L’ultimo muro:
il sesso (a pagamento)
per i portatori di
handicap.
Diritti, inclusione sociale, qualità della vita: tutti
d’accordo quando si parla di disabili. Ma sull’eros
a pagamento la polemica continua. Eppure un
sondaggio dice che l’80 per cento dei disabili
sarebbe favorevole. L’ultima frontiera può essere
varcata? Missione o prostituzione? In Svizzera una
società specializzata forma gli “accarezzatori” di
professione: 100 euro l’ora.
Tutto il dibattito suscitato dal sito Gea
Aprile – Giugno 2010
PARLIAMONE
Corrado Mornese
L’ultimo muro
13 Aprile 2010
Discussioni e polemiche. Da mesi. Da quando
una società svizzera1 propone i propri servizi
per i disabili, servizi speciali legati all’eros,
rigorosamente a pagamento. Un’importante
associazione elvetica2 aveva introdotto queste
pratiche per i propri assistiti, ma poi ha
dovuto sospenderle: le donazioni esterne si
sono ridotte perché molti tra i benefattori non
erano d’accordo. Ma anche in Germania,
Olanda, Gran Bretagna e paesi scandinavi
queste pratiche sono operative da anni.
Il tema è scottante, tanto più in Italia, così
pudica e moralista.
Andiamo con ordine.
Per quanti passi in avanti si siano fatti nel
garantire piena cittadinanza e dignità umana
ai disabili, psichici e non, la questione
dell’eros e specificamente del sesso pare
rimanere ancora, ultima in ordine di tempo,
nel cono d’ombra dei tabù: tanto spinosa la
questione che forse è meglio se rimane tra
quelle di cui giova non parlare, anzi di cui è
opportuno non sapere o fingere di non sapere.
Ma se si vuole disvelare appieno la questione
della realizzazione umana di queste persone,
non la si può più ignorare: una vita completa
comprende o no l’eros e il sesso, con le
emozioni e i piaceri annessi e connessi?
Ipocrita sarebbe rispondere di no. Dunque sì,
prima o poi il problema va affrontato, dato
che è pacifico che la questione sessuale sia
fondamentale per l’individuo. Si potrebbe
affermare anche che il sesso è un diritto di
tutti, e la rinuncia invece attiene alla libera
scelta dei singoli (vedi la castità per i preti). E
allora la società non ha il dovere di
consentirne l’accesso a coloro che, per
oggettiva condizione, sono più lontani da tale
diritto e che, lasciati a se stessi, forse mai
potranno usufruirne o, se lo fanno, rischiano
conseguenze le più spiacevoli?
Un sondaggio sviluppato tra i propri utenti da
uno dei maggiori siti italiani che si occupano di
disabilità3, non lascia dubbi: circa l’80% si dice
favorevole. E su Facebook circola una
petizione con richiesta di firme per ottenere
anche in Italia questo servizio. Ciò dimostra
che il bisogno c’è. O in altri termini: c’è la
domanda sociale.
Veniamo all’offerta.
Immaginiamo – ma è la realtà di questa società
svizzera – che dopo severe selezioni e un
percorso specifico di formazione, una decina
di operatori (assistenti sessuali, così si
chiamano) abbia maturato le competenze
adeguate (psicologiche, fisiche, relazionali):
sono pronti a fornire un servizio.
Si pone qui il problema dei soldi: i servizi si
pagano. E’ prostituzione questa? Alcuni ne
sono convinti, gli operatori della società
svizzera lo negano, anzi affermano che il
pagamento della prestazione serve anche a
tener ben fermo che proprio di un servizio
trattasi, e non di altro. I 100 euro/ora
impediscono il formarsi di una relazione
“normale” tra utente e operatore,
mantengono la distanza.
Sta qui un’insanabile contraddizione tra il
principio (ove si ammetta che sia giusto) e la
sua realizzazione pratica?
Oppure sta proprio qui il limite (e dunque il
valore) del servizio stesso?
Entriamo più nel merito.
Chiarito, anche grazie all’esistenza di un
compenso, che l’ora di prestazione non
sostituisce un’ora di amore “normale” tra due
persone “normali” che stabiliscono una
relazione “normale”, l’eros a pagamento può
essere oppure no una sorta di surrogato con
effetti benefici per l’utente? Forse questo è il
punto cruciale del dibattito. Ora, ammettiamo
che il medico (lo psichiatra o lo psicologo nel
caso di disabili psichici, e probabilmente
anche in casi differenti), in accordo con le
strutture deputate individui l’iniziativa come
potenzialmente foriera di benessere per
l’utente; ammettiamo che si valuti come
potenzialmente positiva la prova di un
percorso ragionato e controllato in questa
direzione, quali argomenti si potrebbero
addurre contro? Il buon gusto, la morale
(sempre di chi giudica dall’esterno), cos’altro?
Per percorso si può intendere anche una
progressiva escalation di parole e gesti:
carezze, nudità, contatto di corpi, baci, forse
anche rapporti completi. Molto sta nella
capacità dell’operatore di dare senso agli atti:
un senso personalizzato di volta in volta sulla
singolarità dell’utente, guai a ripetere comportamenti standard da
parte degli “accarezzatori”.
Ma se i risultati fossero positivi? Il sondaggio già citato direbbe che
quell’80% di favorevoli se li aspetta.
Una possibile risposta sta nella personalizzazione a monte: lo
psichiatra o lo psicologo (in accordo con le strutture deputate)
dovrebbero decidere per ogni singolo caso: sì (e in quale misura),
oppure no. Sono preparati a questa decisione? E i soggetti per cui la
risposta è no, non si troverebbero a loro volta in una condizione di
minorità giuridica – ineguaglianza – vedendosi negare questa
possibilità che per altri e solo per altri si configurerebbe come
l’esercizio di un diritto? Come si vede la questione è spinosissima:
che sia questo, al fondo, il motivo per cui l’intera tematica appare
ancora oggi quasi del tutto rimossa? Il no è troppo comodo, il sì
troppo pericoloso e complicato, meglio non parlarne. E intanto,
mentre il “sistema” accantona il problema, molte migliaia di
cittadini continuano a soffrire di una fondamentale possibilità
negata.
Proviamo ora a rovesciare la questione. Marien, prostituta di
Barcellona, ha orientato i suoi servizi specificamente per i disabili.
Dopo l’intervista rilasciata a “El Mundo”, il suo sito è stato preso
d’assalto, ma poi è stato oscurato per le polemiche. Nel frattempo,
molti disabili si sono rivolti a lei, anche in accordo con le proprie
famiglie, benché le sue tariffe fossero decisamente più salate4. Ecco,
facciamo proprio questo caso. Un disabile si rivolge a una prostituta
(magari in accordo con la propria famiglia: non dimentichiamo che,
come documenta internet, esistono madri di disabili che si prestano
a masturbare i propri figli); poi, per ragioni spesso ovvie, tace la
cosa a chi lo ha in cura. Non sarebbe meglio che tale esperienza
venisse alla luce e fosse condotta secondo criteri terapeutici fondati
e rigorosi? Quante storie di questo genere rimangono tuttora celate?
Parliamone.
1
E’ la FaBS - Fachstelle Behinderung und Sexualität - http://fabs-online.ch/de/home/.
Si tratta della Pro Infirmis, http://www.proinfirmis.ch/it/index.php.
3
www.disabili.com.
4
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/prostituta-disabili/prostitutadisabili/prostituta-disabili.html.
2
Il Corriere di Novara rilancia il
dibattito
L’ultimo muro
15 Aprile 2010
Con un articolo di Paolo Viviani in prima
pagina nell’edizione del 15 Aprile 2010 il
Corriere di Novara raccoglie lo stimolo
proposto dal nostro sito per una discussione
sul tema del sesso (a pagamento) per i disabili.
Le posizioni sono esposte molto correttamente
ed in modo esaustivo. Evidentemente abbiamo
colto nel segno, l’esigenza di una discussione
ampia, senza pregiudizi, c’è. Compito di Gea
non è prefigurare soluzioni, ma favorire un
percorso di ricerca e discussione alla fine del
quale, in ogni caso, emergerà una più matura
valutazione da parte di tutti coloro che sono
interessati.
L’ultimo muro
Un contributo
dal film “Si può
fare”
20 Aprile 2010
“Ma come fanno, poverini, loro hanno voglia…” La donna della Cooperativa Sociale 180, uno dei personaggi
del film “Si può fare” di cui si è parlato in altra parte del sito
(http://www.geacoopsociale.eu/pdf/pop3/Si_puo_fare.pdf) è uno dei soci della Cooperativa, formata da
persone con disagio mentale. Alla riunione dei soci, che si stanno inserendo nel mercato del lavoro come
specialisti del parquet, la signora si dimostra comprensiva verso i desideri e i bisogni dei colleghi maschi.
“Allora facciamo così – propone il dottor Federico - : una di queste sere si va a ballare in discoteca, si
conosce qualcuno, poi da cosa nasce cosa…”. Ma l’idea non piace: nelle discoteche gira la droga, ci sono i
buttafuori e può essere pericoloso. “Il dottore dice che fare gli spaghetti ci fa bene, fare la lavatrice ci fa
bene, caricare il camion ci fa bene. Allora io dico che anche fare l’amore ci fa bene!”. Giusto, il sig. Luca
ha centrato il problema. Ora bisogna cercare la soluzione. “Chiediamo alla Comunità Europea – propone
qualcun altro - : se ci hanno mandato i soldi, magari ci mandano pure le donne”. Applauso generale.
Ovazione dell’assemblea dei soci. Nello (Claudio Bisio), che dirige la Cooperativa, si attiva subito.
Il finestrino della macchina si abbassa. Nello e il dottor Federico chiedono alla prostituta se ha la partita
Iva. Dicono che è necessaria per ingaggiare professioniste per il “corso di formazione sulla crescita
emozionale”. 600 ore già finanziate, a 50.000 lire ciascuna. Sarebbe un peccato sprecare tutti quei soldi.
La prostituta capisce al volo: “E dove si prende ‘sta partita Iva?”
“Ci vuole un movimento ritmico: tre colpi piano e uno forte, e dopo ricorda: chiedere “ti è piaciuto” è out,
invece parlare di emozioni è in”. Il manuale del sig. Fabio è il punto di riferimento fondamentale per avere
successo quando si parla di amore. Prima del fatidico incontro con le professioniste del piacere,
l’indottrinamento è d’obbligo.
Non solo amore mercenario. Il giovane sig. Gigio (pardon, ormai è un uomo: vero nome Sergio) s’innamora
di Caterina, avvenente ragazza bionda padrona della casa ove lui con altri colleghi posano il loro primo
parquet, un capolavoro a forma di spirale aurea, ispirato al tatuaggio sulla caviglia della stessa Caterina.
Primo giorno di lavoro. Il sig. Sergio, completamente cotto dopo il primo sguardo alla ragazza, si dichiara:
“Caterina, ti devo dire una cosa: mi sono innamorato di te”.
“Ma che, sei matta? Con quello lì? Ma lo sai che sono una Cooperativa di gente suonata?”. L’amica di
Caterina è preoccupata per lei.
“Almeno sa quello che vuole”, replica Caterina, “e poi, secondo me è più sano di tanta gente che c’è in
giro”.
Il film tocca un tema di scottante attualità, di cui si sta occupando anche Gea. Lo affronta con sfumature
umoristiche, adatte a una commedia, ma anche con profondità. Il problema del rapporto con il sesso esiste,
anche per i disabili, anche nel cinema.
L’ultimo muro
Primi echi nel web:
il dibattito si amplia
19 Aprile 2010
Primi echi nel web al dibattito
aperto dal nostro sito. La
questione è ripresa dal sito
www.disabilisenzasesso.org e
dal sito http://zero321.it che
pubblica anche il commento di
un disabile, contrario all’idea
del sesso a pagamento per i
disabili stessi.
L’ultimo muro
Intervento di Massimo
Caruso, coordinatore di
Villa Varzi Galliate
20 Aprile 2010
Fondamentale è
il percorso educativo
Leggo con attenzione e interesse il dibattito in corso circa sessualità e disabilità: pochi ne parlano (e parecchi
di quelli che ne parlano lo fanno male...), e rappresenta un vuoto da colmare che non può continuamente
essere tralasciato nell’organizzare un percorso educativo con i disabili.
Ma come parlarne?
Un punto di partenza certo c’è: la sessualità è una dimensione importante nella vita di tutti gli esseri umani, la
sua pulsione e il suo desiderio sono qualcosa di estremamente naturale; l'autoerotismo è al centro della
sessualità infantile già intorno ai quattro anni, anche grazie a ciò si scopre il proprio corpo; è una pulsione che
ci accompagna durante tutta la vita, senza mai lasciarci, spesso influenza la nostra autostima, la nostra
serenità, il nostro concetto di felicità e realizzazione, ed anche per gli anziani resta una presenza costante ed
un qualcosa da realizzare.
Ciascuno di noi, credo, può appurare sulla propria esperienza come la sessualità sia un’esperienza che
cerchiamo di vivere tutte le volte che i nostri valori, la nostra morale e perché no, le nostre occasioni, ce lo
permettono.
Già in questa partenza trovo una contraddizione di fondo: se la sessualità riguarda tutti, perché interrogarsi su
come parlarne ai disabili?
Non è come con i bambini: che sono fortemente influenzabili, estremamente esposti a facili imitazioni e con
scarsa capacità di critica e di valutazione: ogni disabile è diverso, è a sé, come diverso sono io da chi legge e
ciascuno di noi da ciascun altro, quindi forse la domanda corretta dovrebbe essere: da educatore come parlo di
sessualità a Aldo, Mario, Paola, Elisabetta, ad ogni singolo assistito del posto in cui opero?
Se la sessualità è un desiderio ed una pulsione di tutti, che coinvolge tutti gli esseri umani ma che allo stesso
tempo è personale e individuale, è giusto interrogarmi su come parlarne in generale?
Penso di no, e credo che lo sbaglio nasca da una semplice quanto allarmante constatazione: in generale, con i
disabili, non si parla di sesso.
Se guardo il percorso educativo, i progetti individuali che quasi tutti i centri e le strutture che operano a
favore dei disabili redigono e preparano con cura e amore, raramente la problematica della sessualità viene
affrontata: quasi che il fatto di essere disabile annulli i desideri e gli interrogativi, come se ci fosse differenza
tra normodotati e disabili e, rispetto a questo tema, fossimo sì, essere umani, ma diversi.
Eppure ogni giorno vediamo ragazzi che cercano l’autogratificazione erotica, che tentano di saggiare con le
mani le parti migliori delle operatrici, che si eccitano e che parlano di sesso: in questi casi ci si scherza sopra,
oppure si redarguisce, o si cambia semplicemente discorso, raramente ci si interroga sulla possibilità di un
percorso educativo circa la sessualità.
Credo che questo atteggiamento nasca da due fattori:
la sessualità è un tabù per tutti, imbarazza il parlarne, non ci sentiamo né autorizzati né capaci - in
quale università si insegna agli educatori come parlare di sessualità - sembra di invadere una sfera troppo
personale (come se non fosse già un’invasione della propria intimità spogliare e lavare tutti i giorni una
persona)
un senso di commiserazione verso gli assistiti (non parlo del bel film o della partita di calcio con un non
vedente, né di musica con un audioleso, né di sesso con un down, un paraplegico, un malato psichico…), non
solo perché non saprei come farlo, ma perché, siccome non può vivere queste esperienze, preferisco non
accennarne per non ferire il suo non poterlo fare.
Intanto però con i colleghi parlo di fidanzati, matrimonio, serate, figli… il tutto alla loro presenza o con loro.
Come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la disabilità è la conseguenza pratica di una
menomazione, cioè di una perdita o anormalità di una funzione psicologica, fisica o anatomica (una
menomazione nella vista provoca una disabilità nel vedere); pertanto l’handicap costituisce uno svantaggio in
quanto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo sociale considerato normale in base all’età, al sesso ed al
contesto socioculturale di appartenenza, è il risultato dell’incontro tra disabilità e ambiente fisico: più questo
è accogliente ed adatto all’individuo, minore sarà l’handicap.
A meno di una disabilità specifica, fisiologicamente non c’è diversità tra la sessualità dei normodotati e quella
dei disabili: la natura, almeno in questo, è stata democratica, ha dato in ciò un’uguaglianza sulla base
dell’essere uomini o donne: ciò che cambia sono le modalità di realizzazione della sessualità, non in quanto
disabili, ma perché la modalità cambia da uomo a uomo in base ai valori, alla morale, alle esperienze, ecc…
Ciò che cambia sono le regole, i paletti morali e le convenzioni sociali con cui alcuni disabili vivono la
sessualità: sono molto più liberi, sentono l’impulso e cercano di soddisfarlo senza problemi, in modo naturale,
proprio perché è una cosa normale: sento sete e bevo, sento fame e mangio, ho sonno e dormo, ho desiderio e
mi masturbo.
Ma, d’altronde, anche per i normodotati cambiano le regole, i paletti morali e le convenzioni sociali…
Allora, se con il mangiare e il dormire gli insegno che ci sono orari da rispettare, regole da seguire, con
percorsi di educazione alimentare ad hoc, perché con la masturbazione mi limito a portarlo in bagno? Perché
non parto da questo per capire bene cosa vive, cosa prova, cosa desidera, cosa cerca? Si badi bene, non voglio
impedirgli un gesto, ma fare in modo che il gesto sia un punto di partenza per un percorso educativo
Ma quindi che fare?
Allargo il discorso: se la sessualità riguarda tutti, perché parlare solo dei disabili e non, ad esempio, di tutti
coloro che vedono continuamente frustrati i loro desideri perché impossibilitati a realizzarli? Alludo agli
anziani, che vivono quotidianamente la pulsione erotica ma non hanno la possibilità di soddisfarla perché in
casa di riposo, o con badanti che li guardano 24 ore al giorno.
In Danimarca da alcuni anni è in atto la porno terapia: in una casa di riposo sono proiettati film porno hard in
piena regola ed esiste la figura dell’happy girl che si occupa della soddisfazione sessuale dell’anziano: gli atti di
violenza ed il consumo di farmaci sono diminuiti drasticamente, soprattutto tra i malati di demenza.
Ma, la porno terapia è possibile in Danimarca: siccome l’handicap dipende dal contesto culturale in Italia come
sarebbe? affrontare il tema della sessualità e disabilità partendo dall’assistente sessuale per consentire anche a
lui di provare i piaceri dell’eros; sarebbe forse un altro modo di lavarsi le mani di fronte al problema di dare
risposta ad un vuoto che migliaia di persone vivono quotidianamente nella propria vita.
Perché non si può ridurre il tutto alla dimensione genitale ed alla realizzazione pratica del desiderio: sessualità
è anche e soprattutto gioco, relazione, comunicazione, scambio di sensazioni, di emozioni e di piacere, in cui
anche la masturbazione assume valore, poiché risulta essere un’esperienza di preparazione alla versione
relazionale della sessualità e tende al miglioramento del rapporto col proprio corpo.
Certo ci sono i vantaggi fisiologici dell’attività sessuale, che consente di liberare sostanze come la dopamina e
la serotonina con evidenti giovamenti per il corpo e la psiche: è per questo che gli ospedali psichiatrici
organizzavano gite in pullman degli ospiti dalle prostitute.
Senza un percorso educativo alla base rischierebbe di essere un momento a sé (anche se, indubbiamente, molti
assistiti ne sarebbero ben contenti), sarebbe come insegnare a gareggiare in una maratona partendo dallo
sprint finale, dimenticando che prima degli ultimi duecento metri ci sono 42 km da percorrere.
Nel nostro caso rischieremmo di non tener conto delle implicazioni che il gesto sessuale potrebbe creare: è
chiaro che è sesso a pagamento? Che risvolti avrebbe a livello affettivo relazionale? Domande e risvolti che
riguardano ciascuno di noi, non solo il disabile, visto ad esempio che sono molti i clienti che si innamorano
della prostituta.
Senza parlare poi del fatto che lo sfruttamento della prostituzione è illegale, essendo la prostituzione l’attività
di chi offre prestazioni sessuali dietro pagamento di un corrispettivo in denaro, indipendentemente che le
operatrici si chiamino meretrice, geisha, escort o assistente sessuale.
Comporta una riflessione più ampia anche rispetto alle leggi ed ai diritti doveri di ciascuno: se non può vivere
da solo la sessualità e lo aiuto, perché non dovrei eventualmente fargli provare una canna o farlo ubriacare, se
vuole e me lo chiede?
Tutte problematiche a cui, come operatori, non siamo in grado di rispondere.
Concludo con un esempio personale: ho una figlia di due anni e quattro mesi, circa tre mesi fa ha iniziato a
seguirmi in bagno: per lei era una sorpresa vedere che io la faccio in piedi, mentre lei si deve sedere. In lei
c’era curiosità, in me imbarazzo.
Io, da comune educatore, ho risolto il problema… sedendomi
Mia moglie, da ottima mamma, le ha spiegato alcune differenze tra uomo e donna.
Adesso Miriam, si chiama così, sa che ci sono delle differenze sessuali, non mi segue più in bagno ( e io posso
finalmente tornare a svolgere il mio compito in piedi ).
Quando anche nel nostro Paese saremo in grado di passare dal comune educatore alla brava mamma, allora
potremmo sì sfruttare veramente le grandi possibilità terapeutiche della sessualità: il cambiamento, l’handicap
è degli operatori, senza una revisione dell’impianto scolastico, della moralità (soprattutto del moralismo) che ci
pervade la sessualità resterà per molte persone qualcosa di misterioso, di lontano, di precluso.
Massimo Caruso
L’ultimo muro
Una prima replica agli interventi
28 Aprile 2010
Riccardo (su zero321.it) manifesta il suo dissenso, ma lo fa con affermazioni, non con argomenti:
il sesso a pagamento è disdicevole e umiliante per la dignità umana, accogliere l’idea del sesso a
pagamento per i disabili è come dire che i disabili non possono fare sesso se non a pagamento,
un’iniziativa del genere alimenterebbe ulteriormente il razzismo nei loro confronti. La risposta
sta nella realtà concreta. Molte persone “normodotate” accedono al sesso a pagamento
addirittura regolarmente e non vi trovano nulla di disdicevole dal punto di vista morale, per quale
motivo dovrei “io” imporre loro la “mia” morale? L’equazione possibilità-di-sesso-a-pagamento
uguale solo-così-possono-fare-sesso è una semplice forzatura logica, e al contrario il problema si
pone proprio per quelle persone che, disabili, non hanno tale possibilità nella loro vita. Il
razzismo, triste residuo del passato, non si alimenta con l’accesso a pratiche considerate normali
per le persone “normodotate”, quindi anche questa è una pura affermazione non comprovabile.
Mi pare che un primo punto fermo dovremmo metterlo: libertà di scelta e autodeterminazione
per i portatori di handicap fisico.
Per i portatori di handicap psicointellettivo la questione è più difficile, dato che indubbiamente, a
loro tutela, la società ha costruito reti di fronteggiamento che in tutto o in parte ne affiancano o
surrogano le scelte, a seconda della gravità dei casi. Qui è il vero problema: non sono totalmente
liberi, chi si prende cura di loro spesso sceglie per loro, per cui la risposta spetta alla rete di
fronteggiamento.
Massimo Caruso, nel suo articolato intervento, propende anch’egli (almeno così pare) per il no.
Eppure non dovrebbe sfuggire in una logica educativa (almeno credo, non avendone io di certo le
competenze) che il tema dell’eros attiene ad una dimensione relazionale, e l’approccio
relazionale mi pare essenziale per il fronteggiamento dell’handicap in ambito psicointellettivo.
Né l’autoerotismo (infantile o meno), né l’alcool, né le droghe attengono alla relazione con
l’altro, dunque l’equiparazione è impropria, cioè un errore. L’eros e il sesso, dato che
presuppone il concorso di un’altra persona, invece sì, è problema squisitamente relazionale: il
tema è qualitativamente diverso, gli ambiti problematici sono perciò incomparabili. Mi pare
corretto distinguere due diversi concetti del corpo: il corpo fisico e il corpo come strumento di
intercomunicazione e relazione con il mondo (Husserl chiama “körper” il primo e “leib” il
secondo). Alcool, droghe, autoerotismo attengono al primo (per i – supposti – piaceri che
procurano), eros e sessualità al secondo. Se è vero che il lavoro “educativo” (si chiama
normalmente così, ma si dovrebbe forse più propriamente chiamare “motivazionale”) è o
dovrebbe essere essenzialmente teso a motivare la persona al cambiamento attraverso la/le
relazioni con il mondo esterno e con altre persone, allora è su questo piano che va portato il
dibattito. Tenere il dibattito su un piano più confuso produce impotenza, e difatti Caruso
ammette con sincerità che “con i disabili in genere non si parla di sesso”. E con altrettanta
sincerità, più nel profondo, ammette che in altri paesi si può avere un approccio diverso, ma in
Italia no perché qui vivono e vigono pregiudizi di varia natura. Allora il punto vero diventano le
“problematiche a cui come operatori non siamo in grado di rispondere… L’handicap è degli
operatori”. Ottimo questo primo passo: ammettere un difetto, ma il secondo passo quale sarà? E
soprattutto: qui da noi ci sarà un secondo passo?
Corrado Mornese –
L’ultimo muro
Trasmissione di Alta Italia TV
210 Maggio 2010
Alta Italia TV
intervista Silvia Ruspa (Gea)
e Rosanna Rapetti (Arca Borgomanero)
La trasmissione in onda Domenica 9 maggio 2010
alle ore 20.50.
Vedi il servizio: http://www.altaitaliatv.com/frontend/altaitalia/vod.aspx?idcat=0
L’ultimo muro
Il settimanale nazionale “Vita”
intervista Silvia Ruspa.
17 Maggio 2010
L’ultimo muro
Contributo di Lores Bartelle,
psicologa-educatrice
18 Maggio 2010
Il sesso, questo grande amico… o nemico… Beh! Forse è la cosa più assurda che io abbia mai scritto. Sì
perché il sesso non dovrebbe essere né l’uno né l’altro ma dovrebbe essere semplicemente una parte, nel
caso dell’essere umano molto gradita, della vita. Il sesso è una delle cose, se non la cosa, più normale e
naturale che esista: lo fanno le persone, gli animali e perfino alcune specie di piante, ve l’assicuro mi sono
documentata. Nel caso del kiwi ad esempio esistono piante maschili che devono fecondare quelle
femminili, altrimenti non nascono i “kiwini”. Naturalmente il processo di fecondazione è specifico di quello
delle piante e credo meno gradevole che per l’uomo. I semi maschili infatti vengono trasportati dal vento
verso la pianta femmina e poi la natura fa il suo corso. Sul piacere di questa cosa nessuno ha scritto niente.
In alcune specie di insetti poi, il sesso è una specie di incubo dove ci si accoltella e addirittura si muore,
vedi mantide religiosa. In altri animali, come i suini, il sesso è quanto di meglio possa esistere e da ricerche fatte da chi non aveva altro a cui pensare nella vita, risulta che il maiale ha ben mezz’ora circa di
orgasmo… Madre natura o chi per essa non ha gratificato l’uomo come l’ha fatto coi suini (caspita,
mezz’ora!) ma gli ha donato in ogni caso la possibilità di fare sesso in modo piacevole e tale cosa accomuna
tutti, poveri, ricchi, vecchi, giovani e… E invece non è così. La mia era solo un’illusione. Ci sono categorie
per le quali il sesso è proibito! Nel caso dei portatori di handicap o diversamente abili come preferite, il
sesso è out, tabù, imbarazzante, innaturale (!?) e quant’altro di peggio possa esistere. Mi trovo così di
fronte ad un dilemma: se i portatori di handicap sono esseri umani, perché devono rinunciare ad una parte
fondamentale e alquanto piacevole della vita? Perché a loro è negato ciò che addirittura è concesso ad una
pianta? (Per non parlare dei maiali). Non sto esagerando, ve l’assicuro, di sesso tra i disabili si incomincia
soltanto adesso a parlare, almeno in Italia, come se in tutti gli anni addietro il problema non si fosse
nemmeno presentato. Credetemi, a questo punto ho le idee confuse. Il mondo cattolico potrebbe dire che
il sesso dovrebbe essere fatto per la procreazione e non per il piacere, altri potrebbero ribattere che non si
può paragonare l’uomo ad una pianta, ad un insetto né tanto meno ai maiali (però se tanto mi dà tanto).
Tutto ciò non mi chiarisce le idee. Perché a questo punto le categorie a cui il sesso è proibito
aumenterebbero: donne in menopausa, omosessuali e coppie sterili (mi dimentico qualcuno?). Dunque la
faccenda si complica. All’estero ci sono degli educatori del sesso che vengono, di loro spontanea volontà,
formati all’approccio sessuale col disabile. Inutile dire che sono d’accordo e che questa cosa crea un
pochino di ordine nelle mie confuse idee. Però qui si apre un’altra polemica. Le prestazioni sono a
pagamento per cui si parla di prostituzione. Tali operatori sostengono che il pagamento di qualsiasi tipo di
prestazione sia educativo. Nel caso specifico ciò rende il rapporto più professionale ed in più, siccome
qualsiasi lavoro va pagato è giusto pagare anche questo, per cui si offendono se adoperiamo la parola
“prostituzione”. Qui faccio fatica a capire in quanto penso che se per una prestazione sessuale si
percepisce del denaro, allora per me è prostituzione. Il fatto è che io non sono contro la prostituzione. In
primo luogo perché nella nostra società non è considerato un reato, in secondo luogo perché ritengo che il
nostro corpo ci appartenga e che se lo usiamo per coccolare, carezzare, nutrire, vestire, lavare,
massaggiare e così via, e se percepiamo un compenso per questo, allora chi se la sente può usarlo anche
per il sesso e percepire ugualmente un compenso (sto ancora pensando ai maiali). A tal proposito ricordo ai
benpensanti che Gesù ha sempre perdonato, parlato ed amato le prostitute. In secondo luogo perché i
disabili sono persone con gli stessi diritti degli altri esseri umani e dunque ben venga del sano sesso fatto
con cura da professionisti in grado di gestire tutta la faccenda. In terzo luogo perché in molte famiglie si
arriva all’incesto per contenere le turbe sessuali di figli o figlie e fratelli o sorelle. Inutile dire che su
questo terzo punto mi fermo e dichiaro il mio disaccordo. Finalmente ho posto un po’ di ordine nella mia
testa… e invece no. C’è tutto il discorso di un’eventuale gravidanza. Per me il problema è bell’e che
risolto: pillola anticoncezionale e a posto così. Nella mia vita ho poche certezze ma una ve la voglio proprio
comunicare. Signore e signori, il sesso esiste ed è un diritto! Posso dire vivaddio?
Lores Bartelle
L’ultimo muro
Contributo di Lara Pasquale,
educatrice
18 Maggio 2010
Credo la tematica “sesso-disabilità” sia un argomento alquanto
importante e delicato e, proprio in virtù della sua importanza, vada
affrontato in modo serio e discreto, al fine di non ledere la
sensibilità di chi vi si può sentire coinvolto ma di dare voce al
proprio pensiero, in modo tale che possa diventare spunto di
riflessione e, perché no, d’azione, a vantaggio di persone le cui voci
non sempre vengono sentite o ascoltate.
Penso sarebbe importante, in Italia, un generale approfondimento
della questione da parte di tutti coloro che, con professionalità
diverse, lavorano con soggetti diversamente abili; sarebbe utile
osservare realtà diverse dalla nostra e cercare di capire se iniziative
come l’istituzione della figura dell’ “assistente sessuale” abbiano
dato o meno risultati positivi sul benessere psico-fisico di chi
usufruisce del servizio da queste persone erogato.
Per operatori socio-sanitari ed educatori, sarebbe utile avere a
riguardo una formazione più specifica, per rispondere in modo più
competente alle domande e ai bisogni in questo senso dei propri
utenti.
A prescindere da quello che può essere il mio personale parere,
credo poi che ciò che veramente debba contare sia il pensiero dei
soggetti direttamente interessati, in molti casi persone
cognitivamente presenti e che hanno il diritto di esprimere le
proprie necessità e scegliere per se stessi.
Penso, infine, che non si vogliano intendere impossibilitati ad avere
rapporti sessuali “non a pagamento” in generale tutti i portatori di
handicap; un’eventuale iniziativa di formazione di figure come
quelle delle assistenti sessuali, credo sia infatti pensata solo per
coloro che, tra i portatori di handicap, non hanno altre possibilità,
come del resto, bando alle ipocrisie, accade anche tra i cosiddetti
“normodotati”!
Io stessa ho visto nascere, tra coppie di ragazzi disabili, relazioni
fatte di sincero affetto e rapporti intimi, com’è naturale che sia; di
tali relazioni spesso abbiamo parlato con naturalezza e sincerità e
nel mio futuro di persona ed educatrice mi auguro di vederne
nascere e crescere ancora molte altre.
Lara Pasquale, educatrice Gea
L’ultimo muro
Dibattito ad Alta Italia TV
19 Maggio 2010
Talk show di Alta Italia TV con Silvia Ruspa (Gea), Rosanna Rapetti (Arca),
Corrado Fumagalli (conduttore tv), Massimiliano Bonavoglia (filosofo) e Oscar
Casotto (PDL).
La trasmissione in onda il 18 maggio 2010.
L’ultimo muro
Silvia Ruspa, Presidente Gea, fa il punto del
dibattito su disabili e sesso a pagamento e
disegna le strategie futura
20 Maggio 2010
Sperimentazioni, figure professionali
adeguate, dibattito tra specialisti,
raccolta di dati sulle esperienze
estere:
una sfida impegnativa e affascinante
Il tema del sesso a pagamento per i disabili,
lanciato dal nostro sito, ha riscosso un
significativo interesse: se ne sono occupati
giornali locali e nazionali e Alta Italia TV vi ha
dedicato sia un reportage che un talk show.
Alcuni operatori hanno portato il loro
contributo al dibattito, così come risulta nel sito
stesso.
A questo punto un primo bilancio si può fare, e
Silvia Ruspa Presidente Gea è ovviamente la
persona più indicata. Le abbiamo posto alcune
domande.
Presidente, a questo punto del dibattito sul
sesso a pagamento per i portatori di handicap
suscitato dal sito internet di Gea, che giudizio
ne dà? Si possono trarre alcune prime
conclusioni?
Gli echi avuti dalla questione che abbiamo posto
confermano che il problema esiste e che è un
bene farlo venire alla luce: l’ultimo muro – così
abbiamo definito la questione – si abbatte solo
facendo maturare una consapevolezza diffusa.
Ma proprio il talk show di Alta Italia TV andato
in onda il 18 maggio 2010 dimostra che è
necessaria un’ulteriore messa a punto.
E’ stata una trasmissione utile alla divulgazione,
anche se ha risentito dell’impreparazione di un
paio di ospiti e di una certa ricerca di
sensazionalismo giornalistico: ho dovuto
precisare in quella sede che non pensiamo
affatto a “case chiuse”, inutile che si cerchi di
portare il dibattito su questo versante del tutto
improprio.
Ciò che vogliamo è fare focus sulla persona
singola nella sua unicità esperienziale e nel suo
processo verso un benessere completo, e questo
è un tema sul quale anzitutto gli specialisti è
bene che comincino a confrontarsi.
Immagini del dibattito ad Alta Italia TV del 18 maggio
2010. Dall’alto: Silvia Ruspa (Gea), Rosanna Rapetti
(Arca), Corrado Fumagalli (conduttore televisivo),
Massimiliano Bonavoglia (filosofo) e Oscar Casotto
(PDL Novara).
Per rivedere la trasmissione:
http://www.altaitaliatv.com/frontend/altaitalia/vod.a
spx?idFile=10243&idcat=0&page=0
A prescindere dalle semplificazioni
improprie, cosa intende per “confronto”?
Su quali linee deve svilupparsi?
Il disagio e l’handicap sono fronteggiati da
reti di persone e servizi: sono queste
reti, adesso, che devono iniziare ad
affrontare la questione, sia sul piano
filosofico che su quello specialistico, con
riferimento al singolo utente che,
ricordiamo, è una persona con
esperienze, così come persone con
esperienze sono gli operatori che se ne
prendono cura. Molte sono le attività
dell’utente/persona e per
l’utente/persona poste in atto in questi
anni e molte altre vengono “inventate” in
base all’evoluzione sociale (si pensi solo
all’uso del computer che in alcuni casi
diventa supporto educativo o riabilitativo
che produce risultati). Tutte queste
attività tendono a coinvolgere i più
diversi ambiti della personalità: i più
diversi, ad eccezione dell’eros. Si può
dire che i facilitatori della rete di
fronteggiamento tendono giustamente a
motivare l’utente/persona al
cambiamento. In molti casi di handicap,
la “guarigione” (mi si passi il termine,
anche se so che in taluni casi non è
condiviso) non può essere guarigione
“dei” sintomi: l’handicap rimarrà
sempre. Ma può essere guarigione “dai”
sintomi, ovvero il raggiungimento di un
benessere superiore convivendo con la
malattia: la malattia rimane, ma la
persona vive una vita qualitativamente
buona e soddisfacente a prescindere dalla
malattia stessa. Questo è l’obiettivo di
una strategia riabilitativa che si prende
cura (“care”) dell’utente considerato
persona a tutto tondo.
Una esperienza olandese
In Olanda è attiva la Sar (Associazione per le relazioni
alternative), fondata 25 anni fa da René Vercoutre e da altri
disabili. "L'idea ci venne dopo alcune esperienze poco felici
con le prostitute: qualcuna si era presa i soldi senza poi fare
nulla, qualcun'altra aveva aggiunto uno zero alla cifra su un
assegno... cose così", ricorda Vercoutre. Ora lavorano per la
Sar - che per la verità si occupa solo di mettere in contatto
telefonico domanda e offerta - 12 donne (di cui due vivono in
Belgio, altro Paese dove l'associazione è attiva, assieme alla
Germania), due uomini gay e uno bisessuale, tra i 38 e i 58
anni. Tutti sono stati selezionati tra infermieri o persone con
esperienza nel lavoro con i disabili. Una è madre di un
ragazzo handicappato. "Oltre al sesso, rigorosamente "sicuro",
offriamo attenzione personale e consulenza, per esempio alle
coppie in cui uno dei due membri diventa disabile". Un'ora e
mezzo costa 85 euro. Tremila i contatti annui, per 550 pazienti
tra cui nove donne, tra i 18 e i 102 anni ("Il 102enne ebbe la
sua prima visita Sar come regalo dalla figlia 64enne"); ogni
anno se ne aggiungono 110. Più o meno metà sono disabili
fisici, metà psichici. Il vantaggio di questa attività? "Il paziente
acquista più sicurezza in tema di sessualità, e così è facilitato
nell'iniziare una relazione. Molti, dopo essere diventati nostri
clienti, si sono addirittura sposati".
Da “Diversamente sesso” di Ambra Radaelli, La Repubblica
Voi che siete professionisti del sociale cosa potete fare in concreto?
Senza sperimentazioni, senza un percorso da valutare, senza risultati da mettere a confronto si
rimane ciechi, non c’è luce. Non si vede una quota di realtà esistenziale. Aggiungo che dobbiamo
costruire “racconto”, perché la persona è il racconto della propria evoluzione. Dobbiamo costruire
“storie”, perché la care è fatta di storie, narrazioni, racconti e poi ancora di sorrisi e di sguardi,
meraviglia, impulsi, a volte lacrime e tante altre cose ancora. L’osservazione specialistica di
questo complesso vissuto è il contenuto su cui la rete di fronteggiamento può agire per migliorare
la vita dell’utente/persona. Senza racconto non esiste nemmeno la rete o, se c’è, giace in una
immane impotenza. Sono preziosi in questa direzione i contributi pervenuti da alcuni nostri
operatori, proprio perché danno la dimensione della complessità: Massimo Caruso insiste sul
concetto di percorso educativo, Lores Bartelle sulla naturalità del problema, Lara Pasquale
sull’esigenza di una formazione specifica. Se all’estero ci sono esperienze, racconti e storie perché
in Italia non dovrebbe accadere lo stesso? Se la dimensione sessuale resta in ombra, perdiamo
complessità nella valutazione dell’utente/persona. Possiamo permettercelo se ci prendiamo cura di
lui?
E’ possibile fare qualche esempio concreto, per
evitare che il discorso rimanga sostanzialmente
teorico, senza agganci reali?
Per andare ancora più nel concreto. Facciamo il
caso (ipotetico ma non troppo) di un disabile
psicointellettivo adulto ospitato in una struttura
residenziale. Manifesta pulsioni sessuali. Non
riesce a soddisfarle. Questa “diminutio” (ecco
perché non è fuori luogo parlare anche di un
diritto) può provocare scompensi psicologici e
comportamentali di varia natura: in tal caso la
rete di fronteggiamento osserva e coglie il
problema. E poi? Qui sta il vero nocciolo del
problema. Spesso qui ci si ferma. Io dico che la
rete non deve fermarsi, deve elaborare un
progetto nel progetto (PEI) che abbracci anche
questa area della personalità. Le strade
percorribili dalla rete a questo punto sono
molteplici, c’è da scegliere quella potenzialmente
più produttiva per il singolo caso, e percorrerla.
Poi si tireranno le somme. Il caso ipotizzato va
trattato nella sua specificità, e dunque nessuna
posizione a priori corrisponde al bisogno. Il “no”
a priori preclude il racconto, perciò è la posizione
peggiore: insostenibile. Il “sì” a priori costruisce
un racconto standard, univoco per tutti: è meglio
del “no”, ma la risposta resta debole per la sua
genericità. Il giornalismo vorrebbe due
schieramenti contrapposti proprio in tale
maniera, e la cosa non ha senso. Servono risposte
esclusivamente personalizzate, modulate e
verificate sull’unicità dell’utente/persona.
Ma ci vorrà pure una prospettiva univoca, altrimenti c’è il rischio di interventi troppo
differenziati da zona a zona, da struttura a struttura, non sembra questo un rischio
plausibile?
Vedo la necessità che le reti di fronteggiamento elaborino prospettive, ovvero percorsi per il
singolo. Ma senza esperienze in materia ne sono in grado? Senza il contributo di figure
professionali del tipo di quelle che in vari paesi europei sono chiamate “assistenti sessuali”, ne
sono in grado? Questa impreparazione, che in Italia ha radici storiche culturali e ideologiche, è
il cemento su cui ancora si erge l’ultimo muro. “Parliamone” è dunque essenziale. Portiamo
anche le minime osservazioni concrete, abbozziamo una sistemazione teorico/pratica, facciamo
statistica, sperimentiamo. Insomma, abbattiamo il muro. Al di là del muro ci sono problemi
delicati, complessi e affascinanti: c’è una sfida che ci chiama. Ne siamo all’altezza o ne
abbiamo paura? Ma noi, che conosciamo il dolore, non possiamo essere codardi di fronte al
nuovo. Forse altro dolore ci attende, ebbene: lo affronteremo. Forse problemi ben più difficili
ci attendono, ebbene: li risolveremo. Ogni pigrizia, ogni burocratismo nei comportamenti e
nello studio sono nostri nemici. L’etica del non fare non ci appartiene, la allontaniamo da noi.
Si potrebbe, ad esempio, raccogliere le esperienze fatte all’estero e valutarle insieme. Solo
cominciando da qui possiamo, se c’è, colmare il “gap”.
Cosa intende per pigrizia e burocratismo?
Quando parlo di pigrizia e burocratismo intendo anche il fatto che qualcuno ancora ponga il
problema in termini di prostituzione. Non è opportuno introdurre il tema “prostituzione o no”
in questo dibattito. Tanto più in questo dibattito. Le etichette, le semplificazioni generalizzanti
obnubilano la questione e sanciscono stigma sociale. Qui non è in questione una prestazione
sessuale a pagamento da parte di persone (donne) che vendono il proprio corpo, e non è
nemmeno in questione se ciò sia giusto, normale, accettabile o no. Ciascuno la pensi come
vuole sul tema prostituzione.
Qui parliamo di figure professionali assimilabili ad operatori sociali che estendono la gamma
delle proprie prestazioni della “care”, del prendersi cura, ad un’areale psicofisico e relazionale
ulteriore. Una/un operatore sociale che avesse la forza morale, la formazione e la disponibilità
di questo sarebbe a mio parere assai stimabile, molto più stimabile di chi sceglie una
professione legata all’assistenza sociale solo per lo stipendio. Quanti di noi ne avrebbero il
coraggio? Parliamoci chiaro, e respingiamo ogni ipocrisia: molto, molto pochi.
Il dibattito aperto quale sviluppo può avere?
Semplice: andremo avanti. Cercheremo di riunire specialisti e di avviare la ricerca. Ci attende
molto lavoro. Lo faremo.●
Come riportato da diversi siti
internet ai primi di maggio (un
esempio nella pagina
precedente), sembra che
l’organismo denominato
“Federsex” stia facendo della
questione sesso-disabili la
propria bandiera, fino al punto
che è intenzionata a portare la
questione degli assistenti
sessuali per disabili
all’attenzione del Ministero delle
Pari Opportunità.
Ecco quello che può succedere
se il sistema che si prende cura
dei disabili rimane immobile:
altri se ne occupano, da altri
verranno proposte e forse
soluzioni che certamente poco o
nulla hanno a che fare con
progetti di fronteggiamento
dell’handicap.
Se il “sistema” deputato non
coglie la tematica, essa troverà
altri sbocchi di soluzione. E’
logico e fatale. In questi sbocchi
prevedibili saranno logiche
“altre” a imporsi: il profitto, la
mercificazione dell’eros,
l’appiattimento su pratiche
banali prive di “storia”, prive di
“racconto”.
Vogliamo questo?
Pur di rimanere fermi al
burocratismo di cui Silvia Ruspa
parla nell’intervista pubblicata
in questo sito, il sistema sociale
di “care” è disposto ad
assecondare queste tendenze?
A tanto arriverebbe la pigrizia e
l’ignavia pur di non mettere in
discussione le proprie silenziose
inadeguatezze? Non vogliamo
pensarlo.
Se non si vuole tutto questo,
l’iniziativa riportata nella pagina
precedente impone
un’accelerazione da parte di
tutte le reti di fronteggiamento,
ai vari livelli: sociale, sanitario e
politico. Gli specialisti si facciano
avanti, prendano posizione,
promuovano il dibattito.
Forse a qualcuno il problema può
risultare particolarmente
spinoso, complicato,
impegnativo: è logico, in carenza
di esperienze specifiche
qualificate in Italia. Ma proprio
per questo è una sfida che
chiama in causa il
cambiamento/miglioramento non
solo dell’utenza ma anche – e in
questa fase forse soprattutto –
degli operatori.
(c.m.)
L’ultimo muro
Se gli specialisti non se ne occupano…
21 Maggio 2010
L’ultimo muro
Il sito DISABILIABILI riporta la questione
27 Maggio 2010
L’ultimo muro
Una citazione che fa riflettere
28 Maggio 2010
“Particolare attenzione
merita la cura delle
dimensioni affettive e
sessuali della persona
handicappata. Si tratta di un
peso spesso rimosso e
affrontato in modo
superficiale e riduttivo o
addirittura ideologico. La
dimensione sessuale è,
invece, una delle dimensioni
costitutive della persona…”.
Messaggio di Papa Giovanni Paolo II al Simposio
internazionale “Dignità e diritti della persona con
handicap mentale”, organizzato dalla Congregazione
per la dottrina della fede in occasione dell’Anno
Europeo delle persone disabili, 8 gennaio 2004.
L’ultimo muro
Casi concreti nel web
29 Giugno 2010
Poche, molto poche le notizie concrete nel
web sul tema.
Sembra non ci sia una casistica.
Ci pare utile quindi riportare ciò che abbiamo
trovato: al di là delle opinioni, stiamo ai fatti.
Sesso e disabili/ Mamma inglese e
figlio “down”: “Pago per la sua
prima volta”
Lucy Baxter, una madre inglese di 50 anni, sta facendo di tutto affinché suo figlio Otto, 21 anni,
affetto dalla sindrome di Down, possa avere un’esperienza sessuale con una donna, a quanto
riferisce il tabloid inglese The Sun.
Otto desidera ardentemente tale esperienza e la signora Baxter ha dichiarato che sarebbe disposta
a pagare per la prestazione.
La signora Baxter, che ha adottato quattro figli con la sindrome di Down e abita a Abingdon,
nell’Oxfordshire, ha detto che Otto dovrebbe avere le stesse opportunità degli altri ragazzi della sua
età.
17 marzo 2009
http://www.blitzquotidiano.it/ladyblitz/sesso-e-disabili-mamma-inglese-e-figlio-downpago-per-lasua-prima-volta-6338/
Oltre l'handicap, il diritto alla
sessualità
Se il diritto alla sessualità degli handicappati esiste, i loro desideri restano avvolti da molti
tabù e pregiudizi. La formazione di dieci assistenti sessuali in Romandia ha riportato sotto i riflettori
un mondo nascosto di bisogni negati e ricerca d'affetto.
Sono infermieri, massaggiatori, terapisti o artisti. Hanno tra i 35 e i 55 anni e sono formati per rispondere
ai bisogni sessuali delle persone con handicap. Un compito non facile perché la sessualità degli invalidi è
spesso nascosta, tenuta tra le pieghe della società e bersaglio di pregiudizi duri a morire.
Parlare del proprio rapporto al corpo, all'intimità, al sesso, non è sempre facile. E lo è ancor meno se si è
considerati in qualche modo "diversi". Eppure «la sessualità degli handicappati è un diritto che va
rispettato e salvaguardato con estrema tenerezza». Ne è convinta Aiha Zemp, psicoterapeuta e
responsabile della Fachstelle Behinderung & Sexualität (FABS) di Basilea, la prima associazione svizzera ad
aver introdotto una formazione per assistenti erotici.
«Il rapporto alla sessualità è qualcosa di estremamente soggettivo. È una pulsione naturale, come
mangiare o bere, e non tocca soltanto le persone normodotate», spiega Aiha Zemp. «Gli handicappati
vengono spesso considerati come degli esseri asessuati, mentre in realtà hanno gli stessi bisogni degli altri
e gli stessi diritti di realizzare i propri sogni e le proprie fantasie».
Un doppio tabù, sessualità e handicap
Per rispondere alle richieste dei suoi pazienti, a giugno l'associazione Sexualité et Handicaps Pluriels
(SEHP) ha distribuito in Romandia i primi dieci diplomi di assistente sessuale. Questi sei uomini e quattro
donne andranno ad affiancare la ventina di operatori già attivi nella Svizzera tedesca, rompendo così un
doppio tabù, quello della sessualità e dell'handicap.
Il progetto risale al 2002, quando la sezione zurighese di Pro Infirmis elaborò un programma educativo in
questo campo. La notizia ebbe però un impatto mediatico inatteso e portò numerosi donatori a ritirare il
proprio sostegno all'organizzazione perché contrari a quella che definivano una "forma latente di
prostituzione".
In pochi mesi, Pro Infirmis perse fino a 400'000 franchi e decise così di fare un passo indietro. Fu allora che
entrò in gioco la FABS che nel 2004 diede inizio alla prima formazione per assistenti sessuali, su iniziativa
della sua presidente Aiha Zemp, anch'essa affetta da handicap. A cinque anni dall'inizio di questa
esperienza, il bilancio tracciato da Aiha Zemp è più che positivo anche se le voci critiche non hanno
smesso di farsi sentire.
Combattuto nei paesi a forte matrice cattolica come l'Italia, questo tipo di sostegno non è certo una
prerogativa svizzera, ma si ritrova anche in Olanda, Germania e Danimarca. Già a partire dagli anni '80,
negli Stati Uniti e nel Nord Europa vennero formate persone per assistere sessualmente gli handicappati.
Prestazioni che, in alcuni paesi scandinavi, sono perfino pagate dalla cassa malati.
Dal risveglio sessuale al piacere infinito
La Svizzera non si è però spinta così lontano, anzi sembra ancora faticare ad accettare questa pratica
come una necessità. Ma in cosa consiste esattamente l'accompagnamento sessuale? «Non esiste un
catalogo di prestazioni», spiega Catherine Agthe Diserens, presidente della SEHP, «ogni situazione è
valutata singolarmente in modo da capire cosa cercano le persone che si rivolgono alla nostra associazione
e in che modo possiamo aiutarle a star meglio». E quando la comunicazione col mondo esterno si limita a
qualche gesto o parola, l'aiuto della famiglia o degli educatori diventa fondamentale.
Dai massaggi erotici, alle carezze, fino allo spogliarello o alla masturbazione, il ventaglio di proposte è
ampio e risponde al semplice bisogno di un'intimità spesso negata e stigmatizzata. Ogni assistente "offre"
con empatia e rispetto un po' di tenerezza, dietro il pagamento di una tariffa che va dai 150 ai 200 franchi
l'ora», continua Catherine Agthe Diserens. A volte si tratta semplicemente di scoprire il piacere o di
ritrovare una funzionalità perduta a causa di un incidente, mentre altre volte la relazione si spinge fino ai
rapporti orali o alla penetrazione.
«Chiedere aiuto a degli assistenti sessuali non è la soluzione a ogni problema, precisa Aiha Zemp, ma è
una possibilità per colmare un vuoto di cui – fino a poco tempo fa – si continuava a negare l'esistenza».
Tra prostituzione e dono di sé
Diversamente dalla prostituzione, l'accompagnamento sessuale dei disabili è la fine di un percorso
educativo complesso centrato sul rispetto dell'altro, l'etica, l'ascolto. «Gli assistenti sessuali devono essere
persone equilibrate, in chiaro sulla propria sessualità e a proprio agio di fronte all'handicap. Inoltre sono
obbligati a mantenere un'altra professione almeno al 50% e ad informare il loro parentado della propria
scelta», precisa Catherine Agthe Diserens.
«È stato davvero sconvolgente - racconta Jacques, neodiplomato assistente sessuale, ai microfoni della
RSR - siamo stati spinti a rimettere tutto in questione, le idee, il nostro rapporto al corpo e agli altri».
Sposato e padre di tre bambini, Jacques racconta come la moglie abbia accolto molto naturalmente la sua
scelta grazie anche ai limiti che si è posto fin dall'inizio: «Mi dedico al corpo, alla pelle, agli organi di
queste persone. Posso far masssaggi o carezze intime, ma non mi spingo fino alla penetrazione. Il bacio poi - è qualcosa che riservo soltanto a una persone precisa nella mia vita».
La durata della formazione – 18 giorni sull'arco di un anno e una decina di ore di lavoro personale – e i
relativi costi (4'200 franchi) sono un ulteriore indice della motivazione che spinge le persone a
intraprendere questo cammino.
Una motivazione che non è comunque facile da spiegare ad amici e parenti e a volte nemmeno a sé stessi.
E a rendere tutto più difficile è sicuramente il fatto che – legalmente – il lavoro degli assistenti sessuali è
tuttora paragonato alla prostituzione e porta con sé una connotazione estremamente negativa.
Ma in fondo, per Aiha Zemp queste persone non fanno altro che alzare un velo su un mondo nascosto,
fatto di bisogni negati e di una grande ricerca di affetto. Un mondo che va guardato con occhi diversi,
perché diverse sono le persone handicappate. Quella diversità che è un valore per chi, come Jacques,
riesce guardare oltre l'handicap e la paura per ascoltare l'intimo appello alla tenerezza.
Stefania Summermatter, swissinfo.ch
Commenti
Cristian Milano, Italy
Concordo in pieno con Franco: in Italia per puro puritanesimo semplicemente si fa finta che il problema
non esista. La prostituzione è illegale ma basta navigare un po per trovare migliaia di annunci di
professioniste.
Franco, Italy
Io sono disabile e vado a prostitute. Mi rendo conto che gli assistenti sessuali sarebbero molto utili. In
quanto molti disabili non vengono accompagnati a prostitute. I politici italiani invece sono degli ipocriti
perchè vanno a prostitute e poi non vogliono legalizzarle e quindi non ci saranno mai assistenti erotici per
i disabili.
http://www.swissinfo.ch/ita/Prima_pagina/Scelti_per_voi/Oltre_lhandicap,_il_diritto_alla_sessualita.htm
l?cid=7481886
Oxford, la bizzarra missione delle religiose di un ospizio per disabili
che hanno fatto felice Nick, 22 anni, affetto da una grave forma di distrofia
"Vorrei fare sesso almeno una volta
nella vita".
Suore trovano prostituta a un
giovane malato
LONDRA - Papa Wojtyla l'aveva detto: la persona disabile, come e più delle altre, "ha bisogno di
amare e di essere amata, di tenerezza, di vicinanza, di intimità". Parole prese alla lettera,
sembrerebbe, da un gruppo di suore inglesi. Che di fronte a un ragazzo, che probabilmente non
arriverà a compiere trent'anni, e che ha chiesto con insistenza di provare le gioie o comunque
l'esperienza del sesso, hanno collaborato alla ricerca di una prostituta che assolvesse al compito.
"Voglio fare sesso almeno una volta nella vita". E così è stato.
Nick Wallis, 22 anni, costretto alla carrozzella da una forma devastante di distrofia muscolare, lo
aveva chiesto più volte alle suore del Helen and Douglas House Hospice di Oxford, un ricovero per
bambini e ragazzi affetti da handicap e malattie gravi, fondato nella celebre città universitaria da
suor Frances. E' stata lei a spiegare, in un'intervista alla Bbc, che "siamo arrivati alla conclusione che
era nostro dovere sostenere Nick sotto il profilo emozionale, e aiutarlo a garantirsi una certa
sicurezza fisica".
Non è stata una decisione facile, è chiaro. La religiosa ha raccontato come in un primo momento si sia
sentita completamente spiazzata di fronte alla richiesta del ragazzo. Che ha animato più di un
dibattito fra suore, medici, infermiei, amministratori della struttura. Che prima di tutto hanno preso
in considerazione l'ipotesi di commettere un reato, assecondando la richiesta di Nick e aiutandolo a
organizzare un incontro a pagamento.
Dopo aver ricevuto rassicurazioni a questo proposito, il gruppo ha "sondato" il comitato etico
dell'Hospice. Che, pure, non ha avanzato obiezioni sostanziali quando è stato informato che le
condizioni cliniche non avrebbero mai consentito a Nick di avere una fidanzata e di poter, quindi,
sperimentare le gioie dell'intimità, di un legame d'amore e reciproca attenzione. "Era pronto ad
andare avanti con o senza il nostro sostegno - racconta suor Frances - e siamo giunti alla conclusione
che era nostro dovere morale assisterlo".
Un'infermiera dell'ospizio, Chris Bloor, ha aiutato il ragazzo a trovare, via internet, una donna
all'altezza del compito. L'incontro è avvenuto a casa del ragazzo, con l'assistenza un'infermiera del
Douglas House Hospice e un secondo assistente, in un'altra stanza, "in caso di bisogno".
"Tutto è andato per il meglio - ha detto il ragazzo - lei si è rivelata una donna affascinante,
intelligente e piacevole. Aveva circa trent'anni. Sapeva come fare con le persone nervose. Sono state
due belle ore. Certo - ha ammesso - dal punto di vista emotivo non è stata un'esperienza al cento per
cento appagante, ma mi ha dato fiducia e un certo grado di normalità. Non credo che
necessariamente ripeterò l'esperienza. Ma nemmeno scarto del tutto l'ipotesi".
Suor Frances è contenta di quanto accaduto, e anche della pubblicità che il caso sta avendo: "Nick ha
messo la società di fronte a un tabù. Anche le persone portatrici di handicap vogliono amore a pieno
titolo ma troppo spesso sono vittime di pregiudizi sociali".
(27 gennaio 2007)
http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/esteri/suore-prostituta/suore-prostituta/suoreprostituta.html
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L`ultimo muro: il sesso (a pagamento) per i portatori di handicap.