CLUB ALPINO ITALIANO
Sez. Finale Ligure
LA CATENA DI SICUREZZA
Considerazioni sui metodi di contenimento delle sollecitazioni
durante la caduta nell’arrampicata libera
Versione Corsi AL1 e A1
Gola di Gorropu
A cura di Lodovico Spiota
Gennaio 2014
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…Buttati…! Che è morbido…! - Bouldering nei pressi di San Teodoro
Disclaimer
Tutte le fotografie riportate all’interno di questi appunti lavoro sono tratte dal sito Google Immagini
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INDICE
INTRODUZIONE
Pag. 4
CENNI SULLA NORMATIVA INTERNAZIONALE PER I MATERIALI
UNITA’ DI MISURA
Pag. 5
Pag. 6
PARTE PRIMA
VALORE DI DECELERAZIONE E DEFORMABILIA’ DELLA CORDA
FATTORE CADUTA
FORZA DI ARRESTO
EFFETTO CARRUCOLA SUL RINVIO
Pag. 7
Pag. 8
Pag. 10
Pag. 11
ASSICURAZIONE DINAMICA
Pag. 12
Pag. 12
Pag. 13
FUNZIONE DEI FRENI
RINVII ANGOLATI
PARTE SECONDA
ELEMENTI DELLA CATENA DI SICUREZZA
LA CORDA
I FRENI
GLI ANCORAGGI
MOSCHETTONI E RINVII
L’IMBRAGATURA
FETTUCCE E CORDINI
Pag. 14
Pag. 15
Pag. 20
Pag. 24
Pag. 27
Pag. 30
Pag. 31
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INTRODUZIONE
Qualunque sia la concezione dell’arrampicata e dei rischi che questa comporta, non possiamo fare a
meno di vivere le nostre avventure servendoci di determinati materiali che ci consentono non solo di scalare
una via, ma anche di farlo in completa sicurezza.
Nessuno che voglia spingere la propria arrampicata al massimo del proprio livello può fare a meno di
certi materiali che sono indispensabili per salire in totale libertà, utilizzando esclusivamente quello che la
Natura ci ha messo a disposizione sin dall’inizio sulla parete.
Ecco perché è così importante avere un’adeguata attrezzatura da utilizzare correttamente in modo da
annullare o comunque ridurre i rischi derivanti da qualsiasi imprevisto possa capitare durante una salita, tra i
quali quello più increscioso di un “volo”.
Con il tempo tali equipaggiamenti sono stati sempre più affinati fino a costituire gli elementi essenziali
di quella che oggi si chiama la “Catena di Sicurezza” (CS).
Mentre si arrampica, si è talmente concentrati sulla via e sulla gestualità dei propri movimenti che non
si ha il tempo di pensare ad eventuali imprevisti.
Ma può capitare che un piede scivoli o un appiglio si stacchi dalla parete, e allora è facile perdere
l’equilibrio, con tutto quello che potrebbe conseguire nella caduta.
A questo punto entra in gioco la Catena di Sicurezza (o Catena Dinamica di Assicurazione) che
impedisce che occorrano danni a chi cade, a chi assicura e ai materiali utilizzati o, per lo meno, riduce al
minimo le conseguenze dannose della caduta stessa. La CS ha così la funzione specifica di contrastare gli
effetti della forza di gravità, frenando il volo fino ad arrestarlo, sopportandone l’urto in maniera adeguata
riducendo le sollecitazioni sull’arrampicatore e sull’attrezzatura impiegata per la salita.
Per quanto premesso, al fine di meglio descrivere e capire il funzionamento della Catena di Sicurezza,
la presente trattazione viene divisa in due parti:
nella prima parte ci si soffermerà sulla dinamica della caduta e sui principi che intervengono in essa:
Deformazione della Corda, Fattore caduta (FC), Forza di Arresto (FA), Decelerazione, etc.
In questa sezione la caduta (con i relativi principi) viene esaminata in due distinte situazioni: a corda
bloccata e con assicurazione dinamica.
la seconda parte sarà dedicata alla descrizione più dettagliata dei singoli elementi che compongono
la Catena di Sicurezza, con cenni alle loro caratteristiche tecniche e alla loro disponibilità sul mercato.
Tali elementi sono: la Corda, l’Imbragatura, i Freni, gli Ancoraggi, Moschettoni e Rinvii, Fettucce e
Cordini.
Cala Luna
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CENNI SULLA NORMATIVA INTERNAZIONALE PER I MATERIALI
Esistono Norme di validità Internazionale che definiscono le caratteristiche di costruzione e
resistenza/durata che le attrezzature alpinistiche devono possedere.
La direttiva 89/686/CEE
Per quanto riguarda la suddetta direttiva, tutto il materiale tecnico (corda, casco imbragatura,
moschettoni, cordini…) rientra pienamente nei presupposti indicati, riferitamente a tutti i DPI (Dispositivi di
Protezione Individuale) utilizzati sia nella pratica sportiva che professionale.
La direttiva disciplina gli equipaggiamenti destinati essere indossati o utilizzati da una persona affinché
essa sia protetta contro uno o più rischi professionali che potrebbero metterne in pericolo la salute o la
sicurezza. Gli Enti Europei per la normazione inoltre stabiliscono disposizioni armonizzate sulla base dei
requisiti essenziali richiesti, che in realtà non rivestono carattere obbligatorio, ma tutti i DPI fabbricati e
rispondenti a quanto stabilito sono presunti conformi ai requisiti essenziali. In altre parole rispettare le norme
EN (Norme Europee), approvate dal CEN (Comitato Europeo di Normazione), significa garantirsi, attraverso
una procedura di valutazione, la conformità CE (Conforme alle Esigenze)
Ad esempio: la norma UNI EN 12275 - 30/06/2000 – “Attrezzatura per alpinismo - Connettori Requisiti di sicurezza e metodi di prova” è la traduzione adottata dall’UNI della norma europea EN 12275
“Mountaineering equipment – Connectors – Safety requirements and test methods”
I membri del CEN sono gli Organismi Nazionali di Normazione; in Italia è l’UNI (Ente Nazionale
Italiano di Unificazione) che cura anche la traduzione in italiano.
La direttiva CEE è entrata in pieno vigore il 30 giugno 1995: da quella data in avanti non è stato più
legale produrre e mettere in commercio in Europa materiale che non disponga del marchio di
conformità CE (ogni DPI deve essere munito di questo marchio).
La diretta applicazione pratica di questa direttiva è che tutto il materiale tecnico per alpinismo
attualmente in commercio è sottoposto a studi e controlli circa la sua conformità alle esigenze
richieste, ed è stato quindi studiato e testato per lavorare adeguatamente e resistere nelle peggiori condizioni
possibili che si possono realizzare nella pratica dell’alpinismo, in modo da preservare l’incolumità di chi lo usa.
I materiali sono quindi conformi alle esigenze, a condizione che vengano usati correttamente, ovvero
applicando scrupolosamente ciò che viene descritto nel libretto delle istruzioni (particolare spesso
sottovalutato). In realtà, dal punto di vista della direttiva, sarebbe possibile produrre del materiale non “a
norma” a condizione che il fabbricante, all’atto della procedura di dichiarazione di conformità, dimostri il
rispetto dei requisiti essenziali della stessa (procedura però gravosa e del tutto inutile).
All’atto pratico tutti i fabbricanti seguono le norme.
Oltre alle normative EN esistono altre normative, generalmente non vincolanti. Tra queste, quelle più
importanti sono quelle emanate dall’UIAA (Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche). Il rispetto di
queste normative è segnalato con un marchio ed è volontario (sta al fabbricante decidere se produrre o no
attrezzi che soddisfino le norme UIAA); di solito comunque le normative EN sono quasi sempre una traduzione
delle norme UIAA (che vanta più di trenta anni di esperienza nel campo) anche se in alcuni casi, per le norme
più recenti, si è verificato il processo inverso.
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UNITÀ DI MISURA
N – Newton, unità di misura della Forza nel Sistema Internazionale S.I.;
1 Newton è la forza che applicata alla massa di un Kg, le imprime l’accelerazione di 1 m/s²
daN - deca Newton; coè 10 N, equivalente a circa 1 Kg peso
KN - Kilo Newton, cioè 1000 N
Kgm – Kilogrammo massa; unità di misura della massa nel S.I..
Per semplicità e per avere un ordine di grandezza, si può considerare che:
1 daN sia uguale a circa 1 Kg peso (unità di misura scorretta ma riportata per semplice termine di paragone)
per cui ad esempio i 1200 daN, citati nel testo, corrispondono circa a 1200 kg peso e a 12 KN.
Scogliera di Masua
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PARTE PRIMA
VALORE DI DECELERAZIONE E DEFORMABILIA’ DELLA CORDA
Quando si cade durante un’arrampicata, a parte le escoriazioni o gli eventuali danni conseguenti
all’urto contro la roccia, le lesioni più gravi possono derivare dai danni interni subiti dal corpo umano al
momento dell’arresto della caduta.
Partendo dal presupposto che un corpo che cade genera Energia Cinetica, ai fini di comprendere
come questa si sviluppa durante la caduta occorre riprenderne il principio fisico.
L’Energia Cinetica (T) è l’energia che possiede un corpo per il movimento che ha o che
acquista, ed è il lavoro necessario per portare un corpo da una velocità 0 (zero) a una velocità v e
quindi il lavoro necessario per portarlo da una velocità v a 0 (zero).
Quando un corpo di massa m varia la sua velocità, varia anche l’Energia Cinetica.
Il lavoro rappresenta questa variazione di energia, risultando direttamente proporzionale alla massa e
alla velocità del corpo in movimento. L’Energia Cinetica che possiede un corpo di massa m nel suo moto di
caduta è uguale al lavoro necessario per fermarsi (principio di conservazione dell’energia).
Nella Fisica l’Energia Cinetica (T) è espressa come il semiprodotto della massa del corpo per il
quadrato della velocità
T= ½ mv² = ½ m(vx²+ vy²+ vz²) [J]
Ma qual’è il limite delle sollecitazioni sopportabili dal corpo umano?
Il limite è stato trovato attraverso ricerche eseguite dall’aereonautica francese sui paracadutisti
durante la seconda guerra mondiale. Venne infatti constatato che all’apertura del paracadute agivano
sull’uomo delle sollecitazioni comportanti una violenta decelerazione con conseguenti gravi danni agli organi
interni di chi si era lanciato.
Il problema sostanzialmente era il giusto dimensionamento del paracadute: troppo grande forte
decelerazione con shock da strappo, danni interni gravi con addirittura morte della persona; troppo piccolo
discesa eccessivamente veloce e logiche conseguenze…
Sulla scorta degli studi eseguiti, derivò la necessità di comprendere quale sarebbe stata la dimensione
giusta per il paracadute e quindi, per una persona in posizione eretta, quale sarebbe stata la massima
accelerazione/decelerazione sopportabile senza conseguire danni permanenti.
Tale valore venne definito in quindici volte l’accelerazione di gravità convenzionale: 15g.
Essa corrisponde ad una sollecitazione di 12 KN (~1200 Kgp) per un corpo avente massa = 80 Kg.
F = m·15g
F = 80·15·9.8 = 11760 N → 1170 daN → ~1200 daN
Se la persona si trova in posizione ribaltata (a testa in giù) il valore scende da 15g a 4-6g. Valori
superiori possono portare alla perdita dei sensi o a danni più gravi.
Le Norme UNI-CEN prescrivono che le corde DEBBANO DEFORMARSI quanto necessario
affinchè il valore massimo della forza generata durante un volo non superi MAI i 1200 daN, e che le
stesse non si rompano nel trattenere una caduta, resistendo ad almeno 5 cadute di una massa di 80
Kg (nei casi limite di corda bloccata).
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Tutti i materiali che intervengono nella Catena di Sicurezza (CS) dovranno quindi evitare, nella
peggiore delle situazioni possibili, che questi valori vengano superati. Per tanto tutta l’energia cinetica che il
corpo possedeva un attimo prima dell’inizio dell’azione della corda DEVE essere assorbita da uno o
più elementi che compongono tale catena, tra cui:
se la corda è bloccata alla sosta o perché incastrata intorno ad uno spuntone, allora l’energia viene
assorbita quasi tutta dalla corda mediante la sua deformazione dinamica
se invece è presente un freno (secchiello, mezzo barcaiolo, otto, ecc.) buona parte dell’energia
cinetica di caduta viene dissipata dagli attriti generati dal freno stesso e non dalla corda con la sua
deformazione.
Infatti quando la corda inizia a scorrere nel freno a causa dei forti attriti generati, il lavoro compiuto
dallo stesso per portare la velocità di caduta da v a v = 0, trasformerà gran parte dell’energia cinetica
in energia termica che verrà dispersa sotto forma di calore dal freno stesso.
FATTORE CADUTA
Tutti gli studi e le ricerche sui materiali sono stati condotti nella situazione limite della corda
COMPLETAMENTE bloccata, questo per poter studiare il comportamento dei materiali della CS nelle peggiori
condizioni di impiego.
L’unico esempio di corda bloccata che può capitare nell’arrampicata si ha quando la corda s’impiglia in
uno spuntone o in una fessura o vincolata alla sosta.
Tale ipotesi è estremamente rara nell’arrampicata libera, perché normalmente vengono utilizzati i
freni, sia statici (GriGri, Eddy e altri similari) che dinamici (secchiello, mezzo barcaiolo, otto, ecc.)
consentendo, (nel primo caso meno, mentre nel secondo ben di più), di esercitare una forma di assicurazione
in grado di scaricare opportunamente l’energia cinetica generata al momento del termine del volo, anche in
funzione delle tipologia di protezioni poste in parete (fittoni resinati o fix) e della loro distanza relativamente
ravvicinata, consentendo sollecitazioni di molto inferiori a quelle che si potrebbero verificare in ambiente.
Partendo da questo concetto è stato sperimentalmente verificato che le sollecitazioni che si
sviluppano durante una caduta con corda bloccata NON dipendono solo dalla lunghezza del volo, MA
DAL RAPPORTO tra la lunghezza del volo e la lunghezza della corda che interviene a frenare la caduta.
Si definisce per tanto Fattore di Caduta (FC) il rapporto tra Lh (lunghezza del volo) e Lc
(lunghezza della corda compresa tra la sosta e l’arrampicatore):
FC = Lh/Lc
Ma ai fini del significato di Fattore di Caduta, è opportuno precisare che di questo ha senso parlarne
solo nel caso in cui la corda sia completamente bloccata in sosta. Questo perché l’energia in gioco in una
caduta dipende dall’altezza del volo: maggiore è l’altezza di caduta maggiore sarà l’energia cinetica da
dissipare.
A corda completamente bloccata però tale energia sarà assorbita quasi per intero solo dalla
deformazione dinamica della corda, esclusa una ben minima percentuale che verrà dissipata dagli attriti
derivati dai rinvii nei chiodi e dallo sfregamento della corda sulla roccia. Ne consegue che maggiore è la
lunghezza di corda che interviene, maggiore sarà la sua capacità di assorbire energia.
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Il calcolo di tale fattore varia a seconda della presenza o meno di rinvii, come nell’esempio sotto
riportato.
Caso A
Caso B
Nell’arrampicata libera il massimo Fattore di Caduta possibile è pari a 2, corrispondente al caso in cui
nella progressione verticale su vie sportive di più tiri, al momento della caduta non siano presenti rinvii tra
l’ancoraggio di partenza (sosta) e il primo di cordata, cadendo in questo modo di un’altezza doppia rispetto
alla corda “uscita” (Caso A).
Con la presenza di rinvii tra la sosta e il punto di caduta, il FC diminuisce (Caso B) per diventare
anche molto basso: è il caso di “tiri” di corda anche lunghi e di cadute brevi (es. il primo di cordata sale di 30
metri ponendo varie protezioni lungo la via per poi cadere 2 metri sopra l’ultimo rinvio messo per un
totale di 4 metri di volo: FC = 4/30 = 0.13)
Per pura didattica, occorre anche precisare che nella pratica possono però avvenire anche situazioni
limite, con FC pari a 5, 6, 7 o anche più, estremamente pericolosi perché nessuna corda reggerebbe lo
strappo in quanto non progettata per lavorare in tali condizioni, come nel caso di caduta su tratti di “Vie
Ferrate” senza l’uso di adeguati freni dissipatori (Caso C) o con corda bloccata intorno ad uno spuntone di
roccia o ad un albero (Caso D).
Caso C
Caso D
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FORZA DI ARRESTO
La Forza di Arresto (FA) è la sollecitazione che viene trasmessa all’arrampicatore che cade al
momento in cui avviene l’arresto della caduta. Si tratta della forza residua che non viene
trasmessa/dispersa in attriti e nei diversi elementi della Catena di Sicurezza.
Nel caso sperimentale, con attriti quasi nulli e corda bloccata, la Forza di Arresto è un valore
caratteristico della corda (viene infatti riportata sull’etichetta di ogni tipo di corda), ed è la capacità che ha la
stessa di assorbire l’energia della caduta. A parità di massa che cade e di fattore di caduta, corde poco
deformabili (tendenzialmente più statiche) determinano Forze di Arresto molto elevate, pericolose per chi cade
e per gli ancoraggi, mentre valori inferiori della FA si ottengono con corde più elastiche.
La normativa Internazionale stabilisce che la FA alla prima caduta, per un volo a corda bloccata con
massa di 80 Kg e FC uguale a 2, non debba superare i 1200 daN. L’allungamento massimo assentibile per le
corde singole è stato stabilito come ≤ al 10%, mentre per le mezze corde è stato definito come ≤ al 12%.
Ne deriva quindi che a parità di resistenza dinamica (numero di cadute sopportate senza
rompersi) è sempre da preferire una corda caratterizzata da bassa FA al fine di limitare i danni ad
arrampicatore ed ancoraggi in caso di volo.
Infatti per quanto sopra esposto, a corda bloccata, mantenendo costante il Fattore di Caduta e
variando la lunghezza del volo, la Forza di Arresto NON VARIA (con la stessa corda): un volo di 2 m ha
lo stesso valore di FA di un volo di 20 m.
Con FC massimo (Lv/Lc = 2) si raggiungono valori di FA di 900/1100 daN, comunque sempre inferiori
al valore limite di 1200 daN fissato dalle Norme.
La corda si comporta quindi come uno “shock absorber”: più la lunghezza utilizzata è grande più
aumenta la capacità di assorbire energia; la si può quindi ritenere un dissipatore di energia ad intensità
variabile.
Semplificando: una corda con 65% di anima e 35% di calza avrà forza di arresto più bassa e resisterà
ad un numero superiore di cadute, ma resisterà meno allo sfregamento e avrà quindi minor durata rispetto ad
una con minore percentuale di anima e maggiore di camicia.
Rottura (Norme)
Forza di Arresto
Corda X
< 2500 daN
1200 daN (Max Norme)
Corda Y
< 2500 daN
700 daN
Corda Z
< 2500 daN
900 daN
Se si realizzasse una situazione a corda bloccata, la Corda Y sarebbe preferibile perché ha un valore
della FA più basso rispetto alle altre consentendo minori sollecitazioni sulle protezioni e sull’alpinista: quindi
corde con basse Forze di Arresto (per esempio 750 daN) sono da preferire a corde con elevata Forza di
Arresto (900 daN fino al valore massimo di 1200 daN).
Infine, non bisogna confondere la FA con il punto di rottura a carico statico della corda, che è la forza
necessaria per poterla rompere.
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EFFETTO CARRUCOLA SUL RINVIO
In un primo caso, se si prende in considerazione la sollecitazione che subisce una puleggia
posizionata su un rinvio (attrito generato estremamente trascurabile) si noterebbe che per trattenere un
peso di 80 Kg applicato sul ramo sinistro della corda, bisognerebbe applicarne altrettanti sul ramo
destro: a ciò però consegue che il rinvio deve sostenere la somma delle due sollecitazioni, rispondenti a circa
160 Kg.
In un secondo caso nella stessa situazione, il ramo di destra della corda è bloccato alla sosta,
mentre sul ramo di sinistra è appeso un carico di 80 Kg. Sul rinvio si produce l’effetto carrucola e la forza
applicata vale sempre 160Kg.
Nella realtà sul rinvio non vi è una puleggia, bensì un moschettone, che introduce un attrito tra corda
e metallo. Da prove eseguite, lo scorrimento di una corda tesa sul moschettone per un angolo di circa 180°, in
condizioni statiche comporta una riduzione dello sforzo pari ad un coefficiente di attrito (Ka) di 1.7, che può
diventare da 1.3 a 1.5 in condizioni dinamiche.
Questo significa che se sul ramo sinistro della corda passante attraverso un rinvio viene applicato un
carico di 170 Kg, sul ramo destro, in condizioni statiche, per controbilanciare il peso sarà necessaria
l’applicazione di ‘soli’ 100 Kg.
Il principio appena esposto però deve portare ad altre considerazioni, in particolare quelle relative al
calcolo del carico di rottura dei moschettoni.
Come già descritto a proposito della Forza di Arresto generata dalla corda dinamica nel caso di corda
bloccata e in presenza di un rinvio sul ramo a cui è collegato un alpinista si può generare al massimo una
forza F2 = 1200 daN.
A causa dell’attrito del moschettone, sul ramo connesso alla sosta è
sufficiente una forza F1 inferiore per trattenere la caduta. Come visto,
assumendo un coefficiente di attrito (Ka) medio di 1.5:
F2/F1 = 1,5
la forza da applicarsi sul ramo della sosta corrisponderà a:
F1 = F2/1.5 → F1 = 1200/1.5 = 800 daN
il rinvio è quindi soggetto alla sommatoria delle due forze
Carico Rottura Moschettone = F1+F2 → 800+1200 = 2000 daN
Di conseguenza le Norme stabiliscono il valore di 2000 daN come carico minimo per la rottura
dei moschettoni e in 2200 daN per le fettucce e cordini a causa del degrado derivato dall’usura e dai
raggi UV.
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ASSICURAZIONE DINAMICA
Le analisi e considerazioni sin qui riportate si riferiscono a situazioni in cui la corda è completamente
bloccata alla sosta.
Se la corda non fosse bloccata alla sosta ma passasse attraverso un freno correttamente manovrato, i
concetti sin qui esposti non varrebbero più perché l’energia di caduta non sarebbe più assorbita solo dalla
corda deformandosi, ma quasi completamente dal freno.
Questo concetto è fondamentale: con corda frenata la Forza di Arresto non dipende più
direttamente dal Fattore di Caduta, MA DAL FRENO.
In queste condizioni, che sono poi quelle che si realizzano quasi sempre, il freno diventa determinate
e da esso dipende la FA.
Questa forza si applica sull’arrampicatore in primo luogo, ma determina le sollecitazioni su tutta la
Catena di Sicurezza a partire dal rinvio più sollecitato (quello sul quale avviene il volo), a quelli intermedi e alla
sosta.
FUNZIONE DEI FRENI
Il freno è un attrezzo che, pilotato dalla mano dell’assicuratore, permette di rallentare ed arrestare la
caduta. Tutti i freni si comportano come “moltiplicatori della forza” applicata dalla mano di chi
assicura.
Si può affermare che mediamente un arrampicatore con l’azione della mano genera una forza
di 15-30 daN, e che questa viene moltiplicata dall’azione del freno.
-
L’efficacia della frenata è quindi data dall’effetto combinato:
della forza esercitata dalla mano dell’assicuratore
dalla capacità frenante del freno.
La capacità frenante è data dal “Fattore di Moltiplicazione della Forza” (FMF), definito dal
rapporto tra la Forza della corda a valle (corda in uscita dal freno) e la Forza a monte del freno (corda
in ingresso dal freno trattenuta nella mano dall’assicuratore), il cui prodotto è una costante (K)
specifica per ogni tipo di freno (mezzo barcaiolo, secchiello, otto ecc).
Fattore di Moltiplicazione del Freno
Mezzo Barcaiolo
Otto
Secchiello
K per Rami Paralleli
8-12
2-3
1.5-2
K per Rami a 180°
6-8
4-6
3-5
Concludendo:
a) ogni tipo di freno ha un proprio valore caratteristico di funzionamento, cioè ha una sua specifica Forza
Frenante
b) la Forza Frenante determina la Forza di Arresto sull’arrampicatore che cade attraverso la corda che
scorre nel freno e si deforma; la Forza di Arresto è uguale alla Forza Frenante amplificata
(quest’ultima) per effetto degli attriti sulla roccia e nei rinvii (Coefficiente di attrito Ka). L’angolo che la
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corda forma nel moschettone del rinvio, il raggio e la forma della parte del moschettone stesso dove
scorre la corda determinano di quanto si amplifica la Forza Frenante
c) sull’ultimo rinvio si sommano per l’effetto carrucola la Forza Frenante (amplificata dagli attriti) e la
Forza di Arresto
d) se il volo sviluppa una Forza di Caduta molto elevata e superiore alla Forza Frenante (Fattore di
Caduta elevato) sul freno abbiamo un maggiore scorrimento di corda, ma la Forza di Arresto resta
invariata
RINVII ANGOLATI
La presenza di rinvii intermedi e lo sfregamento della corda sulla roccia aumentano gli attriti facilitando
l’azione frenante.
Se gli ancoraggi mantengono una direzione della corda abbastanza allineata, gli attriti non sono
significativi, e il freno lavorerebbe come se di fatto vi fosse sempre solo l’ultimo rinvio (caso A) .
Se invece sono presenti numerosi rinvii angolati si può arrivare anche alla situazione limite nella quale
il freno interviene molto poco, perché la corda tende a bloccarsi a causa degli eccessivi attriti, generando
sull’ultimo rinvio e sull’arrampicatore valori di Forza di Arresto molto simili a quelli che si genererebbero nella
situazione di corda bloccata (caso B).
Nel caso B si torna a parlare di Fattore Caduta e
della necessità di corde elastiche, a bassa FA
nominale per meglio dissipare, con la deformazione
della stessa, la massima energia possibile.
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PARTE SECONDA
ELEMENTI DELLA CATENA DI SICUREZZA
I materiali e le tecniche che vengono utilizzate durante una ascensione hanno il duplice scopo di
permetterne la progressione e di garantirne la sicurezza. In questa sezione verranno trattati gli aspetti legati
alla sicurezza dei materiali.
Garantire la sicurezza significa prima di tutto accertare le possibili cause che potrebbero pregiudicarne
la funzionalità, cercando il più possibile di prevenirle nella pratica. Quando questo non fosse possibile è
comunque necessario cautelarsi in modo opportuno per minimizzare i possibili danni, dotandosi delle
necessarie protezioni.
La principale causa di pericolo durante l’arrampicata libera è la caduta. Come visto la Catena di
Sicurezza è l’insieme degli elementi (materiali e tecniche) che permettono, in caso di caduta, di limitare i danni
a chi sta scalando (sia a chi cade, sia a chi sta assicurando).
I materiali che la compongono sono:
corda,
imbracatura,
freni
casco,
moschettoni,
cordini,
fettucce,
chiodi,
dadi,
friend.
Da quanto esposto nella prima parte della presente relazione, è chiaro che la corda e i freni sono
gli elementi principali della Catena di Sicurezza, destinati alla funzione essenziale di assorbire l’energia
della caduta.
Gli altri elementi sono componenti che non contribuiscono alla dissipazione dell’energia; essi hanno
principalmente la funzione di permettere lo scorrimento della corda e di vincolarla in modo sicuro alla parete, o
di ripartire la forza di arresto sull’arrampicatore. Ne consegue che gli altri elementi della CS sono propriamente
caratterizzati solo dalla resistenza a trazione e non dalla forza di arresto.
Tutti i materiali che compongono la CS, come meglio descritto nel capitolo sulla Normativa
Internazionale, sono oggetto di una precisa regolamentazione che stabilisce la resistenza degli stessi, gli
elementi di funzionalità e le condizioni di prova.
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LA CORDA
La corda può essere considerata come l’elemento più importante della catena di sicurezza,
poichè in funzione della riduzione della decelerazione:
- limita l’ampiezza del volo (senza la corda si finirebbe a terra direttamente)
- trasmette gli sforzi agli altri elementi della catena di sicurezza
- assorbe parte dell’energia di caduta, contribuendo a rendere “armonico” l’arresto del volo.
Le corde devono rispondere ai requisiti richiesti dalla norma europea EN 892.
Indicazioni presenti sulle corde:
Ai fini della pratica dell’arrampicata libera
verranno trattate solamente le corde
singole e le mezze corde, tralasciando
le corde gemellari perché non più
utilizzate.
corde “singole” o “intere” (simbolo “1”) progettate per essere impiegate da sole in arrampicata;
mezze corde (simbolo “½”) progettate per essere impiegate sempre in coppia con un’altra mezza
corda;
Composizione delle corde
Le corde, realizzate in fibra poliammidica (nylon, perlon,
ecc.) sono strutturalmente composte da due parti principali: l’anima,
cioè la parte interna (che rappresenta circa il 70% della corda) e la
camicia o calza, che è il rivestimento esterno e che costituisce i
restante 30%.
Sia l’anima che la camicia concorrono alla resistenza alla
rottura della corda, parametro che per altro non è di interesse per le
norme e che dipende proporzionalmente per circa un 70%
dall’anima e per un 30% dalla calza.
L’anima è costituita da un insieme di trefoli, a loro volta formati da una
terna di stoppini; questi sono ottenuti da 6 fascetti più sottili, costituiti da un
insieme di monofilamenti fortemente torsionali tra loro. Il diametro dei trefoli
varia da 2.5 a 3.0 mm ed il numero dei monofilamenti è di circa 2/3 del totale.
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La calza, avente struttura tubolare, è composta da un intreccio di
stoppini o “fusi”, disposti tra loro perpendicolarmente e a 45° rispetto all’asse
longitudinale della corda. Il numero totale dei monofilamenti che la compongono
è di circa un 1/3 del totale.
La calza ha la duplice funzione di contenimento e protezione
dell’anima e di “bilanciamento” delle caratteristiche dinamiche della corda.
Infatti a parità di diametro, un numero di “fusi” elevato (che per tanto
saranno di diametro inferiore) conferirà alla corda maggiore allungamento, morbidezza (favorendone la
manovrabilità) ed esaltandone le caratteristiche dinamiche; nel contempo però diminuiranno le caratteristiche
di resistenza all’abrasione, comportando una minore durata della calza (dapprima sfilacciamento sino a
trasformarsi in una sorta di “coda di gatto” con successiva lacerazione e formazioni di ernie dell’anima).
Le corde attualmente in commercio hanno diametri variabili da 8 a 10.2 mm funzionalmente alla
destinazione d’uso, mentre la loro lunghezza varia solitamente da 50 a 80 m.
In conclusione, qualsiasi indebolimento della camicia, dovuto da abrasioni superficiali (sfregamento
della corda sulla roccia, dall’uso di discensori, dall’impiego della corda in moulinette, da eventuali voli, etc.),
per micro-stress da polvere o sporcizia, oppure per effetto della componente UV della luce solare
(degradazione fotochimica) ne può compromettere, a seconda della sua gravità, anche seriamente le
prestazioni dinamiche, abbassandone le garanzie di tenuta in caso di caduta.
Caratteristiche delle corde
Le corde per l’alpinista e per l’arrampicatore sono realizzate per trattenere le cadute “dinamicamente”,
in modo che l’arresto del “volo” avvenga con gradualità, sviluppando, come visto nella prima parte, una bassa
Forza di Arresto: minore è la FA, maggiore sarà l’elasticità della corda.
Per questo motivo sono “elastiche” e quindi se sottoposte a carico si allungano “dinamicamente”,
differentemente dalle corde “statiche” (pressochè prive di allungamento) ed impiegate principalmente per
l’attività speleologica.
La dinamicità comporta la caratteristica più importante che una corda da arrampicata deve possedere,
la giusta Deformabilità, che come visto nel primo capitolo deve essere in grado (con il suo allungamento) di
assorbire l’energia della caduta.
Poiché però corde troppo deformabili creerebbero difficoltà nelle manovre, la normativa ha fissato un
valore massimo dell’allungamento a seconda del tipo di corda:
la deformabilità statica avviene applicando un peso di 80 kg alla corda, l’allungamento deve essere
minore del 10% per la corda semplice, mentre deve essere inferiore al 12% per le mezze corde.
Si consideri una corda avente allungamento percentuale pari all’8%, a cui si appende un corpo
di 80 kg: ad 1 m detta corda si allungherà di 8 cm, mentre su una lunghezza di 50 m lo stesso
peso produrrà un allungamento di 4 m.
la deformabilità dinamica: viene misurata al Dodero e non deve superare il 40% durante la prima
caduta, rispettivamente con massa di 80 Kg per le corde singole e massa di 55 Kg per la mezza
corda.
Un’altra caratteristica importante della corda è la Forza di Arresto cioè il valore massimo della forza
che si genera al momento in cui inizia l’arresto della caduta.
Come già spiegato nel primo capitolo, nel caso di corda bloccata, cioè senza l’intervento del freno,
dipende essenzialmente dalle caratteristiche dinamiche e quindi dall’allungamento della corda.
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La normativa impone il valore massimo della forza di arresto (alla prima caduta) e il massimo
allungamento.
a) una corda semplice deve essere in grado di resistere senza rompersi ad almeno 5 cadute con
massa di 80 kg all’apparecchio Dodero, e la Forza di Arresto (FA) alla prima caduta deve essere
minore di 12 KN;
b) una mezza corda deve essere in grado di resistere senza rompersi ad almeno 5 cadute con massa
di 55 Kg, e la Forza di Arresto alla prima caduta deve essere minore di 8 KN;
Questo concetto potrebbe portare a confondere la FA con il punto di rottura a carico statico della
corda, che è la forza peso necessaria per romperla.
Come ordine di grandezza, il carico di rottura a trazione di una corda intera si può assumere intorno a
1900 – 2000 daN.
Poiché nel caso dell’assicurazione dinamica, non è più la corda che assorbe l’energia di caduta ma il
freno, la forza di arresto che sviluppa la corda perde un po’ di importanza; resta comunque preferibile una
corda a bassa FA.
L’energia cinetica della caduta viene trasformata dal freno in energia di calore per attrito (compiendo
un lavoro), quindi l’accoppiamento tipo di freno/tipo di corda determina anche la forza di arresto. In altre
parole, se un freno ha una “frenata meno forte”, per dissipare comunque la stessa energia, la corda dovrà
scorrere di più; in questo caso si avrà un basso valore della forza sull’ancoraggio o sull’alpinista ma, per
contro, una maggiore difficoltà di frenata a causa della maggiore lunghezza di corda che scorre nel freno.
Analogamente utilizzando un freno più funzionale si avrà anche una migliore facilità di tenuta della
caduta da parte di chi assicura ma, per contro, forze superiori graveranno sugli ancoraggi e sull’alpinista.
Alla luce di quanto sopra considerato, ne deriva che altro fattore importante è la Scorrevolezza:
migliore è la scorrevolezza e minore sarà la forza sull’ancoraggio ma più difficoltosa sarà l’azione di frenata da
parte di chi assicura (con rischio di bruciature alle mani).
Decadimento delle prestazioni dinamiche delle corde
Per dare indicazioni sullo stato di invecchiamento di una corda ci si riferisce unicamente al numero di
cadute massime che essa è in grado di sopportare: l’invecchiamento corrisponde alla riduzione percentuale
delle cadute sopportate al Dodero rispetto a quelle garantite dal costruttore con una corda nuova.
Oggi vengono prodotte corde in grado di reggere un numero di cadute ben superiore (10 – 15) a
quello richiesto dalle norme.
Si considera non più utilizzabile (perché non più sufficientemente sicura) una corda che non sia più in
grado di sopportare il numero minimo di cadute pari a quello richiesto dalle norme.
Va rilevato che alcune delle attuali corde a diametro ridotto (molto apprezzate per il basso peso)
hanno un numero di cadute consentite più basso (ma comunque superiore a 5) e pertanto sono sottoposte a
un decadimento più accelerato; inoltre come già fatto notare, sono più scorrevoli dentro ai freni e in operazioni
di recupero.
Le prestazioni dinamiche, cioè il numero massimo di cadute sopportabili, si riducono a causa dei
seguenti fattori: usura durante l’utilizzo (micro voli compresi), luce solare, acqua e ghiaccio.
Utilizzo in arrampicata
E’ ormai assodato che una corda non subisce una riduzione di resistenza se non viene adoperata e
lasciata in luogo asciutto e non esposto alla luce.
Viceversa, lo stato di efficienza di una corda dipende fortemente dal tipo di uso che ne viene fatto e
da quanto questa viene posta al riparo dalla polvere. Infatti i microcristalli contenuti nella polvere o nella
sabbia, penetrati nella corda durante l’utilizzo tendono a tranciare i filamenti che compongono l’anima e la
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calza. Questo effetto viene reso ancora più marcato dall’uso in corda doppia o in moulinette, sia per effetto
meccanico di compressione che di microfusione di filamenti della calza dovuto al riscaldamento per attrito. Se
poi si considera che la calza contribuisce ad una percentuale pari al 30% della robustezza della corda, ne
deriva che una volta che quest’ultima inizia a presentare lesioni evidenti, la si deve ritenere come non più in
grado di mantenere i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa vigente.
Dal grafico, che prende spunto dai dati sperimentali e fa riferimento ad un utilizzo medio su terreni
diversi, si nota che dopo circa 10000 metri di arrampicata la resistenza di una corda è scesa al 30%. Questo
significa che se una corda nuova che sopportava ad esempio 9 cadute prima di rompersi, dopo 10000 metri di
arrampicata può sostenerne solo 3 e quindi non risulterebbe più a norma. Se la corda da nuova fosse stata
in grado di reggere almeno 15 cadute, dopo 10000 m ne sosterrebbe ancora 5 e quindi sarebbe ancora a
norma.
Esposizione alla luce solare
Poiché il nylon è sensibile alla luce solare e in modo particolare alle radiazioni UV si assiste ad un
notevole decadimento delle prestazioni dinamiche della corda se esposta al sole. Infatti, dopo 3 mesi di
esposizione in quota, il numero di cadute sopportate al Dodero si riduce al 50%, in alcuni casi anche al 25%. Il
decadimento è più vistoso per le corde esposte ad altitudini più elevate poiché l’intensità degli UV è maggiore
salendo di quota. La degradazione dei colori dei fili della camicia è un indice del decadimento delle loro
caratteristiche meccaniche e quindi delle proprietà dinamiche della corda.
Pertanto una corda che da nuova si rompe dopo 10 cadute, in seguito ad un prolungato uso in
ambiente, specie se in alta montagna, può arrivare a tenere solo 5 cadute.
Corde bagnate e corde gelate
Le corde bagnate e ghiacciate presentano, rispetto alle stesse corde asciutte, un decadimento delle
prestazioni.
Nel caso di corde bagnate si può arrivare ad un decadimento pari al 66% del valore: cioè la resistenza
residua è pari ad 1/3 di quella iniziale a corda asciutta.
Questo significa che se una corda nuova da asciutta si romperebbe dopo 15 cadute, da bagnata putrà
tenerne solo 5; ovvero se una corda usata da asciutta reggeva ancora 6 cadute, da bagnata ne terrà solo 2 e
per tanto non sarà più a norma.
Questa diminuzione della robustezza è indipendente dal tempo di ammollo della corda.
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Anche quando ghiacciata la corda presenta un decadimento della resistenza rispetto a quando è
asciutta, anche se la riduzione è meno preoccupante.
In ogni caso le corde, dopo un essiccamento completo, avvenuto in ambiente asciutto, in ombra e
arieggiato, presentano un completo recupero delle iniziali caratteristiche dinamiche.
Conclusioni sul decadimento delle corde
Ipotizzando che se una corda da nuova teneva per esempio 9 cadute, dopo 10000 m di scalata e per
effetto della luce solare e dell’usura, la resistenza dinamica si sarà ridotta al 30%: ne deriva che la corda sarà
così in grado di reggere solamente 3 cadute. Se poi si bagna, le sue prestazioni si ridurranno ulteriormente del
66%. Vale a dire che la stessa corda usata e bagnata sarà in grado di reggere solamente una caduta.
Si consiglia così di acquistare corde semplici e mezze corde che offrano un numero elevato di cadute,
di scegliere diametri non eccessivamente ridotti perché altrimenti il sistema mano-freno lavora meno
efficacemente e di cambiare la corda sia in seguito ad abrasioni o voli importanti e comunque anche integra
dopo i 10000 m di salite.
Lanaitto
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I FRENI
Nei casi di volo con corda fissata/vincolata alla sosta
soltanto la corda ha il compito di dissipare l’energia
accumulata dall’alpinista durante al caduta. Ciò genera una
FA molto elevata, che non solo risulta dannosa per l’alpinista
ma anche per tutte le altre componenti della CA quali i vincoli
alla parete e alla sosta stessa. Nell’alpinismo quasi mai viene
adottato un sistema “statico” per l’assicurazione ma si adotta
una assicurazione di tipo “dinamico” ovvero con la presenza
di freni in cui la corda ha la possibilità di scorrere e dissipare
energia.
In arrampicata sportiva invece sono spesso utilizzati sistemi di assicurazione statici (il concetto di
“assicurazione statica” è ben differente dalla situazione di volo a corda completamente bloccata [n.d.a.]). In
questo campo, dove i punti di assicurazione in parete sono ravvicinati e sicuri e le cadute frequenti, la scelta
del sistema ottimo di assicurazione è dettato anche da altre priorità. Tra queste non dimentichiamo la
comodità nel dare corda e alla capacità di bloccare con semplicità e con il minimo sforzo le cadute.
In presenza di freni il FC rimane solo come definizione e non rientra più nei discorsi energetici di
assorbimento di energia.
Questa viene ora assorbita, nella sua stragrande maggioranza, dalla dissipazione che avviene
all’interno del freno e, in una ridottissima parte, dalla deformazione interna alla corda.
Bisogna sottolineare che è la Forza Frenante (FF) esercitata dal sistema mano-freno che
determina le sollecitazioni su tutta la catena di sicurezza, quindi è la FF e non il Fattore di Caduta a
determinare la Forza di Arresto.
Tutti i freni si comportano come moltiplicatori della forza applicata alla mano, generando la FF che
agisce sul corpo che cade.
La Forza Frenante è il risultato dell’effetto combinato:
- della forza esercitata dalla mano dell’assicuratore (15 – 30 daN) all’entrata nel freno
- della capacità frenante del freno, definito come Fattore di Moltiplicazione della Forza (MFM)
Nell’assicurazione dinamica, per tutta la fase di trattenuta fino all’arresto della caduta, si ha una corsa
della corda nel freno che dissipa l’energia cinetica posseduta dal corpo che cade.
In conclusione durante il volo, la Forza Frenante ha un valore che varia moltissimo in pochissimi
attimi: presenta un valore massimo (la Forza di Arresto con valori di alcune centinaia di daN) pochi decimi di
secondo dopo l’inizio della tenuta vera e propria, per poi scendere al valore del peso dell’arrampicatore al
termine della caduta (stato di quiete del corpo). Con una tenuta non adeguata da parte di chi assicura si
potrebbero quindi avere elevati valori di forza di arresto e anche elevati scorrimenti della corda.
I freni si possono suddividere in due categorie:
freni autobloccanti
freni non autobloccanti
I freni Autobloccanti
Nell’ambito dell’arrampicata libera, tra i Freni Autobloccanti più impiegati compaiono:
il GRIGRI
il Single Rope Controller (SRC)
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I freni Autobloccanti possono essere di due tipi:
quello meccanico, come il GRIGRI, l’EDDY ecc., che tramite blocco della corda attraverso uno strozzo
costituito da una camma mossa meccanicamente dalla corda all’interno della gola di scorrimento
quando la stessa va in tensione, ne impediscono lo scorrimento, bloccandola meccanicamente in
seguito alla caduta del compagno, normalmente senza che avvenga alcun intervento manuale da
parte dell’assicuratore (nella presente, su tutti i freni meccanici disponibili verrà descritto il GRIGRI).
per attrito, come nell’SRC o nello YO-YO, causato dallo strozzo della corda attraverso l’attrezzo
funzionalmente al blocco della stessa operato automaticamente da un moschettone quando la corda
entra in tensione (tra i vari verrà descritto solamente l’SRC)
Con i Freni Autobloccanti si viene a generare una forma di assicurazione pressoché “statica” (ben
diversa dalla situazione di corda completamente bloccata) poiché non avvenendo lo scorrimento della
corda attraverso il freno, la stessa può essere in qualche modo comunque “dinamicizzata” eseguendola in
vita, cioè agganciando il GRIGRI all’imbrago di chi assicura (assicurazione ventrale) ammortizzando il volo
con l’elasticità del corpo dell’assicuratore o assecondando la caduta spostandosi in alto-avanti (a volte anche
saltando). In quest’ultimo caso è comunque necessario che chi esegue la ‘sicura’ sia minimamente esperto e
a conoscenza delle eventuali conseguenze che potrebbero derivare ‘saltando’.
I freni autobloccanti possono essere utilizzati solo su corda singola, a partire dal diametro di 9.00 mm
fino ai 10.2 mm, trovando particolare applicazione nell’uso durante l’arrampicata libera su “monotiri” o in
“moulinette”, ma normalmente tralasciati durante le salite di vie di più tiri a favore di sistemi più dinamici.
Questo un po’ per concezione di stile alpinistico di chi arrampica (minor FA su sosta/assicuratore e protezioni
intermedie/ultimo rinvio) e un po’ per il peso, che li rende scomodi nel portarseli appresso appesi all’imbrago.
I Freni non autobloccanti
Nell’arrampicata libera, come nella pratica dell’alpinismo, i freni autobloccanti più comunemente
adoperati sono:
Nodo Mezzo Barcaiolo
il Secchiello
la Piastrina Sticht (o placchetta con molla)
Discensori Otto
Si tratta di freni adatti specialmente a vie lunghe e su terreno alpinistico, che consentono l’utilizzo di
due mezze corde sia in fase di assicurazione (anche con la tecnica delle corde passate separate nelle
protezioni) che in discesa.
Esistono moltissimi modelli in commercio, ma l’interesse attuale è rivolto al Secchiello, nelle versioni
dell’AIR TRAFFIC CONTROLLER (ATC), del REVERSO o della PIASTRINA GIGI, poichè per la caratteristica
di essere autobloccanti nella fase di recupero sono considerati migliori in quanto più funzionali. Discorso a
parte meriterebbe il NODO MEZZO BARCAIOLO, vanto dell’inventiva e della genialità alpinistica italiana, che
in più parti, nella presente trattazione è stato messo a confronto con i vari sistemi, risultando, se impiegato
adeguatamente tra i freni dinamici, quello con le migliori garanzie di trattenuta e dissipazione dell’Energia
Cinetica derivata dal volo del primo di cordata.
Gli altri freni, il Discensore a Otto in particolare, sebbene ancora commercializzati, hanno perso molto
interesse, in particolare quest’ultimo per la caratteristica di attorcigliare le corde durante l’uso.
Considerato che sostanzialmente la funzionalità dei tre dispositivi sopra indicati è la medesima, verrà
descritto solamente l’ATC.
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ANCORAGGI
Per quanto concerne i dispositivi di ancoraggio ne esistono di innumerevoli tipologie e fogge il cui uso,
nei siti di arrampicata libera, è fortemente dipendente, oltre che dalle loro peculiarità anche dall’ambiente nel
quale questi vengono apposti ed in particolare dalla capacità professionale chi li posiziona.
In ogni caso le normative prevedono che tutti questi, in sede di laboratorio, dimostrino condizioni di
resistenza confacenti con la CA.
Ai fini dell’attrezzatura di un sito per l’arrampicata libera, si devono utilizzare tutti quei materiali che la
Normativa UNI EN 959 identifica come dispositivi di ancoraggio per l’arrampicata sportiva, definendoli:
Chiodo da roccia: mezzo di ancoraggio con un occhiello in cui può essere inserito un connettore ai
fini della sicurezza inserendo il chiodo in un foro realizzato nella roccia e fissato in essa con un
collante oppure da forze di espansione.
Gli Spit
Il termine “Spit” attualmente identifica un tipo di
ancoraggio (composto da una boccola e da
un conetto d’espansione distinti tra loro)
utilizzato nei primi anni ’80, ed introdotto nel
mondo dell’arrampicata libera derivando dai
materiali utilizzati nella progressione verticale
della speleologia.
L’uso di questo chiodo consentì, a quei tempi,
di spingere l’arrampicata a livelli molto alti e in
maniera relativamente sicura, funzionalmente
alla tipologia di roccia nella quale veniva
posizionato.
Nel caso degli Spit non si può parlare di carichi
di rottura quanto più che altro di “carichi
all’estrazione”, che diventava maggiore quanto più dura era la roccia, al punto da renderlo relativamente
sicuro solo su rocce di origine vulcanica o metamorfiche (gneiss, graniti, quarziti ecc.), mentre per le rocce
sedimentarie (calcari in particolare) nel giro di breve tempo e uso si rivelava particolarmente inaffidabile e
pericoloso (ampia è la produzione di test e prove di estrazione della boccola/rottura del cono di roccia)
eseguita sugli Spit, in particolare nell’ambito speleologico dalla Commissione Speleologica Nazionale del CAI
e dalla stessa Società Speleologica Italiana).
Con l’evoluzione dei materiali in uso anche nell’edilizia per la connessione di strutture in calcestruzzo
armato precompresso, lo Spit (causa della propria inaffidabilità sul calcare) nell’ambito dell’arrampicata libera
è stato completamente soppiantato da altri ancoraggi, sia di tipo meccanico, nella fattispecie i “Fix”, che
chimico, i “Fittoni Resinati” (permane ancora oggi l’uso improprio del termine Spit per i non addetti ai lavori
per indicare tutti quegli ancoraggi di tipo meccanico che presentano esteriormente una piastrina per la
connessione dei moschettoni, termine che tutt’oggi fa un po’ rabbrividire chi invece è più avvezzo alle
differenziazioni tra i vari materiali).
I Fix sono costituiti da una placchetta ancorata da un tassello ad espansione che
viene inserito all’interno di un foro preventivamente eseguito di pari lunghezza del
Fix. Avvitando il dado, la barra del Fix si estrae leggermente dal foro di sede,
consentendo alla fascetta di espandersi sul cono terminale che è fisso, formando
così un tutt’uno tra la piastrina e il Fix medesimo. Paradossalmente il massimo
carico di lavoro il Fix lo sviluppa quando viene posizionato in verticale, poiché la
barra del chiodo, quando soggetta a carico, mantiene sempre la trazione massima sul conetto.
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I Resinati sono ancoraggi permanenti e definitivi, composti da un fittone
di acciaio avente ad un’estremità un anello per la connessione dei
moschettoni. Hanno il vantaggio di permettere grande facilità di
manovra con il moschettone, eccellente durata e resistenza, ma solo se
vengono impiegate le giuste resine epossidiche. L’adesione alla roccia
è assoluta, in caso di cedimento è più probabile addirittura la rottura del
cono di roccia intorno al fittone che l’estrazione del tassello dal foro.
Le Norme Europee specificano che sia i Fix che i Fittoni Resinati devono essere in acciaio inossidabile, ai fini
della resistenza e della durata e fissano il limite minimo della tenuta radiale in 2500 daN e quello della tenuta
assiale (in estrazione) in 1800 daN.
Nell’ambito dell’arrampicata libera, in particolare durante la salita di vie di più tiri, a volte si potrebbe
rendere necessario l’impiego di protezioni amovibili ad integrazione di quelle già presenti sulla via, da
incastrarsi nelle fessure o nei buchi della roccia e finalizzate ad abbreviare la distanza tra un chiodo e il
successivo.
Queste “protezioni” sono costituite dai Nuts e dai Friends.
I Nuts o “Blocchetti da Incastro”
I nuts sono dispositivi di ancoraggio ad incastro, composti da un corpo metallico a forma di cuneo o di
prisma eccentrico, muniti di cavo di acciaio per facilitarne (grazie alla maggiore rigidità rispetto ai cordini o alle
fettucce) l’inserimento nei buchi o nelle fessure, nonché il successivo collegamento alla corda.
Storicamente nacquero in California tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, da un idea particolare di
Yvonne Chouinard, forte arrampicatore Californiano del periodo, che per poter salire le fessure della parete
del Capitan nella Yosemite Valley senza l’uso di un numero infinito di chiodi, si inventò di “svitare” numerosi
dadi “i nuts” dai bulloni delle traversine della ferrovia, che una volta dotati di cordini venivano poi utilizzati
incastrandoli nelle fessure. Quello rappresentò un nuovo stile di arrampicata, definito dai puristi californiani del
periodo come il “Clean Climbing”…
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Uso dei nuts
Friends
Un esempio interessante di protezioni rapide (ovvero posizionabili ed estraibili con un minimo utilizzo
di tempo ed energie) è il Friend. Inventato da un ingegnere aerospaziale a metà degli anni 70 permette una
rapida e sicura protezione su quasi tutti i tipi di fessure, essendo composti da quattro camme regolabili
meccanicamente mediante una leva che agisce su una molla.
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MOSCHETTONI E RINVII
La connessione della corda agli ancoraggi avviene tramite i moschettoni, attrezzo che venne
inventato nel 1912 da Otto Herzog. I moschettoni vengono realizzati in lega leggera (zicral, ergal, ecc.) e
hanno forma ad anello la cui asimmetricità è funzionale allo specifico impiego per il quale è stato previsto.
Sono apribili da un lato per mezzo di una leva azionabile manualmente, la quale ritorna in sede per effetto di
una molla. La leva può essere dotata di ghiera di sicurezza.
La Norma EN 12275 definisce i moschettoni come:
Connettore: un dispositivo apribile che permette all’alpinista di collegarsi direttamente o
indirettamente ad un ancoraggio
I Moschettoni non partecipano, in prima approssimazione, alla dissipazione di energia, ma servono a
permettere lo scorrimento della corda e a vincolare la stessa in modo sicuro alla parete e all’arrampicatore:
conseguentemente sono caratterizzati da resistenza a trazione e non da forza d’arresto.
20 KN
7 KN
7 KN
Essi sono costruiti in modo tale che durante un loro coretto uso (generalmente con
carico applicato lungo l’asse maggiore) possano sopportare la maggiore delle
sollecitazioni possibili.
Ne consegue che la forza totale applicata al moschettone sui due rami di
corda (un ramo quello che dall’ultimo rinvio va all’alpinista; e il secondo che dalla
sosta va all’ultimo rinvio) non corrisponderà al doppio (cioè 24KN), ma come già
visto nel primo capitolo nel paragrafo sull’effetto carrucola a causa degli attriti da
scorrimento della corda dentro al moschettone, la stessa corrisponderà a 20 KN,
valore minimo che è stato assunto dalla Normativa EN per il carico di rottura dei
moschettoni lungo l’asse maggiore e a leva chiusa.
Per ragioni di sicurezza vengono garantiti dei carichi minimi anche per altre due
configurazioni dei medesimi: a leva aperta e lungo l’asse minore. In questi casi i
carichi sono notevolmente minori, inferiori al massimale.
Risulta quindi importante posizionare i connettori in maniera corretta, evitando che
assumano posture pericolose.
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I “Rinvii” conosciuti anche come “preparati”, sono composti da due moschettoni uniti da un anello di
cordino o di fettuccia, chiuso da un nodo o da una cucitura. L’unione moschettone fettuccia può portare un
accoppiamento sfavorevole per la tenuta dell’insieme. La norma sui moschettoni prevede infatti che il singolo
moschettone venga sottoposto ad una prova di trazione tramite due spine parallele del diametro di 12 mm.
Questa situazione non si realizza però nella pratica ove alla spina viene sostituita la fettuccia del
preparato con larghezza variabile da costruttore a costruttore: è proprio l’effetto di questo accoppiamento
anomalo che opera in senso sfavorevole rispetto alla resistenza del moschettone.
Ancora nel caso reale la fettuccia, nell’ansa del moschettone, subisce una deformazione tale per cui
non tutte le fibre lavorano alla stessa maniera e questa situazione è ben diversa da quella imposta dai test.
Sono state effettuate delle prove di trazione dei preparati lungo l’asse maggiore sia con le leve chiuse
che aperte al fine di verificare i carichi minimi dell’anello più debole dei singoli componenti ovvero i
moschettoni. Pur avendo riscontrato un decadimento delle prestazioni del preparato rispetto a quelle
dichiarate per i singoli moschettoni e fettucce in nessun caso si sono ottenuti carichi inferiori a quelli imposti
per i singoli moschettoni.
Un’altra disquisizione riguarda il posizionamento delle due leve, cioè se allineate o contrapposte. Da
recenti considerazioni è emerso che sia più conveniente, per il posizionamento in parete, avere le leve nella
posizione allineata. In questo caso infatti le leve si troverebbero sempre in posizione esterna rispetto a quella
della parete e con il lato della leva del moschettone (il lato più debole) non direttamente interessato dalla
corda o dall’ancoraggio in caso di caduta. E’ opportuno comunque posizionare correttamente i rinvii. Se la via
non è verticale è preferibile agganciare il rinvio con i moschettoni aventi l’apertura opposta alla direzione di
salita.
L’utilizzo dei moschettoni richiede un attento controllo e una particolare attenzione, anche nelle
manovre più semplici.
Anche il solo passare la corda nel moschettone è un'operazione delicata. E' molto importante agire
con decisione, in quanto questo è il momento dell'arrampicata dove il rischio di caduta è potenzialmente più
alto.
A seconda della mano libera e dell'orientamento del moschettone, vengono suggerite queste due
tecniche:
1. Tenere il moschettone con il dito medio e passare la corda con il pollice e l'indice
(Fig. 1).
2. Tenere il moschettone con il pollice e passare la corda con l'indice e il medio (Fig. 2).
Caratteristica dei moschettoni è la possibilità di auto apertura in caso di volo:
3. A seguito di una caduta violenta può succedere che la corda si ritorca su sé stessa
(azione simile ad una frustata), formando un anello attorno alla leva del moschettone, che
aprendolo ne causerebbe la fuoriuscita (Fig. 3).
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4. E' necessario che la corda entri nel moschettone dalla parte posteriore. Al contrario si
rischia che il moschettone ruoti, favorendo la fuoriuscita della corda o lo sgancio del
moschettone stesso (Fig. 4).
5. Se la progressione dell'arrampicata sulla via si sviluppa in diagonale o in traverso, la leva
del moschettone deve essere posta in senso opposto rispetto alla direzione di progressione
dell'arrampicatore (Fig. 5). Infatti se la leva è posta nella stessa direzione dell'arrampicatore,
al momento della caduta si incorre di nuovo nel rischio di sgancio del moschettone per effetto
della rotazione (Fig. 3).
L’IMBRAGATURA
La Normativa Europea UNI EN 12277 definisce gli Imbraghi come:
Imbragatura: insieme di strisce di tessuto (fettucce), dispositivi di regolazione o altri elementi che
vengono indossati per sostenere il corpo in posizione eretta.
Per quanto concerne l’imbrago è stato già precedentemente illustrato
il ruolo di connessione dell’arrampicatore alla CA, adeguata
ripartizione sullo stesso della forza d’arresto (in maniera meno
traumatica possibile) e mantenimento della posizione corretta
durante la fase di decelerazione.
L’imbrago è quindi il punto di partenza del collegamento dello
scalatore alla Catena di Sicurezza.
Ma quale tipo di imbragatura utilizzare?
Diversi studi sono stati sviluppati negli anni, sia a livello medicoscientifico sia con esperienze simulate sui diversi terreni. I risultati
sono stati accolti dapprima con una certa sorpresa, ma ad oggi si può
asserire, con largo margine di certezza, che l’imbragatura bassa è
quella più sicura per prevenire traumi e lesioni di chi cade, è quella
più comoda in sospensione e più funzionale nell’esecuzione delle manovre. Anche in caso di caduta a testa in
giù, l’imbragatura basa è quella che riduce al minimo i rischi di traumi, e la concomitante trazine in vita e sui
cosciali impedisce di fatto l’arresto nella critica posizione a “U” capovolta: le gambe vengono rovesciate verso
l’alto dai cosciali e si rimane sospesi in una posizione di sicurezza.
E’ molto importante sceglierne una adeguata alla propria conformazione fisica prestando attenzione
ad una equilibrata distribuzione dello sforzo tra cintura e cosciali, che dipende dalle dimensioni, ma soprattutto
dalla lunghezza del ponte che ne collega frontalmente i due elementi. E’ necessario quindi utilizzare le asole
preformate in maniera corretta.
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Al momento di legarsi, il nodo va sempre eseguito nelle asole frontali e mai nell’anello di servizio.
Quelle laterali, che prendono il nome di porta materiali non devono, in nessun caso, essere utilizzate
per vincolare l’imbrago (e quindi l’alpinista ) alla Catena di Sicurezza, in particolare alla corda o alla sosta. La
loro tenuta è infatti irrisoria, dell’ordine di qualche Kg.
L’anello di servizio invece, insieme a tutti i punti di attacco della corda, è testato per sopportare le
sollecitazioni della CS è quindi possibile utilizzarlo in talune circostanze anche per compiti gravosi (a
condizione che non sia usurato). Il carico di prova dei punti di attacco imposto dalla norma è 15 KN, misurati
sull’imbrago montato su di un manichino antropomorfo.
E’ anche del tutto esagerato il timore che possano verificarsi delle rotture a livello di collegamento fra
le due parti dell’imbragatura bassa o l’anello di servizio per usura delle fettucce: le imbragature, come le
corde, hanno una loro vita di utilizzo e vanno sostituite quando si verificano abrasioni e sfilacciamenti
significativi, ma si può ritenere che ciò avvenga dopo anni di utilizzo, anche quotidiano.
FETTUCCE E CORDINI
Le Norme Europee UNI EN 564 per i cordini e UNI EN 565 per le fettucce definiscono come:
Cordino: corda o fune costituita da un’anima rivestita da una guaina, di diametro nominale compreso
tra i 4 mm e gli 8 mm, e destinata a resistere a forze, ma non ad assorbire energia.
Fettuccia: Banda lunga, stretta e piatta che presenta una struttura tessile destinata a resistere alle
forze statiche ma non ad assorbire energia dinamica.
Sulla scorta delle definizioni sopra riportate ne consegue che i Cordini e le Fettucce sono elementi
statici della Catena di Sicurezza, destinati a resistere alle forze e non ad assorbire energia mediante il loro
allungamento. Hanno caratteristiche strutturali differenti dalle corde di arrampicata e non devono quindi pwr
nessun motivo essere utilizzati al posto delle corde. Sono generalmente in nylon, anche se sempre più spesso
vengono impiegati altri materiali, quali il Kevlar o il Dyneema, che presentano caratteristiche di resistenza più
elevate.
Fettucce
Le fettucce possono essere disponibili non precucite tipo “al metro in bobina” o ad
anello cucito.
Le fettucce non precucite sono generalmente in nylon piatto o tubolare. Le
norme europee richiedono che l’indicazione del carico di rottura sia posta
direttamente sulla fettuccia per mezzo di fili paralleli, colorati, equidistanti,
chiaramente identificabili, incorporati nella fettuccia lungo la sua lunghezza:
ciascun filo rappresenta 500 daN (ad esempio 3 fili corrispondono a 1500 daN).
La resistenza minima non deve essere comunque inferiore ai 5 KN.
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Il carico di rottura (Rc) è dato dal n. dei fili spia moltiplicato 5 KN
Rc = n. fili spia·5 KN
Per le fettucce cucite ad anello le norme europee EN 566 prescrivono un
carico di rottura uguale o superiore a 2200 daN (22 KN), cioè un po’
superiore al carico di rottura dell’asse maggiore dei moschettoni (20 KN), e
che la cucitura si contrastante con quella di base per permetterne un più
agevole controllo del so stato.
Si trovano in commercio anelli di diversa lunghezza che variano ad esempio
da 60, 80, 120, 150 cm, tutti con carico di rottura di 2200 daN.
Cordini
I cordini devono avere, secondo le norme europee EN 564, un carico di rottura minimo Rc in funzione
del diametro (d) nominale del cordino (variabile da 4 mm a 8 mm) dato nella tabella che segue.
Tabella carichi Rotura Cordini
d (mm)
Rc (KN)
4
3.2
5
5.0
6
7.2
7
9.8
8
12.8
E’ importante rilevare che spigoli, strozzature e nodi diminuiscono in maniera anche drastica la loro
tenuta. E’ quindi vivamente sconsigliabile la strozzatura dei cordini nelle prime protezioni. Inoltre se in seguito
si avesse bisogno di un maggior distanziamento del rinvio dalla parete e si fosse obbligati ad utilizzare lo
strozzo, sarebbe consigliabile l’impiego di cordini in Kevlar che, a dispetto della loro sezione ridotta,
possiedono ottime caratteristiche di tenuta (molto superiori ai cordini in nylon di pari diametro) con effetti
spigolo e strozzo molto ridotti.
Da test eseguiti sulle conseguenze dell’”effetto nodo” e degli “effetti da spigoli e strozzo”, si può
evidenziare quanto segue:
L’effetto del solo nodo porta ad una riduzione di circa il 50% del Carico di Rottura Nominale del
Cordino.
Gli effetti spigolo e strozzo, rispetto all’effetto nodo, comportano riduzioni trascurabili per i cordini,
mentre sono notevoli per le fettucce, sconsigliandone vivamente l’uso nelle soste.
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