Giovanna Righini Ricci
Esperienze
di educazione sessuale
nella scuola media
Premessa
Questo libro non ha pretesa di essere un “manuale di
educazione sessuale” né di fornire ricette infallibili; esso
si propone semplicemente di offrire, a quanti si interessano al problema della educazione sessuale nella scuola
media, alcune “testimonianze” dirette, e di riferire i risultati di esperienze didattiche, impostate e condotte
dapprima in maniera empirica e approssimativa, poi, via
via, con metodo più coordinato e razionale, con una
preparazione più specifica e con una più matura consapevolezza.
Ho iniziato, infatti, il discorso sulla educazione sessuale una decina di anni fa, circa, quando esso ancora
poteva apparire un’audacia inaudita, da antesignani temerari; l’ho portato avanti, faticosamente ma puntigliosamente, procedendo tuttavia con cautela, con trepidazione, con incessanti verifiche e ridimensionamenti, acquisendo nel tempo quella coerenza psicologica e quella serenità e sicurezza metodologica e didattica derivanti dalla contestazione che, dal comportamento dei preadolescenti, dalle loro “nevrosi”, dalle loro esperienze, si
possono enucleare, pur nella mutevole dinamica ed evoluzione del costume, delle variabili e delle costanti fisse,
che permettono all’educatore di elaborare e di seguire,
nelle sue linee essenziali, un “iter”didattico valido.
È stato un cammino difficile, punteggiato di incomprensioni, ostacolato da pregiudizi, da complicazioni
burocratiche, da arcaici tabù, rallentato anche da infiniti interrogativi, dalla necessità di fare sempre una serena
autocritica, di procedere a un controllo della efficacia
del metodo; e come tale viene qui presentato, a chi senta il desiderio di impostare nella scuola un discorso serio, motivatore, veramente formativo del carattere e della personalità del preadolescente.
41
Giovanna Righini Ricci
“Traccia”, dunque, “spunto” e itinerario, suscettibili
di infinite articolazioni e modifiche, a seconda delle situazioni, delle esigenze, della sensibilità, delle reali necessità dei ragazzi, ai quali il discorso va rivolto, con uno
scrupolo e un autocontrollo che non devono mai venir
meno, dal momento che la sperimentazione viene condotta su “materiale umano”, e che l’errore comporta
una responsabilità terribile, oserei dire delittuosa.
Giovanna Righini Ricci
42
PARTE PRIMA
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
1.
LE MOTIVAZIONI
Non esiste, nel campo della educazione sessuale, una
metodologia specifica nella quale ci si trovi coinvolti, in
quanto ogni preadolescente che, sui banchi della scuola
dell’obbligo, stia affrontando e superando faticosamente il travaglio puberale (vera e propria “situazione patologica” la definisce il Garrison1), è un mondo a sé, un
microcosmo perfetto, con una sua dimensione unica e irripetibile, anche se in lui si riflettono i traumi e le turbe
che hanno caratterizzato, sia pure in forma e con urgenze diverse, questa delicata fase di transizione di migliaia
di generazioni.
Ogni esperienza personale, quindi, in questo delicato
settore dell’educazione, può servire solo come esemplificazione, testimonianza di un modo di procedere, e fornire perciò spunti didattici, da ampliare, approfondire,
modificare (o anche rigettare in blocco), a seconda delle necessità biologiche e psichiche, della sensibilità, del
grado di recettività, delle motivazioni, dei problemi, dello sviluppo, del livello intellettuale e socio-ambientale
dei ragazzi e delle loro famiglie, del tipo di rapporto instaurato con i genitori, con i coetanei, con l’altro sesso,
con la società, con l’autorità, a seconda del grado di “disinformazione” o del numero di informazioni sessuali in
loro possesso, ecc.
Tuttavia, pur nella eterogeneità di situazioni, di personalità e di comportamenti, è possibile enucleare alcu1 K.C. GARRISON, Psychology of adolescent, fourth edition, N.Y.
Prentice, Hall. Inc.
45
Giovanna Righini Ricci
ni punti fondamentali che possono divenire una traccia,
sicura e costante, nella fluidità del procedimento nell’ambito scolastico.
1) La motivazione e l’approccio all’argomento di carattere sessuale.
2) L’occasione di intervento.
3) Il come, il quanto, il quando delle informazioni specifiche, anche se nello svolgimento della didattica, rimarrà sempre un quid soggettivo e, come tale, fluido e
problematico, dal momento che il tipo di educazione
sessuale che si può impartire nella scuola dipende sì dalle caratteristiche dei ragazzi, dalle loro necessità, ma soprattutto dalla personalità, dalla sensibilità, dal grado di
preparazione specifica, di maturità, di recettività e di disponibilità dell’ educatore.
Non si tratta infatti di fare dell’educazione sessuale
un’occasione per porgere ai preadolescenti, con maggiore
o minore dovizia di particolari, con maggiore o minore
rigore scientifico, un certo numero di informazioni di carattere genetico o biologico, ma di vivere con i ragazzi la
loro problematica, aiutandoli a capirla, ad accettare la realtà, a conoscere se stessi, nel corpo e nell’anima, a maturare in consapevolezza, acquisendo in tal modo piena
autonomia e sicurezza. Non è quindi fare educazione sessuale in certe ore, determinate in precedenza, a comportamenti stagni, ma un farsi, un divenire reciproco, in cui
educatori e allievi (e insisto sul termine educatore, in
quanto, soprattutto nella scuola dell’obbligo, si deve essere sempre più educatori e sempre meno professori!) maturano, approfondiscono, perfezionano la loro conoscenza dell’uomo e dei suoi problemi, in un dialogo
aperto ma sempre rispettoso della libertà individuale,
della sensibilità di ciascuno, della sfera privata di cui
ogni essere deve godere liberamente, senza pressioni né
violenze morali; è un crescere insieme, in sintonia: l’educatore si pone accanto ai suoi ragazzi, per non studiarli
46
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
come cavie, ma per capirli e aiutarli nei loro problemi,
arricchendoli in consapevolezza e, contemporaneamente, arricchendosi in umanità.
2.
L’APPROCCIO
Ci si deve accostare all’argomento di carattere sessuale sempre in maniera indiretta, sfumata, apparentemente
casuale, (apparentemente, in quanto l’educazione consapevole ha sempre ben chiari nella mente finalità e iter didattico dei propri interventi e non lascia nulla al caso,
indulgendo anche raramente all’estemporaneità e all’improvvisazione) con un procedimento mai forzato, a
“freddo”, per cogliere e portare alla luce i delicati problemi, gli interrogativi esistenziali che, se insoddisfatti,
potrebbero creare turbe e drammi. Non si tratta, quindi, di un’arida informazione, ma di un’indagine rivolta
contemporaneamente verso le sorgenti della vita, verso
il divenire dell’uomo e verso l’interiorità di ciascuno;
non di lezioni accademiche, ma di risposte concrete,
adeguate alla situazione che i ragazzi stanno vivendo, ai
problemi della classe e dei singoli, motivate dalle loro
urgenze psicologiche e fisiologiche; e, ogni volta, si coglieranno, di ciascuno, incessantemente, reazioni e stati
d’animo, per un controllo scrupoloso del proprio operato, per un’eventuale revisione del piano di lavoro, per
una rettifica dei modi e dei tempi di attuazione, per una
diversa scelta dei mezzi.
3.
L’OCCASIONE
L’accostamento all’educazione sessuale può avvenire
attraverso una gamma svariata di occasioni e di situazioni; lo spunto può scaturire infatti da qualunque argo47
Giovanna Righini Ricci
mento, anche il più lontano e apparentemente estraneo
alla sfera sessuale: dai pudori e dai tremori esistenziali di
“Silvia, rimembri ancora” come dall’epiteto triviale di
cui si serve il ragazzetto, apparentemente privo di inibizioni, il quale spesso si compiace di far colpo sugli altri
con un frasario “osè”; dal bigliettino “amoroso” e poetico che circola fra i banchi, diretto alla ragazzina più civetta, come dal gergo irreferibile che i ragazzi usano talvolta per conversare fra di loro, con serena disinvoltura
(e che suscita negli adulti un sussulto indignato, un moto di scandalo!). Anzi, è proprio da queste occasioni
“spicciole” che il discorso prende l’avvio, sovente, con
alata efficacia, inserendosi con immediatezza nel contesto reale che i ragazzi vivono e di cui sono artefici.
Alcune occasioni di intervento
A questo proposito, devo precisare che è sempre risultato molto stimolante, dal punto di vista educativo,
partire proprio dalla parola scurrile o chiaramente allusiva, per domandare, al ragazzo che se ne serviva, il significato letterale del termine, la ragione di questo uso
(e abuso!).
Nella maggior parte dei casi ho riscontrato una quasi
completa ignoranza, una deformazione del significato
vero del vocabolo o della frase, ripetuti per lo più perché “di moda”, perché simbolo di spregiudicatezza, di
coraggio, di virilità, perché indice di ribellione (formale!) al perbenismo e alle convenzioni; a questo punto, allora, con molta naturalezza ma anche con molta fermezza, senza cedere alla tentazione “moralistica”, ho sempre
affrontato direttamente l’ostacolo, informando colui (o
colei) che si serviva del vocabolo “spinto” sul suo esatto
significato, letterale e figurato, non per una forma di
“prudèrie” alla rovescia o per creargli inibizioni e falsi
pudori, ma per renderlo consapevole del linguaggio di cui
si serve e, quindi, responsabile dell’uso che fa di certi stru48
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
menti di comunicazione. Nella quasi totalità dei casi,
questa “chiarificazione linguistica” o di costume crea
nell’interessato un certo autocontrollo per cui il ragazzo,
informato e motivato, pur possedendo sempre il suo colorito vocabolario e adoperandolo ancora (nella foga del
gioco, come scarica di una tensione, nelle competizioni
verbali con gli amici, in un impeto d’ira, ecc.) si fa tuttavia scrupolo di ricorrere a… sinonimi meno crudi o di
attenuare il concetto in certe determinate situazioni
(dialogando con le compagne, ad esempio), non per ipocrisia, si badi, né per asservimento alle convenzioni sociali della cosiddetta “buona educazione”, ma perché,
divenuto consapevole delle implicazioni morali e psicologiche del termine, è ora in grado di padroneggiare liberamente le proprie reazioni, di oggettivare i propri stimoli, di razionalizzare certe emozioni, di emanciparsi insomma dalle suggestioni di massa, diventando capace di
scegliere diversi strumenti per situazioni differenti.
Fra le occasioni di intervento educativo sono da annoverare anche le canzoni “goliardiche”, cioè con contenuto scabroso, che fioriscono lungo i corridoi o tra i
banchi di quelle classi dove maggiore è il numero dei ripetenti, dei ragazzi disadattati o disturbati al di sopra
dei quattordici anni, canzoni che vengono talvolta intonate con beffardo accento di sfida per le “caste”orecchie
degli adulti. È, questa, il più delle volte una “provocazione” da non lasciar cadere, in quanto nasconde quasi
sempre una protesta, un disagio, un problema e che non
va comodamente eluso, catalogandolo sotto la voce generica “maleducazione”, “indisciplina”, “dilagante malcostume”, ma deve essere affrontato, per portare alla luce le cause remote di questo esibizionismo.
Qualcuno, a questo punto, mi potrebbe accusare di
fare di ogni minimo pretesto un’occasione per parlare ai
ragazzi di sesso, di attribuire il più banale incidente, il
più innocuo, a una spinta erotica interna, di esagerare,
49
Giovanna Righini Ricci
insomma! Può anche essere; ma non va dimenticato
che, direttamente o indirettamente, ogni manifestazione
abnorme o inconsueta del preadolescente, sia egli integrato nel sistema o emarginato, sereno o disturbato, è
quasi sempre un riflesso della sua sfera emotiva, e affonda le radici, anche se camuffate nel travaglio essenziale
tipico dell’età puberale. Mi spiego con un esempio: recentemente ho affrontato l’argomento “canzoni da taverna” con un gruppo di ragazzi di terza (una classe non
mia e, quindi, con la quale non esistevano le premesse
per un dialogo aperto, chiarificatore), quasi tutti i quindicenni e sedicenni, provenienti da strati sociali poco
abbienti, afflitti da carenze affettive, da lacune espressive e, soprattutto, dalla certezza di essere dei paria, dei
“bollati”, per cercare le motivazioni che li spingevano a
cantare a squarciagola, davanti alla porta della scuola,
una canzone decisamente lubrica, che si diffondeva, con
ricchezza di particolari, su certi “attributi” femminili; e
mi sono sentita rispondere con estrema franchezza, che
era uno “sfogo”, che la cantavano perché erano “arrabbiati”, che era un modo per “tirare a campare”, che loro sapevano solo quella, che era meglio non prendersela se l’insegnante aveva appioppato a quasi tutti, quella
mattina, dei voti “da schedina del totocalcio”, e se il
giorno successivo avrebbero dovuto portare “a quella
la” (una donna elegante, ricca, integrata nel sistema, distaccata nei riguardi di questi ragazzi “difficili”, giudice
e professoressa, più che educatrice) i voti firmati dai genitori! Inconsapevolmente essi, ora, la “punivano” (con
questa canzonaccia che esaltava la virilità, facendo scadere, al rango di oggetto, la donna per il suo distacco, la
sua non disponibilità, la sua freddezza di insegnante e di
donna. Ecco che una protesta contro metodi didattici
antiquati, repressivi, selettivi, si colorava di un’ambigua
velatura sessuale perché, ripeto, in questi adolescenti disturbati tutto acquista spesso, a loro insaputa, colore,
50
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
sapore, parvenza sessuale; e proprio di qui si deve partire per cercare di risolvere i loro conflitti, senza compiacimenti, ma anche senza crearsi quell’ipocrita alibi
dietro il quale si trincera di solito l’adulto, genitore educatore o insegnante che sia, il quale in questi casi fa finta di “non sentire” e passa oltre, fuggendo queste provocazioni che spesso sono un grido d’aiuto, un campanello d’allarme.
Quando il metodo autoritario e repressivo risulta deleterio
È chiaro che reagire usando il metodo autoritario e repressivo risulta in questi casi deleterio, in quanto contribuisce solo a ristabilire un ordine apparente, rimuovendo
momentaneamente l’ostacolo, confinandolo a livello di
inconscio, da dove però, alla prima occasione, tornerà a
balzare alla superficie, di colpo, inaspettatamente, per palesarsi in forme via via più violente, esasperate ed esasperanti. Spesso questi ragazzi difficili hanno bisogno di una
mano tesa, di un dialogo spassionato, “alla pari”, che restituisca loro dignità di individui pensanti, di ottenere da
parte degli adulti (e degli insegnanti, in particolare) attenzione e possibilità di parlare, di aprirsi: tutti gli adolescenti hanno uno sconfinato bisogno di confidarsi, di protestare di esporre arruffati pensieri, di polemizzare: talvolta
basta ascoltarli, con calma, con pazienza dando loro la
possibilità di oggettivare a se stessi e agli altri, sensazioni,
stati d’animo e velleità: la scarica emotiva che ne consegue
assume in loro una funzione catartica; essi si sentono sollevati, più obiettivi, più disposti all’accettazione degli
eventi, alla giustizia, con un’equità e un’intransigenza verso se stessi e verso il prossimo molto maggiori di quelle
degli adulti, perché non offuscate da opportunismi o da
infingimenti, pronti all’autocritica, senza tuttavia colpevolizzarsi troppo, ma dimostrando talvolta un senso di
houmor e ironia che li affranca moralmente, rendendoli,
per ciò stesso, meno vulnerabili.
51
Giovanna Righini Ricci
Lungo i corridoi della scuola o sussurrate tra i banchi, in attesa dell’insegnante, circolano spesso anche
barzellette “spinte” che, nell’età dagli undici ai tredici
anni, hanno quasi sempre per argomento le funzioni
corporali o certi “attributi” femminili; anche questa può
essere un’occasione per intervenire, a condizione però
che esista già, tra educatore e alunni, un’apertura al dialogo, una fiducia reciproca, un’intesa; guai, invece, se
l’insegnante prende l’iniziativa “ex abrupto”, entrando
con cipiglio nel gruppo, per “sapere”! Il gesto appare
immediatamente fiscale e inquisitorio oppure assume
agli occhi dei ragazzi l’aspetto di una trovata inconsueta, di una permissività, di una complicità non motivata
psicologicamente (“la proffe si lascia raccontare da noi
le barzellette sporche!”) che torna a danno sia del prestigio dell’educatore sia dell’equilibrio dei preadolescenti, che l’avevano collocato su un piedistallo, conferendogli, attraverso un transfert non inconsueto nel periodo della pubertà, un alone di superiorità morale: ora,
invece a causa di questo immotivato intervento, l’insegnante scade dal suo ruolo di guida, deludendo gli uni,
confondendo gli altri, senza ottenere né vera apertura né
consapevolezza: alla sua azione incauta corrisponde, infatti, quasi sempre una reazione di chiusura imbarazzata da parte degli alunni o di malintesa licenziosità, comunque di confusione dei valori. L’opera educativa deve
essere invece sempre equilibrata e non cedere né alle facili suggestioni dell’autoritarismo, né alle sirene della
permissività: l’uno crea dei conformisti, dei robots, degli esseri psicologicamente schiavi, degli “oppressi”2;
l’altra, degli instabili, dei disadattati, i quali non sanno
riconoscere i limiti della libertà individuale e trovare la
sicurezza e la forza dell’autodisciplina: l’insegnante si rivela educatore vero quando sa guidare, con umanità ma
2 L. FREIRE, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano.
52
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
anche con fermezza, i ragazzi, aiutandoli a capire il loro
ruolo di esseri civili, a prendere coscienza della realtà,
ad attuare le proprie scelte, nel rispetto delle libertà individuali, nell’equilibrio, nell’ordine. Tornando alle barzellette, se invece l’insegnante è riuscito a instaurare, nel
corso della sua opera didattica, un vero dialogo promotore di interessi e li ha abituati alla fiducia, al rispetto, alla franchezza, allora può , senza timore di essere frainteso, intervenire, per conoscere le motivazioni profonde
di queste barzellette, per scoprire che cosa spinga i ragazzi a parlare tanto di attributi sessuali e di funzioni fisiologiche, per rendersi conto cioè, di persona, se si tratti solo di curiosità, tipica dell’adolescenza, oppure di eccitazione morbosa che nasce dalla ignoranza o (cosa più
deleteria!) da distorte informazioni, oppure dall’esibizionismo di alcuni ragazzetti più adulti, i quali esercitano sui compagni (più immaturi e quindi sprovveduti) un
ascendente pericoloso, con la loro aria di “duri” consumati a tutte le esperienze, di “dritti”.
La presenza del materiale pornografico nella scuola
Talvolta capita di scoprire che entrano nella scuola,
clandestinamente, riviste pornografiche (si veda la scheda n. 2). Anche in questo caso la reazione puritana, la reprimenda, la sanzione, lo scandalo sortiscono quasi sempre un effetto negativo, in quanto tale reazione suscita
nel “colpevole” una convinzione di audacia, di temerità,
circonfondendolo di un’aureola di eroismo agli occhi
dei compagni meno maturi e creando, nello stesso tempo, un’atmosfera torbida ed eccitante che contribuisce
ad alimentare i tabù, le storture, i falsi pudori: il “caso”
rapidamente si allarga, passando di bocca in bocca, tra
sussurri e sorrisetti; esce dalla scuola, entra nelle famiglie; strada facendo si arricchisce di punto esclamativi,
di sottolineature, di “grimaces” allusive: il tutto è altamente diseducativo! Molto meglio, invece, prendere de53
Giovanna Righini Ricci
cisamente in mano la situazione, affrontare il problema,
per cercare di capire il perché di tale comportamento:
desiderio inconsapevole di apparire molto audace e virile agli occhi dei compagni? Bisogno di vedere, di scoprire la realtà e se stesso, attraverso delle immagini scabrose? Tendenza al voyeurismo? Deviazione? Bravata? Tutto questo si può appurare solo impostando con il ragazzo (e con la classe, testimone e corresponsabile del “fattaccio”) un dialogo schietto, senza sottintesi né allusioni
tortuose, ma chiarificatore, che faccia cioè decantare la
carica emotiva suscitata dal fatto di essere stati scoperti
mentre leggevano una rivista pornografica, per “soli uomini!”, portando alla luce quelle motivazioni e quelle
sensazioni che represse, potrebbero piano piano anche
ingigantire, assumere un aspetto patologico, diventare
nevrosi o addirittura psicosi.
Durante il dibattito che seguirà l’inchiesta (la quale
non sarà mai inquisitoria, ma improntata alla comprensione e alla fiducia) emergeranno certamente degli
aspetti psicologici e delle giustificazioni che saranno
una “spia” preziosa per capire emozioni e stati d’animo, necessità e sollecitazioni; può accadere anche che
si venga coinvolti direttamente e richiesti di un giudizio personale (“Perché, secondo lei, queste riviste sono
proibite in Italia, mentre circolano liberamente in Danimarca? Perché, da noi, è assolutamente vietato vendere materiale pornografico?”); a questo punto è doveroso dare ai ragazzi la propria risposta, in prima persona, motivando il perché delle proprie opinioni del proprio modo di sentire e allargando lo sguardo alle componenti di carattere storico, sociologico e ambientale
di certe “morali comuni”, di certe proibizioni, di certi
consensi, e giustificando così, scrupolosamente, la propria adesione o riprovazione, alla luce di personali convinzioni umane, morali, psicologiche, oltre che delle
leggi e delle convenzioni sociali. In questa maniera, at54
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
traverso una disamina ampia e articolata dell’argomento, il ragazzo è messo nelle condizioni di rendersi conto del “diverso”, delle implicazioni personali, oltre che
oggettive, che sottendono il nostro operato e, nella
maggior parte dei casi, è in grado di acquisire una consapevolezza civica che gli permette di scegliere la sua
strada, qualunque essa sia (rispettosa delle convenzione e della morale, oppure libera) con la convinzione
che non si deve coinvolgere il prossimo, senza che questi ne sia pienamente cosciente, perché questo significherebbe attentare alla libertà individuale e assumere
gravi responsabilità, morali e civili.
I giochi a sfondo sessuale, lo scambio di bigliettini
A livello di prima media non è infrequente anche
sorprendere qualche scambio di “bigliettini” più o meno innocenti, ma sempre con un substrato erotico o allusivo. È anche di moda, specialmente in certi ambienti piuttosto chiusi, provinciali, legati a rigide convenzioni, il gioco “delle paroline”: una ragazzetta della
classe (in genere la più timida e sprovveduta) viene
scelta come “vittima” del gioco e, di solito durante l’intervallo o la ricreazione, viene costretta ad appartarsi
in un angolo del corridoio dove, tra la confusione,
l’aspetta un ragazzotto intraprendente (quasi sempre
di seconda o di terza media) il quale ha il compito di
dire delle “paroline” audaci alla “morosa” di turno; i
compagni, intanto, fanno cerchio attorno alla malcapitata, sganasciandosi dalle risa, mentre il disagio, l’emozione, il turbamento della poveretta, che si sente alla
berlina, aumentano progressivamente fino alle lacrime
o fino alla reazione violenta: o essa si dà a una fuga precipitosa oppure (come è capitato recentemente) prende a sberle tutti quelli che le stanno alle costole, “innamorato” e aguzzini. Un gioco in apparenza innocente,
ma invece sottilmente perfido e pericoloso, in quanto
55
Giovanna Righini Ricci
lede un imprescindibile diritto alla privacy, alla libertà
individuale e, soprattutto, ferisce la ragazzina in ciò
che, a questa età, è più vulnerabile: il pudore. Ho avuto la misura di tutta la gravità di questo “gioco” per caso, mentre sostavo, durante la ricreazione, in un corridoio superaffollato di ragazzi vocianti: una bambina,
ancora piccola e immatura, con il viso pulito e i capelli raccolti a pagnottella sul capo, con il grembiule tutto bene abbottonato, il colletto bianco senza una grinza, passeggiava sola, con aria tranquilla e assorta. Poco
dopo l’ho perduta di vista distratta dalla marea vociante; accostandomi di lì a qualche minuto alla macchinetta automatica che distribuiva caffè, me la son vista passare davanti, scarmigliata, con il colletto di traverso e
con tutti i bottoni strappati: in qualche punto mancava
perfino un lembo di stoffa, perduto (come poi appurato), nel tentativo di sottrarsi alle mani dei compagni
che la sospingevano, recalcitrante, verso l’angolo: da
questa reazione ho colto tutta la carica di tensione e di
paura di questa ragazzina sottoposta a una violenza
che, a causa della sua indole e della sua fragilità, poteva crearle un trauma simile a uno stupro ricevuto in età
matura, ed essere l’origine, pur nella sua apparente innocuità, di future nevrosi o deviazioni.
Saper cogliere le occasioni
Si potrebbe continuare all’infinito nella enunciazione
delle occasioni dalle quali possono scaturire approfondimenti di carattere psicologico, pedagogico, sessuale:
dalla vista dell’agnellino che viene alla luce in mezzo al
prato, proprio davanti alla scuola, sotto gli occhi attentissimi dei ragazzi i quali sono stupefatti nel vederlo, di
lì a poco, già in piedi, trempellante sulle incerte zampette, al racconto della ragazza un po’ semplice che afferma
di essere nata “con la camicia”; dal neonato che una giovane madre, affaticata per la recente gestazione ma fie56
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
ra, esibisce, in una carrozzina tutta fronzoli, all’uscita
della scuola, dove è venuta a prelevare il figlio maggiore, agli interrogativi scaturiti dalla lettura di un’esperienza sugli anatroccoli, condotta dal Lorenz3; dalla narrazione delle vicende della vita dei singoli ragazzi e dai loro ricordi d’infanzia (enuresi notturna, controllo degli
sfinteri, suzione del pollice, ecc.) alla proiezione di filmati sulle prime reazioni e conquiste di un neonato, ad
approfondimenti di carattere scientifico e biologico.
(Ogni volta che, ad esempio, parlando dell’origine della
vita e della comparsa dell’uomo sulla terra, si allude alla
teoria secondo la quale l’essere umano sarebbe stato in
origine un anfibio con sembianze di rettile, teoria suffragata dalla constatazione che, durante la vita prenatale,
l’embrione si trova immerso nel liquido amniotico e ha
forme caratteristiche simili ad altri esseri acquatici, scaturisce immancabilmente, da parte dei ragazzi, una selva di interrogativi e tutta la classe, vivamente motivata,
chiede di saperne di più: la storia delle origini, le vicende dei lontani progenitori, la loro esistenza prenatale, la
loro evoluzione sono in quel momento ai loro occhi più
elettrizzanti di un romanzo avventuroso. Sugli undicidodici anni i ragazzi, infatti, sono ancora strettamente
legati alle figure parentali e tutto ciò che riguarda la loro famiglia, la loro esperienza, il mondo favoloso dalle
origini li entusiasma: di qui la opportunità di impostare
un discorso di carattere sessuale, che sia di informazione ma soprattutto, di formazione, in quanto nel nostro
intervento non deve mai mancare la componente psicologica, pedagogica, sociologica: i ragazzi vanno seguiti e
illuminati su tutto quello che riguarda il loro corpo, la
loro mente, il loro divenire, i problemi della crescita, le
norme igieniche essenziali, i fenomeni e gli avvenimenti
che li coinvolgono e la cui ignoranza può essere causa di
3 K. LORENZ, L’anello di Re Salomone, Adelfi, Milano.
57
Giovanna Righini Ricci
una lacunosa e malcerta formazione della loro personalità. Come si vede, una gamma molto varia di spunti e di
occasioni, da cogliere al volo per essere sempre presenti, nel divenire spesso travagliato dell’adolescente, con
discernimento e con pudore, ma anche con franchezza e
con chiarezza di idee, perché un discorso concreto giova sempre ai ragazzi, ai quali infatti non sono congeniali ambiguità e mezzi termini: tali virtuosismi sono propri
della psicologia degli adulti, impaniati in convenzioni e
sovrastrutture; ai ragazzi sta bene un discorso chiaro,
pulito, che li aiuti a essere schietti e senza sottintesi, nell’anima come nel corpo, di cui si deve aver somma cura,
con dignità, senza narcisismi ma anche senza avvilirlo a
strumento o degradarlo viziosamente e senza mortificarlo con dannosi falsi pudori e complessi di colpa.
4.
IL DOSAGGIO
(COME, QUANDO, QUANTO)
L’educatore, il quale abbia in animo di affrontare il
compito impegnativo di aiutare i ragazzi a risolvere i loro problemi esistenziali, deve avere ben chiari nella
mente le finalità da perseguire e i limiti da imporre ai
propri interventi e al proprio linguaggio, per non incorrere in errori e in imprudenze. Di qui la necessità di un
sapiente “dosaggio” della quantità di informazioni di carattere sessuale, da impartire di volta in volta ai ragazzi:
non si deve mai dire loro tutto, ma porgere soltanto l’aiuto e il chiarimento richiesti, al momento opportuno, nei
modi e nei tempi, nella quantità e nelle qualità delle informazioni adatte alla situazione, alle capacità, alla recettività e maturità del richiedente, alle sue esigenze e all’urgenza dei suoi problemi: una dose massiccia di informazioni, non sollecitate dal ragazzo e quindi non motivate psicologicamente, può recare dei danni e perfino
58
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
creare dei traumi, altrettanto pericolosi dell’ignoranza e
della “disinformazione” (si veda la scheda n. 13). Al ragazzo si deve offrire solo l’aiuto di cui ha bisogno in quel
momento e se a lui interessa sapere che cosa sia, ad
esempio il controllo degli sfinteri, è perfettamente inutile dilungarsi con lui sulla descrizione anatomica dei suoi
organi genitali: ora a lui questo non interessa. Più tardi,
quando la spinta interna lo guiderà o se ne presenterà
l’occasione, egli porrà un’altra domanda riguardante i
suoi organi; e allora sarà il caso di fornire, con esattezza,
l’informazione richiesta, perché egli sarà maturo per riceverla e per recepirla nel migliore e più sereno dei modi;
ma solo allora, non prima: è il ragazzo, con le sue necessità e i suoi problemi che deve orientare i nostri interventi,
non siamo noi che dobbiamo imporgli un ritmo di apprendimento e di sviluppo.
Questa “parcellizzazione” delle informazioni, operata secondo le necessità e le richieste, rende molto più
agevole e naturale tutto il discorso di carattere sessuale
ed evita anche quello che spaventa molti insegnanti, i
quali sono desiderosi di affrontare in classe, con i loro
ragazzi, argomenti di educazione sessuale, ma sono pieni di tremori, perché non ancora affrancati da lontani tabù, e timorosi di dover spiegare anche “quello” (e per
“quello” intendo l’atto sessuale, la copula); parecchie
colleghe mi hanno infatti più volte confidato che sarebbero ben liete di affrontare e discutere con gli alunni certi problemi, ma ne sono impedite dal timore di dover rispondere a domande “scabrose”, cui il proprio pudore
si ribella.
Ebbene: se si sono abituati i ragazzi a capire gradatamente le cose, quella domanda non verrà posta, e, si
badi, non per un senso di pudore o di colpa, ma perché, immessi gradatamente nell’argomento, abituati a
intuire, a dedurre, a ragionare, giungeranno da soli alla soluzione del problema che tanto preoccupa la mag59
Giovanna Righini Ricci
gior parte delle insegnanti e non avranno bisogno di ulteriori delucidazioni; oppure la domanda “fatidica”
verrà posta, in forma semplice e serena, con tranquilla
fiducia (senza cioè i sorrisetti e le smorfie che si rilevano in una classe non ancora preparata “emotivamente”
all’argomento); in questo caso non si dà una risposta
collettiva, ma si fornisce, a parte, all’interessato, una
brave spiegazione scientifica (cercando di capire soprattutto quanto sappia e come sappia già). Le poche
volte in cui mi è accaduto di dover rispondere direttamente a questa domanda, è bastato che io facessi
l’esempio della mano e del guanto perché subito i ragazzi (naturalmente già informati sulla anatomia dei
due sessi e sulle analogie tra il maschio e la femmina)
intuissero e ne fossero appagati: come si vede, nessuna
situazione scabrosa, nessuna necessità di usare vocaboli spinti, di entrare in particolari intimi.
Va sempre tenuto presente, a proposito di informazioni di carattere sessuale, che, a parità di età, si rileva
spesso nei ragazzi uno sviluppo psicofisico molto diverso: nella stessa classe, infatti, accanto al preadolescente già maturo per un approfondimento di carattere sessuale personale, si trova il compagno ancora psicologicamente immaturo, legato alla sfera del fantastico, desideroso quindi di “essere lasciato in pace”, di
non essere cioè coinvolto in un discorso per lui prematuro; tale sfasatura si avverte soprattutto sui tredici anni, a livello di seconda, in classi miste, dove si nota che
le ragazzine sono già quasi tutte protese a sondare, a
esplorare, a capire quanto sta avvenendo in loro, mentre i compagni sono spesso ancora fanciulleschi, amanti dei giochi collettivi, chiassosi, nei quali poter sfogare
la loro carica emotiva e la loro energia, ancora lontani
dai turbamenti della pubertà. È compito allora dell’educatore consapevole fare in modo di riuscire a risolvere gli interrogativi e i dubbi delle prime senza sol60
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
lecitare un interesse fuori luogo (perché non motivato
psicologicamente) nei loro compagni. Questo problema, naturalmente, non sorge con tale urgenza in classi
omogenee (solo maschili o solo femminili) dove l’insegnante è agevolato anche dal fatto che si rivolge a ragazzi con analogo sviluppo psicofisico e con problematica sostanzialmente simile. Il discorso risulta tuttavia
molto più concreto e formativo se rivolto ad ambo i
sessi, contemporaneamente, in una classe mista, in cui
la presenza degli uni e delle altre cala la problematica
nella realtà concreta e dove il fatto stesso che maschi e
femmine, insieme, con serietà e con rispetto reciproco,
dibattano i loro problemi è già una forma di emancipazione morale e di educazione sessuale in atto. Il primo
effetto di questo educarsi reciproco lo si rivela nel
comportamento: irruenti in un primo tempo e pronti a
mettere le mani addosso alle compagne, i ragazzi a poco a poco imparano ad aver rispetto dell’altro sesso, a
sentire il corpo come un bene prezioso, da non avvilire e da non mortificare, mentre le ragazze perdono
quella carica di civetteria e di ostentazione che porta a
essere sempre un po’ subdole e provocatorie nei confronti dei compagni; gli uni e le altre acquisiscono
quella consapevolezza tranquilla e quella consuetudine
alla convivenza che favoriscono il nascere di gruppi di
lavoro affiatatissimi e amicizie profonde, basate sulla
stima, sulla fiducia, sul rispetto, sulla collaborazione
reciproca.
“A ciascuno il suo”: questo dovrebbe essere il motto dell’educatore che intenda compiere opera veramente costruttiva, agendo con i ragazzi e per i ragazzi,
in veste di operatore sociale, che svolge la propria attività al servizio dei giovani, delle famiglie, della comunità.
Egli deve sempre calare la sua azione nella realtà, in
cui si trova a operare, per essere veramente certo di aiu61
Giovanna Righini Ricci
tare tutti e ciascuno, secondo le necessità, servendosi di
volta in volta di mezzi diversi: dalla conversazione individuale e collettiva4, sempre “promotrice” e chiarificatrice, ai colloqui con i familiari, alle delucidazioni scritte, ai diari personali5, ecc. Tuttavia, pur nelle varie angolature, nella diversa articolazione della materia, nei ritmi
differenti che caratterizzano questa impostazione metodologica, c’è sempre, a dare ordine a ogni intervento,
“un filone” conduttore, un canovaccio invisibile che sottende la didattica, anche se questa può apparire svagata,
sfumata, per motivi contingenti (quali la diversa sensibilità, l’età e le differenti esigenze dei singoli), onde renderla accessibile a tutti, nel rispetto della libertà di ciascuno. Tale filo conduttore comprende:
1) a livello di 11-12 anni: il concepimento, la gestazione, la nascita, i problemi del neonato.
2) a livello di 12-13 anni: i problemi del bambino, le
sue conquiste, la sua evoluzione, dalla primissima infanzia all’età puberale.
3) a livello di 13-14-15 anni: la differenziazione dei
sessi e i problemi biologici, psicologici, sociologici dei
preadolescenti.
Questa, naturalmente, è solo una traccia, molto sommaria e indicativa di un programma che deve essere fluido e suscettibile di articolazioni, in quanto destinato a
quella realtà in fieri che è il preadolescente.
5.
IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE
È di fondamentale importanza, per una buona riuscita dell’opera educativa, la collaborazione diretta con le
famiglie dei ragazzi, con tutte le famiglie. A tal fine, si
4 “Confidenze provocate” le definisce il Binet.
5 Il Debesse li cataloga sotto la voce “introspezione guidata”.
62
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
deve impostare, a partire dai primi giorni di scuola, un
dialogo aperto con i familiari, di chiarificazione e di
apertura, che immetta i genitori nel vivo del contesto
scolastico, rendendoli così compartecipi e corresponsabili di ogni azione educativa che coinvolga i loro figli.
I primi incontri saranno destinati a una conoscenza reciproca; si passerà quindi a chiarire ai genitori finalità didattiche, a illustrare le proprie metodologie, richiedendo
contemporaneamente una franca esposizione dei personali punti di vista e delle aspettative di ciascuno sui vari
problemi scolastici in generale e sul problema dell’educazione sessuale in particolare, onde avere immediatamente la misura della loro apertura, resistenze o chiusura di fronte a questo delicato settore dell’educazione.
Ogni dialogo sarà volto anche a percepire il “clima” in
cui il ragazzo vive, il substrato culturale, le esigenze, le
motivazioni, il tipo di educazione impartita dai genitori,
il grado di inserimento della famiglia nel contesto sociale, l’eventuale disadattamento, ecc.
È onesto oltre che opportuno, in questi incontri essere
espliciti, spiegando con molta franchezza e con estrema
chiarezza i propri intendimenti e i propri punti di vista,
perché le famiglie sappiano a chi affidano l’educazione
dei loro figli e quale sarà l’indirizzo che verrà seguito nel
corso della didattica6. Da questo clima di spontaneità e di
franchezza scaturirà immediatamente la possibilità di intessere, per quanto riguarda il problema dell’educazione
sessuale, una preziosa collaborazione scuola-famiglia:
qualunque sia infatti la preparazione e la sensibilità dell’educatore, la sua attitudine, il suo grado di intuizione e
di penetrazione psicologica, la sua competenza pedagogica, l’opera diretta della famiglia nella educazione del
preadolescente risulta sempre (salvo casi rarissimi) molto
6 Come auspica anche Mario Lodi nella prefazione del suo Paese
sbagliato.
63
Giovanna Righini Ricci
più valida di quella dell’insegnante: in altre parole, per
certi problemi, per certi aspetti del suo divenire psicofisico, è sempre preferibile che il ragazzo sia messo in condizione di rivolgersi alle figure parentali, che riceva dai genitori le informazioni, i lumi, i consigli, di cui ha bisogno,
in quanto questo intervento è veramente formativo perché più naturale “nella logica” delle cose.
Di qui allora la necessità di conoscere esattamente la
disponibilità dei genitori, la loro capacità di collaborare
con l’insegnante; di qui anche la opportunità di sapere
quale tipo di informazione e di educazione essi abbiano
impartito, in fatto di materia sessuale, quale rapporto
abbiano instaurato con i figli, quale possibilità di apertura al problema esista.
Appena si sia giunti a una linea d’azione comune e reciproca (si veda la scheda n. 1 nella Parte II), si possono
stabilire tempi e modi di attuazione del progetto con
animo aperto ai consigli, agli interventi, ai legittimi ritocchi dei genitori, ai quali è opportuno richiedere anche (e non solamente per una istintiva cautela o per non
correre il rischio di essere accusati, da genitori retrivi,
di… corruzione di minore) un’autorizzazione esplicita a
procedere, autorizzazione che assume un valore psicologico, oltre che burocratico, in quanto con essa il genitore delega la scuola a svolgere un ruolo fondamentale nella educazione del ragazzo, senza che tuttavia la famiglia
sia inconsapevole o abdichi al suo potere discrezionale,
alla sua libertà di scelta, alla sua possibilità di interventi
diretti. In una società industrializzata, che scinde e disperde ogni giorno di più i membri dell’antica famiglia
patriarcale, tipica della società agricola di un tempo, si
fa sempre più impellente la necessità che, nella scuola
dell’obbligo, l’educatore affianchi o prenda il posto dei
genitori, con intelligenza e con discernimento, onde impedire che i ragazzi vengano “scaricati” nelle aule di una
scuola inadeguata (che funga solo da “area di parcheg64
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
gio”) facendo sì che i preadolescenti vengano immessi in
un “centro sociale” promotore di interessi e di personalità, capace di colmare quel vuoto lasciato dalla famiglia,
e di aiutare veramente il ragazzo, nella fase più delicata
della sua esistenza, a raggiungere la sua vera e completa
dimensione umana.
Purtroppo la scuola è ancora lontana da questa meta:
le mancano personale preparato in campo psicologico,
pedagogico, sociologico; difettano le strutture (scuola
integrata, tempo pieno); scarseggiano i mezzi. Per questo chi si senta in corpo l’ardore del pioniere deve servirsi di tutte le occasioni, per sollecitare la partecipazione attiva delle famiglie e dei vari Enti sociali, per immettere la scuola nel vivo dei problemi e della dinamica
giornaliera; a tal fine, si promuoveranno incontri frequenti e periodici con i familiari, e delle riunioni nelle
quali si discuteranno (alla presenza dei ragazzi, anche se
capita abbastanza spesso che, sia i genitori sia i ragazzi,
non gradiscano troppo incontrarsi per parlare di questi
problemi, per una sorta di pudore o di diffidenza invincibile; talora invece, genitori e figli si schierano gli uni
contro gli altri, polemici e vagamente ostili) insieme con
gli altri insegnanti e con gli esperti dell’équipe medicoscolastica, argomenti di interesse generale. A questo
proposito, devo sottolineare che sono risultati molto utili e formativi alcuni seminari condotti dagli “esperti”
(un sociologo, un pedagogista e un’assistente sociale)
prima separatamente con i genitori, con gli insegnanti e
con i ragazzi, per sondare reazioni, opinioni, necessità,
aspettative, sfociate quindi in incontri collettivi, per un
proficuo scambio di idee e di esperienze, per cogliere,
dei vari problemi, angolature diverse e punti di vista dei
genitori, dei docenti e dei discenti. Nella maggior parte
dei casi, i genitori si rivelano ansiosi di cooperare, di affrontare con i loro figli problemi sessuali; ma si confessano impreparati, confusi, afflitti da pudori ancestrali e
65
Giovanna Righini Ricci
non sanno come e quando iniziare il discorso con i ragazzi i quali, a loro volta, non abituati fin da piccoli al
dialogo, spesso sfuggono l’occasione, non si aprono o
diventano elusivi. Se la scuola viene loro in aiuto, porge
loro la mano perché non siano frustrate tante buone potenzialità e disposizioni, se gli esperti inquadrano i problemi, coinvolgendo nell’azione educativa le singole famiglie, il dialogo diventa subito veramente costruttivo e
promotore di civismo in quanto, attraverso la scuola, si
educano anche le famiglie e, di conseguenza, si contribuisce a elevare la società.
6.
L’ÉQUIPE MEDICO-SCOLASTICA
È bene chiarire a questo punto, dato che vi è stato un
accenno nel capitolo precedente, che la collaborazione
degli “esperti” è di fondamentale importanza nell’educazione sessuale.
L’insegnante infatti non deve avere la presunzione di
diventare un “deus ex machina”, un cervellone “di tutto competente”, in grado di risolvere cioè tutti i problemi dei preadolescenti: all’insegnante (sia egli il più sensibile, aggiornato, attento) per il ruolo specifico che
svolge nella scuola, spetta soprattutto il compito di attuare il “dèpistage”; cioè egli deve essere in grado di individuare, attraverso un costante e attento controllo della situazione, delle reazioni e degli stati d’animo dei suoi
ragazzi, problemi, turbe, carenze, e di formulare una
diagnosi del “caso”, generica, globale. A questo punto,
anche se egli è preparato, e psicologicamente, “motivato”, sarebbe incauto o addirittura pericoloso che si assumesse il compito di suggerire la terapia, improvvisandosi di volta in volta pediatra, psicologo o, quel ch’è peggio, psichiatra! All’insegnante è congeniale la individuazione dei problemi, la funzione di guida: egli deve aiuta66
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
re il ragazzo a trovare la sua dimensione, a capire se stesso e gli altri, non suggerire delle terapie specialistiche
per risolvere casi difficili o addirittura patologici. Quando il ragazzo presenti delle turbe, quando appaia chiaramente disturbato o disadattato, quando ci si accorga che
il problema esula dalle proprie competenze specifiche,
si deve far ricorso agli “esperti”, agli “addetti ai lavori”,
rivolgendosi all’équipe medico-scolastica (laddove esista
e funzioni realmente!) oppure orientando i familiari verso i “Centri specializzati” che possono operare interventi rapidi, con mezzi e con competenza adeguati.
Sarebbero estremamente deleterio, oltre che velleitario, che l’insegnante si sostituisse allo specialista (“ne sutor ultra crepidam”!), mentre invece rimarrà sempre
prezioso e insostituibile il suo apporto concreto nell’individuazione dei problemi e nell’orientamento. Non disperda quindi energie vitali in un campo che non gli
compete e dove potrebbe commettere errori irreparabili.
7.
IL CONSIGLIO DI CLASSE
Sarebbe necessario che tutti i docenti che compongono il Consiglio di Classe operassero concordemente,
orientando la loro didattica, i loro intendimenti verso le
medesime finalità, e attuando, con gradualità e in armonia, il processo di sviluppo della personalità del preadolescente; mentre tale coesione e unità di intenti e di finalità comincia a realizzarsi, anche se faticosamente, nel
campo della didattica in generale, per quanto riguarda
invece l’educazione sessuale, gli animi sono ancora divisi (quasi tutti gli insegnanti la respingono come scabrosa, inopportuna o prematura a livello di scuola media,
mentre qualche altro la imposta in maniera estemporanea, semiclandestina, senza coerenza e, quel che è più
67
Giovanna Righini Ricci
grave, senza convincimento!); è, questo, infatti, un settore troppo delicato, in quanto coinvolge non solo l’opera educativa da svolgere nei riguardi dei ragazzi ma anche la personalità dell’educatore, i suoi convincimenti, i
suoi tabù, le sue certezze, il suo modo di intendere il
proprio ruolo esistenziale e quello degli altri.
Se talora ci si accinge ad attuare la sperimentazione,
ci si accorge di essere quasi sempre soli, quando non si
debba lottare contro l’ostinata riprovazione dei colleghi
oppure contro un muro di assenteismo prudente (“fa
pure, ma non coinvolgermi”) contro un’ambigua approvazione generica (“sono d’accordo con te sul fatto che si
dovrebbe affrontare il problema, ma proprio non me la
sento: io, in fondo, sono un professore, non un igienista,
uno psicologo, una “balia asciutta”!).
Non manca tuttavia, a volte, il collega disponibile e
pieno di zelo, il quale si offre di darti una mano (in genere l’insegnante di religione o di osservazioni scientifiche); qualcuno di questi “volontari” però, trascinato
dall’entusiasmo, si abbandona all’estemporaneità e, non
avendo ancora ben chiari nella mente tempi, modi, gradualità e finalità degli interventi, finisce per recare un
contributo massiccio ma inopportuno (si veda la scheda
n. 13).
Ugualmente poco formativi sono risultati spesso, secondo la mia personale esperienza, i brevi corsi di informazione sessuale tenuti da specialisti, in quanto essi si
sono risolti ogni volta in un certo numero di informazioni scientifiche, esatte, che hanno trovato ascoltatori recettivi, attenti, ma freddi. È mancata cioè una “motivazione” interna che rendesse questi ragazzi veramente
partecipi: essi sedevano infatti là, desiderosi di apprendere, tutti presi dall’aspetto tecnico e scientifico del problema, ma non coinvolti emotivamente. Sono usciti quindi dall’esperimento più informati, con un bagaglio lessicale corretto, idee chiare (e non è poco) ma non matu68
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
rati “dentro”, perché il discorso era rimasto epidermico,
non scaturendo da una loro esigenza interiore, non essendo frutto di un travaglio personale.
A qualcuno dei ragazzi, anzi, questa inevitabile “smitizzazione del sesso”, questa conoscenza senza veli ha recato un senso di saturazione e quasi di disillusione: ancora impreparato a ricevere in forma massiccia tutte
quelle rivelazioni, si è sentito quasi anatomizzato, sminuito nella sua complessiva integrità di individuo.
Anche questo insuccesso ribadisce la necessità che
l’educazione sessuale significhi vivere le esperienze dei
ragazzi, essere aperti ai loro problemi, in qualunque momento, senza prevenzioni né preclusioni: impostare un
programma di educazione sessuale, dedicandovi alcune
determinate ore della settimana, porgere un certo numero di nozioni può soddisfare alcune esigenze di informazione e di chiarezza, ma lascia delusa tutta la carica di
emotività, di tensione; si rimane sulla soglia della sfera
affettiva dei ragazzi i quali, nel periodo puberale, più
che avere bisogno di conoscenze scientifiche e anatomiche hanno necessità di capire ciò che sta avvenendo in loro in quel determinato momento, e di sapere il perché.
Venire incontro a questa esigenza, sdrammatizzando,
rasserenando, rendendo consapevoli, significa veramente fare educazione sessuale.
8.
LA POSIZIONE DELL’INSEGNANTE
Ed eccoci quindi giunti a un punto essenziale del
problema: la posizione dell’insegnante nei riguardi dell’educazione sessuale da impartire ai ragazzi. L’educatore che si accinge a questo arduo compito deve avere le
idee ben chiare in proposito, qualunque sia l’impostazione metodologica che intenda dare alla materia ma,
soprattutto, deve essere in pace con se stesso.
69
Giovanna Righini Ricci
Ogni educatore, infatti, anche inconsapevolmente,
trasmette dei valori, dei modelli di comportamento, in
quanto, con la sua personalità, il suo temperamento, il
suo modo di porgere gli insegnamenti, la sua cultura, la
sua formazione spirituale, la sua presenza fisica, esercita
un’azione diretta sui ragazzi: alcuni di essi, anzi, per carenze affettive, per turbe psicologiche o anche semplicemente per un naturale processo di evoluzione, sono portati a identificarsi con lui, a imitarlo, a venerarlo ciecamente, come un idolo, oppure a odiarlo, a opporsi a lui,
come antagonisti. La posizione dell’insegnante quindi,
già così impegnativa di per sé, diventa estremamente delicata quando egli si assuma anche il compito di confidente, di guida, di educatore in una parola, dei ragazzi,
in quel momento critico che è la pubertà.
L’educazione sessuale, infatti, si può impartire in
molti modi, perfino a propria insaputa, attraverso il proprio comportamento. Non vorrei che, a questo punto, le
mie parole fossero fraintese: non intendo affatto dire
che sia neppure lontanamente ammissibile che ci si abbandoni, con i ragazzi, a un linguaggio e a un gestire meno che irreprensibilmente e castigato, per carità! Allora
sì che una denuncia per corruzione di minorenni sarebbe ampiamente giustificata! Voglio invece sottolineare il
fatto che il modo stesso di affrontare francamente un
problema o di eludere una spiegazione, di fornire delle
motivazioni schiette oppure reticenti, drastiche o sfumate, mettono istintivamente in luce il proprio personale
atteggiamento intimo di fronte all’argomento: in altri
termini, l’insegnante che intenda affrontare il problema
dell’educazione sessuale onestamente deve avere già risolto in sé ogni dubbio e conoscere molto bene la sua
posizione psicologica e morale, la propria concezione filosofica e religiosa nei confronti del sesso; solo quando
avrà superato ogni reticenza personale, ogni ambiguità,
potrà avere, infatti, la serenità e l’equilibrio necessari
70
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
per dedicarsi ai problemi dei suoi ragazzi. Commette
una grave imprudenza quell’insegnante che, avendo una
vita sessualmente tormentata, pur essendo combattuto
tra il desiderio di adeguarsi a nuove concezioni dell’esistenza e le resistenze e i pudori tipici di un’educazione
rigidamente impostata, si cimenta in questo campo: egli
non avrà sicurezza, serenità di giudizio e i ragazzi lo avvertiranno e ne saranno, inconsapevolmente, disturbati.
Chiarita a se stessi la propria dimensione interiore e
la propria posizione morale, tuttavia si presentano altre
ambivalenze: si può infatti assumere davanti ai ragazzi il
ruolo di operatore sociale che, in un dialogo alla pari,
aiuta il preadolescente a capire se stesso e gli altri, senza
proporsi a lui (almeno consciamente) come modello di
comportamento e rinunciando in questo modo a qualsiasi supremazia, a qualunque funzione “depositaria”,
per ricercare le verità degli altri e analizzare le svariate
angolature del problema, in una posizione non statica
ma dinamica, che fa della propria esperienza non una
pietra di paragone bensì una delle tante componenti di
una realtà poliedrica (“queste sono le possibili soluzioni
del tuo problema: a te ora la scelta della tua soluzione,
della tua verità, che può essere diversa dalla mia soluzione, dalla mia verità e di quella degli altri, anche se ugualmente valida, vera e degna di rispetto”). Oppure l’insegnante può dichiaratamente proporsi come modello di
comportamento (a condizione che, tuttavia, sia sempre in
grado di rimanere il più aperto, spassionato e obiettivo
che sia possibile), indicando ai ragazzi, di volta in volta,
le soluzioni che, a suo parere sono ottimali (“Io ti suggerisco questa scelta perché la ritengo la migliore”). Si
tratta quindi di un atteggiamento preciso, con implicazioni psicologiche, morali, sociali conseguenti e con un
alto grado di responsabilità personale.
Mi è estremamente difficile stabilire quale delle due
posizioni sia la più giusta e la più valida, anche se a me
71
Giovanna Righini Ricci
personalmente, risulta più congeniale la prima, che mi
permette di rimanere in ombra come persona e di agire,
con una sorta di “maieutica” socratica, per far venire alla luce i problemi di ciascuno, aiutando a prenderne coscienza e ad avviarli a soluzione, indipendentemente
dalle mie scelte e dalle mie opinioni. Va però da sé che,
dietro richiesta esplicita da parte dei ragazzi, io sono
pronta a fornire la mia visione della realtà, a esporre i
miei convincimenti, ma solo a titolo personale, e motivando ogni volta la mia posizione sia dal punto di vista
morale che sotto l’aspetto sociale e psicologico. Ad
esempio, di fronte alla domanda esplicita: “Lei, cosa ne
pensa delle esperienze prematrimoniali di due fidanzati?”, io esporrò francamente il mio pensiero, inquadrandolo però nel tipo di educazione ricevuta, facendo riferimento alla particolare cultura di cui sono il frutto, analizzando l’ambiente in cui sono vissuta, le ragioni umane, sociali, storiche che guidano le mie convinzioni (le
quali possono essere radicalmente diverse, ad esempio,
da quelle di una cittadina svedese, ma mettendo sempre
in risalto come entrambe le posizioni possano essere valide). Tutto questo al fine di aiutare i ragazzi a capire la
diversità delle opinioni, la relatività di ogni implicazione
morale e per renderli consapevoli e tolleranti, oltre che
informati e sicuri.
Per sgombrare il campo a possibili equivoci, mi preme a questo punto sottolineare che se, però, nel corso
di un dibattito riguardante i rapporti dei giovani con i
coetanei e con l’altro sesso, qualcuno dei miei ragazzi
mi domanda un parere personale sulle esperienze sessuali degli adolescenti, la mia risposta in merito sarà
chiara ed esplicita, non sfumata né probabilistica, in
quanto scienza, psicologia e sessuologia sono concordi
nel ritenere obiettivamente sconsigliabili e dannose le
esperienze sessuali precoci, in Italia come in Svezia, a
causa della obiettiva immaturità dei due partners, anco72
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
ra incapaci di una partecipazione affettiva consapevole
e profonda. In altre parole: su dati scientifici, biologici
e psicologici oggettivamente validi per tutti avrò lo scrupolo di fornire risposte nette e non elusive; su questioni
soggettive e, come tali, strettamente legate a particolari
concezioni morali o filosofiche, al grado di maturità degli individui, all’ambiente in cui vivono, alla cultura di
cui sono espressione, ecc. io esprimerò sempre dei giudizi estremamente rispettosi delle più diverse implicazioni.
È chiaro tuttavia che un tipo di intervento così apparentemente spersonalizzato risulta, in genere, più adatto
per quei ragazzi dotati di una spiccata personalità, di
una certa dialettica e di spirito critico; invece, per i preadolescenti incerti, bisognosi di appoggi, di modelli da
imitare, desiderosi di seguire l’esempio di qualcuno nel
quale essi ripongono stima e fiducia, può risultare più
rassicurante il metodo “depositario”, che trasmette dei
modelli di comportamento, delle verità dogmatiche, da
accettare globalmente (e talvolta - perché no? - anche da
respingere globalmente).
Il primo atteggiamento lascia infatti al ragazzo completa autonomia; il secondo lo guida invece con molta
fermezza. Nell’un caso e nell’altro l’insegnante deve
avere tuttavia costante lo scrupolo di sgombrare la propria mente da ogni pregiudizio, e di calarsi nella realtà
dinamica, in un’incessante ricerca del bene dei ragazzi,
che vivono proiettati verso il futuro e che hanno (e
avranno!) necessariamente esperienze, problemi, dimensioni che non sono più uguali a quelle delle generazioni che li hanno preceduti, come saranno certamente diverse da quelli delle generazioni che verranno.
Ciò che è giusto e vero per noi, in questo momento,
può non esserlo più per loro, domani: rendiamoli quindi pronti ad accogliere la loro esistenza e a farne l’uso
migliore!
73
Giovanna Righini Ricci
9.
IL CONTROLLO E LA VERIFICA
Nell’educazione sessuale non è ammissibile l’errore;
se si incorre in qualche inevitabile incertezza, essa non
deve tuttavia mai coinvolgere o danneggiare il ragazzo,
compromettendone la sviluppo psicologico: non si deve infatti dimenticare mai che si agisce su “materiale
umano” e che i ragazzi non sono cavie. In questo campo l’errore comporta quindi una responsabilità terribile.
È necessaria, perciò, da parte dell’educatore, una
estrema prudenza, una incessante revisione del cammino percorso, un esame attento delle azioni e delle reazioni dei ragazzi, una severa autocritica, onde avere sempre
il quadro completo della situazione e la misura della validità dell’opera educativa intrapresa, individuando tempestivamente, sul nascere, difetti di impostazione, rischi,
punti ambigui.
Un quaderno personale, con tutti i nomi dei ragazzi, ci
sarà sempre compagno: su di esso annoteremo ogni
giorno fatti, sensazioni, sfumature e ogni elemento atto
a mettere in luce tutti gli aspetti della personalità dei
preadolescenti.
Questionari-guida, periodicamente sottoposti ai ragazzi, avranno lo scopo di sondare opinioni, reazioni,
stati d’animo dei singoli alunni, aiutando anche ad approfondire la conoscenza di tutte le loro esigenze.
Molti altri sono i mezzi che si possono ingegnosamente escogitare per avere sempre la “temperatura”
del ragazzo, il quadro della situazione generale; quello che però risulta il più efficace, il più vero e “rivelatore, è il diario personale, usato non con intendimenti
scolastici, ma come effusione dell’anima, come confessione o momento di intimità (si veda la scheda n.
5).
74
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Di grande valore informativo sono anche i colloqui
periodici con i genitori, atti a conoscere il comportamento del ragazzo in seno alla famiglia e l’opinione
che di lui hanno i familiari, e il dialogo con lo psicologo e con gli altri esperti dell’équipe, cui non si deve ricorrere solo quando si presentano dei “casi” difficili
ma sempre, onde oggettivare, alla luce della loro
competenza specifica, le proprie sensazioni ed esperienze.
Ma quel che conta, soprattutto, è l’essere sempre padroni della situazione, sempre presenti a se stessi e agli
altri: momenti di stanchezza, di indifferenza, di distrazione, possono generare traumi e far incorrere in errori
psicologici, la cui portata è difficile rilevare.
Quello dell’educatore, come si vede, è un impegno
gravoso, che lo mantiene in perenne tensione, lo costringe a un farsi incessante: questo non va dimenticato.
10.
ALCUNE COSTANTI RILEVABILI
NEL COMPORTAMENTO
DEI PREADOLESCENTI
Nel corso delle mie esperienze didattiche ho constatato che, pur nella diversità di situazioni, di personalità, di livello culturale, di estrazione sociale, i preadolescenti della scuola media dell’obbligo reagiscono agli
stimoli di carattere sessuale seguendo inconsapevolmente alcune costanti che variano pochissimo con il
mutare del tempo, delle sollecitazioni ambientali, della
evoluzione biologica della specie.
Eccovi qualche esempio:
75
Giovanna Righini Ricci
RAGAZZE
11 anni
A undici anni le ragazzine sono quasi tutte particolarmente attente allo sviluppo del proprio fisico e invidiano le compagne che hanno la “fortuna” di ostentare già
un seno visibilmente formato: questo segnale sessuale
secondario rappresenta infatti ai loro occhi il simbolo
della femminilità e della emancipazione. Qualcun’altra,
invece, che ha uno sviluppo fisico piuttosto precoce,
prova un senso di disagio nei confronti dei compagni e
tende a nascondere i propri “segnali”.
12 anni
A questa età la ragazzina cerca “l’amica del cuore” e
vive in maniera emotiva il legame con una compagna.
Se quest’ultima dimostra di preferire l’amicizia dei
maschi, in un primo momento ne è molto gelosa e ne
soffre; successivamente, però, se messa a parte delle
confidenze “amorose” dell’amica, si stacca a poco a poco da lei, si rasserena, oppure diventa la confidente fissa
dell’amica, di cui condivide spesso gioie e pene amorose.
13 anni
Sui tredici anni generalmente la ragazzina ha superato già la crisi puberale e accetta il suo “ciclo” come cosa naturale; qualcuna anzi è molto fiera della sua completezza e femminilità e, nei giorni “critici”, domanda
con una certa aria di complicità, di poter uscire perché
“ha dei problemi”. Non mancano tuttavia casi di ragazze che non riescono ad accettare questo loro nuovo stato ed entrano in conflitto con la madre che, inconsapevolmente, giudicano responsabile del loro sesso, della
loro “condizione umiliante” (si veda la scheda n. 15); sono allora afflitte da crisi depressive, rifiutano il loro svi76
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
luppo, regrediscono psicologicamente, rivelano astio
verso il padre, disamore per tutti e per tutto.
14 anni
A quattordici anni le ragazze tendono a innamorarsi
di un “idolo” (cantante, attore, atleta) ma soprattutto si
innamorano dell’amore: per loro infatti è spesso più importante amare che essere amate. Si scambiano confidenze tra compagne sui giovanotti che le hanno colpite,
usando iperboli e un frasario melodrammatico (“è bello
da morire!”, “solo a vederlo mi sento svenire!”).
15 anni
In questo periodo la ragazza diventa più consapevole
e rivela spirito critico; vuole essere informata su tutti gli
aspetti del sesso e dà spesso giudizi piuttosto severi sulla sessualità e sul comportamento dei giovani. Con i
compagni tuttavia è molto esplicita e arrossisce difficilmente. Ama le festicciole, i giochi innocenti, ma con
sfondo erotico, e appare, affettivamente, piuttosto sicura di sé.
In famiglia tende ad acquisire autonomia e a staccarsi, emotivamente, dalle figure parentali. Qualcuna tuttavia rivela eccessiva intransigenza in fatto di morale e giudica la madre con una certa asprezza, oppure appare indecisa, scontenta, con repentini sbalzi di umore.
RAGAZZI
11 anni
A undici anni i ragazzi sono vivamente interessati a
tutto ciò che concerne la sfera sessuale e amano le “barzellette sporche” riguardanti in genere le funzioni corporali. A questa età sia i maschi che le femmine si appassionano allo studio di tutti i fenomeni riguardanti la vita
prenatale, la nascita e la crescita. I ragazzi rivelano, nel
77
Giovanna Righini Ricci
loro comportamento, punte di crudeltà e di sadismo
(deridono, ad esempio, ferocemente il compagno grasso
ed effeminato, e considerano le compagne, senza benevolenza, delle “racchiette” scodinzolanti). Sono molto
legati al concetto di famiglia e cercano in loro le tracce
della ereditarietà. Si documentano anche scrupolosamente sulla vita dell’embrione e pongono, sull’argomento, delle domande acute e intelligenti.
12 anni
Sui dodici anni il ragazzo diventa audace, fa “il fischio” alle ragazze, dice parole grosse, scherza con le
compagne, in una schermaglia che sembra innocente ma
che ha un sostrato erotico (ruba loro la byro, nasconde i
libri, fa la caricatura sulla lavagna). Generalmente ama
le feste chiassose e, quando si trova in gruppo, fa delle
“avances” alle femmine; appena però si trova a tu per tu
con la ragazza, diventa estremamente goffo e impacciato. Vuole esser informato scientificamente su ciò che sta
avvenendo nel proprio sviluppo e quello dell’altro sesso;
discute anche, accanitamente, di questi problemi con i
compagni; ora gli piacciono le storielle a carattere più
decisamente sessuale e “informativo”.
13 anni
A questa età la voce assume toni molto diversi, ma il
ragazzo ora ne sorride, avendo generalmente già superato il punto critico e accettato con naturalezza la sua evoluzione. I suoi rapporti con le compagne sono improntati a molta schiettezza e spesso sono ricchi di un sottile
humour. Nella schermaglia amorosa la ragazza rivela infatti più imbarazzo del suo compagno. Ora il ragazzo si
interessa a tutti i problemi sessuali (amore, esperienze
matrimoniale e prematrimoniali, deviazioni sessuali,
prostituzione, controllo delle nascite, ecc.) e si proietta
verso il futuro: è già in grado, infatti, di allargare il pro78
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
blema dal piano personale a quello sociale, etico, speculativo e tende spesso a opporre scienza a religione, a
mettere in discussione le verità dogmatiche, a polemizzare con gli adulti, verso i quali si rivela ipercritico,
estremista, intollerante.
15 anni
Verso i quindici anni il ragazzo è fiero della sua barba nascente e degli ispidi peli che gli ricoprono il labbro
superiore; legge riviste a sfondo sessuale e spesso pornografiche; ama il ballo soprattutto per il suo carattere erotico ed è molto intraprendente con le compagne.
11.
CARATTERISTICHE COMUNI AI DUE SESSI
Nel periodo che va dagli 11 ai 14 anni l’efficienza intellettiva sia dei maschi che delle femmine è in rapida
ascesa, anche se varia molto da soggetto a soggetto.
A 11 anni molti ragazzi di ambo i sessi si stupiscono
quando apprendono che nascono dei bambini anche al
di fuori del matrimonio, essendo in loro ancora molto
radicato il concetto di famiglia.
Sui 13 anni, di fronte a un ordine da parte degli insegnanti (“tu devi fare questo, senza discutere!”) solo una
minoranza dei ragazzi obbedisce per paura della punizione; altri si adeguano per compiacere l’insegnante, ma
senza convinzione; la maggior parte invece si sottomette
solo se l’imposizione corrisponde alle proprie convinzioni intime.
A 13-14 anni i ragazzi attraverso una crisi esistenziale che li mette in urto con le figure parentali e, in particolare, con il genitore del loro stesso sesso (“Non voglio
somigliare a mio padre!” tuona il ragazzo; “Io, con i
miei figli, non mi comporterò mai come mia madre!”
esclama con convinzione la ragazza).
79
Giovanna Righini Ricci
Verso i 15 anni parecchi adolescenti sono portati a
isolarsi dalla realtà quotidiana, a rifugiarsi in un mondo
fantastico, traendo spesso in inganno gli insegnanti che
danno di loro un giudizio negativo (“è intelligente, ma
svagato”); altri invece tendono a mettere in discussione
l’autorità dell’insegnante, a polemizzare con acume ma
anche con una punta di astrazione e di irrazionalità, che
fanno loro spesso perdere di vista la concretezza reale.
Molti adolescenti si domandano, ora, quale attesa circondi il loro agire; essi hanno bisogno di stima, di considerazione, di sentirsi trattati alla pari degli adulti, per
acquisire sicurezza in se stessi e nei loro mezzi.
Qualche ragazzo rivela tuttavia ancora instabilità
emotiva: ha improvvisi accessi di operosità, subito seguiti dall’abbandono di ogni attività, dalla inerzia, dalla sfiducia: lascia allora a metà tutte le opere intraprese e si
isola, per non essere obbligato dalla “comunità” a prendere qualche iniziativa, a fare delle scelte.
Altre volte gli adolescenti si rifugiano nel “gruppo”,
per sentirsi protetti, e dal gruppo assimilano comportamento e atteggiamenti stereotipati (un certo frasario,
una foggia trasandata nel vestire, un particolare tifo
per certi idoli del momento, siano essi attori, cantanti,
atleti, ecc.) che li “mimetizzano”: è come se si ponessero una maschera per sentirsi meno osservati, esposti e,
di conseguenza, più liberi intimamente.
Nei loro giudizi, questi adolescenti rivelano molto
spesso una rigida intransigenza e un esagitato estremismo, alternato a un grande desiderio di autonomia, di
apertura verso i problemi sociali; spesso assumono atteggiamenti di critica e di rifiuto delle istituzioni (che a
volte vorrebbero più efficienti e più severe); sempre
hanno bisogno di motivazioni per agire, di ideali, di un
aiuto per poter scindere il bene dal male, nettamente,
senza compromessi e, soprattutto, di poter vedere
chiaro nel loro futuro.
80
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Nei riguardi degli adulti, siano essi genitori, insegnanti o estranei, sono molto critici: se rilevano contraddizioni tra il loro “credo morale” e il loro modo di agire, perdono la stima e la fiducia (“Mio padre mi riempie
la testa di principi morali: “Bisogna essere onesti, rifuggire dagli imbrogli…”; poi mi accorgo che, per arricchirsi, per farsi largo nella vita, accetta i compromessi, la
disonestà, i sotterfugi!” Mi confessò un giorno un ragazzo di “buona famiglia”, divenuto “un caso difficile” per
il suo atteggiamento ribelle provocatorio).
L’adolescente è portato anche a mettere in discussione le pratiche religiose e i dogmi, ma ha un gran bisogno
di credere in qualcosa di soprannaturale; nel suo modo
di sentire, egli si trova spesso in bilico tra un residuo di
infantilismo che lo respinge verso il passato e l’urgenza
di proiettarsi verso il futuro: di qui la sua frequente instabilità emotiva, le sue incoerente.
Tanto in famiglia quanto nella scuola, la maturazione
psicologica dell’adolescente può essere danneggiata sia
da un’educazione rigida, di tipo repressivo e autoritario,
sia da un’educazione permissiva, che lo lasci abbandonato a se stesso, senza argini e senza guida.
L’adolescente che non riesce a trovare, nel contesto
scolastico o familiare, il proprio “spazio”, reagisce in diverse maniere: o tende a esibirsi, per essere al centro dell’attenzione, oppure regredisce a uno stadio infantile, per
essere commiserato.
Quando l’adolescente è in rivolta contro la società,
può giungere a meditare la fuga e perfino il suicidio, non
perché non ami più la vita, ma perché vuole “punire”
con la sua morte chi non gli ha teso una mano nel momento del bisogno.
L’adolescente che non ha ancora superato la sua crisi, non conosce ancora il suo ruolo, la sua vera identità,
può scivolare infine verso forme di vere e proprie alterazioni psichiche; ogni insegnante attento non deve mai
81
Giovanna Righini Ricci
sottovalutare o considerare con leggerezza i capricci e
gli sbalzi di umore dei suoi ragazzi, se vuole essere certo
di prevenire, con interventi tempestivi e adeguati, future forme patologiche7.
12
TRACCIA SCHEMATICA
DI UN ITER DIDATTICO ORIENTATIVO8
PRIMA CLASSE (anni 11-12)
Il concepimento - sviluppo dell’embrione - il periodo
prenatale e suoi problemi - la gestazione - implicazioni
psicologiche nella gestante, nel padre, nei familiari, nel
feto - caratteri ereditari - aborto - i prematuri - il puerperio - l’allattamento - i primi giorni di vita del neonato
- problemi di igiene - la fase oro-anale del neonato - le
sue prime reazioni e conquiste - il linguaggio - i primi
passi - lo svezzamento.
7 Nel libro di Luella Cole, Psycologie of Adolescence (Rinehart
and Company Inc. Publishers, New York), vengono elencate varie forme di alterazioni psichiche; eccone alcune: 1) fobie e stati compulsivi (spesso con rendimento scolastico e lavorativo superiore alla media); 2) neurosi ansiose; 3) ansietà, timore, senso
di inferiorità, colpa, gelosia, ostilità, ecc. (che si esprimono in
genere, in un comportamento esteriore di ipercompensazione);
4) oscillazioni patologiche dell’umore; 5) neurastenia, isolamento sociale; 6) isteria (con relazioni violente a una situazione che
disturba); 7) fanatismo (con eccesso di diffidenza, sospetto, rigidezza mentale, ostilità, ecc.); 8) personalità psicopatica (vita disordinata e senza scopo, egocentrismo, isolamento sociale, ecc.);
9) schizofrenia, con i seguenti sintomi: a) manierismo, smorfie,
ecc.; b) condotta asociale; c) apatia; d) tendenza a rigettare sugli altri le responsabilità, a fuggire dalla realtà, ecc; e) incoerenza, confusione, mania di persecuzione, ecc.
8 In corrispondenza con l’evoluzione psicosomatica del preadolescente, si suggerisce qui una indicazione metodologica e quantitativa di massima.
82
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SECONDA CLASSE (anni 12-13)
Vita e problemi del bambino - sviluppi della personalità - il gioco - la creatività - il mondo delle sensazioni - la conquista dell’io - il rapporto con le figure parentali - il complesso di Edipo - il complesso di Elettra - la vita individuale - il controllo degli sfinteri - la
vita in gruppo e le relative esperienze (ingresso nella
scuola materna e nella scuola elementare, con relative
implicazioni psicologiche - i rapporti con i coetanei,
con l’altro sesso, con le figure che rappresentano l’autorità - la pubertà (evoluzione psicofisica e differenziazione dei sessi) - norme igieniche essenziali - sensazioni, problemi, stati d’animo del preadolescente.
TERZA CLASSE (13-14-15 anni)
La pubertà e i suoi aspetti psicologici, fisiologici, sociali, ecc. - i problemi degli adolescenti (rapporto con i
coetanei, con l’altro sesso, con la famiglia, con la scuola,
con la società; l’amicizia, l’amore, la protesta, la droga,
la fuga da casa, ecc.) - la famiglia - l’incremento demografico - i figli non riconosciuti e le adozioni - il comportamento e le sue motivazioni (esperienze sessuali - prostituzione - deviazioni - pornografia - malcostume - la libertà e i suoi limiti - ecc.) - norme igienico-sanitarie nel
periodo della pubertà - l’aborto - il diritto di famiglia - i
problemi specifici di ciascuno (il sistema endocrino e le
sue disfunzioni - le polluzioni notturne - l’enuresi - la
masturbazione, ecc.).
Il tutto sotto forma di inchiesta, approfondimento,
discussione, esposizione personale, privata, ecc. A questo punto, infatti il “programma” diventa estremamente
fluido e articolato, in quanto ogni argomento scaturisce
non da un iter prefabbricato, ma dalle reali esigenze dei
ragazzi, dai fatti della vita quotidiana ed è, quindi, su83
Giovanna Righini Ricci
scettibile di continue variazioni, per risultare sempre
aderente alla personalità, alla natura dei problemi, alle
esperienze e alle necessità degli adolescenti.
84
Scarica

Premessa - Parte prima - Giovanna Righini Ricci