Istituto Nazionale Salute, Migrazioni e Povertà MIGRAZIONI INTERNAZIONALI E SALUTE - MANUALE PRATICO PER OPERATORI SANITARI Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà via di San Gallicano 25a - Roma · www.inmp.it MIGRAZIONI INTERNAZIONALI E SALUTE Manuale pratico per operatori sanitari Unione Europea Ministero dell’Interno Istituto Nazionale Salute, Migrazioni e Povertà Unione Europea MIGRAZIONI INTERNAZIONALI E SALUTE Manuale pratico per operatori sanitari Ministero dell’Interno IndIce Prefazione PARTE PRIMA Cultura, salute, relazione interculturale PARTE SECONDA Patologie dermo-infettive di possibile riscontro in comunità AUTORI PARTE PRIMA: Emma Pizzini, Marta Mearini, Daniele Luccini (INMP) PARTE SECONDA: Valeska Padovese, Ada Maristella Egidi, Emma Pizzini (INMP) PARTE TERZA: Valeska Padovese, Emma Pizzini (INMP) FOTO CLINICHE: INMP EDITING: Cecilia Fazioli (INMP) marenostrum PROGETTO FER/UE Common approach to upgrade asylum facilities in Italy and Malta Realizzato nell’ambito del Progetto “MARE NOSTRUM. Common approach to upgrade asylum facilities in Italy and Malta” ( JLS/2008/ERFX/CA/1031), finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono responsabilità esclusiva degli autori dell’INMP, e non riflettono in alcun modo le posizioni ufficiali dell’Unione Europea. Scabbia Pediculosi Infezioni sessualmente trasmissibili Epatiti virali Infezioni da HIV/AIDS Esantemi infettivi Meningiti Schistosomiasi Malaria Tubercolosi Leishmaniasi Quadri clinici gastrointestinali Vaccinazioni consigliate PARTE TERZA Altri quadri clinici osservabili nelle popolazioni migranti Ocronosi esogena Acne cosmetica Acne cheloidea della nuca Pseudofollicolite della barba Noduli da preghiera Cupping Scarificazioni e tatuaggi Sindrome Dhat Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) 5 7 15 17 19 22 34 42 47 51 54 57 60 65 70 74 77 79 80 81 83 84 85 86 89 90 PReFAZIOne I l presente Manuale costituisce lo strumento operativo risultante dal progetto “Mare Nostrum – Common approach to upgrade asylum facilities in Italy and Malta”, progetto finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati dell’Unione Europea, che ha visto coinvolti vari partner istituzionali, quali il Ministero dell’Interno italiano, il Ministry for Justice and Home Affairs, il Ministry for Health, the Elderly, and Community Care di Malta, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Il Manuale vuole contribuire, nella sua articolazione, a fornire un supporto operativo all’esigenza di assicurare lo stato di salute dei rifugiati e dei richiedenti asilo temporaneamente ospitati nei Centri di accoglienza in Italia e a Malta, nonché di garantire un’accoglienza nel rispetto delle identità culturali delle varie etnie presenti. Il Manuale è indirizzato, principalmente, sia a quegli operatori sanitari che operano nei Centri di accoglienza, sia a quelli che operano presso i servizi socio-sanitari territoriali, figure chiamate a promuovere e tutelare lo stato di salute dei migranti, di recente arrivo o da tempo presenti sul territorio. L’utilizzo del Manuale contribuirà a quel processo di miglioramento della capacità di rispondere, in modo appropriato, ai bisogni di salute espressi dalla popolazione richiedente asilo grazie ad una migliore comprensione di aspetti particolari e peculiari della medicina delle migrazioni. La prima parte del Manuale pone l’attenzione sugli aspetti culturali correlati alla sfera della salute, che influenzano notevolmente la relazione operatore sanitario - paziente straniero, aspetti che fanno emergere, per questa tipologia di persone, la centralità della comunicazione interculturale e l’importanza del ruolo del mediatore linguistico-culturale, per la presa in carico dei bisogni di salute espressi o, molto spesso, non manifestati dalla persona sofferente. La seconda sezione presenta una descrizione sintetica e sistematica delle principali patologie dermatologiche e infettive di possibile riscontro in gruppi di popolazione, quali quelli ospitati nei Centri di accoglienza, utilizzando un linguaggio chiaro e problem-solving. La terza e ultima parte è dedicata alla presentazione di una miscellanea di quadri clinici peculiari dei soggetti di pelle scura o che hanno origine da pratiche culturali proprie dei contesti d’origine dei migranti. Particolare attenzione è stata curata per queste sezioni con il supporto iconografico, ad utile corredo dei vari quadri presentati. La scelta dei contenuti e le loro modalità espositive nascono, quindi, dall’intento di rafforzare negli operatori sanitari la capacità e le competenze di presa in carico e gestione, in un’ottica multidisciplinare, delle manifestazioni cliniche di possibile riscontro nei soggetti ospiti dei Centri di accoglienza e, più in generale, nelle persone migranti. Confido, quindi, che questo Manuale, anche grazie alla facilità di fruizione dei suoi contenuti, possa avere un immediato impatto sull’attività degli operatori chiamati, ogni giorno, a prendersi cura di persone che esprimono bisogni sanitari e vissuti culturali complessi, rendendo meno gravoso il loro importante lavoro. Dott.ssa Concetta Mirisola Commissario Straordinario INMP 5 PARTE PRIMA Cultura, salute, relazione interculturale 8 cULtURA, sALUte, ReLAZIOne InteRcULtURALe I l prendersi cura di persone provenienti da contesti culturali differenti rappresenta per gli operatori sanitari una sfida sempre più attuale, che li pone di fronte alla difficoltà di superare le barriere linguistiche che si frappongono nella comunicazione col soggetto migrante, e, in alcuni casi, di colmare la mancanza di adeguate conoscenze e competenze sui temi culturali relativi alla sfera della salute. Da parte loro, i migranti, fin dalle prime fasi del loro arrivo, si trovano a vivere un senso di spaesamento dovuto all’estraneità e complessità del contesto di accoglienza e alle difficoltà che spesso incontrano nel realizzare il proprio percorso di integrazione sociosanitaria. Se, da un lato, l’assistenza sociosanitaria offerta si fonda su principi universalistici, a prescindere dal contesto linguistico o culturale di appartenenza, dall’altro i sistemi di cura si modellano sulla cultura e sul sistema medico di riferimento. Ognuno di noi, infatti, ragiona in base alla propria cultura e tale influenza, in ambito medico, si riflette tanto nella pratica quanto nell’interazione col paziente. Una buona comunicazione tra operatore sanitario e paziente straniero è la base per ottenere risultati positivi: è importante essere consapevoli dei valori, delle concezioni, delle aspettative e delle pratiche culturali di cui siamo portatori e di quanto tali aspetti influiscano sulla qualità dell’assistenza offerta a persone appartenenti a culture diverse. L’interazione e la comunicazione sono, infatti, influenzate da una serie di variabili che comprendono anche il bagaglio culturale del migrante e la percezione che egli ha del suo vissuto di malattia e del nuovo sistema di cura al quale deve far riferimento. Il modello iceberg della cultura Uno dei più conosciuti modelli di rappresentazione della cultura è quello cosiddetto dell’“iceberg”. L’idea alla base di questo modello è che la cultura può essere pensata, appunto, come un iceberg, di cui solo una piccola parte emerge dall’acqua, la punta, sostenuta da una parte molto più grande e invisibile perché sommersa. L’immagine dell’iceberg restituisce con immediatezza la concezione in base alla quale le parti visibili della cultura (la lingua, l’architettura, l’arte, la musica, la cucina, ecc.) non sono altro che un’espressione di ciò che resta invisibile (valori, sentimenti, morale, concezione di salute, credenze religiose, regole sociali, ecc.). Salute e malattia tra sistemi medici, concezioni e rappresentazioni Ippocrate sosteneva: «Non mi importa che tipo di malattia ha quell’uomo, ma che tipo di uomo ha quella malattia». Le definizioni di salute e malattia spesso appaiono improntate su una dicotomia concettuale; l’una si definisce per esclusione dell’altra: malattia = assenza di salute salute = assenza di malattia La relazione salute/malattia va intesa invece come un processo dinamico, all’interno del quale i due concetti non sono facilmente riducibili a una pura opposizione. Per tutte le società, la malattia costituisce un evento da interpretare, giacché è necessario che di essa si ricostruisca l’origine e il senso per poterla affrontare. La salute e la malattia non sono esclusivamente eventi biologici oggettivi, ma ogni società definisce criteri per stabilire chi è sano e chi è malato. In generale, conosciamo e accettiamo che esistano differenze culturali e personali nelle concezioni della salute e della malattia, ma il fatto che esse siano socialmente e culturalmente costruite non è accolto con la stessa facilità. In quest’ottica il lavoro di attribuzione di significato che ogni cultura opera nei confronti della male-actio rivela come essa non rappresenti un evento che riguarda il singolo individuo, ma un fatto sociale e collettivo che chiama in causa i significati e le concezioni proprie della comunità della quale l’individuo è parte. In altri termini, si può sostenere che l’appartenenza a una cultura fornisce all’individuo il quadro di riferimento all’interno del quale si collocano tutti i fenomeni del corpo e in particolare la malattia, i suoi sintomi e le sue cause. Ciò fa sì che, in culture diverse dalla nostra, l’insorgere di determinate malattie possa non essere ricondotto a determinanti biomediche, e che la loro causa (eziologia) venga individuata all’interno della sfera sociale e dell’universo culturale della persona malata. La malattia rappresenta, così, l’effetto di comportamenti o eventi negativi, dell’azione di entità spirituali maligne (demoni, deità, ecc.) o, anche, di malefici indotti da persone ostili. La malattia, infatti, presso gran parte dei popoli non occidentali non si presenta mai come un evento fortuito; essa è il segno di un’incrinarsi di un più profondo equilibrio che trascende l’individuo e che investe la società o il cosmo. Queste considerazioni rimandano, più in generale, alla dicotomia esistente tra medicina occidentale e medicine tradizionali. La medicina occidentale, o biomedicina, ha parcellizzato le conoscenze e la pratica medica riguardo la malattia, affidandole a diversi specialisti della salute, il cui compito consiste nell’isolare le cause, identificare la patologia - differenziandola dalle altre e somministrare specifiche terapie che andranno a eliminare la causa stessa della malattia, riconducendo il soggetto al suo precedente stato di salute. Diversamente, le medicine tradizionali, ambito ampio nel quale ricondurre tanto le grandi tradizioni mediche orientali quanto i sistemi tradizionali di cura africani e indigeni latino-americani, si basano sulla visione dell’individuo sano come colui che vive in armonia, in equilibrio con l’ambiente socioculturale e l’universo che lo circonda. Anche la guarigione è concepita non soltanto come la risoluzione dei sintomi della malattia, ma come ristabilimento di un ordine nel rapporto tra l’individuo malato e il suo ambiente naturale, sociale e culturale. Infine, grande importanza viene attribuita alla relazione tra il guaritore/operatore e la persona malata, nella consapevolezza della forza curante della relazione e di quanto l’empatia che si stabilisce influenzi la 9 10 cULtURA, sALUte, ReLAZIOne InteRcULtURALe compliance del paziente. Le riflessioni dell’antropologia medica hanno contribuito a evidenziare i limiti del modello biomedico, sottolineando come il concetto di “malattia” non sia univoco, ma assuma significati differenti a seconda che a definirla sia il medico o il paziente. In questo senso, la letteratura distingue tra i concetti di disease e di illness: disease è la malattia dal punto di vista del medico, intesa come realtà oggettiva, misurabile secondo i metodi scientifico-sperimentali; illness esprime invece il concetto di malattia così com’è percepita e vissuta dal paziente, con la sua cultura e i suoi codici di riferimento. Questa differenza nel “punto di vista”, che emerge anche quando medico e paziente condividono la stessa cultura, diventa ancor più marcata quando essi appartengono a contesti culturali diversi. Esiste poi un terzo termine, sickness, che nella lingua inglese indica la differenza tra essere “malato” ed essere “un malato”, e si riferisce a come la persona malata viene percepita dalle altre persone che compongono i contesti relazionali (famiglia, rete amicale e sociale) a cui essa stessa appartiene. In altre parole, il medico è chiamato a curare la desease, la patologia, trattata con un linguaggio tecnico e impersonale, piuttosto che l’illness e la sickness, l’esperienza soggettiva della malattia, che esprime il modo in cui il malato, la famiglia e la rete sociale definiscono e cercano risposte alla domanda di cura. Il modello biomedico trascura la dimensione sociale della malattia. Sono, infatti, anche la società e la cultura che suggeriscono quali sono gli elementi cui prestare attenzione per determinare se un individuo è malato o meno e, quindi, se è necessario che si rivolga a un medico, ma definiscono anche quando ci si può “sentire guariti”. Questi brevi accenni ci suggeriscono quanto siano differenziati e complessi i quadri culturali e sociali entro cui si costruiscono e si muovono i concetti di salute e malattia. Così complessi che ormai, da qualche decennio, la medicina occidentale, grazie anche all’incontro con sistemi medici e pratiche terapeutiche ‘altre’, ha progressivamente sostituito il paradigma interpretativo biomedico con quello “bio-psico-sociale”, che interpreta la salute come una condizione vitale complessiva. Questo mutamento di prospettiva è stato sancito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, negli ultimi decenni, ha ridefinito il concetto di salute, intesa, ora, non solo come mera assenza di malattia, ma come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. La salute, quindi, acquisisce una prospettiva dinamica e multidimensionale e viene ad essere definita come “campo di applicazione delle capacità individuali o di gruppo, intese a modificare o a convivere con l’ambiente. La salute è quindi vista come una risorsa della nostra vita quotidiana, e non come lo scopo della nostra esistenza; si tratta di un concetto positivo che pone l’accento sia sulle risorse personali e sociali che sulle capacità fisiche” (OMS, 1984). Parallelamente alla ridefinizione del concetto di salute e di malattia, anche la pratica medica ha visto una riconsiderazione delle sue finalità ultime. Questo processo ha portato al progressivo abbandono del paradigma legato alla medicina intesa essenzialmente come “cura” (to cure, in inglese), vale a dire come mera prescrizione di esami diagnosti e di terapia, e all’adozione di una nuova prospettiva, basata sul “prendersi cura” (to care) che valorizza la forza curante della relazione. Essa è finalizzata alla costruzione di una relazione curativa nella quale la persona malata è anche “agente-in-relazione-con” e, conseguentemente, dà vita, insieme al medico e ai propri familiari, ad una “comunità discorsiva” (Russo, M.T., 2004). Un approccio di questo tipo, incentrato sulla conoscenza e sulla comprensione approfondita del vissuto del paziente migrante nell’affrontare la malattia, può incrementare la domanda di servizi di salute grazie all’avvicinamento dell’offerta terapeutica ai reali bisogni della persona malata. Il rapporto tra operatore sanitario e paziente migrante Nel corso degli ultimi decenni, il rapporto tra operatori sanitari e pazienti migranti si è snodato essenzialmente attraverso tre fasi, note come quella dell’esotismo o “esotizzazione della sofferenza”, dello scetticismo e del criticismo sanitario (Geraci S., 1995). La prima fase fa riferimento soprattutto al rapporto con le persone provenienti dall’Africa subsahariana, che si era tradotto essenzialmente nella visione del paziente straniero come portatore di malattie tropicali e di patologie trasmissibili, sebbene il quadro epidemiologico dimostrasse che, generalmente, gli immigrati si ammalavano in larga misura solo una volta giunti in Italia, e delle stesse malattie degli autoctoni. Più in generale, quest’approccio aveva la tendenza a considerare le condizioni di salute dei migranti quasi esclusivamente in riferimento ai rischi che esse potevano rappresentare per la salute pubblica. Nella fase dello “scetticismo sanitario”, in cui si sono ridimensionate tanto le visioni “esotiche” del medico quanto le aspettative del migrante di veder accolti e soddisfatti i propri bisogni di salute, il rapporto tra operatore e paziente straniero è andato mutando soprattutto grazie all’introduzione del concetto di “effetto migrante sano”. Infatti, l’osservazione delle buone condizioni di salute dei migranti al momento del loro arrivo, anche migliori in media di quelle della popolazione autoctona, ha consentito di mettere in luce il processo di selezione operante alle origini dei flussi migratori. Così, è emerso che ad arrivare sono persone in uno stato di salute migliore, anche dei propri connazionali, selezionate in qualche modo dalle proprie famiglie e comunità perché persone forti e sane sia dal punto di vista fisico che psicologico. La terza fase, del “criticismo sanitario”, è più che altro una necessità, un’urgenza (Geraci S., Maisano B., Mazzetti M., 2005). Si tratta del tentativo di superare la dicotomia tra esotizzazione e scetticismo, e di evitare, da un lato, il rischio di un eccessivo relativismo culturale e, dall’altro, l’applicazione di un etnocentrismo biomedico ghettizzante, per favorire una relazione terapeutica paritaria, che rimetta al centro la persona, nella sua unicità; una relazione che compenetri e arricchisca tutti gli attori coinvolti. La relazione interculturale e la figura del mediatore culturale È evidente quanto sia importante, in una società sempre più caratterizzata dalla “multiculturalità”, dotarsi di strumenti che facilitino i processi d’integrazione delle persone straniere, nel riconoscimento delle reciproche differenze ma, al contempo, nel mantenimento degli assunti di base circa l'uguaglianza degli esseri umani in termini di diritti e doveri. A questo scopo, da qualche decennio è stata introdotta in Italia la figura del mediatore culturale, una persona chiamata a svolgere la funzione di “ponte” 11 12 cULtURA, sALUte, ReLAZIOne InteRcULtURALe tra istituzioni/servizi e utenza straniera. I mediatori sono oggi presenti nei contesti in cui ha luogo l’accoglienza e, soprattutto, l’integrazione dei migranti (come i centri di accoglienza, le strutture sanitarie, le scuole, gli uffici della questura, ecc.), e nelle situazioni particolarmente delicate, laddove è forte il rischio di uno squilibrio comunicativo e relazionale tra le parti coinvolte. Si tratta di persone, i mediatori culturali, spesso esse stesse immigrate, che quindi hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della migrazione, ma che allo stesso tempo conoscono nel dettaglio la cultura, la legislazione, la società nella quale vivono. Proprio per questa loro duplicità, per questo stare nel mezzo, essi costituiscono oggi una figura di estrema importanza. Il mediatore culturale è infatti colui che mette in atto un insieme di strategie d’intervento volte a facilitare la comunicazione tra soggetti appartenenti a culture diverse ha l’obiettivo di ridurre i rischi di conflitto, di emarginazione, d’incomunicabilità che possono scaturire dalla non conoscenza dei rispettivi codici linguistici e culturali. La mediazione, quindi, in questo processo bi-direzionale di decodifica dei contenuti della comunicazione, si esplica fondamentalmente su tre livelli, di ordine: 1) pratico - orientativo; 2) linguistico - comunicativo; 3) psico-sociale. Possiamo ricondurre al primo livello le funzioni che il mediatore svolge nei confronti del gruppo culturale di appartenenza e, in alcuni casi, anche nei confronti degli operatori dei servizi dove presta la propria opera. Il mediatore, infatti, informa gli utenti circa l’organizzazione dei servizi e i loro diritti/doveri, e allo stesso tempo arricchisce le conoscenze che gli operatori hanno delle culture di appartenenza degli utenti. Al secondo livello fanno riferimento le funzioni di traduzione, ma anche di “gestione dei fraintendimenti” che possono insorgere nel corso della relazione linguistica. È evidente come, in questi casi, la figura del mediatore assuma una connotazione assai importante poiché deve assicurarsi che gli interlocutori comprendano non solo le parole ma anche i significati che vengono veicolati. Il mediatore è chiamato a creare una situazione comunicativa che guidi le parti ad una reciproca comprensione e, soprattutto, deve dimostrarsi imparziale, evitando giudizi di valore e forme di censura che possano generare incompatibilità. Al terzo livello, forse il più complesso, afferiscono le funzioni grazie alle quali il mediatore diventa agente di cambiamento dinamico, promuovendo il mutamento e lo scambio di valori e significati. Questo livello di mediazione si comprende se si pensa che il migrante, oltre a dover affrontare la difficoltà d’integrazione e di comunicazione, si trova nella necessità di ridefinire la propria identità personale, messa in crisi dall’inserimento in un nuovo contesto culturale in cui i punti di riferimento sono profondamente mutati. Questa ridefinizione dell’identità deve garantire, da un lato, l’adattamento dell’individuo alla nuova situazione e, dall’altro, la continuità e l’aderenza all’identità precedentemente costruita. In questo caso il mediatore culturale diviene agente di cambiamento e rappresenta l’opportunità per il migrante di realizzare questo passaggio col minor rischio possibile di sviluppare forme di malessere e disagio psicosociale. Più in generale, possiamo dire che la mediazione assomma funzioni di advocacy e di empowerment. Il mediatore, infatti, informa l’utente sui propri diritti, lo aiuta a far sì che i suoi bisogni siano presi in carico dall’operatore sanitario (advocacy), rendendolo, progressivamente, un soggetto sociale più consapevole e quindi più forte (empowerment). Il mediatore, in ambito socio-sanitario, assume una funzione cruciale nella presa in carico dei bisogni di salute, così come sono espressi dalle persone straniere. La letteratura scientifica sottolinea che il ricorso alle prestazioni sanitarie e i comportamenti – protettivi o a rischio – non sono determinati dalla semplice scelta individuale, ma sono condizionati da una serie di fattori che toccano in maniera minore la popolazione autoctona rispetto a quella migrante: le difficoltà linguistiche, le esperienze discriminatorie, le differenti concezioni e percezioni inerenti la sfera della salute, la mancanza di adeguante conoscenze sul funzionamento del sistema sanitario sono tutti fattori negativi che generano una situazione di ridotto o mancato accesso ai servizi da parte della popolazione migrante. Il mediatore permette anche di avviare percorsi di cura che lascino spazio all’integrazione tra pratiche biomediche e tradizionali. Può succedere, infatti, che i pazienti, nel proprio percorso di ricerca della cura, si rivolgano contemporaneamente al medico e al guaritore tradizionale (a lui culturalmente più familiare), o che utilizzino rimedi tradizionali provenienti dal proprio paese d’origine, nella convinzione che il ricorso a diverse risorse terapeutiche aumenti le possibilità di guarigione. In queste situazioni, il mediatore è d’aiuto in quanto, muovendosi all’interno dei diversi codici culturali messi in campo, può promuovere l’accettazione da parte del medico di un’integrazione tra pratiche mediche diverse e, nel paziente, la consapevolezza dell’importanza di aderire alla terapia proposta (compliance). La relazione medico-paziente è per definizione efficace se basata su un rapporto di fiducia e di empatia, e il mediatore può facilitare l’instaurarsi dell’“alleanza terapeutica”. Esistono, al contempo, delle difficoltà oggettive che rendono complesso e delicato il ruolo del mediatore all’interno della comunicazione e relazione “a tre” che si viene a creare. La centralità della sua figura fa sì che si possa infatti incorrere in un duplice rischio. Da un lato, il mediatore può facilmente identificarsi con il paziente, correndo il pericolo di sbilanciare il proprio intervento a favore di una sola parte; dall’altro, può accadere che i pazienti percepiscano il mediatore come semplice portavoce dei servizi, e questo naturalmente ostacola una comunicazione aperta ed efficace rispetto ai bisogni espressi. La chiave della mediazione invece sta proprio nel fatto che, nella relazione tra le due parti, non c'è ne è una che esce vincitrice sull'altra: ciò che connota la mediazione come riuscita è proprio la win-win situation, in cui appunto entrambe le parti possono considerarsi insieme vincitrici. Consigli pratici relativi al setting medico-mediatore-paziente: • dedica qualche minuto alla definizione delle modalità di lavoro con il mediatore culturale; • disponetevi in modo da formare un triangolo; • Mantieni il contatto visivo con il paziente piuttosto che con il mediatore; • Rivolgiti direttamente al paziente, non al mediatore; • Parla lentamente, in maniera chiara e fai delle pause frequenti per permettere al mediatore di tradurre; • Usa un linguaggio lineare ed evita, se possibile, i termini specialistici; • Fai in modo che tutto ciò che viene detto di fronte al paziente venga tradotto; • Fai delle domande per assicurarti he il paziente abbia capito correttamente; • dopo l’incontro, confrontati brevemente con il mediatore culturale. 13 14 Riferimenti e approfondimenti bibliografici: z Augé M. Ordine biologico, ordine sociale. La malattia, forma elementare dell'avvenimento. In M. Augé & c. Herzlich (eds.), Il senso del male. Antropologia, storia e sociologia della malattia, pp.33-85. Milano, Il saggiatore, 1986. z Balboni Pe, Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale, Marsilio Venezia, 1999. z Bardone e, Rossi e. Oltre le culture. Valori e contesti della comunicazione interculturale Ibis, 2004. z Barna LRM. in Bennet M.J., (a cura di), Principi di comunicazione interculturale Gli ostacoli della comunicazione interculturale Franco Angeli Milano, 2002. z Bouchard M. Mierolo, G., (a cura di) Prospettive di mediazione, edizioni grippo Abele, torino, 2000. z Byron Good J. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico tra medico e paziente. ed. di comunità, torino, 1999. z carbaugh d. Toward a Perspective on Cultural Communication and Intercultural Contact, “semiotica”, 70, 1/2, 1990, pp. 15-35. z cohen-emerique M, camilleri c. Chocs de culture: concepts et enjeux pratiques de l'interculturel, L’Harmattan, Paris, 1989. z Favaro G. (a cura di) Parole a più voci comune di Milano, Franco Angeli, Milano, 2001. z Geertz c. Gli usi della diversità, in L’antropologia culturale oggi, a cura di R. Borofsky, Roma, Meltemi, 2000. z Geraci s. Maisano B. e Mazzetti M. Migrazione e Salute. Un lessico per capire, Roma, centro studi emigrazione, 2005. z Geraci s (a cura di). Approcci transculturali per la promozione della salute. Argomenti di medicina delle migrazioni, Roma, Peri tecnes, 1995. z Giaccardi c. La comunicazione interculturale, Il Mulino, Bologna, 2005. z Gudykunst W.B., Mody B., Handbook of International and Intercultural communication, thousand Oaks, ca, sage, 2002. z Hall et. in Bennett, M.J. a cura di, Principi di comunicazione interculturale Il potere delle differenze nascoste, Franco Angeli, Milano, 2002. z Molina s. La salute degli immigrati: effetto migrante sano e disuguaglianze etniche di salute, in A. Fantauzzi (a cura di), L'altro in me. Dono del sangue e immigrazione fra culture, pratiche e identità, pp.96-101, Milano, AVIs, 2008. z Pasini n, Picozzi M. Salute e immigrazione. Un modello teorico-pratico per le aziende sanitarie, Milano, Franco Angeli, 2005. z Pizza G. Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo, carocci, Roma, 2005. z Russo Mt. Corpo, salute, cura. Linee di antropologia biomedica. soveria Mannelli, Rubbettino (cZ), 2004. z santerini M. Intercultura, editrice La scuola, Brescia, 2003. z santipolo M. tosini M., tucciarone s., La comunicazione interculturale in ambito socio-sanitario, Libreria editrice cafoscarina, Venezia, 2004. z schirripa P. Le politiche della cura, Argo, Lecce, 2005. z schirripa P, Vulpiani P. L’ambulatorio del guaritore. Forme e pratiche del confronto tra biomedicina e medicine tradizionali in Africa e nelle Americhe, Argo, Lecce, 2000. z seppilli t. Scritti di antropologia culturale: I problemi teorici, gli incontri di culture, il mondo contadinoLa festa, la protezione magica, il potere, Olschki, 2008. z singer MR. Intercultural communication: a perceptual approach, englewood cliff, nj, Prentice Hall, 1987. z ting toomey s, Gudykunst WB. Culture and interpersonal communication, sage, Bewbury Park, 1988. z WHO Glossary of Terms used in Health for All, series (n°9). WHO, Geneva, 1984. z WHO Ottawa Charter for Health Promotion, WHO/HPR/HeP/95.1. WHO, Geneva, 1986. PARTE SECONDA Patologie dermo-infettive di possibile riscontro in comunità 16 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà L ungo tutta la storia dell’umanità, migrazione e salute sono stati due temi intimamente collegati: le esperienze e le esposizioni ad alcune malattie avvenute nel luogo di origine possono influenzare la salute del migrante durante tutto il suo percorso migratorio, dalla transizione, alla residenza temporanea, all’arrivo a destinazione. Il cosiddetto “effetto migrante sano” di cui si è parlato altrove in questo testo, ovvero il fenomeno secondo il quale i migranti sono generalmente più sani degli autoctoni, è una realtà ormai ampiamente accettata. Tuttavia, l’impatto dello stile di vita nel paese ospite può avere importanti conseguenze sulla salute e causare un declino dell’“effetto migrante sano” man mano che aumenta il tempo di residenza nel paese ospite. Ad ogni modo, quando si parla di migrazione, si registra una certa tendenza a considerare solo i rischi per la salute, concentrando l’attenzione sull’impatto che malattie infettive “rare” e “importate” possono avere sulla popolazione ospitante. La sezione che segue offre una panoramica delle malattie infettive che occasionalmente possono essere osservate nei migranti ospiti dei centri di accoglienza; la descrizione delle diverse patologie si concentra su alcuni aspetti, quali epidemiologia, quadro clinico e diagnosi, che possono supportare gli operatori sanitari al momento della diagnosi differenziale con malattie che raramente incontrano nella pratica quotidiana. µ SCABBIA SINONIMI: The itch, human scabies, escabiasis, la gale Norvégienne, Krätze. DEFINIZIONE: La scabbia è una parassitosi cutanea provocata dall’acaro sarcoptes scabiei. AGENTE CAUSALE: L’ectoparassitosi è causata da diverse specie di acari, ma l’acaro della scabbia, sarcoptes scabiei, è l’agente principalmente coinvolto. EPIDEMIOLOGIA: Dal punto di vista epidemiologico la scabbia è ubiquitaria e la sua diffusione ha un andamento ciclico con epidemie più o meno circoscritte. TRASMISSIONE: L’infezione avviene quasi sempre per contatto interumano ed è tipico il contagio tra persone che condividono lo stesso letto o gli stessi indumenti. La scabbia viene oggi annoverata tra le infezioni a trasmissione sessuale (ITS), poiché la trasmissione interumana necessita di contatti intimi, prolungati, come può avvenire nei rapporti sessuali. PERIODO DI INCUBAZIONE: Dura in media tre settimane (in caso di primo contagio); è molto più breve, 1-3 giorni, in caso di reinfestazione. La parola scabbia ha origine dal latino “scabere” = grattare. È una dermatosi parassitaria contagiosa, caratterizzata da intenso prurito e da una lesione patognomonica: il cunicolo scabbioso. È la femmina gravida del S. scabiei che determina la malattia. L’acaro scava il cunicolo nello strato corneo dell’epidermide, lasciandosi dietro le uova. Il ciclo evolutivo del parassita si compie in 6 settimane; gli acari si fecondano al 28° giorno di vita e vivono circa 2 mesi il maschio e 3 mesi la femmina. scicole perlacee) e altri esiti, più spesso da grattamento (papule, noduli, escoriazioni e croste). Il cunicolo corrisponde al percorso scavato dall’acaro femmina attraverso lo strato corneo dell’epidermide, e lo si può osservare soprattutto a livello degli spazi interdigitali delle mani e in prossimità della superficie flessoria dei polsi. Le lesioni papulo-vescicolose compaiono nelle sedi tipiche: interdigitali, polsi, cavi ascellari, interno coscia, glutei, periombelicali, peniene e scrotali nel maschio e areole mammarie nella femmina. La malattia non comporta rischi per la vita, ma il prurito intenso, ingravescente, persistente e le infezioni secondarie possono essere invalidanti. Lesioni vescicolose sovrainfette interdigitali Sedi tipiche di scabbia QUADRO CLINICO: La sintomatologia della scabbia è rappresentata dal prurito e dalle manifestazioni cutanee; il prurito è intenso e prevalentemente notturno e non lascia dormire il soggetto. L’eruzione cutanea è costituita da lesioni patognomoniche (cunicoli scabbiosi e, in minor misura, ve- DIAGNOSI: Si basa sull’anamnesi (contatto con persone che lamentano prurito) e sull’esame obiettivo (tipo e localizzazione delle lesioni). Le caratteristiche del prurito, soprattutto notturno, sono patognomoniche. L’esame microscopico diretto delle squame cutanee può evidenziare la presenza dell’acaro e/o delle sue uova. 17 18 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà sistemici (per os o IM), il prurito può persistere anche per 2 settimane dopo la terapia locale; • Al termine del trattamento è necessario cambiare gli abiti inclusa la biancheria intima; anche lenzuola e materassi se l’infestazione si verifica in centri di accoglienza. È consigliabile il lavaggio degli indumenti in acqua molto calda e l’esposizione del materasso al sole per almeno 48 ore; • Al termine del trattamento è opportuna una visita medica di controllo. IN CASO DI IMPETIGINIZZAZIONE: Terapia antibiotica sistemica con Amoxicillina 1 gr x 2/die per 5 giorni nell’adulto (Eritromicina in paziente allergico alla penicillina). In età pediatrica, Amoxicillina 50 mg/Kg die diviso in due somministrazioni giornaliere. µ PEDICULOSI Si parla di scabbia norvegese quando questa assume l’aspetto di lesioni ipercheratosiche o crostose, particolarmente sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi. È un quadro di frequente riscontro negli immunocompromessi. Le pediculosi sono un’infestazione relativamente comune provocata da piccoli parassiti obbligati, ospiti specifici dell’uomo. Oggi le infestazioni sono frequenti sia nei Paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo e non c'è una correlazione stretta tra l’igiene personale, lo stato di pulizia degli ambienti e la diffusione dei parassiti. Infatti, la trasmissione avviene per contatto diretto con persone già infestate oppure attraverso lo scambio di indumenti e/o effetti personali come cuscini, cappelli, sciarpe, pettini. Tutti i tipi di pidocchi sono causa di morbosità, ma una specie in particolare, quella del corpo, può rappresentare un serio problema sanitario in quanto vettore di malattie epidemiche gravi come tifo esantematico, febbre ricorrente e febbre delle trincee. L’uomo è l’unico serbatoio di queste malattie: l’importanza del pidocchio del corpo come vettore dipende dall’esistenza di un focolaio di malattia nell’area e nella comunità umana dove il parassita è presente. TERAPIA Pediculosi del corpo Scabbia norvegese • Trattamento con Benzoato di Benzile in emulsione olio/acqua al 20% nell’adulto e 10% nel bambino da applicare su tutto il corpo incluse le aree genitali; • In età pediatrica (< 5 anni) è preferibile trattare con Permetrina 5 % crema. Va applicata su tutto il corpo e quindi lavata a distanza di 12 ore. Il trattamento va ripetuto dopo una settimana; • Il trattamento deve essere effettuato per 3 giorni consecutivi. Dopo l’applicazione del farmaco il paziente non deve lavarsi, ma può farlo immediatamente prima; • Il trattamento va ripetuto a distanza di 7 giorni; Terapia sintomatica del prurito con antistaminici SINONIMI: Malattia dei vagabondi, pidocchi, boScabbia impetiginizzata. In età infantile è frequente la sovrainfezione batterica delle lesioni che si distribuiscono spesso in regioni atipiche, come quelle palmoplantari MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Il soggetto affetto da scabbia deve essere trattato con apposita terapia, e possibilmente isolato, per almeno 24 ore dall'inizio del trattamento. Per l'ambiente in generale non sono necessari interventi di disinfestazione, ma è indispensabile una accurata pulizia dei locali con i comuni detergenti. Riferimenti bibliografici z Albakri L, Goldman Rd. Permethrin for scabies in children. can Fam Physician. 2010; 56:1005-6. z Bouvresse s, chosidow O. scabies in healthcare settings. curr Opin Infect dis. 2010; 23:111-8. z Hay RJ. scabies and pyodermas--diagnosis and treatment. dermatol ther. 2009; 22:466-74. z nordlund JJ. cutaneous ectoparasites. dermatol ther. 2009; 22:503-17. z Wolf R, davidovici B. treatment of scabies and pediculosis: facts and controversies. clin dermatol. 2010; 28:511-8. dy lice. DEFINIZIONE: Parassitosi causata da Pediculus humanus corporis o Pediculus humanus humanus, diffusa in tutto il mondo. È rara nei paesi sviluppati, ove si può osservare in persone che vivono in condizioni igieniche scadenti, con un mancato o ridotto accesso ai servizi preposti all’igiene personale, quali le popolazioni nomadi, le street people, i richiedenti asilo ospitati in tendopoli o in centri in stato di sovraffollamento. AGENTE CAUSALE: Pediculus humanus. EPIDEMIOLOGIA: Parassitosi ubiquitaria. TRASMISSIONE: L’infestazione avviene per contatto corporeo o per scambio di indumenti parassitati. PERIODO DI INCUBAZIONE: Il tempo necessario per l’incubazione delle uova e la comparsa del pidocchio adulto è direttamente dipendente dalla temperatura d’incubazione, che dipende, a sua volta, dalla vicinanza delle uova al corpo. Nel ciclo vitale dei pidocchi del corpo, quello di uova è lo stadio più resistente alle variazioni di temperatura ambientali. La vita di un pidocchio adulto è di 1728 giorni. QUADRO CLINICO: Il sintomo principale è il prurito diffuso di entità assai variabile. Presenti numerosi segni da grattamento su tutto il corpo e, se la parassitosi dura da molto tempo, anche iperpigmentazione diffusa e linfoadenopatia generalizzata, conseguente a sovrainfezione batterica (malattia dei vagabondi). I parassiti e le loro uova sono presenti sui vestiti. Possibile, anche se rara, la trasmissione da parte del pidocchio di altre infezioni, quali tifo epidemico, febbre delle trincee e febbre ricorrente. DIAGNOSI: Le manifestazioni iniziali possono essere varie e rendere quindi difficile la diagnosi. La comparsa sulla cute di lesioni maculo-papulose escoriate o di petecchie si associa alla puntura del pidocchio. TERAPIA: • Trattamento con Malathion. Il prodotto deve essere applicato su tutto il corpo e tenuto almeno 10 minuti, quindi lavato via; è sufficiente un solo giorno di trattamento; • Eventuale ripetizione del trattamento dopo 7 giorni; • Tutti gli indumenti, inclusa la biancheria intima, devono essere cambiati e lavati in acqua bollente, o sterilizzati a secco esponendoli a una temperatura di 70°C per un’ora; • Anche i letti delle persone infestate vanno trattati, aspergendo con pochi grammi di polvere insetticida, materassi, cuscini e coperte. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: • Il lavaggio delle mani con la soluzione deter- gente in uso è obbligatorio, anche se sono stati utilizzati i guanti; • Al fine di evitare la reinfestazione del soggetto, procedere al rifacimento completo del letto almeno due volte al giorno, sino a quando il trattamento non è risultato efficace; • Immettere la biancheria sporca, senza scuoterla, direttamente prima in un sacco idrosolubile e successivamente in un sacco per bianche- 19 20 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà ria infetta, se disponibile; • Dopo le prime 24 ore di trattamento efficace sostituire il materasso e i cuscini, operazione da ripetere alla dimissione. Inserire il materasso e i cuscini in sacco per biancheria infetta; • La biancheria personale deve essere lavata possibilmente in lavatrice, ad alta temperatura (superiore comunque ai 60°C e separata da altra biancheria); • Fornire al soggetto infestato indicazioni sul trattamento di pettini e spazzole (uso personale): eseguire detersione accurata e immersione in acqua calda per 10 minuti e/o lavati con shampoo antiparassitario. Tali operazioni sono da effettuare durante tutto il periodo di contagiosità. Pediculosi del capo AGENTE CAUSALE: Pediculus capitis. EPIDEMIOLOGIA: Ubiquitaria. TRASMISSIONE: La via di trasmissione più comune è il contatto ravvicinato con la persona infestata. Meno comunemente si può essere infestati attraverso lo scambio di vestiti, cappelli, sciarpe, giacche con una persona infetta, usando pettini, spazzole o asciugamani infestati o usando letti, materassi e cuscini con i quali sia stata a contatto una persona infestata. QUADRO CLINICO: I principali sintomi sono prurito al collo, al cuoio capelluto e alle orecchie. Nei casi più gravi, si può sviluppare una sovrainfezione batterica che può comportare episodi febbrili e ingrossamento dei linfonodi cervicali e nucali. DIAGNOSI: Si basa sul riscontro del parassita e/o delle sue uova adese alla base del capello. TERAPIA: • Permetrina 1% è il farmaco di scelta, applicare per 10 minuti e sciacquare; • Malathion 0.5% per 12 ore; • Shampoo a base di gamma benzene esacloruro 1%, risciacquare dopo 10 minuti; • Crotamitone 10%, applicare per 10 minuti; • Pettine a denti stretti per rimuovere le lendini; • Antibiotici per le infezioni secondarie. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: • In caso di contagio non è necessario applicare restrizioni alla vita in comunità, ma è importante sottoporre quanto prima a trattamento di disinfestazione, controllare tutti i contatti e lavare in lavatrice a 60° federe, lenzuola, asciugamani e gli indumenti a contatto con il capo e con il collo. • Pettini e spazzole vanno immersi in acqua bollente per 10 minuti. Pediculosi del pube SINONIMI: Ftiriasi, pubic lice. DEFINIZIONE: È un’infestazione delle zone corporee ricoperte da peli, frequentemente interessa la regione genitale, ma possono essere colpiti anche il perineo, le cosce, l’addome, più raramente il torace, le ascelle e le ciglia superiori. AGENTE CAUSALE: Il parassita in causa è il Phthirus pubis, che si posiziona in aree ricoperte di peli, prevalentemente umide. È poco mobile e diventa attivo soprattutto di notte. EPIDEMIOLOGIA: L’incidenza non è molto conosciuta, ma pare sia più frequente in giovani adulti sessualmente attivi. TRASMISSIONE: La pediculosi del pube si trasmette per stretto contatto fisico, quasi esclusivamente per via sessuale, tanto da essere considerata una IST altamente contagiosa. Dopo un solo rapporto con un partner infestato, il rischio di contrarre l’affezione è del 90%. Inoltre, nel 30-50% dei casi è presente un’altra IST (gonorrea, tricomoniasi, herpes genitalis, sifilide). PERIODO DI INCUBAZIONE: La durata totale è di 12-20 giorni. Le uova sono presenti alla base dei peli e il loro periodo di incubazione è di 7-8 giorni. QUADRO CLINICO: Il sintomo più caratteristico è il prurito, anche se l’infestazione può restare a lungo asintomatica. Il prurito è prevalentemente notturno. Nelle sedi delle punture possono osservarsi piccole papule, che il grattamento può portare a escoriare, con il rischio di infezioni secondarie associate a tumefazione dei linfonodi regionali. DIAGNOSI: L’esame obiettivo della zona genitale esterna rivela in genere piccole uova di colore grigio-bianco attaccate al fusto del pelo. Possono evidenziarsi pidocchi adulti. Si possono osservare lesioni da grattamento ed eventuale sovra infezione batterica. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: TERAPIA: va, forme larvali o adulte sono presenti e vitali sulle persone infestate o su indumenti e altri fomiti. I pidocchi generalmente non riescono a sopravvivere al di fuori dell’ospite per più di 1-2 giorni e, in assenza di una fonte di sangue, per non più di 10 giorni; le uova non possono sopravvivere a temperature ambientali inferiori a 24°C e superiori a 38°C; • La presenza di sole lendini non significa contagiosità del soggetto; • Quando possibile, deve essere attuato l’isolamento del soggetto infestato fino ad avvio di idoneo trattamento disinfestante. Il soggetto può essere riammesso in collettività il giorno dopo il trattamento. • Trattamento con Malathion; • Il prodotto deve essere applicato sulla zona infestata e tenuto almeno 10 minuti e poi lavato via; è sufficiente un solo giorno di trattamento, ma è consigliabile ripetere l’applicazione dopo 7 giorni; • Cambiare la biancheria a contatto con la zona infestata, lavaggio in acqua bollente; • Si consiglia di trattare anche il partner; • Dal momento che la malattia viene comunemente trasmessa per via sessuale il paziente deve essere sottoposto a indagini cliniche e sierologiche per escludere altre IST. • Il periodo di contagiosità dura fintanto che uo- Riferimenti bibliografici: z Burkhart cG, Burkhart cn. safety and efficacy of pediculicides for head lice. expert Opin drug saf. 2006; 5:16979. z cdc sexually transmitted diseases treatment Guidelines, 2010 MMVR december 17, 2010; Vol. 59 / no. RR-12. disponibile al seguente link: http://www.cdc.gov/std/treatment/2010/std-treatment-2010-RR5912.pdf. z chosidow O, Giraudeau B, cottrell J, Izri A, Hofmann R, Mann sG, Burgess I. Oral ivermectin versus malathion lotion for difficult-to-treat head lice. n engl J Med. 2010; 362: 896-905. z de Fazio JL, spencer P. Images in clinical medicine. dermoscopy of phthiriasis. n engl J Med. 2010; 362:e33. z Feldmeier H, Heukelbach J. epidermal parasitic skin diseases: a neglected category of poverty-associated plagues. Bull World Health Organ. 2009; 87:152-9. z Javier J. the treatment and prevention of head lice infestation. Adv nurse Pract. 2009; 17:1-8. z Leone PA. scabies and pediculosis pubis: an update of treatment regimens and general review. clin Infect dis. 2007; 44(suppl 3):s153-s159. 21 22 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMISSIBILI che causano uretriti e cerviciti, distinte in gonococciche e non gonococciche. componenti nel materiale patologico e/o alla dimostrazione di un movimento anticorpale specifico. TERAPIA DEFINIZIONE: Si definiscono infezioni sessualmente trasmissibili (IST) quelle infezioni che riconoscono come modalità preminente di contagio il trasferimento interpersonale degli agenti infettanti tramite rapporti sessuali. In base a questa definizione, nello spettro eziologico possono essere incluse anche alcune infezioni che, solitamente acquisite secondo altre modalità (parenterale, oro-fecale), riconoscono occasionalmente possibilità di trasmissione per via sessuale. EPIDEMIOLOGIA: Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le IST, escludendo l’infezione da HIV, hanno un’incidenza annua di 333 milioni di casi nel mondo, in continuo aumento, anche a causa della maggiore mobilità delle persone e di una maggiore tendenza ad avere rapporti sessuali con più partner. PREVENZIONE E TRATTAMENTO: Attraverso la promozione di comportamenti sessuali responsabili (informazione, attenzione nelle pratiche sessuali saltuarie e con partner occasionali, uso del preservativo) si cerca di arginare la diffusione delle IST. È importante anche identificare le persone infette che non mostrano sintomi (ad esempio con lo screening di alcune categorie, come le donne in gravidanza) e i loro partner sessuali. Il trattamento complessivo delle infezioni a trasmissione sessuale dovrebbe essere incluso nei servizi sanitari di base offerti ai cittadini, con la messa a disposizione di farmaci adeguati, trattamento anche dei partner sessuali, educazione pubblica, distribuzione di preservativi, promozione di un’adeguata prevenzione nelle categorie a rischio. Nella breve trattazione che segue, si è deciso di adottare un approccio sindromico alla classificazione delle IST, tale da permettere una suddivisione in base ai quadri clinici di più frequente riscontro nella pratica quotidiana. Pertanto si classificano le IST in infezioni che causano lesioni ulcerative dei genitali (herpes genitale, sifilide, cancroide, granuloma inguinale, linfogranuloma venereo) e in infezioni • Acyclovir 400 mg PO TID per 7-10 giorni, oppure • Acyclovir 200 mg x 5/die per 7-10 giorni, oppure • Valaciclovir 1 gr BID per 7-10 giorni, oppure • Famciclovir 250 mg TID PO per 7-10 giorni; • Efficacia sovrapponibile tra i vari farmaci (va- Lesioni ulcerative genitali Herpes genitale SINONIMI: Herpes genitalis, genital herpes. DEFINIZIONE: L’herpes simplex genitale si manifesta con lesioni vescicolo-erosive transitorie, generalmente disposte “a grappolo” e meno frequentemente con ulcerazioni. AGENTE CAUSALE: Herpes simplex virus (HSV) 1 e 2, distinguibili dal punto di vista antigenico. EPIDEMIOLOGIA: HSV è ubiquitario, endemico nell'ambito di ogni popolazione e non dispone di alcun serbatoio animale. La sieroprevalenza per HSV tipo 2 è molto più bassa di quella relativa all'infezione con il tipo 1. Nell’infezione genitale da HSV tipo 2, la percentuale di individui che va incontro a episodi ricorrenti è valutata attorno al 60%; anche la frequenza di ricorrenza individuale è più alta di quella riportata per il tipo 1, con valori leggermente più elevati per l'uomo rispetto alla donna. TRASMISSIONE: Avviene tramite contatto diretto di cute o mucose con le secrezioni delle vescicole, per cui potenzialmente ogni parte del corpo può ospitare una lesione clinica. In una minoranza di casi, la trasmissione è possibile anche in assenza di lesioni evidenti. PERIODO DI INCUBAZIONE: Alcuni giorni. QUADRO CLINICO: Le lesioni erpetiche sono caratterizzate da vescicole distribuite a grappolo nelle zone muco-cutanee (cavo orale, genitali esterni e interni) dove è avvenuta l’inoculazione virale a seguito del contatto diretto. L’infezione può essere primaria (prima infezione) o secondaria a riattivazione; la prima è clinicamente più grave della seconda. La severità dell’infezione primaria è legata ad almeno tre fattori principali: l’età del soggetto, il sito e l'immunocompetenza. Da quanto è stato detto appare evidente che la localizzazione della latenza virale dipende dalla localizzazione dell'infezione primaria. Generalmente VHS tipo 1 si localizza nel ganglio del trigemino, mentre quello di tipo 2 nei gangli sacrali. Nell’infezione primaria, dopo l’inoculazione le Infezione erpetica. Caratteristiche le vescicole disposte a grappolo, la cui rottura determina sulla mucosa una erosione superficiale Herpes genitale. A livello vulvare le lesioni erpetiche, a causa della frizione, vanno incontro a rottura del tetto della vescicola, confluendo in vaste zone erosive, di colorito rosso accesso, ricoperte da essudato sieroso particelle virali, che si sono minimamente replicate anche nel derma e nell’epidermide, si diffondono attraverso i rami sensitivi dei nervi, fino ai gangli sensoriali del SNC e in queste sedi rimangono allo stato di latenza. In caso di riattivazione (stati febbrili, stress, fotoesposizione), le particelle virali, moltiplicatesi nelle strutture gangliari, si diffondono da queste alla cute ripercorrendo all’inverso i rami nervosi e determinano la lesione clinica. DIAGNOSI: Gli accertamenti diagnostici possono essere rivolti alla dimostrazione del virus o di suoi lutazione costo/beneficio). Episodi ricorrenti • Acyclovir 400 mg PO TID per 5 giorni; • Acyclovir 200 mg x 5 PO per 5 giorni; • Acyclovir 800 mg BID PO per 5 giorni; • Valaciclovir 500 mg BID per os per 5 giorni; • Famciclovir 125 mg BID PO per 5 giorni. Il trattamento va iniziato precocemente (prodromi, prime ore) in quanto può ridurre la durata della sintomatologia clinica. Il dolore e il bruciore delle lesioni ulcerative è spesso alleviato dall’uso di anestetici locali, quali la Xilocaina al 5%. Molto importante è proteggere la lesione dal passaggio dell’urina, per cui si possono usare pomate alla vaselina o altre creme barriera, da limitare solo alla fase acuta, per evitare l’effetto occludente su lesioni essudanti. Per ridurre la sensazione di bruciore e per portare a un rapido essiccamento le ulcere, assai utili sono alcune sostanze che, applicate localmente, associano a un effetto astringente e riducente un’azione antibatterica e antimicotica. Le sostanze più usate, sia per impacco che per pennellature, sono il permanganato di potassio (1:20000), l’eosina (2%) e il nitrato d’argento (1:1000). MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: È di fondamentale importanza ricordare che la diffusione del virus può avvenire anche in assenza di segni o sintomi d’infezione, condizione che favorisce il contagio. Le persone che hanno l’herpes dovrebbero seguire pochi semplici passi per evitare la diffusione dell’infezione in altre parti del loro corpo o quello di altri. • Evitare di toccare la zona infetta durante la manifestazione e lavare sempre le mani dopo il contatto con quella parte; 23 24 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà • Evitare rapporti sessuali (vaginali, orali, o ana- DIAGNOSI: La diagnosi di sifilide richiede la con- li) anche se protetti dal momento dei primi sintomi genitali fino a che i sintomi siano scomparsi completamente. Sifilide SINONIMI: Lues venerea, great pox, morbus gallicus, sifilis, syphilis, lustseuche. DEFINIZIONE: Malattia infettiva trasmessa principalmente per via sessuale. Il termine Lue deriva dal latino lues venereum, ed era originariamente applicato ad ogni malattia venerea. La Lue era ed è (erroneamente) spesso associata alla gonorrea. Sifilide primaria. Sifiloma dell'asta, lesione esulcerativa a margini netti secernente un essudato di tipo sieroso Sifilide secondaria. Esantema roseolico da macule eritemato-squamose a localizzazione palmare Sifilomi multipli al pene Sifilide secondaria. Particolare del paziente in figura precedente, a livello delle macule è evidente collaretto di Biett AGENTE CAUSALE: Treponema pallidum, famiglia delle Spirochetacee. EPIDEMIOLOGIA: Gli ultimi dati disponibili sui nuovi casi di sifilide forniti dall’OMS stimano in 12 milioni di casi la presenza a livello mondiale della malattia. Si riscontra più frequentemente nel sesso maschile, in età giovane adulta. TRASMISSIONE: Il contagio, oltre che per via sessuale, può avvenire per via transplacentare dalla madre al feto (Sifilide congenita). PERIODO DI INCUBAZIONE: Tre settimane circa. QUADRO CLINICO: La sifilide è una malattia caratterizzata da tre stadi evolutivi. La sifilide primaria è caratterizzata clinicamente da una esulcerazione classicamente non dolente, di colorito rosso rameico, localizzata soprattutto a livello dei genitali esterni o comunque nel punto di inoculazione. Nel maschio la localizzazione più frequente è al solco balano-prepuziale. Nella donna invece è al collo dell'utero, quindi asintomatica e spesso ignorata. In genere, il sifiloma scompare spontaneamente nel giro di 720 giorni. Dopo circa una settimana dalla sua comparsa si sviluppa un’adenopatia satellite loco-regionale: i linfonodi aumentano di volume e di consistenza e risultano in genere non dolenti. SIFILIDE SECONDARIA: Il periodo secondario inizia circa sei settimane dopo la scomparsa della lesione primaria. È caratterizzata da varie lesioni dermatologiche che possono simulare differenti patologie, va quindi presa in considerazione nella diagnosi differenziale di eruzioni cutanee o mucose di natura non determinata, e in particolare se i pazienti presentano associati i seguenti sintomi: • Linfadenopatia generalizzata; • Lesioni palmo-plantari; • Condylomata lata (o condyloma latum); • Fattori di rischio quali infezione da HIV, partner sessuali multipli. SIFILIDE TERZIARIA O TARDIVA: È sintomatica ma non contagiosa (gomma sifilitica, sifilide cardiovascolare, neurosifilide). Durante il periodo terziario, che inizia dopo la regressione della fase secondaria, la sifilide entra in una fase di latenza clinica. ferma mediante indagini sierologiche. La diagnosi sospettabile può essere confermata dalla ricerca dei treponemi nell’essudato e dalla positività della sierologia (FTA-ABS). In genere la positività di un test treponemico e di un test non treponemico permette di fare diagnosi di sifilide. Tuttavia, tali test hanno un valore orientativo e i risultati positivi devono essere sempre confrontati con la clinica e gli antecedenti del paziente. Tradizionalmente la sierodiagnosi della lue si sviluppa su due livelli: i sieri risultati positivi ai test di screening devono essere sottoposti a un test di conferma e a una valutazione quantitativa dei livelli anticorpali, con il triplice scopo di ottenere la certezza diagnostica, di valutare il grado di attività della malattia e di porre le basi per il monitoraggio dell’efficacia della terapia. DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON: ulcera molle, herpes simplex e aftosi. Si sottolinea l’importanza del follow-up specialistico di tutti i casi di sifilide: • Visita clinica; • VDRL e TPHA a distanza di 3, 6, 12 mesi, e quindi una volta all’anno fino a negativizzazione. VALUTAZIONE A LUNGO TERMINE DELLA LA SIFILIDE LATENTE è asintomatica (spesso di diagnosi occasionale) e si distingue in: • Sifilide latente precoce (infezione di durata inferiore ai 2 anni); • Sifilide latente tardiva (infezione di durata superiore ai 2 anni). Durante il periodo di latenza l’agente infettante si “riattiva” e può causare danni al sistema nervoso centrale, agli occhi, al sistema cardiocircolatorio, al fegato, alle ossa e alle articolazioni, definendo il quadro clinico della fase terziaria in cui si possono verificare paralisi, confusione mentale, cecità e demenza, fino alla morte. Nei pazienti con comportamenti sessuali a rischio la re-infezione è possibile, ma è difficilmente diagnosticabile se non è nota la storia clinica del paziente, i risultati e l’andamento dei test effettuati in occasione della precedente infezione e il tipo di trattamento effettuato. RISPOSTA ALLA TERAPIA • Lue precoce: VDRL eseguito a 3, 6 e 12 mesi dopo il trattamento. Diminuzione del titolo fino a diventare negativo. • Lue sieropositiva primaria o secondaria: Il titolo VDRL diminuisce progressivamente, negativizzandosi entro 12 mesi nel 40-75% dei casi sieropositivi primari e nel 20-40% di quelli secondari. • Lue latente tardiva (o latente di durata non definita): VDRL positivo a basso titolo prima della terapia. La risposta alla terapia con penicillina (vedi paragrafo successivo) è da considerarsi positiva se il titolo si abbassa di almeno 4 volte. Circa la metà di questi soggetti rimane positivo a basso titolo per anni dopo il completamento della terapia; un nuovo ciclo terapeutico è giustificato solo se si verifica un innalzamento del titolo o se si ripresentano i segni e i sintomi della sifilide. 25 26 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà Test sierologici di laboratorio TEST NON TREPONEMICI VDRL (Venereal Disease Reference Laboratory) RPR (Rapid Plasma Reagin) • Poco costosi e di rapida esecuzione; • Utilizzabili sia come screening che nel follow-up della terapia (entro sei mesi* si negativizzano o si assiste a una diminuzione del titolo); • I limiti dei test non treponemici sono: una sensibilità non elevata (70% circa) nella sifilide primaria precoce, nella sifilide latente e nella sifilide congenita tardiva, e una mancanza di specificità in presenza di particolari condizioni quali: infezioni virali (epatiti, mononucleosi), patologie neoplastiche, malattie autoimmuni (lupus eritematoso), gravidanza, età avanzata). TEST TREPONEMICI TPHA (Treponema Pallidum Hemagglutination Assay) WB (Western Blot) FTA-ABS (Fluorescence Treponemal Antibody Absorption Test) ELISA (immunoenzimatico) • Sensibili e specifici; • Screening o conferma; • La positività a questi test si mantiene per molti anni, anche per tutta la vita; • Non sono in grado di indicare l'efficacia del trattamento terapeutico, né una possibile re-infezione. * Questo intervallo di tempo è variabile anche a seconda dello stadio della lue e alla contemporanea presenza di infezione da virus HIV. PARTNER SESSUALI: Il periodo di tempo per identificare partner a rischio è il seguente: a. Tre mesi più la durata dei sintomi per la sifilide primaria; b. Sei mesi più la durata dei sintomi per la sifilide secondaria; c. Un anno per la sifilide latente. È consigliabile raccogliere la storia clinica ed esaminare anche il/la partner di pazienti con sifilide precoce (<1 anno di durata), quindi sottoporli ai test sierologici incluso il test HIV. Inoltre, si consiglia di trattare tutti i partner sessuali che hanno avuto contatti con la persona infetta nei 3 mesi antecedenti la diagnosi. TERAPIA: Il trattamento di scelta della sifilide indipendentemente dallo stadio clinico è rappresentato dalla benzatina penicillina. SCHEMI POSOLOGICI: Sifilide primaria e secondaria • Penicillina G benzatina 2,4 milioni di unità internazionali in dose singola IM, 1,2 milioni di unità in ogni gluteo; Alternative in pazienti allergici alla Penicillina: • Doxiciclina 100 mg BID PO per 14 giorni; • Tetraciclina 500 mg QID PO per 14 giorni; • Eritromicina 500 mg PO ogni 6 ore per 14 giorni. Sifilide Latente tardiva (o latente di durata non definita) • Penicillina G Benzatina 2,4 milioni di unità IM alla settimana per 3 settimane. Trattare nuovamente i pazienti che hanno segni clinici di persistenza di malattia o con titolo (test non treponemici, vedi oltre) in aumento dopo 6-12 mesi. Reazione di Jarisch-Herxheimer (sindrome dai sintomi simil influenzali) può seguire l’inizio della terapia con penicillina, di solito entro le prime 24h. È in genere benigna e autolimitante, non richiede particolari trattamenti a parte l’uso di antipiretici. Sifilide terziaria È rara e il trattamento è complesso e richiede l’ospedalizzazione del paziente. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: È fondamentale attuare adeguate misure preventive. Di fatto, la possibilità di contrarre la sifilide diminuisce significativamente se si eliminano comportamenti sessuali a rischio. È quindi bene: •Utilizzare il profilattico durante i rapporti sessuali; • Evitare rapporti sessuali con persone a rischio; • Astenersi da rapporti sessuali in caso di contagio, anche se sospetto e non ancora confermato; • Effettuare regolarmente delle analisi del sangue dopo rapporto sessuale non protetto con persona “sospetta” (la sifilide può essere diagnosticata precocemente anche in assenza di sintomi); • Informare il partner della propria malattia, in questo modo anch’esso potrà ricevere le cure necessarie; • Avvisare tute le persone con cui si sono avuti rapporti sessuali: nei tre mesi precedenti in caso di sifilide primaria; nei sei mesi precedenti in caso di sifilide secondaria; nell'anno precedente in caso di sifilide latente; • Sottoporsi a screening durante il primo trimestre di gravidanza. Cancroide (Ulcera molle) SINONIMI: Chancroid, soft chancre, ulcus molle, malattia di Ducrey, chancro blando, chancrelle, weicher schanker. DEFINIZIONE: L’ulcera venerea è una malattia a decorso protratto che si manifesta con lesioni ulcerative dell’area anogenitale, spesso seguite da una linfoadenite satellite a tendenza suppurativa. AGENTE CAUSALE: Haemophilus Ducrey. EPIDEMIOLOGIA: L’incidenza globale annuale è di circa 7 milioni di casi. La malattia è endemica in Sud Africa e Africa Orientale, in particolare nei Paesi con prevalenza di infezione da HIV>8%. TRASMISSIONE: Il contagio avviene sempre per via diretta attraverso i rapporti sessuali, anche se il batterio può diffondersi per autoinoculazione. Altra via di trasmissione è dalla madre al feto durante il parto. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 3 giorni a due settimane dopo il contagio. QUADRO CLINICO: L’ulcera molle si caratterizza per la comparsa iniziale di una lesione papulare o vescicolare che successivamente si erode a formare un’ulcera altamente dolorosa. Alla lesione si accompagna spesso la comparsa di linfadenopatia inguinale con possibile suppurazione e fistolizzazione. DIAGNOSI: Oltre che sulle caratteristiche cliniche Ulcera venerea. Lesione ulcerativa, a fondo sanioso, a livello della base dell’asta la diagnosi di ulcera molle si basa sullo striscio e sulla coltura. Gli strisci si ottengono strisciando la parte superiore dell‘ulcera o aspirando il materiale dalla lesione; lo striscio mostrerà le catene costituite dal piccolo bacillo gram-negativo. TERAPIA: Farmaci di prima scelta: • Ciprofloxacina 500 mg BID per 3 giorni; • Eritromicina 500 mg QID per 7 giorni; • Azitromicina 1gr PO in singola dose. Alternative: Ceftriaxone 250 mg IM (dose singola). • Riportati isolamenti con resistenza intermedia a Eritromicina e/o Ciprofloxacina. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Tutte le persone con cancroide andrebbero sottoposte al test per infezione da HIV, sifilide e Herpes. È bene che la persona affetta dall’infezione sappia che: 27 28 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà • Dopo una diagnosi di ulcera molle, è doveroso avvisare tutti i partner sessuali recenti in modo che possano rivolgersi al proprio medico e seguire la cura; • È importante evitare rapporti sessuali durante il trattamento per ridurre il rischio di una reinfezione; • In caso di dubbio dopo un rapporto occasionale, o d’insorgenza di uno dei segni/sintomi elencati sopra, è utile evitare contatti e rapporti sessuali e rivolgersi tempestivamente a un medico per una diagnosi certa; • Il profilattico, se usato regolarmente e in modo corretto, può ridurre notevolmente il rischio di trasmissione dell’ulcera molle. Tipiche sono le “kissing lesions”, lesioni prodotte dall’autoinoculazione su cute adiacente. Le lesioni orali rappresentano la più comune localizzazione extragenitale. La diagnosi differenziale va posta con i condylomata lata della sifilide secondaria, l’amebiasi, il carcinoma spinocellulare, la tubercolosi e l’ulcera molle. Granuloma inguinale SINONIMI: Donovanosi, granuloma venereo, granuloma pudenda chronicum, granulome vénerien, venerisches granulom, pseudo bubo, granuloma tropicale, granuloma serpiginoso, ulcera serpiginosa e granuloma infettivo. DEFINIZIONE: È una malattia ulcerativa granulomatosa e contagiosa che si trasmette attraverso contatto sessuale. AGENTE CAUSALE: Klebsiella granulomatis precedentemente conosciuto come Calymmatobacterium granulomatis. EPIDEMIOLOGIA: La donovanosi presenta una distribuzione geografica irregolare, prevalentemente tropicale, ma concentrata solo in alcune regioni e apparentemente assente in altre: è endemica in alcune aree tropicali e subtropicali dell’Africa (Zambia, Sud Africa), del Sud-Est Asiatico (Vietnam, Indonesia e soprattutto India), dell’Oceania (tra le comunità aborigene dell’Australia e Nuova Guinea), dell’America Centrale (Brasile, Guyana) e dei Carabi. TRASMISSIONE: Per via sessuale. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 8 giorni a 12 settimane. QUADRO CLINICO: Si caratterizza per la comparsa di lesioni ulcerative progressive, non dolenti, in assenza di linfoadenopatia regionale. Le lesioni sono molto vascolarizzate (es. aspetto rosso carne) e sanguinano facilmente al contatto. Granuloma inguinale. Lesioni ulcerative multiple, a margini netti e fondo granuleggiante, in corrispondenza della cute dell’asta TERAPIA: Regime raccomandato • Azitromicina, 1 g PO il primo giorno, quindi 500 mg PO, una volta al giorno per 4 settimane, oppure • Doxiciclina, 100 mg PO, due volte al giorno. Regime alternativo • Eritromicina, 500 mg PO, 4 volte al giorno, oppure • Tetraciclina, 500 mg PO, 4 volte al giorno, oppure • Trimethoprim 80 mg/sulfametossazolo 400 mg, 2 cp PO, due volte al giorno per un minimo di 14 giorni. La risposta clinica si osserva generalmente entro una settimana. Il trattamento va continuato fino a completa risoluzione delle lesioni. La recidiva può verificarsi dopo 6-18 mesi, anche in presenza di una terapia iniziale efficace. I pazienti, per quanto riguarda il follow-up dovrebbero essere seguiti clinicamente finché i segni e i sintomi siano scomparsi. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: È fondamentale attuare adeguate misure preventive. Di fatto, la possibilità di contrarre l’infezione, come in tutte le IST, diminuisce significativamente se si eliminano comportamenti sessuali a rischio. I partner sessuali dei soggetti con granuloma inguinale che hanno avuto rapporti sessuali con la persona affetta nei 60 giorni precedenti l’inizio dei sintomi, devono essere visitati e trattati anche in assenza di segni e sintomi clinici. venereo si presenta con ulcere genitali e linfoadenopatia. AGENTE CAUSALE: Chlamydia trachomatis (L1L2-L3). EPIDEMIOLOGIA: Endemico in Africa Orientale e Occidentale, India, Sud-Est Asiatico, America del Sud e Caraibi. Recenti epidemie si sono verificate anche in Europa. TRASMISSIONE: Il contagio avviene attraverso piccole abrasioni o lesioni di continuo di cute e mucose durante i rapporti anali, vaginali e orali. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 2 a circa 4 settimane. QUADRO CLINICO: Il linfogranuloma venereo si manifesta clinicamente con una lesione ulcerosa iniziale, caratteristicamente fugace e autolimitantesi (lesioni primarie o primo stadio), cui fa seguito una successiva manifestazione linfoadenopatica monolaterale il cosiddetto bubbone, costituito da uno o più linfonodi inguinali notevolmente ingranditi e quindi palpabili (linfoadenopatia tipica del secondo stadio), con possibile Linfogranuloma venereo SINONIMI: Malattia di Nicolas-Favre, linfogranuGranuloma inguinale. Lesioni ulcerative multiple, a margini netti e fondo granuleggiante, in corrispondenza della cute dell'asta (particolare del paziente in figura precedente) loma inguinale, linfopatia venerea, climatic bubo, enfermedad de Nicolas y Favre, maladie de Nicolas-Favre, poradenitis, vierte geschlechtskrankheit. DEFINIZIONE: È un’infezione a trasmissione sessuale di natura batterica. Il linfogranuloma Linfogranuloma venereo. Linfoadenomegalia inguinale bilaterale DIAGNOSI: Può essere confermata dall’esame microscopico che rileva la presenza di corpi di Donovan (bacilli intracitoplasmatici nei macrofagi colorati con i preparati di Giemsa o di Wright) negli strisci eseguiti su materiale prelevato per raschiamento dei margini delle lesioni. I reperti bioptici delle lesioni contengono molte plasmacellule ma poche cellule mononucleate. Manifestazioni cliniche del linfogranuloma venereo Fase della malattia Tempo trascorso dall'infezione Segni e sintomi I stadio 1 - 4 settimane Ulcere genitali non dolenti II stadio Da 1 ad alcune settimane Bubbone (linfoadenopatia inguinale) III stadio Anni Elefantiasi, proctite 29 30 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà fistolizzazione. Spesso non è distinguibile clinicamente da altre forme di ulcerazione genitale con presenza di tumefazioni linfonodali (ad esempio ulcera venerea) ed è difficile porre diagnosi di certezza in laboratorio. La malattia non trattata può condurre alla cosiddetta “sindrome genitorettale”, comune soprattutto nelle donne, caratterizzata da complicazioni quali fistolizzazione e ascessi perirettali; può interessare i vasi linfatici distrettuali ed evolvere verso un possibile terzo stadio (elefantiasi genitale) caratterizzato da notevole ingrossamento dei genitali. L’elefantiasi del perineo e della regione perianale prende il nome di sindrome di Jersild. La presenza di altri sintomi (es. brividi, febbre, cefalea, eritema polimorfo, ecc) può indicare un interessamento sistemico della malattia. DIAGNOSI: Il linfogranuloma venereo deve essere differenziato da altre patologie che possono dare linfoadenopatia (es. sifilide, ulcera molle, granuloma inguinale, linfoma, tubercolosi, ecc). La diagnosi clinica in fase è difficile, ma sospettabile in presenza di linfadenopatia. All’esame fisico il soggetto può presentare: • Ulcera in zona genitale; • Anomalie nella zona rettale; • Linfoadenopatia inguinale; •Drenaggio di pus a livello dei linfonodi inguinali. La diagnosi microbiologica si effettua sul materiale prelevato a livello uretrale, rettale e linfonodale. La sierologia per Chlamydia trachomatis (L-type serovar) può indirizzare la diagnosi. La ricerca colturale o mediante biologia molecolare confermerà la diagnosi. TERAPIA: Farmaci di prima scelta • Doxiciclina 100 mg BID PO, per 14 giorni, oppure • Eritromicina 500 mg x 4 PO, per 14 giorni. Regime alternativo • Tetraciclina, 500 mg PO, 4 volte al giorno per 14 giorni. Eventuale drenaggio della linfoadenopatia ascessualizzata. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Tutti i partner con cui si sono avuti rapporti nel • Spectinomicina 2 gr IM (dose singola) mese precedente andrebbero avviati a un controllo medico e trattati anche se non hanno disturbi. È necessario astenersi dai rapporti sessuali sino alla fine della terapia per evitare una re-infezione. DEFINIZIONE: L’uretrite gonococcica o blenorra- + • Azitromicina 1 gr PO (dose singola), oppure • Doxiciclina 100 mg BID PO per 7 giorni. L’associazione di azitromicina o doxiciclina è consigliata considerando che il 50% circa dei pazienti con uretrite e cervicite hanno una concomitante infezione da Chlamydia: è quindi opportuno trattare entrambe le infezioni. La spectinomicina poco efficace nel caso di faringite gonococcica. gia è una delle più comuni infezioni batteriche a trasmissione sessuale causata da Neisseria gonorrhoeae in grado di infettare le vie uretrali nell’uomo e le vie uro-genitali nella donna. Non gonococciche Uretriti da clamidia, micoplasma e ureaplasma Uretriti e cerviciti Gonococciche SINONIMI: Blenorragia, blennorrhoea, gonococcia, gonorrhoea, blennorrhagie, tripper. I termini derivano dal greco, il primo da “gonos” (seme) e “reo” (scorro), il secondo da “blenos” (muco) e “ragoo” (erompo), e si riferiscono al principale sintomo, ovvero le perdite uretrali. AGENTE CAUSALE: Neisseria gonorrhoeae. EPIDEMIOLOGIA: La gonorrea è una delle infezioni sessualmente trasmissibili più diffuse al mondo. Eppure, la scarsa disponibilità di dati rende difficile la descrizione del fenomeno e quindi il controllo dell’infezione. A livello globale, secondo stime dell’OMS, ogni anno risultano infetti circa 22 milioni di individui. TRASMISSIONE: Si trasmette con rapporti sessuali non protetti, vaginali, orali o anali con un partner infetto. L’infezione può anche essere trasmessa da madre a figlio tramite il canale del parto. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 2 a 7 giorni. QUADRO CLINICO: Negli uomini prevalgono scolo uretrale purulento e bruciore alla minzione, pollachiuria, flogosi del meato urinario. Nelle donne la sintomatologia è spesso modesta o addirittura assente, limitata per lo più all’arrossamento del meato urinario e a modeste perdite vaginali, eventualmente associate a fugaci disordini nella minzione. Possibili complicanze • Stenosi uretrali (si hanno soprattutto nell’uretrite blenorragica non trattata e predispongono a ulteriori uretriti e quindi a nuove stenosi); • Ascesso periuretrale e possibile fistolizzazione; Secrezione uretrale biancastra in presenza di infezione cronica da N. gonorrehoeae. La secrezione purulenta, frequentemente mattutina, è invece tipica dell’infezione acuta da gonococco • L’infezione non trattata nell’uomo può compli- care l’uretrite e diffondersi in altri settori dell’apparato uro-genitale (prostatite, epididimite, infezione cronica delle vescicole seminali, ecc.) fino a causare sterilità; • Nella donna l’infezione può propagarsi per via ascendente al collo dell’utero e alle tube, causando infiammazioni locali (salpingite) fino a determinare un quadro noto come malattia infiammatoria pelvica. SINTOMI ORALI E RETTALI: In caso di trasmissione attraverso rapporti anali può causare proctiti, mentre tramite rapporti orali può causare faringiti, anche se nella maggior parte dei casi entrambi i tipi di localizzazione decorrono in maniera asintomatica. DIAGNOSI: Anamnestica, clinica e di laboratorio. Una prima diagnosi può essere effettuata con l’osservazione del secreto essendo il colore e la consistenza molto specifici. L’esame microscopico e colturale della secrezione permette di identificare il gonococco, anche se spesso è difficile in quanto il batterio è termosensibile, quindi prelevato dal sito dell’infezione tende a morire rapidamente. TERAPIA: • Cefixime 400 mg PO (dose singola), oppure • Ceftriaxone 125 mg IM (dose singola), oppure SINONIMI: Uretrite non gonococcica (UNG), uretrite non specifica, cervicite mucopurulenta, infezioni genitali aspecifiche. DEFINIZIONE: Le UNG sono quelle forme di uretrite per le quali è stata esclusa, sulla base di indagini di laboratorio, la gonorrea. Si ritiene che 2/3 delle uretriti siano di origine non gonococcica. Le uretriti non gonococciche presentano in generale scarsa gravità e contagiosità; tendono però facilmente a prolungarsi o a recidivare e sono spesso resistenti alle cure. AGENTI CAUSALI DI PIÙ COMUNE RISCONTRO: Chlamydia (50% dei casi), Mycoplasma hominis, Ureaplasma, Trichomonas, Mycoplasma genitalium. EPIDEMIOLOGIA: Frequente; elevato numero di casi non dichiarati. L'infezione da C. trachomatis è l'infezione a trasmissione sessuale batterica più diffusa al mondo. Si stimano a livello mondiale circa 50 milioni di casi di infezione all'anno. TRASMISSIONE: Sessuale. PERIODO DI INCUBAZIONE: Tra le 2-3 settimane dopo un rapporto sessuale non protetto con una persona infetta. QUADRO CLINICO: Negli uomini i sintomi di uretrite compaiono abitualmente tra 7 e 28 giorni dopo il contagio sessuale, con lieve disuria e fastidio uretrale e secrezione chiara o mucopurulenta. Sebbene i sintomi possano essere lievi e la secrezione moderata, essi si manifestano soprattutto al mattino. All'esame il meato può avere un aspetto arrossato e si 31 32 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà possono rilevare i segni delle secrezioni sulla biancheria intima. Talvolta l'esordio è più acuto, con disuria, pollachiuria e secrezione purulenta abbondante che simula l'uretrite gonococcica. Nella maggior parte delle donne le infezioni decorrono in forma asintomatica, ma si possono riscontrare secrezione vaginale, disuria, pollachiuria, dolore pelvico, dispareunia e sintomi di faringite e di proctite, quando il contagio avviene a livello orale o rettale. Cerviciti con essudato giallo, mucopurulento ed ectopia cervicale (espansione dell'epitelio colonnare endocervicale rosso sulla superficie vaginale della cervice) sono caratteristiche. Complicanze Negli uomini, possono verificarsi epididimiti (soprattutto in uomini < 35 aa), artrite reattiva e sindrome di Reiter (artrite con interessamento oculare e dermico e uretriti non infettive ricorrenti). Nelle donne, le complicanze includono l’artrite reattiva e la sindrome di Fitz-Hugh-Curtis, in cui l'infezione del peritoneo periepatico da Chlamydia o, meno comunemente, da gonococco può mimare la colecistite. La salpingite da clamidia di solito porta a dolore pelvico cronico, gravidanza ectopica e sterilità. DIAGNOSI: Negli uomini gli strisci di secrezione uretrale colorati al Gram mostrano molti leucociti polimorfonucleati (PMN) e alcune cellule epiteliali, senza germi patogeni. Nei casi lievi in presenza di uretrite si procederà all'analisi delle urine, con reperto di 5 PMN/per campo (1000×) con lente a immersione d'olio. Nelle donne la colorazione di Gram su strisci di secrezioni purulente del collo uterino dimostra la presenza di molti leucociti, ma non di gonococchi. TERAPIA: Regime consigliato • Azitromicina, 1 g PO in dose singola, oppure • Doxiciclina, 100 mg PO, BID per 7 giorni. Regime alternativo • Amoxicillina, 500 mg PO, 3 volte al giorno per 7 giorni; • Eritromicina, 500 mg PO, 4 volte al giorno per 7 giorni; • Ofloxacina, 300 mg PO, due volte al giorno per 7 giorni; • Tetraciclina, 500 mg PO, 4 volte al giorno per 7 giorni. Durante la gravidanza • Eritromicina, 500 mg PO, 4 volte al giorno per 7 giorni, oppure • Amoxicillina, 500 mg PO, 3 volte al giorno per 7 giorni. Uretrite ricorrente o persistente (sintomi persistenti o recidive frequenti dopo il trattamento) • Metronidazolo 2 gr PO (dose singola) + • Eritromicina base 500 mg QID per 7 giorni, oppure • Eritromicina etilsuccinata 800 mg QID PO per 7 giorni. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Ai pazienti va consigliato di astenersi dai rapporti sessuali fino al completamento della terapia e fino a che i loro partner siano stati visitati e trattati per evitare re-infezioni. I pazienti trattati vanno sottoposti a visita e test diagnostici per la ricerca di infezioni persistenti o ricorrenti dopo 8-12 settimane. Riferimenti bibliografici: z Boskey eR. Acid production by vaginal flora in vitro is consistent with the rate and extent of vaginal acidification. Infect Immun 1999; 67:5170-5175. z cdc sexually transmitted diseases treatment Guidelines, 2010 MMVR december 17, 2010 / Vol. 59 / no. RR-12. disponibile al seguente link: http://www.cdc.gov/std/treatment/2010/std-treatment-2010-RR5912.pdf. z edward W. Hook, III, M.d., and Rosanna W. Peeling, Ph.d. syphilis control — A continuing challenge.e. the new england Journal of Medicine 2004; 351:122-124. z Fredericks dn, Fiedler tL,thomas KK, Mitchell cM, Marrazzo JM. changes in vaginal bacterial vaginosis with intravaginal metronidazole therapy for bacterial vaginosis as assessed by quantitative PcR. J clin Microbiol, 2009; 47 (3):721-726. z French, P; Gomberg, M; Janier, M; schmidt, B; Vader, PV; Young, H IUstI: 2008 european Guidelines on the Management of syphilis International Journal of std & AIds, 20(5): 300-309. z Gaydos cA, cartwright cP, colaninno P, Welsch J, Holden J, Ho sY, Webb eM, Anderson c, Bertuzis R, Zhang L, Miller t, Leckie G, Abravaya K, Robinson J. Performance of the Abbott Realtime ct/nG for detection of chlamydia trachomatis and neisseria gonorrhoeae. J clin Microbiol 2010; 48:3236-3243. z Heymans R, van der Helm JJ, de Vries HJc, Fennema HsA, coutinho RA, Bruisten sM. clinical value of treponema pallidum real-time PcR for diagnosis of syphilis. J clin Microbiol 2010; 48:497-502. z Kussrow A, enders cs, castro AR, cox dL, Ballard Rc, Bornhop dJ. the potential of backscattering interferometry as an in vitro clinical diagnostic tool for the serological diagnosis of infectious disease. Analyst 2010; 135:1535-37. z Larson sA, Hunter eF, Kraus sJ. A Manual of tests for syphilis. Washington, dc: American Public Health Association, 1990. z Lewis dA chancroid: clinical manifestations, diagnosis, and management sex. transm. Inf. 2003; 79: 68 – 71. z Lin J, Whitlock e, O'connor e, Bauer V. Behavioral counseling to Prevent sexually transmitted Infections. Rockville (Md): Agency for Healthcare Research and Quality (Us); 2008 Oct. Report no.: 08-05123-eF-1. z Mabey d., Peeling R.W., Ustianowski A., Perkins M. diagnostics for the developing world nature Reviews Microbiology 2004; 2(March):231-40. z Menezes eV, Yacoob MY, soomro t, Haws RA, darmstadt GL, Bhutta ZA (2009) Reducing stillbirth: preventionand management of medical disorders and infections during pregnancy. BMc Pregnancy childbirth 9(s1):s4. z Pope V. Use of treponemal tests to screen for syphilis. Infect Med 2004; 21:399-404. z Ryan, K.enneth J. 2010. sherris Medical Microbiology, 5th ed. McGraw-Hill. z salazar Jc, Hazlett KRO, Radolf Jd. the immune response to infection with treponema pallidum, the stealth pathogen. Microb Infect 2002; 4: 1133-40. z simoes JA, discacciati MG, Brolazo eM, Portugal PM, dini dV, dantas Mc (2006) clinical diagnosis of bacterial vaginosis. Int J Obstet Gynecol 94, 28-32. z sobel Jd. Bacterial Vaginosis. Annu Rev Med 2000; 51:349-356. z tucker Jd, Bu J, Brown LB, Yin Y-P, chen X-s, cohen Ms.Accelerating worldwide syphilis screening through rapid testing: a systematic review. Lancet 2010; 10:381-86. z WHO/UnAIds/LsHtM Herpes simplex Virus type 2: Programmatic and research priorities in developing countries. RePORt OF A WHO/UnAIds/LsHtM WORKsHOP (LOndOn, 14-16 FeBRUARY 2001). WHO/HIV_AIds/2001.05 UnAIds/01.89e disponibile al seguente link: http://www.who.int/hiv/pub/sti/en/hiv_aids_2001.05.pdf. z Young H. Guidelines for serologic testing for syphilis. sex transm Infect 2000; 76:403-405. 33 34 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ EPATITI VIRALI Virus epatitici maggiori Virus Famiglia Acido nucleico Modalità di trasmissione Incubazione Possibilità di cronicizzazione HAV Picornaviridae RNA Oro-fecale 10-50 giorni NO HBV Hepadnaviridae DNA Parenterale, sessuale, verticale 60-90 giorni SI HCV Flaviviridae RNA Parenterale, sessuale, verticale 2-25 settimane SI HDV Viroide RNA Parenterale, sessuale, verticale HEV Non classificato RNA Oro-fecale Le epatiti virali sono un gruppo di malattie necrotico-infiammatorie del fegato, acute o croniche, causate da virus epatotropi che differiscono tra loro per caratteristiche biologiche, epidemiologiche, modalità di trasmissione ma che hanno in comune uno spiccato tropismo per le cellule epatiche e causano quadri clinici simili tra loro. Sono noti 5 tipi di epatite causati dai virus epatitici maggiori: epatite A, epatite B, epatite C, epatite D (delta), epatite E. Esistono poi altri virus epatotropi cosiddetti minori che possono causare un quadro infiammatorio a carico del fegato ma che raramente provocano un danno epatico importante e cronico. Le epatiti virali costituiscono attualmente un problema di salute pubblica in quanto diffuse in tutto il mondo e associate allo sviluppo di cirrosi epatica e carcinoma del fegato. La distribuzione geografica è diversa per le singole forme e varia con un gradiente Nord-Sud e tassi di prevalenza più elevati nei paesi in via di sviluppo. Epatite A DEFINIZIONE: È un’infezione acuta del fegato causata dal virus HAV, generalmente benigna e autolimitante. L’infezione è diffusa in tutto il mondo; nei paesi in via di sviluppo si presenta in forma epidemica a causa delle scadenti condizio SI 4-6 settimane ni igienico-sanitarie che ne facilitano la trasmissione; nei paesi ad alto tenore economico si verificano invece casi sporadici o piccole epidemie. AGENTE CAUSALE: È responsabile un piccolo RNA virus, chiamato Hepatitis A Virus (HAV o virus dell’epatite A). EPIDEMIOLOGIA: L’HAV è diffuso a livello globale. Il rischio di contrarre l’infezione è inversamente proporzionale alle condizioni igieniche sanitarie degli ambienti e degli individui. TRASMISSIONE: L’infezione si trasmette per via oro-fecale tramite l’ingestione di acqua o alimenti Storia naturale Infezione Infezione asintomatica 20-90% Epatite acuta 10-80% Guarigione ~100% Prevalenza dell’anticorpo per il virus dell’epatite A, 2006 (Fonte: CDC. Travellers’ Health; Yellow Book. http://wwwnc.cdc.gov/travel/yellowbook/2010/table-of-contents.htm) NO Epatite fulminante <0,1% Endemicità dell’infezione da HAV nel mondo Endemicità da HAV Regioni per epidemiologia Età media dei pazienti (anni) Molto alta Africa, alcune aree del Sud America, Medio Oriente e Sud-Est Asiatico Meno di 5 Alta Bacino dell’Amazzonia brasiliano, Cina e America Latina 5-14 Media Europa meridionale e Orientale, alcune regioni del Medio Oriente 5-24 Contatto diretto Epidemie / Acqua e cibi contaminati Bassa Australia, USA, Europa Occidentale 5-40 Epidemie Molto bassa Europa settentrionale e Giappone Oltre 20 Esposizione durante viaggi in aree altamente endemiche, origine non comune contaminati. Il virus è presente nelle feci 7-10 giorni prima dell’esordio dei sintomi e fino a una settimana dopo, mentre è presente nel sangue solo per pochi giorni. Il contagio può avvenire per contatto diretto da persona a persona ed è possibile an- Vie di trasmissione più probabili Contatto diretto Acqua o cibi contaminati Contatto diretto Epidemie / Acqua e cibi contaminati che la trasmissione attraverso rapporti oro-anali. PERIODO DI INCUBAZIONE: Approssimativamente di 28 giorni (range15-50 giorni). QUADRO CLINICO: In una parte dei casi l’infezione decorre in maniera del tutto asintomatica, 35 36 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà in particolare durante le epidemie e nei bambini. Dopo un periodo di incubazione che varia dai 15 ai 50 giorni si osserva la comparsa di una sintomatologia aspecifica caratterizzata da malessere generale, astenia, nausea, vomito, febbre; successivamente compare l’ittero; si accompagna generalmente eliminazione di feci ipocoliche e urine ipercromiche. La malattia si risolve spontaneamente nell’arco di 2-3 settimane con progressiva risoluzione della sintomatologia e scomparsa dell’ittero. Per quanto riguarda i parametri ematologici si osserva innalzamento dei valori di bilirubina e degli indici di citolisi epatica; meno frequentemente aumento degli indici di colestasi (ALP e γGT). Nelle forme più gravi si può avere un allungamento del tempo di protrombina. Obiettivamente si apprezza epatosplenomegalia di grado variabile. DIAGNOSI: Il riscontro di ittero o subittero, accompagnato da emissione di feci ipocoliche e urine ipercromiche deve far sospettare una epatite acuta. La diagnosi di certezza può essere effettuata unicamente con i test sierologici che mettono in evidenza gli anticorpi anti HAV di classe IgM. Nel sospetto clinico di una epatite acuta è opportuno eseguire tutti i marcatori epatitici dal momento che il quadro clinico è comune a tutte le epatiti virali (B, C). Utile eseguire ecografia dell’addome superiore HAV • Anti-HAV IgM+: acuta iniziale, incubazione • Anti-HAV IgM+ e IgG+: convalescenza • Anti-HAV IgG+: vaccino, pregressa infezione per valutare l’epatosplenomegalia. TERAPIA: È per lo più sintomatica e prevede riposo, supporto di liquidi e glucosio per via parenterale nelle forme gravi, dieta leggera. In presenza di un paziente con epatite acuta bisogna valutare la funzionalità epatica mediante gli indici di citolisi epatica (GOT e GPT), la bilirubina, il tempo di protrombina e l’albumina. Se l’alterazione di tali valori risulta moderata il pa- ziente può essere trattato a domicilio controllando periodicamente tali indici. Quando tali valori risultano notevolmente alterati è opportuno il ricovero ospedaliero. Storia naturale Infezione MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Si ricorda che il periodo di eliminazione del virus con le feci inizia fin dal periodo di incubazione. Il paziente dovrebbe pertanto utilizzare servizi igienici riservati. Per l’epatite A è disponibile un vaccino cui è però utile ricorrere solo in caso di rischio effettivo (es. turisti in zone tropicali a rischio). Epatite B Infezione asintomatica 50-90% Cronicizzazione 10% Epatite acuta 10-50% Guarigione ~89% adulto Epatite fulminante 1% DEFINIZIONE: È una delle infezioni più comuni al mondo. L’infezione può essere acuta o cronica. L’epatite B acuta può durare da poche settimane a qualche mese. La maggior parte delle persone colpite guarirà perfettamente senza alcuna conseguenza. La forma cronica è una malattia più grave. La persona con epatite B cronica può dover convivere per sempre con la malattia. AGENTE CAUSALE: È l’Hepatitis B Virus (HBV), un virus a DNA appartenente alla famiglia degli Hepadnaviridae. Se ne conoscono attualmente 6 genotipi (A-F) aventi una diversa distribuzione geografica. EPIDEMIOLOGIA: È ubiquitaria e si stima che al mondo ci siano 400 milioni di portatori di epatite B cronica e il 15-25% è a rischio di morire per una malattia epatica. TRASMISSIONE: L’epatite B viene trasmessa attraverso la via parenterale classica, attraverso la via parenterale inapparente, tramite rapporti sessuali non protetti; è inoltre possibile la trasmissione verticale. L’infezione può essere trasmessa dai malati in fase acuta o cronica ma anche dai cosiddetti portatori cronici con epatite silente (tradizionalmente chiamati “portatori sani”). PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 30 a 180 gg. QUADRO CLINICO: L’andamento dell’infezione varia a seconda dell’età in cui viene contratta: nell’età infantile infatti decorre nella gran parte dei casi in maniera asintomatica ma ha una elevata percentuale di cronicizzazione (circa il 90%). Portatori “sani” 40% Epatite cronica 60% Cirrosi 50% (2-10%/anno) Epatocarcinoma 10% Quando contratta in età adulta invece si osserva frequentemente la comparsa della sintomatologia che definisce un quadro di epatite acuta ma si osserva la guarigione spontanea, con la comparsa di anticorpi protettivi, in un arco di tempo variabile, in circa il 90% dei casi. Dopo un periodo di incubazione variabile da 30 a 180 giorni, si ha la comparsa di subittero o ittero franco che si accompagna a emissione di feci ipocoliche e urine ipercromiche. Compare quindi una sintomatologia caratterizzata da malessere generale, astenia, nausea, dolori addominali, talvolta vomito e diarrea. Qualora i valori di bilirubina sierica siano molto elevati il paziente può lamentare un intenso prurito. Obiettivamente si rilevano epatomegalia, talvolta dolente, e frequentemente splenomegalia. Gli esami ematici mostrano un innalzamento, tal- Diffusione dell’epatite B cronica nel mondo, 2006 (Fonte: CDC. Travellers’ Health; Yellow Book. http://wwwnc.cdc.gov/travel/yellowbook/2010/table-of-contents.htm) 37 38 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà volta fino a 100 volte il valore normale, degli indi- è quindi opportuno riferire il paziente a uno speci di citolisi epatica (GOT e GPT), si associa spesso cialista per il corretto inquadramento dell’infezioincremento degli indici di colestasi, (ALP, Gam- ne. maGT) e della latticodeidrogenasi. Frequente an- TERAPIA: Il trattamento dell’epatite acuta, come che un allungamento del tempo di Protrombina menzionato in precedenza, prevede unicamente (PT) e del Tempo di Tromboplastina parziale atti- riposo a letto, dieta leggera e una terapia di supvata (PTT), l’iperbilirubinemia è in genere di tipo misto e può raggiungere anInterpretazione dei risultati che i 30 mg/dl. dei test sierologici per Epatite B La risoluzione spontanea ma graduale è Test Risultati Interpretazione l’evenienza più frequente: i sintomi reHBsAg negativo grediscono nell’arco di qualche settimaanti-HBc negativo Soggetto a rischio na e si ha la progressiva normalizzazione anti-HBs negativo degli esami di laboratorio. In una minima percentuali di casi, circa HBsAg negativo Immune per infeanti-HBc positivo l’1% si realizza un quadro di epatite fulzione naturale anti-HBs positivo minate con necrosi massiva del fegato e insufficienza epatica che può condurre il HBsAg negativo Immune paziente all’exitus nel giro di poche setanti-HBc negativo per vaccinazione anti-HBs positivo contro epatite B timane e che richiede il trapianto di fegato. HBsAg positivo DIAGNOSI: La diagnosi di epatite acuta anti-HBc positivo Infezione acuta può essere effettuata clinicamente traIgM anti-HBc positivo mite il riscontro dei segni e dei sintomi anti-HBs negativo sopracitati ma, dal momento che il quaHBsAg positivo dro clinico è sostanzialmente sovrappoanti-HBc positivo Infezione cronica nibile a quello causato dagli altri tipi di IgM anti-HBc negativo epatiti virali acute, la diagnosi di certezanti-HBs negativo za può essere posta unicamente effetInterpretazione tuando gli esami sierologici che docunon chiara; mentano un quadro di epatite acuta. Il quattro possibilità: riscontro di positività per HBsAg e 1. Infezione risolta HBcAb IgM permette di porre diagnosi (comune) di epatite acuta da HBV. HBsAg negativo 2. Falso positivo Nel sospetto di epatite acuta, oltre all’esaanti-HBc positivo per anti-HBc, quindi a rischio anti-HBs negativo me obiettivo, sarebbe opportuno effettua3. Infezione cronica re gli esami di laboratorio per valutare il di “basso livello” grado di necrosi epatica e una ecografia 4. Infezione acuta dell’addome superiore per valutare l’epain fase tosplenomegalia. di risoluzione L’interpretazione dei markers biologici per HBV (antigeni e anticorpi) è piuttosto Adattato da: A Comprehensive Immunization Strategy to Eliminate complessa e richiede una conoscenza Transmission of Hepatitis B Virus Infection in the United States: Respecifica dell’evoluzione naturale della commendations of the Advisory Committee on Immunization Pracpatologia. Nel caso di riscontro occasio- tices. Part I: Immunization of Infants, Children, and Adolescents. nale di HBsAg (paziente asintomatico), MMWR 2005; 54 (No. RR-16). porto con liquidi e glucosio per via parenterale nei casi che lo necessitano. In casi gravi con necrosi epatica importante è indicata una dieta ipoproteica, sono opportuni il controllo e l’eventuale correzione di ipoglicemia e alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico e della coagulazione. In genere si raccomanda l’ospedalizzazione del paziente almeno fino all’inizio del decremento degli indici di citolisi epatica. Nel caso di riscontro di epatite cronica è opportuno inviare il paziente presso una struttura specializzata per la valutazione dell’epatopatia e l’eventuale trattamento della forma cronica. riconoscendo un valore più elevato in alcuni paesi dell’Africa, del Sud-Est Asiatico e del Sud America. TRASMISSIONE: L’epatite C viene contratta prevalentemente per via parenterale e per via parenterale inapparente. È possibile anche la trasmissione per via sessuale, anche se con una frequenza inferiore rispetto all’epatite B. La trasmissione verticale è possibile ma il rischio è basso. Il serbatoio è rappresentato principalmente dai soggetti affetti da epatite cronica. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 15 a 90 giorni. QUADRO CLINICO: Con una frequenza nettamente inferiore rispetto agli altri virus epatitici, l’HCV determina un quadro di epatite acuta, la cui sintomatologia è comune alle altre epatiti. Nella gran parte dei casi, l’epatite decorre in maniera asintomatica e la positività viene riscontrata casualmente in occasione di esami generali che mostrano un aumento degli indici di citolisi epa- MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Nessun tipo di isolamento è necessario. Di contro, andrà evitato ogni contatto con il sangue e con le secrezioni genitali del paziente, come per ogni altra malattia a trasmissione parenterale e sessuale, tramite l’utilizzo degli opportuni dispositivi (guanti, preservativi, ecc). Per l’epatite B è disponibile un vaccino, obbligatorio per il personale sanitario e oggi inserito nella schedula vaccinale infantile nella maggioranza dei paesi occidentali (vedi capitolo “Vaccinazioni”). Si ricorda che è buona regola vaccinare il partner sessuale e i conviventi di un soggetto HBsAg positivo. Epatite C DEFINIZIONE: È una forma di epatite causata da dell’Hepatitis C virus. Prima della sua individuazione, nel 1989, veniva definita “epatite non A non B”. AGENTE CAUSALE: Hepatitis C virus (HCV). EPIDEMIOLOGIA: Secondo le stime dell’OMS, sono circa 170 milioni i portatori di HCV, circa il 3% della popolazione mondiale. La prevalenza dell’infezione varia in base alle aree geografiche Storia naturale Infezione Infezione asintomatica 90-95% Cronicizzazione 80% Portatori “sani” 40% Epatite acuta 10-50% Guarigione ~20% adulto Epatite fulminante 0,1% Epatite cronica stabile 80% Cirrosi 20% (mortalità: 1-5%/anno) Epatocarcinoma 1-5%/anno 39 40 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà Epatite D Epatite E Il virus dell’epatite D (o epatite delta) è un virus difettivo: è in grado di infettare e riprodursi nell’organismo solo in presenza di un’infezione contemporanea da HBV, per cui si manifesta come coinfezione o soprainfezione di una epatite B acuta o cronica. Il quadro clinico e la gestione terapeutica sono sovrapponibili a quelli delle altre epatiti acute. Non esiste un vaccino specifico, ma la vaccinazione contro l’epatite B è in grado, per le ragioni sopracitate, di proteggere anche contro l’epatite delta. Di recente identificazione, questa variante di epatite è diffusa nelle aree tropicali e ha una trasmissione oro-fecale. Può provocare epidemie ed è causa di un quadro acuto sovrapponibile a quello delle altre epatiti, particolarmente severo nelle donne in gravidanza. HEV Anti-HCV: • Anti-HEV IgM+ e IgG+: acuta • Anti-HEV IgG+: pregressa infezione Non esiste terapia specifica né vaccino. Prevalenza dell’infezione da HCV nel mondo (Fonte: CDC. Travellers’ Health; Yellow Book. 2010. http://wwwnc.cdc.gov/travel/yellowbook/2010/table-of-contents.htm, Adattata da Perz JF, Farrington LA, Pecoraro C, et al. Estimated global prevalence of hepatitis C virus infection. 42nd Annual Meeting of the Infectious Diseases Society of America; Boston, MA, USA; Sept 30–Oct 3, 2004) tica o in occasione di screening. Molto più fre- tia e l’eventuale trattamento della forma cronica. quente risulta invece la cronicizzazione (80% dei MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: casi). Le complicanze a lungo termine sono rap- Non esistono al momento interventi di prevenpresentate dalla cirrosi epatica (20%) e dall’epa- zione specifica nei confronti dell’infezione da HCV. Data la mancanza di misure profilattiche tocarcinoma (2%). DIAGNOSI: Come per l’epatite B, il quadro clinico specifiche, la prevenzione dell’epatite C poggia difficilmente orienta verso l’eziologia essendo so- essenzialmente sull’interruzione della catena stanzialmente aspecifico. La diagnosi richiede la del contagio. Le strategie preventive aspecifiche ricerca degli opportuni markers di infezione (an- sono volte a eliminare o ridurre la trasmissione ticorpi anti-HCV); anche in quedell’infezione e sono indisto caso, gli approfondimenti rizzate in particolare agli HCV diagnostici andranno completati individui a rischio. E’ posAnti-HCV: da uno specialista per il corretto sibile, anche se di raro riAnticorpi non neutralizzanti inquadramento della fase evolu- • scontro, la trasmissione per della classe IgG tiva dell’infezione. via sessuale, pertanto si TERAPIA: Il trattamento delle • Si positivizzano entro 2-3 mesi raccomandano rapporti dall’infezione forme acute consiste, come per sessuali protetti, in particogli altri quadri di epatite acuta, HCV-RNA: lare per evitare di contrarre nella somministrazione di liqui- • PCR qualitativa malattie sessuali che po(si positivizza in 1-2 settimane) di e glucosio per via endovenosa trebbero aumentare la renei casi più gravi, nel riposo a • PCR quantitativa (carica virale) plicazione virale. È opporletto e dieta leggera. Nel caso di RIBA (immunoblotting): tuno non condividere ogriscontro di epatite cronica è op- • c-22-3 e c-33-c getti taglienti o appuntiti portuno inviare il paziente pres(rasoi, lamette, forbici, sisi positivizzano in 2-3 mesi so una struttura specializzata • c-100-3 in 4-5 mesi ringhe) e spazzolini per la per la valutazione dell’epatopapulizia dei denti. Riferimenti bibliografici: z Adoga MP, Gyar sd, Pechulano s, Bashayi Od, emiasegen se, Zungwe t, Iperepolu OH, Agupugo c, Agwale sM. Hepatitis B virus infections in apparently healthy urban nigerians: data from pre-vaccination tests. J Infect dev ctries. 2010 Jun 30; 4(6):397-400. z Advisory committee on Immunization Practices. AcIP presentation slides: February 2009 meeting. Hepatitis vaccines. Available atdisponibile al seguente link: http://www.cdc.gov/vaccines/recs/acip/slides-feb09.htm#hev. z Battegay M, Gust Id, and Feinstone sM. Hepatitis A virus. In: Mandell GL, Bennett Je, and dolin R, eds. Principles and Practice of Infectious diseases, 4th ed. new York, churchill Livingstone, 1995; 1636-1656. z castelli F, Matteelli A, signorini L, scalvini c, Romano L, tanzi e, Brunori A, cadeo GP, Zanetti AR. Pediatric migration and hepatitis A risk in host population J travel Med. 1999 sep; 6(3):204-6. z cdc Health disparities and Inequalities Report — United states, 2011 MMWR January 14, 2011. z cdc Updated Recommendations from the Advisory committee on Immunization Practices (AcIP) for Use of Hepatitis A Vaccine in close contacts of newly Arriving International Adoptees september 18, 2009 MMWR 2009; 58(36);1006-1007. z cdc. Prevention of hepatitis A through active or passive immunization: recommendations of the Advisory committee on Immunization Practices (AcIP). MMWR 2006; 55(no. RR-7). z Jeong sH, Lee Hs. Hepatitis A: clinical manifestations and management. Intervirology. 2010; 53(1):15-9. z Lavanchy d. Hepatitis B virus epidemiology, disease burden, treatment, and current and emerging prevention and control measures Journal of Viral Hepatitis, 2004; Vol. 11. z Lavanchy d. Public health measures in the control of viral hepatitis: A World Health Organization perspective for the next millennium Journal of Gastroenterology and Hepatology, 2002; Vol. 17. z Mast e, Goldstein s, Ward JL. Hepatitis B vaccine. In: Plotkin sA, Orenstein WA, editors. Vaccines. 5th ed. Philadelphia: W.B. saunders, 2004; p. 299–337. z Perz JF, Farrington LA, Pecoraro c, et al. estimated global prevalence of hepatitis c virus infection. 42nd Annual Meeting of the Infectious diseases society of America; Boston, MA, UsA; sept 30–Oct 3, 2004. z shepard cW, Finelli L, Alter MJ. Global epidemiology of hepatitis c virus infection. Lancet Infect dis. 2005; 5(9):558– 67. z Veldhuijzen IK, toy M, Hahné sJ, de Wit GA, schalm sW, de Man RA, Richardus JH screening and early treatment of migrants for chronic hepatitis B virus infection is cost-effective. Gastroenterology. 2010 Feb; 138(2):522-30. 41 42 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ INFEZIONE DA HIV/AIDS SINONIMI: L'acronimo SIDA - Syndrome d'ImmunoDéficience Acquise, Síndrome de Inmunodeficiencia Adquirida, Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita - utilizzato in francese, in spagnolo e italiano, rispettivamente; l’acronimo AIDS, Acquired ImmunoDeficiency Syndrome, utilizzato nel mondo anglosassone e a livello mondiale. DEFINIZIONE: Inizialmente considerata una malattia limitata a determinati gruppi a rischio (omosessuali, tossicodipendenti), l’infezione da HIV/AIDS è oggi ubiquitaria e diffusa a tutte le categorie sociali. Com’è noto, l’AIDS, che rappresenta la fase conclamata dell’infezione da HIV, è una malattia multisistemica inevitabilmente mortale se non trattata. AGENTE CAUSALE: Human Immunodeficiency Virus (HIV). Sono due le specie di HIV che infettano gli esseri umani: l’HIV-1 e l’HIV-2. L’HIV-1 è più virulento e si trasmette più facilmente. L’HIV-1 è la fonte della maggioranza delle infezioni da HIV nel mondo; l’HIV-2 si trasmette meno facilmente ed è per lo più diffuso nell’Africa occidentale. Entrambi i virus derivano da analoghi che infettano i primati. EPIDEMIOLOGIA: Si stima che nel 2009 le persone affette da HIV nel mondo erano 33,3 milioni, di cui oltre 30 milioni residenti nei Paesi in via di sviluppo, 2,6 milioni quelle che hanno contratto il virus di recente e 1,8 milioni quelle decedute per malattie correlate all’Aids. Rispetto al 2001 il tasso di prevalenza globale del virus dell’HIV nelle persone di 15-49 anni è rimasto stabile (0,8%), ma guardando alle specifiche situazioni geografiche si registrano aumenti in Medio Oriente e Nord Africa, Africa orientale, Oceania, Europa orientale e Asia centrale e Nord America. Nonostante il calo della prevalenza dell’HIV negli adulti in tutto il mondo e l’aumento dell’accesso alle cure, il numero totale di bambini di 0-17 anni che ha perso i propri genitori a causa dell'HIV non è ancora diminuito. Infatti, è ulteriormente aumentato da 14,6 milioni nel 2005 a 16,6 milioni nel 2009. Quasi il 90% vive in Africa sub-sahariana. La conoscenza di tale patologia è quindi essenziale per chi si trovi a fornire assistenza medica ai migranti ospiti di centri di accoglienza, la maggior parte dei quali provenienti da paesi africani. TRASMISSIONE: La trasmissione avviene nelle classiche tre modalità: parenterale, sessuale, verticale (o materno-infantile). La via parenterale, sebbene più efficace per la trasmissione, è in realtà responsabile di un numero limitato di casi. La maggior parte delle infezioni nel mondo avviene infatti per via sessuale o verticale. La modalità di infezione parenterale rimane di triste attualità soprattutto per gli operatori sani- Prevalenza mondiale dell’infezione da HIV, 2009 (Fonte: UNAIDS Report on the global AIDS epidemic 2010) tari esposti a incidenti professionali (puntura accidentale in corso di prelievo ematico, incidenti di sala operatoria, ecc). L’infezione tramite la trasfusione di sacche di sangue contaminate è ormai obsoleta grazie agli screening virali sistematici effettuati sui donatori. quadri clinici o anche solo elementi anamnestici sospetti (storia di tossicodipendenza endovenosa, prostituzione, rapporti sessuali non protetti con partner occasionali, ecc). Il progressivo peggioramento dell’immunodepressione causata dall’HIV (evidenziata dalla riduzione del tasso ematico di linfociti CD4+) La classificazione CDC viene usata dagli specialisti per definire lo stadio evolutivo dell’infezione. Essa tiene conto della gravità dell’immunodepressione (volere dei linfociti CD4+) e delle manifestazioni cliniche. Categorie suddivise per numero di linfociti CD4+ (A) Infezione acuta da HIV, Infezione asintomatica, Linfadenopatia persistente generalizzata (B) Infezione sintomatica, condizioni non (A) - non (C)* (C) Condizioni indicative di AIDS** > 500 mmc A1 B1 C1 200 - 499/mmc A2 B2 C2 < 200/mmc A3 B3 C3 * condizioni cliniche inserite nella categoria B: • Candidosi orofaringea • Sintomi costituzionali (febbre superiore a 38,5°C e/o diarrea persistenti per più di un mese) • Leucoplachia orale villosa • Herpes zoster multimetamerico o ricorrente o carcinoma in situ della cervice • Porpora troimbocitopenica idiopatica • Angiomatosi bacillare • Neuropatia periferica QUADRO CLINICO: L’andamento clinico-patologico della sindrome è estremamente variabile tra gli individui per il fatto che la progressione dell’infezione dipende da fattori genetici sia del virus che dell’ospite, dalle condizioni igieniche e dall’insorgenza delle coinfezioni. L’infezione acuta da HIV nella gran parte dei casi decorre in maniera del tutto asintomatica. In una piccola percentuale di casi può dar luogo a una sindrome similmononucleosica con comparsa di febbre, astenia, aumento di volume dei linfonodi, faringodinia, cefalee. La sintomatologia si risolve spontaneamente nell’arco di 1-3 settimane. Solo molto raramente la diagnosi avviene in fase acuta, data l’aspecificità del quadro clinico. Più spesso il riscontro è casuale, in corso di screening volontario. A questo proposito va ricordato che il medico è tenuto a proporre il test ogniqualvolta sussistano • Candidosi vaginale ricorrente • Displasia cervicale • Malattia infiammatoria pelvica ** condizioni morbose indicate nella lista sopra riportata comporta la comparsa di infezioni opportunistiche e tumori. Alcune di queste patologie sanciscono l’evoluzione dell’infezione verso l’AIDS. La lista che segue elenca le infezioni opportunistiche e le neoplasie AIDS-correlate, così come sono state definite dal Center for Diseases Control and Prevention di Atlanta nel 1993. Alcune infezioni opportunistiche, notoriamente la tubercolosi, possono verificarsi in qualunque stadio dell'infezione da HIV. Negli stadi iniziali di malattia, sono più frequenti le infezioni batteriche cutanee e l'herpes zoster. Con l’aggravamento dell’immunodepressione, è probabile la comparsa di candidosi orofaringea e di leucoplachia orale villosa. Nei pazienti con immunodepressione grave, aumenta il rischio di pneumocistosi polmonare (PCP), dell'encefalite toxoplasmica, delle infezioni micotiche ed erpetiche dis- 43 44 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà seminate, di malattie gravi da citomegalovirus (corio retinite e infezioni disseminate). DIAGNOSI: Viene fatta eseguendo il test HIV che rileva nel sangue gli anticorpi anti HIV; il test è gratuito per tutti è può essere eseguito in forma anonima. Si tratta in genere di un test Elisa, anche se vari fociti CD4+ (per seguire il progressivo decadimento della risposta immunitaria) e della carica virale (HIV-RNA). Questi test consentono allo specialista di stabilire quando è necessario iniziare un trattamento antiretrovirale (vedi oltre) e di seguirne l’efficacia. Criteri per la classificazione e notifica di AIDS • Candidosi bronchiale, tracheale, polmonare • Candidosi esofagea • Carcinoma invasivo della cervice dell'utero • Cocciddiomicosi, disseminata Sarcoma di Kaposi in HIV. Si ossrevano le caratteristiche lesioni nodulari sulla lingua Tinea corporis al dorso in HIV. L’infezione micotica è particolarmente estesa nei pazienti immunodeficienti o extra polmonare • Criptococcosi extrapolmonare • Criptosporidiosi intestinale cronica (>1mese) • Malattie da Citomegalovirus (CMV) eccetto localizzazione epatica, splenica e linfonodale • Retinite da CMV • Encefalopatia HIV correlata (AIDS dementia complex ADC) • Herpes simplex: ulcere croniche della durata > di 1 mese o bronchite, polmonite o esofagite • Istoplasmosi, disseminata o extrapolmonare Candidasi del cavo orale in un paziente HIV-positivo Candidiasi genitale in HIV. Lesioni biancastre adese ai genitali esterni e alle pieghe inguinali dove è presente macerazione Molluschi contagiosi del viso in un paziente HIV-positivo. Visibile la classica ombelicatura centrale Leucoplachia villosa orale. Placche biancastre ai margini laterali della lingua, filiformi e ben aderenti tipi di test rapidi sono oggi in commercio. Tutti i risultati positivi devono essere confermati con un secondo test (si tratta di solito di un test Western Blot) prima di poter far diagnosi certa di infezione da HIV. Per l’interpretazione di un risultato negativo, inoltre, è necessario tenere conto del periodo finestra, il periodo di tempo cioè che intercorre tra il momento del contagio e la possibilità di rilevare gli anticorpi nel sangue. La durata di questo periodo è, tenendo conto dell’attuale sensibilità dei test in commercio, di circa 3 mesi. Il risultato del test può essere comunicato solo alla persona interessata o al suo tutore legale. Una persona risultata positiva al test HIV va riferita a un centro specialistico per il corretto inquadramento e la presa in carico dell’infezione. Trattandosi di un’infezione cronica, infatti, il paziente dovrà essere seguito per tutta la durata della vita, con periodici controlli della conta dei lin- • Isosporiasi intestinale cronica (>1 mese) • Sarcoma di Kaposi • Linfoma di Burkitt • Linfoma immunoblastico • Linfoma primitivo del cervello • Micobacterium avium complex o M. kansasi, disseminati o extrapolmonari • Micobacterium tuberculosis, qualsiasi localizzazione (polmonare o extrapolmonare) • Polmonite da Pneumocystis carinii • Polmoniti batteriche ricorrenti (2 o più episodi in un anno) • Leucoencefalite multifocale progressiva • Setticemia ricorrente da Salmonella • Toxoplasmosi cerebrale • Wasting syndrome dovuta da HIV TERAPIA: La terapia antiretrovirale viene somministrata unicamente dalle strutture ospedaliere e la scelta del regime terapeutico deve essere effettuata da un medico esperto in materia. Attualmente sono disponibili numerosi farmaci ad azione antiretrovirale i quali vengono combinati nella cosiddetta HAART, Highly Active Antiretroviral Therapy, terapia antiretrovirale altamente attiva, che viene assunta quotidianamente allo scopo di bloccare in modo efficace la replicazione del virus e consentire il recupero delle difese immunitarie. Una dettagliata trattazione della terapia antiretrovirale esula dallo scopo di questo testo. Tuttavia, è opportuno sapere che: • La HAART richiede l’associazione di almeno tre farmaci efficaci: un numero inferiore di farmaci attivi comporta un alto rischio di sviluppare resi- 45 46 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà stenze farmacologiche, con successiva inefficacia della terapia stessa. Va da sé che un paziente che riferisca di assumere solo uno o due farmaci deve essere urgentemente inviato a un centro specialistico per una revisione della terapia; • Trattandosi di una terapia soppressiva (e non curativa) la terapia antiretrovirale è una terapia a vita, che non va interrotta se non per indicazione medica. L’interruzione comporta infatti una ripresa della replicazione virale e un conseguente aggravamento dell’infezione; • I farmaci antiretrovirali presentano uno spettro molto ampio e vario di effetti collaterali. Il più noto di questi, la lipodistrofia, comporta una redistribuzione del grasso sottocutaneo e viscerale con accumulo a livello addominale, mammario e retronucale e riassorbimento a livello degli arti e del viso. Si tratta di un effetto oggi sempre meno comune grazie ai più recenti farmaci antiretrovirali in uso; • Le interazioni medicamentose dei farmaci antiretrovirali in atto andrebbero attentamente esplorate prima di prescrivere un qualsiasi altro trattamento di lunga o breve durata. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: È ridondante ricordare che il paziente con infezione da HIV non necessita di isolamento. Le misure igie- niche da mettere in atto sono unicamente quelle dettate dal buon senso per tutte le patologie a trasmissione parenterale e sessuale: oggetti di igiene personale individuali, uso del preservativo durante i rapporti sessuali, uso di guanti nel caso di medicazioni o procedimenti di piccola chirurgia, ecc. Nel caso di un’infezione opportunistica, le misure da adottare saranno quelle del caso specifico. Poiché a tutt'oggi non è ancora stato sviluppato un vaccino per il virus HIV né una cura per combattere l'infezione, la sola misura preventiva consiste nell'evitare i comportamenti a rischio di contagio. PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE (HIV-PEP): In caso di possibile esposizione al virus, subito dopo un evento a rischio in base alle vie di trasmissione sopra descritte, è possibile sottoporsi a un particolare trattamento farmacologico noto come profilassi post-esposizione, in grado di ridurre notevolmente le probabilità di contagio, se applicato correttamente e nei tempi appropriati. L’utilità dell’HIV-PEP dipende in modo determinante dal lasso di tempo trascorso dal momento dell’esposizione al rischio all’inizio della terapia. Dopo 72 ore dall’esposizione al virus la HIV-PEP non è più considerata utile. Riferimenti bibliografici: z cdc. 1993 Revised classification system for HIV Infection and expanded surveillance case definition for AIds Among Adolescents and Adults. MMWR weekly, 1992 december 18; 41 (RR17), 001. z Guidelines for the use of antiretroviral agentsin HIV-1 infected adults and adolescents. dHHs, 2009. z World Health Organisation Interim proposal for a WHO staging system for HIV infection and disease. WHO Wkly epidem Rec, 1990; 65, 221-228. z Keou FX, Bélec L, esunge PM, cancre n, Gresenguet G. World Health Organization clinical case definition for AIds in Africa: an analysis of evaluations. east Afr Med J. 1992 Oct; 69(10):550-3. z campbell, G. R., Pasquier, e., Watkins, J., Bourgarel-Rey, V., Peyrot, V., esquieu, d., Barbier, P., de Mareuil, J., Braguer, d., Kaleebu, P., Yirrell, d. L. and Loret e. P. the glutamine-rich region of the HIV-1 tat protein is involved in t-cell apoptosis. J. Biol. chem., 2004; 279, 48197-48204. z campbell, G. R., Watkins, J. d., esquieu, d., Pasquier, e., Loret, e. P., spector, s. A. the c terminus of HIV-1 tat modulates the extent of cd178-mediated apoptosis of t cells. J. Biol. chem., 2005; 280, 38376-39382. z Lawn, s. d. AIds in Africa: the impact of coinfections on the pathogenesis of HIV-1 infection. J. Infect.dis., 2004; 48, 1-12. z tang, J. and Kaslow, R. A. the impact of host genetics on HIV infection and disease progression in the era of highly active antiretroviral therapy. AIds, 2003; 17, s51-s60. µ ESANTEMI INFETTIVI AGENTE CAUSALE: Virus Varicella zoster (VZV), Tra gli esantemi infettivi, tipici dell’età pediatrica, morbillo e varicella rivestono un certo interesse nell’ambito della medicina delle migrazioni per la loro relativa frequenza nelle comunità chiuse, dove possono essere causa di piccole epidemie, e per la severità con cui possono manifestarsi nella popolazione adulta. EPIDEMIOLOGIA: Nei Paesi a clima temperato la della famiglia degli Herpes virus. Varicella-Zoster SINONIMI: Chickenpox, petit verole volante, windpocken. DEFINIZIONE: La varicella è un’infezione virale acuta, generalizzata, a insorgenza improvvisa, causata dal virus varicella-zoster, accompagnata da sintomatologia generale lieve e da un’eruzione generalizzata di lesioni cutanee in diverse fasi evolutive: vescicole, papule, croste e cicatrici. L’infezione produce immunità permanente in quasi tutte le persone immunocompetenti. Tuttavia, il virus non viene eliminato dall’organismo, ma rimane latente (in genere per tutta la vita) nei gangli delle radici nervose spinali. L’herpes zoster è dovuto a una virulentazione del virus silente localizzato nei gangli (radice posteriore) dopo la varicella. Si tratta di una malattia neuro-cutanea, a decorso infiammatorio acuto, caratterizzata da una ganglioneurite, da manifestazioni vescicolari cutanee a distribuzione metamerica, da adenopatia regionale e dolori nevritici. H. Zoster toraco-lombare. Classica eruzione vescicolosa maggior parte dei casi si verifica prima dei dieci anni di età. L’epidemiologia della varicella è meno conosciuta nelle regioni tropicali, dove alcuni studi hanno riscontrato una proporzione abbastanza ampia di adulti sieronegativi. TRASMISSIONE: La varicella è una malattia infettiva altamente contagiosa e la trasmissione da persona a persona avviene per via aerea mediante le goccioline respiratorie diffuse nell’aria quando una persona affetta tossisce o starnutisce, o tramite contatto diretto con lesione da varicella o zoster in fase vescicolare. La contagiosità inizia da 1 o 2 giorni prima della comparsa dell’eruzione e può durare fino alla comparsa delle croste. Durante la gravidanza, il virus può essere trasmesso all’embrione o al feto attraverso la placenta. PERIODO DI INCUBAZIONE: Varia da 14 a 18 giorni, sino a un massimo di 3-4 settimane per la varicella. Per lo zoster, ovviamente, non si può parlare di periodo di incubazione trattandosi semplicemente della riattivazione di un’infezione silente. Questa può verificarsi in ogni momento, da poche settimane a molti anni dopo l’infezione acuta, e verificarsi più volte nello stesso soggetto. QUADRO CLINICO: La varicella esordisce con un esantema cutaneo, febbre non elevata e lievi sintomi generali come malessere e mal di testa. Per 3-4 giorni, piccole papule rosa pruriginose compaiono su testa, tronco, viso e arti, a ondate successive. Le papule evolvono in vescicole, poi in pustole e infine in croste, destinate a cadere. Caratteristica è la presenza contemporanea delle diverse fasi della lesione (si parla di “esantema a cielo stellato”). La varicella è in genere una malattia benigna che guarisce nel giro di 7-10 giorni. La malattia tende ad avere un decorso più aggressivo nell’adolescente e nell’adulto. Tra le complicanze si possono verificare superinfezione batterica delle lesioni cutanee, trombocitopenia, artrite, epatite, atassia cerebellare, encefalite, polmonite e glomerulonefrite. Negli adulti la complicanza più comune è la polmonite, che può avere un’eziologia virale (polmonite interstiziale) o essere dovuta a 47 48 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà una sovrainfezione batterica. Nel 10-20% dei casi il virus si risveglia a distanza di tempo dando luogo all’herpes zoster. Lesioni a grappolo di tipo vescicolare si presentano al torace o in altre sedi prevalentemente del tronco, a volte accompagnate da dolore localizzato. Il dolore che persiste oltre un mese viene chiamato nevralgia posterpetica. Se la varicella viene contratta da una donna all’inizio di una gravidanza (nei primi due trimestri di gestazione) può trasmettersi al feto, causando una embriopatia (sindrome della varicella congenita). Il virus della varicella è particolarmente grave negli immunodepressi, nei quali può causare quadri disseminati e a volte fatali. DIAGNOSI: Clinica. Caratteristica per la varicella la comparsa di lesioni in differenti stadi evolutivi e l’ombelicatura centrale delle lesioni vescicolose. Lo zoster invece per la distribuzione dermatomerica delle lesioni e per l’importante sintomatologia dolorosa di tipo urente. Varicella in un migrante. Lesioni vescico-bollose diffuse caratterizzate dalla tipica ombelicatura centrale TERAPIA: Generalmente, la terapia è solo sintomatica. Per il prurito possono essere utilizzati antistaminici, mentre per la febbre il paracetamolo. Nell’adulto si può ricorrere alla somministrazione di farmaci antivirali come l’Acyclovir per via orale, al dosaggio di 800 mg in 5 somministrazioni al giorno (una compressa ogni 4 ore esclu- se le ore notturne), per 7 giorni. La terapia antivirale deve essere iniziata entro 48 ore dall’inizio dell’esantema. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: In generale, si consiglia di isolare i pazienti per evitare la diffusione del contagio. L’Acyclovir per via orale non è raccomandato come profilassi. L’esantema in fase crostosa non è più infettivo e il medico competente può sciogliere la prognosi. Morbillo SINONIMI: Piccolo morbo. DEFINIZIONE: Il morbillo è una malattia infettiva causata da un virus del genere morbillivirus. È una malattia benigna ma molto contagiosa che necessita di isolamento. AGENTE CAUSALE: Virus del genere morbillivirus (famiglia dei Paramixovidae). EPIDEMIOLOGIA: Il morbillo è diffuso in tutto il mondo. È una delle più frequenti febbri eruttive, sebbene sia molto meno comune da quando è in uso la vaccinazione con richiamo. Nel corso del 2009 sono stati riportati 222,408 nuovi casi di morbillo. TRASMISSIONE: Il contagio avviene tramite le secrezioni nasali e faringee, probabilmente per via aerea. PERIODO DI INCUBAZIONE: Circa 10 giorni. La contagiosità si protrae fino a 5 giorni dopo la comparsa dell’eruzione cutanea, ed è massima tre giorni prima, quando si ha la febbre. QUADRO CLINICO: Il morbillo provoca principalmente un esantema cutaneo che dura tra i 10 e i 20 giorni. Una volta contratto, il morbillo dà un’immunizzazione definitiva. I primi sintomi sono simili a quelli di un raffreddore (tosse secca, naso che cola, congiuntivite) accompagnato da febbre alta. Successivamente appaiono delle macule biancastre sulla mucosa orale (macchie di Koplik, di non costante osservazione) e dopo 3-4 giorni il caratteristico esantema maculare, prima dietro le orecchie e sul viso, quindi, con diffusione in senso cranio-caudale, su tutto il resto del corpo. L’eruzione dura da 4 a 7 giorni. Fonte: WHO/IVB database, 2010 Le complicazioni sono relativamente rare, dovute principalmente a superinfezioni batteriche: otite media, laringite, diarrea, polmonite o encefaliti. Nonostante il carattere benigno, il morbillo è ancora una delle principali cause di morte infantile nei paesi in via di sviluppo. Può infatti assumere una forma grave e causare complicazioni particolarmente negli immunodepressi e nei soggetti malnutriti. DIAGNOSI: Sebbene esista la possibilità di una diagnosi sierologica, il quadro clinico è in genere molto suggestivo e sufficiente per porre diagnosi. Va tuttavia ricordato come le manifestazioni cutanee possano essere confondenti nei soggetti di pelle scura, dove l’esantema tende a essere più sfumato e la fase desquamativa finale molto accentuata. TERAPIA: Sarà essenzialmente sintomatica (paracetamolo, antitussigeni). Il ricorso a un trattamento antibiotico sarà necessario solo in caso di complicanze batteriche. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Il vaccino del morbillo appartiene ai vaccini vivi attenuati. Come per tutti i vaccini vivi attenuati, la vaccinazione non viene effettuata negli individui con deficit immunitario o sotto terapia immunosoppressiva (corticoidi, antineoplastici, antirigetto), né, per precauzione, nelle donne gravide o che desiderano esserlo nel mese successivo. Invece, è consigliato alle persone infette da HIV che non hanno ancora sviluppato l’AIDS. In caso di epidemie in comunità, l’opportunità di estendere il vaccino anche agli adulti dovrà essere considerata. Riferimenti bibliografici: Varicella-Zoster z Arvin A, Abendroth A. VZV: immunobiology and host response. In: Arvin A, campadelli-Fiume G, Mocarski e, Moore Ps, Roizman B, Whitley R, Yamanishi K, editors. Human Herpesviruses: Biology, therapy, and Immunoprophylaxis. cambridge: cambridge University Press. 2007; chapter 39. z Arvin A, campadelli-Fiume G, Mocarski e, Moore Ps, Roizman B, Whitley R, Yamanishi K, editors. Human Herpesviruses: Biology, therapy, and Immunoprophylaxis cambridge: cambridge University Press; 2007. 49 50 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà z Gnann Jr. JW. Antiviral therapy of varicella-zoster virus infections. In: Arvin A, campadelli-Fiume G, Mocarski e, Moore Ps, Roizman B, Whitley R, Yamanishi K, editors. Human Herpesviruses: Biology, therapy, and Immunoprophylaxis. cambridge: cambridge University Press, 2007; chapter 65. z Moffat J, Ku cc, Zerboni L, sommer M, Arvin A. VZV: pathogenesis and the disease consequences of primary infection. In: Arvin A, campadelli-Fiume G, Mocarski e, Moore Ps, Roizman B, Whitley R, Yamanishi K, editors. Human Herpesviruses: Biology, therapy, and Immunoprophylaxis. cambridge: cambridge University Press, 2007; chapter 37. Morbillo z [no authors listed] Measles outbreaks and progress towards meeting measles pre-elimination goals: WHO African Region,2009–2010. Wkly epidemiol Rec. 2011 Apr 1; 86(14):129-36. z chen WJ. comparison of List measles mortality model and WHO/IVB measles model. BMc Public Health. 2011 Apr 13; 11 suppl 3:s33. z Kabra sK Lodha R, Hilton dJ. Antibiotics for preventing complications in children with measles. cochrane database syst Rev. 2008 Jul 16; (3):cd001477. z Lessler J, Moss WJ, Lowther sA, cummings dA. Maintaining high rates of measles immunization in Africa. epidemiol Infect. 2010 Oct; 5:1-11. z Oglesbee M, niewiesk s. Measles virus neurovirulence and host immunity. Future Virol. 2011 Jan 1; 6(1):85-99. µ MENINGITI DEFINIZIONE: La meningite è una malattia infiammatoria delle membrane che rivestono l’encefalo (della pia madre e dell’aracnoide) e del liquido cefalorachidiano, generalmente di origine infettiva, causata da virus, batteri o miceti (rara). Le forme virali sono generalmente lievi e si risolvono spontaneamente; le forme batteriche sono più gravi e necessitano di terapia specifica. AGENTE CAUSALE: La malattia è generalmente di origine infettiva e può essere virale, batterica o causata da funghi. EPIDEMIOLOGIA: L’incidenza della meningite nel mondo è di 0,5-5 casi per 100.000 persone. La mortalità della malattia è significativa (14% dei casi), soprattutto nella forma fulminante, e tra i pazienti che guariscono un altro 10-15% subisce danni permanenti. TRASMISSIONE: Nella maggior parte dei casi l’infezione si diffonde tra persone che vivono a stretto contatto. PERIODO DI INCUBAZIONE: Varia a seconda del microrganismo, nelle forme virali va da 3 a 6 giorni, nelle forme batteriche da 2 a 10 giorni. QUADRO CLINICO: I sintomi includono cefalea, febbre più o meno elevata, vomito a getto, rigidità nucale, alterazioni del livello di coscienza di grado variabile. La gravità del quadro clinico è correlata all’eziologia. DIAGNOSI: La diagnosi di certezza viene effettuata tramite l’esame fisico-chimico e microbiologico del liquido cefalorachidiano prelevato mediante puntura lombare. In presenza di sospetto clinico è necessario trasferire il paziente presso una struttura ospedaliera per opportuni accertamenti e trattamento. Meningiti batteriche I batteri maggiormente responsabili di meningite sono: Neisseria meningitidis, Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae tipo B. Meningite da Neisseria meningitidis (Nm) (meningococco) AGENTE CAUSALE: Neisseria meningitidis. Il bat- terio risiede frequentemente nelle vie aeree superiori, si ritrova nel nasofaringe del 5% circa della popolazione. Solo una piccola parte dei portatori sviluppa però la malattia. EPIDEMIOLOGIA: La malattia è ubiquitaria ma sono presenti focolai epidemici estesi in America Latina e in Africa soprattutto nella cosiddetta “fascia della meningite” che va dal Senegal-Gambia all’Etiopia-Kenia. Cinque sierotipi di Nm – A, B, C, W135 and X – sono responsabili dei focolai epidemici diagnosticabili nella summenzionata area. Circa il 5-15% della popolazione umana è portatrice sana di questo batterio nella sua forma non patogena. TRASMISSIONE: La trasmissione avviene per contatto diretto attraverso le goccioline di saliva ed è favorita negli ambienti chiusi e poco ventilati. PERIODO DI INCUBAZIONE: Da 2 a 3 giorni. QUADRO CLINICO: Si caratterizza per l’insorgenza di cefalea intensa, faringodinia, febbre elevata con brivido, vomito a getto non correlato con l’alimentazione; coesistono segni di irritazione meningea: rigidità nucale, segno di Lasegue positivo, fotofobia, iperestesia cutanea, dermografismo. Nelle forme più gravi si può osservare l’opistotono, cioè l'iperestensione del capo e talora del dorso con decubito laterale obbligato e arti inferiori flessi (posizione "a cane di fucile"), soprattutto nei bambini. Si possono associare disturbi psichici, quali agitazione psicomotoria, stato confusionale, torpore fino al coma. La malattia può avere un’evoluzione fulminante, con la comparsa di petecchie, emorragie ed evoluzione verso coma e morte nel giro di poche ore. In corso di infezioni da meningococco ci può essere un interessamento delle articolazioni, dei polmoni e dei seni paranasali. DIAGNOSI: Può essere posta clinicamente attraverso l’esame obiettivo; per la conferma e l’identificazione del microrganismo causale è necessaria l’esecuzione di puntura lombare ed esame fisico-chimico e microbiologico del liquor. TERAPIA: Il paziente va trasferito il più rapidamente possibile presso una struttura idonea; il trasferimento deve avvenire, quando possibile, in presenza di un medico. Nel caso fosse possibile l’esecuzione 51 52 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà della puntura lombare la terapia antibiotica va intrapresa immediatamente dopo la manovra. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: In caso di sospetto di meningite da meningococco il paziente va posto in stretto isolamento per le prime 24 ore di trattamento antibiotico. La chemioprofilassi va effettuata, entro 48 ore, alle persone che sono state a contatto stretto con il malato nei 7 giorni precedenti l'insorgenza della malattia (familiari, conviventi, personale sanitario che ha assistito il malato). Può essere effettuata con: • Rifampicina 600 mg x 2 per 2 giorni negli adulti, 10 mg/kg x 2 per due giorni nei bambini; • Ciprofloxacina 500 mg unica dose solo negli adulti; • Ceftriaxone in caso di donne in gravidanza 250 mg IM unica dose. Meningite da Streptococcus pneumoniae Dopo il meningococco è il batterio più frequentemente implicato; molti pazienti affetti da meningite pneumococcica presentano anche otite, polmonite o sinusite. Si trasmette per via aerea e interessa prevalentemente i soggetti anziani, nei quali il quadro clinico assume particolare gravità. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Non è necessaria la profilassi in caso di esposizione, in quanto non si tratta di una forma contagiosa. Meningite da Haemophilus influenzae tipo B (Hib) Interessa prevalentemente l’età pediatrica. Con l’introduzione della vaccinazione si è ridotto notevolmente il numero di casi. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: È indicata la profilassi per i contatti stretti. Meningiti virali I virus più frequentemente responsabili di meningite sono Herpes virus ed Enterovirus. Interessa maggiormente i giovani adulti. La sintomatologia è generalmente più sfumata, caratterizzata da lieve rialzo febbrile, cefalea, talvolta nausea, rigidità nucale ed è sufficiente il riposo a letto e un trattamento con analgesici ed antipiretici. Solitamente si osserva la guarigione spontanea nell’arco di 7-10 giorni. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: una volta esclusa l’eziologia meningococcica tramite puntura lombare non è necessario l’isolamento. Riferimenti bibliografici: Meningiti batteriche z Ansart s. Antibiotic management of presumptive bacterial meningitis in adults (rational, methods, course, and follow-up). Med Mal Infect. 2009 Jul-Aug; 39(7-8):629-46. z carbonnelle e. Laboratory diagnosis of bacterial meningitis: usefulness of various tests for the determination of the etiological agent Med Mal Infect. 2009 Jul-Aug; 39(7-8):581-605. z cdc. Prevention and control of meningococcal disease: recommendations of the Advisory committee on Immunization Practices (AcIP). MMWR 2011; 60(03); 72-76. z cdc. Updated recommendation from the Advisory committee on Immunization Practices (AcIP) for revaccination of persons at prolonged increased risk for meningococcal disease. MMWR 2009; 58:1042-3. z chavanet P. Presumptive bacterial meningitis in adults: initial antimicrobial therapy. Med Mal Infect. 2009 Jul-Aug; 39(7-8):499-512. z Fletcher MA, Fabre P, debois H, saliou P. Vaccines administered simultaneously: directions for new combination vaccines based on an historical review of the literature. Int J Infect dis. 2004; 8:328-38. z Gaudelus J.Immunization against pneumococci with conjugate vaccine Rev Prat. 2010 dec 20; 60(10):1380-5. z Gray F, Alonso JM. Bacterial infections of the central nervous system. In: Greenfield’s neuropathology. 7th ed. Graham dI, Lantos PL, eds. Arnold Press, London, 2002; 151-193. z Hanquet G, Kissling e, Fenoll A, George R, Lepoutre A, Lernout t, tarragó d, Varon e, Verhaegen J. Pneumococcal serotypes in children in 4 european countries. emerg Infect dis. 2010 sep; 16(9):1428-39. z Jit M. the risk of sequelae due to pneumococcal meningitis in high-income countries: a systematic review and metaanalysis. J Infect. 2010 Jul; 61(2):114-24. z Kastenbauer s, Pfister HW. Pneumococcal meningitis in adults; spectrum of complications and prognostic factors in a series of 87 cases. Brain, 2003; 126: 1015-1025. z thompson M, ninis n, Perera R et al. clinical recognition of meningococcal disease in children and adolescents. the Lancet 2006; dOI: 10.1016/s0140-6736(06)67932-4. z Weinberger dM, Harboe ZB, sanders eA, ndiritu M, Klugman KP, Rückinger s, dagan R, Adegbola R, cutts F, Johnson HL, O'Brien KL, Anthony scott J, Lipsitch M. Association of serotype with risk of death due to pneumococcal pneumonia: a meta-analysis. clin Infect dis. 2010 sep 15; 51(6):692-9. z WHO Meningococcal meningitis Weekly epidemiological Record. 2003; Vol. 78, 33. z WHO Presumptive bacterial meningitis in adults: initial antimicrobial therapy. control of epidemic meningococcal disease. WHO practical guidelines. 2nd edition. World Health Organization, emerging and other communicable diseases, surveillance and control. z WHO Risk of epidemic meningitis in Africa: a cause for concern Weekly epidemiological Record 9 March 2007; vol. 82, 10 (pp 77–88). Meningiti virali z Frantzidou F, Kamaria F, dumaidi K, skoura L, Antoniadis A, Papa A. Aseptic meningitis and encephalitis because of herpesviruses and enteroviruses in an immunocompetent adult population.eur J neurol. 2008 sep; 15(9):995-7. z Lee Be, davies Hd.Aseptic meningitis.curr Opin Infect dis. 2007 Jun; 20(3):272-7. z Logan sA, MacMahon e. Viral meningitis. BMJ. 2008; 336: 36-40. 53 54 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ SCHISTOSOMIASI SINONIMI: Bilarziosi. AGENTE CAUSALE: I 5 agenti infettivi, Schistosoma mansoni, Schistosoma japonicum, Schistosoma mekongi, Schistosoma haematobium, e Schistosoma intercalatum, possono causare un quadro sindromico molto poliedrico. Lo Schistosoma è distinto in due sessi (maschio e femmina). La forma adulta riconosce come ospite naturale l’uomo, nel quale l’elminta parassita i vasi mesenterici (S. japonicum, S. mekongi, S. mansoni, e S. intercalatum) o quelli del plesso vescicale (S. haematobium). EPIDEMIOLOGIA: Le maggiori aree di diffusione della malattia sono le zone rurali di Africa, Sud America e Asia. Oltre 207 milioni di persone al mondo risultano infette, l’85% delle quali vive in Africa, 700 milioni di individui sono a rischio d’infezione. La parassitosi risulta prevalente nelle aree tropicali e sub-tropicali del pianeta dove interessa la popolazione più povera con uno scarso o negato accesso all’acqua potabile. TRASMISSIONE: L'infestazione si acquisisce attraverso il contatto con acque dolci contaminate dalle feci o, per S. haematobium, dalle urine degli individui parassitati. Data l’assenza dell’ospite intermedio nelle nostre latitudini, la trasmissione da una persona infetta a un’altra non è possibile. PERIODO DI INCUBAZIONE: Dal momento della penetrazione delle cercarie alla comparsa dei primi sintomi della forma acuta, solitamente, non passa meno di un mese, ma l'infestazione può anche mantenersi asintomatica per molti anni o non manifestarsi per nulla. QUADRO CLINICO: L’infezione da Schistosoma può provocare dei quadri sindromici acuti (dermatite immediatamente dopo la penetrazione della cercaria nella cute e febbre di Katayama, in seguito alla produzione e liberazione di uova) che sono di rarissimo riscontro nelle persone immigrate. I quadri cronici, dovuti all’evoluzione steno-fibrotica dei plessi ematici parassitati, possono occasionalmente presentarsi all’attenzione del medico e devono comunque essere conosciuti per porre una diagnosi differenziale corretta. La schistosomiasi urinaria cronica, provocata da Schistosoma Hematobium, si manifesta con progressiva reazione granulomatosa a carico delle pareti vescicali e uretrali, con possibile evoluzione verso la stenosi e l’idronefrosi. È stata anche dimostrata un’associazione con il cancro della vescica. Il paziente si presenterà all’attenzione del medico lamentando ematuria, a volte conclamata, più spesso microscopica, infezioni urinarie ricorrenti, disuria e stranguria. L’anemia potrà essere sintomatica o di occasionale riscontro. Nel caso di infestazione dei plessi mesenterici e portali (S. mansoni, S. japonicum, o S. mekongi) il paziente lamenterà inizialmente disturbi addominali vaghi, diarrea o costipazione, a volte Tipi di parassiti e distribuzione geografica della schistosomiasi Schistosomiasi intestinale Schistosomiasi urogenitale Parassita Distribuzione geografica Schistosoma mansoni Africa, Medio Oriente, Caraibi, Brasile, Venezuela, Suriname Schistosoma japonicum Cina, Indonesia, Filippine Schistosoma mekongi Diverse aree della Cambogia e del Laos Schistosoma intercalatum e S. guineansis Foresta pluviale dell’Africa centrale Schistosoma haematobium Africa, Medio Oriente Ciclo vitale dello Schistosoma (Fonte: CDC) Le uova sono eliminate con le feci ma soprattutto con le urine. ¿ queste rilasciano i miracidi tramite effetti osmotici sull'uovo stesso. ¡ I miracidi penetrano nel tessuto di alcuni molluschi. ¬ nel mollusco le miracidi si trasformano dapprima in sporocisti e √ successivamente in cercarie ƒ che in condizioni di caldo umido e luminosità si liberano dal mollusco e si diffondono nell’acqua superficiale da qui penetrano attraverso la cute dell’uomo ≈ dove nel liquido extracellulare si trasformano in schistoso muli ∆ che entrano in circolo « dove migrano nel fegato attraverso il sistema portale e diventano adulti e » successivamente migrano nelle venule mesenteriche in diverse posizioni (A-B) oppure nel plesso venoso della vescica (C) nel caso dello S. haematobium. Infine la femmina depone numerose uova … che dalle venule migrano nel lume intestinale e vescicale per essere riverse all’esterno ¿. vera e propria dissenteria con conseguente anemizzazione. Nelle forme croniche datate, la sintomatologia sarà conseguente alla progressiva ostruzione dei vasi portali, con conseguente sviluppo di cirrosi epatica. Si avranno quindi tutti i sintomi/segni dell’insufficienza epatica, con epatomegalia, versamento ascitico, ittero, ematemesi, difetti della coagulazione. DIAGNOSI: Per la diagnosi di certezza è necessario il riscontro delle uova del parassita nelle feci o nelle urine. È quindi richiesto un esame specialistico delle feci o delle urine (dopo concentrazione e filtrazione) o su biopsie rettali, disponibile solo in laboratori specialistici. Il sospetto clinico di schistosomiasi urinaria do- vrà sorgere in presenza di ematuria e/o anemia in un paziente proveniente da aree geografiche a rischio. La schistosomiasi mesenterica/portale dovrà invece essere messa in diagnosi differenziale nel caso di diarree, anche ematiche, e quadri di insufficienza epatica più o meno avanzati. Le indagini strumentali (ecografia vescicale o addominale/epatica, rettosigmoidoscopia, esofagogastroduodenoscopia) sono spesso di utilità irrinunciabile per rafforzare il sospetto clinico che andrà comunque confermato con gli esami microbiologici. Per tale ragione, è indispensabile, in caso di sospetto clinico, riferire il paziente a un centro specializzato per la diagnosi e il trattamento. 55 56 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà TERAPIA: Richiede un approccio specialistico. Il MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: farmaco di scelta è il Praziquantel, normalmente disponibile solo in centri ospedalieri specialistici, attivo su tutte le forme di Schistosoma. Il farmaco è molto efficace nell’eliminare l’agente infestante, ma non può ovviamente correggere gli esiti già instauratisi (steno-fibrosi vascolare, danno epatico, ecc). La disinfestazione sistematica con praziquantel è praticata in alcuni paesi ad alta endemia nel corso di campagne nazionali, ma non sembra essere proponibile né di interesse nella popolazione immigrata nei paesi occidentali. Come già detto, non potendo il paziente trasmettere l’infezione, nessun tipo di isolamento è necessario. Riferimenti bibliografici: z [no authors listed] schistosomiasis: number of people treated in 2009. Wkly epidemiol Rec. 2011 Feb 25; 86(9):7380. z cook G., Manson’s tropical diseases, 22nd edition, by Gc cook and Alimuddin I Zumla, saunders Ltd, 2009. z Hochberg ns, Moro Rn, sheth An, Montgomery sP, steurer F, McAuliffe It, Wang YF, Armstrong W, Rivera Hn, Lennox JL, Franco-Paredes c. High Prevalence of Persistent Parasitic Infections in Foreign-Born, HIV-Infected Persons in the United states. PLos negl trop dis. 2011 Apr 12; 5(4):e1034. µ MALARIA DEFINIZIONE: La malaria è una malattia protozoaria causata da un parassita del genere Plasmodium. I casi di malaria vengono classificati secondo la terminologia adottata dall’OMS come segue: un caso di malaria viene considerato “importato” quando l’infezione è stata contratta in un Paese diverso da quello in cui viene diagnosticata; “autoctono” quando è contratta localmente. Tra i casi autoctoni vengono definiti “indotti”, quelli causati da trasfusioni o altra forma di inoculazione parenterale (trapianti, infezioni nosocomiali, ecc.); “introdotti” i casi secondari contratti localmente in seguito alla puntura di una zanzara indigena infettatasi su un caso d’importazione (portatore di gametociti) oppure contratti con la puntura di una zanzara infetta importata accidentalmente (malaria da bagaglio, da aeroporto). AGENTE CAUSALE: Gli uomini vengono infettati quasi esclusivamente da quattro specie del genere La malaria in Italia: A conclusione della campagna di lotta antimalarica (1947-51), l’Italia era considerata un Paese libero da malaria, ma poiché alcuni sporadici casi dovuti a Plasmodium vivax continuarono fino al 1962, l’OMS ha ufficializzato questo risultato solo nel 1970. Attualmente, i casi di malaria registrati in Italia, come anche in altri Paesi europei, sono d’importazione. Plasmodium: P. vivax, P. ovale, P. malariae e P. falciparum. Tutte le infezioni malariche mortali sono causate da P. falciparum. TRASMISSIONE: La malaria viene trasmessa tramite la puntura di una zanzara appartenente al genere Anopheles. È la più importante delle malattie parassitarie degli esseri umani, con diffusione in oltre 100 paesi, e interessa oltre un miliardo di persone, con un tasso di mortalità che varia da 1,5 a 2 milioni circa di morti ogni anno. EPIDEMIOLOGIA: • In Africa settentrionale la malaria è poco pre- La Zanzara Anopheles sente e predomina P. vivax; • In Africa centrale e orientale predomina P. falciparum, ma sono presenti anche P. vivax e P. malariae; • In Africa occidentale predomina P. falciparum, ma è molto diffuso anche P. ovale; presente ma raro P. vivax; La malaria d’importazione si conferma come un problema sanitario riguardante prevalentemente gli immigrati, in particolare africani che, regolarmente residenti in Italia, tornano nel Paese nativo in visita a familiari e parenti. Questo gruppo, che nel decennio precedente rappresentava solo il 15% dei casi, è salito a circa il 75% nel 2002-2006. Diffusione della malaria nel mondo (Elaborato da: www.unicef.org/publications) 57 58 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà • Nelle isole dell'Oceano Indiano e nel Sudest Asiatico predomina P. falciparum, ma sono presenti anche P. vivax e P. malariae; • Nel subcontinente indiano predomina P. vivax, ma è presente anche P. falciparum; • Nelle isole dell’Oceano Pacifico e in America centrale sono presenti sia P. vivax, sia P. falciparum, molto più diffusi in Amazzonia. PERIODO DI INCUBAZIONE: Il periodo di incubazione, ossia il tempo trascorso tra la puntura infettante e la comparsa dei sintomi clinici, è di circa 7-14 giorni per l’infezione da P. Falciparum, di 8-14 giorni per P. vivax e P. ovale, e di 7-30 giorni per P. malariae. Per alcuni ceppi di P. vivax si può protrarre fino a 10 mesi; tale periodo può essere ancora più lungo per P. ovale. QUADRO CLINICO: Si caratterizza per la comparsa di febbre elevata, cefalea, astenia, malessere generale, artralgie, talvolta diarrea, epatosplenomegalia. L’accesso malarico ha un andamento tipico, della durata di 12-16 ore caratterizzato dalla comparsa di brividi che precedono il picco febbrile; coesiste cefalea intensa. Si ha quindi la fase della sudorazione con rapido abbassamento della temperatura corporea che lascia il paziente in uno stato di profonda astenia. Laboratoristicamente si osservano anemia, piastrinopenia, aumento dei valori di bilirubina e degli indici di citolisi epatica; nei casi più gravi allungamento del tempo di protrombina (PT) e di tromboplastina parziale attivata (PTT). La periodicità degli accesi febbrili dipende dal plasmodio responsabile e coincide con la rottura dei globuli rossi determinata dalla fuoriuscita dei plasmodi. Le infezioni da P. falciparum non trattate possono portare ad alterazioni degli organi vitali con elevata letalità; possibile infatti la comparsa di insufficienza renale, ipoglicemia, edema polmonare encefalopatia fino al coma. La gravità delle manifestazioni cliniche può essere molto ampia e dipende da molti fattori: età del paziente, assunzione della profilassi antimalarica (che, quando non evita l’episodio malarico, ne attenua le manifestazioni cliniche), presenza o meno di una immunità parziale. L’elemento clinico più costante è la febbre, che dovrà suscitare il sospetto clinico in presenza degli adeguati dati anamnestici (soggetto con recente - fino a 6 mesi prima - provenienza da zone geografiche a rischio). Si ricorda a questo proposito che il sospetto deve porsi non solo per gli immigrati di recente arrivo, ma anche per coloro che, residenti da anni in Italia, visitino il paese di origine per brevi periodi. DIAGNOSI: Importante il dato anamnestico di provenienza da un’area malarica. I test diagnostici per la malaria sono disponibili solo in laboratori specializzati. È quindi opportuno riferire il paziente per l’esecuzione dell’esame microscopico di goccia spessa e striscio sottile che permettono di identificare il plasmodio ed effettuare il calcolo della parassitemia. Alcuni ospedali dispongono di test rapidi in grado di identificare nel sangue del paziente un antigene di superficie del plasmodio e di porre diagnosi con una elevata accuratezza. TERAPIA: Il trattamento per malaria non dovrebbe essere iniziato fino a quando gli esami di laboratorio non abbiano confermato il sospetto diagnostico. Si inizia il trattamento in assenza di una conferma della diagnosi solo in casi eccezionali, quali forte sospetto clinico, malattia severa, provenienza da paesi ad alta endemia, impossibilità a ottenere in tempi brevi i risultati degli esami di laboratorio. In presenza di diagnosi clinica certa il trattamento deve essere iniziato nell’immediato. Tre principi devono essere rispettati: il tipo di Plasmodium infettante, le condizioni cliniche del paziente e la suscettibilità dei parassiti agli antimalarici determinata dall’area geografica di provenienza del soggetto stesso. La determinazione del tipo di Plasmodium infettante è importante per tre ordini di fattori: • L’infezione da P. falciparum può determinare una malattia severa rapidamente progressiva con exitus. I parassiti non-falciparum (P. vivax, P. ovale, o P. malariae) raramente causano manifestazioni severe; • P. vivax e P. ovale necessitano di trattamenti anche per le forme ipnozoite che rimangono inattive nel fegato e possono causare recidive; • P. falciparum e P. vivax presentano una certa complessità terapeutica a causa della farmacoresistenza sviluppatasi in diverse aree geografiche. Riguardo all’infezione da P. falciparum, l’inizio tempestivo della terapia assume carattere prioritario. PROFILASSI: La profilassi farmacologica andrebbe effettuata da chiunque, residente in zone non malariche per almeno 6 mesi, visiti un’area geografica a rischio. L’essere originario di un paese a forte endemia malarica e l’aver già avuto episodi malarici in passato non esime, come già detto, dall’acquisire nuovamente l’infezione. Il paziente andrà in questo caso orientato verso un centro specialistico. Riferimenti bibliografici: z calleri G, Behrens RH, schmid ML, Gobbi F, Grobusch MP, castelli F, Gascon J, Bisoffi Z, Jelinek t, caramello P. Malaria chemoprophylaxis recommendations for immigrants to europe, visiting relatives and friends - a delphi method study. Malar J. 2011 May 20; 10(1):137. z Maltha J, Jacobs J. clinical practice : the diagnosis of imported malaria in children. eur J Pediatr. 2011 Apr 16. z Monge-Maillo B, López-Vélez R. Is screening for malaria necessary among asymptomatic refugees and immigrants coming from endemic countries? expert Rev Anti Infect ther. 2011 May; 9(5):521-4. z newman Rd. Malaria control beyond 2010. BMJ. 2010 Jun 11; 340:c2714. doi: 10.1136/bmj.c2714. z Pavli A, Maltezou Hc. Malaria and travellers visiting friends and relatives. travel Med Infect dis. 2010 May; 8(3):161168. z Romi R, Boccolini d, d'Amato s, cenci c, Peragallo M, d'Ancona F, Pompa MG, Majori G. Incidence of malaria and risk factors in Italian travelers to malaria endemic countries. travel Med Infect dis. 2010; 8(3):144-154. z Venturini e, chiappini e, Mannelli F, Bonsignori F, Galli L, de Martino M. Malaria prophylaxis in african and asiatic children traveling to their parents' home country: a florentine study. J travel Med. 2011 May; 18(3):161-4. doi: 10.1111/j.17088305.2011.00513.x. 59 60 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ TUBERCOLOSI DEFINIZIONE: La tubercolosi è oggi considerata una delle malattie “riemergenti”. In realtà, essa non è mai scomparsa, essendo ancora oggi causa di circa 2 milioni di morti l’anno nel mondo. I recenti flussi migratori da paesi ad alta prevalenza, tuttavia, hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica e del medico occidentale una patologia che era a torto considerata obsoleta alle nostre latitudini. La localizzazione più frequente è quella polmonare (circa 70% dei casi) ma la tubercolosi può interessare diversi organi e apparati: sistema nervoso (meningite tubercolare), reni, segmenti ossei (morbo di Pott), intestino, linfonodi (linfadenite tubercolare), cute. In passato veniva chiamata Mal sottile o Consunzione, in quanto sembrava che consumasse le persone “da dentro”. Chiamata anche Peste bianca, per il caratteristico aspetto pallido dei malati. AGENTE CAUSALE: Mycobacterium tuberculosis, chiamato anche Bacillo di Koch. TRASMISSIONE: Avviene per via aerea tramite contatti prolungati, frequenti o intensi con persone che presentano una tubercolosi polmonare attiva non trattata, cioè con lesioni polmonari aperte e comunicanti con i bronchi. La possibilità di contrarre l’infezione dipende da vari fattori, essenzialmente legati alla carica micobatterica del soggetto malato, dal tempo di esposizione e dalla ventilazione dell’ambiente. L’aver contratto l’infezione non significa tuttavia necessariamente sviluppare la malattia. Dopo l’avvenuta infezione, infatti, il sistema immunitario dei soggetti immunocompetenti riesce a “confinare” l’infezione nel cosiddetto “complesso primario”. Si parla in questo caso di infezione latente (presenza del micobatterio ma assenza di sintomi e segni clinici). Un’infezione latente può rimanere tale per tutta la vita del soggetto (90% dei casi), o può dare luogo a un’infezione attiva, con diffusione polmonare, formazione di caverne, ecc. in un arco di tempo variabile. Fattori predisponenti allo sviluppo di una tubercolosi attiva sono rappresentati da immunodepressione per malattie quali l’AIDS o per assunzione di farmaci immunosoppressivi, età estreme, alcolismo cronico, tabagismo importante, tossicomania, diabete e altre patologie croniche. I soggetti immunodepressi, in particolare, vanno incontro a una evoluzione più rapida della malattia con passaggio dalla forma latente all’infezione attiva in tempi rapidi e sviluppano spesso una forma cosiddetta “miliare”, in assenza di caverne polmonari (questo fatto rende particolarmente difficile la diagnosi in questi soggetti in quanto l’espettorato risulta negativo nella maggior parte dei casi). Negli immigrati, la tubercolosi va considerata per una serie di ragioni: • Provenienza da aree geografiche ad alta prevalenza; • Diffusione nei paesi di origine di forme multiresistenti (si veda di seguito); • Permanenza, all’arrivo nel paese di accoglienza, in centri spesso sovraffollati, quindi ad alto rischio di trasmissione dell’infezione; • Condizioni di vita (alimentazione non adeguata, quindi indebolimento del sistema immune, possibile abuso di sostanze, ecc.) che favoriscono il passaggio dalla forma latente alla forma attiva. È provato che il rischio di “slatentizzazione” dell’infezione è più alto nei primi 2-5 anni di permanenza nel paese di asilo. È quindi lecito e raccomandabile proporre uno screening attivo ai migranti recentemente arrivati. EPIDEMIOLOGIA: Nel 2009 è stata stimata, a livello mondiale, un’incidenza pari a 9.4 milioni (range, 8.9 – 9.9 milioni) di casi di TB corrispondente a 137 casi su 100.000 abitanti. Il numero assoluto di casi continua, seppur lentamente, a crescere di anno in anno, i casi riscontrati nella popolazione femminile rappresentano il 35% del totale. Le aree del pianeta maggiormente interessate sono l’Asia dove sono stati registrati il 55% dei casi e l’Africa col suo 30% di casi sul totale. L’area dell’Unione Europea ha registrato il 4% dei casi di TB. Incidenza della TB nel mondo, 2009 (Fonte: WHO, Global tuberculosis control 2010) QUADRO CLINICO: La tubercolosi polmonare può rimanere asintomatica per lungo tempo. Quando si manifesta clinicamente i sintomi includono tosse di durata superiore alle tre settimane, inizialmente poco produttiva, emottisi (emissione di sangue con la tosse), febbricola o, nelle fasi avanzate, febbre elevata, sudorazioni notturne, calo ponderale, astenia e tendenza all’affaticamento. DIAGNOSI: La diagnosi di tubercolosi presenta una certa difficoltà, in quanto i sintomi sono spesso vaghi e comuni a molte altre malattie. Mantenere un elevato sospetto clinico, soprattutto in soggetti “a rischio” (detenuti, immigrati, ospiti di istituti, persone senza fissa dimora, ecc.) è quindi essenziale. Un’accurata anamnesi, la raccolta della storia clinica e l’esame obiettivo permettono unicamente di porre il sospetto diagnostico di tubercolosi polmonare. La diagnosi di certezza viene fatta tramite il riscontro nell’espettorato di bacilli Alcol-Acido resistenti e l’identificazione del M. tuberculosis dopo coltura. In alcuni casi, soprattutto in pre- senza di immunodepressione, l’esame microscopico può risultare negativo e l’identificazione può avvenire solo dopo la coltura che necessita di circa 30-40 giorni di tempo. La ricerca dell’acido nucleico del micobatterio tramite PCR o altre metodiche di amplificazione possono accelerare i tempi di diagnosi, che però è soggetta a molti falsi positivi. Di recente introduzione, il dosaggio dell’INF gamma linfocitario prodotto in risposta all’infezione tubercolare (noto come Quantiferon), è una tecnica diagnostica promettente, di ausilio soprattutto nelle forme a espettorato negativo e con quadri clinici non manifesti. La malattia è soggetta a notifica alle autorità sanitarie (va effettuata la notifica anche in caso di sospetto). TEST DI SCREENING-INTRADERMOREAZIONE DI MANTOUX: Consente solo di identificare i pazienti con risposta anticorpale al bacillo o con infezione primaria o latente, ma non ha valore diagnostico. Viene eseguita inoculando a livello intradermico 5 U (o 2 U, a seconda dei preparati disponibili) di derivato proteico purificato (PPD) di M. tuberculosis sulla faccia volare dell’avam- 61 62 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà braccio. La lettura viene eseguita a 24, 48 e 72 ore dall’inoculazione e registrata in mm riportando il diametro maggiore dell’infiltrato/indurimento (e non dell’arrossamento). È da considerarsi positiva in soggetti mai sottoposti al test e con anamnesi negativa per TB se il diametro dell’infiltrato è uguale o superiore a: • 5 mm: in soggetti HIV+, sottoposti a trapianto d’organo o immunodepressi, contatti stretti recenti di TB attiva, soggetti con esiti fibrotici all’RX torace compatibili con pregressa TB; • 10 mm: soggetti provenienti da paesi a elevata endemia nei primi 5 aa di soggiorno in Italia, tossicodipendenti E.V., residenti in comunità ad alto rischio, soggetti con patologie o condizioni favorenti la TB, soggetti esposti a rischio professionale; • 15 mm: soggetti senza fattori di rischio per infezione tubercolare. Il test risulta generalmente positivo anche nei soggetti immunizzati (es. vaccinati) e in coloro che hanno presentato un’infezione attiva. TERAPIA: Il trattamento della tubercolosi attiva prevede l’uso combinato di diversi antibiotici ad azione antitubercolare per un minimo di 6 mesi. L’utilizzo di una combinazione terapeutica ha lo scopo di evitare la comparsa di ceppi resistenti. Il regime terapeutico standard per i casi mai trattati precedentemente prevede la combinazione di 4 farmaci efficaci nei primi due mesi di trattamento (generalmente: Rifampicina, Isoniazide, Pyrazinamide ed Etambutolo) e la semplificazione del trattamento nei successivi 4. Regimi più complessi/prolungati sono previsti in caso di ritrattamento (paziente già trattato, quindi a rischio di multi resistenza farmacologica). Il trattamento andrebbe iniziato in regime ospedaliero, per consentire l’iniziale corretto isolamento del paziente e per sorvegliare l’eventuale comparsa di effetti collaterali del trattamento, purtroppo abbastanza comuni. La forma latente, quando diagnosticata, andrà trattata per evitare la trasformazione in una forma attiva. I regimi terapeutici prevedono l’uso dell’associazione Rifampicina-Isoniazide per 3 mesi o della sola Isoniazide per 6 mesi. Anche in questo caso, il trattamento richiederà il controllo medico regolare visto l’elevato rischio di effetti collaterali. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Per tutti i pazienti per i quali viene posto il sospetto di tubercolosi polmonare dovrebbe essere messo in atto l’isolamento respiratorio, almeno per i primi 15 giorni di trattamento e comunque fino a negativizzazione dell’espettorato se precedentemente positivo. Gli operatori sanitari e non che vengono in contatto con il paziente nell’ambiente in cui soggiorna dovrebbero indossare una mascherina con filtro FP2-FP3 e non la mascherina chirurgica, che non protegge dall’inspirazione del germe in sospensione nell’aria. Tubercolosi extrapolmonare Include tutte le forme nelle quali il micobatterio si localizza in sedi diverse da quelle polmonari. Tratteremo qui le forme extrapolmonari di più frequente riscontro: cutanea/linfonodale e ossea. Tubercolosi cutanea Il quadro clinico varia a seconda di diversi fattori quali la carica infettante, la patogenicità del microrganismo, le condizioni immunitarie dell’ospite. Le presentazioni più frequenti sono le seguenti: • Scrofuloderma: chiamata anche tubercolosi colliquativa della cute. Si verifica per estensione Tubercolosi linfoghiandolare o scrofula. Tumefazione dei linfonodi retroauricolari a cui farà seguito il drenaggio spontaneo della lesione Esiti cicatriziali di tubercolosi linfoghiandolare del cavo ascellare alla cute di un focolaio profondo, generalmente linfonodale. Un nodulo localizzato in profondità ricoperto da cute arrossata successivamente va incontro a un processo suppurativo con formazione di ulcera necrotica. Più frequente nelle regioni laterocervicali e sovraclaveari. • Lupus volgare: placca giallastra nel cui contesto sono presenti piccoli noduli, localizzata prevalentemente al naso, al mento, ai padiglioni auricolari, al collo. Causa progressiva distruzione dei tessuti. • Tubercolosi verrucosa: nodulo rosso-violaceo con alone periferico che evolve in una placca a superficie verrucosa irregolare indolente. DIAGNOSI: È di tipo clinico e anamnestico; biopsia cutanea per esame istologico. Se è presente secrezione può essere utile lo striscio del materiale su vetrino per osservazione diretta dei micobatteri. TERAPIA: Il trattamento della TB cutanea segue le stesse linee guida della TB polmonare. calizzazione a livello di uno o più corpi vertebrali, il cosiddetto Morbo di Pott, nel quale generalmente sono interessate due vertebre contigue con compressione del disco intervertebrale interposto. Il processo osteolitico può condurre al crollo vertebrale e alla deformazione della colonna. Talvolta il processo può diffondersi alle articolazioni generando un quadro di osteoartrite infettiva. QUADRO CLINICO: Il sintomo principale è rappresentato dal dolore al livello del segmento osseo interessato. Possono coesistere sintomi aspecifici quali sudorazione, febbricola o febbre elevata e sintomi polmonari. Nella fase avanzata del Morbo di Pott il crollo vertebrale può provocare plegia di vario grado fino alla paraplegia. Osteomielite tubercolare, si osservano tre aree di drenaggio. L’affezione ha determinato impotenza funzionale dell’arto Tubercolosi ossea DIAGNOSI: I dati clinici e anamnestici devono es- Il bacillo di Koch può localizzarsi anche a livello di segmenti ossei dando luogo a quadri ascessuali seguiti da necrosi colliquativa e osteolisi. La diffusione avviene generalmente per via ematogena dall’apparato respiratorio e i segmenti ossei maggiormente interessati sono rappresentati dalle ossa corte e dalle epifisi delle ossa lunghe. La forma più frequente è rappresentata dalla lo- sere completati da esami strumentali d’imaging e da esami microbiologici eseguiti su materiale aspirato dalla lesione o da campioni bioptici. TERAPIA: Si avvale dei classici farmaci antitubercolari ma il trattamento deve essere prolungato per almeno 12 mesi. Il paziente va ospedalizzato, almeno durante il primo mese del trattamento. Il riposo a letto è di solito necessario soprattutto nelle 63 64 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà forme vertebrali, per evitare fratture patologiche. Deve essere esclusa la contagiosità del paziente tramite l’esecuzione dell’esame microscopico dell’espettorato. Tubercolosi multiresistente (MDR) Venuta alla ribalta delle cronache per il recente aumento di casi segnalati nei paesi occidentali, la tubercolosi è definita multi resistente (MDR TB) quando il ceppo infettante è resistente ai due farmaci principali del regime terapeutico: Rifampicina e Isoniazide. Particolarmente frequente nella popolazione immigrata di provenienza dai paesi dell’ex Unione Sovietica e del blocco sovietico (Romania, Lettonia ed Estonia in particolare), questa forma è il risultato della selezione di ceppi resistenti a se- guito di regimi terapeutici inadeguati, incompleti, di breve durata. La XDR TB (Extensively Drug Resistant TB) è invece definita dalla resistenza farmacologica non solo ai farmaci di prima linea, ma anche a quelli di seconda linea (chinolonici e farmaci di seconda linea iniettabili). Si tratta di forme di tubercolosi che non differiscono clinicamente da quella classica ma che sono di estrema difficoltà terapeutica, visto il limitato numero di farmaci antitubercolari a disposizione. Ovviamente, la presa in carico sarà specialistica. Per prevenire la comparsa di queste forme è importante assicurarsi che ogni trattamento antitubercolare venga eseguito nei modi e per i tempi opportuni, anche tramite l’effettuazione della DOT (Directly Observed Therapy: terapia assunta quotidianamente in presenza di personale sanitario) quando possibile. µ LEISHMANIASI SINONIMI: Bottone d’oriente, bottone d’Aleppo, chiodo di Biskra, Aleppo o Delhi boil, Siskra button, Baghdad sore. DEFINIZIONE: Il termine leishmaniasi indica un gruppo eterogeneo di malattie ad ampia distribuzione, tropicale, subtropicale e mediterranea, causate dall’infezione da parte di un protozoo appartenente al genere Leishmania. A seconda della specie di parassita coinvolto e della risposta immunitaria dell’ospite si possono osservare diversi quadri clinici. Esistono tre principali sindromi cliniche: la leishmaniasi cutanea, la leishmaniasi muco-cutanea e la leishmaniasi viscerale (Kala-azar). AGENTE CAUSALE: L’infezione nell’uomo è cau- sata da 21 delle 30 specie che infettano i mammiferi, organizzate in “complessi” sulla base del quadro clinico associato alla patologia indotta: • Complesso L. donovani (L. donovani, L. infantum, L. chagasi), responsabile della leishmaniosi viscerale o kala-azar; • Complesso L. tropica (L. major, L. minor, L. aethiopica), responsabile della leishmaniosi cutanea del Vecchio Mondo; • Complessi L. mexicana (L. mexicana, L. amazonensis, L. pifanoi) e L. braziliensis (L. guyanensis, L. panamensis, L. peruviana), responsabili della leishmaniosi mucocutanea e cutanea del Nuovo Mondo. TRASMISSIONE: Questi parassiti vengono solitamente trasmessi all’ospite umano da serbatoi animali attraverso la puntura da un dittero della Riferimenti bibliografici: z creswell J, Jaramillo e, Lönnroth K, Weil d, Raviglione M. tuberculosis and poverty: what is being done. Int J tuberc Lung dis. 2011 Apr; 15(4):431-2. z dye c, Lönnroth K, Jaramillo e, Williams BG, Raviglione M.trends in tuberculosis incidence and their determinants in 134 countries. Bull World Health Organ. 2009 sep; 87(9):683-91. z Lönnroth K, castro KG, chakaya JM, chauhan Ls, Floyd K, Glaziou P, Raviglione Mc. tuberculosis control and elimination 2010-50: cure, care, and social development. Lancet. 2010 May 22; 375(9728):1814-29. z Marais BJ, van Helden Pd. Reconsidering global targets for tuberculosis control. Bull World Health Organ. 2009;87 z nathanson e, nunn P, Uplekar M, Floyd K, Jaramillo e, Lönnroth K, Weil d, Raviglione M. MdR tuberculosis--critical steps for prevention and control. n engl J Med. 2010 sep 9; 363(11):1050-8. z WHO Global tuberculosis control: WHO Reoport 2010. WHO/HtM/tB/2010.7. (disponibile al seguente link: Web site: www.who.int/tb). z WHO towards universal access to diagnosis and treatment of multidrug-resistant and extensively drug-resistant tuberculosis by 2015 WHO progress report 2011. WHO/HtM/tB/2011.3. z WHO treatment of tuberculosis: guidelines for national programmes, 4th edition. WHO/HtM/tB/2009.420. z WHO tuberculosis prevalence surveys: a handbook the Lime Book. WHO/HtM/tB/2010.17. Ciclo vitale del Phlebotomus La Leishmania viene trasmessa dalla femmina del pappatacio, durante il pasto ematico. ¿ Il pappatacio infetto attraverso la puntura inietta i promastigoti nel circolo sanguigno dell'ospite. ¡ I promastigoti vengono fagocitati dai macrofagi e ¬ trasformati in amastigoti. √ A differenza della specie della Leishmania con la quale l’ospite viene infettato, gli amastigoti si moltiplicano e infettano tessuti differenti. È a questo punto che si osservano le manifestazioni cliniche della Leishmaniasi. ƒ ≈ Il pappatacio s’infetta durante il pasto ingerendo macrofagi infettati dagli amastigoti. ∆ Negli organi interni del vettore il parassita si differenzia in promastigote, « che si moltiplica e migra fino alla proboscide del dittero vettore. In questo modo, il flebotomo, pungendo un individuo, lo infetta. 65 66 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà famiglia dei pappataci: il Phlebotomus. Raramente la leishmaniosi viene trasmessa dalla madre al feto. EPIDEMIOLOGIA: Nel mondo, gli individui considerati a rischio di sviluppare l’infezione sono 350 milioni. Si stima una prevalenza di 12 milioni di casi, con incidenza globale di 2 milioni Distribuzione geografica dei casi di leishmaniasi mucocutanea e cutanea nel Nuovo Mondo di nuovi casi all’anno (1,5 milioni le forme cutanee e 500 mila le forme viscerali). Prevalenza (indipendente dall’età) generalmente maggiore nelle aree rurali (e periferiche) che in quelle urbane. In particolare il 90% dei casi di leishmaniasi cutanea si registrano in Iran, Afghanistan, Siria, Arabia Saudita, Brasile e Perù; dei casi di Distribuzione geografica dei casi di leishmaniasi cutanea da L. major leishmaniasi mucocutanea in Bolivia, Brasile e Perù; il 90% dei casi di leishmaniasi viscerale in Bangladesh, Brasile, India e Sudan. Il rischio di veder emergere o riemergere la malattia in Europa è legato principalmente a tre fattori: 1. L’introduzione di specie di Leishmania esotiche attraverso i viaggi internazionali o le migrazioni di popoli; 2. La diffusione naturale della Leishmaniasi cutanea e viscerale causata da L. infantum e L. tropica dal bacino del Mediterraneo, dove queste specie sono endemiche, alle aree temperate vicine, dove sono presenti i vettori ma non la malattia; 3. Il riemergere della malattia nelle regioni mediterranee causata da un aumento delle persone immunodepresse a seguito dell’infezione da HIV. Inoltre, i cambiamenti climatici possono agire sul cambiamento della distribuzione della leishmaniasi in maniera diretta, ossia per effetto della temperatura sullo sviluppo del parassita femmina, o in maniera indiretta sull’abbondanza stagionale della specie vettore. dariamente, ciò che rappresenta un evento comune. Le ulcere cutanee generalmente guariscono spontaneamente dopo diversi mesi e lasciano una cicatrice infossata. Il decorso successivo dipende dal ceppo di appartenenza del microrganismo infettante e dallo stato immunitario dell'ospite infettato. La leishmaniasi cutanea diffusa si caratterizza per la comparsa di lesioni nodulari diffuse agli arti e al volto e di macule ipopigmentate. Il quadro clinico per certi aspetti ricorda molto quello della lebbra lepromatosa con cui entra in diagnosi differenziale. In questa forma, non c’è possibilità di guarigione delle lesioni senza trattamento e in PERIODO DI INCUBAZIONE: • Leishmaniosi cutanea: 1-2 mesi; • Leishmaniosi muco-cutanea: deriva talvolta Distribuzione geografica della leishmaniasi viscerale nel Vecchio e Nuovo Mondo (Fonte: WHO/NTD/IDM HIV/AIDS) dall’estensione delle lesioni cutanee alle membrane mucose, o può essere primariamente localizzata alle mucose. L’incubazione varia quindi da alcuni mesi ad anni; • Leishmaniosi viscerale: 2-4 mesi. QUADRO CLINICO: La leishmaniasi cutanea si caratterizza per la comparsa, dopo 1-4 settimane, della classica lesione cutanea nel sito della puntura del flebotomo. In genere compare sulle parti esposte del corpo, come le braccia, le gambe e il viso. Si possono anche osservare lesioni multiple a seguito di punture infettive multiple, autoinoculazione accidentale o diffusione metastatica. La lesione iniziale è una papula che si estende, con ulcerazione centrale e che spesso sviluppa un'iperpigmentazione rialzata ai bordi dove sono concentrati i parassiti intracellulari. Le ulcere sono indolenti e non causano sintomi sistemici a meno che non siano infettate secon- Leishmaniasi cutanea. Placca eritematosa e lesioni ipercheratosiche alla guancia Leishmaniasi cutanea. Tipica lesione eritemato-nodulare al volto, zona esposta alla puntura del flebotomo 67 68 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà ogni caso c’è una tendenza alla recidività. La forma mucocutanea si manifesta sotto forma di lesioni distruttive, anche molto estese, delle mucose del naso, della bocca e del cavo orale. La leishmaniasi viscerale è la forma più grave, conosciuta anche come Kala-azar. Se non trattata, può raggiungere una mortalità praticamente del 100 per cento. Si manifesta con febbri irregolari e improvvise, perdita di peso, epatosplenomegalia e anemia. In alcuni pazienti, a distanza di tempo variabile (da 6 mesi a 1-2 anni) dalla terapia per leishmaniasi viscerale si può osservare la cosiddetta leishmaniasi dermica post kala-azar (PKDL) che si caratterizza clinicamente per la comparsa di macule, papule o noduli sugli arti e sul volto. Lesihmaniasi mucosa. Lesioni multiple infiltranti il labbro superiore. La localizzazione mucosa è primitiva Nel bacino del Mediterraneo la PKDL sta diventando una manifestazione clinica emergente. DIAGNOSI: La diagnosi, oltre che sul quadro clinico, viene posta dimostrando la presenza del microrganismo su campione citologico colorato con Giemsa o su coltura. Il materiale può essere prelevato raschiando il bordo di lesioni cutanea ulcerate o tramite agoaspirato in caso di lesioni nodulari; per la forma viscerale tramite agoaspirato o biopsia splenica. La tipizzazione della specie di Leishmania può essere ottenuta tramite PCR. TERAPIA: Allo stato attuale non esistono farmaci efficaci contro tutte le forme di leishmaniasi, e non è disponibile un vaccino. Gli antimoniali pentavalenti sono i farmaci di prima scelta sia per uso locale (intralesionale) che per via sistemica, ma non privi d’importanti effetti collaterali. Non esistono dei protocolli universalmente accettati. In genere, il trattamento locale con iniezioni intralesionali (1-2 ml) di antimoniali pentavalenti viene fatto quando il nodulo è di modeste dimensioni e si ripete settimanalmente fino a completa guarigione. L’uso intramuscolare di sali di antimonio alla dose di 20 mg/kg/die deve essere riservato alle forme molto estese e continuato fino alla guarigione delle lesioni (in genere 20 giorni), monitorando la funzionalità epatica, renale e il ritmo cardiaco. L’unguento di Paromomicina al 20% oppure l’unguento di Paromomicina al 15% più Metilbenzetonio cloridrato al 12% in formulazione galenica costituisce un’alternativa terapeutica. Viene applicato una o due volte al giorno sulla lesione per quattro settimane. L’efficacia di queste terapie varia a seconda della specie di Leishmania coinvolta. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Leishmaniosi dermica post kala-azar. Noduli dermici multipli agli arti superiori in paziente sieropositivo precedentemente trattato per leishmaniasi viscerale Non essendo ancora stato prodotto un vaccino, la profilassi si attua attraverso la prevenzione della puntura del flebotomo vettore, attraverso l’uso di repellenti cutanei, insetticidi, zanzariere, e attraverso operazioni di bonifica ambientale atta ad eliminare le cause favorenti lo sviluppo delle larve specie in aree urbane e peri-urbane. Riferimenti bibliografici: z González U, Pinart M, Reveiz L, Alvar J. Interventions for Old World cutaneous leishmaniasis. cochrane database syst Rev. 2008 Oct 8; (4):cd005067. z Goto H, Lauletta Lindoso JA. current diagnosis and treatment of cutaneous and mucocutaneous leishmaniasis. expert Rev. Anti Infect. ther., 2010, 8(4), 419–433. z Kaplan Je, Benson c, Brooks Jt, Masur H; centers for disease control and Prevention (cdc); national Institutes of Health; HIV Medicine Association of the Infectious diseases society of America. Guidelines for prevention and treatment of opportunistic infections in HIV-infected adults and adolescents: recommendations from cdc, the national Institutes of Health, and the HIV Medicine Association of the Infectious diseases society of America. MMWR Recomm Rep. 2009 Apr 10; 58(RR-4):1-207. (Leishmaniasis chapter found on pages 99-103.). z Murray HW, Berman Jd, davies cR, saravia nG, 2005. Advances in leishmaniasis. Lancet 366: 1561-77. z Ready Pd, Leishmaniasis emergence in europe. euro surveill.2010; 15(10):pii=19505. disponibile al seguente link: http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?Articleld=19505. z Reithinger R, dujardin Jc, Louzir H, Pirmez c, Alexander B, Brooker s, 2007. cutaneous leishmaniasis. Lancet Infect dis 7: 581-96. z nagill R, Kaur s. Vaccine candidates for leishmaniasis: a review. Int Immunopharmacol. 2011 May 23. 69 70 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ QUADRI CLINICI Per una trattazione completa, si rimanda alle fonti citate nella bibliografia. GASTROINTESTINALI Nei migranti ospiti di centri di accoglienza, quadri sindromici gastroenterici sono di particolare frequente riscontro. Bisogna tuttavia considerare che soltanto in una minoranza di casi essi sono di origine infettiva. Il cambiamento delle abitudini alimentari e dello stile di vita, le dure condizioni di vita spesso fonte di stress, lo scarso apporto in verdure e frutta fresca, la dieta spesso molto diversa da quella della cultura di origine e quindi scarsamente appetibile per gli stranieri fanno sì che disturbi blandi, quali disturbi dispeptici, bruciore intestinale, disturbi dell’alvo (in particolare costipazione) siano riferiti molto frequentemente. Nella maggioranza dei casi essi possono essere risolti con consigli dietetici e comportamentali, o con trattamenti sintomatici (lassativi blandi, ricorso occasionale ad antiacidi). Nei casi cronici o protratti e nelle forme severe il paziente andrà investigato più approfonditamente alla ricerca di eziologie microbiche e di diversa origine. Di seguito si riportano brevemente solo le eziologie di più frequente riscontro nei centri di accoglienza. Infezione da Helicobacter pylori EPIDEMIOLOGIA: Pur essendo presente in tutto il mondo, l’Helicobacter pylori (Hp) è particolarmente diffuso nelle aree geografiche economicamente svantaggiate. Il 70% della popolazione nei paesi in via di sviluppo acquisisce la colonizzazione entro i 10 anni di età. La permanenza in strutture di accoglienza e le scarse condizioni igienico-sanitarie rappresentano ulteriori fattori di rischio per l’infezione. Si tratta quindi di una diagnosi da tenere presente nei migranti con disturbi gastrici persistenti. QUADRO CLINICO: L’infezione da Hp è associata in un numero consistente di quadri dispeptici e nel circa 90% dei casi di ulcera peptica. Il germe è stato anche chiamato in causa nell’eziologia del carcinoma gastrico. Sebbene il ruolo scatenante dell’Helicobacter pylori in queste patologie non sia confermato, l’eradicazione dell’infezione sembra accompagnarsi a una riduzione delle ricorrenze di ulcera e a un miglioramento dei quadri infiammatori gastrici. Schemi terapeutici per eradicare l’ Helicobacter pylori Regime Durata Percentuale di eradicazione Commenti 70-85% Da considerare in pazienti non allergici alla penicillina che non hanno ricevuto un macrolide in precedenza Dose standard di IPP BID + Claritromicina 500 mg BID + Amoxicillina 1 gr BID 10-14 giorni Dose standard di IPP + Claritromicina 500 mg BID + Metronitazolo 500 mg BID 10-14 giorni 70-85% Da considerare in pazienti allergici alla penicillina che non hanno ricevuto un macrolide in precedenza Bismuto sub salicilato 520 mg QID, Metronitazolo 250 mg QID, Tetracicline 500 mg QID, ranitidine 150 mg BID o IPP dose standard QID o BID 10-14 giorni 75-90% Da considerare nei pazienti allergici alla penicillina Fonte: American College of Gastroenterology Guideline on the Management of Helycobacter pylori infection, 2007 DIAGNOSI: L’infezione andrà sospettata in presenza di quadri gastritici e dispeptici e di reflusso gastroesofageo persistenti. La diagnosi di certezza richiede l’esecuzione dell’esofagogastroduodenoscopia con prelievi bioptici, oppure l’esecuzione di esami sierologici o dell’Ureasi breath test, che consente di misurare la presenza nell’aria espirata di ureasi, prodotto del metabolismo dell’Helicobacter. Tutti questi test hanno un’accuratezza diagnostica molto alta. Il test dell’ureasi andrà praticato a distanza da un eventuale ciclo di terapia antibiotica per evitare i falsi negativi. TERAPIA: Diversi schemi di terapia sono possibili. Tutti si basano sul ricorso a un “triplice” trattamento, consistente nell’associazione di due antibiotici efficaci contro l’Helicobacter e di un inibitore di pompa protonica per un periodo di tempo di almeno 10-15 giorni. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Gli attuali regimi terapeutici rappresentano un buon rimedio all'infezione da Hp: ad ogni modo, sono stati fatti dei tentativi di somministrazione dei vaccini con buoni risultati sia per la prevenzione di una reinfezione che per la terapia. Inoltre, questi nuovi presidi sono ben tollerati ed evocano una risposta immune sia nei pazienti infettati sia nei non infettati e possono essere adoperati per la prevenzione dell’ulcera gastrica. Gastroenteriti infettive AGENTE CAUSALE: Nella maggioranza dei casi riconoscono un’eziologia virale: Rotavirus con andamento stagionale, più frequente nei neonati e nei lattanti o Norovirus, responsabili di epidemie in particolare nell’ambito di comunità chiuse. QUADRO CLINICO: In questi casi i sintomi sono di breve durata, lievi o blandi e non si accompagnano di solito a sintomi sistemici. TERAPIA: È generalmente sintomatica con una corretta reidratazione ed eventualmente farmaci antiemetici e antidiarroici. Solo in alcuni casi di gastroenteriti causate da parassiti o infezioni batteriche è necessaria una terapia specifica. Intossicazioni alimentari AGENTE CAUSALE: Gli agenti infettivi sono dei batteri (Staphilococcus aureus, Bacillus cereus, Clostridium perfrigens) in grado di produrre esotossine (prodotte nel cibo contaminato prima del consumo) che, una volta ingerite, causano un quadro di gastroenterite. Possono essere causa di piccole epidemie. Gli alimenti maggiormente incriminati sono le carni cotte, macinate o insaccate, le creme e i prodotti a base di uova, prodotti di pasticceria, gelati. Si tratta spesso di cibi parzialmente cotti e poi conservati in frigo per un successivo consumo. L’apparenza, il colore e l’odore sono sempre normali. QUADRO CLINICO: Caratteristicamente, la sintomatologia inizia bruscamente dopo poche ore dal consumo del cibo, e riguarda spesso più persone aventi consumato lo stesso pasto. Si caratterizza per presenza di nausea, vomito, diarrea anche ematica, disidratazione in assenza di febbre. L’evoluzione clinica è di solito benigna. DIAGNOSI: È possibile solo tramite isolamento del germe o della tossina nel cibo contaminato. TERAPIA: Non richiede utilizzo di antibiotici ma solo terapia di supporto. MISURE IGIENICHE: Devono essere messe in atto all’atto della preparazione dei cibi per prevenire l’infezione: • Lavaggio delle mani prima della preparazione; • Corretta cottura e rapido consumo dei cibi; • Evitare la conservazione per lungo tempo. Infezioni batteriche Le gastroenteriti batteriche non tossinfettive riconoscono un’eziologia estremamente varia e presentano quadri clinici difficilmente distinguibili tra loro. Possono (raramente) essere causa di epidemie all’interno delle comunità chiuse (come i centri di accoglienza), date le condizioni di sovraffollamento e di scarsa igiene. Le manifestazioni cliniche andranno da quadri lievi/moderati (diarrea, nausea e vomito, risolventesi in pochi giorni) a quadri di estrema gravità 71 72 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà (disidratazione fino allo shock, diarrea ematica con anemizzazione, coinvolgimento multi sistemico). La presenza di febbre è un segno caratteristico e piuttosto costante delle forme batteriche invasive. In tutti questi casi, il paziente andrà rapidamente riferito a una struttura specialistica. Infestazioni parassitarie DIAGNOSI: L’esame microscopico delle feci a fresco esaminate a breve distanza dalla deposizione consente di osservare la presenza delle forme amebiche mobili. Il riscontro di sole forme cistiche non è di per sé diagnostico, in quanto esse potrebbero appartenere alla specie dispar, non patogena. Possibile eseguire sierologie per E. histolytica. In caso di localizzazioni extraintestinali utili gli esami strumentali. Amebiasi TERAPIA DEFINIZIONE: L’amebiasi è un’infezione del colon diffusa in tutto il mondo; è dovuta all’ingestione di cisti di un protozoo. AGENTE CAUSALE: Entamoeba histolytica, può essere presente in natura sotto forma di cisti (infettanti) e di trofozoiti (forme vitali potenzialmente patogene). TRASMISSIONE: Oro-fecale. L’uomo, malato o asintomatico, è l’unica sorgente d’infezione. Il soggetto infettato è contagioso fintanto che continua l'escrezione delle cisti (anche alcuni anni). I ‘portatori sani cronici’ sono comunque rari e le cisti da loro escrete sono solitamente prive di potere patogeno. EPIDEMIOLOGIA: È particolarmente frequente nelle aree a basso sviluppo e in condizioni igenico-sanitarie precarie. PERIODO DI INCUBAZIONE: Può variare da pochi giorni ad alcuni mesi o anni, è solitamente di 24 settimane. QUADRO CLINICO: Le manifestazioni cliniche dell’infezione possono essere di varia entità, da un quadro asintomatico a un quadro conclamato con sintomi quali dolori addominali crampiformi, diarrea alternata a stipsi, flatulenza, raramente nausea e vomito, nelle feci possono essere presenti sangue e muco. Un’infezione acuta paucisintomatica non trattata può evolvere in un quadro cronico con sintomatologia caratterizzata da decorso subdolo, diarrea ricorrente, febbricola, astenia e dimagrimento. In casi cronici si può anche osservare la formazione di un ameboma, lesione granulomatosa del cieco o del colon contenente trofozoiti. Possibili anche localizzazioni extraintestinali (ascesso epatico amebico, amebiasi polmonare). • Metronidazolo 500-750 mg x 3/die per 10 giorni; • Tinidazolo 600 mg x 2/die per 5 giorni; Nelle forme intestinali invasive far seguire • Paromomicina alla dose di 25-35 mg/kg/die diviso in 3 dosi per 7 giorni. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Dal momento che l’eliminazione dei trofozoiti e delle cisti avviene con le feci, il paziente dovrebbe utilizzare servizi igienici riservati fino al completamento del trattamento. Nell’assistenza a pazienti affetti da amebiasi debbono essere adottate precauzioni enteriche; lavaggio in acqua a temperature superiori a 60°C e disinfezione della biancheria contaminata. Come per tutte le malattie a trasmissione fecale, lo scrupoloso rispetto di elementari norme igieniche è fondamentale, a livello individuale, per la prevenzione dell’amebiasi. A livello collettivo la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale si realizza attraverso il corretto smaltimento e allontanamento dei rifiuti solidi e liquidi, una buona igiene alimentare. Giardiasi DEFINIZIONE: Infezione dell'intestino tenue da parte di un protozoo flagellato, la Giardia Lamblia, che può essere asintomatica o causare manifestazioni cliniche che vanno dalla flatulenza intermittente al malassorbimento cronico. AGENTE CAUSALE: Protozoo flagellato Giardia Lamblia. TRASMISSIONE: Avviene tramite l’ingestione di acque e alimenti contaminati, essa può anche verificarsi per contatto diretto interpersonale, in particolare in comunità infantili o tra gli omosessuali. L’acqua contaminata è la principale fonte di infezione. EPIDEMIOLOGIA: Infezione ubiquitaria PERIODO DI INCUBAZIONE: 1-3 settimane. QUADRO CLINICO: Frequentemente non provoca alcun sintomo. Quando compaiono i sintomi, sono solitamente di entità moderata e comprendono dolori addominali, diarrea saltuaria, flatulenza, nausea e talvolta sindrome da malassorbimento. Nelle feci generalmente non si riscontrano sangue e muco. Quadri più gravi possono presentarsi nei soggetti affetti da immunodepressione. DIAGNOSI: Esame microscopico delle feci a fresco per evidenziare le cisti o le forme attive del protozoo. TERAPIA: • Metronidazolo 250 mg x 3/die per 7 giorni; • Tinidazolo 2g in singola dose. Bambini: 30-35 mg/kg in singola dose; • Nei pazienti con infezione cronica utile far seguire un trattamento con Paromomicina. MISURE IGIENICHE E DI PROFILASSI: Poiché l’eliminazione dei trofozoiti e delle cisti avviene con le feci, il paziente dovrebbe utilizzare servizi igienici riservati fino al completamento del trattamento. Gastroenteriti nei pazienti immunodepressi Oltre a quelli già citati, alcuni agenti “atipici”, quali Criptosporidium, Balantidium, non patogeni in soggetti immunocompetenti, possono provocare nei soggetti immunodepressi quadri anche molto gravi e di difficile trattamento. Gastroenteriti resistenti al trattamento o recidivanti dovrebbero sempre far sospettare un sottostante deficit della risposta immunitaria. È opportuno, in questi casi, avviare i necessari approfondimenti diagnostici (esame parassitologico delle feci, coprocoltura, esame emocromocitometrico, test HIV) e riferire il paziente alle cure di uno specialista. Riferimenti bibliografici: z effa ee, Bukirwa H.Azithromycin for treating uncomplicated typhoid and paratyphoid fever (enteric fever). cochrane database syst Rev. 2008 Oct 8; (4):cd006083. z Gilbert david n, Moellering Robert c, eliopoulos George M et al. sanford Guide to Antimicrobial therapy 2010. z Global trends in typhoid and paratyphoid Fever. crump JA, Mintz ed. clin Infect dis. 2010 Jan 15; 50(2):241-6. z Mandell, douglas, and Bennett's Principles and Practice of Infectious diseases, 7th edition, by Gerald L. Mandell, Md, MAcP, John e. Bennett, Md, MAcP, Raphael dolin, Md, churchill Livingstone, 2010. z sugiyama t, tsuchida M, Yokota K et al.: Improvement of long-standing iron-deficiency anemia in adults after eradication of Helicobacter pylori infection. Intern Med 2002; 41(6):491-4 z Wong WM, Wong Bc, Xia HH et al.: An evaluation of a rapid urine test for the diagnosis of Helicobacter pylori infection in the chinese population. Aliment Pharmacol ther 2002; 16(4):813-7. 73 74 PAtOLOGIe deRMO-InFettIVe dI POssIBILe RIscOntRO In cOMUnItà µ VACCINAZIONI CONSIGLIATE Le vaccinazioni possono rappresentare un efficace metodo preventivo di gran parte delle malattie che si possono contrarre durante i periodi di permanenza in luoghi chiusi e sovraffollati, quali i centri di accoglienza per migranti, dove il contatto ravvicinato e continuo tra le persone e le condizioni igienico-sanitarie scadenti rappresentano senza alcun dubbio un aumentato rischio di trasmissione. È consigliabile quindi predisporre e adottare protocolli vaccinali ad hoc per coloro che accedono all’interno dei centri di accoglienza al fine di proteggere la popolazione immigrata dalle principali malattie prevenibili da vaccino sia nel bambino che nell’adulto, riducendo così sia il rischio individuale che della popolazione generale (immunità di gregge “herd immunity”). Tutti coloro che arrivano nei centri di accoglienza andrebbero vaccinati in accordo con i Piano Nazionale Vaccini a seconda delle diverse età e di specifici fattori di rischio che possono rappresentare, in ambienti chiusi e sovraffollati, una ulteriore minaccia per la salute del migrante come di quella dell’intera comunità. Il soggiorno in un centro di accoglienza rappresenta di per sé un fattore di rischio (sovraffollamento, contatto stretto tra residenti, ecc) pertanto anche il personale che opera nei centri dovrebbe essere sottoposto a vaccinazione, secondo il calendario vaccinale nazionale. in queste circostanze, la schedula vaccinale deve essere iniziata nuovamente. Oltre alla schedula vaccinale classicamente consigliata, andrebbe valutata l’opportunità di sottoporre questi bambini a vaccinazione anche contro epatite A, pneumococco, varicella, rosolia e parotite, visto il rischio più elevato di contrarre queste visto il rischio più elevato di contrarre queste infezioni in comunità. Il calendario vaccinale italiano per tutti i nuovi nati prevede la vaccinazione nei confronti delle seguenti malattie: Difterite, Tetano, Pertosse, Epatite B, Poliomelite, Haemophilus influenzae, con il cosiddetto vaccino combinato esavalente al 3°, 5° e 13°-15° mese. In alternativa al vaccino esavalente, esistono anche dei vaccini singoli praticabili nei bambini che possono essere somministrati alternativamente in bambini più grandi o che possano essere stati vaccinati parzialmente in precedenza. Al 13°-15° mese è prevista anche la vaccinazione contro il Morbillo, la Parotite e la Rosolia, anche quest’ultima disponibile in un vaccino combinato, vivo attenuato, che contiene i tre antigeni. Ulteriori richiami contro Difterite/Tetano/Pertosse e Poliomielite sono previste al 5° o 6° anno e tra gli 11 e i 15 anni esclusa la vaccinazione antipolio, di cui occorrono solo 4 dosi. Recentemente sono stati inoltre introdotti sul mercato tre vaccini, quello per il Meningococco C che dà un’ottima immunità con una dose, quello per lo Pneumococco che a seconda dell‘età viene somministrato in una, due o tre dosi e quello per la Varicella, con una/due dosi a seconda dei singoli casi. Età evolutiva La prevenzione delle malattie infettive nei bambini immigrati presenta particolari problemi, in quanto le malattie infettive alle quali questi bambini sono stati esposti e i vaccini ricevuti possono variare a seconda del paese d’origine, o non essere stati mai vaccinati. I bambini che risiedono in campi o in centri di accoglienza, quindi, potrebbero avere il calendario vaccinale non completo, e devono quindi essere sottoposti a tutte le vaccinazioni prescritte per l’età. Se manca qualsiasi documentazione, come accade di frequente Adulti In Italia non esiste ancora un vero e proprio calendario vaccinale per gli adulti, ma solo delle indicazioni sia per la popolazione generale che per determinate categorie a rischio. Nei centri di accoglienza per migranti occorrerebbe immunizzare tutti coloro che vi fanno ingresso con le vaccinazioni cosiddette di routine e con le vaccinazioni contro le principali patologie di cui in questi luoghi esiste un aumentato rischio di trasmissione. Le vaccinazioni di routine: difterite, tetano e polio Gli adulti con anamnesi incerta per una serie completa di vaccinazione primaria con vaccini contenenti tetano e tossoide difterico, dovrebbero iniziare o completare una serie di vaccinazione primaria. Un richiamo alla vaccinazione, o l’avvio del ciclo vaccinale (0,1,6 mesi) per i soggetti non immunizzati, potrebbe rientrare in un protocollo vaccinale da effettuare all’interno dei centri di accoglienza che potrebbe rappresentare l’unica occasione di vaccinazione di questi soggetti; considerando la riemergenza della difterite, è particolarmente appropriata la raccomandazione di eseguire la profilassi antitetanica con il vaccino combinato antidifterico-tetanico ed eventualmente anche con la polio. Aree endemiche di polio sono infatti ancora presenti in Africa e in gran parte dell’Asia. Vaccinazioni anti-epatite A e B Né per l’uno né per l’altro esistono indicazioni univoche. Il vaccino per l’epatite A è consigliato a tutte le persone suscettibili che vivono in paesi a media/alta endemia. Va inoltre effettuato a tutti i portatori di epatite cronica, visto il rischio di aggravamento del quadro clinico in caso di nuova infezione acuta. Il vaccino contro l’epatite A è un virus inattivato; quello contro l’epatite B è costituito dall’antigene di superficie del virus B ottenuto mediante tecniche di ingegneria genetica. Le indicazioni per quest’ultimo sono rappresentate dalla suscettibilità all’infezione in soggetti con epatite cronica di altra natura e il rischio professionale (personale sanitario). Esiste un vaccino per l’epatite A, uno per la B oppure un combinato A+B in un ciclo di base (0,1,6 mesi) o uno rapido di vaccinazione (0-7-21 e quarta dose dopo 12 mesi). Questi vaccini sono capaci di dare una risposta immunitaria efficace e duratura nel tempo. Per la vaccinazione antiepatite A è raccomandata una dose di richiamo dopo 612 mesi dalla prima dose. La risposta immunitaria ha una durata di circa 10 anni. Il vaccino contro il tifo: la febbre tifoide è iperendemica in America Latina, nell’intero continente africano e in Oriente. Le stesse aree di alta endemia per febbre tifoide sono di solito caratterizzate anche da una elevata morbosità per epatite virale. La vaccinazione contro la febbre tifoide si avvale correntemente del vaccino orale attenuato: si tratta del ceppo di salmonella typhi ty 21 orale liofilizzato che induce un’ottima risposta locale (IgA secretorie) e una modesta immunità umorale; in alternativa, esiste anche un vaccino a uso parenterale che suscita livelli protettivi di anticorpi con una sola iniezione. Entrambi i vaccini hanno una durata di circa 3 anni. L’interesse di effettuare questa vaccinazione nei migranti è tuttavia molto dibattuto, e non se ne consiglia l’uso sistematico. Il vaccino contro la meningite meningococcica è costituito dagli antigeni polisaccaridici della parete del meningococco. Attualmente sono disponibili due tipologie di vaccino. Uno è quadrivalente, contro i ceppi A-C-Y-W 135, costituto dal polisaccaride di superficie, con una durata che va dai 3 ai 5 anni. Questo vaccino è consigliato soprattutto ai viaggiatori in zone a rischio. L’altro è monovalente per il sierogruppo C coniugato con una proteina carrier che migliora decisamente la qualità della risposta anticorpale, per il quale non occorre nessuna dose di richiamo. Le indicazioni sono anche in questo caso molto limitate. La vaccinazione andrà consigliata in soggetti a rischio di sviluppare forme gravi (soggetti asplenici, immunodepressione congenita o acquisita, ecc). Il ricorso al vaccino meningococco per gli adulti sarà necessario solo in corso di epidemie all’interno della comunità quando espressamente indicato dalle autorità sanitarie competenti. È invece consigliato in età pediatrica a partire dal primo anno di età. La vaccinazione contro l’influenza stagionale andrebbe proposta al migrante appartenente alle categorie a rischio per cui il vaccino è consigliato, ossia se portatore di patologie croniche respiratorie (asma, BPCO, ecc.), e cardiovascolari (congenite o acquisite), diabete mellito, insufficienza renale, emoglobinopatie, malattie degli 75 76 organi emopoietici, immunodepressioni congenite o acquisite, malattie infiammatorie croniche e malassorbimento intestinale, o in attesa di intervento chirurgico. Anche le donne in gravidanza al secondo o terzo trimestre andrebbero sottoposte a vaccinazione. In aggiunta a quanto sopra riportato, bisogna ricordare che nelle donne in età fertile senza im- munità specifica andrebbe effettuata la vaccinazione anti-rosolia, per prevenire l’infezione gravidica e le successive complicanze fetali. Il vaccino, disponibile in Italia solo nella forma trivalente MPR (morbillo, rosolia e parotite), richiede due somministrazioni per indurre una risposta duratura e ha un’efficacia molto elevata (99%). Riferimenti bibliografici: z http://www.epicentro.iss.it z http://www.ministerosalute.it z Piano nazionale Vaccini 2005-2008. z Red Book American Academy of Pediatrics – Rapporto del comitato sulle Malattie Infettive,2006. z www.levaccinazioni.it (nIV- network Italiano delle vaccinazioni). z Boggild AK, castelli F, Gautret P, torresi J, von sonnenburg F, Barnett ed, Greenaway cA, Lim PL, schwartz e, Wildersmith A, Wilson Me; Geosentinel surveillance network. Vaccine preventable diseases in returned international travelers: results from the Geosentinel surveillance network. Vaccine. 2010 Oct 28; 28(46):7389-95. PARTE TERZA Altri quadri clinici osservabili nelle popolazioni migranti 78 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI I l personale sanitario, a partire da quello presente all’interno di un Centro di accoglienza, è chiamato spesso a confrontarsi con problematiche cliniche di cui sono portatrici le persone provenienti da contesti culturali diversi. I quadri riportati in questa sezione costituiscono un insieme eterogeneo di alcuni casi clinici riscontrabili nelle popolazioni migranti, nello specifico manifestazioni dermatologiche in soggetti con cute scura, esiti cutanei e conseguenze ginecologiche di pratiche socio-culturali e un esempio di sindrome culturalmente caratterizzata. La trattazione che segue può rappresentare un utile strumento per orientare il personale sanitario nella pratica clinica, affinando il suo sguardo nel riconoscimento di quanto l’attenzione alle differenze culturali possa essere rilevante all’interno del processo diagnostico.nella pratica quotidiana. µ OCRONOSI ESOGENA DEFINIZIONE: Nelle persone di cute scura è molto frequente il ricorso all’utilizzo di prodotti depigmentanti, nel tentativo di schiarire il colorito della cute, a scopi cosmetici. Abbastanza spesso, però, l'utilizzo di queste sostanze conduce a una condizione opposta, con l’insorgenza di pigmentazione brunastra nella sede di applicazione. Questa condizione, riportata inizialmente nel 1906 da L. Pick, è clinicamente e istologicamente simile a quella endogena; non mostra anomalie sistemiche e non è una malattia ereditaria. È caratterizzata da un’iperpigmentazione asintomatica del viso, regioni laterali e posteriori del collo, dorso e superficie estensoria delle estremità. AGENTE CAUSALE: Il frequente utilizzo di creme schiarenti, soprattutto a base di idrochinone e di corticosteroidi, espone a notevoli complicanze dermatologiche, soprattutto se tali prodotti vengono usati quotidianamente e per lunghi periodi. Attraverso canali impropri, possono essere reperite sul mercato numerose formulazioni di questi prodotti, provenienti soprattutto da alcuni paesi africani (Nigeria, Costa d'Avorio, Sud-Africa) o dalla stessa Europa e il cui commercio si effettua al di fuori di ogni controllo sanitario. EPIDEMIOLOGIA: Questa condizione è molto frequente nei soggetti provenienti dal continente africano, particolarmente dal Senegal e dalle regioni dell'Africa del Sud, dove l’iperpigmentazione ocronotica è stata ritrovata nel 28-35% della popolazione. QUADRO CLINICO: M. Dogliotte e M. Liebowitz, nel 1979, ne hanno descritto tre stadi: 1. Eritema con pigmentazione lieve; 2. Iperpigmentazione con milia colloidi e scarsa atrofia; 3. Lesioni papulonodulari con o senza infiammazione circostante. Le complicanze osservate vanno dalla comparsa dell'acne, alle dermatosi infettive modificate dall'applicazione locale di corticosteroidi, alle discromie, agli eczemi da contatto, alle striae cutis distensae. A volte occasionali granulomi e più raramente eliminazione trans-epidermica del materiale di deposito dal derma. Una complicanza abbastanza frequente, soprattutto nei soggetti con cute nera, è rappresentata dall'iperpigmentazione locale nelle sedi di applicazione del prodotto. Iperpigmentazione cutanea al volto a seguito dell’utilizzo di prodotti schiarenti a base di idrochinone TERAPIA: Si può ottenere qualche miglioramento con Q-switched ruby laser o con il Q-switched alexandrite laser. Il laser frazionato Fraxel (fractionated photothermolysis: 1550-nm erbium glass fiber laser) che produce numerose perforazioni minuscole della pelle, in teoria potrebbe offrire una possibile soluzione a questo problema. Riferimenti Bibliografici: z Bellew sG, Alster ts. treatment of exogenous ochronosis with a Q-switched alexandrite (755 nm) laser. dermatol surg 2004; 30: 555-558. z charlín R, Barcaui cB, Kac BK, et al. Hydroquinone-induced exogenous ochronosis: a report of four cases and usefulness of dermoscopy. Int J dermatol. 2008; 47:19-23. z Gil I, segura s, Martínez-escala e, Lloreta J, Puig s, Vélez M, Pujol RM, Herrero-González Je. dermoscopic and reflectance confocal microscopic features of exogenous ochronosis. Arch dermatol. 2010 sep; 146(9):1021-5. z Kramer K.e. et al. exogenous ochronosis, J Am Acad dermatol, 2000; 42, 869-71. z snider F.L., thiers B.H., exogenous ochronosis, J Am Acad dermatol, 1993; 28, 662-4. z stolz W. color Atlas of dermoscopy, 2nd edn. Berlin. Blackwell Wissenschafts-Verlag G 2002; pp. 121-131. z tan sK. exogenous ochronosis--a diagnostic challenge. J cosmet dermatol. 2010 dec; 9(4):313-7. z Van Offel J.F., declerck L.s., Francx L.M., stevens W.J., the clinical manifestations of ochronosis: a review, Acta clin Belg 1995; 50:358-62. 79 80 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI µ ACNE COSMETICA µ ACNE CHELOIDEA SINONIMI: Pomade acne. DEFINIZIONE: Viene fatta risalire agli inizi degli SINONIMI: Dermatite papillare del capillizio, ac- anni ‘70 per descrivere un peculiare quadro clinico riscontrato in giovani donne che facevano uso abituale di cosmetici contenenti sostanze “grasse” e senza precedente storia di acne. CAUSA: La xerosi costituzionale dei soggetti di cute scura induce a ungersi continuamente di sostanze grasse, con conseguente sviluppo di fenomeni follicolo-occlusivi. QUADRO CLINICO: La forma clinica, è caratterizzata da numerosi microcomedoni chiusi, localizzati per lo più al mento e alle guance, con rare e occasionali lesioni infiammatorie. TERAPIA: Normalmente non è necessario nessun trattamento specifico, poiché anche solo la sospensione dell’utilizzo del cosmetico incriminato dovrebbe far risolvere il problema. I cosmetici idonei per la cute acneica dovrebbero essere non DELLA NUCA L’appicazione di steroidi topici e pomate occlusive determina l’insorgenza di un’acne comedo-cistica e talvolta infiammatoria sul volto. A differenza dell’acne volgare questa interessa anche le regioni temporali comedogenici, non acnegenici, non allergenici e in grado di eliminare l’eccesso di sebo, non risultando, però, né eccessivamente astringenti né aggressivi. Riferimenti bibliografici: z Arfan-ul-Bari, Khan MB. dermatological disorders related to cultural practices in black Africans of sierra Leone. J coll Physicians surg Pak. 2007 May; 17(5):249-52. z callender Vd considerations for treating acne in ethnic skin cutis. 2005 Aug; 76(2 suppl):19-23. z Halder RM, Brooks HL, callender Vd. Acne in ethnic skin. dermatol clin. 2003 Oct; 21(4):609-15, vii. z Laude tA. Approach to dermatologic disorders in black children. semin dermatol. 1995 Mar; 14(1):15-20. z shah sK, Alexis AF. Acne in skin of color: practical approaches to treatment. J dermatolog treat. 2010 May; 21(3):206-11. ne cheloide, cheloide nucale, acne keloidalis nuchae, folliculitis nuchae. DEFINIZIONE: È un tipo di follicolite cronica molto grave che colpisce prevalentemente gli uomini dell’area africana, nel suo sviluppo diventa una forma di alopecia cicatriziale di forma acquisita. CAUSA: Anche se non sembra ci siano correlazioni tra l’acne cheloide e le altre forme di acne, generalmente nelle fasi iniziali si osservano piccoli follicoli piliferi infiammati nella zona occipitale del cuoio capelluto e nella parte posteriore del collo. Il persistere del processo infiammatorio in assenza di terapia determina la formazione di placche estese fino alla regione del collo. Alla base dell’insorgenza di tale patologia si pensa vi fosse l’irritazione dei follicoli piliferi dovuta al taglio dei capelli con rasoio nella parte posteriore della nuca, pratica comune nelle popolazioni africane. QUADRO CLINICO: Inizialmente lesioni infiammatorie papulo-pustolose appaiono sull’area nucale, seguite dalla formazione di placche senza capelli e dure al tatto. Queste possono andare incontro a sovrainfezione batterica che causa irri- Placca ipercheratosica e in fase infiammatoria della regione nucale tazione e dolore. a distanza di qualche mese si osserva la comparsa di cicatrici ipertrofiche (cheloide). Questa evoluzione comporta la caduta dei capelli e dei peli. Talvolta si può avere la formazione di ascessi purulenti e fistole. DIAGNOSI: Clinica. TERAPIA: Patologia molto difficile da trattare, specie in fase cicatriziale. I medicamenti più utilizzati sono i seguenti: • Preparazioni topiche a base di steroidi e antibiotici; • Retinoidi topici. I farmaci a uso orale consigliati per il trattamento delle forme in fase acuta sono: • Antibiotici a uso orale come la tetraciclina; • Steroidi per via orale per le forme più gravi di acne. Alcuni trattamenti invasivi, come l’iniezione intralesionale di steroidi, l’asportazione chirurgica, la laser terapia, vengono spesso utilizzati per eliminare, rimuovere o riparare i tessuti cicatriziali. MISURE PRECAUZIONALI DA CONSIGLIARE AL PAZIENTE: • Cercare di non provocare nessuna irritazione nella zona colpita, in modo da evitare la formazione di nuove lesioni; • Evitare cappelli e colletti per non irritare ulteriormente la zona colpita. Placca cicatriziale con atrofia dei follicoli piliferi, nella regione nucale e particolare ravvicinato della stessa Riferimenti Bibliografici: z Adegbidi H, Atadokpede F, do Ango-Padonou F, Yedomon H. Keloid acne of the neck: epidemiological studies over 10 years. Int J dermatol. 2005 Oct; 44 suppl 1:49-50. z Herzberg A:J, dinehart sM, Kerns BJ, Pollack sV. Acne keloidalis. transverse microscopy, immunohistochemistry aud 81 82 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI electron microscapy. Am J dermatopathal 1990; 12(2): 109 - 121. z Kelly AP.Pseudofolliculitis barbae and acne keloidalis nuchae. dermatol clin. 2003 Oct; 21(4):645-53. z Khumalo nP, Jessop s, Gumedze F, ehrlich R. Hairdressing and the prevalence of scalp disease in African adults. Br J dermatol. 2007 nov; 157(5):981-8. z Luz Ramos M, Munoz-Pèrez M.A., Pons A., Ortega M., camacho F. Acne keloidalis muchae and tufted hair folliculitis dermatology 1997; 194: 71 - 3. z Mahé A. treatment of acne keloidalis nuchae: recommendations Ann dermatol Venereol. 1999 Jun-Jul; 126(6-7):5412. z Ogunbiyi A, George A. Acne keloidalis in females: case report and review of literature. J natl Med Assoc. 2005 May; 97(5):736-8. z Quarles Fn, Brody H, Badreshia s, Vause se, et al Acne keloidalis nuchae dermatol ther. 2007 May-Jun;20(3):12832. z sperling L., Homoky c., Pratt L., sau P. Acne keloidalis is a form of primary scarring alopecia Arch dermatol 2000; 136: 479 - 84. z taylor sc. epidemiology of skin diseases in ethnic populations. dermatol clin. 2003 Oct; 21(4):601-7. µ PSEUDOFOLLICOLITE DELLA BARBA SINONIMI: Pseudofolliculitis barbae. DEFINIZIONE: È una condizione che sta a indicare una persistente infiammazione causata dalla rasatura. È più comune negli uomini, nei soggetti con peli molto crespi, sul viso. Le lesioni possono evolvere verso la formazione di cheloidi. CAUSA: Il disturbo deriva dalla penetrazione sia extrafollicolare che transfollicolare del derma da parte dei peli. Nel primo, i peli da poco rasati, con gli apici acuti ricurvi indietro verso la cute, penetrano l'epidermide, entrano nel derma, dove stimolano una reazione infiammatoria da corpo estraneo. La penetrazione transfollicolare accade quando la rasatura è effettuata tirando la cute, così il pelo tagliato si ritrae nel follicolo quando viene rilasciata e i peli penetrano attraverso il follicolo nel derma. QUADRO CLINICO: Clinicamente, si presenta con papule infiammatorie e pustole. La maggior parte delle lesioni contiene un pelo incorporato; le lesioni si localizzano prevalentemente a livello della superficie anteriore del collo, nell’area sottomandibolare, al mento. L’area dei baffi e delle basette è solitamente risparmiata. Le lesioni appaino eritematose o iperpigmentate. Il trauma continuo della rasatura e le conseguenti escoriazioni possono favorire la sovrainfezione batterica e la formazione di ascessi. Complicazioni secondarie possono essere la comparsa di cicatrici e più raramente di cheloidi. Le lesioni croniche possono apparire ipo o iperpigmentate. Lesioni follicolari infiammatorie, spesso sovrainfette, portano nel tempo a esiti cicatriziali TERAPIA: Antibiotici e antisettici topici (es. la Clorexidina) possono risultare utili sussidi alla terapia sistemica, ma non vanno usati senza di essa. Tra l'altro, una terapia tempestiva con antibiotici sistemici può prevenire un'infezione cronica. MISURE PRECAUZIONALI: L’unico trattamento realmente efficace è quello di lasciar crescere la barba. È proposto anche l’uso di rasoi particolari, che danno risultati variabili. Inoltre, si possono usare creme depilatorie a base di tioglicato ogni 2 o 3 giorni, ma spesso con risultati irritanti. L’applicazione locale di tretinoina (acido retinoico) allo 0,05% come crema o lozione oppure una crema di benzoilperossido al 10%, risulta efficace nei casi lievi e moderati; il trattamento può risultare irritante e viene usato a giorni alterni per poi passare all'applicazione giornaliera. Riferimenti bibliografici: z Gloster HM Jr. the surgical management of extensive cases of acne keloidalis nuchae. Arch dermatol. 2000 nov; 136(11):1376-9. z Kauvar A.n.B., treatment of pseudofolliculitis with a pulsed infrared laser. Arch dermatol 136 (2000), pp. 1343–1346. z Kelly AP.Pseudofolliculitis barbae and acne keloidalis nuchae. dermatol clin. 2003 Oct; 21(4):645-53. z P. Perry P., F.e. cook-Bolden F.e., Z. Rahman Z., e. Jones e., and s.c. taylor s.c, defining pseudofolliculitis barbae in 2001: a review of the literature and current trends. J Am Acad dermatol 46, 2002; pp. 3113–3119. z taylor sc. epidemiology of skin diseases in people of color. cutis. 2003 Apr;71(4):271-5. z Weaver s., sagaral e. treatment of pseudofolliculitis barbae using a long-pulse nd-YAG laser [abstract]. Presented at the ethnic Hair and skin: What is the state of the science conference. chicago, september 29,30 2001. 83 84 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI µ NODULI DA PREGHIERA µ CUPPING SINONIMI: Prayers nodules. DEFINIZIONE: I noduli da preghiera appaiono in Il cupping, antica pratica medica tradizionale, è praticato da diverse comunità etniche. La metodica può essere eseguita secondo modalità tecniche differenti a seconda del Paese. Comunemente possono essere identificati due tipi: il cupping secco e il cupping umido. Nel cupping secco, l’interno di una coppetta rotonda di vetro spesso viene cosparso di alcol. L’alcol viene quindi fatto bruciare, e la coppetta viene applicata sulla pelle, mentre nel cupping umido viene praticata una incisione sulla pelle e la coppetta viene applicata in modo da favorire il sanguinamento. I materiali di costruzione delle coppette si sono evoluti dagli originali corni di animali fino alle moderne coppe di vetro o plastica. Le lesioni cutanee più frequentemente osservabili in seguito al cupping sono di tipo eritemato-edematoso o atrofico-cicatriziale, caratteristicamente riproducenti la forma circolare della coppetta applicata. Sono possibili però anche lesioni ecchimotiche, purpuriche, bollose o cicatrici cheloidee a seguito di complicanze quali ustioni cutanee. Le lesioni possono essere presenti sul dorso, sulla conseguenza di un trauma prolungato e ripetuto alla pelle. Si localizzano tradizionalmente su fronte, ginocchia, caviglie e dorso del piede. Sebbene non siano di frequente riscontro, i noduli da preghiera sono relativamente comuni tra coloro che pregano regolarmente e che ripetono più volte al giorno gli stessi movimenti. EPIDEMIOLOGIA: Tra i musulmani che pregano cinque volte al giorno (toccando o sfregando il pavimento con il dorso del piede sotto il peso del corpo), i segni da preghiera sono stati riportati con una frequenza del 75% tra gli uomini e del 25% tra le donne. QUADRO CLINICO: Si osserva una maggiore incidenza di lichenificazione e iperpigmentizzazione tra le persone con più di 50 anni. Il rischio di infezione secondaria, ulcerazione e sanguinamento delle callosità è generalmente minimo e dipendente dall’estensione e dell’età della lesione. Lesioni più ampie e datate sono più frequentemente soggette a complicazioni. L’analisi di campioni istologici prelevati dai noduli da preghiera denota la presenza di iperche- Lesione nodulare ipercheratosica in regione frontale dovuta al meccanico sfregamento a terra durante il rito musulmano della preghiera ratosi, ipergranulosi, acantosi e lieve infiltrato infiammatorio nel derma superficiale. DIAGNOSI: I noduli da preghiera sono benigni e non necessitano di ulteriori analisi, ma possono spesso offrire agli operatori sanitari utili informazioni sul contesto culturale di provenienza del paziente. TERAPIA: Rimozione chirurgica può essere effettuata a scopo estetico. Applicazione di potenti cheratolitici in occlusione (urea 40% in paraffina) seguita da curettage può essere utile. Un abbigliamento protettivo (es. capelli, calzini) e l’uso di tappeti da preghiera morbidi possono diminuire l’insorgenza di tali lesioni. Riferimenti bibliografici: z Abanmi AA, Al Zouman AY, Al Hussaini H, et al. Prayer marks. Int J dermatol 2002; 41:411-4. z english Js, Fenton dA, Wilkinson Jd. Prayer nodules. clin exp dermatol. 1984 Jan; 9(1):97-8. z Ozdemir c., et al., symmetric nodules over the lateral malleoli of a turkish patient, Hautarzt, 2004; 55(8),757-8. z ur Rehman H, Asfour nA.clinical images: Prayer nodules.cMAJ. 2010 Jan 12; 182(1):e19. Cicatrici tondeggianti atrofiche e ipopigmentate a seguito di cupping regione presternale o anche sulla cute dell’addome per trattare patologie che comportano “gonfiore addominale” (parassitosi intestinali). DIAGNOSI DIFFERENZIALE: Il cupping può essere talora scambiato per una dermatofitosi o addirittura per lesioni di natura traumatica o violenta. Riferimenti bibliografici: z cupping - Is it reproducible? experiments about factors determining the vacuum. Huber R, emerich M, Braeunig M. complement ther Med. 2011 Apr; 19(2):78-83. z Is cupping an effective treatment? An overview of systematic reviews. Lee Ms, Kim JI, ernst e. J Acupunct Meridian stud. 2011 Mar; 4(1):1-4. z Alternative therapy: cupping for asthma. Goodwin J, McIvor RA. chest. 2011 Feb; 139(2):475-6. z Wet cupping therapy for treatment of herpes zoster: a systematic review of randomized controlled trials. cao H, Zhu c, Liu J.Altern ther Health Med. 2010 nov-dec; 16(6):48-54. z Burn caused by cupping therapy. Kulahci Y, sever c, sahin c, evinc R. J Burn care Res. 2011 Mar-Apr; 32(2):e31. z clinical research evidence of cupping therapy in china: a systematic literature review. cao H, Han M, Li X, dong s, shang Y, Wang Q, Xu s, Liu J. BMc complement Altern Med. 2010 nov 16; 10:70. 85 86 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI µ SCARIFICAZIONI E TATUAGGI In Anthropologie structural Claude Lévi-Strauss descrive come l’uomo fin dall’antichità abbia sentito l’impulso di abbellire non solo gli oggetti intorno a sé, ma soprattutto il proprio corpo. La scarificazione e il tatuaggio, sono da considerarsi arti antichissime, nate allo scopo non solo di soddisfare un impulso individuale, ma bensì un impulso con connotazioni e risvolti sociali, tanto da poter parlare di atto sociale primitivo. Nell’entrare in relazione con un essere umano, la struttura che si nota primariamente è la superficie del corpo che risulta essere, nello stesso tempo, il suo legame con ciò che lo circonda. Un medico, Mantegazza, ha definito la pelle come “il telegrafo per il mondo esterno e specchio per il mondo interno” (R. Bassi, 1977; 3), poiché permette di inviare al mondo esterno dei messaggi molto efficaci, senza la necessità di utilizzare vane parole e contemporaneamente su di essa trovano espressione privilegiata le manifestazioni del disagio psicosomatico. Scarificazione (o branding) Il branding è un tipo di scarificazione ottenuto bruciando la pelle per mezzo di barrette di metallo incandescenti. Ha origine dall’abitudine di marchiare gli animali per dimostrarne la proprietà e dai marchi praticati sugli schiavi nell’antico Egitto, tra i Romani e altrove. Negli anni re- Scarificazioni cutanee a scopo ornamentale. In figura è associata la tecnica del tatuaggio centi, tuttavia, si è cominciato a concepirlo come mezzo ornamentale, scegliendolo da solo o in concomitanza con il tatuaggio. Inizialmente veniva costruito uno "stampo" con l’immagine desiderata, attualmente, le immagini vengono disegnate come normali tatuaggi. Si ottengono così sulla pelle disegni, simboli o lettere di colore rosso vivo, in rilievo. nuti nel tatuaggio, che si manifesta sotto forma di lesioni eritematose o eritematovescicolose che configurano una dermatite allergica o fotoallergica. Tali lesioni si possono manifestare a distanza di poche settimane o di anni dalla inoculazione del pigmento. L’allergene maggiormente responsabile di queste reazioni è il solfuro di Tatuaggi SINONIMI: Traditional tattoos, tribal tattoos, social tattoos. L’etimologia del vocabolo rimanda a ta-tau, che in lingua polinesiana significa “segno sulla pelle”. Per ogni cultura i tatuaggi svolgevano una precisa funzione: riti di passaggio tradizionali, simbolo di regalità, del rango, di innalzamento spirituale e religioso, ma anche strumento di seduzione. In diverse culture i tatuaggi sono legati alla magia, ai totem. Ci sono popoli in cui il tatuaggio indica un vero e proprio rito di iniziazione per i giovani, per poter approdare nel mondo degli adulti. Nel tatuaggio religioso come in quello terapeutico tribale, la devozione, la superstizione e la magia convivono e si sovrappongono in modo tale che è spesso difficile stabilire dove cominci una e finisca l’altra. Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia del Similaun (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell'“uomo di Pazyryk” nell’Asia centrale con complicati tatuaggi rappresentanti animali. Tra le civiltà antiche in cui si è sviluppato il tatuaggio ci sono l’Egitto e l’antica Roma, dove è stato vietato dall’imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo. È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale. La complicanza più frequente osservabile nel tatuaggio dal punto di vista dermatologico è costituita dalla sensibilizzazione ai pigmenti conte- mercurio, il maggiore costituente dei pigmenti di colore rosso. Nonostante sia stato sostituito con pigmenti alternativi, si continuano a osservare reazioni allergiche al colore rosso, anche nel caso di pigmenti di origine vegetale. Viceversa anche se rare, esclusivamente legate al colore rosso, sono le reazioni di tipo lichenoide caratterizzate dalla comparsa di placche verrucose (tipiche del lichen ipercheratosico) nella sede di iniezione del pigmento. I pigmenti di colore giallo (a base di solfuro di cadmio) sono responsabili di reazioni fotoindotte. Tuttavia anche i pigmenti di colore rosso possono dare questo tipo di reazione, in quanto possono contenere cadmio per effetto schiarente. Meno frequente l’allergia ai colori verde, blu e il Tatuaggio plantare in paziente affetto da lebbra lepromatosa Tatuaggio tradizionale. Croci ortodosse tatuate agli arti inferiori Tatuaggio tradizionale come rimedio terapeutico a tubercolosi linfoghiandolare del collo di cui si apprezzano gli esiti cicatriziali nero. Il verde è associato a reazioni eczematose locali poiché può contenere tracce di cromo;tali reazioni avvengono preferibilmente in soggetti già sensibilizzati al bicromato di potassio. I pigmenti blu possono invece contenere cobalto. Molto rare le reazioni allergiche al nero; in letteratura sono riportati casi di pazienti allergici alle particelle di carbone. In letteratura sono descritte anche reazioni granulomatose provocate dal tatuaggio sia con aggregati di cellule giganti che di cellule epiteliodi. Tali reazioni sono in genere dovute al pigmento 87 88 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI di colore rosso (mercurio) tuttavia sono riportate anche reazioni al cromo (verde) e al cobalto (blu). Generalmente tutte queste reazioni sono associate a negatività ai test epicutanei. Infine, tra le reazioni da tatuaggio non vanno dimenticate quelle pseudolinfomatose, consistenti in noduli duri di colore rosso violaceo o placche simili ai linfomi cutanei B; esse si localizzano in genere nelle porzioni rosse del tatuaggio. Un altro aspetto particolare è costituito dalla possibilità che determinate dermatosi (psoriasi,lichen, ecc.) si localizzino nella sede del tatuaggio, senza alcuna predisposizione di colore. Riferimenti bibliografici: Scarificazioni z Hodes R. cross-cultural medicine and diverse health beliefs. ethiopians abroad. West J Med. 1997 Jan; 166:29-36. z Kumar s, Rashmi. Branding: a harmful practice. Indian Pediatr. 2005; 42:721. Tatuaggi z Goldstein n. tattoos defined. clin dermatol. 2007 Jul-Aug; 25(4):417-20. z Gunasti s, Aksungur VL. severe inflammatory and keloidal, allergic reaction due to para-phenylenediamine in temporary tattoos Indian J dermatol Venereol Leprol. 2010 Mar-Apr; 76(2):165-7. z Jacob cI. tattoo-associated dermatoses: a case report and review of the literature. dermatol surg. 2002 Oct; 28(10):962-5. z Kaur RR, Kirby W, Maibach H. cutaneous allergic reactions to tattoo ink. J cosmet dermatol. 2009 dec; 8(4):295-300. z Lise ML, cataldo neto A, Gauer GJ, dias HZ, Pickering VL. tattooing: profile and discourse of individuals with marks in the body. An Bras dermatol. 2010 Oct; 85(5):631-8. z Rawal sY, Burrell R, Hamidi cs, Kalmar JR, tatakis dn. diffuse pigmentation of maxillary attached gingiva: four cases of the cultural practice of gingival tattoo.J Periodontol. 2007 Jan; 78(1):170-6. z Wohlrab s, stahl J, Kappeler PM. Modifying the body: motivations for getting tattooed and pierced. Body Image.2007 Mar; 4(1):87-95. µ SINDROME DHAT DEFINIZIONE: Il termine Dhat, dal sanscrito “DHATU”, che significa “fluido vitale”, “ciò che sostiene il corpo”, coniato da Wig nel 1960, descrive una sindrome culture-bound diffusa nel subcontinente indiano, caratterizzata da paura intensa o senso di ansietà riguardo alla perdita di liquido seminale con eiaculazioni o polluzioni notturne. La sindrome Dhat è correlata alla teoria induista secondo la quale il liquido seminale rappresenterebbe un fluido ricco di forza vitale, la cui perdita condurrebbe a un depauperamento delle energie fisiche e psichiche dell’individuo. Anche le donne possono perdere la loro essenza vitale con le secrezioni vaginali e ricavarne un indebolimento fisico e psichico. Per sindrome culture-bound o culturalmente caratterizzate, s’intende un’entità psicopatologica che ha una prevalenza geograficamente definita e che è determinata dalle credenze e dai paradigmi di un’area culturale specifica. EPIDEMIOLOGIA: Colpisce giovani maschi tra i 15 e i 30 anni, celibi o sposati da poco, ed è un fenomeno culturale non legato a una particolare religione. Si distribuisce, oltre che nel subcontinente indiano, anche in Cina, Thailandia e Sri Lanka. QUADRO CLINICO: Nell’uomo si caratterizza per la comparsa di secrezioni uretrali, polluzioni notturne, impotenza psicogena, eiaculazione precoce e sintomi generali come astenia, insonnia, inappetenza, dolori vaghi e senso di ansia. Nella donna si descrive secrezione vaginale biancastra, bruciore alle mani e ai piedi, vertigini e dolori articolari. Non vi sono stati identificati disturbi organici nei pazienti affetti da questa sindrome che pertanto è stata classificata tra le sindromi culturalmente caratterizzate. TERAPIA: Sono possibili differenti approcci terapeutici come quello proposto dalla medicina ayurvedica, dai guaritori tradizionali, la terapia psicofarmacologica e l’approccio etnopsichiatrico, ma sicuramente l’approccio integrato è in grado di fornire i migliori risultati. Riferimenti bibliografici: z dhat syndrome: a reappraisal. Mehta V, de A, Balachandran c. Indian J dermatol. 2009; 54(1):89-90. z Forty meals for a drop of blood ... el Hamad I, scarcella c, Pezzoli Mc, Bergamaschi V, castelli F; Migration Health committee of the International society of travel Medicine. J travel Med. 2009 Jan-Feb; 16(1):64-5. z socio-cultural, psychosexual and biomedical factors associated with genital symptoms experienced by men in rural India. Gautham M, singh R, Weiss H, Brugha R, Patel V, desai nG, nandan d, Kielmann K, Grosskurth H. trop Med Int Health. 2008 Mar; 13(3):384-95. z Association between dhat and loss of energy--a possible psychopathology and psychotherapy. Prakash O, Meena K. Med Hypotheses. 2008; 70(4):898-9. z depression in dhat syndrome. dhikav V, Aggarwal n, Gupta s, Jadhavi R, singh K. J sex Med. 2008 Apr; 5(4):841-4. z dhat syndrome as a functional somatic syndrome: developing a sociosomatic model. Ranjith G, Mohan R. Psychiatry. 2006 summer; 69(2):142-50. z culture-bound syndromes: the story of dhat syndrome. sumathipala A, siribaddana sH, Bhugra d. Br J Psychiatry. 2004 Mar; 184:200-9. 89 90 ALtRI QUAdRI cLInIcI OsseRVABILI neLLe POPOLAZIOnI MIGRAntI µ MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI (MGF) DEFINIZIONE: Il termine “Infibulazione” deriva dal latino fibula che era la spilla utilizzata dagli antichi Romani per agganciare la toga ed è usato per indicare una forma di mutilazione genitale in quanto la stessa spilla veniva utilizzata per evitare che gli schiavi avessero rapporti sessuali. Le origini delle mutilazioni sessuali femminili sono legate a tradizioni dell’antico Egitto (da qui il nome di infibulazione faraonica). Si calcola che in Egitto, nonostante la pratica sia vietata, ancora oggi tra l'85% e il 95% delle donne abbia subito l'infibulazione. Lo scopo di tale pratica è quello di evitare i rapporti sessuali fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva) che, in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Spesso dopo ogni parto viene effettuata una nuova infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale. Le MGF non sono condizionate dall’appartenenza a gruppi linguistico-etnici né correlate a particolari credo religiosi. Le ragioni culturali che sottendono alla loro realizzazione sono svariate – identificazione con il genere sessuale, adozione del modello culturale di femminilità, adesione a criteri estetici e codici comportamentali, ecc. – ma possono essere ricondotte alla necessità socio-culturale dei gruppi sociali di costruire il genere sessuale femminile, affinché le sue peculiari potenzialità non incidano negativamente sul mantenimento dell’ordine sociale stabilito. Le agenzie internazionali hanno indicato quattro tipi di MGF di riferimento, all’interno delle quali sono stati inseriti dei sottogruppi. CLASSIFICAZIONE DELLE MGF SECONDO L’OMS: Tipo I: Escissione del prepuzio con o senza escissione di parte o tutto il clitoride; Tipo II: Escissione del clitoride con parte delle o tutte le piccole labbra; Tipo III: Escissione di parte o tutti i genitali esterni con chiusura dell’apertura vaginale (infibulazione): Tipo IV (non classificati): • Perforazione, penetrazione, incisione del clitoride; Stiramento di clitoride e/o piccole labbra; • Scorticamento del tessuto circostante • l’orifizio vaginale; • Introduzione di sostanze corrosive o erbe; • Angurya cuts e gishiri cuts; • Qualsiasi altra procedura di MGF (introcisione, trachelotomia rituale, infibulazione inversa,ecc.). EPIDEMIOLOGIA: Si tratta di pratiche tradizionali che vengono eseguite in 28 paesi dell'Africa e si stima che tra 130 e 140 milioni di donne presentino una qualche forma di MGF nel mondo e che oltre 3 milioni di bambine sono a rischio ogni anno di subire una MGF. Le MGF possono venire realizzate entro i primi giorni di vita o fino ai 30 anni di età. QUADRO CLINICO: MGF di Tipo I OMS (Sunna) si caratterizza per l’asportazione del prepuzio o dell’intero clitoride MGF di Tipo II OMS (Khefad o tahara) si caratterizza per l’asportazione di clitoride e piccole labbra MGF di Tipo III OMS (Circoncisione faraonica o sudanese) si caratterizza per l’asportazione quasi completa di clitoride, grandi e piccole labbra MGF di Tipo IV OMS (Infibulazione) sutura Inoltre, in merito alle conseguenze psico-fisiche derivanti dalle MGF si distinguono due categorie di complicanze, alcune immediate, altre a lungo termine. COMPLICANZE IMMEDIATE: • Morte; • Emorragia; • Shock; • Ritenzione urinaria; • Infezioni; • Lesioni muscolari, ossee, tendinee; • Danni ai tessuti adiacenti (vescica, uretra, pareti vaginali, sfintere anale, ghiandole del Bartolini). COMPLICANZE TARDIVE: Tipi I e II • Impossibilità di guarigione; • Ascessi; • Cisti epidermoidi; • Cheloidi; • Infezioni urinarie; • Malattie infettive. Tipo III • Infezioni genitali; • Dismenorrea; • Stenosi dell’orifizio vaginale; • Complicanze del parto; • Danni agli organi vicini; • Effetti di tipo psicologico; • Effetti di tipo sessuale. Riferimenti bibliografici: z Hamoudi A, shier M. Late complications of childhood female genital mutilation. J Obstet Gynaecol Can. 2010 Jun; 32(6):587-9. z Rouzi AA. epidermal clitoral inclusion cysts: not a rare complication of female genital mutilation. Hum Reprod. 2010 z serour GI. the issue of reinfibulation. Int J Gynaecol Obstet. 2010; 109(2):93-6. z trollope-Kumar K, cultural and biomedical meanings of the complaint of leukhorrea in south Asian women, Trop Med Int Health. 2001 Apr; 6 (4): 260-6. z UnFPA, UnHcR, UnIceF, UnIFeM, WHO, FIGO, Icn, MWIA, WcPA, WMA Global strategy to stop health-care providers from performing female genital mutilation WHO/RHR/10.9. 91 ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2011 PROGETTO GRAFICO: Progetti Mediali Srl STAMPA: Eurolit Srl