Il Plantario delle aste fluviali in Provincia di Firenze
Un catasto fiumi per il controllo e la mitigazione delle pericolosità di collasso
arginale dell’Arno e dei suoi principali affluenti
sezione F sponda destra
sezione E sponda destra (lato esterno)
sezione E sponda destra (lato interno)
sezione C sponda sinistra
Provincia di Firenze – Assessorato Difesa del Suolo
Autori
Leonardo Ermini (Provincia di Firenze) [email protected])
Stefano Morelli (Università di Firenze) - [email protected])
Samuele Segoni (Università di Firenze) - [email protected])
Filippo Catani (Università di Firenze) - [email protected])
Goffredo Manzo (Università di Firenze) - [email protected]
Provincia di Firenze
Dipartimento II Lavori Pubblici
Direzione Difesa del Suolo e Protezione Civile
Dicembre 2011
Ringraziamenti
Gli autori desiderano ringraziare tutto il personale della Direzione Difesa del Suolo e Protezione
Civile della Provincia di Firenze che a vario titolo ha contribuito alla realizzazione del progetto
Plantario. Una citazione particolare va ad Andrea Morelli, Galileo Cacioli Paciscopi, Gianluca
Gioino, Francesco Del Vecchio, Luigi Di Paco, Giorgio Moretti, Stefano Barchielli e Franco
Dragoni. Un sentito grazie anche a Saida Grifoni, Università di Firenze, per il contributo offerto nel
reperimento e lettura di documenti storici.
2
1.
2.
3.
4.
Presentazione ..................................................................................................... 5
Prefazione ........................................................................................................... 7
Introduzione (Leonardo Ermini) ........................................................................ 9
Il Progetto Plantario delle Aste Fluviali (Leonardo Ermini, Stefano Morelli,
Goffredo Manzo, Samuele Segoni) ................................................................. 15
Glossario dei termini tecnici ed idraulici ................................................................................ 16
Area di studio............................................................................................................................. 19
L’Arno
.................................................................................................................................. 21
Gli affluenti ................................................................................................................................ 23
Tecniche e metodi utilizzati ...................................................................................................... 30
Confronto fra metodologie operative ...................................................................................... 30
Composizione e funzionamento del sistema GPS................................................................... 33
Procedure operative di rilevamento......................................................................................... 37
Strumentazione GPS utilizzata................................................................................................ 38
Il rilievo ................................................................................................................................... 40
Risoluzione dei problemi legati al rilievo ............................................................................... 41
Organizzazione del lavoro ........................................................................................................ 43
Predisposizione ed organizzazione dei punti mappati............................................................. 43
Creazione di un geoide locale per la correzione delle quote................................................... 45
Popolamento del Geodatabase ................................................................................................ 49
Piattaforma WEBGIS.............................................................................................................. 53
5.
Elaborazione e risultati del progetto Plantario (Filippo Catani, Leonardo
Ermini, Stefano Morelli, Samuele Segoni)...................................................... 53
I contenuti del Geodatabase ..................................................................................................... 53
Sintesi delle opere di importanza idraulica classificate lungo l’Arno..................................... 53
Sintesi delle opere di importanza idraulica classificate lungo gli affluenti............................. 67
Stato di conservazione delle opere di importanza idraulica.................................................... 88
La certificazione arginale e la valutazione della pericolosità di collasso delle opere
idrauliche ................................................................................................................ 95
Criterio deterministico............................................................................................................. 96
Criterio euristico...................................................................................................................... 97
Applicazione dei dati al rischio idraulico.............................................................................. 104
Applicazione dei dati allo studio della stabilità arginale ..................................................... 107
Caratterizzazione Geotecnica degli argini............................................................................. 108
3
Analisi di laboratorio .............................................................................................................. 110
Analisi in situ ........................................................................................................................ 112
Analisi ................................................................................................................................... 117
6.
Conclusioni (Leonardo Ermini) ..................................................................... 125
7.
Bibliografia...................................................................................................... 127
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1.
Presentazione
La sicurezza idraulica nel territorio fiorentino rappresenta elemento principe delle politiche di
Difesa del Suolo portate avanti dalla Provincia di Firenze. Al presente, su notevoli porzioni di
questo territorio ci troviamo a convivere quotidianamente con un rischio molto elevato, risultato di
un’alta pericolosità idraulica, sommatoria di fattori fisici di questo territorio, e soprattutto di una
dissennata attività insediativa che ha “saturato” estese porzioni di ambiti fluviali, in cui il fiume
poteva esondare liberamente. Sono fatti ormai noti, come è anche noto lo sforzo che stiamo
portando avanti come Provincia nell’ambito di accordi interistituzionali per attuare una serie di
interventi sul territorio che consentiranno di diminuire la pericolosità idraulica mediante la
realizzazione di opere di laminazione. Il nostro impegno è altresì concreto nel cercare di garantire
uno sviluppo sostenibile investendo su fonti energetiche rinnovabili, limitando l’aumento di GAS
serra atmosferici da molti indicato come una delle principali cause di un generalizzato aumento
della intensità degli eventi pluviometrici che interessano anche le nostre latitudini.
Quello del risanamento e della mitigazione del rischio idrogeologico sono percorsi lunghi che
terranno impegnate le amministrazioni per i prossimi anni; ci sono tuttavia una serie di azioni sia di
ordine conoscitivo che di ordine manutentivo da mettere in atto al fine di garantire il non aggravio
della pericolosità idraulica. Questo è lo scopo del progetto Plantario con cui è stata effettuata una
capillare ricostruzione dello stato di consistenza delle sponde e delle arginature presenti lungo
l’Arno e i suoi principali affluenti, in ottica di poter programmare le attività di ordine strutturale manutentivo. Ritengo che i risultati ottenuti siano significativi e pongano le basi per una corretta
gestione di queste opere idrauliche.
Renzo Crescioli
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2.
Prefazione
È da circa una decina d’anni che la Provincia di Firenze svolge funzioni amministrative nel campo
dell’idraulica e dell’assetto idrogeologico e sono tante le attività di ordine conoscitivo e
programmatico che in questo periodo sono state intraprese con risultati abbastanza soddisfacenti.
Tra queste è importante evidenziare il progetto di un Parco fluviale dell’Arno, da attuare attraverso
una serie di regole e strategie operative finalizzate al recupero di estesi ambiti fluviali e, in
particolare, sulla base di una approfondita conoscenza delle specificità di ogni tratto fluviale
approdata anche ad apposite Linee Guida corredate di un piano di monitoraggio, a quel continuo
lavoro di gestione morfovegetazionale di argini e sponde, che consente di coniugare il rispetto di
imprescindibili regole di buona pratica idraulica con la funzionalità ecologica. Non bisogna, infatti,
dimenticare che l’Arno, sì, attraversa un territorio dalla storia millenaria, fra i più densamente
abitati d’Italia, e malgrado ciò di incredibile ricchezza dal punto di vista delle peculiarità
naturalistiche, ma rappresenta anche la principale “minaccia idrogeologica” dell’area fiorentina.
Questa pubblicazione, pur nascendo in un contesto programmatico, presenta un taglio più
specificatamente tecnico, in quanto mira alla conoscenza delle pertinenze fluviali dal punto di vista
della consistenza delle sponde e delle opere di contenimento idraulico, o comunque dei manufatti
interferenti con il deflusso delle acque. L’Arno è un autentico museo a cielo aperto di opere
idrauliche, tanto che decine di persone, in caso di piena, devono essere impegnate nella
sorveglianza di argini e sponde, in manovre su organi di scarico, nell’attivazione degli impianti
idrovori e talvolta in interventi di somma urgenza. Conoscere dettagliatamente la consistenza e lo
stato di manutenzione di tali opere è importantissimo per affrontare in modo corretto sia la fase di
programmazione degli interventi di ripristino e miglioramento strutturale, sia quella di
contenimento degli eventi idraulici.
Ecco allora l’importanza di un Plantario delle aste fluviali, che offra non solo una circostanziata
ricostruzione, organizzata in un sistema informativo geografico, di tutto l’edificato/antropico
presente intorno ad argini e sponde fluviali, ma anche attraverso la creazione di un fascicolo tecnico
dell’argine e uno scadenziario dei sopralluoghi da effettuarci, un criterio efficace per mitigare la
pericolosità di collasso arginale che, come testimoniano eventi recentissimi, rappresenta una delle
cause di danno allo stesso tempo più importanti e meno indagate dei territori perifluviali.
Luigi Ulivieri
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3.
Introduzione (Leonardo Ermini)
La L.R. 91/98 della Regione Toscana, in attuazione del Dlgs 112/98, ha attribuito alle Province
alcune funzioni tecniche e amministrative in materia di Difesa del Suolo. La frase “Difesa del
Suolo” nel panorama normativo italiano, a partire dalla L. 183/1989, deve essere interpretata in
un’accezione molto ampia, al cui interno sono ricomprese tutte le attività di ordine amministrativo,
tecnico e pianificatorio-progettuale connesse con la salvaguardia idraulica e idrogeologica, oltre che
con un corretto utilizzo delle risorse demaniali sia idriche che fondiarie in ambito fluviale. Dal
punto di vista strettamente tecnico l’invalso uso del termine “suolo” risulta pertanto fortemente
restrittivo; si tratta infatti di attività legate al territorio nella sua totalità comprese le sue parti
edificate che ovviamente sono quelle oggetto di maggiore attenzione e salvaguardia. A queste
attività sono connesse in modo diretto quelle di pianificazione territoriale, la prima strategia di
mitigazione del rischio idrogeologico, e di Protezione Civile che destina buona parte delle sue
risorse proprio al settore della mitigazione dei rischi derivanti da pericolosità naturali di ordine
idrogeologico.
A partire dal passaggio di competenze la Provincia di Firenze ha cercato di attrezzarsi quanto
meglio possibile per portare a termine una operazione di recupero delle pertinenze fluviali, cercando
in questo di coniugare il rispetto di essenziali requisiti di salvaguardia idraulica, con mantenimento
della funzionalità ecologica e fluviale dei corsi d’acqua. Con riferimento agli aspetti idraulici è stato
intensificato quel quotidiano e continuo lavoro di manutenzione delle opere idrauliche essenziali nel
controllo di eventi di piena, compresi quelli che seppur dotati di basso tempo di ritorno potrebbero
recare notevoli danni laddove “contenuti” con opere lasciate all’incuria e all’abbandono. Questa
attività ha avuto importanti ripercussioni anche sul fronte della funzionalità ecologica delle aste
fluviali, in quanto si è cercato di allineare i periodici interventi di taglio arboreo e sfalcio di specie
erbacee e arbustive, secondo criteri di gestione morfovegetazionale: su ogni tratto di sponda, una
volta caratterizzato come omogeneo dal punto di vista della sue peculiarità botaniche, morfologiche
e sistemiche, nel senso della varietà di habitat, si è messo a punto un preciso e pluriennale piano di
azioni, con lo scopo di migliorare la funzionalità ecologica di ogni singola tratta salvaguardandone
allo stesso tempo la efficienze idraulica (Ermini, a cura di, 2007). Sono state anche stabilite le
modalità di monitoraggio di quanto si sta portando avanti lungo il fiume mediante una mappatura
dell’Arno tramite l’Indice di Funzionalità Fluviale, mappatura che è intenzione ripetere negli anni a
venire in modo da verificare gli effetti del piano di gestione morfovegetazionale, analizzarne i
risultati ed eventualmente effettuarne una ricalibrazione.
In affiancamento rispetto agli interventi di manutenzione, l’amministrazione provinciale si è
inoltre profusa sia dal punto di vista della progettazione che del finanziamento di nuove opere, a
partire da quelle previste dal Piano Stralcio Rischio Idraulico dell’Autorità di Bacino dell’Arno,
cioè su quelle attività che consentiranno in futuro di mitigare in modo sostanziale pericolosità e
rischio idraulico di questo territorio.
L’oggetto specifico di questo lavoro è presentare i risultati di una attività, promossa
parallelamente a quelle più strettamente di tipo idraulico, e risultato di un progetto della durata di 4
anni consistente nella mappatura e informatizzazione in ambiente GIS (acronimo di Geographical
Information System) di tutte le emergenze sia fisiografiche, sia inerenti l’edificato, ricadenti nelle
pertinenze fluviali dell’Arno e dei suoi principali affluenti per i tratti di rigurgito di piena o
comunque recanti Opere Idrauliche di II Categoria ai sensi del RD 523/1904. Il lavoro è stato
portato avanti in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di
Firenze e per gli aspetti più di taglio geografico e culturale dal Dipartimento di Studi Geografici
dell’Università di Firenze.
Merita aprire un breve excursus per ricordare che la ricerca di una conoscenza particolareggiata
degli ambiti fluviali presenta a Firenze una lunga tradizione. In particolare conviene soffermarsi sul
passaggio cruciale del 1549 con la riforma, promossa da Cosimo I, del corpo dei Capitani di Parte
Guelfa, i magistrati delle opere pubbliche della Firenze rinascimentale. I Capitani di Parte Guelfa
erano suddivisi in otto Capitani di Parte e due Ufficiali delle Acque. Questo corpo tecnico aveva la
sovrintendenza di tutti i cantieri attivati sul territorio fiorentino e giunse ad essere così potente da
poter imporre tasse. Gli Ufficiali delle Acque in particolare si occupavano di opere idrauliche, di cui
disponevano di una minuziosa mappatura, utilizzando la stessa logica che portò I Capitani di parte
ad elaborare le più famose “Piante dei Popoli e Strade”. Importante sottolineare che sulla materia
“Difesa dalle alluvioni” e per estensione dalle pericolosità naturali, in quell’epoca, si affermò come
centrale la mano della pubblica amministrazione, intesa sia come finanziamento di interventi, che di
autorizzazione di opere realizzate da privati (Ferretti, 2008). Allegato al presente viene riportato un
documento dedicato agli aspetti geostorici curato dalla Dott.ssa Saida Grifoni dell’Università di
Firenze.
Il modello concettuale di gestione degli ambiti fluviali era pertanto già ben enucleato nella
Firenze rinascimentale; da allora è mutato l’assetto amministrativo, il quadro delle competenze
istituzionali, ma sono rimasti invariati i principi generali con cui è organizzata la materia. Partendo
da questo fulgido esempio di gestione oculata della cosa pubblica, la Provincia ha inteso portare
avanti una strategia di organizzazione del patrimonio di conoscenze lungo i fiumi strutturata
secondo la logica di un sistema informativo geografico, in cui le informazioni alfanumeriche e
descrittive di un qualunque oggetto cartografabile vengono posizionate sul territorio sulla base delle
loro coordinate geografiche. Nel corso della pubblicazione viene presentato il metodo con cui sono
state effettuate le analisi ed in forma sintetica i principali risultati ottenuti.
Una parte preponderante delle attività è stata diretta al riconoscimento di alcune delimitazioni
degli ambiti fluviali importantissime nella gestione del regime di vincolistica e autorizzazioni lungo
i fiumi. Si tratta del “piede dell’argine” e “ciglio di sponda”, quei confini che, soprattutto dal punto
di vista normativo e giurisprudenziale, in estrema sintesi, demarcano ciò che è un ambito da tutelare
in quanto fluviale.
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Figura 1 – Mappa dei Capitani di Parte Guelfa con un dettaglio dell’Arno vicino a Porta San Frediano (Firenze) In linea concettuale il caso più semplice è sicuramente quello del piede dell’argine; una volta
riconosciuta una struttura arginale e verificata la sua forma in sezione può essere facilmente
individuato il piede dell’argine come il punto di intersezione fra i paramenti dell’argine fluviale e il
piano topografico non interessato dall’opera idraulica. L’art. 96 del RD 523/04 sottopone di fatto a
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vincolo di inedificabilità e di esecuzione di scavi oltre agli stessi alvei fluviali le aree poste in una
fascia di 10 m dal piede dell’argine. Si tratta pertanto di un limite importantissimo, nella cui
determinazione, durante le lavorazioni, si sono verificate alcune situazioni di dubbio, soprattutto
sulle opere realizzate con tecnica mista, ma si può affermare, con una ragionevole certezza, che è
stato possibile riconoscere e mappare dettagliatamente in campagna il piede degli argini fluviali.
Per quanto riguarda il posizionamento della sponda fluviale, esiste un maggiore margine di
indeterminatezza, in quanto, se dal punto di vista idraulico-geomorfologico, la sponda di un alveo a
fondo mobile è facilmente individuabile, si incontrano maggiori difficoltà in campagna, soprattutto
in un territorio come quello analizzato che, anche nei tratti in cui non sono state realizzate
arginature, presenta comunque estesi fenomeni di antropizzazione che di fatto hanno obliterato le
forme fluviali rendendone difficile il riconoscimento. Le Circolari n°14817 del 15.03.1902 e n°780
del 28.02.1907 del Ministero LL.PP chiariscono che si intendono, per sponde fluviali, i terreni
stabili entro i quali avviene il deflusso e il contenimento delle piene ordinarie, o medie piene, che
sono convenzionalmente individuate in quelle aventi probabilità annua di verificarsi pari al 75%,
ossia caratterizzate da un tempo di ritorno Tr=1,33 anni.
Il sistema della vincolistica e delle autorizzazioni fa tuttavia prevalentemente riferimento al
ciglio di sponda, generalmente inteso come la rottura di pendenza generata dall’intersezione fra la
sponda fluviale, intesa quindi come una forma geomorfologica attiva, e piano di campagna.
Facendo un esercizio teorico e di modellistica idraulica di dettaglio, si potrebbe scrivere un intero
trattato su come addivenire dunque ad una corretta determinazione di sponda fluviale e ciglio di
sponda di un corso d’acqua, cercando di condensare conoscenze tecniche e spunti giurisprudenziali,
senza peraltro probabilmente giungere ad una versione definitiva e condivisa di tale determinazione,
proprio in relazione al fatto che non si opera in un territorio “vergine”, ma in un contesto fortemente
artificializzato dagli interventi di rettifica e stabilizzazione nei confronti dell’erosione che si sono
succeduti in secoli di storia.
L’impostazione del progetto “Plantario” è quella di fornire uno strumento tecnico in grado di
risolvere, con approccio pragmatico, alcune incertezze presenti nella determinazione delle citate
demarcazioni convenzionali degli ambiti fluviali. Si è pertanto deciso di risolvere la questione del
ciglio di sponda, appoggiandosi sul classico riconoscimento di taglio geomorfologico-fluviale,
tracciando in campagna tale limite in corrispondenza della rottura di pendenza che si genera fra
sponda fluviale e piano di campagna, dove tipicamente sono presenti attività agricole e
urbanizzazione, cioè situazioni di copertura e uso del suolo comunque stabili e consolidate. Si è
pienamente consapevoli che nel far ciò si è fatta una operazione prevalentemente di tipo
convenzionale, talvolta nei risultati suscettibile di ulteriori approfondimenti, ma che comunque in
ogni caso “contiene” le piene ordinarie e ha il pregio di ricostruire un confine razionalmente
determinato, rendendo disponibile uno strumento tecnico importantissimo nella gestione del regime
delle autorizzazioni demandato dalla L.R. 91/98 alle Province.
Un altro importante contributo conoscitivo e allo stesso tempo “prodotto intermedio” offerto da
questo lavoro è costituito dalla approfondita ricognizione svolta sulle opere idrauliche con l’intento
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di evidenziare con approccio di tipo globale le eventuali problematiche che potrebbero indurre, in
corrispondenza di eventi idrologici significativi, l’innesco di criticità nella stessa tenuta delle
arginature e conseguente determinazione di una situazione di pericolosità idraulica per collasso
arginale, che, in relazione alle maggiori velocità di flusso, può avere effetti ben più catastrofici della
pericolosità idraulica legata al semplice sormonto delle sponde fluviali. Si evidenzia che dal punto
di vista delle analisi delle pericolosità idrauliche, la Provincia dispone dei PAI delle Autorità di
Bacino, mappature del territorio secondo livelli gerarchici di pericolosità, in gran parte basate su
modelli di piena su cui nell’ultimo decennio è stato svolto un lavoro eccezionale dal punto di vista
tecnico e scientifico. Pur con tutti i limiti connessi con la modellistica idraulica, su cui la comunità
tecnica svolge un continuo lavoro di affinamento e taratura, si è comunque certi di essere in
possesso di uno strumento idoneo dal punto di vista conoscitivo per prevedere in modo
complessivamente soddisfacente i livelli idrici attesi in conseguenza di una piena con assegnato
tempo di ritorno. I modelli sinora sviluppati non hanno tuttavia nessun dato conoscitivo in materia
di rottura arginale; cioè il modello considera l’argine e comunque le opere di contenimento
idraulico da cui un corso d’acqua è bordato come superabili esclusivamente per tracimazione. La
realtà degli ultimi decenni di alluvioni è invece quella in cui bisogna fronteggiare delle rotture
arginali che avvengono prima che i livelli idrici del fiume abbiano raggiunto la quota di
coronamento. Da qui l’idea di effettuare una approfondita ricognizione dello stato delle opere
idrauliche dal punto di vista della loro consistenza costruttiva e conservazione. Questo è accaduto
essenzialmente per due scopi. Il primo è quello di una migliore sistematizzazione delle informazioni
che può essere strategica nella valutazione della pericolosità di collasso arginale e
conseguentemente nella programmazione degli interventi di manutenzione, progettazione di nuove
opere sul territorio e valutazione della rispondenza di piani e progetti di iniziativa sia pubblica che
privata alla corretta salvaguardia di tutti i presidi idraulici. Il secondo motivo afferisce
maggiormente alla sfera delle attività di gestione delle emergenze idrauliche, minaccia prioritaria
per il territorio fiorentino, oltre che nazionale (l’Arno è considerato la II emergenza di Protezione
Civile per il territorio nazionale dopo il Vesuvio), durante le quali risulta fondamentale poter
disporre di una base informativa condivisibile all’interno della Provincia e con altri Enti, di quelle
che sono le criticità presenti sul territorio.
La proposta è quella di creare una sorta di “libretto dell’argine” che, sulla base di dati conoscitivi
(topografia, caratteristiche costruttive, idraulica incidente..) e tramite un meccanismo di ispezioni
periodiche consenta la determinazione della pericolosità di collasso delle arginature.
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4.
Il Progetto Plantario delle Aste Fluviali (Leonardo Ermini, Stefano
Morelli, Goffredo Manzo, Samuele Segoni)
Il Plantario consiste nella realizzazione di una mappatura di elevato dettaglio arealmente
riconducibile agli alvei fluviali, alle opere idrauliche e ai territori contermini ai corsi d’acqua. Si
tratta di una ricognizione e sistematizzazione delle conoscenze di ciò che è riferibile, in aree di
pertinenza fluviale all’edificato-antropico e alle emergenze di tipo geomorfologico collegate alla
dinamica di versante e alla dinamica fluviale. Il progetto Plantario è inquadrato nell’ottica di
miglioramento del quadro conoscitivo e degli strumenti di gestione del territorio e si colloca
all’interno del più vasto progetto della Provincia di Firenze di informatizzazione e strutturazione di
un SIT delle pratiche e degli elaborati tecnici cartacei connessi con le funzioni che le sono
attribuite. Il SIT permette di ottimizzare la gestione e la fruizione di dati attualmente archiviati sotto
forma cartacea e l’acquisizione di nuovi. Al SIT della Provincia è stato dedicato un volume della
collana Ad Arnum dell’Area Politiche del Territorio, Ambiente e Agricoltura della Provincia
“Progetto di Sistema Informativo Territoriale” (Ermini, 2004). Dal 2004 si è registrata la
progressiva attuazione del Progetto di Sistema Informativo Territoriale e all’interno del SIT
verranno distinti diversi moduli sulla base delle loro affinità tematiche e funzionalità. Il Plantario
delle Aste fluviali rientra nel modulo Acque Superficiali e Sotterranee nel quale vengono intraprese
una serie di attività dirette ad approfondire il quadro conoscitivo delle aste fluviali, partendo
dall’Arno per poi prendere in esame i suoi affluenti, nel quadro del miglioramento complessivo
della gestione delle tratte fluviali. Viene altresì approfondita l’analisi della dinamica morfologica
recente degli alvei fluviali attraverso il confronto dei rilievi topografici disponibili, ritenendo che
una tale analisi morfometrica costituisca una documentazione di base utile ai fini della
determinazione delle fasce di pertinenza fluviale, della individuazione delle aree soggette a rischio
idraulico e della definizione delle tendenze in atto e dei processi di instabilità delle sponde.
Non è pertanto un semplice “Catasto fiumi”, ma si configura maggiormente come un sistema
informativo multidisciplinare per la individuazione delle criticità strutturali e programmazione degli
interventi sul demanio fluviale e con particolare riferimento alla consistenza delle opere di difesa
arginale o di contenimento spondale. Non ultimo le fasi del rilievo sono state anche il momento per
l’esecuzione di un dettagliatissimo reportage fotografico dell’Arno e delle sue sponde che presenta
esso stesso elementi di importante riflessione sia dal punto di vista tecnico che da quello ambientale
e paesaggistico.
Merita fornire un breve glossario dei termini tecnici più specifici usati nel proseguo di questo
testo al fine precisare in modo preciso alcuni vocaboli che, anche nel mondo tecnico, vengono
talvolta usati in modo improprio e gergale.
Glossario dei termini tecnici ed idraulici
Argine
L'argine è un'opera idraulica di difesa passiva del territorio. La funzione è impedire lo
straripamento dei corsi d'acqua. L’argine in senso stretto è costituito da un rilevato in terra
opportunamente classata e compattata in modo da assumere buone caratteristiche di impermeabilità
e resistenza nei confronti delle deformazioni e franamenti.
Antitraversa (o controtraversa)
Si tratta di un'opera realizzata a valle della traversa principale con le medesime modalità
costruttive, ma di modesta altezza sull'alveo, il cui fine è quello di ottenere la formazione di un
cuscino d'acqua per diminuire l'energia cinetica della lama stramazzante. Tale accorgimento
garantisce la stabilità e delle fondazioni della struttura immediatamente a monte. La controtraversa
è solitamente dotata di una gaveta delle stesse dimensioni di quella della traversa o in certi casi di
aperture sul fondo per il mantenimento di flusso costante verso valle. Altezza della controtraversa e
distanza dalla briglia sono determinate sulla base di un calcolo fondato sul principio che il
dispositivo deve contenere la vena d’acqua stramazzante dalla briglia e permetterne la diffusione in
modo che la corrente si trasformi da veloce a lenta superando la gaveta della controtraversa
(definizione tratta dal sito istituzionale della Autorità di Bacino del Fiume Po).
Coronamento
Parte sommitale di una traversa o di un argine. Nelle strutture tracimabili come le traverse il
coronamento è costruito con materiali molto resistenti all’erosione e all’usura al fine di proteggere il
corpo della struttura dall’azione abrasiva dell’acqua e dei materiali solidi fluitati
Franco
Lunghezza corrispondente alla differenza fra quota di coronamento e quota dei livelli idrici
associati ad una piena con dato tempo di ritorno in una data sezione fluviale;
Gaveta (Cunetta)
Parte ribassata del coronamento in cui defluisce la portata di magra. Generalmente viene
realizzata nella parte centrale.
Invaso
Volume d’acqua disponibile per una gestione energetica o altre funzioni realizzato, in generale,
per mezzo di un’opera di ritenuta. Questa gestione può essere sottoposta a vincoli di diversa natura,
quali, ad esempio:
• velocità limite di variazione del livello della superficie dell’acqua;
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• limite stagionale del livello della superficie dell’acqua;
• portata riservata a valle dell’opera;
La “capacità utile in acqua” di un invaso è il volume di acqua che esso può contenere tra la quota
massima di esercizio nominale e la quota minima di esercizio nominale (http://www.enel.it).
Lama stramazzante
Lama di acqua che cade dal coronamento di una opera idraulica tracimabile. Per diminuire la
violenza della caduta solitamente l’acqua viene fatta scivolare sul paramento a valle al quale è stato
attribuito un adeguato profilo arrotondato.
Muro d’ala
Muro realizzato in corrispondenza dei tratti sia di monte che di valle di una struttura posta
trasversalmente rispetto alla corrente (ponte, pescaia, traversa) che serve a contenere ed indirizzare
la corrente a valle e ad evitare il franamento delle sponde per effetto della formazione di fenomeni
di concentrazione dei flussi idrici.
Muro d’accompagnamento (o d'invito)
Muri posti a monte della traversa che hanno la funzione di convogliare regolarmente la corrente
verso la gaveta. Si attestano al paramento e costituiscono una canalizzazione atta ad impedire il
raggiramento dell'opera. Per questi muri non è necessaria una fondazione molto spinta, essendo
destinati ad essere rincalzati da parte del deposito che si formerà a monte.
Pendenza di compensazione
Pendenza del profilo della corrente che consente un equilibrio temporaneo tra la massa totale del
materiale solido asportato e quello depositato.
Pendenza di equilibrio
Valore minimo della pendenza di compensazione.
Platea
Rivestimento d’alveo per la protezione di tratti del corso d’acqua in cui sia da temere una forte
erosione e sottoescavazione, tale da compromettere la stabilità di un’opera adiacente.
Nel caso di una traversa la platea è posizionata subito a valle dell’opera e la sua funzione é
quella di costituire un letto dove le acque stramazzanti dalla gaveta possano dissipare la propria
energia senza compromettere la stabilità della briglie e la stessa struttura della platea (bacino di
dissipazione). Per evitare la formazione del gorgo al piede della briglia, in molti casi, si
costruiscono platee di grandi massi per una lunghezza tale da contenere comunque la lama
stramazzante. Il manufatto risulta in ogni modo di difficile conservazione e pertanto al termine di
esso si associa quasi sempre una controbriglia oppure una semplice soglia ben incastrata nel fondo.
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Protezione spondale
Opera idraulica longitudinale a diversa tipologia costruttiva (gabbioni, massi ciclopici, blocchi in
calcestruzzo, ecc..) realizzata per proteggere una sponda dall'erosione della corrente. A differenza
dell'argine, la difesa spondale non è rilevata rispetto al piano di campagna e non ha funzione di
protezione dalle esondazioni. Quando è realizzata con un muro verticale si parla di muro spondale.
Ha effetti di stabilizzazione della sponda e di controllo della tendenza dell'alveo a manifestare
modificazioni planimetriche di tipo trasversale (www.arpa.veneto.it).
Raggio idraulico
Rapporto tra l’area di una sezione fluviale ed il suo perimetro bagnato
Rampa
È una distesa di massi lungo l’alveo impiegata nelle sistemazioni idrauliche di tipo non
convenzionale per produrre significative dissipazioni di energia assicurando contemporaneamente
la stabilità del letto del fiume. Possono essere impiegate al posto delle strutture tradizionali quali
soglie o briglie rispetto alle quali hanno il vantaggio di mantenere la continuità morfologica del
corso d'acqua tra monte e valle dell'opera (Pagliara & Peruginelli, 2000).
Rivestimento
Difese di sponda longitudinali, radenti, rigide o flessibili che servono ad impedire che essa venga
erosa dalla corrente. La sponda viene rivestita o ricoperta per tratti continui da vari tipi di materiale
che hanno una determinata resistenza alla forza erosiva del fiume
Salto
Il salto è la differenza di quota tra il punto di prelievo dell'acqua ed il punto di restituzione [m]
(http://www.enel.it). Gli impianti idroelettrici si suddividono in base al valore di questa grandezza
in:
Alta caduta: al di sopra dei 100m;
Media caduta: 30-100m;
Bassa caduta: 2-30m.
Scogliera
Opera di difesa di sponde fluviali costituita da massi o blocchi di cemento posti alla rinfusa, con
funzione di contrastare l’azione erosiva delle acque.
Nel caso delle traverse si realizza accatastando blocchi di notevole dimensione sotto lo
stramazzo; essi col tempo sprofonderanno nel letto dell'alveo e resteranno a costituire una sorta di
rivestimento che impedirà eccessivi approfondimenti della corrente. Tale provvedimento è
esclusivamente destinato a limitare la profondità del gorgo a valle della traversa.
18
Sifonamento (piping)
Filtrazione e fuoriuscita di acqua lungo il paramento a campagna di un argine o lungo il
paramento di valle di una diga in materiali sciolti. Laddove si registri l’innesco di un processo di
erosione interna della struttura è causa di rottura o di cedimento.
Tensione al fondo
Tensione applicata dalla corrente al fondo del fiume.
Tirante idrico
Quota raggiunta dall’acqua del fiume rispetto al fondo (Profondità h)
Tracimazione (sormonto)
Azione conseguente al raggiungimento e superamento del tirante idrico della quota di
coronamento di una diga o struttura arginale
Trasporto solido
Sedimenti trasportati dalla corrente per mezzo dei processi di trasporto al fondo e trasporto
torbido. Tali fenomeni determinano il modellamento degli alvei.
Area di studio
L’area di studio include un ampia porzione del fiume Arno per una estensione totale di 65 km
(Figura 2) e i tratti terminali di alcuni suoi torrenti tributari per una lunghezza complessiva di 42 km
(Figura 3). In dettaglio la campagna di misurazione ed analisi è stata realizzata lungo le sponde del
fiume Arno dal confine con la Provincia di Arezzo in corrispondenza con il Borro Vacchereccia
(Valdarno Superiore) fino al confine con la Provincia di Prato in corrispondenza della confluenza
con l’Ombrone, estendendosi in sponda sinistra fino al Circondario Empolese-Valdelsa in località
Camaioni (Valdarno Medio). Gli studi relativi agli affluenti sono stati invece eseguiti per quei corsi
d’acqua che sono in relazione con il tratto di Arno precedentemente descritto e che hanno almeno
un tratto classificato in II categoria ai sensi del RD 523/1904. L’analisi di questi corsi d’acqua è
stata eseguita dalla confluenza fino a comprendere tutte le aree urbanizzate della pianura alluvionale
nelle quali i corsi d’acqua in oggetto costituiscono un importante problema gestionale. A queste
caratteristiche corrispondono i tributari del Valdarno Medio con la confluenza in Arno a valle della
città di Firenze e fra essi troviamo l’Ombrone Pistoiese, il Vingone, il Bisenzio, il Marina, la
Greve, il Mugnone ed il Terzolle.
19
Figura 2 – La provincia di Firenze e l’Asta del fiume Arno compresa nei limiti provinciali (in giallo) e i 13 Comuni coinvolti nello studio. AFFLUENTI
Figura 3 ‐ Mappa generale dei tributari affluenti dell’Arno. In giallo è evidenziato il territorio provinciale a cui sono state sovrapposte le CTR 10.000. Con tratteggio rosso sono indicate le sponde in seconda categoria 20
L’Arno
Lo sviluppo della porzione di Arno esaminata risulta fortemente influenzata dalla morfologia del
bacino. In particolar modo la presenza di una serie di pianure alluvionali separate da strette soglie
costringono il fiume ad assumere caratteristiche morfologiche ed idrodinamiche distinte (Canuti et
al., 1994). Nel primo caso il flusso delle acque è confinato tra sponde rocciose, scaricando su di
esse la propria energia, mentre nel secondo il fiume mostra una tendenza ad avere un alveo mobile,
che tuttavia sin dall’antichità è stato fortemente limitato, specialmente nelle aree urbanizzate o a
forte influenza antropica (Rinaldi & Simon, 1998). Proprio per questo motivo, al fine di ottenere
una migliore disamina dell’intero tratto dell’Arno si è deciso di suddividere l’area di studio in Unità
Geomorfologiche Omogenee, ognuna delle quali corrisponde ad un settore con una evoluzione
morfologica diversa rispetto agli altri, ma appunto omogenea al suo interno per caratteri morfologici
e idrodinamici (Figura 4 e Figura 5).
Sieci
Pontassiev
Unità 5
Unità 4
Rignano
sull’Arn
Unità 3
Unità 2
Incisa in
Valdarn
Unità 1
Figline
Valdarn
Figura 4 ‐ Area di studio suddivisa in Unità Geomorfologiche Omogenee (da unita 1 a unità 5) 21
Signa
Firenze
Lastra a Signa
Unità 6
Unità 7
Figura 5 ‐ Area di studio suddivisa in Unità Geomorfologiche Omogenee (da unita 6 a unità 7) I primi 11 km del corso dell'Arno all’interno dell’area di studio si sviluppano nell'ambito della
pianura alluvionale del Valdarno Superiore, dove il fiume ha sviluppato un letto ampio più di 100 m
ed un corso d’acqua quasi rettilineo (unità 1). Nel tratto iniziale fino alla cittadina di Figline
troviamo molte barre fluviali alternate di forma allungata. Esse sono caratteristiche dei corsi d'acqua
canalizzati, nei bassi regimi di corrente e sono solitamente spazzate via nei regimi superiori
(Sukegawa, 1973). In questo caso però visto il progressivo abbassamento che l’alveo ha subito negli
ultimi decenni le barre sono rimaste come sospese e si sono mantenute fino ad oggi nonostante
importanti piene, permettendo in certi caso persino la crescita di vegetazione arbustiva ed arborea
(Figura 6).
A
B
Figura 6 ‐ sezioni idrauliche in località Figline Valdarno (A) e Matassino (B) (Dapporto, 1999) La pianura alluvionale contigua ha subito negli ultimi decenni un incisivo impatto antropico,
principalmente legato all’attività di estrazione e all'ampliamento delle grandi aree urbane (Figline
Valdarno e Incisa). Entrambe le sponde hanno quasi ovunque argini alti e ripidi ad alcuni metri di
distanza dalla loro scarpata principale, la quale oggi risulta relativamente stabile e poco soggetta a
franamento. Successivamente il fiume attraversa la "Soglia dell'Incisa", un tratto tortuoso di circa 3
22
km in cui il corso è confinato su un letto roccioso incassato tra sponde molto ripide (unità 2).
L'ampiezza del letto in questo caso è intorno ai 70-100 m. Gli affioramenti e la presenza di quattro
antiche pescaie hanno mantenuto sostanzialmente immutati in tempi storici sia il profilo altimetrico
che lo sviluppo planimetrico dell'Arno. Dopo questo angusto passaggio il fiume sbocca nella
pianura alluvionale di Rignano (unità 3), in cui per 4 km scorre in direzione S-N con assenza di
corpi sedimentari e con un'ampiezza di 70-100 m. L’Arno in questo tratto sembra essere stabile da
un punto di vista planimetrico, nonostante sia privo di grandi opere idrauliche a protezione della
sponda. Segue un tratto di circa 7 km (unità 4) in cui il fiume torna ad essere confinato entro sponde
e letto in roccia contraddistinto da alcune barre fluviali inattive, le più grandi delle quali sono anche
vegetate. Esso sbocca poi nella gola di Pontassieve, dove le caratteristiche fisiografiche sono quelle
di una stretta pianura alluvionale in cui però il corso del fiume, che riduce ulteriormente la sua
ampiezza a 50-100 m, è condizionato da frequenti affioramenti rocciosi (unità 5). In molti casi la
sponda sinistra è costituita da ripide pareti di montagna che influenzano considerevolmente
l’evoluzione del fiume e provocano la formazione di numerose barre laterali. Questo tratto si
sviluppa con numerose anse per circa 13 km prima di entrare nella pianura fiorentina (unità 6). Qui
l’Arno scorre per circa 24 km ed è caratterizzato da numerosi interventi di rettificazione che a
partire dal XII secolo (Natoni, 1944) hanno permesso di passare da un letto a canali anastomizzati
ad un letto dal corso rettilineo e dall'ampiezza considerevolmente ridotta (massimo 150 m invece
dei circa 1000 m osservabili in alcuni disegni storici). Nel tratto cittadino le sponde sono ormai fisse
e l’alveo controllato da alcune importanti traverse, mentre nelle restanti aree l’alveo gode di una
maggiore libertà orizzontale, condizionata comunque dalla presenza di argini in terra e da varie
opere idrauliche in zona di golena. Il controllo dello spazio piano compreso tra la riva di un corso
d'acqua ed il suo argine non è quindi totale ed in alcune aree, specialmente a valle di Firenze, si
verificano talvolta fenomeni di instabilità di sponda. L'ultimo tratto (circa 3 km) percorso dall'Arno
prima di abbandonare il territorio provinciale è la Gola della Gonfolina, in cui il letto è confinato tra
sponde rocciose costituite da arenarie della formazione del Macigno (unità 7).
Gli affluenti
Tutti gli affluenti, censiti nel presente lavoro, scorrono nella pianura fiorentina a valle della città
di Firenze, eccetto del tratto terminale dell’Ombrone (Figura 7) che è incassato per 3.5 km fra
boscosi rilievi collinari in uno stretto e sinuoso tratto. Nel corso dei lavori tutto questo tratto è stato
mappato, estendendo poi i rilevi ad altri 4.0 km nella zona pianeggiante che unisce l’area incassata
al centro abitato di Poggio a Caiano, per un totale di 7.5 km su 47 km complessivi. Praticamente il
tratto analizzato corrispondente a tutto il suo sviluppo nel territorio provinciale fiorentino e termina
alla confluenza con l'Arno, del quale è affluente destro.
Ombrone
I suoi principali corsi d’acqua tributari sono localizzati soprattutto nel comune di Pistoia e
Quarrata e a causa di essi, che ne aumentano la portata in autunno, l’Ombrone contribuisce
notevolmente, alle piene dell'Arno. Grazie a questa caratteristica esso nel passato venne usato, allo
23
stesso modo dell’Arno, come via di trasporto che tuttavia fu abbandonata nel XIX secolo. Il tratto
effettivamente praticabile, con l'esclusione dei periodi di magra estiva, era proprio quello che
partiva dalla confluenza nell'Arno fino allo scalo di Poggio a Caiano. Nel XIV secolo tale tratto
venne usato per abbreviare il trasporto della lana verso Prato. Lungo questo torrente hanno
viaggiato anche molti materiali da costruzione e tra il XVI ed il XIX fu alquanto importante il
trasporto minerali di ferrosi provenienti dalle cave dell’isola d’Elba.
Figura 7 ‐ Il torrente Ombrone Bisenzio
Il Bisenzio (Figura 8) è stato rilevato per 13 km su un totale di 47 km, dal confine tra la
Provincia di Prato e quella di Firenze, attraverso il comune di Campi Bisenzio ed infine quello di
Signa fino alla confluenza con l’Arno. Esso scarica le proprie acque in destra idrografica del fiume
Arno, costringendolo a formare un’ampia ansa verso sud che lambisce elevati rilievi collinari.
Questo torrente sfocia a monte di un’area densamente urbanizzata (Ponte a Signa e Signa) che fin
dai primi insediamenti ha sempre avuto il problema di difendersi contemporaneamente sia dalle
piene dell’Arno che da quelle del Bisenzio. La sua pericolosità è dovuta principalmente al fatto che
esso ha un regime spiccatamente torrentizio, ma è anche legata all’estremo restringimento ed
incanalamento che ha subito nel corso del tempo. Il Bisenzio infatti quando entra nel Comune di
Campi Bisenzio vede diminuire il proprio alveo in maniera sensibile, nonostante le sue acque
ricevono ancora quelle di alcuni importanti corsi d’acqua. Ad esempio il torrente Marinella
raggiunge il Bisenzio in località Capalle ed il Marina presso il capoluogo. A San Mauro a Signa
riceve invece le acque del Fosso Macinante provenienti direttamente dall’Arno tramite la pescaia di
Santa Rosa, posta ad una distanza di circa 8 km nel centro di Firenze. Numerosi sono gli
allagamenti ed le inondazioni che ancora oggi si ricordano. Ad esempio dopo un'alluvione nel 1630,
venne inviato sul Bisenzio addirittura Galileo Galilei il quale si dichiarò contrario ad interventi di
raddrizzamento delle anse presenti nel tratto a valle di Prato e favorevole invece ad interventi
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localizzati di pulizia dell'alveo (Westfall, 1989). In tempi più recenti, solo nel XX secolo si sono
verificate tre alluvioni disastrose: nel 1926 (Campi Bisenzio), il 4 novembre 1966 (Campi Bisenzio
e Signa) e nel 1991 (Campi Bisenzio) (Becchi et al., 1995). Sebbene si tratti di un fiume minore, il
Bisenzio ha comunque avuto l'onore di essere menzionato in alcune opere della letteratura italiana
(Dante Alighieri nella Divina Commedia, Inferno, Canto XXXII, vv. 40-60, Gabriele D'Annunzio
nelle "Laudi", "Elettra" , "Le Città del Silenzio", Curzio Malaparte nei "Maledetti Toscani") senza
riferimento in questo caso ad eventi disastrosi.
Figura 8 ‐ Il torrente Bisenzio Marina
Il torrente Marina (Figura 9) è affluente sinistro del fiume Bisenzio e gli studi in questo torrente
sono stati realizzati a partire dalla confluenza col Bisenzio per un tratto lungo 3 km, su un
complessivo di 13 km, di cui tutti nel comune di Campi Bisenzio. Il Marina entra nel territorio
comunale di Campi Bisenzio in località Le Prata, riceve le acque del Garille Nuovo e confluisce nel
Bisenzio nei pressi della località di Fornello. Tutto il tratto analizzato presenta, come ogni altro
corso d’acqua di pianura, importanti difese longitudinali che nei tratti industriali attraversati sono
caratterizzati da veri e propri muri d’argine o rilevati in terra rinforzati internamente da spessi
muraglioni tali da far assumere al torrente i caratteri morfologici tipici di un canale artificiale
dall’alveo piatto e fortemente incassato. Negli anni passati una serie di eventi alluvionali hanno
colpito il tratto vallivo del torrente Marina. Tra questi si ricorda l'evento del 1991, del 1993 e
recentemente quello del 1999. Tra i tre citati, l'evento del 1993 è stato certamente il più dannoso,
poiché provocò dissesti nell'alveo e danni ingenti alle difese idrauliche, oltre all'inondazione di
alcuni stabilimenti in sinistra idraulica (Officine Galileo). In seguito a questi episodi sono stati
studiati dalle amministrazioni locali alcuni interventi strategici per la riduzione del rischio idraulico,
quali il rafforzamento e la riqualifica dei manufatti arginali, ma soprattutto l’attivazione di alcune
casse di espansione nei tratti pedemontani. L’intento di quest’ultime è quello di laminare le portate
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in arrivo ai tratti vallivi che risultano anche essere i tratti più critici, specialmente in corrispondenza
di alcuni vecchi ponti che non sono in grado di smaltire correttamente abbondanti deflussi liquidi.
Figura 9 ‐ Il torrente Marina Greve
La Greve (Figura 10) è stata rilevata invece per 4 km su un totale di 43 km dal centro di
Scandicci fino alla foce, che è situata in sinistra idrografica dell’Arno ad un chilometro a monte
della località Ugnano nel comune di Firenze. Questo torrente attraversa un tratto pianeggiante che,
data la vicinanza alle maggiori città della piana fiorentina, ma soprattutto alle principali vie di
comunicazione, ha subito da sempre una forte urbanizzazione. Per proteggere da una possibile
esondazione le infrastrutture, che sono state costruite sempre più a ridosso del torrente, sono state
realizzate nuove opere idrauliche o rinforzate quelle preesistenti. Principalmente si tratta di opere
longitudinali, quali argini, muri e rivestimenti spondali che hanno artificializzato e irrigidito il
fiume facendogli perdere progressivamente la sua funzionalità ecosistemica. Nel 1929 ad esempio
venne modificato per motivi di sicurezza il corso della Greve in prossimità della attuale Piazza
Marconi, dando origine all’area così come la conosciamo oggi.
Mugnone
Il torrente Mugnone (Figura 11) è stato mappato per 6 km su 17.5 km complessivi dal quartiere
fiorentino delle Cure fino alla confluenza con l’Arno del quale è tributario di destra. Nasce nelle
colline a nord est di Firenze, in Comune di Fiesole, bagna la periferia di Firenze e, dopo aver
ricevuto le acque dal suo principale affluente (Terzolle) e aver costeggiato il parco fiorentino delle
Cascine, si getta nell'Arno in prossimità del Viadotto dell'Indiano. Ha un regime idrologico
tipicamente torrentizio, con piene insidiose durante l’autunno. In condizioni meteorologiche
particolari di forte piovosità si è spesso verificata l'esondazione del torrente con gravi danni agli
edifici circostanti e disagi alla popolazione. L'ultimo di questi eventi avvenne nella zona dello
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Statuto nel 1992 (Becchi et al., 1995), spingendo l’amministrazione locale ad una maggiore
attenzione per queste aree.
Figura 10 ‐ Il torrente Greve In origine il Mugnone sfociava nell'Arno nei pressi dell'attuale Ponte Vecchio e la confluenza tra
i due fiumi, assieme alle possibilità di guado, fu probabilmente la causa della scelta del sito per
l'edificazione della città romana. Nel Medioevo il fiume fu deviato verso nord-ovest per riempire i
fossati prospicienti alle mura della terza cerchia; Porta a San Gallo e Porta a Faenza erano infatti
munite all'esterno di un ponte per scavalcarne la corrente (ARPAT, 2007). Nell’area occupata dalle
suddette porte nel 1534 si iniziò a costruire la fortezza da Basso ed il corso del Mugnone venne
nuovamente deviato fino al suo congiungimento col Terzolle, che fino ad allora sfociava
direttamente in Arno. Da allora lungo questo tracciato si sono succeduti numerosi interventi
antropici per aumentare la sicurezza delle aree urbane che progressivamente si sono sviluppate tutto
intorno, perdendo nel contempo qualsiasi connotazione di naturalità. Le opere realizzate consistono
principalmente in modificazioni della sezione (allargamento/restringimento dell’alveo), costruzione
di argini cementificati e successivi rinforzi, opere trasversali e difese spondali costituite per lo più
da muri in pietrame di diverse altezze e pesanti rivestimenti in calcestruzzo. La presenza costante di
argini di cemento, insieme ai frequenti lavori di taglio e sfalcio fluviali, non permettono l’instaurarsi
di una fascia di vegetazione riparia, e spesso neanche di un sottile tappeto erboso sulle sponde.
Nell’area cittadina il fondo si presenta spesso impermeabilizzato o profondamente alterato, anche a
causa delle numerose traverse che bloccano il sedimento, ridotto quindi a sabbia e limo, incapace di
trattenere la sostanza organica (ARPAT, 2007).
Il percorso cittadino del Mugnone è stato condizionato a tal punto che il torrente si riduce ad una
lamina d’acqua più o meno omogenea dove meandri, raschi e pozze sono del tutto assenti. In queste
condizioni viene a mancare anche l’eterogeneità ambientale indispensabile per la comunità
acquatica, che necessita di microhabitat di diverso tipo per poter svolgere le varie funzioni vitali.
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Alcuni tratti sono stati trasformati in canali trapezoidali di cemento, dove nelle stagioni estive le
acque diventano stagnanti, povere di ossigeno e maleodoranti. La vegetazione fluviale sia riparia
che acquatica è stata oggetto negli anni di tagli indiscriminati, in quanto considerata come un fattore
di rischio per l’esondazioni, per l’aumento della scabrezza dell’alveo e delle aree golenali e per la
possibile ostruzione di ponti in caso di piene.
Figura 11 ‐ Il torrente Mugnone Terzolle
Il torrente Terzolle (Figura 12) è stato rilevato risalendo il corso dalla foce per 1.5 km all’interno
della città di Firenze e attualmente è il principale affluente del torrente Mugnone, nel quale
confluisce in destra idrografica in corrispondenza del Ponte di San Donato. Il suo nome deriva da
una pietra sulla via Cassia Nuova, che segnava il terzo miglio da “Florentia”, ma anticamente
ricevette l’appellativo di Rivus frigidus (Rio freddo) a causa delle sue fredde acque durante tutto
l’anno, dal quale è poi derivato il nome del quartiere di Rifredi. Dopo aver superato il Ponte di
Mezzo attraverso una soglia che rende il fondo stabile il Terzolle si unisce al Mugnone, all'altezza
del Ponte di San Donato. Il corso d'acqua che ne deriva prosegue mantenendo il nome di Mugnone
fino alla confluenza con il fiume Arno. In origine il Terzolle aveva un percorso diverso poiché
arrivava a sfociare in Arno all’altezza di Ponte alle Mosse. Con la costruzione della Fortezza da
Basso nel 1535 il ramo dell’Arno in cui si immetteva il Terzolle fu prosciugato, il torrente fu
forzato a piegare verso l’attuale foce e contemporaneamente il Mugnone venne deviato fino ad
incrociare il Terzolle al Ponte di San Donato (ARPAT, 2007).
Vingone
Il Vingone (Figura 13) infine, affluente sinistro del fiume Arno, è stato rilevato per 7 km
interamente nella pianura di Scandicci dalla foce fino alla località Ponte a Vingone. Esso incrocia,
lungo il suo percorso, importanti vie di comunicazione (l’Autostrada A1 e la Strada di Grande
Comunicazione Fi-Pi-Li) e da il nome ad un popoloso quartiere della periferia di Scandicci. Per
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lunghi tratti è un torrente pensile con argini in gran parte cementificati e rettificati, come del resto lo
sono quasi tutti i torrenti analizzati. Al di sopra dei suoi argini cementificati non cresce nessun tipo
di vegetazione ripariale che possa consentire un minimo di autodepurazione dell’acqua che per gran
parte dell’anno è maleodorante.
Figura 12 ‐ Il torrente Terzolle Figura 13 ‐ Il torrente Vingone 29
Tecniche e metodi utilizzati
Confronto fra metodologie operative
Per realizzare in estese fasce perifluviali un rilievo di dettaglio di tutti gli elementi naturali e
artificiali di interesse idraulico o geomorfologico, è necessario affidarsi a metodologie operative
dotate delle seguenti caratteristiche:
1. Riconoscimento degli elementi di interesse e definizione delle loro principali
caratteristiche
2. Accurata determinazione della posizione degli elementi (ad esempio definendone le
coordinate assolute)
3. Possibilità di integrare pienamente all’interno di sistemi GIS la rappresentazione
schematica delle geometrie degli elementi
4. Rapidità operativa nell’indagine diretta sul campo
Inoltre è necessario mantenere una versatilità d’impiego maggiore possibile, perché gli elementi
da rilevare hanno di volta in volta una geometria, una densità distributiva ed un’integrazione diversa
nel territorio, a sua volta costituito da ambienti molto dissimili tra loro.
Per quanto riguarda la parte descrittiva degli oggetti, sono state create delle apposite schede
monografiche su cui inserire tutte le informazioni di principale interesse a seguito di
un’osservazione diretta sul campo. L’utilizzo di tali schede, oltre che facilitare il rilevamento,
favorisce una standardizzazione dei contenuti e ne agevola l’importazione in ambiente GIS,
necessaria per successive analisi. Per quanto riguarda invece la georeferenziazione degli elementi si
è presentato il problema di individuare lo strumento più idoneo alle nostre finalità e che oltretutto
fosse in grado di restituire prodotti finali compatibili con i dati ancillari a disposizione (foto aeree,
carte tecniche regionali, carte topografiche di base, carte tematiche).
La ricerca di tecniche analitiche che fossero in grado di effettuare rilievi geomorfologici secondo
le modalità sopra descritte ha portato a selezionare due tipi di strumentazioni, entrambe utilizzabili
direttamente da terra: Laser scanner 3D (Heritage & Hetherington, 2005, 2007; Seed et al., 2005;
Milan et al., 2007; Nasermoaddeli & Pasche, 2008) ed un sistema di posizionamento globale (GPS)
di tipo geodetico (Peyret et al., 2000; Campana, 2006a; Xiao et al., 2006; Kinzel, 2008). Non sono
state prese in considerazione tecniche di “remote sensing”, perché alcuni dei presupposti principali
del lavoro portato a termine sono la verifica diretta delle condizioni del mantenimento delle varie
strutture, la documentazione fotografica, l’esplorazione di ogni area, anche se ricoperta dalla
vegetazione. Appare evidente come il raggiungimento di simili obiettivi sia possibile soltanto
attraverso un’indagine diretta e ravvicinata. Per scegliere quale delle due metodologie fosse più
indicata è stato effettuato con entrambe un test di prova in un settore di sponda sul corso dell’Arno.
L’area analizzata è situata a Firenze, sulla sponda destra del fiume Arno corrispondente al tratto
compreso tra ponte San Niccolò e ponte Giovanni da Verrazzano (Figura 14). L’estensione del
tratto è di circa 850 m, pari a circa 1/200 della lunghezza totale prevista per la realizzazione
dell’intero progetto Plantario. Il rilievo laser scanner è stato effettuato con unica scansione da un
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punto centrale situato sulla riva opposta in modo tale che fosse possibile comprendere con un’unica
scansione tutta l’area di test. La mappatura GPS è stata invece eseguita direttamente sul luogo di
indagine a distanza di pochi minuti dalla prova precedente.
In entrambi i casi gli strumenti hanno evidenziato buoni risultati, anche se di natura
profondamente diversa (Figura 15, Figura 16).
Figura 14 ‐ Area di test. Figura 15 ‐ post‐elaborazione del rilievo laser scanner. Figura 16 ‐ post‐elaborazione del rilievo GPS, sovrapposto ad ortofoto a colori. Il laser scanner fornisce un rilievo 3D di alto dettaglio, nettamente più accurato del GPS e se si
vuole anche di immediato impatto in termini di rappresentazione. Tuttavia l’applicazione all’area di
indagine ha evidenziato diverse problematiche. Il Laser Scanner è utilizzato dall’operatore da una
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certa distanza e non è sempre possibile discriminare immediatamente, e talvolta neanche in fase di
elaborazione, ogni oggetto presente sulla sponda opposta, a causa della sua posizione od
orientazione. Infatti non sempre il segnale emesso dallo strumento riesce a raggiungere ogni parte
dell’area indagata, creando delle zone d’ombra che non possono essere eliminate se non effettuando
una nuova scansione da una posizione più favorevole ed integrandola con la precedente, con grande
dispendio di tempo e di risorse. Nell’area di test, ad esempio, a causa di un cono d’ombra risulta
nascosto proprio l’elemento idraulico più caratteristico del tratto esaminato: un’opera idraulica
corredata di un importante scarico idraulico (Figura 17). Si tenga presente che, nell’ipotesi di
applicare questa modalità operativa all’intero tratto da rilevare, questa situazione potrebbe
facilmente rappresentare la norma, dal momento che un ambiente fluviale presenta forti irregolarità
nel suo sviluppo lineare, nei suoi profili trasversali e a causa della vegetazione riparia. Un rilievo
diretto dell’area sarebbe quindi comunque necessario. Inoltre le misure devono subire un ulteriore
processamento e solo dopo aver espletato questa procedura si può passare alla discriminazione degli
elementi di interesse, rendendo problematica e non immediata l’assegnazione dei corretti attributi.
Inoltre occorre tenere presente che ogni singola scena in sé è poco utile: tutte le scansioni
andrebbero importate in un GIS e georiferite per ricostruire l’ambiente fluviale. Per farlo è
necessario acquisire le coordinate GPS di alcuni punti di controllo, pertanto l’impiego del laser
scanner non risulta completamente alternativo all’altra metodologia. Infine, la rappresentazione 3D
della morfologia degli ambiti fluviali è possibile grazie all’acquisizione di un elevato numero di
punti: l’inserimento in ambiente GIS di tutti i punti necessari per definire l’intero tratto fiorentino
dell’Arno risulterebbe incredibilmente pesante da processare, analizzare e visualizzare. Per tale
motivo il dettaglio fornito dal laser scanner può considerarsi addirittura eccessivo, portando a
ritenere più appropriata una rappresentazione schematica degli elementi di interesse.
Figura 17 ‐ Dettaglio della porzione di area indagata con il laser scanner. È evidente la perdita di informazione relativa alle zone d’ombra, visualizzate in nero. 32
Attraverso un rilievo GPS l’operatore ottiene immediatamente punti di coordinate noti e,
trovandosi fisicamente sugli oggetti che egli stesso sta rilevando, riesce in poco tempo a
caratterizzarli, sintetizzandone da subito gli elementi morfologici principali (linea del ciglio di
sponda, contorno di un’opera idraulica, ecc.). All’occorrenza, colui che utilizza lo strumento GPS è
anche in grado di rintracciare gli oggetti che sono occultati dal terreno o nascosti dalla vegetazione
(Figura 16). Per di più l’operatore è in grado di scattare fotografie anche di dettaglio e di riempire
immediatamente le schede monografiche risparmiando molto tempo nelle successive fasi di post
elaborazione, che quindi si riducono soltanto a una restituzione grafica del dato. Ovviamente il dato
restituito non è “appariscente” come un rilievo laser scanner 3D, ma per l’inserimento degli
elementi di nostro interesse all’interno di un geodatabase una schematizzazione è comunque
necessaria ed il GPS appare in grado di delineare la geometria di ogni oggetto fisicamente
raggiungibile.
Figura 18 ‐ Risultato del rilievo GPS nella zona per cui il laser scanner è risultato inefficace a causa della presenza di un cono d’ombra. In base a quanto emerso da questa prova, è stato deciso di realizzare il progetto Plantario
impiegando la tecnica GPS, che verrà spiegata in dettaglio nel paragrafo successivo. Dalla stessa
prova si può tuttavia arguire come nel caso si dovesse realizzare il monitoraggio ripetitivo delle
deformazioni di un dato tratto di sponda il laser scanner si farebbe preferire.
Composizione e funzionamento del sistema GPS
Il GPS (acronimo di Global Positioning System) a sua volta abbreviazione di NAVSTAR GPS,
acronimo di NAVigation System Time And Ranging Global Positioning System, è un sistema di
posizionamento su base satellitare, a copertura globale e continua, attualmente gestito dal
33
Dipartimento della Difesa Statunitense. Il suo funzionamento è essenzialmente legato all’attività di
tre principali segmenti così articolati:
• Space segment. Il segmento riguardante lo spazio è composto da una costellazione di 31
satelliti orbitanti posti su 6 orbite circolari e parallele inclinate di 55° rispetto al piano equatoriale. I
satelliti orbitano ad un’altezza operativa che varia da 18000 a 22000 Km e compiono due rotazioni
del pianeta al giorno con un periodo di rivoluzione di 11 ore e 58 minuti ad una velocità di 11.250
km/h circa. Le orbite dei satelliti sono state studiate in modo che in ogni momento, ogni punto della
terra venga visto da almeno 4 satelliti contemporaneamente per la durata di almeno 5 ore
consecutive. Ogni satellite porta a bordo un orologio atomico di estrema precisione, un computer di
controllo, un sistema di trasmissione radio ad onde ultracorte ed un sistema di controllo di assetto.
• Control segment. Il segmento di controllo è attualmente formato da undici stazioni di
monitoraggio a terra gestite dalla U.S. Army. Senza queste stazioni terrestri che operano
costantemente il sistema non sarebbe in grado di funzionare. La stazione di controllo/monitoraggio
principale si trova alla Schriever Air Force Base, Colorado Springs, USA, mentre le altre si trovano
dislocate in diverse zone del mondo, in modo che ogni satellite possa essere visto
contemporaneamente da almeno due stazioni di monitoraggio. In questo modo il sistema verifica lo
stato dei satelliti, individua guasti o malfunzionamenti, controlla la sincronizzazione dei loro
orologi atomici, calcola la posizione orbitale con estrema precisione, invia dati di correzione.
Inoltre, se un satellite è fuori orbita oppure malfunzionante, è possibile disattivarlo
temporaneamente finché il problema non è stato risolto.
• User segment: questo segmento è costituito dalle riceventi GPS sulla Terra utilizzate dagli
utenti. Le riceventi GPS consistono semplicemente in un’antenna, un circuito elettronico in grado di
ricevere e interpretare i segnali mandati dai satelliti, e un comune orologio al quarzo, che viene
costantemente sincronizzato con gli orologi atomici dei satelliti. Oggigiorno, perfino le riceventi più
semplici sono in grado di ricevere e processare i segnali di 12 satelliti parallelamente. La funzione
delle riceventi consiste nel determinare la posizione planimetrica ed altimetrica del punto della
superficie terrestre su cui si trovano (sia immobile che in movimento) attraverso l’uso di sofisticati
algoritmi. In sintesi, la ricevente esegue le seguenti operazioni: localizzazione del numero più alto
possibile di satelliti (almeno quattro); calcolo della distanza da ognuno dei satelliti; elaborazione di
questa informazione per calcolare la propria posizione assoluta.
Il metodo usato per il calcolo effettivo della posizione è la trilaterazione basata su uno spazio
tridimensionale: il ricevitore realizza sostanzialmente un’intersezione da punti noti dello spazio (i
satelliti). In questo modo, oltre che la distanza tra la ricevente GPS e ciascuno dei satelliti utilizzati,
deve essere nota anche la posizione nello spazio di ciascuno dei satelliti al momento della
misurazione. La loro orbita è matematicamente definita e costantemente controllata dalle stazioni di
monitoraggio a terra e quindi la posizione di ciascun satellite lungo la rispettiva orbita viene
ricavata con precisione istante per istante (AAVV, 2005).
Il GPS receiver utilizzato dall’utente durante i rilievi riesce a comunicare con i satelliti
analizzando le alte frequenze con cui essi trasmettono segnali a terra (le bande usate sono 1575.42
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Mhz e 1227.60 Mhz). Per capire la distanza tra la ricevente ed il satellite viene misurato il tempo
che un segnale impiega per arrivare a terra. In pratica, quando si impartisce allo strumento l’ordine
di rilevare la posizione di un punto, il GPS genera un codice (detto pseudo random code) che è
identico a quello che costantemente il satellite genera ed invia sulla terra. Il GPS è in grado di
riconoscere questi segnali ed individua quello partito alla stessa ora in cui lui stesso ha prodotto il
codice. Grazie agli orologi al quarzo, la ricevente è in grado di misurare con grande precisione
quanto tempo ha impiegato il segnale emesso dal satellite per arrivare; successivamente, con una
semplice moltiplicazione (tempo per la velocità della luce, circa 300.000 km/s, alla quale viaggiano
le onde radio), la ricevente calcola la distanza dal satellite (AAVV, 2005).
Combinando misure relative a più satelliti, il ricevitore determina la distanza (denominata
pseudorange) tra sé e ciascun satellite ricevuto e quindi la propria posizione. Conoscendo infatti la
posizione nello spazio di un satellite, e la distanza a cui si trova il receiver, si può dedurre che la
posizione dello strumento si colloca sulla superficie di una sfera che ha come centro il satellite in
questione, e raggio pari alla distanza da quel satellite. Ovviamente non è ancora possibile sapere su
quale particolare punto della sfera esso si trovi. Per determinarlo, si può fare lo stesso ragionamento
con un altro satellite e trovando un'altra sfera. Poiché la posizione del receiver è sia su una sfera che
sull'altra, esso non potrà che trovarsi sulla circonferenza definita dall’intersezione tra le due sfere.
Ancora però non è possibile determinare il punto: serve un terzo satellite e quindi un'altra sfera.
Quest'ultima va ad intersecare la circonferenza prima individuata in soli due punti: uno è quello
giusto, e l'altro è una "falsa soluzione". Il sistema GPS utilizza varie tecniche per individuare quale
dei punti suddetti è quello corretto, ad esempio valutando la congruenza tra più calcoli ripetuti nel
tempo in modo tale che la soluzione giusta resti coerente, mentre l'altra segua andamenti
improbabili e possa quindi essere scartata. Tuttavia quello che in questo modo si riesce a
determinare è soltanto una posizione bidimensionale (latitudine e longitudine). Per accrescere la
precisione della misura e determinare la relativa altezza sul livello del mare si deve far ricorso ad un
quarto satellite che, oltre a determinare univocamente la posizione del GPS su uno dei due punti
individuati, servirà a correggere la sincronia dell'orologio del ricevitore (meno preciso di quello dei
satelliti) diminuendo notevolmente l'errore sulla misura del tempo (Cabrucci, 1996). Poiché la
misura della distanza avviene tramite la misura del tempo, tutti gli orologi dovrebbero essere
sincronizzati perfettamente, ma mentre gli orologi dei satelliti possono essere ritenuti sincronizzati,
ciò non è possibile per i ricevitori: lo sfasamento dei tempi tra le scale dei due orologi rappresenta
quindi un’ulteriore incognita. In definitiva il sistema di equazione necessario per determinare un
punto è composto da quattro equazioni in quattro incognite (X,Y,Z,t) che richiede la presenza di
almeno quattro satelliti.
Agli inizi dell'impiego in ambito civile il margine di errore sul calcolo delle posizioni fu
volutamente mantenuto, per ragioni di sicurezza, attorno ai 100 metri (disponibilità differenziata).
Oggigiorno i comuni ricevitori GPS hanno un margine di errore di 10-20 metri, mentre quelli più
recenti e accurati hanno un margine ancora più basso (pochi metri). I motivi che determinano un
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tale errore in un sistema così sofisticato e preciso sono molteplici e possono sommarsi tra loro
(Tranquilla, 1986; Kaplan, 2005).
Errori orbitali: i satelliti potrebbero essere leggermente fuori orbita perché il sistema di controllo
a terra non ha ancora impartito le correzioni necessarie. Le principali cause di perturbazione delle
orbite sono la disomogeneità della Terra, l’attrazione lunare, l’attrazione solare, la pressione di
radiazione diretta, gli effetti delle maree, alterazioni di altro tipo del campo gravitazionale.
Ritardo atmosferico: il segnale dei satelliti rallenta attraversando l'atmosfera. Nella ionosfera si
verificano fenomeni di riflessione che portano il segnale a seguire un percorso che è leggermente
più lungo rispetto ad una linea retta, determinando un errore che va dai 2 ai 10 m. Nella troposfera
invece è presente una forte rifrazione del segnale che induce un errore ancora più alto (20-50 m). Il
sistema viene corretto con un calcolo di ritardo medio, che quindi non può essere sempre preciso.
Orologio del ricevitore/satellite: l'orario del ricevitore GPS potrebbe non essere perfettamente
sincronizzato con l'orologio atomico. Per ottenere una precisione molto elevata, ogni satellite
imbarca costosissimi orologi atomici, che sfruttano le oscillazioni degli atomi di cesio e rubidio e
che garantiscono uno standard di precisione assoluto. E' ovvio che in un sistema così preciso anche
il receiver deve avere degli standard di un certo livello. Per ragioni tecniche ed economiche un
ricevitore non può montare orologi atomici dello stesso tipo, ma usa orologi al quarzo capaci di
mantenere un’estrema precisione per brevi periodi e che nel tempo vanno ripetutamente corretti
sfruttando i segnali dei satelliti.
Errori dovuti agli algoritmi impiegati per il calcolo della posizione: l'enorme massa di dati
ricevuti dai satelliti viene elaborata a terra per la previsione dell'orbita. Considerato che il calcolo è
effettuato da stazioni che fanno capo a diversi consorzi e che hanno diverse modalità di calcolo si
possono originare previsioni leggermente diverse. I ricevitori sul mercato possono inoltre operare
con algoritmi diversi giungendo anche in questo caso a risultati leggermente diversi.
Errori dovuti alla posizione del ricevitore: i segnali satellitari possono venire riflessi da alti
edifici o da montagne prima di raggiungere il ricevitore. In presenza di superfici riflettenti l'onda
elettromagnetica può “rimbalzare” e percorrere quindi un percorso maggiore (effetto multipath),
inducendo a stimare una distanza dal satellite maggiore di quella reale. Inoltre la presenza di forti
interferenze elettromagnetiche può limitare l'orizzonte radio del ricevitore ed oscurare il segnale.
Queste problematiche rendono le misure particolarmente incerte in luoghi come ad esempio
l'interno di una città.
Geometria satellitare: più i satelliti cui si è collegati sono distanti tra loro, maggiore è
l'accuratezza delle misurazioni. Viceversa, più sono raggruppati, minore potrebbe risultare la
precisione. La misura inoltre è notevolmente influenzata dall’angolazione satellite – ricevitore,
misurata rispetto alla linea di orizzonte, anche a causa delle perturbazioni (riflessione e
assorbimento) generate sulla trasmissione dalla ionosfera e dalla troposfera: ad angoli poco ampi
corrispondono errori maggiori, quindi la migliore geometria di ricezione è costituita da un satellite
posizionato allo zenit dell'osservatore e dagli altri tre posizionati con un angolo di 120° tra di loro.
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Numero dei satelliti visibili: più sono i satelliti “in vista” del ricevitore GPS, maggiore è la
precisione nella misura della posizione del ricevitore. Edifici, montagne, interferenze
elettromagnetiche o anche il denso fogliame degli alberi possono occultare temporaneamente uno o
più satelliti, bloccando la ricezione del segnale e causando un errore di posizionamento (o
addirittura il mancato posizionamento se non si hanno almeno quattro satelliti visibili).
Errori generati dall'operatore: sono in genere dovuti a una cattiva valutazione del luogo di
ricezione, a una errata impostazione del GPS e alla sensibilità dell'operatore stesso.
Per ovviare a tutti questi problemi, il recente sviluppo tecnologico ha portato alla realizzazione di
antenne sempre più sensibili e dotate di processori in grado di correggere molti degli eventuali
errori. Tuttavia, non riuscendo a compensare completamente gli errori indotti dai fenomeni fisici
naturali, le misure GPS sono sistematicamente affette da un errore nell’ordine dei due metri. Per
aumentare ulteriormente la precisione del sistema è stato creato negli USA un sistema di GPS
differenziale (DGPS) basato su stazioni terrestri che a loro volta ricevono i segnali GPS e,
conoscendo con grande precisione la loro posizione, correggono gli errori dovuti soprattutto alla
ionosfera e trasmettono le correzioni. Infatti se due ricevitori sono ragionevolmente vicini sulla terra
(ad una distanza che non superi i 200 Km), il segnale che entrambi ricevono viaggiando
nell’atmosfera avrà virtualmente lo stesso errore. Pertanto la stazione invece di utilizzare il segnale
per calcolare la posizione, utilizza la conoscenza della sua posizione per calcolare l’errore nel
tempo. La stazione calcola quale dovrebbe essere il ritardo del segnale e lo confronta con quello del
segnale ricevuto, la differenza costituisce il fattore di correzione per gli errori sistematici che la
stazione trasmette al ricevitore (Calzolaio, 2006).
Procedure operative di rilevamento
Le procedure operative utilizzabili nell'ambito delle applicazioni geo-topografiche del DGPS si
distinguono in statiche e dinamiche. Mentre le procedure statiche prevedono che durante le
osservazioni i due ricevitori rimangano fermi per tutto il tempo necessario all’acquisizione dei dati,
le procedure dinamiche presuppongono l’effettuazione di spostamenti di ricevitori durante la
sessione di acquisizione dei dati, allo scopo di determinare un numero maggiore di punti in tempi
più brevi (AAVV, 2005). La modalità statica normalmente consente misure più accurate, ma per
acquisire le coordinate di un punto occorrono diverse ore per la modalità statica normale ed una
ventina di minuti per la modalità statica veloce. Entrambe le soluzioni non possono essere
realisticamente adottate per completare il progetto Plantario, in quanto l’ingente mole di punti da
misurare richiede l’impiego di tecniche più speditive, come le modalità dinamiche. Tra di esse la
più indicata è sicuramente la modalità cinematica.
In confronto alle precedenti procedure, il rilevamento cinematico riduce notevolmente i tempi
necessari per determinare una posizione GPS. Un ricevitore viene collocato su un punto detto
“base” (per esempio un punto noto) e resta fermo su di esso mentre un ricevitore itinerante o mobile
viene portato sui vari punti da determinare fermandosi su ciascuno di essi il tempo necessario ad
eseguire le osservazioni (in genere pochi secondi). In fase di elaborazione dei dati si può
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determinare una serie di vettori che vanno dal ricevitore di riferimento a ciascuno dei punti su cui è
stato collocalo il ricevitore mobile. Nel corso della sessione si devono seguire costantemente
almeno quattro satelliti. L'aggancio a tali satelliti deve essere assicurato non solo in corrispondenza
del ricevitore fisso, ma anche lungo tutto l'itinerario del ricevitore mobile. La presenza di ostruzioni
deve essere quindi tenuta nella massima considerazione nel programmare l'itinerario di questo
ricevitore. Per questa ragione sono generalmente più adatte a questo tipo di rilevamento aree
relativamente aperte. Il rilevamento cinematico può essere attuato secondo differenti modalità che
differiscono fra loro per il modo in cui i ricevitori vengono utilizzati nell'ambito del rilievo (AAVV,
2005). Per il lavoro oggetto dello studio, è stata impiegata la modalità detta RTK (Real Time
Kinematic, ovverosia “cinematica in tempo reale”) Questa tecnica di rilevamento, relativamente
recente e all’avanguardia, deriva della costante evoluzione della tecnologia GPS sia nel settore della
strumentazione che dei programmi di elaborazione dei dati. Mentre le altre procedure di
rilevamento cinematico richiedono delle procedure di post-processamento dei dati da effettuarsi
necessariamente in ufficio con un certo dispendio di tempo, nel caso dell’RTK la determinazione
della posizione di ciascun punto rilevato viene effettuata direttamente in campagna in tempo reale,
ovvero al momento stesso in cui il punto da determinare viene occupato dal ricevitore mobile. II
metodo RTK prevede l’impiego di ricevitori a doppia frequenza, collegati fra loro via radio, o altra
tecnologia (ad esempio via GSM o GPRS), e di registratore di dati dotato di appropriato software. Il
ricevitore fisso (di norma collocato su un punto di posizione nota) comunica la sua posizione ed i
dati satellitari al ricevitore mobile, che, in base ai dati suddetti, calcola in tempo reale la sua
posizione rispetto al ricevitore fisso. Questa tecnica di rilevamento risulta particolarmente
appropriata per la esecuzione di operazioni topografiche di picchettamento, tracciamento e simili,
per le quali i tempi di esecuzione vengono abbreviati in maniera considerevole. Per questo tipo di
rilevamenti risulta particolarmente interessante la disponibilità di ricevitori dotati dell'opzione OTF
(On The Fly), che consente un’inizializzazione automatica durante gli spostamenti, con evidente
risparmio di tempo durante le operazioni di rilevamento.
Strumentazione GPS utilizzata
Gli strumenti GPS utilizzati durante le campagne di misurazione sono due apparecchi Leica di
tipo geodetico (DGPS modello SR530 e 1200), ricevitori a 24 canali doppia frequenza e con RTK
integrato, che costituiscono le risorse tecniche di base per le operazioni di campagna in dotazione al
Dipartimento di Scienze della Terra.
Entrambi gli strumenti sono caratterizzati da antenne a doppia frequenza dalla capacità di
tracciamento indipendente di codice e fase L1/L2, che hanno consentito il rilievo degli elementi di
interesse con un errore di localizzazione inferiore ai 5 cm sia in quota che nel posizionamento
planimetrico. Tali imprecisioni si riferiscono ovviamente al sistema di coordinate nel quale
lavorano gli strumenti (WGS84 basato sull’ellissoide geocentrico GRS80) e quindi nel momento in
cui si proietta il dato dall’ellissoide al geoide si deve tenere conto che errori di entità non
trascurabile si possono ulteriormente sommare nelle quote (Higgins, 1999).
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Le misurazioni GPS sono state eseguite mediante integrazione di due modalità: i) modalità
statica e ii) modalità cinematica differenziale in tempo reale (RTK). Con la prima modalità sono
state eseguite delle basi su dei punti di riferimento individuati all’interno delle aree di studio. La
precisione di lavoro di questa modalità è stata da millimetrica a centimetrica. Con la modalità RTK
è stato eseguito un rilievo cinematico in tempo reale degli elementi di interesse determinando per
ogni punto il posizionamento relativo rispetto ai punti di riferimento locali. L’accuratezza di lavoro
di questa seconda modalità è stata centimetrica (solitamente dai 2 cm ai 5 cm). I valori più alti sono
stati determinati dal disturbo provocato dalla presenza di vegetazione, dagli effetti di riflessione del
segnale su oggetti vicini (effetto multipath) e da locali interferenze relative alle onde radio ed
elettromagnetiche.
Per mezzo del dispositivo SR530 sono state impiegate contemporaneamente entrambe le
modalità di misurazione, in quanto tale apparecchiatura è dotata di una doppia stazione: Master
(utilizzata in modalità statica) e Rover (utilizzata in modalità RTK). Le campagne di acquisizione
prevedono lo stazionamento per qualche ora della Master in un punto fisso e contemporaneamente
la registrazione con il Rover dei vari punti di interesse, attraverso uno stazionamento di pochi
secondi (Scrinzi et al., 2000; Piras, 2006). I due strumenti comunicano tra loro attraverso un radio
modem, vincolando di fatto l’area di attività giornaliera alla portata di questi dispositivi.
L’operatività di ogni campagna di misurazione era limitata in pratica ad una distanza di 4 km dalla
Master. Inoltre, per aumentare la precisione delle coordinate misurate con la master è stato previsto
un lavoro di post-processing per correggere le misure ottenute sfruttando i dati forniti dalla Stazione
di Riferimento Permanente della Provincia di Firenze (disponibili on-line attraverso una pagina
internet dedicata).
Il dispositivo Leica 1200 ha permesso uno svolgimento ancora più agevole e rapido delle
operazioni di rilievo. Esso è dotato di una sola antenna ed in sostanza è stato utilizzato in modalità
cinematica differenziale in tempo reale allo stesso modo della strumentazione Rover del tipo
SR530. In questo caso abbiamo utilizzato come master alcune stazioni permanenti sparse sul
territorio che riescono ad inviare allo strumento le correzioni in tempo reale attraverso un sistema
GPRS (Internet) integrato a distanze anche di diversi chilometri. La rete di stazioni permanenti
utilizzata per questo progetto è quella denominata Leica SmartNet ItalPoS. Sfruttando questi
dispositivi, che non vengono mai spenti se non per manutenzione o aggiornamenti dei software, il
ricevitore GPS riesce ad utilizzare le correzioni in tempo reale provenienti dalla stazione di
riferimento più vicina, con il vantaggio di non essere più vincolato a restare nei pressi di una propria
base. L’unico problema di tale sistema è legato alla copertura della rete GPRS dell’operatore
utilizzato per la trasmissione dei dati. L’area di studio comunque risulta coperta quasi totalmente, e
nei pochi punti scoperti il rilievo è stato integrato utilizzando il sistema SR530, che da questo punto
di vista può essere considerato come un ottimo complemento per le analisi.
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Il rilievo
Il rilievo di dettaglio è stato effettuato nelle zone di pertinenza fluviale, includendo le rive dei
corsi d’acqua, la zona di golena, gli argini (ove presenti) ed estendendosi almeno fino ad una
distanza pari a 10 metri dal piede esterno dell’argine o in mancanza di esso dal ciglio di sponda.
Tale distanza corrisponde alla zona definita di “assoluta protezione” del corso d’acqua come
stabilito nell’articolo n° 75 del Piano d’indirizzo territoriale della regione Toscana (PIT) (L.R:
12/2000) e costituisce il territorio contermine ai fiumi maggiormente soggetto a fenomeni di
dinamica fluviale. Dunque sono stati mappati tutti gli elementi che costituiscono la difesa idraulica
attiva e passiva delle aree esterne a questa fascia (principalmente argini) e quelle opere invece che
all’interno hanno la funzione di rendere stabili i pendii naturali, i rilevati e i manufatti o che hanno
il compito di regimare i flussi sia in condizioni di regime ordinario che straordinario (piene). A
queste si aggiungono i rilievi dei manufatti di pubblica utilità o delle abitazioni private che ricadono
totalmente o parzialmente nella zona di assoluta protezione. Inoltre sono stati censiti tutti i possibili
restringimenti nelle sezioni di deflusso e ogni scarico o sbocco di acque artificiali nel fiume, sia che
essi fossero attivi o inattivi al momento del rilievo. Infine anche ogni elemento geomorfologico
relativo alla sicurezza idraulica dell’area di studio è stato incluso nei rilievi.
Figura 19 – Schematizzazione del lavoro di acquisizione dei punti GPS lungo argini e sponde. La distanza del rilievo è di 1 punto ogni 25 m. Vengono rilevate le principali rotture di pendenza presenti lungo le strutture e individuato il lite superiore della sponda fluviale. Il rilievo è stato svolto in modalità real time RTK con precisione in quota di +/‐ 5 cm. 40
Particolare attenzione è stata riservata al rilievo di “ciglio di sponda” e “argini”, distinguendo in
questi ultimi la parte sommitale, il piede esterno ed interno ed eventualmente i banchi secondari e le
rampe di accesso (Marzolo, 1989). Il passo massimo fra i punti di acquisizione è stato di 25m,
avendo cura di mantenere sempre un errore di localizzazione (sia in quota sia nel posizionamento
planimetrico) inferiore ai 5cm. Il passo è stato ridotto per gli oggetti di forma irregolare in modo da
descriverne al meglio la geometria (ad esempio nel caso di tratti di argini curvilinei). Passi
estremamente minori (anche dell’ordine del decimetro) sono stati utilizzati per tutti quegli elementi
di particolare interesse caratterizzati da uno sviluppo spaziale complesso. È necessario ribadire
comunque che per la realizzazione di un Plantario delle aste fluviali non è necessario scendere in un
dettaglio eccessivo, anzi avere delle geometrie troppo dettagliate, descritte tramite un numero molto
grande di punti, potrebbe addirittura rivelarsi controproducente in fase di visualizzazione ed analisi
dei dati. L’obiettivo del Plantario è quello di inserire all’interno di un database geografico tutti gli
elementi di interesse, con un posizionamento preciso e con una rappresentazione schematica che
deve semplicemente dare un’idea della forma e delle dimensioni. Pertanto alcuni elementi possono
addirittura essere rappresentati con un semplice punto GPS, data la loro geometria sostanzialmente
puntuale. È il caso per esempio di manufatti di scarico, lesioni molto circoscritte, punti di
approvvigionamento idrico. Ovviamente un punto, in quanto adimensionale, non può riprodurre le
dimensioni dell’oggetto che rappresenta, tuttavia questa informazione viene ugualmente inclusa
all’interno del Plantario, in quanto di solito per gli elementi puntuali è previsto di misurarne le
dimensioni e di inserire tale dato all’interno di un apposito campo informativo del database. Gli
elementi lineari (es. ciglio di sponda) o areali (es. rivestimenti delle sponde) sono stati mappati
misurando col GPS i punti in grado di rappresentarne schematicamente lo sviluppo planimetrico ed
altimetrico. La fase del rilievo in campagna è stata integrata con la compilazione sul posto di
apposite schede monografiche nelle quali sono state annotate informazioni generali riguardanti le
operazioni di rilievo, la zona in cui sono collocati gli elementi rilevati e alcuni loro dati tecnici o
amministrativi (dimensioni, materiale, stato di conservazione, comune in cui sono collocati…). In
particolare le schede utilizzate sono quattro: una relativa a manufatti ed insediamenti, una per i
restringimenti nelle sezioni di deflusso, una specifica per le opere idrauliche e una per i manufatti di
scarico. Tutti gli altri oggetti non ricadenti in queste tipologie sono stati comunque sinteticamente
descritti nel quaderno di campagna. Ogni elemento mappato infine è stato ulteriormente
caratterizzato tramite una documentazione fotografica realizzata contemporaneamente al rilievo.
Risoluzione dei problemi legati al rilievo
A causa di una serie di problemi, per una limitata quantità di elementi mappati non è stato
possibile ottenere la densità e la qualità di punti GPS specificate nel capitolato tecnico del progetto.
In primo luogo non tutti i luoghi sono stati fisicamente accessibili per effettuare le debite
misurazioni. I problemi di accesso a proprietà private sono stati limitati, tuttavia localmente i punti
da rilevare erano collocati in estesi tratti di sponda completamente coperti da una densa vegetazione
arbustiva e talvolta arborea che non permetteva di raggiungere le aree di interesse. Anche gli argini
41
hanno sporadicamente mostrato, in alcuni casi, difficoltà simili (Figura 20). Ad esempio, nei tratti in
cui essi sono sormontati dal rilevato ferroviario, spesso su entrambi fianchi cresce una vegetazione
costituita prevalentemente da arbusti spinosi, rovi e canne. Infine, poiché il ricevitore GPS lavora in
base ad una chiara ricezione di segnali radio e satellitari, la strumentazione non ha funzionato in
modo ottimale nelle zone in cui la ricezione è stata disturbata o completamente bloccata da ostacoli
artificiali o naturali (alberi con fogliame abbondante, edifici, muri alti, ecc). Casi del genere si sono
verificati in particolare nei tratti cittadini con edifici di notevoli dimensioni collocati a ridosso
dell’alveo fluviale. Inoltre lo stesso problema si è verificato anche a causa della morfologia del
terreno, come in alcuni punti ubicati in strette valli nei pressi di Incisa Valdarno, Rignano,
Pontassieve o nella Stretta della Gonfolina. Casi particolari sono rappresentati da interferenze
momentanee nelle qualità dei segnali di cui non è stato possibile risalire all’origine. Soltanto in
prossimità di ripetitori o tralicci della distribuzione elettrica ad altissima tensione abbiamo potuto
associare con certezza l’origine di tali disturbi ad interferenze elettromagnetiche.
Figura 20 ‐Fianco arginale interno ricoperto da fitta vegetazione di canne (a valle di Signa) (A); vegetazione ad alto fusto a ridosso del rilevato arginale (pressi di Ponte di Varlungo) (B). Per ovviare al problema di una mappatura incompleta è stata adottata la seguente metodologia.
Per quanto riguarda le aree in cui c’è stata una bassa qualità del segnale (determinante un errore
eccessivo nella misura) il rilievo è stato ripetuto, anche più volte, per cercare di ottenere dei valori
di misurazione accettabili grazie alle configurazioni satellitari e alle condizioni ambientali diverse.
Nel caso di persistenza del problema e per le aree inaccessibili, è stato ritenuto opportuno
suddividere in due parti il problema, trattando separatamente l’incertezza delle coordinate a terra e
l’incognita della quota. Nel primo caso abbiamo semplicemente determinato i punti di interesse
attraverso l’individuazione dell’oggetto su ortofoto in scala 1:2000 adeguatamente georiferite e
leggendo direttamente i valori di x e y sul display di un software GIS. Nel secondo caso invece un
primo passo è stato sovrapporre alle ortofoto sopraindicate i rilievi GPS già eseguiti e le CTR,
anch’esse in scala 1:2000, ed individuare i punti di interesse. Le quote di quest’ultimi sono state
determinate attraverso una procedura di interpolazione utilizzando le quote presenti sulle CTR. Tali
42
calcoli sono sicuramente effetti da errori, ma rappresentano comunque dati più realistici rispetto a
quelli che si possono ottenere leggendo le semplici carte topografiche.
Organizzazione del lavoro
Predisposizione ed organizzazione dei punti mappati
Tutti i dati acquisiti mediante rilevamento in campagna o estratti dai supporti ottici e digitali sono
stati organizzati all’interno di un SIT (Sistema Informativo Territoriale), costituito da un
geodatabase realizzato tramite applicativi del pacchetto ArcGis™ 9.0 della Esri® ed organizzato in
più Feature Datasets (Figura 22).
Quest’ultimi costituiscono le diverse categorie in cui sono stati ripartiti tutti gli oggetti mappati e
classificati come elementi puntuali, lineari o poligonali a seconda dell’estensione areale dell’oggetto
in questione.
Prima di essere inseriti all’interno del geodatabase, i punti acquisiti tramite il rilievo GPS sono stati
sottoposti ad una procedura di post-processing, che ha riguardato sostanzialmente i seguenti aspetti:
‐
La trasformazione, tramite appositi software, da coordinate WGS84 geografiche (su cui
lavora ogni sistema GPS) a coordinate piane Gauss Boaga fuso Ovest (utilizzate dalla
maggior parte delle amministrazioni pubbliche).
‐
Il passaggio da quote ellissoidiche (misurate con il sistema GPS) a quote geoidiche (reali)
attraverso la creazione di un geoide locale (questo passaggio è dettagliato con la dovuta
accuratezza nel paragrafo successivo).
‐
La conversione tra vari formati dei file con cui vengono memorizzati e gestiti i punti; infatti,
il dato di output del GPS deve essere convertito più volte per essere processato tramite
programmi specifici che compiono le operazioni descritte ai punti precedenti e per venire
infine importato in sistemi GIS.
‐
Importazione in ambiente ArcGIS e verifica del corretto posizionamento dei punti tramite
confronto con dati ancillari di tipo cartografico, raster, vettoriale e foto aeree (Figura 21).
43
Figura 21: Esempio di sovrapposizione in ambiente GIS di alcuni rilievi GPS con foto aeree in scala 1:10.000, nella zona di Lastra a Signa e Signa (in rosso il confine comunale). La diversa simbologia di rappresentazione dei punti indica l’appartenenza a rilievi eseguiti in differenti giornate. 44
Figura 22 ‐ Struttura del geodatabase. Al suo interno sono confluiti i rilievi GPS, opportunamente separati nelle rispettive categorie di appartenenza (feature dataset); i vari elementi mappati a loro volta sono stati digitalizzati come punti, linee o poligoni a seconda dell’evenienza (feature classes). Creazione di un geoide locale per la correzione delle quote
I rilievi eseguiti all’interno del progetto di ricerca avvengono tramite strumentazione GPS che,
come spiegato dettagliatamente nei paragrafi precedenti, opera esclusivamente nel sistema mondiale
geocentrico WGS84 con coordinate geografiche (φ, λ) e quote ellissoidiche (h) (Maseroli, 1995). La
realizzazione italiana di tale sistema prende il nome di ETRS89 (oggi ETRS2000) al quale è
associato l’ellissoide geocentrico GRS80.
45
Mentre la conversione da coordinate geografiche a planimetriche e da sistema WGS84 a GaussBoaga è abbastanza immediata ed estremamente precisa, il passaggio da quote ellissoidiche
acquisite con il GPS a quote geoidiche è più problematico. La conversione a quote geodiche è
necessaria perché l’ellissoide è funzionale soltanto alla descrizione della componente planimetrica e
non è sfruttabile come superficie di riferimento per le altimetrie, in quanto non possiede nessun
significato fisico (questo difetto è noto come “Problema Altimetrico”) (Radicioni & Sguerso, 1992).
Si tenga inoltre presente che nella zona di Firenze la differenza tra quote ellissoidiche e geoidiche
può superare i 40 metri.
Per come è stato definito, il geoide rappresenta una superficie di riferimento strettamente legata
alla gravità, il suo scostamento rispetto all’ellissoide è rappresentato nella seguente formula:
N=h-H
dove h è l’altezza ellissoidica, H è la quota ortometrica rispetto al geoide e N l’ondulazione del
geoide calcolata da dati di gravità (Figura 23).
Figura 23 ‐ Esempio di modellazione della superficie topografica attraverso ellissoide e geoide. Nel 1999 è stata eseguita dal DIIAR del Politecnico di Milano, tramite misure gravimetriche, una
stima dell’ondulazione del geoide a livello nazionale che ha portato allo sviluppo di un modello del
geoide denominato ITALGEO99 (Barzaghi et al., 2002), caratterizzato da una precisione assoluta di
tipo decimetrico. Nel 2003 l’Istituto Geografico Militare ha implementato, all’interno del software
“VERTO”, il modello di ondulazione del geoide ITALGEO99 per la preparazione dei grigliati
impiegati per il passaggio da coordinate ellissoidiche ad ortometriche per tutto il territorio
nazionale. Tale modello di geoide è caratterizzato da uno scarto quadratico medio rispetto alla rete
GEOTRAV (punti GPS-IGM95 collegati a capisaldi di livellazione) di ± 0.15 m per il continente
(riferito al mareografo di Genova), ± 0.04 m per la Sicilia (riferito al mareografo di Catania), ±
0.07 m per la Sardegna (riferito al mareografo di Cagliari). L’errore quadratico medio (e.q.m.) di
maggiore entità risulta di circa 0.30 m.
Successivamente, nel 2005 è stato realizzato un nuovo modello di Geoide denominato
ITALGEO2005, sempre sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Milano, e caratterizzato
da un scarto quadratico medio rispetto alla rete di livellazione di alta precisione di ± 0.035 m per
tutto il territorio nazionale. L’e.q.m. di maggiore entità risulta inferiore a 0.10 m.
46
In primo luogo, per convertire le quote ellissoidiche misurate durante il rilievo GPS in quote
geoidiche, sono stati utilizzati questi due modelli di geoide già esistenti. Per verificare se i risultati
potevano essere ritenuti qualitativamente accettabili e quindi utilizzabili all’interno del database del
Plantario, è stata effettuata una procedura di verifica. I due geoidi nazionali (ITALGEO99 e
ITALGEO2005) sono stati utilizzati su un numero di punti limitati a quota doppia (ellissoidica e
geoidica) scelti come set di controllo, precisamente su 11 capisaldi della linea B. Questi punti fanno
parte della rete di inquadramento plano-altimetrica effettuata dal comune di Campi Bisenzio. I
capisaldi in questione sono stati trattati prima tramite il modello di geoide ITALGEO99 e poi
tramite ITALGEO2005 al fine di ottenere le quote ortometriche da quelle ellissoidiche ed eseguirne
un confronto. I risultati ottenuti mostrano che le differenze tra le quote ortometriche misurate e le
quote ortometriche calcolate dal geoide nazionale, sono mediamente 0.19 m per il modello
ITALGEO99 e 0.10 m per il modello ITALGEO2005. In entrambi i casi quindi gli errori risultano
essere troppo alti rispetto alla precisione richiesta dal progetto Plantario per poter adeguatamente
trattare problematiche come il rischio idraulico. Per ottenere quote ortometriche dotate di una
precisione maggiore, è stato scelto di definire un geoide locale relativo al territorio indagato.
Prima di creare un geoide locale che riducesse l’errore in quota, è stata effettuata una campagna
di controllo per effettuare un test di verifica sulla precisione della componente altimetrica rilevata
durante le campagne GPS.
La prima verifica è stata effettuata sul caposaldo B09 situato nel comune di Campi Bisenzio, in
località San Piero a Ponti. Da questo caposaldo è stato effettuato un riattacco altimetrico, in andata e
in ritorno, con livello ottico WILD N3 e stadia Invar di 2 metri con gradazione al centimetro, sul
caposaldo IGM n. 15 della linea n. 5, situato a San Piero a Ponti (Figura 24). Il dislivello misurato
tra i due capisaldi, pari a 5.72251 m, ha confermato che la quota del caposaldo B09 è stata in
passato collegata al caposaldo IGM suddetto. La differenza tra la quota monografica del caposaldo
B09 e la quota monografica del caposaldo IGM è di 5.72310 m ed il Delta quota tra i due dislivelli
(5.72310 - 5.72251 = 0.00059 m) conferma la precisione sub-millimetrica della quota ortometrica
presente sulla monografia.
Tra le altre operazioni di campagna, sono state riacquisite le coordinate geografiche φ, λ e
l’altezza ellissoidica h (tramite GPS geodetico) di 12 capisaldi. Gli errori riscontrati sono pari al
centesimo di secondo sessagesimale, quindi entro l’errore di misura confermato dalla Commissione
Geodetica Italiana.
47
Figura 24 ‐ Posizione della linea di livellazione (A) ed esecuzione della verifica di campagna (B). Una volta appurata la precisione delle misure, si è proceduto ad una localizzazione del modello
geoidico per il territorio provinciale fiorentino in modo da ridurre quanto più possibile l’errore
altimetrico dei punti GPS rilevati. Per localizzazione si intende l’adattamento del modello di
ondulazione geoidica, che viene calcolato per il territorio nazionale, a una regione o territorio
limitato, come ad esempio la Provincia di Firenze. Nella sperimentazione condotta nella zona di
Campi Bisenzio, per la creazione del geoide locale è stato utilizzato il programma VERTO 3.0.
Sono stati presi in considerazione undici capisaldi della rete GEOTRAV (punti GPS-IGM95
collegati a capisaldi di livellazione). Su questi, tramite il software suddetto, è stata applicata la
trasformazione conforme di Helmert, creando un modello di geoide a 7 parametri (3 traslazioni, 3
rotazioni, 1 fattore di scala) (Figura 25). Di seguito, sempre con VERTO 3.0, questi 7 parametri
sono stati applicati a 11 capisaldi della linea B (B01, B04, B06, B07, B08, B13, B15, B16, B17,
B18, B19) con quota ellissoidica e quota ortometrica note. Stavolta però la quota ortometrica è
servita solo come verifica della quota ortometrica calcolata sul modello di geoide creato. La
differenza tra la quota ortometrica misurata e la quota ortometrica calcolata sul modello di geoide
locale creato, è stata mediamente di 0.03 m con una precisione che rientra in quella richiesta.
Il geoide locale di nuova realizzazione è stato quindi utilizzato per convertire le quote
ellissoidiche misurate durante il rilievo GPS in quote geoidiche: la conversione è stata applicata a
tutti i punti rilevati, consentendo di raggiungere una precisione altimetrica dell’ordine di ± 0.03 m.
48
Figura 25 ‐ Area di copertura del nuovo geoide. In nero sono visualizzati i punti sulla base dei quali è stata calcolata l’area minima convessa per la localizzazione del nuovo geoide. L’area in tratteggio rappresenta il buffer di circa 2 km che è stato applicato ai corsi fluviali per delimitare l’area di validità del nuovo geoide. Popolamento del Geodatabase
Una volta che tutti i punti GPS sono stati importati in ambiente GIS, essi sono stati ripartiti
all’interno degli appropriati feature dataset del geodatabase (Figura 22, Figura 26, Figura 27).
Tali punti sono stati poi utilizzati per definire la forma dei vari elementi del Plantario,
digitalizzandola in ambiente GIS utilizzando i punti GPS come nodi (Figura 28):
Gli elementi puntuali (come ad esempio i manufatti di scarico) sono semplicemente rappresentati
dal punto GPS. Ovviamente un punto, in quanto adimensionale, non può riprodurre le dimensioni
dell’oggetto che rappresenta, tuttavia questa informazione viene ugualmente inclusa all’interno del
Plantario, in quanto di solito per gli elementi puntuali è previsto di specificarne le dimensioni
inserendo tale dato all’interno di un apposito campo informativo del database.
Gli elementi lineari (es. ciglio di sponda) o con sviluppo prevalentemente lineare (es. lunghe
scogliere semisommerse a protezione delle sponde) sono stati rappresentati nel geodatabase
49
attraverso linee. Quest’ultime sono state digitalizzate in ambiente GIS unendo i vari punti GPS
rilevati in campagna.
Tutti gli elementi aventi un’estensione planimetrica significativamente ampia sono stati
rappresentati da poligoni, definiti sfruttando come vertici i punti GPS.
Ad ogni feature class è associata una specifica tabella di attributi in cui sono state inserite le
informazioni contenute nelle schede monografiche compilate in campagna (Figura 29). Per rendere
più completo possibile il SIT e per consentire una scrupolosa digitalizzazione degli elementi estesi,
oltre a tutti i punti mappati in campagna durante il rilievo GPS, altri sono stati acquisiti dalle foto
aeree 1:2.000 e 1:10.000 (tramite ricalco a video) o sono stati estratti dalle Carte Tecniche
Regionali 1:2.000 (ove presenti, altrimenti in scala 1:10.000) (Figura 26). Il ricorso ai dati di tipo
ancillare si è reso necessario in particolare per tutti quegli oggetti di cui non è stato possibile
acquisire l’esatta posizione tramite rilevo GPS per l’inaccessibilità al luogo o per problemi legati
alla qualità segnale (come spiegato nei paragrafi precedenti). La maggior parte degli elementi
estratti di dati ancillari è rappresentata da edifici o comunque da altri oggetti per i quali la
precisione della quota non costituisce un elemento fondamentale. Al contrario, per gli elementi
coinvolti direttamente nel contenimento delle piene, come argini e cigli di sponda, più del 99% dei
punti sono stati adeguatamente misurati con rilievo GPS ed hanno quote estremamente accurate.
Nel database inoltre per ogni punto è specificata la fonte (GPS, ortofoto, CTR) e quindi è possibile
sapere quali punti sono misurati accuratamente e quali sono da ritenersi più approssimativi.
Figura 26 ‐ Esempio di ripartizione dei punti GPS nelle diverse categorie: muri arginali in rosso e manufatti di scarico in giallo, sovrapposti a cartografia digitale 1:2000 e foto aeree (Firenze, Lungarno Cellini). 50
Figura 27 ‐ Esempio di ripartizione dei punti GPS nelle diverse categorie: manufatti generici in rosso, manufatti di scarico in giallo, argini in verde, opere idrauliche in rosa (zona di confine comunale tra Signa, Lastra a Signa e Scandicci). Figura 28 ‐ Esempio di digitalizzazione relativa agli argini e al ciglio di sponda lungo la confluenza del fiume Bisenzio con l’Arno (Signa). 51
Figura 29 ‐ Elaborazione in ambiente GIS dei punti GPS. Sovrapposizione dei dati ancillari (CRT 10000) con i punti GPS relativi agli argini (Firenze centro). Figura 30 ‐ Esempio di integrazione in ambiente GIS di dati cartografici digitali, foto aeree e rilievi GPS in relazione all’estrazione di manufatti lungo le sponde dell’Arno (comune di Signa). 52
Piattaforma WEBGIS
Il geodatabase Plantario, realizzato come specificato nei paragrafi precedenti, è disponibile per
tutto il personale tecnico della Provincia. Tuttavia per estenderne la diffusione e per aumentarne la
fruibilità presso comuni cittadini, comunità scientifica e professionisti è stato pensato di diffonderne
in maniera più ampia possibile anche una versione semplificata. Il contenuto del geodatabase è stato
quindi ulteriormente riorganizzato e rielaborato per la pubblicazione dei risultati su piattaforma
WebGis. L’intenzione è stata quella di produrre una tipologia di dato che, previa integrazione con
altri database esistenti, sia consultabile via internet da qualsiasi altro ente o privato cittadino
interessato al rischio idraulico e idrogeologico. Quest’ultimo passaggio è possibile semplicemente
attraverso la messa a punto di un adeguato sistema di front-end, un’interfaccia di rete sulle quali gli
utenti interessati possono visualizzare i dati rilevati nell’area di interesse. GoogleMaps è stato
utilizzato come Server map per la prova di visualizzazione del dato, mentre UMN Mapserver è stato
il sistema di front-end impiegato per risolvere i problemi legati alla semplificazione del dato
visualizzabile. Il database è attualmente consultabile da tutti al seguente indirizzo web:
http://www.provincia.fi.it
In particolare sulla piattaforma WebGIS sono visibili tutti gli elementi del geodatabase e tutti i
punti quotati del rilievo GPS, suddivisi per fiume al fine di velocizzare il caricamento a video e di
agevolare le analisi.
5.
Elaborazione e risultati del progetto Plantario (Filippo Catani,
Leonardo Ermini, Stefano Morelli, Samuele Segoni)
I contenuti del Geodatabase
Sintesi delle opere di importanza idraulica classificate lungo l’Arno
I rilievi compiuti lungo il corso dell’Arno hanno complessivamente prodotto 18179 punti GPS. Il
rilievo è interamente documentato in apposite schede monografiche. L’inserimento degli stessi
all’interno delle principali categorie di interesse del geodatabase precedentemente illustrato ha
consentito la seguente ripartizione: “ciglio” (3329 punti), “argine” (10218 punti), “manufatti” (459
punti), “opere idrauliche” (3276 punti), “manufatti di scarico” (310 punti), “restringimenti” (250
punti), “elementi di geomorfologici” (159 punti) e di interesse vario (linea sotterranea metanodotto,
rilevati, pozzi, fossi, tombini particolari ecc.) (178 punti).
Il numero delle suddette misurazioni risulta integrato con quello estrapolato dalla cartografia di
dettaglio esistente. In particolare la categoria “manufatti” è stata la più difficile da rilevare per via
dell’oscuramento del segnale satellitare nel punto di stazionamento (spigoli) o, nel caso meno
sfavorevole, per la perdita di qualità del dato e perciò le informazioni relative alla categoria in
oggetto è scaturita in gran parte dall’integrazione dei dati rilevati con l’estrazione diretta degli
oggetti dalla CTR 2.000. Tuttavia anche le altre categorie rilevate hanno presentato
occasionalmente gli stessi problemi e allo stesso modo si è tentato di superare il problema. Infine
53
un’opportuna ricalibrazione di tali dati con le misure GPS adiacenti ha permesso di unificare le
informazioni suppletive a quelle ottenute dalla misurazione diretta.
Il rilevamento su entrambe le rive dell’Arno è stato eseguito per una lunghezza complessiva di
125.7 km ed ha evidenziato un ciglio di sponda che si sviluppa per 86.5 km, mentre i restanti 39.2
km sono caratterizzati da arginature di vario tipo. Per disegnare in maniera accurata lo sviluppo di
ogni elemento morfologico di queste opere idrauliche (rampe di accesso, fianchi e sommità) sono
stati digitalizzate linee per una lunghezza totale di 198.52 km. I dati ricavati dimostrano pertanto
che il 31.2 % delle aree contermini al corso d’acqua risultano protette da difese arginali, mentre il
68.8 % del tratto analizzato è presente il ciglio di sponda. Quest’ultimo ha quindi una estensione
doppia rispetto alle arginature. Si evidenzia fra l’altro che quasi mai si tratta di sponde “scolastiche”
frutto della naturale evoluzione di un alveo a fondo mobile, ma più spesso siamo in presenza di
sponde fortemente antropizzate, risultato di rettifiche fluviali e stabilizzate in modo artificiale nel
loro stato attuale.
Figura 31‐ Principali elementi rilevati nel tratto da Camaioni a Signa. 54
Figura 32‐ Principali elementi rilevati nel tratto da Signa a Firenze Cascine. Figura 33‐ Principali elementi rilevati nel tratto cittadino di Firenze Figura 34‐ Principali elementi rilevati nel tratto da Firenze a Pontassieve 55
Figura 35 ‐ Principali elementi rilevati nel tratto da Pontassieve ad Incisa Gli argini, che sono stati gli elementi maggiormente mappati, risultano essere stati costruiti
secondo tre principali metodologie: in terra, in muratura o con tecniche miste. Quelli in muratura si
ritrovano di solito nei centri storici delle città. E’ il caso del centro di Firenze, ma anche di Incisa,
Ponte a Signa, Porto di Mezzo e Brucianesi. Laddove questa esigenza di spazio a ridosso del letto
del fiume non era così esasperata la costruzione di argini è avvenuta generalmente in terra
realizzando geometrie più ampie che vanno dal semplice trapezio a forme più complesse
comprendenti un numero variabile di banchi di sostegno ed opere accessorie. Anche in questi casi
comunque il successivo sviluppo urbanistico spesso ha comportato la necessità di contendere al
fiume superficie edificabile e di concentrare in pochi metri abitazioni e difese idrauliche, per cui
queste ultime sono state spesso ritoccate associando ai classici rilevati in terra, eventualmente degli
elementi in muratura come sostegno e rinforzo. Un caso del genere è ben rappresentato a Signa in
prossimità del ponte pedonale.
56
Attualmente solo il 18 % degli argini sono costruiti completamente in muratura ed i rilevati in
terra o con materiali misti sono prevalenti. Essi costituiscono la principale opera di difesa contro le
piene dell’Arno o degli afflunti oggetto di rilievo sia per le aree urbanizzate che per quelle agricole
e generalmente sono strutture molto antiche di cui si è persa qualsiasi informazione sulle modalità
di fabbricazione e sui materiali utilizzati. Inoltre i vari agricoltori, per proteggere i propri campi,
hanno più volte rinforzato o comunque modificato gli argini, alzato il loro livello e ricostruito i loro
cedimenti con materiali trovati sul posto, conferendo ai rilevati arginali una complessa
disomogeneità strutturale. A fronte di tali osservazioni ottenere un quadro conoscitivo della capacità
di tenuta di queste strutture risulta quanto mai necessario per la gestione del rischio idraulico.
Figura 36 ‐ Muro d’argine e rivestimento in zona di golena Figura 37 ‐ Lato esterno del muro d’argine Figura 38 – Muro d’argine a protezione dell’abitato Figura 39– Muro d’argine in lungarno Torrigiani (Firenze) Figura 40 – Muro d’argine in lungarno Serristori (Firenze) 57
Figura 41 – Muro d’argine in lungarno generale Armando Diaz (destra) e in Lungarno Torrigiani (sinistra) (Firenze) Figura 42 ‐ Argine in terra con telo di rivestimento Figura 43‐ Argine in terra con manufatto Figura 44 ‐ Argine in terra a protezione di un sottopasso Figura 45 ‐ Argine in terra rinforzato con gabbioni 58
Figura 46 ‐ Argine in terra in zona di campagna Figura 47 ‐ Argine in terra rivestito sui due fianchi Figura 48 ‐ Argine in terra percorso da strada asfaltata Figura 49 – Zona di contatto tra argine in terra e muratura Figura 50 – Argine misto terra‐muratura in zona di manufatti di scarico Figura 51– Argine in terra accorciato e rinforzato con muratura 59
Figura 52 ‐ Argine misto terra‐muratura in zona ferroviaria Figura 53– argine misto terra‐muratura Sono state inoltre mappate altre 228 opere idrauliche di minore estensione (120 poligonali, 106
lineari e 2 puntuali) che sono principalmente rivestimenti con materiali inerti (calcestruzzo e
pietrame vario), murature di vario tipo (in pietrame a secco, in pietrame con malta idraulica, in
mattoni, in calcestruzzo\cemento armato gettato in opera o in blocchi prefabbricati montati a secco
ed incastrati tra loro), gabbioni a scatola e traverse, unica tipologia di opera trasversale presente in
Arno. In misura ridotta troviamo rivestimenti con materassi tipo Reno in rete metallica a doppia
torsione e maglie esagonali, cateratte singole, chiaviche, idrovore, briglie negli impluvi immissari,
scogliere con blocchi non posizionati regolarmente e massi ciclopici adagiati sulle sponde talora
sciolti e talora cementati.
Queste ultime due tipologie di sistemazione, assieme ai muri e ai gabbioni sono quelli che
costituiscono principalmente gli elementi lineari mappati. In due soli casi abbiamo associato
un’opera idraulica ad un punto ed è relativa alla posizione in cui si trova l’apertura di un tubo
proveniente da un attiguo impianto idrovoro. Tali strutture sono adagiate sulla sommità di muri
arginali rispettivamente in località Ponte a Signa e Porto di Mezzo (sponda sinistra) entrambi nel
comune di Lastra a Signa. Entrambi sono stati messi in evidenza come opere idrauliche puntuali in
conseguenza del fatto che essendo tali sistemi di regimazione inglobati in un tessuto urbano già
complessivamente segnalato a rischio in caso di esondazione, era opportuno, a nostro parere,
discernere il punto più critico (sbocco). Infine nessuna significativa opera a basso impatto
ambientale (eseguita con tecniche di ingegneria naturalistica) di recente realizzazione è stata
individuata durante i rilievi. Esse piuttosto sembrano legate a piccoli interventi per la risoluzione di
problemi locali, mentre per il controllo delle dinamica fluviale prevalgono le classiche opere di
ingegneria idraulica.
60
Figura 54 – Rivestimento di sponda in muratura Figura 55– Rivestimento di sponda in calcestruzzo Figura 56– Muro di sponda in blocchi di cemento Figura 57– Muro di sponda in cemento gettato in opera Figura 58– Scogliera Figura 59– Scogliera cementata Figura 60 – Tubazione uscente da un impianto idrovoro Figura 61 – Impianto idrovoro in prossimità di una cateratta 61
Figura 62 – Pescaia di Santa Rosa Figura 63– Briglia di un fosso secondario in zona di sponda a
d
b
c
Figura 64 – Gabbioni in doppia fila (a), gabbioni in fila singola (b), massi ciclopici e gabbioni posti a terrazzo (c), chiavica (d) Figura 65 – Intervento di ingegneria naturalistica Figura 66– Cartello relativo all’intervento dell’immagine Tra gli elementi che riducono la sezione di deflusso sono stati individuati 56 restringimenti di cui
32 attraversamenti dell’Arno (30 strade e ferrovie, 2 passaggi pedonali), 17 attraversamenti su
impluvi o affluenti in prossimità della foce, 5 tombamenti ed 1 guado entrambi relativi a fossi in
area di golena e direttamente afferenti in Arno. Un Gasdotto distante soltanto 100 metri dal ponte
autostradale (A1) è stato segnalato in questa categoria benché si sviluppi ben al di sopra dei rilevati
arginali e la riduzione di sezione consista soltanto di due piloni non molto grandi costruiti in zona
golenale. Tale opera è attualmente in fase di avanzata dismissione da parte di SNAM.
E’ importante sottolineare che solo i ponti più antichi riducono la sezione idraulica più del 50%,
il Ponte Vecchio (Firenze) e il ponte D’Annibale (Bruscheto, Reggello) che è principalmente un
guado. Fra i due solo nel caso del Ponte Vecchio siamo di fronte ad un vero e proprio rischio per la
62
sua collocazione cittadina. Nel 1980 sono stati svolti dei lavori di abbassamento delle platee di
quest’ultimo ponte e del Ponte a Santa Trinita, immediatamente a valle, che, associati all'
innalzamento dei muri di sponda, hanno aumentato la portata smaltibile da 2.200 a ca 3000 m3/s
riducendo di un terzo il volume di esondazione a Firenze per eventi comparabili a quelli del 1966
(portata di ca 4000 m3/s). Dunque questi interventi consentono il transito di portate maggiori ma
non sufficienti a contenere eventi con tempi di ritorno duecentennali (http://www.adbarno.it;
http://www.provincia.fi.it).
Archivio Locchi
Figura 67 – Ponte Vecchio (Firenze) Figura 68 ‐ Ponte Vecchio dopo l’alluvione del 1966 a
b
Figura 69– Foto aerea dell’area di imposta del Ponte di Annibale (a), ponte di Annibale e Mulino visto dal fiume (b) 63
Figura 70 ‐ Ponte di Annibale visto dalla sponda sinistra Tutti gli altri ponti storici furono distrutti dai bombardamenti alleati o dalle mine dei Tedeschi in
ritirata, fra il finire del 1943 e l'estate del 1944 e solo dopo qualche decennio furono ricostruiti
ripristinando la situazione ai livelli dell'anteguerra. Per questo motivo essi hanno ridotti problemi di
restringimento di sezione, presentando semmai, insieme a quelli costruiti i tempi più recenti
(Autostrada A1, direttissima Firenze – Roma, Ponte di Pian dell'Isola, ecc.) problemi di stabilità per
erosione di materiale attorno ai piloni di fondazione.
Figura 71 – Ponte stradale in località Figline Valdarno: fu ricostruito nel dopoguerra e consolidato nel 1962 64
Infine sono stati rilevati 310 punti GPS associati a manufatti di scarico, ai quali vanno sommati
quelli fisicamente non raggiungibili dal GPS per un totale di circa 365 sbocchi diretti in Arno.
Principalmente si tratta della parte terminale un sistema di drenaggio sotterraneo attraverso il quale
vengono smaltite acque di varia natura. Si evidenzia che non era oggetto specifico del lavoro
individuare le tipologie di scarico, ma effettuarne una mappatura in quanto ogni manufatto inserito
in argine o in una sponda ne costituisce una discontinuità che può avere una importante rilevanza ai
fini della determinazione della stabilità globale di quel dato tratto fluviale in corrispondenza di
eventi di piena. La forma di tali manufatti varia da tonda, ovale, rettangolare o con geometrie
particolari (ad esempio trapezoidale con archi in calotta) e tale distinzione non sembra seguire
criteri di funzionalità, che semmai si riflettono nel dimensionamento, ma piuttosto l’epoca
costruttiva ed il materiale costruttivo disponibile. Quest’ultimo comprende il cemento, la muratura e
il metallo. La plastica è altresì largamente utilizzata per immettere in Arno acque meteroriche
provenienti da piccole aree (fossi laterali ad orti, campi coltivati, strade comunali secondarie o
vicinali ecc.). Infine è importante sottolineare che la stragrande maggioranza dei manufatti di
scarico, escluso quasi tutti i piccoli tubi in plastica, sono dotati di portelli di vario tipo (mannaia,
ventola) per evitare in caso di piena rigurgito di acqua fluviale nel sistema di drenaggio.
Nel caso dei manufatti con portelli a mannaia è sempre prevista la presenza di un operatore per le
operazioni di chiusura. Nel caso di sbocchi con portelli a ventola è il peso dell’acqua stessa sulla
struttura che una mantiene chiuso il sistema finchè il livello del fiume non scende ad una quota
inferiore. Una particolare categoria di sbocchi rilevati sono i fossi/torrenti tombinati nei centri
cittadini. Alcuni di essi nella città di Firenze vengono definiti “fognoni” dalla cittadinanza, che ha
ormai dimenticato l’origine di tali condotte. Queste hanno una grandezza di qualche metro e sono
quasi sempre sprovvisti di portelli. I manufatti di scarico di recente costruzione, che hanno il punto
di rilascio non in diretta connessione con la corrente dell’Arno sono solitamente dotati di canali di
scolo che indirizzano i flussi in un punto preciso dell’alveo. Essi sono rivestiti in cemento oppure in
pietrame ed aiutano a preservare la stabilità della zona di golena attraversata. Dove essi non sono
stati previsti si può verificare un ruscellamento concentrato che porta a solchi di incisione anche
profondi, che per erosione regressiva minacciano la stabilità delle sponde e degli argini ove
presenti.
65
Figura 72 – Mosaico di immagini relativo alle principali categorie di manufatti di scarico presenti a
b
C
d
e
Figura 73 – Fogna con liquami (a) e relativa perdita attraverso il rivestimento circostante (b). Sbocco di torrenti tombati in Firenze (c, d). Erosione concentrata allo sbocco di un sistema fognario (e) 66
Sintesi delle opere di importanza idraulica classificate lungo gli affluenti
Anche nel caso degli affluenti dopo l’inserimento dei punti GPS all’interno del geodatabase (per un
totale di 18316 punti), si è proceduto alla loro ripartizione nelle principali categorie create con le
stesse modalità e gli stessi supporti prima descritti per l’Arno. In particolare abbiamo “ciglio” (542
punti), “argine” (12744 punti), “manufatti” (59), “opere idrauliche” (3758 punti), “manufatti di
scarico” (103 punti), “restringimenti” (298 punti) e “significato vario” (geomorfologia ed altro) (89
punti).
E’ necessario ricordare che la maggior parte dei tratti analizzati ha un tracciato planimetricamente
fissato, una sezione idraulica ridotta e talvolta non esistono nemmeno aree golenali in quanto gli
argini e le opere poste a difesa della pianura adiacente sono realizzate a ridosso del fiume.
Apparentemente molte delle opere idrauliche longitudinali non sono state progettate con il fine di
adeguare la sezione ad eventi con dato tempo di ritorno, ma molto più semplicemente per
conservare la stabilità delle sponde o argini. Di conseguenza sono strettamente interconnesse con i
rilevati arginali od altre strutture e le loro linee di definizione coincidono per lunghi tratti. In questo
caso i punti GPS sono stati marcati una sola volta e in fase di elaborazione sono stati adeguatamente
sdoppiati, ripartendoli nei vari campi di definizione. Si spiega cosi il numero apparentemente
elevato di punti per definire ogni elemento rispetto al computo totale di punti effettivamente presi in
campagna.
Figura 74 – Principali elementi rilevati negli affluenti 67
Per quanto riguarda il Bisenzio le misurazioni di campagna hanno portato ad acquisire un
numero complessivo, e rappresentativo del tratto analizzato, di 7513 punti GPS (Fig. 6.46), di cui
151 appartenenti alla classe “ciglio di sponda” e 5194 ad “argine”. 1191 punti sono stati necessari
invece per definire le opere idrauliche, 81 per i restringimenti, 20 per gli manufatti di scarico, 20 per
i manufatti “generici”ed infine 38 di interesse vario (caposaldi, passaggi nei muri arginali, problemi
di conservazione delle opere idrauliche, ecc.)
Il rilevamento su entrambe le sponde del Bisenzio è stato effettuato per una lunghezza
complessiva di 26 km, dei quali solo 2.9 km con ciglio di sponda naturale o seminaturale (Fig.
6.46) e i restanti 23.1 km caratterizzati dalla presenza di argini. Dunque per l’ 88 % il Bisenzio si
dimostra costretto tra difese arginali che sono sempre costituite da rilevati in terra ad esclusione del
centro abitato di Campi Bisenzio (tratto di 788 m) dove troviamo mura alte fino a 4.80 metri. Il
ciglio si sviluppa nel tratto terminale ed è costituito comunque da una sponda fluviale, la cui
evoluzione in passato è stata influenzata dalle adiacenti attività economiche (escavazione di inerti
dai Renai, agricoltura). Tuttavia esso presenta ancora caratteri di naturalità in quanto nessuna opera
di protezione spondale legata alle tradizionali o moderne tecniche di ingegneria è stata realizzata.
a
b
Figura 75‐ Ciglio di sponda in prossimità dei Renai (Signa) (a) e arretramento attivo in prossimità della foce (b) 68
sezione F sponda destra
sezione E sponda destra (lato esterno)
sezione E sponda destra (lato interno)
sezione C sponda sinistra
Figura 76 ‐ Sezioni eseguite in località Campi Bisenzio ed immagini rappresentative degli argini intercettati dalle sezioni 43.58
44
43.68
43.64 43.6
42
41.3
40.98
39.76
4038.92
39.76
39.68
38.92
38
36.4
36.4
36
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
130
140
150
160
Figura 77– sezione A. Esagerazione verticale di 2.3. 69
43.58 43.69
44
42
40
43.7
41.3
39.72
39.4
43.65
41.2
39.7
40.15
39.6
39.62
39.45
38.77
38
36.48
36.46
36
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
130
140
150
160
Figura 78– sezione B. Esagerazione verticale di 2.3. 44
43.19 43.29
42.85
42.8
42
40.2
40.8
40.47
41.31
41.14
40.2
40
38.9
37.3
38
36.98
35.84
36.15
35.84
36
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
Figura 79– sezione C. Esagerazione verticale di 1.6. 44
42.88
42.88
42.5642.51
41.92
41.95
42
39.26
4038.96
38
38.94
36.92
36.25
35.79
35.8
36
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
Fig. Figura 80– sezione D. Esagerazione verticale di 1.6. 44
42.83 42.73
42.22
42.22
42
40.73
40 39.3
38.6
38.22
38
36.56
39.09
40.72
39.58
36.3
35.1
36
35.1
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Figura 81– sezione E. Esagerazione verticale di 1.6. 44
100
110
43.04
43.04
42.06
42.01
42.81 42.51
42
40
38.2
39.45
39.4
38.31
38.32
37.8
37.86
38
35.12
36
35.5
35.12
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
Figura 82– sezione F. Esagerazione verticale di 1.6. 70
44
42.51 42.32
41.58
42
42.47
42.47
41.95
41.8
39.45
40
38.5
38.29
38.02
37.2
38
35.67
35.41
36
35.33
35.2
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
130
140
150
160
Figura 83– sezione G. Esagerazione verticale di 2.3. 44
42.21 41.88
42
41.96 42.09
40.81
39.17
40
38
36.2
36.21
36.42
35.94
35.11
34.7
36
36
34.7
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
90
100
110
Figura 84– sezione H. Esagerazione verticale di 1.6. 43.67 43.57
44
41.6 41.76
42
41.66
42.69
42.7
41.84
42.58
42.58
41.66
40.1
39.77
40
38
37.2
38
36.8
40.34
38.28
36.8
36
34
32
30
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Figura 85– sezione I. Esagerazione verticale di 1.6. La tipologia di argine in terra presente lungo questo torrente è trapezoidale semplice oppure di
forma complessa con banco secondario sul fianco esterno. Quello interno invece è posizionato
sovente in froldo o a pochi metri dall’alveo in una sorta di fascia golenale che nella maggior parte
dei casi ha senz’altro un’origine di tipo antropica. Per disegnare in maniera accurata lo sviluppo di
ogni elemento morfologico di queste opere idrauliche (rampe di accesso, fianchi e sommità) sono
stati digitalizzate linee per una lunghezza totale di 98.8 km. Per quasi tutto il corso del Bisenzio i
fianchi interni degli argini sono rivestiti da estese protezioni in cemento o muratura e talvolta
rinforzati al piede da scogliere di massi sciolti, lastre o muri in calcestruzzo, eccetto i tre chilometri
di argine sulla sponda sinistra in prossimità della foce ed altri tratti più piccoli in cui la corrente non
costruisce un pericolo idraulico particolare.
Sono state inoltre mappate altre 91 opere idrauliche a sviluppo longitudinale per difesa della
stabilità di sponda e sono principalmente costituite da rivestimento in calcestruzzo gettato in opera o
in muratura con impiego di materiale lapideo, ma vi si trovano anche scogliere, muri ed in quantità
ridotta gabbioni e massi ciclopici. Soltanto 6 opere idrauliche sono trasversali e sono rappresentate
71
da cateratte/idrovore, briglie/traverse o semplicemente scogliere poste in loco per dissipare la
turbolenza dei flussi.
Tra gli elementi che riducono la sezione di deflusso sono stati individuati 12 restringimenti di cui
9 attraversamenti stradali, 2 attraversamenti pedonali (Campi Bisenzio, San Piero a Ponti), 1
attraversamento ferroviario (Signa). Inoltre alla categoria in oggetto è stato associato anche 1
attraversamento di tubazione in località Confini (Campi Bisenzio) il cui disturbo alla sezione
idraulica è indotto soltanto da un pilone di sostegno realizzato nella zona di golena su sponda destra
che copre un’area non più grande di un metro quadrato.
Infine sono stati rilevati 17 manufatti di scarico associati a fognature urbane, immissione di fluidi
da canali che regimano le acque di pianura (impianti idrovori/chiaviche) o il sistema di acque alte
(impianto di paratoie). Osservando il numero dei manufatti di scarico in relazione alla lunghezza
complessiva rilevata, si nota che essi sono in numero abbastanza ridotto se paragonati alla densità
attualmente esistente in torrenti simili. Tuttavia essi sono caratterizzati da una elevata
diversificazione tipologica in relazione alla funzionalità e di conseguenza alla modalità costruttiva,
che comunque resta sempre legata alle tre categorie sopra menzionate. È altresì interessante notare
che la distribuzione dei manufatti di scarico rilevati non è omogenea sul territorio, ma è concentrata
nelle località di Signa-Renai (9), di Campi Bisenzio (2) e di Capalle (5). Solo un vecchio manufatto
di scarico di metallo non più attivo e dal cattivo stato di conservazione è stato segnalato in maniera
isolata in località Confini (Campi Bisenzio). Infine nonostante non siano state verificate immissioni
di inquinanti, la qualità delle acque fluenti in alveo è sempre scadente e tale da non creare mai
condizioni sufficienti per lo sviluppo di una significativa biodiversità fluviale. Per concludere tra gli
impianti tecnologici principali per la sicurezza idraulica e la tutela dell’ambiente afferenti al
Bisenzio segnaliamo i seguenti allestimenti:
Impianto idrovoro “F.so di Piano” (Fig. 6.57)
Impianto idrovoro “Crucignano” (Fig. 6.58)
Paratoie “Acque Alte” (Fig. 6.59)
Caratteristiche impianto idrovoro “F.so di Piano” (http://www.consorziobonificaareafiorentina.it)
Anno realizzazione: 2002
località: San Mauro a Signa (Signa)
Consorzio di bonifica: Area Fiorentina
portata max: 5.25 m3/sec (3+1 elettropompe)
sistema idraulico: Acque Basse del sistema Piano-Monaca
funzioni: difesa dalle alluvioni sui territori dei Comuni di Campi Bisenzio e Signa
72
Figura 86 Particolare dell’impianto di Fosso di piano Caratteristiche impianto idrovoro “Crucignano” (http://www.consorziobonificaareafiorentina.it)
Anno realizzazione: 1999
località: Fornello (Campi Bisenzio)
Consorzio di bonifica: Area Fiorentina
portata max: 7 m3/sec (2+1 elettropompe)
sistema idraulico: Acque Basse di Crucignano
funzioni: difesa dalle alluvioni sui territori dei Comuni di Campi Bisenzio Calenzano e Prato
Figura 87 Particolare dell’impianto di Crucignano Caratteristiche paratoie “Acque Alte” (http://www.consorziobonificaareafiorentina.it)
Anno realizzazione: 2000
località: S. Donnino (Campi Bisenzio / Signa)
Consorzio di bonifica: Area Fiorentina
73
portata max: 219 m3/sec (con Tr=100 anni)
sistema idraulico: Acque Alte del Fosso Reale
funzioni: difesa dalle alluvioni sui territori dei Comuni di Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Calenzano e
Firenze
Figura 88 ‐ Particolare del manufatto relativo alle paratoie Acque Alte Figura 89 – Argine in terra con banco secondario esterno Figura 90 – Argine in terra a forma trapezia semplice Figura 91– Argine in terra e rivestimento di sponda Figura 92– Argine in terra rivestito ed innalzato con muretto 74
Figura 93 – Gabbioni come difesa spondale Figura 94– Scogliere e rivestimento di sponda con pietrame Figura 95– Scogliera cementata Figura 96– Soglia Figura 97– Ponte storico nel centro di Campi Bisenzio Figura 98 – Scarico con portello a ventola Per quanto riguarda il Marina le acquisizioni di punti GPS hanno portato a coprire l’area di
rilievo con un numero corrispondente di 1836 punti GPS, di cui 1175 ad “argine”. Nessun punto
invece è stato associato alla classe “ciglio di sponda” in quanto il tratto terminale del Marina è
completamente arginato. 701 punti sono stati necessari invece per definire le opere idrauliche, 22
75
per i restringimenti e 2 per i manufatti. Infine 3 punti sono di interesse vario e si tratta
rispettivamente di una tana di roditori nel fianco arginale, un caposaldo (M10) della rete di
inquadramento plano-altimetrica della Provincia di Firenze e di un collasso sul fianco arginale di
dimensioni ridotte (larghezza massima 2 metri). Nessun manufatto di scarico è stato rilevato
nell’intero settore considerato.
Gli argini presenti lungo il torrente Marina sono principalmente in terra, irrobustiti al piede
interno con un muretto e, sempre a lato fiume, rivestiti per lunghi tratti da lastre in calcestruzzo
nella parte più bassa del fianco arginale (52.5%). Poco inferiori per estensione (46.5%) troviamo
argini realizzati con tecniche miste (terra e muratura) caratterizzati da muri in pietrame e talora di
cemento a formare la parte interna della difesa arginale, mentre più esternamente vi è addossato un
grosso rilevato di terra. Questi muri solitamente raggiungono le massime altezze arginali e poggiano
le proprie basi direttamente in alveo. Proprio per questo motivo troviamo spesso al piede dei muri
lunghi tratti di scogliere che hanno essenzialmente il compito di difendere la loro stabilità. Infine in
misura pari soltanto al 2% il Marina è dotato di vero e proprio muro d’argine ed esso si trova a
protezione dell’antica Villa Montalvo (Campi Bisenzio). Tra tutte le opere suddette soltanto l’argine
in terra che si estende in destra idrografica dalla confluenza con il Garille Nuovo fino all’impianto
idrovoro di Crucignano in prossimità del Bisenzio (800m) è dotato di una sottile fascia golenale.
Per rappresentare al meglio lo sviluppo di ogni elemento morfologico delle difese arginali presenti
(fianchi, sommità, banchi secondari e rampe di accesso) è stato necessario digitalizzare linee per
una lunghezza totale di 25.7 km nonostante il tratto fosse soltanto di circa 3 km.
Sono state inoltre mappate 3 opere idrauliche trasversali costituite da soglie che mantengono
fisso il fondo dell’alveo e 42 opere idrauliche a sviluppo longitudinale realizzate essenzialmente per
la protezione degli argini in terra o misto muratura-terra. Tra queste troviamo lunghi rivestimenti in
calcestruzzo e a tratti in muratura, scogliere, muri di vario genere e gabbioni in piccole quantità.
Infine gli attraversamenti del torrente sono risultati soltanto 5 di cui 4 moderni ed importanti ponti
stradali come ad esempio quello dell’autostrada A11 e quello di collegamento tra la zona industriale
di Calenzano e Prato.
Figura 99– Argine in terra con rivestimento interno Figura 100– Argine misto con terra e muratura 76
Figura 101– Muro d’argine sul lato esterno Figura 103– Rivestimento di sponda ed argine Figura 102– Soglia in calcestruzzo Figura 104– Scogliere a protezione del piede dell’argine misto Figura 105– Ponte autostrada A11 Figura 106– Gasdotto con pilone innestato nell’argine Per quanto riguarda la Greve sono stati acquisiti un totale di 2.029 punti GPS sia per la sponda
destra che sinistra di cui solo 43 corrispondenti alla classe “ciglio di sponda” e 1469 ad “argine”.
Per contraddistinguere le opere idrauliche invece sono stati necessari 466 punti GPS, mentre per i
restringimenti ne sono bastati appena 32. Infine 16 punti rappresentano i manufatti di scarico, 5 i
manufatti “generici”, 3 le zone di interesse geomorfologico (zone con arretramento di sponda
attivo) e 3 le zone di interesse vario (particolare rivestimento attorno ad uno scarico e cateratta
dismessa).
Il rilevamento su entrambe le sponde della Greve è stato effettuato per una lunghezza
complessiva di circa 8 km, dei quali appena 650 m dotati di ciglio di sponda e i restanti 7.35 km
77
caratterizzati dalla presenza di argini che corrono paralleli al corso d’acqua a pochi metri dall’alveo
di magra.
Dunque per l’ 83.8 % la Greve risulta dotata da difese arginali che sono ininterrottamente
costituiti da rilevati in terra a forma trapezoidale semplice ad esclusione del centro abitato di Ponte
a Greve (62m) e Scandicci (150m) dove troviamo muri d’argine a difesa di antiche abitazioni
costruite molto a ridosso del torrente. Il piccolo tratto di ciglio invece si trova in condizioni
seminaturali nel tratto terminale della Greve (destra idrografica) ed è caratterizzato da diffuse zone
di arretramento attivo, delle quali sono state segnalate attraverso la strumentazione GPS quelle più
prossime agli elementi a rischio. Per tracciare in maniera accurata lo sviluppo di ogni elemento
morfologico delle difese arginali presenti (fianchi e sommità) è bastato digitalizzare quattro linee
che sommate a quelle raffiguranti le rampe di accesso hanno prodotto una lunghezza totale di 29.9
km.
Sono state inoltre individuate e mappate 39 opere idrauliche a sviluppo longitudinale:
principalmente rivestimenti in calcestruzzo alternati a muratura, ma anche muri, scogliere, gabbioni,
materassi tipo Reno e massi ciclopici. Tutte queste opere contribuiscono a mantenere stabili le
sponde stesse dell’alveo di magra e nelle sezioni idrauliche più piccole i fianchi interni degli argini
che durante le piene possono venire a contatto con le correnti della Greve. Quattro sono invece le
opere idrauliche trasversali e tutte risultano associate a traverse. Le due più a monte sono senz’altro
le più antiche, viste i materiali impiegati per realizzarli (lapidei, lignei, cementizi e metallici) e la
connessione con antichi manufatti, costruiti in modo tale da sfruttare la derivazione delle acque del
bacino retrostante lo sbarramento ed il salto idraulico che esso genera. Tra gli elementi che riducono
la sezione di deflusso sono stati individuati 9 restringimenti di cui 6 ponti stradali, 2 attraversamenti
pedonali ed una passerella strutturata come un ponte vero e proprio, ma impiegata esclusivamente
per lo scavalcamento di grosse tubazioni proveniente dall’impianto acquedottistico di Mantignano.
Quest’ultimo data la sua vicinanza alla foce e quindi in stretta correlazione anche con la dinamica
d’alveo dell’Arno presenta problemi di forte erosione attorno alle fondazioni, specie nel pilone
posto al centro dell’alveo. Altro restringimento da segnalare è quello che costituisce
l’attraversamento di Via Pisana in località San Lorenzo a Greve, meglio conosciuta come Ponte a
Greve. Esso è il più antico del tratto analizzato e il suo stile costruttivo risalante al 1398 (Repetti,
1841) occupa buona parte della sezione idraulica, costituendo un pericolo durante gli eventi di
piena. Infine sono stati rilevati 16 manufatti di scarico. Più della metà pur conservando integra la
propria struttura (tubazione, portello ed opere accessorie) hanno uno stato di conservazione
abbastanza degradato e sembrano essere utilizzati saltuariamente o addirittura dimessi da tempo. I
problemi principali che affliggono questo tipo di manufatti di scarico è l’interramento, la crescita di
vegetazione e la realizzazione di profondi solchi dallo sbocco fino al torrente qualora le acque di
precipitazione si concentrano nei canali di scorrimento già esistenti. Nel caso dei manufatti di
scarico attivati saltuariamente e senza nessun opera di controllo dei flussi in prossimità dello sbocco
possono formarsi allo stesso modo incisioni per ruscellamento concentrato.
78
Figura 107– Argine in terra e passerella in lontananza Figura 109– Ciglio di sponda con tratti in arretramento Figura 112– Attraversamento di tubazioni a mezzo ponte Figura 113– Ponte di via Pisana Figura 108– Muro d’argine Figura 110– Materasso Reno e massi ciclopici attorno Figura 111– Pescaia e mulino Figura 114– Scarico con serie di portelli (mannaia e ventola) 79
Per quanto riguarda il tratto dell’Ombrone sono stati acquisiti 1.162 punti GPS soltanto per la
sponda sinistra dalla confluenza in Arno fino alla località Ponte all’Asse, di cui 170 appartenenti
alla classe “ciglio di sponda” e 779 ad “argine”. Per contraddistinguere le opere idrauliche invece
sono stati necessari 175 punti GPS, mentre per i restringimenti ne sono bastati solamente 32 e per i
manufatti di scarico 10. Infine 4 punti GPS rappresentano i manufatti rilevabili, 3 le zone di
interesse geomorfologico (ad esempio zone con arretramento di sponda attivo) e 2 le zone di
interesse vario (pozzo e caposaldo IGM).
Il rilevamento è stato effettuato per una lunghezza complessiva di 7.5 km, dei quali 3.3 km
caratterizzati dalla presenza di argini e 4.2 km con ciglio di sponda che è veramente naturale nei
tratti collinari e seminaturale nelle zone pianeggianti a causa della pressione antropica esercitata
dalle attività agricole e dagli esercizi turistico alberghieri sulla naturale evoluzione geomorfologica.
Tuttavia soltanto in presenza della seconda attività troviamo un ciglio regolarizzato e controllato da
importanti opere idrauliche: rivestimento con pietre di dimensioni decimetriche non cementate.
Dunque in questo caso solo il 44% del tratto analizzato è dotato di difese arginali per metà circa
costituite da rilevati trapezoidali semplici e per l’altra metà dotati di un banco intermedio sul fianco
esterno (Fig. 6.86). Soltanto in prossimità di Ponte all’Asse per difendere un‘abitazione posta
all’angolo con la SR66 e prospiciente ad un ponte stradale l’argine in terra si trasforma in vero e
proprio muro d’argine (27 m). Per disegnare in maniera accurata lo sviluppo di ogni elemento
morfologico di queste opere idrauliche (rampe di accesso, fianchi, sommità e banchi secondari)
sono stati digitalizzate linee per una lunghezza totale di 16.2 km.
Sono state inoltre mappate altre 18 opere idrauliche a sviluppo longitudinale e sono
principalmente costituite da rivestimento in calcestruzzo gettato in opera al fine di creare una
efficace difesa spondale necessaria per preservare l’integrità degli argini posti alle proprie spalle. Vi
si trova inoltre un rivestimento in pietra a ridosso del solo ciglio di sponda, come precedentemente
specificato, una scogliera in prossimità della foce, ed alcuni muri, due dei quali posti rinforzo del
fianco esterno dell’argine in terra per la presenza di abitazioni che probabilmente sono state
costruite molto vicino al torrente precedentemente alla realizzazione degli argini così come li
vediamo oggi.
Tra gli elementi che riducono la sezione di deflusso sono stati individuati 6 restringimenti di cui
3 attraversamenti stradali, 2 ponti ferroviari, ed infine un piccolo ponticello pedonale dotato nel
luogo medesimo di paratoie che servono per regolare le acque di alcuni fossi, uno dei quali
derivante proprio da un’area di laminazione adiacente al corso dell’Ombrone (opera di bonifica
idraulica di proprietà della regione Toscana). Il ponte stradale in località Castelletti risulta il più
basso tra quelli analizzati e quindi connesso ai maggiori rischi durante gli eventi alluvionali, benché
non sia dotato di piloni costruiti direttamente in alveo.
Per quanto riguarda invece il secondo ponte ferroviario a partire dalla confluenza in Arno si
ritiene opportuno segnalare il suo cattivo stato di conservazione dovuto ad un abbandono che dura
ormai da decine d’anni. Infine sono stati rilevati appena 7 manufatti di scarico associati ad acque di
80
raccolta provenienti dei campi adiacenti (fossi), acque reflue domestiche e da due sistemi di chiuse.
Di una si è parlato precedentemente in relazione ad un ponticello che sovrasta le paratoie, mentre
l’altra costituisce la parte terminale di un impianto l’idrovoro a servizio di un sistema di casse di
espansione (Castelletti).
Figura 115 – Argine in terra (sullo sfondo banco secondario) Figura 116– Restringimento del rilevato arginale Figura 117– Ponte stradale Figura 118– Rivestimento di sponda in pietrame 81
a
b
Figura 119– Impianto idrovoro di Castelletti (a), paratoie esistenti già prima della realizzazione del retrostante manufatto (b) e foto aerea dell’impianto (Google ) (c) Per quanto riguarda il tratto del Vingone sono stati acquisiti complessivamente 2.996 punti GPS
di cui 2539 appartenenti alla classe “argine” e soltanto 20 al “ciglio di sponda”. 302 punti sono stati
necessari invece per definire le opere idrauliche, 49 per i restringimenti, 33 per i manufatti di
scarico, 24 per i manufatti ed infine 17 di interesse vario (escavazione di tane di roditori o
localizzati cedimenti, siti speciali, caposaldi, ecc.).
Il rilevamento su entrambe le sponde del Vingone è stato effettuato per una lunghezza
complessiva di 14 km e quasi per l’intero tratto troviamo rilevati arginali. Soltanto in quattro piccoli
siti sulla sponda sinistra abbiamo ciglio di sponda per una lunghezza totale di appena 339 m di cui
più di 1/3 completamente artificiale perché rimodellato dall’espansione urbanistica o immobilizzato
da pesanti opere in cemento.
Dunque il 97.6 % del tratto analizzato scorre tra difese arginali realizzati quasi esclusivamente
in terra ad eccezione di piccoli tratti di muro d’argine a difesa di manufatti costruiti in prossimità
dell’alveo (complessivamente 323 m). Gli argini in terra dalla foce fino al ponte di via Livornese
presentano le volumetrie e le altezze maggiori lungo tutto torrente raggiungendo dislivelli maggiori
anche di 5 m tra la sommità arginale e la quota del terreno d’imposta. Per garantire la loro stabilità,
nei confronti dell’attività di scavo di roditori, alcuni tratti dei fianchi interni sono addirittura rivestiti
da una maglia metallica esagonale con filo a doppia torsione, fissata a terra con malta cementizia. I
82
restanti rilevati presentano invece dimensioni più modeste, a tratti mescolandosi confusamente con
le morfologie circostanti. Le difese arginali in terra sono solitamente strutturate con una forma
trapezoidale semplice e solo per brevi tratti con un banco secondario sul fianco esterno. Per
tracciare in maniera accurata il loro sviluppo è stato sufficiente digitalizzare linee (due per la testa,
due per il piede e due per il banco secondario) che sommate alle rampe di accesso e ai segmenti di
definizione dei muri d’argine hanno prodotto una lunghezza totale di 52.9 km.
Sono state inoltre mappate 51 opere idrauliche a sviluppo longitudinale per la difesa degli argini
e delle sponde (muri, gabbioni, rivestimenti in calcestruzzo e in pietra) dislocate un po’ su tutto il
tratto anche se non in maniera continua e soltanto 4 trasversali ai flussi del Vingone (briglie per
dissipare la turbolenza delle acque nel tratto finale e soglia in pietrame con funzione di guado). Tra
gli elementi che riducono la sezione di deflusso sono stati individuati 13 restringimenti di cui
soltanto in un caso associato ad una tubazione metallica con piloncini di sostegno posti sui fianchi
interni degli argini, mentre in tutti gli altri casi abbiamo ponti stradali di categorie differenti. Tra
questi abbiamo un ponte storico che è impostato direttamente sulle sponde e sugli argini
raggiungendo una quota pari a quella massima del rilevato sul quale si appoggia, uno stile
costruttivo resistente alle correnti, ma che riduce la sezione idraulica più del 50%. Il ponte necessita
di un intervento di recupero statico. Infine sono stati rilevati 29 manufatti di scarico associati a
immissione di acque di varia natura fra cui quelle dei fossi collettori provenienti dai campi adiacenti
e strutture che regimano le acque in eccesso nelle contigue aree pianeggianti (impianti di
pompaggio/cateratte). La collocazione dei loro sbocchi è posizionata sia al piede dell’argine, ed in
questo caso i manufatti di scarico più grandi sono dotati di portello a ventola metallico, sia sul
fianco arginale. Nel primo caso alcuni manufatti di scarico sono addirittura associati tubazioni che
seguono il profilo argine, salendo per buona parte sul paramento esterno e ridiscendendo poi lungo
quello interno.
Figura 120– Rilevati arginali prossimi alla foce Figura 121– Argini di altezza modesta lontano dalla foce 83
Figura 122 – Rivestimento in pietrame Figura 123– Briglia Figura 124– Ponte stradale e scarico adiacente Figura 125– Scarico con ripartitore di flusso Il rilievo completo del tratto cittadino del Mugnone è stato eseguito dalla confluenza in Arno
fino alle Cure. È da tenere presente che, al momento delle misurazioni, il tratto a valle
dell’attraversamento ferroviario (opera pertinente alla stazione centrale SMN) era stato cantierizzato
da operai specializzati al fine di operare un adeguamento idraulico del torrente; facevano eccetto
l’area contigua alla foce e la sponda sinistra in località le Cascine. Nei giorni dei sopralluoghi
soltanto 160 metri del tratto più a monte erano in fase di piena attività e non è stato possibile
accedervi. Dunque saltando quest’ultimo settore abbiamo ritenuto ugualmente imprescindibile
rilevare il Mugnone, ben consapevoli che la morfologia dei luoghi sarebbe cambiata da lì a poco.
Dunque sono stati marcati complessivamente 2360 punti GPS, di cui 1353 appartenenti alla classe
“argine” e soltanto 149 al “ciglio di sponda”. Per definire invece le opere idrauliche sono stati
necessari 748 punti, per i restringimenti 73, per i manufatti di scarico 17, per i manufatti 4 ed infine
un tale di 16 punti per gli oggetti di vario interesse (caposaldi e aperture tra muro d’argine e zone di
imposta di un attraversamento pedonale).
Il rilevamento su entrambe le sponde del Mugnone è stato effettuato per una lunghezza
complessiva di circa 12 km, dei quali appena 3.43 km dotati di ciglio di sponda diviso in più
segmenti e i restanti 8.57 km caratterizzati dalla presenza di argini che corrono paralleli al corso
d’acqua a pochi metri dall’alveo e talvolta direttamente in froldo.
84
Dunque per il 71.4 % il Mugnone risulta dotato da difese arginali che sono costituiti da rilevati in
terra a forma trapezoidale semplice alternati a forme più complesse (sviluppo di banchi sui fianchi
esterni) nel tratto che va approssimativamente da Piazza Puccini fino alle Cascine e nella porzione
centrale di viale Redi. Nelle restanti zone dotate di protezione idraulica abbiamo opere miste terramuratura e muri d’argine a differente altezza con rivestimenti in pietra serena nelle zone più
centrali. Per disegnare in maniera accurata lo sviluppo di ogni elemento morfologico di queste
opere sono state digitalizzate linee per una lunghezza totale di 33.6 km. Il ciglio di sponda invece,
trattandosi di un torrente il cui corso è stato più volte deviato e risentendo fortemente dell’intensa
urbanizzazione, non può essere in nessun caso considerato naturale o seminaturale.
Sono state inoltre mappate altre 57 opere idrauliche, a sviluppo longitudinale e con estensione
più contenuta, poste a difesa delle sponde e dei manufatti su di esse realizzati. Essi sono
principalmente muri e rivestimenti in calcestruzzo alternati a coperture in materiale lapideo che
testimoniano il forte controllo antropico sull’andamento del torrente. Anche laddove non vi sono
evidenti difese verticali troviamo tuttavia una stabilizzazione del fondo operata attraverso una
diffusa cementificazione che in certi casi diventa una vera e propria canalizzazione dell’alveo.
Soltanto 7 sono le opere trasversali presenti e si tratta di due pennelli (lunghi non più tre metri) posti
in alveo presso l’ansa che il Mugnone esegue in piazza Puccini, una botte a sifone nel punto in cui il
torrente incrocia il canale del fosso Macinante (zona Cascine) e 4 strutture che fissano il fondo
dell’alveo associabili alla categoria soglie/traverse. Tra gli elementi che riducono la sezione di
deflusso sono stati individuati 19 restringimenti di cui 11 attraversamenti stradali, 5 passaggi
pedonali (Cascine e quartiere 5) e 3 ponti ferroviari tra i quali quello di collegamento con la
stazione di Santa Maria Novella, la cui estensione (300m) è tale da far considerare l’opera come un
tombamento. Questo manufatto assieme agli attraversamenti cittadini di antica concezione come il
ponte all’Asse, il ponte Rosso o quello di via Baracca costituiscono le zone di maggior criticità sulle
correnti di piena del Mugnone. Infine una particolarità da segnalare è che il ponte di San Donato,
sotto la propria campata, vede unirsi le acque del Terzolle a quelle del Mugnone. Per concludere
sono stati rilevati 18 manufatti di scarico associati in buona parte al sistema di drenaggio urbano che
raccoglie e smaltisce le acque superficiali (es. meteoriche intercettate dalla caditoie).
Figura 126– Rilevato arginale in zona cascine Figura 127– Argine misto con terra e cemento con strada 85
Figura 128– Muro d’argine che si estende in alveo Figura 129– traversa Figura 130– Ponte all’Asse durante la cantierizzazione Figura 131– Scarico dotato di tubazione multipla Per quanto riguarda invece il Terzolle sono stati acquisiti complessivamente 420 punti GPS sia per
la sponda destra che sinistra. Di questi 235 appartengono alla classe “argine” e soltanto 9 al “ciglio
di sponda”. Per definire invece le opere idrauliche sono stati necessari 175 punti, mentre per i
restringimenti 9 e per i manufatti di scarico 7. Nessun punto associato a manufatti o a elementi di
vario interesse è stato invece marcato in questo contesto.
Il rilevamento è stato eseguito per una lunghezza complessiva di ca 3 km, dei quali solo 165 m sono
rappresentati da un ciglio di sponda completamente artificiale mentre nei restanti 2.84 km vi
troviamo difese arginali.
Dunque per quasi la totalità del tratto analizzato (94.5%) il Terzolle è imbrigliato tra argini in terra a
forma trapezia, muri d’argine fondati direttamente in alveo e opere miste nella zona di passaggio da
una tipologia all’altra (44m). Il ciglio è presente in sponda sinistra poco prima della confluenza con
il Mugnone in corrispondenza di un lembo di terra che separa i due torrenti facendoli scorrere
paralleli prima della congiunzione. Entrambi sono sempre associati ad altre opere idrauliche
longitudinali con funzione di protezione. In fase di digitalizzazione per tracciare in maniera accurata
86
lo sviluppo di ogni elemento morfologico delle difese arginali presenti (fianchi e sommità) è bastato
digitalizzare quattro linee che sommate a quelle riproducenti le rampe di accesso ed il banco
secondario hanno prodotto una lunghezza totale di 8.76 km.
Sono state inoltre mappate altre 18 opere idrauliche delle quali 17 a sviluppo longitudinale per
difesa della stabilità di sponda e degli argini laddove essi sono stati realizzati in prossimità del letto
del Terzolle. Tali manufatti sono principalmente costituiti dai classici rivestimenti in calcestruzzo e
pietra alternati a muri. In prossimità del ponte di Mezzo troviamo invece un’opera trasversale
associata a soglia che costituisce la parte terminale di un tratto di alveo fortemente cementificato e
dotato di un collettore centrale che garantisce sempre lo scorrimento dell’acqua, anche in esigue
quantità. Nella porzione di torrente presa in considerazione troviamo soltanto 3 elementi che
riducono la sezione di deflusso, nonostante il Terzolle attraversi un tratto cittadino densamente
abitato: 1 ponte stradale, 1 passaggio pedonale ed 1 attraversamento ferroviario. Tra questi quello a
maggior impatto sull’idrologia del corso d’acqua e senz’altro il restringimento percorso dalle linee
ferroviarie ed inoltre si segnala che l’attraversamento pedonale poco più a valle è affiancato da
numerose tubazioni che devono essere monitorate in caso di piena. Infine sono stati rilevati 5
manufatti di scarico corredati comunque tutti quanti di sbocco con portelli metallici a ventola. Le
loro dimensioni raggiungono anche due metri di apertura massima e sono posizionati un po’ a tutte
le quote; dal piano strada fino al letto “cementificato” del Terzolle.
Figura 132– Argine in terra con muro al piede interno Figura 134– Soglia sotto il ponte di Mezzo Figura 133– Muro d’argine che si estende in alveo Figura 135– Muro e rivestimento in cemento dell’alveo 87
Figura 136– Ponte Ferroviario Figura 137– Scarico con portello a ventola Stato di conservazione delle opere di importanza idraulica
Le più estese e diffuse opere idrauliche insistenti lungo il corso dell’Arno sono senza dubbio gli
argini differenziati principalmente secondo le normali tecniche di realizzazione (materiale terrigeno,
muratura o soluzioni miste).
Lo stato di conservazione degli argini in terra è complessivamente buono, ma tuttavia sussistono
peculiarità più o meno estese che possono influire diversamente sul loro tempo di vita, esistono
alcune situazioni critiche ed infine vi sono alcuni danni localizzati che minacciano la stabilità di
queste opere idrauliche.
Innanzitutto dobbiamo prendere atto che talvolta la loro funzione va oltre la semplice difesa
idraulica ed assumono caratteristiche infrastrutturali di importanza anche regionale. Difatti i rilevati
sono percorsi per tratti più o meno lunghi da superfici carrabili di vario tipo (strade sterrate o
asfaltate e piste pedo-ciclabili) o da tracciati ferroviari con uno o più binari. L’esempio più
significativo di quest’ultima situazione si trova in corrispondenza dell’argine che sulla sponda
destra si estende da Firenze a Signa (circa 8 km). Alcuni lavori di ammodernamento della suddetta
linea ferroviaria hanno prodotto, durante i sopralluoghi, tagli provvisori nel corpo centrale che ci
hanno permesso di osservare la stratigrafia dell’argine nei primi metri dalla sommità (Figura 138).
88
Figura 138‐ Sezione del rilevato arginale Figura 139– Superficie ferroviaria sul banco intermedio L’aspetto interessante che emerge da un’attenta osservazione del sito è che il piano di
percorrenza dei treni una volta era più basso ed è stato successivamente rialzato (nel caso specifico
di oltre 1.5m). Questo spiegherebbe anche il fatto che in questo punto i binari si trovano sulla
sommità, mentre in altre zone si trovano sul banco secondario esterno, che probabilmente in passato
è stato la parte più elevata dell’argine ed un sovrainnalzamento relativo soltanto al fianco interno lo
ha lasciato ad una quota inferiore (Figura 139)..
Per quanto riguarda le situazioni potenzialmente critiche si segnalano invece i rivestimenti degli
argini in terra operati con cemento armato o con materassi tipo Reno in prossimità di ponti
importanti. I rilevati in queste zone sono dunque maggiormente protetti per almeno tutta la
larghezza del ponte e di conseguenza l’eventuale criticità non sta esattamente nell’area che esso
sottende, ma piuttosto nelle zone di transizione dal normale argine a quello rinforzato. Un esempio
tipico è il ponte autostradale A1 in località San Donnino ed Ugnano (Figura 140) oppure il ponte
ferroviario relativo alla linea diretta Firenze Roma in località Lagaccioni. In questo caso uno dei
piloni è localizzato direttamente sull’argine che tutto attorno è rivestito di cemento.
Una ulteriore criticità è determinata dalla crescita di vegetazione arborea ed arbustiva sui fianchi
arginali, che se non ben gestita può creare delle zone di debolezza cause di collasso e sifonamento.
La Provincia ha recentemente pubblicato delle Linee Guida gestionali di argini e sponde in
collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali e Forestali dell’Università
di Firenze (Ermini a cura di, 2007). 89
Figura 140– Argine rivestito sotto l’autostrada A1 Figura 141– argine rivestito con addossamento di pilone Figura 142– Scalzamento fondazioni di un gasdotto Figura 143– crescita di vegetazione sui fianchi arginali Come criterio generale si afferma che la vegetazione riparia è una presenza indispensabile per il
mantenimento di un ecosistema efficiente. La sua presenza non può essere tollerata lungo gli argini
fluviali, su cui devono essere eseguite le periodiche operazioni di taglio e sfalcio, mentre ne può
essere effettuata una gestione oculata lungo le sponde fluviali, più o meno naturalizzate. Esistono
poi particolari opere, prevalentemente finalizzate alla protezione delle sponde nei confronti
dell’erosione, eseguite secondo tecniche di ingegneria naturalistica in cui la vegetazione è parte
dell’opera stessa e va pertanto preservata.
Infine si evidenzia che le opere di difesa idraulica rappresentano spesso uno sbarramento per
l’accesso alle rive fluviali. Per questo motivo nei casi ove non è stato possibile realizzare alcun tipo
di rampe si è proceduto a realizzare dei sottopassi che potessero essere attraversati anche da mezzi
meccanici. Laddove il rilevato ferroviario ha anche funzioni di contenimento idraulico i sottopassi
sono predisposti per essere opportunamente chiusi con “targoni” (paratoie mobili) o “cavallotti” in
modo da garantire la tenuta arginale. Ogni sottopasso, in situazioni di criticità idrologica,
rappresenta comunque una situazioni di elevata pericolosità a causa dei ristagni di acqua che spesso
vi si formano, la cui profondità, in caso di alluvionamento, talvolta non è immediatamente
percepibile, come tragicamente testimoniato dai molti incidenti che si sono verificati. Per
concludere l’analisi sullo stato di conservazione degli argini in terra parliamo ora dei deterioramenti
riscontrati sulle strutture durante le fasi del rilievo.
90
La tipologia di dissesto più diffusa è costituita dalla presenza di tane di roditori di forma
circolare e larghe fino ad un massimo di 35-40 cm. La specie maggiormente presente è la nutria
(Myocastor coypus Molina), che tende a formare colonie con molti esemplari che possono
interessare in modo abbastanza pervasivo le arginature. Tali situazioni devono essere sottoposte ad
un attento monitoraggio e controllo perché spesso i roditori responsabili della loro formazione
tendono a tornare sugli stessi luoghi, anche dopo essere intervenuti mediante operazioni di
sigillatura delle tane.
Figura 144– Sottopasso sotto rilevato arginale/ferroviario Figura 145 a – Tane di animale (nutria/tasso) In alcuni casi le tane possono raggiungere dimensioni veramente considerevoli come nel caso sotto
riportato, probabilmente dovuto all’azione di istrici (Histrix cristata).
Figura 145 b – Tane di animale (Istrice) Figura 145 c – Tane di animali (Istrice) Lo stato di conservazione degli argini in muratura e con materiali misti è sicuramente buono e
migliore di quelli realizzati in terra. Non vi sono mai casi in cui si segnalano preoccupanti
deterioramenti nel sistema arginale tuttora in funzione e solo parte degli elementi decorativi
presentano delle problematiche, tranne tratti che necessitano di interventi di manutenzione
ordinaria. 91
Un discorso a parte deve essere fatto invece per quanto riguarda lo stato di conservazione delle
pescaie/traverse che costituiscono le uniche opere in alveo tuttora esistenti e derivanti da un passato
alquanto importante per la vita dei centri urbani antistanti all’Arno. Esse infatti hanno una rapida e
comprovata efficacia per quanto riguarda i problemi legati alla stabilizzazione verticale di un tratto
d’alveo (Biggi, 2006), almeno nel tratto di interesse, e se ben gestite sono in grado di creare dei
piccoli invasi nelle aree a monte sfruttabili a fini idropotabili, agricoli o, secondo concezioni più
moderne, per la produzione di energia idroelettrica pulita attraverso centrali mini-hydro.
Queste opere hanno però subìto nel tempo danneggiamenti più o meno sostanziali, che sono
normalmente riconducibili ai tipici deterioramenti operati dalle correnti fluviali e dal loro trasporto
solido:

Scalzamento di blocchi/lastre di pietra

crolli

Sifonamento

Creazione di lesioni

Apertura di fratture

Interramento

Rottura dovuta a pressione delle radici delle piante
A queste si aggiungono inopportuni interventi antropici che hanno influito peculiarmente sulla
velocità delle azioni naturali.
Poiché gli sbarramenti più antichi costituiscono una eredità giunta a noi quasi immutata nei
materiali e nelle geometrie, per comprendere al meglio la resistenza ai flussi dell’Arno e dunque il
loro stato di conservazione è bene ricordare succintamente quali sono state le modalità costruttive
che le hanno caratterizzate. Ebbene, le pescaie/traverse sono state costruite fino al XIX secolo su
un’armatura fatta di grossi pali di legno duro, stagionato e trattato con sostanze impermeabilizzanti
(es. olii) ed infine infissi a percussione nel letto dell’Arno. Originariamente gli spazi fra i pali
venivano riempiti con fascine miste a ciottoli e ghiaia e la parte superficiale più esterna, denominata
petto, soglia, scarpa e controscarpa, nell’ordine in cui l’acqua la percorre, veniva rivestiva di robusti
tavoloni o grandi lastre di pietra (Baggi, 1921). Molti sbarramenti conservano ancora le strutture
originarie sopraindicate, poiché gli unici interventi effettuati nel corso dei secoli hanno avuto la
finalità di migliorarne la conservazione e la funzionalità senza mai modificare profondamente gli
impianti esistenti.
92
Figura 146– Sezione di una “pescaia” costruita secondo i metodi classici (Baggi, 1921) Figura 147‐ Palo di legno della originaria armatura (pescaia di S. Andrea a Rovezzano) Figura 148‐ Lastre di pietra come rivestimento esterno del lato a valle (pescaia di S. Andrea a Rovezzano) Le principali ripercussioni strutturali cagionate dall’abbandono sono lo “scalzamento di blocchi”
e “crolli” (Riscaggio, Mulino d’Orlando e Massini), il “sifonamento” (Sieci, Rignano e Rovezzano),
le “lesioni” e “fratture” (Mulino Nuovo e Isolotto) e l’interramento con crescita localizzata di
vegetazione (Sant’Andrea a Rovezzano e Girone) talmente spinto a volte da far assumere alla
struttura le sembianze di soglie (Porto di Mezzo e Girone). Inoltre laddove il degrado ha privato tali
strutture della funzione di regimazione si sono verificati inopportuni effetti locali per quanto
riguarda la stabilità delle infrastrutture annesse ed in certi casi la possibilità di recupero. Un caso a
parte è la pescaia di S. Andrea a Rovezzano che, oltre a subire alcuni dei danni precedentemente
descritti, negli anni ’80 fu parzialmente distrutta di proposito per abbassare il livello idrometrico a
monte e agevolare così la costruzione di un ponte ferroviario. Il danneggiamento subìto e
l’accumulo in alveo di alcuni resti di un ponte di servizio lasciate irresponsabilmente in loco ha
provocato l’accentramento della corrente nella zona di rottura. Ciò ha favorito l’escavazione di una
enorme fossa (profonda una decina di metri) e contemporaneamente la deposizione del materiale in
prossimità delle spalle, un interramento talmente spinto da ostruire completamente l’impianto di
captazione delle acque di un antico mulino sulla sponda destra e la nascita di vegetazione erbacea,
93
arbustiva e persino arborea su quella sinistra. Sulle pescaie la Provincia di Firenze ha attivato un
importante Project Financing che, tramite la messa a disposizione del loro utilizzo per la produzione
di energia elettrica, dovrebbe consentire nell’arco di qualche anno di perfezionarne il completo
recupero statico.
a
c
d
b
Figura 149– Interramento, crescita di piante e crolli (Pescaia S.Andrea a Rovezzano) (a), Scalzamento di blocchi e sifonamento (Pescaia delle Sieci) (b), Lesioni e fratture (pescaia Mulino Nuovo) (c), (pescaia dell’Isolotto) (d). Per quanto riguarda invece le opere di importanza idraulica quelle maggiormente diffuse negli
affluenti sono senza dubbio gli argini,a seguiti dai rivestimenti di sponda e degli stessi fianchi
arginali. Tuttavia i malfunzionamenti e i danneggiamenti riscontrati lungo queste opere hanno
caratteristiche spazialmente contenute, così come in tutte le altre opere, che è difficile costruire una
casistica sintetica del dissesto in atto e tanto meno individuare settori con peculiarità omogenee e
distintive. L’unica cosa che accomuna gli argini è la presenza di rivestimenti importanti in
prossimità dei ponti di recente costruzione che procurano, se non adeguatamente monitorati, zone di
criticità nel contatto tra l’elemento di rinforzo (cemento o altro) e il materiale granulare. Qui di
seguito vengono riportate alcune foto rappresentative delle principali situazioni riscontrate.
94
Figura 150‐ Crollo di un muro di protezione Figura 152‐ Reti metalliche di gabbioni divelte Figura 151 ‐ Tane di animali in argine Figura 153 ‐ Bioreti in fibre di iuta strappate Figura 154 ‐ Fessurazione di un fianco dell’argine Figura 155 ‐ Collasso del muro d’ala di una pescaia La certificazione arginale e la valutazione della pericolosità di collasso delle
opere idrauliche
L’attuale assetto organizzativo del monitoraggio dello stato di conservazione delle opere
idrauliche di II categoria in Provincia di Firenze è essenzialmente derivato dall’impianto normativo
del RD 2669/1937 che individua un sistema di controlli periodici delle opere idrauliche. Il reticolo
viene suddiviso in tronchi di guardia ciascuno affidato ad un ufficiale idraulico, che ha il compito di
95
controllare con cadenza settimanale lo stato di manutenzione delle arginature, verificando eventuali
situazioni in atto che possono ledere la stabilità arginale. Si tratta pertanto di un sistema di
valutazione della pericolosità di collasso basato sull’osservazione diretta di tipo euristico. Nel corso
del progetto “Plantario” ci si è chiesti come si potesse migliorare questo sistema di monitoraggio. In
sostanza sono stati individuati due tipologie di trattazione del resto comune a molte analisi di
pericolosità naturali: il criterio euristico e il criterio deterministico.
Criterio deterministico
La determinazione della pericolosità di collasso arginale può avvenire prendendo in
considerazione i meccanismi di collasso relativi a tracimazione, sifonamento e franamento che sono
quelli che tipicamente interessano gli argini fluviali o le dighe. L’analisi del meccanismo di
tracimazione risulta ai fini del presente studio poco significativa, in quanto la stragrande
maggioranza delle arginature è costituita da argini in terra e pertanto per definizione non costruiti
per essere tracimati. Ovviamente anche le strutture in terra in relazione all’”idraulica” incidente ed
alle loro caratteristiche costruttive danno luogo a comportamenti molto diversificati che influiscono
in modo sostanziale sulla portata effluente. Questo tipo di analisi richiedono un approfondito lavoro
di indagine geognostica e di modellazione dell’evoluzione della “breccia” nel corpo arginale che è
sostanzialmente quello comunemente seguito nell’analisi dei fenomeni di DAMBREAK, eseguibile
soltanto a livello locale e che non rientra nella presente trattazione. Il sormonto arginale ha altresì
una rilevanza molto alta laddove si vadano a fare considerazioni eminentemente di pericolosità
idraulica (argomento trattato a livello ricognitivo nel Capitolo 6.3) che tuttavia non sono
direttamente connesse con la pericolosità legata al comportamento meccanico delle arginature e al
loro stato di manutenzione, ma sono piuttosto riconducibili al fatto che quest’ultime sono realizzate
sotto quota in relazione ad eventi dotati di un determinato tempo di ritorno.
L’attenzione è stata pertanto dedicata alla valutazione della pericolosità per i meccanismi di
sifonamento e franamento.
Nel paragrafo 6.3 viene fornita una disamina di un esempio di applicazione sviluppato in
Comune di Figline Valdarno lungo l’argine sinistro dell’Arno in località Restone. A valle di una
elementare caratterizzazione dal punto di vista geometrico e geotecnico, diretta a creare le
condizioni al contorno per il modello adottato (modello agli elementi finiti), è possibile applicare
modelli deterministici con risultati apprezzabili in termini di attribuzione di pericolosità di collasso.
Ipotizzare tuttavia di perseguire questo tipo di trattazione per tutte le arginature classificate in II
categoria ai sensi del RD 523/04 e proseguendo anche in quelle di III presenta criticità in senso
attuativo dal punto di vista dei costi/benefici in relazione a tempi e costi di caratterizzazione
geotecnica dei siti. Fra l’altro alcune esperienze dirette svolte dalla Direzione Difesa del Suolo e
Protezione Civile della Provincia di Firenze in alcuni siti lungo il fiume Bisenzio e il Fiume
Vingone hanno evidenziato come sia complicato a partire da alcune prove generalizzare lungo
96
l’estensione di argini che possono raggiungere lunghezze chilometriche, perché le caratteristiche
geotecniche variano localmente anche lungo la stessa verticale di indagine.
Criterio euristico
In alternativa al criterio deterministico precedentemente esposto può essere utilizzato un criterio
euristico, basato sulla assegnazione di un certo livello di pericolosità imperniato su un giudizio
esperto. Si tratta sostanzialmente di valutazioni che riguardano principalmente lo stato di
manutenzione delle arginature, comprensivo di eventuale innesco di fenomeni di lesione o
deformazione. È in sostanza l’approccio più semplice, quello su cui è imperniato l’attuale sistema di
gestione delle opere idrauliche ed è anche quello che ha ispirato il progetto Plantario e questo
documento che ne è conseguito. Importante in questa tipologia di trattazione è come si operi nel
monitoraggio delle arginature. In precedenza si è anche illustrato quali siano le tecnologie
attualmente disponibili sostanzialmente riferibili a tecniche di telerilevamento (aereo e satellitare) e
tecniche di monitoraggio a terra sia mediante laser scanner che con tecnologie tradizionali come il
GPS. L’esperienza sviluppata nel corso del progetto Plantario ha portato a concludere che pur in
ottica di cercare progressivamente di automatizzare le procedure di rilievo, andando a privilegiare le
nuove tecnologie, le opere presenti in Provincia di Firenze per caratteristiche dimensionali e stato di
manutenzione non possono, al presente, essere completamente e compiutamente rilevate mediante
tecnologie di telerilevamento da aereo o satellite. Essenzialmente per le seguenti ragioni:
a) Le immagini telerilevate non riescono a determinare la tipologia costruttiva di una
arginatura;
b) Conoscendo a priori la tipologia di argine oggetto di monitoraggio, i limiti di risoluzione
planimetrica di un dato telerilevato (da 1 m fino a 50 cm in pianta), possono essere dello
stesso ordine di grandezza di una lesione grave di un’arginatura, di fatto vanificando la
possibilità di predisporre un monitoraggio affidabile. Inoltre la accuratezza del rilievo può
essere fortemente influenzata dalla sua epoca in relazione alla programmazione di tagli e
sfalci vegetazionali;
c) Il telerilevamento non può assolutamente risolvere le criticità puntuali come lesioni su opere
idrauliche tipo cateratte e portelle (le principali discontinuità rispetto allo sviluppo
longitudinale al fiume delle arginature); inoltre non può essere di aiuto per individuare la
presenza di tane di roditori talvolta non visibili neanche ad un operatore esperto in seguito
ad un esame a terra.
I dati telerilevati da aereo o satellite possono essere utilizzati proficuamente per restituire da un
dato puntuale un dato distribuito sul territorio e per la valutazione delle deformazioni arginali che
possono avvenire su larga scala, in conseguenza di cedimenti differenziali dovuti a fenomeni come
la subsidenza, altresì non risolvibile con la osservazione diretta. Ovviamente progresso tecnologico
e ottimizzazione di scala dei costi di rilievo necessariamente devono portare ad una progressiva
integrazione delle procedure, in tal modo semplificando il lavoro a terra e superando quindi l’attuale
97
schema imposto dal RD del 1937 basato sulla suddivisone in tronchi e sulla conseguente
assegnazione di personale.
Sulla scorta di queste considerazioni si è pertanto deciso di mettere a punto un sistema per la
classificazione della pericolosità di collasso basato sul rilievo topografico svolto mediante tecniche
tradizionali in gran parte incentrate sull’acquisizione mediante stazione GPS in modalità RTK e
monitoraggio a terra dello stato di conservazione delle opere attribuito mediante un giudizio
esperto. L’esperienza ha altresì suggerito che la determinazione “a tappeto” della caratteristiche
geotecniche di una arginatura può essere veramente un lavoro lungo in termini di tempo, costoso e
difficilmente esaustivo delle possibili criticità, in quanto spesso i punti di debolezza si presentano su
delle singolarità intrinseche delle opere molto difficili da risolvere anche in conseguenza di una
densa ed accurata campagna di indagini geognostiche. A titolo esemplificativo viene riportata una
immagine che raffigura l’inizio del collasso dell’argine del Serchio del 25 Dicembre del 2009 che
portò all’allagamento di un’area di 13,5 km2. Da questa si può chiaramente evincere la limitatezza
della zona in cui si è generato il fontanazzo che poi ha provocato il collasso per sifonamento
dell‘arginatura.
Figura 156 – Fase iniziale e terminale della rottura dell’argine di Nodica (Pisa) 25 Dicembre 2009 Questo ovviamente non significa che le indagini geognostiche non siano utili, vanno a nostro
avviso svolte in modo mirato. Come Provincia abbiamo intrapreso questa strada e sono in corso
alcune analisi su argini del T.Vingone in Comune di Scandicci e sul Fiume Bisenzio in Comune di
Signa che hanno mostrato come le strutture arginali presentino sulle stesse verticali di indagine una
accentuata variabilità interna. Queste analisi, laddove svolte in corrispondenza di situazioni
topografiche critiche o di presenza di una discontinuità nell’opera idraulica emersa in seguito ad
attività di monitoraggio, possono divenire cruciali nel guidare il processo decisionale di analisi della
pericolosità di collasso e conseguentemente decidere di intervenire.
98
Figura 157 – Una delle 8 stazioni di monitoraggio piezometrico (testa dell’argine – piede dell’argine) installate lungo il corso del T. Vingone in Comune di Scandici Si ritiene pertanto che, in prima ipotesi, la determinazione della pericolosità di collasso di una
arginatura possa essere una funzione del risultato delle verifiche periodiche svolte rilevando assetto
geometrico e stato di manutenzione delle opere. Entrambe questi dati devono essere inseriti in un
apposito fascicolo che rappresenta il libretto di manutenzione dell’opera al cui interno vengono
riportati in forma di scheda i risultati delle verifiche periodiche svolte, delle indagini conoscitive
oltre che dei lavori di ripristino. In sostanza questo procedimento consistente nella formazione del
libretto di manutenzione di una arginatura potrebbe essere riassunto nei seguenti tre livelli di
intervento:
a) Livello 1 - Nel livello 1 viene creato il fascicolo dell’argine comprendente la
caratterizzazione morfologica dell’arginatura (lunghezza, pendenza paramenti, presenza di
discontinuità strutturali, tempo di ritorno degli eventi di sormonto) e viene decretata la
periodicità delle ispezioni da svolgersi a piedi che in prima ipotesi non possono essere
inferiori ad 1 ogni due settimane e ogni volta che si verifica una piena. Nel livello 1 si fanno
anche valutazioni sugli eventi di sormonto arginale con riferimento al PAI. Questo livello
conoscitivo è quello corrispondente al Progetto Plantario nella sua interezza.
b) Livello 2 – Nel livello 2 vengono progettate e svolte le indagini di ordine geotecnico,
effettuate le verifiche al franamento e al sifonamento con i modelli classici della geotecnica.
In questo modo è possibile stabilire la necessità di interventi strutturali. Questo livello
conoscitivo è quello corrispondente a quanto svolto sull’argine di Restone in Comune di
Figline Valdarno, di cui al prossimo paragrafo. Nel caso di arginature realizzate in muri o in
strutture miste le verifiche dovranno essere dirette a valutare la stabilità strutturale di tali
manufatti.
c) È il livello degli interventi, quello per intendersi in cui passata la fase conoscitiva ed
acclarata la loro necessità si procede con la progettazione ed il finanziamento degli
interventi di ripristino.
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Assenza criticità
Livello 1
Analisi topografiche
e dello stato di consistenza
e manutenzione dell’opera
Valutazioni euristiche
Pericolosità Bassa
Analisi
Presenza criticità
Pericolosità Media
Assenza criticità
Pericolosità Media
Livello 2
Verifiche di stabilità (sifonamento
Franamento, collasso arginale)
Modelli numerici/deterministici
Manutenzione
ordinaria
Analisi
Presenza criticità
Pericolosità Alta
Esito positivo
Pericolosità Bassa
Livello 3
Interventi di sistemazione
Manutenzione straordinaria
e monitoraggio
Monitoraggio
Esito negativo
Pericolosità Alta
Figura 158 – Diagramma di flusso illustrante i progressivi livelli di determinazione della pericolosità di collasso nel percorso di certificazione arginale Uno schema semplificato per la valutazione della pericolosità potrebbe essere quello qui di
seguito riportato e basato sull’applicazione di una funzione logica che gerarchizzi per successivi
gradi di pericolosità i livelli di indagine precedentemente delineati.
Tabella 1 – Schema di determinazione di livelli di pericolosità di collasso arginale
Livello
analisi
Livello 1
Descrizione
Presenza
criticità
Analisi topografiche e dello NO
stato di consistenza e
manutenzione dell’opera
SI
Livello 2
Analisi di dettaglio sui NO
paramenti con verifiche a
sifonamento e franamento
per gli argini in terra e
ribaltamento
e
rottura
strutturale per gli argini in SI
muratura
Livello 3
Esecuzione interventi di NO
manutenzione straordinaria
e monitoraggio
Pericolosità
Pericolosità 1
Descrizione
pericolosità
Bassa
Pericolosità 2 e rinvio al Media
Livello 2
Pericolosità 2 ed esecuzione Media
di interventi di manutenzione
ordinaria con mantenimento
dello stato di pericolosità fino
al termine di quest’ultimi
Pericolosità 3 e rinvio al Alta
Livello 3
Mantenimento Pericolosità 3 Alta
fino alla esecuzione degli
interventi di manutenzione
straordinaria
100
Sulla base delle precedenti considerazioni si ritiene opportuno proporre una scheda tipo per il
rilievo di quanto previsto dal livello 1 e per la formazione del fascicolo, il “libretto di
manutenzione” dell’argine. In relazione alle tipologie di arginatura rilevate nel tratto interessato
(argine in terra, argine in muratura) sono state messe a punto due proposte di schede tipo,
ulteriormente implementabili, ma ritenute sufficienti a descrivere la maggior parte delle criticità
riscontrate.
Le schede sono da intendersi come schede evento, quindi da riempire ogniqualvolta viene
eseguito un rilievo. Esse sono state concepite per essere direttamente interfacciabili con il database
del Progetto Plantario. Lo sviluppo di tale funzionalità dovrà essere pensato in ottica di storicizzare
i rilievi direttamente sulla stessa base informativa geografica.
101
SCHEDA PER IL MONITORAGGIO DELLE ARGINATURE IN TERRA
Data rilievo: Comune: Località: DATI GENERALI Responsabile Rilievo Tipologia rilievo: Ordinario Straordinario Tronco di Guardia: Tipologia dissesto 1. 2. ….. Altri soggetti presenti al rilievo Codice identificativo argine CTR N. DATI DESCRITTIVI Presenza frane SI NO Coordinata UTM E (GB) 1. 2. ….. Coordinata UTM O (GB) 1. 2. ….. DIMENSIONI Frana area (mq) volume (mc) profondità max (m) larghezza (m) lunghezza (m) Dislivello (m) 1. 1. 1. 1. 1. 1. 1. 2. 2. 2. 2. 2. 2. 2. ….. ….. ….. ….. ….. ….. ….. Presenza Tane di animali SI NO Eventuali lesioni opere di rivestimento SI NO Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) (m) 1. 1. 1. 1. 1. 2. 2. 2. 2. 2. ….. …… …… …… ….. Presenza Opere abusive SI NO Tipologia opera Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) 1. 1. 1. 2. 2. 2. ….. ….. ….. Presenza lesioni lungo il coronamento SI NO Indizi sifonamento/fontanazzi SI NO Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM E (GB) 1. 1. 1. 1. 2. 2. 2. 2. ….. ….. ….. ….. Vegetazione Ottimo stato di gestione Medio stato di gestione Scadente Stato di gestione necessità intervento di sfalcio necessità intervento di taglio Note conclusive Firma Figura 159 ‐ Scheda rilevamento argine in terra 102
SCHEDA PER IL MONITORAGGIO DELLE ARGINATURE IN MURATURA
Data rilievo: Comune: Località: Tipologia dissesto 1. 2. ….. Dissesti: 1 2. ….. DATI GENERALI Tipologia rilievo: Ordinario Straordinario Tronco di Guardia: Responsabile Rilievo lunghezza (m) 1 2. ….. Altri soggetti presenti al rilievo Codice identificativo argine CTR N. DATI DESCRITTIVI Lesioni globali del manufatto SI NO Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) 1. 1. 2. 2. ….. ….. DIMENSIONI Gravità lesione: Interessamento Fondazioni 1 Totale Media Lieve 1 SI NO 2. SI NO 2. Totale Media Lieve ….. SI NO ….. Totale Media Lieve Lesioni ai costituenti il manufatto (calcestruzzo, bozze di pietra, mattoni, gabbionate…) SI NO Tipologia materiale (m) Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) 1. 1. 1. 2. 2. 2. ….. ….. ….. Presenza Opere abusive SI NO Tipologia opera Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) 1. 1. 1. 2. 2. 2. ….. ….. ….. Presenza lesioni lungo il coronamento SI NO Indizi sifonamento/fontanazzi SI NO Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM O (GB) Coordinata UTM E (GB) Coordinata UTM E (GB)
1. 1. 1. 1. 2. 2. 2. 2. ….. ….. ….. ….. Vegetazione Lesione Connessioni con sponde e argini in terra Assente Presente Assente Presente Descrizione Descrizione Note conclusive Firma Figura 160 ‐ Scheda rilevamento argine in muratura 103
Applicazione dei dati al rischio idraulico
Come accennato uno dei by-product del progetto Plantario è stata la ricostruzione in modo
quantitativo del profilo della sommità arginale, o in alternativa quello della sponda naturale fluviale.
Questo dato ha consentito di effettuare, praticamente in automatico, un’analisi quantitativa in
termine di gestione arginale, in quanto è stato possibile, disponendo dei livelli idrici associati ad
eventi di piena con tempo di ritorno assegnato (30, 100, 200, 500 anni) ed estratti dal PAI
dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno (modello SIMI), individuare i tratti di sponda o di argine
fluviale sottoposti a sormonto. I risultati, abbastanza intellegibili dal punto di vista grafico, vengono
riportati nelle seguenti figure (Figura 161, Figura 162, Figura 163, Figura 164). In questa fase
l’analisi è stata limitata al Fiume Arno, ma con l’affinarsi della modellistica e degli scenari da
considerare con particolare riferimento ai tratti di rigurgito può essere estesa anche agli affluenti. Si
tratta pertanto di una indagine che ha un esclusivo carattere ricognitivo, ma che evidenzia le
potenzialità dello strumento che è stato predisposto
Figura 161 – Tratti sottoposti a sormonto per eventi con T = 30 anni 104
Figura 162 – Tratti sottoposti a sormonto per eventi con T = 100 anni 105
Figura 163 – Tratti sottoposti a sormonto per eventi con T = 200 anni 106
Figura 164 – Tratti sottoposti a sormonto per eventi con T = 500 anni Applicazione dei dati allo studio della stabilità arginale
Attualmente tutti i piani di emergenza e le simulazioni numeriche relativi al rischio di esondazione
dell’Arno sono basati sul presupposto che gli argini mantengano pienamente la loro integrità e la
loro funzionalità in qualsiasi condizione (AdB Arno, 2002). È invece ampiamente documentato che
le difese arginali possono cedere a seguito di diversi meccanismi come la tracimazione, lo
sfiancamento, la corrosione o la presenza di fontanazzi (Marzolo, 1989; U.S.G.S., 2008).
In aggiunta, le conseguenze più disastrose delle alluvioni in generale si verificano proprio quando le
opere di difesa cedono in seguito ad uno dei succitati fenomeni (esempio Uragano Katrina,
Lucchesia 2009-2010).
Conseguentemente, per un’attenta ed efficace trattazione del rischio idraulico è opportuno prendere
adeguatamente in esame la stabilità degli argini, a sua volta possibile solo a seguito di un’opportuna
caratterizzazione geometrica e geotecnica degli stessi e di un’efficace modellazione numerica del
loro comportamento in scenari di rischio.
Il quadro conoscitivo acquisito con la realizzazione del Plantario ha permesso di effettuare uno
studio di stabilità degli argini in un’area pilota del Valdarno Superiore. Per tale analisi è stato preso
in considerazione un rilevato arginale in terra, ubicato in sponda sinistra del fiume Arno nel
Comune di Figline V.no. Il tratto interessato è compreso tra il ponte del Matassino e il confine con
la Provincia di Arezzo, per una lunghezza complessiva di 5,5 km.
Lo scopo dell’analisi portata a termine è quello di proporre una metodologia per una migliore e più
realistica valutazione del rischio idraulico (esondazioni dell’Arno) in seguito al verificarsi di
particolari scenari critici, valutando in modo deterministico la stabilità degli argini fluviali
107
Figura 165 ‐ Area di indagine (Google) Caratterizzazione Geotecnica degli argini
Una corretta modellazione del comportamento degli argini in seguito ad un evento di piena non può
prescindere da una dettagliata conoscenza delle proprietà meccaniche dei materiali coinvolti.
Dal momento che non è stato possibile reperire alcuna informazione sulle caratteristiche dei terreni
utilizzati per la realizzazione dei rilevati arginali nell’area d’indagine, per determinarne le principali
proprietà geotecniche sono state effettuate prove in laboratorio (analisi granulometriche e
determinazione dei rapporti tra le fasi e dei limiti di Atterberg) e prove in situ (Borehole Shear Test,
misure tensiometriche ed Amoozemeter test).
Le norme geotecniche (DM LL PP 11-3-1988 e NTC’08) e quelle sulle dighe in materiali sciolti
(DM LLPP 24-3-1982) prevedono per la costruzione di rilevati arginali l’utilizzo di materiali
diversi disposti secondo opportune geometrie (AAVV, 2003). L’argine è stato costruito sicuramente
in un periodo anteriore a tali disposizioni ed è stato, in prima battuta, ritenuto eterogeneo ed
anisotropo. Il prelievo di campioni per le analisi di laboratorio e le indagini in situ (comunque
effettuate arrecando il minor disturbo possibile alla struttura e senza comprometterne la
108
funzionalità) hanno interessato di conseguenza vari tratti arginali, diverse profondità e diversi punti
della sezione arginale, in modo da poter adeguatamente documentare l’eventuale eterogeneità del
corpo d’argine.
Figura 166 ‐ Indagini geologiche in situ a
b
Figura 167 ‐ Localizzazione delle prove geotecniche (a, b) 109
Analisi di laboratorio
Analisi granulometrica
L’analisi granulometrica è stata effettuata su campioni estratti a una profondità variabile tra gli
0,3 m e gli 0,7 m dalla sommità dell’argine. La procedura utilizzata è costituita dalla vagliatura per
mezzo di una serie di setacci sovrapposti e di apertura progressivamente decrescente in modo tale
da separare i granuli di dimensioni diverse. La preparazione dei campioni è avvenuta per via umida
(lavaggio dei materiali sotto un getto continuo di acqua). Visto che in tutti e tre i casi più della metà
del campione è risultato composto da granulometrie di diametro inferiore a 0,075 mm, la
distribuzione granulometrica di tale frazione è stata determinata mediante il metodo del densimetro,
un metodo indiretto basato sui tempi di sedimentazione delle particelle in acqua distillata (Raviolo,
1993).
La quantificazione delle varie frazioni granulometriche definite con l’uso combinato di questi
metodi è servita per costruire la curva granulometrica e per classificare i terreni mediante l’utilizzo
di un diagramma triangolare.
Nonostante le tre analisi siano state effettuate in punti diversi, la composizione granulometrica è
estremamente simile in tutti e tre i campioni (classificabili come “sabbie con limo”). Da ciò si può
quindi desumere con buona approssimazione che gli argini nella zona di Figline in sponda sinistra
siano costituiti da materiale omogeneo e non eterogeneo come inizialmente supposto.
Mediamente, con riferimento alle classi granulometriche definite dalla AGI (Associazione
Geotecnica Italiana), risulta che la percentuale di ghiaia (GF) è dell’1,2%, quella di sabbia (SF) è
del 52%, quella di limo (MF) è del 44%, quella di argilla (CF) è del 2,9%. Dalle curve
granulometriche sono stati desunti anche i coefficienti di uniformità (U) (Fabbri et al., 2007),
anch’essi molto simili e approssimabili alla loro media, pari a 9,2.
Figura 168‐ Esecuzione del foro e campionamento di terreno in argine. 110
Figura 169 ‐ Risultati delle prove granulometriche ottenute tramite prove di setacciatura e di sedimentazione. I diversi colori contraddistinguono i diversi campioni analizzati. Analisi dei rapporti tra le fasi e limiti di Atterberg
Attraverso la raccolta di tre ulteriori campioni indisturbati è stato possibile approfondire la
caratterizzazione geotecnica del materiale che costituisce l’argine mediante apposite analisi di
laboratorio.
Il campionamento è avvenuto ad una profondità di circa 0,5 m all’interno del corpo arginale
attraverso l’utilizzo di fustelle metalliche cilindriche. Ancora una volta i risultati delle analisi
effettuate sui vari campioni hanno dato risultati molto simili che inducono a considerare il materiale
costituente l’argine come sostanzialmente omogeneo. Il peso di volume totale () medio risulta di
13,17 g/cm3, il peso di volume del terreno secco (d) è mediamente di 12,33 g/cm3, mentre il peso di
volume del terreno saturo (sat) è pari a 17,53 g/cm3 . Assegnando al peso specifico dei grani (Gs) il
valore di 2,67, tipico dei sedimenti sabbiosi (Lancellotta, 1993), sono stati calcolati anche l’indice
dei vuoti (e0 = 1,13) e la porosità (n = 52,9%). Per ognuno dei tre campioni sono stati determinati
tramite le apposite procedure anche i limiti di Atterberg; attraverso quest’ultimi sono stati definiti
gli indici di liquidità, di plasticità e di consistenza. Come si può osservare, i tre campioni hanno dei
valori estremamente simili e secondo la classificazione ufficiale dell’USCS rientrano nella categoria
CL (argille inorganiche a bassa plasticità).
111
Figura 170‐ Classificazione in base ai limiti di Atterberg. I diversi colori contraddistinguono i diversi campioni analizzati. Analisi in situ
Borehole shear test
Il Borehole Shear Test (o BST), è uno strumento che misura in situ i parametri di resistenza al
taglio del terreno (Figura 170, Figura 169). L’impiego di questo strumento è stato preferito rispetto
alle tradizionali prove di taglio in laboratorio effettuate su campioni prelevati in campagna per i
seguenti motivi:
- maggiore velocità della prova;
- possibilità di analizzare un volume maggiore di terreno a profondità diverse;
- possibilità di definire le proprietà meccaniche del terreno con le condizioni al contorno reali
esistenti in situ, evitando il disturbo provocato dal campionamento;
- misurazione separata della coesione e dell’angolo di attrito interno (Thorne et al., 1981;
Lutenegger & Halberg, 1981);
- valutazione immediata dei risultati con possibilità di ripetere la prova in caso di dati non
ragionevoli (Thorne et al., 1981; Lutenegger & Halberg, 1981).
112
Figura 171‐ Congegno d’estrazione e pompa d’aria in campagna. Figura 172‐ Schema dell’apparecchiatura BST (Thorne et al., 1981, mod.) La prova BST consiste nell’inserire la testa di taglio dello strumento all’interno di un piccolo
foro appositamente praticato nel terreno. Tramite una pompa manuale si applica una pressione che
lo strumento trasferisce ai lati del foro. Dopo aver atteso che il terreno circostante il foro si
consolidi sotto la pressione esercitata (nel presente caso di studio 10 minuti sono stati più che
sufficienti), si porta a rottura il terreno manovrando un’apposita manovella. Una volta avvenuta la
113
rottura la pressione normale viene ulteriormente aumentata e si ripetono le operazioni sopra
descritte (aumento della pressione, attesa della consolidazione, rottura del terreno). Ad ogni ciclo
vengono annotati i valori delle coppie σ-τ (pressione normale-resistenza al taglio) che, riportate in
un grafico, definiscono l’inviluppo a rottura di Mohr-Coulomb. I valori dei parametri di resistenza
al taglio sono stati definiti interpretando le prove secondo il criterio di Fredlund (1986), che per i
terreni sottosaturi prende in considerazione anche le forze di suzione matriciale. Per poter
correttamente definire il valore di quest’ultime è stato necessario impiegare un’apposita
strumentazione, il cui utilizzo è dettagliato di seguito.
Misure tensiometriche
Il tensiometro (Figura 171) è lo strumento usato per misurare direttamente la pressione
interstiziale del terreno. Poiché la suzione è data dalla differenza tra pressione atmosferica, che per
convenzione viene assunta pari a zero, e pressione interstiziale misurata, in pratica il lettore di tale
strumento visualizza direttamente i valori di suzione. Ogni prova con il Borehole Shear Test è stata
affiancata da una misura di suzione effettuata con un tensiometro a tazza porosa collegato tramite
un trasduttore di pressione ad un lettore che consente di determinare i valori di pressione (Anderson
& Kneale, 1987).
Figura 173‐ Tensiometro e schema dell'apparecchiatura. (Dapporto et al., 2000) È da notare che oltre una tensione di 900 hPa lo strumento entra in cavitazione: l’acqua
raggiunge una pressione vicina al valore della pressione di vapore a temperatura ambiente e le
molecole d’aria entrano all’interno della tazza porosa, pregiudicando il corretto funzionamento
dello strumento.
Ogni prova tensiometrica è stata effettuata contemporaneamente, nelle immediate vicinanze e
alla medesima profondità della prova BST cui è associata. Le misure effettuate, il cui tempo di
risposta è oscillato tra i 60 e gli 80 minuti, sono influenzate da lievi effetti di cavitazione a causa
114
delle condizioni estremamente asciutte del terreno esaminato (le misure sono state effettuate nel
settembre 2007, in un periodo particolarmente siccitoso). La tensione finale nelle tre prove ha
raggiunto un valore medio di 841 hPa, molto prossima al limite di malfunzionamento pari a 900
hPa.
Combinazione misure BST– misure tensiometriche
Per quanto riguarda la misura dei parametri di resistenza al taglio le prove BST hanno fornito
subito una serie di valori attendibili di coppie σ-τ, le cui rette di regressione lineare hanno
individuato l’inviluppo a rottura del materiale. La pendenza di tali rette è pari all’angolo di attrito
(φ’) del terreno, mentre l’intercetta con le ordinate fornisce il valore della coesione apparente (ca).
Dal momento che il valore della coesione apparente è risultato prossimo a zero e visto che la
coesione efficace per un terreno granulare è essenzialmente nulla, il valore di suzione misurato con
il tensiometro (estremamente elevato) è stato giudicato inattendibile a causa degli effetti di
cavitazione. Pertanto tale valore è stato trascurato e non è stato possibile ricavare il valore
dell’incremento della resistenza al taglio in funzione della suzione di matrice (φb). In conclusione,
la coesione misurata è stata considerata corrispondente alla coesione efficace e dunque i parametri
medi risultanti dalle prove BST sono i seguenti: angolo di attrito φ’ = 38,9°; coesione apparente
ca=0 kPa
Amoozemeter test
L'Amoozemeter è un permeametro compatto a carico costante, strumento che consente di
effettuare misure in situ di conducibilità idraulica satura (Ksat) ad una determinata profondità dal
piano di campagna. La prova può essere sinteticamente descritta come la misurazione del flusso di
acqua che lo strumento fornisce al terreno per mantenere costante il carico di acqua in un piccolo
foro appositamente praticato. Per una situazione ideale (materiale omogeneo ed isotropo non
soggetto a cambiamento delle caratteristiche con il tempo), la velocità di flusso nella zona insatura
sotto un carico costante decresce gradualmente con il tempo fino ad arrivare ad un valore costante
chiamato velocità di flusso stazionario. Da quest’ultimo valore, per mezzo dell’equazione di
Glover, si ricava il valore di permeabilità satura Ksat. La misura che si ottiene è una combinazione
della conducibilità verticale ed orizzontale della superficie bagnata del foro.
Le misure di conducibilità idraulica satura sono state effettuate nei pressi dei tre siti interessati
dalle indagini precedentemente descritte. Due delle tre prove, effettuate a una distanza di circa 1 km
tra loro in prossimità della testa interna, hanno fornito dei risultati molto simili tra loro. La terza
prova, effettuata sulla testa esterna dell’argine, ha dato un risultato leggermente diverso, che può
essere imputato alla presenza nel corpo arginale di alcuni alberi. Visto che durante l'esecuzione del
foro sono stati trovati nel terreno estratto alcuni frammenti di radici, essa è stata considerata
scarsamente attendibile e scartata. Il valore medio di permeabilità satura ottenuto è pari a 8,17*10-6
m3/s.
115
Figura 174‐ Due fasi della prova con Amoozemeter in campagna: installazione dello strumento nel foro (sinistra) e lettura dei valori sulla scala graduata (destra). Sintesi dei risultati
Ogni parametro geotecnico è stato definito in corrispondenza di tre punti diversi dell’argine
(differenti profondità e differente posizione nel profilo trasversale e longitudinale) mediante prove
eseguite direttamente in situ oppure effettuate in laboratorio su campioni prelevati dal rilevato
arginale.
Ogni parametro ha mostrato una scarsa variabilità spaziale, tanto da indurre a considerare
l’argine come un copro omogeneo. Pertanto, i valori ottenuti nelle tre ripetizioni di ogni prova sono
stati mediati: tale valore medio può essere considerato rappresentativo di tutto l’argine. Considerare
il copro arginale omogeneo è sicuramente un’approssimazione (anche se pienamente giustificata
dall’omogeneità dei risultati delle varie prove), ma è comunque un primo passo verso una corretta
caratterizzazione geotecnica dello stesso, visto che ad oggi si è persa ogni informazione sulle
modalità costruttive adottate e sui materiali impiegati per la realizzazione di opere così datate.
Peso di volume
totale
(kN/m3)
Peso di volume del
terreno secco
3
d (kN/m )
Peso di volume del
terreno saturo
3
sat (kN/m )
Conducibilità
idraulica satura
ks (m/s)
13,2
12,3
17,53
Limite liquido
Limite plastico
Indice di plasticità
W L (%)
W P (%)
IP (-)
8,17*10
Indice di
consistenza
IC (-)
23,7
Coefficiente di
uniformità
U (-)
14,3
Indice di
compressione
Cc (-)
10
2,1
Contenuto d’acqua
Indice dei vuoti
w (%)
9,2
0,6
6,75
-6
Angolo di resistenza
al taglio efficace
' (°)
Coesione
apparente
ca (kPa)
38,9
0
Indice di
attività
A (-)
Indice di liquidità
IL (-)
Porosità
e (-)
-1,1
Grado di
saturazione
S (%)
3,6
1,13
16,2
52,9
n (%)
Tabella 2- Parametri per la caratterizzazione geotecnica degli argini nel sito pilota
116
Analisi
La modellazione numerica della stabilità dei rilevati arginali in scenari di rischio è stata eseguita
per sei distinte sezioni arginali utilizzando dei software specifici che consentono in prima battuta di
modellare l’evoluzione temporale delle pressioni interstiziali e del flusso idrico sotterraneo
(software SEEP/W; Krahn, 2004a); successivamente gli output di questa modellazione vengono
ulteriormente trattati tramite il software SLOPE/W (Krahn, 2004b), che modella la stabilità
arginale. L’obiettivo dell’analisi è quello di simulare il comportamento del rilevato arginale in
corrispondenza di uno scenario di rischio estremo.
Geometria del problema
Il tratto arginale interessato dalla modellazione è stato suddiviso in tratti distinti in base alla
forma del rilevato (altezza ed ampiezza del coronamento, pendenza dei fianchi). All’interno di ogni
tratto è stata individuata una sezione rappresentativa. Le analisi numeriche si riferiscono a tali
sezioni e saranno estrapolate all’intero tratto arginale rappresentato da ogni sezione campione.
Nelle modellazioni la geometria degli argini è stata definita con elevata accuratezza utilizzando i
dati del rilevamento GPS presenti nel database PLANTARIO.
Per quanto riguarda la sponda, la sua altezza media rispetto all’alveo è stata ricavata attraverso
l’analisi di alcune sezioni idrauliche disponibili per l’area studiata (Agnelli et al., 1998). Da esse è
stato possibile osservare una morfologia sostanzialmente piatta elevata di circa 6 m rispetto al
livello di magra dell’Arno. Questa approssimazione è sostanzialmente confermata dalle indagini di
campagna ed è del tutto accettabile in quanto la morfologia di questa zona non incide
significativamente sulle analisi di stabilità degli argini. Tale valore è stato quindi utilizzato per tutte
le sezioni considerate.
Ogni sezione, dopo essere stata disegnata nei programmi di analisi, è stata suddivisa in migliaia
di elementi quadrilateri di dimensioni simili tra loro. Ognuno di essi rappresenta l’unità minima su
cui vengono eseguite in maniera differenziata le elaborazioni, inoltre i risultati ottenuti in ogni
elemento influenzano quelli degli elementi circostanti.
Proprietà del materiale
Le proprietà geotecniche del materiale costituente l’argine sono presupposte spazialmente
costanti: nonostante tale assunzione rappresenti un’approssimazione, questa scelta operativa è
supportata dai risultati della caratterizzazione geotecnica (che ha messo in evidenza variazioni
minime nei valori dei principali parametri geotecnici). Inoltre questa assunzione permette di
attribuire le differenti risposte delle varie sezioni arginali soltanto alla diversa geometria,
permettendo di definire successivamente un criterio geometrico speditivo per una rapida
valutazione preliminare della stabilità dei vari argini.
Entrambe le modellazioni (componente idrologica e componente di stabilità del rilevato)
necessitano di numerosi dati geotecnici d’ingresso. Per la maggior parte di essi sono stati forniti
117
direttamente i valori medi ottenuti dalle analisi geotecniche (Tabella 2), mentre per alcuni,
particolarmente difficili da ottenere sperimentalmente, sono stati utilizzati dei metodi indiretti. È il
caso della curva caratteristica del terreno e della curva di permeabilità, che mettono rispettivamente
in relazione la variazione della suzione di matrice con la variazione del contenuto volumetrico
d'acqua e della conduttività idraulica. Tali curve sono state definite con appositi algoritmi integrati
nel software SEEP/W a partire dalla curva granulometrica e dai valori di conducibilità idraulica
satura (Tabella 2).
Per quanto riguarda la sponda fluviale i parametri geotecnici sono stati reperiti in letteratura
(Dapporto, 2003): la caratterizzazione geotecnica di questa zona riveste un’importanza marginale in
quanto influenza scarsamente la stabilità degli argini, tanto più che il ciglio di sponda si trova
costantemente a circa 20 metri di distanza dal piede dell’argine e pertanto un’eventuale instabilità
della sponda non influirebbe sulla stabilità arginale.
Condizioni al contorno
Per analizzare la stabilità degli argini è stata effettuata una modellazione di tipo dinamico, in cui
fosse possibile anche osservare l’evoluzione del fenomeno nel tempo.
Le condizioni al contorno sono state considerate ipotizzando una rapida risalita della falda in
occasione di un importante evento di piena che raggiungesse il ciglio dell’argine. In base alla forma
degli idrogrammi di piena registrati in occasione dell’alluvione del 1966 (M.LL.PP., 1951-1973), e
con particolare riferimento alla curva di concentrazione e alla curva di decrescita, nelle simulazioni
numeriche è stato considerato un ipotetico evento di piena con durata complessiva di 50 ore in cui
nelle prime 15 ore viene raggiunta la portata al colmo e nelle restanti 35 viene gradualmente
raggiunto il livello di base. L’evento così articolato è stato suddiviso in 25 intervalli temporali (step)
di due ore ciascuno. Per ogni step temporale una nuova simulazione numerica viene eseguita a
partire dai risultati della precedente. La simulazione è stata svolta in una sezione arginale
rappresentativa, per quote e forma dello sviluppo planimetrico dell’opera idraulica che ha una
estensione di circa 4 km
La superficie freatica all’interno del terreno è stata ricostruita in maniera tale da essere in
equilibrio con il livello del fiume prima dell’inizio dell’evento, mentre la variazione della pressione
dell’acqua nei pori al di sopra della tavola d'acqua è stata ricostruita imponendo un limite massimo
di -9,8kPa, corrispondente ad un carico di -1m (Dapporto, 2003).
Una significativa semplificazione adottata nelle analisi è costituita dall’esclusione dell’effetto
delle precipitazioni, che sono state considerate assenti.
118
Figura 175 ‐ Idrogrammi dell’Arno e degli affluenti relativi all’alluvione del novembre 1966 (http://www.adbarno.it). Modellazione
Dopo aver definito la geometria del problema, i valori dei parametri geotecnici d’ingresso e le
condizioni al contorno, è stato possibile eseguire la modellazione. Per ogni sezione arginale sono
state eseguite venticinque simulazioni distinte (una per ogni time step). In ognuna variano le
condizioni al contorno (che simulano l’evoluzione dell’evento di piena) e le condizioni di partenza
del sistema, che per ogni simulazione coincidono con i risultati ottenuti per lo step temporale
precedente. Attraverso il programma SEEP/W è stato possibile modellare l’evoluzione spaziale e
temporale del flusso d’acqua e delle pressioni interstiziali all’interno dell’argine, in funzione dei
processi di filtrazione determinati dall’evento di piena considerato. Di seguito vengono riportati i
risultati in una sezione tipo interessata dalla simulazione, da cui si può dedurre come la saturazione
delle strutture arginali indotta da parte del passaggio dell’onda di piena sia abbastanza irrilevante se
valutato nei confronti dello sviluppo planimetrico dell’arginatura, di fatto non configurando la
possibilità di innesco di fenomeni di sifonamento.
L’output del SEEP/W oltre che a consentire di effettuare valutazioni sui processi di sifonamento,
costituisce un dato d’ingresso fondamentale per valutare la stabilità dell’argine, che è stato
considerato separatamente per ogni time step tramite il software SLOPE/W.
Quest’ultimo calcola il valore del fattore di sicurezza per tutte le superfici di scivolamento
ritenute teoricamente possibili (nel nostro caso circa 26.000 superfici) in base alle impostazioni
geometriche di partenza. Il fattore di sicurezza, abbreviato anche con la sigla FS, è definito come il
fattore che deve essere applicato alla resistenza al taglio del terreno per portare la massa del terreno
stesso all'equilibrio limite lungo la superficie di scivolamento scelta: se FS>1 il pendio è stabile, se
FS<1 il pendio è instabile, se FS=1 il pendio è in condizioni di equilibrio limite).
Per il calcolo del FS il software utilizza il metodo dell'equilibrio limite di Morgestern-Price,
adottando il criterio di rottura di MOHR-COULOMB (in termini di sforzi efficaci) in condizioni
sature, oppure quello di FREDLUND et al. (1978) in condizioni sottosature.
119
Nelle simulazioni effettuate per ogni time step il programma visualizza la superficie di
scivolamento contraddistinta dal FS minore.
Figura 176 – In figura vengono riportati due livelli: A) andamento della superficie nel punto di massima penetrazione della superficie piezometrica all’interno dell’arginatura; B) andamento della superficie al raggiungimento della portata al colmo. A si trova in un time step successivo a B e conseguentemente si evidenzia come il modello interpreti a nostro avviso correttamente il ritardo della ingressione del cuneo di saturazione nella arginatura rispetto a l passaggio del colmo dell’onda di piena. Questa annotazione assume particolare rilevanza se raffrontata a casi di collasso per sifonamento originati in conseguenza del passaggio repentino di due colmi di piena (come nel caso del Serchio Dicembre 2009), per il secondo colmo di piena si trova turo in conseguenza del primo passaggio. Risultati della modellazione
L’evoluzione temporale del fattore di sicurezza presenta alcune caratteristiche in comune tra le
varie sezioni campione. In ognuna di esse FS rimane costante finché l’acqua dell’Arno non invade
la zona golenale e lambisce il piede interno dell’argine. Nei time step successivi il valore del fattore
di sicurezza aumenta progressivamente per l’effetto stabilizzante della pressione di confinamento
esercitata sul petto dell'argine dall'acqua che sale di livello. In tutti i casi analizzati, il valore del
fattore di sicurezza più alto (massima stabilità) viene raggiunto in corrispondenza della quota
massima raggiunta dal livello dell'acqua. Durante la fase di discesa del livello di piena il fattore
sicurezza diminuisce e raggiunge i valori minimi. In quest’ultima fase il comportamento delle varie
sezioni si differenzia, in quanto il fattore sicurezza mantiene un valore maggiore di uno (condizione
di stabilità) solo in due sezioni su sei. Nelle restanti quattro sezioni, il fattore di sicurezza assume
valori negativi (condizione di instabilità) in almeno un time step ed in generale il valore minimo
viene riscontrato quando il livello dell'acqua si abbassa sino al piede dell'argine o quando addirittura
nel time step successivo la piena si è ritirata e non lambisce più l’argine. In tutti e quattro i casi di
instabilità la rottura avviene per scivolamento rotazionale nella parte basale del fianco interno
dell'argine.
120
Fattore di sicurezza Evoluzione temporale del fattore di sicurezza (Es sezione 5)
tempo (time step)
Figura 177 ‐ Esempio del fattore di sicurezza in funzione del tempo. Quando la curva scende al sotto di 1 si ha instabilità.
Di seguito vengono mostrati i risultati ottenuti con i due programmi nel “time step” in cui il
fattore di sicurezza in una data sezione raggiunge il valore minore.
Figura 178 ‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). Figura 179 ‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). 121
Figura 180 ‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). Figura 181‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). Figura 182 ‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). 122
Figura 183‐ Risultati della modellazione con il software SEEP (sinistra), dove si può notare l'andamento delle pressioni interstiziali da valori maggiori (colore verde ‐ blu) a minori (colore rosso) e il software SLOPE (destra). Discussione dei risultati
Per quanto attiene il processo di filtrazione all’interno del corpo diga in conseguenza di una
saturazione dell’arginatura indotta da un evento tipo ’66 non sono stati evidenziati elementi di
particolare criticità. La superficie di saturazione rimane abbastanza distante dal paramento di valle
dell’argine.
Per quanto attiene le analisi di stabilità nei confronti del fenomeno del franamento si evidenzia
che gli scivolamenti riscontrati non hanno dimensioni estese ed avvengono quando il colmo di piena
si è già ritirato. Tuttavia questo risultato, ottenuto mediante un’indagine semplificata da considerarsi
puramente esplorativa, serve a porre le giuste domande sulla presunta e mai verificata stabilità delle
difese idrauliche in ogni scenario di rischio e pone la necessità di affrontare il problema mediante
una trattazione più completa. Nel caso di ulteriori e più approfondite indagini, dovrebbero inoltre
venire inseriti correttamente nella modellazione una serie di fattori che nella presente analisi non
sono stati tenuti in considerazione, ma che nella realtà sposterebbero i risultati ancor di più verso
l’instabilità:
- le piccole superfici di rottura visualizzate sono soltanto quelle caratterizzate dal FS minore,
mentre in teoria tutte quelle associate a valori minori dell’unità si destabilizzerebbero (di
conseguenza la porzione instabile può risultare anche più estesa, anche se confinata nella
sponda in quanto si è verificato che le superfici che interessano l’intera altezza del rilevato
presentano fattori di sicurezza superiori all’unità);
-
la modellazione eseguita non tiene in considerazione gli effetti destabilizzanti che uno
scivolamento potrebbe avere nel resto del corpo arginale durante lo stesso intervallo
temporale ed in quelli successivi;
-
nell’analisi è stato ignorato l’effetto della pioggia.
123
6.
Conclusioni (Leonardo Ermini)
Il Progetto Plantario della Aste fluviali in Provincia di Firenze è un catasto fiumi organizzato in
un sistema informativo territoriale al servizio delle funzioni in materia di idraulica delegate dalla
L.R. 91/98. Le attività concettualmente ereditano una lunga tradizione a partire da quanto promosso
fin dal XVI secolo dai Capitani di Parte Guelfa nella conoscenza dei fiumi, tramite il corpo tecnico
degli Ufficiali della Acque.
Il progetto “Plantario” è stato portato avanti mediante rilievo diretto di campagna di circa 107
km di aste fluviali, corrispondenti quindi sommariamente a oltre 200 km di argini e sponde. Le
operazioni sono state organizzate mediante acquisizione con strumentazione GPS in modalità “real
time” e durante il lavoro si è ricorsi anche alla ricostruzione di un nuovo geoide locale (validato con
la collaborazione dell’Istituto Geografico Militare), in modo da correggere fino ad ottenere
precisioni in quota inferiori a 5 cm, ritenute sufficienti per il tipo di lavorazione svolto. In totale
sono stati acquisiti oltre 36.000 punti GPS, che costituiscono un contributo importantissimo alla
conoscenza fisica degli ambiti definiti in seconda categoria ai sensi del RD 523/04. Il progetto ha
consentito nel corso delle lavorazioni di ottenere una serie di prodotti intermedi, fra cui non ultimo
una ricognizione fotografica importantissima dello stato di conservazione delle opere idrauliche,
che per motivi di spazio viene riportata a titolo meramente ricognitivo in questa pubblicazione. In
primo luogo si è provveduto alla demarcazione e predisposizione in ambiente GIS di piede delle
arginature e ciglio di sponda cioè i due limiti che regolano il sistema della vincolistica lungo i fiumi
e conseguentemente dei collegati procedimenti di ordine tecnico amministrativo. Importante è stato
anche il lavoro di ordine ricognitivo svolto sulle arginature e diretto ad individuare le eventuali
problematiche con particolare riferimento a quelle opere puntuali che possono potenzialmente
indurre fenomeni di collasso come discontinuità strutturali legate alla presenza di scarichi, cateratte
o altri manufatti di tipo idraulico. Anche questi elementi sono stati rilevati ed organizzati nel
Geodatabase. In modo sporadico sono state segnalate anche situazioni da tenere potenzialmente
sotto controllo per la presenza di colonie di roditori.
Infine è stato sviluppata una parte più analitica. La determinazione del profilo della sommità di
argini e sponde in accoppiamento con i dati di modellistica idraulica con il PAI dell’Autorità di
Bacino dell’Arno ha consentito di sviluppare l’analisi dei tratti di arginatura e sponda fluviale
sottoposti a sormonto in conseguenza di eventi con assegnato tempo di ritorno. Si tratta di
un’analisi molto utile nella gestione delle emergenze di tipo idraulico. Per quanto attiene l’analisi
della probabilità di collasso arginale antecedente alla fase di sormonto e tracimazione, sono stati
analizzati i principali meccanismi (franamento e sifonamento) avvalendosi anche di un
approfondimento di ordine deterministico sviluppato sull’argine di Restone in Comune di Figline
Valdarno, e analizzate tutte le possibili alternative e approcci metodologici, si è infine approdati ad
una proposta di determinazione della pericolosità di collasso basata su un criterio multiscala in parte
di tipo eurisitico ed in parte di ordine deterministico. Consapevoli che tale proposta è sicuramente
suscettibili di ulteriori affinamenti, è risultato condiviso da parte degli autori di questa
pubblicazione che allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie disponibili, non si possa
prescindere nella determinazione della pericolosità di collasso arginale da un esame diretto delle
opere idrauliche. Le esperienze di cedimenti catastrofici delle arginature esaminati nel corso del
Progetto Plantario hanno infatti evidenziato che spesso tali fenomeni evolvono da discontinuità
molto circoscritte dimensionalmente e, ove sia possibile farlo, rilevabili esclusivamente sulla scorta
di un loro esame diretto da parte di un tecnico esperto. Da qui l’importanza di sistematizzare il
rilievo, la proposta di alcune schede elaborate ad hoc con l’idea di mettere a punto un fascicolo
dell’argine organizzato in un geodatabase dove archiviare anche informaticamente oltre alle
caratteristiche costruttive dell’opera, tutte le segnalazioni di criticità che l’hanno interessata.
Obiettivo ultimo è quello di predisporre e realizzare un piano di interventi in grado di mitigare in
modo sostanziale la pericolosità idraulica di questo territorio.
126
7.
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Il Plantario delle aste fluviali in Provincia di Firenze