Assemblea “IMPRESA E COMUNICAZIONE” 4 luglio 2013
Intervento del Presidente di Confindustria Ravenna Guido Ottolenghi
Cari colleghi imprenditori, Autorità, amici, gentili ospiti, presidente Squinzi, grazie di essere con noi
oggi a condividere riflessioni sul tema della comunicazione nel mondo della politica e dell’impresa.
La comunicazione e in particolare i nuovi mezzi di formazione del consenso sono stati protagonisti
delle rivolte nel mondo arabo, dei moti di piazza in Turchia contro Erdogan, e fanno da sfondo a
guerre informatiche tra le potenze mondiali. Nelle ultime elezioni politiche italiane il Movimento 5
Stelle ha fatto una scommessa vincente sul web come catalizzatore del dissenso mostrando a tutti
la forza di aggregazione e di suggestione dei nuovi canali mediatici.
Viviamo un momento di profonda crisi del nostro tessuto economico e sociale e credo sia naturale
aprire questa relazione chiedendosi come mai, tra le tante priorità e temi scottanti su cui parlare,
Confindustria Ravenna abbia scelto di dedicare questa assemblea al rapporto tra impresa e
comunicazione e non a temi che ci sono pur vicinissimi come l’eccesso della pressione fiscale, la
scarsità del credito, la burocrazia, o al tema degli aiuti al lavoro e alle imprese. Ebbene vi sono
essenzialmente due motivi che cercheremo di approfondire oggi. Uno è di natura più ideale,
sebbene con implicazioni profonde sulla vita delle imprese, e cioè che nei momenti di difficoltà e
tensione sociale ed economica i valori di libertà e democrazia ed i processi politici ad essi
connaturati vengono messi a più severa prova dalla necessità di trovare vie di fuga (reali o
illusorie) alla crisi. È in questi momenti che storicamente la libertà ha vacillato e che le dittature
hanno avuto successo. A dare vigore alla democrazia, o potere alla tirannide, sono anche i mezzi di
formazione del consenso, in primo luogo i mezzi di comunicazione. Dunque riflettere sulle loro
dinamiche è utile anche al mondo produttivo, soprattutto quando strumenti abbastanza nuovi
come internet giocano un ruolo crescente. L’altro motivo è più vicino all’industria benché
connesso al primo, e cioè che proprio nei momenti di crisi viene meno la fiducia dei cittadini nelle
istituzioni e nella politica, e i nuovi progetti delle aziende, e quelli di infrastrutturazione del
territorio vengono facilmente bloccati da gruppi di interesse o di opinione, anche esigui, ma capaci
attraverso i mezzi di comunicazioni di mobilitare l’interesse dell’opinione pubblica e di oscurare la
legittimità democratica delle istituzioni politiche.
1
Se possiamo dapprima concentrarci su questo secondo aspetto vorrei ragionare su come l’impresa
generalmente comunica col suo territorio. Le nostre imprese sono per la maggior parte piccole o
medie e non hanno una strategia di comunicazione, né un ufficio stampa. Sono però in genere
molto legate al loro territorio, e l’imprenditore incontra con regolarità cittadini e autorità, che
spesso sono anche amici di scuola o vicini di casa, magari sostiene iniziative sociali o sportive, più
per vero coinvolgimento personale o famigliare che per calcolo, creando nel tempo una
reputazione e una condivisone delle informazioni che permettono di proporre alla comunità in cui
vive nuovi progetti industriali senza bisogno di sforzi particolari di comunicazione. È a questo
livello che vi è forse in modo massimo coincidenza tra la sostanza delle attività dell’azienda e la
percezione che ne ha il pubblico. A fungere da mezzi di comunicazione sono in fondo l’esempio, i
contatti quotidiani, la storia personale. Ma anche a questo livello se il nuovo progetto si discosta
molto da quanto la comunità considera normale, o se il progetto è valido ma la reputazione non
univoca, le difficoltà cominciano subito. A maggior ragione ciò succede per le imprese medie o
grandi, che per la loro dimensione e struttura organizzativa fanno più fatica a mantenere un pieno
dialogo con le comunità in cui operano. Anche le imprese con grandi uffici stampa, relazioni coi
media, o addirittura media di proprietà, faticano a trasmettere in modo credibile le ragioni della
proprie iniziative industriali. Questo stato di cose forse contribuisce a spiegare anche la scarsità di
investimenti esteri.
Tipicamente quando vi sono nuovi progetti si attiva un processo che provo di seguito a evocare
sinteticamente, e che ognuno di noi ha qualche volta vissuto sulla propria pelle. Si svolgono
innanzi tutto le procedure di studio e consultazione pubblica previste dalla legge, che sono
complesse, costose e molto dettagliate e alle quali raramente la gente partecipa. Solo quando il
progetto si orienta e si consolida e la sua realizzazione appare imminente, cominciano ad
aggregarsi gli interessi contrari all’investimento. Ad interessi legittimi, o almeno comprensibili,
come quelli di cittadini che temono effetti negativi sulla loro quotidianità, si accodano interessi
meno meritevoli di difesa, come quelli di concorrenti o altri interessi economici o di mera visibilità
personale. È in questa fase che si formano i comitati del NO, gruppi spesso contenuti
numericamente, che cercano di attirare la simpatia dei media, e che sempre più si servono
efficacemente dell’effetto moltiplicatore di internet. Nei blog, nei siti e nei gruppi online appaiono
slogan ad effetto ed allarmanti, ma che sono in genere frasi vuote, mezze verità che come noto
equivalgono a bugie intere. Il meccanismo che invita il visitatore a esprimersi sulla posizione del
2
blog banalizza questioni assai complesse a un semplice “Mi Piace”. Con la pressione di un tasto
ogni visitatore di quel sito, magari residente in aree lontanissime, può identificarsi con una causa e
farle acquistare vigore.
Le istituzioni e le forze politiche, che rappresentano legittimamente gli interessi della collettività,
dovrebbero essere coloro che dialogano con questi gruppi, scegliendo anche all’occorrenza di
ignorarli se il dialogo è sterile. Esse dovrebbero dare voce alle molte persone che traggono
direttamente e indirettamente benefici dalle nuove iniziative, e che spesso per indole non si
espongono. Ma le istituzioni in tempi di crisi hanno meno forza e meno autorevolezza, e non
sempre hanno la coscienza a posto, come non sempre l’industria è priva di colpe. Per questo
capita di assistere sgomenti allo spettacolo di donne e uomini delle istituzioni che, votati da decine
di migliaia di cittadini, arretrano di fronte alle decine di oppositori. Chi sono gli attori di questa
opera ora tragica ora comica che attraverso un uso sapiente dei mezzi di comunicazione rallenta o
blocca molte opportunità di sviluppo? Proverei a investigare tre figure che tipicamente appaiono
sulla scena e che dobbiamo allenarci a identificare bene in ogni confronto sui media: esse sono
l’oracolo, il complotto, e la collettività che ad un certo punto sposa una causa abbandonando ogni
spirito critico.
L’oracolo1 è colui che anima e guida la comunicazione. Nell’antico Egitto era la persona che
dominava la parola scritta. Infatti gli egizi erano consci del potere di trasformazione della realtà
che aveva la scrittura (i nuovi media di quei tempi) e la affidavano alla sola casta sacerdotale
chiamandola “parola del dio”. La Bibbia è forse il testo più antico che tratteggia con realismo la
potenza dell’intellettuale, raccontando l’episodio di un re il quale ebbe l’intuizione che se le armi
fallivano, si poteva efficacemente combattere e vincere con le parole. Egli convocò un certo Bilam,
un grande parlatore dell’epoca, amato dall'opinione pubblica e capace di mettere in crisi tutti con
attacchi verbali violentissimi. Bilam sapeva bene che i motivi per cui il re lo chiamava erano
sbagliati, e sapeva anche di rischiare l’insuccesso, ma non resistette alla tentazione economica2 e
montò una campagna mediatica che infine fallì, ma che fu temibile. Umberto Eco, nel suo libro
1
Luigi Einaudi, Prediche Inutili, Giulio Einaudi Editore, 1974, p. 200: “Non ha importanza la formula con la quale
l’oracolo conduce gli uomini alla scoperta della verità. Per Rousseau e Robespierre essa prende il nome di ‘virtù’, per
Saint-Simon di religione della scienza, per Hitler di dominio del sangue e della razza, per Marx e Lenin di dittatura del
proletariato. Le formule mutano e passano. La dottrina di una verità la quale, scoperta, deve essere riconosciuta e
ubbidita, rimane”.
2
Si tratta dell’episodio di Balak e dell’asina di Bilam, Numeri 22:1-24:25, così come descritto in un commento di
Riccardo Di Segni – Unione Informa, 11 luglio 2011.
3
“Baudolino”, tratteggia l’ascesa e il ruolo sociale dell’intellettuale nel medioevo, fino al punto di
essere una figura forse più potente del sacerdote e del guerriero. Non è dunque una novità il fatto
che ci sia sempre un teorico, che sa servirsi bene della parola e dei media più moderni, che scalda
il cuore delle persone e guida le coscienze, talvolta per la causa giusta, talaltra per quella sbagliata,
ma dalla quale può trarre fama o vantaggio.
Il complotto è l’ingrediente di base di cui si serve chi contesta e vuole bloccare un’iniziativa e di cui
abusa l’intellettuale disonesto: immancabilmente dirà che dietro alle nuove idee che si
propongono vi sono poteri oscuri, informazioni celate, interessi inconfessabili. È questo un modo
molto suggestivo di affrontare i problemi, e anche molto consolante, infatti non bisogna faticare,
ma semplicemente smascherare, e talvolta annientare, chi complotta contro di noi, e dopo tutto
andrà bene. Tutti noi conosciamo almeno qualcuno a cui tutto va storto e che dà sempre la colpa
agli altri. Per quanto possa essere sfortunato, guardiamo con un po’ di fastidio a persone così,
perché ognuno di noi, anche nelle difficoltà, ha pur sempre un grado di libertà per reagire. Chi dà
la colpa solo agli altri rinnega questa libertà. È proprio questo il lato triste delle teorie della
cospirazione: chi le sposa si è già privato della fiducia nella propria libertà, non crede più nella
responsabilità individuale e nel corso della storia quasi sempre coloro che hanno spiegato la realtà
coi complotti hanno poi finito per limitare o togliere la libertà anche agli altri. A braccetto col
complotto viene sempre la calunnia, perché quando le argomentazioni sono deboli giova al
comunicatore portare l’attenzione sul piano personale. Egli conosce la potenza politica
dell’insinuazione e della denigrazione, resa oggi ancora più facile dall’anonimato e dall’impunità
che offre il web, dove si svolgono attacchi personali violentissimi, sia a personalità pubbliche, sia
tra privati cittadini, soprattutto adolescenti. La dinamica della calunnia fu descritta
magistralmente in un’aria del Barbiere di Siviglia di Rossini3 (ricordo che Rossini ebbe un periodo
formativo nel nostro territorio, dai fratelli Malerbi a Lugo, dove la sua famiglia aveva una
proprietà). E l’aria dice: “la calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile … che insensibile e
3
Il Barbiere di Siviglia, opera di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini, Atto I
La calunnia è un venticello Un'auretta assai gentile Che insensibile sottile Leggermente dolcemente Incomincia a
sussurrar.
Piano piano terra terra Sotto voce sibillando Va scorrendo, va ronzando, Nelle orecchie della gente S'introduce
destramente, E le teste ed i cervelli Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo, Lo schiamazzo va crescendo: Prende forza a poco a poco, Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta Che nel sen della foresta, Va fischiando, brontolando, E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia, Si propaga si raddoppia E produce un'esplosione Come un colpo di cannone, Un
tremuoto, un temporale, Un tumulto generale Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato Avvilito, calpestato Sotto il pubblico flagello Per gran sorte va a crepar.
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sottile … nelle orecchie della gente s'introduce destramente” ma alla fine, quando il suo veleno si è
diffuso, “il meschino, calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte va a
crepar”.
Ora, l’intellettuale populista, con le sue tecniche, la sua maestria nell’uso dei media, il suo uso
della calunnia e delle teorie del complotto non concluderebbe nulla se non avesse una collettività,
cioè noi cittadini, disponibile a trasformarsi in massa, a perdere ogni senso critico, a far prevalere
in ogni cosa il valore di conservazione (il NO) rispetto alle opportunità del cambiamento (il SI)
esercitando appieno la forza di interdizione che la nostra società esprime. Coltiviamo poco la
cultura scientifica e la conoscenza mnemonica, cioè quegli strumenti che ci aiuterebbero a cogliere
le incongruenze di certe teorie e la loro fallacia. Tendiamo a credere alla narrazione coerente e a
inferire il generale dal particolare e non il viceversa4. In altre parole tendiamo sempre a credere a
una bella storia che suona bene senza approfondire i fatti, e preferiamo ascoltare solo gli “esperti”
che confermano quel che già pensiamo. A me è capitato di seguire un attacco alla gestione di una
casa di riposo ad opera di un “comitato parenti” che lamentava il cattivo trattamento degli ospiti. I
politici locali si interessavano alla cosa, i media davano risalto con simpatia alle accuse dei parenti.
Poi qualcuno, dopo molto tempo, ha verificato che nessuno membro di tale associazione, che
aveva nel frattempo ottenuto un cospicuo potere, era mai stato parente degli ospiti. All’estero ho
conosciuto un’associazione che difende l’ambiente ed è finanziata dalla Comunità Europea, ma
l’ho vista proteggere palazzinari e interessi illegali. Ci sono regioni d’Italia dove l’ostilità a
qualunque gestione razionale dei rifiuti si trasforma in un aiuto alle ecomafie. E la comunicazione
è il catalizzatore che da forza al misto di ingenuità, paura, interessi, idealismo e rifiuto della
razionalità che trasformano le questioni da dibattito civile su diversi modelli di sviluppo a
confronto verbale, e talvolta fisico, violento.
Cosa si può fare quando si affronta questa dinamica? Non è facile, ma credo ci siano molte
risposte sia a livello ideale, che a livello pratico.
Al livello più elevato ricordiamo, come abbiamo fatto in apertura di questa relazione, che i media e
la politica sono strettamente connessi e che solo gradualmente il pubblico ne comprende i
meccanismi e i trucchi ed è dunque molto più influenzato dai nuovi media nella loro fase iniziale.
4
Daniel Kahneman, Pensieri Lenti e Veloci, Mondadori 2012, in particolare pp. 152-161.
5
Perciò quando momenti di tensione economica e sociale hanno coinciso con innovazioni
importanti nei mezzi di comunicazione si sono avuti grandi progressi o grandi disastri. L’invenzione
della stampa favorì la riforma protestante. Napoleone fu tra i primi a capire l’efficacia dei giornali
come strumento di governo presso una borghesia che acquisiva crescente potere sociale, e fece
ogni sforzo per avere un controllo esteso sulla stampa della sua epoca. Cavour intuì l’effetto della
maggiore alfabetizzazione presso le classi medie che consentiva un uso ancor più efficace, e più
liberale, dei giornali. I grandi dittatori del ‘900, Mussolini, Hitler e Stalin, studiarono la potenza di
radio, cinegiornali e cinema, i nuovi media dei loro tempi, e anche grazie ad essi, in un momento di
grandi tensioni e trasformazioni poterono indirizzare il malcontento generale e poi soffocare ogni
voce contraria, costruendo un consenso vastissimo al servizio di ideologie assurde, prima che
inumane.
Friedrich von Hayek diceva che la possibilità di scegliere il proprio governo non
garantisce necessariamente la libertà5, e un giurista liberale come Hans Kelsen rifletteva negli anni
’20 che “non c'è democrazia liberale senza partiti politici, i quali raggruppano gli uomini di una
stessa opinione, e garantiscono loro un influsso effettivo sulla gestione degli affari pubblici” e
aggiungeva che "solo l'illusione o l'ipocrisia può credere che la democrazia sia possibile senza
partiti politici"6. In altre parole il consenso non esiste in natura, e da 25 secoli chiamiamo politica il
processo in cui esso si forma o si trasforma. Laddove le scelte sono semplificate all’estremo, e non
vi è un luogo di dibattito aperto che consenta l’approfondimento, l’opinione pubblica non riesce
più a percepire la complessità del reale. Ciò favorisce la polemica invece del confronto informato e
civile, e la possibilità di scegliere i propri rappresentanti non basta più a garantire la libertà e la
democrazia. Internet non ha necessariamente queste caratteristiche, ma il fatto di non avere filtri
e di favorire la semplificazione della realtà in questo momento sembra far prevalere l’aspetto
anonimo e polemico. Starà agli utenti, che siano cittadini, imprese o politici, adoperarsi con uno
sforzo anche culturale affinché la rete dispieghi il suo potenziale in modo da consolidare la libertà
e la conoscenza e non di minarle.
Per contrastare la dinamica che abbiamo descritto ricordiamo anche, a livello più pratico, che
l’interesse resta un potente e onesto motore delle scelte individuali. Negli Stati Uniti nuovi metodi
di estrazioni di petrolio e gas (shale oil e shale gas) stanno cambiando lo scenario economico e
5
Friedrich von Hayek, La Società Libera, Rubettino Editore 2007, capitolo 1, La Libertà: “forse l’aver visto milioni di
uomini votarsi all’assoluta dipendenza da un tiranno ha fatto capire alla nostra generazione che scegliere il proprio
governo non garantisce necessariamente la libertà”.
6
Hans Kelsen, La Democrazia, Il Mulino, Bologna 1981, pp. 56-57.
6
sociale e innescano grandi investimenti in ogni campo, mentre da noi qualunque attività di ricerca
è avversata. Tra le tante ragioni per questa differenza di atteggiamento della gente ricordo che in
America i proprietari dei terreni hanno diritto anche sul sottosuolo e dunque una scoperta può
recare disagi, ma anche grandi ricchezze ai singoli cittadini. È per questo che essi guardano con più
interesse a questa opportunità e ne bilanciano rischi e benefici, mentre da noi il sottosuolo è dello
Stato e la ricerca arreca solo vantaggi indiretti ai cittadini. In generale gli incentivi per i singoli a
fronte di un investimento importante o a un’opera pubblica sono poco percepiti da noi. Inoltre le
comunità non avvertono appieno il beneficio generale che un buon tessuto industriale porta a un
territorio e dunque anche le istituzioni non sempre si spendono per questo. In termini tecnici il
problema riguarda le esternalità che ogni nuova iniziativa può generare, e il fatto che vanno
individuate e condivise non solo le esternalità negative, ma anche quelle positive. Noi proponiamo
a questo proposito di avviare qualche riflessione su uno schema di allocazione parziale dell’IRES
(l’imposta sui redditi delle società) alle amministrazioni locali, senza compensazioni o solidarietà
tra territori, per rendere più forte la correlazione tra insediamenti produttivi e benessere, e per
depotenziare la forza suggestiva dei comitati del no.
Abbiamo dunque riflettuto sulla potenza dei mezzi di comunicazione e sulla forza maggiorata di
internet nella sua attuale fase iniziale, e anche su artifici come la calunnia e la teoria del complotto
che possono armare intellettuali settari o privi di scrupoli che sulla rete trovano spazio senza filtri.
Abbiamo infine ipotizzato che cultura e strumenti economici di allineamento degli interessi
possano depotenziare gli effetti negativi di un certo tipo di comunicazione sulla società e sulle
iniziative industriali. Quale provvisoria conclusione possiamo trarne noi imprenditori? Innanzi
tutto bisogna che accettiamo, anche se ci è indubbiamente ostico, che comunicare è necessario, e
lo è ancor più in tempi di crisi, e che nel farlo ci confrontiamo con dinamiche anche dure, ma non
possiamo ignorare i media e in particolare i nuovi strumenti di comunicazione offerti dal web.
Possiamo forse dire anche che vi è un nostro ruolo per far emergere una cultura fattiva nel
dibattito sulla rete, una capacità di non farsi illudere dagli slogan, un rigore mentale che ci abitui a
rifiutare il contesto in cui un problema ci viene confezionato, provando a vedere se il problema è
sempre lo stesso dopo aver riformulato il contesto. E poi dobbiamo in qualche modo investire di
più nella cultura generale e scientifica, e nel suo piccolo Confindustria Ravenna lo fa sostenendo
istituti tecnici, centri di ricerca e il nostro polo universitario che va assumendo crescente
importanza per il territorio.
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Nella relazione di due anni fa ho avuto l’onore di ricordare come impresa, benessere economico e
libertà siano indissolubilmente legati, così come sono tristemente legati la tirannia, la servitù e la
miseria7. L’anno scorso ho espresso il sentimento, condiviso nel mondo dell’industria, che la
cultura di impresa, che per necessità valorizza il merito, è anche baluardo dei valori che
caratterizzano una buona classe dirigente. Vorrei aggiungere quest’anno che i sentimenti di
laboriosità e concretezza dell’impresa possono emergere e affermarsi anche nei dibattiti senza
filtri su internet, e che se il ceto produttivo saprà partecipare a questa sfida consoliderà la
conoscenza e la libertà di tutti noi.
Grazie della vostra attenzione
7
Milton Friedman, Capitalismo e libertà, p. 44, IBL Libri 2010.
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Relazione del Presidente Guido Ottolenghi