Edizioni digitali per la scuola L’editoria scolastica svolge un ruolo di grande importanza nella formazione delle scelte didattiche dei docenti. La modalità di uso del testo varia da docente a docente, tuttavia non viene mai meno il ruolo di orientamento che il testo svolge, per quanto riguarda non solo l’apprendimento degli studenti, ma anche la scelta dei contenuti operata dal docente. Gli anni più recenti hanno visto un crescente ampliamento del sostegno multimediale al testo cartaceo, fino a delineare una situazione in cui il substrato elettronico sembra destinato a diventare il canale principale di trasmissione dell’informazione. L’ebbrezza indotta dallo sfruttamento delle potenzialità ancora inesplorate delle nuove tecnologie comunicative non esime da una riflessione sul senso e sulla tendenza delle trasformazioni che stanno cambiando con rapidità le caratteristiche dei testi scolastici. La Redazione di NATURALMENTE propone le brevi considerazioni che seguono come spunto per avviare una discussione su questi temi, con il contributo di docenti impegnati sul campo e di quanti, all’interno delle Case Editrici, partecipano alla elaborazione delle strategie editoriali. Sarebbe sciocco e impossibile impedire alla scuola di prendere atto che la digitalizzazione e internet hanno cambiato il modo di comunicare. Inoltre, in rete sono a disposizione VINCENZO TERRENI di tutti opportunità planetarie di filmati, immensi archivi fotografici, Il libro, come ogni altro oggetto strumenti didattici a largo spettro già costruito dall’uomo, ha subito dei confezionati e messi liberamente a mutamenti tanto più profondi quan- disposizione. ti più ci si avvicina al momento attuale, nel campo della editoria scola- Una semplice domanda stica ormai non ci sono adozioni che Passare al digitale significa solo abnon comprendano il pacchetto com- bandonare la carta? Sarebbe già un pleto: libro di carta, complementi e passo in avanti. In altri Paesi i libri assistenza in rete. Ora pare che si digitalizzati, disponibili come file inizi una sperimentazione su larga PDF leggibili su qualsiasi hardware, scala nel nostro Paese per non “ri- sono già ampiamente diffusi. Ma è manere indietro” rispetto all’Euro- una soluzione sensata per i libri scopa e agli altri Paesi avanzati. Purtrop- lastici? Non basta travasare in forpo indietro ci siamo già ed è un’arre- mato elettronico i libri già prodotti, tramento con radici forti ed estese, occorre una impostazione specifica in Italia sono in atto sperimentazio- che tenga conto sia delle capacità di ni che meriterebbe analizzare, ma sfruttare adeguatamente i collegatutto sembra al di fuori di un dibat- menti che un pc consente che delle tito consapevole e ben avviato nelle esigenze di comunicazione delle scuole, in ambito culturale in gene- nuove generazioni. Di questo aspetrale e nelle famiglie. to in Italia non si è parlato, ci sono Vogliamo aprire una discussione su state sperimentazioni promosse dal questo argomento, mettendo a di- Ministero dell’Innovazione (ministro sposizione degli interessati la rivista Brunetta) riportate in modo un po’ e il sito. Iniziamo col proporre alcu- trionfalistico, in alcuni servizi passani punti di vista da parte di insegnan- ti sottotono (permangono tracce in ti, autori di testi scolastici, operatori rete). Si sperimentano anche libri del settore, osservatori di sistemi autoprodotti, ne parleremo più avanscolastici, docenti. Noi, come tutti, ti, e sono in circolazione edizioni abbiamo figli o nipoti che si affaccia- miste (se fossero automobili sarebno alla scuola e ancora una qualche bero classificati ibridi): libri di carta residua reminiscenza di scuola, in- con annessi didattici in rete. In sonovazione didattica e formazione stanza una discussione sugli strudei docenti. menti per apprendere a scuola non è Testi scolastici digitali: una scommessa al buio 44 stata neppure aperta e là dove ci sono le sperimentazioni queste si possono seguire solo per passaparola o attraverso i pochi materiali in rete: il Ministero e le sue propaggini territoriali sembra che non vogliano disturbare. In questo modo però si prosegue nella lunga tradizione di sperimentazione invece che a doppio cieco a fondo cieco: quando l’insegnante che l’ha promossa va in pensione tutto finisce con lui e la sua esperienza diventa carta straccia. Sarebbe come se un costruttore di veicoli tutti i giorni dovesse reinventare la ruota. Non esistono sistemi di monitoraggio della efficacia didattica miranti alla conoscenza delle ragioni e degli esiti, in grado di intervenire per produrre correzioni efficaci. Non che rimpianga gli ispettori, rimpiango solo il lavoro che avrebbero dovuto fare e che non è stato fatto. Non rimpiango neppure gli IRRSAE, insomma non rimpiango tutto quel che c’era (c’è ancora?) che doveva fare e non ha fatto e le decisioni di chi doveva dirigere e ha solo tentato di comandare. Ora ci si ritrova di fronte ad una possibile rivoluzione come fu quella degli audiovisivi (che dovevano trasformare il modo di far scuola e si ridussero a qualche “filmino” distribuito sapientemente come salvavita per evitare sovraccarichi emotivi) e la rivoluzione informatica che prometteva (e manteneva) tanto, ma solo per coloro (pochi) che si impegnarono in solitudine senza risparmio insieme alla maggioranza divisa equamente tra chi sosteneva in modo tenacemente silenzioso “non mi avrete mai” e gli altri che frequentavano, superando a stento il disgusto, lezioni a base di algoritmi, CPU e sistemi operativi. Un bel mondo che ha tentato di rinverdirsi con la LIM, moderno altare elettronico in cui si officia internet in tutte le lingue gesticolando vigorosamente per risparmiare l’inchiostro del pennarello o il solfato del gessetto. Partiamo dai testi attuali Prendiamo come riferimento uno tra i più diffusi testi di Scienze naturali per le scuole superiori nelle varie edizioni, un libro di grandi dimensioni riccamente illustrato, di peso considerevole e che tende ad essere omnicomprensivo. Dopo qualche anno di utilizzo venne corredato di CD con test di verifica di vari formati, guida all’osservazione alle attività sperimentali. Successivamente si è teso ad impegnare maggiormente gli Autori chiedendo loro di rendere più attiva l’esposizione con lezioni preconfezionate illustrate, animazioni, filmati e test dinamici. Questo fatto ha comportato il superamento di un mezzo statico come il CD e l’utilizzo del web assistito. Una strada, potenzialmente efficace, ma tendente ad aumentare il tempo scuola con un rapporto diretto e personalizzato alunno-docente: un aumento netto anche del lavoro del docente, talora oltre i limiti del ragionevole. Viene il dubbio che in molti casi non si vada oltre l’utilizzo del testo su carta lasciando il resto alla libera iniziativa. Ora dovremmo in tempo brevi, secondo i decisori politici, passare al livello successivo col superamento della carta e il passaggio alla lettura su monitor (oppure: portatili, tablet, e.reader, smartphone...) collegandosi alla “nuvola”. Il problema del convincimento reale Ci vuole un convincimento vero, altrimenti l’impegno dei docenti a trarre i massimi benefici risulta troppo debole. Le ore di lezione si svolgono quasi sempre in classe, una dietro l’altra, durante la mattina per un numero di giorni non inferiore a 200. Il pomeriggio, potenzialmente libero, è spesso occupato da una infinità di obblighi che rendono la vita del docente di scuola uno slalom tra commissioni, consigli, collegi, ricevimenti, incontri limitati solo dalla fantasia dei dirigenti scolastici. Inoltre molti docenti, specialmente nella classe d’età (un tempo) prossima alla pensione, non sono avvezzi all’uso del pc. Molti, se sono costretti a presentare una relazione, prima la scrivono a mano, poi la ricopiano; quando ricevono un file, per leggerlo lo debbono prima stampare su carta. Non c’è da fare colpe a nessuno, però prima di partire con l’introduzione dei libri elettronici occorre sapere a chi va in mano la direzione del gioco: l’introduzione dell’informatica a scuola è uno dei capitoli più costosi e deludenti. Il problema non è solo degli ultrasessantenni Si potrà mai studiare su un testo elettronico? Forse la domanda è solo mal posta e probabilmente è più corretta in questa forma: “potrò mai studiare, io che non l’ho mai fatto in 60 anni che sono al mondo, in un testo letto sul monitor?” Probabilmente no, anche perché studiare veramente dopo una certa età diventa difficile indipendentemente dal supporto. Allora chiediamoci quali sono le differenze per una persona che adopra tutti i gadget dell’elettronica dalla culla tra studiare su fogli di cellulosa o sui cristalli liquidi. Proba45 bilmente nessuna. E allora il problema non esiste perché si sta risolvendo rapidamente da solo col tempo. Rimane però il ruolo dell’insegnante in uno scenario che dovrà essere molto diverso dall’attuale, se non si vorrà assistere ad un’altra tragica e costosa banalizzazione di cui la nostra storia scolastica è ricca: una semplice sostituzione di supporti che racchiude tutta questa “innovazione”. Poco circola su quel che sta succedendo nel resto del mondo in merito all’introduzione massiccia dell’elettronica nell’insegnamento, quel poco che si sa sugli esperimenti condotti in Italia non riesce a chiarire la situazione nelle sue fondamenta: funziona e fa risparmiare tempo, denaro e fatica o, senza adeguante trasformazioni, è solo una strada apparentemente nuova che porterà a risultati deludenti? Ma allora come si fa a sapere se funziona meglio o no? Sarebbe forse utile fare una indagine scientifica sull’argomento, ma una proposta del genere in Italia non susciterebbe neppure ilarità, non susciterebbe nessuna conseguenza e basta. Allora questi testi saranno editi e messi in circolazione e adottati senza che si possa fare un confronto con gli altri che continueranno come sempre a far scarabocchiare, sottolineare, evidenziare con pennarelli quello che una volta era un libro di testo. A cosa andrà incontro il giovane docente (ammesso che ce ne siano) che ha appena fatto la scelta di adottare un testo elettronico? Gli ipertesti, perché di questo, si tratta hanno un senso perché sono dinamici, hanno le parole “calde”, le figure possono diventare filmati, il sonoro consente di aumentare la percezione. Però, se non ci si sta attenti la lettura può diventare dispersiva; saltabeccare da un link all’altro può aiutare a passare in fretta un pomeriggio invernale, ma arrivati in fondo al capitolo si è capito veramente qualcosa? In caso negativo in fondo alla pagina ci potrebbe essere un “help” che connette subito con la posta del prof o alla chat della proffa. Bisognerà regolamentare il tutto per evitare di creare dei martiri. Ma la mattina cosa si farà in classe? “Leggete da videata a videata!” Oppure un po’ si spiega e un po’ si interroga? Forse è il caso di ripensare completamente il modo di insegnare. riflessione ci sia e sia produttiva, non si può pretendere che la valutazione di un elaborato risulti la stessa da due correzioni fatte da persone diverse, ma neppure che possa variare impudicamente dal 4 all’8 per prof diversi (revisione degli esami di stato dopo i ricorsi, per esempio). Della verifica se ne dovrà parlare Alla fine un voto agli studenti va dato. È probabile che in rete nel sito della materia ci sarà un account per ogni allievo e ciascuno dovrà compilare le prove di fine capitolo. Se i ragazzi riescono a copiare tra loro nelle prove tradizionali, per quelle in rete risparmieranno un sacco di tempo, allora si dovrà tornare alla interrogazione o alla consegna di elaborati originali (originale vuol dire che il prof non l’ha letto, ma in rete è facile trovarne di buoni per ogni esigenza). Quello della valutazione è un tema ancora irrisolto per una scuola che si avvale di testi tradizionali, figuriamoci se siamo in condizioni di affrontarlo senza una riflessione accurata e seria per i testi innovativi, quasi rivoluzionari come quelli elettronici. Il problema esiste da sempre, come sa ogni docente che ha assistito almeno una volta in carriera ad un consiglio di classe senza dormire -aggiornare il registro- aggiornarsi sui fatti del giorno. Le eccezioni ci sono e sono lodevoli, ma non sono mai diventate punto di riferimento per nessuno e ciascuno può continuare a fare quel che ha sempre fatto fino a che pensione non lo separi dall’insegnamento. In pratica come si valuta lo studente? Di solito si valuta esattamente come facevano quelli che erano, molti decenni fa, i docenti nostri: seguivano un filo sottile e immotivato che li portava da una smorfia provocata da una nostra affermazione ad un 4 e tanti saluti. Sto esagerando? Non poi tanto: le differenze di criteri, nei pochi casi fortunati in cui questi esistano e siano esplicitabili, non sono mai arrivate ad un confronto produttivo. Ecco perché è necessario che questa I testi “autoprodotti” Ci sono sempre stati: chi non ha mai fotocopiato un capitolo da un testo regolarmente pubblicato e l’ha distribuito ai suoi studenti? Niente di male, è anche consentito per questi scopi. Altra operazione è quella di realizzare un testo completo utilizzando materiale vario in alternativa ai testi offerti dall’editoria specializzata. Viene da chiedersi dove un docente trovi il tempo per progettare e realizzare un lavoro che ogni altra persona considererebbe di alta specializzazione e degno di occupare l’intero tempo lavorativo. Ci sono scuole che lo fanno e lo fanno alla luce del sole. Perché c’è qualcosa da nascondere? In effetti sì! ...se l’operazione è condotta, come sembra, giustapponendo, con scelta insindacata, materiali editi provenienti da testi diversi e tra loro in concorrenza. Lasciando perdere i diritti d’autore -che sono una cosa seria perché qualcuno ha speso ore della propria vita per produrre un’opera che vede la luce dopo aver superato non pochi né semplici ostacoli- è necessario comprendere come si facciano a giu- stapporre pezzi di testi scritti da persone diverse per costruire qualcosa che abbia l’omogeneità necessaria per produrre un’opera coerente e non un’arlecchinata tipografica. Probabilmente la cosa va studiata attentamente, perché operazioni come queste, nell’era digitale e con gli strumenti a disposizione di chi possiede un pc, sono possibili in modo sempre più massiccio. E allora, a pluralità di interpretazione del concetto di libro di testo, occorre introdurre l’unicità di valutazione dei risultati ottenuti altrimenti si riapre una babele senza costrutto né prospettiva. Cosa fanno gli altri? Non per copiarli, ma -sfruttando saggiamente una volta tanto il nostro cronico ritardo- per evitare di commettere errori già commessi, cerchiamo di avere un po’ di fantasia e creatività, almeno negli errori. Sui quotidiani di grande diffusione nei rari casi in cui si occupano di scuola dal punto di vista del suo funzionamento, si dà per scontato che l’anno prossimo si colmerà il distacco con gli altri Paesi, ma appare evidente che c’è un distacco abissale tra le conoscenze della scuola dei giornalisti e la situazione attuale della scuola medesima. Non sarà per caso un altro problema derivante da una cultura insufficiente, anche da parte di coloro che si occupano di informazione? Il nuovo tablet indiano relizzato per la scuola (prezzo 16 euro) 46 Considerazioni generali FABIO FANTINI L’articolo 15 della legge 133 del 6/ 8/2008 sancisce, al comma 2, che “a partire dall’anno scolastico 20112012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista.” I libri on line scaricabili sono libri di testo in formato elettronico (eBook), disponibili come file che riproducono esattamente il contenuto del testo cartaceo. I libri misti sono libri di testo che affiancano alla parte cartacea una parte digitale. La parte digitale del libro misto integra, aggiorna ed espande la parte cartacea attraverso materiali e strumenti che consentono di potenziare la didattica e di facilitare i processi di apprendimento. Il legislatore giustifica l’obbligo di adottare libri scaricabili o misti con il “fine di potenziare la disponibilità e la fruibilità, a costi contenuti, di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole, degli alunni e delle loro famiglie”. Accanto a questo sco- po esplicito, emergono altri due scopi, non dichiarati ma evidenti: integrare la fruizione del materiale di apprendimento con l’uso della rete, nella prospettiva di formare cittadini connessi; sviluppare il ricorso a strumenti tecnologici per trainare un mercato elettronico di consumo (acquisto di hardware), ma anche per incoraggiare l’ideazione di nuovi prodotti software). L’efficacia didattica del ricorso ai testi digitali non è presa in esame. Forse si dà per scontata una maggiore efficacia? Oppure il problema è considerato trascurabile o comunque minore rispetto all’obiettivo di “cablare” la nuova generazione? Il cambiamento che caratterizza la produzione di testi scolastici implica, per la prima volta dopo secoli, una trasformazione del mezzo fisico di comunicazione. Il substrato fisico, cartaceo fin da quando la scrittura iniziò ad affiancare e a sostituire gradualmente la trasmissione orale fondata sulla memorizzazione, sta diventando elettronico. Questo cambiamento è, però, minore rispetto a quello che vede la trasmissione delle informazioni attraverso le immagini prevalere sempre più sulla trasmis- 47 sione dell’informazione mediata dai simboli alfabetici. Sembra che il ricorso alla multimedialità sia responsabile di un totale sconvolgimento grammaticale e sintattico nella trasmissione dell’informazione, accompagnato al mantenimento dello statu quo semantico. Il substrato elettronico si articola su una nuova unità di trasmissione dell’informazione, la pagina-video. La pagina video deve: catturare l’attenzione in pochi istanti, prima che si cambi schermata; permettere una consultazione rapida per individuare eventuali elementi di interesse; offrire la possibilità di approfondire, con collegamenti opportuni, i contenuti che stimolano interesse e curiosità. Già oggi le pagine dei testi scolastici cartacei sono costruite con la stessa logica delle pagine-video. Poiché è noto che l’attenzione è catturata attraverso le emozioni e che le emozioni prioritarie sono quelle che riguardano violenza e sesso, ci si può chiedere in quali sottili forme questi stimoli emotivi stiano entrando nelle pagine-video, cartacee ed elettroniche, dei testi scolastici. Per decenni gli autori dei testi scolastici scientifici hanno cercato di cimentarsi in quella che Peter Medawar definiva la “difficile disciplina che consiste nel tradurre con la massima precisione i concetti in parole”. La tendenza prevalente nell’editoria scolastica sembra ora essere il crescente ricorso alle immagini, lasciando alla parola scritta un ruolo marginale e accessorio. È possibile che ciò che oggi ci appare una regressione, cioè la perdita del ricorso al significato simbolico degli alfabeti, dei vocabolari e delle lingue, produca con il tempo la liberazione di risorse cerebrali oggi vincolate alla interpretazione e alla produzione del linguaggio simbolico? È possibile che il linguaggio iconico conduca a un’universalità della comunicazione finora impedita dalla continua evoluzione diversificativa dei linguaggi simbolici? I libri di testo digitali GIUSEPPE FERRARI “Aboliamo il libro di testo?” “Io credo che siamo più che pronti. Dal 2013-2014 avvieremo un processo in cui inizialmente avremo un piccolissimo libretto e poi tanto su cose come queste [i supporti digitali], dove il libro nasce ogni giorno. Sulla base di uno scritto iniziale ci sarà la possibilità di fare collegamenti con video, risolutori, fotografie, altri testi e quindi costruire un libro personalizzato (...). Sarà un libro che nasce insieme con gli studenti e noi dobbiamo essere il direttore d’orchestra che dice che cosa va e cosa non va”. Così ha detto il ministro Profumo ad iSchool il 10 ottobre 2012, ribadendo ciò che è scritto nella Relazione illustrativa dell’Agenda Digitale: indurre “tutti gli operatori a preferire la scelta del digitale, senza peraltro renderla subito obbligatoria”. Quindi è solo una questione di tempo: presto la carta scomparirà. Succederà così, fra cinque anni i libri saranno solo digitali? Si imparerà meglio o peggio? E gli editori che cosa faranno? Fra cinque anni i libri saranno solo digitali? La risposta, è ovvio, è “chi lo sa”. Ma ci sono forti pressioni a che ciò avvenga: da parte del governo, convinto che il digitale farà risparmiare le famiglie (secondo il discutibile assioma digitale = immateriale = gratis), e da parte dei produttori di hardware, che invece intravedono grandi ricavi con la vendita di milioni di tablet e netbook (oggetti materiali, quindi costosi). In mezzo ci sono 800.000 insegnanti che hanno studiato sulla carta e fanno lezione avendo come punto di riferimento il libro di testo. Oggi infatti i contenuti digitali sono poco usati e quando lo sono si aggiungono al libro di carta. Le lavagne interattive sono rare, non è scontato che gli studenti siano connessi con la banda larga e, soprat- tutto, cambiare da un giorno all’altro il paradigma di insegnamento non è un’operazione banale. È ragionevole prevedere che si diffonderanno le sperimentazioni di didattica digitale e che si useranno i tablet per spiegare, studiare, guardare video e fare esercizi interattivi, ma sarà un processo non lineare e a macchia di leopardo. Tra le magnifiche sorti e progressive della didattica digitale e che cosa farò in classe domattina alle 11:00 c’è una zona grigia nella quale ci sono molte soluzioni (hardware) in cerca di problemi (didattici). Con i libri digitali si imparerà meglio? Per quanto ne so, non ci sono evidenze forti né che i risultati siano migliori né che siano peggiori. È naturale che sia così, perché la didattica digitale ha una storia breve, scandita da frequenti cambiamenti di hardware (computer, lavagne interattive, i tablet dal 2010) e di software. Ma le sue potenzialità sono innegabili. Siamo tutti diversamente intelligenti, abbiamo stili di apprendimento diversi e diversi punti di partenza: chi ama leggere, chi preferisce ascoltare, vedere o fare. Il tablet può soddisfare tutte queste esigenze: ci leggiamo (ancora con un po’ di fastidio agli occhi, ma gli schermi miglioreranno), guardiamo un video, trasciniamo con le dita lo slider su un’animazione, ascoltiamo, risolviamo esercizi interattivi. Ci possiamo anche fare i compiti scrivendo con un dito (ancora non bene, ma anche qui si migliorerà) e soprattutto siamo connessi con il mondo. Per chi ama la scuola (penso agli insegnanti, ma anche a chi come me lavora in una casa editrice) è un’opportunità che invita a sperimentare nuove idee per insegnare e a coinvolgere tutti gli studenti, non solo quelli bravi. Chi dirà ancora che insegnare è un lavoro ripetitivo? 48 Che cosa faranno gli editori? Alla Zanichelli pubblichiamo libri da 150 anni (è del 1864 la traduzione italiana dell’Origine delle specie) e contenuti digitali da 15. Siamo stati i primi a pubblicare in Italia un libro di testo digitale: i cd-rom Fisica interattiva di Ugo Amaldi realizzati da Federico Tibone. Era il 1997, l’età della pietra dell’era digitale. Nel 2002 abbiamo pubblicato su internet la piattaforma Zanichelli Test (zte.zanichelli.it), il sito che ora contiene 60.000 test interattivi di tante materie. Nel 2010 l’ebook interattivo e multimediale del corso di biologia di Sadava con impaginazione liquida per lo schermo. Quest’anno abbiamo realizzato i primi libri multimediali su tablet, tra i quali i corsi di Sadava e di Curtis. Vogliamo accompagnare la scuola nella transizione al digitale, proponendo idee per insegnare che si possano mettere in pratica qui e ora in classe. Siamo consapevoli che non esiste la ricetta per la didattica digitale, che invece emergerà dal basso per tentativi ed errori in un processo evolutivo nel quale si affermeranno i prodotti più adatti. Crediamo nell’autore, che sa scegliere e mettere in fila i contenuti con un taglio originale, che illumina da una prospettiva insolita la materia e sollecita il piacere di imparare. Questi prodotti di qualità competeranno con tanti altri, realizzati anche fuori dalle case editrici. Saranno gli insegnanti a scegliere quelli che li aiuteranno meglio a fare il loro lavoro. L’economia del digitale consente di diffondere una copia in più a costi molto bassi, perché non ci sono magazzini da riempire e camion che viaggiano (ma su ogni vendita Apple trattiene una percentuale del 50% più alta di quella di un libraio). Tuttavia produrre contenuti digitali richiede grandi investimenti iniziali: per avere un ordine di grandezza, un’opera multimediale costa centinaia di migliaia di euro. Anche se immateriali, i libri digitali non possono essere gratuiti. Il parere di Italo Bovolenta INTERVISTA DI FABIO FANTINI Italo Bovolenta è una figura di editore sui generis nel panorama dell’editoria scolastica italiana. La sua casa editrice assomiglia più a una bottega artigiana che a un reparto industriale. I libri editi da Italo Bovolenta Editore rivelano una progettazione curata e una realizzazione attenta ai dettagli. Come affronta un Editore che si contraddistingue per gli eleganti prodotti su carta questa incipiente transizione ai prodotti elettronici? 1. La strategia ministeriale sembra guidata da due obiettivi: si tende a uniformare il mercato italiano a quello degli altri Paesi industrializzati; si cerca di diminuire i costi che le famiglie devono sostenere per i libri di testo. Ci sono garanzie che, in questo contesto strategico, rimarrà spazio per l’attenzione alla qualità della didattica? Sono molto a disagio perché rischio di dare una risposta che può apparire corporativa e biecamente levantina, ma dopo mezzo secolo di attività libraria sentirmi ridire che il problema è prima di tutto economico mi offende. Se fossi un industriale farmaceutico dovrei vergognarmi di vendere medicine? Dico “medicine” e non placebo. È uscito in aprile su LA REPUBBLICA, nell’ambito di un’inchiesta intitolata Il futuro dei lettori, un articolo che documentava che in Italia chiudono due librerie ogni settimana. In quell’articolo c’è un aned- doto che a me, librario prima di editore, ha toccato il cuore. Cito il passo perché ne vale la pena: “L’avvocato Giovanni Battista Compagno, negli anni ’70, lasciava duecentomila lire ogni mese in libreria come conto aperto per il figlio. Quella paghetta era l’educazione sentimentale del figlio, oggi filosofo, Giuliano Compagno. Lo facevano in tanti in tutta Italia. Quello zoccolo duro, i ragazzi fatti clienti dall’infanzia fino alla maturità universitaria, non c’è più”. Mi sia perdonato un altro aneddoto: il liceale Italo Calvino fece al suo professore di filosofia la seguente domanda: “Secondo lei, professore, chi non fa il liceo e nemmeno sa che è esistito un certo Cartesio non potrà dunque dare nessun senso alla sua vita?”. Risposta del professore rivolto a tutta la classe: “Studierete tutto il Discorso sul metodo. Lo troverete nella libreria del Corso, edizioni Paravia. Tra due settimane porterete il riassunto scritto e poi ne discuteremo dopo che avrò letto i vostri compiti”. Un compagno di Calvino lo redarguì esclamando: “Per quella domanda cretina che hai fatto, adesso ci tocca leggere un libro intero. Nel manuale c’erano solo due pagine”. Quel professore di filosofia non si preoccupava minimamente di fare acquistare un libro e nemmeno gli passava per la testa che i genitori sarebbero corsi da lui per dirgli che spendere soldi per i libri non rientrava nel loro progetto educativo. Il fatto che tutti i ministri dell’istruzione (il termine pubblica è sparito e nessu- 49 no si preoccupa di riproporlo) insistano sul problema economico ha un evidente riscontro elettorale in quanto la maggior parte dei genitori considera la spesa dei libri alla stregua di una rapina. Con questi presupposti lo spazio per l’attenzione alla qualità mi sembra molto ristretto. Dalle mie parti si dice che bello, buono e che costi poco non s’è mai visto. 2. Con quale atteggiamento pensa che i docenti italiani si rivolgeranno all’uso dei testi elettronici, in un momento in cui è loro richiesto un sostanziale incremento del carico di lavoro, in termini sia di estensione dei compiti professionali sia di aumento del numero degli alunni per classe? Credo che gli insegnanti siano pronti all’uso di strumenti moderni. Ciò che temo è che si stanchino di essere trattati come i giocatori di una squadra che deve eseguire gli ordini di un allenatore spesso incompetente e nevrotico. Le conseguenze possono essere catastrofiche. 3. Il mercato italiano dei testi scolastici presentava, fino a pochissimi anni fa, alcune anomalie sorprendenti. Per esempio, un’offerta di un centinaio di titoli per i testi di biologia per il primo biennio delle Superiori. Molti dei quali destinati a vendere un numero irrisorio di copie. Il maggiore impegno di investimento richiesto dai testi misti e multimediali sta provocando uno sfoltimento dell’offerta a favore di un numero di prodotti più limitato, ma di maggiore qualità? L’offerta di mercato non è mai un limite, anzi. La competizione ti fa fare ricerca. Se un libro non vende spesso non è un buon libro. Se non vende perché è troppo “difficile” vuol dire che l’autore non è riuscito a capire a quale altezza doveva fermare l’asticella. Però credo che oggi non ci sia nessun professore che manda i ragazzi ad acquistare Cartesio pretendendo un riassunto scritto e di aprire la discussione con i ragazzi “dopo” avere letto i loro riassunti. Io per i miei nipoti mi auguro quel professore e non credo che il mio sia un augurio da vecchio. Per quanto riguarda gli investimenti un editore è anche imprenditore; se non è in grado di fare investimenti deve cambiare mestiere. Uno dei più grandi disastri dell’Italia è stato il fiorire di uno stuolo di imprenditori che socializzavano le perdite e privatizzavano i profitti senza per altro avere fatto investimenti propri. Se l’offerta futura sarà di qualità non lo so prevedere. Posso però dire che la tendenza attuale che tende a scardinare in blocco il libro di carta mi sembra ortodossa. Oggi si dovrebbe lavorare su due livelli: la carta e la “nuvola”. Se i libri di “carta”, anche alle medie e alle superiori, saranno regolamentati come i libri delle elementari in cui è fissato per decreto perfino il corpo tipografico avremo una omologazione verso il basso. Autori come Gianni Rodari, Mario Lodi, Bruno Munari, avrebbero potuto collaborare alla realizzazione di manuali per le elementari, ma avrebbero dovuto sottostare a vincoli umilianti. Si è perso, per molti, uno straordinario contributo all’educazione sentimentale dell’infanzia alla quale hanno potuto accedere solo i figli di chi frequenta le librerie tutte l’anno e non solo quando si aprono le scuole. 4. In alcuni Istituti è stata incoraggiata la produzione di testi predisposti dai docenti dell’Istituto. Si tratta di una sfida al monopolio delle Case Editrici oppure di esperienze cui le Case Editrici guardano con interesse per sviluppare prodotti sempre più vicini alle esigenze didattiche specifiche, una sorta di delocalizzazione di funzioni redazionali per offrire libri su misura? Credo che queste iniziative, che l’attuale ministro guarda con entusiasmo, siano ispirate ancora una volta dal problema economico. Ai genitori non far spendere soldi per i libri e vedrai come saranno contenti. Una casa editrice è come un teatro. C’è il direttore generale, quello artistico, ci sono gli orchestrali e, soprattutto, molta ricerca autentica e molti consulenti esterni. Senza contare il rispetto per quello che il legislatore ha chiamato “Protezione delle opere dell’ingegno e della creatività”. Un’insegnante mi diceva che a lei i saggi servivano per passarli allo scanner e distribuirli ai ragazzi. Non so se mi spiego. La stragrande maggioranza dei pazienti non ha gradito la ricetta con il principio attivo, che avrebbe dovuto far risparmiare, ma ha preteso il farmaco che assumeva da sempre. In sostanza l’originale e non la sua imitazione. Ma le medicine del corpo sono percepite con una sensibilità infinitamente superiore alle medicine della mente, che sarebbero i libri. Spero di chiudere la mia parabola professionale senza faticare per evitare di realizzare l’imitazione del mio mestiere. Imitare è molto più semplice che progettare. Ho lavorato con gli architetti Bassi e Boschetti che negli anni cinquanta del secolo scorso hanno vinto il concorso per il progetto del padiglione della Galleria civica d’arte moderna di Torino, andato distrutto durante la guerra; quando abbiamo vistato le ultime bozze uno di loro mi disse: “Il lavoro alla Galleria di Torino è stato meno impegnativo di quello richiesto per realizzare il libro”. Il manuale digitale in Francia TERESA MARIANO LONGO Ogni volta che si guarda a un particolare della scuola di un altro Paese, si entra in un sistema scolastico che ha una propria storia ed è caratterizzato dalle infinite relazioni che anche il più piccolo degli elementi ha con gli altri. Raccontare la breve storia dei manuali digitali (manuels numériques) in Francia rinvia immediatamente alle politiche pubbliche per lo sviluppo delle TIC (Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione) nelle scuole, ai problemi delle case editrici e alle implicazioni culturali e didattiche per insegnanti e allievi. Cercherò di far riferimento a questi problemi nel corso dell’articolo, che vuole soprattutto dare un’informazione su cosa si fa e si dice in Francia su questi manuali. Le case editrici francesi, di fronte alla competizione di materiali video e di internet, hanno cominciato da almeno dieci anni ad offrire, accanto al manuale cartaceo, materiale digitalizzato e si preparano, con prudenza, a cambiare il prodotto. Da parte sua, il Ministero dell’Istruzione, nelle raccomandazioni e circolari sui programmi scolastici, ha preferito andare lentamente verso i manuali digitali. Non per vocazione antitecnologica, ma per consapevolezza delle implicazioni culturali, didattiche e forse anche economiche (il passaggio al digitale ha costi diretti e indiretti). È stata così seguita la via della sperimentazione e del passaggio lento e progressivo. Nel frattempo il Ministero, attraverso gli Ispettori, avviava un processo di riflessione e di diagnosi sull’uso del manuale e contemporaneamente seguiva le sperimentazioni dei nuovi strumenti. Prima di cambiare, una riflessione sul senso dei manuali nella scuola Nel 1998, anche in vista dell’investimento nelle nuove tecnologie, il rap- 50 porto dell’Ispezione Generale coordinato da Dominique Borne (1) fa un’analisi della situazione del manuale in tutto il sistema educativo francese. Dopo aver visitato scuole, interrogato insegnanti ed esperti dell’editoria, il rapporto analizza contenuti e modi d’uso dei manuali. Il rapporto ricorda il valore simbolico del manuale nella tradizione della “République” e sottolinea come nelle scuole il manuale sia poco usato dagli allievi e dagli insegnanti, che preferiscono utilizzare le fotocopie. Il Rapporto fa anche una storia dei diversi tipi di manuali in Francia e del loro progressivo adattamento ai programmi e agli atteggiamenti culturali dominanti: “essi danno sempre meno spazio alle conoscenze la cui presentazione non è né sufficientemente coerente, né strutturata”; negli stessi manuali dominano invece le attività e gli esercizi. Il rischio, dice il Rapporto, è quello di una cultura “zapping” e conclude che esiste, nelle scuole francesi, una crisi del manuale, legata alla crisi del modello didattico. La parte dei manuali che riguarda le conoscenze è poco usata dagli allievi, mentre gli insegnanti la utilizzano insieme a questionari, schede, esercizi che riprendono da altri manuali. Gli insegnanti tendono a costruire “un altro manuale” ritagliando materiali e facendo fotocopie. Il rapporto stima che gli allievi francesi consumino in media da 500 a 700 fotocopie ogni anno, cioé una fotocopia per ogni ora di corso. “A casa, bambini e ragazzi raramente leggono il manuale. Questa crisi del manuale rende le TIC e internet molto competitivi, esistono infatti su internet e su Cdrom immagini, giochi didattitici, esercizi, molto più belli ed efficaci di quelli dei manuali” (2). Il rapporto conclude con la raccomandazione che il manuale ridiventi un libro da leggere e di riferimento culturale complementare agli strumenti video, sonori e informatici. Una parte del rapporto è dedicata all’analisi delle risorse esistenti per uno sviluppo dell’uso delle tecnologie informatiche nell’insegnamento. Queste risorse comprendono: - una cyberlibreria SCEREN (3), già Centro Nazionale di Documentazione Pedagogica, nella quale gli insegnanti possono trovare materiali didattici di diverso tipo (ne consiglio la consultazione); - piattaforme in partenariato con l’editoria privata, come CNS (Canal numérique des savoirs) (4) e KNE (Kiosque numérique de l’éducation), che già diffondono i manuali digitalizzati; - l’informazione e la formazione degli insegnanti attraverso i siti: Educnet (5), lettre Tic’Edu (6), Agence des usages du numérique (7); - forme originali di formazione a distanza come il programma Pairform@nce (8); - la formazione per i quadri di direzione e ispezione dell’educazione con l’ESEN (Ecole Supérieure de l’Education Nationale); - uffici per lo sviluppo delle TIC in tutte le Académies (autorità locali del MEN, Ministère de l’Education Nationale). Le risorse esistenti sono dunque tante, a volte troppe, con difficoltà di coordinamento e a volte anche di distribuzione e ottimizzazione. Il Ministero e l’Ispezione Generale hanno costituito commissioni disciplinari e coordinamenti che dovrebbero produrre criteri per la costruzione dei nuovi materiali. Le sperimentazioni Dopo una fase di diagnosi e discussione, il Ministero decide di procedere attraverso sperimentazioni. La sperimentazione è stata organizzata intorno a tre programmi:. 1) Nel 2001, in tre scuole secondarie inferiori (Collège) del Dipartimento delle Landes, il Ministero autorizza una sperimentazione per gli alunni delle ultime due classi del Collège (alunni di 13 e 14 anni). Finanzia l’acquisto di portatili per ogni alunno e l’acquisto di manuali digitali. In un primo momento le scuole hanno comprato LIM (lavagne digitali inte51 rattive) e nel 2006 manuali digitali interattivi di lingue straniere sono stati acquistati e copiati su ogni computer dei ragazzi. La sperimentazione si estende ad altre scuole del Dipartimento, ma nel 2010 l’Ispezione afferma che “il bilancio è incerto: da una parte positivo, perché il 75% dei ragazzi hanno ottenuto il brevetto informatico e il 57% degli insegnanti del Dipartimento usa il computer in un corso su due, dall’altra soltanto 8 su 35 scuole hanno veramente partecipato alla sperimentazione”. Inoltre, il fatto che ogni alunno disponga di un computer, senza che gli insegnanti siano formati a questo cambiamento, ha causato problemi di perdita di attenzione da parte degli alunni e di organizzazione del lavoro. 2) Nel 2009 è stato attuato il programma delle scuole digitali rurali, che riguarda 6.700 scuole delle zone rurali in centri con meno di 2.000 abitanti. Sulla base di un partenariato con le autorità comunali, le scuole hanno acquistato LIM e computer portatili; il manuale di carta rimane però lo strumento didattico privilegiato. 3) Il programma più importante è stato lanciato nel 2009 e riguarda manuali digitali e piattaforme di lavoro collaborativo (ENT: espaces numériques de travail) per le prime classi del Collège di 21 Dipartimenti (su 101). Riguarda 8.000 studenti che, insieme agli insegnanti, hanno accesso in linea ai manuali. In media si coprono quattro discipline col digitale. Il Ministero, attraverso i suoi uffici locali, finanzia i materiali per questa impresa che deve proseguire nelle classi successive della secondaria inferiore. Nel 2011 questa sperimentazione, estesa alle classi successive, ha coinvolto 20.000 studenti. Una prima riflessione degli esperti sulla sperimentazione Nel 2011 l’Ispezione Generale stende un rapporto di valutazione del programma per le scuole rurali e dichiara che, nel complesso, il pro- gramma è stato ben accolto dagli insegnanti e dalle autorità locali, ma che gli insegnanti hanno avuto problemi a orientarsi nelle risorse disponibili o ad armonizzare tutti i materiali esistenti e la loro utilizzazione. I manuali digitali costituiscono il 10% delle risorse esistenti e riguardano sopratutto il Francese e la Matematica. Gli insegnanti si servono del materiale in linea soprattutto per preparare le lezioni e per scambiare materiale tra di loro (9). Il nuovo materiale sollecita nuovi rapporti tra insegnanti e in questo quadro, secondo il rapporto, va concepito il manuale digitale, che diventa una delle tante risorse a disposizione di una scuola la cui cultura sta cambiando. La sperimentazione del manuale digitale nel collège è di gran lunga la più importante e ha portato a molte riflessioni. Sulla base di questa esperienza, ispettori, insegnanti e ricercatori sono d’accordo nel dire che il manuale digitale in sé non cambia la didattica. Esso rinforza gli aspetti negativi dell’insegnamento frontale, mentre, là dove l’insegnante vuole stimolare le domande e gli aspetti interattivi, rende l’apprendimento più ricco. La sperimentazione e il suo finanziamento hanno permesso alle scuole di acquistare più oggetti informatici, ma l’acquisto del manuale digitale non si è particolarmente sviluppato. Invece, si diffonde l’uso di materiali digitali da parte degli insegnanti per costruire moduli didattici originali. L’Ispezione Generale constata alcuni elementi negativi. Prima di tutto i finanziamenti: sviluppare l’uso dei manuali digitali vuol dire disporre di una buona rete interna alla scuola, di un efficiente ENT (espace numérique de travail), di tutti gli strumenti per ben sfruttare il manuale. Inoltre, le scuole non dispongono di servizi di manutenzione efficienti per le reti informatiche e allora frequentemente i sistemi si bloccano. A tutto ciò si aggiunge che il sistema delle licenze delle case editrici agli insegnanti non solo è caro (da 100 a 500 euro), ma è anche reso complicato dai sistemi usati dalle case editrici per evitare le riproduzioni indebite. Questi elementi sono all’origine dell’abbassamento relativo della frequenza delle connessioni individuali dal primo al secondo anno e del fatto che alcune scuole hanno rinunciato all’esperimento. Altro aspetto interessante che l’inchiesta dell’Ispezione Generale del 2012 ha messo in luce è stato il fatto che la presenza di manuali digitali ha reso più importante di prima l’uso del manuale in sé. Infatti, solo 14% degli insegnanti dichiara ora di non farne uso, mentre nel 1998 il Rapporto Borne aveva denunciato la crisi del manuale. Un tema molto caldo nel sistema educativo francese, in cui lo Stato centrale è stato sempre molto importante, è quello del controllo dei materiali messi in linea. In effetti, il manuale digitale pone con più forza il problema dell’autonomia didattica degli insegnanti. Più che con il manuale di carta, gli insegnanti possono, da soli o in gruppo, combinare insieme i materiali digitali secondo specifici criteri culturali e didattici. Le possibilità di adattare, creare, inventare sono molto più facili con i materiali digitali, servono però tempo, formazione e buone fonti e serve anche un riconoscimento dell’autonomia didattica che per ora è raro. E, soprattutto… le Academies e gli Ispettori non sono molto d’accordo. In alternativa, il controllo dei materiali potrebbe essere attribuito a organismi come gli Istituti universitari di formazione, l’Istituto Nazionale di Ricerca Pedagogica o l’Ispezione Generale. All’interno di queste istituzioni si apre ancora più forte il problema del rapporto con gli insegnanti e della loro autonomia. Sembra profilarsi il rischio di un ritorno del manuale come strumento di insegnamento passivo di applicazione dei programmi nazionali. In conclusione, in questo momento in Francia il manuale digitale non è 52 molto diffuso (0,6% del fatturato per i manuali delle case editrici). Invece si diffondono sempre più i “complementi” ai cartacei e i siti che guidano all’uso di materiali. Questa ricchezza di possibilità aiuta gli insegnanti nel loro lavoro e li spinge a lavorare insieme e a costruirsi propri testi per la didattica. Lo sviluppo dei mezzi digitali è legato ai finanziamenti e al modo con cui le innovazioni degli insegnanti sono appoggiate e coordinate dagli organi centrali del Ministero, un aspetto che apre un grande problema politico e istituzionale. Note (1) Dominique Borne(1998): Le manuel scolaire http:// www.ladocumentationfrancaise.fr/ var/storage/rapports-publics/ 994000490/0000.pdf (2) ibidem (3) http://www.cndp.fr/ accueil.htmleduscol.education.fr/ plan-numeri que/catalogue-chequeressources/index.action (4) http://www.cns-edu.com (5) http://eduscol.education.fr/pid 26435/enseigner-avec-lenumerique.html (6) vedi per esempio: http://eduscol.education.fr/lettres/ actualites/aventures-livre che informa sulle novità messe in linea per la volgarizazione dalla Biblioteca Nazionale di Francia; (7) http://www.cndp.fr/agenceusages-tice/plan-de-relance.htm (8) http:// national.pairformance.education.fr/ (9) Le plan Ecole numérique rurale, rapporto n° 2011-073, giugno 2011, p.34-35. Una voce dalla scuola LUCIA STELLI Non saranno certo i libri di testo digitali a cambiare il modo di fare scuola, almeno finché continueranno a circolare nelle aule come fantasmi di quelli cartacei. Non basta smaterializzarsi per facilitare l’accesso al sapere, tanto più se si diventa una traslazione del testo tradizionale. Un brutto testo di scienze -così è nella stragrande maggioranza dei casidiventa un brutto PDF, come è avvenuto nella scuola secondaria di primo grado in questo anno scolastico, che ha portato di legge la testualità digitale nelle scuole. Se i genitori hanno ben accolto il cambiamento, nella speranza di veder alleggeriti gli zaini e riscontrare miracoli nell’apprendimento dei propri figli, chi invece la scuola la fa ben sa che cambia il vestito, ma il corpo rimane quello vecchio e gli accessori (multimediali), pur luccicanti, non sono altro che specchietti per le allodole. Gli effetti speciali devono essere funzionali alla concettualizzazione e non fini a sé stessi. Non è ad esempio scomodando Piero Angela a fare videolezioni che il testo digitale diventa più comprensibile. Tablet e app ci porteranno poco lontano, se non sarà rinnovata alle radici la didattica dell’educazione scientifica, un’impresa per la quale non bastano alcuni strumenti interattivi e qualche annesso multimediale. Il problema di fondo è che attualmente il manuale scolastico è uno strumento attraverso cui non si impara né a studiare né ad acquisire un habitus mentale razionale, né tantomeno a impossessarsi di concetti scientifici per comprendere e risolvere problemi reali. Il primo difetto dei manuali scolastici riguarda l’aspetto linguistico, il secondo quello sperimentale. Il linguaggio utilizzato è quello dell’adulto e ovviamente comunica all’adul- to. Il riquadro di pagina 54 presenta un esempio paradigmatico di questo linguaggio, nella doppia versione cartacea e digitale. Il discente, che dovrebbe essere il focus di autore e docente, viene inevitabilmente bypassato; non potendo, da bambino, parlare come un adulto nella maggior parte dei casi impara a mente. Il giovane alunno mantiene tuttavia curiosità e interesse per l’attività sperimentale, che a scuola non è in genere praticata in modo formativo e che i libri contribuiscono a che non lo sia, perché si affannano a proporre la risoluzione dei problemi attraverso protocolli sperimentali precostituiti, a volte anche inefficaci. Finché i testi della scuola di base continueranno a somigliare a ricettari, le competenze resteranno un miraggio. Finché il verbo spiegare non sarà eclissato per lasciare il posto al problem solving nessun lettore si sforzerà di capire, immaginare, osservare, interpretare. Tutti siamo consapevoli che le proposte devono in primis venire dall’insegnante e tocca all’insegnante, al di fuori del libro, motivare e orientare l’alunno a ricercare le risposte alle questioni scientifiche; ma quanto sarebbe meglio se i testi fossero consonanti con la metodologia del problem solving! Le risposte già pronte per l’uso hanno una valenza didattica infinitamente minore rispetto a quelle ricavate attraverso un percorso graduale di scoperta! Fornire le soluzioni è un servizio al docente, non agli alunni. Nei testi sarebbe opportuno distinguere ciò che è rivolto al docente da ciò che serve al discente. A questo proposito il supporto digitale può fare molto separando il prima dal dopo, la parte per l’insegnante e quella per l’alunno, proponendo ad esempio non simulazioni belle, d’effetto, sempre funzionanti, ma video di esperimenti realmente svolti nelle classi, con tentativi ed errori, ipotesi e interpretazioni scaturite dall’esperienza degli allievi, così che 53 emerga la fatica dell’insegnare e dell’imparare. Per i docenti come per gli alunni, ragionare su problemi e realizzare esperienze è un viaggio pieno di insidie e ostacoli, ma anche ricco di scoperte e sorprese, di per sé formativo, spesso piacevole. Nella scuola di base è una necessità imprescindibile, se vogliamo formare menti razionali che si interroghino sul mondo e non siano passive. Molti giovani hanno un ipad in tasca e vi ricorrono al minimo bisogno; possedere conoscenze non è più così prioritario, è più importante sapervi accedere e avere la capacità critica per poter scegliere. Gli strumenti digitali scolastici possono aiutare molto se mirano a tal fine, per questo è necessario cambiare i riferimenti e costruire nuovi materiali didattici centrati non sulle conoscenze ma sulle abilità: confrontare, descrivere, esemplificare, definire, classificare, analizzare, mettere in relazione, inferire, tanto per dirne alcune. È anche importante mantenere negli allievi la curiosità per il mondo naturale, che ai loro occhi non ha certo le stesse attrattive di quello tecnologico. Se i libri digitali contenessero anche solo una piccola parte delle buone pratiche raccolte con i vari progetti di educazione scientifica che Ministero e Indire hanno promosso negli ultimi dieci anni, si creerebbero quelle condizioni di circolarità che permetterebbero di dare continuità al cambiamento. Ma attenzione, servono poco le eccezioni, i progetti particolari legati a contesti privilegiati, c’è bisogno di cose comuni, che tutti i docenti riconoscano alla loro portata, che si concilino con tutte le difficoltà giornaliere dell’insegnare, ad esempio con la multietnicità delle classi. Cose normali per fondare abilità di base alla portata di tutti. Ci sarà poi tempo, nella scuola secondaria di secondo grado, per elevarle e specializzarle. Valorizziamo la ricercaazione sul campo e stiamo con i piedi per terra. Ho avuto la fortuna di accogliere diversi tirocinanti SSIS, giovani, appassionati, digitalizzati e tutti mi hanno confermato che il tirocinio è stato il momento più formativo di tutta la scuola di specializzazione. Ben vengano allora corsi TFA e concorsi, perché forieri di rinnovamento, ma partiamo dal lavoro di quei docenti che hanno fatto del mestiere di insegnante un’arte al servizio degli alunni. Diamo la possibilità di fare formazione a chi nelle classi ci lavora e ricorriamo ai docenti universitari che si occupano di didattica, ma solo a loro; sono pochi, ma preziosi. Personalmente ho impiegato oltre vent’anni del mio percorso lavorativo a cercare conferme e supporti per una didattica che tenesse in conto le difficoltà dei miei alunni (le ho sempre vissute come mie) e ho faticato molto per trovare i riferimenti che cercavo tra tanti aggiornamenti vuoti e inutili. In seguito ho pensato tante volte che mi sarebbe bastato vedere all’opera colleghi per accordare altre esperienze scolastiche al mio sentire e continuo a credere che anche di questi tempi la bottega del maestro resti l’esperienza più formativa. Spero si sia capito che le mie critiche ai testi scolastici digitali non vorrebbero eliminare il digitale dalle scuole, tutt’altro, mi auguro che dal brutto anatroccolo venga fuori un bel cigno. È però necessario che anche il Miur giochi un ruolo diverso da quello di imporre un cambiamento di facciata, è necessario dettare criteri su cui costruire un testo digitale e questi devono essere diversi per la scuola primaria e per quelle secondarie. Pazienza se la carta stampata andrà a sparire, lo spreco che se ne sta facendo è davvero insopportabile. Penso al fiorire di tutti quei volumetti di Prove INVALSI, peraltro tutte reperibili in rete, che le Case Editrici mettono a disposizione dei docenti della scuola di base. Allenarsi può essere utile, ma prima di tutto bisogna essere ben impostati. Andiamo dunque al cuore del problema e smettiamo di girarci intorno. Per esemplificare il linguaggio da adulto riproduciamo un brano tratto da un diffuso manuale di Scienze per la scuola secondaria di primo grado. La successione dei concetti procede ineccepibile (anche se forse si potrebbe dubitare del beneficio che gli organismi anaerobi obbligati ricevono dalla fotosintesi), ma la comprensione del processo è riservata a chi il processo lo conosce già! Un messaggio rivolto più al docente che agli allievi. La fotosintesi clorofilliana (nel testo di carta) Nella foglia si svolge la fotosintesi clorofilliana, una funzione fondamentale che le piante svolgono arrecando beneficio a tutti i viventi. Qui infatti giungono l’acqua, assorbita dal suolo attraverso le radici, e l’anidride carbonica, che proviene dall’aria, entrata attraverso gli stomi. In presenza di luce, nei cloroplasti si svolge una complessa reazione chimica a seguito della quale avviene la trasformazione dell’anidride carbonica e dell’acqua in ossigeno e glucosio (fig. 1). L’espressione “fotosintesi clorofilliana” significa letteralmente “unione per mezzo della luce e della clorofilla”. In tale processo distinguiamo due fasi. Nella fase luminosa viene utilizzata la luce: la pianta sfrutta l’energia luminosa del Sole per scindere le molecole di acqua assorbite dal terreno in idrogeno e ossigeno. L’ossigeno viene immediatamente liberato nell’aria. La fase oscura si svolge senza bisogno della luce: l’idrogeno viene unito alle molecole di anidride carbonica per formare il glucosio. L’ossigeno che noi respiriamo proviene dall’acqua che la pianta ha assorbito con le sue radici; l’ossigeno che si trova nel glucosio proviene dall’anidride carbonica dell’aria assorbita attraverso le foglie. Il glucosio rappresenta il “carburante” delle nostre cellule, che estraggono dal glucosio l’energia chimica che vi è contenuta. Tale energia proviene dall’energia luminosa che la pianta ha catturato nella fase luminosa. Con la fotosintesi la pianta trasforma l’energia luminosa in energia chimica e trasforma sostanze inorganiche quali l’anidride carbonica e l’acqua in una sostanza organica preziosa, il glucosio, ricca di energia. La fotosintesi clorofilliana (nel testo web) La fotosintesi clorofilliana avviene così: con la luce solare, gli stomi si aprono e fanno entrare l’anidride carbonica nelle foglie. Dal fusto arriva la linfa grezza (acqua e sali minerali) alle foglie. I cloroplasti presenti nelle cellule trasfornao l’anidride carbonica e l’acqua in ossigeno e glucosio (uno zucchero), Gli stomi si aprono e l’ossigeno esce. Il glucosio trasforma la linfa grezza in linfa elaborata (il cibo delle piante) e attraverso i vasi cribrosi la linfa elaborata va in tutta la pianta. 54