutte le emozioni soffocate nel corso degli anni, riemergono con forza, in una attrazione mai provata prima. Mary sembra rifiorire. La finestra che le si apre sul mondo, tuttavia, si richiude subito. Mary non tarda a scoprire di essere fuori posto nella modernità, “una zitella anglicana” capace di vivere soltanto in un luogo dove gli anni scorrono sempre uguali, ma dove tutto si aggiusta. Pubblicato per la prima volta nel 1924 , “La figlia del reverendo” è al centro ora in Inghilterra di una rinnovata attenzione della critica, che non esita a porlo tra i libri più importanti della narrativa inglese del Novecento. Un romanzo sulla scia di Jane Austin che esplora magistralmente il rapporto tra padre e figlia. Maggio 2011 19 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Leggiamo insieme Mi è sempre piaciuto leggere. Quando ero bambina i miei mi compravano il Corriere dei Piccoli e, quando ero malata, addirittura un Almanacco di Topolino che io leggevo e rileggevo non so quante volte. Ma in casa mia non circolavano libri. Fu veramente un colpo di fortuna che mi fece “ereditare” l’intera biblioteca di libri per bambine/ragazzine delle due figlie, ormai cresciute, di un collega di mio padre: che felicità! A scuola invece la lettura mi dava qualche preoccupazione: l’esercizio di lettura ad alta voce non me lo godevo. Ognuno doveva essere pronto a proseguire la lettura quando la maestra chiamava il suo nome, bisognava leggere correttamente, con la giusta intonazione. Avevo sempre un po’ di timore... e un po’ di vergogna. Fu nell’ora di Epica alle Medie che cominciai ad apprezzare la lettura insieme. La professoressa leggeva, noi seguivamo con gli occhi il testo sul nostro libro: si sentiva solo la voce della prof che ci guidava nella scoperta della storia. Come per magia, il testo diventava facile e noi eravamo liberi di immedesimarci nella vicenda e di goderla appieno. E poi, nelle pause, sentivo il piacere di condividere con i miei compagni un’esperienza bella e bastavano poche parole di commento per sentirci in sintonia. Quando dovevo leggere qualche brano da sola, non era la stessa cosa: la lettura “con la mente” era più veloce, oserei dire frettolosa, fino a quando mi imbattevo in qualche difficoltà e allora dovevo ricorrere alle note che mi aiutavano ma mi davano anche un senso di fastidio. Sicuramente, anche se inconsapevolmente, questi ricordi devono aver giocato un ruolo importante nella mia idea di proporre, nell’ambito dei corsi Unitre, la lettura dei “classici” fatta insieme. Non ci pensai molto a proporla a Fabia quando, qualche anno fa, mi chiese se ero disponibile a tenere un corso. E così è iniziata l’esperienza di un gruppo di persone che negli anni si è un po’ allargato ma soprattutto consolidato, segno che la lettura insieme piace. Abbiamo letto parecchi miti delle Metamorfosi di Ovidio: avevo pensato di dedicare un anno accademico alle Metamorfosi ma quella lettura è piaciuta al punto di decidere tutti insieme di dedicarle un altro anno. Poi abbiamo letto alcune novelle di Verga: certamente è stata una lettura più “pesante” perché drammaticamente ci portava a realtà difficili, presentate senza un barlume di speranza. Il pessimismo di Verga un po’ ci ha contagiato! Quest’anno ci siamo “consolati” con le avventure metropolitane di un Marcovaldo strampalato ma inguaribilmente fiducioso. Ed ora abbiamo iniziato a leggere qualche novella di Boccaccio: altra epoca, altra realtà, altra lingua letteraria. Ma per dirla con Margherita, l’assistente del mio corso, “è sempre piacevole leggere insieme”. Maria Luisa Moreno Nel silenzio Nel profondo silenzio della stanza, immersa nel buio della notte, voci velate vagano, sussurri e sospiri d’amore, figure evanescenti si levano riemerse dal passato. Dal cuore e dalla mente affiorano i ricordi e dolce è sprofondare in questo nulla parlando con se stesso per non sentirsi solo. Selma Braschi 20 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 Capolavori nascosti La scuola di San Giorgio degli Schiavoni con le tele di Vittore Carpaccio La via della conoscenza è quella del viaggio, che in Italia può essere anche fuori della porta di casa, meglio se lento e solitario, poiché l’informazione può essere di massa, la conoscenza no, viaggio desiderato per andare a vedere una sola opera d’arte che si trovi nella stesso posto da non meno di cento anni. Per sapere che cosa ha da dirci. (E. De Marchis) A chi si rechi a Venezia e voglia evitare di essere travolto dal flusso dei turisti che assediano la città, consiglio una passeggiata per le calli e i campielli che si trovano alle spalle della Basilica di San Marco. Ci rendiamo subito conto che quanto più ci allontaniamo dal grande polo di attrazione costituito da piazza S. Marco, tanto più scopriamo l’atmosfera più vera e poetica di questa città. Camminiamo adagio, guardiamoci intorno, cerchiamo di avvertire e gustare le sensazioni per noi nuove che ci provengono dalla costante presenza dell’acqua e dall’assenza delle macchine e dei rumori. Non usiamo cartine topografiche, lasciamoci guidare dai canali, dai ponti, dagli scorci sempre nuovi che ci si presentano ad ogni passo. E se, inevitabilmente, perderemo l’orientamento, basterà chiedere ad un veneziano di passaggio che ci rimetterà sulla buona strada. Al termine del piacevole vagabondaggio raggiungiamo la nostra meta: la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni. Nella Venezia del tardo Medioevo e del primo Rinascimento col termine di “scuola” si indicava una confraternita religiosa di laici che si dedicavano alle ope- San Giorgio degli Schiavoni re di carità e all’assistenza spirituale e religiosa dei propri membri. Alcune di queste rappresentavano un punto di riferimento e di incontro per le molte comunità straniere della città o erano associate alle corporazioni degli artigiani e dei mercanti. Non erano soggette all’autorità ecclesiastica, bensì a quella della Repubblica di Venezia. La Scuola di San Giorgio, fondata nel 1451, era gestita dalla colonia degli abitanti della Dalmazia che i veneziani chiamavano Schiavoni e che avevano stretti rapporti commerciali e militari con la città lagunare. Si tratta di un edificio a due piani di dimensioni piuttosto contenute, con una bella facciata realizzata in stile sansoviniano da Giovanni de Zan. Entriamo. Ci veniamo a trovare in uno degli interni meglio conservati e più autentici di Venezia. Subito ci sentiamo immersi in un’atmosfera intima e rara che ci rimanda al gusto e alla raffinata sensibilità della casa veneziana del tempo. Qui, per le dimensioni piuttosto ristrette della sala, i dipinti disposti sulle pareti devono essere visti a distanza ravvicinata, in uno spazio raccolto, nella luce e nell’atmosfera più adatte a farli vivere in tutta la loro preziosità. In un brano scritto nel 1877 lo scrittore e critico d’arte inglese John Ruskin ha espresso in maniera efficace, anche se in forma un tantino romantica, l’impressione suscitata da questo interno. “Entrando ci troviamo in una piccola stan- za la quale ha all’incirca le dimensioni del salotto comune d’una locanda inglese all’uso antico; forse n’è un po’ più alto il soffitto, di buone travi orizzontali, strette e numerose, per dare un’impressione di ricchezza,... una stanza dall’aspetto comodo e caldo, specialmente perché i quadri danno l’impressione di una mite luce di tramonto sulle pareti, o del chiarore delle braci ravvivate nel caminetto del pacifico salottino dove si aspetti, al crepuscolo, un caro amico.” Maggio 2011 21 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Le tele alle pareti sono opera di Vittore Carpaccio (1460?1526) e rappresentano episodi della vita dei tre santi protettori della confraternita: San Giorgio, San Gerolamo e San Trifone. Il Carpaccio è uno straordinario narratore: le sue storie, raccontate su grandi tele (i teleri), sono ambientate in ampi spazi occupati da un’architettura fantastica dal sapore vagamente veneziano, abitati da folle di personaggi dai costumi, ora sontuosi ora pittoreschi, che creano un’atmosfera cosmopolita ricca di elementi esotici. Sono storie fantastiche descritte utilizzando particolari presi dalla realtà e inquadrate all’interno di scenari regolati da un eccezionale rigore prospettico. Mescolando così la fantasia con la realtà e il rigore intellettuale, Carpaccio riesce a creare una pittura di grande fascino davanti alla quale avvertiamo un leggero senso di sdoppiamento, una piacevole ambiguità, dovuta alla sovrapposizione dei diversi modi di narrare e siamo costretti a passare continuamente dalla realtà all’illusione senza riuscire ad individuare il confine fra questi due mondi. Osservando questi dipinti siamo attratti dalla grande quantità di particolari, anche minuti, che il pittore dissemina sui percorsi del nostro sguardo; ci lasciamo così coinvolgere nel gioco dell’esplorazione e della continua scoperta che solo alla fine si rivela essere un espediente dell’artista per prolungare il colloquio fra noi e la sua opera. Ma questi particolari, così come i contorni delle forme, non restano integri a fronte di un esame particolarmente ravvicinato; se ci spingiamo oltre un certo limite li vediamo sfaldarsi, fino a confondersi con la trama della tela che affiora, sciogliendosi nella luce e nel colore. Per questo Carpaccio rientra a pieno titolo nell’alveo della grande pittura veneziana. Giorgio Stella Incontro con Roberto Mussapi Narrazione teatrale dell’opera “L’incoronazione degli uccelli nel giardino” Roberto Mussapi, una delle voci più autentiche della nostra poesia, oltre che drammaturgo e scrittore, è anche uno dei firmatari della “Carta di Arenzano per la Terra e per l’Uomo”. Il suo poema in versi e in prosa “L’incoronazione degli uccelli in giardino”, un’avventura fantastica in un mondo di piume, è stato scritto per i ragazzi, ma affascina tutti, con la grazia di una fiaba limpida in grado di risvegliare emozioni e far volare la fantasia. Oltre che invitare a riflettere. L’appuntamento è per Domenica I maggio ore 10,45 Sala Consiliare 22 Mostra di Brescia Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Matisse Se state programmando i prossimi ponti di primavera tenete in considerazione Brescia. Da diversi anni infatti la città, ricordata in passato, per lo più, per il tondino di ferro, si sta attestando tra le città italiane più attive in campo culturale. Dopo il grande successo, dell’anno scorso, dell’iniziativa sugli Inca, per il 2011 Brescia ha allestito, al Museo di S. Giulia, l’esposizione intitolata “Matisse, la seduzione di Michelangelo”. La fama dell’artista francese è legata, per lo più, alla definizione di “Fauves” ovverosia “Belve”, che il critico Louis Vauxcelles ne diede nel 1905. Egli era rimasto colpito dall’uso che Matisse faceva del colore. Una ricerca del colore che Matisse, in effetti, proseguì per tutta la vita e che lo porterà a realizzare i papiers découpés, cioè, come scrive Matisse stesso, nel ’47, a “… ritagliare nel colore… Operazione - è sempre Matisse a dirlo - che mi ricorda lo sbozzare diretto degli scultori….”. Matisse, Nel programmare la vostra visita ricordatevi inoltre del contenitore in cui sono inserite le due mostre. Se infatti non conoscete già il Museo di S. Giulia, sappiate che vi troverete all’interno di una delle realtà museali più apprezzate in Europa . Non lasciate quindi il museo senza averlo visitato. La visita è compresa nel biglietto di ingresso alla mostra. Se arrivate in treno potrete servirvi di comodi mezzi pubblici, ma qualora siate degli sportivi imprestati all’arte potrete, alla stazione, noleggiare delle moderne biciclette. Se invece arriverete in auto vi consiglio il parcheggio Caserma Goito, in Via Spalto S. Marco. Con • 2, 50 si parcheggia per tutto il giorno. In tal modo, usciti da S. Giulia, potrete fare quattro passi lungo Via dei Musei e dare un’occhiata al Capitolium nonché al centro di Brescia. Maura Stella Ed è proprio in questa ulteriore ricerca artistica la Matisse, La gioia di vivere chiave di interpretazione della mostra di Brescia. L’opera dell’artista francese viene infatti analizzata da un punto di vista nuovo, ovvero in rapporto ai suoi studi sull’arte antica e, in particolare, su Michelangelo. Ecco allora spiegato perché, accanto a diverse opere di Matisse, sono esposte anche copie di opere di Michelangelo. Compreso nel prezzo del biglietto è l’uso dell’audioguida. Essa, oltre che illustrare la mostra di Matisse, vi guiderà anche lungo la seconda mostra allestita in S. Giulia, intitolata “Ercole, il fondatore. Dall’antichità al Rinascimento”. Con tale mostra si intende operare una rilettura del mito di Ercole che, secondo la tradizione, avrebbe fondato la città di Brescia. La mostra “Matisse. La seduzione di Michelangelo” è aperta dall’11 febbraio al 2 giugno Museo di S. Giulia Via dei Musei 81/b Numero verde 800775083 www.matissebrescia.it Lunedì-giovedì: 9.00-20.00 Venerdì-sabato: 9.00-21.00 Domenica: 9.00-20.00 Maggio 2011 23 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Un viaggio in Irlanda Per una bella vacanza L’Irlanda o EIRE è considerata giustamente l’isola verde per la sua natura dominata dal verde scuro dei pascoli, dei prati e delle paludi. Le colline e i monti si sollevano appena dalla pianura, dando la sensazione dell’ampiezza. Sulla costa occidentale, piuttosto selvaggia, il mare s’infrange contro le scogliere in cui nidificano numerosi uccelli marini. Il cielo non è mai del tutto azzurro: il sole e la pioggia si alternano facilmente. Non mancano in questo paese testimonianze d’arte come monumenti in pietra d’epoca preistorica, castelli e fortezze medievali. Le strade sono buone e le spiagge sono di sabbia fine a est e di tipo tropicale a sud. Interessanti sono le città, gli alberghi sono dotati di tutte le comodità, le trattorie sono confortevoli e la gente è molto ospitale. I mesi migliori per un viaggio in questa magnifica isola sono maggio e giugno, in cui si hanno il maggior numero di ore di sole e giugno inoltre è il mese in cui fioriscono i rododendri che danno al paesaggio un aspetto molto suggestivo. In Irlanda si parla, oltre l’inglese, l’irlandese o antico gaelico, perciò anche le indicazioni stradali, i nomi delle vie e le insegne sono bilingui. La prima città da visitare bene è, senz’altro, Dublino, la capitale. Per orientarsi in essa è meglio seguire il fiume Liffey che la attraversa da ovest ad est, collegando varie strade con dei ponti e sfociando nella baia di Dublino. Caratteristico è il grattacielo, la Liberty Hall, sede dei sindacati, con 17 piani, che domina la Custom House, ovvero la vecchia dogana con la sua cupola verde, presso la stazione degli autobus che collegano Dublino con il resto del paese. Il Castello di Dublino Paesaggio d’Irlanda Una circonvallazione circonda il centro che termina a ovest con il Phoenix Park, un grande parco di 800 ettari, considerato da molti uno dei maggiori di Europa, dove si trovano lo zoo, il monumento ad Wellington, la sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti e la residenza del Presidente della Repubblica. Da Dublino si può andare verso nord fino a Drogheda, un porto sulla foce del Boyne, presso il quale è situata Monasterboice, che conserva le rovine di un antichissimo monastero con un’alta torre rotonda e tre croci di pietra scolpite che raffigurano varie scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Poco lontano, a Newgrange, c’è una grande tomba a tumulo del 2500 circa a. C. con 12 menhir. Chi volesse visitare i luoghi più interessanti dell’Irlanda, facendo un viaggio molto breve, potrebbe attraversarla internamente, da est ad ovest, partendo da Dublino per giungere a Galway, da dove si può prendere un battello per le isole Aran, scendendo poi un po’ più a sud sino alle scogliere Cliff of Moher, a picco sul mare, popolate da numerose famiglie di uccelli marini. Altre città di particolare interesse sono Cork, la seconda d’Irlanda, nella zona meridionale e Limerick, un porto sul fiume Shannon. Molte potrebbero essere ancora le località da vedere ma il nostro breve viaggio può già essere indimenticabile. Selma Braschi 24 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 Dante il primo Italiano L’ UNITRE in occasione dei 150 anni dello Stato Italiano Chi ha fatto l’Italia? Certamente 150 anni fa politicamente l’Italia è stata fatta da Cavour Garibaldi, Mazzini e tanti altri, ma culturalmente come lingua storia arte l’Italia ha ben più dei 150 anni dello Stato Italiano. Anzi è stata la cultura fattore di unità più che la politica, perché è la cultura che ci ha dato l’identità e chi ha contribuito maggiormente a costruire la nostra identità è stato Dante, perché ha inventato l’italiano e nulla come la lingua è il terreno comune di ogni nazione. Il Petrarca giustamente lo chiamò Dux Nostri Eloquii Vulgaris e diffusa fin dal 1300 fu l’espressione che chiama Dante “padre della lingua italiana”, intesa come lingua capace di tutti gli usi letterari e civili. Dobbiamo intenderci sulla parola “volgare”- dal latino vulgus/popolo - che significava “comune a tutti” , non aveva cioè una accezione negativa come ha oggi. Lo stesso Dante, nel Convivio, definisce la lingua volgare come “del volgo,detto di forme linguistiche in uso presso gli strati meno colti del popolo”. Anche presso i romani c’era il latino delle persone colte che dicevano per es.equum - e il latino del popolo che diceva caballus - da cui il nostro “cavallo” perché il latino fu portato fuori Roma non da Cicerone o Virgilio, ma dai mercanti, dai soldati, dai veterani a cui veniva dato un pezzo di terra nelle zone conquistate da Roma perché le colonizzassero. Grazie alla Divina Commedia gli italiani si sono sentiti discepoli di Dante e hanno così potuto tramite essa verificare la loro unità nazionale. L’Italia è l’unico paese che ha visto la sua lingua affermarsi attraverso un libro di poesia! Il francese si è affermato tramite il potere accentratore di Parigi, il tedesco tramite la traduzione in tedesco della Bibbia fatta da Lutero, l’arabo tramite la jahad con la diffusione del Corano attraverso la forza delle armi, l’inglese tramite la lingua di corte (il king’s english), l’italiano tramite la Divina Commedia. Ma che cosa c’era prima di Dante? Il latino, parlato nelle università, conosciuto solo dalle persone colte aveva una preponderanza schiacciante; poi occasio- nalmente veniva adoperato il francese; infine i dialetti, lingue locali, che si sviluppano nel corso dei secoli dopo la caduta dell’impero romano e della lingua latina come lingua del potere: dal crogiuolo tra parlate locali, latino, vocaboli barbari nascono le lingue romanze, cioè derivate dal latino ma con altri apporti. Pensiamo alla parola guerra: il latino bellum cade in disuso e si fa largo la parola longobarda werra, che prende il sopravvento, mentre la radice di bellum permane in italiano in bellico, bellicoso, belligerante. L’opera di Dante ha una carica così nuova che in breve tempo produce un tale rivolgimento nell’opinione pubblica non solo in Toscana ma anche fuori che l’italiano di Dante si innalza al livello di grande lingua capace non solo di quotidianità, ma di alta poesia e di speculazione filosofica e teologica: domina tutta la cultura del suo tempo. Finita l’età classica, la lingua di Virgilio fu lentamente sostituita da idiomi locali, rimanendo però per secoli il codice universale per discutere di Dio, di filosofia, di teologia, di scienza: per secoli il latino fu la lingua della cultura. Nel medioevo nelle università si insegnava in latino: ancora nel 1600 Galileo insegnava in latino a Padova e nel 1700 Linneo (Carl von Linné) il naturalista svedese scrive in latino i nomi delle piante e dei fiori: in Europa con il latino c’era la possibilità di una comunicazione universale. Il latino divenne anche la lingua della Chiesa nonostante che per i primi cristiani tale lingua si identificasse con l’impero romano persecutore; nella riforma protestante il latino si identificava con la Chiesa Cattolica, eppure in tutti i collegi d’Europa anche di area protestante si continuò a studiare il latino. L’esilio fa conoscere a Dante buona parte dell’Italia, ciò gli permette di venire a contatto con le diverse parlate nelle quali intravvede una sostanziale conformità che gli permette di immaginarla unita da una sola lingua: suo uditorio ideale è l’Italia in tutte le sue parti ”a le quali questa lingua si estende nei suoi confini naturali dal Varo al Quarnaro fino a Pachino”. (Convivio I,3) Maggio 2011 N.O.I. nuovi orizzonti insieme 25 Certamente le condizioni politiche dell’Italia del 1300 sono difficili: il Papato è ad Avignone, l’Impero è vacante, i liberi Comuni sono afflitti da lotte interne ed esterne, i vari signorotti si fanno tiranni (Este a Ferrara, Medici a Firenze...). L’Italia come entità politica non esiste in quanto non ha coscienza della sua unità culturale, che le avrebbe permesso di accogliere una lingua comune letteraria e civile più adatta del latino ad unire gli italiani: “Dante ebbe questa coscienza e la trasmise tramite la Divina Commedia e l’Italia fu perché gli italiani si riconobbero in quell’opera, in quell’opera riconobbero la loro lingua” dice Bruno Migliorini, lingua ingentilita, dirozzata, riplasmata, sublimata. Dante va cercando per tutta l’Italia il volgare più elegante, eliminando le parlate peggiori (romanesco, milanese, bergamasco, friulano, istriano, sardo, genovese - che è sgradevole -, romagnolo - troppo femmineo -, bolognese - il più gradevole -, trentino e piemontese troppo vicini al confine quindi contaminati). In nessun luogo d’Italia è tuttavia riuscito a trovare il volgare illustre che è di ogni città italiana, ma non risiede in nessuna. Perché illustre? perché innalzato dall’arte, capace di commuovere, di cui è il poeta l’autore: fondamentale è l’apporto quindi del poeta nel crearlo. Dal volgare Dante dice di aver ricevuto moltissimi benefici perché esso congiunse i suoi genitori “questo mio volgare fu congiungitore de li miei generanti che con esso parlavano” (Convivio I,13). Dante giustifica la bontà del volgare e chiude il Convivio con queste parole: “Il volgare sarà luce nuova, sole nuovo e darà lume a coloro che sono nelle tenebre per lo usato sole che a loro non luce”, cioè anche quelli che non conoscono il latino (lo usato sole) potranno finalmente accostarsi a opere di alto pensiero e grazie all’opera di Dante la profezia si avverò. Perché Dante ama così il volgare tanto da voler scrivere in volgare l’opera sua più grande? Il suo genio, ma anche l’amore per la lingua nascente e la gente che la parlava: egli si fece per noi oltre che poeta, filosofo, scienziato, teologo, perché la gente potesse uscire nella vita del mondo con la conoscenza e la cultura necessarie. Quindi genio grandissimo ma anche amore per la gente, per noi. La Commedia fin dal 1300 diventa “il libro santo” commentato così come si commentavano le pagine sacre della Bibbia e letto nelle scuole anche di alto livello; inoltre fu ed è materia di continue citazioni: “il fiero pasto” del conte Ugolino, “il disiato riso” della regina Ginevra nel canto di Paolo e Francesca, la lupa del primo canto dell’Inferno capace di “far tremar le vene e i polsi”! È necessario dire che fu importante per l’affermazione del volgare illustre di Dante la Firenze del 1300 dalla vitalità prodigiosa; a Firenze operano in quel tempo Giotto e Arnolfo, quindi la considerazione che la lingua di Dante acquista è anche frutto della civiltà comunale, in cui il latino escludeva dalla cultura gli elementi più vitali della società quali i mercanti, l’elemento più attivo delle città e le donne, che di solito non andavano a scuola. Firenze è stata senza dubbio il terreno culturale più adatto per l’affermarsi di grandi scrittori quali Dante Petrarca Boccaccio; del resto il desiderio di guadagno, l’aspirazione alla gloria, l’ansia e la ricerca della bellezza sono spinte eterne dell’animo umano ma in pochi tempi e in pochi luoghi hanno raggiunto una così forte tensione come nella Firenze del 1300 e in Italia: alle antiche università (Bologna) si aggiungono quelle di Firenze, di Siena, di Perugia, anzi proprio a Perugia, per opera di insigni interpreti del diritto romano nasce la nuova dottrina giuridica che diventa patrimonio comune italiano ed europeo. Il fiorentino si diffuse senza ordini o comandi né militari né politici ed ebbe i suoi campioni decisivi in Dante Petrarca e Boccaccio la cui poesia e prosa furono codificate nelle “Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo: il grande letterato veneziano scrive le regole della lingua volgare unitaria e costruisce in tal modo la prima grammatica italiana ricavandola dai testi appunto dei tre grandi scrittori toscani; l’Ariosto stesso modifica la lingua dell’Orlando Furioso sul testo del Bembo. 26 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 nata nel lontano 1300 ad opera di Dante che può a buon diritto essere chiamato “Il primo italiano”. E che la nostra lingua sia il segno di una identità forte dal punto di vista culturale lo dimostra anche il La Divina Commedia: illustrazione di G. Doré Ma Dante è immerso nella cultura anche politica del medioevo: vaticinava una monarchia universale,ma fu il primo a considerare Roma come il centro di una possibile rinascita dove l’Impero, il sacro romano impero di Carlo Magno, avesse pari dignità del Papato: anzi nell’opera De Monarchia Papa e Imperatore devono essere due “soli” non uno il sole e l’altro la luna, non cioè dipendenti l’uno dall’altro ma entrambi volti al bene dell’umanità. Già nel primo canto dell’Inferno infatti parla dell’ Italia e profetizza un “ Veltro” che la possa unire da “feltro a feltro”, alimentando una speranza che fu poi di altri letterati quali Petrarca , Machiavelli, Foscolo, Manzoni, Leopardi. Chi fosse il Veltro di cui si fa cenno nel primo canto non è dato sapere: forse neppure Dante lo sapeva, ma certamente lo sperava. La nostra è quindi una nazione nata non dalla forza delle armi ma dalla poesia: Stato fragile perché giovane - la corruzione, a mio giudizio, ne è il segno più evidente: quando corrompiamo o ci lasciamo corrompere dimostriamo di non avere il senso della comunità, perché la danneggiamo - ma identità forte perché Bibliografia Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze 1961 Francesco Bruni, Storia della lingua italiana L’italiano nelle regioni, Garzanti 1996 Natalino Sapegno, Storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze 1957 Manlio Cortellazzo - Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli 1979 N. Sapegno-G.Trombatore-W.Binni, Scrittori d’Italia, La Nuova Italia, Firenze 1963 . fatto che l’italiano nel mondo è studiato unicamente per motivi culturali: la maggior parte dei giapponesi, per esempio, che studiano l’italiano, lo fanno per leggere Dante nella lingua originale. Infine la parola Risorgimento: ha un significato più che politico, vorrei dire religioso; ri-sorge qualcosa che è caduto! Pietro Verri, l’illuminista milanese, fu tra i primi ad usare tale parola, infatti scrisse “Amo la mia patria, compiango i suoi mali e morirò prima che ne disperi il risorgimento”. Solo nel 1847/48 la parola acquisterà un’indicazione politica precisa. Concludendo: L’Italia e la sua importanza come ideale politico, culturale, storico è cosa ben anteriore alla proclamazione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861. L’Italia come patria, intesa come terra dei padri, nacque molto prima: il nome ITALIA è stato a partire da Dante un filo ideale che ha tenuto insieme le vicende di un territorio che è stato per secoli diviso e che solo nel 1861 ha trovato la sua unità politica. Maria Elena Dagnino Scrittura Creativa A Fabia porgo un grazie, grande come il mondo, perché continua a trasmettermi tanta creatività, perché mi insegna a saper osservare e non solo guardare, ad ascoltare e non solo parlare, a leggere e non solo sfogliare, a riflettere, a scegliere per poter continuare. G raz i Fab e, ia Nuccia Cavallino Maggio 2011 27 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Quando la lingua italiana è una lingua straniera Il piacere di studiare la lingua italiana è diventata ora un’esigenza per alcuni stranieri che dovranno affrontare un esame per poter ottenere il permesso di soggiorno. L’Unitre ha accettato ben volentieri la richiesta dei responsabili dei Servizi Sociali dei Comuni di Arenzano e Cogoleto e sta collaborando per la preparazione linguistica di coloro che dovranno sostenere la prova d’esame. Alla fine dell’Anno Accademico verrà rilasciato agli interessati un attestato di frequenza utile per l’ammissione al test, previa opportuna richiesta alle autorità competenti. Da molti anni l’Unitre include nei propri programmi corsi di lingua italiana per stranieri sia ad Arenzano che a Cogoleto: gente proveniente da tutto il mondo ha conosciuto la nostra Associazione e ha avuto l’opportunità di affrontare o migliorare lo studio della lingua. Spesso sono state proprio le aule Unitre a favorire la nascita di nuove amicizie e tutti sanno quanto sia difficile l’integrazione nel tessuto sociale! Volti sorridenti, tanto entusiasmo e voglia d’imparare sono le caratteristiche dei partecipanti ai corsi. Sono persone che hanno lasciato il loro Paese per una nuova vita e ora devono affrontare problematiche diverse e incognite sempre in agguato: c’è da compilare un modulo complicato dalla burocrazia o c’è da leggere un bando di concorso di evidenza non sempre immediata. A volte c’è semplicemente la voglia di vedere un film e comprenderne il significato, oppure di rispondere ai perché della Lingua Italiana. Per una insegnante è gratificante riuscire a trasmettere nuovi elementi linguistici a studenti che sono riuniti nella stessa aula, ma provengono da Paesi e idiomi assai differenti, spesso con costruzioni e anche alfabeti del tutto diversi: c’è chi proviene dal Sud America, dal mondo arabo e dall’Europa dell’Est, dall’India e dall’estremo Oriente. Sono molte nella lingua italiana le eccezioni alle regole e ciò favorisce numerose domande: Perché parole come “idioma, poeta, telegramma, tema, problema, pigiama” sono nomi maschili anche se terminano con la lettera a? Perché si compra un televisore, ma si guarda la televisione? Perché in soggiorno c’è il tavolo, ma poi ci si siede a tavola? Perché con i verbi di movimento si usa l’ausiliare essere, ma si dice aver viaggiato e aver passeggiato? Che bello imparare divertendosi! Francesca Antoniotti Corso di Lingua Italiana P artecipazione A michevole R itrovo C mpagnia O limpica. e, Grazi a esc Franc L ettere E T anto T rattenimento. E ntusiasmo, R ipassi. A rcobaleno, R itornello I nsieme: O sanna. Nuccia Cavallino 28 28 N.O.I. N.O.I.nuovi nuoviorizzonti orizzontiinsieme insieme Anno AnnoXVIII XVIIIN.N.33 Fondo Mondiale per la Natura Sezione di Arenzano Cod. L.I.11 Via Sauli Pallavicino, 33 16011 Arenzano (Ge) Tel. 335/8180625 e-mail: [email protected] Sezione Regionale Liguria Vico Casana 9/3 int. 9 16123 Genova 010-267312 Biodetersivi alla spina Diventiamo ECOFURBI! La spesa “furba” dopo la “carta FSC” continua con i detersivi! L’Italia sostenibile non è una chimera, ma una realtà possibile e già avviata in alcune realtà del nostro paese. Possiamo contribuire con il nostro stile di vita a migliorare l’ambiente. Giancarlo Marabotti Forse ne avrete sentito parlare in giro, forse avrete letto qualcosina su qualche giornale, mi sto riferendo alla grandiosa idea dei detersivi di origine vegetale alla spina! Una realtà ormai consolidata che esiste anche ad Arenzano e permette di risparmiare sui conti del portafoglio e perché dà un importante sollievo alla salute dell’ambiente! Insomma ci guadagni tu e ci guadagna l’ambiente cioè di nuovo tu! In cosa consiste il vostro risparmio? Innanzitutto azzerate i costi del flacone: infatti, una volta comprato basterà ricaricarlo! In questo modo sarete protagonisti di un vero e proprio auto riciclo del contenitore! Riutilizzare i flaconi, vuol dire meno rifiuti, risparmiare acqua, energia, plastica, carta, ed emissioni di CO2. Inoltre, comprate soltanto la quantità di detersivo che vi serve e mettete nella borsa della spesa un flacone di peso contenuto! Ma soprattutto la differenza sta nella qualità! Basta infatti poca soluzione, è un prodotto naturale ad alta resa, con un alto grado di concentrazione! Sembrerebbe quindi che la convenienza sia intuitiva e questo nuovo “modo di fare la spesa” tutto improntato sulla qualità e su un risparmio dei consumi, sia comodo e semplice. Si può soddisfare a pieno il bisogno di spesa e riscoprire quel senso di genuinità e tradizionalità dei prodotti, ritornando ad utilizzare ciò che la natura ti offre, ossia basi naturali e vegetali efficientissime! Al- tro che prodotti chimici, tossici, non biodegradabili, cari, e che ci fanno sprecare un mucchio di energia, se pensiamo al solo fatto che sono diluiti con acqua e sostanze inerti al solo scopo di aumentarne il volume! Diventiamo eco-furbi, facendo una furbata per le nostre tasche! Ammorbidente è prodotto formulato con i moderni Esterquat (molecole ammorbidenti) di origine vegetale, sostanze che hanno un bassissimo impatto ambientale e sono biodegradabili, sia in condizioni aerobiche che anaerobiche. Il prodotto non contiene additivi petrolchimici che oltre a essere inquinanti sono spesso causa di dermatiti e allergie. Quindi, quando come ogni detersivo che si rispetti terminerà la sua corsa in mare, saremo sicuri che la natura lo degraderà in poco tempo, rimettendo gli elementi in ciclo e non disturberà gli organismi acquatici in quanto non possiede proprietà tossiche! Con soli 30 ml potete far andare una lavatrice a pieno carico di 4-5kg! Bucato a mano e lavatrice! Si tratta di un moderno formulato caratterizzato da sostanze biodegradabili quali i solfati di alchile da fonte vegetale e da sapone di cocco Marsiglia. La sua forza lavante è data da specifici enzimi che digeriscono lo sporco. Il prodotto non contiene conservanti e il rischio di allergia è limitato al massimo! Maggio 2011 Maggio 2011 29 29 N.O.I. nuovi orizzonti insieme N.O.I. nuovi orizzonti insieme È ideale per tutti i tipi di capi e tessuti: bianchi, colorati, scuri, delicati e lana. Con una lavatrice a pieno carico (4-5kg) bastano 60-80 ml! Lava piatti Questo efficace formulato non contiene i tossici LAS ma i biodegradabili alchil-solfati e le betaine! Multiuso pavimenti vetri sanitari Si tratta di una formulazione che dev’essere diluita prima dell’uso in proporzione dall’1% al 2% (non serve risciacquare). Contiene tensioattivi biodegradabili di origine vegetale come gli alchilpoliglucosidi. Impariamo a scoprire le potenzialità nascoste dei prodotti naturali. Al dire il vero non dovrebbero essere poi tanto nascoste, visto che i nostri nonni ben si ricordano di come facevano il bucato un tempo e di come venivano bianche anche le tovaglie con le macchie più aggressive. Forse è più una questione di fiducia, non riusciamo più a fidarci della natura, siamo diventati così dipendenti dalla tecnologia e dalla chimica e non ci accorgiamo degli imbrogli, delle contraddizioni, del business nascosto, di ciò che ci si ritorce contro! Dietro al bianco più bianco che non si può si nascondono allergie, patologie, coralli sbiancati, schiume sulle nostre spiagge e molto altro! Quando compriamo i detersivi ci compriamo anche malattie e mare sporco! Più ne diventiamo consapevoli e più sarà impossibile non fare la scelta giusta! Gabriele Vallarino Raccolta differenziata Olio esausto Vi ricordate l’articolo sulla raccolta differenziata dell’olio esausto? L’Ar.a.l. in diverse zone del paese fornisce gli appositi contenitori gialli! Qui sotto trovate l’elenco delle varie zone di raccolta, scegliete quella più vicina alla vostra abitazione: 1) Via Cambiaso (isola ecologica) 2) Via Pian Masino (Parcheggio antistante Area ecologica Ar.a.l. spa) 3) Via del Roccolo (isola ecologica ingresso Pineta) 4) Via Marconi (antistante Corpo Forestale dello Stato) 5) Via Vittorio Veneto (isola ecologica raccolta differenziata) La goccia d’olio, dopo l’utilizzo in cucina, è esausta e deve essere rigenerata nel suo contenitore. Gli oli vegetali esausti sono una risorsa perché da essi, una volta rigenerati, si può ricavare biodiesel, glicerina e saponi. 30 30 N.O.I. N.O.I. nuovi nuoviorizzonti orizzontiinsieme insieme Anno XVIII N. 3 A.V.O. - AR.CO. Associazione Volontari Ospedalieri di Arenzano e Cogoleto “Che ore sono, signorina?” - “Sono le 16, le quattro del pomeriggio.” Inizia così il mio rapporto con un degente dell’Ospedale La Colletta, dove prestano servizio oltre trenta volontari/e dell’Avo di Arenzano e Cogoleto. L’ora non sarebbe importante, continua il degente, ma voglio essere pronto per quando arrivano “gli angeli azzurri”! Così ci chiamano, per il nostro camice azzurro, i nostri sorrisi, i nostri occhi buoni, le nostre parole dolci e sempre cortesi, il nostro servi- possibilità di sfogarsi, di dire cose anche stupide ed apparentemente poco importanti, ma che… sono dentro... fanno male... e vogliono uscire. Cose che non si riescono a dire ad un parente - perché non sempre i parenti possono essere presenti o al personale dell’ospedale, indaffarato in mille incombenze, quindi impossibilitato a “perdere” troppo tempo per ascoltare. L’ascolto è un rapporto “in silenzio”, fatto di empatia tra i due, chi parla e chi ascolta. Quando questo momento viene instaurato - e sem- zio solerte e discreto. L’Ospedale La Colletta, come noto, è un ospedale di recupero e rieducazione funzionale, dove vengono accolti degenti per rieducare arti (dopo un intervento ortopedico), cuore (dopo un intervento cardiologico), ecc. Le degenze non sono molto lunghe, quindi i volontari/e riescono ad incontrare un degente tre o quattro volte al massimo - i volontari/e fanno servizio una volta alla settimana, o al mattino dalle 11 alle 12.30 o al pomeriggio dalle 16 alle 18.30 Nonostante ciò si instaura un rapporto con il degente, che aspetta il momento in cui vede entrare nella cameretta “l’angelo azzurro”, con il suo sorriso, il suo passo discreto, la sua solerzia ed attenzione alle piccole richieste che gli vengono rivolte. E soprattutto la sua disponibilità ad ascoltare! L’ascolto... è veramente la parte più importante del servizio di un volontario ospedaliero. Allevia la solitudine - di cui più soffre chi è ricoverato - lascia la bra un miracolo che ciò avvenga tra sconosciuti ed in pochi minuti - crea come uno sblocco nel paziente, che alleggerisce il suo peso interiore. La maggioranza dei volontari è donna - anche se abbiamo parecchi uomini tra noi - forse perché la donna, cioè la femminilità della psiche umana è più specifica: negli ospedali dove si opera sono state viste - in passato - suore o donne di carità. I compiti stessi dei volontari sono caratteristici delle madri o delle sorelle, per propria natura più portate a dedicarsi agli altri. I volontari/e dell’Avo Ar.Co. fanno servizio anche alla Fondazione Pio Lascito Baglietto a Cogoleto, dove oltre a quanto detto prima - è necessario un maggior rapporto umano verso persone anziane e - a volte costrette a letto. I volontari/e sono presenti tutti i pomeriggi - dalle 15.30 alle 18 - tranne i giorni festivi. Due o tre per turno, un pomeriggio alla settimana. Per gli ospiti organizzano attività di gioco, di intrattenimento ed in particolare la tombola settimanale, molto attesa dagli ospiti - che si divertono... come bambini. Agli ospiti allettati i volontari danno il loro aiuto anche per i pasti, alleviando - per quanto possibile - l’impegno del personale dell’istituto. Per informazioni e/o prenotazioni: AVO - AR.CO. Piazza Martiri della Libertà - Torre dello Scalo 16016 Cogoleto Aperto: martedì e giovedì - dalle h 16 alle h 18 Tel: 338 1178652 - 339 6073586 010 9125237 - 010 9183931 E-mail: [email protected] Maggio 2011 31 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Ma la parte più importante è la pre- solo e chiuso in sé stesso. Vorrei chiu- senza “empatica” che conta molto per dere questa chiacchierata con poche tutto quanto riesce a “donare” alle parole, dette da un anonimo: persone. L’ospite anziano ha tante cose da raccontare: parlerebbe per ore! Racconta episodi della sua vita, della “storia” vissuta in passato e che il volontario/a non conosce assolutamente - periodi di guerra, di pace, di fame, di solitudine, di gioia... Si instaura un rapporto molto caloroso e... quasi personale: il volontario/a incontra gli ospiti dell’Istituto ogni settimana, per anni, fino a... Questo li rende partecipi della vita dell’ospite. Molto spesso incontrano i parenti, con cui si instaura un rapporto amicale, e soffrono quando... Spero di avere spiegato quale sia lo spirito che fa andare avanti il volontario/a ospedaliero: la solidarietà e la consapevolezza di avere donato parte del proprio tempo - gratuitamente - agli altri, ricevendo un sorriso ed a volte un grazie, ma sicuramente certi di avere usato il proprio tempo in maniera utile e comunque gratificante, dando conforto a chi è spesso “Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a consigliarmi non hai fatto ciò che ti ho chiesto Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a dire perché non dovrei sentirmi così non rispetti i miei sentimenti. Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu senti di dover fare qualcosa per risolvere il mio problema sei venuto meno alle mie attese Ascoltami! Tutto ciò che ti chiedo è di ascoltare, non di parlare o di darti da fare solo ascoltami!” Un caro saluto a tutti RosaAnna Princi Ti svegli un mattino Non sono in vendita Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città. L’uomo e la donna guardarono a lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sui banconi. C’erano bambole che piangevano e ridevano, giochi elettronici, cucine in miniatura che cuocevano torte e pizze. Non riuscivano a prendere una decisione. Si avvicinò a loro una graziosa commessa. “Vede”, spiegò la donna, “noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori casa tutto il giorno e spesso anche di sera”. “È una bambina che sorride poco”, continuò l’uomo. “Vorremmo comprarle qualcosa che la renda felice”, riprese la donna, “anche quando noi non ci siamo... Qualcosa che le dia gioia anche quando è sola”. “Mi dispiace”, sorrise gentilmente la commessa. “Ma noi non vendiamo genitori”. Bruno Ferrero A volte basta un raggio di sole Ti svegli un mattino, che bello, c’è il sole! Inizio Settembre stagione ideale. Verranno gli amici, stasera. Fa caldo, mangeremo in giardino. Tosiamo un po’ il prato, spuntiamo la siepe, via foglie secche e fiori appassiti, le piante fiorite in bella evidenza. È a posto la casa? C’è da fare la spesa? un andirivieni gioioso, un allegro daffare da giorno di festa. E poi, all’improvviso… Ti svegli un mattino e… non sai, che la tua vita è finita. Fanny Casali Sanna 32 32 N.O.I.nuovi nuoviorizzonti orizzontiinsieme insieme N.O.I. Anno XVIII XVIII N. N. 33 Anno “Consorzio Arenzano per Voi”- Onlus È ancora freddo, ma noi del Consorzio siamo già in piena attività per preparare la Festa del Volontariato, che si terrà nei giorni di venerdì 24 e sabato 25 giugno prossimi. Saremo sul Lungomare - tra Piazza Calasetta - dove ci sarà musica, teatro, sport - i Bagni S. Pietro – dove ci saranno gli stands gastronomici - il Lungomare fino a… dove arriveranno gli stands delle Associazioni, che proporranno oggetti artigianali ed altro. Avis e Fidas avranno un proprio spazio per prelievo sangue, misurazione pressione ecc. Presto sarà in circolazione il nostro dépliant informativo, con tutte le attività e le Associazioni presenti. Mi pare superfluo ripetere cosa è il Consorzio Arenzano per voi. Ormai sono anni che siamo impeAnche quest’anno abbiamo aperto una Lotteria, con gnati nel sociale - in collaborazione con i Servizi Soricchi premi (donati da commercianti e privati)! ciali del Comune e con il Consiglio Comunale dei RaIl prezzo dei biglietti è minimo - • 1 - quindi invitia- gazzi. mo tutti ad acquistarli. Trovo invece utile raccontarvi le attività in cui ci siaVi sarà la Pesca di benefimo impegnati nel 2010. cenza, con vincita assicurata Festa del Volontariato Il Progetto “Sostegno scoper ogni biglietto! nelle immagini dell’articolo lastico”: integrando il servizio E la gastronomia: focaccine, già esistente presso il Centro bruschette, panini, frittelle...! Polivalente del Comune, rivolto ai ragazzi delle scuoE poi musica, teatro, sport... Venite numerosi! le medie, ha garantito la presenza costante nell’attiIl filo conduttore della Festa - quest’anno - è l’am- vità di sostegno scolastico, attraverso il finanziamenbiente. Quindi saranno presenti esperti dell’ARAL per to di tre operatori. fornire ogni utile informazione su: raccolta differenIl Progetto “Attività educativa”: durante il fermo ziata, compostaggio, raccolta oli... scolastico nel mese di febbraio, ha garantito la preVari stands delle Associazioni esporranno - e ven- senza di educatori - sostenendone le spese - per i deranno - oggetti artigianali, ottenuti riciclando cose bambini i cui genitori non potevano portarli in settiche, normalmente, vengono eliminate. Stupirete nel mana bianca. vedere cosa si può ottenere con materiale riciclato! Il Progetto “Sostegno Disabili”: preso atto di alBasta un po’ di fantasia e di tempo! cune limitazioni imposte dalle norme, si è fatto carico delle polizze assicurative di tre ragazzi disabili, seguendo il loro inserimento al lavoro, già iniziato nel 2009. Il Progetto “Soggiorno montano”, organizzato dal Comune: ha ottenuto il nostro sostegno finanziario per un educatore (comprensivo di spese di soggiorno in albergo e tariffa oraria) in accompagnamento ad una disabile. Il Progetto “Centro estivo”, organizzato dal Comune: ha ottenuto il nostro sostegno finanziario per le spese per alcuni educatori, assicurandone quindi la presenza a sostegno di quei bambini i cui genitori non Maggio 2011 33 33 N.O.I. nuovi orizzonti insieme potevano seguirli fino all’ inizio dell’attività scolastica (fine settembre). Nel Progetto “Gita per disabili ed anziani” abbiamo contribuito alle spese di viaggio. Nel Progetto “Emergenze” abbiamo portato avanti (e tuttora continuiamo a farlo) un intervento finanziario immediato (pagamento affitto camera) per un ragazzo arenzanese, affetto da una malattia rara, in terapia sperimentale fuori regione. Su richiesta del Presidio scolastico Terralba abbiamo iniziato il Progetto “Pre scuola” (che proseguirà fino a giugno 2011), sostenendo le spese per due operatrici che accolgono ed assistono una decina di bambini della Scuola Primaria ed una decina della Scuola dell’Infanzia del Presidio Terralba (max 15), dalle ore 7.30 alle ore 8.30 circa - dal lunedì al venerdì - dando sollievo ed aiuto a quei genitori che non possono accudirli fino alle 8,30, inizio delle lezioni. 32 Tutto questo è stato possibile proprio con i profitti della Festa del volontariato - l’ultimo fine settimana di giugno - cui si sono aggiunti: il contributo di una artista arenzanese, che ha devoluto l’intero ricavato della sua mostra al nostro Consorzio, ed il ricavato della vendita dei biglietti della Lotteria, i cui premi erano stati “donati” da commercianti e privati. Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro, consapevoli di essere riusciti a fare del bene a tanti cittadini di Arenzano, così come voluto dal nostro Statuto. Ma sappiamo anche che senza la Vostra presenza, senza il vostro sostegno economico... tutto ciò non sarebbe possibile! Quindi vi invito a partecipare numerosi! Grazie RosaAnna Princi Dal Corso di Filosofia per non addetti Ringraziamenti in forma di haiku Non è facile vivere con gli altri e perdonarsi La Filosofia con Gianna Rivanera interessante Dubito di me? Devo Riconoscermi per comprendermi Soggettività scienza da costruire accettazione Il male dentro ansie, colpe, conflitti miserie umane È stato bello cercarsi, comprenderci ti ringraziamo Nuccia Cavallino 34 34 N.O.I. nuovi orizzonti insieme N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno Anno XVIII XVIII N. N. 33 Centro Storico Töre Di Saraceni Piazza XXIV Aprile - 16011 Arenzano - tel. 338.7713935 Attività dell’associazione: Tutela delle tradizioni arenzanesi. Pubblicazione di un giornale sociale ad argomento storico e culturale. Organizzazione di mostre, cene sociali. Corsi di genovese presso le scuole. In una villa Testimonianze Dall’archivio di Pericle Robello Istruzione, tanto valevano in lui in ogni caso scrupolo Di questa brevissima elegia abbiamo due redazio- e diligenza. ni a distanza di circa dieci anni l’una dall’altra. La prima reca nell’autografo la data del 14 e 16 luglio 1889, e il titolo Villa Figoli ad Arenzano (nella copertina Arenzano. Villa Figoli: cfr. Ed.Naz. IV 181, 270). Perché il Carducci di quei giorni, dal 12 luglio (cfr. Epist.XVII, 80), fosse a Genova è detto in una lettera Giosuè Carducci del 17 ad Adriano Lemmi (Epist.XVII 81): “Sono qui per salvare la parte più antica del palazzo di San Giorgio che la camera di commercio vorrebbe sacrificato per questioni di viabilità; che non è necessario”. Intanto anche pensava a un’alcaica intitolata ap- A Genova il Carducci alloggiò all’Hotel de Gênes; punto Palazzo di San Giorgio di cui vedi la prima strofa ma una volta o due fu ospite, in Arenzano del conte e mezza in Ed.Naz. IV 311, e non andò più avanti; Eugenio Figoli des Geneys; e una di queste volte, nel- ma anche vedi a p. 336 annotazioni e tracce di libri l’albo della contessina prima figlia, Georgina, già spo- ricercati e studiati per la pensata alcaica e soprat- sa dal 1897, scrisse di sua mano i tre distici dell’elegia, tutto per l’incarico avuto dal Ministero della Pubblica i quali poi concedette pubblicare col titolo Villa Figoli nel giornale torinese “La Letteratura” del 15 gennaio 1890. Sono questi: Villa Figoli (14 luglio 1889). Salve tra i placidi ulivi, tra i cedri e le palme sedente Villa Figoli al riso de la ligure proda. Te operosa vecchiezza illustra serena, te adorna signoril grazia e il dolce di giovinezza lume. Lieta in te l’ora felice ma rapida ahi troppo trasvola Come l’aura soave tra la collina e il mare. N.O.I. nuovi orizzonti insieme Maggio 2011 35 35 Il conte Eugenio Figoli Discendeva da famiglie di gran casata, fra liguri e piemontesi, così da parte del padre, conte e poi senatore Eugenio, come da parte della madre, contessa Alice Agnes des Geneys: l’avo paterno, Carlo, fu, nel parlamento subalpino, il primo deputato di Novi Ligure; un avo materno era stato il fondatore della marina sarda sotto il regno di Carlo Felice. Il conte Eugenio Figoli, nato nel 1845, era ancora molto giovane quando ospitò ad Arenzano il Carducci; e fu sempre ospite lieto, giocoso e giocondo, a quel che anche a me hanno raccontato persone che lo conobbero (morì novantenne nella sua villa, il 1937). Questa fu dunque dell’elegia la prima redazione, del 1889. Quando poi, sulla fine del 1898, il Carducci pensò di riordinare e raccogliere insieme un certo numero di poesie maggiori e minori che aveva scritte in quel decennio, tra cui il gruppo dei così detti Idilli alpini riprese allora anche i tre distici di Villa Figoli, e fu il 14 ottobre 1898; e così anche questi, con qualche variante dalla prima stesura e col titolo definitivo In una villa, ebbero il loro luogo nel volumetto di Rime e Ritmi, 1899. In una villa O tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme sedente Bella Arenzano al riso de la ligure piaggia; operosa vecchiezza t’illustra, serena t’adorna signoril grazia e il dolce di giovinezza lume; facil corre in te l’ora tra liete aspettanze e ricordi calmi, sì come l’aura tra collina e il mare. Villa Figoli, Sala degli arazzi Foto F B (M.V.) 36 36 Anno XVIII XVIII N. N. 33 Anno N.O.I. nuovi orizzonti insieme ASSOCIAZIONE “AMICI DI ARENZANO” Via Sauli Pallavicino, 33 16011 ARENZANO GE e-mail: [email protected] L’Associazione AMICI DI ARENZANO, costituita nel 1994, ha lo scopo di concorrere alla tutela ed alla valorizzazione dei beni culturali, delle risorse ambientali, naturali e paesaggistiche di Arenzano; non è legata a partiti politici e non ha scopo di lucro. Un percorso per tutti Sul periodico NOI di marzo 2008 l’Associazione Amici di Arenzano aveva segnalato che il Parco del Beigua stava ultimando “un percorso davvero per tutti con un panorama mozzafiato”, con due foto che illustravano la bellezza dei luoghi. Si faceva riferimento ad un percorso realizzato secondo criteri, tecnologie e materiali che consentivano a chiunque, anche ai diversamente abili costretti in carrozzella, a godere di uno dei più bei tratti dell’Alta Via dei Monti Liguri. La località di partenza è Prato Rotondo, poco sotto la vetta popolata di ripetitori del Monte Beigua, raggiungibile in auto da Varazze o dal Sassello. In quell’articolo veniva descritta, seppure succintamente, la lunga storia del percorso e si auspicava che la diffusione di notizie al riguardo consentisse di farlo apprezzare al maggior numero possibile di amanti della natura. In questa occasione è con vero piacere che pubblichiamo alcune foto di Ilaria Mangini, gentilmente forniteci dall’Ente Parco del Beigua, che testimoniano la frequentazione, durante la buona stagione nel 2009 e nel 2010, da parte di gruppi di persone in carrozzella. Esse hanno potuto percorrere il tratto, ultimato, dal rifugio Pra Riondo al Riparo della Miniera. I primi atti finalizzati alla richiesta di realizzazione di questo percorso risalgono al 1990 e sono una petizione di gennaio e una successiva lettera di richiesta del mese di giugno. Ricordiamo che un forte promotore e sostenitore di questa iniziativa è stato Bruno Bacoccoli, mancato in montagna, trentenne, nel settembre 1991 a seguito di un incidente. Il raggiungimento di questo primo obiettivo fa onore all’Ente Parco e agli altri Enti Locali e fa ben sperare per la prosecuzione del percorso fino al Passo Resonau, così come è stato già sottolineato nell’articolo del 2008 citato e come “sognava” Bruno insieme agli altri promotori della petizione. Ci auguriamo, infine, che, come già avviene per il punto di informazione del Parco del Beigua a Prato Rotondo, anche il percorso porti il nome di Bruno Bacoccoli, vero amante della montagna. Maggio 2011 37 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Foto Ente Parco del Beigua via San Giobatta 13 16011 Arenzano tel/fax 010.9111114 Feste antiche, care a tutti Il giovedì di mezza Quaresima, le famiglie si riunivano in campagna per rompere un recipiente di creta che veniva precedentemente riempito di fichi secchi, noci, mandarini, castagne, lupini, fave, ceci arrostiti e frutta secca. Fare questo gesto era nel mondo contadino di buon auspicio per tutto l’anno. Così riempita, la pignatta veniva posta ad un paio di metri da terra e gli adulti bendati e armati di bastone dovevano cercare di romperla per il divertimento di grandi e piccini. In altri luoghi, al posto della pentola si preparava un pupazzo di stoffa con le sembianze di una vecchia Arenzano, p.za XXV Aprile Pentolaccia 2011 Auser che rappresentava l’Inverno (che ormai stava per finire) e all’interno del pupazzo venivano introdotti dolcetti e prodotti locali. Dopo i festeggiamenti del Carnevale nel periodo della Scopo dell’Auser è rinnovare ogni anno questa tra- Quaresima, è consuetudine in tutta Italia, organizza- dizione, non solo per animare un pomeriggio ma so- re la festa della Pentolaccia. prattutto per promuovere momenti di aggregazione Anche ad Arenzano la tradizione viene rispettata, così diversi circoli, la Parrocchia e altri organizzano questo evento. mirati all’intergenerazionalità, argomento di cui si parla molto nei seminari dell’Associazione. Oggi più che mai bisogna incentivare i rapporti tra In particolar modo, gli amici dell’Auser locale pre- le più svariate tipologie di età perché è un arricchi- parano per nonni e nipoti una grande pentola di car- mento culturale che va a completare il progetto di tone che gentili signore decorano con nastri e catene socializzazione che l’Auser da tempo promuove. di carta velina multicolori, riempiendola, infine, di caramelle e coriandoli. L’enorme pentola viene collocata nella caratteristica piazza XXV Aprile, appesa ad una robusta fune, allestita precedentemente dagli operai del Comune di Arenzano perché l’Amministrazione locale collabora per la buona riuscita della festa. Naturalmente ogni anno accorrono numerosi bimbi, con nonni e genitori non solo residenti ma anche parecchi turisti per condividere un pomeriggio in allegria. Ma la tradizione della Pentolaccia, ancora così sentita nonostante l’epoca tecnologica in cui viviamo dove i giochi di una volta sono stati sostituiti dal PC o dalle play station, pesca nel lontano Medioevo. Marisa Carrea 38 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Le cognate di Michel Tremblay IX Festival Teatrale Unitre a Borgio Verezzi La commedia, adattata opportunamente, verrà rappresentata dalla Compagnia Teatrale “La panchina” dell’Unitre di Arenzano-Cogoleto, martedì 3 Maggio alle ore 21, al teatro Gassman di Borgio Verezzi. Michel Tremblay è uno dei più importanti autori francofoni contemporanei e, grazie a questa opera, nel 1968 ottenne numerosi premi. Egli intende con essa rivitalizzare il tessuto sociale del paese, utilizzando il palcoscenico per narrare la realtà della vita. Le donne raccontate ricalcano modelli di vita che da troppo tempo le rende incattivite, frustrate, instupidite, ancora estromesse dai processi di emancipazione i cui sentori si sentono giungere dalla lontana Europa. Questa farsa anticipa nel tempo anche un nemico del secolo: la bieca frenesia dell’apparenza e del consumismo. Dietro l’apparente leggerezza del testo, si cela uno spessore tragico seppur comico. La docente dell’Unitre, causa il numero di allievi molto superiore a Michel Tremblay quello dei perso- naggi della storia (alcuni dei quali troppo giovani rispetto all’età media degli attori), nell’adattamento ha dovuto toglierne alcuni ed inventarne dei nuovi, cercando con difficoltà di non travisare lo spirito dell’autore. Per lo stesso motivo ha sì tentato, per non troppo scandalizzare il pubblico, di limare il più possibile il linguaggio saporito di Tremblay, ma non totalmente, pena lo snaturamento eccessivo del testo. Trovare dei lavori teatrali per così tante persone, con una maggioranza di donne dai 50 anni in su, non è certo facile e questa commedia dalle svariate voci femminili, ci ha GRIDATO il suo soccorso. Portarne avanti la gestazione, con 20 interpreti sul palco e con un’età media in cui le traversie della vita portano a parecchie assenze e imprevisti dell’ultimo minuto, è stata un’impresa coraggiosa ed ardua, ma la buona volontà e l’amicizia che contraddistingue questo gruppo, tentano e sempre riescono ad arginare le inevitabili difficoltà che si palesano durante il percorso. Per questo motivo, vogliamo ringraziare in anticipo chi avrà la pazienza di venirci ad applaudire e perché no, anche a fischiare in quel di Borgio. Partizia Detti e Lorenzo Giusto Riflessioni in versi Vita Pende da tutte le parti lo so ma sta su questa vita imbastita sugli errori. E alla prima fa pure la sua figura Semi Le impronte I semi c’erano pare e han dato un frutto felice. Ci si era illusi allora di essere sempre verdi Di molti nomi e in movimento le impronte si fissano sul marmo. Un lume è custode Patrizia Detti Maggio 2011 N.O.I. nuovi orizzonti insieme 39 Una giornata di sole Presentazione del libro “Africa malata” In una giornata inondata di sole estivo, in compagnia di tanti amici, mi sono trovata ad ascoltare dalle labbra del prof. Meo episodi della sua vita in molti anni di volontariato in uno dei paesi africani più poveri del mondo: il Sud Sudan. Il suo libro, fresco di stampa, Africa Malata, è una toccante testimonianza di amore verso gli ultimi della terra. Come, giustamente, ha sottolineato l’amica Fabia Binci, quasi una sorta di Vangelo. Conosco ormai da alcuni anni il prof. Meo (fondatore del Comitato Collaborazione Medica), e più di una volta mi sono commossa ad ascoltarlo, ma oggi in particolare. Mentre citava alcuni episodi toccanti di vita vissuta (letti con bravura da Lazzaro Calcagno), la sua voce ogni tanto s’incrinava e, quasi a scusarsi, ci diceva: “Indubbiamente sto diventato vecchio se mi commuovo così facilmente”. Penso a quanto abbia sofferto nello scrivere alcuni episodi che lo hanno più toccato. Come la storia di quel ragazzo che lo seguiva di capanna in capanna e gli sussurrava sempre la stessa frase per lui incomprensibile, ma che poi tradotta voleva dire: “Portami con te!”. Era un ragazzo che per gli orrori della guerra era rimasto completamente solo e, del quale, durante un’incursione di nemici nel villaggio, si era persa ogni traccia. Ma questa figura così umana, così colma d’amore verso il prossimo, ha conosciuto anche la prigionia e ne parla in modo tranquillo, pacato, come se fosse una cosa naturale venire sottratto alla propria libertà. Un momento della presentazione Libertà, parola agognata da questo povero popolo, il quale finalmente il 09/07/2011 sarà ufficialmente indipendente. Un popolo che vuole un futuro. Un popolo che regala amore, un popolo ricco di dignità. L’esperienza del prof. Meo è affascinante, coinvolgente. Tra le domande che gli sono state poste ne ricordo una: “Cosa posso fare io personalmente per aiutare questo popolo?”. Certo, non tutti possiamo andare in Africa, ma possiamo contribuire con l’acquisto del libro, oppure con l’invio di una somma, anche piccola al CCM. Piccole gocce, ce lo ricorda madre Teresa di Calcutta, formano il mare. Così possiamo fare noi: tendere la mano alla solidarietà. Le pagine del libro sono ricche d’umanità, di episodi di vite vissute, di testimonianze di persone che, per amore del prossimo, contraggono diversi tipi di malattie, alcune delle quali mortali. E di persone, come la moglie del prof. Meo, la signora Carla, che ha appoggiato per tutta la vita le scelte del marito. Penso che il sole che oggi ci ha inondato con il suo calore è lo stesso sole che bacia tutta la terra e che non sia giusto che, solo per il fatto di essere nati in una parte privilegiata del globo, noi possiamo godere di più benefici. Sì! È lo stesso sole che ci scalda, è la stessa notte che ci avvolge, così come sono le stesse stelle che brillano. Prendiamo ognuno una stella, pensando ad un bimbo, ad una madre, ad un padre che soffrono per la fame, per le torture, per l’ingiustizia della guerra. Grazie, prof. Meo. Grazie a lei e a tutte le persone che con lei lavorano e condividono l’amore verso gli ultimi della terra Giuseppina Marchiori 40 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 La trebbiatura Brano tratto dai racconti autobiografici di Beppe Cameirana Il giorno più felice dell’anno, per grandi e piccoli era quello della trebbiatura del frumento. Giorno felice e pieno di significati profondi, il ricavo del frutto più prezioso della terra: il grano, la farina e “il pane” che è ed è sempre stato il simbolo dell’alimento umano. Nei secoli tutte le attività umane hanno avuto come scopo quello di “guadagnarsi il pane”. Un termine e un modo di dire che oggi nella civiltà cittadina dei supermercati si va perdendo, forse rimane ancora nel mondo agricolo, che in Italia si è molto industrializzato con coltivazioni intensive, mirate alla super produzione, perdendo il fascino rurale di una volta. I prodotti ricavati da questo tipo di coltivazione hanno perso in qualità e genuinità, per l’uso massiccio e a volte indiscriminato di fertilizzanti chimici, anticrittogamici, pesticidi, diserbanti etc. Non sappiamo inoltre cosa ci riserverà il futuro, attraverso la bioingegneria, con la produzione già in atto di alimenti geneticamente modificati. Nella valle del Letimbro, come del resto in altre località simili della Liguria, la coltivazione del grano era molto frammentata, lungo pendii collinari, salvo alcune eccezioni, limitata in quantità, ogni famiglia produceva pochi quintali. La mietitura delle messi avveniva “a mano” con i piccoli falcetti, gli stessi usati per tagliare l’erba. I fasci di spighe venivano legati in covoni e alla sera trasportati nell’aia o nel cortile presso l’abitazione dove avveniva poi la trebbiatura. Chi, pur possedendo un piccolo podere, non aveva uno spiazzo necessario o aveva una casa ubicata in un luogo troppo disagiato, si accordava con un vicino possessore di un’aia più spaziosa e comoda per trebbiare i propri covoni. A volte a favore del servizio, sempre amichevole, veniva ceduta all’ospitante spontaneamente, una parte della paglia risultante dalla trebbiatura, paglia utilissima per la stalla di mucche e ovini. Per la trebbiatura veniva usata una piccola macchina in ferro, molto pesante, le cui dimensioni erano di circa un metro per un metro, munita di quattro robuste “gambe”. La parte superiore di forma semicircolare, aveva da un lato una feritoia alta circa 20 cm e larga circa 80 cm, attraverso la quale si introducevano le spighe di grano. All’interno la macchina conteneva un rullo in ferro munito da una miriade di denti sempre in ferro, sporgenti su tutta la superficie cilindrica i quali con la rotazione si incrociavano con altri denti fissati sulla calotta semicircolare della macchina. Lo spazio fra un dente e l’altro, nel punto di incrocio, aveva circa la dimensione del chicco di grano, in modo da consentirne la sgranatura dalla spiga senza rompere il chicco stesso. Sul lato opposto della macchina rispetto alla feritoia di introduzione, verso il basso era presente l’apertura da dove potevano uscire i chicchi misti alla paglia. Sotto la trebbiatrice e su un tratto dell’aia veniva steso preventivamente un grande lenzuolo solitamente di iuta, per contenere e separare i chicchi di grano dal terreno. La paglia uscita durante la trebbiatura veniva continuamente tolta e portata a “bracciate” in luogo attiguo e cumulata quasi sempre sotto una grande tettoia. Sul cumulo di paglia, uno stuolo di bambini e ragazzi, che contribuivano al trasporto, si divertivano a fare capriole e salti con grande allegria. Questo felice divertimento costituiva anche un lavoro utile, avendo il duplice scopo di compattare il cumulo e spezzare la rigidezza dello stelo, renderla quindi più morbida e idonea per l’uso di lettiera nella stalla. Il cumulo di paglia veniva usato dai bambini e ragazzi come se fosse un lago, si tuffavano nella paglia dopo Maggio 2011 N.O.I. nuovi orizzonti insieme 41 re cotte, come piselli o fave, raramente patate lesse con funghi, il bis era di norma. Il pranzo doveva essere comunque sempre veloce, non si poteva perdere tempo. Van Gogh, Campo di grano una veloce rincorsa, altri facevano una specie di lotta, man mano che il cumulo si ingrandiva aumentava il divertimento. L’asse rotante del tamburo usciva sul fianco della macchina con una puleggia la quale veniva azionata da una lunga e robusta cinghia in cuoio, messa a sua volta in movimento da un vecchio motore a scoppio molto rumoroso, posto ad una distanza di circa sei metri, alimentato a petrolio, (diverso dalla benzina o miscela usata oggi) credo fosse lo stesso combustibile usato per le lampade di illuminazione. La trebbiatrice, una volta che aveva finito il suo lavoro, veniva in parte smontata, la parte più pesante pesava circa 90 Kg. e veniva trasportata se necessario, anche a “spalle” dai robusti contadini abituati quotidianamente a questi tipi di fatiche. Generalmente si riusciva a trebbiare nella stessa giornata in un paio di cascine, vista la modesta quantità di grano prodotta da ciascuna famiglia. Il proprietario della trebbiatrice era un uomo onesto, di statura medio alta, un tipo caratteristico, poco propenso al sorriso, serio, un po’ scorbutico e irascibile, la cui parlata dialettale era difficilmente comprensibile perché era affetto da “labbro leporino”. Molti bambini si divertivano ad imitarne i gesti e la parlata, quando se ne accorgeva erano guai. Al trebbiatore veniva riconosciuto un compenso calcolato percentualmente al peso del grano trebbiato, che non veniva pesato con bilance ma stimato per esperienza in base ai sacchi riempiti, inoltre era sempre invitato a pranzo presso la cascina in cui si trebbiava. Il pranzo era abbondante, solitamente solo il primo piatto, pastasciutta o patate lesse miste a verdu- Il grano, dopo che era uscito dalla trebbiatrice descritta, veniva raccolto con badili per essere sottoposto alla seconda fase, la vagliatura, per cui si adoperava una seconda macchina, più grande, che veniva chiamata “il vaglio”, con struttura in legno, azionata da un altro motore. Il grano veniva passato gradualmente in questa macchina munita di setacci oscillanti, sottoposto a forte ventilazione e privato della membrana di rivestimento, la pula. I chicchi, così puliti uscivano da una tramoggia e finalmente insaccati e portati in casa. Mentre si procedeva all’operazione di vagliatura, la prima trebbiatrice già smontata e trasportata iniziava a lavorare in una cascina vicina. Il “vaglio” molto più ingombrante era munito di ruote e poteva essere trainato come un carro, da mucche o cavalli lungo le carrarecce. L’attività era davvero frenetica, tutti si muovevano senza sosta, sudati e impolverati all’inverosimile, specialmente il trebbiatore, alla fine stanchi ma felici. Le donne di casa contribuivano allo stesso modo degli uomini, in tutte le fasi di lavorazione. Ho brevemente descritto un mondo perduto, ricco di valori, sentimenti di umanità, di collaborazione sincera, di onestà, di semplicità, di persone piene di vitalità appena uscite dall’incubo della guerra, piene di speranza, con la voglia di lavorare onestamente. Molte volte mi rattristo quando vedo qualche documentario alla televisione, dove una imponente mietitrebbia divora ettari di campi in pianura, trainando un grosso rimorchio che velocemente si riempie di grano. Solitamente un noleggiatore, proprietario della macchina e non del campo, con l’unico pensiero forse, di “divorare” metri quadrati e di non rovinare la macchina. Pensieri simili a quelli del proprietario, assente all’operazione, impegnato forse a valutare il profitto. Quanto sono distanti questi uomini da quelli che ho descritto, di quel “mondo” di sessant’anni fa, molti ancora vivi, tutti così diversi, tutti forse così incolpevoli, vittime i primi e gli ultimi di una società divoratrice, come la mietitrebbia. 42 Anno XVIII N. 3 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Le emozioni della musica Come restiamo estatici davanti a un artista che canti, Prove, controprove, applausi! Cosa ci donano gli così ci sentiamo davanti a chi sa trarre suoni melodiosi da uno strumento. È logico pensare che dopo la voce umana, i primissimi strumenti fossero a percussione; il battere dei piedi o delle mani era la primitiva funzione ritmica della musica. Si sono poi aggiunti strumenti a fiato, strumenti a corda. L’arpa, per esempio, era conosciuta dagli Egizi e dagli Ebrei. Si dice che anche Achille placasse la sua “ira funesta” suonando la cetra inventata da Mercurio. Il cristianesimo trasse dalla tradizione pagana ed ebraica quanto gli conveniva. Nacque così il canto liturgico. Nel Medioevo, coi trovatori, nasce il canto profano. Carducci ne immortalò il più celebre: Jaufrè Rudel. Fu nel XIV secolo che la musica strumentale ebbe il suo massimo sviluppo. I Greci avevano anche una scrittura musicale: con le lettere indicavano l’altezza dei suoni e, la durata, con segni. Fu un abate di Cluny a indicare le prime sette note dall’alfabeto latino. Ma fu Guido d’Arezzo, prima del Mille, a desumere le prime note della scala, dalle prime sillabe di un Inno a San Giovanni, e ad adottare il rigo a quattro righe. Nei Paesi anglosassoni le note si indicano con le lettere dell’alfabeto. Fra gli strumenti, il regno del clavicembalo fu lungo e glorioso, basterà ricordare: Domenico Scarlatti, François Couperin, Sebastian Bach… Ma, lo strumento perfetto per suono, forza e dolcezza fu il pianoforte che, attraverso i suoi successivi perfezionamenti, è diventato lo strumento che tutti conosciamo. Dagli strumenti ad arco il derivato ideale fu il violino. Questi gli strumenti. E i compositori? Il compositore deve trovarsi in un particolare stato di grazia per arrivare a descrivere il tema prescelto, è l’ispirazione che illumina la mente dell’artista e gli fornisce il motivo. Dalla partitura nascono le parti per i singoli strumenti: quanti? In una grande orchestra moderna anche più di quaranta. artisti con la loro arte! La musica fa volare attraverso la vita, ci percorre come un brivido, risveglia emozioni. Pensiamo alla realtà sonora di alcune composizioni che ci parlano di mare, di pianeti, di montagne, un universo di note. La musica impressionistica di Debussy, l’effervescenza di un valzer! Quante volte un bel film è tutt’uno con la colonna sonora? Come la pittura, la musica si fa contemporanea, trova nuove espressioni. L’arte si trasforma e s’adegua al nuovo sentire dell’uomo d’oggi. Il mondo moderno è rumore e introduce il rumore nella musica. Un giovane compositore americano ha messo in musica i rumori notturni di Central Park, ha metabolizzato in musica il rumore della locomotiva Coast to Coast. Anche il silenzio è “musicato”, quello profondo e assoluto del deserto. Oggi si fanno registrazioni di habitat primordiali: foreste equatoriali, boschi, paludi… Questi ascolti si propongono nei musei, nelle gallerie d’arte contemporanea, ai festival di musica sperimentale per sensibilizzare quelle industrie che della Natura si servono senza preoccuparsene troppo. Da quando l’uomo ha imparato a guardare in alto, ha creato mirabili graffiti, ha percorso un lungo cammino verso capolavori assoluti. Gianna Guazzoni Guido d’Arezzo Maggio 2011 43 N.O.I. nuovi orizzonti insieme L’angolo di Marilina a cura di Marilina Bortolozzi D. Ti invio la foto della mia camera da letto, che vorrei modificare per renderla più funzionale e per darle una maggiore personalizzazione. L’armadio non è più addossato alla parete, ma funge da divisorio e da testata del letto. Dietro si è venuto così a creare un piccolo spogliatoio. Crea un gioco di specchi: le sottili strisce di specchio fanno apparire il locale molto più grande. R. Prova semplicemente a cambiare la disposizione dei mobili e poi fai una “cura di bellezza” a base di stoffe e specchi. Perché? di Gianna Guazzoni “Io non ho talenti straordinari. Sono solo appassionatamente curioso”. Albert Einstein Perché la ruota gira? Perché vi è sempre una forza che mette in moto le cose. La ruota della bicicletta gira per la forza delle vostre gambe. Quando cessate di pedalare la resistenza dell’aria ne frena il moto. Se siete in discesa, l’attrazione terrestre sarà più forte di tale resistenza, si dovrà allora ricorrere a una forza esterna, i freni. Perché battiamo le palpebre? Quando l’occhio è aperto, è soggetto ad asciugarsi ed è esposto alla polvere. Noi, così, lo laviamo. Vi è una ghiandola lacrimale che produce lacrime, quando l’occhio è asciutto o sporco di polvere ne avverte il cervello che, con un battito, fa sgorgare la lacrima che pulisce. Perché un rumore forte può spezzare un vetro? Perché deriva da vibrazioni violente e irregolari che generano ampie onde nell’aria, che ha peso e consistenza come qualunque altra sostanza. 44 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 La moda di Roberta Ci risiamo! Piove a dirotto, fa freddo ed io sono qui a suggerirvi qualche idea per l’estate che... verrà?!!! È vero, i giornali di moda sono già pieni di sole, di colori e di belle soluzioni e gli stilisti hanno già fatto le loro sfilate per l’estate ed io, che sono in difficoltà, vi trascrivo, per il momento, quello che ho letto su Grazia: “Rivoluzione colorata nel guardaroba estivo, tutto giocato su tinte audaci, righe protagoniste e dettagli fluo. Si va dal blu tuareg (come detto nel numero precedente) all’arancione vitaminico, portati in modo nuovo. In alternativa, fantasie shock che danno vita ad una nuova sensualità, abiti fluidi ed orientalismi e non mancano i fiori, il minimalismo urbano, i pizzi stile corredo, l’abito caftano che regala una nuova libertà al corpo; insomma la bella stagione è frizzante, energetica, solare. E voi siete pronte a uscire allo scoperto?” In poche parole, la libertà più assoluta nella scelta, ma attente a non esagerare, attente allo specchio e quindi al vostro... buon gusto. Comunque, quest’anno basta una T-shirt per sentirsi “vestite” soprattutto in estate, a volte basta soltanto una maglietta. Ma attenzione, via scritte, stampe e slogan. È il momento delle magliette bon ton, sempre perfette come un “little black dress” monocolore o con piccoli decori, a righe, a pois o a fiori. Ve ne darò un piccolo esempio. Portate con jeans, gonne lunghe e fruscianti di un tessuto fantasia e leggerissimo, in ogni modo la Tshirt che ci piace oggi è quella senza scritte, senza foto e senza facce! Blazer - gilet, uno dei pezzi più convincenti: la giacca senza maniche in evoluzioni audaci, fino a diventare miniabito, spolverino lungo al ginocchio o giacca tailleur da indossare sopra abiti leggerissimi, minimali o gonne lunghe o corte di pizzo o fiorate. Un nuovo aggettivo del vestito? Fluttuante! Come per esempio la camicia bianca allungata, fantasiosa e romantica che può diventare l’abito che vuoi; pizzi e lino bianco anche per le borse - -sacche al crochet, sabot in legno, sandali con o senza tacchi, infradito sempre. L’abito nel disegno - collage è una fantasia viola e grigio. Buona estate! Roberta Campo Maggio 2011 45 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Ricordi degli anni cinquanta... Per me il colmo della gioia era andare con la nonna, a fine estate, a trovare la zia Nicoletta al “Cao”, località ai piedi del promontorio di Punta San Martino, dove attualmente sorgono le case del porticciolo. La casetta di questa zia, sorella di mio nonno, era una vecchia costruzione di campagna in pietra, priva di acqua corrente e forse anche di luce elettrica. Si ergeva nei pressi di un bunker della seconda guerra mondiale, all’ombra di un albero di fico che, per la mia statura di allora e non per le sue reali dimensioni, ricordo molto grande. Questa visita non era piacevole solo per l’amenità del luogo, che si affacciava su un mare limpido, punteggiato di scogli e di barche di pescatori! Le cose che maggiormente suscitavano interesse in me, bambina golosa, erano essenzialmen- Una tazza di amicizia L’amica Sylvie Saltet, in passato studentessa e docente Unitre di Lingua Francese, ci scrive dal Villers - Cotterêts, comune francese della Piccardia, dove si è trasferita lo scorso anno, una bellissima lettera, di cui con piacere riportiamo un passo significativo. “Sapeste come mi manca l’Unitre! Che gioia era alzarsi al mattino e fare qualche passo fuori casa per andare a prendere una tazza di amicizia al corso di Francesca. Senza questo corso non avrei mai incontrato un giapponese!!!”. Sylvie ci invita anche a riflettere sul dramma delle immigrazioni clandestine con la poesia che trascriviamo a lato. Nel salutare tutti ci ringrazia per l’affetto che ha respirato ad Arenzano. Promette anche di venirci a trovare e si propone per un minicorso intensivo di Lingua Francese, tra settembre - ottobre. Grazie Sylvie, accettiamo senz’altro e ti aspettiamo. Un caloroso saluto da tutti NOI. te due: i fichi dolci che mi offriva la zia appena arrivavo e l’acqua freschissima, attinta direttamente dal pozzo con un secchio di alluminio. A parte la bontà dei fichi maturi, su cui penso siano tutti d’accordo, mi preme soprattutto ricordare il piacere provato nel bere quell’acqua limpida e fresca del pozzo. Mi veniva offerta con un semplice mestolo da cucina, su cui poggiavo con avidità le labbra, per placare la sete in giornate ancora calde e soleggiate... Ricordo che in quei momenti piacevolissimi mi riusciva difficile credere agli insegnamenti della mia maestra, la quale amava ripetere spesso (o forse era una frase che mi colpiva particolarmente?) che l’acqua oltre ad essere incolore e inodore, è anche insapore! Fiorenza Torella Immigrazioni clandestine Colme di pianti e di disperazione spariscono tra i flutti le “carrette” inghiottite dal mare “forza sette” con morti senza pace né orazione... Verso questi fratelli, ogni Nazione dovrebbe porgere un po’ più le mani e prestar più sollecita attenzione: sono pur sempre degli esseri umani! Che siano bianchi, neri o musulmani sono fratelli meno fortunati; dovremmo cogliere il grido d’aiuto… Ma se al richiamo il cuore resta muto dico: non meritiamo d’esser nati dove abbiamo ogni bene a piene mani. Vittorio Zucca da “Con lo sguardo perso a lontani orizzonti versi in rima”, ed. PTM 46 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Anno XVIII N. 3 Ricette estive Nei mesi caldi…. “i piatti freddi” sono un’ottima soluzione dal punto di vista organizzativo: c’è il vantaggio che si possono preparare in anticipo e gustare poi con gli ospiti senza doversi assentare per recarsi ai fornelli. INVOLTINI DI BRESAOLA E CAPRINO (per 4 persone) 300 g di insalate assortite (indivia belga, soncino, lattuga variegata, rucola), una carota 100 g di bresaola a fette 80 g di formaggio caprino (per i più golosi: metà caprino e metà mascarpone) 5 cucchiai di olio d’oliva extravergine 2 cucchiai di succo di limone 2 fette di pane a cassetta Sale e pepe Privare della crosta le fette di pane e dividere la mollica in cubetti e farli tostare al forno. Pulire e lavare le insalate e asciugarle delicatamente con un canovaccio, tagliare a rondelle la carota oppure a listarelle. Stendere le fette di bresaola sopra un tagliere, spalmarvi sopra uno strato leggero di caprino, poi arrotolarle formando degli involtini e porli in frigorifero. Mettere in una ciotolina un pizzico di sale e il succo di limone, aggiungere l’olio, un pizzico di pepe e sbattere con una forchetta gli ingredienti fino a ottenere una salsa emulsionata. Disporre le insalate sul piatto di portata, distribuire le rondelle di carota condite con la salsa di olio e limone e adagiarvi sopra gli involtini di bresaola, aggiungere i crostini di pane tostati e servire. FRISELLE con pomodoro e origano Otto friselle 300 g di pomodori sodi e maturi un mazzetto di origano 1,5 dl. Olio extravergine di oliva e sale quanto basta. Scottare i pomodori in acqua in ebollizione, scolarli in acqua fredda, scolarli di nuovo, privarli della buccia e dei semi e tagliare la polpa a dadini, poi metterli in una ciotola e aggiungere le foglioline di origano. Infine condire con un pizzico di sale e con l’olio. Immergere brevemente le friselle in acqua fredda e scolarle. Spennellarle con l’olio rimasto, distribuirvi sopra il composto di pomodori e disporli sul piatto di portata. GELO D’ANGURIA (per 6 – 8 persone), tempo di preparazione circa un’ora oltre il tempo di riposo 2 kg d’anguria 6 - 8 g di amido di mais 100 g di zucchero qualche goccia di essenza di vaniglia un pizzico di cannella in polvere appena macinato oppure 2 gocce di essenza di cannella 2 gocce di essenza di gelsomino Per decorare 20 g di cioccolato fondente Attrezzatura: 6 - 8 stampini scannellati Questo dolce, secondo un’antica tradizione palermitana, viene preparato a ferragosto, in occasione della festa dell’Assunzione di Maria Vergine. Privare l’anguria della buccia, eliminare i semi interni, ricavare qualche listarella per la finitura e tenerla da parte, dividere la polpa rimasta a pezzetti, passarla al passaverdura (oppure centrifugarla) e pesare un litro di succo. Mettere l’amido di mais in una ciotola, aggiungervi un poco di succo d’anguria e stemperarlo mescolandolo con una frusta, versarlo in un tegamino, aggiungere lo zucchero, il succo d’anguria rimasto e mescolare fino a ottenere un composto omogeneo. Porre il tegame su fuoco moderato, portare a ebollizione, mescolando continuamente e, quando il composto si sarà rappreso, toglierlo dal fuoco e farlo intiepidire un poco mescolandolo di tanto in tanto. Maggio 2011 47 N.O.I. nuovi orizzonti insieme Unire infine la cannella in polvere, l’essenza di va- Il Bicerin di Cavour niglia e di gelsomino. Versarlo negli stampini e conservarli in frigorifero Nel 1700 la prima colazione almeno per due ore. Al momento di servire capovolgere i dolci sui singoli piatti e decorarli a piacere con le listarelle d’anguria tenute da parte e con il cioccolato tritato. dei torinesi era la “Bavareisa”, CESTINI CON CREMA di parmigiano e porri (per quattro persone) 250 g di pasta brisèe 1 porro 2 uova 40 g di parmigiano grattugiato 4 cucchiai di panna 3 cucchiai di olio di oliva extravergine, burro e sale Stendere sottilmente la pasta e ritagliarla in 4 dischi da 15 cm ciascuno. Imburrare esternamente 4 stampini da 10 cm, sistemare sopra di essi i dischi, in modo che prendano la forma di un cestino e cuocerli per 10 – 15 minuti in forno caldo a 180 ° C. Pulire il porro eliminando la parte verde, le foglie esterne e la radice, tagliarlo a rondelle sottili e rosolarlo in un tegame con l’olio: unire poca acqua, salare leggermente, coprire e fare cuocere fino a quando le rondelle risulteranno tenere. Sbattere le uova con la panna, poi unire il parmigiano e una presina di sale e mescolare bene in modo da amalgamare gli ingredienti. Estrarre gli stampi dal forno e lasciare intiepidire, poi staccarli dagli stampini e lasciarli raffreddare; riempirli infine con le rondelle di porro e il composto di uova e passarli in forno caldo a 180°C per una decina di minuti. Edda Sinesi una bevanda a base di caffé, cioccolato e latte, che un secolo dopo si chiamerà “Bicerin” (piccolo bicchiere) e avrà un successo straordinario, dando il suo nome al locale in cui veniva servita con alcune varianti nella preparazione: caffé caldo sul fondo di un bicchiere di cristallo sottile da vino rosso, poi uno strato di cioccolata calda, poi uno strato di panna fredda. Il “bicerin” era la bevanda preferita da statisti come Cavour (ancor oggi qualcuno lo chiama “bicerin ‘d Cavour”) e Giovanni Giolitti, ma anche da filosofi come Friedrich Nietzsche che ne apprezzava molto lo straordinario equilibrio dei gusti. La storia del bicerin è strettamente intrecciata a quella del “Caffé Al Bicerin”, in piazza della Consolata, il più storico (risale al 1763) locale torinese, in cui tra arredi in legno, vetrine e atmosfera “d’antan” si degusta la versione originale di questa deliziosa bevanda a base di cioccolata, caffé, panna e latte. Ingredienti per 4 persone 1 litro di latte intero 70 g di cioccolato fondente 200 g di zucchero Panna montata e caffè a piacere In un pentolino mettete il cioccolato fondente ridotto a scaglie e un po’ di latte tiepido. Fate riscaldare a fuoco basso, senza mai portare ad ebollizione se volete che si conservi tutto l’aroma del cacao. Quando il cioccolato si è ammorbidito, amalgamate il composto lontano dal fuoco con l’aiuto di una spatola di legno e aggiungete il resto del latte, sempre tiepido, a cucchiaiate. Aggiungete lo zucchero, mettete di nuovo sul fuoco, mescolando con cura fino ad ottenere una crema omogenea, priva di grumi e piuttosto densa. Travasate in un bicchiere la cioccolata, versateci sopra il caffé bollente e aggiungete un po’ di panna montata in cima. Il bicerin va servito caldissimo, in un bicchiere trasparente, in modo che si possano vedere i diversi strati degli ingredienti. Memorandum v v v v v v v v v v v v v v v v I maggio 2011, ore 10,45: Sala Consiliare, il poeta Roberto Mussapi presenta il suo libro L’incoronazione degli uccelli nel giardino, a cura del Premio di Poesia “Città di Arenzano”. 3 maggio 2011, ore 21 al Teatro Gassman di Borgio Verezzi, in occasione del nono Festival Teatrale Unitre, la nostra compagnia “la Panchina” andrà in scena con la commedia di Michel Tremblay “LE COGNATE”. 7 maggio 2011: Parco di Arenzano (ore 16,30) e Sala Consiliare (ore 17), reading poetico “Poesia come un albero”. Dal 3 maggio 2011 il segretariato viaggi aprirà le prenotazioni per il viaggio in BASILICATA che si realizzerà dal 31 agosto al 5 settembre 2011. In considerazione delle vacanze estive, gli interessati sono pregati di iscriversi durante il mese di maggio ad Arenzano e Cogoleto e nel mese di giugno solo ad Arenzano a villa Mina, il martedì ed il mercoledì mattina dalle ore 10 alle 12 (informazioni dettagliate su Noi Informa). 13 maggio 2011: Visita guidata “Il Porto, cuore di Genova” La mattinata sarà dedicata alla visita del sottomarino Nazario Sauro e del Museo Galata. 14 maggio 2011, ore 16: Auditorium Santuario S. Bambino di Praga ad Arenzano. Pomeriggio musicale con l’intervento del coro Unitre “Eco del Mare” diretto da Ada Bongiovanni e accompagnato al piano da Anna Venezia. 20 maggio 2011: Termine delle lezioni nei corsi e laboratori. 24 maggio 2011 ore 16,00: Festeggeremo i nostri Docenti all’Agriturismo VALDOLIVO a Cogoleto località Capuà 3. 27 maggio (pomeriggio) e 28 maggio 2011: Nella nostra sede di Villa Mina ad Arenzano Mostra dei lavori realizzati nei laboratori Unitre durante l’anno 2010/2011. 29 maggio 2011 ore 16,00: Festeggeremo la chiusura dell’Anno Accademico a Villa Maddalena ad Arenzano. Escursioni: 1 maggio 2011 Basanata Scarpeggin 15 maggio 2011 Punta Mesco 22 maggio 2011 Giornata escursione F.I.E. Spettacoli Carlo Felice: Opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini 21 maggio 2011, turno F - 22 maggio 2011 turno C Dal 4 al 11 giugno 2011: Viaggio “Francia Atlantica di Sud Ovest (AQUITANIA)”. Prenotazioni in segreteria ad Arenzano e Cogoleto (informazioni dettagliate su Noi Informa). Dal 13 al 18 giugno 2011: Saranno aperte le preiscrizioni all’anno accademico 2011/2012, riservato agli iscritti Unitre degli anni precedenti, presso la segreteria di Arenzano, Villa Mina, dalle ore 9 alle 12. 18 giugno 2011, ore 21, al Grand Hotel: Premio di Poesia “Città di Arenzano” A partire dal 13 settembre 2011 saranno aperte, a tutti, le iscrizioni all’anno accademico 2011/2012 presso le segreterie di Arenzano e Cogoleto. Stampato dalla Grafica L. P. Genova - maggio 2011