^ P n T A œ L Q 8 ^ F E S ^ ■ D ( ■ M n H R n H A H H M n H m H M A n n H M n PUBBLICITÀ COMMERCIALE 1 Data di copertina: il mese Uscita: il 5 di ogni mese ( luglio e agosto numero abbinato) Diffusione iniziale: 15.000 Unità di misura: colonna Tariffa colonna B/N: L. 400.000 Validità degli ordini: 1 anno FORM ATI PREVISTI E TARIFFE B/N: 1) in gabbia 2) al vivo 1) mm 176x240 2) mm 204x270 1) mm 176x 120 2) mm 204x 135 1) mm 116x240 2) mm 132x270 1) mm 56x 240 2) mm 72x 270 bxhm m 132x131 solo al vivo 1 pagina 1.200.000 1.350.000 1/2 pag. oriz. 600.000 650.000 2 colonne 800.000 900.000 1 colonna 400.000 450.000 triangolo di copertina 1.200.000 SUPPLEMENTI 1 colore di selezione oltre il nero 2 colori di selezione oltre il nero quadricromia II di copertina III di copertina IV di copertina posizione di rigore 1 [SCONTI 40% da 6 a 10 colonne da 11 a 19 colonne 80% da 20 a 29 colonne 25% da 30 a 39 colonne 10% 40 colonne e oltre 40% editoriale’ 10% | ] 3% 6% 9% 12% 15% 10% —----------------------------------------------------------------------------------------------- -, NOTIZIE TECNICHE____________________________________________ Procedimento di stampa:Rotofset Tempi tecnici per le inserzioni (prima della data di uscita): colore b/n prenotazioni 60 gg 50 gg disdetta 50 gg 45 gg consegna materiale 45 gg 40gg Materiali: fotolito positivi e fotocolors, eccezionalmente lucidi o bozzetti. 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Classi di età. meno di 18 anni 18-25 anni 26 35 anni 36-50 anni oltre 50 anni % 65 35 ~ 0 5 25 30 25 15 Titolo di studio: Laureati Diplomati Licenza media Licenza elementare % 30 35 25 10 Classe sociale: ^ ta Medio alta Media Popolare % 20 35 30 15 Professione: Liberi professionisti, imprenditori, dirigen .. studenti, . , .. scuole, . . istituzioni, . . . . . . teaInsegnanti, tri e compagnie. Uomini di cultura e d affari, _________________________________ _ In vigore dal 1° io gennaio 1983 a le x a k is 7 8 : Le voci S u d i n o i Ne h a n n o scritto: Spirali; Theatron, C inelettura, Ridotto, Rassegna di cultura, G azzetta del Popolo, La discussione, Il Popolo. Ne h a n n o p a rla to a lla radio (Rete 3) e in tanti: chi bene, chi m e n o bene, m a tutti, c o n sim patia. Ci h a n n o in vitato a mostre, conve gni, serate m o n d a n e , prim e teatrali, vacanze. R ingraziam o tu tti e c h ie d ia m o scusa di a lc u n e nostre com prensibili assenze. Le voci più interessanti sono state d a noi ra c c o lte in m erito a lla g ra fic a e ai «settori» d e lla rivista: consigli utilissimi, sui q u a li stiam o fa c e n d o p ro g e tti e in base ai q u a li a b b ia m o g ià preso co n ta tti. Il num ero di g iu g n o presentava un grave errore di stam pa: c e rc a te di prenderlo c o n filosofia, c o m e a b b ia m o te n ta to di fare noi. L'articolo ch e è p ia c iu to di più è stato: «C lapton: u o m o o m ito?» di W alter G atti; Il più letto, «A uto bio gra fia a ll'o biettivo» di R uggero O rlando; «Roma c a p u t m undi» di Bepi Azarita ha fa tto conoscere la rivista agli in nam orati d e llo sport. Carolyn Carlson risponde a d a lc u n e d o m a n d e (vedi intervi sta a p a g in a 14). Col suo ulti m o sp e tta c o lo «chalk work», m olto discusso, ha a ffro n ta to un p u b b lic o c h e la a m a e c h e sa riconoscere in lei g e n io e talento. IL DRAMMA mensile diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti Stefano Jacomuzzi responsabile ai sensi di legge Roberto Righetto editore Cregis s.r.l. amministrazione e redazione via Santo Stefano 42, 20125 Bologna tei. 051/226591 abbonamenti Lì.Co.Sa. - via Lamarmora 45 50121 Firenze ccp. 344509 registrazione presso il Tribunale di Roma n. 15230 del 20/10/1973 fotocomposizione Grafotitoli, piazza Duca D'Aosta 8/B Milano tipografia Litodesign, via Raffaello 21 42100 Reggio Emilia distribuzione per l’Italia So.DI.P. di Angelo Pattuzzl s.r.l. prezzo lire 5.000, arretrato 6.000, estero 8,000 abbonamento annuo lire 40.000, estero 70.000 teatri 35.000 foto, disegni, testi e ogni materiale (anche se non pubblicato) non verranno restituiti. La collaborazione è gratuita. M d l a o l t o a v o r a r e Sono arrivato al «si stampi» anche per questo numero di luglio-agosto. V ivo l’ avventura della rivista e sono certo che, se io fallissi il tentativo, qualcosa comunque resterà o qualcuno proseguirà, magari altrove, magari con altro nome (forse, qualcuno più capace di me) a «proteggere la poesia» (come ci chiedeva Cimnaghi in un articolo pubblicato recentemente su un noto quotidiano). .C’è m olto da lavorare: la verità e la bellezza sono, infatti, «gratis et amore Dei», ma con un «però»: questo «gratis» richiede lavoro: non solo un sudore della fronte, ma del cervello. Le difficoltà sembrano lievi; in realtà, sono una persecuzione: introdursi nel mercato, farsi conoscere dal pubblico, da critici e giornalisti, farsi stimare nelle banche per un prestito o dagli amici per un avallo, trovare un’agenzia di pubblicità e così via. M a penso che, per la rivista, la difficoltà stia ora nel fatto che pochi sono educati a un lavoro culturale serio e sanno, quindi, far uso, in modo aperto, libero e saggio dell’intelligenza: si incontrano m olti polemici e pochi «poeti» e, nella polemica, chi ha più pallottole nel portafogli gode a zittire colui che sarà il perdente. M i hanno fatto sapere che la rivista ha già degli amici e mi dicono di «resistere». Penso che la rivista vivrà solo se saprò (con chi m i dà una mano) farla esistere come parola che crea, parola, appunto, «poetica», come spazio aperto a spunti di meraviglia emergente. A ltra via non vedo e non interesserebbe nè me nè chi con me collabora. Qualche nostra parola può essere eccessivamente dura, qualche altra troppo accomodante o di una facilità rasente il banale. Rileggevo, in questo giorni, l’epistolario di M ounier (il fondatore, a soli 27 anni, di «Espiri»); a uno sconosciuto abbonato, egli scrive: «Con gli uni e con gli altri occorre, di volta in volta, usare violenza e dolcezza: quando lei vede una delle due, sappia che l ’altra non è lontana». Amedeo O rlandini T t u t S p k. í a d a a r m n a l a a t t a ( l t e t e ANNO LIX - NUMERO 4/5 NUOVA SERIE LUGLIO-AGOSTO 1983 ¡ D R A M S P E T T A C O L O TEATRO 3 5 9 13 19 38 51 LIRICA 53 59 67 DANZA 22 CINEMA 46 69 MUSICA 36 55 65 INTERVISTA 15 29 MODA 76 LA STORIA 25 73 AVVENTURA 40 M & A F E S T A vignetta editoriale news il libro COME UN PRODIGIO di R. Coppini INTERVISTA A F. DE BIASE di V. Buongiorno FARE TEATRO É SCUOLA Di R. Canteri UNA COPPIA SBAGLIATA PESARO E ROSSINI TRE REGISTI PER PUCCINI di G. Nastasi SCOMPARSA DI UN GENIO di C. Ferraro NOSTALGHIA di B.M. Kot RECENSIONI di R. Caglierò e V. Bongiorno MY ONE AND ONLY di R. Caglierò LONG TIME GONE di W alter Gatti MA È PECHBLENDA BEAT di M. Vetrugno CHARLK WORK DI CAROLYN CARLSON di A. Bassi A GIOVANNI MASSIMO LANCELLOTTI di E. Granzotto DA MONIQUE di E. Granzotto BONAVENTURA TECCHI di M. Tecchi VEDI NAPOLI E POI MUORI di E. Leoni VIDOCQ di H. Kresse C A P I T C o n fe d e r a z io n e d i A z io n e P o p o la r e P residente nazionale: S e g re ta rio p ro v in c ia le di R eggio Em ilia: La C A P IT lib e r o , d e lla o p e ra c o n v a r ie c u lt u r a , d e lla La te s s e ra d i a d e s io n e La te s s e ra d à d ir itto c in e m a to g r a fic h e in iz ia tiv e sen. F ra n c o E v a n g e lis ti F e rd in a n d o N e g ri n e l s e tto re d e l te m p o m u s ic a , d e l t e a t r o , d e llo s p o r t . c o s ta a lla Ita lia n a L. 1 . 5 0 0 r id u z io n e p e r l'a n n o 1983. ( 3 0 % ) n e lle s a le e a llo s t a d io . Per in fo rm a z io n i e iscrizio n e rivo lg e rsi al T e l. 0 5 2 2 /5 6 0 4 7 7 M B c e r a m i c h e d ’a r t e 4 R K E R 42013 CASALGRANDE (RE) ITALY - VIA FIORENTINA, 5 TEL. (0522) 846383-846384 - TELEX 531376 PARKER I in e w s S CO LO R AD O DANCE L E S T IV A L T endenze d e lla danza a m e ri cana Fra i m o lti festivals am ericani di danza e balletto i più im p o rta n ti sono TAm erican Dance Festi val (N o rth Carolina), il Jacob’s P illow nel Massachusets ed il C olorado Dance Festival, g iu n to quest’anno alla quarta edi zione. Il C olorado Dance Festi val che dura un mese, richiam a m o lto pubblico e ha il m erito di dare m o lto spazio alla New Dance (il balletto postm oder no). I protagonisti d e ll’edizione di quest’anno sono stati T im M il ler, conosciuto soprattutto nel l ’ambiente newyorkese per le sue performances, Laura Dean (nella foto) e Trisha Brown. Queste due coreografe, forse le più ricche di idee tra gli autori del balletto postm oderno ame ricano, hanno portato in C o lo rado i lo ro u ltim i lavori ed anche alcune opere di p ro d u zione meno recente. È stata u n ’occasione per fare un b ila n cio sulla danza americana degli u ltim i dieci anni ed anche per ELLA SEMPRE ELLA Il 14 lu glio, Ella Fitzgerald ha cantato a Roma, al Circo Massi m o. T u tto esaurito. M o lti l ’hanno ascoltata «da fu ori». Ella è stata incantevole, bravis sima, deliziosa. Ella dim ostra, nella sua voce, tutta la forza di una personalità che non ha paragoni nella storia del jazz. Prim a di partire per la tournée in Europa, Ella aveva cantato a diecim ila m etri di quota, su un ju m b o in volo da Chicago a Los Angels: uno spettacolo unico. poter intervistare le p ro ta g o n i ste di spettacoli che, con un pò di coraggio organizzativo, p o trem m o vedere ben presto an che in Italia. CARMEN Presentato al Festival di Spoleto to, in anteprim a per l ’ Italia, «Carmen» di Carlos Saura, che sarà d is trib u ito nella prossima stagione. La proiezione è avve nuta al Teatro N uovo con gran de successo. «Carmen» si avvale della direzione coreografica di A n to n io Gades, della giovane ballerina spagnola Laura Del Sol (vedi foto) e della chitarra flamenca di Paco De Lucia. Si tratta di un film ispirato a ll’o pera di Bizet e alla novella di Merimée. G R A N P R IX BRAVA E BELLA C orinne Flermés (che ha o tte nuto mesi fa il Gran Prix eu ro visivo della canzone europea) inizierà a girare in autunno un film musicale. È paragonata, da m o lti, a Edith Piaf e a Juliette Greco. La sua canzone vincente è stata «Sì, la vita è un dono». N A S T R O D ’A R G E N T O A I F R A T E L L I T A V IA N I Il 23 lu g lio , a Taorm ina, nel corso del Festival Cinem atogra- > n e w s f SHAKESPEARE È IL SUO fico Internazionale, sono stati assegnati i nastri d ’argento 1983. Regia del m ig lio r film : Paolo e V itto rio Taviani (La notte di San Lorenzo); regista esordiente: Franco Piavoli (Il pianeta azzurro); m ig lio r p ro duttore: la R A I-T V ; soggetto: G ianni A m elio (C olpire al cuo re; sceneggiatura: Taviani, G iu lia n i e G uerra; attrice p ro tagonista: G iuliana De Sio; at tore protagonista: Francesco N u ti; attore esordiente: Fausto Rossi (C olpire al cuore); attrice non protagonista: V irn a Lisi; attore non protagonista: T ino Schirinzi (Sciopén); musica: Angelo B rand uardi; fotografìa: Ennio G uarnie ri; scenografìa: G ianni Q uaranta; costumista: Piero Tosi; regista straniero: Richard A tte nborou gh; co rto m etraggio: A ld o Bassan; p ro duttore cortom etraggi: F erdi nando Zazzera. Una menzione speciale a Riccardo Fellini. P A N E Q U O T ID IA N O Veramente notevole il ciclo di sette film che la Rete 3 ha dedicato a O rson Wells. La carriera di Wells iniziò presto: la p rim a versione di Re Lear la fa a nove anni e, a dieci, nel teatro della W ashington School di M adison, allestisce alcune recite shakespearine: il quoti diano locale gli dedica un a rti colo: «Disegnatore, attore, poe ta, non ha che dieci anni». Nel 1947 gira Macbeth. Nel 1952, O tello (prem io Cannes). Presto, pare, girerà un nuovo film . d iffico ltà : gli a ltri cavalli sono stati costretti a tenere le distan ze. MA A N C H E L E I R IC O M IN C IA D A TRE Teresa De Sio ha lanciato il suo u ltim o Long Playng «Tre» e lo porta in giro per l ’ Italia, fin o al 30 settembre. I p iù bei testi sono in lingua napoletana: ma nessuna canzone su N apoli. In una recente intervista, ha d i chiarato: «Adesso si rischia di ricostru ire il ghetto napoletano. E sulla cartolina invece di m et tere Pulcinela e il putip ù, «chia mano che so?, Pino Daniele e me». N O N BASTAVA I L L IB R O ? «G orky Park» sarà presto in , circolazione. È un film , con la regia di M ichael Apted. In te r p re ti: W illia m F lurt, Lee M a r vin, Brian Dennehy, Joanna Pacula. E V IT A M E R A V IG L IE DEL TROTTO Il Prem io Europa 1983 è stato vinto da Evita B roline (nella foto), una delle m eraviglie del tro tto europeo, senza- alcuna V E N E Z IA E P IA Z Z E T E A A l Palazzo V endram in Calergi, a Venezia, m ostra del Piazzetta, corredata da un gruppo di tele di artisti che con lu i ebbero ra p p o rti o contatti di lavoro (Tiepolo, Pellegrini, Ricci). Piazzetta m uore in grande p o vertà, nonostante il successo, il 29 aprile 1754, «oppresso in parte da male acuto, in parte da interno cordoglio». Roberto Lon ghi definì Piazzetta un «m istificatore del natura lism o caravaggesco», ma, n o nostante critiche e dubbi, que sto artista che piacque a Goethe piace anche oggi. Nella foto, «La contadina addormentata» (d ip in to giovanile). DOCTOR S E R A P H IC U S Il 17 e 18 settembre, presso la sede del Palazzo Vescovile, a Bagnoregio (Viterbo), si terrà il trentunesim o congresso di studi bonaventuriani. I l centro studi bonaventuriani fu fondato da Bonaventura Tecchi; l ’attuale presidente è Pietro P rini. Nel convegno di settembre, è pre vi sta una relazione su Bonaventu ra e il dem onio : tema che era stato bocciato l ’anno scorso. T O R IN O E C A L D E R Fino a settembre, nel Palazzo a Vela di T o rin o , la grande m o stra dedicata ad Alexander Cal der (vedi foto): arazzi, tappeti, d ip in ti, giocattoli, g io ie lli, lito grafie, utensili e i cosiddetti m obiles (sculture m etalliche che si m uovono a un soffio). Le grandi sculture (stabiles) di Cal der sono . collocate nel parco circostante. Polemica è nata, perché la m o stra è costata m oltissim o. Ma, via via, il fascino d e ll’esposizio ne fa dim enticare gli a ltri p ro blem i. Calder (che è nato a Filadelfia nel 1898 ed è m o rto a New York nel 1976) inizia ven tenne la sua carriera, sul «N a tional police gazette»: pochi tra tti di penna o m atita ideati per il giovane satirico. IN BREVE UN PO’ D I TUTTO [s| Torino celebra il centenario della nascita di Guido Gozzano: fino al 2 ottobre, presso i giardini del Castello Ducale di Agliè, la mostra «Guido Gozzano: colloqui con l’immagina rio» (dal martedì al venerdì: 10-12.30/15-19; sabato e domenica: 10/19); fino al 30 settembre, esposi zione di pittura, scultura, ceramica e grafica sul tema «Guido Gozzano, quaranta artisti per un poeta» (tutti i giorni: 10-12.30/15-19). IH Si è recentemente conclusa, a Vero na, la mostra «L’Africa - cinquanta carte rare, 1482-1801», organizzata presso la libreria Antiquaria Perini. Per ogni informazione, tei. 045/30073. ® Estate teatrale veronese. In agosto, al «Teatro Romano», sono in pro gramma: «la vedova scaltra» (Adriana Asti) dal 12 al 22; «Balletto del Sene gai» dal 24 al 27. Dal 29 agosto allT settembre: «Balletto delle Filippine». [3 Dal 28 al 30 settembre, al «Teatro Romano» di Verona, si terrà il con vegno «Il romanzo di Pirandello e Svevo»; nel corso del convegno, la prima nazionale di «Un marito» di Italo Svevo. Per informazioni: tei. 045/93911 1. m Sempre a Verona, fino a settembre, la mostra: «Stoffe di Cangrande» (Museo di Castelvecchio); fino a otto bre, la mostra: «Scenografie in Are na» (Palazzo della Gran Guardia); fino a dicembre, «La collezione Baja di piante e pesci fossili di Bolca» (Museo di Storia Naturale). (s] A Reggio Emilia, dal 4 all’8 settem bre, la tradizionale «Giareda», festa della città legata alla Basilica della Ghiara. ® Il «Città di Piombino» (in giuria: Guglielmo Petroni, Sauro Albisani, Carlo Betocchi, Giorgio Cusatelli, Lu ciano Erba, Luciano Luisi, Davide Puccini, Maria Giuseppina Sain, Gio- vanni Vizzari) è stato assegnato, per la poesia italiana, a Benito Sablone per «la ruota incantata» (Bastogi), a Mar gherita Guidacci per la traduzione de «L’arte di perdere» di Elisabeth Bi shop (Rusconi). Riconoscimento spe ciale a Luca Canali e a Franco Scataglini. HI Si è conclusa la prima edizione dell’«Arca d’oro» (concorso canoro per bambini) promosso dalla Coope rativa Nuova Scuola a Reggio Emilia. Vincitrici: Elena Spallanzani e Lila Prodi. Sono già aperte le iscrizioni per la seconda edizione. Tel. 0522/22898. Agosto a ll’Arena «Turandot»: 5.11.14; «Aida»: 3.6.12.24.28.31; «Madama Butter fly»: 2.4.7.13.21.26; «Ballo Excel sior»: 20.23.25.27.30. Informazioni: tei. 045 / 23520-38671; prenotazioni: tei. 045 / 24660 28151; telex 480869 OPERVR I. « Il dram m a - la festa dello spettacolo» dice: «Buone vacanze». W N IL DRAMMA □ 11 : $$new si VILLA MINOZZO (RE) 17 luglio, ore 15,30 21 agosto, ore 15,30 VENNE M A G G IO I l «m aggio» dram m atico, un tempo diffuso in gran parte del te rrito rio toscano e nella vicina m ontagna em iliana, vive anco ra, ai g io rn i nostri, in una ventina di località comprese tra Lucca, Pisa, Massa, M odena e Reggio Em ilia. Ecco il p ro gram m a: com pleto di luglio-agosto (promosso dalla P ro-Loco di Castelnuovo Garfagnana, dal Comune di B u ti; dal Comune di V illa Minozzo, dalla C om unità M ontana A puane, dal Centro tradizioni Popolari di Lucca) : FABBRICHE DI VALLICO (LU) 10 luglio, ore 16 PAOLA DA BUTI - Compagnia di Buti (Pi) 24 luglio, ore 16 ARTACE - Compagnia di Sassi-Eglio (LU) 21 agosto, ore 16 LA GUERRA DI TROIA Compagnia di Gorfigliano (LU) GRAGNANELLA (LU) 3 lugilio, ore 16 LA PRINCIPESSA RIBELLE Compagnia di Vagli di Sopra-Roggio (LU) BALLO DELLA MORESCA Compagnia di Vagli di Sopra-Roggio (LU) Compagnia di Vallico di Sopra (LU) 17 luglio, ore 16 FRECCIA NERA - Compagnia di Gazzano (RE) 24 luglio, ore 16 RE TRIESTE - Compagnia di Piano di Coreglia-Fabbriche di Vallico (LU) 31 luglio, ore 16 ADEMARO IL FIGLIO DEL CROCIATO - Compagnia di Filicaia Gragnanella-Casatico (LU) SELEZIONE DI BRANI DAI MAGGI DI TRADIZIONE EMILIANA ANTONA (MS) 23 luglio, ore 21 LA FIGLIA DEL MARE - Compagnia di Novellano (RE) 30 luglio, ore 21 GIULIETTA E ROMEO Compagnia di Pieve di Compito (LU) 6 agosto, ore 21 BRADAMANTE E RE AMANSORE DI TURCHIA - Compagnia di Antona (MS) 7agosto, ore 16 ARTACE - Compagnia di Sassi-Eglio (LU) 14 agosto, ore 16 I PALADINI DI FRANCIA Compagnia di Gorfigliano (LU) 15 agosto, ore 16 ROSANA - Compagnia di Gallicano (LU) GIUNCUGNANO (LU) 10 luglio, ore 16,30 ADEMARO IL FIGLIO DEL CROCIATO - Compagnia di Filicaia Gragnanella-Casatico (LU) 21 agosto, ore 16 COSTANTINO - Compagnia di Vagli di Sopra - Roggio (LU) COSTABONA (RE) 10 luglio, ore 15,30 VENTURA DEL LEONE Compagnia di Costabona (RE) FOSDINOVO (MS) 10 luglio, ore 17 ARTACE - Compagnia di Sassi-Eglio (LU) ROMANORO (MO) 24 luglio, ore 15,30 IL BEL SECOLO PASSATO Csmpagnia di Frassinoro (MO) ASTA (RE) 31 luglio, ore 15,30 FIORAVANTE E RIZZIERI Compagnia di Asta (RE) FRASSINORO (MO) 31 luglio, ore 15,30 ROSANA - Compagnia di Gallicano (LU) NOVELLANO (RE) 7agosto, ore 15,30 IL CONTE DI MONTECRISTO Compagnia di Novellano (RE) GRAGNOLA (MS) 13 agosto, ore 17 BRADAMANTE E RE AMANSORE DI TURCHIA - Compagnia di Antona (MS) GAZZANO (RE) 14 agosto, ore 15,30 FRECCIA NERA - Compagnia di Gazzano (RE) COVA (RE) 20 agosto, ore 21 FERMINO - Compagnia di Gova (RE) il A u to ri V a n W h a t is Dance? A cura di R. Copeland e M . Cohen New Y ork, O xford U niversity Press, 1983 Cos’è la danza? Come definirne la natura e gli attributi? Come si insinua il processo della significa zione nella forma del movimento? I curatori di questo volume, che comprende 60 saggi, hanno tentato di offrire al lettore una serie esau riente di articoli sulla teoria e sulla critica della danza. Il risultato di questo sforzo è un’operazione mol to importante, vista la comune ritrosia dei critici verso la teoria. Infatti anche dopo il boom che la New Dance ha avuto in America negli ultimi deci anni, molti osser vatori la ritengono ancora immune da questioni più generali, a cui invece le altre arti vengono regolar mente sottoposte da anni. Il problema teorico della danza viene avvicinato da diverse angola ture. La questione aristotelica dell’i mitazione è al centro del saggio di Selma Cohen, mentre il critico russo André Levinson traccia lo sviluppo del dibattito fino a Mallar mé, citando lungo il cammino D i derot (una danza è una poesia). Sono molti i saggi importanti: tutti condividono la convinzione che die tro al movimento ci sia sempre una teoria, anche quando viene celata da forme artistiche cosiddette spon tanee. È dunque possibile pensare alla danza come ad un linguaggio, delinearne la psicoanalisi, isolarne la lettera come avviene con l’incon scio? Quali sono le unità minime di una sintassi del movimento? Sono queste le domande che ritornano più frequentemente nel testo, diviso in sette sezioni: la prima si propone di definire la danza, ed include fra gli altri uno scritto di J.-G. Navarre, coreografo del diciottesimo se- colo, ed un articolo di Nelson Goodman, filosofo di Harvard, pubblicato originariamente nel 1968. Le sezioni I I e III analizzano il rapporto della danza con le altre arti e tentano di definirne ilcampodi pertinenza artistica. La sezione IV, la più incessante, si occupa dei generi (balletto, danza moderna, danza post-moderna) ed include un articolo della coreografa Yvonne Reiner ed uno del musicista Steve Reich, che da molto tempo si occupa di balletto e danza moder na. Nella sezione V viene analizza to direttamente il problema del linguaggio in rapporto all’identità della danza (secondo Joseph Margolis, ad esempio, l’arte non è linguaggio), mentre la sezione VI, dedicata alla critica, è una raccolta di critti tra cui vale la pena citare un meraviglioso pezzo di Cari Van Vechten (scrittore, critico e fotogra fo degli anni 20) su Anna Pavlowa ed un articolo di Deborah Jowitt, del Village Voice di New York, su Martha Graham — un esempio tipico di critica americana. L ’ulti ma sezione, «Danza e Società», tratta dei valori non strettamente estetici della danza, e contiene tra gli altri form ai famoso saggio di Roland Barthes sullo strep-tease. Ogni sezione è preceduta da un’in troduzione dei curatori. La biblio grafia, divisa per sezioni, è suffi cientemente completa e di facile consultazione. Roberto Caglierò Il volume ($ 12.95) può essere richie sto direttamente a: OXFORD UNIVERSITY PRESS Orders Department 16/00 Polliti Drive Fair Lawn, NJ 07410 USA lib r o L IB R I R IC E V U T I (a cura di Anita Giaroni) Liana DE LUCA, Luoghi e tempi, GENESI editrice, collana «i gheri gli»: con la prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti e con una breve presentazione di Alberico Sala in sovracoperta, appare quest’itinera rio biografico della De Luca, itine rario i cui luoghi, trasposti in poesia, sono nazioni e città, ma il cui luogo primo è il mondo inte riore della poetessa. «Chi mi darà / la chiara serenità dei mattini / quando ero certa di realizzare / tutti i programmi a scadenze pre fisse?». Elisabetta Granzotto, Le interpre tazioni di questo gioco, Seledizioni editore, collana «Qui poesia con temporanea»: nella collana diretta da Franco Traili e con una nota di copertina di Carlo Laurenzi, vedo no la luce trenta composizioni poe tiche, esistenzialiste, musicali e iro niche: come un tentativo di nascondere l’ansia (che pure si vede). «La bottiglia è vuota / qual siasi dichiarazione / facessi a que st’ora / sarebbe usata contro di me». Gabriella Sobrino, Concertina, Lalli editore: in copertina, una figura femminile, opera di Leonida Repaci, dal titolo «Malinconia». La prefazione alla raccolta di poe sie è di Angela Sacripante, la tradu zione al testo inglese è di Giuseppe Cipolloni. Infatti, la poetessa ha chiuso in componimenti scritti in lingua inglese la sua malinconica e pur sempre tesa domanda del significato dell’esistenza. «I asked: shall we find / our way, some day? / You pressed my hand. / World was ours at that time. / Anything else lost significance». Dina Luce, Bentrovati tutti, Gar zanti editore, collana «i libri del quadrifoglio». Trentaquattro in contri (Oriana Fallaci, Enzo Biagi, Alberto Bevilacqua, Indro Monta nelli, Mario Luzi, Giulio Andreotti, Leone Piccioni, Luciano Luisi, Gianni Granzotto fra gli altri) di una donna che, oltre ad essere popolarissima tra gli ascoltatori RAI-TV, si è sempre mostrata ricca in umanità e intelligente nel com prendere. s in te r v is ta i D a lla «Fenice» d i V e n e z ia a l T e a tro N a z io n a le d i M ila n o C ( d C h l o a r i s k W o e » l r a l k u n a ) i a r o l y n C a r l s o n Intervista a C arolyn Carlson. «Chalk werk», ultim o suo spettacolo, ha suscitato critiche ed entusiasmi. U n nuovo problema: Q rapporto musica-coreografia La grande danzatrice e coreografa americana giunge in Italia nel 1980, al Teatro «La Fenice» di Venezia, per dar vita al «Teatro e Danza» e lì riesce a creare spetta coli di notevole originalità, analiz zando, con profonda impronta per- sonale, ogni istante e ogni aspetto della vita portata sulla scena in tutte le sue realtà e contraddizioni. Bisogna sottolineare che l ’esperien za avuta precedentemente in Ame rica (e in altre nazioni) le è servita per offrire al pubblico italiano un’alternativa valida al modo di «far danza», proponendo una ge stualità nuova e molto rigorosa. D al 1980 ha lavorato intensamente al suo primo spettacolo «Undici Onde» che è andato in scena nel 1981 con grande successo in tutta § in te r v is ta i Europa. I l 16 novembre del 1981, le nasce un figlio, Aleksi, e, con temporaneamente, cura il nuovo spettacolo «Underwood». Lo stile più evidente, mai dimenticato, della Carlson è la continua ricerca dei suoni della natura che si mischiano con le sonorità metalliche proprie della nostra società, giungendo ad abbinamenti perfetti fra suono e gesto. Attualmente «Chalk Work» ( l’orso e la luna) (del quale ripor tiamo due immagini) è stato dato in prima a Venezia al Teatro La Fenice e poi riproposto a Milano al Teatro Nazionale. In questo lavoro ritroviamo puntualmente le scelte coreografiche della Carlson, arric chite da una maggior attenzione per il gesto, che non cade mai nella staticità ma si modifica con un perfetto equilibrio. Quali le differenze fra il primo lavoro «Underwood» e «Chalk Work»? La differenza è già nel titolo: «Chalk Work» è più aperto e più astratto di «Underwood» che sugge riva immagini troppo forti al pub blico. Inoltre, questo lavoro è più maturo rispetto al primo, ma cioè è conseguenza logica del tempo. Quando crea un balletto ha schemi base prefissati e sempre uguali? Non ho nessun tipo di struttura precostituita e, quando lavoro, non guardo lo schema, ma presto atten zione unicamente alla verità e al messaggio che esce dalla mia idea originaria. Nei suoi spettacoli lascia spazio all’estemporaneità? Sì, ma è difficile spiegarlo, in quanto si lascia uno spazio lì al momento. Tutto ciò, più che ai passi, è riferito al «tempo» dello spettacolo. Infatti, ogni rappresen tazione ha una sua durata, e all’in terno di ogni movimento, ognuno, su una traccia precisa, ha la possi bilità di scegliere il tempo con cui eseguirlo. Possiamo quindi riprendere una sua frase, in cui affermare l’irripetibilità dello spettacolo? Sostanzialmente si. Tutte le volte si è diversi, poiché l’energia, la tensio ne sia dei ballerini che mia, nel momento in cui si apre il sipario, cambia continuamente. In quell’i stante, percepisco la misura della tensione che devo dare allo spetta colo. Soprattutto la danza è irripeti bile, é una delle espressioni mag giormente legate all’istante. Ultimamente, per il suo lavoro «Chalk Work» ha avuto alcune critiche non positive. Che ne pen sa? Non ho paura delle critiche, e ho trovato giusto che i critici abbiano espresso la loro opinione. Ma per me è stato importante andare in in te r v is t a «quando lavoro non guardo lo schema, ma porto attenzione unicamente alla verità e al messaggio che esce dalla mia idea originaria» scena e quindi avere il confronto con il pubblico. Quindi, da un lato, è stato difficile, ma, dall’ altro, mi ha offerto la possibilità di rendermi conto esattamente di ciò che non funzionava. Se dovesse ripetere lo spettacolo fra un anno come lo rifarebbe? Tra un anno, forse non mi interes serebbe più, forse avrei altre cose da dire. Questo pezzo è basato molto sull’intuizione e può essere che richieda addirittura un anno per arrivare alla sua forma definiti va, perché è un lavoro che occupa una parte della mia vita, per cui non posso dire esattamente quando sarà finito. Come concilia le proprie personali esigenze ed esperienze col fatto di dover creare ogni anno un lavoro per il teatro? La Fenice mi lascia abbastanza libera di gestire il mio lavoro in un lasso di tempo sufficientemente lun go. Di conseguenza, ho lo spazio per fare tutte e due le cose. Nei suoi lavori utilizza vari brani di numerosi compositori. Non ha mai pensato che fosse più semplice trovare un musicista che possa lavorare con lei? È l’ipotesi migliore, l ’ottimo poter avere un solo musicista che lavori all’interno del gruppo. Ma è un’im presa ardua trovare compositori che dedichino tutto il loro tempo per quattro, cinque mesi di lavoro a Venezia. Questa esigenza è da tempo che la sento e. infatti, negli ultimi mesi ho cercato di unificare il rapporto musica-coreografia. «Chalk Work» ha avuto molto successo a Milano. La coreografìa incisiva è un esempio del surrea lismo della Carlson (che la identifi ca in una corrente precisa, dove la proiezione verso il futuro è sempre dettata da un’analisi introspettiva). Non tralascia le ricerche di un mondo passato arrivando a concre tizzare un linguaggio personale che sottolinea il nostro vivere quotidia no. Adriano Bassi s c a le a g io r n o - fin e s tr e p e r te tt i s c a le a c h io c c io la (in f e r r o e d in le g n o ) s c a le r ie n t r a n t i - s c a le d i s ic u re z z a a n tin c e n d io & NUOVA DIMES s.r.l. via statale romana - provinciale per modena, 49 41016 novi di modena - italy - tei. 059/670155-670043 5 1 O i e c - M H =_<i Q a c 'L A M OLEO-MAC spa - 42071 BAGNOLO IN PIANO (R.E.) TEL. 0522-617226 - TELEX 531081 OMAC / I T A L I A O T S E G N A ] O A ;; t e a t r o : A l f e s t iv a l d i A v ig n o n e , p e r i l L o h e n g r in d i S c ia r r in o , G a b r ie l la B a r t o lo m e i C P Lohengrin O R M O E D U I G N I O «D i straordinario impegno la prestazione di Gabriella Bartolomei, nello sfibrante com pito che alla recitazione affianca l’urlo, l’invettiva i trasognati stupori, gli abbandoni (Il Giornale, 17 gennaio 1983, Guido Piamonte)». «La voce, che qui si serve dello strumento sbalorditivo di Gabrielle Bartolomei, ha effetti che lasciano senza fiato. L a Bartolomei si ascolta come un prodigio e la sua è stata una lezione di stile per definire la quale nessun aggettivo è bastante (Corriere della Sera, 17 gennaio 1983, D uilio Courir)». «La musica è in prim o luogo la voce straordinaria di Gabriella Bartolomei (Rinascita, 28 gennaio 1983, Luigi Pestalozza)». «Il repertorio di effetti sulla voce — possibili per la miracolosa bravura tecnica della protagonista Gabriella Bartolomei (L a Repubblica, 17 gennaio 1983, Angelo Foletto)». A lla Bartolomei, che è in partenza per il Festival di Avignone dove con la «Piccola Scala» di M ilano riprenderà il Lohengrin di Salvatore Sciarrino per la regia (o la scrittura scenica) di Pier Luigi Pieralli, abbiamo chiesto di parlarci della sua attività, dei problemi che riguardano oggi il fare teatro. Eppoi del teatro ufficiale, della notorietà, del suo lavoro svolto ai margini del «grande giro». te a tro So quello che intendi, ma non lo voglio considerare. In margine? Bah! Non so immaginarmi cosa significhi. Da quando ho comincia to con il gruppo dell’Ouroborus (nel 1967, nove persone quasi subi to ridotte a tre) ho sempre lavorato, lavorato, lavorato. In uno spazio ideale, senza compromessi, uno spazio in cui potevo riconoscermi e cercarmi. Cercare e trovare (non sempre, naturalmente) e riascoltare, trasmettere quello che si è trovato. Fino dai primissimi anni il nostro modo di accostarsi al teatro, che era poi un modo di vivere, era già abbastanza chiaro. Lo fu definitiva mente con «Morte della Geome tria». Ma torniamo alla tua domanda. La notorietà, certo sarà piacevole, ma immagino anche pesante, scomoda. In ogni caso dovrebbe essere vissu ta come un fatto a lato, e questo credo che sia impossibile. Ma quando parlo di grande «giro», trattandosi di teatro, intendo anche grande pubblico, verifica diretta. Non pensi che il tuo lavoro sia «difficile»? Per me sé, certo. Ma non nel senso che intendi, di élite. Certo che il pubblico contadi nostro lavoro è un d'are e un ricevere e tu vorresti comunicare a quanta più gente possibile quello che hai dentro, i risultati della tua ricerca. Ma poi devi andare avanti. Guarda, quan do preparo qualcosa, mi piace par larne fuori dell’ambiente teatrale, cosi come ognuno di noi racconta i problemi della propria vita; ne parlo con gente che con il teatro non ha niente a che fare eppure ti assicuro che c’è un’attenzione im mediata ai problemi — soprattutto quelli legati al «personaggio» — una partecipazione naturale che mi rinfranca e mi aiuta. Tutta la critica paria di te e della tua «voce» strumento. So che è impossibile fare delle distinzioni, ma quando ti prepari tu pensi prevalentemente a questo tuo mez zo straordinario, oppure... Dipende. Non c’è un caso identico all’altro. Ma come tu dici è impossi bile stabilire delle differenze. Tutto deve venire dal centro di te. Dall’es sere direi se la parola non sembras se grande; ma non so trovarne una più adatta. Sì, dall’essere. In questo modo le differenze si ricompongo no, tutto va a posto da sé. La voce, il gesto, il corpo, i movimenti, ogni fatto è assorbito dal tutto come succede nella realtà. Permettimi di insistere sulla «vo ce». Del resto il vostro gruppo è stato tra i primissimi a servirsi di trasduttori. Microfoni e relativa amplificazione sonora. Questo è un punto importante, certo la voce è un fatto a sé, che il microfono aiuta a leggere, come si legge il pensiero, ogni minima cosa. Bada bene che non credo all’amplifìcazione come un mezzo per ingi gantire, ma penso piuttosto a un mezzo che ti avvicini alla cosa. Per leggere un certo mondo ci vuole il microscopio, uno strumento che ti consente di esplorare in profondità, non in estensione, Quindi non si tratta di gonfiare, ma di analizzare, di cogliere dello strumento vocale ogni aspetto. A proposito di voce e di vocalità, mi pare che si debba parlare di questo Lohengrin che la Piccola Scala porta a Avignone. Trattando si di un’opera, se la classificazione ti sembra legittima, come hai vissu to questa esperienza? Non ti sei sentita «cantante»? No, assolutamente no. Non ci sono Morte della Geometria te a tro : Giulia Round Giulia differenze. Ci sono dei problemi da risolvere e io mi ci metto davanti come sempre. Nessuna memoria operistica quin di? No, pensa, non ho nemmeno riascoltato il Lohengrin di Wagner. Del resto un’opera è scritta avanti, si lavora in tutti i casi su un testo che preesiste. Con Sciarrino ho lavorato in modo diverso e difficile da raccontare. Sciarrino mi ha proposto questo Lohengrin, ovvero Elsa. Poi ho avuto in mano un «collage» del lavoro di Laforgue che Pier’Alli mi aveva preparato. L ’ho letto tenendo conto del mondo di Sciarrino che sento molto vicino al mio. L ’ho letto e non mi è piaciuto, per questo l’ho messo da parte aspettando che questo materiale troppo denso e ridondante per il mio gusto si decantasse, che qualcosa, magari anche una singola parola, si distin guesse dal resto. In questo modo si facevano luce i primi fermenti. Per esempio rammento bene come una specie di tema ricorrente il fruscio, il mondo del fruscio e la voglia di interpretarlo di sentire quello che sta sotto, di afferrarne il segreto. Allora la musica non era ancora scritta? No, no, ancora niente Sciarrino. Si sapeva che avrebbe dovuto farla. Intanto io lavoravo intorno a que ste idee di suono (in quanto anche generatrici del gesto, della situazio ne scenica e viceversa), un nastro che avrei proposto a Sciarrino. Lui mi indirizzò subito a un suo modo di lavorare, meno affannoso e me no drammatico del mio. Lui mi ha fatto sentire come a ogni suono si potesse andare più addentro, dilata re l’esperienza, costringendomi a capire il circostante che è testimone di ogni avvenimento, un testimone che fa da eco, che a volte spinge all’azione. Un po' alla volta le idee si sono formate andando ognuna ad occupare un posto preciso nel comune progetto. A questo punto è intervenuto il musicista. Un capovolgimento allora? Sì, io direi di si. Si trattava di accettare le mie proposte i suoni che avevo scoperto. Sciarrino ha lavorato su quasi tutte le mie indicazioni (sonore, non ancora musicali) e questo mi ha fatto bene. C’era un ricordo della mia vita al quale tenevo molto: il suono delle campane che aveva riempito la mia infanzia; un'atmosfera, un modo di ascoltare e di percepire, un’espe rienza vissuta che alla fine dell’ope ra diventerà un'aria, l'unica scritta secondo le regole della notazione musicale. Bene, ma parliamo anche del testo (se non vogliamo dire della «tra ma») di questa opera. Si è parlato molto della intercambiabilità del personaggio Lohengrin-Elsa. Tu cosa dici? Intanto esiste sempre un tuttuno, se ci si allontana dalle cose, dalla molteplicità, per vedere l’insieme ci accorgiamo che il due non esiste. Trattandosi infine di un amore è anche giusto che ci sia questa interezza. L ’unico personaggio di cui si può accertare l’esistenza è Elsa, tutti gli altri, Lohengrin com preso, passano come apparizioni, come figure, come immagini del sogno di Elsa. Forse nemmeno Elsa esiste e io impersono soltanto que sto sogno. La «trama» conta poco. La cosa essenziale è che al centro c’è questa creatura che compie un’esperienza. Tutta la vicenda è un mezzo perché questo accada. Un'esperienza com piuta nel sonno o nel delirio, che sono entrambi stati dell'essere. Elsa conclude con una voce di bambino, ma non é un ripiegamento è qualco sa che va oltre. Il fatto importante è che lei ha conosciuto, è uscita, ha superato se stessa. Non per nulla l’ultima paro la che dice è gioia. Forse è un caso, ma quando un lavoro è affrontato e risolto dal profondo tutto sembra per caso, come tu vedi accadere nella natura e nella vita. Roberto Coppini IL N E W Y O R K C IT Y B A L L E T D A N Z A PER G E O R G E S C O M P A R D I G A E S A U N N I O G e o rg e B a la n c h in e è d e d ic a t a la s t a g io n e e s tiv a d e l N e w Y o rk C ity B a lle t, a p o c h i m e s i d a lla s c o m p a rs a g ra n d e c o re o g ra fo . d e l d a n z a i Stravinski: «Vedere una coreografia di Balanchine è ascoltare la musica con gli occhi» G eorgi M e lito n o vich Balam chivadze nasce a P ie trob urgo nel 1904, fig lio d i un com positore entra nel m ondo della danza casualmente. Dopo essersi d iplo m ato alla Scuola del B a lle tto Im p e ria le della sua città, si iscrive al C onservatorio per in tra p re n d e re la ca rrie ra di pianista. Nel 1924 lascia la Russia e, cam biato i l nome, entra nella scuola del balle tto russo di Serge D iaghilev a P arigi. N el '33 a rriv a negli S tati U n iti e fonda, insiem e a L in co ln K irs te in , una com pagnia inizialm ente denom inata School o f A m erican B alle t, tra sfo rm a ta poi in B a lle t Society (1945) e finalm e nte nel famoso New Y o rk C ity B allet. Lavora in o ltre per i te a tri d i B road w ay e di H o llyw o o d . C oreografo assai p ro lific o , crea 170 b a lle tti, (quasi tu tti per il N YCB) 50 dei qu a li sono considerati tra i la v o ri più b e lli del nostro secolo. Si sposa q u a ttro volte sempre con bellissim e ballerine. Ciò che lo rende veram ente grande è il suo essere m usicista o ltre che coreografo: non si lim ita a rappresentare m usiche che rie n tra n o nel re p e rto rio classico del b a lle tto (per esempio T chaikovsky, suo connazionale) ma è interessato alla m usica del suo tem po (la collaborazione con S travinsky du re rà m o lti anni), e non tralascia neppure le avanguardie m usicali (Jannis X enakis e a ltri). Certo il suo m erito m aggiore, per il quale ancora oggi a p iù d i due mesi dalla sua scomparsa (N ew Y o rk , 30 a prile) i m edia am ericani continuano a ric o rd a rlo , è non solo quello d i aver donato a questa nazione una nuova fo rm a d ’arte ma di aver fa tto della danza u n ’arte am ericana. N on è stato necessariamente per com m em orare la m orte di Balanchine che il New York City Ballet ha rappresentato i suoi balletti in questa stagione. Già prim a della sua scomparsa È uscito un catalogo delle opere d i B alanchine, Choreography by Balanchine: A Catalogue of Works p u b b lica to dalla Eakins Press. $ 75. II volum e può essere richiesto direttam e nte alla casa e d itrice (155 E. 42 St., New Y o rk, N .Y., USA). Questo la voro contiene una cronologia, una b ig lio g ra fia ed enfatizza i d ive rsi aspetti delle p ro d u zio n i d i Balanchine. il cartellone prevedeva una den sa serie di appuntam enti con il grande coreografo («Agon» di Stravinski, «Concerto Baroc co», «Sinfonia in Do» di Bizet, «D ivertim ento n. 15» di M o zart). Certamente, il m ondo del la danza ha perso uno dei suoi più prestigiosi artefici e gli Stati U n iti in particolare si trovano privati di colui che ha fatto d e ll’Am erica la patria del bal letto classico. Balanchine, russo di nascita, ma newyorkese di adozione, sosteneva che la Rus sia, a differenza d e ll’America, fosse il paese del balletto r o mantico. D i quest’u ltim o non aveva dim enticato l ’eleganza, integrata però con le qualità che riteneva pro p rie del tempe ram ento am ericano: l ’energia, l ’atleticità, la carica esplosiva. Con Balanchine nasce dunque un tip o di balletto rivo lu zio n a rio , che rifiu ta le convenzioni del diciannovesimo secolo, e li m inando gli eccessivi v irtu o - sismi, abolendo la figura del p rim o balle rino e rivalutando così l ’intero corpo di ballo. È il m ovim ento che determ ina le em ozioni dello spettatore, e non la narrazione. 1 corpi dei b a lle rin i diventano sculture v i venti, le im m agini visuali della musica e non del racconto. « Il com positore è l ’architetto del tempo. La musica è il pavi mento su cui si danza». Questa frase di Balanchine, è essenziale per capire lo sviluppo della sua arte. È la musica che determ ina la form a, il testo e il tono della coreografia, ma ciò non im plica nè u n ’interpretazione, nè u n ’i l lustrazione dello spartito. La corrispondenza tra musica e m ovim ento è totale, tanto che Stravinski stesso dirà che «vede re una coreografia di Balanchi ne è ascoltare la musica con gli occhi»; la sua o riginalità in fa tti è stata quella di rendere visibile la musica. Fondendo la bellezza del m ovi- mento con l ’arm onia musicale Balanchine ha creato la storia del balletto del nostro secolo. Tutta la coreografia moderna gli è debitrice; anche coloro che lo accusavano di freddezza, per l ’estremo classicismo delle sue creazioni, sono stati costretti a fare i conti con le sue innova zioni. Le sue doti di m issionario della danza e di lavoratore in fa tica b i le rim angono vive nella testi monianza del New York City Ballet (che, nelle foto, vediamo in «Agos» di Stravinski ed «Episodes» di Webern), uno dei corpi di ballo più famosi del m ondo, che per cinquanta anni ha continuato ad evolversi sotto la direzione del grande mae stro. Carla Ferrare s ia s to r ia T ra p o s tu m i e in e d iti B O T E N C A C V E H I N T U R A L e o p e re p o s tu m e , g li s c r ì t t i in e d it i, i l f a t ic o s o l a v o r o d i r is is t e m a z io n e d e i D i a r i : d i c iò r a c c o n t a M ic h e l i n a T e c c h i ( n ip o t e e s t r e t t a c o lla b o r a t r ic e d e l g r a n d e s c r it t o r e ) , c h e h a concesso anche d i p u b b lic a r e le f o t o g r a f ie d i q u e s to s e r v iz io , p e z z i u n i c i d e ll’ a lb u m d i f a m ig lia . l'ultima fotografia a Bonaventura Tecchi, davanti al camino a Bagnoregio. I I ila s to r ia i Roma, 3 marzo 1965, sera Da un articolo di Bocelli nel Mon do su Leopardi senza meta traggo questa citazione presa da Walter Binni: «Se coraggio, vigore intellet tuale, coscienza morale non fanno di per sé poesia, la grande poesia non sorge che sul coraggio della verità, sull’intera partecipazione al la storia degli uomini e su di una grande coscienza morale». Sono le parole che io dico sempre, che ripeto a tutti i miei amici e che sono state scritte cento volte su questi quaderni. Anzi ne sono il nucleo. Bonaventura Tecchi, Diario inedito Quando venne a mancare, il 30 marzo 1968, mio zio Bonaventura Tecchi era in pieno fervore di attività, sia come narratore che come critico e germanista. Lascia va così un’ampia messe di studi e di lavori inediti che — nel corso di questi ultimi quindici anni — sono stati in gran parte pubblicati e hanno permesso di conoscere quasi compiutamente le opere creative e le pagine saggistiche di una perso nalità non certo di secondo piano nel panorama della letteratura ita liana del Novecento. È da sottolineare inoltre che i volumi postumi e gli inediti di Tecchi rappresentano un’ulteriore testimonianza della sua presenza viva nel campo dell’arte e possono suggerire nuove prospettive per raggiungere quel che Mario Pomilio reclama per Tecchi all’inizio del recente articolo a lui dedicato (Il Tempo, 1.4.1983): «una giusta col locazione critica». Anche Silvana Marini, autrice di «Tecchiana Bibliografia degli scritti di e su Bonaventura Tecchi» (Longo Edi tore, Ravenna 1980), nella conclu sione dell’ampio saggio che precede la ricchissima bibliografia, afferma a questo riguardo: «Tecchi rimane per la critica un problema aperto». Riferirò dunque sulle sorti e la situazione attuale delle opere postu me e degli inediti di mio zio, senza accennare ad analisi critiche, che a una nipote certo non spettano. Poco prima di mancare, Tecchi stava apportando le ultime corre zioni alle bozze de «Il senso degli altri», una raccolta di saggi e meditazioni, dal titolo emblemati co, in quanto richiama uno dei temi più significativi della sua vita di scrittore e di uomo: il superamento di ogni forma di egoismo nella comprensione e nell’amore per gli altri. Il libro apparve alcuni mesi dopo la scomparsa dell’autore (Bompiani, Milano 1968). Verso la fine del 1967, mio zio aveva affidato, sempre alle Edizioni Bompiani, un nuovo romanzo, a lui particolarmente caro: «La terra ab bandonata», che fu pubblicato nel 1970. In quelle pagine, egli affron tava un argomento di viva attuali tà: lo scontro fra la civiltà contadi na in estinzione e la nuova società tecnologica, problemi e talvolta drammi che aveva a lungo studiato ila da vicino e intimamente sofferto. Nel 1975 esce, presso l’Editore Sciascia (Caltanissetta - Roma), un libro di germanistica: «Svevi mino ri», che — come l’autore precisa nell 'Avvertenza — é da intendere quale prosecuzione dell’altro: «Svevia, terra di poeti» (Sciascia. 1964), dedicato ai grandi poeti di quella regione. Il dattiloscritto di questo volume era stato consegnato da Tecchi stesso al direttore della collana, Arnaldo Bocelli. Tornando al filone della narrativa, dobbiamo far presente che mio zio aveva preparato per le stampe an che una raccolta di raffinati e magici racconti: «Resistenza dei sogni». Un genere letterario — quello della novella — in cui egli era maestro e che qui raggiunge spesso i suoi toni più alti. Il libro fu pubblicato nel 1977 dall’Editore Boni, Bologna. Quando la morte fermò per sempre la penna di Bonaventura Tecchi, l’ultimo romanzo, «Tarda estate», era già dattiloscritto con le corre zioni autografe dell’autore. L ’opera aveva ormai raggiunto la sua com piutezza e autonomia ed era oppor tuno, anzi necessario pubblicarlo (Bompiani, Milano 1980) per dare una conclusione all’arco narrativo di Tecchi, alla sua lunga carriera di scrittore, che qui ripropone la sua rara capacità introspettiva, la sua appassionata ricerca di umanità, la sua alta tensione morale. Appena un anno dopo, il romanzo usciva nella traduzione tedesca (Werner Classen Verlag, Zùrich und Stut tgart 1981). A ltri studi Tecchi aveva intrapreso e quasi portato a termine negli ultimi mesi di sua vita: particolar mente un volume su Goethe novel liere, che comprende la traduzione di alcune famose novelle di Goethe e un ampio saggio critico al riguar do. E c’è ancora un altro romanzo: «Prigionieri in marcia», scritto negli anni 1953-54-55, che l’autore avrebbe dovuto prendere nuovamen te in mano e rivedere. s to r ia : 20-23 settembre 1954 a Riva del Garda per un premio di germanistica. Con Tecchi. sono: Diego Valeri, Ladislao Mittner, Stefan Andres alla fondazione Cini a Sanremo nel suo studio, a Roma. ila due foto di Tecchi al Premio Campiello, di cui fu unico presidente fino al 1968. Tra gli altri, Mario Valeri Manera, Edilio Rusconi, Nicola Lisi, Michele Prisco. s to r ia i Ma anche l’archivio di Tecchi ci riserva sorprese di vivo interesse. Il professor Giuliano Manacorda del l’università di Roma ha accurata mente esaminato con i suoi assi stenti una parte del carteggio di Tecchi e, come primo risultato di questo lavoro, uscirà nell’autunno del corrente anno, presso l’Editore Garzanti, un volume che raccoglie le lettere indirizzate a Tecchi da Carlo Emilio Gadda. L ’amicizia di Gadda e Tecchi risale, come è noto, agli anni della prigionia a Cellelager durante la prima guerra mondiale. Successivamente verran no trascritti e studiati altri impor tanti nuclei del carteggio di Tecchi. Il lavoro più complesso e difficile rimane tuttora quello che si rife risce al «Diario» dello scrittore. Egli desiderava che una scelta attenta di quelle pagine fosse pubblicata dopo la sua morte. Si tratta di numerosi taccuini e quaderni — parecchi scritti a matita e sbiaditi — com prendenti un periodo che va, salvo rare interruzioni, dal 1918 alla vigilia della morte. Con grande impegno e con una non lieve fatica di anni, il «Diario» è stato trascrit to. Abbiamo ora circa 4.000 cartel le, sulle quali non sarà facile opera re una scelta: ma ci auguriamo di riuscire ad assolvere in un futuro non troppo lontano anche questo arduo compito. E proprio con una riflessione di Tecchi, fermata in un foglio del suo «Diario» inedito, desideriamo con cludere le nostre note, poiché tale pensiero rispecchia con luminosa chiarezza la personalità dell’uomo e dell’artista. Roma, 3 marzo 1965, sera Da un articolo di Bocelli nel Mondo su Leopardi senza meta traggo questa citazione presa da Walter Binni: «Se corag gio, vigore intellettuale, coscienza morale non fanno di per sé poesia, la grande poesia non sorge che sul coraggio della verità, sull’intera partecipazione alla sto ria degli uomini e su di una grande coscienza morale». Sono le parole che io dico sempre, che ripeto a tutti i miei amici e che sono state scritte cento volte su questi quaderni. Anzi ne sono il nucleo. Michelina Tecchi ¡ in te r v is ta i Ü N P R IN C IP E , U N O N E L C U O D I R O M SC U LTO R E, U N UOM O R E A E lis a b e t ta G r a n z o tt o p a r l a c o n G io v a n n i L a n c e llo t t i: i g r a n d i te m i d e lla s to n a , la C h ie s a , G io v a n n i P a o lo I I , a n s to c r a z ia e p a p a t o , P a rte e i l successo. G iovanni Massimo Lancellotti scultore. Vous êtes le bustier des Rois et de même le Roi des bustiers. Sorride al gioco di parole, insisto: et aussi prince, princeps romanus. Eleganza rilassata, curiosità e viva intelligenza critica per ogni aspetto d e ll’esistenza, a u to iro nia, fascino. Le sue opere, alta espressione del dolore vissuto in solitudine: segnali vibrazioni suoni, sono: al Museo Storico di Roma, al M e tro p o lita n A rt Muséum di New York, a ll’ Ishi Bashi M u séum di Tokyo, al Museo del C inquantenario di Bruxelles, in varie collezioni private (Parigi, Londra, Rio de Janeiro, Stoc carda, New York, San Fran cisco, Canada). I l busto ufficiale di Pio X I I appartiene ai Musei Vaticani. Sono andata da lu i a chiedere di to n i, di im pulsi, di interpretazioni. Perché sei conosciuto e q u in d i hai successo d ire i più a ll’estero che in Italia? O ddio, la dom anda è un m o m entino imbarazzante e la r i sposta è che sono fig lio di padre rom ano e di madre belga, edu cato interam ente a ll’italiana, p u r essendo im m erso c u ltu ra l mente nel contesto europeo, in più con sette lingue a ll’attivo fin dalla prim a gioventù, non ho avuto paura di b u tta rm i a capofitto nel lavoro dovunque e non ti nascondo che la mia am bizione in vecchiaia sarà di poter dire: « H o portato nei nostri g io rn i un poco d e ll’arte latina nel m ondo». H a i com inciato dipingendo? hai com inciato disegnando? o hai com inciato direttam ente con la scultura? N on sapevo esattamente che cosa fossero, a q u e ll’epoca, la scultura e la p ittura, anzi m e glio il disegno, im brattavo di plastilina, fin d a ll’età di tre anni, tutta la casa. H o disegna to sempre. Una volta scelta la scultura, ovviamente, il colore 10 traducevo in om bre e luci dosandole al fine di significare l ’intensità, la magia del colore. Q uando hai scoperto di avere talento ? Avevo dieci anni. Abitavo dalla nonna nelle Fiandre. Era una giornata calda, mediterranea, e venne a trovarci l ’Ambasciatrice d ’Italia. I genitori l ’accom pagnarono a visitare gli edifici e i monasteri del luogo e così fin im m o in una chiesa dedicata alla M adonna, già meta di pre ghiera per il santo belga G io vanni Bergmans. Tale chiesa la conoscevo a m em oria perciò m i astenni dal seguirli. Invece in c i devo in un pezzo di candela la M adonnina spagnola rivestita di seta d e ll’altar maggiore. U n i co arnese di lavoro la stanghet ta d e ll’occhiale, che da ragazzinaccio ne avevo rosicchiata tu t ta la celluloide, lasciandone so lo la punta metallica. A lla fine, raggiunto dal gruppo, l ’A m basciatrice m i chiese dove avessi com prato il lavoretto che avevo per le mani. «N o» dissi. « L ’ho fatto io». Ma costei, incredula, si rivolse a m ia madre: «Dice che l ’ha fatta lu i, non m i sem bra possibile». A l che mia m a dre, con gentile severità indaga va dove l ’avessi acquistata. Io, di rim ando : «M am mà, siamo lo gici; non m i dai mai una lira (in quel caso, un franco), ma come vuoi che l ’abbia potuto com prare?». Q u in d i, risate. Scusa, non trovi Elisabetta che 11 giusto sta sulla bocca degli ingenui? In sostanza, diciam o così, quella fu la m ia prim a realizzazione. E fin da allora mi sono sempre detto: la M adon nina non mi abbandonerà. Nel corso degli anni, ho seguito anche altre strade, ma sono sempre tornato alla scultura; la m ia strada è p ro p rio quella. Perché vivi solo? H ai scelto di vivere solo? N on è stata una scelta. È una cosa consequenziale, se uno mette su una fam iglia e ha dei fig li, deve occuparsene assolu tamente. Ora, nel caso in cui avessi creato una fam iglia mia, ^ in te r v is t a avrei il sacrosanto dovere di occuparmene, di sacrificarm i per i fig li. Sentiresti prevalente la funzione d i padre rispetto a qualsiasi altra funzione. O ddio, non ho m ai posto que sti ragionam enti sulla bilancia. No. Nel caso avessi avuto dei fig li, trovo che sarebbe stato m io dovere p riv ile g ia rli a tutto il resto. Bisogna sostenere le p ro p rie responsabilità. A l b ivio fra la carriera e i pro b le m i d i attenzione nei con fro n ti dei fig li, tu avresti scelto, q u in d i, l ’attenzione ai fig li? N on si sa mai, perché ci sono tanti fa tto ri che ti portano a conclusioni che in partenza era no state scartate, (jla c’est la vie. So bene come conosci te stesso, e quali sarebbero le tue scelte in qualsiasi occasione. Muchas gracias señora, però non so: l ’artista che conosce se stesso credo che ancora deve nascere. H a i seguito qualche scuola? scultori famosi? Sì, ho avuto dei grandissimi maestri anche anonim i, vivi nel le lo ro opere, fossero p u r m o rti da m igliaia di anni. Trascorrevo mezze giornate al Museo Capi to lin o e delle Terme e a quello di Atene, per assorbire i mes saggi, che dal m arm o scaturiva no, di questi grandi psicologi che erano i ritra ttis ti rom ani. A me piace o m eglio m ’interessa l ’essere um ano che m i possa arricchire. Questo è il fondo della questione. È l ’essere um a no filtra to d a ll’esperienza di questi grandi artisti che io am m iro e che conoscerò forse solo n e ll’aldilà, che sono m o rti m i gliaia di anni fa e che sopravvi vono nei m arm i. È stata la m ia ricchezza, la m ia spina dorsale nel lavoro. Tu sei completamente alieno dal messaggio sim bolico fra gli addetti ai la vori, in fa tti hai l ’a spetto diciam o d i persona asso lutam ente norm ale. T rovo che l ’artista deve essere se stesso, senza la m in im a so vrastruttura esteriore, reclam i stica e interessata. Che poi l ’im maginativa, la sensibilità lo p o rtin o , come posso dire, a delle astrazioni e a delle distra zioni (p u rtro p p o l ’artista ne ha tante nella vita, specie oggi), ciò è il rovescio della medaglia. Sì, però, la gente vuole degli schemi rip e titiv i, vuole essere rassicurata, un artista veste le physique d i ròle. Ma, io allora, dovrei m etterm i, come posso dire... Rassicurerebbe di più. D ’accordo. D ’accordo. Ma io non sono di quella m entalità: dovrei adottare le suddette so vrastrutture respinte, e, grazie a Dio, posso dire, col m io m ode stissimo lavoro, di non essere m ai sceso a compromessi. La camicia sbottonata, la co lla na di corallo, il pendaglio, l ’o recchino a ll’orecchio sinistro, il capello lungo riccio... Capello lungo: ci sono pochi spinaci rim asti, ma il riccio in fondo c’è, se è per questo... G li occhiali affum icati, la m an tella a ruota nera e, soprattutto, le ciarle... Be’ , allora, se è per questo sono più à la page. H o gli zoccoli ortopedici del d o tto r Scholl’s per sostenermi durante le lu n ghe ore di lavoro. E non va bene. Ecco perché lo scultore Lancellotti non si fa conoscere abbastanza. Se fosse solo questo... La verità è che in più non sono iscritto a S.A.S. Nathalie de Groy, Principessa di Mérode Westerloo ^ in te r v is ta un p a rtito influente. Anche questo è il diniego di un sim bolo. M a io sono contrario al p o liti carne nel lavoro. E poi sono geloso; la m ia scultura non è soltanto ciò che si vede; essa si basa su tu tto un substrato psi cologico. Io devo u b b id ire agli im pulsi che ricevo, im pulsi non soltanto artistici, ma della psi che, del num ero, d e ll’in dividuo che ho davanti e che sto per realizzare in pietra in m arm o in terracotta in cera in bronzo o in resina sintetica (che dà risultati stupendi). G iovanni, fissiamo il concetto che, m entre la gente ha bisogno d i essere rassicurata, perché cerca segnali m entali per ric o noscere l ’in d ivid u o , l ’artista si curo di se' non è obbligato a fo rn irli, non ha bisogno d ’im m ischiarsi in un certo cliché. Quale artista è sicuro di se stesso! N on lo è mai, il giorno che costui ritenesse di avere realizzato u n ’opera perfetta, m eglio sarebbe per lu i andarse ne a vendere le caldarroste a piazza Pollarola. La mente del l ’artista dice dieci e la sua mano riesce soltanto a realizzare uno: c’è sempre lo sprone a m ig lio rare, a soffrire per arrivare alla perfezione. V o rrei giungere al nocciolo di tale argom ento: il m io lavoro deve essere di one stà, non farcito di atteggiamenti esteriori e se io valgo qualcosa, è per aver raggiunto una q u a li tà, non per l ’atteggiamento che prendo; m i spiego? Questa è onestà verso me stesso e verso i lavori che riesco a portare a termine. Su questo punto sono draconiano. Preferisco rim ane re nella soffitta che andare in giro iscritto nei p a rtiti XYZ. N on transigo: peggio per me. Q u in d i non vuoi portare il cer vello a ll’ammasso. Brava, p ro p rio così ! Il cervello a ll’ammasso assolutamente no. C’è a tuo rigua rd o un fenom e no tipico d ’inversione. N on il principe mecenate d e ll’artista che fa spettacolo; ma un p rin c i pe con i calli alle m ani. È un fenom eno curioso. Io non farei del classismo. Scu sami, ma al posto tuo io m i interesserei piuttosto di vedere a quali form e, a quali scuole io m i ispiri. E ti risponderei: la scuola classica. Però, un m o mento, sia ben chiaro solo nel senso in cui m i definivano in America, cioè contem porary classical. C ontem porary classi cal, perché devi vivere, devi creare qualcosa anche oggi nel l ’arte (sia nel ritra tto come nella S.A.R. Diane de France, Duchessa di Württemberg - Castello d’Altshausen ^ in te r v is t a composizione); devi dare del tuo, se hai qualcosa da dire, naturalmente. Dev’essere con tem porary classical. Aristocrazia e lavoro: cosa ne dici? L ’aristocrazia, se p ro p rio vuoi parlarne (tu sai che sono con tra rio a confondere le questioni n o b ilia ri con quelle artistiche) è una cultura, una tradizione, una cosa che hai volente o nolen te nel sangue, una form a m en tis. N o n è un atteggiamento esteriore che accetti o r ifiu ti. Per quanto m i riguarda, aborro il facile populism o reclamistico ed altrettanto non esalto in tal sede questioni n o b ilia ri, perché aristocrazia e lavoro, ripeto, so no due questioni tra lo ro ben distinte. Però, se il suddetto retaggio è sincero e autentico qualitativam ente, darà al lavoro u n ’altra possibilità. I l tuo Pio X I I opera estremamente significativa è esposto nei musei vaticani. D opo di lu i non hai scolpito a ltri papi; perché non ti sono stati richiesti? p e r ché non ti interessavano? cosa pensi com unque degli u ltim i pontefici? N on è che non m i siano piaciuti gli a ltri papi, perché considero la m ia statura di uom o come tanti a ltri non a ll’altezza di p o ter giudicare o m eglio criticare l ’operare dei papi, un G iovanni X X III o un Paolo V I e via discorrendo. Io ho avuto m olta sim patia e am m irazione anche per gli altri, ma soprattutto per Pio X I e Pio X I I ; per l ’attuale, poi, non ne parliam o, perché, per il m io modesto parere, que st’uom o ha l ’ingenuità la sem plicità della fede vera di un G iovanni X X III: lu i parroco di un paese diventato poi un Pon tefice e, l ’attuale, da Pontefice Pio XII - Musei Vaticani diventato parroco del m ondo sano. Per quel che m i è dato comprendere, a m m iro la forza d ’anim o, la preparazione (io non sono un teologo né specia lizzato in cose di questa portata) di un uom o che, come lo d e fi nisce André Frossard, un critico che ha scritto la sua vita, c’est un homme qui vient du fro n t, q u in d i preparato alle tensioni attuali. G iovanni Paolo II ha un tale carattere che, in cinque anni di pontificato, ne dim ostra ben di più, per le responsabilità del suo lavoro: lo considero della forza di un Pio X I per la fede e viceversa, in quanto a com battività e per fin i — preci so — puram ente sp iritu a li e non certo di ingrandim ento di co n fin i te rrito ria li, della forza del rinascim entale G iu lio II del la Rovere. Prova ne sia il suo in te r v is ti II Presidente Roland Redmond Metropolitan Museum (New York) u ltim o viaggio in Polonia. M o lto bene. D ’accordo. G iovanni Paolo II affronta con estrema semplicità anche quel tipo d ’uom o che critica il Papa, perché non se ne sta abbastanza a Roma. Ma lu i è parroco del m ondo, lu i chiama a sé, unico uom o, le popolazioni del m o n do sano. N on credo di esagera re né di com plicare l ’argom en to. Lo dice un p o ’ brutalm ente, forse, ma il papa ha tanti e tali esempi nel clero di persone che anziché aiutarlo gli com plicano la vita! Il clero olandese: ci sono le donne che danno la com unione, nelle chiese o la n desi. Roba da far aggrinzare i denti. E in Francia. Il clero francese crede di essere sempre a ll’avant garde di tu tto : sì, ha realizzato anche form ule p o s iti ve (ad esempio, tra l ’altro, non si dim entichi della messa ve spertina del sabato, quale solu zione al problem a del la vora to re cattolico praticante), ma ha fatto anche tante di quelle nouveautés, nouveautés, nouveau- tés, per carità di Dio... p a rlia m oci senza veli davanti agli occhi. D ifficile affrontare il problem a d i m onsignor Lefevre? Un fenom eno come m onsignor Lefevre non poteva fio rire , se così vogliam o dire, che in un parterre di spiccato stampo di clero gallicano e, lì, a Econe, accorrono da tutte le parti del m ondo, dal Sud Am erica e da ogni dove. H o conosciuto dei giovani che sono usciti da Eco ne giustamente, a giusto titolo, ^ in te r v is t a ; ma che hanno avuto, a dispetto di alcune lacune, una prepara zione m o lto ma m olto seria e profonda. Da quanto m i risulta non è stata una iniziativa b rilla n te a l lontanare l ’aristocrazia dalla curia pontificia. «A h! questi aristocratici!» sono i francesi a d irlo al m om ento del C oncilio Vaticano II. Se l ’allontanam ento di queste an tiche fam iglie fosse stato voluto nel più oscuro dei secoli m edie vali, lo avrei p o tuto capire, per ché, a q u e ll’epoca, non sempre ma spesso, erano b ru ta li mate ria listi. Ma Roma non è stata fatta in un giorno. G li attuali discendenti di dette antichissime fam iglie romane è grottesco considerarli alla stregua e non esito ad affermare che, negli u ltim i secoli, sono stati dei v a li dissim i sostenitori del papato. Nel 70, per fare un esempio, m io nonno, come tanti a ltri, al p rin c ip io del regno, praticamente ha rinunciato a vivere con tu tti i p o n ti d ’oro dei Sa voia p u r di rim anere fedele al santo padre in esilio. E così m io padre: negli u ltim i anni, par lando del papa si commuoveva alle lacrim e e nei suoi testamen ti ci rico rd ò il dovere della fedeltà al padre comune. È semplicemente a rb itra rio para gonare l ’attaccamento al papa dei romani neri al piatto di pasta asciutta quotidiana. N o n era il caso dunque di sostituire degli specialisti anche tecnici, per convinzione e voca zione, con una incerta nouvelle vague ? Questi discendenti hanno il più delle volte per eredità e soprat tu tto per convinzione, una sen sib ilità naturalm ente im p licita e disinteressata di ferm o attacca- mento alla persona del papa; è vero, oggi sono stati allontana ti: va be’ , i tem pi sono cam bia ti, ma la fedeltà, se uno la sente veramente, non scompare. E dopo i regni dei Loris C apovil la, dei m onsignor Macchi a noi decisamente contrari e, dicia m o lo apertamente, i nostri allonta natori dalle vicinanze del papa, viene da chiedersi: chi ci rimpiazza? I l neo-nepotism o dei m onsignori e relativi racco m andati ? D ’altro lato, questo santo padre ha una carità talmente m o ndia le che siamo convintissim i che c’è un posticino anche per noi. Q ualcuno parla ironicam ente di un papa viaggiante. G iovan n i Paolo I I sappiamo tu tti che è m oralm ente e fisicamente p ro vato, q u in d i per lu i i viaggi sono un m a rtirio e un vero apostolato di fede. Si, parliam o del suo pelle gri naggio n e ll’Am erica Latina, terra di grande miseria, là dove l ’unico grande baluardo s p iri tuale a ll’invadente m ateria lism o storico è la fede cattolica del popolo. Se si tiene conto di quanto certa stampa non tace e in o ltre in base a testimonianze dirette di esuli sud-americani così come risulta da relazioni diplom atiche, non si può ig n o rare che anche una parte del clero (ivi compresi alcuni vesco vi) locale e anche di provenien za europea (Italia, Spagna, Francia e Olanda) non ha certo im pedito la penetrazione e il parziale trio n fo di un ideale diciam o m arxista in America del Sud. Risulta q u in d i concre tamente pastorale il viaggio del santo padre, per controbattere, con la sua presenza fisica, gli equivoci sulla sua parola e sulla sua missione creati ad arte dagli La regina Giovanna di Bulgaria (Villa Yantra Estoril) o p p ositori della Chiesa. A i m iei occhi ne consegue che la figura di G iovanni Paolo II è sempre più terrificantem ente isolata, eroica q u in d i, luminosissima. Ma la tragedia è che questo uom o non può contare che su se stesso. Elisabetta Granzotto U N A N U O V O M U S IC A L B R O A D W A Y M Y N D A C o n T w ig g y , T o m m y T u n e , C h a r le s C o le s , B r u c e M c G i l l , R o s c o e L e e B r o w n e . M u s ic a d i G e o r g e G e r s h w in . T e s to m u s ic a le d i I r a G e r s h w in . C o r e o g r a f i a e r e g ia d i T o m m y T u n e e T h o m m ie W a ls h . «My one and only» poteva essere uno di quei musicals che non arrivano mai alla grande esperienza di Broadway. Comperato, venduto, fallito — rifatto 3 volte — e invece, dall’uscita all’inizio di mag gio è diventato uno degli spettacoli più acclamati. La musica di Ger shwin, che è sinonimo di New York, sta attraversando un periodo magico. Uno dei teatri della famosa strada sta per essere dedicato al grande compositore: «Porgy and Bess», altro spettacolo con sua musica, è uno dei successi della stagione; e infine «My one and only». Questo musical è irresistibile O N O E N L Y :m u s ic a la perché mostra idee nuove in una forma artistica che è diventata, il più delle volte, noiosa. Ambientato negli anni 20, narra la storia di un pilota che vuole essere il primo a volare sull’Oceano fino a Parigi. Si innamora invece di un’in glese che ha attraversato la Manica a nuoto; questa ragazza lavora in una specie di vaudeville acquatico, sotto la direzione di un impresario russo che la tiene in pugno grazie alla conoscenza del suo burrascoso passato amoroso (interprete di que sto personaggio è Bruce McGill, il motociclista pazzo di «Animai Hose»). Il pilota, impersonato da Tom- my Tune (vedi foto a fianco), impara l ’arte del corteggiamento da Mr. Magix (il famoso ballerino di tip-tap Charles «Honi» Coles) e conquista Edith (Twiggy, nella fo to) che nel frattempo è finita in Marocco. È difficile trovare qualcosa di sba gliato in questo lavoro. Tommy Tune (già regista di «Nine», rifaci mento musicale di «8 e mezzo» di Fellini) balla, canta e recita in modo eccezionale, oltre ad essere anche regista e coreografodell’intera produzione. Twiggy, pur non es sendo una cantante sorprendente, è una maschietta decisamente appro priata. In una delle scene più riuscite i due ballano in una pozza d’acqua, accompagnando con gli spruzzi il ritmo dell’orchestra. Tut ta la produzione emana energia: dai costumi meravigliosi di Rita Ryack (un gruppo di ragazze vestite da frutti tropicali sono la creazione più riuscita) ai colori smaglianti delle scene, alla coreografia (un pezzo con guanti e bastoni fosforescenti che ballano nel buio, come in un cartone animato). Sulla musica diGershwin («’S Wonderul», «How long has this been goin’ on?») non è necessario un commento. Questo musical, che sta diventando lo spettacolo più impor tante della stagione, riuscirà sicura mente a soppiantare «42nd Street» e «Chorus Line», che, pur essendo in cartellone da più di due anni, mancano delle idee originali e della freschezza di «My one and only». Roberto Caglierò in te r v is ta ^ v ia in C A A r c io n e , 2 9 S A D E L T E A I n t e r v is t a T a R O F ra n z De B ia s e , da due anni d ir e t t o r e d e lP E T I . D a o t t a n t a a c e n t o v e n t i s a le t e a t r a li. G r a n d e a t t e n z io n e a l S u d e a l T e a t r o p e r i r a g a z z i. I l t e a t r o it a l ia n o r e s is te ? Via in Arcione è a due passi dalla fontana di Trevi, la gente urla tra i banconi del mercato. I l numero 98 è un portoncino basso che dà su un corridoio buio. Pochi metri e ci si trova in un cortile immerso nel verde. Ilpalazzetto che ospita l ’E n te Teatrale Italiano con la sua facciata a specchi convive con le palazzine basse ristrutturate e ne rimanda i colori. Franz De Biase, da due anni presidente dell’E ti, parla con soddi sfazione della nuova sede: «Lavora vamo in condizioni impossibili in un ammezzato del palazzo che ospita il teatro Quirino, erano loca li vecchi, piccolissimi e del tutto insufficienti. Un trasferimento era necessario e allora abbiamo colto l ’occasione proponendo a tutti gli organismi che si occupano di teatro in Italia di trasferirsi insieme con noi. Ades'so il palazzetto è diventato una specie di casa del teatro, un punto di riferimento per tutti e accoglie oltre a ll’Eti, l ’Istituto del Dramma Italiano, l ’Istituto del Dramma An tico, il Centro Italiano dell’Istituto Internazionale del Teatro e l ’Asso ciazione dei Critici Teatrali. La vicinanza permette ovviamente una collaborazione particolarmente in tensa e proficua». In che cosa consiste questa collaborazione? Devo premettere che ognuno ha i suoi compiti e non interferisce con quelli degli altri, ma ad esempio FID I ha una sua commissione di lettura che ci segnala testi meritevo li di essere portati sulla scena. Di conseguenza, pur nella nostra auto nomia siamo lieti di mettere a disposizione i nostri spazi alle com pagnie naturalmente valide che pre sentano nel loro cartellone novità di autori italiani. Il vostro compito principale è quin di quello di allestire adeguati spazi per le rappresentazioni? Si, in questi ultimi anni, da quando nel 78 è stata varata la legge di riforma delPETI, uno dei punti fondamentali del nostro program ma è stato l’ampliamento delle sale del nostro circuito. In pochi anni siamo passati da ottanta a circa centoventi sale. Con quale criterio sono stati creati i nuovi spazi? Lo sforzo maggiore da parte nostra è stato rivolto all’apertura del mag gior numero di sale nel mezzogior no. Purtroppo è cosa nota a tutti che le compagnie maggiori scendo no di rado al sud, arrivano qualche volta a Napoli, a Bari o a Reggio raramente vanno in Sicilia o in Basilicata. Stiamo stipulando ac cordi con i consorzi regionali di produzione e di distribuzione tea trali, perché tutti gli spazi possibili vengano utilizzati nel modo miglio re, con l’allestimento di una rete di sale e con la creazione di una serie di spazi alternativi cosicché tutte le compagnie possano trovare una adeguata sistemazione in tutte le regioni d’Italia. È un lavoro difficile che ci sta impegnando molto, ma credo che al massimo in altri due anni po tremmo registrare questo punto al nostro attivo. Come avviene la selezione delle compagnie a cui vengono concessi gli spazi? Ci tengo a sottolineare che per quanto riguarda le novità italiane noi non vogliamo assolutamente erigerci a giudici. La nostra politica è quella di dare spazio nei limiti del possibile alla produzione nazionale. Quindi le compagnie che rispondo no a requisiti di efficienza artistica e organizzativa hanno la possibilità di trovare spazio nel nostro circui to. Questa politica che risultati ha dato? Nel complesso i risultati sono posi tivi anche perché questa è una strada difficile da percorrere. Per anni il teatro italiano non ha avuto da parte dei distributori l’attenzione che meritava, bisogna quindi dare tempo al pubblico perché cominci ad apparezzarlo nuovamente. I ri sultati sono soddisfacenti, l’unico neo forse possiamo trovarlo nel numero delle novità rappresentate. Infatti non ponendo limiti di giudi zio sono state talmente tante le novità che gli spazi tradizionali dell’Eti non sono bastati ad ospitar le. Molte hanno dovuto essere rap presentate in spazi di minor richia mo che certo non hanno contribui to al successo della messa in scena. Ma le novità migliori hanno in alcuni casi raggiunto incassi pari a quelli di compagnie che rappresen tano i classici o comunque opere affermate con attori di grande ri chiamo. Ad esempio? Non è il caso di fare classifiche; a noi bastava, come avevamo detto all’inizio dell’anno, che almeno cin que o sei delle circa 40 opere rappresentate riscuotessero un discreto successo. E così è avvenu to. Potrei citare degli esempi ma preferisco non farlo. Ma credo si tratti di nomi con i quali si va sul sicuro... Certo, ma per me una commedia perché possa avere successo deve contare tra i tanti fattori anche quello della notorietà dell’artista. Ci sono tanti testi, anche ottimi, che vengono rappresentati male e non trovano consensi. Non basta il testo, serve una buona regia, una buona scenografia, un buon com plesso di attori. La rappresentazio ne è il frutto del lavoro di tante persone, e intendiamoci, non un lavoro a strati sovrapposti, ma un lavoro comune. E le rappresenta zioni migliori finiscono per aiutare quelle che vanno meno bene. Un po' come nel cinema dove insieme ai film di richiamo vengono propo sti film di minor rilievo che altri menti non troverebbero spazio. A l cuni dei nostri teatri sono messi a disposizione a percentuale, e sono le sale più grandi, quelle di Roma o di Firenze o di Bologna, come quelli gestiti da privati mentre inve ce per gli altri viene corrisposto un contributo in rapporto all’impor tanza della compagnia e alla diffi coltà della piazza cosi da mandare queste compagnie abbastanza tran quille. Recentemente FETI ha dato atten zione anche al teatro per ragazzi... Le iniziative destinate ai ragazzi sono state diverse, tra l’altro la creazione a Roma di un teatro stabile per ragazzi al Teatro Auro ra. Il successo è stato notevole e ci é stato riconosciuto da tutti. Sono state quindici le compagnie che si sono succedute e l’affluenza delle scolaresche è stata notevole. Ci sono stati anche dei dibattiti con i docenti e adesso aderendo alle richieste che ci sono pervenute da più parti cercheremo di estendere questa iniziativa ad altre città. Il bilancio delle iniziative dell’ETI è dunque positivo. E quello del teatro italiano nel suo complesso? Il teatro italiano esiste, ha superato brillantemente i momenti più diffici li e questo ci fa sperare per il futuro, perché non dimentichiamo lo è andato avanti dal dopo guerra ad oggi senza una legge ma con degli aiuti che ogni anno vengono distribuiti per effetto di una circola re ministeriale e con fondi assicura ti dalle ormai famose «leggine». Vittorio Buongiorno H L F V ( e a a M M n v s v K e n r e s s e t u r e i © M d i * C a p it o lo 4 : UN C A S O S U B IT O 'QUESTOPO/fRETTO s'i PUTTOP6STO&E Euovi uuol) t>\0£ cerche' ! R IS O L T O ... RINVÌO «OTITOIRHlft T\t>W2PTPl• SONO 5oN0fwro.~ «vea'ingo-Ese lr-tiene PRIGIONIERA• tei E 5tPVTO PORTOVIATO P INCONTRMUU.EOWv blUH Ponili) .'HI OCìOPERO' 6EUP COifì Mfl PftlMfy oi Tutto ift WfiOoHPftGNO r l ivo fti&tRói RlfRiWE.EREKO QUE&Tfi CONVERSAÌIOWE DCMfiNUv tuoi DOCUMENTI, CHE t>moi1(LftNO CHE L’HO SPOSRTRLEALMENTE. E' Mlfì UO61LIE MWRWTl «Ufi LE66E! hi LEI CONDStEi.SE ÜKÍ PO' HE&LIO &LI omENTREI, CoMERENDEREI BE LEfiCCUSEDI RHMED'. SI SiPJll DIJOlWW Hft IONON lOLLÍRÍRO' CHE CI RENDE ‘ VITft IMPOSSIBILE SONOUNNI CHE .peRSE&mfl/ x c o r r is p o n d e n z a s P r e m i le t t e r a r i B i s o s a p p e r g e d n a r e r e ? C o n s id e r a z io n i, t i m o r i , s p e ra n z e d i u n l i b r o U n ’aria rattrappita e senza r i cam bio tentava di fam iliarizzare con me. Da quel dì m ’ero accorto che cercava di convincerm i p u n ta n do sulla sopravvivenza, solo che a me non interessava per niente la sopravvivenza: si ripeteva lo scontro tra chi in buona fede mostra, insieme ad un piccolo slancio, ma grosso per lu i, tu tti i p ro p ri lim iti come una dentie ra nuova di zecca e chi punta verso lim iti non identificati. Povera aria senza ricam bio : in un altro frangente m i avrebbe fatto pena ma ora che fin a lm e n te stava venendo il m io m om en to potevo co n fro n ta rm i con gli a ltri, adesso che scendevo in lizza dopo anni di attesa non potevo accettare l ’in vito a r it i ra rm i prim a ancora di co m in ciare, come una pensione o ffe r ta a chi non ha nemmeno un giorn o di c o n trib u ti o uno sti pendio a patto di non lavora re... quando m i vengono a prendere stavo riem piendo il m io serbatoio bucato di fascino secreto dalla nota ditta soppor tazione fregature e abbiaterogne made in me. A rriva to a destinazione m i trovo insieme ad a ltri m iei colleghi. Adesso sì che troverò qualche amico con cui parlare sospiro in fretta ma non faccio in tem po a chiudere e catalogare il pensiero che si form ano dei gruppetti e vedo stringere al leanze tornaconti e quasi a m ici zie: come se lo ro già si co noscessero o m eglio come se si fossero riconosciuti al volo. In p iù fioccavano anche sguardi d a ll’alto in basso per me... in tendiam oci bene: se c’era una parente affezionatissima che non m i abbandonava m ai que sta era la solitudine ma non ho $ c o r r is p o n d e n z a m ai accettato con fervore la conferma di questa m ia co n d i zione come qualsiasi tim b ro di rinno vo per a ltri cinque anni o come segno fìsico caratteristico al posto d e ll’altezza... e trovo il m odo di ripensare a ll’aria senza più di quaranta lib r i al giorno, fondo era consapevole e onesta non aveva la puzza sotto il naso il pelo in to rn o al cuore e servitù incondizionate dalle parti del cervello. In seguito veniamo visitati e ispezionati e anche a me tocca qualche coccola, ma di quelle che p ro p rio non si può fare a meno di dare, allora vi lascio im m aginare il contenuto p ro teico di soddisfazione che ne ricavavo. Ce n ’era e avanzava per sentirsi avvilito però rib a t tevo: questa è la fase p re lim in a re ancora, siamo a ll’esame esterno, dovrà p u r venire la ricognizione intim a... e m i r in francavo un p o ’ . Un u ltim o ritocco e veniamo ria llin e a ti in buon ordine: che conquista avere l ’ impressione di essere trattato alla pari degli a ltri: perlom eno come il bam b ino che ha il permesso di prepararsi per la prim a volta la colazione da solo. N on riesco ad abbronzarm i con questa sensazione che avviene la svolta: ressa davanti agli altri, in co ntenibilità della m aggio ranza di fare esplodere le sue simpatie, trascuratezza evidente di prenderm i in considerazione, di conoscermi non era p ro p rio il caso: chissà da dove veniva tutta questa ostilità se l ’esame era del tutto superficiale e an cora non si era entrati nel m e ri to. Respingo al volo un pensie rin o sull’aria senza ricam bio che ora scoprivo m o lto più vicina di prim a e m i sforzo di apparire disponibile di non pensare per forza alle com pravendite di scordare etichette m ostrine alam ari e cordoni ine stricabili come segni sostanziali di giudizio. Nelle ore successive fornisco il m io massimo spunto : sempre risoluto a rifiu ta re l ’evidenza che non avrebbe concesso asso luzioni perché p u rtro p p o le prove c’erano e si m oltiplica va no. M i costa fatica ma decido per la dignità non reclamo m i apro ancora di più come chi respira con dodici p o lm o n i sette milze e tre m etri di crasso perché non ha mai pagato le tasse e l ’ha fatta franca com prando in m u l tip ro p rie tà un piano alto del l ’u fficio delle imposte. M i mantengo pro n to ad andare verso chi vorrà conoscermi e sono completamente spalanca to ed indifeso quando tu tti quanti im provvisam ente si g ira no d a ll’altra parte: stanno af figgendo la graduatoria del prem io letterario: sì sono un lib ro e c’ero anche io tra i partecipanti: sono stato a bb on dantemente giudicato senza es sere letto. Sento dire in giro che m i debbo accontentare: escono più di quaranta lib r i al giorno, oltre q u in d icim ila novità a ll’an no, io ero uno sconosciuto sen za certificato di nascita invece la società m i aveva sottratto ad una fine prevedibilissim a e co mune agli a ltri q u a tto rd icim ila noveccento novantanove fratelli lib ri che vengono alla luce sen za padrone e senza permesso. Ora dovevo appunto ringrazia re per il m om ento di gloria concessomi: però non ci riusci vo il gran prem io della m o n tagna in gola im pediva di spie garm i: a me non im portava della gloria... volevo d e ll’a ltro : essere letto fino in fondo... es sere capito almeno tanto... Antonio Ratiglia c in e m a : E il tuo ricordo m i riempie di silenzio N O S T À L G H Viaggio alla ricerca di sé che diventa sofferenza dell’attesa di un altro commozione di avvertirla negli altri accorgersi che tutta la vita è questa memoria nostalgia di qualcuno che c’è I A Oscurità, nebbie gravide di luce fosca, nell’ampio dispiegarsi di una cam pagna misteriosa. Eppure la conoscia mo, c’eravamo già stati, è il luogo di una memoria sbiadita. Qui si ferma, arrivata forse da un lungo viaggio, o dalla curva prossima di questa valle oscura, una Volkswagen. Ne scende, la vediamo da lontano, una ragazza impaziente, dai capelli indispettiti, biondi, la intuiamo giovane e bella, dice qualcosa in russo. «Parla italia no!» è l’imperativo dell’uomo, che è indiscutibilmente russo per l’accento. La donna, italiana invece (e purtroppo doppiata con una sorta di viscerale ottusità), lo invita a scendere, per inoltrarsi nel luogo finalmente raggiun to. L’uomo rifiuta. «Sono stanco di vedere queste bellezze eccessive. Non voglio più niente solo per me». È la ragazza sola che entrerà nel luogo. Un bosco di colonnine dove cinguettano e frusciano le donne in preghiera. Riconosciamo, proprio per ché appartiene a un ricordo di vita e non a uno studio astratto di bellezze, la cripta di san Pietro in Tuscania, basilica dell’VIII secolo di tale verità e splendore che nessuno sguardo turisti co incapace di intelligenza di fede potrebbe oscurare. E così divagando senza accorgermene ho svelato da subito una parola, un dirsi limpidissimo della tematica di Nostàlghia: «L’opera non deve essere mai separata dalla propria vita, cosi come il regista deve rispondere moral mente delle azioni che avvengono nel film», afferma Tarkowskij in Tempo di viaggio. Li nella cripta, dunque, Tarkovskij colloca, con il suggerirsi discreto di un montaggio allusivo, la Madonna del Parto di Pier della Francesca, quella stessa che noi, avendo già tentato di ammazzarla come oggetto già morto e quindi da museo municipale, pare vogliamo far viaggiare al Metropolitan di New York, come vuole il sindaco socialista di Monterchi. E perché no? Nessuna appartenenza alla vita. Nes suna nostalgia. Nessuna memoria. Nessuna domanda. «Purtroppo quan do qualcuno è distratto o estraneo all’invocazione, allora non succede nulla» dice il sagrestano alla ragazza bionda, che se ne sta nella chiesa come una straniera. Nostalgia — ma chi lo capisce? — è nostalgia della Russia, certo, ma la Russia vuol dire semplice- mente realtà, vita). «Cosa dovrebbe succedere?» «Tutto quello che vuoi, ma bisogna che ti metti in ginocchio». Eugenia non riesce, non c’è abituata. «Perché le donne si raccomandano tanto?» «Io sono un semplice, ma secondo me una donna serve per fare dei figli, tirarli su con pazienza e sacrificio». Quel vecchio dev’essere uno sciocco, e intanto la parola madre, madre gioiosa, madre amorosa, madre beata, madre sacrificata, madre dolo rosa, madre ispirata, madre di tutte le madri vola come gli uccelli liberi e pieni di tenerezza e letizia che si diffondono. Ecco che lo vediamo, finalmente, lui, Gorciakov, nell’albergo, il volto triste, una piuma di luce bianca nei capelli, che lo «segna». La stanza d’albergo, buia, il letto nero, tra la finestra colma di una pioggia russa, verde, grigia, di piombo e di luce, e il vano del bagno, gocciolante, cosa amica e insieme lontana. Da li, con naturalezza, entre rà il cane, un altro personaggio silen zioso e presente. Eugenia aspettava fuori dalla porta, con un paio di scuse pronte, per averlo, esser presa — il telefono squilla — , ma non c’entra. Tutto questo non c’entra. Eugenia è li come compagna di viaggio, per fare l’inter prete: ma di cosa? «È impossibile tradurre l’arte. Voi non capite niente della Russia» le aveva detto Gorcia kov. «Non solo traduco bene, ma miglioro anche quello che dice la gente che si serve di me», protesterà Euge nia, personaggio disturbante, allusivo e provocatorio. Nei nostri confronti. Si prostituirà alla fine, e racconterà di sé una storia inventata. Dunque essa è un anticipo dell’occhio annoiato, falso, affrettato del pubblico in sala, o dei fiumi di parole arroganti e inintelligenti di certa critica che verrà poi fatta, ed è stata fatta, al film; e a lui, Tarkowskij, perché il film è un pezzo di sé. Che cosa mi viene a raccontare, di quale nostalgia? Per cosa? Il problema non è forse quel seno che con isteria la ragazza propone al silenzioso Gorcia kov «noioso fino alle scarpe»?, un seno che appare orrendo come un pezzo di carne, il viso di lei stretto da una smorfia di avido rifiuto. Gorciakov è silenzioso, intraducibile. Chiaro. E siamo giunti in un posto ancora appartenente alla nostra memoria — non può essere un caso — e alla Erland Josephson e Domiziana Giordano memoria di santa Caterina; e di chi vive là e di chi, viaggiando, sa guarda re: i Bagni Vignone, piscina di mura antiche in un villaggio di pietra, spri gionante alti vapori sulfurei, che vela no e s’addensano sulle chiacchiere di insulsi bagnanti. Ecco l’incontro fon damentale: il «pazzo», dalle scarpe bagnate, Domenico. Lo ritengono paz zo perché si chiuse per sette anni con la famiglia, i bambini, in attesa della fine del mondo. «Li hai sentiti i loro discorsi, i loro interessi? Tu nella vita devi essere diversa». «Lo sai perché loro stanno dentro l’acqua? Vogliono vivere eternamente». E ancora: «Non dimenticare mai quello che lui ha detto a lei». «Lei chi?» «Santa Caterina». «Allora?» «Tu sei quella che non è. Io invece Colui che sono». Eugenia non lo sopporta. Gorciakov vuole mangia re con lui: «Non è pazzo. Ha la fede». È una parola, fede, che tradotta in russo significa qualcosa... Sustanza di cose sperate ed argomento delle non parventi... Eugenia spazientita dice che il viaggio è finito, tornerà a Roma. Nella casa di Domenico esplode, per interrompersi su di un’immagine quasi di morte, l’inno alla gioia di Beethoven. «1 + 1 = 1» è scritto sulla parete. Domenico mostra a Gorciakov che, versando una goccia d’olio nella mano, e poi un’al tra, nasce «una goccia più grande, non due». Antri acquosi, come in Stalker, teli tesi per raccogliere la pioggia, pozzanghere, bottiglie nelle quali conti nua a scendere abbondante dal cielo l’acqua materna divina che domina nella scrittura tarkowskiana. Bottiglie incapaci di contenerla, come la buca nella sabbia nella quale l’agostiniano bambino pretendeva di far convergere il mare. Dall’incontro con Domenico un com pito assegnato. «Prima ero egoista» dice il matto, «volevo salvare la mia famiglia. Invece bisogna salvare tutti. Il mondo». «Quando?» «Subito». «Co me?» Basta attraversare la piscina con una candela accesa. Domenico non può, glielo impediscono, lo vogliono a tutti i costi «salvare». Gorciakov se ne va, ma accetta la candela. Difficile commentare le immagini di questo film senza assomigliare, da critico saccente, alla brutalità di Euge nia che sta aspettando lui, decisa a possederlo, impadronitasi del suo letto. È una lite furibonda che dovrà condur re tutta da sola, come ad opporsi a chi, nella sua vita, le si è proposto in modo totalmente diverso dagli schemi affetti vi di rapporti consumati e mai posse duti. «Vorrei dormire dieci giorni per cancellarti dalla testa. Magari non c’è niente da cancellare, perché non esi sti», gli grida, e allora è proprio vero che senza saperlo sta parlando con Dio. Le gocce di sangue dal naso di lui colpito sono forse la nostalgia preziosa del famoso pavimento cosparso di petali di rose nella villa principesca di Sorrento, opera del pittore Palizzi che in «Tempo di viaggio» Tarkovskij non aveva potuto vedere. Ma di nuovo qui la memoria non è museo-cassaforte-tomba, ma sangue e vita. Gorciakov è colmo di memorie, la moglie e i bambini, la dacia, i campi, l’infanzia, il cane. Immagini che rag giungono i vertici della più alta imma ginabile cinematografia, dove il lin guaggio filmico è unico nel suo genere e insieme sembra indicare la purezza massima e la libertà più sfrenata del genio creativo secondo una filmicità assoluta. Un film che non può essere altro che un film. Niente letteratura, oppure pieno di poesia e di poesie: le poesie di Arsenj Tarkovskij, padre di Andrej, lette fuori campo, da un libro che vedremo consumato dal fuoco, e quella di Tonino Guerra, detta dal pazzo sul Campidoglio prima di farsi consumare pure lui come una torcia: «O madre, l’aria è qualcosa di leggero che ti gira attorno alla testa e diventa più chiara quando ridi». Film infinita mente musicale (Beethoven, canti rus si, canti napoletani, suoni, ululati lon tani, echi, lamenti, gocce, pioggia), incredibilmente pittorico (è un ringra ziamento alla bravura del fotografo Giuseppe Lanci): ma è quanto di più specificamente cinematografico si sia visto finora. Non posso più raccontare questo so speso confondersi pulito di passato presente lontananza vicinanza perché temo di rinchiudere in poche parole suggestioni con un grado di profondità e di ampiezza cui lo spettatore italiano medio sicuramente non è abituato. Né Tarkowski ela Giordano sul set. preparato. Ma deve vederlo lo stesso, questo film. Se la distribuzione glielo permetterà. Riconoscerà in quel volto attento della donna bruna — la moglie — che sente sussurrare: «Maria», e nella colomba leggera che ella neppure vede volar via dal balcone, un’icona vivente dell’annunciazione? E in quel campo russo-napoletano, il presepio? E in quel dialogo giocondamente sbronzo di vodka tra il protagonista affondato nell’acqua e la bambina Angela: «Sei contenta?» «Di cosa?» «Della vita». «Della vita, sé». «Brava»: ne sentirà la dolcezza? Saprà cogliere il valore — non una parola va perduta — di brevi battute come: «Che fretta c’è?» «C’è sempre da imparare». «Bi sogna alimentare il desiderio». «Acqua fuoco e poi cenere e ossa dentro la cenere»? Sono parole di Domenico. E di ognuna rende conto Tarkovskij. Parole pazze? Difficili da capire? È questa la cosa terribile, che è invece così semplice, quanto dice Nostàlghia, è semplice come attraversare una piscina vuota con una candela accesa. Il vento la spegne, ma basta ricomin ciare. Anche se non se ne ha voglia. Un compito semplice, il vivere. Un film sorridente, dentro la serietà del dramma. Ricordiamo quel dialogo fuo ri campo tra una lei e un lui: «Fagli sentire la tua presenza». «Io la faccio sentire sempre, è lui che non se ne accorge», detto con dolce ironia. Non se ne accorge, certo, quella stampa della quale riporto titoli di recensioni a Nostàlghia quali: «Non ci resta che la follia». «Ermetico, senti mentale». «Macché nostalgia, in parole povere è solo depressione». Eppure quasi tutta la critica riconosce il capolavoro. Riceve come con rico noscenza l’inquadratura finale cosi intensa, profonda e grandiosa, la gran de bellezza italiana che contiene la Russia e l’acqua, dove si rispecchia Gorciakov pacificato e il cane. E la neve, che scende tra noi e lui. Beniamino Maria Kot filo d r a m m a tic a Due d o m a n d e a U m b e rto B e n e d e tto p r e s id e n t e d e l X X X I V F e s t i v a l d ’a r t e d r a m m a t i c a d i P e s a r o S a a p o r e d v v e n t u r a L a f ilo d r a m m a t ic a , d a s e m p lic e b u o n a b a t t a g lia c o n t r o l ’o s t e r ia , c o m e d ic e v a B a c c h e lli, è d iv e n t a ta r ic e r c a in t e lle t t u a le , le tt e r a r ia , a r t is t ic a d i g r a n d e le v a tu r a . M a g li a t t o r i d e l c o s id d e tto te a tr o a m a to r ia le s o n o a n c o r a v o c i c la m a n te s i n d e s e r to . Lei che ha vissuto e ha operato per tanti anni nel settore del Teatro professionistico, quali impressioni ha tratto da questa presa di con tatto con il Teatro amatoriale? Come in ogni risposta che si rispet ta, è bene iniziare anzitutto con una precisazione. Se è vero che da oltre quarant’anni agisco e lavoro nel l’ambito del teatro professionistico, non posso dimenticare che le mie basi, le mie lontanissime radici si affondano nel teatro filodrammati co (mi si perdoni questo termine che fa un po’ arricciare il naso ai più giovani e che si tende a rigettare come un arcaismo di rifiuto). Correva l’anno di grazia 1929 e io, ancora ragazzino, mi affacciavo, esordiente, alla ribalta di un teatri no della periferia fiorentina. Era il battesimo del fuoco scenico anche per Arnoldo Foà. Opera di parago ne delle nostre promettenti qualità «La serenata al vento» di Carlo Veneziani. I fondali e le quinte erano di un ottocento assai dubbio e incerto, i costumi erano stati aggiustati alla meglio in famiglia, e di casa, sottratti per l’occasione con la complicità delle madri, gli arredi di scena e buona parte delle suppellettili. Per dotare di un bran do il Colonnello Dagoberto, padre tiranno nella commedia onesta e lieta del Veneziani, si fece ricorso ad un cimelio da bacheca, una sciabola con la quale si favoleggia va mio nonno avesse combattuto, a fianco di Garibaldi, alla battaglia di Calatafimi. E mio padre quando si accorse della temporanea, ma peri colosa spoliazione, giustamente mi scapaccionò, ma il suo fu un inter vento puramente formale, perché si rese conto che l’infrazione, se di infrazione si poteva parlare, era stata commessa nel sacro nome dell’Arte. Ritrovandomi ora a Pesaro, a distanza di decenni, in mezzo ai filodrammatici che nel frattempo sono diventati amatori, in ossequio ad un franciosismo già registrato dal Panzini, per cui anzi il Festival dovrebbe assumere l’insegna di Fe stival del Teatro amatoriale italia- f ilo d r a m m a t ic a : no, mi sono reso conto che cin quantanni in questo settore non sono trascorsi invano. Se la passio ne, la dedizione, l’ amore per l ’arte sono rimasti intatti, è la mentalità, la preparazione e le aspirazioni che sono profondamente mutate. La scena non ha più per i nuovi adepti il fascino del passatempo e dell’im piego del tempo libero, i complessi che si presentano alla Rassegna non sono più quelle piccole filo drammatiche di cui il Bacchelli parlava come di una risorsa della cittadinanza nelle sere d’inverno, e una buona battaglia contro l’oste ria. La scena non è più un luogo di incontro, ed in questo credo che consista la fondamentale differenza tra il nostro modo di far teatro e il loro, ma un luogo di scoperta. Essi sentono quanto e talora più dei professionisti, distratti spesso dal l’assillo del tempo che deve scandi re e condizionare il ritmo della produzione, la necessità di dissipare il mistero che ogni opera teatrale travolge nella sua essenza. La con siderazione poi che gli strumenti utilizzati possano non essere i più idonei al raggiungimento dell’obiet tiva, per inadeguato approfondi mento culturale, per carenze inter pretative, per ristrettezze di mezzi tecnici, scenici e finanziari, apre un discorso, nel quale non possiamo inoltrarci, anche perché le conclu sioni e gli apprezzamenti sono dif formi caso per caso. Le lame delle cesoie, divaricate un tempo al mas simo consentito, sono andate sem pre più restringendosi fino a segna re il minimo d’apertura, attraverso un lavoro di preparazione e di meditazione che è sempre più sor prendente per un osservatore profa no. La chiarezza di visione de «I giganti della montagna» da parte del Gruppo di Macerata o la cali brata fantasia del De Ghelderode presentata dagli amatori di Thiene, la rigorosa osservanza della tradi zione in Scarpetta rispettata dai salernitani o la dinamica, elaborata inventiva del lucido Beckett offerto ci da Tolentino o la finezza dello studio approntata dal Teatrostudio di Livorno nell’amorosa ricerca sul Ruzante, sono il frutto di un cam mino che il teatro amatoriale ha percorso con piena coscienza, an che se i mezzi a disposizione sono quasi sempre scarsi, se il reperi mento di una sala per le prove o per lo spettacolo ha il sapore di un’avventura, e se nessuno si preoccupa di aiutare, di inquadrare, di consigliare le ricerche di questi veri catecumeni dell’arte teatrale. Le voci dei dilettanti nel nostro Paese sono veramente clamantes in deserto senza un organismo che le segua e le coordini (non si dimenti chi che in molti paesi europei organismi ministeriali sono preposti alla organizzazione, alla tutela, allo sviluppo dell’attività amatoriale), divise come sono in tre associazioni di gruppo che si perdono più in lotte intestine che in proposte con cretamente valide. Unica iniziativa che, ponendosi al di sopra di ogni preoccupazione di parte, dia un impulso e un rico noscimento all’intensa opera che i gruppi amatoriali riescano a co struire malgrado tutto e spesso contro tutto, è il Festival Nazionale d’Arte drammatica di Pesaro che, da 36 anni, offre una visione pano ramica di quanto di meglio si produce nell’interessante settore e segna il tempo dell’incremento arti stico e culturale di questa appassio- nante, inarrestabile opera di ricerca sulla via dell’eccellenza. La scelta del repertorio di questi gruppi avviene secondo una precisa linea culturale o è influenzata da problemi locali o dalla stessa neces sità di soddisfare alle esigenze e possibilità del gruppo? A questa domanda non è possibile dare una risposta univoca. Tot capita tot sententiae. Ogni gruppo ha i suoi problemi, i suoi condizio namenti, un suo ritratto di famiglia difficile da controllare dall’esterno. I professionisti solitamente costi tuiscono un cast, in base all’opera da mettere in scena; gli amatori hanno già un gruppo che deve essere soddisfatto nella sua richie sta di teatro. In alcuni casi prevale la figura del direttore o del regista, che cerca di appagare il suo istinto di ricercatore e di studioso dei problemi della creazione scenica; in altri la forza del gruppo è predomi nante e la scelta cade su testi che consentano di utilizzare al meglio le risorse del complesso; in altri casi ancora situazioni ambientali o par ticolari ricorrenze suggeriscono la proposta di opere emblematiche. La situazione che si presenta indub biamente più pericolosa è quella in cui tutto è affidato all’ambizione del singolo che sfugge spesso ad ogni controllo ed ad ogni più elementare senso di autocritica. Ma sono casi sporadici che nulla tolgo no all’armonia del quadro. Una Rassegna quella alla quale ho assi stito che mi ha profondamente colpito per l’ampiezza dell’arco dei problemi affrontati e per la serietà delle intenzioni che sono state il motivo dominante della manifesta zione. Umberto Benedetto a F E C a s t e l d ’A z z a n o A ’ R S E C T U E O A L T A R O R iflettendo sul perché e il per come ho scelto anni fa di con durre esperienze teatrali nella scuola d e ll’obbligo, m i si a ffo l lano alla mente diversi pensieri che giustificano oppure m o tiva no la scelta dal punto di vista pedagogico-didattico. Però io ho iniziato senza riflettere su quelle m otivazioni, nei p rim i anni del m io insegnamento; ho iniziato a mettere in scena con i ragazzi racconti e lo ro pensieri e in tu izio n i, prima di avere in testa un progetto qualsiasi, e m i è parso naturalissim o il farlo. Anche l ’adesione dei ragazzi è stata naturale e im m ediata. Per ché tanta naturalezza? N on ne conosco una ragione semplice. C’è u n ’im m agine, che m i viene spesso alla mente: quella della madre che, nei p rim i mesi di vita del suo bam bino, se lo guarda amorosamente e gli sor ride e lo sm orfia in m o d i assai p a rtico la ri e piacevoli e condu ce dinnanzi a lu i una singolare pantom im a composta delle p iù varie espressioni del volto. Questa è la p rim a form a di teatro cui assistiamo nella vita. N on solo. Il bam bino, che os serva il volto della madre — ed è dunque uno spettatore — , sta al gioco e si diverte e si appas siona: è uno spettatore c o in v o l to emotivamente dallo spettaco lo. E ancora: con gusto e sor presa degli astanti, lo vedi pre sto presto rispondere e cercar di im itare la madre e far scena. Diventa insomm a attore, e la madre ne è il regista, più o meno abile. Più o meno abile; e in fa tti si dice ad es. che le m adri con un grado elevato di cultura spesso abbiano d iffico ltà a ca larsi nella spontaneità di quel gioco: e così non trovano l ’ a n i m o del bam bino, e il bam bino resta deluso, e l ’attore nato non entra in scena: cioè a dire non scopre il m ondo. Perché di questo si tratta. O lo intravede di sbieco, minaccioso. O soltan to d a ll’alto, indifferente e m u to. O da una qualche altra im possibile e straviata prospet tiva. A scuola ritro v o tu tti questi b am bini, con il lo ro sguardo, d ritto e aperto oppure distorto e in qualche maniera manche vole — ovviamente non soltan to in ragione di quella prim a mimesi materna. O gni volta che propongo lo ro di fare teatro, c’è una risp o n denza unanim e e spontanea perché è come se si risvegliasse in lo ro il senso e lo stupore di quella prim a volta con la m a dre. I più tim id i, gli im pacciati, q u e lli scompensati e tu rb a ti e insom m a i non del tu tto in ordine, a ll’inizio tirano fu o ri una certa adiffìdenza, come a dire: « Il gioco lo conosciamo, non è per noi. Ne conserviamo un rico rd o am aro». Poi vi si buttano dentro con totale im pegno e passione, quasi doves sero rifarsi di quelle prim e esperienze m alriuscite, e in gene re diventano i m ig lio ri, i più vivi. Spesso, a quel che si sa, è così anche per gli a tto ri di professione: i più grandi sono tim id i e complessati nella vita. Ci sono arrivato: fare teatro nella scuola è ‘naturale’ perché è un m odo ri riallacciarsi a ll’e ducazione materna, prim a e spontanea. Un m odo di rip re n dere daccapo, correggendo storture, o di continuare un discorso già bene avviato. Con tutte le responsabilità che ne derivano al regista-insegnante. Poi vengono le altre ragioni, indagate del resto da u n ’am pia letteratura esistente al riguardo. Le ragio ni squisitamente scola stiche, che vanno a sottolineare l ’o p p o rtu n ità della scelta per educare a ll’ortoepia, alla m e morizzazione, a ll’espressione corporea, alla musica eccetera. Le ragioni in te rd iscip lin a ri: fa re teatro vuol dire leggere, scri vere, parlare, muoversi, co struire, calcolare, insom m a: in teressare tutta la personalità del ragazzo in un contesto finalizza to a u n ’educazione globale. Bene. Questo è vero. Queste sono le ragio ni che espongo ogni volta che intraprendo un discorso sull’argom ento, per convincere colleghi o genitori, per propagandare ed estendere nella scuola questa form a di sperimentazione. Sono le ra g io ni che contano, scientifiche. M a quando vedo un gruppo di ragazzi di una m ia classe salire em ozionatissimi su un palco più o meno im provvisato, con dietro uno scenario fatto in aula, carta da scena dipinta, oggetti di cartapesta, case di cartone, cose da niente; e luci im provvisate, e un trucco ap prossim ativo, e costumi larghi o tro p p o stretti; quando li vedo aprire una danza e o ffrire una battuta, e p o i alla fine scendere tra gli applausi con la felicità negli occhi, trasform ati; io a llo ra m i sento un poco rom antico, e rico rd o l ’im m agine della m a dre e del bam bino. Un sim bolo, forse. Ricordo la prim a scoper ta del m ondo, e credo che si sia ripetuto il m iracolo. Raffaello Canteri N o n si s a p e r c h é , m a K e n R u s s e ll e P u c c in i s e m b r a n o U N S B A A C G P r o s t it u z io n e , o p p io , k o m O L P I A P T I A A f la k e s , t o m a t o k e t c h u p , n o ia , q u a lc h e a c u t o d i t r o p p o : c o s i M a d a m e B u t t e r f l y d i K e n R u s s e ll a l f e s t iv a l d i S p o le to M A D A M A BU TTERFLY Opera in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. M usica di G iacom o Puccini. Maestro concertatore e direttore d’orchestra: John Matheson. Regia: Ken Russell. Scene: Richard M acdonald. Costum i: Ruth M yers. Maestro del C oro: G . Parker. Spoleto Festival Orchestra. The Westminster Choir. Personaggi ed interpreti principali: Cio-Cio-San: Catherine La m y; Suzuki: K u m iko Yoshii; Kate Pinkerton: Silvia Silveri; Pinkerton: Kristian Johannsson; Sharpless: Robert G albraith; G oro: Steven Cole; Yam adori: Andrea Snarski; D Bonzo: Gabriele M onici; Yakusidé: K ent Weaver Spoleto, Teatro Nuovo. Si è sempre in grave imbarazzo quando ci si trova ad affrontare certe — come dire — letture d’avanguardia o ritenute tali che hanno il non piccolo pregio di disorientare o quanto meno stupire il povero ascoltatore musicale. Troppo spesso, infatti, si corre il rischio di essere tacciati di un apocalittico bieco conservatorismo quando si tenta di interpretare il messaggio che il realizzatore della messa in scena ha voluto indirizzar ci. Tuttavia, rimboccateci le mani che, si tenta un approccio, un avvicinamento e si cerca di capire. Questo è quanto è capitato a noi, incauti osservatori, alla rappresen tazione di Madama Butterfly, opera inaugurale del 26° Festival dei Due Mondi di Spoleto. Una storia, quel la di Butterfly, passata — e senza tanti complimenti — dalle tenere apprensioni pucciniane alle brutali evidenze di un Ken Russell spinto forse sino ad un eccesso non neces sario e che, francamente, stentiamo a comprendere. Cio-Cio-San è diventata una prosti tuta, squallida anzi che no, relegata in un altrettanto squallido postribo lo lassù, sulla collina di Nagasaki. La circondano colleghe e clienti in un andirivieni affannoso ed affan nante e che contribuirà non poco a rendere pressoché precario l'ascol to delle voci e della partitura. Le giornate, in quel fio rito asii trascor rono uguali e monotone sottolinea te però dall’irrefrenabile antipatia che Goro e Suzuki nutrono uno nei confronti dell’altra e che li porta a litigare continuamente. A volte pe rò, qualcosa, qualche avvenimento sembra distrarre i poveri compo nenti della brigata: un cliente ubria co, un matrimonio, un patetico zio bonzo appena uscito da una recita istante di doveroso smarrimento, trascorre nella più serena indiffe renza, ma continua e con rammari co nell’esposizione musicale. La direzione e la concertazione del maestro John Matheson si sono diluite in uno spazio rarefatto e assente che non ha trasferito nessu na emozione, non ha offerto nessun momento significativo. I cantanti, lasciati un po’ troppo a se stessi, hanno fornito prove alterne. So prattutto i due protagonisti che sembravano incitati ad una gara che sapesse dimostrare le loro qua lità interpretative. Catherine Lamu vedi foto, generosa interprete è stata una Butterfly intensa, a volte, ma che raramente ha voluto abban donarsi a certi malinconici languori che sottilmente pervadono la psico logia del personaggio. Certe dolcez ze, ad esempio, sono andate perdu te ed anche certi passaggi dramma tici sono stati allentati in una atmosfera di finta disperazione. Pinkerton era Kristian Johannsson; dall’acuto facile — un po’ troppo — costretto a recitare in una parte che certamente non lo mette a suo agio. Bene invece il Goro di Steven Cole che ha saputo disegnare un personaggio sufficientemente su bdolo e giustamente equilibrato. Tutti gli altri interpreti hanno asse condato le direttive del Maestro. L ’orchestra del Festival di Spoleto ha eseguito la partitura con corret tezza e sufficiente slancio, mentre il coro distratto dai continui movi menti e forse dalla finta naturalezza di certe situazioni non ha reso come avrebbe dovuto. Guido Nastasi Kabuki. Poi tutto torna normale, tutto rientra nello squallore quoti diano. Solo Butterfly, ormai navi gata quindicenne, riesce a trovare qualche momento d’evasione dalla routine di tutti i giorni, conceden dosi di tanto in tanto una salutare fumatina d’oppio per rifugiarsi, tranquilla e serena, nel sogno ame ricano: un tripudio di corn flakes, tornato ketchup e sandwich. Ma il sogno — ahimè — ben presto si muterà in realtà e la realtà, crudele e ineluttabile, verrà alla fine giusta mente esorcizzata dai marchi aset tici delle motociclette e delle cine prese che compaiono su un mondo annientato ma fiducioso. Lo stupo re, però, non si ferma alla messa in scena che anzi, superato il primo m u s ic a L O N G T G I O M E N E 30 g iu g n o C ro sb y, S tili e N a sh al P a la s p o rt d i M ila n o . W a lte r G a tti è tra i 15.000: so n o b ra v i, b ra v is s im i. M a la speranza è fin ita d a u n pezzo, tra u n p o ’ f in ir à anche la n o sta lg ia . 18.45 - I cancelli si aprono. C’è gente che aspetta dalle 14, ma dice che ne è valsa la pena. Ci si spinge, si urla, ci si insulta, poi finalm ente si passa il cordone del servizio di sicurezza e si entra. Il biglietto, 16.000 lire, è abbastanza norm ale per questi tempi. Il Palasport si riem pie. La gente è p ro p rio varia: ci sono i quarantenni, q ue lli che possono dire dei tem pi della protesta «io c’ero» e ci sono i quindicenni pun k; c’è m olta erba, ma ci sono anche m olte camicie marcate G iorgio A rm ani. Ce n ’è p ro p rio per tu tti i gusti. Ma la prevista fium ana di gente non c’è stata. Crosby, Stills & Nash sono sempre lo ro, ma forse qualcuno li ha dim entica ti. Forse m o lti stasera sono allo Stadio Meazza a vedere Inter-Juve, oppure sono rim asti a casa a sorseggiare Ballantine’s dim entichi dei sogni di libertà degli anni 60. Comunque, i CSN - dipendenti ci sono tu tti. A lcuni, n e ll’attesa, si sono messi a cantare i successi dei tem pi d ’oro del trio , e anche q u e lli del grande assente, l ’am ico-nem ico N eil Young, orm ai da tempo p a rtito per a ltri lid i. Tra i q u in d icim ila A f f i t t a p r ì m s f i o r e u la : ¡ I n u o v o d e lla i s u p e r t e le f o n o S IP . R IS P A R M IA . Primula segnala la durata della telefonata e il numero telefonico composto. SEGNALA. Primula funziona anche da orologio e segnala i numeri registrati in memoria. R IC H IA M A . Primula ha un tasto per ricomporre i numeri trovati occupati. RINTRACCIA. Primula registra tre numeri di emergenza a cui corrispondono tre tasti colorati. Gli apparecchi sonodisponibili pressoleAgenzieSIPdi BARI, BOLOGNA, BOLZANO, CAGLIARI, CATANIA, FIRENZE,GENOVA, MILANO, MODENA, PALERMO,PESCARA, ROMA, TORINO, TREVISO,VENEZIA. Per informazioni: SIP187. p r i m u l a S IP : la r i v o l u z i o n e d e i f i o r i . . ^ m u s ic a ; Crosby presenti l ’atmosfera inizia a sur riscaldarsi. È p ro p rio una bella sera, ma chissà dove è fin ita l ’aria di speranza che si respira va negli anni della protesta. Erano tem pi in cui un concerto dava la speranza di poter cam biare la vita. Erano tem pi di lotte e di ideali. Erano tem pi in cui i Jefferson A irplane canta vano «N oi possiamo stare insie me» e « V o lo n ta ri per la riv o lu zione». Erano i tem pi di San Francisco e della West Coast, delle rivolte universitarie, della dylaniana «Like a ro llin g stone», di Woodstock. Ora, forse, è solo tempo di nostalgie. M i capita di parlare con un p o ’ di gente. C’è m olta attesa, ma anche m olta tristezza. O rm ai nessuno crede al «You can change thè w orld»* gridato da CSN. Tristezza e nostalgia, per ché la musica di protesta si è ricordata dellT talia solo nel 1983, quando la protesta ha lasciato il posto agli e q u ilib ri della vita, cancellando la spe ranza dai v o lti e dalle parole. È una serata strana. T u tti si aspet tano buona musica, buone v i brazioni, grandi successi, ma niente di più. Nessuno chiede niente e nessuno si chiede nien te. 2 1.20 - Band sul palco e ovazio ni. Crosby e Nash con Fender, Stills con Gibson Les Paul che cambierà più volte con una Fender Telecaster e una Gibson d op pio manico. Iniziano subito con pezzi da antologia: «Love thè one yo u ’re w ith» e «C hica go». La Band che li sostiene è tra le m ig lio ri. La sezione r itm i ca è a live lli veramente stra o rd i nari con George chocolat Perry al basso, Joe Vitale alla batteria e Efrain T o ro alle percussioni, ^ m u s ic a tutta gente che è da anni nel g iro di Stills. Il suono è com patto ed energico, m o lto più vigoroso e duro che n e ll’in d im enticabile «4 Way Street», ma rim ane perfetto e senza sbava ture o concessioni a ll’hard rock. M ike Finnegan alle tastie re fa un lavoro superlativo con piano, sinth e m ellotron , m en tre Nash ogni tanto si siede al suo strum ento preferito : il p ia no a coda Steinway. L ’attacco di «Long tim e gone» è accolto da una esplosione di applausi e David Crosby inizia a prendere contatto con il p u b blico dopo un inizio abbastanza assente. La sua voce, rabbiosa, che esplode solo a tra tti, m entre in a ltri m om enti è contenuta e sognante, è rimasta quella di una volta: è il Crosby che da sempre conosciamo. L ’atmosfe ra è incandescente. Stills è il vero dom inatore musicale della serata ogni pezzo ha un suo assolo, graffiarne, lancinante, mai tro p p o lungo o fracassone come è sempre stata la caratte ristica di questo cowboy del rock. Nash attacca uno dei suoi brani più be lli: «Just a song before go», e subito dopo ci sono a ltri due in d im e n tica b ili: «The Leeshore» e «Catedral». La prim a parte finisce con un applauso interm inabile. Sem bra veramente di essere torn ati in die tro nel tempo. Dieci m in u ti di intervallo e il concerto riprende. I p rim i pezzi della seconda parte sono acusti ci. Stills è l ’unico che riappare con una chitarra, una M artin, m entre Nash e Crosby a ffro n ta no tranquillam ente il Palasport arm ati solo delle lo ro voci. D apprim a «W histling down thè wire», p o i «Tim e after tim e» ci rip o rta n o alle praterie del Te- xas e ai sogni d ’amore e di pace dei tem pi che furono. Poi le prim e note del lo ro capolavoro bastano a fare alzare tu tti in piedi. È «Suite: Judy blue eyes». Stills è virtuoso e aggres sivo come mai, inquadrato da un rifle tto re azzurro che accen tua il carattere sanguigno di questo uomo del Sud. I 15.000 cantano insieme e il finale elet trico del pezzo con l ’entrata veemente di tutta la band m an da l ’entusiasmo alle stelle: da qui alla fine sarà una ovazione unica. David Crosby sale in cattedra: «Alm ost cut my hear», inno alla paranoia tratto da «Deja vù» è interpretato con forza e dram m aticità dalla sua voce che mene dal profondo, m en tre la Gibson di Stills duetta con questa voce in m aniera entusiasmante. Poi ancora « M i lita r Madness» di Nash, poi l ’u ltim o successo di Stills, «War Games», e poi il gran finale, con «W ooden Ships» di C ro sby, m itico sogno di un m ondo Stills Nash nuovo. Il concerto dovrebbe essere fin ito , ma tu tti sanno che non è vero. In un fragore assor dante di applausi, Crosby, Stills Se Nash rientrano e i bis sono il trio n fo della nostalgia: «For what is w orth», «Carry on, Teach your children». M ai ascoltato un bis più classico e strappa-applausi. O ra il concerto è p ro p rio fin ito . Dieci m in u ti di applausi, qua l che m om ento di sosta e si torna a casa. Sono le 23.30. La spe ranza è fin ita da un pezzo, tra un p o ’ fin irà anche la nostalgia. Forse l ’unica cosa che rim ane è aspettare il prossim o concerto. Walter Gatti lì r ic a P E S A R O D o p o la b r e v e n o tiz ia s u l D ra m m a S p e tta c o lo R O S S I N I & F e s ta d i m a g g io , o r a i l c a le n d a r io c o m p le to d e l l ’i m p o r t a n t e m a n ife s ta z io n e m u s ic a le . I n u n c re s c e n d o d i p o p o la r it à ch e lo c o llo c a o r m a i a i p r im i p o s t i n e l p a n o r a m a e s tiv o d e lle m a n ife s ta z io n i m u s ic a li, s i è in a u g u ra ta i l 1 0 a g o s to la 4 a e d iz io n e d e l R o s s in i O p e ra F e s tiv a l d i P e sa ro . I l p r o g r a m m a d i q u e s t’a n n o a n c o ra u n a v o lta a c c u ra to e d i e s tre m o in t e re s s e , s i a r tic o la n e lla p r e s e n ta z io n e d i d u e n u o v i a l le s t im e n t i e d i u n a r ip r e s a ( r ip r e s a , q u e s t’u ltim a , d i p a r tic o la r e r ig u a rd o ). S i i n iz ia , in f a t t i, co n -L a D o n n a d e l L a g o - r ip r o p o s ta n e llo s te sso a lle s tim e n to del 1 9 8 1 m a c o n u n c a s t in t e r a m e n te rin n o v a to . L ’o p e ra p r e s e n ta ta la p r im a v o lta a l S a n C a rlo d i N a p o li i l 2 4 s e tte m b r e 1 8 1 9 , s i a v v a rrà a n c o ra d e lla d ire z io n e d e l M a e s tro P o llin i (c h e e s o rd ì n e l c a m p o lir ic o p r o p r io n e l F e s tiv a l r o s s in ia n o d i d u e a n n i fa ) e d e lle scene , d e i c o s tu m i e d e lla r e g ia d i G ae A u le n ti. P e r q u a n to r ig u a r d a i l c a st, i n o m i p iù a ffe r m a t i d e l b e lc a n to e d e l b e l c a n to ro s s in ia n o , tr o v e r a n n o g iu s ta c o llo c a z io n e in q u e s t’o p e ra d i in d u b b ia d i f fic o ltà . K a tia R ic c ia r e lli s a rà E le n a ; L u c ia V a le n tin i T e r r a n i, M a lc o m ; D a lm a c io G o n z a le s , n e l d o p p io r u o lo d i U b e r to e d i G ia c o m o ; S a m u e l R a m e y , D o u g la s . Q u e s ta s te s s a e d iz io n e tro v e rà g iu s to c o m p le ta m e n to in u n a r e g is tr a z io n e d is c o g r a fi ca che v e r rà e ffe ttu a ta a P e s a ro n e llo s te s s o p e r io d o a c u ra d e lla F o n it C e tra e ch e v e r r à d is t r ib u it a s u l m e rc a to in te r n a z io n a le d a l la C B S . S o no p r e v is te , o l t r e a lla «prim a» d e l 10, r e p lic h e i l 12, 1 4 e 1 6 a g o sto. S e c o n d a o p e ra in p r o g r a m m a «Il T u rc o in Ita lia » p r o p o s to a d u n a n n o d i d is ta n za d a ll’« Ita lia n a in A lg e ri» a s o tto lin e a r n e c o sì la c o lm i n e m a tr ic e c u ltu r a le e, a llo s te s s o te m p o , la p r o fo n d a d iv e r s ità m u s ic a le . L ’o p e ra v e r rà p r o p o s ta c o n la d ir e z io n e m u s ic a le d i D o n a to R e n z e tti, le scene d i E m a n u e le L u z z a ti e i c o s tu m i d i S a n tu z z a C a li. I p r o ta g o n i s t i s a ra n n o S a m u e l R a m e y n e l r u o lo d i S e lim ; L e ila C u b e r li in q u e llo d i F io r illa e S o fìa W a d a S t illit a n o ( f i - C a le n d a r io 9 agosto Orchestra Intemazio nale Jeunesses Musica les Gioventù Musicale d’Italia 10 agosto La Donna del Lago (prima) 12 agosto La Donna del Lago n a lis ta lo sco rso a n n o d e l C o n c o rs o d i b e lc a n to ) in q u e llo d i Z a id e . L a « p rim a ” è p r e v is ta p e r i l 2 5 a g o s to e le r e p lic h e s i s u c c e d e ra n n o i l 2 7 , 29, 3 1 e 2 s e tte m b re . U lt im a p ro p o s ta o p e r is tic a i l «M osé in E g itto » che v e d rà a P e s a ro la p r im a r a p p r e s e n ta z io n e t e a tr a le ita lia n a . L ’o p e ra , r e a liz z a ta p e r la p r im a v o lta in e p o c a m o d e rn a a L is b o n a n e llo s c o r so 1 9 8 1 , v e r r à p r e s e n ta ta n e lla re v is io n e s u ll’a u to g r a fo o p e ra ta d a C la u d io S c im o n e e v e r r à p r o p o s ta a P e s a ro n e ll’e d iz io n e del 1 8 1 9 che n e c o n t r a d d is tin se la r ip r e s a a l T e a tr o S a n C a rlo d i N a p o li. In te re s s e p a r tic o la r e r iv e s to n o c e r ti passaggi d e lla p a r t it u r a che, p e r l ’o c c a s io n e , v e r r a n n o p r o p o s ti a c o m p le ta m e n to q u a s i t o ta le d i u n a r e v is io n e c h e s i s ta o p e ra n d o su t u t t a la s c r it t u r a m u s ic a le d e ll’o p e ra ro s s in ia n a . D i r e t t i d a C la u d io S c im o n e e s p le n d id a m e n te c o a d iu v a t i d a lla re g ia , le sce n e e i c o s tu m i d i P ie r L u ig i P iz z i, p o tr e m o a s c o lta re B o r is M a r tin o v ic h n e l r u o lo d e l p r o ta g o n is ta ; C e c ilia G a s d ia in q u e llo d i E lc ia ; S im o n e A la im o in q u e llo d e l F a ra o n e . O ltr e a lla p r im a , p r e v is ta p e r i l 9 s e tte m b re , s e g u ira n n o r e p lic h e I T I , i l 1 3 e i l 15. A c o m p le ta re i l c a r te llo n e g ià p r e s tig io s o p e r la p re s e n z a d i q u e s ti tr e c a p o la v o ri, r ic o r d ia m o in o l t r e i l «D ixit» d i V iv a ld i e lo « S tab at M a te r» d i R o s s in i e s e g u iti n e lla s te s s a s e ra ta (1 ° s e tte m b r e ) c o n la p a r t e c ip a z io n e d i D a n ie la D e s s i, M a r t in e D u p u y , D in o R a ffa n ti e S a m u e l R am ey. U n a s e rie d i c o n c e rti e c o n v e r s a z io n i c u lt u r a li s u lle o p e re in p r o g r a m m a e s u lla f ig u r a d i « S th e n d a l, p r im o b io g r a fo d i R o s s in i, n e l se c o n d o c e n te n a r io d e lla nascita» c h iu d e ra n n o le m a n ife s ta z io n i d i q u e s to 4 ° R o s s in i O p e ra F e s tiv a l. 14 16 18 23 agosto La Donna del Lago agosto La Donna del Lago agosto Recital di Teresa Song agosto The Chamber Orche stra of Europe 25 agosto II Turco in Italia (prima) 26 agosto Coro Filarmonico di Praga 27 agosto II Turco in Italia 28 agosto The Chamber Orche stra of Europe 29 agosto II Turco in Italia 31 agosto II Turco in Italia 1 seti. Dixit / Stabat 2 sett II Turco in Italia 8 sett Coro Filarmonico di Praga 9 sett 11 sett. Mosè in Egitto (prima) Mosè in Egitto 13 sett 14 sett Mosè in Egitto The London Sinfonietta 15 sett. Mosè in Egitto Teatro Rossini Guido Nastasi te a trc S t r e h le r e L e s s in g V P «Minna von Barnhelm» è una delle più belle commedie della storia teatrale tedesca: Hugo von Hofmannsthal la collocava accanto all’opera di un altro grande, quel tormentato Kleist il cui acceso romanticismo aveva trova il modo di farsi penetrare dal sarcasmo e dall’ironia nel comporre la sua unica commedia «La brocca rotta». Ma per il sapiente Lessing il cam mino della commedia deve essere stato più agevole, una sorta di superiore spiritualità, equamente abituata a considerare il bene e il male nella vita e nell’arte, gli ha aperto la via ad entrambi i termini di confronto, cosicché, da buon illuminista, ha colto la virtù saggia e positiva nel riso come nel pianto, nella «Minna» come in «Emilia Galotti». «Minna von Barnhelm» è una storia per cosi dire singolare, pur nella usuale banalità dei confini entro cui i personaggi si muovono. Una donna innamorata e intelligen te di fronte all’amore (e non è rilievo di poco conto!), un uomo E R E F R E S Z O I O L N A E S t r e h le r h a s u p e r a t o il d if f ì c ile c o m p i t o e la M i n n a v o n B a r n h e l m di L e s s in g h a g ià a f f r o n t a t o il p u b b lic o . P o c h e p ic c o le m o d if ic h e e u n ’o p e r a g ià g r a n d e d iv e r r à p e r f e tt a . !te a tro Scenade«LaMinna» innamorato e cupamente avvolto nelle tenebre dell’orgoglio: la com media appunto non si presenta come una sconvolgente novità, non almeno all’apparenza, perché nelle pieghe dei dialoghi, nel ritmo paca to ed equilibrato dello sviluppo scenico di novità se ne indovinano, e molte, tanto che, per chi decida di andare a vedere l’allestimento pre parato da Strehler quando la ria pertura della stagione riproporrà al pubblico la commedia, consiglierei di leggere anche il testo. Non sarà affatto una fatica o una noia: per quanto infatti la commedia sia stata costruita per essere rappresentata e non solo letta, tuttavia una medita ta introduzione personale al mondo che la Minna propone non è affatto superflua, essendo poi il testo pia cevole e accattivante. Si va incontro, già nella lettura, ad una donna affascinante, tale non tanto (o non solo) in virtù di una squisita bellezza, ma di una deter minazione di carattere, una forza d’animo superba, sotto la patina di una settecentesca levità mozartia na. Il nome di Mozart è, appunto, citato in implicito in tutto lo svilup po di una commedia che gioca su equilibri raffinati e profondi: gli equivoci che interrompono la linea direttrice del racconto, che si stac cano come aculei dal fiore compo sto e compatto della storia sono in realtà di natura più propriamente mozartiana, riecheggiano, in invo lontaria assonanza, il brillante im pasto di figure e suoni delle «Nozze di Figaro». In fondo non sono affatto due mondi lontani e, in qualche frammento di linguaggio, si ritrovano anzi le stesse categorie di pensiero, la medesima capacità di affondare nel cuore dell’uomo si mulando una leggerezza impalpabi le, da cipria e parrucca imbiancata. All'incirca nello stesso periodo ope rava anche il nostro Goldoni e maneggiava una materia all’appa renza analoga a quella usata dallo scrittore sassone; ma tra i due esiste una sostanziale differenza, e non solo di linguaggio ma molto più di spirito, anche li dove il punto di incontro dell’illuminismo e di una trionfante borghesia che coin volge tutta la cultura europea sem bra generare una singolare e inne gabile analogia di tematiche nei due autori. Goldoni era in primis uomo di teatro, commediografo che sag giava il sapore e l ’odore del pal coscenico con la stessa dimesti chezza e consuetudine dell’attore; Lessing piuttosto si ritrovava nello studioso che elaborava dalla rifles sione il linguaggio di una teatralità polivalente, ora comica, ora tragica te a tro : Giorgio Strehler o drammatica. E sarebbe infatti arrivato al meglio di sé nell’inven zione singolare di un tempo imma ginario e composito, in quel para dossale medio evo illuminato che avrebbe fatto da cornice alla vicen da dell’ebreo Nathan in «Nathan il saggio». Ma il pur prezioso allestimento di Giorgio Strehler sconfina proprio nel territorio della commedia di Goldoni; ed è la prima pecca di un lavoro scenicamente impeccabile: i personaggi ideati da Lessing parla no, sulla scena di Strehler, la loro lingua con accento, per cosi dire, straniero (senza allusione allo stile in realtà piacevolissimo della brava Andrea Jonasson), dicono con puntigliosa meticolosità quello che il loro autore ha pensato per loro, ma implicitamente lo tradiscono. È il caso, vorremmo dire quasi cla moroso, della camerierina Fransziska, interpretata con vigore da Pamela Villoresi; ma il vigore del l’attrice appunto non scusa in nulla l’impostazione prettamente goldo niana data dalla regia. Le movenze leziose, il lieve accenno al toscaneg giare della parlata appena un po’ contadinesca della ragazza, la sua maliziosa furbizia, che accoglie in sieme la donna e la bambina, sono invenzioni deliziose, senza dubbio e di effetto accattivante, ma scivola no in una dimensione a loro estra nea. Non sono che sfumature, ma spetta proprio ai particolari definire la sostanza di un intero, tanto più quando la realizzazione scenica è contrassegnata da una tale accura ta ricerca della perfezione, della sfumatura appunto. In questo sen so è senza dubbio molto più in linea con il personaggio Andrea Jonas son, naturalmente affine, si direbbe, al rigore e all’acutezza mentale della bella Minna: elegante, di una eleganza connaturata, si muove nei panni della nobildonna sassone con aristocratica disinvoltura e levità, eppure sembra così a fondo com presa delle ragioni e della ragione che in lei si incarna, in opposizione all'ottuso moralismo di Tellheim, il suo teutonico innamorato. Meno agevole è in effetti il ruolo di Sergio Fantoni, costretto in gri giore meschino proprio nel farsi portavoce delle parole e delle con vinzioni di un’antica moralità, che vuole l’uomo superiore, anche in senso buono, alla donna. Tellheim, caduto in disgrazia morale e mate riale non può sperare di unirsi alla ricca e nobile Minna Von Barnhelm, a dispetto del loro reciproco inalterato amore, mentre potrebbe e vuole dividere la sua angustia con la Minna povera e abbandonata, quale l’astuta donna simula di esse re per un momento, così da trarre in inganno e smascherare il farisai co orgoglio dell’uomo. Commedia bifronte, questa «Minna von Barnhelm» guarda avanti verso un futuro che scavalca il codice antico e decadente dell’amore ca valleresco, e intanto mette in scena l’ultimo, stanco frammento di un codice in estinzione. Nello scontro di queste due posizioni, uno scon tro che avviene singolarmente sul terreno dell’amc re, si esercita rele gante dialettica Cella ragione in una dinamica volta a volta razionale, lirica, comica, viva in tutte le sue componenti. Ma di questa vitalità l’allestimento di Strehler, dicevamo, ha reso solo una parte, trasportan dola nell’ambito a lui familiare della commedia goldoniana, una mistura di teatro dell’arte, di maschere e individui, anche dove espressamen te la maschera non sia comparsa te a tro Sergio Fantoni Andrea Jonasson sul volto o nell’abito dell’attore. La ricchezza di elementi introdotti ed elaborati dal regista è infinita e meticolosa, va dalla raffinata am bientazione, quasi un acquarello tenue e realistico che introduce alla locanda dove tutta l ’azione si svol ge, alla cura dei movimenti, alla recitazione perfetta e calibrata. Ma quel tradimento, insinuato e velato, quella deroga dal vero mondo lessinghiano sono uno scotto che l’allestimento di Strehler paga in freddezza e rigidità, nell’impossibi lità latente di far combaciare lo spirito della commedia con quello della sua interpretazione scenica. A disagio pur di fronte a tanta ricer catezza d’effetti, ci si sente per cosi dire allontanati da Lessing e smar riti in una dimensione pittorica inesistente; perché in realtà il lavo ro di Strehler viene a somigliare ad una serie di dipinti dalla connessio ne incerta, tanto quanto è certa l ’eleganza formale che lì accomuna. Di certo la lunghezza e in qualche passaggio la lentezza del lavoro (che del resto nella ripresa della stagione 1983/84 saranno facil mente ovviati dalla mano esperta di Strehler) non sono che in piccola parte responsabili della cornice di fredda estraneità entro cui la storia di Minna e Tellheim si dipana; tanta distanza non si risolverà solo con accorgimenti tecnici, piuttosto è a monte che si rilevano i segni di un’interpretazione solo parziale di quel complesso mondo che conver ge nell’opera di Lessing. Di un autore che è stato anche e soprat tutto critico e teorico dell’arte, in un momento particolare della cultu ra europea, non è impresa agevole rendere appieno lo spirito, quando in esso convergono, come in questo caso, linee sottili che partono da diverse origini, che racchiudono in un unicum compatto la fitta artico lazione del pensiero che teorizza, e dell’arte che realizza e compie l’o pera. Strehler sembra, infatti, aver captato queste due dimensioni se paratamente l’una dall’altra: attrat to dalla razionalità lucida di una sapiente ideologia illuminista, non l’ha poi amalgamata alla misurata realtà artistica che Lessing ha inve ce espresso con tanta finezza poeti ca. Sicché il risultato sulla scena del Piccolo teatro è improntato ad una rigorosa ricostruzione estetica del lavoro, oltre che ad una teorica esposizione etica, a lato, di quel nuovo mondo che in Minna assom ma i suoi tratti emblematici. I due elementi convivono come fossero una fotografia e la didascalia che ne illustra il contenuto e il significa to. Il che, sinceramente, è un peccato, anche perché le occasioni di vedere una buona rappresentazio ne di un lavoro di Lessing in Italia non sono davvero molte, e quando capitano, si vorrebbero cogliere al meglio. Marta Morazzoni v m u s ic a i D a N a n c y , i K a s P r o d u c t, d u e fra n c e s i p o c o r o m a n tic i M a P e B e c c a h b l e n d a t Diciam o subito che Kas P ro duci è un vero p ro d o tto d ’ele zione come ce ne sono pochi in circolazione, per via di u n ’in consueta liason tra l ’amore per la fattura artigianale e la capaci tà di esprimersi nei te rm in i di un linguaggio internazionale. O rganico rid o tto a ll’osso (Spatsz è l ’uom o d e ll’elettronica e M ona Soyoc voce e occasio nalmente piano e chitarra) co me vogliono la m oda e l ’econo m ia energetica, KaS Product è una produzione indipendente (o quasi) che arriva in Italia dalla Francia e precisamente da Nancy e rappresenta il p rim o esempio in materia di rock, ché di quello si tratta, di un gruppo francese im postosi fu o ri Parigi. Il duo inizia a farsi conoscere agli inizi del 1981 quando due extended play a u to p ro d o tti co m inciano a circolare come og getti non identificati tra Francia e Germania , una Tournée nel 1981 con M arquis de Sade, gruppo con una forte vocazione espressionista, ed un secondo to u r l ’anno dopo con Orchestre Rouge ed Alan Vega sono le successive tappe di u n ’attività vissuta intensamente, che li ha p o rta ti a m editare uscite in sor dina ma ampiamente lodate da critica e pubblico in Germania O landa In g h ilte rra U.S.A. La vicenda per il sintetico duo inizia nel 1980 quando l ’ospite internazionale M ona Soyoc (al m om ento 22 anni spesi in quasi ogni paese vi prendiate il gusto di menzionare), americana di origine argentina, ha il p rim o in contro ravvicinato con Spatsz inferm iere in un ospedale psi chiatrico innam orato di sinte tizzatori e paranoia urbana e subito è il suono. KaS Product è esattamente il contrario di q u e l lo che ci si potrebbe aspettare da un gruppo francese: poca concessione alla civetteria ed un im pegno di marca decisa mente europea. M ona e Spatsz si collocano in q u e ll’area p ro priam ente elettroeuropea in cui idealmente trovano posto g ru p pi come D.A.F. Grauzone, Pa lais Schaumburg prim a della rivoluzione, con ciò si vuol dire unione sincrética di desideri tecnologici ed estrema co rp o ra lità, bisogni p rim a ri sviluppati oltre le zone te rm in a li del c o r po. In questo l ’uso che fanno d e ll’elettronica ha più parentele con le sudorazioni di Alan Vega che con il rom anticism o m er cantile di g rupp i come H um an League e O .M .D . Benché non disdegnino le c o l laborazioni con a ltri musicisti il lo ro organico è essenzialmente composto da nuH’a ltri che da lo ro e dalle lo ro voglie: « In due si lavora m eglio, in più essendo am anti, possiamo decidere di suonare in qualsiasi ora del giorn o o della notte». Battito cardiaco e brusio dei nervi in tensione sono i p rim i elementi del gioco ad incastro che è la m u s ic a lo ro musica. M ona canta e cuce le parole sul m uro del suono che letteralm ente Spatsz erige alle sue spalle. KaS Product non assomiglia a nessun gruppo in particolare p u r avendo conno tazioni precise per quanto r i guarda la direzione del suo lavoro. C’è da dire d e ll’incredibile qua lità della voce di M ona che ha u n ’esperienza pluriennale come cantante di jazz e che certamen te richiam a da vicino i m odelli della nuova scena (s’intende che Siouxie è, bene o male, nelle orecchie di tu tti) e se pure l ’uso m o lto d isin ib ito della voce e la capacità di interpretare perso naggi diversi la avvicinano a Lydia Lunch, il suo lavoro è m o lto meno in un contesto di citazione, in un certo senso m e no artistico e più genuinamente pop. Generalmente è M ona che trova le parole e perlo p p iù ne trova tante essendo i suoi pezzi un vero flusso di coscienza con poco riguardo a significati già codificati e memorizzati, lasciando sempre aperta l ’even tualità di cambiare ogni parola in qualsiasi m om ento. Spatsz è l ’uom o-orchestra, capace di una potenza incredibile nel co struire un tappeto sonoro arso e rip e titivo o sognante e glaciale a seconda dei casi in contrasto con le m elodie strum entali del la voce di Mona, reali m atrici d e ll’arm onia. A parte i due m itici E.P. citati a ll’inizio, «Try out» un L.P. p ro d o tto per la R.C.A. ed un secondo L.P. «By Pass» sempre in lingua inglese, hanno la lo ro da dire per qua n to riguarda la produzione discografica. «Try out», soprat tutto, ha la rara qualità di essere costruito come fosse una raccolta di successi. O gni singo lo brano ha potenzialmente la capacità di im porsi come p ro babile hit, passando per la d i sperazione lancinante di «So young but so cold», le passeg giate al term ine della notte di «Sober» e la frenesia di «Never come back». C’è da dire che tra i vari stilem i di volta in volta adottati, sono p ro p rio i brani come «Never come back» o «Loony bin», brano d ’apertura del lo ro con certo torinese, quelli meno con vincenti per via di certe voglie tro p p o legate al rock rifa tto tecnologicamente e sono invece le atmosfere notturne e gotiche di brani come «Tina town» dal nuovo album o «Sober» con l ’incedere di b o ttig lie fra n tu m a te come sottofondo naturale al d e lirio alcoolico p ro p rio di quel brano, quelle che lasciano maggiore spazio alla creatività del gruppo, o ancora a ll’a llu c i nata capacità di sdoppiarsi ad lim itu m in un pezzo come «Pussy x» vero acme del lo ro spettacolo dal vivo, dove le ca pacità interpretative di M ona raggiungono il massimo coeffi ciente espressivo. «Pussy x» è un dialogo d ’am ore dove M ona è al tempo stesso la gatta capar biamente in calore, decisa a tutto e la sua trasognata ed onirica padroncina unite in u n ’im proba bile amplesso (la bam bina ha letto Colette). Per la prim a volta dal tempo di Leda ed il Cigno la zoofilia sul palcoscenico. La lo ro m in i-tournée di due sole date in Italia a T o rin o e M ila no ha m ostrato che la lo ro capacità scenica è perfettamente a p u n to. Rigorosamente vestiti di ne ro davanti ad un fondale di vinile Spatsz ciuffo di lunghezza spropositata nascosto dietro la barricata dei suoi m archingegni elettronici produce uno striden te banco sonoro, perfettamente rip ro d o tto , su cui M ona si muove a p ro p rio agio. I brani più convincenti sono q ue lli già ricordati «Sober», «Pussy x», «So young but so cold» dal p rim o album , il funk in dustria le di «Smooth down», «Seldom often», dal secondo. M ona sussurra, e inveisce, urla e seduce cercando il contatto con un pubblico apparente mente in to rp id ito e la reazione arriva controllata ma inequivo cabile, la seduzione è perfetta mente riuscita. Maurizio Vetrugno lir ic a : O lm i, P ia v o li, M T R P E P U E R o n ic e lli E G I S T I R C C I N I A F ir e n z e , u n o s p e t t a c o lo d i c u i f in a lm e n t e si p u ò p a r la r b e n e . M a e s t r o c o n c e r t a t o r e : B r u n o B a r t o le t t i. S c e n e d i M a r i o G a r b u g lia . C o s t u m i d i A lb e r to V e rs o IL T A B A R R O D ram m a in un atto. Libretto di Giuseppe A dam i. Personaggi e interpreti principali: Michele: S U O R A N G E L IC A D ram m a in un atto. Libretto di Giovacchino Forzano. Perso naggi ed interpreti principali: H artm ut W elker; Luigi: Giusep pe G iacom ini; Giorgetta: M aria Slatinaru; L a Frugola: Eleonora Jankovic. Regia: Ermanno 01- Suor Angelica: Catherine M alfìtano; La zia principessa: Diane C u rry; Suor Genovieffa: G io vanna Santelli. Regia: Franco Piavoli G IA N N I S C H IC C H I Comm edia lirica in un atto. L i bretto di Giovacchino Forzano. Personaggi ed interpreti principa li: G ianni Schicchi: Rolando Panerai; Lauretta: Cecilia G a sdia; Rinucci: Alberto Cupido; Z ita: A nna di Stasio; Simone: Italo Tajo. Regia: M ario M onicelli Ecco un bello spettacolo. Uno spettacolo del quale non si può che parlar bene: di tutto e di tutti. Lontani dalle modernistiche inno vazioni e ancor più lontani da certe fantastiche elucubrazioni che tanto frequentemente si riscontrano oggi nei teatri lirici, abbiamo assistito ad una rappresentazione lineare ed elegante e la presenza dei tre noti registi non ha fatto altro che ag giungere lustro ad uno degli spetta coli che certamente vanno conside rati tra i migliori della stagione. Nel Tabarro (vedi foto), una sottile ed impalpabile atmosfera, nella quale Olmi ha voluto immergere i perso naggi, ha sottolineato tutti i passag gi importanti della partitura riuscendo ad evidenziare le malin conie e le sanguigne passioni. La bravura degli interpreti a comincia re dal Luigi di Giuseppe Giacomini, ha trovato momenti di intensa emo zione nella figura di Giorgetta inter pretata da Maria Slatinaru e di contenuta violenza in quella di Michele interpretato da Hartmut Welker. Cosi pure la Suor Angelica realizzata con la regia di Lranco Piavoli si è avvalsa di una magica — e mi si perdoni l’ardire — evanescenza che solo negli inter venti della zia principessa e nella materna preoccupazione di Suor Angelica tornava a sottolineare la crudele realtà del momento. Suor Angelica era Catherine Malfitano che pur aggrappandosi ad una recitazione di maniera e forse un tantino démodé è riuscita a regalar ci più di un’emozione. Tuttavia crediamo non sia particolarmente centrato, vocalmente parlando il suo modo di affrontare il dramma della religiosa. La zia Principessa di Diane Curry era sufficientemente aspra ma tradiva in qualche mo mento una sottile emozione che notavamo piacevolmente condivisa anche dalla direzione musicale. In fine un Gianni Schicchi da manuale con una soluzione scenica partico larmente indovinata e che ha certa mente fatto piacere ai fiorentini che hanno potuto cosi immaginarsi una Lirenze ironica e maliziosa e che trovava nei protagonisti, interpreti d’eccezione. Bellissimo lo Schicchi di Panerai, dolcissima la Lauretta della Gasdia, eroico e romantico il Rinuccio di Alberto Cupido, magi strale il Simone di Italo Tajo. Monicelli ha riso della burla ideata da Gianni Schicchi e noi lo abbia mo seguito, docili e affettuosamen te compresi, strizzando l’occhio ai due giovani innamorati. Ma i registi si sono valsi anche delle splendide scene di Garbuglia e dei bei costumi di Verso che hanno pienamente assecondato le diretti ve, eleganti e raffinate. Infine, ma certamente non da ultimo, il Mae stro Bartoletti che ha centrato in maniera impeccabile la giusta lettu ra delle pagine pucciniane eviden ziandone man mano le sfumature, i delicati passaggi, le impennate su perbe. Una direzione accortissima che mai ha lasciato spazio a certe interpretazioni di maniera e pur troppo di routine che accompagna no spesso l’esecuzione di questi capolavori. Dunque una riuscitissi ma interpretazione ed un altrettan to felice messa in scena che, ci auguriamo, possa entrare definiti vamente nel repertorio del Maggio fiorentino. Guido Nastasi r e c e n s io n i/c in e m a BENE B R E A T H L E S S . Interpreti: Ri chard Gere, Valerie Kapriski. Sce neggiatura di Jim Me Bride e L.M. K it Carson. Regia di Jim McBride. Breathless è un rifacimento di Fino a ll’ultimo respiro, il capolavoro di Godard. La riluttanza con cui si va di solito a vedere un film simile viene subito sciolta dalla freschezza di questa pellicola che ha il merito principale di trasportare in perso naggio tipicamente «America anni ’ 80» quello che in Godard era la soffice Parigi degli anni 60. L ’in treccio è lo stesso del film francese ed è abbastanza simile anche lo stile. Jesse (Richard Gere) si inna mora di Monica (Valerie Kapriski) e parte da Las Vegas per raggiun gerla a Los Angeles, capitale po stmoderna dove le scene d’amore si svolgono in piscine assolate appena uscite da una foto di Hockney. Una delle cose più belle del film è il colore, che ricorda certe pellicole degli anni 60 dalle tonalità intense ed esasperate. Jesse è un ragazzo selvaggio, che si nutre letteralmente di un idealismo da fumetti (il suo eroe è Silver Surfer, una specie di Superman californiano). Ma Jesse, che non è Clark Kent (piuttosto un incrocio tra Marion Brando e Gary Cooper) vaga tra le glorie di Los Angeles rincorrendo ossessivamente l’amore della ragaz za, rubando automobili ed assapo rando le rovine della civiltà. L ’ulti ma scena è ambientata in uno squallido rudere, l’ex villa di Erroll Flynn (l’incendio di Nerone 20 secoli dopo!). Poco prima i 2 protagonisti, in una delle scene più belle, hanno fatto l’amore dietro allo schermo di un cinema, dove veniva proiettato Gun Crazy, un film noir che narra di una coppia di criminali che, come Jesse e Moni ca, vogliono scappare in Messico. Monica però è una ragazza che ha dei progetti: è venuta dalla Francia per studiare a Los Angeles e sa che in fondo la follia di Jesse ed il suo amore per la musica di Jerry Lee Lewis non potranno far parte del suo futuro. Per il resto, la sceneg giatura ricalca quella del film fran cese a cui si ispira. Valerie Kapriski, una nuova attri ce, è abbastanza convincente anche se è difficile immaginarla in un film dal tono diverso. Richard Gere è stato acclamato da tutta la critica e la sua foto è apparsa sulla coperti na di Newsweek, dove viene citato come figura di una nuova genera zione di idoli della seduzione (meno nevrotici di De Niro, più abbronza ti, dei veri duri dal cuore tenero). Breathless non è un film indimenti cabile ma certo è maggiormente godibile ed intelligente delle ultime produzioni hollywoodiane. b c s i h i u n o p e u l 3 g o l i m s . e t t o e t r i c r t 0 0 o u n t 0 c t t o : o i k m . F S Fiduciae Sicurezza Fiduciae Sicurezza O O O y s P ° r ^e l l ì in P r o v in c ia per tuffi i servizi con l'Italia e con l'Estero C A S S A D I R IS P A R M IO D ELLA M A R C A T R IV IG IA N A al tuo servizio dove vivi e lavori ; r e c e n s io n i/ c in e m a $ M E N O BENE P S Y C H O I I . Interpreti: Antho ny Perkins, Vera Miles, Meg Tilly, Claudia Bryar. Sceneggiatura di Tom Holland. Regia di Richard Franklin. C’è stata molta attesa a New York per il ritorno di Anthony Perkins nelle vesti di Norman Bates, lo psicotico di Hithcock (Psycho, 1960). Innanzitutto questo Psycho I I è un omaggio prolungato al capolavoro che lo precede e senza il quale non starebbe davvero in pie di. Pieno di citazioni dalla pellicola originale (che fa da sigla d’inizio), questo film sembra fatto da un primo della classe che va troppo spesso al cinema. Richard Fran klin, il regista, è un allievo di Hitchcock e il produttore, Hilton Green, era assistente alla regia del primo film. Le trovate, le inquadra ture, lo sviluppo dell’intreccio sono implacabili nel mimare l’originale, il risultato però è decisamente inferio re. Franklin ricorre spesso alla parodia, che salva in qualche modo la storia da un certo virtuosismo irritante. Ma i riferimenti sono troppo pesanti. Nei primi 10 minuti Norman, appena tornato a casa dopo 22 anni passati in un ospedale psichiatrico, si trova di fronte al suo indimenticabile coltello. Tra i sudori freddi di Perkins si raffredda anche il suspence: Psycho è stato troppo bello per poterselo dimenti care e tante lame affilate finiscono per non spaventare più nessuno. La casa è la stessa palazzina vitto riana delforiginale. Entrato in casa, Norman comincia presto a rispon dere alle telefonate della madre, che come sappiamo era già morta pri ma che Hitchcock iniziasse la lavo razione dell’altro film. Intanto il motel è stato trasformato in un bordello e nella cantina della casa i ragazzini vanno a fumare la mari juana. Norman però ristabilisce la calma (si fa per dire) e poi si innamora di una ragazza che non lo teme (controllato a distanza da uno psicanalista a cui non consi glieremmo nessuno di affidarsi). Chi non ha visto il film di Hitchcock non potrà forse gustarne la paternità; d’altra parte manca quell’originalità che lo renderebbe accettabile a chi andava al cinema già 22 anni fa. Perkins è molto bravo nella parte dello psicotico «riciclato»: sembra quasi che faccia il verso alle indica zioni della regia. Vera Miles è di nuovo la sorella di Marion (ricorda te Janet Leigh?) e Martin Balsam ritorna nei panni del fratello di uno dei personaggi uccisi da Bates nel l’originale. Ce n’è abbastanza per capire come va a finire. Ma l’intrec cio manca della ricchezza datagli da Hitchcock — invece di un enorme e minuzioso incastro incon triamo una sequenza di misteri quasi separati. Le scene di violenza sono girate decisamente male e ci rivelano tutti gli sbagli della regia: a volte gli allievi non ce la fanno davvero a superare i maestri. COSÌ E COSÌ B A B Y , I T S Y O U . Interpreti: Rosanne Arquette, Vincent Spano. Regia di John Sayles. 1983. Da un po’ di tempo il cinema americano, soprattutto quello rivol to al consumo interno, si è messo a riciclare gli anni ’ 50. Due anni fa Diner, ripetizione sbiadita di Ame rican Graffiti, poi quest’anno The Outsiders, un fumettone lentissimo firmato da Coppola (dicono che avesse bisogno di soldi) ed infine questo Baby, it ’s you, che sta riscuotendo un discreto successo. Jill Rosen è una ragazzina perbene: Albert Capodilupo invece è un giovane italo-americano che sogna di diventare Frank Sinatra e Jill invece sogna di diventare una stella a Broadway. Le eroine di questo tipo di films hanno in effetti ambi zioni un po’ monotone ma i prota gonisti maschili (e questo lo è davvero) non sono da meno. A l bert, che gli amici chiamano Sceic co, è una specie di John Travolta post mortem, risuscitato dal mondo triste dell’immigrazione. L ’idea na turalmente è che sotto questi cli chés repressivi (la buona famiglia di Jill, il marchio di immigrato di Albert) covano le passioni, l’amore, la volontà di fare. Sceicco finisce in Florida a cantare in un locale dove il juke-box sostituisce l’orchestra, mentre Jill va all’università dove (siamo all’inizio degli anni 60) comincia a fumare l’erba e a conce pire in modo diverso le relazioni tra i sessi. Sceicco, estraneo sia alla cultura psichedelica che al mondo universitario di quel periodo, parte alla ricerca di Jill, che soprattutto dentro di sè non riuscirà più a ritrovare. Il film sembra fatto su misura per quelli che hanno vissuto quel perio- ; r e c e n s io n i/c in e m a do — e vogliono forse illudersi che ora le cose vadano meglio: ed è proprio sotto questo aspetto che Baby, it ’s you riveste un ruolo di revival psicologico e nostalgico di cui si potrebbe fare volentieri a meno. Il finale, tra le note di Strangers in thè night, vorrebbe essere melanconico ma è soltanto patetico. Eppure, nella pesantezza generale, la colonna sonora resta uno dei pochi elementi scelti con accuratezza. Roberto Caglierò P R E M IO R EN É C L A IR D e m o n io en el J a rd in . Interpreti: Encarna Paso, Angela Molina, Ana Belen, Imanol Arias. Sceneggiatura: José Luis Alcaine. Regia: Manuel Gutiérrez Aragón. Secondo anno di vita per il Premio René Clair che si è svolto a Roma dal 20 al 26 giugno al cinema Fiamma. Il premio è una delle tante iniziative dell’Ente David di Dona tello, non vuole essere una rassegna di film aristocratici e di difficile comprensione ma piuttosto, pro prio nel nome del regista scompar so, incoraggiare una cinematogra fia che sposi il valore artistico a una certa facilità di comprensione. I Film, tutti interessanti, sono stati scelti da Giacomo Gambetti, e a parte poche eccezioni rispondono perfettamente ai requisiti richiesti. La giuria composta esclusivamente da registi già famosi ha scelto tra i quattordici film quello spagnolo di Manuel Gutierrez Aragon: Diavoli in giardino. La scelta a nostro avviso non poteva essere migliore e premia un film che rivisita gli anni bui del franchismo in modo grot tesco attraverso gli occhi di un bambino. L ’espediente porta a otti mi risultati, noi avevamo pensato subito al Sentiero dei nidi di ragno di Calvino o a La mia guerra di Vittorini, ma qui il periodo storico è visto ancora più di scorcio, passa sullo sfondo. Il generale Franco non è che un uomo che si vede nei cinegiornali o in una fila di macchi ne lanciate sulla strada. Gli occhi del bambino servono piuttosto a inquadrare grottescamente le vicen de di una famiglia di commercianti e borsari neri in un paesino spagno lo. In breve la storia: si celebrano le nozze tra Oscar e la bella Ana. La cerimonia è turbata da una lite tra Oscar e il fratello minore Juan, il quale in seguito alla lite abbandona la casa e la fidanzata incinta. Angela. Il figlio Juanito nasce men tre lui è alla corte del generale Franco. Passano dieci anni, Juanito vive adesso con la nonna e sfrutta a suo vantaggio i postumi di una suppo sta malattia. I suoi capricci sono soddisfatti, primo fra tutti il riavvi cinamento di Angela, la madre, che vive da sola in una casa in cam pagna. Inoltre il bambino chiede insistentemente di conoscere il pa dre che non si è fatto più vivo. Juan tornerà per trovare altri soldi con cui pagare i suoi debiti. Ruba con Ana dalla cassaforte di famiglia, e questo furto provoca una nuova lite. Il bambino deve scegliere se tornare con la madre o restare con Ana e il padre. Mentre si celebra la festa del suo onomastico la vicenda si risolve in modo imprevedibile. Da segnalare la stupenda interpre tazione dell’attice Angela Molina. Vittorio Buongiorno Una g ra n d e c it t à in un m ondo p i c c o lo : per q u e s to i s u o i f i g l i s o n o i n t u t t a la t e r r a ? V E E D P I O N I A M P U O O L R I I La Napoli degli Angiò e degli Aragonesi, di Giotto, di Antonello da Messina e di molti altri testimoni della cultura e della storia del Mediterraneo: questa Napoli di Vi co e di Croce, capitale del Sud d’Italia e perciò del Mezzogiorno forse più Mezzogiorno d’Europa, ha da tempo gli onori di una serie di manifestazioni fuori d’Italia. La Campania è e diventa sempre più il luogo in cui s’accumulano tesori e reperti dell’antichità: Pom pei, Ercolano, Paestum e così via.In questa Campania, Napoli è un caso a sè: diecimila abitanti a chilometro quadrato, viabilità senza regole, paesaggio immodificabile. Le ban de della Camorra, vecchia o nuova, il colera, i topi, il terremoto, i traffici di sigarette e quelli più marsigliesi e moderni della droga. Londra, Washington e Parigi fanno mostre ed esposizioni dedicate a Napoli. Si parla di Napoli a un incontro dei ministri della cultura europei. Un premio letterario come lo Stre ga premia Pomilio proprio per un’opera per la quale doveva non esserlo (e Pomilio è a Napoli). D i che operazione si tratta? D i un’operazione che, all’estero, è condotta dagli Istituti di Cultura italiani. E ministro dei Beni Cultu rali era allora Scotti, votato a Napoli, aiutato dal magnanimo consigliere Benincasa. Che Andreotti, in questo periodo di silenzio, abbia pensato a fare il mecenate per Napoli, come già fecero gli Asburgo, i Borboni, la Chiesa, che pagarono (e non poco) le molteplici espressioni artistiche e culturali? Napoli ha tradizioni mo narchiche nei cuori: nel 46, il 90% votò per il re. Ma anche il voto per la sinistra nel 75 fu un voto che portò a sindaco un erede dei viceré, Valenzi, un carismatico più che uno in perfetta linea col PCI. Anche Lauro e poi Gava, nella stessa logica, avevan visto concen trarsi in loro la fiducia dei napoleta ni. Napoli sta bene con tutti: Spagnoli, Francesi, Tedeschi, Inglesi, regine Giovanne, Papi e banche. L ’unica condizione è questa: essere illumi nati e magnanimi, purché tengano conto del fatto che Napoli coman dava il Sud d’Italia ed era la cerniera col Sud del mondo. Adesso, dopo Ciro Cirillo, dopo che i cutoliani, gli uomini del «professore» sembra siano stati fatti fuori, con una mossa che, coinvol gendo il conduttore televisivo del popolare spettacolo «Portobello», tutta l’Italia ha avuto modo di conoscere, dopo che «Cartuccia» è passato a vita migliore, sembra che gli illuminati detentori del potere ce la facciano. Ma i dubbi restano molti: Napoli è fatta così e gli illuminati rischiano di fallire. Lo dirà il prossimo futuro. E queste grandi manifestazioni culturali, che sono lontane dal gusto del popolo per lo spettacolare come lo sono le nubi, arrivano solo a una minoran za, a coloro che sono già impegnati intellettualisticamente o a coloro che sono già inquadrati militantescamente in gruppi o partiti. A tutti piace che Napoli torni a giocare un ruolo, che torni ad avere una identità: ma non è certo facen do vedere di aver sgominato ciò che sgominabile non è che si può di fatto ritrovare l’identità di Napoli, capitale di un Sud d’Italia e d’Euro pa da sempre separato e, diciamolo pure, cenerentole scamente abban donato. Non è possibile, nonostan te le pur belle iniziative del Grand Palais a Parigi, del parco di Bagatelle, della galleria FNAC-Forum des Halles, dello spettacolo del San Carlo di Napoli a Versailles. È necessaria una volontà di rispetto della realtà, un desiderio di riparare alle decisioni sbagliate, un impegno di pazienza, una volontà finanzia ria. Da questo punto di vista, il professor Ventriglia, direttore gene rale al Banco di Napoli, che ha accresciuto anche la propria parte cipazione allo ISVEIMER (per esportare dal Sud meno capitali e investire in loco di più) pare seguire una giusta linea. Ma staremo a vedere. Intanto, mentre gli illuminati col piscono per fare il gesto esemplare e, con l’altra mano, organizzano il «Mese Napoletano», in giro per l’Occidente, la regina si mette in mostra e i suoi uomini sparsi per l’Italia, per l’Europa e per il mondo (e non solo con la pizza) possono farne la rivale di grandi metropoli, cosi che ritorni ad essere l’agognata meta: «Vedi Napoli e poi muori». Eletta Leoni in v e n z io n e : L’intimità di un salotto e la teatralità di una boutique in questo nuovo posto — al primo piano del 26 via dei Condotti — esclusivamente dedicato alla couture frapcais E lis a b e t ta d a M G r a n z o t t o o n i q u e D iv a g a z io n i e is t r u z io n i b iz z a r r e s u lla g io c h i fe lic ità fe m m in ilità e a ltr i I l c o lo re c h e d o n a d i p iù a d u n a d o n n a s i c h ia m a f e li c i tà : illu m in a q u a ls ia s i tip o d i p e lle c re m e o n o n c re m e , s o le o n o n sole, a n n i o n o n a n n i. M a la f e lic it à n o n s i o ttie n e n o n s i c o n q u is ta e sse n d o a l l’o p p o s to u n a p a r te n z a u n a d is p o s iz io n e u n to c c o d e llo s p ir it o a t r a s fig u r a r e l ’e sse n za d e i f a t t i d e lle a z io n i d e i d e s id e ri. T r a s f o r m a te u n a s c o n fitta in u n a s c a la s c in tilla n t e d i e m o z io n i p e r i l s a lto a g ile e s ic u ro s u lla m o n g o lfie r a ch e p la n a s o p ra i l g r ig io r e in v e n z io n e d e ll’a s fa lto , s u l n e ro d e i s e n t im e n ti m o r t i e g iù la z a v o rra d e lla s t u p id it à ! U n b e l s o rris o ! K a th e r in e M a n s fie ld s c riv e d i sè: - M i a m o , so n o in c a n tevole». M id d le t o n M u r r y , i l m a r ito g e lid o , è s e p o lto p e r o ra d a d u e g e n e ra z io n i d i o d io ; s i s e rv ì in f a t t i d i t u t t a la c a p a c ità d is t r u t t iv a in su o p o te re , t u t t a la s u a n o n f e lic it à p e r p o r ta r e le i a llo s b ig o ttim e n to e a lla m o rte . Q u a n d o Id a B a k e r la v id e p ic c o la e fr e d d a n e lla b a r a ro z z a m e n te in ta g lia ta , p r e se u n o s c ia lle s p a g n o lo r a f fin a tis s im o c h e K a th e r in e aveva c o m p r a to n e lla p r im a g io v in e z z a , lo posò sul legno... t u t t i i b a m b in i s o r r id e n t i n e lle c o r n ic i d ’a r g e n to s is te m a te s u i t a v o li d e lla N u o v a Z e la n d a s o r r i s e ro d a vve ro . P e r e s o rc iz z a re la m o lt e p lic it à d i e le m e n t i f o r m a li c h e i l caso e le o p e re m e tto n o in a tto c o n tro d i n o i s i p u ò u s a re la s o p p o rta z io n e , la b u o n a v o lo n tà , l ’a ltr u is m o , la m a n c a n z a d i m e m o r ia e d a ltr e s i m i l i cose f a c ili a d ir s i o p p u re im m e r g e r s i s e n z a p e r q u e s to d is tu r b a r e n e s s u n o , p e r lo s p a z io d i u n t r a m o n to, in u n b e l l’e g o is m o n a r c i s is ta e d is in to s s ic a n te q u in d i g u a r d a r s i in t u t t i g l i s p e c c h i a p o r t a ta d i m a n o , r in g r a z ia r e i l c ie lo d i p o s s e d e re o c c h i s tu p e n d i o b e lle g a m b e ( d if f ic ile le d u e cose in s ie m e ) s illa b a r e p a r o le in v e n z io n i 2 gemelli ipocriti: vestiti fiorati molto scollati sotto pudiche giacche nere. Jean-Louis Scherrer La seduzione eccitante degli anni 50 con questa gonna portata su un costume da bagno. La linea pura èsottolineata dall’austerità del bianco e nero. Jean-Louis Scherrer. fra n c e s i c o m e p a r t im i, s i l h o u e tte , p lis s é , d e c o lle té , lo n g u e tte , c h iffo n , e c o n c e d e r s i u n m it ic o v e s tito f r a n cese d e lla tr a d iz io n e B e lle Epoque, t r a d iz io n e che sb o cca su J e a n -E o u is S c h e rr e r a llie v o d i D io r ; t i p ic a m e n te f e m m in ile u n p o ’ b u g ia r d a che n a s c o n d e e d e s a lta : s p a c c h i, in s e r t i, p ie g h e a l p u n to g iu s to . C ocò C h a n e l f r a g ilis s im a e b e ffa rd a fu la p r im a a v e s t i re la p e r s o n a lità a d e s a lta re i l c a r a tte r e d i c e rte im p e r fe z io n i, le i im p e r f e tt a i r r e s is t ib ile sb a n c ò la b a r r ie r a d e lf im p o s s ib ile c o s ì u n a W a llis S im p s o n se n z a a lc u n t r a t t o fis ic o p r o p r ia m e n te ■eclatante» m a co n u n a v it a lità s tr a o r d in a r ia m e n te ••soignee» a v rà p e r d u e b a t t u te d i s p ir it o e u n a r is a t a n a tu r a le la s to r ia d ’a m o re p iù ra c c o n ta ta d e l secolo. U n t r a d im e n t o s u b ito c a m b ia n o m e d iv e n ta e s p e rie n za r iv e la tr ic e fa s c ia to d a u n fo u r r u r e d i D io r s e m p lic e s e m p lic e te r a p e u tic o ta n to da a u m e n ta re i g lo b u li b ia n c h i, a lz a re i l ta s s o d i a d re n a lin a , d ila ta r e l ’ir id e c o m e u n a d ro g a re n d e n d o lo s g u a rd o in v it a n t e e l u m i n o s is s im o . P ro v a re p e r c re d e re : u s a n do i l lin g u a g g io s in fo n ic o c o m e sc h e m a : A lle g ro : te s s u to fa n ta s ia a r ro g a n za . A d a g io : lin e a rig o ro s a te n e re z z a S c h e rz o : v e s tito a s o rp re s a tra s p a re n z e F in a le : m o rb id e z z a s e ta n a tu ra le z z a . S c t e h e t s u p r n o g d u c e Un G ru p p o ch e o p e ra n e i s e tto ri d e lle te le co m u n ica zio n i, d e ll’ele ttro n ica , d e lla te le m a tica c o n k n o w -h o w e te c n o lo g ie d ’avanguardia. G ru p p o S te t: 130.000 u o m in i ch e c o n c o rro n o a llo s v ilu p p o e c o n o m ic o e so c ia le d e l Paese. r u p p o .p Il ginnasio-liceo "G. Ungaretti” non è un fatto isolato, ma prosegue il tentativo realizzato, a partire dai 1970, a Reggio Emilia, . con la scuola materna autorizzata "Arca di Noè", con la scuola elementare parificata "F. Taddei", con la scuola media legalmente riconosciuta "J. Maritain". La gestione delle scuole è di una cooperativa di genitori, di insegnanti e di educatori: la cooperativa Nuova Scuola; essa ha quindi approntato un ciclo completo, che va dalla scuola materna alla scuola media superiore, la prima classe della quale è legalmente riconosciuta (e, il prossimo anno, lo saranno anche le altre classi che saranno istituite). GINNASIO LICEO CLASSICO "G. UNGARETTI" VIA CECATI, 26 - TEL 0522/22898 (R.E.)