Traduzione/mediazione interculturale
(D00016)
Pierangela Diadori
Università per Stranieri di Siena
Pisa, 2009
ISBN: 978-88-6725-019-6
Ultima revisione 2 Ottobre 2012
ICoN – Italian Culture on the Net
P. Diadori – Traduzione/mediazione interculturale
Presentazione del modulo
A partire dal concetto di mediazione linguistica introdotto dal Quadro comune europeo di
riferimento per le lingue (QCER), il modulo mette a fuoco le varie problematiche, i testi, i contesti e
le professioni che fanno riferimento alla mediazione orale, scritta e trasmessa, analizzandone in
particolare i fenomeni legati all'interazione e agli aspetti interculturali.
Il contatto fra lingue e culture, insito in ogni fenomeno traduttivo, viene poi ripreso nella riflessione
sulla dimensione pragmatica della mediazione, alla luce di alcune problematiche e strategie
traduttive di tipo sia linguistico che interculturale.
Il modulo si chiude riepilogando le conoscenze, le competenze e le abilità interlinguistiche e
interculturali che il mediatore/interprete/traduttore dovrebbe mantenere in atto, aggiornare e
ampliare nel corso di tutta la propria carriera.
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Guida al modulo
Scopo del modulo
Scopo generale del modulo è quello di mettere a fuoco i concetti-chiave della mediazione (intesa
come iperonimo di traduzione scritta / intepretazione orale) con particolare attenzione alla
dimensione interculturale che ne è una parte fondante. Il Quadro comune europeo di riferimento per
le lingue (QCER) ha infatti spinto i docenti di lingue moderne, gli autori di materiali didattici e i
formatori di docenti a rivedere il concetto di traduzione in un'ottica più ampia, orientata alla
spendibilità sociale dei saperi. Uno degli obiettivi dell'insegnamento/apprendimento linguistico in
Europa, secondo il QCER, dovrebbe essere quello di sviluppare competenze di mediazione
interlinguistica e interculturale per favorire la comunicazione interpersonale e la comprensione
reciproca fra i cittadini europei. Questa prospettiva porta a rivedere dunque anche il modo
tradizionale di esaminare e spiegare i fenomeni legati alla mediazione (scritta, orale e trasmessa)
come ambito professionale.
In questo modulo si punta dunque a:
a) illustrare la dimensione interculturale:
- della mediazione nel QCER;
- della mediazione orale (interpretazione consecutiva, di trattativa, di comunità, in contesto
informale);
- della mediazione scritta (la traduzione specializzata, saggistica, letteraria);
- della mediazione trasmessa (l'interpretazione simultanea, la traduzione audiovisiva, la traduzione
per la rete, la mediazione nella conversazione-spettacolo);
b) illustrare la dimensione pragmatica della mediazione e il ruolo del contesto nei fenomeni
traduttivi:
- alla luce delle osservazioni del QCER;
- alla luce dei problemi linguistici e delle relative strategie traduttive;
- alla luce dei problemi interculturali e delle relative strategie traduttive.
A queste osservazioni si ricollega la riflessione conclusiva sulle competenze interlinguistiche e
interculturali indispensabili per la formazione di base del futuro mediatore/interprete/traduttore.
Contenuti del modulo
Il modulo è composto da:
1. il testo delle unità didattiche;
2. schede di approfondimento:
- Comunicazione interculturale e mediazione in contesto migratorio;
- Esempio di presa di note di un interprete di consecutiva;
- Numeri di pagine tradotte annualmente presso la Commissione Europea;
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- Tipi testuali;
- Le traduzioni degli hapax danteschi
3. un glossario di linguistica (utile per definire alcuni dei termini utilizzati nel corso del modulo).
Attività richieste
Lettura e studio di tutti i materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi.
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Indice delle unità didattiche
UD 1 - La mediazione linguistica nel Quadro comune europeo (QCER)
In questa unità didattica si illustra il concetto di mediazione quale emerge nel Quadro comune
europeo di riferimento per le lingue (QCER), un documento realizzato nella metà degli anni
Novanta per favorire l'apprendimento delle lingue in Europa.
1.1 - Alle origini del QCER
1.2 - Concetti di fondo del QCER
1.3 - Mediazione interlinguistica, intralinguistica, intersemiotica
1.4 - Mediazione come iperonimo
1.5 - Mediazione e sviluppo della personalità plurilingue e interculturale
UD 2 - La mediazione orale (interpretazione)
In questa unità didattica si mette a fuoco la mediazione orale: la sua definizione nel QCER
(mediazione/interpretazione) e la sua realizzazione nei vari contesti operativi (l'interpretazione
consecutiva in contesto formale, l'interpretazione di trattativa in contesto aziendale o istituzionale,
l'interpretazione di comunità in contesto migratorio e l'interpretazione in contesto informale). La
dimensione interculturale è cruciale nelle modalità di interazione faccia a faccia, durante le quali
l'interprete ha il compito di fungere da intermediario non solo nella trasmissione dei messaggi
verbali ma anche di quelli non verbali, evitando fraintendimenti dovuti al contatto fra soggetti
appartenenti a culture diverse.
2.1 - La mediazione orale (interpretazione) nel QCER
2.2 - L'interpretazione in contesto formale (interpretazione consecutiva)
2.3 - L'interpretazione in contesto aziendale o istituzionale (interpretazione di trattativa)
2.4 - L'interpretazione in contesto migratorio (interpretazione di comunità)
2.5 - L'interpretazione in contesto informale
UD 3 - La mediazione scritta (traduzione)
In questa unità didattica si mette a fuoco la mediazione scritta: la sua definizione nel QCER
(mediazione/traduzione) e la sua realizzazione secondo le caratteristiche dominanti dei testi oggetto
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di traduzione interlinguistica (traduzione specializzata, saggistica e letteraria). La dimensione
interculturale emerge nel processo traduttivo ogni volta che il mediatore/traduttore interpreta il testo
di partenza ("prototesto") in funzione della sua riscrittura, dato che il testo di arrivo ("metatesto")
viene realizzato non solo in un'altra lingua ma anche in funzione di altri lettori, della cui cultura di
riferimento è importante tener conto nella scelta delle strategie traduttive.
3.1 - La mediazione scritta nel QCER
3.2 - La traduzione specializzata (o "traduzione tecnica")
3.3 - La traduzione saggistica
3.4 - La traduzione letteraria
UD 4 - La mediazione trasmessa
Il parametro di variazione linguistica relativo al canale attraverso il quale avviene la comunicazione
(variazione diamesica) riguarda anche la mediazione. Per questo, dopo aver affrontato la
mediazione orale (realizzata attraverso il canale orale faccia a faccia) e quella scritta (realizzata
attraverso il canale della lettura/scrittura) tratteremo ora quei tipi di traduzione che si realizzano
grazie a particolari mezzi tecnici: l'interpretazione simultanea, la traduzione audiovisiva, la
mediazione per la comunicazione-spettacolo.
4.1 - L'interpretazione simultanea
4.2 - La traduzione audiovisiva (doppiaggio, oversound e simultanea per il cinema)
4.3 - La traduzione audiovisiva (sottotitoli e sopratitoli)
4.4 - La traduzione per la rete (localizzazione)
4.5 - La mediazione nella conversazione-spettacolo
UD 5 - La dimensione pragmatica della mediazione
In questa unità didattica viene ricordata l'importanza della dimensione pragmatica sia
nell'apprendimento della seconda lingua (come suggerito dal QCER) sia nelle modalità concrete in
cui si realizza la comunicazione. Gli usi della lingua in contesto variano da cultura a cultura: di
questo deve tener conto il mediatore che, nell'atto del tradurre o dell'interpretare, si troverà di fronte
a problemi di tipo linguistico e interculturale.
5.1 - La pragmatica nel QCER
5.2 - Mediazione e pragmatica interculturale
5.3 - I copioni interazionali culturalmente specifici
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UD 6 - Problemi linguistici e strategie di mediazione
La mediazione deve tener conto dei problemi di tipo linguistico che possono insorgere nel trasporre
un testo da una lingua all'altra, in modo da adottare specifiche strategie traduttive.
6.1 - Le opzioni
6.2 - Le strategie
6.3 - La "malalingua" dell'originale
6.4 - Giochi di parole
UD 7 - Problemi interculturali e strategie di mediazione
La mediazione deve tener conto dei problemi di tipo interculturale che possono insorgere nel
trasporre un testo da una lingua all'altra, in modo da adottare specifiche strategie traduttive. La
formazione del futuro mediatore/interprete/traduttore deve integrare la dimensione interlinguistica e
quella interculturale.
7.1 - Le strategie di mediazione secondo il QCER
7.2 - Informazioni e contesto
7.3 - La dimensione non verbale
7.4 - I turni di parola e la gestione del tempo
7.5 - Le competenze interlinguistiche e interculturali nella formazione di base del futuro
mediatore/interprete/traduttore
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UD 1 - La mediazione linguistica nel Quadro comune europeo (QCER)
In questa unità didattica si illustra il concetto di mediazione quale emerge nel Quadro comune
europeo di riferimento per le lingue (QCER), un documento realizzato nella metà degli anni
Novanta per favorire l'apprendimento delle lingue in Europa.
1.1 - Alle origini del QCER
1.2 - Concetti di fondo del QCER
1.3 - Mediazione interlinguistica, intralinguistica, intersemiotica
1.4 - Mediazione come iperonimo
1.5 - Mediazione e sviluppo della personalità plurilingue e interculturale
1.1 - Alle origini del QCER
Il convegno tenutosi nel novembre 1991 a Rűschlinkon in Svizzera su "Trasparenza e coerenza
nell'apprendimento delle lingue in Europa: obiettivi, valutazione e certificazione" fissò le basi di
quello che sarebbe diventato il documento europeo di maggiore importanza per l'insegnamento
delle lingue straniere e cioè il Common European Framework of Reference, realizzato da un team di
esperti del Consiglio d'Europa e diffuso in rete (in inglese e francese) nel 1996, poi pubblicato in
inglese nel 2001 (Council of Europe, 2001) e tradotto in italiano nel 2002 con il titolo Quadro
comune europeo di riferimento per le lingue, che da ora in poi chiameremo QCER (sul QCER vedi i
commenti di Vedovelli 2002, Jafrancesco 2004 e Mezzadri 2006).
Il QCER, destinato ai docenti di lingue straniere in Europa e agli autori di materiali didattici,
nonché ai responsabili degli enti formativi attivi nel campo delle lingue straniere, prevede che uno
degli obiettivi dell'apprendimento guidato della L2 in contesti istituzionali formali sia quello di
raggiungere, oltre alla capacità di usare la lingua straniera (oralmente o per scritto, nelle attività di
comprensione, produzione o interazione), anche quella specifica capacità di riprodurre il messaggio
in una lingua diversa, in funzione di altri destinatari incapaci di comprenderlo. In questo documento
riemerge infatti, dopo anni di oblio, la "traduzione" legata all'apprendimento della L2, ma non come
mezzo, bensì come fine. Il QCER infatti invita gli insegnanti a favorire nei loro studenti lo sviluppo
della competenza traduttiva, ovvero dell'abilità di "mediazione", sia scritta che orale (anche se non
vengono forniti nel QCER dei descrittori specifici per le abilità di mediazione).
1.2 - Concetti di fondo del QCER
I nuovi presupposti di politica linguistica europea del QCER possono essere riassunti in alcuni punti
principali:
- le diversità linguistiche e culturali devono arricchire e non separare;
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- la conoscenza di nuove lingue fa superare pregiudizi e stereotipi e allo stesso tempo favorisce la
mobilità;
- ci deve essere una convergenza di politiche nel campo della didattica delle lingue (per esempio il
riconoscimento reciproco delle certificazioni) all'interno di un progetto educativo globale che va
dall'età prescolare all'età adulta.
Inoltre, nelle intenzioni degli autori, il QCER vuole:
- fornire una base comune europea per l'elaborazione di programmi, linee guida curricolari, esami,
libri di testo per le lingue moderne;
- definire i livelli di competenza (individuati da una serie di descrittori di competenze) anche allo
scopo di misurare i progressi dell'apprendimento nella prospettiva dell'educazione permanente;
- offrire delle descrizioni di qualificazione parziali, utili quando è richiesta solo una conoscenza
limitata della lingua;
- favorire lo sviluppo della personalità bilingue, arricchita dall'esperienza dell'alterità in un'ottica
interculturale;
- favorire la mobilità delle persone e la cooperazione internazionale attraverso una maggiore
trasparenza reciproca dei saperi e delle competenze acquisite;
- diffondere il plurilinguismo attraverso l'apprendimento di una più grande varietà di lingue europee
e il riconoscimento formale delle competenze parziali.
1.3 - Mediazione interlinguistica, intralinguistica, intersemiotica
Nel paragrafo 2.1 del QCER dedicato all'approccio orientato all'azione come chiave per la didattica
della lingua straniera, fra le attività linguistiche che il soggetto potrebbe compiere in L2, via via che
acquisisce un'adeguata competenza linguistico-comunicativa, si citano la ricezione, la produzione,
l'interazione e la mediazione, che possono realizzarsi mediante testi orali, scritti o trasmessi:
l'apprendimento di una seconda lingua, in altre parole, viene ricondotto non solo alle attività di
comprensione e produzione di testi in L2, alle attività di interazione in L2 con altri parlanti (nativi o
non nativi), ma anche alle attività di riformulazione di un testo allo scopo di permettere la
comunicazione fra persone altrimenti incapaci di comprendersi (da L1 a L2, da L2 a L1 o mediante
riformulazioni e semplificazioni nella stessa lingua).
Il QCER considera cruciale questa abilità di riformulazione, che viene ricondotta al concetto di
"mediazione": riconosciamo qui l'impostazione semiotica di fondo di Roman Jakobson, che negli
anni Cinquanta aveva per primo inquadrato il problema della traduzione in termini di
"interpretazione", distinguendo per la prima volta:
- la traduzione interlinguistica (fra due lingue diverse, cioè la traduzione propriamente detta);
- la traduzione endolinguistica (all'interno della stessa lingua, o riformulazione con intenti
divulgativi);
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- la traduzione intersemiotica (fra codici diversi, per esempio la descrizione verbale di una
immagine o di una melodia).
Nel QCER (paragrafo 4.4.4), intitolato Attività e strategie di mediazione si dice infatti:
Nelle attività di mediazione chi usa la lingua non intende esprimere il proprio pensiero, ma semplicemente agire da
intermediario tra due locutori che non riescono a comprendersi direttamente – normalmente (ma non obbligatoriamente)
persone che usano lingue diverse. Tra le attività di mediazione troviamo ad esempio l'interpretariato (orale) e la
traduzione (scritta) ma anche il riassumere e il parafrasare testi nella medesima lingua, quando la lingua del testo
originale non risulta comprensibile al destinatario. (QCER 2002, paragrafo 4.4.4: 108)
1.4 - Mediazione come iperonimo
Alla metà degli anni Novanta, quando in Europa la mobilità delle persone si accentua trasformando
ogni stato membro in un contesto multilingue e multiculturale, il QCER introduce dunque la
mediazione come abilità comunicativa fondamentale da sviluppare negli apprendenti per rendere
socialmente spendibile il loro sapere linguistico (si parla infatti di abilità di ricezione, produzione,
interazione e mediazione, sia orale che scritta). In quegli stessi anni si realizza in Europa la riforma
del sistema universitario ("Processo di Bologna" per l'armonizzazione dei sistemi educativi europei,
vedi il modulo Criteri e spunti operativi per la didattizzazione di testi autentici di vario genere,
4.1), con lauree triennali e lauree magistrali biennali. Fra le lauree triennali si affermano su tutto il
territorio quelle in "mediazione linguistica e culturale", orientate verso le professioni legate alla
traduzione e all'interpretazione (sostituendo con questo nome le precedenti scuole per interpreti e
traduttori). La decisione di ricondurre la traduzione e l'interpretazione sotto il comune denominatore
della mediazione viene resa esplicita alla fine del QCER:
Sia in ricezione sia in produzione, attività scritte e/o orali di mediazione rendono possibile la comunicazione fra persone
che, per un qualsiasi motivo, non sono in grado di comunicare direttamente. La traduzione e l'interpretariato, la
parafrasi, il riassunto e il resoconto consentono la (ri)formulazione del testo originario rendendolo accessibile a una
terza persona che non potrebbe accedervi direttamente. Le attività linguistiche di mediazione – (ri)formulazione di un
testo – occupano un posto importante nel normale funzionamento linguistico delle nostre società (QCER 2002,
paragrafo 2.1.3: 17).
L'iperonimo "mediazione" conferisce dunque alla traduzione/interpretazione un nuovo ruolo nella
didattica delle lingue moderne, come ambito privilegiato di attivazione di processi mentali, di
consapevolezza interlinguistica e interculturale, di riferimento a modelli linguistici, sociolinguistici
e pragmatici. La mediazione (a differenza della traduzione/interpretazione) non è legata al binomio
L1-L2, ma piuttosto al contatto fra la lingua/cultura materna e le varie lingue/culture anche solo
parzialmente possedute dal soggetto. La mediazione, inoltre, può essere orale, scritta o trasmessa,
secondo il canale che viene utilizzato (vedi UD2, UD3 e UD4).
1.5 - Mediazione e sviluppo della personalità plurilingue e interculturale
Nel capitolo 4 del QCER, dal titolo Language use and the language user/learner (L'uso della lingua
e chi la utilizza e l'apprende: 2002: 55), gli autori mettono in relazione lo sviluppo della seconda
lingua con gli usi linguistici dell'apprendente, rilevando che:
L'apprendente non acquisisce semplicemente due modi di agire e di comunicare, privi di relazioni reciproche. Chi
apprende una lingua diventa plurilingue e sviluppa interculturalità. Le competenze linguistiche e culturali di ciascuna
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lingua vengono modificate dalla conoscenza dell'altra e contribuiscono alla consapevolezza interculturale, al saper
essere e al saper fare (QCER 2002 capitolo 4: 55).
Il rilievo dato allo sviluppo della personalità plurilingue e interculturale (Spinelli 2006) richiama
l'attenzione sugli aspetti psicologici dell'apprendimento, in particolare su una delle mete educative
fondamentali dell'apprendimento linguistico definita "relativismo culturale". Questa presa di
posizione è in sintonia con la vocazione plurilingue dell'Europa unita, società complessa per
eccellenza, in cui sempre di più le persone saranno esposte, nella lingua madre e nella cultura
nativa, a diverse varietà linguistiche e varianti culturali. I traduttori e gli interpreti sono figure
emblematiche e rappresentative di questo tipo di consapevolezza.
L'importanza di favorire l'evolversi di una società basata sulla comprensione e la tolleranza
reciproca, in cui saranno presenti varie forme di "disequilibri" di questo tipo, è implicita nella
connotazione positiva che emerge dal QCER in relazione al concetto di competenza plurilingue e
pluriculturale, una competenza che "non implica affatto instabilità, incertezza o mancanza di
equilibrio nella persona, ma, nella maggior parte dei casi, contribuisce a migliorare la
consapevolezza della propria identità" (QCER 6.1.3.1) e al tempo stesso "migliora la percezione di
come si organizzano lingue diverse, negli aspetti che hanno in comune e in quelli specifici
(sviluppando una consapevolezza metalinguistica, interlinguistica o, per così dire,
"iperlinguistica")" (QCER 6.1.3.3). Perfino la competenza parziale in una L2, seppur limitata,
diventa una ricchezza, dal momento che "entra a far parte di una competenza plurilingue,
arricchendola" (QCER 6.1.3.4). Va da sé che gli insegnanti di L2 (a cui si rivolge primariamente il
QCER) sono i soggetti più capaci di stimolare gli apprendenti ad avvicinarsi a più lingue e culture,
ovvero "a costruire la propria identità linguistica e culturale integrandovi un'esperienza
diversificata dell'alterità; a sviluppare la propria capacità di apprendere attraverso questa
esperienza diversificata, riferita a più lingue e a più culture" (QCER 2002: 166).
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UD 2 - La mediazione orale (interpretazione)
In questa unità didattica si mette a fuoco la mediazione orale: la sua definizione nel QCER
(mediazione/interpretazione) e la sua realizzazione nei vari contesti operativi (l'interpretazione
consecutiva in contesto formale, l'interpretazione di trattativa in contesto aziendale o istituzionale,
l'interpretazione di comunità in contesto migratorio e l'interpretazione in contesto informale). La
dimensione interculturale è cruciale nelle modalità di interazione faccia a faccia, durante le quali
l'interprete ha il compito di fungere da intermediario non solo nella trasmissione dei messaggi
verbali ma anche di quelli non verbali, evitando fraintendimenti dovuti al contatto fra soggetti
appartenenti a culture diverse.
2.1 - La mediazione orale (interpretazione) nel QCER
2.2 - L'interpretazione in contesto formale (interpretazione consecutiva)
2.3 - L'interpretazione in contesto aziendale o istituzionale (interpretazione di trattativa)
2.4 - L'interpretazione in contesto migratorio (interpretazione di comunità)
2.5 - L'interpretazione in contesto informale
2.1 - La mediazione orale (interpretazione) nel QCER
Ecco la definizione che viene data nel QCER delle attività di mediazione interlinguistica indicate
come "traduzione" e "interpretazione":
La mediazione copre due attività: 1) Traduzione. Chi usa/apprende la lingua riceve un testo da un parlante o scrivente
che non è presente, in una lingua o codice (Lx) e produce un testo parallelo in una lingua o codice diverso (Ly); il testo
ha come destinatario un'altra persona, che può essere un ascoltatore o un lettore a distanza. 2) Interpretariato. Chi
usa/apprende la lingua agisce da intermediario in un'interazione faccia a faccia tra due interlocutori che non
condividono la medesima lingua o il medesimo codice; riceve un testo in una lingua (Lx) e produce il testo
corrispondente in un'altra (Ly) (QCER 2002 (paragrafo 4.6.4): 122-3).
Fra le attività di mediazione orale, il QCER (4.4.4) elenca le seguenti:
- interpretazione simultanea (congressi, riunioni, conferenze ecc., vedi 4.1);
- interpretazione consecutiva (discorsi di benvenuto, visite guidate ecc., vedi 2.2);
- interpretazione informale (vedi 2.4):
- per visitatori stranieri nel proprio paese;
- per parlanti nativi all'estero;
- in situazioni sociali e transazionali (amici, famiglia, clienti, ospiti stranieri ecc.);
- di cartelli, menù, avvisi ecc.
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A rigore, però, l'interpretazione simultanea non può essere considerata al pari di altre interazioni di
mediazione faccia a faccia, dato che si serve di un particolare canale di trasmissione (per questo la
tratteremo nella unità didattica dedicata alla mediazione trasmessa, vedi UD4). Ugualmente non ci
sembra il caso di mettere sullo stesso piano l'interpretazione realizzata per dei clienti e quella per
degli amici: nel primo caso si tratterà infatti di "interpretazione di trattativa" (vedi 2.3), a cui
bisogna aggiungere quella realizzata nell'ambito della professione di "mediatore linguisticoculturale in contesto migratorio" (vedi 2.4).
A differenza delle altre competenze linguistico-comunicative descritte dal QCER (comprensione
orale e scritta, produzione orale e scritta, interazione orale e scritta) per le quali sono forniti
descrittori specifici per i sei livelli di competenza previsti (A1-A2-B1-B2-C1-C2 in ordine crescente
di competenza, vedi il modulo Analisi e didattizzazione di testi: strategie e tecniche per lo sviluppo
delle abilità, 2.5, 2.6 e 2.7), non ci sono nel QCER esempi di descrittori relativi all'abilità di
mediazione orale e scritta.
Per la "produzione orale generale", per esempio (QCER 2002: 73), possiamo immaginare che fra le
descrizioni corrispondenti ai sei livelli, solo i livelli C1 e C2 siano adatti a descrivere la produzione
orale di un interprete consecutivista (vedi 2.2), anche se non è detto che una buona fluenza e una
buona struttura logica nel parlato implichino una interpretazione consecutiva di qualità. I livelli B1
e B2 saranno invece sufficienti in contesti di interpretazione mediamente formale o informale. Ecco
qui di seguito i descrittori delle competenze di produzione orale generale (QCER, 2002: 73):
C2
È in grado di fare un discorso chiaro, fluente e ben strutturato con una struttura logica
efficace che aiuti il destinatario a notare e ricordare i punti significativi.
C1
È in grado di fornire descrizioni ed esposizioni chiare e precise di argomenti complessi,
integrandovi temi secondari, sviluppando determinati punti e concludendo tutto in modo
appropriato.
B2
È in grado di produrre descrizioni ed esposizioni chiare e ben strutturate, mettendo
opportunamente in evidenza gli aspetti significativi e sostenendoli con particolare
pertinenza.
È in grado di produrre descrizioni ed esposizioni chiare e precise di svariati argomenti che
rientrano nel suo campo di azione, sviluppando e sostenendo le idee con elementi
supplementari ed esempi pertinenti.
B1
È in grado di produrre, in modo ragionevolmente scorrevole, una descrizione semplice di
uno o più argomenti che rientrano nel suo campo d'interesse, strutturandola in una sequenza
lineare di punti.
A2
È in grado di descrivere o presentare in modo semplice persone, condizioni di vita o di
lavoro, compiti quotidiani, di indicare che cosa piace o non piace ecc. con semplici
espressioni e frasi legate insieme, così da formare un elenco.
A1
È in grado di formulare espressioni semplici, prevalentemente isolate, su persone e luoghi.
2.2 - L'interpretazione in contesto formale (interpretazione consecutiva)
L'interpretazione orale, in cui la persona bilingue funge da "ponte" fra persone di lingue e culture
diverse che non hanno modo di comunicare, è sicuramente la forma più antica di mediazione
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linguistica. La moderna interpretazione inizia però come professione all'inizio del Novecento. Fino
al Congresso di Vienna (1814-1815) tutti i diplomatici usavano il francese, ma alla fine della Prima
guerra mondiale, alla Conferenza di Parigi (19 gennaio 1919), si incontrarono i rappresentanti delle
potenze alleate che non parlavano francese (Gran Bretagna, Italia, Giappone, USA e altri 32 paesi
minori, tra cui Polonia, Romania, Serbia e Grecia). Dato il rilievo del convegno, gli interpreti
dovettero allora elaborare un sistema di presa di appunti per aiutarsi a riferire da una lingua all'altra:
nacque così l'interpretazione consecutiva.
Dal punto di vista linguistico-comunicativo le sue competenze fondamentali sono:
- la comprensione orale dei nuclei informativi (cogliere il senso generale del discorso dell'oratore e i
suoi punti cruciali) e la capacità di adattare anche i riferimenti culturali ai nuovi destinatari;
- la presa di note durante il discorso dell'oratore (vedi la scheda Esempio di presa di note di un
interprete di consecutiva).
La dimensione pragmatica è fondamentale in questo tipo di mediazione orale:
- il primo compito del consecutivista è quello di interpretare l'evento della conferenza alla luce delle
convenzioni culturali che lo caratterizzano (in un dato luogo, in una data cultura, in una data epoca
storica) per poi ricostruire, in base alle sue parole e a queste coordinate pragmatiche, l'intenzione
comunicativa dell'oratore e trasmetterla in forma sintetica al pubblico che non ne condivide la
lingua;
- il consecutivista deve saper parlare in pubblico e gestire anche la propria presenza fisica; può
chiedere chiarimenti (il simultaneista non ha questo potere), ma deve mostrare di dominare
l'argomento al pari del relatore, sintetizzandone il discorso punto per punto. Il relatore, d'altro canto,
lo ascolta e lo giudica: ogni brano di interpretazione consecutiva, quindi, deve soddisfare sia il
pubblico, sia il relatore stesso (Falbo, Russo, Straniero Sergio 1999).
2.3 - L'interpretazione in contesto aziendale o istituzionale (interpretazione di trattativa)
L'interpretazione che assicura la comprensione per piccoli gruppi di persone (con esclusione delle
tecniche di interpretazione simultanea e consecutiva) in contesto aziendale o istituzionale viene
definita "interpretazione di trattativa" (Russo e Mack 2005: 79 e seguenti). L'interprete interviene su
richiesta di un committente che deve interagire con un cliente straniero di cui non conosce la lingua.
Ma può trattarsi anche di un interprete inserito come dipendente in una istituzione (un'azienda, un
ufficio pubblico, una banca) che affianca un collega per accogliere un ospite o una delegazione
straniera o per recarsi con una delegazione all'estero.
Nell'interpretazione di trattativa l'interprete può tradurre oralmente via via brevi parti del discorso di
ciascun interlocutore (una forma di consecutiva con o senza presa di appunti, secondo l'esperienza
del soggetto), oppure può riferire nell'orecchio di un partecipante la traduzione del discorso di uno o
più interlocutori (chuchotage): in questo caso l'interprete deve riuscire a controllare il tono della
propria voce in modo che non interferisca sul proprio ascolto (la traduzione avviene dunque in
simultanea ma senza utilizzare alcun mezzo tecnico).
A differenza dell'interpretazione consecutiva e simultanea, il ruolo dell'interprete di trattativa è
caratterizzato da un alto livello di interattività e di coinvolgimento: i partecipanti hanno infatti ruoli
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simmetrici (a parte l'asimmetria linguistica), per quanto riguarda il potere comunicativo relativo alla
trattativa, visto che l'interprete è spesso un impiegato bilingue di una delle istituzioni o delle
aziende in causa. Un interprete di trattativa di una ditta italiana che riceve la visita di una
delegazione filippina, per esempio, deve tener conto che un interlocutore filippino reagisce
negativamente a espressioni dirette che tendono a focalizzare il discorso sulla firma dell'accordo,
mentre un interlocutore italiano reagisce negativamente a chi mostra di prendere impegni non
realistici. L'interprete quindi "deve pensare anche ai possibili pregiudizi reciproci, che non sono di
natura linguistica ma più generalmente culturale" e mediare fra le differenze che possono creare
barriere di reciproca intelligibilità (Arduini e Stecconi 2007).
L'interpretazione di trattativa ha di solito come scopo la condivisione di un progetto o la firma di un
contratto o di un accordo fra le parti. Il contesto in cui si realizza è formale o mediamente formale
(può darsi, per esempio, che le trattative continuino anche durante i pranzi o le cene di lavoro e che
l'interprete sia dunque presente nella duplice veste di convitato e di partecipante alla trattativa).
Per gli interpreti freelance, lavorare nel campo dell'interpretazione di affari comporta la difficoltà di
adattarsi a contesti lavorativi molto vari (per esempio traducendo ora per una ditta farmaceutica, ora
per una casa di moda o per un ufficio del comune). Inoltre le attività non comprendono solo
l'incontro con i partecipanti al tavolo di trattativa, ma anche le fasi preliminari (telefonate,
traduzione o redazione di lettere, traduzione scritta di documenti e relazioni).
2.4 - L'interpretazione in contesto migratorio (interpretazione di comunità)
Per interprete di comunità si intende una figura professionale che opera nell'ambito della
mediazione linguistico-culturale in contesto migratorio (community interpreting).
Ogni paese che abbia conosciuto in maniera consistente i fenomeni dell'immigrazione di lavoratori
provenienti da paesi stranieri in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni economiche, ha
sperimentato fenomeni simili, quali la concentrazione in certe aree geografiche di uno o più gruppi
etnolinguistici, l'emergere di fenomeni sociolinguistici quali l'alternanza di codici, la diglossia e il
bilinguismo precoce dei bambini immigrati; l'erosione della madrelingua; lo sviluppo di lingue
miste (con elementi delle lingue di origine e della lingua di accoglienza); i problemi psicolinguistici
legati all'identità; l'inserimento scolastico dei bambini immigrati e dei minori non accompagnati (si
definiscono "minori non accompagnati" i bambini e gli adolescenti stranieri giunti in Italia senza un
adulto legalmente responsabile di riferimento, fuggiti dai loro paesi per guerre e persecuzioni o
anche solo per trovare migliori opportunità di vita: la legge italiana prevede che vengano tutelati e
inseriti in strutture di accoglienza in vista della richiesta di asilo e della loro integrazione scolastica
e sociale); il desiderio di recuperare la lingua di origine con un apprendimento guidato e via
dicendo.
Nella fase di arrivo delle prime generazioni si delinea anche la tendenza ad utilizzare, nei contatti
con le autorità locali, con la scuola e con la comunità dei parlanti nativi, la figura del mediatore, di
solito un immigrato proveniente dalla stessa regione di origine del proprio gruppo sociale, che da
più tempo si trova sul posto ed è capace di agire come intermediario nei rapporti (talvolta anche
conflittuali) fra il paese ospitante e il proprio gruppo sociale di appartenenza.
L'interprete di comunità svolge dunque un ruolo interlinguistico e interculturale ma anche sociale,
integrando per esempio con le proprie informazioni il contenuto dei messaggi degli interlocutori,
per esempio a proposito di consuetudini, norme giuridiche e convenzioni del paese ospitante che
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contrastano con quelle dei paesi di provenienza. Si instaura così la cosiddetta "interazione triadica",
cioè uno scambio comunicativo a tre poli:
a) il rappresentante della comunità locale;
b) il rappresentante della comunità immigrata;
c) il mediatore linguistico-culturale.
Questi, intervenendo in prima persona nello scambio comunicativo, ha anche il compito di ridurre
l'asimmetria di ruoli che caratterizza l'interazione fra nativo e non nativo, fra immigrato e
funzionario pubblico o datore di lavoro.
Gli interpreti di comunità sono richiesti nel contesto medico-sanitario (ospedali), giudiziario
(tribunali, preture, carceri), educativo (scuola) e dell'amministrazione pubblica (uffici, questura).
Uno dei problemi emersi in contesto migratorio riguarda il fatto che gli interpreti improvvisati
"tendono inconsciamente ad agire più come filtri e censori che come facilitatori della
comunicazione […] soprattutto se chi interpreta è un parente emotivamente coinvolto" (Russo e
Mack, 2005: XVII). Questo riguarda l'interazione medico-paziente, quella con gli impiegati degli
uffici e con il personale della scuola in cui sono inseriti i figli, e quella nei processi in cui sono
implicati immigrati stranieri (a cui l'interprete sussurra al testimone o all'imputato straniero il
contenuto delle domande mediante la tecnica dello chuchotage).
Secondo Balboni (2007) esistono alcune variabili particolarmente rilevanti per ogni situazione
comunicativa interculturale di cui l'interprete deve tener conto, specialmente se esplica le sue
funzioni in ambito sociale: il luogo, il tempo, l'argomento, il ruolo dei partecipanti, i messaggi
extralinguistici, gli scopi dichiarati e non dichiarati, gli atteggiamenti psicologici e la grammatica
contestuale (vedi la scheda Comunicazione interculturale e mediazione in contesto migratorio).
L'interprete di comunità può essere solo un mediatore linguistico, solo un mediatore culturale
oppure può svolgere insieme entrambe queste funzioni. Una buona conoscenza del patrimonio
culturale dell' interlocutore, una predisposizione ad affrontare varie situazioni comunicative e non
ultima la capacità di empatia con l'interlocutore sono alcune delle caratteristiche dell'interprete di
comunità. Basandosi principalmente sulla capacità di instaurare rapporti umani, questo lavoro non
lascia spazio a pregiudizi, bensì chiede a chi lo svolge apertura mentale e flessibilità. Inoltre
l'interprete di comunità deve "disporre dei prerequisiti psico-fisici per affrontare il carico
emozionale, conoscere approfonditamente due o più lingue, garantire la riservatezza, essere
capace di lavorare in pool (cooperative, associazioni ecc.) in regime di convezione più che di
contratto" (Russo e Mack 2005: 191).
2.5 - L'interpretazione in contesto informale
Quando l'interpretazione avviene in maniera più informale, l'interprete può anche chiedere
chiarimenti sul contenuto o la forma del testo orale da tradurre e non sarà penalizzato per eventuali
défaillances. Questo può avvenire naturalmente in contesti familiari, ma anche in ambiti ufficiali
meno formali. Ci riferiamo agli incontri di piccole delegazioni con le autorità, all'accompagnamento
di una personalità straniera in visita, alle interviste con i giornalisti, agli incontri conviviali in cui
intervengono partecipanti di lingue diverse. La presenza di una persona bilingue, anche con
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competenze parziali non molto avanzate nella L2, diventa una figura preziosa ai fini della
mediazione orale e della comprensione reciproca anche sul piano interculturale.
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UD 3 - La mediazione scritta (traduzione)
In questa unità didattica si mette a fuoco la mediazione scritta: la sua definizione nel QCER
(mediazione/traduzione) e la sua realizzazione secondo le caratteristiche dominanti dei testi oggetto
di traduzione interlinguistica (traduzione specializzata, saggistica e letteraria). La dimensione
interculturale emerge nel processo traduttivo ogni volta che il mediatore/traduttore interpreta il testo
di partenza ("prototesto") in funzione della sua riscrittura, dato che il testo di arrivo ("metatesto")
viene realizzato non solo in un'altra lingua ma anche in funzione di altri lettori, della cui cultura di
riferimento è importante tener conto nella scelta delle strategie traduttive.
3.1 - La mediazione scritta nel QCER
3.2 - La traduzione specializzata (o "traduzione tecnica")
3.3 - La traduzione saggistica
3.4 - La traduzione letteraria
3.1 - La mediazione scritta nel QCER
Nel cap. 4.4.4 del QCER dedicato alle attività di mediazione, vengono elencate le seguenti tipologie
di mediazione scritta:
- la traduzione letterale (per esempio di contratti, testi giuridici e scientifici ecc.);
- la traduzione letteraria (romanzi, teatro, poesie, libretti d'opera ecc., vedi 3.4);
- sommari (articoli di giornali e riviste ecc.) nella L2 o tra L1 e L2;
- parafrasi (testi specialistici, per profani).
La terminologia usata per parlare di traduzione non è qui molto accurata: come si può infatti parlare
di "traduzione letterale" (exact translation nella versione originale inglese del QCER)? Anche se si
tratta di testi tecnico-scientifici il traduttore dovrà sempre tener conto delle caratteristiche
culturalmente specifiche del prototesto e realizzare una traduzione scritta che si adatti alla cultura di
arrivo rinunciando spesso alla traduzione letterale (parola per parola). Il caso dei testi giuridici,
citati dal QCER, è emblematico: difficilmente sarà possibile tradurre alla lettera un termine che si
riferisce ad un concetto del diritto o a un organismo giuridico tipico di un paese e non di altri, ma
sarà necessario ricorrere a note e glosse. Analogamente sommari e parafrasi (da un prototesto più
ampio o specialistico a un metatesto più sintetico o divulgativo) non rientrano propriamente nelle
categorie dei generi traduttivi, visto che implicano un intervento forte del traduttore anche sul piano
del contenuto: nel primo caso questo viene ristretto ai principali nuclei informativi, nel secondo
caso viene reso usando un lessico a più alta frequenza, evitando i termini troppo specialistici e
utilizzando chiarimenti e espansioni a scopo illustrativo.
Più propriamente si parlerà dunque di traduzione scritta in relazione a tre macrosettori (ciascuno
caratterizzato da specifiche problematiche linguistiche e culturali): la traduzione scritta
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specializzata, saggistica e letteraria. Ciascuno di questi settori richiede ulteriori competenze e
comporta una serie di problematiche aggiuntive se i testi tradotti sono destinati alla pubblicazione a
stampa: si parla in questo caso di "traduzione editoriale" (Osimo 2004: 119-123).
Chi traduce dalla madrelingua (o altra lingua non materna) a una lingua non materna, dovrà disporre
comunque di competenze scritte molto avanzate nella L2. Per la "produzione scritta generale", per
esempio (QCER 2002: 77; vedi il modulo modulo Analisi e didattizzazione di testi: strategie e
tecniche per lo sviluppo delle abilità, 2.5, 2.6 e 2.7), possiamo immaginare che fra le descrizioni
corrispondenti ai sei livelli, solo il livello C2 sia adatto a descrivere la produzione scritta di un
traduttore di un testo letterario o di saggistica, mentre per la traduzione tecnico-scientifica (non
editoriale) sarà sufficiente anche un livello C1, con particolare attenzione alla competenza lessicale.
Ecco qui di seguito i descrittori delle competenze di produzione scritta generale (QCER, 2002: 77):
C2
È in grado di scrivere testi chiari, fluenti e complessi in uno stile appropriato ed efficace e
con una struttura logica che aiuti il lettore a individuare i punti salienti.
C1
È in grado di scrivere testi chiari e ben strutturati su argomenti complessi, sottolineando le
questioni salienti, sviluppando punti di vista in modo abbastanza esteso, sostenendoli con
dati supplementari, con motivazioni ed esempi pertinenti e concludendo il tutto in modo
appropriato.
B2
È in grado di scrivere testi chiari e articolati su diversi argomenti che si riferiscano al suo
campo di interesse, valutando informazioni e argomentazioni tratte da diverse fonti e
sintetizzandole.
B1
Su una gamma di argomenti familiari che rientrano nel suo campo di interesse, è in grado
di scrivere testi lineari e coesi, unendo in una sequenza lineare una serie di brevi
espressioni distinte.
A2
È in grado di scrivere una serie di semplici espressioni e frasi legate da semplici connettivi
quali "e", "ma" e "perché".
A1
È in grado di scrivere semplici espressioni e frasi isolate.
3.2 - La traduzione specializzata (o "traduzione tecnica")
Secondo Georges Mounin "la traduzione tecnica, e cioè (per esclusione) tutto quello che non è
traduzione letteraria (poetica, teatrale, cinematografica), è la più vecchia del mondo" e cita, come
sottocategorie, la traduzione diplomatica, amministrativa, commerciale e tecnico-scientifica
(Mounin 1965: 166-177).
L'argomento settoriale (in opposizione con i temi della lingua comune) e il livello di
specializzazione variabile (dall'altamente specialistico al divulgativo) collocano questo tipo di testi
fra le varietà sociolinguistiche definite "diafasiche", che vengono cioè influenzate dal contesto
d'uso, dai temi della comunicazione e dalle competenze e dai ruoli degli interlocutori.
In particolare i linguaggi settoriali (o "lingue speciali") sono caratterizzati da precisione,
impersonalità, non emotività, concisione, e soprattutto monoreferenzialità lessicale: il lessico
specialistico, infatti, tende ad una corrispondenza biunivoca fra significato e significante, evitando
la possibilità di sinonimi, parafrasi e connotazioni aggiuntive. A differenza del testo letterario (testo
"aperto" o "poco vincolante", cioè aperto alle interpretazioni del lettore), il testo tecnico è un testo
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"chiuso" (o "molto vincolante"), in cui non c'è spazio per le ipotesi interpretative, ma solo per il
reperimento dei giusti corrispondenti lessicali da un linguaggio specialistico di una lingua/cultura a
quello di un'altra lingua/cultura (per una trattazione dei diversi tipi di testo, vedi la scheda Tipi
testuali). Si parla in questo caso di "microlingue scientifico-professionali" con riferimento alla
terminologia specifica dei vari settori. Un tipo di testi tecnici intermedi ("mediamente vincolanti")
sono i trattati, i manuali di studio, i saggi critici, gli articoli divulgativi di argomento settoriale ma
rivolti a un lettore-modello non specialista.
Una volta individuato il settore di riferimento (a livello macro e micro, per esempio: medicina /
oculistica / malattie degenerative della retina), si tratterà di mettere a fuoco il destinatario (lettore
modello) del testo originale, per poi procedere selezionando il lettore modello a cui saranno
rapportate le scelte traduttive finalizzate alla mediazione scritta:
Tipo di destinatario
Caratteristiche del destinatario
Esempio
Destinatario vicino
Conosce la cultura della lingua di
Studente, traduttore, turista
partenza o ha intenzione di conoscerla ecc.
Destinatario lontano
Non conosce la cultura della lingua di
partenza e non ha intenzione di
conoscerla
Professionista, turista, perito
legale ecc.
Destinatario
autodeterminante
Utilizza la propria terminologia
("imperativo del committente")
Casa editrice, agenzia di
traduzioni, impresa
industriale ecc.
La traduzione specializzata (Scarpa 2008, Vaccaro 2007, Mazzotta e Salmon 2007), oltre ad essere
tipica dell'ambito aziendale, commerciale, scientifico-professionale, o di istituzioni plurilingui
(come per esempio la Commissione Europea, vedi la scheda Numeri di pagine tradotte annualmente
presso la Commissione Europea), entra in gioco anche nel campo della mediazione interculturale in
contesto migratorio. Accanto all'interpretazione nelle interazioni orali (fra medico e paziente, in
tribunale, negli uffici o a scuola) viene spesso richiesta la traduzione scritta o all'impronta in ambito
sanitario, amministrativo, giudiziario, educativo (documenti, referti medici, dichiarazioni di
assicurazioni, verbali di interrogatori, certificati medici, perizie ecc.). In ognuno di questi casi si
tratta di testi tecnici, spesso diversi da stato a stato (per esempio i titoli di studio) e talvolta il
traduttore deve anche fornire una dichiarazione scritta di veridicità (traduzioni giurate da autenticare
in tribunale e di cui il traduttore è responsabile di fronte alla legge).
3.3 - La traduzione saggistica
Una buona parte dei testi che vengono tradotti per la pubblicazione a stampa (commissionati dalle
stesse case editrici) riguardano testi che appartengono al genere della "saggistica": si tratta di opere
che non si possono definire né letterarie né tecnico-specialistiche, anche se trattano argomenti
letterari, scientifici, politici, filosofici ecc. Destinato ad un pubblico ampio e composto anche da
non specialisti, il saggio, a differenza del testo scientifico, è caratterizzato da una trattazione
elegante e senza riferimenti a opere specifiche. La difficoltà per il traduttore consiste nel fatto che i
rimandi ad altri testi dello stesso settore sono di solito impliciti e il traduttore deve comunque
coglierli e renderli in traduzione. La dimensione interculturale quindi emerge anche in questo caso:
il traduttore che non sia a conoscenza delle idee, della terminologia corrente e dei riferimenti
testuali che circolano in un certo periodo storico in riferimento all'area tematica a cui appartiene il
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saggio in questione (nella cultura a cui fa riferimento il prototesto e in quella in cui si inserirà il
metatesto) troverà ostacoli insormontabili nella traduzione, non superabili ricorrendo solo alle sue
conoscenze linguistiche. Bruno Osimo, nel suo testo dedicato all'analisi di alcune traduzioni di
saggi dall'inglese, scrive così nell'introduzione: "In termini di traduzione interlingusitica, accade
che lo stesso tipo di implicazione culturale, modificandosi il contesto linguistico e, spesso,
geografico dell'enunciazione, in mancanza di modifiche del contenuto linguistico da parte del
traduttore, produca esiti comunicativi diversi da quanto previsto dall'emittente originario" (Osimo
2007: 6). Il traduttore deve conoscere, oltre al codice linguistico, anche quello culturale per poter
decidere quali integrazioni inserire nel testo di arrivo e quali tralasciare perché ridondanti: in un
saggio infatti, non si pone il problema dell'ambiguità dell'originale, visto che i riferimenti impliciti
contavano sicuramente su una comune condivisione di conoscenze fra l'autore e il suo pubblico. Un
caso diverso di etica traduttiva riguarda invece, in casi analoghi, la traduzione letteraria: qui
l'implicito può rappresentare una scelta stilistica dell'autore e pone il traduttore di fronte alla
necessità di mantenerlo nel metatesto.
3.4 - La traduzione letteraria
Come la traduzione saggistica, anche la traduzione letteraria viene generalmente commissionata al
traduttore da una casa editrice e per essere realizzata in maniera adeguata è necessario che il
traduttore disponga di:
- una competenza molto avanzata e un'estrema ricchezza lessicale delle due lingue in contatto
(quella del prototesto e quella del metatesto);
- una particolare competenza nella produzione scritta letteraria nella lingua di arrivo;
- una approfondita conoscenza dell'autore, delle sue opere e del contesto letterario e culturale in cui
ha realizzato il testo da tradurre;
- un'altrettanto approfondita conoscenza dei generi letterari e del contesto letterario contemporaneo
della cultura (o delle culture) che utilizzano la lingua di arrivo e a cui fa riferimento il traduttore per
individuare il proprio "lettore modello";
- una conoscenza delle problematiche tipiche della traduzione letteraria e le possibili strategie di
mediazione scritta (la rima e il verso poetico; le varietà di lingua diverse dallo standard, tra cui le
varietà substandard e quelle caratteristiche di usi connotati temporalmente; i neologismi creati per
indicare i nomi di personaggi e i luoghi inventati dall'autore; l'inserimento di parole o parti di
discorso in lingue diverse ecc.);
- una profonda consapevolezza dell'importanza dell'interpretazione del testo (trattandosi di un testo
aperto per eccellenza) e della gamma di opzioni che il traduttore ha a disposizione per gestire
eventuali perdite di significato causate nel processo traduttivo.
Ancora più che nella saggistica, nella letteratura i riferimenti intertestuali e culturali sono
generalmente impliciti e possono anche non essere decodificati dal traduttore (soprattutto se la sua
madrelingua non è quella del prototesto, oppure se la sua familiarità con la cultura di origine è stata
interrotta da tempo). Umberto Eco (scrittore e traduttore egli stesso) nel saggio Dire quasi la stessa
cosa (Eco 2003) riporta esempi tratti dalle sue opere (per esempio Il pendolo di Foucault) in cui le
citazioni letterarie messe in bocca ai personaggi esigono una traduzione non letterale ma
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equivalente, attraverso il ricorso a riferimenti letterari della cultura di arrivo. Fra questi riporta il
caso in cui il protagonista cita, senza indicare la fonte, un famoso brano contenuto all'inizio dei
Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: si tratta dell'espressione "non spirava un alito di vento"
("Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non
fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna...") che viene così resa nelle traduzioni
inglese, tedesca e francese:
Originale italiano (dal Trad.
in
capitolo 29)
(Weaver)
La sera era dolce ma,
come avrebbe scritto
Belbo nei suoi files,
esausto di letteratura,
non spirava un alito di
vento.
inglese Trad.
in
(Kroeber)
It was a mild evening;
as Belbo, exhausted
with literature, might
have put in one of his
files, there was nought
but a lovely sighing of
the wind.
tedesco Trad. in
(Schifano)
Es war ein schöner
Abend, aber, wie Belbo
bekifft von Literatur in
seinen files geschrieben
hätte, kein Lufthauch
regte sich, űber alle
Gipfeln war Ruh.
francese
Le soir etait doux mais,
comme l'aurait écrit
Belbo dans ses files,
harassé de litérature, les
souffles de la nuit ne
flottaient pas sur
Galgala.
A proposito di queste traduzioni l'autore osserva (Eco 2003: 153): "Mi piace la soluzione tedesca
(anche se arricchisce un poco il testo) perché, dopo aver detto che non vi era vento, aggiunge una
riconoscibile citazione goethiana (la quale dice che sulla vetta della montagna vi era silenzio)".
In altri casi, invece (specialmente nella poesia, e soprattutto in quella ermetica) il traduttore si trova
di fronte al problema etico della trasparenza e della esplicitazione dei significati, rispetto alla voluta
oscurità, implicitezza o polisemia dell'originale.
Intertestualità e intercultura sono dunque componenti intrinseche della traduzione letteraria: è ben
noto del resto che un testo letterario tradotto, una volta inserito in una cultura diversa da quella
originale, mette in gioco nuove dinamiche testuali e entra a far parte a pieno titolo del nuovo
contesto sociolinguistico e culturale.
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UD 4 - La mediazione trasmessa
Il parametro di variazione linguistica relativo al canale attraverso il quale avviene la comunicazione
(variazione diamesica) riguarda anche la mediazione. Per questo, dopo aver affrontato la
mediazione orale (realizzata attraverso il canale orale faccia a faccia) e quella scritta (realizzata
attraverso il canale della lettura/scrittura) tratteremo ora quei tipi di traduzione che si realizzano
grazie a particolari mezzi tecnici: l'interpretazione simultanea, la traduzione audiovisiva, la
mediazione per la comunicazione-spettacolo.
4.1 - L'interpretazione simultanea
4.2 - La traduzione audiovisiva (doppiaggio, oversound e simultanea per il cinema)
4.3 - La traduzione audiovisiva (sottotitoli e sopratitoli)
4.4 - La traduzione per la rete (localizzazione)
4.5 - La mediazione nella conversazione-spettacolo
4.1 - L'interpretazione simultanea
Sebbene si tratti di una mediazione basata sull'oralità e sulla presenza di un oratore che si rivolge a
un pubblico di persone che non condividono la sua lingua, la simultanea si distingue dalla
consecutiva per la possibilità di utilizzare una attrezzatura tecnica di trasmissione della voce che
permette di tradurre in tempo quasi reale il discorso dell'oratore (cabina, microfoni e auricolari): da
qui il suo inserimento nella categoria della "mediazione trasmessa".
La prima sperimentazione di questo particolare tipo di interpretazione avviene in occasione del
processo di Norimberga (1945-46), data la necessità di tradurre tutte le interazioni di questo famoso
dibattimento giudiziario a carico dei criminali nazisti in quattro lingue (inglese, francese, tedesco e
russo) e data la possibilità di sperimentare le prime attrezzature realizzate allo scopo. Da allora la
simultanea diventa la forma di gran lunga più usata nei congressi scientifici e negli organismi
internazionali (tanto che le comunicazioni interlinguistiche e le istituzioni europee riconoscono
l'interprete simultaneista come figura stabile del loro organico), visti i grandi vantaggi che comporta
rispetto alla consecutiva (la simultanea è relativamente più economica, se si considera che permette
di tradurre contemporaneamente in più lingue senza prolungare i tempi del convegno).
Nell'interpretazione simultanea il fattore tempo è essenziale: visto che il pubblico guarda l'oratore
sul palco della conferenza ma sente la voce dell'interprete in cuffia è indispensabile che le due voci
si sovrappongano il più possibile, quasi per dare l'impressione di ascoltare l'oratore stesso (il
silenzio in cuffia è infatti estremamente imbarazzante, così come lo è una frase lasciata in sospeso).
Il simultaneista, quasi invisibile al pubblico (lavora infatti in cabina di solito con un collega con cui
si alterna nel lavoro), deve però sentire bene e vedere quello che accade in sala: le sue competenze
traduttive (estremamente specializzate dal punto di vista dei processi mentali e degli automatismi
che gli permettono contemporaneamente di ascoltare il messaggio in una lingua, rielaborarlo e
produrlo in un'altra) sono integrate anche dalla sua capacità di fare inferenze dal contesto e dai
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messaggi non verbali (gestuali, paralinguistici e pragmatici) inviati sia dall'oratore che dalla platea
(Falbo, Russo, Straniero Sergio 1999).
4.2 - La traduzione audiovisiva (doppiaggio, oversound e simultanea per il cinema)
Un testo si definisce "audiovisivo" se è generato dalla combinazione di varie componenti
semiotiche: quella verbale, quella visiva e quella sonora. Può trattarsi di un film o di un programma
televisivo, che raggiunge il pubblico attraverso diversi canali comunicativi contemporaneamente e
grazie a tecnologie diverse (il cinematografo, la televisione e più recentemente internet). Se tali testi
vengono modificati e adattati per raggiungere pubblici linguisticamente e culturalmente diversi
rispetto a quelli per i quali erano stati pensati e realizzati, si parla di traduzione multimediale per il
cinema, la televisione o la scena (Heiss e Bollettieri Bosinelli 1996) o più in generale di traduzione
audiovisiva (Perego 2005).
Il doppiaggio (che sostituisce il sonoro originale di un film con le battute recitate da altri attori in
un'altra lingua) è una forma di traduzione audiovisiva molto diffusa in alcuni paesi (Italia, Francia,
Germania, Spagna) e meno in altri (per esempio nei paesi scandinavi), dove i film circolano in
lingua originale con la traduzione sottotitolata. In particolare, in Italia il doppiaggio ha una lunga
tradizione che risale all'inizio del Novecento e si rafforza negli anni Trenta del Ventesimo secolo a
causa della censura operata dal regime fascista sui prodotti cinematografici provenienti dall'estero.
Oggi in Italia solo il 20% circa dei film che circolano in TV e nelle sale cinematografiche è di
produzione italiana e il restante 80% è doppiato in italiano (Paolinelli e Di Fortunato 2005: 27).
Un film, per essere doppiato in un'altra lingua, ha bisogno di una équipe di specialisti: fra questi i
dialoghisti-adattatori si occupano della traduzione-adattamento dei dialoghi, mentre i doppiatori e il
direttore del doppiaggio intervengono a loro volta nella fase di recitazione dei dialoghi tradotti. Si
tratta di un'operazione commerciale molto complessa e costosa, in cui è fondamentale tener conto
dell'effetto che la nuova versione avrà sui nuovi destinatari, con adattamenti anche molto invasivi
rispetto alle battute originali, pur di raggiungere un buon successo di pubblico. La traduzione quindi
è orientata più sull'obiettivo che sull'originale e si serve di strategie specifiche, con adattamenti sia
linguistici che culturali: spostamento, aggiunta, chiarificazione e cancellazione:
1. SPOSTAMENTO: espressioni più colorite di quelle originali;
2. AGGIUNTA: inserimento di parti di testo assenti nell'originale (se compatibile con la
sincronizzazione labiale);
3. CHIARIFICAZIONE: spiegazioni su aspetti interculturali;
4. CANCELLAZIONE: eliminazione di espressioni ridondanti o che rimandano alla cultura di origine
del film ma che sarebbero incomprensibili al nuovo pubblico di destinatari.
Per alcuni generi televisivi (per esempio i documentari o le interviste televisive) prevale invece
un'altra tecnica di traduzione, detta oversound (o voice-over). Qui la voce di uno speaker si
sovrappone a quella della figura che compare sullo schermo (che parla con sonoro udibile ma in
tono più basso). L'operazione traduttiva diventa così molto più visibile, con interventi di
adattamento alla nuova cultura meno liberi e creativi rispetto al doppiaggio. Per ragioni economiche
questa stessa tecnica è utilizzata anche per il cinema in alcuni paesi (specialmente nell'Europa
orientale): l'effetto è molto straniante, visto che lo speaker è di solito sempre lo stesso,
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indipendentemente dal tipo di voce o di personaggio che appare sullo schermo. Anche in questo
caso si tratta piuttosto della traduzione di un testo scritto (il copione con le battute) letto ad alta
voce.
Una forma particolare di doppiaggio è rappresentata dall'interpretazione simultanea per il cinema,
realizzata nel corso di eventi-spettacolo (per esempio i festival cinematografici). Si tratta di una
traduzione "a vista" dei sottotitoli o di una interpretazione simultanea del sonoro, realizzata per il
pubblico in sala (dotato di auricolari) nel caso di film per i quali non è stata ancora realizzata una
versione doppiata o sottotitolata. Solo così, infatti, il pubblico dei giurati può essere in grado di
seguire anche il dialogo del film proiettato necessariamente nella versione originale. In certi casi il
simultaneista viene ascoltato in cuffia da un tecnico, incaricato di scrivere contemporaneamente le
battute che compaiono sullo schermo: si parla in questo caso di "sottotitolazione simultanea".
4.3 - La traduzione audiovisiva (sottotitoli e sopratitoli)
In molti paesi i film vengono trasmessi in lingua originale con la traduzione delle battute che scorre
sulla parte inferiore dello schermo. All'origine di questa procedura c'è l'intervento di un traduttore
che traduce le battute originali del film adattandole per i sottotitoli; in questa operazione deve tener
conto del fatto che il nuovo spettatore guarderà le immagini, ascolterà il sonoro in una lingua a lui
sconosciuta e con la coda dell'occhio leggerà il testo che viene contemporaneamente proiettato sullo
schermo. Nel passaggio da un codice sonoro (anche se nato in forma scritta nel copione), il
traduttore dovrà operare pesanti adattamenti a causa del nuovo tipo di fruizione e dei limiti imposti
dallo spazio disponibile sullo schermo. I sottotitoli infatti devono essere di norma più brevi delle
battute, visto che ogni riga ammette al massimo 33-40 caratteri e può restare sullo schermo da un
minimo di un secondo e mezzo a un massimo di sei-sette secondi (Perego 2005: 53-54). La
restrizione è comunque solo una delle varie strategie traduttive adottate per i sottotitoli, che
comprendono anche: espansione, parafrasi, trasposizione, imitazione, trascrizione, slittamento,
restrizione, riduzione, cancellazione e rinuncia:
1. ESPANSIONE: aggiunta di spiegazioni;
2. PARAFRASI: cambiamento di qualche elemento della frase, necessario nel passaggio dalla lingua
di partenza alla lingua obiettivo;
3. TRASPOSIZIONE (transfer): traduzione letterale;
4. IMITAZIONE: riproduzione di alcuni tratti della lingua di partenza;
5. TRASCRIZIONE: tentativo di riprodurre suoni che sono insoliti per entrambe le lingue, come le voci
di animali;
6. SLITTAMENTO (dislocation): uso di mezzi linguistici diversi per mantenere lo stesso effetto;
7. RESTRIZIONE: riassunto del testo originale, senza perdite di significato;
8. RIDUZIONE: eliminazione di una parte del testo originale contenente significati non essenziali;
9. CANCELLAZIONE: eliminazione totale di una parte di testo con perdita di significati;
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10. RINUNCIA (resignation): soluzione che non soddisfa le esigenze linguistiche o semantiche del
testo di partenza.
Nel teatro in prosa e nell'opera lirica si adotta un'altra tecnica definita "sopratitolazione": il testo
tradotto dei dialoghi teatrali o del libretto d'opera (rispettivamente recitati o cantati in
contemporanea) viene proiettato su uno schermo sopra il palco, in modo che il pubblico possa
vedere la scena e allo stesso tempo capire le battute o il testo cantato (Perego 2005: 24).
Rispetto ai forti adattamenti culturali realizzati nel doppiaggio, sottotitoli e sopratitoli mostrano una
maggiore fedeltà al metatesto, anche a causa della rinuncia a creare un'opera che possa dare
l'illusione di sostituirsi al prototesto: il messaggio visivo e quello sonoro infatti sono quelli originali,
integrati dalla traduzione del loro contenuto semantico che scorre sullo schermo.
4.4 - La traduzione per la rete (localizzazione)
La traduzione scritta di testi che vengono immessi in internet e diffusi a livello mondiale dalla rete
(World Wide Web) ha delle specificità dovute al canale di trasmissione (scritto, audiovisivo e
ipertestuale) che influenza sia il formato, sia il tipo di lingua/e usata/e, sia la fruizione dei testi
stessi. Sebbene l'inglese si sia affermato come prima lingua veicolare nel mondo anche attraverso le
nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (tanto da parlare di "globish" per
intendere l'inglese basilare e impoverito della comunicazione fra non nativi), proprio internet ha
favorito un fenomeno opposto: quello della traduzione in più lingue dei siti che intendono penetrare
in certi settori del mercato globale. Si parla per questo di "localizzazione" intendendo la traduzione
dei testi che permettono a internet di raggiungere i singoli navigatori usando la loro lingua e con
riferimenti alla loro stessa cultura. Dal globale al locale, seguendo i nuovi percorsi della
"glocalizzazione". Questo termine è stato introdotto dal sociologo polacco Zigmunt Bauman per
indicare:
1) la creazione/distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale ma modificati in
base alle leggi o alla cultura locale;
2) l'uso di internet per fornire servizi locali su base internazionale;
3) la creazione di strutture organizzative locali che operano su culture e bisogni locali al fine di
diventare globali.
Il termine inglese localization viene da locale, che in inglese è usato dal marketing per definire uno
specifico mercato di destinazione dei prodotti a cui si rivolgono i siti commerciali (i siti rivolti al
Belgio, per esempio, sono redatti in francese e in fiammingo, oltre che in inglese; Arduini e
Stecconi, 2007: 184-185).
Tradurre per la rete comporta il rispetto di norme relative al formato (testi brevi, leggibili in una
sola schermata), alla lingua (di media formalità, che possa essere comprensibile dal pubblico più
ampio e generalista possibile), alla dimensione culturale (dal momento che il successo di un sito e
di un prodotto dipende anche dalla familiarità che riesce a instaurare con l'utente). Un'azienda, per
esempio, può decidere di utilizzare immagini e riferimenti diversi nelle versioni destinate a pubblici
linguisticamente e/o culturalmente diversi (si veda il caso dell'industria svedese di arredamento
IKEA, diffusa in tutto il mondo e presente in rete con un sito plurilingue): "anche la localizzazione
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di un sito web mostra bene il fatto che le differenze che giustificano la traduzione vanno al di là
della differenza linguistica" (Arduini e Stecconi 2007: 59-62).
4.5 - La mediazione nella conversazione-spettacolo
I programmi televisivi si servono spesso di interpreti per garantire la comprensione dei discorsi di
personaggi stranieri (ospiti in studio o proposti nelle interviste e nei telegiornali): si tratta di casi di
mediazione simultanea o consecutiva per la televisione, cioè la cosiddetta "interpretazione
televisiva", descritta da Francesco Straniero Sergio nel suo saggio sul Talkshow interpreting
(Straniero Sergio 2007). A differenza dell'interpretazione simultanea e consecutiva in cui il
pubblico si trova nello stesso contesto dell'interprete, in questo caso l'evento traduttivo avviene a
distanza ed è trasmesso attraverso il canale televisivo (per questo si tratta di una forma di
mediazione trasmessa). Questa pratica che in Giappone ebbe inizio con l'interpretazione simultanea
in diretta degli astronauti sbarcati sulla luna il 21 luglio 1969, inizia in Italia negli anni Settanta e si
afferma soprattutto in due formati (Straniero Sergio 2007: 11):
- monologhi: discorsi, dichiarazioni, appelli;
- dialoghi: talk show, conferenze-stampa, briefing, interviste da TV estere, processi, dibattiti.
L'interprete simultaneista traduce di solito per il pubblico televisivo e non per quello presente sul
luogo stesso dell'interazione. L'interprete consecutivista, invece, agisce sulla scena stessa dello
spettacolo televisivo alternando momenti di interpretazione per il pubblico in sala e per il pubblico a
casa e momenti di interpretazione in formato chuchotage per l'ospite straniero, in modo da renderlo
partecipe di quello che sta succedendo sulla scena. Si tratta dunque di interazioni ibride, così come
sono talvolta ibride le professionalità coinvolte: il presentatore/conduttore che assume anche il ruolo
di interprete, o l'interprete a cui viene assegnato un ruolo quasi giornalistico.
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UD 5 - La dimensione pragmatica della mediazione
In questa unità didattica viene ricordata l'importanza della dimensione pragmatica sia
nell'apprendimento della seconda lingua (come suggerito dal QCER) sia nelle modalità concrete in
cui si realizza la comunicazione. Gli usi della lingua in contesto variano da cultura a cultura: di
questo deve tener conto il mediatore che, nell'atto del tradurre o dell'interpretare, si troverà di fronte
a problemi di tipo linguistico e interculturale.
5.1 - La pragmatica nel QCER
5.2 - Mediazione e pragmatica interculturale
5.3 - I copioni interazionali culturalmente specifici
5.1 - La pragmatica nel QCER
Secondo Bochner (1981) la mediazione culturale è molto di più che una traduzione: il ruolo del
mediatore culturale è analogo a quello di un mediatore in qualsiasi altro campo, dall'arbitro al
terapista. Si tratta di un facilitatore che permette la comunicazione e la comprensione fra persone di
lingua e cultura diversa: questa funzione verrà proposta nel QCER venti anni dopo la sua felice
intuizione riassunta nel concetto di "traduttore come mediatore culturale", mettendo anche in risalto
la funzione sociale di questa attività essenziale all'interno di una società sempre più caratterizzata
dai contatti fra lingue e culture.
In particolare nel QCER emerge un'idea di sviluppo dell'abilità di mediazione orientata all'azione:
questa prospettiva ci sembra segnare un inevitabile riavvicinamento fra gli studi traduttologici e
quelli glottodidattici e fa emergere con forza la necessità di mettere in relazione le scelte traduttive
con le variabili contestuali e culturali, ovvero con la dimensione pragmatica del linguaggio.
Infatti, fra le competenze linguistico-comunicative, il QCER (paragrafi 2.1.2 e 5.2.3) considera,
oltre alle competenze linguistiche e sociolinguistiche, anche le "competenze pragmatiche", cioè
quella discorsiva, quella funzionale e quella di pianificazione, ovvero la capacità di gestire
un'interazione in cui ogni "mossa" contribuisce a fare avanzare l'interazione verso un certo scopo.
Acquisire la competenza pragmatica significa dunque anche acquisire la capacità di usare gli
schemi di interazione sociale, culturalmente specifici, perché legati alle interazioni e agli ambienti
culturali in cui i parlanti si sono formati, nonché i modelli di interazione sociale (copioni
interazionali o script) caratteristici di ogni cultura.
5.2 - Mediazione e pragmatica interculturale
La pragmatica studia le modalità concrete in cui si realizza la comunicazione (Bettoni 2006), cioè le
strategie messe in atto da chi parla e chi ascolta per consentire la riuscita di ogni atto linguistico e le
relazioni tra lingua e contesto, codificate nella struttura linguistica.
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Per comunicare non basta conoscere fonetica, morfologia, sintassi, lessico e saper produrre e
riconoscere frasi. Nell'uso della lingua si riscontrano fenomeni (indispensabili per far funzionare la
comunicazione) non spiegabili solo con l'analisi linguistica, fra cui:
- le ambiguità, che possono essere interpretate solo in base al contesto, alle norme conversazionali o
alle esperienze condivise degli interlocutori;
- gli usi verbali e non verbali per indicare la cortesia, le distanze sociali, l'ironia, il sarcasmo;
- l'uso non letterale di espressioni e parole (per esempio "bravo!" usato in senso contrario);
- i riferimenti diretti e specifici al contesto (per esempio i deittici "qui", "quello", "laggiù");
- l'intenzione comunicativa degli interlocutori che può mostrare differenze fra quella reale e quella
apparente;
- i messaggi indiretti (per esempio "sono rimasto senza fiammiferi" per intendere "dammi un
fiammifero!");
- la lingua usata per fare, non per trasmettere un messaggio (per esempio "giuro!" è di per sé un atto
di giuramento).
Per comunicare, emittente e destinatario devono conoscere le convenzioni comunicative che
consentono di disambiguare porzioni di testo non esplicite: la competenza comunicativa è data
dunque dall'integrazione della competenza linguistica con la competenza pragmatica.
Come si parla di regole e variazioni della struttura linguistica, così si può parlare di regole e
variazioni della struttura pragmatica, che non è universale ma può cambiare da cultura a cultura,
indipendentemente dalla lingua usata.
La pragmatica transculturale (cross-cultural pragmatics) studia il modo in cui le modalità
pragmatiche variano da cultura a cultura (approccio comparativo); la pragmatica interculturale
(intercultural pragmatics) studia invece i fenomeni che si verificano quando membri appartenenti a
culture diverse interagiscono fra loro. I fenomeni della mediazione sono dunque profondamente
connessi con le variazioni transculturali e il mediatore/traduttore/interprete opera costantemente in
una dimensione interculturale.
5.3 - I copioni interazionali culturalmente specifici
Ognuno di noi filtra le proprie esperienze quotidiane attraverso degli schemi culturali (cultural
frames) con i quali siamo cresciuti e che ci permettono di sezionare e interpretare la realtà. Uno di
questi schemi riguarda i copioni interazionali (script) che associamo a certi contesti e a certe
funzioni comunicative (per esempio chiedere informazioni stradali a uno sconosciuto, ordinare il
menu al cameriere, informarsi sull'arrivo di un libro in libreria ecc.).
Non tutte le culture adottano gli stessi "copioni" in relazione ad una determinata attività o contesto
comunicativo: la competenza interculturale e pragmatica consiste, in questo caso, nel saper
prevedere quali possano essere, in una data cultura, le mosse e gli scambi che si possono
probabilmente verificare nell'interazione.
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Camilla Bettoni (2006: 60) parla delle convenzioni sociali nella cultura wolof del Senegal
relativamente ai saluti, durante i quali già l'uso maggiore del silenzio da parte di un interlocutore
indica la sua superiorità gerarchica, mentre la lunghezza dei convenevoli, il ricorso a formule
religiose (pace sia con te / con te pace / lodo Dio / grazie a Dio ecc.) rendono l'idea di copioni
interazionali profondamente caratterizzati culturalmente.
Nello stesso saggio viene anche citato uno studio di Daniela Zorzi realizzato nel 1990 per
confrontare i copioni interazionali in libreria in Italia e nel Regno Unito. Dal corpus analizzato
risulta che i commessi delle librerie italiane e inglesi interrompono allo stesso modo le richieste del
cliente, ma nei copioni interazionali britannici questo avviene soprattutto per proporre soluzioni ai
problemi che emergono (per esempio se un libro richiesto non c'è). In Italia invece la soluzione
tarda a venire e deve essere a lungo sollecitata del cliente. Ecco due esempi a confronto (Bettoni
2006: 172-173): nel copione interazionale italiano la commessa spiega a lungo perché il libro non
c'è e non fornisce soluzione, nel secondo caso il commesso inglese fornisce già alla seconda mossa
comunicativa un suggerimento ("il libro potrebbe trovarsi nella sezione di storia antica").
Interazione in una libreria italiana:
Commesso: c'era stato questo errore di consegna. Era stata consegnata a Roma, da Roma [era
andata alla sede] = =
Cliente: [ahhh sì ecco]
Commessa: = = di Milano, [poi, siccome] = =
Cliente: [ahhh ho capito]
Commessa: = = abbiamo ristrutturato una parte di libreria, io sono andata solo a fare il levapacchi,
gliel'ho [detto, e me ] = =
Cliente: [ho capito]
Commessa: = = li sono tenuta
Cliente: comun[que sì ecco]
Interazione in una libreria inglese:
Commesso: I suppose that will make sense. Yes, well we haven't got it, I'm [sure we could get
it] = =
Cliente: [you haven't got it]
Commesso: = = for you, oh- unless they've got it in History of course. I mean: which is possible,
'cos they've got erm Ancient History
Cliente: uhuh
Tutto questo ha un effetto dirompente sull'attività di mediazione scritta, orale e trasmessa ed è alla
base di una serie di problemi linguistici e interculturali che possono emergere nella trasformazione
dal prototesto al metatesto, cioè al testo orale e scritto destinato ad un pubblico che non solo usa
un'altra lingua ma è anche immerso in un altro contesto culturale.
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UD 6 - Problemi linguistici e strategie di mediazione
La mediazione deve tener conto dei problemi di tipo linguistico che possono insorgere nel trasporre
un testo da una lingua all'altra, in modo da adottare specifiche strategie traduttive.
6.1 - Le opzioni
6.2 - Le strategie
6.3 - La "malalingua" dell'originale
6.4 - Giochi di parole
6.1 - Le opzioni
Tradurre significa sempre scegliere fra una serie di opzioni possibili. Il traduttore sceglie in base
all'epoca in cui vive, al ruolo sociale che riveste, al genere di testo con cui ha a che fare (orale o
scritto, letterario o tecnico, realizzato nel presente o nel passato, nella stessa cultura o in una cultura
diversa) e ogni scelta traduttiva rappresenta un atto di "negoziazione".
Ogni testo presenta specifici problemi traduttivi, a cui se ne possono aggiungere anche altri legati
all'autore, agli scopi, al tipo di fruizione, ma soprattutto all'atteggiamento della cultura in cui andrà
a inserirsi il metatesto. Implicitamente e indipendentemente dal genere testuale, il traduttore infatti
rispecchia anche la temperies culturale del suo tempo e le sue strategie traduttive risentiranno del
modo in cui i suoi destinatari considerano ciò che è diverso e estraneo (interessante, prestigioso,
minaccioso o potenzialmente sovversivo). Le strategie traduttive a disposizione del traduttore
permettono di trovare la soluzione più adeguata per negoziare il trattamento di ciò che è
culturalmente estraneo ai destinatari, tra omologazione, straniamento e una serie di opzioni
intermedie.
6.2 - Le strategie
I canadesi Vinay e Darbelnet (1958) nel loro studio sulla stilistica comparata del francese e
dell'inglese, individuano sette operazioni che il traduttore può intraprendere nel rapportarsi al testo
di partenza:
1. PRESTITO (Transliteration): trasferimento di un termine dal prototesto al metatesto nella sua
forma originale, come nel caso di realia intraducibili (nel caso della traduzione scritta il termine
può essere traslitterato o riportato nella forma originale ma utilizzando il carattere corsivo;
nell'interpretazione l'interprete può adattarlo foneticamente alla lingua di arrivo): esempio "il mafè,
piatto tipico senegalese".
2. CALCO (Loan translation): traduzione letterale di un termine o di una espressione idiomatica
(anche se inesistente nella lingua del metatesto), per esempio ingl. "It rains cats and dogs" - it.
"Piovono cani e gatti" (per mantenere l'immagine originale e orientare maggiormente il pubblico
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verso la cultura del prototesto). I calchi-traduzione possono anche entrare in circolazione e
affermarsi nella cultura del metatesto: esempio ingl. skyscraper – it. grattacielo; ted. Übermensch –
it. superuomo.
3. TRADUZIONE LETTERALE (Literal translation): traduzione parola per parola da una lingua all'altra
(per esempio: italiano "Dermatologicamente testato", spagnolo "Dermatologicamente testado").
4. TRASPOSIZIONE (Transposition): cambiamenti morfosintattici richiesti dalla lingua di arrivo,
obbligatori o facoltativi (esempio la posizione dei pronomi personali dal tedesco all'italiano: ted.
"Es freut mich" – it. "Mi fa piacere").
5. MODULAZIONE (Modulation): variazioni dovute al cambiamento di un punto di vista
(affermazione/doppia negazione, causa/effetto, astratto/concreto, inversione di termini: esempio ted.
"lebensgefährlich" – fr. "danger de mort" – It. "pericolo di morte"; ingl. "safe and sound" – sp.
"Sano y salvo").
6. EQUIVALENZA (Equivalence): ricerca di espressioni equivalenti nei proverbi e nelle frasi
idiomatiche, esempio it. "la goccia che fa traboccare il vaso" - ingl. "the last straw".
7. ADATTAMENTO (Adaptation): ricerca di espressioni corrispondenti alle consuetudini culturali dei
destinatari: esempio ingl. "Mickey Mouse" – it. "Topolino" (questa strategia viene definita
"adattamento culturale" da Newmark, 1988).
Si tratta di strategie traduttive che rispondono, caso per caso a specifici problemi posti dal
prototesto, alcune delle quali riguardano problemi traduttivi interculturali, come il prestito,
l'equivalenza e l'adattamento:
A integrazione di questa lista, Newmark (1988) e Delisle e altri (1999) aggiungono altre strategie:
- uso di note,
- aggiunte,
- spiegazioni,
- omissioni,
- riformulazioni del discorso.
Per ogni problema traduttivo sarà possibile mediare individuando la strategia più adeguata, sempre
che il mediatore/traduttore/interprete disponga di "una salda competenza linguistica generale,
consapevolezza culturale e conoscenza dei linguaggi specifici" (Faini 2004: 175).
6.3 - La "malalingua" dell'originale
Fra le problematiche di tipo linguistico può rientrare il caso della devianza dalla norma linguistica
nel prototesto. Il caso dell'italiano è emblematico: esistono tracce scritte degli errori linguistici che
dalle origini ai nostri giorni sono state tramandate ai margini della norma o nella letteratura. Pietro
Trifone (Trifone 2007) ricorda le parole volgari e espressive usate da Dante nella Divina Commedia
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(specialmente nella prima cantica dedicata all'Inferno), l'italiano pieno di forestierismi e di errori dei
mediatori culturali itineranti che fin dal Medioevo attraversavano l'Italia (mercanti, predicatori,
attori, viaggiatori), il realismo e le deformazioni della lingua del teatro e del cinema. Non sono rari
anzi i casi di traduttori che hanno deciso di recuperare o creare altre "malelingue" per plasmare il
metatesto, innovando e creando nuove espressioni che possono perfino entrare in circolazione in
nuovi contesti.
Prendiamo il caso degli hapax danteschi (vedi la scheda Le traduzioni degli hapax danteschi). Nella
tabella 1 riportiamo i primi lemmi di un corpus di circa 100 vocaboli usati una sola volta nella
Commedia di Dante (soprattutto nella prima cantica dell'Inferno). Viste le innumerevoli traduzioni
di quest'opera che sono state realizzate nei secoli è possibile indagare sulle scelte traduttive
riservate proprio a questi casi di neologismi danteschi, spesso relativi a quelle che Pietro Trifone
definisce "parole 'rozze e disonorate', o semplicemente basse e espressive" (Trifone 2007: 19). Un
esempio fra i tanti può essere dato dal verbo "accaffare" (usato nel senso di "afferrare", forse
dall'arabismo "caffo" = "palmo della mano"). Come nota Trifone (2007: 20), "l'allusione ironica dei
diavoli alle losche attività del barattiere che nascostamente accaffa i beni altrui, cioè se ne
appropria subdolamente, conferisce al verbo un valore connotativo di tipo furbesco". Dalla tabella
2 possiamo notare che è stata solo parzialmente risolta la difficoltà di rendere in inglese, oltre al
senso, anche la caratteristica di vocabolo desueto, dalla ressa fonica molto dura e "aggressiva" e
sicuramente mai precedentemente incontrato dal lettore italiano contemporaneo: to snatch, to grab
sono infatti vocaboli in uso anche oggi a indicare "afferrare", "agguantare", to have significa
semplicemente "avere", to pilfer vuol dire "rubacchiare".
Diverso è il fenomeno dell'errore linguistico e culturale che il traduttore si trova consapevolmente a
correggere quando l'originale non è un testo letterario: in questo caso la neutralizzazione è d'obbligo
e si può dire veramente che l'opera del traduttore agisce per migliorare la fonte.
6.4 - Giochi di parole
Un altro tipico caso che il traduttore affronta come sfida linguistica è il gioco di parole che non
sempre può essere riprodotto nel metatesto. Si pensi al caso dell'umorismo verbale nel cinema: il
traduttore può lasciare il gioco di parole invariato nella lingua originale; sostituirlo con uno
corrispondente nella lingua di arrivo; sostituirlo con un'altro, anche non esattamente corrispondente
a quello originale, o ignorarlo.
Se un intero film o testo gioca sui doppi sensi, sulle allusioni evocate dalle parole, sull'uso ludico
della lingua e soprattutto sul "dire e non dire" per nascondere riferimenti a espressioni e concetti
tabù, ecco che l'operazione di traduzione/adattamento diventa cruciale per il suo successo anche
fuori dal proprio luogo di origine.
È quanto vediamo, per esempio, nel film Mi presenti i tuoi? (Meet the Fockers), uscito negli Stati
Uniti nel 2004 come seguito del fortunato Ti presento i miei (Meet the parents, 2000). Già a partire
dal titolo (Meet the Fockers) si capisce la cifra stilistica del film, tutto basato sulle allusioni piccanti
e spiritose: in inglese Fockers infatti richiama nella pronuncia la comune parola ingiuriosa fuckers
(o motherfuckers): in questo modo si accentua ancora di più la goffaggine e la costante
inadeguatezza del protagonista, Greg Fucker, nei confronti della famiglia della sua fidanzata,
composta da madre modello e padre ex agente della CIA. Il titolo italiano rinuncia al gioco di parole
(opzione d) per riecheggiare piuttosto il titolo del film precedente a cui si ricollega (Ti presento i
miei / Mi presenti i tuoi?).
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UD 7 - Problemi interculturali e strategie di mediazione
La mediazione deve tener conto dei problemi di tipo interculturale che possono insorgere nel
trasporre un testo da una lingua all'altra, in modo da adottare specifiche strategie traduttive. La
formazione del futuro mediatore/interprete/traduttore deve integrare la dimensione interlinguistica e
quella interculturale.
7.1 - Le strategie di mediazione secondo il QCER
7.2 - Informazioni e contesto
7.3 - La dimensione non verbale
7.4 - I turni di parola e la gestione del tempo
7.5 - Le competenze interlinguistiche e interculturali nella formazione di base del futuro
mediatore/interprete/traduttore
7.1 - Le strategie di mediazione secondo il QCER
Nel paragrafo 4.4.4 del QCER, dopo aver brevemente indicato le più comuni attività di mediazione
orale e scritta, gli autori elencano alcune "strategie di mediazione" che tengono conto sia del
processo interpretativo che è alla base di ogni traduzione/interpretazione, sia dello sviluppo
progressivo delle abilità traduttive e delle competenze in L2 dello stesso mediatore, in un'ottica di
autoapprendimento. Eccole nell'ordine in cui vengono attivate durante il processo di
mediazione/traduzione/interpretazione:
a) Pianificazione: analisi e interpretazione del prototesto in funzione della progettazione del
metatesto. Si tratta di richiamare conoscenze di sfondo, individuare elementi di supporto, preparare
un glossario, considerare i bisogni degli interlocutori, individuare la dominante del prototesto e
decidere se mantenerla nel metatesto, scegliere le unità da interpretare;
b) Esecuzione: realizzazione (orale o scritta) del metatesto. Nel caso dell'interpretazione simultanea
le fasi di pianificazione e di esecuzione sono quasi coincidenti (l'interprete anticipa ciò che sta per
essere detto mentre si sta formulando ciò che è stato appena detto), mentre nell'interpretazione
consecutiva l'interpretazione del prototesto coincide con la presa di note scritte per costruire delle
"isole di sicurezza" che liberino la capacità di trattare il testo oralmente nella successiva fase di
esecuzione;
c) Valutazione: controllo a livello comunicativo (congruenza delle due versioni) e linguistico
(coerenza d'uso) del metatesto realizzato (orale o scritto);
d) Riparazione: autocorrezioni immediatamente successive alla produzione del metatesto
(nell'oralità) e riparazioni (nello scritto). Nel caso della traduzione scritta la riparazione può
avvenire consultando dizionari, repertori, esperti e altre fonti.
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7.2 - Informazioni e contesto
Il successo di una strategia di interazione dipende anche dalla capacità di valutare e far fronte agli
imprevisti che possono insorgere sul piano interculturale. Secondo l'antropologo statunitense
Edward T. Hall (1976) gli individui, i gruppi e le culture attribuiscono priorità differenti in
riferimento alla quantità di informazione che si rende necessario esplicitare affinché la
comunicazione sia possibile: esistono culture più inclini a comunicare attraverso il testo (culture a
contesto debole, che usano una "comunicazione a contesto da definire") e altre che tendono a
comunicare attraverso il contesto (culture a contesto forte, che usano una "comunicazione a
contesto sottinteso"):
a) nel primo caso le informazioni vengono fornite esplicitamente (per esempio la prassi britannica
di elaborare dei dossier scritti per le abitazioni in vendita, assenti in altre nazioni) e con maggiore
autocontrollo (per esempio i titoli dei giornali inglesi meno drammatici di quelli italiani);
b) nel secondo caso si fa ricorso a una trasmissione delle informazioni meno esplicita e immediata,
più emotiva (per esempio le campagne ecologiche nord americane più emotive di quelle
britanniche) e ancorata al contesto (per esempio l'uso dei gesti e altre forme di linguaggio non
verbale nella comunicazione in Italia e in altri paesi mediterranei).
"L'obiettivo di un mediatore culturale sarà quello di variare il carico informativo del testo della
lingua di arrivo, tenendo presente quello del testo di partenza", in base al diverso orientamento
verso il testo e il contesto delle due lingue e culture in contatto (Katan 1997: 47).
7.3 - La dimensione non verbale
La competenza comunicativa consiste nella capacità del parlante di avvalersi appropriatamente
della propria competenza verbale e non verbale, tenendo conto degli interlocutori, del contesto,
della situazione specifica e degli argomenti.
Anche il QCER riconosce la rilevanza della comunicazione non verbale per la didattica delle lingue
in Europa. Fra le attività e strategie di comunicazione linguistica (QCER 4.4) si fa infatti
riferimento alla comunicazione non verbale (QCER 4.4.5), in particolare al linguaggio del corpo (in
quanto esso veicola significati convenzionali che possono essere diversi da cultura a cultura), alle
onomatopee e ai tratti prosodici, richiamandone l'importanza nell'ambito della "conoscenza
socioculturale" (QCER 5.1.1.2).
Il rapporto fra contesto e prestazioni verbali e non verbali (gesti, distanze, atteggiamenti, oggetti
simbolici, vestiario ecc.) occupa un posto di rilievo nella pragmatica ed è proprio in questo ambito
che il mediatore può incontrare difficoltà di decodifica e ricodifica del messaggio. Ci riferiamo per
esempio alla traduzione di brani letterari in cui il prototesto riporti la descrizione di un gesto
simbolico inesistente nella cultura in cui si inserirà il metatesto (nel qual caso il traduttore potrà
ricorrere a note, glosse o altro tipo di strategie traduttive) o all'interazione in cui il
mediatore/interprete dovrà esplicitare le intenzioni comunicative degli interlocutori qualora il tono,
le distanze, i movimenti del corpo siano ignorati o male interpretati da chi non appartiene alla stessa
cultura.
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Non esiste nel QCER una griglia di descrittori delle competenze non verbali in relazione ai diversi
livelli di competenza e alle diverse attività linguistico-comunicative (di ricezione e produzione orale
e scritta, di interazione e mediazione orale e scritta). Per quanto riguarda il riconoscimento e l'uso
dei codici comunicativi del corpo (per esempio la gestualità) possiamo individuare due criteri
fondamentali: quello della frequenza e quello dei registri d'uso. I gesti molto frequenti nella
comunicazione quotidiana saranno quelli più utili già nei primi livelli di apprendimento, mentre i
gesti meno frequenti saranno riservati ai livelli più avanzati. Analogamente, la capacità di
riconoscere e usare i gesti di registro mediamente formale caratterizzerà i livelli più bassi della
competenza in L2, mentre ai livelli più avanzati si metterà in luce la capacità di decodificare e usare
i gesti più specifici di registri molto informali o molto formali. Un caso a parte è quello dei gesti
tabù e di quelli volgari, che devono essere (ri)conosciuti fin dai primi livelli di competenza per
evitare fenomeni di incomprensione, intolleranza e perfino falsa acculturazione. È evidente che i
mediatori/traduttori/interpreti debbano essere altamente competenti in questi ambiti, riuscendo
soprattutto a decodificare (nella comunicazione sia scritta che orale) il significato esplicito e anche
le connotazioni e il registro espressivo dei messaggi non verbali associati al (o in sostituzione del)
testo verbale da riformulare in un'altra lingua per altri destinatari.
7.4 - I turni di parola e la gestione del tempo
La gestione dei turni di parola e del silenzio nelle interazioni rappresenta un ambito che mette in
relazione il contesto con l'interazione e con le norme d'uso culturalmente specifiche relative al
tempo (si parla infatti in questo caso di "competenza cronemica").
Per l'avvicendamento di turni ci sono regole generali e altre specifiche che regolano l'apertura, il
mantenimento e la chiusura delle conversazioni. Certi contesti prevedono norme interazionali molto
rigide (per esempio nella società italiana contemporanea l'omelia nel rito cattolico non prevede la
presa di parola del pubblico in presenza; l'interazione nell'interrogatorio in tribunale al contrario
prevede che l'imputato risponda alle domande del giudice o si avvalga, in casi particolari, della
facoltà di non rispondere; nelle interrogazioni scolastiche il docente fa le domande e l'allievo
risponde e non viceversa, come può accadere invece durante la lezione; nel colloquio medicopaziente non ci sono argomenti tabù sulla vita privata del paziente, se questi hanno attinenza con la
salute; in qualsiasi contesto se si reagisce con il silenzio a una domanda, questo viene interpretato
come una risposta negativa ecc.). Violare queste norme interazionali condivise può provocare delle
sanzioni sociali. Ma non tutte le culture condividono queste norme d'uso pragmatico della lingua e
non possono essere applicate indiscriminatamente nell'interazione interculturale.
Nel campo dell'interpretazione di trattativa, per esempio, il mediatore si trova spesso a scontrarsi
con questo tipo di difficoltà: dovendo infatti gestire un'interazione fra più persone di lingue e
culture diverse, non potrà limitarsi ad una traduzione del messaggio verbale ma dovrà aiutare gli
interlocutori a comprendere anche i messaggi non verbali e il modo di gestire il tempo e lo spazio,
attribuendo loro il giusto significato in base alle intenzioni comunicative del parlante.
7.5 - Le competenze interlinguistiche e interculturali nella formazione di base del futuro
mediatore/interprete/traduttore
Il percorso formativo di base di un mediatore/traduttore/interprete dovrebbe mirare allo sviluppo di
conoscenze, competenze e abilità linguistico-comunicative avanzate e approfondite nella L1, a cui
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affiancare, fin dall'età infantile, lo sviluppo di analoghe conoscenze e competenze in almeno due
lingue non materne (così come suggerisce il QCER) attraverso modalità di studio diversificate: L2
in contesto scolastico, immersione, CLIL (apprendimento integrato di lingua e contenuto, Content
and Language Integrated Learning), in contesto educativo bilingue, autoapprendimento,
apprendimento fra pari ecc.
Il percorso formativo accademico dovrebbe integrare queste conoscenze e competenze linguistiche
con lo sviluppo delle conoscenze e competenze storico-culturali ed economico-giuridiche, letterarie,
interculturali e socio-antropologiche, che costituiscono la base dell'orizzonte interdisciplinare, delle
capacità di apprendimento e dell'autonomia di giudizio. A queste si affiancheranno le conoscenze e
abilità informatiche e telematiche applicate all'uso degli strumenti per la comunicazione e la
gestione dell'informazione e il tirocinio formativo e di orientamento presso aziende o altre
istituzioni, in modo da applicare, integrare e sperimentare all'interno di un contesto lavorativo reale
le conoscenze, competenze, capacità ed abilità già acquisite.
Il mediatore/traduttore/interprete professionista dovrebbe aggiornare, nel corso di tutta la carriera, le
proprie competenze:
- comunicative, linguistiche e culturali in L1;
- interattive, interlinguistiche ed interculturali in una o più L2, attraverso il costante contatto con gli
usi comunicativi dei parlanti nativi;
- tecnico-traduttive e di mediazione linguistica orale e scritta nelle proprie lingue di lavoro;
- tecnico-informatiche, relative all'uso degli strumenti per la comunicazione e la gestione delle
informazioni.
Infine, dovrebbe quotidianamente affinare le proprie capacità:
- di apprendere e ampliare le proprie conoscenze culturali generali;
- di operare con autonomia organizzativa;
- di inserirsi prontamente nel contesto lavorativo (con i colleghi, con i committenti, con i clienti
ecc.);
- di gestire e ampliare la propria rete di contatti internazionali di tipo informale, professionale, di
studio e di ricerca;
- di rivedere continuamente, anche attraverso le attività di mediazione formali e informali, la propria
identità bilingue, il proprio atteggiamento nei confronti dell'alterità e la propria adesione a uno o più
modelli culturali senza pregiudizi o conformismi.
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