fonti storico-spirituali
dei Servi di santa Maria
FONTI
STORICO-SPIRITUALI
DEI SERVI DI SANTA MARIA
I
dal 1245 al 1348
© PROVINCIA VENETA
DELL’ORDINE DEI SERVI DI MARIA
Segretariato Coordinamento e Animazione Culturale
Viale X Giugno, 87
36100 VICENZA
© 1998. Associazione Emmaus
Servitium editrice
Via Fontanella - 24039 Sotto il Monte BG
tel. 035.791227 - fax 035.792030
ISBN
88-8166-073-3
1997
presentazione
Con la pubblicazione del primo volume delle Fonti storico-spirituali OSM comincia a concretizzarsi un progetto formulato circa tre anni fa dal Consiglio provinciale
della Provincia lombardo-veneta dei Servi di Maria e poi
eseguito dal Segretariato per il Coordinamento e l’Animazione Culturale (SCAC) della medesima Provincia, con l’appoggio dell’Istituto Storico dei Servi.
Scopo del progetto è quello di offrire ad ogni fratello e sorella dell’Ordine, agli amici e a quanti vengono a
contatto con la nostra vita, la possibilità di un accostamento facile e diretto a quel patrimonio di famiglia che gli
ideali e l’impegno concreto di singoli e di comunità hanno
saputo creare nel corso dei secoli.
Sarebbe poca cosa se si trattasse soltanto di un
evento editoriale. In realtà siamo invitati a tornare a dissetarci all’acqua di queste antiche fonti per risentire la nostalgia di un vivere evangelico semplice e trasparente. È
perciò un evento che riguarda la nostra conversione.
Questo primo volume copre il periodo dalle origini fino al 1348; un secolo fondamentale, perché fondamen-
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FONTI STORICO-SPIRITUALI
tali sono sempre gli inizi, anche umili e oscuri, del cammino di una persona o di un gruppo che sono stati conquistati da un ideale e sono pronti a lasciare tutto pur di
attuarlo. È necessario riprendere le motivazioni iniziali che
hanno dato origine all’Ordine per ridare freschezza alla
nostra chiamata e rimettere a fuoco le ragioni profonde
della nostra vita.
A questo primo volume – che è una raccolta pressoché completa delle fonti oggi disponibili per la spiritualità del primo secolo – seguiranno prossimamente altri volumi che percorreranno la storia dei Servi fino ai nostri
giorni, con l’intento di mostrare come lo Spirito, che aveva riempito di sé i nostri Sette padri agli inizi della loro
esperienza evangelica, non abbia mai cessato di essere forza
nascosta dell’Ordine. Per questa forza ancora oggi operante, possa la nostra vita, vissuta nella fede, nella speranza e
nell’amore, divenire una preziosa eredità da lasciare a conforto di quelli che dopo di noi sperimenteranno l’arduo e
fascinoso cammino dell’esistenza umana e della sequela di
Cristo.
GIOVANNI M. SPERMAN
priore provinciale
introduzione
Un’opera che raccolga e presenti le fonti storico-spirituali dell’Ordine dei Servi di santa Maria, tradotte in lingua italiana, si propone innanzitutto di offrire non solo ai
frati, ma a quanti si riconoscono nella medesima ispirazione, la possibilità di accedere ai testi evocatori del cammino
spirituale dell’Ordine attraverso i secoli.
I testi qualificati come “fonti storico-spirituali” sono l’eco lungo i secoli dell’incarnazione di una parola religiosa; rivelatori della continuità e della costanza di alcune
intuizioni proprie all’Ordine; elementi vivi per la iniziazione alla storia e spiritualità dell’Ordine; punti di riferimento
perché, pur nella complessità e nell’arricchimento progressivo dei percorsi che formano oggi la Famiglia dei Servi di
santa Maria, sia possibile riannodare, lungo lo svolgersi dei
secoli, i fili ininterrotti di un unico disegno, riattingendo
ancora alla forza ispirativa e alla identità delle origini.
1. Obiettivi e criteri
Il presente volume raccoglie le fonti del primo secolo di storia dei Servi. Molti dei testi presentati erano già
accessibili, sparsi però in edizioni separate, sovente senza
alcun rapporto organico tra loro, inoltre poco fruibili perché editi in lingua latina. Una loro accurata revisione lin-
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FONTI STORICO-SPIRITUALI
guistica, insieme con la pubblicazione di materiali nuovi
non ancora noti al vasto pubblico, ci sono sembrati motivi
più che sufficienti per il nostro impegno.
Abbiamo cercato di limitarci a quanto storicamente, o almeno verosimilmente, risulta proprio e caratteristico
della spiritualità dei Servi, offrendo inoltre la possibilità di
farne emergere l’incidenza effettiva sulla vita quotidiana.
Se gli scritti agiografici o le icone di Nostra Signora e dei beati dell’Ordine ci comunicano più immediatamente i punti di riferimento ideali delle prime generazioni
dei Servi, le prescrizioni giuridiche e gli atti che ne documentano le diverse vicende ci permettono di constatarne
l’effettiva traduzione, unitamente ai dubbi e alle fragilità
presenti.
Nel tentativo di rendere in qualche modo immaginabile la vita concreta dei nostri fratelli delle origini, abbiamo cercato di presentare i diversi aspetti del loro modo di
vita, utilizzando accanto alle fonti scritte anche quelle iconografiche.
Riteniamo che le scelte operate, pure nella loro opinabilità e nella rinuncia ad una impossibile completezza,
siano sufficienti a far emergere i tratti originali ed essenziali
della esperienza religiosa dei Servi nel primo secolo della
loro storia.
2. Organizzazione del volume
Il progetto di raccolta, traduzione e presentazione
delle fonti è stato realizzato da un gruppo di lavoro composto da Pier Giorgio M. Di Domenico, Lucio M. Pinkus,
Ermes M. Ronchi e Franco Andrea Dal Pino. L’Istituto storico OSM, nelle persone del suo presidente Franco M. Azzalli
e di Pacifico M. Branchesi, è stato presente nella fase d’impostazione dell’opera.
Il presente volume si articola in cinque sezioni:
INTRODUZIONE
9
1. fonti d’archivio (a cura di Franco Andrea Dal
Pino, con la collaborazione, per la parte relativa ai regesti, di
Raffaella Citeroni): documenti espressivi di dati di valore
giuridico, pubblico e privato;
2. fonti legislative (a cura di Lucio M. Pinkus e Ermes M. Ronchi): Constitutiones antiquae, normativa complessiva della vita dell’Ordine, organizzazione anteriore al
1295 e successive deliberazioni complementari;
3. fonti liturgiche (a cura di Ermes M. Ronchi e
Lucio M. Pinkus): testimoni dell’impegno di servizio e di
amore dell’Ordine a Dio e a Nostra Signora;
4. fonti agiografiche (a cura di Pier Giorgio M. Di
Domenico, con introduzioni di Aristide M. Serra alla legenda vulgata del beato Filippo e alla vita del beato Pellegrino,
tradotta da Pacifico M. Branchesi): presentazione delle figure carismatiche ed esemplari dei primi Padri e di altri beati
del Due-Trecento;
5. fonti iconografiche (a cura di Franco Andrea Dal
Pino e Ermes M. Ronchi): dialogo visivo, nel linguaggio dell’armonia e della bellezza, tra i frati e il loro progetto di vita.
Le brevi introduzioni serviranno da chiave di lettura e interpretazione dei testi. I riferimenti bibliografici permetteranno di rintracciarne l’edizione e di approfondirne i
contenuti. L’indice favorirà un più rapido e completo utilizzo dell’opera.
Questo primo e iniziale tentativo, che potrebbe preludere ad una edizione in originale dei testi qui tradotti, ci
auguriamo possa contribuire a rendere più vivo ed attuale,
nella Chiesa e nel mondo d’oggi, l’impegno di servizio a
santa Maria di quanti, donne e uomini, l’hanno scelta a propria immagine conduttrice, per apprendere da lei come si
serva Dio con serietà e i fratelli con tenerezza.
ABBREVIAZIONI
ABBREVIAZIONI
11
DAL PINO, I frati
Servi di s. Maria
F. A. DAL PINO, I frati Servi di s. Maria
dalle origini all’approvazione (1233 ca.
- 1304), I. Storiografia - Fonti - Storia,
II. Documentazione, Louvain 1972
(Université de Louvain. Recueil de travaux d’histoire et de philologie, 4e
série, fascicules 49-50).
Monumenta OSM
Monumenta Ordinis Servorum sanctae
Mariae a quibusdam eiusdem Ordinis
presbiterys edita, Bruxelles-Roma
1897-1930, 20 voll.
SOULIER, Chartularium [P. M. SOULIER], Chartularium Ordinis
Annales OSM
Arch. Gen. OSM
Annalium sacri Ordinis fratrum Servorum b. Mariae virginis a suae institutionis exordio centuriae quatuor auctore f. Archangelo Gianio..., a cura di
A. GIANI e L. GARBI, 3 voll., Lucca
1719, 1721, 1725.
Archivium Generale fratrum Servorum sanctae Mariae; viale XXX Aprile
6, Roma.
Constitutiones antiquae Constitutiones antiquae fratrum Servorum sanctae Mariae a s. Philippo Benitio anno circiter 1280 editae, ed. P. M.
SOULIER, in Monumenta OSM, I,
Bruxelles 1897, p. 7-54.
Constitutiones novae
Constitutiones novae sive ordinationes
factae in capitulis generalibus 12951473, ed. P. M. SOULIER, in Monumenta OSM, II, Bruxelles 1898, p. 559.
Servorum s. Mariae tempore sanctorum
Fundatorum et sancti Philippi 12331285, in Monumenta OSM, XVI, Montmorency-Wetteren 1916, p. 97-222.
“Studi Storici OSM”
sia “Studi Storici sull’Ordine dei Servi
di Maria”, Roma 1933-1942, 4 voll.;
sia “Studi Storici dell’Ordine dei Servi
di Maria”, Roma 1953-, vol. 5 e seguenti.
FONTI D’ARCHIVIO
1
INTRODUZIONE
La documentazione archivistica relativa alla storia e
spiritualità dei Servi di santa Maria è costituita da lettere o
atti emanati dalle cancellerie dei papi, cardinali, vescovi e di
altre autorità pubbliche, o da atti rogati e autenticati da notai. Tali documenti, precisamente datati, sono giunti fino a
noi o negli originali su cui sono stati scritti o in copie notarili o di carattere privato che ne garantiscono comunque
l’autenticità e il tenore del testo, permettendoci di raggiungere quanto, in quel dato momento e luogo, è stato deliberato. Astraendo dalle formule cancelleresche che li rivestono, spesso precostituite e ripetitive ma comunque talvolta
significative per la scelta fatta tra vari formulari disponibili,
essi, nelle loro parti espositive e dispositive, codificano o attestano precise situazioni o deliberazioni che costituiscono
di per se stesse, pur permettendo talvolta interpretazioni
diverse, punti imprescindibili della ricerca storica.
Non è negli intenti degli estensori o dei suggeritori
di tali atti offrire elementi che possano direttamente servire
a delineare un quadro completo della spiritualità dei frati e
dell’Ordine cui si riferiscono. Tanto più che i documenti
conservati sono giunti fino a noi in qualche modo casual-
16
FONTI D’ARCHIVIO
mente attraverso eventi i più diversi che hanno provocato la
scomparsa irreparabile di molti altri atti consimili e il trasferimento quasi sempre dalla primitiva sede archivistica,
generalmente quella conventuale, ad altra di carattere spesso pubblico. Quelli superstiti permettono comunque di cogliere sul vivo uomini e fatti che ci compaiono davanti, loro
tramite, in tutta la loro eloquente immediatezza attestando
realtà esistenti o intenzionali talvolta altamente significative
di propositi proprio anche nel campo spirituale. Gli elementi che ci offrono sono come solidi tasselli di pietra e di
pasta vitrea di un mosaico che, se collocati in una certa connessione tra loro, pur non permettendo di delineare un disegno completo, consentono di intravederlo nei suoi abbozzi già di per sé significativi.
La scelta degli atti documentari qui presentati è stata
fatta attraverso una cernita che ne ha tralasciato una parte
considerevole. Non sono inoltre riferiti nella traduzione integrale del testo, ciò che avrebbe inutilmente ispessito il volume, ma ci si è tenuti comunque, nel regesto o riassunto effettuato, il più fedelmente possibile, alla corposità significativa
del testo stesso. Si è poi rinviato, per ognuno degli atti, non
sempre all’originale, anche qualora si possieda, ma all’edizione più recente se disponibile e ad eventuali regesti pure
recenti dove si potrà reperire la documentazione relativa.
I documenti raccolti vanno da un primo atto del
1245, dove in un preciso contesto riferibile agli iniziatori o
fondatori dell’Ordine compare per la prima volta, a designare un gruppo di viri religiosi fiorentini, il titolo societario di “servi di santa Maria”, fino alla lettera papale in cui
alla morte, nel 1348, durante la peste, del priore generale
maestro (titolo che compare per la prima volta nell’Ordine)
Matteo da Città della Pieve, il papa avignonese Clemente
VI ne designa il successore nella persona di fra Vitale da
Bologna, che sarà poi, nel 1362, vescovo di Ascoli e successivamente di Chieti. Si tratta del primo secolo di storia
1 - INTRODUZIONE
17
dell’Ordine dei Servi (1245/1247-1348) che ha conosciuto
quattro momenti importanti:
le origini, nei primi dieci anni, dal 1245/1247 al
♦
1256, centrate sul gruppo dei penitenti servi di santa Maria,
i Sette santi fondatori, e sul Monte Senario dove sono saliti
forse agli inizi del 1246;
gli sviluppi del ventennio successivo, 1256-1274,
♦♦
espressi dall’incremento numerico e dalla diffusione geografica che dal centro Italia travalica l’Appennino e giunge in
Germania, dall’impegno cultuale-apostolico in cui ha posto
preminente la Madre del Signore e dall’impianto organizzativo comprendente la costituzione delle prime province religiose e il governo concentrato nelle mani del priore generale – che risiede ormai a Firenze – controbilanciato dal capitolo generale annuo; dalla dotazione di un corpo di leggi
costitutive e di una memoria scritta sulle origini o i principi dell’Ordine (il De origine Ordinis) dovuta a san Filippo,
figura rilevante di questo periodo;
♦♦♦ il difficile trentennio che va dal 1274 al 1304, tra il
concilio II di Lione e l’approvazione di Benedetto XI, in cui
l’Ordine dei Servi, coinvolto certo dalle misure prese dal
concilio intese a ridimensionare la presenza nella Chiesa dei
nuovi ordini religiosi, specie Mendicanti, si riprende progressivamente, a partire dalle prime lettere inviate a singoli
conventi da Onorio IV nel 1287, con nuove aggregazioni
dal 1289, le professioni religiose riprese dal 1291, l’erezione
di una nuova provincia religiosa, quella di Alemagna e la
ristrutturazione delle proprie istituzioni (le Constitutiones antiquae), qualificate da atti di ossequio in onore della beata
Vergine, definitivamente confermate nel 1304 da Benedetto
XI che ricolloca così canonicamente l’Ordine nella Chiesa;
il quarantennio che ne segue protraendosi fino alla
lettera di riforma di Clemente VI del 1346 e alla peste nera
18
FONTI D’ARCHIVIO
del 1348 e che si qualifica per la notevole e progressiva ripresa numerica e geografica dell’Ordine, specialmente nel nord
della penisola, da cui deriva il raddoppio dei suoi effettivi e
la formazione di una quinta provincia (Venezia), e per il costante aggiornamento legislativo e il costituirsi di un corpus
di legendae agiografiche che focalizza e offre a modello figure di santi e beati susseguitisi dalle origini fin verso la metà
del secolo XIV; risente però anche, soprattutto in alcune antiche fondazioni, di situazioni di grave inosservanza della
disciplina regolare che, unitamente a contrasti di carattere
personale, sfociano nel rigetto di decreti di riforma e nella
grave crisi di autorità che funesta l’ultimo decennio di governo di fra Pietro di Todi (anni 1334-1344), fondatore della
provincia di Venezia e ideatore di un’agiografia servitana.
2
REGESTI
♦
Per il primo decennio, 1245/1247-1256, quello
delle origini, posto tra l’adozione della regola di sant’Agostino tramite il vescovo fiorentino Ardingo (m. maggio
1247) e la rinnovata lettera di protezione e approvazione di
Alessandro IV (marzo 1256), vengono presentati in questa
raccolta quasi tutti i documenti pervenutici che, a partire
dal 1249, si imperniano sul Monte Sonoro o Sonaio (poi
Senario).
Fanno eccezione un primo documento che coglie il
momento del passaggio dell’ospedale di Santa Maria di Fonte
Viva da un primitivo gruppo di “servi di santa Maria”, legati
ad un ospedale per indigenti-malati-pellegrini, alla Società
della Vergine (formata probabilmente dal santo domenicano
Pietro Martire) i cui membri ereditano quello stesso titolo,
gruppo e società cui devono aver appartenuto i Sette fondatori dell’Ordine; poi due documenti del febbraio e luglio
1250 che rappresentano la premesse dell’insediamento suburbano fiorentino e altri due ancora, dell’agosto 1254, consistenti in due lettere di Innocenzo IV riguardanti la comunità
ormai costituita di Santa Maria di Cafaggio, con le quali il
papa intende salvaguardarne il prevalente intento contemplativo e sovvenirla nella povertà volontariamente scelta.
20
FONTI D’ARCHIVIO
I restanti documenti, relativi alla comunità formatasi sul Monte Senario poco avanti il 1247 e al piccolo Ordine dei Servi di santa Maria sorto attorno ad essa: lettere
di cardinali legati, di un cardinale incaricato da Innocenzo
IV della cura dell’Ordine e di Alessandro IV, atti relazionati al priore della comunità fra Figliolo o Bonfiglio, evidenziano, insieme a quelli fiorentini evocati sopra, gli elementi
costitutivi e spirituali dell’Ordine ai suoi inizi. Essi si possono così sintetizzare: particolare riferimento di servizio dei
frati e del loro Ordine verso la Madre del Signore assunto
prima con motivazioni di carattere penitenziale-caritativo
e poi come elemento vivificatore di un impegno più strettamente religioso, e titolo pure mariano delle chiese espresso anche nel sigillo del priore del Monte (vedi sigillografia); impegno primario della contemplazione e del servizio divino; adozione e osservanza della regola di sant’Agostino e di altre istituzioni dello stesso Ordine cui il 7 ottobre 1251 la comunità primitiva nella sua quasi totalità
(venti frati sotto fra Figliolo priore, tra i quali ci devono
essere anche gli altri Fondatori) aggiunge, come istituzione dell’Ordine, poi confermata dal papa, quella di non voler possedere, neppure in comune, alcun bene immobile
allo scopo, probabilmente, di poter attendere più liberamente “alle delizie della santa contemplazione”; accoglienza di laici, tra cui alcuni coinvolti perfino nella lotta tra
Federico II e la Chiesa e incorsi perciò nella scomunica da
cui il priore del Monte e altri frati sacerdoti, presenti dunque tra loro, li potranno assolvere; apertura, nel breve giro
di cinque anni, di quattro nuovi insediamenti, che sta a
dimostrare la notevole capacità di irradiamento di una
comunità pure ancora dedita quasi esclusivamente, mediatrice di grazia la Madre del Signore, al servizio di Dio e alla
comunione con Lui.
2 - REGESTI ♦
21
1) 1245 marzo 28, Firenze.
Arrigo del fu Baldovino, Orsino figlio di Bonaguida a nome
proprio e a nome di Bencivenni figlio di Rinuccio e per i
loro eredi e successori, detti “servi di santa Maria”, alla presenza e con il consenso di Caterina, badessa di Sant’Iacopo
a Ripoli, e delle sue sorelle e monache, di Ristoro, procuratore di detta chiesa, e di Simone, prete di essa, per amore del
Signore nostro Gesù Cristo e della beata Maria Vergine sua
madre, donano a Forese del fu Guido della Guilla, a Macca
di Alberto e a Rustichello di Diotiguardi, della società della
santissima Vergine Maria, chiamati anch’essi “Servi di santa
Maria”, per essi e la loro Società, l’ospedale di Santa Maria
di Fonte Viva posto in Sesto, nel popolo di San Quirico di
Ruballa, con le terre e i possedimenti ad esso spettanti.
edizione: R. TAUCCI, La compagnia e l’Ordine dei Servi di Maria alla loro
origine, “Studi Storici OSM”, 16 (1966), p. 101-102; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 771; II, p. 203-204.
2) 1249 marzo 13, Fermo.
Raniero, cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin, vicegerente del papa nel patrimonio della Chiesa in Tuscia,
nel ducato Spoletano e nella marca d’Ancona e legato della
Sede apostolica nella stessa Tuscia, rivolgendosi “al priore e
frati di santa Maria del Monte Sonario, detti Servi di santa
Maria”, della diocesi di Firenze, mosso dalla loro religiosità
e dalla loro “sincera devozione verso la Chiesa romana”,
prende gli stessi e “il luogo di Santa Maria di Monte Sonario” nel quale attendono al “servizio divino” sotto la protezione della Sede apostolica e sua, confermando “la concessione fatta da Ardingo, vescovo di Firenze, sotto l’osservanza della regola del beato Agostino e l’istituzione dello stesso
Ordine da osservarsi perpetuamente in quello stesso luogo
22
FONTI D’ARCHIVIO
dai frati ivi dimoranti”; concede poi che “nessuno dei loro
frati che hanno fatto e faranno professione nel suddetto luogo possa trasferirsi ad altro luogo senza la testimonianza di
lettere del loro priore e se non con l’intento di una vita e di
una religione più austere” e che possano ricevere lecitamente “persone libere che lasciano il mondo”.
Devotionis vestre
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 174-175; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 819-820; II, p. 139-140.
3) 1250 febbraio 18, Ancona.
Pietro [Capocci], cardinale diacono di San Giorgio in Velabro, legato della Sede apostolica, rivolgendosi “al priore
e frati sacerdoti di Monte Sonario, della diocesi di Firenze,
detti Servi della beata Maria”, concede loro di assolvere
quanti, “fuggendo liberamente dal mondo e volendo professare il loro ordine”, fossero incorsi nella scomunica “per
aver aderito al signor Federico, già principe dei Romani,
contro la Chiesa romana” e di poterli inoltre ricevere alla
loro “compartecipazione” di vita, a condizione che riparino gli eventuali danni arrecati alla Chiesa e ai suoi fedeli,
se identificabili, o distribuendo altrimenti, tramite i frati,
il corrispondente ai poveri.
Presentium vobis
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 180; regesto e documentazione:
DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 834; II, p. 140-141.
4) 1250 febbraio 18, Ancona.
Pietro [Capocci], cardinale diacono di San Giorgio in Velabro, rivolgendosi al vescovo di Siena [Bonfiglio], gli notifica che i detti priore e frati del Monte Sonario gli hanno
chiesto la “licenza e la prima pietra” per “edificare dal nuovo
2 - REGESTI ♦
23
una chiesa fuori della città di Firenze, su fondo proprio, senza pregiudizio per i diritti altrui”, e gli dà mandato di concedere agli stessi quanto chiesto.
Prior et fratres
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 181; regesto e documentazione:
DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 836-837; II, p. 141-142.
5) 1250 luglio 1, Firenze.
Bonvicino del fu Cece frenaio, Orlando di Aldobrandino di
Drudolo e lo stesso Aldobrandino del fu Drudolo e Bencivenne del fu Guarnieri vendono, ognuno per una terza
parte, quattro staiora di terra [21 acri moderni] con gli edifici annessi, posti in Cafaggio, ad Arrigo di Baldovino che li
acquista a nome del papa e della Chiesa romana, in modo
tale che il vescovo fiorentino del tempo ne abbia la piena
giurisdizione e ne percepisca i frutti usando di tutto a propria discrezione “per farne elemosina nei riguardi dei frati
dell’Ordine o convento della chiesa di Santa Maria di Monte Sonaio, solo in tempo di necessità”; il terreno è limitato
per tre lati dalla via e dall’altro da possedimenti degli stessi
venditori che dichiarano di aver ricevuto da Baldovino, per
il terreno venduto, cento e un denaro pisani dei piccoli.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 182-184; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 840; II, p. 205-206.
6) 1251 ottobre 7, Firenze.
“Fra Figliolo, priore della chiesa di Santa Maria di Monte
Sonaio e i frati dello stesso luogo, che sono detti Servi di
santa Maria” e i frati Alessio, Ricovero, Benigno, Vigore, Bonaventura, Ruggero, Giovanni, Clemente, Bartolo, Albertino, Nicolò, Egidio, Cambio, Matteo, Bonagiunta, Ildebrandino, Benedetto, Iacopo e Manetto, con il consenso del
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FONTI D’ARCHIVIO
loro “priore e rettore” e questo con il consenso dei frati, promettono “a Dio onnipotente e alla beata Maria”, che in nessun tempo, né direttamente né per interposta persona,
entreranno in posseso o nel quasi-possesso di un qualunque
bene immobile. Se qualcuno vorrà farne dono al loro “capitolo o collegio” o a un loro procuratore in favore dei frati,
quanto offerto sia immediatamente “del signor papa e della
sacrosanta Chiesa romana” in modo tale però che il vescovo
della diocesi in cui è posto tale possedimento ne abbia piena
giurisdizione e ne percepisca i frutti disponendone a sua
discrezione “per la salute e il rimedio dell’anima dell’offerente e per farne elemosina nei riguardi dei frati dell’Ordine
predetto o convento, solo in tempo di necessità”. Contro
tale promessa o voto, che dovrà essere osservato in perpetuo,
non sarà lecito “impetrare un qualunque privilegio o delle
lettere dal signor papa”. Contro i frati presenti o futuri che
contravvenissero a quanto pattuito si invocano gravi sanzioni spirituali da parte di Dio, del Cristo, della Vergine e dei
santi rinunziando in proposito a qualunque disposizione
canonica o legale.
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 848-849; regesto e
documentazione: ibid, II, p. 14-17.
7) 1251 ottobre 23, Bologna.
Guglielmo [Fieschi], cardinale diacono di Sant’Eustachio,
rivolgendosi “al priore generale e a tutti i frati detti Servi di
santa Maria”, comunica loro che il papa, onde dare incremento alla “religione” da essi costituita, gli ha affidato la
“cura generale” del loro Ordine. Prende perciò le persone ad
esso appartenenti e i luoghi nei quali attendono il servizio
divino sotto il suo “governo e favore”, intimando loro di osservare inviolabilmente il loro “Ordine sotto la regola del
beato Agostino” secondo la concessione e la “istituzione” di
Ardingo vescovo di Firenze e la conferma e concessione del
2 - REGESTI ♦
25
cardinale Raniero, allora legato apostolico dalle parti della
Tuscia.
Ut per ministerium
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 187-188; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 851; II, p. 142.
8) 1254 agosto 17, Anagni.
Innocenzo IV, rivolgendosi al priore e ai frati “della casa dei
Servi di santa Maria, della diocesi di Firenze, dell’Ordine di
sant’Agostino”, volendo radicare “con salutari precetti” la
loro “novella piantagione” religiosa perché con la cooperazione del Signore possa prendere sviluppo e produrre abbondanti frutti fragranti di soave odore e onestà e rimuovere gli ostacoli che si potrebbero opporre “alle delizie della
santa contemplazione” che essi, “per amore della patria celeste” sommamente ricercano, proibisce loro, aderendo alle
loro suppliche, di ascoltare le confessioni di alcuno, specialmente di donne, di accettare quanti potessero scegliere di
essere sepolti nella loro o nelle altre chiese dello stesso
Ordine e di ammettere donne agli uffici divini nelle stesse
chiese o nelle case annesse.
Ut religionis vestre
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 5-6; analisi: ibid, I, p.
859-860.
9) 1254 agosto 18, Anagni.
Innocenzo IV concede agli stessi destinatari della lettera precedente e sempre dietro loro richiesta, per andare incontro
alla povertà da essi scelta “volontariamente per il Signore”,
che possano ricevere per se stessi e per la loro casa fino ad
un ammontare di duecento lire pisane da quanti, nella diocesi di Firenze, avessero esercitato l’usura o acquistato illeci-
26
FONTI D’ARCHIVIO
2 - REGESTI ♦
27
tamente ricchezze, nel caso non si possa individuare a chi sia
dovuta la relativa restituzione, purché i frati non abbiano
ricevuto dal papa un favore analogo e fermo restando, per
coloro che riparassero in tal modo il danno arrecato, l’obbligo di restituire altre eventuali somme messe pure insieme
ingiustamente.
Compatientes paupertati vestre
loro propri possano avere, senza pregiudizio dei diritti altrui
e per autorità apostolica, le case necessarie, l’oratorio e il cimitero esclusivamente, però, “a loro uso”.
Vestre devotionis precibus
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 6-7; analisi: ibid, I, p.
860.
12) 1255 luglio 7, Città di Castello.
10) 1255 maggio 19, Napoli.
Alessandro IV, scrivendo “al priore e ai frati della beata
Maria di Monte Sonaio, della diocesi fiorentina, detti popolarmente Servi di santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino”, si richiama a quanto da essi specificato, che cioè, nati
da poco, essendo tenuti “per istituzione del loro Ordine,
confermata dalla Sede apostolica, a non possedere alcunché
di immobile”, sono perciò sostenuti “soltanto dalle elemosine dei fedeli” ed oppressi da “grande peso di povertà”.
Dovendo essi ora costruire “a loro uso” un oratorio e degli
edifici, gli hanno chiesto di poter ricevere allo scopo legati
ed elemosine dai fedeli; concedendone loro la licenza, stabilisce che detti legati ed elemosine non possano essere destinati ad altro uso.
Significastis nobis
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 11; analisi: ibid, I, p.
870-871.
11) 1255 maggio 26, Napoli.
Alessandro IV, indirizzandosi agli stessi destinatari della lettera precedente, dopo un accenno esplicito alla supplica da
essi presentatagli, concede che in tutti i luoghi o conventi
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 12-13; analisi: ibid, I,
p. 872.
Fra Ristoro, “dell’Ordine dei Servi di santa Maria Vergine”,
priore del loro luogo o convento di Città di Castello e di
Borgo Sansepolcro, della diocesi di Città di Castello, presentandosi, accompagnato dai suoi frati Migliore, Benedetto e
Neri che attestano essere egli loro priore e priore dei detti
luoghi, a Rinaldo, canonico di Città di Castello vicario del
vescovo Pietro, gli chiedono la licenza di edificare “chiesa e
luogo” fuori di Borgo Sansepolcro, in località detta via Cupa,
ad onore di Dio, della Vergine e dei santi patroni locali
Florido ed Amanzio, e del vescovo locale e dei suoi successori, nella quale chiesa possano servire il Signore; il vicario concede quanto richiesto e anche il diritto di seppellire “salvo
sempre il diritto delle chiese circostanti”. Il detto priore, poi,
da parte sua, con il consenso dei suoi frati, promette, a nome
della chiesa, del convento e dei suoi beni, un censo annuo
consistente in un cero di una libbra da consegnare in occasione della festa del patrono san Florido o della chiesa a lui
intitolata, “di rispettare tutti i diritti episcopali dei vescovi
locali e di essere obbediente a Dio e agli stessi vescovi”; a
prova poi della sua qualifica Ristoro mostra “il sigillo ricevuto dal suo priore maggiore, in luogo dell’elezione, in cui era
impressa l’immagine della beata Maria Vergine con il Figlio
in braccio” e le lettere impresse intorno al sigillo stesso: “sigillo dei frati Servi della B.M.V. del luogo di Monte Sonaio”.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 209-211; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 884; II, p. 216-217.
28
FONTI D’ARCHIVIO
13) 1256 marzo 23, Laterano.
Alessandro IV, rivolgendosi ancora al priore e ai frati della
chiesa di Santa Maria di Monte Sonaio, “detti volgarmente
Servi di santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino”, dichiara, indotto dalla loro religione “grata a Dio e gradita agli
uomini” che li aveva mossi a rinnegare il mondo e a porsi
interamente al servizio di Dio “sotto la regolare osservanza”,
e dietro la loro richiesta, di prendere “sotto la protezione del
beato Pietro” e sua le loro persone, il luogo nel quale svolgono il servizio divino e i beni da esso dipendenti, in conformità con quanto già fatto dal predecessore Innocenzo
[quarto]. Conferma poi, “con autorità apostolica”, le disposizioni prese precedentemente nei loro confronti, prima,
“con autorità ordinaria”, dal vescovo Ardingo che aveva approvato “alcuni statuti regolari” da essi “emanati nel predetto luogo”, da osservarsi “sotto la regola del beato Agostino”,
e poi dal cardinale legato Ranieri, disposizioni documentate “in lettere appositamente confezionate”, e, per maggiore
precauzione, riferisce il testo “delle lettere stesse” [riferendo
integralmente l’atto stipulato a Cafaggio da fra Figliolo e
dagli altri frati il 7 ottobre 1251 conosciuto solo attraverso
la sua inserzione in questa lettera di protezione e di conferma delle istituzioni]. La lettera si chiude con formule di corroborazione nelle quali viene qualificata come una “conferma” di disposizioni precedenti.
Deo grata
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 14-17 (riproduzione
della registrazione del Reg. Vat. 24, tav. II); analisi: ibid, I, p. 886-887.
2 - REGESTI ♦♦
29
Gli atti riguardanti il ventennio 1256-1274, una
diecina soltanto per rapporto ai ben più numerosi che si
possiedono (tra l’altro quattordici lettere papali, diverse
delle quali particolarmente importanti), permettono di configurare la linea di sviluppo adottata dall’Ordine dei Servi
una volta centrato non più sul remoto Monte Senario ma
sull’insediamento suburbano fiorentino di Santa Maria di
Cafaggio e sui priori generali, in particolare Iacopo da Siena
(1257-1265) e Filippo Benizi da Firenze (dal 1267), che vi
fanno normalmente riferimento.
Tre di questi documenti sono indicativi della proiezione dei frati verso l’esterno attraverso un apostolato anche ministeriale convalidato dalla Sede apostolica. Si tratta
del privilegio delle confessioni dei fedeli concesso già nel
giugno 1256 da Alessandro IV essendo forse priore generale fra Bonagiunta da Firenze, della presa di posizione del
capitolo generale tenuto a Firenze nel settembre 1257,
sotto Iacopo da Siena, che stabilisce di ottenere dalla Sede
apostolica l’annullamento delle proibizioni decretate da
Innocenzo IV nell’agosto 1254 e, in contrario, la concessione di ammettere laici, comprese donne, alle confessioni,
alle sepolture e ai divini offici, e della risposta in positivo,
per le sepolture, data da Alessandro IV nell’aprile 1259.
Nelle loro chiese, ancora di limitate proporzioni o in via di
costruzione, i frati attendono ormai non solo al culto divino (corali di Siena del 1271) ma anche (come dice la
Legenda de origine, n. 49) “alla salute delle anime” comportando questo per loro (anche se tra le attività previste
non è compresa quella della predicazione) una migliore
preparazione di tipo teologico-morale e una più immediata disponibilità verso i fedeli. Nella stessa chiesa, dedicata a
Santa Maria, verranno collocate, almeno dal 1261, Madonne in maestà (vedi iconografia) che, insieme ad alcuni
atti di culto e ossequio in onore della Vergine allora codificati (il primo capitolo della Constitutiones antiquae), saran-
30
FONTI D’ARCHIVIO
no indicative della centralità cultuale della Madonna rapportata strettamente al Figlio e della proposta fatta dai frati
specialmente ai viri religiosi e alle mulieres devotae che ne
frequentano le chiese.
Due altre lettere papali, inviate tra lo stesso 1259 e
il 1263, riconosceranno, la prima, al priore generale di
poter correggere gli altri frati a norma delle istituzioni
dell’Ordine, già dunque in parte formulate, e di delegare ad
altri tale compito (ciò che accadrà con la nomina di priori
provinciali), la seconda, ai frati di potere ormai tenere canonicamente capitolo generale ed eleggervi un proprio
priore generale che verrà confermato dal papa o, se troppo
lontano, dal vescovo diocesano. Così, sotto ancora il generale Iacopo da Siena, i Servi di santa Maria hanno visto precisarsi e il loro impegno apostolico e le strutture che regolavano la vita complessiva del loro Ordine.
Negli altri cinque documenti, tre del tempo di fra
Manetto da Firenze (1265-1267) e due di quello di san Filippo Benizi, pure da Firenze, vengono evidenziati alcuni
tipi di rapporto col laicato che ormai frequenta le chiese
dei Servi, talvolta dotate, come nel caso di San Giacomo
di Foligno, passata all’Ordine nell’agosto 1273 (e in parte
già a Siena dove viene concessa ai frati, nel giugno 1263,
la chiesa rettorale di San Clemente), anche di diritti parrocchiali. I tipi di rapporto personale e collettivo di laici
con comunità dei Servi – nel caso quella “esemplare” di
Firenze – sono rappresentati: dal mercante Chiarissimo
Falconieri, la cui famiglia manterrà a lungo stretti rapporti con quella comunità, che sta a personalizzare una categoria, quella appunto dei mercanti cui avevano appartenuto i Sette, che avverte la necessità di redimere nella
beneficenza o nel distacco beni ritenuti acquisiti defraudando gli altri; da Arrigo di Baldovino, uomo di penitenza e già appartenuto al gruppo laico di “servi di santa
Maria”, come lo erano stati i Sette nel mondo, procurato-
2 - REGESTI ♦♦
31
re poi della loro comunità, che prima, da Santa Croce
dove abita, vende una sua casa a fra Manetto, priore di
Santa Maria di Cafaggio, forse per utilizzarne il ricavato in
favore della moglie Guidinga, e il giorno dopo si offre, con
tutti gli altri beni, come “converso e devoto” o oblato alla
detta comunità nella persona del suo priore, aprendo così
la lunga serie di oblati dei Servi, uomini, donne e coniugi
che ne arricchiranno, anche spiritualmente, la vita comunitaria, come accadeva da molto tempo presso istituzioni
monastiche e canonicali e, ora, anche presso quelle Mendicanti; dalla Società della Laude esistente già presso la
detta chiesa di Cafaggio, prototipo di numerose altre presto erette altrove nell’Ordine e luogo di aggregazione devota laicale nelle laudi di Dio e della Madre sua, cui san
Filippo, priore generale per autorità apostolica, concederà
nel 1273, la partecipazione ai beni spirituali compiuti
nell’Ordine e il suffragio per i loro defunti in occasione del
capitolo generale annuo (specie di “comunione dei santi”
in atto). Gli effetti sui fedeli della presenza comunitaria
dei frati e del loro servizio liturgico-apostolico ormai prevalentemente urbano sembrano dimostrarne la particolare
validità cui non è certo estraneo il richiamo della Vergine
Maria.
14) 1256 giugno 17, Anagni.
Alessandro IV, rivolgendosi questa volta “al priore e ai frati
Servi della beata Maria di Cafaggio presso Firenze, dell’Ordine di sant’Agostino”, mosso dalle loro suppliche e ritenendo di dover mostrarsi liberale in tutte le cose che si riferiscono al progresso delle anime, concede, con autorità apostolica, che i loro “frati presbiteri” possano con licenza dei
vescovi diocesani e dei rettori delle chiese, “ascoltare le confessioni dei loro parrocchiani e ingiungere loro una salutare
32
FONTI D’ARCHIVIO
penitenza”, a meno che non si tratti di colpe per le quali sia
necessario ricorrere alla Sede apostolica.
Decens et debitum
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 17-19; analisi: ibid, I,
p. 910-911.
15) 1257 settembre 5, Firenze.
Fra Iacopo, “priore generale di tutto l’Ordine, della religione, della università e dei frati che sono detti Servi di santa
Maria, con licenza e consenso dei frati della detta religione
riuniti nel capitolo generale loro e di tutto l’Ordine” presso
il convento di Cafaggio, fuori delle mura di Firenze, decidono, con vicendevole consenso, in nome proprio “e anche
per tutta la stessa religione”, di costituire i frati Ottaviano e
Giunta, assenti, loro sindaci e procuratori in curia romana,
presso il sommo pontefice, i suoi delegati e i cardinali di curia, per chiedere al sommo pontefice che venisse abrogato
un certo privilegio in cui Innocenzo aveva proibito al detto
Ordine e agli stessi frati di ascoltare le confessioni di chiunque, specialmente di donne, di seppellire nelle loro chiese i
corpi dei defunti e di ammettere donne nelle loro chiese ad
ascoltare i divini uffici, per impetrare, in contrario, lettere e
privilegi per poter ascoltare le confessioni di uomini e
donne, seppellire i corpi dei morti, ricevere nelle loro chiese donne per partecipare ai divini uffici, e per compiere
tutto quanto fosse necessario allo scopo.
*L’atto si riferisce alla lettera di Innocenzo IV del 17 agosto 1254. I nomi
dei frati capitolari indicati all’inizio dell’atto sono: fra Giovanni, fra Benedetto, fra Manetto, fra Ruggero, fra Iacopo, fra Buono, fra Domenico, fra Filippo, fra Pacino, fra Iacopo, fra Bonagiunta, fra Agostino,
fra Claruccio, fra Antonio, fra Alessio, fra Bernardo, fra Bernardo [ancora], fra Martino, fra Giovannino, fra Bentivegna, fra Ranieri.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 238-239; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 911-912; II, p. 227-228.
2 - REGESTI ♦♦
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16) 1259 aprile 1, Anagni.
Alessandro IV, rivolgendosi “al generale e agli altri priori e
frati dei Servi di santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino”, facendo riscontro alla supplica da essi presentatagli e
in considerazione della vita da essi condotta, concede loro
che possano seppellire nei loro cimiteri i corpi di coloro
che scegliessero di esservi deposti, rispettando però i diritti di quelle chiese dalle quali gli stessi corpi dei defunti saranno prelevati.
Religionis vestre
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 19-21; analisi: ibid, I,
p. 913-914.
17) 1259 maggio 13, Anagni.
Alessandro IV, indirizzandosi al solo “priore generale dei frati
Servi di santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino”, e volendo consentire alla sua richiesta, concede a lui e ai suoi successori che possano correggere, “in conformità con le istituzioni dell’Ordine”, gli altri priori e frati ed esercitare nei loro
confronti quanto spetta appunto al loro ufficio, permettendo anche agli stessi di delegare tali poteri, qualora risultasse
necessario, ad altri frati idonei a tale compito.
Devotionis tue precibus
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 21-23; analisi: ibid, I,
p. 917-918.
18) 1263 luglio 25, Orvieto.
Urbano IV, inviando la sua lettera “a tutti i priori e frati dei
Servi di santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino”, mosso
dalle “opere di pietà alle quali nel loro Ordine si attende
34
FONTI D’ARCHIVIO
con ogni diligenza” e dalle loro suppliche, concede che
possano “celebrare il capitolo del detto Ordine ed eleggere in esso il priore generale dell’Ordine stesso”, precisando
che se detto capitolo verrà tenuto in luogo distante dalla
curia romana più di cinque giornate di cammino, l’eletto
verrà confermato dal vescovo del luogo, altrimenti dal
papa stesso; in attesa poi della conferma, l’Ordine potrà
essere retto da uno o più vicari.
Inducunt nos
*Nel margine superiore dell’originale della lettera, conservato a Firenze,
Archivio di Stato, Diplomatico (SS. Annunziata), si legge la seguente
annotazione latina: “Il signore [cardinale] di Tuscolo disse che l’aveva
letta al signor [papa] e mi comandò che la facessi fare proprio così”.
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 27-29; analisi: ibid, I,
p. 925.
2 - REGESTI ♦♦
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20) 1265 ottobre 5, Firenze.
Arrigo di Baldovino, “fratello di penitenza, uomo ammogliato della città di Firenze”, dimorante “presso Santa Croce
del popolo di San Simone”, vende a fra Manetto, priore della chiesa di Santa Maria di Cafaggio, un pezzo di terra coltivato, con gli edifici sovrastanti, posto “fuori della porta di
Balla vicino ai fossati e alle mura della città di Firenze, nel
popolo di San Michele Visdomini”, al prezzo di 240 lire dei
fiorini dei piccoli; fra Manetto stipula l’acquisto “in luogo e
a nome di tutto il capitolo e convento”; l’atto è steso “nella
casa del detto Arrigo di Baldovino, posta a Santa Croce”, e
ad esso consente Guidinga, moglie di Arrigo, ed è presente
tra l’altro Ubertino di Guido “che dimora con i detti frati”.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 288-289; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 943; II, p. 251-252.
19) 1264 giugno 5, Orvieto.
Urbano IV, indirizzandosi “a Chiarissimo Falconieri cittadino fiorentino, mercante di panni oltremontani” e volendo provvedere alla salvezza del destinatario il quale, avendo esercitato “per sessant’anni e più la mercanzia dei panni
presso la città di Firenze” si sente colpevole “di frode nell’acquisto e nella vendita di tali panni”, gli concede, dietro
sua richiesta e a condizione che prima, tramite “pubblico
proclama in tutte le chiese della città di Firenze”, abbia
cercato di individuare coloro cui avrebbe potuto recar
danno, di erogare quanto guadagnato illecitamente “alla
chiesa dei Servi di santa Maria presso Firenze, dell’Ordine
di sant’Agostino, che si dice essere di recente origine [o:
nuova piantagione]” perché venga usato nella fabbrica o in
qualche altra utilità della stessa chiesa.
Sicut ex parte
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 29-30; analisi: ibid, I,
p. 945-946.
21) 1265 ottobre 6, Firenze.
Arrigo di Baldovino, “che dimora nel popolo di San Simone
presso la chiesa di Santa Croce dell’Ordine dei frati Minori”,
offre se stesso con tutti i suoi beni “quale devoto e converso”
della chiesa, dei frati, del convento e dell’Ordine dei frati
Servi di santa Maria di Cafaggio” per la salvezza della propria
anima, a onore di Dio e per l’amore di Lui e della beata Maria Vergine, di tutti i santi e di tutte le sante di Dio, nella
chiesa di Santa Maria di Cafaggio, dinanzi all’altare della
stessa chiesa e dei frati e della comunità del detto luogo e
dell’Ordine dei frati Servi di santa Maria: l’atto è compiuto
“nelle mani di fra Manetto” il quale, nella sua qualità di priore generale del predetto Ordine, riceve Arrigo, con i suoi beni, appunto “come converso e devoto”, “in vice e per l’utilità
della chiesa predetta e del convento della stessa chiesa”. Tra i
beni portati dall’oblato si specifica una casa “posta a Firenze
presso la chiesa di Santa Croce”, confinante, da un lato, con
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FONTI D’ARCHIVIO
una casa da lui lasciata ai frati di detta Santa Croce. In contraccambio, il priore e i frati lo tratteranno “come loro converso e devoto” usando dei suoi beni come loro converrà,
mentre Arrigo promette di mantenersi perfettamente in
quello stato, di ubbidire al detto priore e ai suoi successori
genuflettendosi dinanzi a lui e baciandone le mani. L’atto è
rogato in Santa Maria di Cafaggio, dietro richiesta di Arrigo
“e del signor priore predetto”.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 289-290; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p.951-952; II, p. 252-253.
22) 1273, tra maggio 28 e giugno 4, Arezzo.
Fra Filippo, “per autorità della Sede apostolica priore generale dei Servi di santa Maria”, rivolgendosi, dal capitolo
generale tenuto ad Arezzo infra l’ottava di Pentecoste, “a
tutti i membri della società della laude della chiesa di santa
Maria del convento fiorentino del detto Ordine”, tenendo
conto dell’affetto da essi dimostrato all’Ordine stesso, li
rende perpetuamente “partecipi e consorti delle vigilie e preghiere, dei digiuni e delle messe e degli altri beni” che vengono compiuti nell’Ordine stesso, disponendo inoltre che,
una volta annunciata al capitolo generale la morte di qualcuno di essi, sia fatto in loro suffragio “l’ufficio che è solito
compiersi comunemente per i frati”.
Exigente pie devotionis
edizione: Annales OSM, I, p. 111; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, I, p. 956-957; II, p. 148-150.
23) 1273 agosto 23, Foligno.
Fra Iacopo da Borgo Sansepolcro, priore provinciale dell’Ordine dei frati Servi della beata Maria nel Patrimonio del
2 - REGESTI ♦♦♦
37
beato Pietro, fra Aldobrandino fiorentino, priore del luogo
degli stessi frati a Foligno, e fra Samuele del detto Borgo,
priore del luogo degli stessi a Spoleto, stando nella chiesa di
San Giacomo, posta in capo al ponte detto Ponte di Cesare,
presso la città di Foligno, suonate le campane e presenti i
parrocchiani di detta chiesa, per volontà e consenso di fra
Paparone vescovo di Foligno [che aveva concesso la chiesa e
la parrocchia], cantano la messa e ognuno di loro celebra i
divini uffici “ad onore e in ossequio della beata Maria sempre Vergine di cui sono detti servi”.
edizione: Annales OSM, I, p. 115; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, I, p. 1014; II, p. 292-293.
Per i trent’anni che intercorrono tra il 1274,
quando si tiene il concilio II di Lione, dove forse è presente Filippo Benizi, e mentre l’Ordine gode di un assetto
quasi completo, e la lettera di approvazione delle sue istituzioni da parte di Benedetto XI nel 1304, sono stati scelti tra molti altri, trentaquattro documenti esemplificativi.
Poche, tra l’altro, le lettere papali segnalate che, quasi inesistenti (eccetto una di Giovanni XXI del 1277) fino al 1287,
assommano poi a cinquantasette pur essendo spesso ripetitive dato che il papato, nelle difficoltà allora attraversate
dall’Ordine, ne ha voluto garantire le singole componenti
con alcune concessioni comuni.
Di fronte al concilio che aveva inteso ridurre al
massimo gli Ordini Mendicanti e anche gli altri recenti
che non godevano dell’approvazione papale, l’Ordine dei
Servi sostiene di non esser mendicante ma di avere comunque ottenuta la detta approvazione. La definizione dei
Servi che ne deriva, espressa in vari pareri di avvocati in
curia romana e di dottori in leggi e decreti, dal febbraio
1277 allo stesso mese del 1287 e fatta poi in parte propria
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38
FONTI D’ARCHIVIO
da Benedetto XI, può apparire riduttiva ma è comunque
molto precisa: il loro Ordine non può ritenersi soppresso
perché né la regola di sant’Agostino né la loro professione
o le loro costituzioni proibiscono di avere possedimenti o
redditi stabili (e alcuni conventi li avevano), e il fatto di
aver ottenuto dal papato di tenere capitolo generale e di
potervi eleggere un proprio priore generale equivaleva ad
un’approvazione. Quanto poi aggiungerà Benedetto XI, oltre alla citazione di altri privilegi ottenuti dall’Ordine, riguarderà il suo legame particolare con la beata Maria vergine gloriosa costituito dal titolo assunto e dalle istituzioni secondo le quali esso osserva la regola agostiniana, edite
in onore appunto della Vergine e osservate in passato e tuttora. Così i due punti di riferimento per i Servi, istituzionali ma anche spirituali, saranno sempre più chiaramente
la regola di sant’Agostino e la conseguente denominazione
“dell’Ordine di sant’Agostino” attribuito loro già da Innocenzo IV e rimasto a lungo in vigore, e la Vergine gloriosa cui
sono legati per il titolo che portano e le norme più qualificanti della loro legislazione.
Gli altri dati offerti dai documenti scandiscono ciò
che appare in atto nei difficili anni interposti tra il 1274 e il
1287: accettazione di possedimenti, concessioni locali di
esercitare il ministero delle confessioni (caso di Bologna del
1277 da paragonare con quello di Firenze del 1293 assai più
significativo) e di poter lucrare indulgenze presso chiese dei
Servi: atti di oblazione alcuni dei quali, come poi quello di
Diana del giugno 1302, di particolare intonazione mariana;
partecipazione di due frati dei Servi, insieme a rappresentanti degli altri quattro Ordini Mendicanti, agli accordi di
pace tra comune e parte guelfa e fuorusciti ghibellini a
Siena, nel contesto della missione svolta dal cardinale Latino nel 1280. Dopo il 1287 si assiste alla progressiva reintegrazione dell’Ordine nell’istituzione e nell’attività apostolica ecclesiastica passando dalla salvaguardia dei singoli con-
2 - REGESTI ♦♦♦
39
venti (che potranno così anche annetterne altri) a quella di
una singola provincia e dell’Ordine intero.
In tale nuova situazione di prova e poi di riacquisita
sicurezza in cui si formano santi frati che verranno a morire
nei primi decenni del secolo XIV e si giunge prima del 1295
alla redazione delle Constitutiones antiquae (con parti proprie
significative) che completate da quelle novae reggeranno
l’Ordine fino al secolo XVI, tutta una serie di dati attestano la
sua netta ripresa. Si tratta, a partire dal 1287 di: annessioni a
comunità locali o all’Ordine di eremi, monasteri, conventi e
chiese rettorali preesistenti (un lascito dell’aprile 1303 associa nella beneficenza eremiti del Monte Asinaio, così riapparsi, e frati di Firenze); formulazione di atti di professione
nel 1291; lettere di indulgenza concesse ora non solo a sostegno di chiese in costruzione ma anche della loro attività, con
specificazione delle feste della Madonna e di quella di sant’Agostino; predicazione ormai svolta dai frati nelle loro
chiese e fuori, attestata in Germania dal 1289; primo sviluppo degli studi e di libri di tipo universitario; moltiplicarsi di
Fraternità laicali e interscambi tra esse e l’Ordine stesso; rapporti con monasteri femminili e donne devote, espressivi
almeno di relazioni di tipo spirituale; saldarsi dei legami con
autorità comunali che partecipano ufficialmente alla festività
principale del luogo (Natività della Madonna a Bologna) o
accettano di sovvenzionare raduni di frati per il capitolo
generale. Da rilevare la formula di professione religiosa attestata dagli atti relativi e codificata nelle suddette costituzioni: ci si impegna davanti a Dio, alla beata Vergine e alla corte
celeste, esplicitando i tre voti e la regola ma senza riferimento alle costituzioni; la formula si avvicina a quella dei Minori
e degli Eremiti di sant’Agostino e non di altri ordini che
esprimevano solo l’impegno dell’obbedienza, mentre la disposizione di convalidarne l’atto attraverso documento pubblico sembra essere di derivazione monastica.
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FONTI D’ARCHIVIO
24) 1277 febbraio 8, Viterbo.
L’arcidiacono di Milano Conte e gli avvocati della curia Romana Angelo da Roma e Pepo da Siena, rispondendo ad un
quesito posto loro dal priore generale e dai frati detti Servi
di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino per tranquillizzare le loro coscienze, dichiarano che secondo la propria
interpretazione l’Ordine non è stato cassato dalla costituzione di Gregorio X emanata nel concilio Lionese, perché è
stato fondato nella regola del beato Agostino e né questa,
ossia la loro professione, oppure le loro costituzioni proibiscono di avere possedimenti o redditi, ed è noto che alcuni
conventi possiedono; ed inoltre perché è stato loro concesso dalla Sede apostolica di celebrare capitolo generale e di
eleggervi il priore generale.
2 - REGESTI ♦♦♦
41
dine di sant’Agostino di Bologna che alcuni frati sacerdoti,
“onesti e discreti” deputati a ciò dai confratelli e dal loro
capitolo, possano ascoltare le confessioni di tutte le persone
della città e diocesi bolognese che ricorrono a loro, ma con
licenza dei loro prelati o dei sacerdoti delle loro parrocchie.
Religionis vestre
edizione: Annales OSM, I, p. 192; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, II, p. 154-155; I, p. 1126.
27) Tra 1277 circa e 1288 agosto 13, Pistoia.
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 51-52; analisi: ibid.,
I, p. 1113-1114.
Il comune di Pistoia, affinché con la sua virtù e misericordia la divina maestà e gloriosa vergine Maria conservi il
comune e i suoi uomini nella loro condizione prospera e
tranquilla, stabilisce che il podestà, il capitano e gli Anziani
in carica propongano al Consiglio generale di provvedere ai
frati Servi di santa Maria vergine della città, che non possiedono nulla di proprio, con offerte in denaro o possedimenti da cui possano trarre sostentamento per il servizio a
Dio e alla Vergine e per la salvezza delle anime loro e degli
uomini della città, giacché è stato ordinato dalla Chiesa
Romana nel concilio riunito presso Lione che essi non devono e non possono ricevere nessuno come frate fino a che
vadano elemosinando, proibizioni circa le quali i frati hanno un parere da parte di alcuni cardinali e di molti altri esperti canonisti dimoranti nella curia Romana secondo cui,
avendo i frati beni e possedimenti cosicché non vadano
chiedendo l’elemosina, potranno in seguito conservare l’Ordine e servire la gloriosa Vergine.
26) 1277 maggio 24, Santa Croce del Mugello.
edizione: L. ZDEKAUER, Statutum potestatis comunis Pistorii anni
MCCLXXXXVI, Milano 1888, p. 246-247; regesto e documentazione: DAL
PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 460; I, p. 1105-1106.
edizione: Annales OSM, I, p. 122; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, II, p. 152-153; analisi: ibid., I, p. 1104-1105.
25) 1277 aprile 5, Viterbo.
Giovanni XXI conferma al priore e ai frati del convento dei
Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino del Paradiso, della diocesi di Halberstadt, l’atto di Enrico conte di
Reinstein della diocesi di Halberstadt che, desiderando commutare i beni terreni con quelli celesti, ha donato loro una
corte, nella quale si trova la casa dei frati, e alcune sue terre
e possedimenti situati nell’antico Hasselfelde.
Cum a nobis
Il vescovo di Bologna Ottaviano [degli Ubaldini] concede al
priore e al convento dei frati Servi di santa Maria dell’Or-
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FONTI D’ARCHIVIO
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28) 1280 aprile 18, Firenze.
dine dei frati Servi di santa Maria. L’ordine viene eseguito in
quel medesimo giorno.
Fra Latino [Malabranca dei frati Predicatori], cardinale vescovo di Ostia e Velletri e legato della Sede apostolica, per
incrementare la pia devozione dei fedeli accorda quaranta
giorni annui di indulgenza a tutti i fedeli delle città e diocesi di Firenze, Fiesole e Pistoia che, pentiti e confessati, si
recheranno nella chiesa dei Servi di santa Maria di Firenze il
venerdì dopo la prima domenica della Quaresima maggiore.
Vite peremnis gloria
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 324326.
edizione: Annales OSM, I, p. 125; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, II, p. 155-156; I, p. 1127.
29) 1280 settembre 29, ottobre 17, Siena.
I giudici Bandino del fu Uguccione e Grazia del fu Ranuccio, sindaci del comune di Siena e della parte guelfa, e Marcovaldo del fu Guido e il giudice Uberto del fu Bernardino,
sindaci dei fuorusciti della parte ghibellina dei medesimi
città e contado, riuniti nella chiesa maggiore della Beata Maria vergine dell’episcopato senese, dinanzi all’altare della Vergine stipulano vicendevolmente una pace “buona, legale e
duratura in perpetuo” alla presenza di frati dei Predicatori,
dei Minori, degli Eremiti, dei Servi di santa Maria e dei
Carmelitani.
(17 ottobre) Il podestà di Siena Giacomo da Bagnoregio e
quindici governatori e difensori del comune ordinano che il
notaio Cambio del fu maestro Bruno e Ugerio Beringhieri,
a nome dei cittadini e delle famiglie che rappresentano, con
lo scambio del bacio di pace stringano reciprocamente una
pace “vera, salda e duratura in perpetuo” con il notaio Giovanni Paganelli, che la riceve a nome di tutti coloro dei quali
è procuratore, alla presenza dei frati Marco e Gilio dell’Or-
30) 1286 maggio 4, Bologna.
Bertolo del fu Guglielmo offre alla chiesa dei Servi di santa
Maria di Bologna sé e i suoi beni, in special modo un appezzamento di terreno con vigna dell’estensione di due tornature e mezzo posto a Patrignano ossia Monteducato; dopo
l’oblazione, il priore fra Andrea, con il consenso dei suoi
frati, accoglie come converso con il bacio di pace Bertolo,
che gli promette obbedienza, come risulta dal documento
rogato dal notaio Giovanni Segatari il giorno precedente a
Bologna nella detta chiesa.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 351;
I, p. 1159.
31) 1287 febbraio 4, Roma.
Il notaio Gentile da Figline, alla presenza di maestro Bernardo Giovannini canonico di Agde e uditore della camera
del papa, redige cinque esemplari dei pareri legali, visti e
letti in originale e integri, con la descrizione dei loro sigilli,
espressi il primo da Conte arcidiacono di Milano, Angelo
da Roma e Pepo da Siena, avvocati della curia Romana; il
secondo da maestro Garsia cappellano del papa e uditore di
palazzo, Chierico da Pisa, Salvo da Bologna e Bindo da Siena, dottori in leggi e avvocati nella curia Romana; il terzo da
Andrea Gandolfi e Porrina da Casole professore di diritto,
avvocati della curia Romana; il quarto da Bernardo Giovannini canonico di Agde e Ticcio arciprete di Colle, udito-
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FONTI D’ARCHIVIO
re e cappellano di fra Latino [Malabranca] cardinale vescovo di Ostia e Velletri, entrambi dottori di decreti; il quinto
da Berardo Caracciolo da Napoli suddiacono e notaio del
papa, i quali tutti, rispondendo ad un quesito posto loro
singolarmente dal priore generale e dai frati detti Servi di
santa Maria, dichiarano che a loro avviso l’Ordine, che professa la regola del beato Agostino, non è stato cassato dalla
costituzione di Gregorio X emanata nel concilio Lionese,
salva sempre l’interpretazione e la dichiarazione della santa
sede, dal momento che nella legislazione dei Servi nulla
proibisce loro di possedere beni o rendite fisse e quindi, specifica Berardo Caracciolo nel suo parere, l’Ordine non può
essere annoverato tra quelli Mendicanti dei quali si occupa
la ricordata costituzione, inoltre, attraverso la concessione di
tenere capitolo generale e di potervi eleggere il proprio priore generale, risultano equivalentemente approvati dalla
santa sede stessa.
edizione: SOULIER, Chartularium, p. 413-415; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 353-354; I, p. 1149-1152.
32) 1287 febbraio 13, Roma.
Onorio IV, assentendo volentieri alle loro giuste richieste,
prende sotto la protezione del beato Pietro e sua propria il
priore e i frati della chiesa di Santa Maria sita in borgo San
Petronio a Bologna, dell’Ordine di sant’Agostino, e il loro
convento con tutti i beni già posseduti o che possiederanno,
in special modo le case, le vigne, i boschi, i prati, i possedimenti e gli altri beni loro.
Iustis petentium desideriis
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 57-58; analisi: ibid.,
I, p. 1153-1154.
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33) 1287 agosto 23 e 25, Bologna.
(23 agosto) Il Consiglio degli Ottocento e del popolo del
comune di Bologna approva la supplica dei frati e del priore
del convento dei Servi di santa Maria in borgo San Petronio,
nella quale richiedevano che “per amore di Cristo e di sua
madre la Vergine gloriosa e per l’onore del comune e del
popolo bolognese”, con il cui aiuto il loro convento è stato
iniziato e per grazia di Dio e bontà e aiuto dello stesso comune sarà completato, il capitano, gli Anziani e i Consoli del
popolo si degnino di visitare personalmente il loro convento
nella festa della Natività della Vergine, lì solennemente celebrata, e consegnino ai frati un’offerta affinché il convento
possa svilupparsi “ad onore di Dio e del comune di Bologna”
e i frati siano tenuti a sollecitare ancora di più con continue
preghiere Gesù Cristo e sua madre la vergine Maria per l’onore e il buono stato della città di Bologna; perciò si autorizza il depositario del comune Gardino a pagare al priore e
ai frati 50 lire di bolognini per la celebrazione della prossima
festa della beata Maria vergine.
(25 agosto) Il Consiglio degli Ottocento e del popolo bolognese, con parere favorevole di 275 consiglieri ratifica e conferma la riforma del precedente 23 agosto e la sua attuazione.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 357358; I, p. 1159-1160.
34) [Tra il 1287 e il 1297], Siena.
Il comune di Siena stabilisce che ai frati Servi della beata Maria vergine, qualora acquistino la casa di Rinaldo da Montirone, la cui vicinanza al convento arreca loro danno e
disturbo, sia concesso un sussidio di 50 lire senesi oppure di
25 lire, perché costruiscano un muro per non essere visti
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FONTI D’ARCHIVIO
dagli abitanti della casa, nel caso in cui i frati non possano
averla a titolo di vendita.
Il comune di Siena, poiché i frati Servi di santa Maria di
Siena rendono molti servigi al comune con le loro case e
sopportano molti fastidi, permettendo che ora e in seguito
vi dimorino gli statutari e gli altri ufficiali nell’esercizio delle
loro funzioni e non avendo essi una casa in cui mangiare o
dimorare, stabilisce di concedere ai frati entro le calende di
settembre e tramite il camerario e i quattro provvisori un
sussidio di 50 lire senesi dal denaro del comune per edificare la loro nuova casa, che non possono completare senza
l’aiuto del comune.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 359360; I, p. 1158.
35) 1289 marzo 21, Oliveto del Mugello.
I frati del monastero di Sant’Antonio di Broilo della diocesi di Bologna, spinti dalla povertà e dalla decadenza causata dalla lunga vacanza sia nello spirituale che nel temporale, desiderando essere in qualche modo sollevati dai molti pesi da cui sono gravati, come pecore che non hanno un
pastore, e dare un più utile governo a sé e al monastero,
confermano unanimemente che il vescovo di Bologna Ottaviano degli Ubaldini unisca e aggreghi il loro monastero
e la loro chiesa a quelli dei frati Servi di santa Maria di
borgo San Petronio di Bologna, dal momento che i frati di
entrambi i monasteri professano la regola del beato Agostino, in modo da essere “un unico ovile e un solo pastore”; Ottaviano, su richiesta dei sindaci dei due monasteri,
i frati Giovanni e Lanfranco del monastero di Sant’Antonio di Broilo e i frati Samuele e Guidalotto del monastero di Santa Maria di borgo San Petronio, confidando
nella legalità e nella prudenza del suo vicario, Leonardo
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canonico di Cesena, gli affida l’incarico di unire con autorità vescovile il monastero e la chiesa di Sant’Antonio con
tutti i suoi possedimenti e diritti al monastero e chiesa di
Santa Maria di borgo San Petronio di Bologna, salvi i diritti spettanti al medesimo vescovo, ai suoi successori e
all’episcopato bolognese.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 367368; I, p. 1218-1219.
36) 1290 marzo 1, Roma.
Nicolò IV, “poiché Dio glorioso gioisce della glorificazione
dei suoi santi e soprattutto della venerazione per la beata
Maria vergine dal momento che Ella, come sua madre, merita di essere collocata nei cieli più in alto degli altri santi”,
rivolgendosi al priore e ai frati del convento dei Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino presso Porta dell’Abate a Viterbo e desiderando che la loro chiesa, costruita ad
onore della beata Maria vergine, sia frequentata con adeguati onori, concede un anno e quaranta giorni di indulgenza a tutti i fedeli che, confessati e pentiti, ogni anno la
visiteranno nelle singole festività della Vergine e negli otto
giorni immediatamente successivi.
Gloriosus Deus
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 83-84; analisi: ibid.,
I, p. 1176.
37) 1290 marzo 21, Roma.
Nicolò IV a tutti i priori e frati dei Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, ad imitazione di Urbano IV e su
richiesta degli stessi frati, concede che possano celebrare capitolo generale ed eleggervi il priore generale, il quale riceva
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FONTI D’ARCHIVIO
dall’Ordinario diocesano di quello stesso luogo, se lontano
più di cinque diete dalla curia Romana, o dal sommo pontefice la conferma della sua elezione e, pendente questa, possa avere uno o più vicari discreti del suo Ordine.
Inducunt nos
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 90-92; analisi: ibid.,
I, p. 1176-1177.
38) 1290 luglio 15, Orvieto.
Nicolò IV, dopo aver dichiarato che “la Vergine, bellissima e
ornata dei fiori di ogni virtù, gloriosa genitrice di Dio, la cui
bellezza il sole e la luna contemplano e dalle cui preghiere il
popolo cristiano è aiutato, ha prodotto con l’ineffabile collaborazione dello Spirito Santo un fiore preziosissimo, immarcescibile ed eterno, il signore Gesù Cristo, per la cui riverenza i luoghi insigniti del titolo della medesima Vergine devono essere venerati dai fedeli cosicché questi, aiutati dai suoi
pii suffragi, meritino di ottenere i premi dell’eterna ricompensa”, desiderando perciò che la chiesa dei frati del convento di Santa Maria di Cafaggio di Firenze dell’Ordine di
sant’Agostino sia frequentata con adeguati onori e confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità dei
beati Pietro e Paolo suoi apostoli, concede un anno e quaranta giorni di indulgenza a tutti i fedeli che, pentiti e confessati, la visiteranno ogni anno nelle singole festività della
beata Maria vergine e di sant’Agostino confessore e negli otto
giorni immediatamente seguenti, nonché nell’anniversario
del giorno della sua dedicazione.
Virgo venustissima
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 92-94; analisi: ibid.,
I, p. 1178.
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39) 1290 agosto 1, Bologna.
Maestro Pellegrino del fu Marco da Piumazzo, rettore della
chiesa di Santa Maria a Piumazzo nella pievania di Monteveglio nella diocesi di Bologna, giacché intende trasferirsi per
due anni al servizio della Terra Santa, dispone dei suoi beni
stando nella chiesa dei Servi di santa Maria di Bologna, ai
quali affida tutti i suoi diritti spirituali e temporali e il giuspatronato sulla chiesa di Santa Maria di Piumazzo fino al
suo ritorno e inoltre, sempre fino al suo ritorno o, nel caso
morisse, in donazione, tutti i suoi libri di logica e di grammatica, il testo e le Glosse e anche le Decretali e quanto di
suo si trovi nella casa di quelli, nonché una botte da venti
corbe e una da nove che si trovano a Piumazzo presso Giovanni Premartini; inoltre agli stessi Servi e agli Eremiti di sant’Agostino di San Giacomo di Bologna lascia sette bisolchi di
terra a Manzolino a titolo di restituzione del salario ricevuto
da loro, cioè 14 lire di bolognini dagli uni e 36 dagli altri.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 383384; I, p. 1215-1216.
40) 1291 [avanti febbraio 22], Urbino.
Il vescovo di Urbino Egidio esorta tutti i fedeli chierici e laici della città e diocesi di Urbino ad acquistare per i frati Servi e devoti della vergine Maria di Sant’Angelo in Vado della
stessa diocesi, i quali vogliono costruire un nuovo convento
presso il ponte di Sant’Angelo o altrove, un calice ed un
messale giacché essi non possono farlo a causa della loro povertà, e concede a tutti coloro che aiuteranno personalmente i frati un’indulgenza di un anno per i peccati veniali e di
quaranta giorni per quelli mortali.
Qui ecclesiam Dei
edizione: Annales OSM, I, p. 85; regesto e documentazione: DAL PINO, I
frati Servi di s. Maria, II, p. 165-166; I, p. 1193.
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FONTI D’ARCHIVIO
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41) 1291 febbraio 13, Orvieto.
43) 1291 agosto 28, Siena.
Fra Michele del fu Michele da Siena del popolo dell’abate
di San Donato, novizio dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, dichiarando di essere stato nell’Ordine per un anno e più, alla presenza del priore generale fra Lotaringo e di tutto il capitolo dei frati di Orvieto riunito a titolo speciale nel coro della chiesa, inginocchiato
umilmente e devotamente davanti all’altare, volendo servire
Dio e santa Maria, non indotto per forza o per inganno ma
per libera scelta e spontaneamente, promette a Dio onnipotente, alla beata Maria sempre vergine, a tutta la curia celeste e anche a fra Lotaringo e ai suoi successori obbedienza,
castità, di vivere senza beni personali e secondo la regola del
beato Agostino tutto il tempo della sua vita nell’Ordine;
quindi fra Lotaringo riceve alla pace fra Michele, il quale,
ormai professo, dà la pace a tutto il capitolo.
Il vescovo di Siena Rinaldo [de’ Malavolti] concede quaranta giorni di indulgenza a tutti i fedeli della sua città e
diocesi che si iscriveranno alla nuova fraternità costituitasi
nella chiesa dei frati Servi di santa Maria di Siena o che si
recheranno nel convento dei frati in tutte le feste della Vergine o vi si riuniranno in processione nelle sue festività solenni o in ogni altra occasione per lodare Dio e la beata Maria vergine e i santi.
Cum ea que
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 390391; I, p. 1192-1193.
Il Consiglio generale del comune approva la proposta del podestà di dare dal denaro della città di Siena, tramite il camerario e i quattro provvisori del comune, 25 lire di denari senesi ai frati e al convento di Santa Maria di Siena a onore e riverenza di Dio onnipotente e della beata e gloriosa vergine Maria madre di Lui come sovvenzione per le spese del loro capitolo generale, attualmente riunito nella medesima città.
Dal capitolo generale fra Lotaringo, per autorità della Sede
apostolica priore generale dei frati Servi di santa Maria
dell’Ordine di sant’Agostino, ai rettori, camerari, consiglieri e membri tutti, presenti e futuri, della congregazione o
società della gloriosa vergine Maria, che si riuniscono presso il convento dei frati Servi della medesima beatissima
Vergine di Orvieto, accorda in perpetuo la partecipazione a
tutti i beni spirituali del suo Ordine, cioè veglie, preghiere,
digiuni, messe e altro, concedendo inoltre che, annunciata
in capitolo generale la morte di qualcuno dei confratelli, si
celebri in loro suffragio il medesimo ufficio solito a compiersi per i frati defunti.
Exigente pie devotionis
originale: Archivio di Stato di Siena, Consiglio generale, b. 41, c. 95 v
(CIPRIANI, La chiesa di San Clemente, II, p. 4).
edizione: Annales OSM, I, p. 167; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, II, p. 169; I, p. 1185.
42) 1291 maggio 30, Siena.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 167;
I, p. 1194.
44) 1292 maggio 9, Città di Castello.
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FONTI D’ARCHIVIO
45) 1293 settembre 3, Firenze.
Il vescovo di Firenze Andrea [de’ Mozzi], dietro richiesta dei
frati, autorizza il priore e sei frati del convento dei frati Servi
di santa Maria di Cafaggio presso Firenze, su licenza dei loro
prelati, ad ascoltare le confessioni di uomini e donne di
qualsiasi condizione della città di Firenze e della pievania di
San Giovanni Fiorentino e ad accogliere alla confessione
tutti gli abitanti della loro convicinia, anche senza il permesso dei loro prelati di notte e in tempo di necessità, e assolverli dai loro peccati.
Pie matris devotio
edizione: Annales OSM, I, p. 168; regesto e documentazione: DAL PINO,
I frati Servi di s. Maria, II, p. 170; I, p. 1196.
46) 1294 febbraio 17 e 18, marzo 10, Sansepolcro.
(17 febbraio) Fra Stefano da Borgo Sansepolcro, priore dei
frati ossia dei Servi dell’Ordine della beata Maria del convento situato nei pressi di Borgo Sansepolcro nella diocesi
di Città di Castello, presentatosi al vescovo di Città di Castello Giacomo lo supplica a nome suo e dei suoi frati di
concedere loro la licenza per edificare un nuovo convento a
Borgo presso le fonti sul terreno un tempo di Riccardino di
Raniero Branca, ad onore e riverenza della beata Maria vergine gloriosa e del beato Andrea apostolo, e di benedirne la
prima pietra e di porla nel detto luogo con l’autorità ordinaria; il vescovo assente alla richiesta e consegna la prima
pietra benedetta al priore, concedendo a questo e al provinciale fra Giacomo da Borgo, assente, la facoltà di porla nel
luogo stabilito a nome del vescovo, non potendo egli farlo
personalmente.
(18 febbraio) Fra Giacomo da Borgo Sansepolcro, priore
provinciale dei “religiosi uomini frati Servi della beata Ma-
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ria”, con l’autorità concessagli dal vescovo Giacomo, soprattutto ad onore e riverenza della beata Maria vergine e del
beato Andrea apostolo, pone con le proprie mani nel giardino e nel terreno dei frati la prima pietra, benedetta dal
vescovo, a fondamento della chiesa dei frati da edificarsi a
Borgo presso le fonti del comune e la porta del ponte.
(10 marzo) Il vescovo di Città di Castello Giacomo chiede
ai fedeli chierici e laici della sua città e diocesi di elargire elemosine e offerte per l’edificazione ed il completamento del
convento e della chiesa che il priore e i frati dell’Ordine
della beata Maria vergine intendono costruire a Borgo Sansepolcro, dopo aver abbandonato quello nei pressi della
città, e concede un’indulgenza di quaranta giorni per i peccati mortali e della quarta parte di quelli veniali a tutti coloro che andranno o manderanno nel convento e nella chiesa
o presteranno aiuto in altri modi per il completamento dell’impresa, ordinando ai prelati e i rettori delle chiese che
nelle domeniche e nelle festività invitino il popolo loro affidato ad aiutare il compimento dell’opera, estendendo anche
a loro la possibilità di elargire quest’indulgenza.
edizione: Annales OSM, I, p. 171, 172-173, 178; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 171, 431-432; I, p. 1199.
47) 1294 giugno 14, luglio 20, Città di Castello.
(14 giugno) Presentatosi al vescovo di Città di Castello
Giacomo si presentano da una parte Santi priore dell’eremo
di Monte Vicchio della stessa diocesi e i frati Deodato e Barnaba, a nome proprio e dei frati Ventura, Benedetto e Signorello assenti, e dall’altra fra Stefano provinciale dei frati
Servi della beata Maria dell’Ordine di sant’Agostino nel Patrimonio del beato Pietro e fra Giacomo vicepriore del convento dei Servi di Borgo Sansepolcro della medesima diocesi, per chiedere di essere uniti e incorporati all’Ordine e alla
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FONTI D’ARCHIVIO
regola del detto provinciale, sottomettendosi al provinciale e al vicepriore che li ricevono a nome del loro Ordine e
specialmente per conto del convento di Borgo, e promettendo di osservare l’ordine, la regola e la vita dei frati Servi
e ricevere da questi la visita, la correzione, la riforma e l’ordinazione e tutto ciò che ricevono i frati dell’Ordine, ed
entrambe le parti concordano che il vescovo le unisca e
sottometta spiritualmente e temporalmente l’eremo con
tutti i suoi diritti e pertinenze al convento di Borgo dei
Servi cosicché il convento e l’eremo siano un unico corpo,
eccetto il priore Santi che vuole rimanere nel secolo come
ora e non essere defraudato della propria rettoria, ma concede ai suoi confratelli Deodato, Barnaba, Ventura, Benedetto e Signorello piena licenza di passare all’Ordine dei
frati Servi e di professare la loro regola; i frati Deodato e
Barnaba subito, alla presenza e con il consenso del priore
Santi, pronunciano la professione nelle mani del provinciale e promettono obbedienza, riverenza manuale, castità
e di vivere senza beni personali secondo l’ordine e la regola dei frati Servi, riservati al vescovo Castellano tutti i suoi
diritti sull’eremo e sulle sue pertinenze.
(14 giugno) Il vescovo di Città di Castello Giacomo, considerata l’utilità e la necessità dell’eremo di Monte Vicchio
e dei suoi frati nonché quella dei frati del convento dei
Servi della beata Maria di Borgo Sansepolcro dell’Ordine
di sant’Agostino della diocesi di Città di Castello e anche
la volontà dei rispettivi priori e frati, unisce l’eremo con
tutti i suoi diritti e pertinenze al convento dei Servi e lo
sottopone a questo nel diritto e nella proprietà spiritualmente e temporalmente, cosicché il priore dei Servi di
Borgo sia il priore, rettore e governatore dell’eremo e delle
sue pertinenze, dopo la morte o la rimozione o la rinuncia
del priore Santi, che non sarà obbligato a ricevere l’ordine
e la regola e non sarà defraudato della propria rettoria del-
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l’eremo, cosicché i frati dell’eremo possano e debbano trarre il necessario per la loro vita dai beni dell’eremo a condizione che, qualora accada che l’eremo vada in rovina o sia
rinnovato, sia riedificato nella parrocchia della chiesa di
Santa Lucia di Buviliano della medesima diocesi e non altrove.
(12 luglio) Il priore dell’eremo di Monte Vicchio, Santi, di
fronte al vescovo di Città di Castello Giacomo nelle case di
Ranaldo di Cambio Baldovini e alla presenza di fra Giacomo
vicepriore del convento dei Servi della beata Maria di Borgo
Sansepolcro della stessa diocesi e di fra Stefano provinciale
del Patrimonio del beato Pietro, concede ai frati Deodato e
Barnaba per loro e per i frati Ventura, Benedetto e Signorello
dello stesso eremo il permesso di passare all’Ordine dei frati
Servi di santa Maria e di professare la loro regola e di vivere
secondo l’abito e le costituzioni dell’Ordine, traendo tutto il
necessario dai beni e proventi dell’eremo; il vescovo, alla presenza e con il consenso di fra Giacomo e di fra Stefano, unisce l’eremo al convento dei frati di Borgo, riservando espressamente la rettoria dell’eremo al priore Santi, e i frati promettono nelle mani del provinciale obbedienza, riverenza, e
pronunciano la professione, come risulta dallo strumento
notarile; Santi da una parte e fra Giacomo dall’altra, affinché
in futuro non possano sorgere discordie, si accordano circa le
terre i cui frutti sono concessi per gli alimenti dei frati che
dimorino nell’eremo, riservando allo stesso Santi tutti gli altri frutti e proventi degli altri possedimenti; inoltre fra Giacomo promette di saldare i debiti dell’eremo; dopo la morte
o la rinuncia di Santi all’eremo o il godimento di un altro
beneficio, tutti i beni a lui riservati saranno liberi da ogni
proprietà e usufrutto.
edizione: Annales OSM, I, p. 175-176; regesto e documentazione: DAL
PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 434-438, 439-440; I, p. 1220-1222.
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FONTI D’ARCHIVIO
48) 1295 luglio 7, Alessandria.
Nella chiesa di Santo Stefano di Borgolio, immediatamente
soggetta alla Chiesa di Alessandria, l’arcidiacono Ascherio
con il consenso dei canonici della cattedrale, accogliendo la
richiesta di quei parrocchiani di cedere “per la riverenza a
Dio e alla beata Maria vergine” la chiesa con i suoi edifici,
possedimenti e diritti ai frati Servi della beata Maria dell’Ordine di sant’Agostino perché vi abitino e vi facciano un
convento per sé, servano la stessa chiesa, la parrocchia e la
vicinia e vi espletino tutti gli stessi servizi assolti consuetudinariamente dai suoi rettori e chierici, salva la disciplina del
loro Ordine, concede la chiesa in oggetto a fra Percivallo
provinciale di Lombardia dei frati Servi e a fra Enrico teutonico, che la ricevono per conto del proprio Ordine, alle
seguenti condizioni: che i frati non possano affidare la chiesa ad altri né disporre dei suoi beni immobili o diritti senza
il consenso dell’arcidiacono e del capitolo; che il convento e
i frati che vi dimoreranno siano tenuti a compiere atto di
riverenza “secondo il diritto della parrocchia” all’arcidiacono e al capitolo, dai quali il loro priore chiederà e riceverà la
cura delle anime rinnovandone la richiesta ogni volta cambi
il priore generale e quello conventuale e solo allora potrà
espletare ogni suo compito nei confronti dei vivi, nelle esequie dei defunti, andando dai malati e dai morti e ogni altro
servizio che il diritto e la cura della parrocchia esigono; che
tre o almeno due frati ogni anno si rechino al divino ufficio
nella chiesa principale nelle solennità del Sabato Santo, del
sabato di Pentecoste, delle veglie dei Vespri, della messa festiva e dei vespri di san Pietro e non si allontanino senza permesso dell’arcidiacono o dell’arciprete sotto pena di una libbra di cera ogni volta; che i frati non possano richiedere alcun rescritto né possano usare lettere contro i predetti obblighi; fra Percivallo e fra Enrico promettono di compiere tutte
queste azioni.
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regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 454455; I, p. 1256.
49) 1297 maggio 3, Orvieto.
Il Consiglio del popolo e dei sette consoli delle sette arti preposti alla difesa del popolo della città di Orvieto, degli altri
consoli delle arti e dei loro consiglieri e degli Anziani del comune, riuniti nel palazzo comunale, in seguito alla richiesta
avanzata dal capitano del popolo Giovanni Arzioni da
Roma per conto dei frati Servi di santa Maria e letta dal notaio Giovanni Massario da Pisa del fu Taddeo, approva che
il capitano e i sette consoli concedano con il denaro comunale un aiuto ai frati per il capitolo generale, in quel momento riunito nel locale convento dei Servi, ratificando in
anticipo quanto essi decideranno in merito.
edizione: R.M. FAGIOLI, Documenti orvietani intorno a tre capitoli generali dell’Ordine dei Servi di Maria, “Studi Storici osm”, 24 (1974), p.
258; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II,
p. 474; I, p. 1238.
50) 1298 marzo 10, Lucca.
Fra Lotaringo, per autorità della Sede apostolica priore generale dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, concede alla badessa del monastero di Santa Maria
del castello di Santa Croce nella valle dell’Arno, nonché alle
monache e alle converse presenti e future dello stesso monastero, la partecipazione ai beni spirituali dell’Ordine, concedendo che, annunciata in capitolo generale la morte di
qualcuna di loro, si celebri in loro suffragio il medesimo
ufficio comunemente riservato ai frati defunti.
Exigente pie devotionis
edizione: TAUCCI, Note documentarie, p. 249; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 178; I, p. 1242-1243.
58
FONTI D’ARCHIVIO
51) 1298 marzo 24, Magdeburgo.
L’arcivescovo di Magdeburgo Burcardo [da Blankenburg]
e i vescovi di Halberstadt Ermanno [da Blankenburg], di
Meissen Alberto, di Naumburg Bruno, di Merseburg Enrico, di Brandeburgo Volrado e di Havelberg Giovanni concedono quaranta giorni di indulgenza a tutti coloro che, con
il consenso dei loro diocesani, si recheranno nel monastero
dei Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino sito
nel luogo detto Rossungen della diocesi di Magonza in tutte
le festività della Vergine gloriosa, dei beati apostoli Pietro e
Paolo, Giovanni, Andrea, dei beati martiri Maurizio e compagni, del beato Nicolò, nelle loro ottave nonché nella dedicazione della chiesa e vi ascoltino la predicazione della parola di Dio ogniqualvolta viene seminata o offriranno con i
loro beni un aiuto al convento in vita o nel testamento o vi
eleggeranno in futuro sepoltura.
Virgo venustissima
edizione: RACKWITZ, Urkunden des Servitenklosters, I, p. 9; regesto e
documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 179; I, p.
1268-1269.
2 - REGESTI ♦♦♦
59
confermando le indulgenze già concesse dagli arcivescovi e
dai vescovi.
Cum fratres
edizione: RACKWITZ, Urkunden des Servitenklosters, I, p. 8; regesto e
documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 181-182; I,
p. 1268-1269.
53) 1299 gennaio 18, Laterano.
Bonifacio VIII, rispondendo alle giuste richieste del priore
provinciale e dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine di
sant’Agostino nella provincia di Germania, conferma con
autorità apostolica a loro e, tramite loro, allo stesso Ordine
tutte le libertà ed esenzioni dalle esazioni secolari, già concesse loro e al loro Ordine da re, principi e altri fedeli.
Iustis petentium desideriis
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 121; analisi: ibid., I,
p. 1245.
54) 1299 aprile 6 e 7, Firenze.
52) 129[8 ?] agosto 6, Fritzlar.
L’arcivescovo di Magonza Gerardo, arcicancelliere del sacro Impero in Germania, chiede agli abati, badesse, priori, preposti, arcidiaconi, pievani, vicepievani e rettori di
monasteri, chiese e cappelle della sua diocesi di accogliere
benevolmente ed aiutare i frati del Paradiso dei Servi di
santa Maria dell’Ordine del beato Agostino, che servono
Dio vivendo del lavoro delle loro mani, quando giungano
da loro per chiedere le elemosine dei fedeli, e a tutti quelli che elargiranno loro delle offerte e assegneranno qualcosa nel testamento concede quaranta giorni di indulgenza,
Il Consiglio dei Cento del popolo fiorentino, riunito il 6
aprile nella chiesa di San Pietro Scheraggio su mandato del
capitano del popolo e del comune di Firenze Nerio della
Torre da Orvieto; e il Consiglio speciale del capitano e delle
capitudini delle dodici arti maggiori della città e, subito dopo, il Consiglio generale e speciale del capitano e del popolo e delle capitudini delle arti, con il consenso dei priori delle arti e del vessillifero di giustizia, fatta dal capitano la proposta e la riforma nel dovuto modo e ordine; infine, il 7
aprile, il Consiglio generale dei Trecento e quello speciale
dei Novanta del podestà e del comune di Firenze e dei prefetti delle arti, riuniti nel palazzo comunale su mandato del
60
FONTI D’ARCHIVIO
podestà Monfiorito da Coderta, confermano che i camerari del comune di Firenze presenti e futuri paghino con il
denaro del comune, tra le altre spese, 400 lire di fiorini nei
prossimi quattro anni a partire dalle prossime calende di
maggio per ampliare la piazza della chiesa dei frati Servi di
santa Maria di Cafaggio di Firenze in onore del signore
Gesù Cristo e della beatissima Maria sempre vergine e a
decoro della città e ad utilità delle singole persone e in aiuto
all’acquisto del terreno, consegnando a maggio di ogni anno
cento lire al priore o al sindaco del convento.
edizione: SOULIER, De antiquitate imaginis, p. 50-51; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 505-506; I, p.
1278.
55) 1299 aprile 11, Foligno.
Il priore, il camerario, i consiglieri e tutti i membri della fraternità di santa Maria della Prece del convento dei Servi
della beata Maria della chiesa di San Giacomo di Foligno
rendono compartecipi dei beni spirituali il priore, il camerario, i consiglieri e tutti i membri della Società dei Raccomandati della Disciplina di Gesù Cristo crocifisso dell’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, per la riverenza
verso Dio onnipotente e verso sua madre la gloriosa vergine
Maria, che pregano umilmente come loro liberatore e loro
interceditrice, e anche per il paterno amore verso il loro pio
padre fra Francesco, priore del locale convento dei Servi.
Sicut scriptum est
edizione: [P. M. SOULIER], Beati Francisci Senensis genus, vitae series, biographi, in Monumenta OSM, V, Bruxelles 1902, p. 126-127; regesto e
documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 185; I, p.
1276.
2 - REGESTI ♦♦♦
61
56) 1300 agosto 6, Pistoia.
Fra Andrea da Borgo Sansepolcro priore generale dei frati
chiamati Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino,
e tutti i frati, dimoranti a Pistoia per celebrare il capitolo
generale e ora riuniti nella chiesa di Santa Maria su mandato dello stesso generale, unanimemente e concordemente
con questo nominano i frati Lamberto da Prato, provinciale di Romagna, e Bonaventura da Pistoia, priore del convento di Bologna, presenti, e Angelo da Montepulciano,
assente, procuratori ossia sindaci per tutto l’Ordine nella
città e diocesi di Bologna e nel suo distretto per tutte le evenienze e specialmente nella causa in corso circa l’assegnazione all’Ordine del monastero di Sant’Elena.
I frati riuniti in capitolo generale sono: fra Pietro da Alessandria priore provinciale di Lombardia, fra Galgano da
Lucca priore del convento di Forlì, fra Bene priore del convento di Arezzo, fra Macario da Castello priore del convento di Sant’Angelo in Vado, fra Gentile da Todi priore del
convento di Todi, fra Bartolomeo da Cesena priore del convento di Cortona, fra Francesco da Pistoia priore del convento di Lucca, fra Matteo da Bologna priore del convento
di Sant’Antonio, fra Martino da Città di Castello priore del
convento della stessa città, fra Deodato da Borgo Sansepolcro priore del convento di Città della Pieve, fra Adriano da Assisi priore del convento di Siena, fra Buono da Firenze priore del convento di Montepulciano, fra Albertino da Forlì
priore del convento di Sant’Ansano, fra Nicola da Borgo
Sansepolcro priore del convento di Cesena, fra Giovanni da
Gubbio priore del convento di Viterbo, fra Angelo da Todi
priore del convento di Perugia, fra Girolamo da Borgo Sansepolcro priore del convento della stessa città, fra Giovanni
da Firenze priore del convento di Pistoia, fra Tebaldo da
Borgo Sansepolcro priore del convento di Orvieto, fra Michele da Castello, fra Rainaldo da Borgo Sansepolcro, fra
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FONTI D’ARCHIVIO
Guglielmo da Alessandria, fra Giacomo da Siena, fra Gerardo da Milano, fra Gerardo da Milano [sic], fra Silvestro da
Siena, fra Ermanno teutonico, fra Arrigo teutonico, fra Giovanni teutonico, fra Zenobio da Firenze, fra Vincenzo da
Vicenza, fra Bartolomeo da Pistoia, fra Giovanni della
Lunigiana, fra Fermentino da Milano, fra Benedetto da Firenze, fra Nicola da Siena, fra Bartolo da Borgo Sansepolcro, fra Nerio da Arezzo, fra Bernarduccio da Siena, fra Benincasa da Città della Pieve, fra Angelo da Firenze, fra Cambio da Firenze, fra Angelo da Orvieto, fra Sostegno da Firenze, fra Petrino da Siena, fra Marco da Prato, fra Stefano
da Siena, fra Benedetto da Prato, fra Francesco da Firenze.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 545547; I, p. 1248.
2 - REGESTI ♦♦♦
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(1233-1317 ca.), “Studi Storici OSM”, 17 (1967), p. 47; regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 575-576; I, p.
1274.
58) 1303 aprile 6, Firenze.
Orrevole, moglie del fu Tano [Dal Pino], che abita nel popolo di San Lorenzo a Firenze, stando nella sua casa presso
la porta del borgo di San Lorenzo detta il suo testamento
nuncupativo nel quale, tra gli altri legati, lascia 5 lire agli
eremiti o fraticelli di Monte Asinaio e 11 lire ai frati Servi di
santa Maria di Firenze per cantare le messe.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 581582; I, p. 1271-1272.
57) 1302 giugno 23, Firenze.
Diana, moglie del fu Davanzato [Briccaldelli], volendo costantemente provvedere alla salvezza della propria anima e
dedicare tutto il resto della sua vita all’ossequio di Gesù
Cristo e della beata Vergine sua madre e inoltre correggere le
sue colpe, di sua libera e spontanea volontà e dopo lunga
decisione e con il consenso del suo mundualdo, davanti
all’altare della beata Vergine nella chiesa di Cafaggio, alla presenza di fra Francesco priore dei frati Servi di santa Maria di
Cafaggio e di fra Giovanni Pesci sindaco e procuratore dello
stesso capitolo, offre nelle loro mani e dona a Dio onnipotente e alla beata Vergine gloriosa l’anima sua e il suo corpo
alla chiesa come conversa con tutti i suoi beni mobili e
immobili; il priore e fra Giovanni ricevono Diana come conversa loro e del loro capitolo, rendendola partecipe di tutti gli
uffici divini e delle messe che ogni giorno sono celebrate nel
loro convento e chiesa a lode di Dio e della vergine Maria.
edizione: Annales OSM, I, p. 198; edizione parziale: A.M. DAL PINO,
Madonna santa Maria e l’Ordine dei suoi Servi nel 1° secolo di storia
59) 1303 aprile 8, Firenze.
Miliana, moglie del fu Dino, nel suo testamento lascia al
convento dei Servi di santa Maria di Cafaggio 25 lire di fiorini piccoli, denaro che aveva ricevuto in prestito dal priore
e dal convento, delle quali 10 lire siano usate per far dipingere l’immagine della beata vergine Maria sul sepolcro fatto
fare per sua madre e per se stessa e le altre 15 per l’ornamento della chiesa o per l’infermeria dei frati o per l’utilità
dei frati infermi del convento.
edizione del regesto delle Ricordanze del convento di Firenze (12951332): E. M. CASALINI (a cura di), Ricordanze di Santa Maria di Cafaggio (1295-1332), in CASALINI E. M.-DINA I.-IRCANI MENICHINI P., Testi
dei “Servi della Donna di Cafaggio”, Firenze 1995, p. 90-91; regesto e
documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 582-583.
64
FONTI D’ARCHIVIO
60) 1304 febbraio 11, Laterano.
Benedetto XI, rivolgendosi al generale e a tutti i frati dei
Servi di santa Maria, riconosce che il loro Ordine appartiene all’Ordine di sant’Agostino, che hanno osservato secondo le pie e oneste istituzioni della propria regola edite in
onore della beata Maria vergine gloriosa, per la quale
l’Ordine nutre una particolare devozione e perciò ha assunto in proprio l’umile titolo di “servi della Vergine”, e quindi si trova in armonia con quanto stabilito dai concili
Lateranense IV e Lionese II e può considerarsi in certo modo già approvato dalla Sede apostolica grazie alla concessione dei privilegi di tenere capitolo generale e di eleggervi il
priore generale, il quale ha sui frati dell’Ordine il potere di
correzione e quant’altro spetta al suo incarico, e di ricevere
alla sepoltura i fedeli che lo richiedano; in nome della propria personale devozione alla Vergine “signora nostra” e contro qualsiasi attacco contro l’Ordine, da alcuni ritenuto non
convalidato, e contro ogni dubbio conferma e approva la
loro regola e le loro istituzioni, impegnandoli ad osservarle
inviolabilmente nei tempi futuri.
Dum levamus
edizione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 131-136; analisi:
ibid., I, p. 1291-1295.
2 - REGESTI ♦♦♦♦
65
♦♦♦♦ Negli anni che seguono l’approvazione del 1304 e si
concludono con i diretti interventi di Clemente VI nella nomina di due priori generali e nella riforma relativa agli organismi di governo dell’Ordine, questo, come già detto, gode
di una fase di grande espansione in vari settori non interrotta neppure dalla crisi di autorità degli anni 1334-1344.
Gli atti qui scelti confermano e sviluppano elementi già rilevati nel periodo precedente e ne aggiungono dei
nuovi. Le oblazioni, che si esprimono ora con formule che
esplicitano i voti religiosi, la regola abbracciata, la dipendenza dal priore generale, configurano l’appartenenza ad un
vero terz’Ordine. Le Società delle Laudi annesse a chiese dei
Servi e compartecipi dei loro beni spirituali si impegnano
talvolta in attività ospedaliere. I rapporti con monasteri
femminili, già notevoli nel caso di quello di sant’Agnese di
Montepulciano, sono più chiaramente esplicitati nel progetto del 1327 di un monastero di vergini dell’Ordine di
santa Maria legato al convento dei Servi di Firenze. Le donne devote che frequentano e beneficano le loro chiese o vogliono indossarne l’abito al momento della morte, trovano
riconoscimento ufficiale da parte dell’Ordine nella lettera di
partecipazione dei beni spirituali o di fraternità concessa da
fra Pietro da Todi a Guiduccia Falconieri nel 1323. I rapporti con le autorità comunali continuano ad implicare da
parte di queste protezione, partecipazione a festività importanti delle chiese locali (festa del beato Gioacchino a Siena),
impegno per facilitarne l’accesso, come a Firenze; ad esse si
aggiungono i favori, sempre motivati dalla riverenza e dall’affetto verso la beata Vergine con cui i frati si identificano,
dell’imperatore Ludovico di Baviera, di Filippo VI di Francia, degli Scaligeri a Verona. Anche i rapporti con il clero locale rimangono spesso eccellenti: a Città di Castello, nel
1306, il vescovo Ugolino impegna i propri beni ereditari
per facilitare lo spostamento del locale convento dei Servi
all’interno della città; a Siena, nel 1310, il chiericato dell’e-
66
FONTI D’ARCHIVIO
piscopato senese si fa rappresentare da due frati dei Servi in
curia romana; vari vescovi favoriscono al massimo i nuovi
insediamenti dell’Ordine, mentre non mancano altri che
assumono posizioni negative in contese di vicinato.
Elementi di novità, importanti anche dal punto di
vista spirituale, sono espressi dal fiorire della santità nell’Ordine e dei primi santuari mariani, o legati proprio ai dissidi
insorti in seguito a spostamenti di conventi all’interno delle
città o a nuovi insediamenti. In questo, che è il periodo delle
legendae agiografiche, la traslazione delle reliquie di san Filippo Benizi a Todi nel 1317 e il culto al beato Gioacchino a
Siena attestato dal 1320 sono significativi dell’importanza data dall’Ordine e dalla società locale alle figure esemplari e di
intercessione dei suoi santi e beati. Sul piano del culto alla
Vergine, il verificarsi di segni taumaturgici presso l’immagine
della santissima Annunziata di Firenze non è che il manifestarsi di una lunga inseminazione derivata dalla presenza e
dall’attività apostolica dei Servi della Madre del Signore vista
quale inizio dell’Incarnazione. L’espansione dell’Ordine e una
sua più diffusa e immediata presenza sono stati occasione talvolta di dissidi ma anche di ulteriori passi nella precisazione
dei suoi compiti e del suo posto nella Chiesa. Dalla ribadita
posizione della sua non mendicanza si passa, da parte dello
stesso, delle autorità ecclesiastiche diocesane o legatizie e
anche di quelle civili, all’indicazione dei compiti e attività ad
esso concesse o riconosciute: predicazione dentro e fuori delle
loro chiese comprese adunanze pubbliche, confessioni e sepolture dei fedeli, diritto di ricorrere alla questua dato che i
loro conventi non hanno mezzi sufficienti di sostentamento.
Questi connotati, rilevati in particolare in alcune fondazioni
(Reggio Emilia, Venezia, Nordhausen) e che assimilano i Servi della Vergine quasi del tutto agli Ordini detti Mendicanti,
stanno ad indicare l’aspetto più appariscente della loro attività
che solo evidentemente l’impegno personale e conventuale
può aver reso feconda.
2 - REGESTI ♦♦♦♦
67
61) 1304 agosto 6, Bologna.
Borgo del fu Manetto e la moglie Buonamente, figlia del fu
Gerardo, entrambi della cappella di San Biagio di Bologna,
stando nella chiesa dei frati Servi di santa Maria di Bologna
alla presenza del provinciale fra Pietro, pensando alla beata
vergine gloriosa Maria e ai suoi servi e devoti, donano in
perpetuo a fra Adriano priore del convento dei Servi di santa Maria di Bologna di borgo San Petronio un appezzamento di terra vignata posta a Guardia della città di Bologna nel
luogo detto Camaldoli, un secondo appezzamento di terra
arativa posta a Villa Cadriani con la metà di una casa e una
casa posta a Bologna in borgo San Petronio con tutti i loro
diritti, il cui valore è stato stimato in 150 lire di bolognini,
a condizione che: in vita Borgo e Buonamente abbiano tutti
i redditi dei loro possedimenti; dopo la morte di Borgo,
Buonamente abbia due terzi dei redditi dei beni e i frati la
terza parte e il priore sia tenuto a dare a Borgo, per tutto il
tempo della sua vita, vitto e vestito nelle case dei frati e a
trattarlo come uno dei frati e la detta Buonamente alla sua
morte possa lasciare il suo letto, cioè il pagliericcio, il materasso, il cuscino, la coperta, le lenzuola e tutti i suoi panni
de dorso di lana e di lino; nel caso Buonamente muoia prima
di Borgo, il godimento dei frutti dei beni e dei diritti nominati rimanga a discrezione del priore generale, pur restando
al priore e ai frati la proprietà dei beni e i loro diritti; Borgo
e Buonamente promettono di pagare tutti gli oneri imposti
ai beni e il priore sia tenuto a dare loro avvocati e divisori a
spese del convento.
regesto e documentazione: DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, II, p. 606608.
68
FONTI D’ARCHIVIO
62) 1306 febbraio 5, Perugia.
Il vescovo di Città di Castello Ugolino [Gualterotti], con
atto notarile confermato il seguente 4 luglio dal cardinale
legato di Sant’Adriano Napoleone [Orsini] e inserito nella
lettera Cum a nobis, concede che i Servi di santa Maria
dell’Ordine di sant’Agostino della stessa città, per evitare le
gravi molestie cui sono esposti, si spostino dal vecchio convento fuori Porta Sant’Andrea a quello che sorgerà all’interno della città in un terreno che il vescovo stesso ha ricevuto in eredità con i fratelli dal padre Gualterotto e che
dona ai frati attraverso il loro procuratore fra Macario; concede inoltre ad un certo Tartarino e agli enti ecclesiastici
contigui la possibilità di cedere a quei frati parte dei loro
possedimenti, promettendo loro di costruire sul terreno e
sulle casaline donate un nuovo convento, una chiesa, officine e case, di celebrare i divini uffici, di amministrare i
sacramenti, di avere un cimitero e di godere degli altri privilegi e immunità come nel precedente luogo, continuando a pagare come censo una sola libbra di cera l’anno.
edizione: Annales OSM, I, p. 213-216 (MONETTI, Vescovi diocesani e frati
Servi, II, p. 3-14, n. 3; FRANCHINI, Cardinali legati e frati Servi, p. 186193 n. 8).
63) 1306 giugno 15, Imola.
Napoleone [Orsini], cardinale diacono del titolo di Sant’Adriano e legato della Sede apostolica, erige in convento per
i frati Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino la
chiesa di San Giuseppe di Borgo Galliera di Bologna, avente cura d’anime, dotandola dei medesimi privilegi del convento di Sant’Elena, già appartenuto all’Ordine di san Benedetto e poi passato agli stessi Servi di santa Maria.
Inter solicitudinis nostre
2 - REGESTI ♦♦♦♦
69
edizione: Annales OSM, I, p. 212-213 (FRANCHINI, Cardinali legati e frati
Servi, p. 183-185, n. 7); regesto: A. M. DAL PINO-O. J. DIAS, Registro
d’entrata e uscita del generalato di fra Andrea Balducci da Sansepolcro
(1305-1306), Firenze 1969, p. 36.
64) 1306 agosto 8 e settembre 23, Montepulciano.
(8 agosto) Fra Bonaventura da Pistoia, priore del convento
dei frati Servi di santa Maria di Montepulciano, che il 31
luglio il vescovo di Arezzo Ildebrandino aveva incaricato di
porre la prima pietra benedetta nel fondamento della chiesa
che le suore Agnese, Caterina, Daniela, Lucia, Mattia, Cia e
Margherita da Montepulciano volevano edificare ad onore e
riverenza della beata Vergine gloriosa sul poggio fuori Porta
di Gracciano presso la casa dei poveri del comune di Montepulciano, nonché di ingiungere alle suore di eleggersi una
badessa idonea e di riceverne la professione secondo la regola di sant’Agostino, ammette appunto alla professione le stesse suore le quali, nel loro oratorio, promettono stabilità di
luogo, obbedienza e riverenza al suddetto fra Bonaventura
priore, in luogo del vescovo, e di vivere senza niente di proprio secondo la regola del beato Agostino in continenza e
castità, baciando poi sia il priore sia le suore il libro che egli
teneva in mano e ponendo quelle le proprie mani giunte in
quelle del priore; le suore rinunciano poi, singolarmente,
all’anno di prova e ai diritti annessi. Successivamente fra
Bonaventura, sempre da parte del vescovo, ingiunge alle stesse di eleggersi una badessa capace di governarle spiritualmente e corporalmente, presentando poi i risultati dell’elezione al vescovo Ildebrandino.
(23 settembre) Le suore Caterina, Margherita, Daniela,
Mattia e Lucia, che costituiscono il capitolo del monastero
di Santa Maria Novella di Montepulciano, notificano con
lettera al vescovo che, dopo la fondazione del monastero e
la professione nelle mani di fra Bonaventura, priore dei
70
FONTI D’ARCHIVIO
Servi di santa Maria di Montepulciano, che l’ha ricevuta a
nome dello stesso vescovo, per via di scrutinio risultando
che due parti e oltre di loro hanno scelto come badessa suor
Agnese, una delle monache del monastero, provvida e circospetta, dichiarata poi eletta da suor Margherita; ne chiedono ora la conferma attraverso fra Pietro, loro procuratore
presso il vescovo. La lettera inviata al vescovo era sigillata
con il sigillo del monastero in cera verde, raffigurante nel
centro la vergine Maria eretta all’interno di un seggio, recante nella mano sinistra un libro e poggiando la destra sul
petto e tenendosi alquanto china quasi timorosa, un angelo
pure eretto recante nella sinistra un giglio e protendendo la
destra distesa verso l’immagine della Vergine come salutandola, e una monaca velata e ammantellata inginocchiata e a
mani giunte ai piedi della stessa Vergine come pregando, e
con la dicitura tutt’intorno: “(Segno) del monastero di Santa Maria Novella di Montepulciano sul poggio fuori Porta
di Gracciano”.
2 - REGESTI ♦♦♦♦
71
Scala, II, p. 108-110, n. 1; regesto: CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa
Maria nel Veneto, p. 285).
66) 1308 aprile 28, Orvieto.
Il Capitano del Popolo Tommaso da Recanati propone al
Consiglio comunale, che l’approva, la richiesta dell’inquisitore di correggere quelle disposizioni statutarie contrarie alla
libertà dei chierici. Inoltre il Consiglio accoglie la proposta
di Pietro di Andrea Falastate giudice, uno dei consiglieri, di
porre sotto la protezione del comune sia i frati degli ordini
di san Francesco, san Domenico, sant’Agostino e dei Servi
di santa Maria sia anche il clero della città e del contado,
perché, secondo gli statuti della carta del Popolo, non è punibile chi molesti le persone non sottoposte alla giurisdizione comunale.
edizione parziale: CAPONERI-RICCETTI, Archivi di Orvieto, p. 18, n.
2.2.16.
edizione parziale: TAUCCI, Il convento di S. Maria di Montepulciano, p.
44-46.
67) 1308 agosto 23, Siena.
65) 1306 ottobre 12, Bologna.
Il dottore in decreti Giovanni d’Andrea, su richiesta dei frati
Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, dichiara
che, professando essi la regola di sant’Agostino che permette di avere possedimenti e redditi, sebbene qualche convento di fatto mendichi, non sono tenuti ad osservare quanto
disposto da Bonifacio VIII nel privilegio Ad consequendam in
favore degli Eremiti di sant’Agostino e quindi possono erigere o acquisire una chiesa, un monastero o un oratorio già
edificato entro lo spazio di 140 canne di distanza da un altro
convento Mendicante.
originale: Archivio di Stato di Verona, Santa Maria dei Servi, pergg., b.
7, codicillo, alla data (trascrizione: DAL POZZOLO, Santa Maria della
Il vescovo di Siena Ruggero [da Casole dei frati Predicatori]
prescrive che d’ora in avanti non si costruiscano da parte di
Ordini Mendicanti, o comunque dediti alla questua, chiese, monasteri di donne e oratori a meno di 140 canne dal
locale convento dei Servi della beata Vergine.
Sacre ac fructuose
edizione: Annales OSM, I, p. 399-400 (MONETTI, Vescovi diocesani e frati
Servi, II, p. 31-33, n. 8); regesto: DAL PINO, I Servi di Maria a Verona,
p. 439 nota 11.
72
FONTI D’ARCHIVIO
68) 1310 marzo 19, Siena.
Grazia di Gerardo, vedova di Rubino, fa testamento e per la
propria anima lascia a fra Francesco dell’Ordine dei frati dei
Servi, suo fidecommissario, 40 soldi di denari senesi e 20 soldi a fra Bernardo di Nuccio; per la propria anima e per quella di Rubino devolve poi al convento dei frati dei Servi per
gli infermi ivi ospitati un paio di lenzuola sue tra le migliori, un materasso, il capezzale di piume e la coltre del proprio
letto, nonché la terza parte di una sua casa, eleggendo lo stesso convento e i frati come propri eredi e fra Francesco Arrighetti dell’Ordine dei Servi e ser Sano Vivoli pievano di
San Giovanni di Siena come suoi fidecommissari.
originale: Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Biblioteca pubblica,
alla data.
69) 1310 novembre 20, Siena.
Giacomo, pievano della pieve di Bozzone, quale priore di
tutto il chiericato dell’episcopato senese e con il consenso
dei rappresentanti del Consiglio canonico, riuniti capitolarmente nell’episcopio, e di Giovanni, pievano della pieve di
Murlo della diocesi di Siena e vicario del vescovo Ruggero,
dà mandato a due frati dei Servi, Francesco di Donato, assente, e Bernardo di Nuccio, presente, di rappresentarlo per
trattare tutte le cause riguardanti la Chiesa senese presso la
curia di papa Clemente V e nell’udienza pubblica dello stesso e in qualunque altra curia ecclesiastica o secolare.
originale: Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Biblioteca pubblica,
alla data.
70) 1313 giugno 29, Reggio Emilia.
Il vescovo di Reggio Guido [da Baisio] concede a fra Francesco, priore della casa, del convento e della congregazione
2 - REGESTI ♦♦♦♦
73
dei frati dell’Ordine dei Servi di santa Maria e agli stessi frati
di poter edificare un pubblico oratorio nella sua città e diocesi dovunque vorranno e di potervi erigere altari, predicare, celebrare pubblicamente i divini uffici e tenere una o più
campane da suonare quando ai frati parrà opportuno, ad
uso loro o per convocare le persone alla celebrazione dei divini uffici e per la parola di Dio, fatto salvo il diritto della
chiesa parrocchiale.
originale: Archivio di Stato di Modena, Corporazioni soppresse, Reggio
Emilia, Convento dei Servi, filza 2463, n. 5 (MONETTI, Vescovi diocesani
e frati Servi, II, p. 44-46, n. 12); regesto: DAL PINO, I Servi di Maria a
Verona, p. 439 nota 12.
71) 1313 ottobre 14, Città della Pieve.
Al rinnovo della lega tra Perugia e Orvieto assistono come
testimoni sei frati dell’Ordine dei Minori, sei degli Eremiti
di sant’Agostino e sei dei Servi di santa Maria, nominatamente i frati Angelo e Andrea da Castel della Pieve, Clemente, Nicola e Filippo da Perugia e Bartolo da Spello.
edizione parziale: CAPONERI-RICCETTI, Archivi di Orvieto, p. 4, n. 1.7.
72) 1314 agosto 11, Siena.
Il Consiglio comunale approva la proposta del podestà di
offrire in perpetuo ogni anno un cero di 20 libbre di peso
alle chiese di Sant’Angelo di Postierla, Sant’Agostino, Santa
Maria di Belverde, Santa Maria dei Servi e all’ospedale di
Santa Maria nel giorno delle feste dei rispettivi santi e di
sospendere con l’autorità del presente consiglio le disposizioni in contrario. Si aggiunge che il camerario del comune
deve assicurarsi che i ceri non siano venduti dai rettori delle
dette chiese o da chiunque altro.
regesto: CAPONERI-RICCETTI, Archivi di Orvieto, p. 22-23, n. 2.2.35.
74
FONTI D’ARCHIVIO
73) Entro 1314 e 1315, Gebichenstein.
L’arcivescovo di Magdeburgo Burcardo [da Blankenburg]
concede quaranta giorni di indulgenza a quanti concorreranno con elemosine al restauro delle cappelle di Santa
Maria vergine e di San Giacomo, site sotto la rupe presso la
Saale e sotto il castello di Gebichenstein, e della casa adiacente dove abita fra Ermanno dei Servi di santa Maria.
Nel 1315 lo stesso arcivescovo dal medesimo luogo concede quaranta giorni di indulgenza a coloro che si recheranno
alla dedicazione delle medesime cappelle o del reclusorio
presso Gebichenstein.
regesto: SOULIER, Chartae monasterii Hallis, p. 159.
74) 1315 giugno 20, Gebichenstein.
L’arcivescovo di Magdeburgo Burcardo [da Blankenburg],
scrivendo al clero della sua diocesi, dopo aver rilevato come
“la gloriosa e intemerata vergine Maria ha ottenuto da Dio
una prerogativa speciale di grazia estensibile a quanti attendono a lodarla e a ossequiarla e che, per tale motivo, dietro
richiesta dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine di
sant’Agostino, Benedetto XI ne ha approvato e confermato
l’Ordine con sue lettere espresse”, concede agli stessi frati, i
quali mancando del necessario sono costretti a chiedere la
beneficenza dei fedeli, di potere andare elemosinando nel
territorio della sua diocesi di porta in porta, ascoltare le confessioni, seminare la parola di Dio sulla pubblica piazza e in
chiesa ed elargire un’indulgenza di quaranta giorni a quanti, ascoltandoli, si pentiranno; chiede perciò a coloro che
leggeranno questo suo scritto di accogliere e sostenere detti
frati conseguendone la resurrezione divina e permettendo
agli stessi di portare frutti abbondanti ad onore di Dio.
Sicut gloriosa
2 - REGESTI ♦♦♦♦
75
edizione: SOULIER, Chartae monasterii Erfordiensis, p. 136-137
(MONETTI, Vescovi diocesani e frati Servi, II, p. 66-68, n. 22).
75) 1316 giugno 16, Venezia.
Accorso, preposto di Pistoia e vicario generale del vescovo di
Castello Giacomo [Albertini], concede a fra Francesco dei
frati Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, procuratore del priore generale fra Pietro da Todi, vista la copia
della lettera di approvazione della regola e delle istituzioni
dell’Ordine da parte di Benedetto XI, il permesso di edificare ed avere nella città e diocesi di Castello in luoghi propri
un oratorio pubblico, di costruirvi degli altari, di predicarvi
e celebrarvi pubblicamente i divini uffici, di avere e suonare una o più campane, salvi i diritti della chiesa parrocchiale in cui l’oratorio sarà costruito.
edizione: CASAROTTO-SUÁREZ, La prima fondazione, p. 14-16, n. 1;
regesto: BRANCHESI-PIN, Catalogo della mostra, p. 71 (CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, p. 332-333, n. I/5).
76) 1316 ottobre 29, Lucca.
Gli Anziani del comune di Lucca, in numero di dieci, col
consenso del nobile Castruccio Antelminelli capitano della
città, stabiliscono che tutti i privilegi e le immunità concessi in passato dal comune e dal clero della città al priore, al
capitolo e convento dell’Ordine dei Servi di santa Maria di
Lucca dimoranti nella chiesa di San Michele detta de Advocatis, scritti dal cancelliere del comune, rimangano in
vigore e che quei frati non possano essere molestati da alcun
rettore o ufficiale dello stesso comune.
copia: Arch. Gen. OSM, Annalistica Soulier, inserto Conventus, Lucca;
regesto: DAL PINO, I Servi di Maria a Verona, p. 439 nota 5.
76
FONTI D’ARCHIVIO
77) 1316 novembre 26 [venerdì], Venezia.
Fra Francesco, prete e dell’Ordine dei frati Servi di santa
Maria da più di dieci anni, costituito sindaco dell’Ordine
dal priore generale, a nome di tutto l’Ordine celebra su un
altare portatile la prima messa, che è quella di santa Maria,
nel nuovo oratorio del priore, dei frati o dell’Ordine dei
Servi in contrada San Marcilian di Venezia, alla presenza di
Benedetto di Nuccio notaio, di ser Graziadio del fu Bon
della contrada di Santa Fosca, di Marco di ser Nascimbene
Rosso della contrada di Santa Maria Maddalena di Venezia,
di Buono di Filippo, di Bonaccorso del fu ser Bernardo, di
Feo di Tedaldo, di Rosso del fu Diotisalvi tutti di Firenze
ma abitanti a Venezia, e con l’aiuto dei frati Ilario da Parma,
Angelo Pero e Andrea Sozzo da Siena tutti dell’Ordine dei
Servi da più di quattro anni.
edizione: CASAROTTO-SUÁREZ, La prima fondazione, p. 17-18, n. 2;
regesto: BRANCHESI-PIN, Catalogo della mostra, p. 72 (CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, p. 333-334, n. I/8).
78) 1317 gennaio 10, Avignone.
Giovanni XXII incarica il vescovo di Foligno di risolvere la
controversia sorta tra il priore e il convento dei frati Servi
di santa Maria di Perugia dell’Ordine di sant’Agostino,
che si sono appellati alla Sede apostolica giacchè l’Ordinario diocesano si rifiuta di ascoltarli, e la priora e il
convento di Santa Maria delle Vergini, pure di Perugia,
viventi secondo le istituzioni e sotto la cura dell’Ordine
dei frati Predicatori, le quali in forza del privilegio delle
140 canne, concesso da Bonifacio VIII nei riguardi degli
ordini fondati in povertà e in favore delle chiese dei frati
Predicatori, poi esteso da Benedetto XI alla medesima
priora e al suo convento, hanno chiesto al vescovo di Perugia, conservatore dei privilegi dell’Ordine dei Predicato-
2 - REGESTI ♦♦♦♦
77
ri, di obbligare i primi a lasciare la loro casa, mentre questi sostengono che tale divieto non li riguarda, essendo loro permesso dalla regola e dalle costituzioni di acquistare
e tenere possedimenti, come di fatto hanno.
Sua nobis
edizione: O. J. DIAS (a cura di), Bolle pontificie dell’Archivio generale OSM
dal 1224 al 1414, Roma 1969 (Archiva ordinis Servorum. Documenta,
2), p. 65-66, n. 15.
79) 1317 giugno 10 (o 12), Todi.
I frati del convento di Todi, volendo trasferire le spoglie di
fra Filippo Benizi, invitano il vescovo della città e molto
clero e avvisano la popolazione tramite dei banditori, che si
raduna numerosa per l’occasione. Mentre trasferivano il
corpo del confratello dalla tomba ad un bellissimo altare,
all’improvviso un intenso profumo si diffonde nella chiesa e
per tutta la città e tutte le immagini lì esistenti si voltano
verso l’uomo santo.
edizione: Vita vel legenda beati Philippi Servorum beate virginis Marie, in
S. Filippo Benizi da Firenze (1233-1285) dei Servi di santa Maria, a cura
di P. M. BRANCHESI, Bologna 1985, p. 62-63.
80) 1318 marzo 23, Venezia.
Il vescovo di Castello Giacomo [Albertini] per la riverenza
verso Dio e la beata Vergine, e anche dietro consiglio del decretista Giovanni d’Andrea, ratifica a fra Francesco, priore
dei frati del convento dei Servi di santa Maria dell’Ordine e
regola di sant’Agostino di Venezia della diocesi castellana, la
licenza di edificare oratorio e cimitero ad onore e riverenza
del nome di Lei e sotto il titolo della beata Maria vergine
gloriosa, già concessa dal suo vicario generale Bonaccorso,
nonostante la lite pendente presso quest’ultimo, e delega il
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FONTI D’ARCHIVIO
vescovo di Scarpanto fra Nicolò alla posa della croce e
della prima pietra e alla benedizione e consacrazione del
cimitero, stabilendo che la festa titolare sia l’Annunciazione della gloriosa vergine Maria.
edizione: CASAROTTO-SUÁREZ, La prima fondazione, p. 20-21, n. 4;
regesto: A. M. VICENTINI, I Servi di Maria nei documenti e codici veneziani, Parte I. Gli antichi archivi de’ Servi a’ Frari, I. S. Maria de’ Servi di
Venezia, Treviglio 1933, I, p. 64; DAL PINO, I Servi di Maria a Verona,
p. 434 (CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, p. 334335, n. I/10).
81) 1318 avanti aprile 4, Montepulciano.
Il dottore in diritto canonico Tribaldo, al quesito circa la
validità del passaggio di suor Cecca, già mantellata del
terz’Ordine di san Francesco dove, come tale, aveva emesso professione, all’Ordine dei Servi nel quale aveva anche
e-messo professione secondo la regola di sant’Agostino, risponde positivamente trattandosi di un passaggio dalla
vita più larga delle Mantellate a quella più ristretta dei frati
Servi di santa Maria secondo la regola di sant’Agostino.
notizia: GIANI, Originum et fundationum conventuum, c. 85; TAUCCI, Il
convento di S. Maria di Montepulciano, p. 30-31 nota 3; regesti: D. M.
MONTAGNA, Gli oblati dei Servi in Italia nel Due-Trecento. Inchiesta preliminare, “Studi Storici OSM”, 28 (1978), p. 262-263; F. A. DAL PINO,
Oblati e oblate conventuali presso i Mendicanti ‘minori’ nei secoli XIII-XIV,
in Uomini e donne in comunità, “Quaderni di storia religiosa”, 1 (1994),
p. 52.
82) 1318 agosto 12, Firenze.
Foresino del fu Rota Ferrateri del popolo di San Salvatore,
in presenza di fra Adimaro priore del capitolo e convento
dei frati Servi di santa Maria di Firenze, di fra Iacopo Paradisi e di altri frati, inginocchiato e a mani giunte, davanti
2 - REGESTI ♦♦♦♦
79
all’altare della gloriosa vergine Maria offre e dona come
converso la sua anima e il suo corpo a Dio e alla beata
Vergine gloriosa.
edizione: SOULIER, De antiquitate imaginis, p. 55.
83) 1320 marzo 29, Siena.
Il Consiglio generale della Campana, dietro richiesta del
podestà e del capitano del comune, stabilisce che ad onore
e gloria di Dio, della beata Maria vergine e del beato
Gioacchino, si spendano dal denaro dello stesso comune,
tramite il camerario e i quattro provvisori, fino ad una
somma di 30 lire di denari senesi dei piccoli in doppieri e
ceri per onorare la festa dello stesso beato Gioacchino.
edizione: [P. M. SOULIER], Beati Ioachimi genus, vitae series, biographi, in
Monumenta OSM, V, Bruxelles 1902, p. 106-107; edizione parziale: DAL
PINO, I tre rilievi, p. 159.
84) 1323 aprile 18, Città della Pieve.
Riunito nella chiesa di Santa Maria dei Servi posta nel borgo
di Porta Vecciano di Castel della Pieve, il capitolo del convento al suono della campanella, come di solito, e aperte
le porte della chiesa, fra Angelo Vanni da Foligno dello stesso Ordine, genuflesso davanti all’altar maggiore e a fra Iacopo da Siena, priore del luogo, legge cantando la cedola
che tiene in mano: “Io, fra Angelo, figlio di Vanni da Foligno, faccio professione e prometto a Dio onnipotente, alla
beata Maria sempre vergine e a tutta la curia celeste, e a te
fra Iacopo, priore del convento di Castel della Pieve, facente le veci di fra Pietro priore generale dei frati Servi di santa
Maria dell’Ordine di sant’Agostino, e ai tuoi successori, obbedienza, castità, di vivere senza niente di proprio e secon-
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FONTI D’ARCHIVIO
2 - REGESTI ♦♦♦♦
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do la regola del beato Agostino per tutto il tempo della vita
in questa religione; e confesso di essere stato nel detto Ordine per un anno, un giorno e oltre”. Poi ricevuto lo scapolare e la capa si è rivestito dell’abito dell’Ordine, ha dato la
pace al detto priore e ai singoli frati presenti; ha giurato sui
santi vangeli toccando il libro che il priore teneva in mano e
ha promesso di osservare perpetuamente quanto promesso.
poveri, infermi, pellegrini e romei e la fabbrica è avanzata
fino ad un valore di 1500 lire bolognesi circa, si porge supplica al Capitano e agli Anziani di concedere una sovvenzione affinché Dio, il signore nostro Gesù Cristo e la Regina di misericordia, sua Madre, si degnino di liberare la
città da insidie nemiche, conservarla in perpetua pace e
libertà ed elargire misericordia nel giorno del giudizio.
originale: Archivio di Stato di Perugia, sezione di Foligno, Pergamene, n.
47; copia: Arch. Gen. OSM, Annalistica Soulier, inserto Conventus, Foligno, n. 56.
originale: Archivio di Stato di Bologna, Reformagioni, 1323-1327, c. 97
(Arch. Gen. OSM, Schede Albarelli, alla data).
85) 1323 maggio 6, Firenze.
Dal capitolo generale fra Pietro, per autorità della Sede
apostolica priore generale dei frati Servi di santa Maria
dell’Ordine di sant’Agostino, accorda alla nobile e discreta donna Guiduccia dei Falconieri, dietro sua istanza, la
partecipazione a tutti i beni spirituali che la clemenza del
Redentore opererà per mezzo dei frati e concede che,
quando sarà chiamata da Dio e il suo decesso annunciato
al capitolo generale, si celebri in suo suffragio lo stesso
ufficio solito a compiersi per i frati defunti.
Pia desideria devotorum
edizione: Annales OSM, I, p. 245; regesto: O. J. DIAS, I registri dei priori
generali OSM dal 1285 al 1625. Presentazione e contenuto, [Roma ] 1970
(Archiva ordinis Servorum. Subsidia, 3), p. 139.
86) 1324 aprile 20, Bologna.
Poiché la Società delle Laudi, che si riunisce nella chiesa dei
Servi di santa Maria di Bologna, a onore di Dio e della gloriosa vergine Maria sua madre ha iniziato un ospedale sopra
il serraglio della strada di Santo Stefano fuori le mura per
87) 1325 agosto 25, Foligno.
Petrula Pauli, moglie del fu Masseo Fulingnoli de Pugillis,
volendo per l’amore di Cristo e per la salvezza sua e dei
suoi parenti legarsi all’Ordine e alla regola dei frati Servi di
santa Maria, offre se stessa e tutti i propri beni a Dio e alla
beata Maria vergine e al convento di Sant’Iacopo ab Aqua
di Foligno e all’Ordine dei frati Servi di santa Maria e al
loro priore generale nelle mani del priore fra Deodato da
Borgo Sansepolcro, che riceve l’oblazione.
copia: Arch. Gen. OSM, Annalistica Soulier, inserto Conventus, Foligno.
88) 1326 gennaio 24, 1343 giugno 9, Avignone.
Giovanni XXII, scrivendo al cardinale prete del titolo di San
Marcello e legato della Sede apostolica Bertrando [del Poggetto], gli chiede di concedere al priore e ai frati del convento di Parma dell’Ordine dei Servi di santa Maria l’oratorio e il luogo con annessi diritti, pertinenze e dipendenze già
appartenuti all’Ordine del Sacco, riservato per decisione del
concilio Lionese alla disposizione della Sede apostolica, rimasti privi di presenza per la morte dei frati del detto luogo,
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FONTI D’ARCHIVIO
contiguo a quello dei Servi e che questi avevano già in custodia da parte del vescovo ordinario.
Personas pias
edizione: Annales OSM, I, p. 256-257 (RESCHIGLIAN, Aspetti della storia
dell’Ordine dei Servi, p. XXXVIII-XXXIX, n. 13).
Nello stesso modo, il 9 giugno 1343, Clemente VI
assente alla supplica del priore generale e dei frati Servi di
santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino, che per riverenza
della beata Vergine conceda al loro Ordine il convento già
dei frati del Sacco dell’Ordine dei frati della Penitenza di
Gesù Cristo di Spoleto, nel quale i Servi con licenza del vescovo diocesano abitano da circa trent’anni.
edizione parziale: TAUCCI, Il convento di S. Maria di Montepulciano, p.
34-35 nota 1 (RESCHIGLIAN, Aspetti della storia dell’Ordine dei Servi, p.
LXXVI-LXXVII, n. 33).
89) 1327 gennaio 13, Firenze.
Giovanni [Orsini], cardinale diacono del titolo di San Teodoro e legato della Sede apostolica, concede al generale, ai
provinciali e agli altri priori e frati Servi di santa Maria
dell’Ordine di sant’Agostino la facoltà di erigere chiese, oratorii e conventi nei territori, diocesi, città e paesi della sua
legazione, cioè nelle province della Tuscia, della Marca
Anconetana, del Patrimonio di san Pietro nella stessa Tuscia, del ducato di Spoleto, della Sabina e della Campagna
Marittima e nei comitati della Massa Trabaria, delle terre dei
figli di Arnolfo, di Castro Stroncone nonché nelle città e
nelle diocesi di Rieti, Todi e Tivoli.
Sacer ordo vester
Nello stesso giorno, con altra lettera, concede ai sacerdoti dello stesso Ordine, eruditi nella legge divina, la facoltà di
2 - REGESTI ♦♦♦♦
83
predicare e annunciare liberamente la parola di Dio tanto nella
loro quanto nelle altre chiese e nelle adunanze popolari, particolarmente in tutti i territori della sua legazione.
Sacer ordo vester
Nello stesso giorno, con altra lettera, concede loro
la facoltà di ascoltare le confessioni dei fedeli sia nelle loro
chiese che in altre, ogniqualvolta ne saranno richiesti, eccetto i casi riservati alla Sede apostolica e agli ordinari del luogo, particolarmente nei territori della sua legazione.
Sacer ordo vester
Nello stesso giorno, con altra lettera, concede ai
frati Servi di santa Maria di poter elargire quaranta giorni di
indulgenza a quanti, pentiti e confessati, ascolteranno le loro prediche nei territori della sua legazione.
Nuper vobis
Nello stesso giorno, con altra lettera indirizzata a
tutti i fedeli all’interno dei termini della sua legazione, concede loro quaranta giorni di indulgenza da aggiungersi ad
altri cento precedentemente elargiti ai fedeli che, pentiti e
confessati, parteciperanno al completamento e alla costruzione della chiesa dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine
di sant’Agostino nei territori della sua legazione.
Si prudenter inspicimus
edizione: Annales OSM, I, p. 253-255 (FRANCHINI, Cardinali legati e frati
Servi, p. 216-230, nn. 17-21).
90) 1327 luglio 20, Firenze.
Gherardo del fu Migliore Guadagni, del popolo di San Michele in Visdomini, facendo testamento costituisce Migliore
del fu Vieri di Matteo Migliore dei Guadagni suo erede universale, e se il detto Migliore verrà meno senza giungere alla
maggiore età o senza lasciare figli maschi legittimi, chiede
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FONTI D’ARCHIVIO
2 - REGESTI ♦♦♦♦
85
agli infrascritti commissari ed esecutori che con tutti gli altri
beni mobili o immobili si faccia un monastero di donne
vergini dell’Ordine di santa Maria nel luogo che parrà più
conveniente, il quale monastero sia sotto la correzione, il
governo e la protezione dei frati dell’Ordine dei Servi del
convento di Firenze e sia mantenuto con i redditi dei suoi
beni, vendendone eventualmente una parte per la sua conservazione ed edificazione. Se questo poi non sarà portato
ad esecuzione, tutti i suoi beni dovranno pervenire alla società di San Michele di Firenze.
92) 1329 settembre 23, Padova.
edizione: F. SPEDALIERI, De Ecclesiae infallibilitate in canonizatione sanctorum. Quaestiones selectae, Roma 1949, p. 59-60.
originale: Archivio di Stato di Verona, Santa Maria dei Servi, pergg., b.
5, nn. 4, 5 (DAL POZZOLO, Santa Maria della Scala, II, p. 196-198, n.
29); regesto: CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, p.
396, n. II/26.
Alberto e Mastino della Scala, fratelli, capitani e signori generali di Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Feltre e Belluno, per riverenza verso la gloriosa vergine Maria madre del
Salvatore donano al convento di Verona dei frati Servi della
beata Vergine gloriosa, chiamati frati di Santa Maria della
Scala, un orto sito a Verona in contrà Sant’Andrea perché
possa servire soprattutto per ampliare il loro convento.
Adtendentes quod
91) 1329 aprile 19, Siena.
Il Consiglio generale del comune di Siena, per onorare la
festa del beato Gioacchino presso i Servi di santa Maria della stessa città, stabilisce di intervenire ogni anno ufficialmente, nella persona dei Signori Nove, del podestà, del capitano del popolo e degli altri ufficiali, alla festa del beato, fissata il lunedì dopo la Risurrezione, accogliendo la richiesta
del priore e dei frati del locale convento che la motivano
facendo presente che essi celebrano con solennità la festa del
beato, la cui vita e santità rifulse ai cittadini senesi con molte
virtù e miracoli in vita e dopo la morte, poiché egli affidò la
sua gloriosissima anima a Cristo nel giorno in cui volle morire davanti a tutti sul legno della croce e in quell’ora, cioè
la sesta, nella quale Cristo rassegnò il suo spirito al Padre.
edizione: [SOULIER], Beati Ioachimi genus, p. 106-107; regesto: DAL
PINO, I tre rilievi, p. 159.
93) 1337 marzo 10, Münich.
L’imperatore Ludovico [IV detto il Bavaro], scrivendo al
maestro e ai consoli di Nordhausen in favore dei frati Servi
dell’Ordine della beata Maria vergine che si erano lamentati di non poter erigere in un’area propria, posta fuori della
città, edifici e convento loro necessari, concede loro di
costruire chiesa e monastero dove poter insegnare, predicare e cantare, secondo la regola del proprio istituto e l’indulto della Sede apostolica.
Sua religiosi viri
edizione: RACKWITZ, Urkunden des Servitenklosters, p. 21-22, n. XXIII;
regesto: DAL PINO, I Servi di Maria a Verona, p. 432.
94) 1337 giugno 3, Bologna.
Dal capitolo generale, riunito nella chiesa di San Giuseppe
di Galliera, fra Pietro, per autorità della Sede apostolica
priore generale dei frati Servi di santa Maria dell’Ordine di
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FONTI D’ARCHIVIO
sant’Agostino, concede al priore, ai sottopriori, consiglieri,
discreti, camerlenghi, sacrestani e a tutti i confratelli della
Compagnia della santa Disciplina della beata Maria della
città di Lucca, che si riuniscono nel convento dei Servi di
santa Maria, la partecipazione a tutti i beni spirituali del suo
Ordine, concedendo inoltre che, annunciata in capitolo
generale la morte di qualcuno dei confratelli, si celebri in
loro suffragio il medesimo ufficio comunemente riservato ai
frati defunti.
originale: Archivio di Stato di Lucca, Raccolte speciali. Compagnia di S.
Lorenzo dei Servi, n. 7 (estratti pergamene); regesto: Inventario del Regio
Archivio di Stato di Lucca, p. 285-286.
95) 1339 giugno 15; 1340 marzo 11, 12, 24; aprile 16;
maggio 17, 19, 29, 31; agosto 29; 1341 agosto 18, Firenze.
Si registrano alle date indicate le prime offerte affinché Dio
restituisca la salute al figlio di Lolingozza di Rigattieri, a uno
che si chiama Giannotto Baldese, a uno che si chiama Andrea Bonazzi, da una donna degli Strozzi per uno che si chiama Rossello, a due figli di Strozza degli Strozzi, a donna
Lippa dei Gianfigliozzi, alla moglie di Pietro Falconieri, ad
Andrea di Giovanni Bonaccorsi, ad alcuni infermi, per
donna Bilia moglie di Arnoldo Peruzzi.
originale: Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse,
SS. Annunziata, Introitus et exitus, vol. 682, ff. 7 v, 19, 20, 22, passim.
2 - REGESTI ♦♦♦♦
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finché con la pensione di quella i frati e il convento facciano ardere in perpetuo una o due lampade presso l’immagine della beata Maria vergine; nel codicillo del successivo 15
dicembre il medesimo testatore lascia a Margherita del fu
Borgognino e moglie di Vinta l’obbligo di dare ogni mese al
convento e frati suddetti dal giorno della morte di Vinta per
i successivi 20 anni una libbra di olio secondo la giusta
misura fiorentina per far ardere nella loro chiesa dei Servi di
santa Maria una o più lampade davanti alla detta immagine
della beata Maria vergine.
originale: Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse,
SS. Annunziata, pergamene, alla data; edizione parziale: SOULIER, De
antiquitate imaginis, p. 60-62.
96) Dopo il 1339, Halle.
I priori dei conventi di Erfurt, Ortus celi, Ortus beate Virginis e Vacha attestano di aver ricevuto dai priori e conventi di Sassonia [Halberstadt, Halle], Meissen [Radeburg],
Marca [Alt-Landsburg, Hayn] e Boemia 450 fiorini per
l’acquisizione del nuovo convento di Vacha e promettono,
in caso di necessità, di favorire gli stessi conventi con analogo beneficio caritativo.
regesto: P. M. SOULIER, De antiquis Servorum coenobiis in Germania, in
Monumenta OSM, I, Bruxelles 1897, p. 122, e IDEM, Chartae monasterii
Erfordiensis, p. 147.
97) 1341 gennaio 17, Siena.
(1341 agosto 18, dicembre 15) Vinta del fu Tignoso del popolo di San Michele Visdomini dispone testando di essere
sepolto presso la chiesa e il convento dei frati Servi di santa
Maria di Firenze, al quale lascia una casa posta nel popolo
di San Michele Visdomini nella via detta di Sant’Egidio af-
I trentotto frati del convento dei Servi di santa Maria di
Siena dell’Ordine di sant’Agostino e il priore provinciale
fra Clemente Neri, riuniti al suono della campanella in capitolo nella sacrestia conventuale su mandato di fra Bartolomeo d’Accorso vicario del priore fra Gioacchino, non
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FONTI D’ARCHIVIO
presente in città o nel contado di Siena, ad onore, riverenza e gloria di Dio onnipotente e del Signore nostro Gesù
Cristo e della beata Maria sempre vergine madre di Lui e
del beato Agostino e di tutti i santi e le sante di Dio e per
la salvezza e la situazione dell’Ordine e della religione e dei
rettori e dei frati, trattando della condizione e dell’esaltazione dell’Ordine loro, essendo stato loro riferito che potevano operare con il serenissimo re dei Franchi, giacché egli
per riverenza dell’onnipotente Dio e della beata Maria sempre vergine e del beato Agostino voleva far costruire nel regno di Francia una chiesa ed un convento da governare tramite i frati dello stesso Ordine, costituiscono, per l’utilità
degli stessi frati e della chiesa e convento di Siena e a nome
di fra Pietro priore generale dell’Ordine e dello stesso intero Ordine, fra Nicolò Pieri da Siena, assente, legittimo sindaco e procuratore per trattare e chiedere tutte le cose predette con il re dei Franchi.
edizione: P. M. SOULIER, De collegio Parisiensi Ordinis Servorum sanctae
Mariae, in Monumenta osm, I, Bruxelles 1897, p. 186-189.
98) 1343 dicembre 20, Lucca.
Puccina, moglie di Nicolò del fu Dino del Birro di Lucca,
figlia del fu Matteo Guiscardini, fa testamento in cui chiede
che il suo corpo sia sepolto presso la chiesa dei frati Servi di
santa Maria di Lucca rivestita dell’abito dell’Ordine; lascia 10
[lire] per mille messe cantate, 30 soldi per il trigesimo, 10 ad
uso degli stessi frati, 10 alla Società delle Laudi della stessa
chiesa, designando tra gli esecutori fra Silvestri.
regesto: Trasunto delle pergamene di Lucca, n. 879.
2 - REGESTI ♦♦♦♦
89
99) 1344 maggio 17, Venezia.
Il patriarca di Aquileia Bertrando [da Saint-Geniés] concede,
con il consenso del vescovo di Castello, quaranta giorni di
indulgenza ai fedeli che visiteranno la chiesa di Santa Maria
maggiore di Venezia dell’Ordine dei frati Servi di santa Maria della diocesi castellana nelle feste di Natale, della Circoncisione, dell’Epifania, di Pasqua e dell’Ascensione, della Pentecoste, del Corpo di Cristo e nelle solennità della beata Vergine gloriosa e della consacrazione della chiesa stessa, nonché
a coloro che ascolteranno devotamente in chiesa le prediche
dei frati e a coloro che presenzieranno alle riunioni della confraternita della beata Maria nella medesima chiesa.
Serena virgo mater
regesto: BRANCHESI-PIN, Catalogo della mostra, p. 74 (CITERONI,
L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, p. 355, n. I/66).
100) 1344 dicembre 3, Avignone.
Clemente VI, in seguito alla morte del fu Pietro priore generale dei frati Servi di santa Maria che ha finito i suoi giorni
presso la Sede apostolica, cadendo così tra i casi di provvisione negli uffici regolari e secolari riservati alla disposizione della Sede apostolica, nomina priore generale dei frati
Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino fra Matteo da Castel della Pieve, professo dello stesso Ordine e costituito nel sacerdozio, affidandogli la cura e l’amministrazione dell’Ordine nell’ambito spirituale e temporale.
Ad regendum statum
registrazione: Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 163, f. 61 v, ep. 46
(RESCHIGLIAN, Aspetti della storia dell’Ordine dei Servi, p. LXXIX-LXXXI,
n. 34); edizione parziale: Constitutiones novae, p. 17-18 nota 2; regesto:
TAUCCI, Note documentarie, p. 255.
90
FONTI D’ARCHIVIO
101) 1346 marzo 23, Avignone.
Clemente VI, preposto per disposizione divina al governo della Chiesa universale, affinché i conventi dei religiosi non subiscano danni spirituali e materiali a causa delle liti che talvolta
si verificano tra di loro, interviene in merito alla questione
presentata a Benedetto XII in concistoro da parte di alcuni
frati dei Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino
circa la cattiva e parziale condotta del defunto priore generale Pietro da Todi nel governo e nell’amministrazione dell’Ordine, bisognoso perciò di una non moderata riforma
nello spirituale e nel temporale; quel papa, volendo essere meglio informato della vicenda, aveva convocato personalmente
alla Sede apostolica fra Pietro e alcuni altri priori e frati dei
Servi e oralmente aveva affidato l’incarico di riportare la concordia tra le parti in causa e di tenerlo informato ai cardinali
vescovi di Preneste Pietro [Després] e di Ostia Bertrando [Del
Poggetto], ai quali il generale Pietro e gli altri priori e frati avevano di persona sottoposto alcuni memoriali e proposte di
riforma poi esaminati dallo stesso Clemente, dopo la morte
del suo predecessore. Il pontefice, volendo dedicarsi con sollecitudine alla necessaria e urgente riforma della condizione dei
frati, tra le altre misure stabilisce che d’ora in poi si celebri
ogni tre anni il capitolo generale, cui dovranno partecipare il
priore generale, tutti i provinciali, nonché i lettori di teologia
degli studi generali e anche i priori conventuali e i discreti;
che in ogni provincia si riunisca annualmente il capitolo provinciale e vi intervengano il priore provinciale, i priori conventuali, i lettori che insegnano in ogni facoltà e due frati
discreti eletti dalla maggior parte di ogni convento e anche il
priore generale o un suo vicario; che nei medesimi capitoli
provinciali si scelgano gli studenti da inviare a Parigi.
Regimini universalis Ecclesie
edizione: Constitutiones recentiores fratrum Servorum s. Mariae 15031766, ed. P. M. SOULIER, in Monumenta OSM, VI, Bruxelles 1903-1904,
2 - REGESTI ♦♦♦♦
91
p. 56-61; regesto: O. J. DIAS, I Servi nel Trecento (prima e dopo la grande peste del 1348), in I Servi nel Trecento. Squarci di storia e documenti di
spiritualità. (3a settimana di Monte Senario, 8-13 settembre 1980),
Monte Senario 1980, p. 30-31; F. A. DAL PINO, Tentativi di riforma e
movimenti di osservanza presso i Servi di Maria nei secoli XIV-XV, in
Reformbemuhngen und Observanzbestrebungen im spätmittelalterlichen
Ordenwesen herausgegeben von K. ELM, Berlin 1989, p. 358-359.
102) 1346 ottobre 26, Bologna.
Il vescovo di Bologna Beltramino concede ai frati Servi di
santa Maria, che abitano nel borgo di San Petronio, di costruire in un terreno di loro proprietà in Strada maggiore una
chiesa sotto il titolo della beata Vergine gloriosa, a condizione che acquistino una casa o un immobile per la chiesa parrocchiale di San Tomaso di Braida, nel cui territorio la chiesa sarà edificata, dal cui affitto o reddito detta chiesa possa
trarre 8 lire bolognesi l’anno.
regesto: Arch. Gen. OSM, Annalistica, Soulier, n. 54 (MONETTI, Vescovi
diocesani e frati Servi, II*, p. 40 n. 98).
103) 1347 luglio 19, Lucca.
Puccina moglie di Marzio da Licignana della Garfagnana,
figlia del fu Francesco degli Onesti del braccio dei figli dell’Anguilla, fa testamento in cui chiede di essere sepolta presso
la chiesa di Santa Maria dei Servi di Lucca vestita dell’abito
dell’Ordine; lascia a fra Giacomo Silvestri priore dei frati 6
stai di grano che deve rendere per le messe da cantare; al convento lascia il reddito di 24 stai di grano pro remedio anime
sue; istituisce erede universale fra Matteo dell’Ordine dei frati
di Santa Maria dei Servi, figlio suo e di Marzio.
Regesto: Trasunto delle pergamene di Lucca, n. 920.
92
FONTI D’ARCHIVIO
104) 1347 dicembre 23, Montefiascone.
Bertrando [Del Poggetto], cardinale prete del titolo di San
Marco e legato della Sede apostolica, agli arcivescovi, vescovi e altri prelati ecclesiastici dei territori della sua legazione
dichiara esenti il priore generale e i frati Servi di santa Maria, presenti nelle dette aree, da spese delle procurazioni dei
legati apostolici che non hanno finora versato, dato che
hanno in comune solo modici possedimenti e parzialmente
mendicano.
Dilectorum in Domino
edizione: Annales OSM, I, p. 291 (FRANCHINI, Cardinali legati e frati
Servi, p. 233-234 n. 23).
105) 1347 novembre 1, Bologna.
Bombologno Aymerici fa testamento, in cui stabilisce che
una delle due cappelle absidali della nuova chiesa dei Servi di
santa Maria in Strada maggiore sia intitolata a san Giovanni
Evangelista, sul cui altare deve essere posta una tavola istoriata in onore di quel santo, lasciando per questo la somma
complessiva di 400 lire.
originale: Archivio di Stato di Bologna, San Giacomo, 11/1617 n. 14;
regesto: P. M. BRANCHESI, La chiesa e il convento di Santa Maria dei Servi in Bologna prima del 1583, in L. NOBILI, Il convento di Santa Maria
dei Servi in Bologna, sede della Regione Carabinieri Emilia-Romagna,
Bologna 1992, p. 36.
106) 1348 dicembre 3, Avignone.
Clemente VI ai priori provinciali e conventuali e agli altri
frati dei Servi di santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino,
affinché gli prestino la dovuta ubbidienza, comunica di aver
2 - REGESTI ♦♦♦♦
93
affidato l’amministrazione e il governo dell’Ordine, vacante
dopo la morte del priore generale Matteo, avvenuta lontano
dalla curia romana, a fra Vitale da Bologna, professo e sacerdote, augurandosi che il priorato e i frati posti sotto il suo
governo con l’assistenza della grazia divina godano di favorevoli sviluppi.
Regimini universalis Ecclesie
edizione: Annales OSM, I, p. 295 (RESCHIGLIAN, Aspetti della storia
dell’Ordine dei Servi, p. XCIX-CI n. 39).
3
SIGILLI DEL PRIORE MAGGIORE
DI MONTE SENARIO
E DEI PRIORI GENERALI DELL’ORDINE
Questi sigilli costituiscono, per il loro carattere di
“segno” giuridico ufficiale, una delle espressioni più qualificate e concise della natura dell’Ordine, circoscritta, in qualche modo, nella raffigurazione iconografica e nella “leggenda” che vi corre attorno. Se è normale che il sigillo di una
chiesa dedicata alla Madonna sia incentrato sulla Sua immagine, quando quello di un corpo morale porta una raffigurazione simile significa che i suoi membri hanno con la stessa Vergine dei rapporti del tutto particolari.
Possediamo, descritto da notaio, quello del priore
“maggiore” di Monte Senario, che doveva essere san Bonfiglio, presentato il 7 luglio 1255 al vicario episcopale di Città di Castello da fra Ristoro come prova della sua elezione a
priore dei due conventi di Città di Castello e di Borgo Sansepolcro: in esso vi era impressa l’immagine della beata Maria vergine con il Figlio in braccio e con intorno la scritta:
“Sigillo dei frati Servi della beata vergine Maria del luogo di
Monte Sonaio”. Il priore e la comunità del Monte, dunque,
hanno fatto incidere sul proprio sigillo, mezzo ufficiale di
autenticazione di lettere, la figura della Madre del Signore
quale patrona e titolare della comunità incipiente. Si cono-
96
FONTI D’ARCHIVIO
scono poi i sigilli dei due priori generali succeduti, poco più
di trent’anni dopo, a quello maggiore del Monte: fra Lotaringo da Firenze (1285-1300 ca.) e fra Andrea da Borgo
Sansepolcro (1300-1314), che rimangono sostanzialmente
fedeli alla raffigurazione primitiva. In un atto del 1289,
visto nel convento di Montepulciano da fra Arcangelo Giani, il notaio così descrive il sigillo impresso nelle lettere patenti del primo dalle quali risulta la validità del priorato
locale di fra Bonaventura da Pistoia: “e pendente dalla lettera un sigillo con l’immagine della beata Maria col Figlio in
braccio e un frate nella parte inferiore ecc., con la scritta
intorno: Sigillo del priore generale dei frati Servi di santa
Maria”. Per fra Andrea si ha una descrizione di sigillo ad opera del notaio Giovanni di Bonaventura da Firenze, che,
dopo aver riferito il tenore di lettere inviate dallo stesso priore generale il 21 settembre 1308, così continua: “le quali
lettere erano sigillate col sigillo del predetto priore generale
in cera verde, il quale sigillo era oblungo e vi era scolpita
l’immagine della beata vergine Maria seduta in trono col Figlio in braccio posta in un tabernacolo e nella parte inferiore del detto sigillo era scolpita l’immagine di un frate in ginocchio e con le mani alzate e tutt’intorno la scritta: Sigillo
del priore generale dei frati Servi di santa Maria”. I due sigilli sono quasi identici e rimangono fedeli alla raffigurazione
mariana e al titolo dell’Ordine, stabilendo una continuità di
tradizione tra i primordi e gli sviluppi successivi; il frate genuflesso e con le mani giunte elevate, segno di offerta e di
consacrazione alla Madre del Signore, sta a designare l’Ordine dei Servi nella sua interezza.
estratto da A. M. DAL PINO, Madonna santa Maria e l’Ordine dei suoi
Servi nel I secolo di storia (1233-1317 ca.), “Studi storici OSM” 17
(1967), p. 35-37 .
4
BIBLIOGRAFIA CITATA
BRANCHESI P.- PIN C. (a cura di), Catalogo della mostra, in Fra
Paolo Sarpi e i Servi di Maria a Venezia nel 750° anniversario dell’Ordine. Biblioteca Nazionale Marciana –
Sala sansoviniana, 28 ottobre–19 novembre 1983, Venezia s.d. (ma 1983), p. 35-102.
CAPONERI M.-RICCETTI L. (a cura di), Chiese e conventi degli
ordini Mendicanti in Umbria nei secoli XIII e XIV.
Inventario delle fonti archivistiche e catalogo delle informazioni documentarie. Archivi di Orvieto, Perugia 1987
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Servi a Venezia, in Quaderni per la storia delle fondazioni venete dell’Ordine dei Servi, I, Vicenza 1966 (Bibliotheca Servorum veneta, 5), p. 9-24.
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arredi (1250-1810), tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, Facoltà di lettere e filosofia, relatrice M.
CIARDI DUPRÈ, a.a. 1994-95.
CITERONI R., L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto. Tre
insediamenti trecenteschi: Santa Maria dei Servi a Venezia (1316), Santa Maria della Scala a Verona (1324),
Santa Caterina a Treviso (1346), tesi di dottorato, Università degli studi di Padova, Facoltà di lettere e filoso-
98
FONTI D’ARCHIVIO
fia, Dottorato di ricerca in “Storia della Chiesa
medievale e dei movimenti ereticali”, IX ciclo,
coordinatore del corso A. RIGON, data di presentazione 28 febbraio 1997.
DAL PINO A. M., Note iconografiche sul b. Giovacchino da Siena
4 - BIBLIOGRAFIA CITATA
99
der Realschule erster Ordnung zu Nordhausen..., Nordhausen 1881.
RESCHIGLIAN C., Aspetti della storia dell’Ordine dei Servi attra-
e la sua Legenda. I: I tre rilievi con le storie della vita del
beato, “Studi Storici OSM”, 8 (1957-1958), p. 156-161.
verso le lettere papali del periodo avignonese (13181374), tesi di laurea, Università degli studi di Padova,
Facoltà di lettere e filosofia, relatore G. P. PACINI, correlatore F. A. DAL PINO, a.a. 1995-96.
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Gli Scaligeri (1277-1387). Saggi e schede pubblicati in
occasione della mostra storico-documentaria allestita dal
museo di Castelvecchio di Verona (giugno-novembre 1988),
a cura di G. M. VARANINI, Verona 1988, p. 431-440.
DAL POZZOLO D., Santa Maria della Scala di Verona chiesa e
convento dei Servi (1324-1808), I: Ricostruzione dell’archivio (secoli XIV-XIX), II: Saggio sulle origini (1324-1348),
tesi di laurea, Università degli studi di Padova, Facoltà
di lettere e filosofia, relatore G. Mantese, a.a. 1979-80.
FRANCHINI A., Cardinali legati e frati Servi di santa Maria
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Padova, Facoltà di lettere e filosofia, relatore F. A.
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GIANI A., Originum et fundationum conventuum Ordinis Servorum b.M.v. diligens inquisitio et seriosa narratio pro
Annalibus conscribendis ex variis hinc inde collectis chirographis, [1610-1611 ca.], 2 codd., Arch. Gen. OSM,
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MONETTI R., Vescovi diocesani e frati Servi di santa Maria in
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RACKWITZR R., Urkunden des Servitenklosters Himmelgarten bei
Nordhausen, I: Urkunden bis zur Mitte des 14. Jahr-hunderts, in Zu der öffentlichen Prüfung sämtlicher Klassen
Mariae, in Monumenta osm, III, Bruxelles 1902, p.
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SOULIER P. M., Chartae monasterii Sanctae Mariae Ordinis
Servorum sanctae Mariae Hallis in Saxonia, in Monumenta OSM, V, Bruxelles 1902, p. 141-233.
SOULIER P. M., De antiquitate imaginis sanctissimae Annuntiatae in ecclesia Servorum sanctae Mariae Florentiae, in
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TAUCCI R. M., Il convento di S. Maria di Montepulciano e i suoi
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Servorum Veneta, 2), p. 245-269.
FONTI LEGISLATIVE
1
CONSTITUTIONES ANTIQUAE
introduzione
Le Costituzioni antiche, nel testo che oggi leggiamo, furono redatte molto probabilmente in occasione del
capitolo generale tenutosi a Firenze nel 1289, e sono comunque anteriori al 1295, quando comincia la serie delle
Constitutiones novae, termine con cui si indicano i decreti
emanati dai capitoli generali. Una quarantina di anni prima, nel 1249, il cardinale Raniero di Santa Maria in Cosmedin, legato di papa Innocenzo IV, con la lettera Devotionis vestre, aveva preso sotto la protezione della Sede Apostolica il priore ed i frati di Monte Senario ed aveva confermato per la nuova fondazione l’adozione della Regola di
sant’Agostino – concessa prima del 1247 dal vescovo di
Firenze Ardingo –, completata da altre istituzioni integrative della stessa.
Regola e istituzioni vennero confermate, insieme ad
un impegno di non possedere beni immobili, assunto dalla
comunità nel 1251, da Alessandro IV nel 1256. Dopo questo primo riconoscimento ufficiale, la crescita dell’Ordine
nei decenni successivi rese necessaria l’adozione di un assetto istituzionale più strutturato ed il primitivo corpo di statuti regolari venne completandosi con le disposizioni dei
104
FONTI LEGISLATIVE
capitoli generali, che sovente emanavano norme analoghe a
quelle di altri Ordini d’ispirazione monastico-mendicante.
Alcuni elementi spirituali che caratterizzavano l’esperienza
originaria dei Sette sul Monte Senario, e segnatamente l’ispirazione pauperistico-contemplativa, divennero gradatamente meno accentuati per lasciar emergere i tratti di una
vocazione ad una vita “secondo l’uso degli apostoli” – perché questa è l’originaria valenza del termine “vita apostolica” –, sulla spinta di un’evoluzione che andava maturando
all’interno dell’Ordine.
Una lettura fatta con sguardo moderno della prima legislazione scritta dei Servi, ci può lasciare una sensazione di estraneità: a prima vista sembra un testo fatto per
complicare l’esistenza, pieno com’è di prescrizioni talora
minuziose, altre volte ripetitive, quasi che volessero regolare e persino controllare ogni spazio di vita del frate.
Ma se riusciamo ad immergerci nel contesto antropologico-culturale e nell’atmosfera spirituale che permeava quell’epoca, allora ci accorgiamo che sotto questa trama
apparente si nasconde un’intenzionalità precisa: quella di
dare un significato forte alla quotidianità, evitando di viverla in modo banale.
La spiritualità della prima generazione dei Servi è
fortemente caratterizzata dalla dimensione simbolica: in questo contesto anche la vita è una liturgia. Essa celebra l’impegno penitenziale nel servizio a Nostra Signora che i Servi
hanno scelto come dimensione che dà significato, orienta e
armonizza il loro stile di vita. Per questo le diverse prescrizioni, particolarmente quelle relative alla liturgia e allo stile
penitenziale – e cioè della continua “conversione” nella fraternità finalizzata al mantenimento di uno sguardo contemplativo costante (perdono, correzione fraterna, corresponsabilità nel mantenere alto il livello spirituale della comunità,
1 - CONSTITUTIONES ANTIQUAE
105
impegno ascetico, sobrietà ecc.) – sono sottolineate da gesti e
parole che aiutano il frate a richiamarsi costantemente al
proprio impegno fondamentale.
Questo modello di vita, pur essendo comune alla
spiritualità degli Ordini religiosi coevi, presenta alcune caratteristiche che ci permettono di individuarne una specifica configurazione spirituale e, in qualche modo, originale
fin dal capitolo I: De reverentiis beate Marie virgini exhibendis. La particolare coscienza della presenza della Madre di
Cristo costella tutta la vita liturgica – dalle chiese che a Lei
debbono essere dedicate, alla quotidiana invocazione prima
di ogni ora canonica e alla speciale Vigilia de Beata fino alla
prescrizione di gesti (inchini, genuflessioni) che esprimano
la coscienza dei frati sia del loro essere servi che della misericordiosa intercessione di Nostra Signora – estendendosi ad
altre dimensioni come appunto il significato dell’abito e
l’obbligo di rivolgere un saluto a Nostra Signora uscendo o
rientrando in convento. Questa presenza di santa Maria sottolinea anche gli atti più importanti della vita dell’Ordine:
infatti viene ordinato che i capitoli elettivi – ai diversi livelli – dopo il canto del Te Deum, si concludano con il versetto e l’orazione alla Madonna.
Anche il colore nero dell’abito e il richiamo alla
viduitas (vedovanza intesa come privazione del Figlio) di
Nostra Donna rimandano ad un riferimento simbolico-religioso molto elevato ed impegnativo: cioè all’umiltà e alla
penitenza e, in seguito alla consapevolezza che il mondo
non può essere nella pienezza nella gioia ma vi tende, alla
solidarietà con la sofferenza del mondo, attestata mediante
il riferimento all’icona di Nostra Signora, che soffre perché
priva del Figlio.
L’originaria attenzione per la povertà traspare da
molte indicazioni ed è elevata perfino a identità stessa dell’Ordine: è consentito, ad esempio, tralasciare la forma con-
106
FONTI LEGISLATIVE
sueta di celebrazione liturgica dell’ufficio divino e adattarsi a
quella che sarà possibile usare, secondo i libri di cui si troveranno a disporre, dato che essi si considerano i poveri di Cristo.
L’austerità, come modalità espressiva dell’atteggiamento della povertà, è segnalata in diversi punti, in particolare nelle prescrizioni riguardanti gli abiti (stoffe di poco
valore), gli alimenti ammessi, i digiuni, la limitazione dei
doni da parte di candidati all’Ordine. Tuttavia la povertà
assume un valore più ampio che ricopre tutta la vita: infatti per questo senso di “non aver cosa propria” i frati che
viaggiano e quindi vivono dell’aiuto dato loro “in nome” o
“per l’amore” di Dio, eccetto in tempi liturgici ben precisati, possono derogare a qualsiasi prescrizione delle Costituzioni e usare con grata umiltà di quanto viene loro offerto.
Indice di un senso fraterno nuovo e profondo è anche l’attenzione ai suffragi per i frati defunti, che costituiscono una peculiarità dei Servi rispetto alle altre fonti legislative da cui dipendono le nostre Costituzioni. Altre particolarità si rilevano nell’organizzazione della vita dell’Ordine.
Il profondo valore spirituale delle Constitutiones
antiquae è attestato dal fatto che, nonostante il passare del
tempo e le diverse forme assunte nei secoli dalla legislazione
dei Servi, si sono conservate fino ad oggi non solo le ispirazioni fondamentali delle Constitutiones antiquae, ma anche
gran parte delle prescrizioni caratterizzanti l’Ordine dagli
inizi: la presenza e le riverenze a santa Maria (talora conservando letteralmente le formule antiche, come per esempio
la Vigilia di Nostra Signora o de Beata), il colore dell’abito,
la memoria amicale dei defunti, l’ordinamento capitolare.
Le Costituzioni antiche dipendono e sono simili in
diverse parti a quelle di altri Ordini più antichi o coevi, contengono però alcune note di originalità che vogliamo segnalare. Esse sono composte da 25 capitoli, di cui il primo è del
tutto originale per collocazione e per la sintesi creativa eppu-
1 - CONSTITUTIONES ANTIQUAE
107
re unitaria dei riferimenti a Santa Maria. Inoltre si presentano in varia misura originali i capitoli che trattano dei suffragi
per i defunti, dell’abito, di coloro che possono essere ricevuti
nell’Ordine, degli ufficiali, di coloro che sono in viaggio, la
formula di professione, le proibizioni ed il capitolo generale.
INDICE DELLE COSTITUZIONI ANTICHE
CAP I
CAP. II
CAP. III
CAP. IV
CAP. V
CAP. VI
CAP. VII
CAP. VIII
CAP. IX
CAP. X
CAP. XI
CAP. XII
CAP. XIII
CAP. XIV
CAP. XV
CAP. XVI
CAP. XVII
CAP. XVIII
CAP. XIX
CAP. XX
CAP. XXI
CAP. XXII
CAP. XXIII
CAP. XXIV
CAP. XXV
de reverentiis b. Marie virgini exhibendis
de officio ecclesie
de inclinationibus
de genuflexionibus
de suffragiis mortuorum
de silentio
de ieiunio
de cibo
de collatione
de infirmis
de lectis et modo iacendi
de vestitu
de rasura
de recipiendis
de novitiis
de professione
de itinerantibus
de potestate officialium
de prohibitionibus
de levi culpa
de gravi culpa
de graviori culpa
de gravissima culpa
de apostatis
de capitulo generali
108
FONTI LEGISLATIVE
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
Edizioni
109
COSTITUZIONI ANTICHE
DEI FRATI SERVI DI SANTA MARIA
P. M. SOULIER, Constitutiones antiquae fratrum Servorum sanctae Mariae
a s. Philippo Benitio anno circiter 1280 editae, in Monumenta OSM, I,
Bruxelles 1897, p. 7-17 (introduzione), p. 27-54 (testo).
Bibliografia
F. A. DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 206-235; 899-905; 10441073; 1318-1325.
Cap. I -
Atti di devozione
verso la beata vergine Maria.
Ogni sabato e ogni mercoledì si celebri comunitariamente la messa di santa Maria. Il sabato inoltre si cantino il Gloria in excelsis Deo e il Credo, e si osservino tutte le
prescrizioni proprie ad una festa semidoppia, a meno che
non ricorrano in quei giorni feste solenni o altre feste che
non si devono tralasciare. In tal caso, se non è possibile cantare due messe nella stessa giornata, vengano celebrate in
altri giorni della stessa settimana. In ogni caso, la messa del
giorno non sia tralasciata, ma sia ascoltata comunitariamente da tutti i frati, celebrata o dal presbitero che ha celebrato
la messa di santa Maria, oppure da un altro.
La Vigilia di Nostra Signora sia recitata ogni sera,
con tre letture e due responsori, e dopo la terza lettura si
dica la Salve Regina; nel giorno di venerdì invece la si reciti
come per una festa di rito doppio e si accendano due ceri.
L’ebdomadario, all’inizio di ogni ora canonica, detto sotto voce il Pater noster, aggiunga subito il versetto Ave
Maria, gratia plena, Dominus tecum, con lo stesso tono con
110
FONTI LEGISLATIVE
il quale dirà Deus in adiutorium meum intende, e i frati rispondano Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus
ventris tui.
Anche il lettore prima di incominciare la lettura
intoni lo stesso saluto, cioè Ave Maria fino a fructus ventris
tui incluso, eccetto che nella lettura di compieta, nel capitolo Pretiosa e nel triduo della Parasceve.
Ogni sacerdote che non abbia cantato la Messa di
santa Maria, celebrata quella ordinaria, legga anche la Messa
di santa Maria. E se si tratta della Messa conventuale i frati
non si allontanino, ma l’ascoltino tutti.
Inoltre, nell’inno Memento salutis si inserisca il versetto Maria mater gratiae.
Si faccia poi sempre memoria della beata vergine
Maria con antifona, versetto e orazione, a vespro e a mattutino, eccetto che nelle feste doppie.
Allo stesso modo, a vespro e a mattutino, si faccia
memoria del beato Agostino, con antifona, versetto e orazione, eccetto che nelle feste doppie e nei casi in cui non si
fanno i suffragi. Nella messa poi si faccia memoria di lui
nell’orazione A cunctis, quando viene detta.
Non si ometta in nessun tempo dell’anno liturgico
la Salve Regina alla fine di ogni ora e dopo la mensa comune, eccetto che nel triduo della Parasceve.
E ogni sera la Salve sia cantata con grande devozione dopo la terza lettura della Vigilia di Nostra Signora, quando questa è in canto; se poi la Vigilia non è cantata, la Salve
Regina si canti a conclusione della compieta. Vi devono partecipare sin dall’inizio tutti i frati presenti in convento, compresi i provinciali e gli altri ufficiali, tralasciato qualsiasi altro impegno; e affinché i frati non possano avanzare scuse,
si suoni la campana.
Ogni chiesa del nostro Ordine e l’altare maggiore
siano fondati e consacrati in onore di Nostra Signora, dove
non si oppongano particolari impedimenti.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
111
Nelle grandi solennità, quando le ore canoniche di
Nostra Signora sono omesse secondo il rito della curia romana, esse siano recitate dai frati, con devozione, a gruppetti di due o tre, nella maniera che riterranno più idonea.
Non si celebri nessuna delle feste che cadono nell’ottava della Natività della beata vergine Maria, ad eccezione della festa della santa Croce, ma siano posticipate a
dopo l’ottava.
Dove la chiesa o un altare le sono dedicati, si celebri
la festa di sant’Anna con ufficio doppio. E nella festa di
sant’Agostino si faccia sempre e dovunque l’ufficio doppio.
Nessuno, aggiungendo o togliendo qualcosa, osi introdurre variazioni nell’ufficio divino discostandosi da quanto sopra detto, senza il permesso del capitolo generale.
Cap. II -
Le celebrazioni liturgiche.
La messa e gli altri uffici divini siano celebrati secondo il rito della curia romana, aggiungendo sempre gli
atti di devozione sopra indicati verso la beata vergine Maria,
ad eccezione dell’uso del salterio e della melodia gallicana.
Se però talvolta a causa della scarsità di libri, non
fosse possibile osservare tale consuetudine, sia lecito allora
ai poveri di Cristo celebrare un qualunque altro ufficio
secondo i libri di cui dispongono e gli usi di coloro presso
i quali si trovano.
A mattutino, prima, terza, nona, vespro e compieta
si suoni due volte la campana. Per una festa doppia invece
si suoni tre volte, ma solo a vespro e a mattutino. E tutti i
frati, appena dato il primo segno, tralascino tutti gli impegni e si preparino, di modo che al secondo tocco siano subito pronti ad entrare in chiesa con ordine e compostezza.
112
FONTI LEGISLATIVE
Tutti insieme partecipino assiduamente alla Messa,
alle ore canoniche e agli altri divini uffici che si celebrano
comunitariamente fino a quando siano terminati.
I frati non chierici si rechino in chiesa a mattutino, alla messa e a vespro e vi restino fino a che abbiano completato le loro ore: in luogo del mattutino devono dire sessanta Pater noster; in luogo di prima quattordici; in luogo
di terza quattordici; in luogo di sesta quattordici; in luogo
di nona quattordici; per il vespro venticinque; per la vigilia di Nostra Signora sette; per compieta quattordici.
Quando si celebra l’ufficio dei defunti, i frati non
chierici diranno in luogo del vespro e della vigilia dei
morti, trenta Pater noster. I chierici poi che non sanno dire
le ore canoniche diranno anch’essi i Pater noster, come indicato per i frati non chierici.
La recita di tutte le ore e degli altri uffici divini in
chiesa sia fatta con brevità e senza strascichi, perché non
venga meno la devozione nei frati e nei presenti. Si osservino cioè punti e pause, e la voce non prolunghi le finali
ma termini, come già detto, con brevità e senza strascichi.
Questa norma tuttavia si osservi adeguandola ai vari tempi
liturgici.
Il bacio di pace si dà solo nelle feste doppie e semidoppie, nelle domeniche e nella messa di santa Maria che
si celebra il sabato.
Tutti i frati devono confessarsi almeno due volte la
settimana. E devono comunicarsi nelle seguenti feste: la
prima domenica di Avvento, la Natività del Signore, l’Epifania, il giorno delle Ceneri, la Cena del Signore, la Resurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste, nelle quattro festività di Nostra Signora, cioè la Purificazione, l’Annunciazione, l’Assunzione e la Natività, nella festa degli apostoli
Pietro e Paolo del mese di giugno e in quella di Tutti i
Santi.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
Cap. III - Gli
113
inchini.
Quando si recano in coro per l’ufficio, i frati, fatto
prima un profondo inchino dinanzi all’altare, si dirigano
verso il proprio posto, ciascuno secondo l’anzianità di
ingresso nell’Ordine, collocandosi, però, i frati presbiteri
tutti insieme.
Dopo il segnale dato dal priore, inchinati profondamente o genuflessi secondo il tempo liturgico, dicano il
Pater noster. Dato di nuovo il segnale dal priore, si alzino.
Iniziata così devotamente l’ora, si volgano verso l’altare e traccino a propria fortificazione il segno della croce.
E al Gloria Patri, fino al sicut erat, si inchini un coro verso
l’altro coro profondamente, fino alle ginocchia. E altrettanto facciano ogni volta che si dice il Gloria Patri dei salmi, agli ultimi versi degli inni, al penultimo versetto del
cantico Benedicite; al Suscipe deprecationem nostram quando si canta il Gloria nella messa; a Ex Maria Virgine, et
homo factus est, quando si canta il Credo; al Quos pretioso
sanguine redemisti quando si dice il Te Deum laudamus;
alla prima colletta della messa dopo il Dominus vobiscum ,
all’orazione della messa di Nostra Signora e ai rispettivi postcommunio; in ciascuna ora canonica alla colletta del giorno e di santa Maria; all’orazione Sancta Maria di Pretiosa;
ogni volta che si pronuncia il nome di santa Maria; alla
Salve Regina; all’Ave maris stella.
Il lettore inoltre, dopo aver detto Jube domne benedicere, rimanga profondamente inchinato finchè la benedizione sia conclusa; e così pure ogni volta che si dice sotto
voce il Pater noster o il Credo; alle preghiere che si dicono
dopo il Credo a prima e a compieta.
Quando poi si canta l’ufficio, un coro si volga verso l’altro coro. E in tutti gli altri tempi, osservati gli inchini e le genuflessioni sopra e sotto descritte, i frati restino
rivolti verso l’altare tanto durante la messa che durante le
114
FONTI LEGISLATIVE
ore; ma nella messa, mentre si cantano le profezie o le epistole o i graduali o i tratti o i versetti, coloro che non cantano devono stare seduti. Quando si cantano i salmi dell’ufficio ci sediamo o ci alziamo in maniera alternata, fino
al Laudate Dominum de celis.
Ogni qualvolta i frati passano davanti all’altare si
inchinino profondamente con riverenza.
Cap. IV -
Le genuflessioni.
Ci genuflettiamo solo nei giorni feriali, al Pater noster che si dice all’inizio delle ore; al Pater noster che si dice
prima delle orazioni; al Credo che si dice a prima e a compieta; alle stesse orazioni e alla colletta del giorno, ai suffragi e alla Salve Regina che si aggiunge ad ogni ora subito
dopo il Benedicamus Domino; e detta questa con il versetto e con l’orazione si dica Fidelium anime e Pater noster.
Ci genuflettiamo inoltre, durante la messa, alla prima colletta del giorno, a quella di Nostra Signora e ai rispettivi post-communio, da dopo l’Orate fratres fino all’Agnus Dei. Inoltre, quando si canta la Salve Regina, fino
al secondo salve; all’Ave maris stella quando viene cantata;
all’introito Salve sancta parens; al versetto Veni sancte Spiritus; e a O crux ave spes unica.
Fuori del convento però, ci conformiamo negli
inchini e nelle genuflessioni agli usi di coloro presso i quali
ci troviamo.
Cap. V - I
suffragi per i defunti.
Per ogni frate che muore si cantino in ciascun convento l’ufficio dei defunti con nove letture e la messa con-
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
115
ventuale. Ogni sacerdote dica tre messe e gli altri chierici
un intero salterio. Coloro poi che non sanno leggere recitino trecento Pater noster.
Si faccia l’anniversario dei frati defunti quattro volte l’anno, cioè il secondo giorno dopo la festa della Purificazione di santa Maria, il giorno precedente la vigilia della
Natività del beato Giovanni Battista, il primo giorno dopo
l’ottava dell’Assunzione di santa Maria e l’indomani di
Tutti i Santi. Per ciascuno di detti suffragi si celebri un
ufficio identico a quello che è qui indicato per la ricorrenza dei genitori defunti.
La ricorrenza dei genitori defunti si celebri il giorno dopo l’ottava dell’ Epifania, e si cantino l’ufficio dei defunti con nove letture e la messa conventuale. Ogni sacerdote dica una messa e gli altri chierici i setti salmi penitenziali e le litanie. Coloro poi che non sanno leggere recitino cinquanta Pater noster.
La ricorrenza dei benefattori si celebri il primo
giorno dopo l’ottava della Natività di santa Maria e si faccia come indicato per la ricorrenza dei genitori.
Cap. VI - Il
silenzio.
I nostri frati osservino il silenzio nel dormitorio,
nelle camere e in coro, da dopo compieta fino a prima, e
nel refettorio mentre prendono il cibo sia durante la prima
mensa, sia durante gli altri pasti.
Alla mensa comune, sia in refettorio che fuori,
osservino il silenzio tanto i priori quanto gli altri, eccetto
il frate maggiore in autorità tra loro, e solo per chiedere le
cose necessarie alla mensa, rivolgendosi soltanto all’inserviente con un’unica richiesta breve e sommessa, di modo
che possa essere appena udito dagli altri.
116
FONTI LEGISLATIVE
Il frate maggiore in autorità potrà dispensare dal
silenzio gli altri frati sia in convento che altrove, quando
valuterà che sia conveniente farlo.
In capitolo nessuno parli se non interrogato dal
priore; risponda allora brevemente e sottovoce, limitandosi a ciò che è pertinente alla domanda. Se qualcuno poi si
comporterà in modo contrario alle cose sopraddette o anche solo a qualcuna di esse, potrà essere punito a discrezione del priore.
Cap. VII - Il
digiuno.
Osserviamo il digiuno tutti i giorni ininterrottamente dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore, dalla domenica di Quinquagesima fino alla Resurrezione del Signore.
Dalla Resurrezione del Signore fino alla Quinquagesima successiva digiuniamo il venerdì. Nei tempi di digiuno, dopo l’ora sesta, dato un breve tocco di campana, si
dica nona; dopo nona, si suoni per l’abluzione delle mani
e poi i frati entrino alla mensa.
Si osservi il digiuno nella vigilia di Pentecoste, nelle quattro tempora, nelle vigilie dei santi Giovanni Battista,
Pietro e Paolo, Giacomo e Lorenzo, dell’Assunzione di santa Maria, di san Bartolomeo, della Natività di santa Maria,
dei santi Matteo, Simone e Giuda, di Tutti i Santi, della
Purificazione e della Annunciazione di santa Maria.
Prendiamo cibo come in Quaresima dalla festa di
Tutti i Santi fino alla Natività del Signore, nelle quattro
tempora, nelle quattro vigilie di Nostra Signora, nelle vigilie prescritte dalla Chiesa e in tutti i venerdì, a meno che
in quel giorno non ricorra la festa della Natività del Signore o di santa Maria.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
117
I frati che si trovano in viaggio non sono tenuti a digiunare il venerdì dalla festa della Resurrezione a quella di
Tutti i Santi. Durante tutto l’Avvento, anche se non osservano il digiuno, dovranno far uso di cibo come in Quaresima.
Dalla festa poi di Tutti i Santi fino all’Avvento i frati
in viaggio fuori convento possono cibarsi di tutto quello che
sarà loro posto dinanzi, esclusa la carne.
Negli altri tempi invece, per non essere di peso a
coloro presso i quali veniamo a trovarci, possiamo, secondo l’indicazione evangelica1, mangiare tutte le cose che in
nome di Cristo ci vengono poste dinanzi.
Digiuniamo inoltre nella Parasceve, per tutto il
giorno, dovunque, a pane e acqua.
Nessuno, fuori dei predetti digiuni, osi digiunare a suo
personale arbitrio.
Cap. VIII -
Il cibo.
All’ora conveniente, prima del pranzo e della cena,
si suoni la campana per lavarsi le mani; poi i frati siedano
insieme in silenzio, fuori del refettorio nel luogo stabilito.
Si suoni quindi la campana finchè tutti i frati siano entrati in refettorio. Allora il cantore intoni Benedicite, e i frati
rispondano Benedicite. Poi il cantore inizi il versetto e i frati proseguano la benedizione; al termine della quale si mettano a tavola.
Quando si saranno alzati dalla mensa, secondo la
consuetudine si portino processionalmente in chiesa recitando il salmo Miserere mei Deus o un altro salmo, in base
al tempo liturgico, per terminare ivi il ringraziamento.
Nessuno dei frati presenti alla mensa vi si trattenga senza permesso, eccettuati servitori e custodi. Tutti quel1
Lc 10, 8.
118
FONTI LEGISLATIVE
li poi che non vi avranno preso parte mangino alla seconda mensa, di modo che non sia necessario farne una terza.
Non si facciano, per inservienti e aiutanti, piatti
particolari che siano diversi da quelli preparati per la comunità, ma il cibo sia uguale per tutti.
Un frate non passi una pietanza ad un altro frate.
Il priore, tuttavia, può offrire a chi siede alla sua destra o
alla sua sinistra la porzione di cibo a lui assegnata.
I priori mangino in refettorio e siano contenti dei
cibi della comunità. Così facciano gli infermieri, coloro
che accolgono i forestieri e gli altri frati, a meno che il priore non permetta talvolta a qualcuno, per qualche motivo,
di mangiare fuori convento,
In nessun tempo dell’anno si mangi carne in convento, tuttavia i cibi possono essere conditi con sugo di
carne. I priori possono talvolta a questo proposito dispensare i propri frati, sempre però nel rispetto della regola.
I nostri frati, tanto i priori che i sottoposti, nelle
località in cui ci sia un nostro convento, non devono prendere i pasti fuori convento se non con il vescovo o in case
di religiosi, di chierici onesti o di onesti secolari. E questo
di rado, e con il permesso del priore.
Se un frate noterà che a chi gli siede accanto manca un cibo comune, lo chiederà al servitore.
Se un servitore o un commensale, servendo o mangiando, si renderà colpevole di qualcosa, chieda perdono
quando i frati si alzano da mensa; e ad un cenno del priore torni al suo posto.
Niente di quanto riguarda la refezione sia tenuto
nelle singole celle, ma tutto sia conservato e distribuito
dall’incaricato. E il priore conventuale non possa concedere il permesso a un frate di tenere in cella del cibo, eccetto alcune erbe aromatiche e curative, o pomi o mele o pere, e solo in piccola quantità.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
119
Nessun pasto deve essere preparato fuori dal convento,
se non per un frate molto malato e con il permesso del priore. E se qualche cibo viene inviato da fuori a qualcuno in
particolare, sia consegnato al procuratore. E se il destinatario è malato, si distribuisca tra gli ammalati; se è sano, tra i
sani; se è un frate di passaggio, tra quelli di passaggio; e questo fino al terzo giorno dal suo arrivo. Nessun cibo può essere inviato fuori convento senza permesso del priore.
Ai frati di passaggio nella comunità si provveda amorevolmente, a seconda della loro stanchezza e della lunghezza del viaggio.
Nessuno inviti un estraneo alla foresteria, a mangiare o a bere, senza permesso del priore, eccettuato i religiosi per quanto riguarda il bere.
I frati in viaggio non comprino mai carne, lungo il
loro cammino, senza aver prima ottenuta licenza dal priore, e solo per evidente malattia; in tal caso sia lecito al compagno assumere lo stesso cibo del frate infermo.
Se invece la carne viene data loro per amore di
Dio, ne mangino liberamente. Se però qualcuno se la sarà
procurata o l’avrà ottenuta con l’astuzia, sia privato di
carne per un mese.
Cap. IX - La
“colazione” serale.
In tempo di digiuno, dopo il primo rintocco di
compieta, al cenno dell’inserviente, i frati entrino in refettorio per la colazione .
Quando sono tutti seduti, il lettore, premesso Iube
domne benedicere, faccia la lettura. Data quindi la benedizione, cioè Noctem quietam et finem perfectum, ecc., e al
cenno del priore, l’inserviente dica Benedicite. E dopo che
l’ebdomadario ha impartito la benedizione, cioè Largitor
120
FONTI LEGISLATIVE
omnium bonorum benedicat potum servorum suorum, coloro che lo vogliono possono bere.
Al segno del priore, il lettore dica Tu autem Domine. I frati rispondano Deo gratias, poi entrino in chiesa.
Cap X - Gli
infermi.
Il priore si guardi dall’essere negligente con gli infermi: essi, infatti, devono essere curati in modo tale da poter
prontamente rimettersi, come dice il nostro padre Agostino2.
Se qualcuno però ha una malattia che non lo debilita troppo, che non lo obbliga a stare a letto, e se i digiuni consueti non gli causano inappetenza, questi non rimanga coricato sopra un materasso, né rompa i consueti
digiuni, né cambi i cibi del refettorio.
Coloro che vogliono sottoporsi a un salasso e prendere la medicina “straordinaria”, lo facciano con il consiglio del medico e con il permesso del priore.
A coloro che si sono sottoposti a salasso si concedano carne e vino per almeno due giorni.
A quanti hanno preso la medicina “straordinaria”
si provveda con maggiore larghezza secondo l’affaticamento del corpo.
Nei nostri conventi sia costituita una infermeria,
nella quale i malati siano ricoverati e ristorati. Gli altri frati
però non mangino se non nel refettorio comune o nella
foresteria. Se capita poi che un priore si ammali, sia curato con gli altri nell’infermeria.
I frati lebbrosi siano curati in una zona isolata
entro il recinto del convento. Se la ristrettezza del luogo o
una qualunque altra legittima causa non lo permetteran2
Regola 3, 5.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
121
no, siano trasferiti dal priore generale, o dal provinciale
nell’ambito della sua provincia, in un altro convento del
nostro Ordine.
Cap. XI -
I letti e il modo di dormire.
I nostri frati non dormano sopra materassi di lana,
ma potranno dormire sopra pagliericci o materassi di fogliame e sulla paglia. Potranno avere guanciali sotto il capo
e lenzuola di lana e di canapa.
Agli infermi e agli ospiti è però consentito coricarsi
su materassi di lana e avere lenzuola di lino. Fuori di convento, però, potranno utilizzare i giacigli che saranno loro preparati, perché coloro che li ospitano non ne abbiano molestia.
E dormano senza cappa e senza calzari, con tonaca, scapolare e cintura, a meno che non ne siano impediti
da grave infermità.
Tutte le volte che uno avrà dormito senza tonaca o
scapolare, altrettante volte, inginocchiato per terra senza
scapolare, si cibi di pane e acqua.
Nessun frate che può essere accolto nel dormitorio
comune abbia un luogo speciale per dormire, se non per
custodirvi dei beni.
In ogni dormitorio, di notte, arda un lume. Le celle siano tutte chiuse allo stesso modo, eccettuati i corridoi.
Cap. XII -
L’abito.
I nostri frati indossino vesti di lana. La tonaca, lo
scapolare e la cappa siano di panno italico o tedeschino di
color nero; la sottotonaca bianca può essere di panno sia
di produzione locale sia di importazione.
122
FONTI LEGISLATIVE
Non usino vesti di lino, eccetto le mutande. I nostri abiti non siano rappezzati o foderati di lino. E a nessun frate sia consentito portare pelli se non nere.
La lunghezza della tonaca allacciata dalla cintura
non oltrepassi il dorso del piede; le maniche siano interamente cucite.
La lunghezza dello scapolare non superi la metà della gamba, e la sua larghezza non vada oltre le spalle. La cappa sia cucita per la lunghezza di un palmo sul petto, e disti
un palmo da terra. La cintura sia di cuoio nero, con fibbie
di osso nero o di ferro, non ricucita, senza puntale e senza
nessun ornamento; e alla cintura non si portino coltellini
appuntiti, né con il manico scolpito, figurato o rivestito
d’argento, né cordicelle di seta, né sigilli, né borse.
Ai priori sarà tuttavia consentito portare sigilli e
borse; agli altri ufficiali solo borse.
Ogni anno vengano dati ad ogni frate due fiorini
d’oro per gli indumenti personali; li dovrà utilizzare esclusivamente per tale scopo senza detrarne alcunché; e se qualcuno farà diversamente, gli sia tolto il resto del denaro.
I due tornesi che venivano dati a tutti frati, oltre ai
due fiorini d’oro, siano d’ora in avanti destinati allo studio
parigino; e siano versati quando si pagano gli indumenti.
Ogni provinciale raccolga questi tornesi nella sua provincia e li porti con sé al capitolo generale.
Cap. XIII - La
tonsura.
La tonsura si faccia nella parte superiore del capo,
non piccola, come conviene a dei religiosi, di modo che
tra essa e gli orecchi non vi siano più di tre dita di capelli.
Sopra gli orecchi inoltre si effettui la rasatura. La tonsura
si faccia due volte al mese, tre al massimo.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
Cap. XIV - Coloro
123
che vengono accolti nell’Ordine.
Nessuno sia accolto nell’Ordine in età inferiore ai
quindici anni, né superiore ai sessanta, se non con autorizzazione del priore generale.
Coloro che abbiano abbandonato un altro Ordine
e i professi di un Ordine o di una confraternita religiosa
qualsiasi non siano accolti nell’Ordine senza il consenso
del capitolo generale.
E non sia ricevuto nell’Ordine, senza licenza del
priore generale, nessuno di nascita illegittima.
Nessuno entri nel nostro Ordine se non nel convento del territorio in cui è nato, fatta eccezione per i luoghi dove esiste uno studio generale per gli studenti stranieri, comunque sempre con il consenso e il benestare del convento del territorio da cui il candidato proviene, se lì vi sono frati, oppure con licenza speciale del priore generale.
Quelli poi che vogliono indossare il nostro abito,
prima di essere accolti siano diligentemente esaminati dal
priore insieme con un altro discreto su tutte quelle cose che
potrebbero impedire il loro ingresso: se cioè uno sia sposato, o in condizione servile, o implicato in pendenze giudiziarie, o appartenente ad altra professione, o sia portatore di
malattia occulta, o sia scomunicato, bigamo o irregolare.
E se si scoprirà che il novizio accolto dopo tale
esame abbia mentito in alcuna delle cose esaminate, il
priore che l’ha ricevuto potrà espellerlo.
Quando poi un novizio vorrà donare ai frati qualcosa che valga quaranta soldi, o più, di moneta corrente, lo
offra sopra o davanti all’altare, e di tale oblazione si faccia
redigere un documento pubblico. Quanto poi egli offre per
le proprie vesti, sia speso quanto prima per tale scopo.
Nessuno sia accolto come chierico se non è capace
di cantare e non è competente nella grammatica.
124
FONTI LEGISLATIVE
Tutto questo può essere fatto dal priore conventuale,
con il consiglio e il consenso dei frati del suo convento, interpellati in tre capitoli; oppure con la conoscenza e il consenso del generale o del provinciale. Tuttavia il generale
può accogliere chiunque, con il parere positivo dei discreti del convento o del luogo dove si troverà, interpellandoli in tre capitoli.
Cap. XV -
I novizi.
Il priore affidi i novizi per la loro istruzione a un
maestro diligente, che li istruisca su tutto ciò che riguarda
l’Ordine.
In chiesa o dovunque essi si comportino con negligenza, egli cerchi di correggerli, per quanto può, con una
parola o con un cenno.
Procuri loro, per quanto può, le cose di cui hanno
bisogno. Per le mancanze pubbliche, se chiedono perdono
dinanzi a lui, deve imporre una penitenza o dichiararne la
colpa in capitolo.
Insegni loro ad avere l’umiltà del cuore e del corpo secondo il detto: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» 3.
Insegni loro a confessarsi frequentemente, con semplicità e discrezione; a vivere senza niente di proprio, ad
abbandonare la propria volontà per quella del loro responsabile; ad osservare l’ubbidienza sempre.
Li istruisca su come comportarsi dovunque e in
ogni circostanza; come tenere sempre il posto loro assegnato; come inchinarsi a chiunque offra o tolga loro qualcosa, dica loro del male o del bene; come comportarsi nelle camere; come non avere occhi alteri; come pregare o per
3 Mt
11, 29.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
125
che cosa; come debbano farlo silenziosamente, in modo da
non arrecare disturbo; come chiedere perdono in capitolo
o dovunque siano ripresi dal responsabile.
Se qualcuno avrà poi in qualsiasi modo scandalizzato un fratello, resti prostrato ai suoi piedi, fino a che
questo, con pace, non lo faccia rialzare.
Devono anche essere formati a non osare di entrare
in lite con nessuno. In tutto obbediscano al loro maestro.
Nella processione attendano il compagno collaterale.
Non parlino nei luoghi e nei tempi proibiti.
Non giudichino nel loro intimo qualcuno; ma se
vedono fare qualcosa che a loro sembra sbagliato, cerchino di
pensare che si tratta di cosa buona o comunque compiuta con
retta intenzione: spesso la natura umana sbaglia nel giudizio.
Non parlino di chi è assente, se non dicendo di lui
cose buone.
Si impongano frequentemente la disciplina.
Bevano con ambo le mani e stando seduti.
Custodiscano diligentemente i libri, le vesti e le altre cose del convento.
Se hanno chiesto qualcosa ad un priore, non la
chiedano anche ad un altro, se non dopo aver esposto la
causa; né se l’hanno chiesta ad uno con superiore autorità,
vadano da uno con minore autorità.
Prima della professione si ricevano le confessioni
dei novizi, dopo che essi saranno stati diligentemente istruiti sul modo di confessarsi e sul resto.
I novizi, prima della professione, paghino gli eventuali debiti e pongano tutto il resto ai piedi del priore per
essere totalmente liberi.
Inoltre durante il tempo della loro prova essi studino diligentemente la salmodia e l’ufficio divino.
Durante l’anno di noviziato non siano inviati, se
non in caso di necessità, in luoghi lontani né siano impegnati in qualche ufficio conventuale.
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FONTI LEGISLATIVE
Le vesti del novizio non siano alienate prima della
professione senza il suo consenso.
Non ricevano gli ordini sacri prima della professione.
I novizi, avvicinandosi il tempo della loro professione, siano inviati al priore generale o al priore provinciale muniti di lettere dove sia riportato il voto di tutti frati
professi dei loro conventi, a meno che non siano ammessi
alla professione con licenza speciale del priore generale o
dei rispettivi provinciali.
Se uno poi non vuole fare la professione a tempo
debito, sia allontanato dalla fraternità.
Vogliamo inoltre che i novizi osservino il silenzio
tra loro e con persone estranee; tuttavia con il permesso
del loro priore o del loro maestro, potranno parlare anche
con le persone con cui è proibito farlo.
Cap. XVI - La
professione.
Questo è il modo di emettere la professione:
Io, [...], faccio professione,
e prometto a Dio onnipotente,
alla beata vergine Maria e a tutta la corte celeste,
e a te frate [...],
priore generale dei frati Servi di santa Maria,
dell’Ordine di sant’Agostino,
e a tutti i tuoi successori,
obbedienza, di vivere senza proprietà, e castità,
e di vivere secondo la regola del beato Agostino,
per tutto il tempo della mia vita, in questo Ordine.
Quando poi si emette nelle mani di un altro, si
deve fare così:
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
127
Io, [...], faccio professione,
e prometto a Dio onnipotente,
alla beata vergine Maria, e a tutta la corte celeste,
e a te frate [...],
priore provinciale o priore conventuale di...,
facente le veci di [...],
priore generale dei frati Servi di santa Maria,
dell’Ordine di sant’Agostino,
e a tutti i suoi successori,
obbedienza, di vivere senza proprietà, e castità,
e di vivere secondo la regola del beato Agostino,
per tutto il tempo della mia vita, in questo Ordine.
E fatta la professione se ne rediga il documento
pubblico, a spese del convento da dove proviene il frate
che ha fatto la professione, e sia conservato nello scrigno a
tre chiavi dello stesso convento.
L’abito dei novizi, alla loro professione, sia benedetto come segue:
v. Mostraci, Signore, la tua misericordia.
r. E donaci la tua salvezza.
v. Il Signore sia con voi.
r. E con il tuo spirito.
Preghiamo.
Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di indossare il vestito della nostra natura mortale, invochiamo l’abbondanza della tua immensa generosità, affinchè ti degni di benedire questo abito che i nostri santi Padri stabilirono di portare quale segno di innocenza e umiltà, in modo tale che
chiunque lo indossi meriti di rivestirsi di te.
Per Cristo nostro Signore.
r. Amen.
Poi si asperga con l’acqua benedetta.
128
Cap. XVII - Per
FONTI LEGISLATIVE
chi è in viaggio.
Quando i frati sono inviati fuori convento, colui
che li invia scelga uno di loro come custode; se non sarà
scelto nessuno, funga da custode il più anziano.
Coloro ai quali viene dato per obbedienza di recarsi da un luogo ad un altro, si inginocchino dinanzi a colui
che ha impartito l’ordine, chiedendo la sua benedizione.
Prima di uscire dal convento si rechino insieme
davanti all’altare o all’immagine della beata vergine Maria
e vi si prostrino con devozione; e lo stesso faranno anche
al ritorno. E compiano questo atto di devozione ogni volta
che escono dal convento.
Non si rechino in luoghi diversi da quelli in cui
sono stati inviati.
Se uno compie una mancanza a proposito di questo e non se ne accusa, il compagno che è presente e può
constatarlo, è tenuto ad accusarlo.
Non portino con sé più del valore di dieci soldi e
non pensino assolutamente di portare con sé oro o argento o denari.
Non osino trasmettere lettere o altri scritti, se non
quelli che hanno sentito leggere davanti al priore.
Nessuno intraprenda un viaggio da solo con qualcuno che non porta il nostro abito.
Nessuno si rechi presso monasteri di donne, presso le loro case o presso le recluse e parli con loro o con le
loro inservienti, senza permesso del priore generale o del
provinciale della provincia in cui sono situati detti conventi, a meno che non vi vadano processionalmente con
altri religiosi e chierici o per un funerale, con il permesso
del priore locale.
Nessuno, neppure il provinciale, si rechi in tali luoghi, senza il consenso della maggior parte del capitolo del
convento della regione dove si trovano detti conventi.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
129
Quando si invia un frate in uno di questi conventi, si richieda ugualmente il parere del capitolo. E chi si
comporterà in modo contrario, per ciò stesso incorra nella
sentenza di scomunica.
I frati che sono in viaggio rechino con sé le lettere
testimoniali e appena giunti nel convento le consegnino al
priore o al vicario. Se non lo fanno, i frati non li ammettano alla mensa comune. Se poi si rendono colpevoli di
qualche cosa nei conventi dove hanno soggiornato o nella
provincia in cui stanno viaggiando, il priore provinciale o
quello conventuale, o nel caso i loro vicari, nella cui giurisdizione vengono a trovarsi, abbiano libera facoltà di correggerli come frati loro.
Il priore onori un priore forestiero che arrivi nel
suo convento. Ma l’ospite, senza il suo consiglio, non giri
per la città e non vi si trattenga. E nessun frate forestiero
faccia debito o guadagno senza permesso del priore presso
il quale si è recato.
Cap. XVIII - L’autorità
degli ufficiali conventuali.
Il priore generale abbia piena potestà nelle cose spirituali e temporali. Abbia inoltre piena potestà di dispensare da qualunque disposizione delle Costituzioni con il
consiglio e la deliberazione di più discreti.
Sia tenuto a visitare personalmente, o tramite i
vicari, tutti i conventi del nostro Ordine situati al di qua
delle Alpi, almeno una volta all’anno; e quelli al di là delle
Alpi, una volta nel triennio. E possa, per evidente necessità dell’Ordine, contrarre debito fino a cento fiorini d’oro,
con il parere dei suoi soci, ma non per somme maggiori
senza il parere dei provinciali d’Italia.
130
FONTI LEGISLATIVE
Il priore provinciale non contragga debiti senza averne
parlato con tutti i priori della sua provincia. E rivesta nella
sua provincia l’ufficio di generale, a meno che questo non
voglia riservarsi qualcosa. Sia tenuto a visitare tutti i conventi della sua provincia almeno tre volte all’anno, e anche
più spesso se lo ritiene opportuno.
I frati visitatori vengono inviati dal priore generale quando se ne vede la necessità. Essi ascoltino e correggano diligentemente gli eventuali abusi dei priori provinciali, dei priori conventuali, e dei frati in genere.
Anche i priori provinciali, quando ne vedono l’opportunità, inviino dei visitatori. Costoro correggano diligentemente gli abusi dei priori conventuali e di tutti i frati
delle loro province.
Il priore conventuale non faccia accedere ad un
ordine sacro i suoi frati, se non con l’autorizzazione del
generale o del suo provinciale. Se il frate che è stato ordinato fa redigere un documento pubblico della propria ordinazione, non lo tenga presso di sé, ma lo conservi nello
scrigno a tre chiavi del convento da cui proviene.
Il priore non invii un frate da una provincia all’altra, se non per utilità del suo convento. Non edifichi o demolisca un edificio senza il parere dei discreti.
Non ponga termine o rifiuto a debiti o legati,
senza il parere dei discreti.
Non tenga in convento come domestico, per nessun motivo, un consanguineo suo o di un altro frate del
convento.
Abbia poi piena potestà di correggere i frati del
convento secondo le nostre Costituzioni, tenendo consiglio con i suoi discreti per i fatti gravi.
Riunisca il capitolo almeno ogni venerdì, immediatamente dopo il mattutino, e in esso ascolti l’accusa delle
colpe dei frati.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
131
Quando poi si reca fuori convento, elegga un suo
vicario cui spetterà avere attenzione e cura del convento,
correggere i colpevoli, agire in tutte le altre cose secondo
quanto avrà delegato o permesso il priore.
Faccia leggere comunitariamente le Costituzioni
dell’Ordine, almeno sei volte l’anno.
Stabiliamo che i priori conventuali non lascino per
più di tre giorni il convento, senza l’autorizzazione della
maggior parte della comunità.
Nessun frate del nostro Ordine, senza autorizzazione del priore generale, tenga presso di sé un estraneo per
l’insegnamento, affinché i costumi dell’Ordine non ne siano corrotti.
Sia in ogni convento un procuratore, eletto dalla
maggiore e più sana parte del capitolo, nelle cui mani pervenga tutto il denaro donato al convento in elemosina,
offerto sopra l’altare o in qualunque maniera giunto nelle
mani dei frati. Egli spende ed amministra questo denaro
con l’autorizzazione del priore. Registri tutto il denaro
ricevuto e speso, in modo da poterne rendere conto ogni
mese al priore e ai discreti.
Si guardi bene il procuratore dal porre limiti o rifiuti ai legati, senza il parere del priore e dei discreti.
Stabiliamo che i priori che esercitano anche l’ufficio di procuratore, qualora non abbiano reso conto del loro
ufficio come stabilito dall’articolo precedente, ricevano per
una volta la disciplina e mangino per una volta per terra
pane e acqua; e se lo esigerà la gravità della colpa, anche più
volte, secondo il parere del priore generale e dei definitori.
Sia in ogni convento anche un vicario del priore
ugualmente eletto dalla maggiore e più sana parte del capitolo, il quale dispensi e provveda il necessario ai frati, agli
infermi, ai sani e ai forestieri con diligente cura, per tutto
ciò che riguarda il vitto, le calzature e gli strumenti di lavoro, ma non per altre cose. Con il suo permesso o con quel-
132
FONTI LEGISLATIVE
lo del priore, si possono far riparare le suppellettili dei frati
fuori del convento.
Il vicario del priore non può accordare ad un frate
di mangiare fuori del convento senza l’autorizzazione del
priore.
Come sagrestano sia eletto un frate prudente e sollecito, il quale abbia cura diligente e onesta delle cose del
suo ufficio. Non prenda e non dia in prestito né alieni alcuna cosa del suo ufficio, ad un frate o ad un estraneo,
senza il permesso del suo priore.
Il refettoriere sia provvido e discreto; egli custodisca diligentemente il pane e il vino e tutto quello che attiene alla mensa; ogni giorno distribuisca agli inservienti il
pane e il vino e le altre cose necessarie, secondo il tempo.
A lui, dopo che i frati della seconda mensa hanno mangiato, il servitore della mensa stessa riconsegni ogni cosa.
Il portinaio sia prudente, onesto e sicuro, ed esegua quanto spetta al suo ufficio, come gli verrà indicato
dal priore.
Cap. XIX - Le
proibizioni.
Nessuno tenga presso di sé il denaro concessogli a
suo uso, né quello altrui. A nessuno sia dato il permesso di
tenerlo. Sia invece depositato nello scrigno a tre chiavi.
Tuttavia un frate potrà fare un deposito presso il priore, il
vicario, il procuratore o il sacrista, fino alla quantità di dieci soldi di moneta corrente, ma non di più.
Sia lecito anche a ciascuno dei suddetti ufficiali
tenere presso di sé il proprio denaro, fino alla quantità predetta. Se uno agirà diversamente gli sia tolto tale denaro.
Il vicario, il procuratore o il sacrista non restituiscano il
denaro depositato senza l’autorizzazione del priore, né lo
spendano senza il suo permesso.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
133
Colui che ha in deposito il denaro altrui non lo
spenda senza l’autorizzazione di colui al quale appartiene.
Nessuno poi riceva in deposito qualcosa o la consegni ad un altro senza permesso del suo priore.
Nessuno inoltre venda un libro o qualunque altra
cosa dell’Ordine, al di sopra del prezzo che sono costati.
Nessun sacerdote del nostro Ordine ascolti le confessioni dei nostri frati, dei laici e delle donne, senza il permesso del priore generale o del priore provinciale. Concediamo però che i sacerdoti possano assolversi a vicenda, eccetto i casi riservati al priore.
Stabiliamo che nessun frate laico o converso porti
la chierica.
Stabiliamo inoltre che i priori conventuali siano
tenuti ad ispezionare i cassetti, gli scrigni e le bisacce dei
frati in loro assenza una volta al mese; ugualmente, che il
priore generale, il priore provinciale e i visitatori, nel corso
delle loro visite, siano tenuti ad ispezionare tutte le cose
appartenenti ai priori e a tutti i frati. E se saranno trovate
cose non di loro pertinenza, queste siano poste di nuovo
nella proprietà comune del convento.
Le donne non siano ammesse nel coro dei regolari, eccetto che per le quattro feste di Nostra Signora, nel
giorno di Venerdì santo, ogni volta che il popolo accorra
processionalmente per la presenza del vescovo e nella festa
del convento.
Nessuno parli ad una donna fuori della confessione e neppure ne ascolti la confessione, se non in presenza
o alla vista di un frate, o di un’altra onesta persona.
In ogni convento, dove si possa realizzare opportunamente, si costruisca un carcere, e si comprino dei ceppi di ferro per i piedi.
Nessuno invii lettere ad un frate o ad un estraneo,
senza mostrarle prima al priore; e se sono inviate da estranei ad un nostro frate, prima siano presentate al priore.
134
FONTI LEGISLATIVE
Nessuno sia eletto priore generale, o suo vicario, o
visitatore se non sia stato nel nostro Ordine per quattro
anni continui.
Nessuno venda o compri, doni o riceva qualcosa
senza il permesso del priore. Chi farà diversamente sia privato di quanto ha ricevuto.
Stabiliamo che i priori conventuali possano contrarre un debito per un’evidente utilità dei loro conventi,
sentito il parere dei propri discreti, sino alla somma di
venticinque lire di moneta corrente; se di più, con autorizzazione del priore generale, o del priore provinciale, o
del visitatore.
Al capitolo generale presentino ogni anno un rendiconto, redatto e sigillato in capitolo conventuale, di tutti
i debiti dei loro conventi e i motivi stessi dei debiti.
Nessuno si coinvolga in processi e cause giudiziarie, né assuma il ruolo di distributore o dispensatore di
beni mobili o immobili agli estranei o ai novizi, senza permesso del priore. E neppure lo stesso priore, senza il parere dei discreti del suo convento.
Cap. XX - La
colpa lieve.
È colpa lieve:
se un frate, appena udito il tocco della campana,
senza tralasciare ogni attività con opportuna fretta, ritarderà di prepararsi ad andare in chiesa con compostezza e
ordine, quando dovrà.
Se uno non sarà presente al Gloria del primo salmo.
Se uno in coro, sbagliando nel leggere e nel cantare, non si inchinerà subito di fronte a tutti.
Se uno, invece di essere intento all’ufficio divino,
mostrerà, vagando con gli occhi o con atteggiamenti poco
devoti, di essere distratto.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
135
Se uno nel dormitorio o nelle celle farà rumore.
Se uno non sarà pronto alla lettura nel momento
stabilito.
Se uno pretenderà di leggere o di cantare ciò che
non è stato approvato di comune accordo.
Così pure è colpa lieve se qualcuno nella predicazione o altrove avrà detto o fatto qualcosa di ozioso.
Se uno ridendo sguaiatamente, con smorfie o scherzi, avrà indotto gli altri a ridere.
Se uno andando per piazze e paesi, volgerà frequentemente gli occhi a cose vane.
Se uno avrà dormito durante le letture.
Se uno non sarà presente ad ascoltare la lettura nei
tempi stabiliti.
Se uno avrà letto libri proibiti.
Se uno avrà trattato con negligenza le suppellettili
della chiesa e dell’altare.
Se uno non riporrà con cura le sue vesti o i libri nel
luogo stabilito, o li avrà trattati con negligenza.
Se uno avrà preso indumenti e altre cose date o
concesse ad un frate, senza l’autorizzazione dello stesso.
Se uno avrà rotto o smarrito qualche suppellettile.
Se uno avrà rovesciato per terra cibo o bevanda.
Se un libro da cui si deve fare la lettura verrà a
mancare per negligenza di qualcuno.
Se uno avrà detto o fatto qualcosa per cui i frati si
sentano offesi.
Se uno avrà preso bevanda prima della benedizione.
Se qualcuno tarderà a rientrare in convento all’ora
dovuta.
Se qualcuno non parteciperà al capitolo, a una riunione, o non interverrà alla mensa comune.
Se uno avrà negato o affermato qualcosa con giuramento, come si usa fare parlando.
136
FONTI LEGISLATIVE
Se uno avrà pronunciato un discorso volgare o vuoto o, cosa più grave, ne avrà l’abitudine.
Se uno di quelli che presiedono a qualche ufficio
come i priori nella custodia del convento, i maestri nell’insegnare, gli studenti nello studiare, gli amanuensi nello scrivere, i cantori nei propri compiti, i procuratori nel procurare le cose esteriori, l’incaricato degli abiti nel provvedere, custodire e riparare le vesti, il custode degli infermi nel
custodire e nel procurare il necessario agli infermi come
anche nell’adempiere alle cose necessarie in caso di decesso di un frate, e chiunque altro, negli uffici suoi propri, si
comporterà con negligenza in ciò che gli è richiesto.
A quelli che si accusano o sono accusati delle cose
sopraddette, sia imposta la penitenza che sembrerà opportuna a chi presiede.
Cap. XXI - La
colpa grave.
È colpa grave:
se uno, in presenza di secolari, sarà venuto a disonesta contesa con qualcuno.
Se uno avrà ingiuriato qualcuno dei frati.
Se uno avrà deliberatamente mentito.
Se uno avrà l’abitudine di non osservare il silenzio.
Se uno avrà difeso un abuso proprio o altrui.
Se uno, eccedendo nell’accusa, finirà per causare
una lite.
Se uno sarà trovato a inveire con cattiveria, con parole volgari ed empie, o addirittura con maledizioni, contro colui da cui è stato accusato o contro qualcun altro.
Se uno avrà rinfacciato ad un frate una colpa passata per la quale ha già espiato.
Se uno, con intenzione cattiva, avrà parlato male
dei genitori, dei fratelli o delle famiglie di qualcuno dei frati.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
137
Se uno, recandosi dove ci sono delle donne, le guarderà con insistenza, se lo farà abitualmente, se avrà parlato da solo con una donna non in confessione e non di cose
oneste.
Se uno romperà i digiuni senza motivo e permesso.
Per queste e altre simili colpe, a coloro che chiedono perdono e non sono pubblicamente accusati, siano imposte in capitolo tre correzioni e il digiuno a pane e acqua
per tre giorni.
A coloro che sono pubblicamente accusati si aggiunga una correzione e un giorno di digiuno. Inoltre siano loro imposti salmi e penitenze, a discrezione del priore
e in proporzione alle colpe.
Sono soggetti alla stessa pena coloro che, inviati
fuori convento, pretenderanno di ritornarvi senza permesso o tarderanno oltre il termine stabilito.
Se qualcuno avrà mormorato per il vitto o il vestito, o per qualunque altra cosa, al punto che ne derivi scandalo.
Si guardi poi bene ogni frate dall’accusare qualcuno di una qualsiasi colpa se non può provarlo. Se l’accusato nega e l’accusatore non è in grado di provare l’accusa,
questi venga punito più severamente di quanto non richieda la colpa denunciata.
Affinché poi i vizi non rimangano nascosti, ognuno
manifesti al suo responsabile quello che ha visto o udito.
Cap. XXII -
La colpa più grave.
È colpa più grave:
se uno per indisponibilità o per manifesta ribellione sarà disubbidiente al suo responsabile o avrà osato discutere con arroganza con lui, dentro o fuori convento.
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FONTI LEGISLATIVE
Se alcuni si opporranno apertamente ai loro priori
o responsabili, attraverso cospirazione o congiura o maliziosa concordia.
Se invece i frati, non malignamente ma secondo
verità, avranno contro il responsabile qualcosa che non si
deve né si può tollerare, prima lo ammoniscano privatamente con tutta umiltà e carità, per la sua personale correzione; se poi, più volte ammonito, non vorrà correggersi, la cosa sia fatta conoscere al priore provinciale o ai visitatori quando verranno in quel convento, o ai definitori
del capitolo provinciale o generale.
In nessun modo i frati osino diffamare i loro responsabili.
Se uno percuoterà un altro.
Se uno sarà colto a rubare.
Se uno avrà nascosto una cosa donatagli, specie se
si tratta di cose che è proibito ricevere; e che il beato Agostino afferma doversi condannare con lo stesso giudizio
riservato al furto.
Se qualcuno cadrà in peccato carnale.
Tutti costoro siano posti in carcere e ivi digiunino
ogni mercoledì e ogni venerdì a pane e acqua e non ne escano senza l’autorizzazione del priore generale; e stiano come
novizi; e non venga dato loro incarico di nessun genere, fino
a che non sarà diversamente stabilito dal capitolo generale.
E se qualcuno sarà caduto nel peccato carnale fuori
convento, il frate che è con lui veda di manifestare al suo
priore tale colpa, affinché venga corretta al più presto.
Dopo la correzione, il frate non ritorni più nel luogo dove ha commesso tale colpa, a meno che non si sia comportato così religiosamente da essere a ragione ritenuto degno, dai definitori del capitolo generale, di potervi tornare.
Se poi tale peccato rimarrà occulto, per investigazione riservata, secondo il tempo e la persona, il colpevole ne faccia conveniente penitenza.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
139
Se uno poi avrà peccato e vorrà confessarsi al suo
compagno già a conoscenza della cosa per altra via, questi
non riceva la sua confessione.
Allo stesso modo, se qualcuno avrà indotto un’altra persona nel peccato carnale o le avrà usato violenza,
venga punito con la stessa pena.
Cap. XXIII - La
colpa gravissima.
Colpa gravissima è l’incorreggibilità di colui che
non teme di ammettere le proprie colpe, ma rifiuta di portarne le pene conseguenti. A costui si riferisce il precetto
del nostro padre Agostino: “Anche se non se ne va da solo,
sia rigettato dalla nostra convivenza” 4.
Costui quindi, spogliato dell’abito religioso e vestito di abiti secolari, sia costretto ad andarsene. E come
già ha rigettato dal cuore la professione, così sia costretto
a deporre anche i segni esterni della professione.
Questo però nel caso che il frate sia stato fino a
quel momento sano di mente e integro nel sentire.
A nessuno poi, in altra maniera o per una qualunque occasione, va concessa l’autorizzazione a tornare indietro, affinché l’Ordine e la disciplina canonica non vengano irrisi quando l’abito religioso, portato da persone
indegne, viene disprezzato.
Cap. XXIV - Gli
apostati.
Chiunque dovesse uscire dall’Ordine una volta emessa la professione, al suo eventuale ritorno digiuni per
4
Regola 4, 9.
140
FONTI LEGISLATIVE
un anno intero, una volta la settimana, a pane e acqua,
mangiando in ginocchio alla mensa comune, e riceva una
disciplina ogni settimana. Sia collocato all’ultimo posto alla mensa e in coro, e, come se si trattasse di un novizio,
non gli si affidi alcun ufficio.
E se questo frate è anche sacerdote, non ascolti le
confessioni fino a diversa disposizione del priore generale.
Se durante il tempo nel quale è rimasto nell’apostasia ha condotto vita immorale, sia punito più severamente a discrezione del priore generale.
E se uscirà una seconda volta dal convento e poi
tornerà di nuovo, gli sia duplicata la pena. E se lo farà una
terza volta, gli sia triplicata.
Gli anni passati nell’apostasia non gli siano computati per l’ordine di precedenza, ma sia retrocesso dopo
quelli che contano più anni di professione di quanti ne
aveva lui quando lasciò il convento.
Oltre alle penitenze già menzionate, egli non eserciti alcun ruolo d’autorità nell’Ordine per un quinquennio.
E il voto di coloro che non sono ammessi ad un
ruolo di autorità, non sia accettato in nessun capitolo per
un quinquennio.
Possa però il priore generale, a seconda della gravità della colpa, usare misericordia con loro.
Nessuno, uscito dal nostro Ordine, sia accolto di
nuovo senza permesso del priore generale o del provinciale. Il priore provinciale, a sua volta, non accolga uno che
sia uscito da un’altra provincia.
Cap. XXV - Il
capitolo generale.
Stabiliamo che il capitolo generale si tenga ogni
anno alle calende (il primo) di maggio.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
141
Al capitolo devono partecipare il priore generale, i
suoi soci e tutti i priori provinciali. Ogni priore conventuale di una casa dove sono tredici frati con cappa, venga
con due compagni, eletti dalla maggiore e più sana parte
del convento. Da una casa, poi, dove sono soltanto dodici
frati o meno, venga il priore con un solo compagno.
Tutti i frati giungano nel luogo in cui deve celebrarsi il capitolo, il giorno precedente le calende di maggio e non prima. Se uno giunge al capitolo prima del termine predetto, senza il permesso del priore generale, paghi
ogni giorno un tornese grosso dal denaro assegnatogli.
Se poi i frati eletti non vogliono venire al capitolo
e si rifiutano ostinatamente, incorrono per il fatto stesso
nella colpa di disobbedienza ed ogni giorno mangino in ginocchio pane e acqua alla mensa comune, fino a che i frati
capitolari non siano tornati dal capitolo al loro convento.
E questa pena sia applicata, a meno che il capitolo stesso
non la condoni ed altri frati vengano eletti al loro posto.
Se alcuni dei predetti frati che devono partecipare
al capitolo generale non ci vanno, non potranno delegare
ad altri il loro voto, ma invieranno comunque il denaro
che dovevano portare per il capitolo.
E ciononostante, il capitolo generale sia celebrato
da quelli che sono arrivati, iniziando dal giorno delle calende di maggio con il seguente ordine:
prima di tutto sia invocata con molta devozione
l’Avvocata nostra, in ginocchio, recitando l’antifona Salve
Regina senza canto, con il versetto Ora pro nobis e l’orazione Concede nos.
Poi si ascoltino i sermoni, che devono essere brevi
e succinti, se vi sono alcuni che vogliono farli e dopo che
sia stato loro concesso dal priore generale. Al sermone
potranno assistere, a loro edificazione, quelli che lo vorranno o lo potranno.
142
FONTI LEGISLATIVE
Finito il sermone, dato che bisogna sovvenire al
più presto agli indigenti, si annuncino i nomi dei frati defunti in quell’anno; si faccia per loro un’assoluzione comune e si dica il salmo De profundis, Kyrie eleison, Pater noster,
con il versetto A porta inferi e l’orazione Absolve. E a quel
punto, tutti coloro che non fanno parte del capitolo escano.
Usciti i quali, siano eletti dai frati capitolari quattro
definitori, in questo modo: ciascuno dei capitolari scriva
prima il proprio nome e poi i nomi dei definitori eletti.
Dopo che sono stati scritti, questi siano proclamati in assemblea capitolare specificando i nomi degli elettori e degli eletti. Nessuno sia eletto definitore se non di
triennio in triennio.
I frati elettori evitino di fare una qualunque elezione, nel capitolo generale e negli altri capitoli, su suggerimento o con altre malizie, ma solo come il Signore ispirerà loro.
I definitori, subito dopo esser stati eletti, mantengano il silenzio con tutti e tra loro, a meno che non si trovino in tre, o in due insieme col priore generale, oppure
per licenza concessa dallo stesso capitolo. Ad essi subito i
priori provinciali e gli altri priori consegnino il sigillo con
le lettere della propria giurisdizione.
Quindi gli stessi definitori correggano il priore
generale, i suoi soci e tutti quelli che tennero il suo ufficio
come delegati.
Il priore generale e i quattro definitori correggano
i priori provinciali e conventuali e agli altri frati accusati di
gravi abusi.
Il capitolo elegga poi due frati presbiteri che affianchino il priore generale nel correggere i definitori per
le eventuali mancanze commesse prima del capitolo.
Poi, se vengono presentati dei decreti nuovi, siano
fatti conoscere ai capitolari; i decreti che avranno ottenuto il consenso della maggior parte del capitolo siano redatti in un volume a parte, e non insieme con i decreti anti-
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
143
chi, se non dopo aver ottenuto l’approvazione di tre capitoli annuali. Non si ricevano e non si discutano in capitolo generale decreti che non siano stati inviati da qualche
convento e sigillati col sigillo di quel priore.
Poi il priore generale con i quattro definitori eleggano i priori provinciali e quelli conventuali e distribuiscano gli altri frati in tutte le case del nostro Ordine.
Ricordati quindi i benefattori dell’Ordine e trattate le altre cose utili, siano proclamati i priori provinciali e
i priori conventuali di tutto l’Ordine.
Subito dopo la proclamazione sia cantato il Te Deum
laudamus e si suoni la campana. Dopo il canto si dica il
versetto Ora pro nobis sancta Dei Genetrix e l’orazione Concede nos . Si faccia quindi la confessione comune con l’assoluzione, e la benedizione dei presenti.
Questa stessa procedura sia osservata analogamente anche nel capitolo provinciale.
Nel capitolo generale si proceda sempre con queste modalità. I frati capitolari non possono modificare o
innovare qualcosa per il capitolo in atto se non con il consenso di tutti. Allo stesso modo né il priore generale né i
priori provinciali possono in alcun modo mutare uno statuto generale dell’Ordine o una consuetudine antica e comunemente osservata se non con l’approvazione di tre
capitoli successivi.
In virtù dello Spirito Santo e dell’obbedienza comandiamo che sia fermamente osservato che nessuno osi
rendere di pubblica conoscenza agli estranei il motivo della deposizione di un priore generale o un suo abuso e la
conseguente correzione, o un segreto del capitolo, o i dissensi dei definitori e dei frati dell’Ordine, per cui il nostro
Ordine possa essere turbato o infamato.
Se qualcuno poi, deliberatamente, farà il contrario,
sia considerato come scomunicato e scismatico e distrutto-
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FONTI LEGISLATIVE
re del nostro Ordine. E finchè non avrà soddisfatto alla sua
pena sia totalmente estromesso dalla comunione di tutti.
Con la stessa severità comandiamo che nessuno osi
operare, con la parola o i fatti, per la divisione del nostro
Ordine. E se lo farà, cada anch’egli sotto la stessa pena.
Stabiliamo che i definitori abbiano piena potestà
nel correggere gli abusi del priore generale. La loro sentenza sia applicata inviolabilmente, cosicchè a nessuno sia
lecito appellarsi contro una loro sentenza. E se qualcuno si
sarà appellato, il ricorso sia considerato nullo e come non
avvenuto.
Proibiamo infatti il ricorso nel nostro Ordine,
dato che non siamo entrati nell’Ordine per contendere,
ma per convertirci dai nostri peccati.
Stabiliamo ugualmente che nessun religioso di altro Ordine o professione, nessun secolare di qualsiasi ordine o dignità o professione o vita, sia ammesso per qualsiasi motivo alle discussioni del capitolo.
Il priore generale e i definitori determinino in ogni
capitolo il tempo e il luogo della celebrazione del capitolo
generale successivo.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
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GLOSSARIO
APOSTATI
Religiosi che hanno lasciato l’Ordine dopo la professione
senza permesso dei superiori; per comprendere la forza del
termine è necessario ricordare che al tempo delle Constitutiones antiquae dopo il noviziato si emetteva un’unica professione definitiva, cioè la professione solenne e che in
quel secolo la Chiesa non riteneva possibile “dispensare”
dai voti monastici.
CHIESA CONSACRATA
Chiesa per la quale è stato celebrato un particolare rito,
appunto la consacrazione, che comportava determinati privilegi liturgici e un corrispondente ruolo, con i doveri annessi; in particolare è riconoscibile perché porta segnate
alle pareti 12 croci in ‘memoria’ dei 12 apostoli.
COLAZIONE
Pasto monastico della sera, in tempo di digiuno, durante
il quale venivano lette le Collationes di Cassiano.
CORREZIONE IN CAPITOLO
Modalità di esercitare la correzione fraterna in capitolo
conventuale secondo la regola di sant’Agostino e la tradizione monastica.
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FONTI LEGISLATIVE
EBDOMADARIO
Frate incaricato di presiedere la liturgia delle ore e la liturgia eucaristica della comunità durante la settimana. Questo compito veniva svolto appunto secondo una turnazione settimanale, da cui il termine “ebdomadario”.
DEFINITORI
Frati eletti durante il capitolo generale o provinciale per
decidere intorno alle diverse questioni, soprattutto liti o
situazioni penali.
DISCIPLINA
Indica sia uno strumento penitenziale fatto di un manico
di legno con delle cordicelle di cuoio o cordame, sia il gesto dell’infliggere la pena consistente nella fustigazione.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
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INTROITO
Antifona con cui inizia la celebrazione della liturgia eucaristica.
MATTUTINO
Parte della liturgia delle ore che veniva recitata nella tarda
serata oppure di notte e comunque prima dell’alba. Solitamente veniva unita anche alle lodi formando quasi un’unica preghiera notturna.
MEDICINA STRAORDINARIA
Di solito si intende un salasso o una purga al di fuori di
quelle previste dalla ordinaria igiene del tempo.
MESSA CONVENTUALE
DISCRETI
Consiglieri del priore conventuale.
FESTE DI RITO DOPPIO
Fino al concilio Vaticano II il termine indicava uno dei
gradi rituali che caratterizzavano le modalità di celebrazione delle memorie liturgiche da quella “semplice” a quella
di “solennità”. Questa classificazione comprendeva sia il
numero di salmi e letture, sia indicazioni riguardanti la
durata dei giorni in cui si celebrava la memoria (es. con
ottava o meno), sia elementi rubricali.
FIORINI D’ORO
Moneta fiorentina.
GRADUALI
Piccoli brani della Scrittura, presi dai salmi, che si cantavano o recitavano tra le letture nella celebrazione eucaristica,
dove oggi si recita il salmo responsoriale.
Celebrazione quotidiana dell’Eucaristia che, strettamente
legata alla liturgia delle ore, faceva parte degli obblighi
liturgici dei conventi: attuale messa comunitaria.
ORDINE DI PRECEDENZA
Nel disporsi in processione, oppure nel prendere posto nei
luoghi “comuni” come la sala capitolare, il coro o il refettorio, i frati si disponevano secondo l’ordine di professione, cioè chi aveva una maggiore anzianità nell’Ordine aveva la precedenza sugli altri.
PANNO CITRAMONTANO, TEDESCHINO O ULTRAMONTANO
Indicano tessuti su base di lana con diverse modalità di
filatura e tessitura, ma sempre poco raffinati.
148
FONTI LEGISLATIVE
PRETIOSA
Preghiera di intercessione rivolta ai martiri (Preziosa al
cospetto del Signore è la morte dei suoi fedeli...), che si recitava nella prima scansione in cui era distribuita la liturgia
delle ore durante il giorno, cioè al mattino presto.
PRIMA MENSA
Nelle comunità, specialmente in quelle più numerose, il
pranzo veniva servito due volte, in modo che tutti, inclusi quelli che servivano a tavola, potessero mangiare insieme e nessuno avesse motivo di andare singolarmente in
cucina o godere di un pasto a parte.
PUNTI
Si riferisce ai puntini collocati in alto a destra della notazione gregoriana per indicare un lieve prolungamento della nota.
RITO SEMIDOPPIO
Cf. FESTE DI RITO DOPPIO.
RUBRICHE
“della curia romana” o anche “secondo l’uso della curia
romana”: rituale liturgico in uso presso la Chiesa di Roma,
al quale si rifacevano quasi tutti gli Ordini mendicanti del
tempo.
SALASSO
Prelievo di sangue che costituiva la base della terapia medica nelle affezioni di una certa entità.
1 - COSTITUZIONI ANTICHE
149
STUDIO GENERALE
Comunità destinata alla formazione per gli studenti di
tutto l’Ordine, dipendeva solitamente dal priore generale.
SUFFRAGI
Preghiere che venivano fatte in comune nella memoria
quotidiana o nelle ricorrenze dei frati, parenti e benefattori defunti.
TONSURA
Particolare taglio dei capelli in forma circolare, con il quale il singolo veniva cooptato nell’Ordine monastico o nel
clero. Costituiva anche un ordine minore, soppresso da
Paolo VI.
TRATTI
Cf. GRADUALI.
TORNESI D’ORO
Monete di provenienza francese.
UFFICIALI
Frati che ricoprivano un ufficio (incarico) su mandato elettivo del capitolo conventuale.
UFFICIO DEI DEFUNTI CON NOVE LETTURE
Modalità di celebrazione dell’ufficio di lettura per i defunti, in cui erano previste nove brevi letture: sei bibliche,
dell’Antico e Nuovo Testamento, e tre patristiche.
USO GALLICANO
PATER NOSTER
Sorta di rosario o corona.
SESSANTA
Liturgia originaria e propria delle Chiese di Francia.
La notazione musicale gallicana (francigena nota) indicava
il canto gregoriano.
2
CONSTITUTIONES NOVAE *
O DECRETI CAPITOLARI
introduzione
Tra questi decreti, emanati dai capitoli generali dal
1295 alla lettera di riforma istituzionale, la Regiminis universalis Ecclesie di Clemente VI del 1346, sono stati scelti
quelli riguardanti : il servizio liturgico, la partecipazione ai
divini uffici e alla mensa comune, la formazione culturale
dei frati, i digiuni, la qualità dei panni per gli indumenti,
la formazione dei novizi, la scelta dei superiori, la cura dei
frati infermi, l’elemosina alla porta del convento, la proibizione di assumere cariche civili.
La lettura dei testi conferma la continuità delle ispirazioni fondamentali delle Costituzioni antiche e ne sottolinea l’importanza nella vita concreta dell’Ordine.
* Con il nome di Constitutiones Novae si intendono i decreti che i capitoli generali dell’Ordine, a partire dal 1295, hanno emanato a integrazione delle Costituzioni antiche, secondo le esigenze emergenti.
152
FONTI LEGISLATIVE
2 - DECRETI CAPITOLARI
Edizione
153
DECRETI CAPITOLARI
Constitutiones novae sive ordinationes factae in capitulis generalibus 12951473, ed. P. M. SOULIER, in Monumenta OSM, II, Bruxelles 1898, p. 559.
Bibliografia
F. A. DAL PINO, I primi due secoli di storia costituente dei frati Servi di
santa Maria dell’Ordine di sant’Agostino (1245/47-1431), in Spazi e figure lungo la storia dei servi di santa Maria (secoli XIII-XX ), Roma 1997, p.
26-30.
ID., Tentativi di riforma e movimenti di osservanza presso i Servi di Maria
nei secoli XIV-XV , in Spazi e figure, cit., p. 253-287.
D. M. MONTAGNA, Liber capitolorum generalium OSM. Serie dei capitoli
annuali (sec. XIII-XIV), “Studi Storici OSM”, 39 (1989), p. 27-64.
1298 maggio 1, Città della Pieve.
liturgia
Nel capitolo celebrato presso Città della Pieve,
nell’anno del Signore 1298 il 1 maggio, abbiamo deciso
che i frati recitino in coro l’ufficio di Nostra Signora nelle
feste che il signor papa Bonifacio VIII ha recentemente stabilito che siano di rito doppio, e questo dopo aver recitato prima l’ufficio [della festa di rito] doppio.
1299 maggio 1, Viterbo.
liturgia
Così pure che d’ora in poi in tutto l’Ordine nostro
si celebri l’ottava del beato Agostino; e se nel corso dell’ottava capiterà una festa, si celebri l’ufficio della festa con
la commemorazione dell’ottava; nel giorno dell’ottava
invece si celebri l’ufficio [di rito] doppio come nel giorno
della festa.
154
FONTI LEGISLATIVE
Formazione culturale
Così pure che nessun libro del convento sia venduto senza il permesso del priore generale o provinciale: e
tutto il ricavato sia utilizzato per l’acquisto di un altro
libro o di altri libri, scelti secondo il parere espresso dalla
parte [maggioritaria e] più saggia del capitolo, né sia lecito, senza eccezioni, spenderlo altrimenti.
2 - DECRETI CAPITOLARI
155
coltà, ricevano dal convento dove svolgono l’insegnamento tre fiorini d’oro per i propri vestiti. E che siano tenuti a
venire ogni anno al capitolo, a spese del convento dove
insegnano, a meno che sia stato concesso loro, dal priore
generale o provinciale, di restare a casa per una ragione
evidente e manifesta. E che possano aver voce nel capitolo generale, come i priori e gli altri discreti che partecipano al capitolo. E inoltre non siano tenuti a portare denaro
per le spese del capitolo generale.
1300 agosto 5, Pistoia .
liturgia
1307 maggio 1, Viterbo.
Così pure, che in ogni sabato si canti l’ufficio della
Beata Maria in questo modo, cioè che al venerdì si cantino i vesperi della Beata Maria, mentre i vespri del giorno
vengano recitati prima di cantare l’ufficio sopra detto; allo
stesso modo si celebri il mattutino, a meno che in quello
stesso sabato non capiti una festa di rito doppio o semidoppio; in questo caso l’ufficio venga celebrato secondo il
rito della curia romana.
digiuni
1304 maggio 1, Città di Castello.
formazione culturale
Nel capitolo celebrato a Monte Pulciano nell’anno
del Signore 1316 al 1 di maggio, si è deciso che nessun
frate del nostro Ordine, di qualsiasi condizione e dignità,
da ora in poi presuma di studiare diritto canonico oppure
civile sotto la guida di qualche dottore senza il permesso
del capitolo generale, affinché non vengano ostacolati tipi
di studio più proficui per il nostro Ordine, a causa appunto dello studio del diritto canonico o civile. E chiunque
contravverrà a questa norma per ciò stesso incorra nella
sentenza di scomunica.
liturgia
Nel capitolo celebrato a Castello nell’anno del
Signore 1304 al 1 di maggio, abbiamo deciso che in tutti
i conventi del nostro Ordine si celebri sempre l’ufficio di
rito doppio per la festa di san Pietro martire, dell’Ordine
dei Predicatori.
formazione culturale
Così pure che i frati che sono incaricati ogni anno
dal capitolo generale di insegnare ai frati, in qualsiasi fa-
Stabiliamo parimenti che durante il capitolo generale o provinciale non si mangino carni.
Così pure che ogni sabato, per riverenza a Nostra
Signora in nessun convento si usino condimenti grassi.
1316 maggio 1, Montepulciano.
156
FONTI LEGISLATIVE
1320 maggio 1, Bologna.
cura degli infermi
Poiché inoltre abbiamo udito che alcuni priori non
hanno sufficiente cura degli infermi, vogliamo che, per
quanto riguarda l’impegno di assistere al più presto gli
infermi, i priori dei conventi abbiano sollecita diligenza.
elemosina
Inoltre vogliamo ed ordiniamo che in nessun tempo i frati siano negligenti sull’elemosina da distribuire alla
porta secondo le possibilità dei conventi.
digiuno
Su relazione di persone degne di fede, abbiamo
udito che in alcuni conventi non si osserva affatto il digiuno del venerdì, talora con scandalo dei più vicini. Volendo
dunque porre rimedio a questo disordine, ordiniamo ai
priori provinciali e conventuali e a coloro che ne tengono
le veci, che non possano né presumano di dispensare mai
quando i frati digiunano comunitariamente, se non qualora tale giorno venga a coincidere con la solennità del
Natale del Signore, della Circoncisione, o dell’Epifania,
oppure con una qualche festività di Nostra Signora.
formazione culturale
Volendo prenderci cura degli studenti, qualunque
sia la facoltà che frequentano, perché possano conoscere il
tempo che concediamo loro per [portare a termine] gli
studi, vogliamo e ordiniamo che, di qui in avanti, coloro
che studiano grammatica, logica o fisica debbono completare i corsi entro tre anni.
2 - DECRETI CAPITOLARI
157
E chiunque al compiersi del termine prefissato
non è in grado di passare ai livelli scientifici superiori,
venga privato sia degli studi inferiori che di quelli superiori, e per l’avvenire non potrà essere nuovamente ammesso a studiare da nessuno che non sia il priore generale.
1324 maggio 1, Orvieto.
liturgia
Per quanto riguarda [il capitolo delle costituzioni
su] il servizio liturgico, con l’approvazione universale del
capitolo, per elevare cantici di lode ed implorare i patrocini del beatissimo Giuseppe, sposo della gloriosa Vergine
Nostra Signora, è stato aggiunto che in ciascun convento
del nostro Ordine si celebri, con rito doppio, la festa del
beatissimo Giuseppe, il 19 marzo.
1325 maggio 1, Firenze.
indumenti
Capitolo generale tenuto nell’anno del Signore
1325, al 1 maggio, senza i discreti dei conventi. In questo
capitolo si è ripresa e rinnovata la prescrizione fatta nel
capitolo di Montepulciano a proposito del divieto di acquistare panni che costino più di quattro lire pisane per
canna, lasciando alla discrezione del frate [di decidere ciò]
che compera, in modo però che i frati non osino eccedere
la misura conveniente all’onestà dell’Ordine nella preziosità dei panni.
158
FONTI LEGISLATIVE
1328 maggio 1, Siena.
partecipazione alla liturgia
Poiché i religiosi debbono innanzi tutto rendere a
Dio degne lodi, alle quali sono obbligati sette volte al giorno secondo il detto del Profeta1 e le prescrizioni canoniche, [e] poiché il priore generale ed i definitori hanno appreso dal resoconto di frati degni di fede che alcuni, dimentichi o piuttosto spregiatori senza motivo [realmente]
scusante di quest’obbligo, sogliono omettere la recita del
predetto ufficio canonico, come del resto consta perché ne
corre pubblica voce e notizia tra di loro; i predetti priore
generale e definitori, desiderando correggere questa viziosa negligenza, hanno stabilito e ordinato che i priori provinciali e conventuali, costringano a recarsi in coro senza
scuse quei frati che avranno riconosciuto sospetti della
suddetta negligenza. Che se poi, per una ragione legittima,
sono stati assenti dal coro con il debito permesso, allora
recitino le ore canoniche in compagnia di un altro frate. E
a questo proposito indaghino nei rispettivi capitoli. Che se
poi non porteranno la testimonianza di un frate con cui
hanno recitato la sopraddetta ora fuori coro, per quel giorno pratichino l’astinenza a pane e acqua senza eccezioni.
Per i malati poi si incarichi un inserviente che reciti l’ufficio con loro oppure, se si tratta di infermi che non sono in
grado di recitarlo, [lo reciti] mentre essi ascoltano.
il maestro dei novizi
Così pure, a proposito dell’avere una più diligente
cura dei novizi, il priore generale ed i definitori hanno ordinato in forza di santa obbedienza e [nel nome] dello Spirito
1
Sal 119, 164.
2 - DECRETI CAPITOLARI
159
Santo, che in ogni convento venga deputato un frate, che
sia persona religiosa e timorata di Dio, come maestro dei
novizi; e se in un convento non è possibile trovare chi sia
in grado [di svolgere questo compito], lo si prenda da un
altro convento: affinché costui istruisca nel timore di Dio
e nell’osservanza dei comandamenti i novizi ed i giovani
che sono stati accettati. Nessun altro frate si intrattenga
con loro, oppure cerchi di rendersi amico qualcuno dei novizi o dei giovani. [Questi] dormano vicino al loro maestro,
e si alzino quando si alza lui, e così pure vadano insieme
con lui in coro, in refettorio e negli altri luoghi [comuni],
e con lo stesso se ne ritornino. Qualunque altro frate poi,
escluso il maestro o un altro al quale il priore avrà affidato le sue veci allorché il maestro è assente, avrà preso da parte o si sarà intrattenuto con un novizio o un giovane, se,
ammonito dal superiore dinanzi ad uno o più [testimoni],
non cesserà dall’intrattenersi e dalla familiarità di questo
tipo, sarà punito come persona convinta di un delitto.
i priori
Così pure, poiché coloro che presiedono debbono
essere i primi per vita, dottrina ed esempio, [i capitolari]
esortarono ed ammonirono il generale, quello attuale come colui che lo sarà pro-tempore, e i definitori del capitolo affinché i priori provinciali, conventuali e i lettori [che
essi eleggeranno], siano tali da corrispondere ai meriti
sopraddetti.
l’abito
Così pure, poiché l’abito esteriore deve essere significativo di umiltà e penitenza, per cui i santi padri prescrissero di portarlo appunto come segno di umiltà e penitenza, a proposito del capitolo Della colpa grave dove si dice: Tutti costoro siano posti in carcere senza l’abito; lo stesso
160
FONTI LEGISLATIVE
priore generale ed i definitori dichiararono che l’abito non
deve essere tolto a coloro che umilmente hanno riconosciuto di essere responsabili delle colpe commesse e per
altro notissime, e che si sono sottoposti pazientemente alla
penitenza stabilita.
formazione culturale
Così pure, poiché per mezzo della sacra dottrina i
religiosi sono illustri e di vantaggio a tutto il mondo, il
priore generale ed i definitori decidono che l’Ordine acquisti una casa nella città di Parigi, dove lo studio della
scienza è rigoroso in modo eccezionale, affinché vi possano risiedere almeno quattro frati. Questi frati, una volta
inviati, vi debbono studiare per un triennio, né debbono
essere richiamati indietro prima dello spirare del triennio
a meno che non presentino carenze nel modo di vivere.
Questo sia fatto attraverso il capitolo generale, e per disposizione di quanti partecipano al capitolo, obbligandoli [in
coscienza] che per lo studio predetto scelgano i più idonei
per capacità intellettuali e per qualità di vita. Ciascuno di
costoro sia provvisto della Bibbia, delle Sentenze2 e delle
altre cose necessarie per mangiare e vestire, a carico dell’intero Ordine. Uno poi dei quattro designati, che sarà
parso più idoneo a questo fine, sia preposto agli altri, e
senza il suo permesso gli altri non escano di casa; [questo
frate poi] avrà il compito di informarsi del profitto degli
altri, come pure di correggerli in quelle cose che gli sembreranno da riprendere; e gli altri gli presteranno obbedienza come al proprio superiore.
2 I Quattro Libri delle Sentenze di Pietro Lombardo († 1160), il compendio
teologico più famoso dell’età medievale.
2 - DECRETI CAPITOLARI
161
la mensa comune
Così pure, poiché nelle costituzioni sono espressamente detti quali sono i luoghi dove debbono prendere
cibo i sani oppure i malati, sia semplici frati che superiori,
non sia lecito a nessuno mangiare qualche cosa fuori di
questi luoghi, cioè il refettorio, la foresteria e l’infermeria.
Avendo il priore generale ed i definitori riscontrato che alcuni frati, e soprattutto i più rilevanti per dignità, mangiano nelle celle, ciò che è vergognoso e reca grande turbamento negli altri, hanno ordinato in virtù di santa obbedienza, che nessun osi mangiare o bere in alcun modo nelle celle, ma a questo riguardo, tolto ogni abuso, si osservi
la norma dell’Ordine.
l’obbligo di partecipare alla liturgia
Dopo queste costituzioni lo stesso frate Pietro ordinò in questo modo: Noi frate Pietro, priore generale,
esortiamo e ammoniamo, e, sotto la pena più oltre menzionata, ordiniamo che ciascun frate, e particolarmente i
priori, i lettori ed i predicatori, ancor più in quei periodi
nei quali i lettori o i predicatori non sono presi dal compito di insegnare o predicare, siano tenuti a venire in coro
senza alcuna eccezione. E su questo punto ammoniamo e
ingiungiamo e inoltre chiaramente ordiniamo ai priori
provinciali presenti e futuri e ai loro vicari, che nelle loro
singole visite si informino con accuratezza sulla negligenza dei predetti priori, lettori o predicatori. E se qualcuno
di questi, cioè dei priori, lettori o predicatori, sarà trovato
negligente in modo notevole, e ammonito da loro non si
correggerà, allora procedano contro chi si comporta così
come se fosse una persona inutile. E su questo li rendiamo
responsabili in coscienza, e per quanto riguarda questo
ambito li deleghiamo ad agire in nostra vece. I predicatori poi, nei giorni e nel tempo in cui non sono impegnati
162
FONTI LEGISLATIVE
nell’ufficio della predicazione, siano corretti dai superiori
come gli altri frati. A questi inoltre vogliamo dare il permesso generale di non alzarsi la notte.
1336 maggio 1, Bologna.
divieto delle cariche civili
L’insegnamento degli apostoli ci ammonisce affinché nessuno che milita per il Signore abbia ad immischiarsi
in affari secolari3. Pertanto col presente decreto vietiamo
sotto pena di scomunica, che comminiamo con questo scritto nei confronti di quanti contravverranno a queste prescrizioni, che qualsivoglia frate del nostro Ordine nell’ambito dell’Italia presuma di accettare o di esercitare qualsiasi incarico di qualche città o castello senza una speciale licenza del priore generale, che deve essere patente per iscritto e confermata dal sigillo dello stesso priore generale.
1337 maggio 1, Bologna.
liturgia
Così pure, che per implorare il patrocinio del
nostro beato padre Agostino, per tutto il nostro Ordine si
celebri la festa della sua traslazione nell’ultimo giorno del
mese di febbraio con rito doppio.
3
2Tm 2, 4.
FONTI LITURGICHE
1
INTRODUZIONE
La liturgia è, per i Servi di Maria, il luogo privilegiato per esprimere la loro consacrazione a Dio e il servizio alla Vergine; è da sempre una delle espressioni tipiche
della loro identità, se seguiamo quanto afferma la Legenda
de origine al n. 21 e che si esprime nella formula: jugiter
divino cultui insistere [partecipare intensamente al culto
divino]. Le Constitutiones antiquae si aprono proprio con
due capitoli che stabiliscono le norme del servizio liturgico e orante, definendo alcuni principi: non omettere mai
gli atti di culto alla Madre di Dio, eccetto che nel Triduo
pasquale; seguire il rito della curia romana; adottare il salterio e la notazione musicale gallicana; prevedere la possibilità di usare qualsiasi ufficiatura locale, se ciò è giustificato dalla paupertas librorum, dalla mancanza di libri (come contrappunto, però, nonostante l’effettiva povertà dell’Ordine, non si bada mai a spese per la composizione e la
decorazione dei libri liturgici); infine, unità di celebrazione liturgica in tutti i conventi dell’Ordine: infatti solo il
capitolo generale ha l’autorità per intervenire a modificare
l’uso liturgico.
166
FONTI LITURGICHE
La figura della Madre di Dio non occupa mai un
posto a sé nella liturgia dei Servi: essa si colloca sempre
all’interno della più ampia visione del mistero pasquale,
che è la guida di tutto l’anno liturgico. Quest’ultimo segue, sì, la divisione esterna tipica della Chiesa romana, ma
teologicamente percorre un’altra ben definita struttura:
inizia con la nascita della Vergine e va fino alla sua Assunzione, valorizzando le festività mariane e dando un rilievo
particolare alla celebrazione del sabato.
Presentiamo qui alcuni testi liturgici propri dell’Ordine, che si riferiscono soprattutto alla devozione a Nostra Signora e a sant’Agostino, ritenendoli fondamentali
per ricostruire la storia e la spiritualità dei Servi di Maria.
Nell’uso delle sequenze, la tradizione testuale seguita dai Servi è quella tipica dei Cistercensi. E tuttavia
per due sequenze riportate dai corali del convento di Siena
non è stata trovata alcuna fonte: Ave, novella femina e Ave,
Virgo virginum. Di un tropo alla Salve, che inizia con Virgo Mater Ecclesiae, è originale invece l’ultima strofa. E proprio quest’ultima parte ci permette di riconoscere tutta
l’importanza del testo cantato durante l’Avvento, il tempo
della divina maternità di Maria: Annunciazione e Pasqua
sono un unico mistero, vissuto da Maria in prima persona, soggetto attivo di salvezza, che per questo ora è rifugio
singolare, orante particolare del Figlio sempre contemplato nel mistero della croce.
Nel canto per eccellenza dei Servi, finora ignoto a
tutti i repertori, Ave novella femina, conservato nel corale
G di Siena, Maria è presentata come novella femina, la donna nuova, quella che nasce dal mistero pasquale; quindi la
donna ultima, che assomma in sé tutta la perfezione. Con
immagini tratte dalla Genesi, dall’Esodo e dal Cantico si
tratteggia la sua figura: essa è la stella di Giacobbe, la nube
del deserto, la colonna di fuoco che guida nel cammino di
1 - INTRODUZIONE
167
liberazione verso la terra promessa. È la fenestra celi, da cui
è apparso il Verbo incarnato, dopo che essa ha attinto al
calice divino che le ha profuso i semi della generazione. È
sposa e regina più grande di Anna, Rachele, Rebecca, Lia
e Susanna: Maria ricapitola in sé tutte le sante donne dell’Antico Testamento. È lei il monte della salvezza, il ponte,
la fonte, il vello di Gedeone che annunzia la liberazione, la
terra promessa, l’arca che custodisce la perfetta e definitiva alleanza, la verga sacerdotale, colei che dona la vera manna: essa è il segno della Pasqua ormai realizzata, ma anche
della speranza escatologica, perché donando il vero Salomone, quindi la sapienza evangelica, apre la strada verso il
tempio non manufatto, dove tutto è contemplazione. Così
i Servi invocano la loro Regina e Madre di misericordia alla
quale domandano di pregare per loro. Con questa novella
melodia chiedono a lei di essere guida al porto di salvezza.
Tutte le composizioni evidenziano la gloria attuale di Maria nella sua regalità, con riferimenti però al fatto
che essa è stata nel tempo partecipe della passione del Figlio e che verso il Cristo flagellato e ferito si rivolge la sua
preghiera. Come fonte di misericordia, porta del perdono,
consolatrice dei cuori, vive nella gloria perché nel tempo è
stata partecipe del mistero pasquale. È sposa nel suo momento più importante, quello della maternità (estratto da
L. CROCIANI, La liturgia dei Servi nei primi due secoli di vita).
Nel corale Y di Firenze e nel corale E di Siena incontriamo, oltre alle Reverentiae della Vergine, anche quelle in onore di sant’Agostino: quattro antifone, tra cui il Canon vite canonice, che i Servi hanno in comune con altre
fondazioni che fanno riferimento alla regola agostiniana.
Agostino è la via morum e il vite nostre decretum, per mezzo di lui si impara a leggere la scrittura santa e a penetrare
il mistero di Cristo. Il riferimento ad Agostino è così determinante che l’Ordine dei Servi, nei documenti dei primi
168
FONTI LITURGICHE
secoli, era comunemente denominato come “Ordine di
sant’Agostino”.
Notevoli, per la storia delle tradizioni liturgiche
dei Servi, sono anche le rubriche scritte all’inizio del corale F di Siena, probabilmente una constitutio di un capitolo generale tenuto attorno al 1271.
2
TESTI
SEQUENZE
Ave virgo virginum
Ave, vergine delle vergini,
ave, luce d’ogni luce,
ave, madre della grazia.
Ave, salvezza degli uomini,
ave, speranza di conforto,
ave, via della patria.
Ave, vergine Maria,
ave, piena di grazia,
ave, degna di venerazione.
Bibliografia
P. M. BRANCHESI, Libri corali del convento di s. Maria dei Servi di Siena
(sec. XIII - XVIII ), “Studi Storici OSM” 17 (1967) p. 116-160.
L. CROCIANI, La liturgia dei Servi nel primi due secoli di vita dell’Ordine, in I Servi nel Trecento: squarci di storia e documenti di spiritualità
(3a Settimana di Monte Senario, 8-13 settembre 1980), Monte Senario
1980 (Quaderni di Monte Senario. Sussidi di storia e spiritualità, 3),
p. 87-118.
L. CROCIANI, I primi testi liturgici dei Servi di Maria: analisi strutturale e linguistica, in L’Ordine dei Servi di Maria nel primo secolo di vita.
Atti del convegno storico: Firenze, Palazzo Vecchio - SS. Annunziata 2324 maggio 1986, Firenze 1988, p. 253-271.
A. M. DAL PINO, Il “De Reverentiis Beatae Mariae Virginis” nelle Costituzioni dei Servi di Maria, “Studi Storici OSM” 5 (1953), p. 202-253.
Ave, o figlia di Dio,
ave, pia madre,
ave, o ineffabile.
Ave, splendore di gloria,
ave, fulgida nel meriggio
sopra ogni luce.
Ave, porta del perdono,
fonte di misericordia,
dolce sopra ogni cosa.
Salve, luce dei santi,
salve, pace dei fedeli,
salve, o beatissima.
170
FONTI LITURGICHE
Salve, nostra gioia,
consolatrice dei cuori,
salve, benignissima.
Ti supplichiamo, Signora,
rivolgi il tuo orecchio
a chi ti prega e supplica,
affinché col tuo aiuto,
regniamo, o pace divina,
nei cieli insieme a te. Amen.
Siena, Santa Maria dei Servi, Corale G, col. 145v.-147 (1271).
Ave novella femina
Ave, o donna nuova,
gloriosa madre,
per miracolo nuovo
tu porti il tuo Dio.
Salve, regina.
Fanciulla gravida
di semi di cielo,
al calice lo disseti
della tua dolcezza.
Madre di misericordia.
Sposa di Dio,
signora dei cieli,
regina dei re,
luminosa e serena.
Vita e speranza nostra.
2 - TESTI
171
Rosso roseto,
vergine in fiore,
intreccio agli amanti
e vena d’amore.
Prega per i tuoi servi.
Tu glossa alla legge del Re,
sapienza di Dio,
al mondo porti
ausilio di salvezza.
Salve, regina.
Col ramo sostieni,
con la fronda proteggi,
o rosa, o candido giglio,
o dimora della divina potenza.
Madre di misericordia.
Tu, finestra del cielo
per cui dal Padre discese
al mondo il Figlio
di carne vestito.
Vita e speranza nostra.
Tu, mediatrice,
mano destra di Dio,
o vergine, madre che stupisci
per nuova generazione.
Prega per noi tuoi servi.
Aquila grande
sei detta, fanciulla:
nel rostro rechi il verde ramoscello,
che vince le nostre feroci guerre.
Salve, regina.
Luce divina,
culla di bellezza,
172
FONTI LITURGICHE
tu generi l’immenso che ti genera,
o fiore di cedro,
fulgida stella di Giacobbe.
Madre di misericordia.
Tu schiacci il tremendo serpente,
del servo cancelli i capi d’accusa,
o lucerna luminosa
di chi non vede.
Vita e speranza nostra.
Tu, bionda agnella,
brocca di fonte celeste,
anfora generosa
all’assetato.
Prega per i tuoi servi.
Fiorente frutteto,
tu farmaco sei
di nostra salvezza.
Salve, regina.
Fra le braccia tu porti
la forza che porta a libertà
noi che oscuro male opprime.
Madre di misericordia.
Ombrosa tenda di Dio,
incanto dei beati,
o sposa bella del re.
Vita e speranza nostra.
Oracolo dei profeti,
stupore del popolo,
tu che rimuovi
le strettoie della legge.
Prega per i tuoi servi.
2 - TESTI
173
Aurora del sole,
galassia notturna,
piena di grazia,
scrigno di Mosé.
Salve, regina.
Luna bellissima,
melodia celeste,
tu, prediletta,
musica del talamo.
Madre di misericordia.
Tu incenso, tu guida, tu luce,
tu più di Anna,
Sara, Rachele, Rebecca, Lia, Susanna.
Vita e speranza nostra.
Tu monte, tu ponte, tu fonte,
fronda che copri le rovine;
neve, vello, suolo,
urna, virgulto, manna.
Prega per noi tuoi servi.
Tu sei data al navigante
come nave,
che cauta riporta
di Salomone l’oro da Ofir.
Ascolta, o vergine,
dei tuoi servi la nuova melodia.
O vera serratura
del nostro rifugio, o chiave
della porta, a noi ancora apri
il tempio della visione.
Guida coloro che sperano in te. Amen.
Siena, Santa Maria dei Servi, Corale G, col. 128-132, (1271).
174
FONTI LITURGICHE
2 - TESTI
175
non riesce a contenere
si chiuse nel tuo grembo, fatto uomo.
Madre di Dio intercedi per noi.
RESPONSORI
1.
2.
3.
Spes desperatis
Speranza dei disperati,
fonte di splendida pietà,
fiorente in virgineo fiore
con onore di madre,
Fiore tra le spine,
rialza le nostre rovine.
Poiché tu sei sollievo degli afflitti
e madre benigna degli orfani.
Fiore tra le spine,
rialza le nostre rovine.
Salve, nobilis
Salve, nobile germoglio di Iesse,
salve, fiore del campo, Maria.
Da te è nato il giglio delle convalli.
Il tuo profumo supera
tutti gli unguenti preziosi,
favo stillante le tue labbra,
miele e latte sono nella tua bocca.
Da te è nato il giglio delle convalli.
Gloria al Padre, al Figlio generato
e a te, Santo Spirito,
uguale ad entrambi.
Da te è nato il giglio delle convalli.
Post partum
Dopo il parto rimanesti, Vergine, inviolata,
Madre di Dio intercedi per noi.
Vergine, Madre di Dio,
colui che tutto l’universo
4.
Candida virginitas
Radiosa verginità del paradiso
preziosa di colori,
seme in ricco terreno fiorente.
In suo onore davvero
il mondo intero risuona di lodi.
Lei che meritò di generare il suo Signore,
fiore di verginità,
ci presenti al suo Figlio.
In suo onore davvero
il mondo intero risuona di lodi.
Gloria.
In suo onore davvero
il mondo intero risuona di lodi.
Bologna, Santa Maria dei Servi, Corale E, fogli 100-104, (1270 ca.).
TROPO ALLA SALVE
Virgo, Mater ecclesiae
Salve, regina di misericordia,
vita, dolcezza e nostra speranza, salve.
A te ricorriamo,
esuli figli di Eva.
A te sospiriamo, gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
176
FONTI LITURGICHE
Orsù dunque,
avvocata nostra,
rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi
e mostraci, dopo questo esilio,
Gesù, il frutto benedetto del tuo seno.
____
Vergine, madre della Chiesa,
eterna porta della gloria,
sii per noi un rifugio
presso il Padre e il Figlio.
O clemente.
Vergine clemente, vergine pia,
vergine dolce, Maria,
esaudisci le preghiere di quanti
piamente ti invocano.
O pia.
Gloriosa madre di Dio,
tuo Figlio viene dal Padre:
prega per tutti noi
che di te facciamo memoria.
O dolce.
Prega per noi tuo Figlio,
Gesù Cristo flagellato
e ferito per noi,
trafitto da spine, dissetato col fiele.
O Maria. Alleluia.
Bologna, S. Maria dei Servi, Corale E, foglio 106, (1270 ca.).
2 - TESTI
177
ORAZIONI A SANT ’AGOSTINO
Santissimo presule, via delle virtù,
luce egregia dei dottori
nei segreti della Scrittura,
norma della nostra vita,
prega, o mitissimo,
che possiamo anche noi accedere
all’intimità del Cristo.
Rallegrati, Gerusalemme nostra madre,
perché il tuo re ha redento
dalla schiavitù babilonese
Agostino, il predicatore tenace
e il cittadino fedelissimo.
O regola della vita regolare,
lampada per i nostri piedi,
supplica Cristo per i tuoi servi
perché sia presente nelle nostre menti
e ci aggreghi alle sue schiere celesti
nella pace eterna.
Firenze, Santissima Annunziata, Corale Y, col. 241-243.
Canon vite canonice
Agostino, via delle virtù,
la norma sei tu dei chierici,
unisci noi ai cittadini delle schiere
innumerevoli dei cieli,
che ti proclamano guida dei dottori.
Agostino prudentissimo,
confutatore degli ariani,
amante della povertà,
178
FONTI LITURGICHE
tu che celebri, magnificandole,
le grandezze della città di Dio.
Padre santo Agostino,
fonte della dottrina canonica,
timoniere dolce della nave di Dio,
che hai aumentato senza fine,
anche noi aggiungi all’aula [del cielo].
Siena, Santa Maria dei Servi, Corale H, col. 39-40; 47-48.
RUBRICA
Questa rubrica sia trascritta sulla prima pagina di
tutti i Graduali.
Si prescrive innanzitutto ai frati di scrivere la
musica adottando la nota quadrata su quattro righi, rossi
o neri, tanto nel Graduale quanto negli Antifonari notturni e negli altri libri; di scrivere il testo chiaramente e distesamente di modo che la melodia possa essere collocata correttamente sopra il testo: di tracciare i righi con la debita
spaziatura così che racchiudano la nota, in alto e in basso.
In secondo luogo, di mantenere il testo e la notazione con le legature e le pause contenute in quegli esemplari che siano stati corretti con grande diligenza, non
togliendo o aggiungendo nulla di propria iniziativa.
In terzo luogo, di correggere diligentemente ogni
libro liturgico redatto in più esemplari, al minimo tre, sia
quelli previsti per la lettura che quelli per il coro, controllando tanto il testo quanto la notazione, affinché queste
2 - TESTI
179
opere, come di solito avviene, non si corrompano per la
quantità di errori. Lo stesso vale per i libri ordinari del Breviario e del Messale, come anche per gli altri eventuali messali quando li potranno avere.
In quarto luogo: quando avranno corretto i Graduali ordinari ed i Messali, celebrino l’ufficio secondo quanto in essi è contenuto. E non facciano scrivere o annotare
i testi dai secolari per nessuna ragione, se vi saranno frati
dell’Ordine capaci e competenti nello scrivere ed annotare; che se poi non ne sono capaci, imparino e siano obbligati a questo dai loro superiori, perché i secolari corrompono quasi tutto ciò che scrivono o annotano.
Inoltre, quando un singolo cantore, o i cantori, iniziano il canto di un graduale, proseguano fino alle due pause unite; allo stesso modo quando il graduale o l’alleluja è
recitato in coro da due antifonari, questi proseguano fino
alle due pause unite; quando due cantori cantano il graduale, l’alleluja, l’ultimo versetto del tratto, arrivino fino alle
ultime due pause unite, quindi il coro completi ciò che segue e non oltre.
Inoltre gli alleluja annotati ai margini dei graduali
siano aggiunti agli introiti, offertori e antifone di comunione solo fra Pasqua e Pentecoste.
Siena, Santa Maria dei Servi, Corale F, f. 1v., (1271).
FONTI AGIOGRAFICHE
1
PREMESSA
Le fonti agiografiche del primo secolo di storia
dell’Ordine dei Servi di santa Maria (fino al 1350 circa)
comprendono alcune narrazioni o legende, come si diceva
in linguaggio medievale, vale a dire storie degne di essere
lette. Esse trasmettono infatti un insegnamento ricco di
sapienza evangelica, concretizzatasi in alcune figure di
santi che hanno lasciato ai posteri la preziosa eredità del
loro esempio di vita.
Queste legende vengono qui elencate nella seguente
successione:
1. Legenda de origine Ordinis, redatta subito dopo
il 1317. Narra le origini dell’Ordine e si presenta come
l’introduzione a una Legenda beati Philippi, che l’autore
promette di scrivere come seguito immediato della Legenda de origine, ma di cui non abbiamo più notizia.
2. Due legendae beati Philippi:
a) la legenda cosiddetta vulgata, risalente alla seconda metà del secolo XIV, ma direttamente collegata alla
Legenda de origine, di cui riporta alcuni brani (precisamen-
184
FONTI AGIOGRAFICHE
te i nn. 1, 4, 5, 6, 11, 12, 59, 61), presentandosi come una
trascrizione compendiosa della Legenda beati Philippi, scritta dall’autore della Legenda de origine;
b) la legenda cosiddetta “perugina” o anche “arcaica”, proveniente forse da ambiente umbro e di datazione non sicura.
3. Vita ac legenda beati Joachimi Senensis, scritta tra
il 1330 e il 1335.
2
LEGENDA DE ORIGINE
introduzione
4. Legenda beati Francisci de Senis, risalente agli
stessi anni della precedente.
5. La trascrizione fedele in latino umanistico, fatta
da Nicolò Borghese nel 1483, di una Legenda beati Peregrini redatta poco dopo il 1345.
Per quanto riguarda santa Giuliana Falconieri, il
primo testo che ne traccia un profilo biografico è scritto o
ripreso da fra Paolo Attavanti nel suo quaresimale, incompleto, stampato a Siena nel 1494 con titolo Paulina predicabilis. Sulla sua base D. M. Montagna ha tentato di ricostruire la legenda primitiva. La presentazione di questo
testo viene rinviata alla sezione relativa agli scritti dell’Attavanti.
La Legenda de origine Ordinis fratrum Servorum
Virginis Mariae (abbreviata LO) – titolo aggiunto dal copista alla fine dello scritto – o Introduzione alla Legenda beati
Philippi servorum beatae Virginis Mariae – come dice il
titolo iniziale –, narra la storia degli inizi dell’Ordine dei
Servi di Maria: l’esperienza del gruppo primitivo dei Sette,
dal 1233 al 1249/51 e gli sviluppi seguenti fino al 1267,
inizio del generalato di san Filippo Benizi.
La LO ci è giunta attraverso un unico manoscritto,
conservato nell’Archivio Generale dell’Ordine dei Servi a
Roma. Si tratta di una copia, poiché in vari punti ricorrono errori commessi dal copista. Il manoscritto è del
Trecento, più precisamente, forse, del 1375, quando fu
acquistata a Firenze la pergamena per la copia del “quaderno del principio dell’Ordine” (F. Tozzi, Libro degli spogli,
segnato A, all’anno 1375).
La redazione dello scritto, così come l’abbiamo,
deve essere stata portata a termine poco dopo il 1317,
come ci viene indicato dall’autore stesso. «Quest’anno –
egli scrive – si è effettuata la traslazione, da un luogo a un
altro, del corpo di uno di questi nostri padri. Senza alcun
merito da parte mia, la clemenza divina ha disposto che io
186
FONTI AGIOGRAFICHE
vi prendessi parte» (LO, 4). Si tratta della traslazione delle
reliquie di san Filippo Benizi, avvenuta a Todi nel 1317, e
precisamente il 10 giugno, come attesta la Legenda “toscana” o “vulgata” dello stesso beato (n. 33).
Presente alla traslazione è fra Pietro da Todi, priore
generale dal 1314 al 1344. A lui è comunemente attribuita la
paternità dell’opera, anche se sono stati proposti altri nomi.
Il testo si divide facilmente in tre parti:
A. Una parte introduttoria, comprendente il proemio e i capitoli I-II (nn. 1-14), centrata sulla figura di san
Filippo Benizi e i suoi rapporti con l’Ordine, di cui vengono posti in risalto l’onore e gli impegni derivanti dal fatto di
essere stato fondato direttamente dalla “Nostra Signora”.
B. Una parte centrale, che costituisce una vera legenda de origine e delinea, senza alcun riferimento preciso a
date e persone, il cammino spirituale e le prime emanazioni del gruppo iniziale dei Servi: capitoli III-XII (nn. 15-49).
C. Una terza parte, comprendente i capitoli XII-XV
(nn. 50-62), di carattere prevalentemente storico, che riprende il discorso interrotto al capitolo II, evidenziando il
ruolo di san Pietro da Verona nell’evoluzione del primitivo
gruppo di Servi negli anni 1244-45 e precisando le tappe
del suo progressivo assestarsi in comunità giuridicamente
riconosciuta, fino al 1267, sulla base di quelle concessioni
pontificie, emanate a partire dal 1255, che riflettono la
struttura che l’Ordine aveva assunto dopo l’approvazione di
Benedetto XI, con la bolla Dum levamus (1304).
Come si vede, l’opera contiene qualcosa di più
rispetto a quello che ci aspetteremmo considerandone il
titolo. Ma questo, come si è detto, non è il vero titolo dell’opera; lo ha aggiunto alla fine dello scritto l’amanuense
che ha copiato il codice a noi pervenuto. La LO è più di una
2 - LEGENDA DE ORIGINE
187
storia delle origini dell’Ordine. Nell’introduzione (nn. 1-6)
infatti l’autore dice di voler raccogliere gli esempi dei “padri” dell’Ordine, tra i quali il più illustre è san Filippo: di lui
promette di scrivere subito una legenda, che di fatto però
qui non abbiamo.
La LO è quindi un’opera composita che collega insieme la figura di san Filippo e gli inizi dell’Ordine con l’intento di mostrare questa tesi: l’Ordine è stato direttamente
fondato dalla Vergine che si è servita a tale scopo di sette
uomini particolarmente dotati dei sette doni dello Spirito
Santo e ha voluto che questo Ordine, “suo” a titolo speciale, fosse illuminato dalla dottrina e dalla santità di Filippo,
disponendo che l’Ordine sorgesse l’anno stesso della nascita
del santo, il 1233, e che fosse ormai completo nelle sue
strutture al momento in cui Filippo vi entra (1254). A convalida di questa tesi, resa più attendibile da alcuni accomodamenti di date e di fatti, l’autore porta la testimonianza di
uno dei Sette, Alessio, di cui narra la vita e la morte avvenuta nel 1310.
Lo scritto che noi abbiamo non è quindi né una
semplice legenda del beato Filippo, come vorrebbe far intendere il titolo iniziale, né una legenda dell’origine dell’Ordine,
come dichiara l’explicit definitivo. Una approfondita analisi del contenuto, del lessico e della morfologia ha permesso
di verificare la complessa stratificazione del testo, in cui il
redattore finale ha inglobato documenti più antichi, o
citandoli letteralmente o interpolandoli secondo i casi.
Questo lavoro redazionale spiega la varietà di stile e di
impostazione teologica tra le diverse parti della LO, le differenze nel modo di rifarsi alla Scrittura, ai Padri e alle fonti
narrative, le ripetizioni, le contraddizioni, i raccordi forzati.
Nel corso delle ricerche sul testo è andata sempre
più chiaramente definendosi la presenza, all’interno della
cornice trecentesca, di uno scritto più arcaico risalente a un
188
FONTI AGIOGRAFICHE
tempo poco posteriore all’esperienza comunitaria dei Sette,
culminante nella permanenza su Monte Senario.
Questo nucleo antico, la vera e propria Legenda de
origine, si incentra sull’esperienza religiosa degli “uomini
gloriosi nostri padri”, a cominciare dal tempo in cui ancora
vivevano nel mondo (nn. 20-21, gli ultimi due paragrafi del
capitolo III), e passando attraverso il racconto della loro
amicizia e del loro ritirarsi dal mondo (capitolo VI: nn. 2931), della loro vita comunitaria fuori delle porte di Firenze
e poi a Monte Senario (capp. VII-XI: nn. 35-45), della decisione di accogliere altri fratelli e di aprire nuovi conventi
(cap. XII: nn. 46-49).
Questo sezione ducentesca presenta non soltanto
una differenza di lessico, ma soprattutto una diversa impostazione teologica e spirituale. Si tratta di una concezione
teocentrica, basata sull’itinerario penitenziale e contemplativo degli iniziatori dell’Ordine, iniziato con un atto di affidamento alla “Regina del cielo, la gloriosissima Vergine
Maria, mediatrice e avvocata” (n. 18) e proseguito nella ricerca, come Abramo, del monte santo dove avviene l’incontro con Dio e, in Lui, con i fratelli. Il riferimento alla Scrittura è costante e, anche se alcuni dei testi citati sono comuni all’ambiente letterario e religioso del tempo, è originale e
permette di penetrare più intimamente nel cuore della vita
monastica attuata su Monte Senario.
Di Monte Senario si parla solo in questa sezione
antica. L’autore lo indica come Sonario (n. 41) o Sonaia (n.
42), pur conoscendone la denominazione popolare di Monte Asinario, che considera una corruzione del titolo originale. I documenti in nostro possesso degli anni 1241-1256
riflettono esattamente questa situazione: uso di monte Asinario nei documenti esterni all’Ordine dei Servi, uso peculiare e significativo di monte Sonaio, Sonaia e Sonario nei documenti che riguardano l’Ordine. Dopo il 1256 ogni menzione del monte scompare dalla documentazione del-
2 - LEGENDA DE ORIGINE
189
l’Ordine stesso; perciò il fatto che il redattore della sezione
centrale della LO appaia così informato circa le diverse forme di uno stesso nome e mostri anche di conoscere direttamente il luogo, indica la notevole arcaicità di questa sezione. Monte Senario vi appare in piena vitalità: dal monte si
propaga l’eco della vita santa degli uomini gloriosi che vi
abitano e al monte giungono persone desiderose di attingere luce dalla loro vita o anche di partecipare più concretamente alla loro esperienza.
Un diverso clima spirituale si respira nelle parti
attribuibili al redattore finale, cioè il proemio, i capitoli I-II,
parte del terzo capitolo, i capitoli finali XIII-XV e i capitoli di
raccordo IV-V e VII. Qui al centro si trovano l’azione della
Vergine e gli eventi fondamentali della vita di san Filippo,
che è il grande modello presentato all’imitazione di tutti i
Servi di Maria.
Il redattore finale trecentesco, dunque, ha inglobato nella sua opera fonti narrative anteriori, risalenti a un
tempo vicino alle origini. Egli dichiara di aver fatto scrupolose ricerche presso frati che hanno conosciuto questi tempi,
in particolare fra Alessio, uno dei Sette. A lui ha chiesto
molte notizie sulle origini dell’Ordine; queste notizie le
aveva poi scritte su un foglio che però, per un malaugurato
incidente, è andato perduto (n. 26). Cita anche una fonte
assai importante per la ricostruzione delle origini, il De origine Ordinis, scritto da san Filippo; ma anche questo documento è andato perduto a causa di eventi imponderabili o
addirittura per incuria dei frati (nn. 13 e 14). In realtà l’autore conosce benissimo l’esistenza di questo scritto che egli
utilizza nella sua opera e che, con tutta probabilità, va identificato con il nucleo arcaico della LO.
Il suo intento è quello di creare un’opera che possa
offrire una visione sintetica delle origini e dello sviluppo
dell’Ordine. Attraverso il richiamo ai ripetuti interventi della
Vergine, l’impegno di servizio mariano, la figura di Filippo e
190
FONTI AGIOGRAFICHE
la testimonianza di fra Alessio, egli cerca di armonizzare insieme il carattere mariano ormai acquisito dall’Ordine agli
inizi del secolo XIV e gli elementi primitivi fondamentali. Da
questo sforzo di rilettura dell’ispirazione originaria alla luce
delle nuove circostanze storiche è scaturita un’opera di grande impegno, espressione di una ricca personalità religiosa,
preparata in campo teologico e filosofico, e preoccupata di
conservare l’Ordine nella fedeltà alla vita santa di cui i suoi
gloriosi padri restano modelli insuperati.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
191
TESTO
A lode della Vergine Maria (Madre) di Cristo Gesù
INTRODUZIONE ALLA LEGENDA DEL BEATO FILIPPO
DEI SERVI DELLA BEATA VERGINE MARIA
Edizioni
- Legenda de origine Ordinis fratrum Servorum Virginis Mariae auctore
incerto 1317, ed. A. MORINI, in Monumenta OSM, I, Bruxelles 1897, p.
55-105 (introduzione, p. 55-60; testo, p. 60-105).
- A. M. ROSSI, Codice mariano: La “Legenda de origine Ordinis Servorum
Virginis Mariae”. Versione, commento e testo, Roma 1951 (testo, p. 99152).
- [E. M. TONIOLO], La «Legenda de origine Ordinis» dei Servi di Maria,
testo latino e traduzione italiana a cura di D. PIERACCIONI, Roma 1982.
Bibliografia
- F. A. DAL PINO, I frati Servi di s. Maria, I, p. 239-439.
- F. A. DAL PINO, I “viri gloriosi parentes nostri” fondatori dell’Ordine dei
Servi, in Spazi e figure lungo la storia dei Servi di santa Maria (sec. XIIIXX ). Roma 1997, p. 449-526.
- P. M. GRAFFIUS, Quale immagine dei Sette Santi dalla «Legenda de origine Ordinis»?, in I Sette Santi nel primo centenario della canonizzazione
(1888-1988). Convegno di studio promosso dalla Pontificia facoltà teologica Marianum in collaborazione con l’Istituto storico OSM, Roma 38 ottobre 1988. A cura di E. PERETTO. Roma 1990, p. 218-255 (Scripta
Pontificiae facultatis theologicae “Marianum”, 42; nova series, 14).
- D. M. MONTAGNA, Nuove ricerche filologiche sulla «Legenda de origine
Ordinis fratrum Servorum». Due citazioni dell’Etica di Aristotele (LO, 19),
“Studi Storici OSM ”, 27 (1977), p. 165-168; Echi di esperienza monastica
a Monte Senario nel Duecento (rilettura della «Legenda de origine Ordinis
fratrum Servorum»), “Studi Storici OSM”, 29 (1979), p. 233-240.
- P. M. SUÁREZ, Spiritualità mariana dei frati Servi di Maria nei documenti agiografici del secolo XIV, “Studi Storici OSM”, 9 (1959), p. 126129 e passim; 10 (1960), p. 1-41.
1. RENDIAMO LODE a quegli uomini gloriosi1 che
con la santità delle parole e degli esempi ci hanno generati
nell’Ordine. Essi sono, dopo Dio2, i nostri padri, quelli che
si sono presi cura della nostra vita, dandoci il cibo spirituale necessario alla nostra crescita e offrendoci conoscenza,
arte e scienza. E così ci hanno indicato la strada più sicura
per raggiungere la vita beata. Infatti, stando nel nostro
Ordine, si sono offerti a Dio, con umile cuore 3, in ogni loro
pensiero, parola e azione; hanno scelto la via della verità4, e
con i suoi comandamenti sono vissuti in una infaticabile
coerenza.
L’espressione “uomini gloriosi”, derivante da Sir 44,1ss., ricorre continuamente nella Legenda per indicare i “padri” dell’Ordine, cioè coloro che ne furono gli
iniziatori o si segnalarono nel suo primo tempo di vita. Il riferimento al Siracide è
uno stereotipo letterario dell’epoca e si trova in altri racconti analoghi medievali.
I paragrafi iniziali (nn. 1-6) introducono una raccolta di esempi di questi “padri” tra cui emerge la figura di san Filippo. La narrazione delle origini vere e proprie dell’Ordine ha inizio solo con i paragrafi 7-8.
2 Sir 1, 3 (Volgata): “chi ha investigato la Sapienza di Dio che è prima di tutte le
cose?”.
3 Mt 11, 29. L’avverbio coraliter (cordialmente), di provenienza latina e provenzale, usato frequentemente nella letteratura italiana del XIII secolo, ricorre 10
volte nella Legenda e designa sia il cuore della persona sia il legame profondo che
unisce i membri di una comunità divenuti appunto un “solo cuore”.
1
192
FONTI AGIOGRAFICHE
Per questa libera offerta di tutta la vita al Signore
essi hanno al loro tempo reso gradito il nostro Ordine a Dio
e alla beata Vergine Maria. E non solo al loro tempo, perché
con le loro preghiere hanno ottenuto dal Signore che anche
in seguito frati santi continuassero a mantenere l’Ordine
nella volontà di Dio.
Noi siamo sicuri che il Signore e la beata Vergine
Maria abbiano gradito tutte le azioni di questi uomini gloriosi, nostri padri, e accolto con grande favore il loro volontario servizio. Quando erano ancora nel mondo, infatti, il
Signore li rese celebri per la vita virtuosa e i miracoli e, al
momento del loro transito, mostrò con molti segni e prodigi quanto gli fossero care quelle anime. E anche dopo la
morte, i segni e i prodigi che non cessavano di verificarsi,
confermarono con assoluta certezza che i nostri padri si trovavano con Dio per sempre nella sua gloria.
2. Noi, dunque, dobbiamo fissare lo sguardo sulle
parole e gli esempi con cui i nostri padri ci hanno spiritualmente generato, e conoscere il genere di vita che al Signore
li ha resi graditi insieme al nostro Ordine. A queste parole e
a questi esempi conformeremo la nostra vita, in modo tale
che a tutti sia evidente che essi ci hanno lasciati come figli
loro somiglianti5. Tutti dovranno constatare che sul loro
esempio conserviamo in ogni nostro atto l’umiltà del cuore;
che abbiamo scelto la via della verità e viviamo costantemente secondo i suoi precetti; che con gesto spontaneo abbiamo dedicato la nostra vita al Signore, e in questo modo,
ai nostri tempi, abbiamo reso graditi a Lui e alla Nostra
Signora le nostre persone e il nostro Ordine; e che con preghiera insistente abbiamo ottenuto dal Signore che anche in
futuro l’Ordine si mantenga fedele allo Spirito.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
I padri, dunque, hanno lasciato a noi, venuti dopo di
loro, l’esempio della vita. Noi pure dovremo lasciare un analogo esempio a quelli che entreranno nell’Ordine dopo di
noi; questi, poi, a loro volta saranno sollecitati a lasciare ai
posteri il loro esempio e i posteri agli altri e così via. Se ci
comporteremo così e così faranno anche tutti i frati che si
avvicenderanno nel nostro Ordine, l’Ordine ne avrà un grande vantaggio. Ne scaturirà una gioia non piccola per la Nostra
Signora: da noi suoi servi si sentirà consolata6, mentre noi la
onoreremo con il nostro servizio che mostrerà quanto ella sia
degna di ogni riverenza. Anche Nostro Signore sarà pronto ad
arricchire sempre il nostro Ordine con doni e grazie spirituali, manifestando così a tutti la sua compiacenza.
Quelli, inoltre, che dal mondo verranno al nostro
Ordine come alla sesta città di rifugio7 e osserveranno le
parole e gli esempi dei frati che vi sono, saranno talmente
conquistati dalla dolcezza di questa vita e di questa dottrina
che mai oseranno o tenteranno di separarsi, di fatto o anche
soltanto interiormente, da questa città di rifugio. Lo faranno solo alla fine, quando l’anima, morta al mondo e ai peccati insieme a Cristo, sommo sacerdote8, sarà chiamata per
la morte fisica alla vita senza tramonto e restituita alla piena
libertà.
3. Vanno ormai scomparendo coloro che sono vissuti insieme a questi uomini beati e ne hanno conosciuto le
parole, le opere e le virtù. E con il venir meno di chi per
conoscenza diretta può narrare ancora qualche cosa di loro,
i frati del nostro Ordine rischiano di perderne la memoria.
Perciò ho sentito il dovere di impegnare tutte le mie forze
nel fare ricerche sulla loro dolcissima vita, di redigerne, se6 2Mac
4 Per
la “via della verità” cf. Sal 119, 30; Tb 1, 3; Sap 5, 6; 2Pt 2, 2.
5 Sir 44, 10-13.
193
7, 6 (che cita Dt 32, 36).
la città di rifugio cf. Nm 35, 6; Dt 19, 1-10; Gs 20, 1-3.
8 Eb 4, 14-15; 9, 11.
7 Per
194
FONTI AGIOGRAFICHE
condo le mie modeste capacità, un resoconto scritto, farlo
conoscere a quanti vogliono avanzare sulla via della perfezione, e lasciare un perenne ricordo a tutti quelli che verranno dopo di noi.
A questa impresa mi hanno spinto la riverenza e l’amore profondo che nutro verso di loro e che anzi sento il
dovere di nutrire, per i grandi vantaggi che ho sperimentato da parte di ciascuno di loro. Mi hanno convinto all’impresa anche il pensiero della grande utilità che il mio Ordine
ne può trarre e il desiderio che, come so, i frati hanno di
ricevere notizie a questo riguardo. Spero infine, per i meriti
e l’intercessione dei padri, di poter raggiungere e ottenere
dal Signore la grazia della vita eterna per l’anima mia. Mi
riconosco incapace e indegno di un’impresa del genere e
tuttavia confido nella protezione dei padri e nella generosità
del Signore.
I nostri frati potranno ritrovare nell’Ordine stesso la
vita di coloro che non hanno conosciuto di persona. In questa vita essi guarderanno, come in un purissimo specchio9,
le fattezze della loro anima: quello che vi vedranno di bello,
lo tengano e lo conservino con cura, e quello invece che vi
apparirà difettoso cerchino di eliminarlo subito con lacrime
di compunzione.
4. C’è poi un altro motivo spirituale che mi ha obbligato ad assumere quest’impegno, pur consapevole della
l’immagine della santità come specchio in cui l’anima può vedersi nella sua
reale situazione, cf. Gregorio Magno, Moralia sive Expositio in Iob, l. II, cap. I, n.
1 (in PL 75, 553-554), da cui la Legenda ha ripreso alla lettera alcune espressioni. Cf. anche Agostino, Esposizione sui salmi, 103, I, 4-6 (in Opere di sant’Agostino, ed. latino-italiana, a cura della Cattedra Agostiniana presso l’«Augustinianum» di Roma, XXVII, Roma 1976, p. 639-645); Discorso 49,5 (in Opere
di sant’Agostino, XXIX, Roma 1979, p. 933-934); e anche la conclusione della
Regola, VIII, 2 (“Questo piccolo libro deve essere per voi come lo specchio in cui
osservarsi ...).
2 - LEGENDA DE ORIGINE
195
mia pochezza e della mia indegnità. Quest’anno si è effettuata la traslazione, da un luogo a un altro, del corpo di uno
di questi nostri padri10. Senza alcun merito da parte mia, la
clemenza divina ha disposto che io vi prendessi parte. Durante la traslazione Dio, per i meriti del suo santo, ha rinnovato alla mia presenza molti miracoli, come in seguito si
racconterà.
Vedendo quanto accadeva sotto i miei occhi, ho
deciso fermamente nel mio cuore di cercare notizie sulla sua
vita e i suoi miracoli e di comporre uno scritto per lasciare
ai frati il ricordo di sì grande uomo. Temerei infatti di essere tacciato, e a ragione, di ingratitudine se, dopo aver ricevuto da lui questa grazia speciale e aver visto con i miei
occhi tanti miracoli, mi rifiutassi di scriverne, secondo le
mie forze, tanto più che il beato Gregorio afferma: “Le forze
che l’imperizia non può dare, le dona l’amore”11.
Meriterebbero un ricordo particolare molti uomini
gloriosi, che nell’Ordine hanno tenuto il posto di padri spirituali e sono venuti prima o dopo quelli che vorrei proporre ad esempio; tuttavia proprio questi ultimi, a preferenza
degli altri, debbono essere additati come modello ai frati del
nostro Ordine, perché più degli altri si sono distinti per
virtù, parole e opere.
Il primo modello da presentare all’Ordine è il beato
Filippo. Giustamente occupa fra tutti il primo posto: ha vissuto infatti con fedeltà il suo servizio alla Nostra Signora, e
ha adempiuto scrupolosamente, con l’adesione del suo
9 Per
10 La
traslazione delle reliquie di san Filippo Benizi fu promossa da fra Pietro da
Todi, redattore finale della LO e priore generale dall’agosto 1314. Si trovava a
Todi nel giugno del 1317. La Legenda “vulgata” del beato Filippo, n. 33 (Monumenta OSM, II, Bruxelles 1898, p. 81) precisa che la traslazione ha avuto luogo
il 10 giugno 1317.
11 Gregorio Magno, Homilia 21 in Evangelia, 1 (in PL 76, 1169-1170). La LO
cita in maniera incompleta, lasciando in sospeso la seconda parte della frase
(“charitas ministrat”).
196
FONTI AGIOGRAFICHE
cuore, gli obblighi essenziali dell’Ordine. Il suo esempio ci
è di stimolo: se contempliamo infatti la sua vita casta,
abbiamo la forza per dominare l’arroganza della carne; se
ne consideriamo la povertà, siamo portati a valutare come
sterco12 tutte le ricchezze del mondo; se infine guardiamo
alla sua obbedienza, siamo anche noi spinti a sottomettere al Signore la nostra mente.
5. Per avere una conoscenza più completa e sicura
della vita di questo Beato secondo il desiderio mio e dei
frati, ho cercato di recarmi quest’anno, per quanto mi è
stato possibile, in tutti quei conventi dell’Ordine dove avevo
saputo della presenza di frati che lo avevano conosciuto
quando era ancora in vita e che erano stati con lui o in
comunità o accompagnandolo nei suoi viaggi da un convento all’altro. Con questi dunque ho parlato nella maniera
più esauriente possibile della sua vita, della sua morte e dei
suoi miracoli. Da queste persone degne di fede ho raccolto
pochi fatti ancora rimasti nella loro memoria: pochi, dico,
in rapporto a quanto egli aveva operato in virtù e miracoli
durante la sua vita.
Uno dei motivi di questa scarsità di notizie sta nel
fatto che dalla morte di lui al tempo in cui ho cominciato
le mie ricerche sono trascorsi più di 32 anni; perciò ho
potuto rintracciare pochissimi suoi coetanei ancora viventi.
Tra questi, comunque, ho trovato uomini assai degni di fede
per la purezza e la santità della loro vita: da loro ho appreso
la verità di tutto quello che sono riuscito a trovare sulla vita
del Beato e ho potuto verificare tra tutti una concordanza
sostanziale. Ma, come ho detto, a motivo del lungo tempo
trascorso, anche questi pochi conservavano scarsi ricordi
della vita e dei miracoli di lui.
12 Fil
3, 8.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
197
C’è ancora un’altra ragione: questo Beato, come ho
appreso, aveva preso la decisione di tenere nascosti i suoi
miracoli, virtù ed opere, e restava così straordinariamente
fermo in questa sua volontà da non manifestarli ai fratelli se
non molto raramente e solo quando non poteva fare altrimenti. Pochissimi perciò erano i fatti venuti a conoscenza
dei frati.
Ho raccolto pertanto queste poche cose, rimaste
come frammenti13 nella memoria dei frati, le ho disposte in
successione ordinata, e le ho sistemate, come ho saputo e
potuto, al posto giusto, ora conservando l’ordine e ora
mutandolo secondo la necessità.
6. Per scrivere una biografia possibilmente completa del beato Filippo e attingere informazioni più dettagliate
non solo sulla sua vita nell’Ordine, ma anche sulla famiglia
e sulla vita che condusse nel mondo, mi recai nella città,
contrada e casa dove era nato e fu educato fino al suo ingresso nell’Ordine. Trovai qui ancora in vita un suo nipote già
quasi ottantenne, che si chiamava fra Forte14. E trovai anche nella sua contrada un venerabile vecchio, di nome Fecino, uomo, come il nipote, di santa vita e di buona reputazione: sebbene toccasse già i cento anni, conservava ancora integre le sue facoltà e la memoria. Aveva sempre abitato
presso la casa di Filippo in quella contrada e lì aveva la sua
casa. Da loro due, dunque, seppi con ordine la verità intorno a molte cose relative alla famiglia del Beato e alla vita che
egli condusse nel mondo.
13 Gv
6, 12-13.
Forte, al secolo Forte da Sommaia, fa la professione nel 1315. Nel 1317
depone presso il convento di Firenze una somma di danaro per sua sorella Buta,
nata illegittimamente, secondo una notizia desunta dal cosiddetto libro delle
Ricordanze, registro di amministazione del convento della ss. Annunziata di
Firenze, degli anni 1295-1332.
14 Fra
198
FONTI AGIOGRAFICHE
Ho ordinato la vita del Beato in quindici capitoli:
così essa è accessibile a chi desidera conoscerla, e chiunque
vuole alla sua luce perfezionarsi spiritualmente può celermente trovare quello che desidera.
Capitolo Primo
L’ONORE E LA DIGNITÀ DEL NOSTRO ORDINE
7. La beata Vergine Maria, madre del Signore nostro
Gesù Cristo, è il rifugio generale di tutti i peccatori che a lei
ricorrono per ottenere misericordia15. È chiamata madre di
tutti i giusti che l’amano con tutto il cuore per ottenere la
grazia. È riconosciuta Signora comune da tutti quelli che in
qualsiasi Ordine sono al servizio di Cristo e in lei confidano per conseguire la gloria. Con ferma certezza sappiamo
che ella ottiene tutto questo da suo Figlio.
La beata Vergine Maria, però, è rifugio speciale,
madre singolare e signora particolare di tutti coloro che –
peccatori, giusti e servi a lei sempre fedeli – si trovano nell’Ordine a lei sola dedicato e perciò giustamente distinto
con il suo nome.
Certo, anche i frati degli altri Ordini, – peccatori,
giusti e servi di Cristo – nel momento del bisogno invocano la Nostra Signora come generale rifugio, madre universale e comune Signora. E fanno bene, perché a chiunque la
I paragrafi 7-8, che spiegano il rapporto particolare esistente tra l’Ordine dei
Servi e la Vergine Maria, sono molto vicini per terminologia e mentalità agli
scritti spirituali e agiografici dei due Ordini più specificatamente mariani,
Cistercensi e Predicatori.
15
2 - LEGENDA DE ORIGINE
199
invochi ella risponde e ottiene da Dio perdono per i peccatori, grazia per i giusti, gloria per i servi del Figlio suo.
Se si fa, però, una rassegna di tutti gli Ordini appare con facilità che gli altri frati hanno come fondatore un
santo particolare: a lui si rivolgono come a speciale rifugio,
padre particolare e proprio signore quando, per suo mezzo,
chiedono a Dio un favore o per se stessi o per il loro Ordine.
I frati invece dell’Ordine specificamente consacrato alla
Nostra Signora, e distinto quindi a ragione con il suo nome,
sono dedicati in modo particolare al servizio di lei e all’infuori di lei non hanno un santo come fondatore a cui, come
a speciale rifugio, padre singolare e proprio signore possano
e debbano ricorrere quando vogliono per sua intercessione
ottenere un favore per sé o per l’Ordine. Tutti, nei momenti di bisogno, invocano la Nostra Signora – i peccatori quale
rifugio generale, i giusti quale madre universale, quelli che
la servono con costanza e fedeltà quale comune signora – e
a tutti ella risponde ottenendo da Dio misericordia, grazia e
gloria. Allo stesso modo i frati, quando per sé o per l’Ordine
vogliono ottenere un favore, a lei si rivolgono come a rifugio speciale, madre singolare e propria signora.
Certo, essi hanno il beato Filippo e moltissimi altri
gloriosi padri, vissuti prima di loro nell’Ordine e celebri per
molte virtù meriti e miracoli. A questi potrebbero rivolgersi per ottenere favori per sé o per l’Ordine; ma nessuno di
questi però ha dato origine all’Ordine della Nostra Signora,
né tra loro vi è un santo così particolare che sia comune a
tutti i frati che si sono avvicendati e si avvicenderanno da
principio fino alla fine. Molti frati sono venuti nell’Ordine
prima di questi nostri Padri, che compiono per i loro meriti evidenti miracoli: di essi alcuni erano peccatori, altri giusti, altri, poi, per ottenere la perfezione, servi fedeli della nostra Signora, e quindi bisognosi tutti di misericordia, di grazia e di gloria. Perciò a nessuno di costoro i precedenti frati
potevano rivolgersi.
200
FONTI AGIOGRAFICHE
Da ciò risulta chiaro che i frati dell’Ordine di Nostra
Signora, all’infuori di lei stessa, non ebbero alcun santo proprio e particolare. Non ebbero infatti nessuno che fosse fondatore dell’Ordine o che fosse comune a tutti i frati.
8. È evidente quindi che la Nostra Signora non ha
voluto dare un particolare santo fondatore ai frati del suo
Ordine, proprio perché si potesse capire che è lei – quale
rifugio generale, madre universale e signora comune – ad
ottenere dal suo Figlio per tutti i frati del suo Ordine misericordia, grazia e gloria. I frati perciò a lei devono rivolgersi
come a speciale rifugio, madre singolare e propria signora,
quando vogliono ottenere una grazia per sé o per l’Ordine.
Che grande onore è quello dei frati dell’Ordine della Nostra
Signora: non solo la riconoscono generale avvocata dell’Ordine, ma sperimentano anche la cura speciale che ha di
loro e dell’Ordine intero.
Per questo i frati del suo Ordine, più di quelli degli
altri Ordini, sono tenuti a essere santi al cospetto di lei e a
compiere opere sante. Essi si sono dedicati al servizio di una
eccelsa Signora che si è degnata di prendersi cura speciale di
loro; perciò conservare l’innocenza del cuore 16 deve essere il
loro pensiero dominante. Siano confusi e arrossiscano i frati
che, pur appartenendo all’Ordine di Nostra Signora, non
hanno paura, anzi si ostinano a macchiare la loro anima e
impediscono che altri vivano senza colpa. E la vergogna li
porti a convertirsi subito a lei che nel suo giusto sdegno può
toglieli di mezzo all’improvviso e consegnarli al fuoco eterno dove saranno puniti come si meritano.
Siano invece contenti e si rallegrino i frati che vivono nell’Ordine con cuore puro e incoraggiano gli altri a
vivere senza peccato. Portino avanti con gioia l’opera iniziata, perché, se i cattivi, che nell’Ordine perdurano nella loro
16
Cf. Sal 101, 2.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
201
malizia, avranno una doppia punizione rispetto agli altri, i
buoni, che perseverano nella purezza, riceveranno un premio maggiore.
Capitolo Secondo
IL NOSTRO ORDINE HA INIZIO
QUANDO NASCE IL BEATO FILIPPO
9. Giunse poi il tempo in cui la beata Vergine Maria
stabilì di separare dal mondo e di radunare i primi frati del
futuro Ordine che a lei sola doveva essere dedicato. E mentre poneva gli inizi dell’Ordine radunando insieme i fratelli, apprestava anche, per l’avvenire, una lampada splendente di luce divina, cioè il beato Filippo, che per volere di lei
ebbe i suoi natali proprio là dove l’Ordine è sorto. L’Ordine,
infatti, che allora era appena agli inizi, sarebbe tanto cresciuto in seguito per il numero dei frati da non poter mantenere con equilibrio l’unità se non mediante una luce e una
dottrina celesti. Perciò il beato Filippo, una volta raggiunta
l’età matura e la piena santità, avrebbe illuminato di luce
divina, come vera lucerna ardente posta sul candelabro17
dell’Ordine, quelli che già si trovavano nell’Ordine e quelli
che in seguito sarebbero venuti, insegnando con la dottrina
e con l’esempio come servire degnamente Nostra Signora e
ricevere il premio da lei. Entrando nell’Ordine, Filippo lo
17 Gv
5, 35; Mt 5, 15; Mc 4, 21; Lc 8, 16. L’immagine della lampada e del candelabro, frequente nella LO (cf. nn. 13, 50, 56, 58), pone in stretta relazione san
Filippo e la storia delle origini dell’Ordine. Gregorio Magno l’aveva già applicato a san Benedetto, nel secondo libro dei Dialoghi (in PL 66, 130).
202
FONTI AGIOGRAFICHE
avrebbe rischiarato con la sua presenza: tutti i frati dell’Ordine, alla luce della sua dottrina, avrebbero appreso a
servire degnamente la loro Signora in tutte le situazioni in
cui l’Ordine sarebbe venuto a trovarsi.
10. Il nostro Signore Gesù Cristo aveva già spiritualmente illuminato il mondo con la presenza di due luci:
il beato Domenico e il beato Francesco. Con la luce della
loro vita e della loro dottrina essi avevano dato inizio a due
Ordini, che da loro prendevano il nome: dalla vita e dalla
scienza dei frati che ne facevano parte il mondo doveva essere guidato. Quando, al termine del loro compito, questi
uomini passarono con la morte fisica alla vita beata – il beato Domenico nell’anno del Signore 1221 e il beato Francesco nell’anno del Signore 1226 –, gli Ordini da loro fondati erano tanto saliti in virtù davanti a Dio che i frati con la
franchezza della predicazione e l’esempio della vita avevano
incominciato a estirpare le eresie spuntate dalla pace della
Chiesa: tra essi il beato Pietro martire, che stava presentandosi al mondo come l’atleta fortissimo di Cristo e primo
distruttore di eresie 18.
Per onorare la Madre sua, la Vergine Maria, il Signore aveva deliberato di offrirle una casa, cioè un Ordine
consacrato al suo nome. Perciò, perché i frati dell’Ordine
imparassero nell’unità a servire degnamente la loro Signora,
volle dar loro, come modello di autentico servizio, la lampada di cui abbiamo parlato, cioè il beato Filippo.
11. L’anno dunque 1233, dalla nascita di nostro
Signore, al tempo di papa Gregorio IX 19, il beato Filippo
nacque nella città di Firenze, provincia di Toscana. In quePietro da Verona inizia la sua attività apostolica tra il 1232 e il 1234. Su
di lui cf. ancora i nn. 33, 50-53, 58 della LO.
19 Ugolino di Segni, papa dal 1227 al 1241.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
203
sto stesso anno, nella stessa provincia e nella stessa città,
volle la Nostra Signora che avesse inizio il suo Ordine, e
che l’Ordine le fosse particolarmente consacrato e perciò
chiamato con il suo nome.
Che fai, dolcissima Signora? Al Figlio tuo fai simile colui che sarà tuo servo. In questo modo vuoi dirci chiaramente quanto egli sarà grande e quanto meritevole il servizio che ti offrirà. Tuo Figlio, della stirpe di Israele e del
popolo giudaico, al momento stesso della sua nascita da te,
ha riunito intorno a sé gentili ed ebrei, attirando i pastori
dalla Giudea 20 e i magi dall’Oriente 21; divenuto adulto,
ha ammaestrato e redento gentili ed ebrei e ad essi, dopo
la sua passione e morte, ha lasciato la dottrina e gli esempi secondo i quali vivere. Così anche intorno al tuo servo
il beato Filippo, nato nella provincia toscana e nella città
di Firenze, hai subito iniziato a radunare gente e famiglia
della stessa provincia e città, cioè gli iniziatori del tuo
Ordine. E tutti questi il beato Filippo, giunto all’età adulta e splendente della sapienza del Figlio tuo, doveva ammaestrare e guidare fino alla morte e poi ancora, dopo la
morte, lasciare la dottrina e l’esempio di un servizio degno
di te.
Ma, o mia Signora, beata Vergine Maria, a chi va
attribuito il merito di tanta somiglianza tra il tuo servo carissimo il beato Filippo e il tuo dolcissimo Figlio Gesù Cristo? Sono pieno di stupore, infatti, quando vedo il tuo servo somigliante al Figlio tuo e non riesco a indovinare la ragione di tanta somiglianza. Potrà forse attribuirsi al merito del tuo servo che era appena nato o del tuo Ordine che
solo allora muoveva i primi passi?
Pur non finendo di ammirare questo fatto stupendo di cui non riesco a trovare la ragione, oso non di meno
18 San
20 Lc
2, 8ss.
2, 1ss.
21 Mt
204
FONTI AGIOGRAFICHE
dire con grande rispetto verso di te, dolcissima Signora e
madre mia, che certo in questo modo tu hai voluto dimostrare i meriti futuri e la nobiltà del tuo servo, il beato Filippo, e del tuo Ordine, a te particolarmente consacrato: sei
stata tu a colmarli di virtù e doni celesti, e a renderli quanto mai degni di stare al tuo cospetto. E tuttavia il tuo servo
e l’Ordine a te consacrato non hanno alcun merito, perché
l’onore di assomigliare al Figlio tuo l’hai deciso tu, per il tuo
affetto e la tua misericordia.
12. Ho poi dedotto nel modo seguente che il beato
Filippo sia nato nello stesso tempo, anzi nell’anno in cui
ebbe inizio l’Ordine della Nostra Signora. Il beato Filippo è
morto nell’anno del Signore 1285, secondo del pontificato
di papa Onorio IV 22. Egli stesso inoltre, poco prima di morire, ebbe a dire per caso a fra Bonaventura da Pistoia, nel
convento di Orvieto23, che aveva 52 anni. Ora se dall’anno
della morte, 1285, sottraiamo la durata della vita, cioè 52
anni, resta il 1233: questo è quindi certamente l’anno in cui
egli venne al mondo. Ma questo, come ho già detto, è anche
l’anno in cui ebbe inizio l’Ordine della beata Vergine Maria.
Che poi proprio in quest’anno abbia avuto inizio l’Ordine
della Nostra Signora l’ho appreso da fra Alessio24, uno dei
primi sette 25 frati iniziatori dell’Ordine, al quale, prima che
morisse, ho rivolto domande per parecchi anni, venendo a
sapere molte cose circa le origini. Da lui ho saputo che
22 Giacomo
Savelli, papa dal 1285 al 1287. Negli ultimi mesi del suo pontificato concesse una serie di privilegi ai conventi di Borgo Sansepolcro, Bologna-S.
Maria in Borgo S. Petronio, Foligno, Siena, Cafaggio, Lucca, rendendo più
sicura la sopravvivenza dell’Ordine in un momento di incertezza.
23 I Servi di Maria ottennero il 27 settembre 1260 dal vescovo di Orvieto la chiesa di S. Pietro in Vetera; nel 1265, forse per motivi di sicurezza, si insediarono
all’interno nelle mura cittadine e costruirono la chiesa e il convento di S. Maria.
24 Cf. Introduzione.
25 Il numero “sette” ricorre in diverse esperienze eremitico-comunitarie dell’epo-
2 - LEGENDA DE ORIGINE
205
l’Ordine ha avuto inizio sei anni prima dell’eclisse di sole in
Italia. Ora si sa che questa famosa eclisse avvenne nell’anno
del Signore 1239, tredicesimo del pontificato di papa Gregorio IX. Se dunque l’Ordine della Nostra Signora ha avuto
inizio sei anni prima dell’eclisse avvenuta nel 1239, sottraendo da questa data sei anni, è chiaro che rimane l’anno
del Signore 1233, nel quale appunto ebbe principio l’Ordine della Nostra Signora. Ma questa fu anche la data di
nascita del beato Filippo. Resta perciò dimostrato quanto
ho sopra affermato, vale a dire che il servo della Nostra
Signora è nato l’anno stesso in cui è sorto l’Ordine di lei.
13. Ho sentito inoltre molti frati raccontare che lo
stesso Filippo, in un libretto scritto da lui e intitolato
Dell’origine dell’Ordine 26, aveva tracciato in maniera completa gli inizi dell’Ordine, la sua fioritura e la sua crescita fino
al tempo in cui egli, il beato Filippo, fu posto sul candelabro.
Ho cercato a lungo, con grande desiderio, questo libretto che molti nostri frati asseriscono di aver visto e letto;
ma non sono ancora riuscito a trovarlo. Alla fine ho sentito
da un frate, che aveva avuto con sé questo libro per lungo
tempo, di averlo smarrito in seguito a eventi improvvisi.
14. I primi frati, con i quali la Nostra Signora ha
voluto dar principio al suo Ordine, e quelli venuti nell’Ordine dopo di loro, sono quasi tutti partiti da questo
mondo. I frati inoltre, forse per negligenza, hanno smarrito il libretto ricordato del beato Filippo sull’origine dell’Ordine. Non mi è più possibile, perciò, spiegare per iscritto, secondo il grande desiderio mio e dei frati, quali
ca medievale (per esempio san Bruno e i suoi sei compagni) e anche nelle biografie di san Francesco. Si tratta di un valore simbolico profondamente radicato nella coscienza religiosa di quel tempo, tale da vincolare probabilmente gli
iniziatori di un gruppo religioso al numero sette.
26 Cf. Introduzione.
206
FONTI AGIOGRAFICHE
siano stati gli inizi dell’Ordine nostro e a quale livello di
prosperità sia giunto al tempo del beato Filippo.
Però la vita del beato Filippo, che molto volentieri ho intrapreso a scrivere in onore di lui e per il bene dei
frati, dipende in una certa misura dalla narrazione delle
circostanze in cui l’Ordine è nato, si è sviluppato, e ha raggiunto quel livello di prosperità in cui era quando il beato
Filippo fu posto alla sua guida. Perciò, con tanti limiti ma
sempre con molto piacere, ho cercato di darne un breve
resoconto per i frati che lo desiderano. Lungo i 22 anni,
che per divina misericordia ho già trascorso nell’Ordine,
ho avuto varie occasioni di ascoltare molti frati anziani,
alcuni già morti, altri, pochissimi, ancora in vita. È di loro
che conservo memoria, soprattutto di Alessio, uno dei
primi frati del nostro Ordine.
Capitolo Terzo
IL NUMERO DEI FRATI CHE DIEDERO PRINCIPIO ALL’ORDINE
E LA LORO PERFEZIONE NEL MONDO
GIÀ PRIMA DI RIUNIRSI INSIEME
15. Come sopra è stato detto, l’Ordine dei Servi
della beata Vergine Maria ebbe le sue origini nella provincia
toscana e precisamente nella città di Firenze. Per una comprensione più chiara del seguito del racconto, abbiamo indicato, per quanto genericamente, che cosa sia la vita religiosa
e alcuni aspetti che la riguardano27. Adesso, con fiducia in
27 In
verità, l’autore non ha ancora detto niente sull’argomento.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
207
Dio, profonda pietà e venerazione, dobbiamo spiegare a coloro che lo desiderano il modo con cui l’Ordine ebbe inizio.
Bisogna dunque sapere che nella provincia toscana
e nella città di Firenze vissero sette uomini, degni di molto
rispetto e onore. La Nostra Signora li riunì come le sette
Plèiadi nell’intento di sciogliere con la forza dello Spirito il
giro di Arturo 28. Con questa profonda e radicale unione
delle loro persone fondò l’Ordine suo e dei suoi Servi.
Fondando l’Ordine suo e dei suoi Servi tramite sette
uomini, la Nostra Signora manifestava chiaramente quale
fosse la sua volontà: rendere bello il suo Ordine con una
effusione particolarmente abbondante dei sette doni dello
Spirito Santo. Così agli occhi di tutti ella mostrava che sempre, d’allora in poi, l’Ordine doveva conservarsi per mezzo
di uomini provvisti dei doni dello Spirito di Dio, e a tutti
faceva vedere, con una evidenza assoluta, che grazie ai doni
dello Spirito l’Ordine le sarebbe sempre stato gradito, fino
alla settima età29.
16. Prima di abitare insieme per dare origine al
nostro Ordine, gli stati di vita di questi uomini erano di
quattro tipi: il primo era in rapporto alla Chiesa, il secondo
alla vita civile, il terzo all’onore della Nostra Signora, il
quarto alla perfezione della loro anima.
28 Gb 38, 31. Il numero delle Pleiadi e il rapporto con Arturo o Orione – due
particolari che Giobbe non precisa – si ispirano in realtà a un commento di
Gregorio Magno, Moralia sive Expositio in Iob, 29, 31 (in PL 76, 515-519), dove
le sette stelle sono considerate immagini dei doni dello Spirito e del Nuovo
Testamento, mentre la costellazione di Arturo simboleggia l’Antico Testamento
e il cammino travagliato della Chiesa.
29 La divisione della storia umana in sette epoche risale ad Agostino: cf. i libri
11-18 di La Città di Dio (in Opere di sant’Agostino, V/2, Roma 1986) e anche
Genesi contro i Manichei 1, 23-41 (in Opere di sant’Agostino, IX/1, Roma 1988,
p. 107-115); e ricalca la settimana della creazione: il settimo giorno è il “sabato” del riposo dell’umanità. È una visione della storia ampiamente sviluppata
dalla teologia medievale.
208
FONTI AGIOGRAFICHE
Il primo loro stato dunque riguardava la Chiesa. C’è
uno stato di tre specie che riguarda la Chiesa in genere e la
nostra fede, uno stato universale in cui si trovano a vivere la
Chiesa e i credenti: lo stato dei vergini o di quelli che hanno
fatto il proposito di vivere castamente prima del matrimonio; lo stato di coloro che vivono nel matrimonio; lo stato
di quelli che, sciolti dal matrimonio o per il consenso o per
la morte dell’altro coniuge, si propongono, per amore di
Dio, di vivere il resto della vita in perfetta castità.
Prima di abitare insieme, i sette uomini si trovavano a vivere lodevolmente in questo triplice stato della Chiesa: alcuni di loro, decisi a osservare la verginità o castità perpetua, non si erano ancora legati in matrimonio; altri invece erano già uniti in matrimonio; e altri infine erano liberi
dal vincolo matrimoniale per la morte della consorte.
Questa è l’opera di un grande e meraviglioso amore,
che ha portato a pienezza un giuramento di fedeltà senza
limiti. Da una parte, infatti, con i sette uomini iniziatori del
suo Ordine, la Nostra Signora ha voluto chiaramente mostrare che la perfezione futura sarebbe stata nei sette doni
dello Spirito Santo; dall’altra, con il triplice stato della Chiesa in cui essi lodevolmente si trovavano, volle con altrettanta evidenza far capire a tutti che al suo Ordine, come sesta
città spirituale di rifugio, ognuno, in qualunque stato si trovasse, avrebbe potuto accedere tranquillamente o per conseguire la salute dell’anima o per conservarla, nel caso che l’avesse già raggiunta, e infine, ottenere da lei e dal suo Figlio
la grazia e la gloria dopo aver servito con scrupolosa fedeltà
fino al termine della vita.
Questo primo stato viene descritto nel libretto delle
Costituzioni antiche 30, da loro osservate nel mondo prima di
2 - LEGENDA DE ORIGINE
far vita comune. Qui si legge: “Poiché alcuni di questi erano
legati dal vincolo matrimoniale e non potevano quindi
intraprendere il cammino di una vita più stretta, decisero di
scegliere una strada media e più comune, più facilmente
percorribile tanto dagli sposati quanto dai non sposati”.
17. Il secondo loro stato, prima che avesse origine il
nostro Ordine, riguardava il bene della città. Il vantaggio
materiale di una città e dei suoi cittadini sta nello scambio
dei beni terreni; per renderlo più facile e più proficuo sono
stati escogitati nelle città diversi generi di commercio e di
lavoro. Prima di mettersi a vivere insieme, questi sette uomini erano impegnati nel commercio e vendevano e scambiavano beni terreni. Ma poi trovarono la perla preziosa31,
o meglio la Nostra Signora fece capire che sarebbe stata l’unità dello loro persone a creare e riprodurre nuovamente nel
mondo questa perla, con la guida dello Spirito Santo. Per
procurarsi questa perla, cioè il nostro Ordine, o piuttosto
per ottenere dalla Nostra Signora che tramite loro questa
perla fosse creata, introdotta nuovamente nel mondo e
donata a quanti desideravano servire degnamente e fedelmente la Nostra Signora, non solo distribuirono ai poveri
quanto possedevano, vendendo tutto secondo il consiglio
evangelico32, ma anche si offrirono con gioiosa determinazione a un servizio fedele a Dio e alla Nostra Signora.
E così, mentre prima trafficavano beni terreni, ora,
divenuti un corpo solo nell’unità radicale delle loro persone, intrapresero a praticare una nuova professione33, quella
cioè di unire le anime a Dio e a Nostra Signora, di conservarle in tale unione e condurle a un servizio sempre più fe31 Mt
30 Di
questo testo legislativo, di cui al n. 18 si cita un secondo brano relativo al
servizio della Vergine, non abbiamo altre notizie. Serviva a regolare la vita penitente di persone viventi nel mondo.
209
13, 45-46.
19, 21; Lc 12, 33.
33 Questo nuovo lavoro, portare cioè le persone al servizio di Dio e della Vergine,
è l’arte che i padri hanno lasciato in eredità ai loro figli, come è stato detto al n. 1.
32 Mt
210
FONTI AGIOGRAFICHE
dele. Divennero mercanti di beni celesti, presi come erano
dall’amore per tutte le anime bisognose di salvezza.
Questo tipo di commercio e di professione, che essi
avevano intrapreso, doveva poi essere portato a nobilissima
perfezione dal beato Filippo, che l’ha lasciato come sua eredità ai frati desiderosi di servire fedelmente Dio e Nostra
Signora.
Questo dunque è il loro secondo stato di vita.
18. Il terzo stato di vita, anteriore all’origine dell’Ordine, riguarda la riverenza e l’onore verso Nostra Signora.
Si trova a Firenze una associazione istituita molto
tempo fa in onore della Vergine Maria. Per la sua antichità
e il gran numero e la santità degli uomini e delle donne che
ne fanno parte, è chiamata in modo tutto speciale “maggiore” rispetto alle altre associazioni della Nostra Signora che in
questa città sono numerose. Tutte queste hanno il nome
generico di “Società di Nostra Signora”, ma solo alla prima
è attribuito il titolo speciale di “Società maggiore di Nostra
Signora”34. Di questa, per il loro appassionato amore verso
la Nostra Signora, furono membri i sette uomini iniziatori
del nostro Ordine prima di abitare insieme.
Poiché dunque il nostro Ordine ha la sua origine
dalla provincia toscana e precisamente dalla città di Firenze
e dalla Società della Nostra Signora, tutti i frati del nostro
Ordine sono tenuti, com’è ovvio, non solo ad amare di cuore e a onorare il luogo e la gente di questa città, della provincia e dell’associazione di cui abbiamo parlato, ma anche
a rivolgere sempre devote preghiere a Dio per la salvezza di
questi luoghi e la santificazione delle persone.
34 Questa
Società, forse istituita da san Pietro da Verona durante la sua permanenza in Firenze, compare per la prima volta in un documento del 28 marzo
1245 in cui Arrigo di Baldovino e altri due laici “servi di santa Maria” donano
alla società della Vergine Maria, i cui membri si chiamano anch’essi “servi di
santa Maria”, l’ospedale di S. Maria di Fonte Viva.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
211
Da parte loro anche gli abitanti di detta provincia in
genere e della città di Firenze in particolare, e in modo speciale tutti i membri della Società maggiore di Nostra Signora, in considerazione del beneficio loro concesso dalla
Vergine, si sentiranno per sempre obbligati a onorare con
profondo rispetto i frati dell’Ordine dei Servi di santa Maria
e l’Ordine intero in qualunque parte della terra, e a procurare, secondo le proprie possibilità, quello che torna a onore
della Nostra Signora e a vantaggio dei frati.
La città di Bologna è famosa per san Domenico e
per l’origine dell’Ordine dei frati Predicatori, e la città di
Assisi è da tutti venerata a motivo di san Francesco e dell’origine dell’Ordine dei frati Minori. Allo stesso modo anche
la città di Firenze ha acquistato una bellezza speciale grazie
al beato Filippo e ai sette uomini e perciò all’origine dell’Ordine della Nostra Signora.
Se dunque i bolognesi devono tenere alto, per quanto sta in loro, l’onore dell’Ordine dei frati Predicatori, e la
città di Assisi è tenuta a procurare con tutto il cuore favori
e benefici all’Ordine dei frati Minori, anche gli abitanti
della provincia toscana in genere e i cittadini di Firenze in
particolare, e specialmente i membri della Società su citata,
debbono con tutte le loro forze, in segno di riverenza e di
onore verso la Nostra Signora, custodire e aiutare, a Firenze
e ovunque, l’Ordine nato da loro, come un tesoro che a titolo speciale la Nostra Signora ha loro affidato, e favorirne lo
sviluppo.
Questo terzo stato, relativo alla riverenza verso la
Nostra Signora, è spiegato con queste parole nel libro già
citato delle Costituzioni: “Nel timore della loro imperfezione presero una saggia decisione: si portarono umilmente ai
piedi della Regina del cielo, la gloriosissima Vergine Maria,
con tutto l’amore del loro cuore, perché lei, che è mediatrice e avvocata, li riconciliasse e li raccomandasse al Figlio suo
e, supplendo con la sua generosissima carità alla loro imper-
212
FONTI AGIOGRAFICHE
fezione, ottenesse, pietosa, abbondanza di meriti. Perciò a
onore di Dio si posero al servizio della Vergine sua Madre e
da quel momento vollero chiamarsi Servi di santa Maria,
con uno stile di vita loro suggerito da sagge persone”.
19. Il quarto stato, avanti l’origine del nostro Ordine, riguardava la perfezione della loro anima e perciò la
dignità del nostro Ordine che sarebbe stato così fondato da
uomini già perfetti.
La perfezione di una persona in rapporto a Dio sta
nella vita che si riveste, come di un abito, della fede cristiana. È possibile infatti fissare lo sguardo sulla vita soprannaturale, che ha inizio con il battesimo o la penitenza, solo se la vera e cristiana religione è diventata una qualità abituale della persona 35. Se infatti non crederemo, dice
Isaia, non comprenderemo 36, e così neanche potremo conoscere la vita.
Il battesimo è il sacramento della fede: per mezzo
suo infatti si acquista la fede o, meglio, la fede ci viene donata da Dio. La penitenza invece ricupera la fede che l’eresia ha distrutto o anche, cancellando la macchia, restituisce
alla fede, offuscata dal peccato, la sua primitiva bellezza.
Infatti, come è stato detto, è l’autentica fede in Cristo la forza della vita soprannaturale, che inizia con il battesimo e la
penitenza ed è avvalorata dalla contemplazione della passione di Cristo. Per mezzo di questa contemplazione l’anima
nostra si lega a Dio e celebra un culto degno di Lui.
35 Letteralmente “abito della religione cristiana”. L’abito è un concetto importan-
te dell’etica aristotelica. Per sua natura l’uomo è potenzialmente capace di virtù
e di vizi; attualizza questa capacità mediante l’esercizio, ossia ripetendo una serie
di atti dello stesso tipo. La ripetizione di questi atti è l’abitudine (ethos); il risultato di questa ripetizione è l’abito, che resta in noi come qualità o disposizione
o pensiero stabile che poi agevola ulteriori atti dello stesso genere. L’abito della
religione cristiana è quindi quell’orientamento vitale e stabile che la fede, concretamente vissuta e riaffermata ogni giorno, crea nella persona.
36 Is 7, 9.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
213
I venerabili nostri primi padri e iniziatori dell’Ordine erano perfetti già prima che si unissero insieme. Infatti per l’impegno di penitenza, volontariamente assunto,
la vera fede cristiana era divenuta in essi come un abito,
anche se non tutti osservavano quei legami insiti nel battesimo. Per quest’orientamento profondo che la vera fede
aveva creato in essi, contemplavano già la vita superiore
della grazia e per amore di essa avevano già legato a Dio le
loro anime o meglio cercavano di mantenerle sempre in
questo legame. Con tutte le loro forze celebravano in questo modo un culto a Dio gradito.
Non c’è dubbio poi che essi possedessero quella
virtù propria della fede cristiana. In rapporto a noi la
virtù è una qualità abituale capace di scegliere37: risiede
nella mente ed è determinata dalla ragione e dalla decisione di una persona sapiente. Questi uomini gloriosi,
primi iniziatori del nostro Ordine, vennero a conoscenza,
per ispirazione divina, della virtù della fede. E la scelsero
nel desiderio di adornarsene abitualmente come di una
perla preziosissima trovata e riconosciuta nel suo valore.
Perciò misero in vendita se stessi e i propri beni pur di possederla38.
In tutte le loro azioni cercarono di seguire i dettami della ragione: non i dettami suggeriti da chi è esperto
di sapienza terrena, ma quelli che la stessa Sapienza increata ha fissato santissimamente nelle parole evangeliche.
Non c’è dubbio quindi che la religiosità sia divenuta in
essi un atteggiamento personale costante e che per questo
abbiano posseduto la perfezione secondo Dio e attuato le
37 Aristotile,
Etica a Nicomaco, II, 6: “È dunque la virtù un abito elettivo, consistente nel giusto mezzo rispetto a noi, determinato dalla ragione e a seconda di
come lo potrà determinare una persona sapiente”. Invece di in medietate (nel
giusto mezzo) la LO ha in mente. Questa definizione della virtù è stata poi assunta da san Tommaso d’Aquino (Somma Teologica I-II, q. 58, art. II, n. 4).
38 Mt 13, 45-46.
214
FONTI AGIOGRAFICHE
opere di tale perfezione; infatti la virtù porta a perfezione
chi la possiede e ne rende buono l’operare39.
Un segno inoltre che la fede è divenuta davvero un
orientamento abituale della persona è la gioia o la tristezza
nell’agire concreto40. Ora questi uomini gloriosi sentivano
o gioia o tristezza in tutto ciò che facevano. Quando in
un’azione si rendevano conto di tenere il giusto mezzo,
immensa era la loro esultanza nel Signore. Se invece si allontanavano dalla via giusta o almeno pensavano di essersene
allontanati, ne provavano pentimento con lacrime e dolore.
Da questo segno di gioia o tristezza nell’agire, perciò, dobbiamo credere fermamente che essi, ispirati da Dio e aiutati dalla Nostra Signora, abbiano posseduto la fede come una
qualità profonda e stabile della loro vita.
20. La vera fede cristiana, di cui si erano rivestiti,
li spingeva con forza alla contemplazione della vita di grazia e di gloria. Una proprietà41 della fede, infatti, è far sì
che chi la possiede si intrattenga a contemplare la vita
celeste.
L’essersi rivestiti della vera fede cristiana li portava
ormai perennemente alla contemplazione delle realtà celesti: era una propensione divenuta una inclinazione naturale. Scelta la parte ottima della contemplazione42, non si curavano più delle cose terrene, ma volevano solo conoscere e
possedere i beni celesti43; per questo amavano la compa39 Etica
a Nicomaco, II, 6.
a Nicomaco, II, 3.
41 Il testo ha il termine difficile di domina, dovuto forse a un’errata lettura del
copista o, più probabilmente, alla fonte aristotelica.
42 Cf. Lc 10, 38-42.
43 «Sapere e possedere soltanto le cose celesti» è una variante di vacare Deo, essere liberi da tutto per dedicarsi soltanto a Dio, espressione ricorrente nel medio
evo per indicare l’impegno e il senso della contemplazione. Per “vacare contemplationi” (dedicarsi alla contemplazione) cf. n. 30 della LO.
40 Etica
2 - LEGENDA DE ORIGINE
215
gnia e l’amicizia di persone sante che già appartenevano al
cielo e solo alle cose del cielo aspiravano. Potevano dire
insomma in tutta verità con l’Apostolo: “La nostra patria è
nei cieli”44.
Per questo amore della vita celeste, che la contemplazione aveva dischiuso alla loro conoscenza, avevano
legato a Dio le loro persone, o meglio bramavano di tenerle sempre unite a Dio in un vincolo indissolubile. Così
intenso era il legame d’amore con Dio che non solo temevano come massimo tormento l’essere separati da lui, ma
anche il vivere in questo mondo sentivano come un peso
e aspettavano con gioia la morte per poter essere con lui.
Perciò, anelando a una perenne comunione con Dio, ripetevano insieme all’Apostolo: “Desideriamo andarcene e stare con Cristo”45.
21. Per questo vincolo che li univa a Dio la loro
fede era giunta a perfezione. Per conservare l’orientamento che la fede aveva impresso in loro e manifestarne l’efficacia attraverso l’attuazione pratica, partecipavano sempre
intensamente al culto divino.
Duplice è il culto divino: uno è generale, riguardante cioè quelli che, vivendo nel mondo, dopo il battesimo o almeno dopo la penitenza, desiderano tenersi lontano dal peccato; l’altro è proprio di coloro che passano allo
stato religioso, dove non solo si tengono lontani dal peccato ma si legano anche con i tre voti religiosi e vogliono
dedicarsi solo al servizio divino.
Quando questi uomini religiosi, i primi che ci hanno preceduti nel nostro Ordine, vivevano nel mondo già
uniti a Dio dall’amore della vita superiore, praticavano il
primo e generale culto divino: al di sopra di tutto amava44 Fil
45 Fil
3, 20.
1, 23.
216
FONTI AGIOGRAFICHE
no Dio 46, a lui indirizzando tutto quanto facevano, lo onoravano con tutti i loro pensieri, parole ed opere.
Riferendo a Dio tutte le opere buone che facevano
e riconoscendo che esse da Dio derivavano, vivevano il primo e generale culto divino, e così si preparavano al secondo speciale culto divino, vale a dire alla loro reciproca comunione, ai tre voti religiosi, ossia all’obbligo perpetuo di
osservare il voto di obbedienza, castità e povertà, e al volontario impegno di dedicarsi unicamente al servizio di Nostra Signora.
Capitolo Quarto
PERCHÉ SOLTANTO SETTE UOMINI SONO STATI SCELTI PER
DARE INIZIO AL NOSTRO ORDINE.
LA LORO PERFEZIONE. IL TRIPLICE NOME DELL’ORDINE.
22. Così, dunque, fratelli miei, vivevano questi uomini gloriosi, nostri padri e primi iniziatori del nostro Ordine: già prima di intraprendere la vita comune e dare origine al nostro Ordine, la loro vita era degna di lode. Quanto
è grande la dignità e la nobiltà dei nostri padri! Tutti davvero vi dobbiamo riflettere con venerazione. Tanto era il valore della loro vita davanti alla Nostra Signora, che ella volle
da loro incominciare l’Ordine suo e dei suoi servi.
Uomini meravigliosi! Poco prima li abbiamo definiti, in senso spirituale, le stelle Pleiadi che devono illu-
2 - LEGENDA DE ORIGINE
minare con la loro luce il cammino della nostra perfezione. La Nostra Signora li ha chiamati a vivere insieme in
una radicale unione per dare inizio al suo Ordine e così
sciogliere il giro di Arturo intorno al quale vagano gli empi e per tracciare la via diritta per cui si giunge alla gloria
celeste.
Le stelle Pleiadi sono sette e appartengono alla costellazione del Toro, nel cui segno il sole entra il 15 aprile.
Esse perciò cominciano a sorgere solo nella stagione primaverile, quando il sole, con i suoi raggi più caldi, dischiude la
terra e la dispone all’aratura, fa crescere le piante e le copre
di fiori. Come sette spirituali stelle Pleiadi, questi uomini
gloriosi e primi fondatori del nostro Ordine apparvero al
mondo nel tempo di quella spirituale primavera quando
Cristo, luce del mondo, con i due astri, che abbiamo già ricordato, cioè il beato Domenico e il beato Francesco, aveva
cominciato nuovamente a illuminare la terra e a riscaldarla
con raggi di luce più intensa47. Con la parola della predicazione e una vita di umiltà, che si era quasi del tutto estinta,
il gelo dell’incredulità si ritirava e tornava il calore della
carità. La terra del cuore umano si apriva nuovamente al
Sole di giustizia, pronta a essere solcata da aratri veri, strumenti di Dio che penetrano in profondità i cuori. Era il
tempo in cui le piante, cioè i due Ordini del beato Domenico e del beato Francesco, mentre ancora questi erano
in vita, si coprivano di fiori di virtù e germogliavano coloro
che avrebbero estirpato le eresie.
Frattanto, come abbiamo accennato, questi sette
uomini erano saliti a un alto grado di perfezione e grandi
meriti avevano acquisito davanti a Dio. Così, quando nacLa letteratura del tempo vedeva nel rinnovamento operato da Francesco e
Domenico una nuova stagione della storia della Chiesa segnata dai doni dello
Spirito, secondo le profezie di Gioacchino da Fiore (morto nel 1202) che ebbero un’eco particolare soprattutto in ambiente francescano.
47
46 Dt
6, 5; Mt 22, 37. Cf. inizio della regola di sant’Agostino: “prima di tutto si
ami Dio”.
217
218
FONTI AGIOGRAFICHE
que il beato Filippo nell’anno del Signore 1233, erano
giunti a grande perfezione con l’aiuto dei due astri suddetti e dei frati che vivevano negli Ordini da loro fondati e che
avevano anche intrapreso a predicare apertamente la parola di Dio. Pure essi erano ormai diventati stelle spirituali
che, con l’irradiazione della divina parola e di una umiltà
esemplare, potevano essere il modello di vita che portava
altri allo stato di perfezione.
Un segno evidentissimo della loro perfezione e religiosità si può cogliere anche dal fatto che per mezzo loro
volle Nostra Signora dar principio all’Ordine suo e dei suoi
Servi. Se infatti questi sette non avessero già raggiunto la
vetta della santità sopra tutti gli altri, e se non fossero stati
più degli altri graditi alla Nostra Signora e a suo Figlio, senza dubbio nel tempo stabilito per dare inizio all’Ordine,
non avrebbe scelto questi uomini ma altri per la fondazione di un così grande Ordine che doveva essere consacrato
solo a lei e portare il suo nome.
23. Quello che abbiamo detto sulla loro perfezione
e religiosità non è contraddetto dal fatto che non siamo in
grado di riferire alcun miracolo da loro compiuto in vita o
al momento della morte, o almeno dopo la morte. Certo,
tutti o alcuni di loro possono, per un certo tempo almeno,
essere stati famosi per i molti miracoli compiuti; ma nessuno di questi è giunto fino a me per poterlo narrare, probabilmente perché è passato tanto tempo e i vecchi del nostro
Ordine sono tutti morti, o anche per un altro motivo, che
cioè il far miracoli non è segno inequivocabile e privilegiato
di perfezione e di spirito religioso. Altrimenti non potrebbe
dirsi perfetto e vero religioso colui per mezzo del quale Dio
non avesse mai operato miracoli: il che è senza dubbio falso.
Amare invece Dio sopra tutte le cose, praticare la carità
verso tutti, essere umili di cuore, questo è l’attributo dei veri
e perfetti religiosi. Nostro Signore non ha detto: Imparate
2 - LEGENDA DE ORIGINE
219
da me a risuscitare i morti o a dare la luce ai ciechi; ma:
Imparate da me che sono mite e umile di cuore 48; e ancora: Vi
ho dato l’esempio che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho
amato 49.
Quando nel giorno del giudizio, per dimostrare la
propria perfezione e religiosità, molti esibiranno la prova dei
miracoli dicendo: Signore, nel tuo nome abbiamo cacciato i demoni, abbiamo risucitato i morti 50, ecc., si sentiranno rispondere da Cristo, a dimostrazione che il far miracoli è un segno
fallace di perfezione e di religiosità: In verità vi dico, non vi
conosco 51; allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità 52. Non ascolterebbero certo questa terribile parola se il far
miracoli fosse segno evidente di perfezione e di religiosità.
24. Ricordo inoltre di aver già accennato a un altro
particolare e importantissimo motivo che spiega perchè di
questi uomini, che pure sono stati perfetti, non conosciamo alcun miracolo.
La Nostra Signora infatti ha voluto che nessun gran
santo, operatore di autentici miracoli, fosse l’iniziatore del
suo Ordine, per mostrare che solo lei è la fondatrice dell’Ordine consacrato in modo speciale al suo nome.
Dobbiamo ritenere che tutto questo non sia avvenuto a caso e senza motivo, ma per speciale disposizione di
Dio e della Nostra Signora. Come infatti tutti gli Ordini
prendono giustamente il nome dal loro principale fondatore, così era opportuno che l’Ordine della Nostra Signora
prendesse nome da lei e nessuno potesse essere detto vero
fondatore all’infuori di lei.
48 Mt
11, 29. Il testo evangelico è letto attraverso il commento che ne fa Agostino, Discorso 69, 2 (in Opere di sant’Agostino, XXX/1, Roma 1982, p. 384-385).
49 Gv 13, 15.34.
50 Mt 7, 22.
51 Mt 25, 12.
52 Mt 7, 23.
220
FONTI AGIOGRAFICHE
A convalida dell’esattezza di tale interpretazione
voglio dire anche questo: se fosse possibile attribuire la fondazione dell’Ordine della Nostra Signora a un altro all’infuori di lei, è soltanto ai Sette che tale attribuzione andrebbe fatta e per la loro santità e per il fatto di essere stati i
primi dell’Ordine. Ma la fondazione dell’Ordine non si
può attribuire in alcun modo né ai primi sette frati globalmente presi, né a qualcuno di loro in particolare, come ho
sentito ripetere spesso ai frati da fra Alessio, uno dei sette.
Anche a me egli ha detto questa parola che ripeteva spesso
ai frati: “Mai fu intenzione mia e dei miei compagni fondare un nuovo Ordine e che dalla comunione reciproca tra
me e i miei compagni dovesse germogliare una così grande
folla di frati. I miei compagni ed io pensavamo soltanto che
fosse stato Dio a ispirarci a vivere insieme per poter fare più
facilmente e degnamente la sua volontà, dopo aver abbandonato materialmente il mondo. Tutto questo è da attribuirsi perciò solo alla Nostra Signora ed è quindi da lei che
il nostro Ordine prende il nome particolare di Ordine della
beata Vergine Maria”.
25. Ciò non è in contrasto con quello che abbiamo
già affermato, cioè che il nostro Ordine si chiama anche
Ordine dei frati Servi della beata Vergine Maria. Tre infatti sono i nomi del nostro Ordine: uno, generico, proveniente dalla Regola; il secondo, speciale, derivante dall’attività di coloro che lo costituiscono; il terzo, particolare,
dalla Nostra Signora sua fondatrice.
L’Ordine dei Predicatori, ad esempio, ha un nome
generico dalla Regola, per cui si dice “Ordine di sant’Agostino”; poi ha un nome speciale dall’attività propria di
coloro che ne fanno parte, per cui viene chiamato “Ordine
dei frati Predicatori”; infine ha un terzo nome particolare
assunto dal suo primo fondatore, per cui si chiama “Ordine del beato Domenico”.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
221
Allo stesso modo il nostro Ordine ha tre nomi. Un
primo nome generico dalla Regola che professarono gli antichi del nostro Ordine, la Regola del beato Agostino53; per
questo è detto, con nome generico, “Ordine di sant’Agostino”. Un secondo nome, speciale, dall’attività propria di
coloro che ne fanno parte, per cui ha il nome specifico di
“Ordine dei frati Servi della beata Vergine Maria”. E infine
un terzo nome particolare, assunto dalla Nostra Signora,
sua prima fondatrice, per cui solo esso è chiamato “Ordine
della beata Vergine”.
Di conseguenza, perciò, abbiamo concluso che il
nostro Ordine si chiama Ordine della beata Vergine Maria. Quantunque possa anche chiamarsi, genericamente,
“Ordine del beato Agostino” e in modo speciale “Ordine
dei Servi della beata Vergine Maria”, però a titolo proprio
ed esclusivo solo quest’Ordine, come abbiamo ragionevolmente spiegato, merita di essere da tutti denominato
“Ordine della beata Vergine Maria”.
53 Con il termine Regola di sant’Agostino si designava in quell’epoca il testo legislativo attribuito al santo (Regola ai servi di Dio), a cui era stato premesso l’inizio del cosiddetto Ordo monasterii – un testo coevo anch’esso ritenuto di sant’Agostino -: “Prima di tutto, fratelli carissimi, si ami Dio, poi il prossimo, poichè
questi sono i comandamenti principali che ci sono stati dati”. Fu il vescovo di
Firenze, Ardingo, a concedere, tra il 1243 e il 1247, ai frati di Monte Senario
una prima approvazione di “statuti” comunitari da osservarsi “per sempre sotto
la regola di sant’Agostino”.
222
FONTI AGIOGRAFICHE
Capitolo Quinto
VITA E MORTE DI FRA ALESSIO, UNO DEI SETTE PRIMI FRATI
CHE HANNO DATO PRINCIPIO ALL’ORDINE.
IL MOTIVO DELLA SUA LUNGA VITA 54
26. Vi furono dunque sette uomini di tanta perfezione che la Nostra Signora ritenne degno dare origine al
suo Ordine per mezzo loro. Di questi, quando entrai nell’Ordine, nessuno trovai in vita, eccetto uno che prima ho
ricordato e che si chiamava fra Alessio. Piacque alla Nostra
Signora lasciare in vita fra Alessio fino ai nostri tempi, perché sulla sua testimonianza noi avessimo una conoscenza
sicura dell’origine del nostro Ordine e potessimo trasmetterne la memoria ai frati che nell’Ordine si avvicenderanno
fino al giorno del giudizio.
Nel timore, dunque, che, con la morte di fra Alessio, andassero irrimediabilmente perdute le memorie e le
notizie relative all’origine del nostro Ordine e che noi,
suoi contemporanei, fossimo per questo considerati colpevoli di ingratitudine, più di una volta lo interrogai a questo riguardo.
Un giorno mi recai a trovarlo nella sua cella proprio
con questo intento. Animato da un grande desiderio di sapere, gli rivolsi domande precise, cercando di raccogliere,
una per una, tutte le notizie più importanti che riguardavano le origini. Poi, le informazioni che da lui avevo appreso
le trascrissi su di un foglio con ordine, una dopo l’altra. Tante volte ho letto questo foglio, sempre con grande amore,
54 Il
titolo continuava con un inciso (“e i nomi dei compagni e il tempo della loro
morte”) che il copista ha cancellato con una serie di puntini, poiché non corrispondeva più al contenuto del capitolo.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
223
analizzando e ripensando quello che vi era scritto per tenerlo bene in mente. Un giorno, nel convento di Siena 55, ero
seduto sul pozzo e tenevo tra le mani questo foglio, che
sempre portavo con me, e lo leggevo con grande riverenza.
Improvvisamente, per invidia del diavolo56, mi sfuggì di
mano: volteggiò un po’ in alto e poi, con mio profondo dolore, andò a finire nel pozzo.
Certo, in seguito a questa perdita, molte cose scritte sul foglio io le ho ormai dimenticate per il lungo tempo
trascorso. Però ho sempre conservato a memoria le notizie
essenziali sull’origine dell’Ordine, come le ho sentite da fra
Alessio. E queste ora, per volere della Nostra Signora che mi
sollecita attualmente con particolare insistenza, le scrivo con
assoluta fedeltà e le consegno alla memoria dei frati che verranno, come un grande tesoro da essi desiderato.
27. Come ho appreso per esperienza e visto con i
miei occhi, la vita di fra Alessio non solo incitava con il suo
esempio i presenti, ma anche attestava la perfezione sua e
dei suoi compagni e la qualità dell’ideale religioso di cui
abbiamo prima parlato. Per l’età avanzata, l’infermità fisica
e la durata del tempo in cui aveva sostenuto nell’Ordine il
peso della giornata e del caldo57, seguendo la natura avrebbe potuto cercare il riposo, chiedere un’alimentazione adatta al suo stato di salute, indossare vesti calde, dormire su un
soffice materasso e dare così sollievo al suo corpicino debole. Invece, per la sua santità e a dimostrazione di osservanza
religiosa, cercava esattamente l’opposto di queste cose. Non
chiedeva mai per sé cibi delicati, ma voleva sempre man55 Il convento senese di S. Maria o di S. Clemente è stato fondato nel 1250 con
il patrocinio del vescovo locale, Bonfiglio, a breve distanza dalla fondazione del
convento fiorentino di Cafaggio. Cafaggio e Siena sono le prime due emanazioni della comunità di Monte Senario.
56 Cf. Sap 2, 24.
57 Mt 20, 12.
224
FONTI AGIOGRAFICHE
giare nel refettorio comune, accontentandosi del vitto conventuale. E se talora l’acuirsi della malattia gli impediva di
recarsi insieme ai frati alla mensa comune, non voleva per
questo che gli fosse cambiato il cibo, ma consumava quello preparato per la comunità. Tutt’al più, senza esigere pietanze più abbondanti, raccoglieva un po’ di verdura nell’orto e poi la mangiava solitamente cotta per sciogliere il
freddo del suo corpicino vecchio e malato.
Detestava avere abiti troppo fini58 o, meglio, cercava di conservare nell’abbigliamento un giusto mezzo, evitando sia la sciatteria che la ricercatezza. Non voleva poi
che gli fosse assegnato un letto adatto alla sua infermità,
quindi soffice e confortevole; invece, come sanno bene
tutti quelli che sono stati con lui in convento, usava assi di
legno al posto del materasso 59 e un ruvido panno al posto
del lenzuolo inferiore.
Gli piacevano moltissimo i lavori manuali che in
genere un’età come la sua cerca di evitare. Egli invece se li
prendeva anche al di sopra delle sue forze e mettendovi tutto l’impegno, nonostante che poi i frati se ne lamentassero
in comunità. Nelle azioni, nelle parole e in tutto il suo agire
conservava umiltà e carità. E mai smise questo segno dell’umiltà, lui che pure, come s’è detto, era uomo di grandissima perfezione e da tutti i frati tenuto in grande onore e
rispetto come uno dei primi Sette tramite i quali la Nostra
Signora ha dato inizio al suo Ordine. Cercava infatti, per
quanto stava in lui, di compiere gli uffici comunitari, anche se umili e pesanti, come l’ultimo dei frati. Finché gli fu
possibile, anche quando i frati facevano resistenza, volle
Mt 11, 8.
Costituzioni antiche concedevano ai malati l’uso del materasso (cap. XI). Per
il regime frugale, umile e penitente di fra Alessio cf. anche le prescrizioni delle
Costituzioni antiche relative al digiuno (cap. VII), al cibo (cap. VIII), al vestito
(cap. XII).
2 - LEGENDA DE ORIGINE
225
sempre andar fuori alla questua, nel giorno del suo turno,
sopportando la fatica come avrebbe fatto l’ultimo frate valido della comunità. Si sforzava inoltre di svolgere, come
qualunque altro frate, tutti gli altri compiti comunitari che
appaiono di scarsa importanza agli occhi del mondo. In
questo modo manifestava l’amore verso i fratelli e l’umiltà
del cuore e a tutti i frati, desiderosi di servire fedelmente la
Nostra Signora, lasciava un esempio che li animasse a fare
le stesse cose.
28. Giunto a età avanzatissima, poté osservare con
i suoi occhi lo sviluppo dell’Ordine, la moltitudine e la santità dei frati, e gustare la gioiosa certezza di ricevere il premio del fedele servizio alla sua Signora, la Vergine Maria.
Nell’ultimo giorno della sua vita, secondo una notizia che
ho raccolto da fra Lapo da Firenze, nipote di fra Sostegno
e presente al momento del suo transito, egli, prima di morire, come segno dimostrativo della contemplazione e della
purezza sua e dei sui compagni, ebbe una visione di angeli
che gli venivano incontro sotto forma di uccelli bianchi e
bellissimi oltre ogni dire; in mezzo era Cristo, nelle sembianze di uno splendido bimbo, con una corona d’oro sul
capo. Gridando a gran voce, indicò ai frati che gli stavano
attorno quello che vedeva.
È vissuto quasi 110 anni ed è giunto all’anno 1310
dalla nascita del Signore. Quindi, considerando il tempo in
cui egli si unì ai compagni per iniziare il nostro Ordine e
collegando questo tempo con la data della sua morte, risulta che fra Alessio è vissuto nell’Ordine quasi 77 anni 60.
58 Cf.
59 Le
60 Il
paragrafo terminava con una frase lasciata sospesa e poi cancellata dal copista con una fila di puntini: “i nomi poi dei sei compagni di fra Alessio (che) con lui
(hanno dato inizio al) nostro (Ordine)...”.
226
FONTI AGIOGRAFICHE
Capitolo Sesto
L’UNIONE SPIRITUALE DEI SETTE FRATI
QUANDO ERANO NEL MONDO.
IL PERIODO DI PREPARAZIONE. LA VITA COMUNE
29. Tanto grandi dunque erano la perfezione e la
fede di questi sette uomini mentre ancora vivevano ciascuno nella propria casa a Firenze, che la Nostra Signora li
ritenne degni di essere scelti per dare inizio al suo Ordine.
Essi non si conoscevano tra di loro, perché risiedevano in zone diverse della città. In seguito, però, dapprima uno con un altro e poi tutti e sette insieme, si trovarono uniti interiormente da una profonda amicizia, da vincoli di amore 61. E questo avvenne sia per l’amore previdente e il volere della Nostra Signora, che li guidava verso
l’istituzione del suo Ordine, sia per le esigenze di attività
che li portarono a incontrarsi. Era giusto, infatti, che l’amicizia stringesse interiormente con i suoi vincoli d’amore quelli che già una consuetudine di perfezione e di santità aveva reso simili tra di loro e che di lì a poco la Nostra
Signora avrebbe anche uniti nella vita comune per fondare il nostro Ordine.
E da questo si ricava il segno certissimo della profonda amicizia di carità che li teneva perfettamente uniti in
vista della fondazione del nostro Ordine: questa amicizia di
carità li portava, con dolcezza e amore, non solo a un perfetto accordo nel valutare, alla luce del volere di Dio, le cose divine e umane, ma anche a non poter tollerare di stare
lontani gli uni dagli altri: la separazione perfino di un’ora
sola era da loro sofferta con grande disagio.
61 Os
11, 4.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
227
L’amicizia, che aveva già legato le loro anime perché gioissero insieme nelle cose divine e umane, li ispirò
anche ad abbandonare le cose terrene e a dimenticarle del
tutto. Essa li aiutò a restare saldi in questo proposito fino a
far sorgere in loro l’idea di vivere insieme, in una unità non
solo spirituale ma anche di vita concreta, in modo da sostenersi reciprocamente con i buoni esempi, le parole e le opere e poi finalmente ritrovarsi in anima e corpo nella gloria celeste con Cristo, per amore del quale erano vicendevolmente legati da tale amicizia.
30. Mossi dunque da ispirazione divina, stabilirono
con ferma determinazione di vivere insieme, per la salvezza delle loro anime, in una continua penitenza fino alla morte: una decisione non presa alla leggera e come per caso, ma
con matura e salda deliberazione, sotto l’impulso speciale
della Nostra Signora. Con grande scrupolosità si preoccuparono di tutto quello che era necessario per conseguire, in
giustizia e libertà, lo scopo che si erano prefissi e per spendere poi a servizio del Signore e nella sua volontà tutto il
resto della vita.
Perciò si sciolsero prima di tutto da ogni legame
per poter attuare liberamente e secondo giustizia l’unione
desiderata. Disposero quindi delle loro case e delle loro famiglie: a queste lasciarono il necessario, il resto lo distribuirono ai poveri e alle chiese per il bene delle loro anime,
stabilendo di non conservare per sé assolutamente niente al
momento della loro unione.
Chi tra loro era unito in matrimonio, se ne sciolse
con il consenso della moglie e secondo le disposizioni del
diritto, lasciando che anche la moglie, qualora lo volesse, si
consacrasse al servizio divino.
Molto tempo prima che si attuasse la vita comune,
ciascuno di loro poi si preoccupò di instaurare già quelle
condizioni che, una volta intrapresa la vita comunitaria,
228
FONTI AGIOGRAFICHE
l’avrebbero aiutato a continuare nel servizio del Signore.
Perciò si preparò nella propria casa con un lungo tirocinio,
cercando di abituarsi già a quello che poi avrebbe osservato nella vita comune. Tutti, deposte le vesti preziose e indossati abiti più dimessi, presero dapprima un mantello e
una tunica di panno bigio; si tolsero le camicie di lino e
indossarono sulla carne il cilicio; con sobrietà prendevano
cibi e bevande, e solo quando era necessario; respingevano
le attrattive sensuali, con una perfetta osservanza della castità; dominando pensieri, parole, sentimenti e azioni, cercavano di mantenerli entro i limiti dell’eccesso e del difetto, e quindi nel giusto mezzo; perseverando nella preghiera giorno e notte, imparavano a piacere solo a Dio; fuggendo il chiasso del mondo e la compagnia degli uomini,
si recavano nelle chiese e in luoghi raccolti e solitari, dove
potersi dedicare più liberamente alla contemplazione. Si rivolgevano infine a persone di vita santa ed esemplare, capaci di dare buoni consigli, per avere frequenti colloqui con
loro e mantenersi con la loro guida conformi al volere di
Dio; a queste persone si aprivano manifestando i pensieri e
i propositi del loro animo.
31. Così, dunque, separati spiritualmente e materialmente dal mondo, completamente liberi da esso, erano
pronti ormai per attuare, senza scrupoli di coscienza, il
loro desiderio, già abituati, per la previdenza che avevano
avuto, a quel genere di vita che si proponevano di osservare una volta riuniti in comunità. Nel giorno, che avevano fissato dietro ispirazione soprannaturale della Nostra
Signora, con riverenza e timore di Dio dapprima elevarono una fervidissima preghiera dal profondo del cuore e
poi, se fino allora erano stati uniti nell’anima, adesso si
trovarono a condividere insieme la vita, realizzando il vivissimo desiderio che da molto tempo ne avevano.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
229
C’era a Firenze, fuori della porta della città, una
piccola casa nell’angolo del cimitero dei frati Minori, situato a destra della chiesa dei frati e in cima alla loro piazza. I frati Minori non avevano ancora occupato tutto lo
spazio del cimitero, essendo il loro Ordine ancora recente.
In questa casetta dunque si ritirarono nel giorno che
abbiamo detto, cioè al tempo della nascita del beato
Filippo. E così realizzarono il desiderio di vivere insieme e
furono i primi iniziatori dell’Ordine della beata Vergine
Maria e dei suoi Servi.
Capitolo Settimo
APPENA UNITI IN VITA COMUNE
RICEVETTERO IL NOME SPECIALE DEL NOSTRO ORDINE
32. C’è un fatto mirabile, fratelli miei, che i frati
del nostro Ordine non devono assolutamente ignorare, ma
a cui devono attribuire un grande significato. Proprio all’origine del nostro Ordine, quando a tale scopo questi gloriosi primi nostri padri si riunirono a vita comune, tutto il
popolo prese a chiamarli comunemente “frati Servi della
beata Vergine Maria”. Da dove e da chi provenisse questo
nome, essi lo ignoravano. Possiamo quindi dedurre che,
fin dalle origini, questo nome sia stato dato ai primi padri
non da un uomo, bensì dalla Nostra Signora, tramite la
voce del popolo che, divinamente ispirato, ne comprovava così la provenienza non umana. Giustamente, infatti, la
Nostra Signora, che ha voluto attribuire l’origine del suo
Ordine non a un uomo ma solo a se stessa, ha anche sta-
230
FONTI AGIOGRAFICHE
bilito che da nessun altro all’infuori di lei e del suo Figlio
fosse trovato il nome e poi dato ai frati del suo Ordine.
È stato dunque per volere della Nostra Signora che
questo nome, da lei scelto fin dal principio, divenisse subito popolare per acclamazione comune nel momento stesso in cui i primi frati del suo Ordine, nostri padri, si unirono insieme e furono da tutti chiamati con il titolo particolare di Servi.
33. Che questo nome non sia di invenzione
umana, ma risalga all’iniziativa della Nostra Signora, lo si
deduce anche dalla risposta che ebbi da fra Alessio quando, tra l’altro, gli chiesi da chi questo nome particolare dell’Ordine avesse avuto origine: “Non sono mai riuscito a
sapere – mi disse – né da me stesso né da altri che questo
nome sia stato dato per la prima volta da qualcuno. Perciò
soltanto la Nostra Signora l’ha dato al nostro Ordine, e questo fatto, come ricordo, era creduto e confermato anche
dagli altri compagni miei fratelli”.
Poiché fra Alessio è stato uno dei sette primi frati
che unendosi a vita comune hanno dato inizio al nostro
Ordine, nessuno deve dubitare che, se questo nome fosse
stato scelto da qualcuno, egli non l’avrebbe saputo. Bisogna dunque che i nostri fratelli, grati per un beneficio così
grande, tengano per fermo e convalidino con le parole e i
fatti che questo nome è stato scelto per primo dalla Nostra
Signora, la Vergine Maria e da lei benevolmente donato ai
frati del suo Ordine.
Che le cose stiano proprio come diciamo, è stato
comprovato dalla stessa Nostra Signora quando, come vedremo in seguito, mostrò in visione al suo devoto, il beato
Pietro Martire, l’abito che portiamo e la regola che professiamo. In quell’occasione ebbe a confermare che il nome
del nostro Ordine ci è stato dato da lei fin dal principio.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
231
34. Cerchiamo dunque, fratelli e padri miei, di considerare accuratamente il senso del nome così grande di
Servi della Vergine che assumiamo alla nostra professione,
e poi verifichiamo con attenzione se trascuriamo di rendere il debito onore a una così eccelsa Signora. Quelli che con
timore e purezza di cuore assumono il nome di Servi di
Nostra Signora e la onorano con il proprio servizio, portano più in alto di tutti il proprio Ordine. Quelli invece
che con leggerezza e cuore impuro non temono di assumere questo nome e non si danno pensiero di onorare, come si deve, la Nostra Signora, non fanno che disprezzare
l’Ordine della Vergine Maria, sfigurandone la bellezza.
Riflettiamo, perciò, con profonda umiltà, sulla
grandezza del nome datoci dalla Nostra Signora. Se ci
impegneremo a offrire l’omaggio di un degno servizio
all’eccelsa Vergine Madre e Signora nostra, ci presenteremo sempre purissimi davanti a lei con perfetto rispetto e
timore. In questo modo faremo vedere a tutti quanto il
nostro Ordine sia degno di rispetto e riceveremo un giorno da lei il premio del nostro servizio, riservato a coloro
che fedelmente la servono.
Capitolo Ottavo
LA LORO PERFETTA CARITÀ VERSO DIO,
SE STESSI E IL PROSSIMO
35. Con la protezione speciale di Dio, che ne guidava perfettamente la vita secondo le tre cose dette pri-
232
FONTI AGIOGRAFICHE
ma62, fin dal primo momento della loro esperienza comunitaria orientarono decisamente il cuore all’adempimento
del precetto di una ordinata carità63.
E così amarono Dio con tutto il loro cuore : a lui
rivolgevano tutto il loro affetto; a lui aderivano nell’unità
dei cuori e delle anime; nulla desideravano fuori di lui o
solo a lui anelavano come alla fonte di ogni desiderio.
Lo amarono con tutta l’anima, senza ombra alcuna
di inganno: trasformavano a lode di Dio ogni moto del
corpo e ogni percezione sensibile; cercavano in ogni attività spirituale la sua gloria e a lui attribuivano il merito di
tutte le buone azioni.
Lo amarono infine con tutta la loro mente, senza
stancarsi: al servizio del Signore posero l’intera loro ricerca e le scoperte che il pensiero o il ragionamento dava loro
di attingere; Lui desideravano sempre servire e temerlo
come l’unico Signore 64.
36. Anche alla loro anima portavano un amore
ordinato. Per prima cosa la sostenevano nella guerra contro la carne facendo opere di penitenza, in modo che la
carne, con i suoi desideri contrari allo spirito 65, non finisse
per sottomettere lo spirito al suo dominio. Poi, procedendo sulla via delle virtù, ascoltavano i consigli dell’anima,
cercando di mantenere l’equilibrio in questo cammino
perché, salendo con slancio là dove lo spirito li portava 66,
62 Queste
“tre cose dette prima” sembrano riferirsi al n. 31 dove la vita comune
dei Sette inizia solo dopo l’attuazione di tre condizioni: liberarsi completamente dal mondo, sistemare i beni e le famiglie secondo giustizia, completare il tirocinio nelle proprie case.
63 Sull’amore ordinato cf. Agostino, La Città di Dio 15, 22; 19, 13 (in Opere di
sant’Agostino, V/2, p. 437-439; V/3, p. 50-53); La dottrina cristiana 1, 22-41 (in
Opere di sant’Agostino, VIII, Roma 1992, p. 32-55).
64 Dt 6, 5; Mt 22, 37.
65 Gal 5, 17.
66 Ez 1, 12.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
233
costringessero la carne a seguire lo spirito. E in terzo luogo, le prestavano un rispetto profondo nel segreto della coscienza67, custodendo la porta della stanza nuziale, cioè i
loro sensi, perché non venisse aperta imprudentemente e i
pensieri mondani si introducessero di nascosto a sconvolgere la stanza della contemplazione.
Anche verso il corpo avevano un amore ordinato:
gli davano il cibo necessario perché non ricusasse il peso
della penitenza; poi, con lo scettro della giustizia lo guidavano secondo i voleri dell’anima per mantenerlo sempre
sotto la disciplina della salvezza; e infine gli imponevano
con equilibrio il peso della penitenza, perché il puledro d’asina, credendosi libero, non perdesse ogni freno68.
37. L’esercizio della carità riguardava infine anche
il prossimo, di cui cercavano prima di tutto di conoscere
le necessità. Partecipavano al dolore degli altri con viscere
d’amore e, secondo le proprie possibilità, aiutavano i poveri in tutti i loro bisogni, spirituali e materiali. Tutti, poi,
consideravano fratelli e con quella stessa misericordia che
avevano verso se stessi perdonavano coloro che li avevano
offesi. Infine, si interessavano con sollecitudine della situazione altrui: erano cioè contenti con i giusti e piangevano
con i peccatori, incoraggiavano i giusti a perseverare nel
loro stato di giustizia, e spingevano i peccatori a convertirsi perché non toccassero il fondo della loro miseria.
38. Amavano perciò Dio, la propria anima, il prossimo, il proprio corpo con un amore ordinato. Uniti a Dio
con una carità perfetta, mettevano ogni impegno nel com67 Letteralmente
“sul letto della coscienza”, con allusione a Ct 3, 1.
La penitenza corporale dei Sette è tracciata alla luce di vari brani della
Scrittura: Sir 33, 25 (il cibo necessario); Sal 44, 7 (lo scettro della giustizia); Gb
11, 12 (il puledro). Norma regolatrice della penitenza corporale è la “discrezione” (equilibrio), ideale della grande tradizione monastica.
68
234
FONTI AGIOGRAFICHE
piere tutte le buone opere. Sapevano infatti rispondere all’offesa, restando forti in una pazienza che tutto sopportava; alle comodità della vita opponevano la durezza della
penitenza, con la quale respingevano le seduzioni della
carne e del mondo; alla pigrizia reagivano con il fuoco
ardente della sofferenza che non permetteva all’anima di
diventare tiepida; contro l’ignoranza facevano risplendere
la loro generosa benevolenza, che edificava gli altri elargendo beni materiali nel tempo della necessità; alle preoccupazioni mondane opponevano l’equilibrio di una sapienza che non ambisce onori e neanche si preoccupa di
reclamare quanto gli appartiene; contro l’incostanza dell’animo resistevano fermi nella perseverante fedeltà all’amore di Cristo, da cui reputavano massima pena l’essere
separati.
39. Si erano abbassati nell’umiltà: come persone
forti tenevano la radice dell’amore nell’impegno che si erano proposto, così che potevano dire con Davide: “Ti amo,
Signore, mia forza, ecc.” 69. Venivano sollevati dalla speranza delle cose eterne: come persone più forti alzavano
nel momento della prova il vessillo della carità, così che
potevano esclamare con Giobbe: “Anche se il mio Creatore
mi ucciderà, spererò in lui”70. E infine furono consumati
dalla carità: come persone fortissime toccavano l’apice dell’amore, contenti addirittura di essere flagellati: grandissima gioia provavano a soffrire per Cristo. Lieti, perciò,
come gli apostoli all’uscita dal sinedrio 71, avanzavano con
decisa volontà.
18, 2.
13, 15. L’aggiunta “il mio Creatore” è proprio della LO, che può aver citato a senso (come avviene altre volte), avendo in mente altri passi di Gb dove
ricorre il termine (4, 17; 32, 22).
71 At 5, 41.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
235
Come le vergini sagge 72, portavano già pronte in
mano le lampade. Avevano infatti un vasetto d’oro, cioè il
cuore puro dove preparavano ospitalità al Diletto; riempivano il vasetto d’olio, cioè il cuore di quell’amore con cui
attendere il Diletto nella gioia; accendevano la lampada con
il calore della fiamma, cioè il desiderio fervido del cuore con
cui andavano incontro a Cristo che veniva in loro; e infine
rischiaravano la lampada del cuore con lo splendore, cioè
con l’esempio dato al prossimo e la contemplazione delle
realtà superne. Con lacrime luminose aprivano a Cristo che
ormai bussava e, ricevendolo nel proprio cuore e gustando i
doni della sua grazia, gioivano profondamente73 della presenza di un così grande Sposo. Con l’esempio di santità
offerto a tutti, li accendevano di carità e li portavano con il
loro entusiasmo all’amore di Cristo.
Capitolo Nono
PER IL GRAN CONCORSO DI GENTE
SI TRASFERIRONO A MONTE SENARIO
40. Per questa carità ordinata verso Dio, verso se
stessi e il prossimo furono veneratissimi dal popolo: ogni
giorno ricevevano visite di uomini e donne che ne desideravano la protezione e aspiravano ardentemente a formar-
69 Sal
70 Gb
72 Il brano di Mt 25, 1-10 viene combinato con Lc 12, 35-36. Al paragrago 46
viene ripresa, senza riferimento alla parabola delle vergini, quest’attesa ardente
dei Sette, divenuta una vasta eco che attrae sul Monte Senario molta gente.
73 Cf. Mt 25, 1-10.
236
FONTI AGIOGRAFICHE
si secondo le loro parole e la loro vita. Ricercatissimi erano
il sostegno della loro preghiera e la direzione dei loro consigli. Finirono così per essere completamente occupati dalle visite delle persone che li cercavano. La loro mente era
distratta e la continua impossibilità di attuare quello stato
di contemplazione, che pure desideravano, li metteva in
un profondo disagio.
Questi uomini gloriosi, primi padri, spegnendo
ogni piacere carnale, erano usciti dalla loro terra e, separatisi dalle famiglie, avevano eliminato ogni incertezza che
rischiasse di immergerli di nuovo in vani pensieri. E tuttavia vedevano che queste visite intralciavano il cammino
verso la terra loro indicata per divina ispirazione. Perciò,
come erano già usciti dalla terra e dalla loro famiglia, cioè
dal piacere corporale e dal pensiero fluttuante 74, così stabilirono di uscire dalla casa del padre 75 col troncare ogni
rapporto con il mondo e approdare senza impedimenti
alla terra dei viventi 76 loro mostrata da Dio 77.
Erano un’anima sola e un cuore solo78 per amare e
onorare Dio al di sopra di tutto ed essergli sempre uniti
con la mente. Il loro più grande timore era di non piacere
più a Dio per la dissipazione della mente causata da un
tale accorrere di gente. Dio, con quello stesso amore con
cui li aveva legati insieme per lasciare la loro terra e la famiglia ed edificare il popolo, diede loro un cuore solo per
uscire dalla casa paterna, lasciare cioè le relazioni con il
mondo. Nei momenti di riposo dalla preghiera e dalla
contemplazione, quando si incontravano per parlare insieEf 4, 14.
12, 1.4; cf. At 7, 3.
76 Sal 27, 13.
77 Già dal secolo IX molti testi monastici presentano il pellegrinaggio penitenziale verso la solitudine come l’esodo di Abramo dalla sua patria alla terra di
Canaan.
78 At 4, 32.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
237
me di Dio, dicevano riguardo a questo loro mutuo proposito: “Andiamo, fratelli, andiamo, lasciamo questo luogo
di dubbio e di pericolo e cerchiamo un luogo solitario dove, con la guida di Dio, il nostro desiderio si possa realizzare”79. Essi continuavano a tener vivo il progetto che avevano concepito, pur non sapendo che cosa fare a tal riguardo e in che modo attuarlo; ma avevano speranza in
Dio solo, di cui avevano sperimentato la protezione, e a lui
si affidavano offrendogli tutti i loro pensieri.
Finalmente Dio, che previene quanti lo amano,
ispirando il desiderio della salvezza, e colma della sua volontà chi lo teme 80 e in nessun altro ha fiducia all’infuori
di lui, viene incontro al desiderio dei nostri padri. Era
stato Lui a ispirare questo desiderio, e Lui lo realizzò: nella
larghezza della sua provvidenza, mostrò loro il luogo da
lungo tempo intensamente bramato, indicando anche il
modo con cui potevano farne la loro dimora.
41. C’è un monte distante da Firenze circa otto
miglia. Quando è colpito dal vento, dall’interno delle sue
grotte un suono rimbomba. Per questa eco, fin dai tempi
antichi il monte ha preso il nome di Sonario o Sonaio,
anche se poi la gente lo chiami per lo più monte Asinario,
per una corruzione del termine: all’inizio è stata aggiunta
la lettera a e la o si è cambiata in i 81.
Questo monte, dunque, fu Dio a mostrarlo per sua ispirazione ai nostri padri82; qui egli li spinse per realizzare finalmente il desiderio che avevano di lui e fissarvi la loro
dimora.
74 Cf.
75 Gen
79 Cf.
Mc 6, 31-32.
145, 19.
81 Cf. Introduzione.
82 Gen 22, 2.
80 Sal
238
FONTI AGIOGRAFICHE
Da lontano essi scorsero il monte indicato loro da
Dio: si innalzava al di sopra dei monti circostanti83. Si
avvicinarono per vedere com’era fatto. In cima trovarono
una radura bellissima, anche se piccola: da una parte una
fonte di ottima acqua, tutt’intorno un bosco ordinatissimo, come se fosse stato piantato da mano umana. Questo
era davvero il monte preparato 84 loro da Dio. Appariva
infatti quanto mai adatto all’ideale che volevano attuare,
soprattutto perché lontano dalle abitazioni e la sua cima
pienamente conforme a chi volesse farvi penitenza. Perciò
ringraziarono Dio di cuore.
Una volta scoperto il luogo dove i loro progetti
potevano realizzarsi, non dicevano più: “Venite, cerchiamo”, bensì: “Venite, vediamo il luogo preparato dal Signore e saliamo al monte 85 adatto alla nostra penitenza”, e con
timore di Dio e gioia insieme si dicevano l’un l’altro: “Perché aspettare ancora? Presto, presto, usciamo dalla città,
lasciamo ogni rapporto con il mondo, non fermiamoci
nella regione circostante, e non voltiamoci indietro per guardare quanto è nocivo alle nostre anime, ma saliamo su questo monte 86 del Signore a noi riservato dalla divina provvidenza, perché in tutto possiamo realizzare la volontà di
Dio secondo il nostro desiderio”.
Salirono dunque sul monte e sulla sua cima costruirono una casetta come loro prima abitazione, e qui,
lasciata la prima casa che avevano avuto a Firenze, trasferirono la loro dimora.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
Capitolo Decimo
CONFORMITÀ DEL MONTE E DEL LUOGO
AL NOSTRO ORDINE
42. Opportunamente i nostri padri ricevettero da
Dio quel monte come dimora, poiché il luogo era conforme alla loro ascesa e il nome alla loro eco.
Che il luogo fosse adatto alla loro ascesa risulta evidente da quanto segue. Abitarono prima nella valle di lacrime, dove la contrizione li lavò, li rese puri e pronti a
intraprendere l’ascesa. Nella valle di lacrime prepararono le
ascensioni dentro il loro cuore 87.
Si fermarono anche nella pianura dei costumi,
dove furono ammaestrati dall’unzione dello Spirito santo
che insegnava 88 loro ogni cosa: rivestitisi di mansuetudine,
camminavano nell’innocenza del loro cuore in mezzo alla
casa di Dio 89.
Posero la loro residenza sul colle delle virtù, dove,
ristorati dai vari cibi delle virtù e ricolmati di doni celesti,
potevano dire: “Se contro di me si accampa un esercito, il
mio cuore non teme”90.
Erano ormai degni di salire sul monte e dedicarsi
alla contemplazione: lassù, pervasi dalla luce dello Spirito di
sapienza e di intelletto 91 e avvolti dal profumo della divina
felicità, potevano gridare, gli occhi sempre rivolti al Signore 92: “Poiché non sappiamo che cosa fare, questo solo rifugio ci
87 Sal
83 Sal
125, 1-2.
2, 2.
85 Is 2, 3.
86 Gen 19, 14-17.
84 Is
239
84, 6-7.
2, 27.
89 Sal 100, 2.
90 Sal 26, 3.
91 Is 11, 2.
93 Sal 24, 15.
88 1Gv
240
FONTI AGIOGRAFICHE
resta, alzare a te i nostri occhi”93. In questo modo risulta
chiaro che il luogo era conforme a questo loro itinerario di
ascesa.
43. Che poi il nome del monte si adattasse anche
alla loro eco, appare da questo. Alla chiamata di Dio che li
guidava alla conoscenza e all’amore di sé, facevano eco con
il soave suono di una pronta obbedienza, rispondendo:
“Parla, Signore, ché i tuoi servi ti ascoltano”94. Quando lo
Spirito li riempiva del suo soffio, usciva soffusa di tenero
amore la dolce eco di questa acclamazione: “Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo Santo Spirito”95. E ancora, quando la mano si muoveva a compiere
molte opere sante 96, trasmettevano al prossimo, con la testimonianza del loro esempio di santità, un’eco dolcissima,
dicendo: “Siamo ovunque il buon odore di Cristo”97. Quando poco dopo, come frati dell’Ordine della beata Vergine
Maria, di cui essi erano il principio, risvegliavano il mondo
con la loro eco, vale a dire la parola e le opere, e lo portavano, con il loro esempio, a seguire Cristo, e in questo
modo si manifestavano al mondo a lode di Dio, questa era
l’eco vibrante di una sua dolce armonia: “Casa d’Israele,
vieni, camminiamo nella luce del Signore” 98. Verso Dio, se
stessi e il prossimo un suono soave e armonioso saliva da
loro; e questa eco si sarebbe diffusa al mondo intero dai
frati che da loro sarebbero derivati. Era giusto perciò che
essi ricevessero da Dio e lo abitassero fin dal principio un
20, 12.
3, 10.
95 Sal 51, 13.
96 Il movimento della mano allude a Davide che suona la cetra per alleviare la
tristezza di Saul (1Sam 16, 23). Qui è simbolo della vita esemplare dei padri,
diventata un melodia apportatrice di gioia.
97 2Cor 2, 14-15.
98 Is 2, 5.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
241
luogo che emettesse suoni e dal suono prendesse il nome.
Dio preparò per loro abitazione il Monte Sonaio perché,
come è evidente, questo monte ha un armonioso legame
con la salita compiuta dai padri e l’eco che da loro si sprigiona.
Capitolo Undicesimo
LE TRE TENDE DI PERFEZIONE
44. Dovendo allora fermarsi su questo monte e
renderlo bello con la loro presenza, vi fecero tre tende, una
materiale, una mistica e una morale99.
La tenda materiale fu la povera dimora sul monte:
dimora loro mostrata per divina ispirazione, fondata sulla
sommità del monte, costruita con materiale di poco valore, irrigata da una fonte di acqua abbondante, circondata
da un bella selva di alberi, abbellita da un prato di erbe
verdeggianti, fornita da Dio di un’aria purissima, e infine
resa perfetta dalla presenza stessa dei nostri padri.
La tenda morale fu la dimora speciale di Cristo
nella mente di ciascuno di loro. Il suo modello fu mostrato sul monte 100 che è Cristo. Una dimora edificata dalla
stessa Sapienza101, sul fondamento profondo della carità,
93 2Cr
94 1Sam
99 La LO si ispira ai capitoli 25 e 26 dell’Esodo, che descrivono la costruzione dell’arca e della tenda, il cui modello era stato presentato a Mosè sul Sinai. È monte
Senario ora il nuovo Sinai.
100 Es 25, 40; 26, 30; Eb 8, 5.
101 Pr 9, 1.
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FONTI AGIOGRAFICHE
collocata nell’animo di ciascuno dei padri, costruita mediante l’armonica connessione delle virtù e dalle virtù custodita, decorata interiormente dallo splendore della purezza e esteriormente dalla bellezza delle buone opere. La
presenza di Cristo le dava la sua ultima compiutezza.
La tenda mistica, poi, fu il particolare rifugio che
vi trovarono i frati del nostro Ordine: rifugio costruito
soprattutto dalla Nostra Signora, fondato sull’umiltà dei
nostri padri, costruito con la loro concordia, conservato
dalla povertà, abbellito dalla purezza. La presenza di frati
santi, che si avvicenderanno fino al giorno del giudizio, è
la sua perfezione.
45. Quest’ultima tenda, rifugio particolare dei frati del nostro Ordine, che è l’unico ad avere il nome di Ordine dei Servi della beata Vergine Maria, era costituita inizialmente dalla comunità dei nostri padri, e poi però fu
dai frati allargata102 sul monte in questo modo. Stando sul
monte, i nostri padri traevano un grande conforto dalla
bellezza di questo luogo, per loro preparato e indicato da
Dio, e ogni giorno facevano un passo avanti sulla via delle
virtù103. Avvenne allora che, mentre il Signore operava
con loro e ne confermava la vita 104, i nostri padri, che
pure si trovavano ormai distanti, suscitassero nella gente,
con il profumo della loro fama, un sentimento di amore e
di devozione, molto più di quanto fossero riusciti a fare
quando erano a stretto contatto con il popolo.
Perciò molta gente, sentendo il suono e il profumo
della loro vita santa e virtuosa, con profonda pietà ne
seguiva le tracce105 e aspirava ardentemente di recarsi al
54, 3.
84, 2-3.8.
104 Mc 16, 20.
105 Cf. Ct 1, 3.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
243
luogo da dove provenivano un suono e un profumo così
intensi. A questo monte dunque confluivano 106 molti provenienti da ogni parte della città e del contado di Firenze
e, parlandosi a vicenda, si dicevano: “Perchè siamo tanto
lenti a far visita a questi servi di Dio da cui promana un
così intenso profumo di virtù, e non ci affrettiamo a conoscerli meglio? Presto, dunque, passiamo a questo monte
Sonorio e monte profumato di Dio, saliamo fin sulla sua
cima e vediamo 107 questi uomini gloriosi da cui procede il
suono che abbiamo udito e il profumo che abbiamo sentito, per apprendere dalle loro parole, piene del fuoco della
carità, le vie del Signore e disponiamoci a camminare per
i suoi sentieri 108 con gli esempi della loro santità. D’ora in
poi tutta la nostra vita sia secondo il modello che questi
suoi servi ci indicano sul monte del Signore”.
Che epoca felice e splendida quella dei nostri
padri! Era retta con cura speciale dal Signore e tutta orientata secondo la volontà di Lui. La sua eco e il suo profumo attiravano 109 popoli che qui accorrevano anche da
distanze remote.
102 Is
106 Cf.
103 Sal
107 Lc
Is 2, 2-3.
2, 15.
108 Is 2, 3.
109 Ct 1, 3.
244
FONTI AGIOGRAFICHE
Capitolo Dodicesimo
CON IL LORO ESEMPIO
ATTIRAVANO ALTRI ALL’AMORE DI DIO
E LI UNIVANO ALLA LORO COMUNITÀ
46. Da ogni parte, dunque, confluiva gente verso
questi uomini gloriosi, nostri padri, e chiunque ne riportava, conforme alla sua capacità, un frutto 110 di salvezza.
Infatti, alcuni, considerandone la vita esemplare,
vedevano riflessa in questa, come in uno specchio, la propria e, constatando quanto fosse imperfetta, si proponevano di cambiarla in meglio. Nulla di straordinario in questo:
poiché, fissando lo sguardo sulle loro parole e la loro vita,
imparavano a fuggire quella doppiezza che il mondo ama e
a conservare la semplicità che viene dal cielo, a odiare di
cuore i vizi e ad amare come madri le virtù. Vedevano infatti che essi non coprivano il cuore di inganni, come fanno
le persone doppie, né avvolgevano il pensiero nei veli delle
parole, non facevano passare per falso ciò che era vero e
non rivestivano il falso dell’apparenza della verità. Li vedevano come persone autenticamente semplici che nulla facevano per ostentazione, ma manifestavano apertamente il
pensiero con le loro parole, amavano le cose nella loro verità, evitavano il falso, offrivano gratuitamente i propri beni, preferivano subire il male piuttosto che farlo, non cercavano di vendicarsi delle offese ricevute, bensì consideravano un guadagno il soffrire ingiuria 111 per la verità112.
110 Cf.
Mt 13, 8.23; 25, 15.
5, 41.
112 L’intero brano dipende da Gregorio Magno, Moralia sive Expositio in Iob, X,
29 (in PL 76, 947).
111 At
2 - LEGENDA DE ORIGINE
245
Altri, poi, parlando cordialmente con loro di Dio
e della patria celeste, sentivano crescere nell’anima un fervore che non potevano tener celato, ma che manifestavano con chiari segni. La gioia prorompeva nelle profondità
dello spirito; era una gioia indicibile quella di cui Dio li
riempiva. Una gioia che non potevano articolare in parole
e che tuttavia non riuscivano in alcun modo a nascondere: solo gemiti davano voce al fervore e alla gioia interiori.
Essi, infatti, vedevano i padri intenti a conservare puro il
loro cuore e preparare a Cristo una degna dimora; a colmarlo d’amore e attendere con gioia il Diletto; ad accenderlo di un desiderio ardente e andare incontro all’Amico
che viene; e a illuminarlo infine con l’esempio dato al
prossimo e la contemplazione delle realtà del cielo e aprire
con lacrime luminose allo Sposo che già bussa alla porta,
accoglierlo nel profondo dell’anima con tutti gli onori, e
cioè amarlo come il bene più grande e obbedirgli in tutto113.
47. Altri ancora, attirati dal profumo delle loro
virtù e afferrati dal fuoco della loro parola e del loro esempio, non solo li amavano spiritualmente come amici di
Dio, ma anche avvertivano fortissimo l’impulso a servire
Dio con loro su quel monte e a fissare lì la propria dimora. E non stupisce se anche costoro siano stati indotti a
vivere materialmente con loro e quindi ad abbandonare il
mondo: li vedevano infatti dotati di doni incomparabili e
in spirito già costantemente dimoranti in cielo.
113 Questo brano è una ripresa del n. 39, seconda parte, e insiste sull’esperienza
religiosa dell’assenza/presenza di Cristo, il Diletto, l’Amico, lo Sposo. Il sottofondo biblico è dato dalla voce della sposa in Ct 2, 8-10; 3, 1-4; 5, 1-2; dalla
parabola delle vergini in Mt 25, 1-12; dai gemiti dello Spirito che avvolge di sé
l’ardente attesa della creazione, in Rm 8, 26-27; dal Cristo che sta alla porta e
bussa, in Ap 3, 20.
246
FONTI AGIOGRAFICHE
2 - LEGENDA DE ORIGINE
247
In loro era il dono del timore di Dio che li rendeva umili114: non aspiravano a cose alte, ma erano in sintonia con quelle umili115.
In essi si manifestava il dono della pietà che li rendeva miti: cercavano Dio piamente, cioè senza opporgli resistenza, ma venerandolo come Signore dolcissimo.
In essi brillava il dono della scienza: davano gemiti di dolore pensando a tutto quello di cui avevano fatto
cattivo uso.
In essi si distingueva il dono della fortezza che li
rendeva affamati e assetati di giustizia: aspiravano a raggiungere la gioia che proviene dai veri beni e desideravano
essere liberati dagli affanni della vita presente.
In essi era il dono del consiglio che li aveva resi
misericordiosi: perdonavano quelli che li avevano offesi e
procuravano loro tutto il bene che potevano da parte di Dio
e degli uomini, aspettandosi solo da Dio la ricompensa.
Si nascondeva in loro il dono dell’intelligenza che
li aveva resi casti nel cuore e nel corpo e aveva purificato
l’occhio della mente: essi perciò potevano già contemplare le realtà del cielo.
Li rendeva completi il dono della sapienza che li
aveva trasformati in uomini di pace: non più l’impulso
negativo di ribellione allo Spirito, ma la gioia di obbedire
spontaneamente a Dio in tutto, con viscere d’amore 116.
Per i doni di cui lo Spirito aveva arricchito i nostri
padri, perché stupirsi se molti, attirati dal profumo di questi carismi, abbiano deciso di vivere con loro in una unità
spirituale e materiale e di non lasciar più la loro fraternità?
48. Molti dunque convenivano da ogni parte, spinti dal desiderio di diventare, per amore della patria celeste 117,
loro compagni. Gli stessi gloriosi uomini, nostri padri, riconoscevano da tanti segni la cura che Dio aveva avuto di
loro dal momento in cui avevano intrapreso la vita comune.
Tutto, essi ne erano certi, si era svolto secondo un disegno
divino. Compresero perciò che dall’azione di Dio dipendeva anche il proposito radicale di queste persone desiderose
di unirsi a loro per fare penitenza. Cominciarono allora a
pensare che l’essersi riuniti insieme, per l’iniziativa tacita
della Nostra Signora, e l’essere stati sospinti per ispirazione
divina a porre la loro dimora su un monte adatto alla loro
vita penitenziale, non fosse solo per raggiungere la santità e
conservarla, ma anche per unire a sé altre persone desiderose di intraprendere un analogo cammino di santità e accrescere così il nuovo Ordine che per mezzo loro la Nostra
Signora aveva iniziato. Così con la loro parola e la loro vita
– e anche con quella dei frati che sarebbero stati in futuro
nell’Ordine – avrebbero ricondotto molti dalle strade sbagliate e portati fino alla perfezione delle virtù: facendo loro
da guida nella conoscenza e nell’amore di Dio, li avrebbero
preparati a possedere la patria del cielo.
Perciò, pur se a loro costava infinitamente lasciare
la pienezza della contemplazione, tuttavia, poiché desideravano compiere soltanto la volontà di Dio – e negli eventi recenti questa volontà la riconoscevano con chiarezza –,
decisero di aggregarsi come fratelli quelli che, a loro giudizio, apparivano fondati nel timore di Dio. E già in quel
tempo ne ricevettero alcuni.
114 Mt
117 L’espressione
5, 3. La LO interpreta “poveri in spirito” come “umili”, sulla scia dell’esegesi agostiniana.
115 Rm 12, 16.
116 Is 11, 2-3 (i doni dello Spirito) e Mt 5, 3-9 (beatitudini) sono stati messi
insieme da sant’Agostino nel suo commento al De sermone Domini in monte 4,
11 (in PL 34, 1234-1235; CCL 35, p. 9-10).
“amore della patria celeste” si trova nella bolla di Innocenzo IV
Ut religionis vestre novella plantatio del 17 agosto 1254, un documento che cerca
di salvaguardare l’ispirazione originaria contemplativa dei Servi. Anche, la “pienezza della contemplazione” (contemplationis pinguedo), nella conclusione di
questo paragrafo, ricorda le “delizie della santa contemplazione” della lettera
papale.
248
FONTI AGIOGRAFICHE
49. Essi pensavano che mai, per rispetto verso Dio
che per primo lo aveva preparato come loro degna dimora,
il convento di Monte Sonaio doveva essere abbandonato,
né da loro né dai frati che si sarebbero avvicendati nell’Ordine. Tuttavia, poiché esso non bastava più a loro, ai
fratelli che già avevano accolto in comunità e agli altri che
in seguito avrebbero accolti, furono costretti ad acquistare
altri conventi in cui fosse possibile vivere con i fratelli presenti e futuri e pensare quindi alla salvezza delle anime.
Questi uomini gloriosi, primi nostri padri, scesero
allora dal monte della mondana superbia e, nel desiderio
di rimanere saldamente legati al Signore, arrivarono fino
all’umiltà che è il fondamento delle virtù118. Sulla base dell’umiltà innalzarono l’edificio delle virtù fino a raggiungere la carità che è il loro culmine. In questo modo, con l’aiuto del Signore provvidero al proprio bene e alla propria perfezione e, sicuri di osservare la volontà di Dio, accolsero
nella loro comunità molti fratelli e compagni, cari a loro e
a Dio, e in quel momento, guidati da Dio, cominciarono
a ricevere parecchi conventi adatti alla loro vita penitente.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
Capitolo Tredicesimo
LA NOSTRA SIGNORA MOSTRÒ IN VISIONE
AL BEATO PIETRO MARTIRE L’ABITO E LA REGOLA
CHE AVREBBE DATO AI NOSTRI FRATI
50. Intanto i gloriosi uomini nostri padri avevano
già accolto molti fratelli nella loro comunità e avevano
anche incominciato a vivere in moltissimi conventi da loro
acquistati. Si avvicinava il tempo in cui la lucerna preparata per il nostro Ordine, cioè il beato Filippo, doveva illuminarlo con il suo ingresso e la sua presenza. La casa, cioè
il nostro Ordine, non era stata ancora completata e così la
lucerna non poteva essere posta sul candelabro 119 dell’Ordine: i nostri frati, infatti, non avevano ancora un abito
fisso e sempre uguale, né una regola secondo la quale fare
la professione religiosa e vivere in futuro. Dio allora mandò un suo servo, il beato Pietro Martire dell’Ordine dei
frati Predicatori120 perché li informasse con precisione
circa l’abito da portare sempre immutabilmente e la regola in base alla quale professare e vivere in futuro.
119 Mt
5, 15; Lc 8, 16; 11, 33.
venuta di Pietro da Verona a Firenze è giustamente assegnata dall’autore
della LO al 1244, anche se poi viene erroneamente collegata all’ingresso
nell’Ordine del beato Filippo fissato nel 1254. Pietro da Verona è a Firenze dal
5 aprile o dall’estate del 1244, chiamato forse dal vescovo Ardingo e dall’inquisitore domenicano fra Ruggero Calcagni, nel momento in cui i rapporti tra
impero e papato sono arrivati allo scontro diretto e la lotta antiereticale acquista una valenza politica di opposizione all’imperatore Federico II.
A Firenze collaborano con fra Pietro da Verona alcuni gruppi laici ortodossi, tra i quali un gruppo di “servi di santa Maria” comprendente, secondo la LO,
gli iniziatori dell’Ordine dei Servi.
120 La
118 La
discesa dal monte della “mondana superbia” fino al punto più basso dell’umiltà è ripreso ancora da Agostino, Discorso 69, 2-3 (in Opere di sant’Agostino,
XXX/1, p. 384-385.
249
250
FONTI AGIOGRAFICHE
51. Nell’anno del Signore 1244, durante il papato
di Innocenzo IV 121, il beato Pietro Martire, inviato dal
papa a predicare contro gli eretici che in quel momento
pullulavano soprattutto in Italia e si levavano a predicare
pubblicamente contro il dogma cattolico, giunse a Firenze
per assolvere questo compito.
A Firenze dunque si trovava il beato Pietro: le sue
prediche e dispute avevano un solo scopo, l’estirpazione delle eresie e la difesa della verità di fede. Quando confutava
gli eretici, era lo Spirito Santo a operare in lui e a dire parole verissime per mezzo della sua bocca. Per questo riusciva a estirpare le profonde radici dell’eresia e a rinsaldare la verità della fede cristiana.
I gloriosi uomini, fratelli nostri, erano assidui frequentatori della sua predicazione. Incominciarono ad amarlo intensamente per quel fervore dello Spirito Santo
che vedevano in lui. Vollero perciò conoscerlo e strinsero
con lui un’amicizia profonda, fino a prenderlo come speciale padre e signore e unico consigliere nel loro cammino
verso la salvezza. Egli esaminò con ordine la loro vita, si
informò di tutto ciò che era accaduto in seguito alla costituzione della loro comunità, si rese conto – poiché ne conosceva le coscienze attraverso la confessione – della loro
perfezione e dell’ideale religioso che aveva ispirato la loro
consacrazione. Più volte si recò a visitarli là dove abitavano e potè verificare che essi vivevano nella pace e nella concordia, che perseveravano 122 nel timore del Signore e che il
loro ideale di vita andava d’accordo con il comportamento morale123. Li adottò quindi come suoi figli spirituali.
Fieschi, papa dal 1243 al 1254. Per la sua azione a favore dei Servi
di Maria, cf. le due lettere del 17 e 18 agosto 1254 (Ut religionis vestre e
Compatientes paupertati vestre).
122 Cf. At 1, 14; 2, 42.
123 La comunità primitiva dei Servi si trovava a Cafaggio fuori Firenze, in una casa però diversa da quella che poi sarebbe stata costruita al tempo dell’ultimo re-
2 - LEGENDA DE ORIGINE
251
52. Sperava inoltre che un onore non piccolo per
Dio e un vantaggio grande per il mondo potevano derivare in futuro sia dalle vicende che egli aveva appreso della
loro esperienza passata, sia dalla santità che egli ora vedeva
in loro. Sapeva tuttavia che essi non portavano ancora un
abito fisso né seguivano una regola particolare, pur avendo
fin dagli inizi della loro vita comunitaria il nome che in
una maniera tutta particolare designa il nostro Ordine e
che era stato ratificato dalla comune voce popolare.
La cura speciale che egli aveva di loro nasceva da
una stima e da un affetto profondi. Perciò per l’abito, la
regola e il nome pregava con grande fervore Dio e la Nostra
Signora. In particolare supplicava la Nostra Signora, perché
gli manifestasse con un segno, per amore del Figlio suo, se
davvero avesse scelto al suo speciale servizio, amandoli e
preferendoli a tutti gli uomini del mondo 124, questi nostri
fratelli, come dimostrava il nome loro dato dal popolo, e se
avesse stabilito di dare origine per mezzo di essi a un Ordine dedicato solo a sé, al suo onore e alla sua gloria; gli rivelasse perciò l’abito che dovevano portare, la regola che
dovevano osservare, e indicasse il nome con il quale d’allora in poi avrebbero dovuto chiamarsi.
Per avere questa rivelazione dalla Nostra Signora il
beato Pietro Martire perseverava nella preghiera, e l’intensità del sentimento provocava continuamente lacrime in
abbondanza. Anche i gloriosi primi nostri padri, insieme
con i fratelli che avevano accolto, pregavano allo stesso scopo nel digiuno e con una vita santa, come aveva loro ordinato il beato Pietro.
121 Sinibaldo
dattore della LO. Era una comunità fraterna di penitenti non ancora giuridicamente costituita, poiché priva di un abito proprio e di una vera regola.
124 La scelta dei Servi in mezzo agli uomini del mondo forse è suggerita dalla scelta di Israele fra tutti i popoli della terra, come è detto in Dt 7, 6; 14, 2; 26, 18-19.
252
FONTI AGIOGRAFICHE
Allora la gloriosa Vergine Maria, che era stata invocata con tanto amore, apparve in visione al beato Pietro e
lo rassicurò su tutto. Era stata proprio lei a scegliere al suo
servizio, tra tutti gli uomini del mondo, questi uomini e
quelli che in futuro si uniranno alla loro comunità. In particolare aveva ottenuto da suo Figlio che da loro nascesse
un Ordine, il quale doveva essere edificato a onore e gloria
di lei ed essere dedicato al suo nome. Mostrò inoltre l’abito che noi portiamo e che sempre i frati del nostro Ordine
dovranno portare come segno esteriore dell’umiltà della
beata Vergine Maria e come chiara indicazione di quello
che ella patì nell’amarissima passione del Figlio suo. Rivelò
infine che doveva essere loro consegnata la regola del beato
Agostino secondo la quale dovevano vivere125.
53. Il beato Pietro Martire, uomo totalmente consacrato a Dio e alla Nostra Signora, si svegliò dal sonno. Si
rese conto che dalla Nostra Signora aveva ricevuto, in visione, la conferma di tutto ciò che desiderava. Con una profonda e devota preghiera a Dio e alla Nostra Signora, li ringraziò infinitamente per un tale beneficio. Alzatosi al mattino, celebrò in ringraziamento la messa di Nostra Signora.
Dopo aver celebrato con grandissima gioia la messa, si recò
al nostro convento che abbiamo ora in Firenze, insieme a
un compagno suo amico, e ai nostri frati, riuniti insieme
nella casa che allora avevano, annunziò la visione della Nostra Signora sullo stato futuro del nostro Ordine, l’abito
che dovevano portare e la regola che dovevano osservare nel
futuro, e rivelò che il nome speciale che essi avevano di
Servi della Vergine Maria proveniva dalla stessa Nostra Signora e perciò con l’autorità di lei confermò che essi dovevano sempre conservare questo nome. Li invitò a rendere
Con la consegna dell’abito e della regola di sant’Agostino la comunità dei
penitenti Servi di santa Maria acquista configurazione giuridica.
125
2 - LEGENDA DE ORIGINE
253
debite grazie alla Nostra Signora per così grande beneficio e
poi, dopo essersi raccomandato alle loro preghiere, l’uomo
di Dio con il suo compagno fece ritorno al suo convento.
Capitolo Quattordicesimo
L’INGRESSO DEL BEATO FILIPPO
E CONSEGUENTE SVILUPPO DELL’ORDINE
54. In verità il beato Pietro Martire non era stato
inviato solo al popolo di Firenze; in forza dell’ufficio ricevuto egli doveva predicare il vangelo anche in altre città
d’Italia. Perciò, dopo aver estirpato in profondità l’eresia a
Firenze, con la forza dello Spirito Santo che agiva in lui,
partì per Milano. Qui predicò per molto tempo la parola
del Signore, attestò la verità di quanto diceva con molti
prodigi e miracoli e in questo modo davanti a tutti mise a
tacere gli eretici. Combattè la buona battaglia come autentico soldato di Cristo, terminò egregiamente la corsa del
compito ricevuto, conservò nel cuore la fede onorando Dio
in tutto. Se ne andò felicemente con la palma del martirio
per ricevere dal Signore la corona di giustizia 126. Il venerabile beato Pietro Martire morì nell’anno del Signore 1251,
primo del pontificato di papa Alessandro IV 127. Si potranno trovare nella sua legenda notizie complete e attendibili
riguardanti la sua vita nell’Ordine, i miracoli che il Signore,
126 Cf.
2Tm 4, 7-8.
In realtà la data dell’uccisione di Pietro da Verona, 29 aprile 1251, corrisponde all’anno ottavo di Innocenzo IV.
127
254
FONTI AGIOGRAFICHE
2 - LEGENDA DE ORIGINE
255
Capitolo Quindicesimo
a dimostrazione della sua santità e a conferma dell’ortodossia della sua predicazione, ha operato in occasione della
sua morte e dopo, il luogo della sua sepoltura.
PRIVILEGI ACQUISITI DALL’ORDINE
DOPO L’INGRESSO DEL BEATO FILIPPO
55. I frati del nostro Ordine dunque avevano ricevuto la regola secondo la quale dovevano, d’allora in poi,
fare la professione religiosa e vivere. Avevano preso l’abito
che il nostro Ordine mai più poteva abbandonare. Conservavano il nome che avevano ricevuto fin dal principio,
per volere della Nostra Signora. La casa del nostro Ordine
era quindi pronta ad accogliere la lucerna 128 preparata da
Dio. Questa lucerna, cioè il beato Filippo, era cresciuta di
luminosità davanti a Dio e agli uomini e ora aveva raggiunto ventun anni di età, quanti i nostri gloriosi Padri
avevano già trascorso al servizio del Signore dalla loro prima unione. Nell’anno del Signore 1254, primo del pontificato di Alessandro IV 129, il beato Filippo, seguendo il
desiderio del suo cuore, entrò nel nostro Ordine, con una
umiltà straordinaria, come spiegheremo, se Dio ce lo concede, nella sua legenda.
128 Mt
5, 12; Lc 8, 16; 11, 33.
129 Ancora una datazione imprecisa, perché il 1254 è interamente coperto dal
pontificato di Innocenzo IV, essendo Alessandro IV eletto solo il 12 dicembre di
quell’anno.
E LA SUA CONCORDE ELEZIONE AL GENERALATO
56. Come sopra abbiamo detto, la Nostra Signora,
proprio nel momento in cui nasceva il beato Filippo, ha
radunato a vivere insieme, da una stessa provincia e città, i
gloriosi padri nostri per formare, con questa loro unione,
una nuova casa. Il beato Filippo, divenuto adulto e posto sul
candelabro, doveva illuminare questa casa con la parola e la
vita130, e lasciare ai frati del nostro Ordine un esempio e
una regola per un degno servizio alla Nostra Signora. E perché fosse ben chiaro a tutti che lo sviluppo del nostro Ordine dipende dalla virtù del beato Filippo, non appena egli
fece il suo ingresso nell’Ordine i nostri frati incominciarono a sentirne subito gli influssi benefici.
Subito dopo il suo ingresso, infatti, incoraggiati
dalla virtù del beato Filippo, si recarono alla curia romana
che in quel momento si trovava a Napoli: dal papa Alessandro IV, in quello stesso anno, cioè il primo anno del suo
pontificato, ottenero il primo privilegio, quello di poter edificare in tutti i conventi propri gli ambienti necessari e l’oratorio con la campana, e di costruire il cimitero131. Perciò
bisogna prestare molta attenzione al grande bene che essi
hanno ricevuto dalle sue preghiere nel momento stesso del
suo ingresso.
130 Cf.
Mt 5, 15; Lc 8, 16; 11, 33.
Non è questo certamente il primo privilegio che la s. sede ha concesso
all’Ordine. La bolla (Vestre devotionis precibus), del 26 maggio 1255, indirizzata
al priore e ai frati di Monte Senario, non parla della campana dell’oratorio, contrariamente a quanto afferma la LO.
131
256
FONTI AGIOGRAFICHE
Prima che egli entrasse a far parte della loro comunità, infatti, i nostri frati, pur possedendo moltissimi conventi, non avevano ancora il diritto di edificare l’oratorio
con la campana e di costruire un cimitero. Fino allora, nei
propri conventi essi costruivano altari, a loro uso esclusivo, con l’autorizzazione del vescovo diocesano, ma non
potevano farlo in virtù di un privilegio. Con quel privilegio invece ricevettero l’autorità non solo per i conventi che
già possedevano, ma anche per tutti quelli che in futuro
avrebbero acquisito nelle diverse parti del mondo.
57. La luce per sua natura non può restare a lungo
nascosta: alla fine manifesta agli uomini il suo potere. Così
il beato Filippo, che desiderava tener celata la sua cultura,
si era fatto ricevere nel nostro Ordine come frate laico, e in
tale stato visse per quasi quattro anni: tutti i frati lo consideravano semplicemente un laico. Alla fine fu la Nostra Signora a svelarne la scienza in quel modo che sarà narrato
nella sua legenda, se così vorrà la Nostra Signora. All’epoca
della sua manifestazione, mentre egli cresceva davanti a Dio
e agli uomini 132 e anche il nostro Ordine avvertiva che stava
sviluppandosi sempre di più secondo un ritmo naturale di
crescita, i nostri frati si recarono alla curia che allora era ad
Anagni e ricevettero dallo stesso papa Alessandro IV, nell’anno quarto del suo pontificato e cioè nel 1258, un secondo privilegio, quello di poter dare sepoltura a quanti volessero essere sepolti nei nostri conventi133. Questo secondo
privilegio suppone e conferma il primo, quello cioè che aveva concesso per la prima volta ai nostri frati di avere luoghi giuridicamente riconosciuti, con oratorio, campana e
Lc 2, 40.52.
La bolla è del 1 aprile 1259 (Religionis vestre). Il privilegio delle sepolture,
uno dei più osteggiati dal clero parrocchiale per motivi economici, era stato
richiesto dal capitolo generale del 5 settembre 1257. Il papa quindi ha dato la
sua risposta circa un anno e mezzo dopo.
132
2 - LEGENDA DE ORIGINE
257
cimitero, e lo allarga applicandolo anche agli estranei e
confermando che i nostri conventi sono riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa.
58. Provvidenzialmente dunque la Nostra Signora
aveva concesso ai frati del nostro Ordine, per i meriti del
beato Filippo, con il primo privilegio di poter costruire conventi, e con il secondo di poter ricevere per la sepoltura coloro che sceglievano di essere sepolti presso di loro.
I nostri frati non avevano però ancora l’autorità
apostolica di convocare il capitolo generale e di eleggere il
priore generale, benchè, fin dal tempo in cui avevano ricevuto dalla Nostra Signora l’abito e la regola per mezzo del
beato Pietro Martire, riunissero capitoli quando era necessario e in essi, nella loro candida ingenuità e ignoranza del
diritto, eleggessero il priore generale e subito si recassero
alla curia per la conferma dell’elezione. Ma si avvicinava il
tempo in cui la Nostra Signora aveva deciso di mettere sul
candelabro dell’Ordine il beato Filippo. Bisognava che al
momento della sua elezione i frati possedessero l’autorità
apostolica di celebrare il capitolo generale e di eleggervi un
generale che potesse reggere i frati del nostro Ordine ed
esercitare le altre mansioni inerenti al suo ufficio. Quando
il beato Filippo fu promosso, benché riluttante, all’ordine
sacerdotale, la Nostra Signora per i meriti suoi procurò
all’Ordine una nuova grazia, maggiore delle precedenti.
59. Nell’anno dunque 1263, secondo del pontificato di papa Urbano IV, il beato Filippo fu ordinato sacerdote e dai frati del capitolo generale fu eletto priore generale fra Iacopo da Siena134, il quale si affrettò a recarsi alla
curia, con alcuni frati dell’Ordine, per la conferma.
133
134 Iacopo da Siena, terzo priore generale dell’Ordine (1257-1265), dopo Figliolo
(o Bonfiglio) e Bonagiunta. Presiede il capitolo del 5 settembre 1257 che favo-
258
FONTI AGIOGRAFICHE
Era in quel tempo protettore dell’Ordine il cardinale Ottobuono135, genovese, del titolo di S. Adriano, il
quale, sapendo che i nostri frati non avevano alcun privilegio per riunire il capitolo ed eleggere il priore generale, e
d’altra parte vedendo che erano uomini di grande santità,
ispirato dalla Nostra Signora e per i meriti del beato
Filippo, decise di richiederlo subito al sommo pontefice.
I nostri frati dunque si presentarono in concistoro,
si inginocchiarono davanti al sommo pontefice e ai cardinali per impetrare questo privilegio. Anche il signor cardinale Ottobuono lo chiedeva con viva insistenza. Il papa
rispose che concedere un tale privilegio voleva dire approvare un Ordine nuovo. Allora il cardinale Ottobuono, che
aveva ascoltato tutto ciò, rispose così al sommo pontefice:
“Sulla mia vita, signore, concedete pure questo privilegio
a questi frati: essi sono degni di ottenere questo favore da
parte vostra perché conosco la loro santità”. Tutti i cardinali si levarono in piedi e chiedevano al papa di concedere il privilegio per amore della Nostra Signora e del reverendo cardinale Ottobuono. Il papa allora diede queste
risposta: “Giacché il signor cardinale Ottobuono dà testimonianza così sicura della santità di questi frati, io voglio
far loro questa grazia per amore della Vergine Maria, della
quale il popolo li chiama Servi”.
Approvata la richiesta, lo stesso papa Urbano, per
dare maggiore solidità alla grazia concessa, prima che i nostri frati uscissero dalla presenza sua e dei signori cardinali, confermò subito priore generale fra Iacopo da Siena, il
risce lo sviluppo dell’attività apostolica dei Servi. Con lui l’Ordine inizia altre
fondazioni in Umbria e in Toscana e a Bologna. Dimissionario nel capitolo
generale del maggio 1265.
135 Ottobuono Fieschi (m. 1276) forse succeduto, nella protettoria dell’Ordine,
al cugino card. Guglielmo Fieschi. Il cardinale “protettore” aveva il compito, da
parte del papa, di aiutare un Ordine religioso in caso di difficoltà esterne e di
vigilare sul buon andamento della vita interna.
2 - LEGENDA DE ORIGINE
259
quale ebbe così la grazia singolare di essere il primo priore
generale confermato dal papa136.
60. Il cardinale Ottobuono, che aveva ottenuto con
le sue preghiere la grazia del privilegio, ebbe, ancora in vita,
questo premio dal Signore: tre anni dopo la concessione del
privilegio, cioè nell’anno del Signore 1266, alla morte di
papa Urbano IV, fu eletto pontefice all’unanimità da tutti i
cardinali, prendendo il nome di Adriano V. Ma perché la
malizia non ne mutasse i sentimenti e l’inganno non ne traviasse l’animo 137 per il prolungarsi del tempo in cui egli sarebbe rimasto in tale dignità, il Signore fissò opportunamente un termine alla durata della sua vita: fu papa solo un
mese e trasmigrò al Signore per ricevere, in cambio di quel
privilegio e delle buone opere, un privilegio eterno.
61. Dopo aver ottenuto il privilegio, fra Iacopo da
Siena governò l’Ordine ancora per due anni, con un comportamento di grande rettitudine. Dopo di lui, cioè nell’anno del Signore 1265, primo del pontificato di papa
Clemente IV138, fu eletto fra Manetto da Firenze, uomo di
grande santità e devozione, di bell’aspetto e di natura delicata139. Per la conferma si recò alla curia che allora si trovava a Perugia.
Va notato che, delle numerose lettere papali concesse allora all’Ordine, la LO
ritiene solo le tre cui accenna la bolla Dum levamus dell’11 febbraio 1304, con
cui Benedetto XI ha approvato definitivamente la legislazione dei Servi di Maria.
Non sono ricordate invece altre bolle, divenute compromettenti dopo il concilio Lionese II del 1274.
137 Cf.. Sap 4, 10-11.
138 Card. Guido Faucoi, nativo di St.-Gilles (Gard) ai confini della Provenza,
papa dal 1265 al 1268. L’appoggio dato ai Servi di Maria come agli altri Ordini
mendicanti, legati al partito guelfo filopapale, va considerato anche nel contesto delle vicende politiche di allora (discesa di Carlo d’Angiò in Italia e rientro
dei guelfi a Firenze).
139 Fra Manetto, eletto generale nel capitolo generale del maggio 1265, appar136
260
FONTI AGIOGRAFICHE
Anche fra Manetto governò l’Ordine per due anni,
con santità di vita. Poi diede le dimissioni dall’ufficio e da
tutti fu eletto concordemente il beato Filippo come priore generale del nostro Ordine: era l’anno del Signore 1267,
terzo del pontificato di papa Clemente IV. Eletto priore generale del nostro Ordine, il beato Filippo si recò per la conferma alla curia, che allora era a Orvieto, e dallo stesso papa Clemente fu onorevolmente confermato.
L’elezione del beato Filippo, la conferma, lo stile e
la durata del suo governo e il tempo del suo passaggio al
Signore verranno subito illustrati, se così vuole la Nostra
Signora, nella legenda che con l’aiuto di Dio desideriamo
redigere.
62. A lode dunque della beata e gloriosa Vergine
Maria è ora chiaro come ebbe principio il nostro Ordine e
quale sia stato il suo sviluppo fino al tempo in cui il beato
Filippo fu eletto a governarlo.
Completato tutto questo, a lode e onore della stessa Vergine Maria, con l’aiuto di lei prendiamo a esporre,
come abbiamo promesso, la vita del beato Filippo140.
A lode della Vergine Maria termina la ‘Legenda’ dell’origine
dell’Ordine dei frati Servi della Vergine Maria.
Rendiamo grazie a Dio. Amen 141!
tiene alle personalità della prima generazione dei Servi, come attesta la sua partecipazione alla riunione di Cafaggio del 7 ottobre 1251. La LO lo stima uomo
“di santa vita” e questo spiega perché sia stato inserito nelle liste dei Sette fondatori dell’Ordine. L’accenno alla sua “natura delicata” forse vuole suggerire il
motivo della brevità del suo governo.
140 Con questa conclusione il redattore finale ribadisce l’impostazione della LO
come premessa ad una vita del beato Filippo (cf. paragrafo 6).
141 Questa seconda conclusione, che confermerebbe il titolo di “Legenda de origine Ordinis”, è una evidente aggiunta del copista.
3
LEGENDE
DEL BEATO FILIPPO DA FIRENZE
I
LEGENDA “VULGATA”
introduzione
La Legenda beati Philippi (abbreviato LP) è il documento che più di tutti ha contribuito a fissare i lineamenti biografici e spirituali del santo. Essa conobbe una diffusione assai estesa nell’Ordine dei Servi, fin dal secolo XIV.
Perciò alcuni la chiamano anche “vulgata”: termine latino
che significa appunto “diffusa, portata a conoscenza del
volgo, della gente”.
L’autore della Legenda de origine Ordinis, che una
consistente e autorevole tradizione identifica in fra Pietro da
Todi, priore generale dei Servi dal 1314 al 1344, dopo aver
narrato la storia delle origini dell’Ordine, annuncia di accingersi a narrare la vita del beato Filippo, da lui concepita
come naturale coronamento della narrazione precedente.
Ma di questo lavoro, che doveva essere diviso in 15
capitoli, non è rimasta alcuna notizia. La domanda risolu-
262
FONTI AGIOGRAFICHE
tiva è allora questa: di fatto, Pietro da Todi mantenne il
suo impegno di mettere per iscritto una legenda beati
Philippi, che doveva seguire subito dopo la LO? La risposta
è positiva. Egli compose certamente la suddetta legenda
del santo, che potremmo qualificare come legenda “maior”
beati Philippi. Tale legenda, purtroppo, non ci è giunta nel
suo tenore e nella sua ampiezza primitiva, in quanto –
almeno dal secolo XV – è andato perduto il suo testo originale, quale uscì dalla mano di fra Pietro da Todi.
La vita di san Filippo, sicuramente composta da
fra Pietro da Todi e poi smarrita, è conosciuta soltanto
attraverso una redazione più compendiosa della medesima, che va sotto il nome dell’odierna Legenda beati Philippi (LP). Questa nuova edizione, abbreviata, era forse finalizzata all’uso liturgico-corale. Alcuni – come abbiamo
avvertito all’inizio – la designano con l’epiteto di legenda
“vulgata”, a motivo appunto dell’impressionante diffusione che raggiunse in tutto l’Ordine dei Servi.
Pertanto l’autore della LP è diverso da quello della
LO. Confortano questa persuasione vari indizi concernenti
lo stile, la cronologia e le omissioni di LP nei confronti di LO.
Lo stile di LP è conciso, essenziale, immediato.
Quello di LO è ridondante, sovraccarico, a volte involuto.
La cronologia registra varie divergenze fra i due testi. Alcune omissioni di LP rispetto a LO recano un’ulteriore conferma. Basti citare un solo caso. Contrariamente a quanto
sembrava annunciare l’autore di LO sull’ambiente familiare di Filippo, quello di LP passa quasi completamente sotto
silenzio le notizie di Filippo anteriori alla sua conversione
religiosa giovanile.
Chiarita la diversità dei due autori, dobbiamo però
aggiungere che l’autore di LP dipende da LO. Lo prova il
fatto che l’impianto narrativo di LP segue in linea di massima quello promesso da LO. E che l’autore di LP facesse uso
anche di fonti scritte che già circolavano su Filippo, lo la-
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
263
scia capire il brano dove egli afferma: «Si legge di lui che ...»
(n. 11).
Il Montagna ritiene che questa versione riduttiva
di LP (o legenda “minor”, come egli la definisce) avvenisse
attorno agli anni 1375-1380, sotto il generalato di fra
Andrea da Faenza (1374-1396), noto anche per aver fatto
divulgare le memorie del beato Filippo in vista di ottenere l’approvazione formale del suo culto da parte della sede
apostolica.
Scorporata così dalla sua originaria fusione con la
LO, la suddetta LP finì per imporsi come la legenda per
eccellenza sulla figura prestigiosa e veneranda di fra Filippo Benizi da Firenze.
Della LP possediamo diversi codici, dei secoli XV e
Il primo in ordine di tempo, già appartenente alla
biblioteca della Ss. Annunziata di Firenze (segnato nel corso del Settecento con il n. 276), è conservato attualmente
presso l’Archivio generale OSM a Roma. Il codice, di bella
“presentazione”, stilato in scrittura gotico-umanistica, era
destinato forse al convento di Todi, come lascerebbe supporre lo stemma della città al f. 4. È decorato da miniature di vario genere, finemente elaborate. Si apre con un proemio alla LP (f. 2-3), desunto da alcuni stralci di LO relativi
al Benizi (cioè LO, nn. 1, 4, 5, 6, 11, 12, 59, 61). Segue poi
il testo latino della LP (f. 3v-11r), accompagnato successivamente da una versione italiana della medesima (f. 13-20v).
A termine di questa versione, al f. 20v, una preziosa postilla della stessa mano avverte che la LP, nel suo tenore sia latino che italiano, è stata «... ex autenticho biblioteche conventus Florentie libro, per me Petrum Locti fideliter
exemplata, sub annis Domini millesimo quadringentesimo
sexto decimo, die quarta junii». In forza quindi di questa
annotazione, è certo che la prima sezione del codice fu
“esemplata” (ossia trascritta) nel 1416 da un certo Pietro
XVI.
264
FONTI AGIOGRAFICHE
Lotti, il quale ricavò la sua trascrizione da un libro autentico esistente presso la biblioteca della Ss. Annunziata di
Firenze. Purtroppo non abbiamo elementi probanti per
accertare a quale epoca potesse risalire il codice “autentico” del quale si servì il Lotti. È molto verosimile, comunque, che fosse almeno del tardo secolo XIV. Infatti da uno
dei registri di entrata-uscita del suddetto convento risulta
che nel 1403 «si fa copiare la Legenda di san Filippo per
mandare a Todi» (F. Tozzi, Libro di spogli, Arch. Gen. OSM,
alla data).
L’attualità della figura di san Filippo è felicemente
espressa dalla visione che lo ispira ad entrare nell’Ordine
dei Servi. Gli sembrava di vedere un carro d’oro, con quattro ruote, sul quale stava seduta la Vergine; una pecora e
un leone lo trainavano, mentre una colomba aleggiava attorno ad esso (LP, n. 3). Questo brano è come la prefazione aperta sull’intero percorso del suo cammino. Ed è
anche un breviario autorevole della spiritualità dei Servi: a
ragion veduta l’esegesi della visione è posta in bocca a san
Bonfiglio, il primo dei Sette Padri che diedero inizio alla
famiglia dei Servi di santa Maria. «Nel carro d’oro, così
splendidamente laminato – spiegava Bonfiglio – si sottintende l’Ordine della beata Vergine Maria che ha quattro
ruote, cioè i quattro vangeli su cui si fonda la nostra vita,
come dice Ezechiele: “Lo Spirito di vita era nelle ruote”, e
come nel vangelo il Salvatore afferma: “Fa’ questo e vivrai”. Gli animali che tirano il carro sono un agnello e un
leone; si deve quindi dedurre che due qualità principali
deve avere il servo di Dio: la mansuetudine, perché secondo il salmo “i mansueti erediteranno la terra”, e la fortezza per resistere ai vizi e ai peccati. Di questa il Salvatore
dice: “Siate forti nella battaglia e combattete contro l’antico serpente” eccetera. Nella colomba invece viene indicata
la semplicità di cui parla il vangelo: “Siate dunque semplici come colombe”» (LP, n. 6).
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
265
Edizioni
- Legenda beati Philippi Ordinis Servorum sanctae Mariae auctore incerto
saeculi XIV, [ed. P. M. SOULIER], in Monumenta OSM, II, Bruxelles 1898,
p. 60-83 (introduzione, p. 60-66; testo, p. 66-83).
Sono disponibili tre traduzioni italiane della Legenda “vulgata”:
- A. SERRA, Un santo nella Firenze del Duecento. Filippo Benizi da Firenze, Bivigliano (Firenze) 1972; traduzione della Legenda a cura di M.
GRASSO, p. 41-65;
- Filippo Benizi santo fiorentino († 1285), lettura storico-critica della
prima «Legenda». Nuova versione italiana, a cura di E. M. CASALINI,
Firenze 1985;
- San Filippo Benizi da Firenze (1233-1285) dei Servi di santa Maria, a
cura di P. M. BRANCHESI. Testo latino e nuova versione italiana di G. M.
ROCCA, Bologna 1985.
Bibliografia
- F. A. DAL PINO, Filippo Benizi, santo (1233-1285), in Dizionario biografico degli italiani, vol. 47, Roma 1997, p. 723-727.
- O. J. DIAS, «Liber miraculorum». La prima raccolta di miracoli alla
morte di san Filippo Benizi (Todi, 1285-1290). Tradizione e testo, “Studi
Storici OSM”, 36 (1986), p. 77-174.
- D. M. MONTAGNA, L’agiografia beniziana antica: pluralità e cronologia
delle «legendae» trecentesche, “Studi Storici OSM”, 34 (1984), p. 11-34.
- D. M. MONTAGNA, L’agiografia beniziana antica: il progetto ufficiale di
fra Pietro da Todi, “Studi Storici OSM”, 35 (1985), p. 7-29.
- D. M. MONTAGNA, L’agiografia beniziana antica: contributi per la
nuova edizione critica della «legenda» vulgata trecentesca, “Studi Storici
OSM”, 36 (1986), p. 49-61.
- D. M. MONTAGNA, La «marianità» di san Filippo Benizi, dei Servi
(1233-1285), secondo le fonti agiografche medievali, “Marianum”, 47
(1985), p. 543-556.
- A. M. SERRA, Filippo da Firenze, in Bibliotheca Sanctorum, V, Roma
1965, p. 736-756.
- P. M. SUÁREZ, Spiritualità mariana dei frati Servi di Maria nei documenti agiografici del sec. XIV, “Studi Storici OSM”, 9 (1959), p. 129-131
e passim; 10 (1960), p. 1-41.
266
FONTI AGIOGRAFICHE
TESTO
INIZIO DELLA LEGENDA DEL BEATO FILIPPO
DELL’ORDINE DEI SERVI DI SANTA MARIA
1. NELL’ANNO del Signore 1244 1 viveva un uomo
molto ricco, nato da nobili genitori; il padre si chiamava
Iacopo, la madre Albaverde. Era della città di Firenze, di
Sesto d’Oltrarno, imparentato con il nobile casato dei Benizi2. Esperto in medicina e perfetto nel timore di Dio, si
chiamava Filippo; conoscitore della scienza teologica, aveva
posto la sua volontà nella legge del Signore, e giorno e notte meditava i suoi comandamenti3. Domava la sua carne
con digiuni e astinenze dal cibo e da bevande; si dedicava a
Dio con la preghiera nelle ore e nei tempi stabiliti. Al Signore offriva il suo canto devoto, quando pregava il divino
ufficio della Vergine intatta, i salmi penitenziali e l’ufficio
dei morti; e per lodare Dio si alzava a metà della notte. Tutto questo cominciò a fare fin dalla sua prima giovinezza.
2. All’età di trent’anni4, infiammato di luce celeste, sentì il desiderio di disprezzare le gioie di questo mondo e servire il Signore altissimo con tutte le forze del suo
cuore. E avvenne quindi che per tutta la quaresima visitasse le chiese di Fiesole5; mortificava il suo corpo e soccor1 Sulla
base della LO bisognerebbe correggere in 1254.
case dei Benizi, famiglia estintasi intorno al 1560, si trovavano nell’attuale
via Guicciardini.
3 Cf. Sal 1, 2.
4 Vent’anni, se si accetta la cronologia della LO che indica come data di nascita
di san Filippo il 1233.
5 Il pellegrinaggio a chiese e santuari fuori città, per conoscere la volontà del
Signore in caso di scelte particolarmente difficili, era nel medioevo, insieme alla
penitenza e all’elemosina, un primo passo verso lo stato penitenziale.
2 Le
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
267
reva i poveri di Cristo. Dopo la pasqua, in cui aveva ripreso a frequentare le chiese di Firenze e di Fiesole, entrò nella
chiesa dei Servi di santa Maria per ascoltare i misteri della
santa Messa: inginocchiatosi, si mise subito a pregare Dio.
In quel giorno i frati celebravano l’ufficio del giovedì dopo
pasqua; e alla lettura dell’epistola, il servo di Dio Filippo
ascoltò quel passo della Scrittura che dice così: «Filippo,
avvicinati e sali su questo carro»6. Mentre meditava e rivolgeva in cuore suo tali parole7, Filippo, inondato dall’amore divino, improvvisamente perse per così dire i sensi: lo
Spirito del Signore lo rapì8, ed egli ebbe dal Signore questa visione.
3. Gli sembrava di andare per una via solitaria,
piena di sterpi e di sassi, di serpenti e di fango: la percorreva con estrema fatica. Filippo gridava, implorando l’aiuto
del Signore; e dopo aver gridato a lungo, udì la voce della
suddetta epistola, e cioè: «Filippo, avvicinati e sali su questo carro». Egli allora, levati gli occhi al cielo, guardò; ed
ecco, vide un carro d’oro, con quattro ruote, sul quale sedeva la beata Vergine con una moltitudine di angeli e di
santi: con un manto nero ella copriva quel luogo. Un agnello e un leone trainavano il carro d’oro, e una colomba
bianca gli aleggiava intorno. Il beato Filippo si affrettava a
raggiungere il carro.
4. E mentre egli aveva questa visione, i sacri misteri
terminarono. Ed ecco venne il sagrestano a chiudere la porta
della chiesa; vide il beato Filippo immerso in preghiera presso l’immagine della Madre di Dio, e gli disse di uscire dalla
chiesa. Ma l’uomo di Dio non udì le sue parole, perché era
6 At
8, 29. È la prima lettura della Messa di giovedì della settimana di pasqua.
l’atteggiamento di Maria che «meditava nel suo cuore tutte queste parole»
(Lc 2, 19).
8 At 8, 39.
7 Cf.
268
FONTI AGIOGRAFICHE
stato rapito dallo Spirito santo. Di nuovo il sagrestano gli
disse: «Alzati, uomo di Dio, perché i divini uffici sono ormai terminati, ed è ora che tu ritorni a casa». Allora il beato
Filippo, destatosi dal sonno, si alzò e disse a quel frate: «Dio
ti perdoni, frate Alessio9, perché mi hai distolto da una dolcezza infinita». E uscendo di chiesa in grandissima umiltà,
tornò a casa, tutto ristorato dal cibo celestiale.
5. La notte seguente, al servo di Dio Filippo apparve la gloriosa Vergine, accompagnata da una moltitudine di angeli, e gli disse: «Filippo, va’ dai miei Servi, cioè
dai frati che sono chiamati Servi di santa Maria». A queste
parole Filippo si svegliò e, fattosi giorno, si recò al convento dei Servi di santa Maria, e giuntovi domandò con
grande insistenza del priore. Era allora priore del convento un venerabile padre di nome Bonfigliolo10, il quale
venne subito dal servo di Dio, e per molto tempo si intrattennero a parlare di Dio. A lui l’uomo di Dio Filippo
manifestò con ordine la visione, e alla fine chiese di poter
vivere fino alla morte con i frati. A queste parole il priore
sentì molta gioia e ringraziò Dio di aver voluto dare
all’Ordine una persona di tale valore.
6. Quindi il priore si rivolse con soavi parole al
beato Filippo, mettendogli davanti le luminose gioie della
vita eterna; e gli spiegò pure con grande chiarezza la visione ricevuta11, dicendo che quella via solitaria, piena di così
grandi angustie, niente altro significava che il vano amore
di questo mondo, che non solamente sconvolge l’uomo,
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
ma lo tortura con fuochi e tormenti senza fine. Aggiunse
che nel carro d’oro, così splendidamente laminato, si sottintende l’Ordine della beata Vergine Maria, che ha quattro ruote, cioè i quattro vangeli, su cui si fonda la nostra
vita, come dice Ezechiele: «Lo Spirito di vita era nelle ruote»12,
e come nel vangelo il Salvatore afferma: «Fa’ questo e vivrai»13. Gli animali che tirano il carro sono un agnello e
un leone; si deve dunque dedurre che due qualità principali deve avere il servo di Dio: la mansuetudine, perché,
secondo il salmo, «i mansueti erediteranno la terra»14, e la
fortezza, per resistere ai vizi e ai peccati. Di questa il Salvatore dice: «Siate forti nella battaglia, e combattete contro
l’antico serpente»15 eccetera. Nella colomba invece viene
indicata la semplicità, di cui parla il vangelo che dice: «Siate dunque semplici come colombe»16. E in questi discorsi si
trattennero a lungo.
7. Avvicinandosi l’ora del pranzo, l’uomo di Dio
Filippo sedette a mensa con i frati. Dopo aver preso il
cibo, i frati si riunirono insieme, lo accolsero come fratello e compagno, nell’anno del Signore 125917. Egli fu vestito dai frati dell’abito nella categoria dei conversi, prendendo lo scudo di un’immensa umiltà ed obbedienza, con
cui respingere tutti i dardi del maligno.
8. Trascorso un certo tempo in tale stato, piacque
all’Altissimo rivolgere il suo sguardo e manifestare ai frati,
a gloria dell’Ordine, la sapienza di tale uomo. E accadde
12 Ez
9 Uno
dei Sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi. Cf. LO, cap. V.
10 Uno dei fondatori dell’Ordine dei Servi. La LP è l’unica fonte letteraria trecentesca che riporta il suo nome. Bonfiglio è ricordato, come Alessio, in tutte le
liste dei nomi dei fondatori che ci sono state trasmesse.
11 Sulle labbra di Bonfiglio l’autore della LP pone la prima delle due sintesi della
spiritualità dell’Ordine che si trovano nel corso della narrazione (cf. n. 8).
269
1, 20.21.
10, 28.
14 Sal 36, 11.
15 Queste parole non si trovano nel vangelo, ma sono l’antifona al “Magnificat”
nei secondi vespri dell’ufficio degli apostoli.
16 Mt 10, 16.
17 Secondo la LO la data dovrebbe essere corretta in 1254.
13 Lc
270
FONTI AGIOGRAFICHE
che, eseguendo un’obbedienza che si rivelò provvidenziale,
egli dovesse andare a Siena con un frate di nome fra Vittore. Mentre erano in cammino, incontrarono due religiosi dell’Ordine dei Predicatori, provenienti dalla Germania,
i quali si meravigliarono molto vedendo l’abito portato da
quei frati e perciò si misero a parlare col beato Filippo,
chiedendo insistentemente di quale genere di vita e di
quale Ordine fosse l’abito. Ad essi l’uomo di Dio con tutta
umiltà e profonda saggezza così rispose: «Se volete sapere
della nostra origine, siamo nativi di questa regione; se domandate di che condizione siamo, ci chiamano Servi della
Vergine gloriosa, della cui vedovanza portiamo l’abito; facciamo vita secondo l’esempio dei santi apostoli, cerchiamo
di vivere secondo la regola del santissimo dottore Agostino»18. E così insieme discorrendo, vennero a parlare di
questioni difficili, a cui l’uomo di Dio rispondeva con assoluta sicurezza, dimostrando di possedere su ogni argomento una fede autentica, validamente sostenuta con molte
citazioni autorevoli ed esempi di santi. Al termine di questa conversazione, ciascuno continuò per la sua strada.
9. Ma il compagno del beato Filippo gli disse:
«Fratello, perché quando fosti accettato nell’Ordine non
dicesti niente della scienza che possiedi, con la scarsezza
che abbiamo di uomini sapienti, mentre tu ora con quei
frati hai svelato la tua grande intelligenza? In verità ti dico,
che oggi è sorta tra noi la luce della scienza». Allora il
beato Filippo si mise a pregarlo in ginocchio che, per
amore di Dio, gli facesse la grazia di non rivelare a nessuno l’accaduto. Ma appena tornati a Firenze, subito il compagno del sant’uomo cominciò a parlare e manifestò a tutti
gli altri come il beato Filippo si fosse comportato con quei
18 Una seconda sintesi della vita e della spiritualità dei Servi. Per il simbolismo
dell’abito cf. LO, n. 52.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
271
forestieri. Tutti furono perciò pieni di gioia, fecero chierico il beato Filippo e, di grado in grado, lo promossero agli
ordini sacri.
10. Venne poi il giorno in cui il priore fra Bonfigliolo entrò nella strada comune ad ogni uomo. Nell’anno del Signore 1266 i frati si radunarono allora per celebrare il capitolo nella città di Firenze e fra Manetto da
Firenze, generale dell’Ordine, rinunciò all’ufficio, a cui era
stato eletto dallo stesso capitolo, succedendo a fra Iacopo
da Siena19. Tutti i frati del capitolo, ispirati dallo Spirito
santo, all’unanimità elessero il beato Filippo, sebbene questi fosse allora di convento a Cesena20. Egli, umile e mite
com’era, non avrebbe voluto accettare l’incarico; ma poi,
anche se malvolentieri, lo accettò con grande umiltà. La
sua dottrina e la sua fama crescevano di giorno in giorno.
Così devono essere i prelati e quelli che lavorano nella
vigna del Dio di Sabaoth, come sostiene il beato Isidoro
quando dice: «Per la dottrina e per la vita deve risplendere
un dottore nella Chiesa, perché vera è quella dottrina che
si accorda con la condotta di vita»21. Di tutte e di ciascuna
di queste virtù si mostrò dotato l’uomo di Dio, il beato
Filippo. Dio Padre lo rese famoso con i molti miracoli, che
egli fece andando in aiuto alle necessità dei bisognosi, guarendo moltissime infermità, correggendo energicamente gli
erranti, richiamando i peccatori a penitenza, e in molte
altre opere che ora non è possibile enumerare.
Cronologia confusa. Successore di Bonfiglio è Bonagiunta. Il 5 settembre
1257 gli succede Iacopo da Siena (1257-1265); il 29 maggio 1265 è confermato priore generale Manetto, dopo la rinunzia di Iacopo. Manetto si dimette il 5
giugno 1267.
20 La prima documentazione dell’esistenza di un convento di Servi a Cesena
risale all’agosto del 1300. È possibile leggere “di convento a Siena”, come hanno
altri codici della LP.
21 Sententiarum libri tres, III, 36 (PL 83, 707).
19
272
FONTI AGIOGRAFICHE
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
273
11. Si legge di lui che per diciannove anni resse l’incarico22. Ogni anno in capitolo con molte lacrime supplicava i frati di esonerarlo dall’ufficio, dicendo, per il basso
concetto che aveva di sé, di non essere adatto a continuare
tale compito. Ma poiché i frati guardavano alla sua santità
e al bene dell’Ordine, non volevano mai liberarlo dall’incarico. Egli, perciò, passava diversi giorni a piangere in segreto, dolendosi molto di non poter realizzare il suo desiderio.
E vedendo l’uomo santo che non riusciva in nessun modo
a rinunciare alla sua carica con il consenso dei frati, una
volta, mentre si trovava a Roma con alcuni frati allo scopo
di ottenere all’Ordine qualche vantaggio, poiché non poteva nascondere il suo desiderio, pensò di ottenere dal signor
papa quello che dai frati non riusciva ad avere.
dava con il beato Filippo al palazzo del papa, insospettito
dal racconto precedente, gli domandò perché mai volesse
andare dal papa, dichiarando che da quel momento egli
non avrebbe più fatto un passo avanti, per nessuna ragione, se non avesse saputo da lui la verità. Il beato Filippo,
che non poteva coprire né alterare la verità, gli manifestò
il proposito che aveva in mente, pregandolo insistentemente che lo aiutasse a realizzare il suo desiderio. Udito
ciò, fra Lotaringo, preoccupatissimo, lo scongiurò di desistere da questo proposito, perché la cosa poteva volgersi a
danno dell’Ordine ed era contro la volontà di tutti i frati,
e infine dichiarò che mai lo avrebbe sostenuto per tale
scopo davanti al sommo pontefice. E così anche allora il
suo desiderio fu vanificato.
12. Un giorno, perciò, prendendo con sé fra Lotaringo da Firenze23, che in seguito gli sarebbe succeduto
nella carica, si diresse verso il palazzo del papa, volendo rimettere nelle sue mani l’ufficio; ma non ne fece alcun cenno al suo compagno per paura che, rivelandogli la sua intenzione, quello gli si opponesse. Però questo frate, uomo
saggio ed equilibrato, che già da tempo ne conosceva le
intenzioni, sospettò quello che il beato Filippo voleva fare,
sebbene non ne avesse certezza. La notte precedente, infatti, il beato Filippo aveva avuto una visione, in cui gli sembrava di volersi amputare una mano, ma di esserne stato
impedito da un frate; e la mattina aveva raccontato questa
visione al suo compagno. Perciò fra Lotaringo, mentre an-
13. Ho sentito dire da suo nipote, fra Forte da
Firenze24, che, quando fra Filippo fu fatto generale, per ben
otto anni tenne nascosto alla famiglia il suo ufficio, e se
qualche volta, sebbene di rado, andava a trovarla, era solito
comportarsi non come generale, ma come semplice frate.
22 In realtà Filippo fu generale per diciotto anni, essendo stato eletto nel 1267.
Ma forse il 1266, riportato dalla LP, risponde al computo del calendario fiorentino.
23 Presente in molti atti, come frate e priore, anteriormente al 1285. Morto san
Filippo, ne fu il successore e governò l’Ordine fino ai primi anni del Trecento.
Nell’Archivio generale dell’Ordine si conserva il registro della sua amministrazione, con note amministrative iniziali dello stesso san Filippo.
14. Nel tempo che il popolo fiorentino era andato
a far guerra contro la città di Arezzo25, ed aveva devastata
tutta la campagna, vi fu in quel luogo una grande carestia.
Ora accadde che i frati dell’Ordine dei Servi di santa Maria
in quella città mancassero di viveri, tanto che riuscivano appena a sopravvivere. Venuto a conoscenza della loro miseria e fame, il beato Filippo cercò di raggiungerli più presto
che poté, proprio come fa un buon pastore che accorre in
aiuto degli abbandonati. Un giorno i frati avevano saltato
l’ora del pranzo, e il beato Filippo li confortò come poteva.
24 Per
fra Forte da Sommaia cf. LO, n. 6.
tratta della lotta tra Firenze guelfa, protetta da Carlo d’Angiò, e i Ghibellini
di Toscana.
25 Si
274
FONTI AGIOGRAFICHE
Intanto, entrato in chiesa, salutò la beata Vergine, pregandola e supplicandola di non lasciar morire di fame i suoi
servi, lei che era madre pietosa. E mentre stava così in orazione, improvvisamente bussarono alla porta del convento. Un frate andò subito ad aprire e non trovò nessuno, ma
solo due ceste piene di pane bianchissimo, che prese e portò davanti ai frati; e si affrettarono alla mensa per mangiarlo: e così insieme col beato Filippo furono prodigiosamente rifocillati. E in seguito ebbero sempre in abbondanza il pane e altre cose, per i meriti del beato Filippo.
15. Una volta, mentre l’uomo di Dio, il beato Filippo, era in viaggio per visitare l’Ordine, passando vicino
al borgo di Gagliano26, trovò disteso sul ciglio della strada
un lebbroso, che gli domandò l’elemosina. Il beato Filippo gli diede la sua tonaca; e quello, indossatala, fu subito
risanato e correndogli dietro gridava: «O uomo santo, aspettami per favore, perché ti possa ringraziare». Quando il
beato Filippo lo vide, gli disse: « Da’ gloria a Dio Padre e va’
in pace: ma bada di non dirlo a nessuno ». E quello, che era
stato risanato, giunse di corsa al castello di Monte Accianico27, e lì raccontò concitatamente come era stato guarito.
16. La notizia arrivò alle orecchie della gente, e anzi se ne parlava apertamente anche in tutta la curia romana. Ed essendo vacante la sede apostolica, alcuni cardinali
della santa madre Chiesa lo indicavano degno di ricoprire
l’ufficio di pontefice; fra questi vi era il venerabile padre e
reverendissimo cardinale Ottaviano degli Ubaldini28. I car-
26 Gagliano
in Val di Sieve, nel Mugello, sulla via verso il Passo della Futa.
castello di Monte Accianico, anch’esso in Val di Sieve vicino a Scarperia, fu
fatto costruire dal cardinale Ottaviano degli Ubaldini († 1273). Fu più volte
distrutto dai Guelfi fiorentini in lotta con gli Ubaldini.
28 Ottaviano, della famiglia fiorentina degli Ubaldini, fu vescovo di Bologna dal
27 Il
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
275
dinali, sentendo parlare della guarigione istantanea di questo lebbroso e di moltissimi altri prodigi operati per i meriti del beato Filippo, si trovarono tutti entusiasticamente
d’accordo nel ritenerlo degnissimo dell’ufficio pontificale.
[Ma il beato Filippo con cristiana umiltà si tenne nascosto,
lontano per alcuni giorni da ogni relazione umana]29.
Quando avvenne il miracolo del lebbroso, due frati, compagni del beato Filippo, lo precedevano; i loro nomi sono questi: fra Sostegno e fra Uguccione30. Vedendo il
santo uomo parlare con il lebbroso, immaginarono subito
che cosa stesse succedendo; ma dopo, quando furono a Firenze, lo vennero a sapere più chiaramente.
17. Un’altra volta l’uomo di Dio Filippo era in viaggio attraverso la provincia di Lombardia, diretto a Milano
per poi recarsi in Alemagna31. Era la stagione in cui i re
vanno di solito in guerra, quando domina il segno del leone e tutta la terra avvampa per il calore del sole. Il beato
Filippo si mise sotto un albero grande e foltissimo. C’erano lì molti uomini che si riparavano dal calore del sole.
Ad essi il beato Filippo disse: «Qui tra voi, fratelli carissimi, vi sono alcuni sui quali oggi discenderà l’ira di Dio, se
non faranno penitenza dei loro peccati». Ma quegli uomini malvagi subito proruppero in cattive parole contro l’uo-
1240 al 1244 e poi creato cardinale da Innocenzo IV il 31 maggio 1244. Personalità di grande rilievo durante il pontificato di Alessandro IV, diede ai
Ghibellini Firenze, con l’aiuto dei senesi. Dante lo colloca nell’Inferno (X, 120).
29 Frase non riportata in tutti i manoscritti. La tradizione, riferita da vari scrittori e per primo dall’Attavanti, indica come luogo di questo nascondimento il
monte Amiata, dove esiste ancora oggi una cappella dedicata a san Filippo.
30 I frati Sostegno e Uguccione sono ben documentati nei primi settant’anni di
vita dell’Ordine.
31 Per Alemagna si intendeva in genere l’Europa a nord delle Alpi. La presenza
dei Servi in queste zone è attestata per la prima volta da un documento del 5
aprile 1277, riguardante il convento di S. Maria del Paradiso di Halberstadt.
276
FONTI AGIOGRAFICHE
mo di Dio, non temendo il giudizio divino; a loro egli si
rivolse dicendo: «Voi siete quelli sui quali oggi scenderà
l’ira di Dio che vi divorerà ». E il beato Filippo uscì allora
di sotto l’albero, chiamando gli altri. Si era allontanato un
po’, quand’ecco improvvisamente una nube apparve sopra
l’albero; e subito scoppiò una gran tempesta e come una
vampa di fuoco discese e incenerì l’albero con quei malvagi, sotto gli occhi degli altri. E così si manifestò lo spirito
di profezia nel beato Filippo, che predisse la loro morte.
Gli altri compagni del sant’uomo cambiarono vita nel
Signore.
18. Un’altra volta, il beato Filippo si affrettava verso la Germania, per visitare i conventi dell’Ordine da poco
fondati. E arrivò in una landa solitaria e selvaggia, dove non
si poteva trovare né pane né acqua. Il compagno del beato
Filippo, sfinito dal calore del sole, cominciò a gridare che
Dio gli desse aiuto per non morire di fame. Mosso a compassione, l’uomo di Dio Filippo supplicò piangendo il Signore con queste parole: «Signore Dio Padre onnipotente,
che hai dato da mangiare al tuo popolo e non cessi di nutrire tutte le creature, sfama questo tuo servitore, servo della
tua dolcissima Madre». Terminata la preghiera, subito il
beato Filippo vide una capanna, dove i pastori andavano a
riposarsi; l’uomo di Dio vi si diresse in fretta e, entrato, vide per divino prodigio un pane bianchissimo e un vaso di
acqua; perciò, grazie a tale miracolo, poterono rifocillarsi.
E così giunsero in Germania [e quivi compiuti molti miracoli per la conversione del popolo e la diffusione dell’Ordine, tornò in Italia].
19. Giunto era ormai il tempo in cui l’uomo di Dio
Filippo doveva ricevere la gloria celeste con i beati, e per
questo aveva pregato il Signore. Si diresse allora nel territorio di Todi, dove c’era un convento dei Servi, da poco fon-
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
277
dato32: il più povero e umile di tutto l’Ordine. Mentre
dunque si avvicinava a questa terra, ecco che in città si radunò molta gente; e uscita fuori dalla porta della città, tagliava rami dagli alberi, e con grande letizia si affrettava verso l’uomo di Dio, dicendo: «Benedetto colui che viene nel
nome del Signore»33. Quando l’uomo di Dio, che disprezzava le false gioie di questo mondo, vide tutto questo, si
sottrasse alle lodi della gente. Passato il fiume Tevere, andò
in fretta verso la Porta Orvietana per raggiungere di là il
convento nella più grande segretezza.
20. Mentre però passava per questa via, gli si fecero incontro due meretrici, invitandolo a fermarsi. E l’uomo
di Dio Filippo parlò loro così: «Dio vi perdoni, donne sventurate! Vi prego – disse –, abbiate davanti agli occhi Dio,
che vi ha riscattato con il suo sangue prezioso. Non indugiate ad allontanarvi dal peccato, pensando alla punizione
che sarà data per i peccati ». Ma esse risposero che non potevano smettere di peccare, perché non avevano altro per
vivere. Allora il beato Filippo disse: «Vi domando questa
grazia, per amore della Vergine Madre di Dio: che in questi tre giorni voi non pecchiate con alcuno; ed ecco il denaro per vivere». E appena esse ricevettero il denaro dalla mano dell’uomo di Dio, la grazia dello Spirito santo discese
nei loro cuori.
21. Poi l’uomo di Dio si allontanò da loro; e mentre avanzava verso il convento, la folla lo seguiva con rami
e acclamazioni. Arrivato sulla strada, fu subito circondato
dalla gente che a voce ancora più alta gridava: «Ecco l’uomo santo, ecco l’uomo di Dio; ecco la salute degli infermi
32 Il
convento di S. Marco in Todi, fondato certamente assai prima del 1285, fu
tenuto dai Servi fino al 1599, quando si trasferirono a S. Maria delle Grazie,
oggi S. Filippo, presso Porta Romana.
33 Mt 21, 9.
278
FONTI AGIOGRAFICHE
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
279
e il soccorso degli afflitti; benedetto colui che viene nel nome del Signore». Ma il beato Filippo rispose loro con queste parole: «O cittadini, figli di Todi, perché mi date molestia? Date gloria a Dio Padre e ritiratevi». Detto questo,
entrò in chiesa, e accostandosi in fretta all’altare esclamò:
«Questo è il luogo del mio riposo nei secoli dei secoli»34.
la sia sana, non tardate a mandarmi a San Marco, perché è
salito a Cristo l’uomo santo per i cui meriti riavrò la salute». Allora egli portò in fretta la figlia malata, adagiandola
sul feretro dell’uomo di Dio. E subito essa cominciò a ricuperare la salute; e così per le preghiere del sant’uomo uscì
di là sana e senza l’aiuto di nessuno ritornò felice a casa sua.
22. Il giorno seguente vennero le due meretrici che
il santo aveva richiamato al pentimento, gridando e cercando l’uomo santo per ottenere perdono dei loro peccati. Gettatesi, piangendo, ai piedi del beato Filippo, imploravano il perdono. Il beato Filippo le accolse e le perdonò;
e per l’avvenire non tornarono al peccato, ma entrarono in
una cellina e qui vissero in grande santità, finché Dio si
degnò di concedere loro la sua gloria; e così resero lo spirito nel Signore35.
25. Si manifestò in quei giorni anche questo miracolo. Avvenne così: c’era nel contado di Orvieto un contadino che aveva un unico figlio, cieco dalla nascita; egli,
udita la fama del sant’uomo, come cioè donava la salute
agli ammalati, si affrettò a venire alla tomba del santo con
il suo figliuolo, e cominciò a pregare per lui; e terminata
la preghiera, il figlio riacquistò la vista.
23. Essendo passato il giorno dell’Assunzione di
Nostra Signora nel mese di agosto, il Signore volle che il
suo servo Filippo fosse portato in cielo dagli angeli. Nell’ottavo giorno dopo questa festa, di domenica36, l’uomo
di Dio, mentre i frati pregavano, se ne andò in cielo nell’anno del Signore 1285.
24. Mentre il beato Filippo spirava, una donna,
paralitica per tutto il tempo della sua vita, gridava al padre
dal suo lettuccio: «Padre mio, se volete che la vostra figliuo34 Sal
131, 14.
La tradizione riferisce che le due donne si chiamavano Elena e Flora e che,
ritiratesi in un villaggio tra Acquasparta e Narni, morirono in fama di santità
nel 1310 (Annales OSM, I, p. 137).
36 Nel 1285 l’ottava dell’Assunzione cadeva di mercoledì. La combinazione dell’ottava dell’Assunzione e della domenica risponde a un chiaro intento simbolico che sottolinea la perfetta conformità di san Filippo al Signore e alla Vergine
sua Madre.
35
26. Nella città di Todi vi era una vedova che aveva
mandato nella vigna il suo unico figlio. Mentre questi andava per la strada, trovò un lupo che lo azzannò alla gola.
Un uomo, che passava per la strada, vide il lupo assalire il
ragazzo, e si mise a gridare; il lupo allora fuggì, ed egli si
avvicinò al ragazzo e lo portò morto a sua madre. Ed essa,
gridando e piangendo, andò al sepolcro del beato Filippo
e cominciò a gridare: «Uomo di Dio Filippo, prega per il
mio figliuolo». Mentre diceva così, subito dinanzi a tutto
il popolo il morto risuscitò.
27. Nella stessa città una donna da molto tempo
era tormentata dal demonio. I suoi genitori la condussero,
legata con funi, alla tomba dell’uomo di Dio; e subito fu
liberata.
28. Un giorno, sviluppatosi un grave incendio
presso la chiesa di San Marco dell’Ordine dei Servi di santa Maria, a Todi, un uomo di nome Benedettuccio, molto
devoto del beato Filippo, quando vide la sua casa da ogni
280
FONTI AGIOGRAFICHE
par-te circondata dal fuoco, prese due pianelle di giunchi
intrecciati, che il beato Filippo gli aveva donato quando era
in vita, e le mise davanti al fuoco; subito la fiamma si allontanò e così quella contrada fu salva per i meriti del beato
Filippo.
29. Pure nella città di Todi c’era un tale che aveva
a casa sua il materasso su cui il beato Filippo era morto e
aveva dormito da vivo. Si chiamava mastro Giacomo. Nella sua casa vi fu un grande incendio, tanto che non vi rimase niente, tranne il materasso su cui aveva dormito il
beato Filippo.
30. Inoltre un giorno del mese di maggio si scatenò
intorno alla città di Todi un temporale così violento, che il
frumento e le viti stavano per essere distrutte; allora i frati,
preso lo scapolare del beato Filippo, lo posero sull’asta di una croce, e andarono in processione per la città, pregando
ad alta voce: «Abbi misericordia di noi, Dio, che non vuoi
che nessuno perisca; libera i tuoi servi che sperano in te, per
i meriti del beato Filippo, tuo servo fedele, e concedi il sereno al tuo popolo devoto». Quando ebbero finito di dire
queste parole, subito in cielo riapparve il sereno e la gioia.
31. Ancora, in questa città c’era un uomo che per
quasi tutto il tempo della sua vita era impedito da una grave
malattia, volgarmente detta malcaduco. Recatosi alla tomba del beato Filippo, ricuperò completamente la salute.
32. Ancora nella stessa città c’era un frate di san
Fortunato37, il quale, mentre predicava, per invidia disse
parole vuote sull’uomo di Dio, parlando così: «O cittadi37 La chiesa di S. Fortunato, situata nella parte alta di Todi, apparteneva ai frati
Minori.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
281
ni di Todi, insensati, siete davvero diventati ciechi, da rendere tanto onore a codesto frate Filippo. Non credete a
quello che si dice di lui». E mentre diceva questo ammutolì e cadde paralizzato, sotto gli occhi e fra lo stupore di
tutti. I frati, trasportandolo a braccia, lo portarono devotamente presso il corpo del santo, per i cui meriti ricuperò
subito la salute, e vi posero un’immagine.
[Traslazione del beato Filippo]
33. Nell’anno del Signore 1317, il giorno 10 del
mese di giugno38, i frati, volendo fare la traslazione del suo
corpo, chiamarono il vescovo della città e molti altri chierici e per mezzo di banditori invitarono tutti. A questa traslazione venne una grande folla da tutte le parti. E mentre
trasferivano il corpo dalla fossa ad un altare bellissimo,
improvvisamente un intenso profumo riempì tutto il luogo
e la città, e tutte le immagini che erano nella chiesa si volsero miracolosamente verso il corpo del santo.
34. Nello stesso giorno una donna che aveva una
mano paralizzata, con la quale non poteva far nulla e tanto
meno alzarla fino al capo, fatto un voto, presso il sepolcro
di lui fu risanata, cosicché muoveva la mano in alto e in
basso, avanti e indietro, e faceva tutti i lavori; e per rendere più evidente il miracolo, andava alla fontana e con la
stessa mano poneva sopra il capo un orcio pieno d’acqua.
35. Nel giorno di lunedì, primo giorno dopo la sua
traslazione, un poveretto che da lungo tempo era malato e
rattrappito in tutto il corpo, al punto che appena si poteva
muovere appoggiandosi a un bastone, andò al sepolcro del
38 Dovrebbe
leggersi “giorno 12”, se la traslazione avvenne realmente di domenica, poiché nell’anno 1317 il 10 giugno era venerdì.
282
FONTI AGIOGRAFICHE
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “VULGATA”
283
beato Filippo all’ora terza, e raccomandandosi in lacrime al
beato Filippo, subito sentì una fragranza di profumo e di
sapore, e si addormentò per un poco. Quando si svegliò, si
ritrovò guarito, e da allora camminò sempre senza bastone.
senza bastone, e anche col bastone riusciva con gran pena
a muovere a stento il piede, venne al sepolcro del santo e,
mettendovi dentro il piede, fu risanato, tanto che in seguito poté muoversi sempre senza bastone.
36. Nello stesso giorno e alla stessa ora in cui quest’uomo, liberato dal suo male, si mostrava al popolo, venne al sepolcro un uomo con sua moglie, portando sulle
braccia un fanciullo; e alla presenza di tutti diceva ad alta
voce che quel fanciullo, loro figlio, la sera del giorno precedente, cioè il giorno della traslazione, era stato sul punto
di morire per un grave attacco di febbre. Essi l’avevano
raccomandato al beato Filippo; e subito era guarito, come
se non avesse avuto alcun male.
40. Lo stesso giorno, alla sera, un nostro vicino,
tormentato da una dolorosa malattia ad entrambe le ginocchia tanto che non poteva aver tregua, si fece portare
con riverenza le pianelle del beato Filippo; erano pianelle
di giunco che suo padre aveva ricevuto dal beato Filippo
stesso quand’era vivo e aveva conservato con gran devozione per tutta la sua vita, affidandole gelosamente al figlio
in punto di morte. Coperto un ginocchio con un pannolino, con devozione e rispetto, pose una delle pianelle sul
ginocchio così coperto; e subito quel ginocchio guarì. Ma
cessato il dolore a un ginocchio, sembrava che l’altro facesse ancora più male di prima; coprendolo allora con un
panno candido allo stesso modo, gli mise sopra l’altra pianella; e fatto ciò fu risanato completamente.
37. Lo stesso giorno dopo l’ora nona, una fanciulla, che da sei anni non vedeva con l’occhio sinistro, e lo
teneva chiuso, condotta al sepolcro di lui e fatto un voto,
aprì l’occhio e ricuperò la vista.
38. Lo stesso giorno un fanciullo, che da moltissimo tempo soffriva di malcaduco ed era tormentato da violenti attacchi della malattia, tanto che cadeva dieci o dodici volte al giorno con la bava alla bocca e tremando, venne
a dichiarare che la mattina della traslazione del santo si era
raccomandato al beato Filippo, e da quel momento non
aveva avuto più male né di giorno né di notte. Affermava
perciò di essere libero da quella malattia.
39. Il martedì, cioè il terzo giorno39 dalla traslazione, un nostro vicino che, per una grave caduta fatta circa
due anni prima, zoppicava tanto da non poter camminare
In realtà sarebbe il secondo giorno. Forse viene computato anche il giorno
della traslazione: cosa che non avviene più nei n. 41, 42, 44.
39
41. Il mercoledì, terzo giorno dopo la sua traslazione, venne al sepolcro del beato Filippo una donna tormentata dal demonio; da sei anni, giorno e notte, sempre
cercava ansiosamente di trovare una fune, un laccio o qualunque altra cosa con cui potesse impiccarsi, per cui i suoi
genitori dovevano sempre sorvegliarla perché non lo facesse. Raccomandatasi al beato Filippo, subito si addormentò; e in sogno lo vide avvicinarsi a lei in una gran luce e
dirle: «Confida, figliuola, perché io ti restituisco la sanità,
e ti libero dal potere del demonio e dal cattivo desiderio
che finora hai avuto; e lo Spirito santo è con te d’ora in
poi». A queste parole ella si destò e si trovò liberata; e in
avvenire non ebbe più la tentazione di impiccarsi.
284
FONTI AGIOGRAFICHE
42. Il giovedì, quarto giorno dopo la traslazione,
un fanciullo venne alla tomba del beato Filippo per essere
guarito dal mal della pietra, che soffriva con grandi dolori;
e pregando devotamente Dio e il beato Filippo di liberarlo,
subito espulse il calcolo presso il sepolcro, e fu risanato.
43. Lo stesso giorno una donna che da quasi tre
anni soffriva continuamente di perdite di sangue, tanto
che sempre, quando le veniva il flusso mensile, come suole
accadere alle donne, durava ininterrotto per otto giorni,
consumandola e indebolendola e dandole sofferenza, venne al sepolcro del beato Filippo e, pregando devotamente,
ricuperò perfetta salute.
44. Il venerdì, quinto giorno dopo la traslazione,
una povera fanciulla di Monte Castello, del contado di Todi, che da molti anni soffriva di dolori insopportabili nel
corpo e ai reni, tanto da non poter star dritta se non aiutandosi con le mani e con il bastone, e aveva la mano destra così inerte da non poter aprire le dita né poteva con
questa mano segnarsi né fare alcun movimento, fu portata dal padre al sepolcro del beato Filippo. E qui rivolgendogli devotissime preghiere perché la liberasse, dopo essere entrata nella tomba, fu guarita, tanto che da sola senza
sforzo e senza bastone si poté alzare e si mise a sedere; e
tendendo la mano destra come l’altra, con essa si segnava
e faceva ogni altro lavoro.
45. Ogni giorno fino ad oggi fioriscono i miracoli
del santo uomo e tanti che gli uomini non potrebbero
pensare; ecc. Finisce qui la storia del beato Filippo, dell’Ordine dei Servi di santa Maria.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
285
II
LEGENDA “PERUGINA”
introduzione
Nel 1967 p. Giuseppe M. Besutti riscoprì una Legenda di san Filippo in un codice quattrocentesco della Biblioteca Augusta di Perugia e ne curò l’edizione. La chiamò “perugina” dalla città dove è conservata; per comodità
continuiamo a distinguerla così, anche se Perugia non è il
suo luogo di origine. Il p. Davide Montagna l’ha riedita
nel 1985 come Legenda “arcaica”.
Il testo si presenta diviso in tre parti: la breve introduzione, la parte centrale con la vita, le opere e la morte
del beato, la conclusione con l’elenco dei miracoli.
L’introduzione propone una fantasiosa etimologia
del nome “Filippo”, che avrebbe il duplice significato di
“canto” e “cordone”. Sulla base del primo significato l’autore sembra prospettare una suddivisione “trinitaria” del racconto che di fatto non avviene. Nel corso della Legenda,
però, a più riprese l’attenzione è rivolta al “canto” di Filippo: da giovane canta le lodi a Dio e, divenuto presbitero,
canta i salmi in cella, nell’orto, in chiesa, sommessamente
nel tempo notturno, a voce spiegata durante il giorno. E
anche sul letto di morte chiede al giovane che lo assiste il
286
FONTI AGIOGRAFICHE
salterio per cantare insieme i sette salmi penitenziali con le
litanie. Con l’immagine del “cordone” Filippo viene collegato ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli, ai martiri, ai confessori e alle vergini, che sono i diversi “fili” di cui il cordone è intrecciato. A ciascuna di queste categorie corrisponde una particolare virtù: fede, misericordia, sapienza,
pienezza di grazia, costanza, temperanza e purezza. Alcune
almeno di queste virtù sono poi rilevate nel racconto della
vita di san Filippo.
La parte centrale della Legenda, che potrebbe
anche essere stata redatta da altra mano, contiene certamente episodi e particolari di notevole interesse agiografico, ma colpisce anche per alcuni vistosi anacronismi e imprecisioni. I genitori, che nella recensione “toscana” portano i nomi di Giacomo e Albaverde, si chiamano qui Andrea e Giovanna. Filippo è un figlio lungamente atteso e
richiesto e finalmente ottenuto da Dio. Ha rapporti con
san Francesco d’Assisi, a Firenze, durante il periodo dei
suoi studi. Si reca a Monte Senario, dietro indicazione di
Cristo, e si unisce al gruppo di sei frati che già vi dimorano. Il nome di “servi di santa Maria” è dato a lui dai fanciulli mentre chiede l’elemosina per le vie di Firenze. Con
lui si incontra san Pietro da Verona, invitato dalla Vergine
a prendere contatto con i primi Servi di Maria. Alla guida
dell’Ordine è “Totusbonus”, che impone a Filippo l’ordinazione sacerdotale, dopo che un incontro con un chierico ha portato alla luce la sua grande cultura. A Totusbonus
Filippo succede nel governo dell’Ordine. Del tempo del
suo generalato il racconto sottolinea soprattutto le visite
frequenti ai conventi; ricorda inoltre l’annuale rinuncia
all’incarico, la partecipazione al concilio di Lione del 1274,
la convocazione di un capitolo generale a Todi, l’opera di
difesa dell’Ordine presso la Curia romana.
I miracoli attribuiti al santo in questi anni sono
localizzati a Cesena (profezia riguardante Bartolomeo da
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
287
Cesena), sugli Appennini (“Alpes”) in un viaggio tra Cesena e Firenze (guarigione di un lebbroso), a Firenze (miracolo del pane), a Cortona (intercessione per la nascita di
un bambino), in un viaggio tra Viterbo e Orvieto (l’albero colpito da un fulmine), a Orvieto (conversione della
prostituta), a Todi (guarigione di fra Lamberto da Prato).
Essi differiscono in numerosi dettagli da quelli narrati dalla Legenda “toscana”.
Filippo, già malato, si fa portare a Todi nell’estate
del 1285, dopo un viaggio presso la Curia romana. Sembra che rimanga per un certo tempo a letto infermo, prima
dell’ultima battaglia contro il demonio e la morte che avviene tra le braccia di fra Ubaldo da Borgo e alla presenza
dei frati della comunità a cui Filippo rivolge un “bel discorso”, invitandoli all’umiltà, alla pazienza e alla carità. Al
momento della morte, il 22 agosto 1285, la Legenda gli
attribuisce 62 anni.
La parte finale comprende i miracoli avvenuti dopo la sua morte e quelli verificatisi in occasione della traslazione del 1317. Sono tutti miracoli avvenuti a Todi, eccetto gli ultimi due avvenuti nel mare Adriatico (tempesta
sedata) e a Firenze (guarigione di un novizio Servo di Maria).
L’autore sembra non aver conosciuto Filippo, ma
ha visto il figlio della donna di Cortona che si era rivolta
al santo per ottenere da Dio la grazia di essere madre.
Questo figlio, che per riconoscenza venne chiamato Filippo, “l’abbiamo visto con i nostri occhi – scrive l’autore –
e ci ha raccontato il fatto”. Altre volte riferisce di aver attinto le notizie dalle testimonianze di frati.
In base ad alcuni riferimenti interni (il priorato di
fra Bartolomeo da Cesena, degli inizi del ‘300; la traslazione del 1317; la data degli ultimi due miracoli, rispettivamente 1322 e 1326), il Besutti ritiene di concludere che
la Legenda “perugina” sia stata scritta da un servo di Maria
in un tempo compreso tra il 1320 e il 1350 e in una zona
288
FONTI AGIOGRAFICHE
non lontana da Cortona, probabilmente umbra. Sembra
che l’autore non abbia preoccupazioni storiche, ma intenda riunire intorno a san Filippo tutti gli eventi dell’origine e dello sviluppo dell’Ordine e fare anzi di lui uno degli
iniziatori dell’Ordine, collegandolo ai “sei uomini religiosi” che vivono a Monte Senario.
Diverse sono le conclusioni di D. Montagna, per
il quale la Legenda va retrodatata almeno intorno al 1305.
Il suo ambiente di composizione andrebbe individuato in
una cerchia di amici e discepoli del santo. Un indizio del
carattere “arcaico” dello scritto è l’estrema sobrietà dei riferimenti mariani, ridotti al nome specifico dell’Ordine e
all’intervento della Vergine, accanto a Gesù Cristo, nel momento della morte di san Filippo. Questa “marianità” primitiva ci porterebbe a un periodo precedente lo sviluppo
del capitolo iniziale delle Costituzioni antiche dei Servi (De
reverentiis beatae Mariae virginis), perciò anteriormente al
1295 circa. Altri indizi sono l’assenza della cultura scolastica e l’improbabilità di una dipendenza letteraria dalle altre Legende. Montagna pensa a fra Lamberto da Prato come possibile autore e allo scriptorium del nascente convento di santa Maria dei Servi a Bologna come luogo in cui la
Legenda è stata scritta.
La riscoperta della Legenda “perugina” ha permesso di identificare con precisione una delle fonti di informazione dello storico quattrocentesco Servo di Maria,
Taddeo Adimari (1445 ca.-1517). Questa Legenda fu anche conosciuta da fra Arcangelo Giani (1552-1623) che
nella sua opera del 1591, Vera origine del sacro ordine de
Servi di santa Maria, ne offre una sintesi e la ritiene “scritta con molta poca consideratione”.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
289
Edizioni
- La Legenda “perugina” è stata pubblicata da G. M. BESUTTI in “Studi
Storici OSM”, 17 (1967), p.104-115.
- Un “tentativo di edizione critica, ossia di ricostituzione dell’originale
trecentesco”, è stato fatto da D. M. MONTAGNA, La “Legenda” arcaica
del beato Filippo Benizi. Ricerche e proposte, Milano 1985, p. 13-29 (testo); p. 3-64 (ricerche e proposte) (Bibliotheca Servorum Mediolanensis. Sussidi, 4).
Bibliografia
Oltre a G. M. Besutti e D. M. Montagna, anche F. A. DAL PINO, I frati
Servi di s. Maria, I, p. 54-55 (nota 13); 119 (nota 234); 442-444.
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FONTI AGIOGRAFICHE
TESTO
LEGENDA DEL NOSTRO PADRE IL BEATO FILIPPO
1. FILIPPO è detto da philos che significa canto o da
philos che è il cordone intrecciato di fili.
Egli infatti fu davanti a Dio il canto della preghiera fervente, poiché cantando il salterio ogni giorno fece
udire il suo canto devoto alle orecchie di Lui. Alla maestà
di tutta la Trinità inoltre levò il suo canto con l’esempio
della buona fama e fiorì con la prova della sua vita.
Al Padre infatti fece udire la sua voce venerandone
i benefici, meditando umilmente l’ultimo giorno della sua
fine e piangendo sempre con lacrime le colpe dei suoi frati.
Perciò, esortando i frati, ricordava queste cose.
Al Figlio anche fece udire la sua voce conservando
sempre nel cuore la fede in lui e il ricordo della passione.
Come si canta di lui:
Filippo, in cuore il miele
e la croce di Cristo portavi 1
E allo Spirito Santo fece udire la sua voce, tenendo stretta con tutte le sue forze la dolcezza della bontà e
dell’amore di Lui. Così appariva, poiché per l’ardore della
carità dava agli altri tutto quello che riusciva ad avere.
È chiamato Filippo anche da philos che è un cordone fatto di fili. Egli infatti è stato intrecciato nel cordone, cioè nella schiera dei santi, a motivo della sua molteplice virtù e con questa cordicella è stato assunto tra i pa1 Verso di un inno latino in onore di san Filippo, che ricevette manifestazioni di
culto subito dopo la morte. Nel registro del generale dei Servi fra Lotaringo da
Firenze (1285-1300), in una partita del 1285, Filippo è già chiamato “santo”.
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291
triarchi per la misericordia e la fede illibata, tra i profeti
per la sapienza, tra gli apostoli per la grazia della pienezza,
tra i martiri per la vera costanza, tra i confessori per la
grande temperanza, tra i vergini per la verginale purezza.
2. Il beato e venerabile Filippo, generale, guida e
padre illustre dell’Ordine dei Servi della beata Maria vergine, nacque a Firenze da genitori nobili, molto religiosi e
cristianissimi. Suo padre si chiamava Andrea, sua madre
Giovanna. Non avendo prole, per molto tempo la chiesero al Signore; alla fine furono esauditi e generarono molti
figli. Il primo di questi lo chiamarono Filippo, in ringraziamento a Colui che l’aveva elargito. Il racconto che segue fa vedere quale e quanto grande egli poi sia stato.
Infatti i suoi genitori, che vivevano in maniera pia
e religiosa, allevarono il bambino con una formazione perfettamente conforme alla norma della legge evangelica. Per
disposizione della grazia divina, lo affidarono a un maestro
religioso perchè imparasse a leggere e scrivere. Il bambino
poi, poichè dalla buona radice si produce il frutto buono,
evitando i giochi degli altri bambini, cercava di piacere a
Dio solo2.
Quasi all’età di dieci anni, si recava sollecito in
chiesa con i genitori e lì ascoltava tutte le divine parole, le
conservava nella biblioteca3 del cuore e tornando a casa
ripeteva tutte queste cose ai genitori e ai vicini e li implorava umilmente perché le mettessero in pratica.
Divenuto giovane, volse il suo animo all’umiltà,
alla misericordia e alla sobrietà, guardandosi sempre dalle
2 Formula
tipica della spiritualità monastica medievale.
espressione medievale, di derivazione patristica, ricorrente anche a proposito del beato Francesco (Legenda del beato Francesco, n. 4).
3 Bella
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FONTI AGIOGRAFICHE
insidie del diavolo, del mondo e della carne. Sull’esempio
dell’apostolo, mortificava il suo corpo con molti digiuni e
veglie 4 e lo costringeva a servire lo spirito a intervalli di
tempo scanditi.
Raggiunta poi l’età adulta e acquisita una vasta cultura, cantava sempre le lodi al Signore con il beato Francesco, che in quel momento fioriva a Firenze5. Poiché l’uomo di Dio ravvisava che molti, camminando incautamente per i sentieri dei vizi, naufragavano nel mare di questa
vita, e vedeva che gli amanti del mondo, miserabili e stanchi senza risultato, nulla avevano dal corpo se non vizi,
divenuto come pazzo per il mondo, ma sapiente per Dio,
considerava sterco6 tutto ciò che ha valore nel mondo, e
soltanto godeva di attendere in chiesa alla predicazione,
alla preghiera e alla contemplazione. Poiché già la fama
della sua santa vita era chiara a tutti e come una lucerna sul
candelabro 7 illuminava le menti dei fedeli, vedendosi lodato da tutte le parti, temendo la malattia della vanagloria
che solitamente inganna gli imprudenti, accorse in chiesa
e stando davanti all’immagine di Cristo in pianto e lacrime pregò così: «Signore Dio, che mi hai creato e dopo che
mi ero perduto mi hai redento: ascoltami, io che sono l’indegno tuo servo, e concedimi di trovare la strada delle tue
misericordie per poterti servire fedelmente, perché, misero e infelice come sono, non so senza di te dove andare».
Fatta la preghiera, su di lui balenò una grande luce che lo
illuminò completamente, e in essa risuonò una voce che
diceva: «Filippo, se vuoi avermi, alzati, esci e va’ al monte
che io ti mostrerò 8».
4 2Cor
6, 5.
anacronismo. S. Francesco muore nel 1226.
6 Fil 3, 8.
7 Mt 5, 15 par.
8 Gen 12, 1; 22, 2.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
293
3. L’uomo di Dio, alzatosi dalla preghiera, abbandonata ogni eredità paterna, prendendo su di sé la croce di
Cristo, uscito dalla città di Firenze, si diresse in fretta con
gioia verso il Monte Senario, della stessa diocesi. Lì c’erano sei uomini religiosi, fratelli che vivevano in grande umiltà e povertà, lavorando notte e giorno non fiaccamente nella vigna del Signore degli eserciti9. A questi manifestò il desiderio del suo animo e chiese umilissimamente di
essere accolto come fratello. L’uomo di Dio aveva allora
quasi ventidue anni.
I frati, vedendo che il giovane era ben educato, dotato di umiltà, animato da carità e desideroso di povertà,
lo accolsero come loro compagno. Gli tolsero gli abiti secolari e tutti insieme gli diedero l’abito del santo Ordine.
E poiché egli per la sua grande umiltà dichiarò di essere
ignorante, lo presero non nella prima attività dei chierici
ma in quella dei laici. Perciò ora lavorava come ortolano
nel giardino, ora andava con sollecitudine a chiedere l’elemosina per il convento. E ovunque, pregando e contemplando, l’uomo di Dio parlava con il Signore. Sapeva infatti che è il luogo ad essere santificato dall’uomo, non l’uomo dal luogo. Perciò sempre, ogni giorno, voleva fare i
lavori più bassi e disprezzati del convento. Serviva tutti
con viso lieto e molto spesso lavava e puliva le suppellettili dei frati. A tutti appariva così prudente e saggio da essere considerato non un fratello laico, ma il padre di tutti.
Sobrio nel vitto, eccelso per umiltà, asperso del profumo
della castità, si distingueva per lo splendore di tutte le virtù.
Quando l’uomo di Dio, essendo laico, si recava a
Firenze per la questua, i bambini fiorentini, per volontà di
Dio, gli correvano incontro gridando e dicendo: «Ecco i
5 Evidente
9 Su questi “sei uomini religiosi”, di cui Filippo diventa il settimo, cf. Introduzione.
294
FONTI AGIOGRAFICHE
Servi di santa Maria». Da qui perciò i frati si presero questo nome, così da essere chiamati Servi di santa Maria.
4. Nello stesso tempo c’era un frate, venerabile e
santo, di nome Pietro, predicatore contro gli eretici, dell’Ordine dei Predicatori10. Come una stella splendente, illuminava quasi tutta l’Italia con la predicazione della fede
cattolica. A questo sapiente soldato di Cristo, che era arrivato a Firenze e predicava lungamente contro gli eretici, la
beata Vergine Maria appariva spesso in sogno dicendogli:
«Pietro, va’ a vedere sul Monte Senario i miei Servi, che lì
mi servono sempre in molta povertà e umiltà». E dicendo
più di una volta queste stesse cose, gli mostrava Filippo.
Una volta, svegliatosi dal sonno andò a visitare umilmente questi frati. Vedendo poi il beato Filippo subito lo
chiamò per nome e poi continuamente come se fosse suo
padre, finché visse, andò a trovarlo. Sempre quando vedeva il beato Filippo, lo abbracciava. Divenuto soldato di
Cristo con la palma del martirio, era pieno di gioie celesti
quando gli appariva l’uomo beato.
Molti segni e prodigi infatti Dio continuamente
mostrava per mezzo del suo servo Filippo11 e, quantunque
si disprezzasse profondamente, tuttavia da tutti era tenuto
in altissima considerazione.
5. Mentre andava in giro ovunque con sollecitudine per la questua, una volta che era di ritorno con un compagno da Firenze e s’era fermato in un ospizio lungo la
strada, il servo di Dio si incontrò con un chierico intri10 Anche qui un evidente anacronismo. San Pietro da Verona, domenicano, predicatore contro gli eretici, fu a Firenze tra il 1244 e il 1245. Questo incontro è
stato reso possibile in quanto la Legenda ha retrodatato l’anno di nascita di san
Filippo che nel 1244/45 avrebbe 21/22 anni.
11 At 2, 43.
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gante, il quale si unì a loro discutendo di molti argomenti letterari. Il compagno dell’uomo di Dio, pur essendo presbitero, non conosceva le scienze grammaticali e perciò
quel chierico si mise a offendere i frati. Vedendo ciò, l’uomo di Dio Filippo rimase sconcertato e, aprendo la bocca,
discusse con lui di molti argomenti di grammatica e quanto il chierico con il suo fare intrigante aveva loro domandato fu lui a spiegarlo al posto del compagno12. E riprendendo il cammino verso il convento, disse al suo confratello: «Ti prego, padre, di non dire ad alcuno che io so qualcosa». Ma quello, una volta separatisi, non volle, per disposizione divina, tener nascosta la cosa, ma davanti ai frati e ai secolari si adoperò a darne pubblicità.
6. In quel momento era loro guida uno che era
chiamato Totubonus, il quale, avendo sentito tutte queste
cose e verificato la verità del fatto, fu riempito di immensa gioia e ordinò che fosse ordinato presbitero, anche contro la sua volontà.
Divenuto presbitero, il servo di Dio Filippo subito si mutò in meglio. Quanto egli sia stato fedele, misericordioso ed equilibrato, quanto sapiente, umile e generoso e perseverante nelle avversità, nessuno potrebbe essere
mai in grado di raccontare. Sempre l’uomo di Dio, in perfetta obbedienza, pregando e cantando il salterio, stava ora
in cella, ora nell’orto, ora in chiesa. Fuggiva la compagnia
dei secolari e soprattutto delle donne «che sono – diceva –
per i religiosi messaggere dell’inferno». Abitualmente cominciava la salmodia dei profeti dalla compieta e tutta la
notte la recitava a voce sommessa e di giorno invece la canNella recensione “vulgata” della Legenda la scoperta della scienza di san
Filippo avviene durante un viaggio verso Siena (n. 8) e gli interlocutori sono due
frati domenicani provenienti dalla Germania.
12
296
FONTI AGIOGRAFICHE
tava a voce spiegata. E non dava al corpo il cibo preparato
per il pranzo se prima non aveva offerto al Signore il sacrificio della lode di tutti i salmi. Quando incombeva la necessità del sonno, l’uomo di Dio raramente dormiva su un
morbido pagliericcio; ma stendeva più spesso le membra
del suo corpo sulla terra, su legno o pietra; e levandosi appena fosse finito il tempo del sonno, cantava il salterio.
Sempre dunque o pregava o leggeva o istruiva utilmente i
frati.
7. Dopo che il loro padre Totusbonus venne chiamato dal Signore, riunito il capitolo, i frati elessero Filippo
priore generale, anche se più di una volta s’era rifiutato13.
Divenuto generale, guida e padre di tutto l’Ordine, subito
acceso da carità, intraprese a girare per le province, e a tutti
si mostrava non come padre dell’Ordine, ma come servo
di tutti; era conosciuto come operaio. Infatti ai tribolati
dava la dolcezza del conforto, agli infermi la medicina
della salute, agli affamati di cibo la sazietà, ai poveri e ai
bisognosi se stesso senza risparmio. Era così ben voluto da
tutti che su quanti lo vedevano scendeva la luce della grazia divina. E parlando alleviava da ogni tribolazione provocata da disgrazia e miseria.
8. Aveva senza dubbio in sé lo spirito di profezia
perché qualsiasi cosa dicesse, come se fosse un angelo del
Signore, subito accadeva. Trovandosi a Cesena, in una delle sue visite all’Ordine, l’uomo di Dio era seduto nel chiostro. Ed ecco un ragazzo fu sorpreso dall’ortolano a rubare nell’orto: bastava per ritenerlo un poco di buono e un
maleducato. L’ortolano l’aveva portato nel chiostro per spogliarlo e picchiarlo. L’uomo di Dio, vedendo il ragazzo, lo
13 Qui sembra che san Filippo venga eletto priore generale subito dopo la morte
di Totusbonus. In realtà egli è stato il quinto priore generale dell’Ordine.
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abbracciò con gioia dicendo all’ortolano: «Fratello mio,
non lo toccare perché è buono e sarà tuo priore nel nostro
Ordine». E avvenne così e si chiamò fra Bartolomeo da Cesena, buona e degna persona14. L’aveva profetizzato l’uomo
di Dio.
9. Il beato Filippo viaggiava verso Firenze con due
suoi compagni, Sostegno15 e Girolamo da Cesena. Era inverno e si trovavano in mezzo agli Appennini. L’uomo di
Dio disse ai compagni: «Figli, andate pure un po’ avanti;
io vi seguirò perché sempre su questa strada ho una forte
febbre». Mentre quelli andavano avanti più velocemente,
gli venne incontro un lebbroso nudo, il cui aspetto deforme faceva paura a tutti: chiedeva l’elemosina ma non riceveva alcun aiuto. Al servo di Dio Filippo che si avvicinava
il lebbroso, nudo e infermo, disse: «Padre, abbi pietà di
me». Egli allora si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si tolse subito la tonaca bianca16, come era sua abitudine, la mise addosso al lebbroso e lo baciò17. E appena
ebbe in-dossata la tonaca, il lebbroso in quel momento
stesso fu mondato e liberato da ogni sua infermità.
Quando vide che era guarito 18, fu pieno di gioia e stando
in piedi esclamò a gran voce dicendo: «Davvero, padre, tu
sei un apostolo di Dio che mi hai guarito da ogni mia
È il beato Bartolomeo da Cesena (1260ca.-1335ca.). Paolo Attavanti, nel
Dialogus de origine Ordinis (1465ca.), dà un riassunto di quella che potrebbe
essere una primitiva legenda del beato.
15 Sostegno è un frate assai documentato, appartenente al gruppo degli iniziatori dell’Ordine. Il suo nome è entrato nelle liste posteriori dei Sette Fondatori,
ma non si trova nella lista più antica che è quella dell’Attavanti.
16 Quella che si portava sotto la tonaca nera. Cf. cap. XII (L’abito) delle
Costituzioni antiche.
17 Probabile influsso dell’agiografia francescana: Tommaso da Celano, Vita prima, 17 (in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 424).
18 Lc 17, 25.
19 At 5, 12-16.
14
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FONTI AGIOGRAFICHE
malattia»19. Alle grida di lui i due frati tornarono indietro,
e l’uomo di Dio disse loro: «Dio abbia pietà di voi, fratelli! Perché siete tornati?»; e dicendo questo profondamente
turbato, aggiunse: «Vi ordino di non dire nulla finché io
sarò in vita». Ma essi, allontanatisi, riferirono queste cose
ai frati di Firenze.
10. Una volta, in cui il beato Filippo si trovava a
Firenze e i suoi frati, assediati da un’estrema povertà, non
avevano in convento neanche un po’ di pane e per questo
mormoravano e si lamentavano, l’uomo di Dio, temendo
che i frati cadessero nel pericolo della mormorazione e con
le loro lamentele esagerate offendessero il Creatore, diceva
loro benevolmente consolandoli: «Fratelli miei, non fatevi
del male mormorando; siamo infatti figli di santi nelle cui
viscere non è inganno. Dovete infatti pensare nei vostri
cuori, fratelli, che Dio non abbandona quelli che sperano
in lui. Infatti se uno, lasciando il mondo, vive piamente,
giustamente e castamente, poiché piace a Dio, da lui viene
nutrito, come è scritto: l’uomo ha mangiato il pane degli
angeli 20, cioè se è un servo fedele. Al profeta Daniele, che
stava nella fossa dei leoni senza cibo, non ha forse trasportato dalla Giudea, in un momento per mezzo di un angelo, un profeta con il pasto e ha saziato il suo servo affamato? Non ha forse saziato i nostri santi padri nel deserto per
quarant’anni, senza fatica da parte loro, con la dolcezza
della manna celeste? Così anche voi, fratelli, non dovete
avere alcun timore; infatti lo stesso Dio ha detto: non vogliate pensare dicendo: che cosa mangeremo e che cosa
berremo? Il Padre celeste sa quello di cui avete bisogno 21.
Preparate dunque la tavola, fratelli miei, nel nome del Signore ed ecco subito verrà a visitarvi con una abbondanza
20 Sal
21 Mt
78, 25.
6, 31-32; Lc 12, 29-30.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
299
di cibo». Essi eseguirono le disposizioni date e san Filippo
corse a pregare in cella. Mentre l’uomo di Dio pregava con
lacrime, dopo aver chiuso la porta della cella, e ancora non
era stata completamente stesa la tovaglia sulla mensa, arrivò uno sconosciuto davanti alla porta con un carico di
pane bianchissimo e di altre cibarie che furono più che
sufficienti per tutti quasi per un’intera settimana. Essi accolsero volentieri tutte queste cose e mettendole in abbondanza sulla tavola lodarono il Signore. Ma poco dopo i
frati che per comando del santo uomo erano tornati alla
porta per chiedere chi fosse o chi lo mandasse, non trovarono nessuno.
11. Arrivato in un convento che doveva visitare,
l’uomo di Dio, devotamente inginocchiato davanti all’altare, fece dapprima l’atto di debita riverenza e poi, tornato al suo posto, ordinò severamente ai frati di non dire ai
secolari che egli era generale. Poi disse: «Domani fra Filippo vada per primo alla questua del pane». E ricevuta la
mattina dopo la borsa o bisaccia, contro il volere dei frati
se ne andò tranquillamente all’elemosina con un frate laico, dicendo: «È degno e giusto che chi in un Ordine religioso mangia il pane, non si vergogni di andarlo a mendicare». Il servo di Dio non si preoccupava del cibo e della
bevanda, se non il mercoledì: in quel giorno rifiutava la
carne. Poiché mangiava poco, era sempre debole. Molte
volte, anche se sedeva a mensa, non mangiava niente, ma
osservando lungo i tavoli i suoi frati, dava parte dei cibi dati a lui agli altri che mangiavano di più. Sempre dava ai
compagni il pane migliore. Per sé teneva sempre pezzi di
pane duro e scadente e null’altro voleva sulla sua tavola se
non cipolla e aglio. In ogni tempo si accontentava dei cibi
del convento e lodava molto chiunque seguiva scrupolosamente questa regola. Cercava vesti e calzature di poco conto: avendo infatti una tonaca bianca e una nera, uno sca-
300
FONTI AGIOGRAFICHE
polare e un mantello, era contento di questi anche in pieno
inverno e spesso dava una parte di questi abiti a poveri e
bisognosi.
12. Durante il suo generalato l’uomo di Dio si
trovò a Cortona. Qui i frati vivevano in una così grande
povertà da non avere in convento né olio né le altre cose
necessarie per le pietanze e mangiavano ormai, come se
fosse il massimo godimento, solo olive con sale. L’uomo di
Dio rimaneva sempre più volentieri là dove vedeva che
c’era maggiore povertà. Spesso infatti faceva la cucina, puliva la chiesa e le stanze; arrivava sempre per primo ai lavori del convento e voleva apparire come l’ultimo di tutti.
Ovunque pregava, perchè tutti i giorni recitava il salterio
o con le labbra o nel cuore. L’uomo di Dio, mentre pregava in cella, il più delle volte in ginocchio, fu visto dai frati
elevarsi da terra quasi un cubito.
13. Se nelle sue visite all’Ordine trovava nei conventi qualche frate che soffriva una ingiusta tribolazione o
era disprezzato o povero, subito, abbracciandolo e baciandolo, gli dava la sua tonaca e umilmente pregava il Signore
per lui.
14. Mentre l’uomo di Dio era a Cortona, venne da
lui una donna sposata dicendo: «Padre, ho marito ma da
lui non riesco ad avere un figlio. Perciò ti chiedo che tu
preghi Dio per me». Fatta dunque la preghiera al servo di
Cristo, dal Signore ottenne ciò che chiedeva. Ebbe un figlio e lo chiamò Filippo; questo figlio noi l’abbiamo visto
con i nostri occhi ed è stato lui a narrarci il fatto.
15. Mentre l’uomo di Dio stava andando con i
suoi compagni da Viterbo a Orvieto, vennero una grandine e un tale rovescio di pioggia che dovettero ripararsi in-
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
301
sieme a molti secolari sotto un albero di noce lungo la strada. Mentre stava pregando stando da una parte dell’albero, l’uomo di Dio cominciò a gridare concitatamente: «Andate via, fratelli miei, presto andatevene, perché l’albero sarà colpito in maniera straordinaria». Mentre tutti i frati fuggivano, un fulmine dal cielo si abbattè improvvisamente
sull’albero e come fuoco lo bruciò interamente.
16. L’uomo di Dio giunse poi nei pressi di
Orvieto; i due compagni, cioè Sostegno e Gerolamo, camminavano più avanti. Venne loro incontro una meretrice
che con viso sfrontato li invitava pubblicamente ad andare da lei. Quelli, da uomini religiosi, la respinsero lontano
dicendo: «Non c’è niente tra noi e te, donna! Vattene via
subito da noi perché non amiamo i fornicatori». Quella allora, come meretrice senza pudore, alzatasi velocemente va
verso l’uomo di Dio dicendo: «Padre, vi piace la mia persona?». Ed egli, da santo, risponde: «Sì, figlia mia». Quella
allora: «Vieni da me!». San Filippo risponde: «Voglio prima
farti un regalo». E togliendosi la tunica gliela diede dicendo: «Accetta questo regalo, figlia, insieme alla forza dello
Spirito Santo, per non peccare più». E dicendo ciò l’uomo
di Dio si allontanò. Quella poi, mentre se ne andava, indossò la tunica e subito fu trasformata e pianse amarissimamente i suoi peccati. Lasciò la sua vita di fango e si recò
al convento dei frati chiedendo dell’uomo di Dio. Appena
arrivò, gli si gettò ai piedi chiedendo perdono dei grandissimi peccati e ricevuta da lui la penitenza visse giustamente e santamente in una cella e ricca di buone opere morì
felicemente in pace.
17. Con assiduità l’uomo di Dio visitava personalmente l’Ordine e cercava di mantenere tutti al più alto
grado di santità con la dottrina della sapienza, gli esempi
e molti aiuti; molte volte, anche, mentre era in viaggio, si
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FONTI AGIOGRAFICHE
toglieva la tonaca e prendeva con sé altre cose necessarie
che poteva e le dava ai bisognosi e ai poveri. Ogni anno nel
capitolo generale, piangendo e lamentandosi, rifiutava la carica. Amava molto nel religioso il profumo della castità, la
virtù della fede e il continuo esercizio dell’ufficio ecclesiastico. Ricordando sempre queste cose ai fratelli, si offriva
come esempio a chi era disposto ad accoglierlo. Spesso, trovandosi solo in viaggio, in tempo di siccità e di fame, fatta
prima una preghiera, otteneva dal Signore pane e acqua
per i bisognosi e i poveri, come s’è venuto a sapere dai suoi
compagni che riferivano queste cose ai frati. Di sé l’uomo
di Dio non diceva nulla di buono e quando gli altri lo lodavano era solito dire: «Chiunque qui sia stato vero servo
fedele di Cristo, sia amato da Dio e incoronato in cielo».
18. Quando fu convocato al concilio sul Rodano22,
il beato Filippo mandò avanti tre frati perché preparassero
il necessario per l’accoglienza; tra questi fra Avito, santo e
buono, morì lì. Quattro giorni dopo arrivò l’uomo di Dio;
questo frate defunto gli venne incontro alla porta e davanti a tutti benevolmente lo salutò, baciandogli la mano. Poi,
ritiratosi, non comparve più. Questo miracolo, che fu visibile agli occhi di tutti, l’uomo di Dio lo attribuì alla virtù
di quel frate.
19. Dava a molti infermi rimedi per la salute, purificava i lebbrosi, dava la luce ai ciechi, cacciava i demoni e
sempre comandava che non l’andassero a propagandare.
22 È
il II concilio di Lione (ecumenico XIV), 7 maggio-17 luglio 1274. Il 23°
decreto di questo concilio conferma le disposizioni restrittive del concilio
Lateranense IV (1215) riguardo la fondazione di nuovi Ordini, approva, tra i
Mendicanti, solo i Predicatori e i Minori, e lascia in sospeso la sorte dei Carmelitani e degli Eremiti di sant’Agostino e rende precaria quella dei Servi di
Maria.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
303
20. Mentre si trovava a Todi, durante la calamità
della carestia, il beato Filippo, sostenuto dalla fede, dava
da mangiare a tutti i bisognosi e i poveri; infatti dal pane
che riceveva a tavola, e che pure era in piccola quantità, ne
sottraeva sempre un pezzo e recandosi alla porta lo dava a
bisognosi e poveri. Se infatti trovava frutti o altre cose commestibili o anche cavoli nell’orto, li tagliava con un coltello e, correndo alla porta, li dava ai bambini poveri.
21. Quando fra Lamberto da Prato23 era a Todi
durante il capitolo generale, fu colpito da una improvvisa
malattia al punto da perdere ogni attività sensoriale. I frati
informarono l’uomo di Dio che subito venne, preparò una
vivanda, la benedisse e gliela mise in bocca. Davanti agli
occhi di tutti subito fu sanato.
22. Circa l’anno del Signore 1285 il beato Filippo
era a Todi, che è posta al confine del ducato della valle
Spoletana: allora l’uomo di Dio aveva quasi 62 anni. Disse
in segreto a fra Ubaldo da Borgo che presto egli avrebbe
deposto il suo corpo e si sarebbe separato da loro. E ottenne da lui che fosse presente al momento del suo transito,
e di questo lo ringraziò.
23. Poiché la curia romana a quel tempo era a
Rieti, lì si diresse l’uomo di Dio dal sommo pontefice per
raccomandargli il suo Ordine24. Qui si ammalò e comandò
23 Lamberto da Prato è tra i “socii” del priore generale Lotaringo da Firenze, successore di san Filippo. È priore a Siena tra il 1291 e il 1293, e a Siena è di nuovo
presente tra il 1315 e il 1316. Intorno al 1300 è priore a Cortona. È priore provinciale di Romagna e tra il 1304 e il 1306 è penitenziere del vescovo di
Bologna. Muore nel 1324.
24 In realtà la curia si trova a Roma, dove il papa Onorio IV (Giacomo Savelli),
eletto a Perugia il 2 aprile 1285, si è recato alla fine dello stesse mese.
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FONTI AGIOGRAFICHE
ai frati di portarlo a Todi, dove, pur soffrendo una lunga
infermità, rendeva sempre a Dio infinite grazie. Non si
dava pensiero del letto e del cibo. Quanto i frati gliel’ offrivano, lo prendeva benedicendo Dio.
24. Un giorno, mentre era in cella con il suo servitore, messosi a sedere sul letto disse: «Portami il salterio,
figlio mio, per cantare le litanie». E quello di corsa gli portò
il salterio; e il padre insieme al ragazzo cominciò devotamente a proclamare i sette salmi25 con le litanie. Arrivati a
“Noi peccatori ti chiediamo, ascoltaci”, il beato Filippo venne subito rapito in spirito e posto fuori di sé: divenne nero
e deforme come un morto. Il ragazzo, atterrito, scappò via
di là e andò a riferirlo ai frati che in quel momento stavano pranzando. Alzatisi rapidamente da mensa e correndo
con pianto e grande lamento lo trovarono sul letto come
morto, brutto, nero e deforme. I frati lo assistevano in pianto da quasi tre ore, quando giunse fra Ubaldo da Borgo26
che, pur lontano, era venuto a conoscere la morte del santo uomo tramite la rivelazione di un angelo di Dio che gli
era apparso.
Mentre tutti erano in preghiera davanti all’uomo
di Dio, il suo spirito riprese vita. Aprendo nello stesso tempo gli occhi e la bocca, con le mani alzate al cielo, egli benedisse Dio e, alzatosi a sedere tra le braccia di fra Ubaldo,
ottenuto il silenzio, disse ai frati con viso gioioso: «Fratelli
miei carissimi, sono stato poco fa in grande lotta con il nemico antico del genere umano che mi accusava di molte
cose per potermi condannare con lui nella geenna del fuoco eterno. Ma da lui mi ha strappato il nostro Signore Gesù Cristo e la beatissima vergine Maria. E mi hanno mo25 I
sette salmi penitenziali sono: 6, 32, 38, 51, 102, 130, 143.
b. Ubaldo da Borgo Sansepolcro, secondo la tradizione posteriore, sarebbe
morto a Monte Senario nel 1315 ca.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
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strato in cielo l’incorruttibile e ineffabile corona della mia
gloria». Dopo aver ricevuto tutti i sacramenti, parlò loro
facendo un bel discorso, esortandoli all’umiltà, alla pazienza e alla carità. Terminate queste cose, disse ad alta voce
«Sia lodato Dio». Poi sottovoce aggiunse: «Nelle tue mani,
ecc.» 27. E così dicendo il suo volto divenne luminoso come
il sole e quell’anima santa, pervasa da un profumo dolcissimo, tra le braccia dei frati, sciolta dal corpo, riposò nella
pace il 22 agosto.
[Miracoli]
25. Poiché i frati volevano tenere nascosta la sua
morte, venne una voce dal cielo che in mezzo alla città disse: «Correte presto, perché san Filippo è andato dal Signore». Allora successe che i bambini andassero in giro per la
città gridando e annunziando a tutti la gloriosa sua nascita. Tutti accorrevano al convento dei Servi per i miracoli
che faceva. L’intera città di Todi, illuminata dal Signore,
era divenuta più bella. Molti, paralitici, ciechi, senza forze
e zoppi, sono guariti e moltissimi lebbrosi mondati.
26. Quando i frati a furor di popolo dovettero portare il corpo santissimo in chiesa, ecco che la figlia di un tale
Paolo, paralitica e afflitta da lungo tempo da molte altre infermità, venne posta al di sotto del feretro, e subito guarita.
27. Per la loro povertà i frati non avevano neanche
un letto dove collocare il misero corpicciolo del santo.
Allora un vicino, preso dall’ardente amore di Cristo, prestò loro un letto e per questo Dio subito dopo fece molti
segni e prodigi. Infatti, divampato un incendio, tutta la
sua casa venne bruciata dal fuoco, tranne il letto che per i
meriti del santo uomo rimase intatto.
26 Il
27 Sal
31, 6.
306
FONTI AGIOGRAFICHE
28. Mentre era in vita san Filippo aveva portato ai
piedi delle pianelle di giunco che poi lasciò in dono ad un
suo amico secolare. Ogni ammalato che le toccava riacquistava la piena salute.
29. C’era una vedova di Todi, a cui era morto l’unico figlio nello stesso giorno (della morte del santo). Sentendo i miracoli che Dio mostrava davanti a tutti tramite
il suo santo Filippo, invocandolo con lacrime e pianti diceva: «O venerabile padre, beato Filippo, a cui Dio ha concesso così grandi favori, vieni in mio aiuto, io che sono
una vedova abbandonata, e ridammi vivo il figlio mio e io
te l’offrirò per sempre». Cose mirabili a sentirsi! Mentre diceva questo, il fanciullo, che era morto, subito si levò, vivo
e sano, gridando e dicendo ad alta voce: «Mamma, ho visto san Filippo che mi strappava dalla rovina della morte e
mi ordinava di ritornare vivo nel corpo». Quella allora, ringraziando immensamente, adempì quanto aveva promesso e alla chiesa del beato Filippo donò il fanciullo insieme
a molti doni.
30. Nello stesso tempo una donna di Todi, sentendo suonare le campane nella chiesa dei Servi per i miracoli che vi accadevano, diceva denigrandolo: «Forse che
sarà santo questo frate che mangiava carne e beveva vino?». Mentre diceva così, la sua lingua si seccò e, fattasi
orribile, la donna cadde a terra come morta. Ma pentita e
battendosi il petto, chiedendo perdono venne portata al
sepolcro del santo uomo e subito fu liberata.
31. Nel medesimo tempo nel contado di Todi un
demonio per la bocca di una indemoniata, scongiurato di
uscire di lì, gridava dicendo: «Non uscirò, non uscirò se
non vedrò il sepolcro del beato Filippo». Portata al suo
sepolcro, agitando il capo qua e là, diceva: «Ohi, ohi, ecco
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
307
vedo san Filippo che chiede a Cristo di cacciarmi dal corpo». Poi diceva: «O san Filippo, perché mi perseguiti?» e
dicendo questo davanti a tutti lasciò libera la donna.
32. Uno dell’Ordine dei frati Minori, sentendo
parlare dei miracoli che il Signore operava per mezzo del
suo santo Filippo, dopo aver chiamato tutti, diceva calunnie contro il santo di Dio e molte parole offensive. E mentre diceva loro queste e simili parole, la sua bocca e la sua
faccia si girarono verso la schiena e provò grandi dolori.
Subito pentitosi e fatto un voto al santo dietro consiglio di
buoni frati, portandosi devotamente al suo sepolcro, fu
totalmente liberato.
33. Nel contado di Todi c’era un uomo che dalla
nascita non aveva mai visto la luce del cielo. Sentendo dalle folle che tornavano i segni e i prodigi che il Signore faceva per mezzo del suo santo Filippo, con tanta fede gridava
a gran voce dicendo: «San Filippo dell’Ordine dei Servi della beata Maria vergine, che hai curato i paralitici, hai mondato i lebbrosi, hai raddrizzato i deformi, hai dato la luce
ai ciechi, hai risuscitato i morti e hai esaudito tutti quelli
che ti invocano, ascolta ora, o padre, la voce del tuo servo
e sii buono con me peccatore per quel vero e sincero amore con cui hai amato il nostro Signore Gesù Cristo, salvatore di tutti, e dammi la luce dei miei occhi». Dette queste cose, gli apparve visibilmente san Filippo che, toccandogli gli occhi, gli restituì perfettamente la luce. Quello,
contento e ringraziando, andò di corsa alla sua chiesa e,
mostrando i segni della guarigione, a tutti parlò del fatto.
34. Un nobile milite di Todi, mentre correva a cavallo per la piazza, cadde da cavallo e rovinò a terra. Gli amici e i vicini, con pianti e grida, lo alzarono da terra come morto, con la testa rotta e il corpo pieno di ferite. Lo
308
FONTI AGIOGRAFICHE
portarono devotamente al sepolcro dell’uomo beato. Appena ne ebbe toccato le reliquie, fu completamente guarito.
35. Un uomo di Foligno, zoppo e anche paralitico, venne a Todi al sepolcro del santo uomo e gridando
nella sua chiesa: «San Filippo, abbi pietà di me», subito fu
liberato davanti a tutti e, lasciate lì le stampelle su cui si
appoggiava, con gioia fece ritorno alla sua casa e raccontò
a tutti le grandi cose che il santo di Dio gli aveva fatto.
36. Ci fu una donna a Todi che soffriva una terribile infermità: per tutto il giorno con le mani e con grida
doveva cacciare dalla sua faccia mosche e vespe. Non trovando in verità requie e tormentata da questi mali, fu portata al sepolcro dell’uomo santo e appena toccò nella chiesa dei frati le sue reliquie, fu immediatamente liberata da
ogni infermità. Amen.
[Traslazione]
37. Al tempo della sua traslazione28, quando i frati
presero il sarcofago in cui era stato posto il santissimo corpo da una parte della chiesa per collocarlo in modo più onorevole in un’altra parte della medesima chiesa, avvenne
che anche tutte le immagini che erano in chiesa si girassero verso il preziosissimo corpo e, inchinandosi in atteggiamento supplichevole, miracolosamente lo pregassero.
38. Nello stesso giorno tutta la città di Todi fu riempita di un odore soavissimo proveniente dalle sue sacre reliquie e avendo di nascosto i frati aperto il sepolcro, fu avvertito chiaramente da tutti quelli che accorrevano dalla città.
28 È
la traslazione del giugno 1317.
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
309
39. E infatti cinque ciechi fin dalla nascita, dopo
aver toccato le sante reliquie, riacquistarono subito la vista
nella meraviglia generale. Il figlio di una vedova, morto in
quel medesimo giorno, portato al suo sepolcro, subito venne risuscitato. Anche molti paralitici, zoppi e infermi, mentre pregavano in chiesa nel giorno della sua traslazione, furono guariti. Quanti infatti, infermi e deformi, venivano al
sepolcro dell’uomo di Dio, tornavano alle loro case sani e
contenti, ringraziando infinitamente Dio.
40. Bambini poi gridavano di vedere con i propri
occhi san Filippo e dicevano di vederlo sopra la chiesa.
41. Migliaia e migliaia di rondini, più bianche della
neve, nello stesso giorno vennero sulla chiesa e cantavano
con i frati le lodi del Signore. Erano angeli di Dio apparsi
a lode e gloria di lui, perché tutti sapessero sulla terra quanto grandi fossero i venerandi meriti del gloriosissimo santo.
42. Un frate dell’Ordine dei Minori soffriva di un
intollerabile mal di testa. Venne al suo sepolcro, toccò le
reliquie e fu totalmente liberato.
43. Un incendio era divampato nel borgo di san
Marco di Todi e senza rimedio tutta la città era bruciata
dalla fiamma del fuoco. I frati presero la tonaca di san Filippo e la portarono con molta riverenza su un’asta contro
il fuoco. Il fuoco, fuggendo velocissimamente, fu estinto e
da allora non ricomparve più.
44. Una donna di Todi da molto tempo pregava
san Filippo da sola e con l’aiuto di altre persone religiose
perché le ottenesse un figlio dal Signore Gesù Cristo. E
poiché non lo otteneva, giorno e notte piangeva e si lamentava del santo di Dio. Perciò il santo Filippo le appar-
310
FONTI AGIOGRAFICHE
ve nella stanza mentre stava vegliando e pregando e le disse: «Mi hai invocato per questo, ma non mi pregare più,
perché non piace a Dio che tu l’abbia». E così dicendo
scomparve. Bisogna allora credere che questo non sarebbe
stato utile alla sua anima.
45. Nello stesso tempo della sua traslazione, il
padre di un ragazzo di Spoleto che era morto affogato nell’acqua, sentendo i miracoli che allora avvenivano a Todi
nella chiesa di san Filippo dell’Ordine dei Servi, lo invocava in pianto dicendo: «O padre santissimo, beato Filippo, aiutami subito perché il dolore per il mio figlio mi fa
morire». Mentre diceva ancora così, il fanciullo vomitò acqua dalla bocca e subito si alzò vivo e camminava sano e
salvo di qua e di là contento, per i meriti dell’uomo beato.
46. In occasione del capitolo generale di Venezia
dei nostri frati nell’anno del Signore 1322, intorno alla
Pentecoste, 12 frati del nostro Ordine si trovarono in pericolo in mare. Due di questi, i frati Giovanni e Simone
da Todi, uomini di buona reputazione, ce ne hanno dato
testimonianza. Anche se nella tempesta, che li stava travolgendo, invocavano tutti i santi e le sante di Dio, non
fu loro di nessun aiuto; ma i remi si erano spezzati e le
vele lacerate ed essi erano sballottati da grandi ondate in
mezzo al mare. Vedendosi ormai agli estremi, uno di loro, alzandosi e riprendendo coraggio, disse: «Invochiamo
fratelli la nostra guida, san Filippo, perché ci liberi da questo pericolo di morte, poiché mai finora ha abbandonato chi lo invoca con fede». A queste sue parole, tutti umilmente si mettono in piedi, invocando a gran voce san
Filippo. Cosa stupenda a sentirsi! Alle loro grida san Filippo appare visibilmente nell’aria sopra la nave in cui si
trovano: e immediatamente sono messi in fuga i tuoni
della tempesta e i venti, e tutto il mare si fa calmo e tran-
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO. “PERUGINA”
311
quillo. Liberati così dal pericolo della morte, innalzarono
lodi al Signore.
47. Nell’anno del Signore 1326 c’era a Firenze un
ragazzo novizio dei nostri frati. Colpito da elefantiasi, da
nessun medico riusciva ad essere guarito. I frati presero la
bianca tonaca del santissimo padre Filippo che lì conservano come un grande tesoro, ne rivestono il ragazzo e
subito questi è guarito per i meriti dell’uomo beato.
Molti altri segni e prodigi Dio fece ovunque per i
meriti dell’uomo beato, che non sono stati scritti in questa legenda. Queste cose sono state scritte a lode di Dio 29.
Amen.
29 Cf.
Gv 20, 30-31.
4
LEGENDA DEL BEATO
GIOACCHINO DA SIENA
introduzione
La Legenda del beato Gioacchino da Siena (12581306) descrive i tratti salienti della santità di un frate laico
(non sacerdote), entrato nell’Ordine dei Servi a 14 anni,
nel 1272, e qui vissuto per 33 anni.
L’autore è un confratello che ha conosciuto personalmente il beato ed è stato testimone oculare delle semplici espressioni di un’anima contemplativa in pace con
l’intero creato. Gli uccelli si lasciavano prendere facilmente dal beato ed egli, quando li lasciava andare, lodava il
Creatore di tutte le cose: “anch’io – afferma l’autore della
Legenda – che redigo questo racconto, attesto di averlo visto”(n. 15). Chi sia questo autore, è impossibile dirlo: certamente non fra Cristoforo da Parma, autore della legenda
del beato Francesco da Siena, che ha un altro stile e un
diverso impianto teologico-spirituale.
La Legenda del beato Gioacchino presenta la vita di
un frate la cui fede è intrisa di pietà mariana. Una pietà
che si traduce in umiltà e obbedienza, preghiera ininterrotta, profonda partecipazione alle sofferenze del prossimo, affettuosa e delicata comunione con i fratelli della co-
314
FONTI AGIOGRAFICHE
munità. La morte è il suggello finale di un amore che ha
trasformato il santo frate nel Cristo sofferente e glorioso.
Il giorno prima, giovedì santo, fra Gioacchino partecipa
alla cena del Signore e condivide con i fratelli un po’ di
vino, accettato come sollievo alla sua debolezza ma divenuto ormai il memoriale della “carità” di cui l’eucaristia è
fonte (n. 18).
Che la sua morte sia avvenuta proprio il venerdì
santo (n. 18) è un luogo comune attestato largamente nella agiografia medievale; esiste però un documento che convalida il dato della Legenda. In una lettera, indirizzata dal
priore e dai frati del convento senese ai membri del Consiglio della Campana del comune di Siena, per chiedere la
partecipazione delle pubbliche autorità alla festa annuale
del beato, si dice che questa è celebrata “ogni anno, il
lunedì dopo la risurrezione del Signore”. Ciò vuol dire che
la celebrazione liturgica della morte del beato non è legata al giorno del mese in cui è avvenuta, ma è variabile come la data della Pasqua. La festa del beato, che non poteva essere celebrata nel triduo pasquale, è spostata al lunedì
di Pasqua, vale a dire nel primo giorno libero dopo il venerdì santo. Né la Legenda né altri documenti contemporanei si sono preoccupati di precisare il giorno esatto della
morte del beato Gioacchino, che rimane così legata al venerdì santo.
Cinque anni dopo la sua morte, secondo la Legenda, inizia la serie dei miracoli che ne incrementano il culto. La fama del beato raggiunge altre città toscane e, oltre
l’Appennino, Bologna e Forlì.
I quattordici miracoli “dopo morte” sono elencati
in appendice alla Legenda e devono aver formato un tutt’uno con essa fin dall’inizio. La redazione dell’intero scritto
(Legenda e miracula) va posta intorno agli anni 1330-1335.
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
315
Edizioni
- La Legenda del beato Gioacchino è in un unico codice apografo trecentesco della Biblioteca Vaticana (Vat. Lat. 10.187). Nel Settecento il
codice si trovava nella biblioteca del convento di S. Giacomo a Foligno,
dove venne copiato da fra Callisto M. Palombella.
- La Legenda è stata edita due volte da P. SOULIER: in Analecta Bollandiana, XII, 1894, p. 383-397, sulla copia del Palombella; in Monumenta
OSM, V, Bruxelles 1902, p. 7-18, sul manoscritto della Vaticana.
- Una traduzione italiana, a cura di F. M. FIORETTO e E. M. BEDONT, è
pubblicata in “Studi Storici OSM”, 8 (1957-58), p. 164-170, con introduzione di P. M. SUÁREZ (p. 162-163) e note di A. M. DAL PINO, e ripresa in Due beati senesi: legende trecentesche dei beati Gioachino e Francesco, Vicenza 1965, p. 9-20 (Panis Servorum, 7).
Bibliografia
- A. M. DAL PINO, Note iconografiche sul B. Giovacchino da Siena e la
sua “Legenda”, “Studi Storici OSM”, 8 (1957-58), p. 156-161 (descrizione di una lastra di marmo bianco, conservata nella pinacoteca di
Siena, con tre episodi della vita del beato – il suo ingresso in convento; il miracolo della mensa rovesciata; il miracolo del cero rimasto in
piedi) –, resto dell’arca in cui furono conservati, fino al primo quarto
del Trecento, le spoglie del beato nella chiesa di S. Maria dei Servi a
Siena). L’articolo è riprodotto, con aggiornamento bibliografico, in F.
A. DAL PINO, Spazi e figure lungo la storia dei Servi di santa Maria
(secoli XIII-XX ), Roma 1997, p. 527-537.
- P. M. SUÁREZ, Spiritualità mariana dei frati servi di Maria nei documenti agiografici del secolo XIV, “Studi Storici OSM”, 9 (1959), p. 132133 e passim; 10 (1960) p. 1-41.
- P. M. Suárez, Gioacchino da Siena, in Bibliotheca Sanctorum, VI,
Grottaferrata di Roma 1965, p. 476-478.
- A. VAUCHEZ, Ordini mendicanti e società italiana XIII-XIV secolo, Milano
1960, p. 194-205 (specialmente p. 195, 197-200).
316
FONTI AGIOGRAFICHE
TESTO
COMINCIA LA VITA E LA LEGENDA
DEL BEATO CONFESSORE GIOACCHINO
DELLA NOBILE CITTÀ DI SIENA
DELL’ORDINE DEI FRATI
SERVI DI SANTA MARIA VERGINE
1. GIOACCHINO nacque nella città di Siena da genitori di nobile famiglia1. Quando era ancora bambino e frequentava la scuola, concepì una speciale devozione verso la
beata Madre di Dio. Qualsiasi cosa potesse prendere di nascosto dalla casa paterna, nel nome di lei2 l’elargiva sempre a
tutti coloro che per Suo amore gliela chiedevano. Quando
poi tornava a casa all’ora di pranzo, saliva le scale salutando
ad ogni gradino la Vergine gloriosa: così che tante volte la salutava quanti gradini saliva. Fin dall’inizio una pianta di
Dio3 comincia a manifestare la sua bontà: era un ragazzo di
indole così perfetta da dimostrare con chiari segni di amare
anzitutto l’onore della Vergine gloriosa; e a tutti appariva già
quasi un santo e come prevedendo il futuro tutti dicevano:
«Se questo fanciullo vivrà, sarà un grande santo».
2. Giunto all’età di quattordici anni, il santo fanciullo vide in sogno la beata Vergine che, circondata da
schiere di angeli e rivestita di un abito splendente, lo chiamava e gli diceva: «Figlio dolcissimo, vieni a me; so bene
con quanto amore mi ami, e perciò ti ho scelto per sempre
1 Fino al Seicento famiglia del beato sono stati considerati i Pelacani; poi, quando questi si sono estinti, i Piccolomini.
2 Nella vita di un Servo, in questo caso di un futuro Servo di Maria, ogni azione acquista carattere mariano, anche un semplice gesto di misericordia.
3 Cf. Sal 92, 13-14.
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
317
al mio servizio»4. Destatosi dal sonno, il santo fanciullo si
sentì infiammato dalla visione di così eccelsa Vergine e decise fermamente di entrare nell’Ordine dei Servi di lei. I genitori lo intuirono e, poiché erano attaccati più ai beni materiali che a quelli del cielo, cercarono di frapporre ostacoli a
questo felice proposito. Pensavano di mandarlo in qualche
posto lontano, perchè, stando lì per un certo tempo, si dimenticasse del progetto.
3. Appena il fanciullo, pieno com’era di Spirito
Santo, lo venne a sapere, corse subito a rifugiarsi nel convento dei frati Servi della beata Maria5 e chiese la grazia di
entrare nell’Ordine. Si trovava allora nel convento senese
quella luce fulgidissima che fu il beatissimo confessore Filippo, generale dell’Ordine6, padre davvero di grande santità. Egli lo accolse e gli chiese con quale nome volesse chiamarsi. Il fanciullo allora, tutto ardente di devozione alla
Vergine, chiese per amore di lei di chiamarsi Gioacchino
perché, assumendo il nome del padre della beata Maria, a lei
rimanesse sempre unito con tutta la sua persona. Prima, nel
mondo, si chiamava Chiaramonte.
4. Entrato dunque nell’Ordine, il servo di Dio
Gioacchino si dedicò totalmente a una vita di profondissima umiltà: nonostante la nobiltà della famiglia e l’età
ancora adolescente, amava svolgere, come se fosse già adulto, tutti i lavori più bassi e gli incarichi di poca importanza. Sapeva soffrire con chi era nel dolore7, serviva i malati
4 Due termini del diritto feudale, obsequium (atto di obbedienza al signore o
sovrano) e mancipium (atto giuridico che dà il diritto formale di proprietà su un
oggetto o una persona), servono a descrivere il significato del nome di “servi di
Maria”. Cf. LO, nn. 18 e 21.
5 La fondazione del convento di Siena risale al 1250.
6 S. Filippo Benizi era stato eletto priore generale nel capitolo del 1267.
7 Rm 12, 25.
318
FONTI AGIOGRAFICHE
e rendeva loro personalmente, con una dedizione estrema,
servigi umilissimi che ad altri ripugnavano.
5. Amò anche in modo speciale l’obbedienza e la
chiamava cibo dell’anima, secondo la parola del Salvatore:
Mio cibo è fare la volontà del Padre che è nei cieli 8. Un giorno, per ordine del beato Filippo, alcuni fratelli laici stavano
portando via, a spalle, la terra dal chiostro. Giunsero improvvisamente alcuni nobili insieme a Bernardo, allora per grazia
di Dio vescovo di Siena9. I fratelli laici, pieni di vergogna,
lasciarono le ceste e si ritirarono; quel beatissimo ragazzo,
invece, che si era unito a loro nel lavoro di trasporto, anche
se non era stato espressamente chiamato, rimase solo e alla
loro presenza continuò a portare la cesta finché ebbe terminato da solo il compito che ad altri era stato ordinato.
6. Dal beato Filippo fu poi inviato di famiglia nel
convento di Arezzo10. Era lì già da un anno, quando gli
capitò di trovarsi in cammino per il territorio di Arezzo
insieme a fra Acquisto d’Arezzo11, uomo di grande fama.
Era sopravvenuta ormai la notte e la pioggia cadeva abbondante. Trovarono allora riparo in un ospizio, dove un infermo giaceva oppresso da una grave e lunga malattia.
Il beato Gioacchino lo sentì lamentarsi per il dolore e gli disse: «Abbi pazienza, fratello, perché questa tua
malattia sarà per te causa di salvezza». E questi: «O buon
frate, è facile esaltare la malattia, ma come è diverso averla!».
E Gioacchino gli rispose: «Allora io prego Dio onnipotente
perché ti liberi da questa malattia e ad essa sottoponga me,
suo servo: non possa io liberarmene se non con la morte, e
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
così portare sempre nel mio corpo la pazienza di Cristo»12.
L’infermo fece un balzo dal letto: era perfettamente guarito. Gioacchino invece venne subito colpito, sul posto, da
epilessia, da cui fu afflitto oltre misura per tutto il tempo
della sua vita. Fu per lui come una corona di martirio.
7. In seguito accadde che nel giorno dell’Assunzione della beata Maria, mentre svolgeva l’ufficio di suddiacono13 nel convento di Arezzo, alla presenza di tutti i
frati e del vescovo della città, all’elevazione del sacratissimo Corpo del Signore, venne colpito dalla malattia. Lasciò il cero acceso che teneva in mano e cadde a terra. Ed
ecco sopraggiungere un angelo del Signore, come religiosamente si deve pensare, e tenere il cero dritto fino a che
non venne preso dalla mano di un altro; e il cero acceso restò dritto fino a che il sacratissimo Corpo non venne deposto sull’altare.
8. I frati del suo convento di Siena, sentito che egli
era ammalato, ottennero dal generale il permesso di mandarlo a prendere, perché ricevesse cure migliori nella sua
terra natale. Fece ritorno dunque al convento di Siena. Un
giorno stava pregando davanti all’altare, ed ecco che alcuni frati, che erano in coro, videro sul suo capo una fiamma, e temendo che fosse caduta su di lui da un cero o da
qualche candela accesa, si precipitarono verso di lui. Ed
ecco, meraviglia mai sentita nel mondo, videro la fiamma
trasformarsi come in un globo rotondo, salire in alto e
subito scomparire alla loro vista. Allora, pieni di stupore,
innalzarono lodi a Dio onnipotente.
12 2Ts
8 Gv
4, 34.
9 Bernardo divenne vescovo di Siena il 24 maggio o il 2 giugno 1273.
10 La fondazione del convento aretino è degli anni 1263-65.
11 Sarebbe ancora vivo nel 1320.
319
3, 5; 2Cor 4, 10; Col 1, 24.
da intendere come il ministro (accolito) che aveva il compito di tenere
con la destra il cero acceso all’elevazione dell’ostia. L’uso di elevare l’ostia consacrata, di tenere acceso un cero e anche di suonare una campana, è introdotto
nella liturgia verso la fine del secolo XII.
13 Qui
320
FONTI AGIOGRAFICHE
9. Un giorno ancora, entrato in refettorio con gli
altri frati all’ora del pranzo, fu, a tavola, colto dal male; e
subito la tavola, che non era fissata a terra, si rovesciò con
tutti i recipienti e le stoviglie. Ed ecco un altro miracolo
inaudito: neanche un recipiente si ruppe e i cibi non si
sparsero e non si versò una goccia di vino o di acqua. E allora i frati cominciarono a pensare che fosse davvero un santo.
10. Un’altra volta ancora, dopo aver salmeggiato
tutto il giorno camminando lungo la carbonaia situata
sopra il fossato della città, qui fu chiuso inavvertitamente
da colui che teneva le chiavi, e vi rimase tutta la notte. Era
il mese di dicembre e la neve cadde tutta la notte. Messosi
in ginocchio, con le mani alzate al cielo, non riuscì più dal
gran freddo a muovere le gambe e alzarsi da terra, perché
le ginocchia per il gelo si erano come confitte nel suolo. Il
mattino dopo fu sollevato dai frati; ma, una volta alzato,
non si accorse di alcun male.
11. C’era un indemoniato, in preda a un tale furore che a mala pena poteva essere trattenuto con funi:
quando era invaso da questo furore spezzava ogni cosa14.
Trascinato a fatica da molti uomini al convento dei frati,
gridava: «Nessuno di voi ce la farà a farmi uscire». Allora
il priore del convento, di nome fra Adriano15, che era presente con molti frati, fece chiamare il beato Gioacchino e
lo pregò che in nome di Dio comandasse al demonio. Ma
egli si rifiutava decisamente di farlo, dicendo: «Ma io sono
un grande peccatore». Alla fine, poichè il priore glielo impose, si avvicinò all’indemoniato dicendo: «Ti ordino, o
14 Mc
5, 3-4; Lc 8, 29.
fra Adriano compare nel registro di entrata e uscita del priore generale fra
Lotaringo da Firenze nel 1290 (Monumenta OSM, II, p. 141). Fra Adriano fu
priore del convento senese nel 1297 (Monumenta OSM, V, p. 10, nota 1).
15 Un
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
321
demonio, in nome di Dio, di uscire e di non tormentare
più questa creatura». E all’istante con un grande grido se
ne uscì e lasciò quell’uomo come morto16. Dopo essere
rimasto a terra per un’ora, si alzò sano e libero e da allora
il demonio non lo tormentò più.
12. C’era anche un laico devoto, di nome Pagno17,
così rovinato nella parte inferiore del corpo da aver un
abbassamento di intestini. Si recò da Gioacchino a supplicarlo di pregare con insistenza per lui. Questi dapprima si
rifiutò, stimandosi indegno di tale cosa, ma alla fine, vinto
dalle suppliche, segnò la parte malata con il salutare segno
della croce. E nello stesso giorno Pagno si trovò guarito.
13. Anche un frate del nostro Ordine, religioso
assai buono, di nome Andrea da Castel della Pieve18, era
molto spesso violentemente tormentato da un male al fianco. Venutosi una volta a trovare per caso a Siena, qui ebbe
a soffrire un attacco particolarmente acuto del male. Supplicò il beato Gioacchino di pregare per lui. E questi, mosso da carità e compassione, pregò per lui e subito il male
lo lasciò e non ebbe più a soffrire per tale infernità, benché vivesse ancora per più di trent’anni.
14. Una sua zia paterna, inoltre, molto religiosa,
gli presentò un giorno una ragazza assai bella, ma sofferente di un gonfiore alla gola che la deformava non poco,
e lo pregò di tracciare con le sue mani il segno della croce
sulla gola della fanciulla. Allora egli fece il segno della
croce secondo la richiesta della zia e la fanciulla, ritornando a casa, si trovò perfettamente guarita.
16 Mc
9, 26.
Pagno Bruni appare in un documento senese del 3 dicembre 1298 (Monumenta OSM, V, p. 10, nota 2).
18 Oggi Città della Pieve.
17 Un
322
FONTI AGIOGRAFICHE
15. Fu inoltre di così grande contemplazione che
talvolta teneva gli occhi fissi al cielo e, come se già si trovasse in cielo, non scorgeva quelli che gli stavano attorno
e non sentiva affatto quando lo chiamavano. Anche gli uccelli gli obbedivano e si lasciavano sempre prendere da lui.
Poi, mentre li lasciava andare, lodava il Creatore di tutte le
cose19. E quello che dico riguardo agli uccelli fu ripetutamente visto da molti, e anch’io, che redigo questo racconto, attesto di averlo visto. Nessuno lo vide mai ozioso.
16. Nel medesimo tempo, per un attacco della sua
malattia cadde per le scale e, feritosi gravemente al capo,
perse molto sangue. I frati mandarono subito a chiamare
il medico perché lo curasse. E il medico venne per approntare le cure del caso. I frati andarono a prenderlo nella sua
cella, ma lo trovarono che stava lodando il Signore a braccia aperte e con volto radioso. Dalla grazia divina era già
stato guarito, ma essi, che non lo sapevano, lo portarono
dal medico il quale, non riscontrando alcun segno di ferita, disse: «Ma quest’uomo non sta male». E allora i frati
resero grazie al Signore.
17. Piacque poi all’Altissimo onorarlo di un’altra
corona. Lo colpì infatti un’altra malattia: in alcune punti
del corpo la carne marciva fino alle ossa e ne uscivano vermi di continuo. Per quanto gli fu possibile, tentò di nasconderla. Grande fu il dolore dei frati quando se ne accorsero. Essi lo supplicavano di pregare per sé, perchè quei
mali lo lasciassero. Ed egli rispose: «Fratelli carissimi, ciò
non mi conviene, perché questa infermità purifica i miei
peccati e fortifica l’anima, secondo la parola dell’Apostolo:
Quando sono debole, è allora che sono più forte»20.
19 Influssi dell’agiografia francescana. Cf., per esempio, Tommaso da Celano,
Vita seconda, cap. 126 (in Fonti francescane, p. 687).
20 2Cor 12, 10.
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
323
18. Si approssimava il tempo della sua morte, come il Signore gli aveva rivelato. Egli pregò l’Altissimo perché lo chiamasse nel giorno in cui il Salvatore partì da questo mondo. E alla vigilia del suo distacco dalla terra, ai frati che si erano radunati per la Cena del Signore così disse:
«Fratelli carissimi, sono stato con voi trentatré anni, quanti il Signore ne trascorse in terra. Ho ricevuto da voi molti
servigi e mi avete assistito con premura in tutte le mie
necessità. Non sono in grado di ringraziarvi per quanto ho
ricevuto; vi ringrazi il Signore Gesù Cristo e vi ricompensi per tutti i servizi che mi avete prestato. Io domani partirò da voi; ma vi prego di supplicare per me il Signore
perché si degni di accogliere anche me peccatore nella sua
dimora. Prima della mia partenza voglio fare con voi un
gesto di carità». E allora bevve con essi un po’ di vino21.
19. Tutti i frati, in verità, pensavano che egli parlasse così perché fuori di sé. Ma il venerdì santo, mentre
stava per iniziare il canto della Passione del Signore, mandò
a chiamare il priore e gli disse: «Reverendo Padre, fra poco
il Signore mi chiamerà da questo mondo; riunite intorno
a me i frati e datemi i sacramenti della Chiesa, benché ieri
abbia ricevuto con voi il sacro Corpo, e così non vada via
da voi senza vedervi».
Ma il priore, che non prestò interamente fede alle
sue parole, ma neanche le sottovalutò del tutto, gli lasciò
vicino quattro frati. Egli, immerso in continua preghiera,
mentre si cantava la Passione del Signore, alle parole «chinato il capo, emise lo spirito»22, alzò gli occhi in alto e davanti ai frati rese lo spirito all’altissimo Creatore23.
21 Questo vino, condiviso con la comunità, allude certamente all’eucaristia,
che è un “fare la carità” con i fratelli. Al paragrafo seguente si ricorda esplicitamente l’eucaristia di questo giovedì santo presa insieme: “benché ieri abbia
ricevuto con voi il sacro Corpo”.
22 Gv 19, 30; Mt 27, 50.
23 Sulla morte del beato il venerdì santo, cf. Introduzione.
324
FONTI AGIOGRAFICHE
20. La notizia arrivò ai frati che erano in chiesa. Al
termine dell’ufficio, si recarono tutti insieme alla sua cella.
Trovatolo già morto, baciarono quel beatissimo corpo e gli
prestarono degne esequie e al secondo giorno lo seppellirono reverentemente in chiesa. E lasciando a Dio il compito
di rivelare la sua santa vita e i miracoli compiuti, tacquero
le sue meraviglie. Sarebbe stato il Signore, nel tempo da lui
fissato, a manifestare il tesoro nascosto nel campo24; e allora le moltitudini dei bisognosi ne avrebbero tratto quel giusto vantaggio che scaturisce dal dono del Signore nostro
Gesù Cristo. A lui onore e gloria nei secoli dei secoli.
[Miracoli]
21. Il beato Gioacchino morì nell’anno del Signore 1305; nel 1310 il Signore cominciò tramite lui a
mostrare cose mirabili.
Questo fu il primo miracolo cinque anni dopo la
sua morte. Moltissima gente era convenuta nel mese di
maggio per l’indulgenza di san Galgano25. Vicino al fuoco, poichè era abbastanza freddo, si cominciò a parlare
della vita e dei miracoli del beato Ambrogio da Siena26 e
del beato Pietro Pettinario27 e di uomini buoni defunti che
la gente aveva conosciuto ed erano vissuti al suo tempo.
Allora uno prese a fare grandi elogi del beato Gioacchino
e ad esaltarlo al di sopra di tutti, esprimendo la sua grande meraviglia per il fatto che il Signore non faceva mira24 Mt
13, 44.
Galgano da Chiusdino, eremita a Montesiepi, morto il 3 dicembre 1181.
A lui è intitolata l’abbazia cistercense di S. Galgano, a circa 33 chilometri a sudovest di Siena.
26 Ambrogio Sansedoni, domenicano (1220-1286), famoso predicatore senese.
27 Pietro Pettinaio, oriundo di Campi nel Chianti, sposato, terziario francescano,
aveva bottega di pettini a Siena. Morì nel 1289. Per i beati Sansedoni e Pettinaio
cf. A. VAUCHEZ, Ordini mendicanti e società italiana XIII-XIV secolo, p. 194-201.
25 San
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
325
coli tramite lui. C’era lì seduto con loro un converso28 che
aveva una gravissima malattia, quella che volgarmente è
chiamata inguinaria. L’inguine era gonfio e si era formato
un ascesso notevole. Poichè il giorno dopo quest’ascesso
sarebbe stato inciso dal medico, aveva una gran paura.
Ascoltando perciò il racconto della vita santa e piena di
miracoli del beato Gioacchino, rivolse a lui la sua mente e
la sua preghiera e fece questa promessa: «O padre santo
Gioacchino, se è vero quello che ho sentito di te, prega
Dio onnipotente perché in me incominci a mostrare i tuoi
miracoli; e io ti prometto di farne propaganda e di offrirti un’immagine di cera con la mia immagine». Quando il
giorno dopo arrivò il medico per l’incisione e tolse i panni,
si scoprì che quello era stato liberato in maniera così perfetta, come se il male non ci fosse mai stato. Allora il converso, portando con le proprie mani l’immagine di cera,
venne al convento e dichiarò il miracolo avvenuto.
22. Dopo questo, nel giorno santo di Pentecoste29,
mentre fra Nicola da Siena predicava nel chiostro dopo
nona, fu portata una donna impossessata dal demonio. Il
predicatore stava parlando del miracolo sopra ricordato,
quando il demonio per bocca della donna cominciò a gridare con forza e a dire: «È ora venuto il tempo della mia
uscita e della liberazione di Cristianella». Al termine della
predica, accorse una gran folla di gente, poiché questa indemoniata era molto conosciuta. I frati scongiuravano lo
spirito cattivo di dire perché gli altri santi, al cui sepolcro
si era recato, non fossero riusciti a cacciarlo; quegli rispose: «Perché il Signore ha riservato a questo santo tale miracolo ed è piaciuto fare così alla divina sapienza». Richiesto
28 Conversi
erano detti religiosi laici, vincolati a tutti gli obblighi fondamentali
della vita religiosa, eccetto l’ufficio liturgico, o anche gli oblati e le oblate conventuali, per i quali cf. indice analitico.
29 Cioè il 7 giugno 1310.
326
FONTI AGIOGRAFICHE
inoltre di dire il segno della sua uscita, disse: «Quando me
ne andrò, spezzerò la lampada e lascerò Cristianella come
morta». E così avvenne. E in maniera assolutamente prodigiosa la donna, che era semplice e illetterata, parlava perfettissimamente senza errori di grammatica. Aggiunse inoltre il demonio: «Toglietele tutti i panni di dosso, e tagliatele tutti i capelli e attaccateli, in segno del miracolo, davanti alla tomba del santo; altrimenti ho il potere di rientrare in lei». E così fu fatto.
23. Un uomo, che stava passando tranquillamente
per una strada, venne colpito da una pietra caduta dall’alto e rimase gravemente ferito. Copricapo e capelli si confondevano nel sangue che usciva abbondante. Il dolore per
il colpo della pietra era fortissimo. Con tutta la devozione,
di cui fu capace, invocò il beato Gioacchino. Fu subito
mandato a chiamare un medico; questi arrivò ma non trovò alcun segno di ferita, se non il capo e il berretto insanguinati. Allora l’uomo fece attaccare il berretto con la pietra alla tomba del beato e portò anche un’immagine di
cera della sua grandezza.
24. A Siena, nella contrada detta Pantaneto, un bimbo di sei anni andava con un pezzo di pane in mano e se lo
mangiava cammin facendo, come fanno i bambini. Un cane, che s’era trovato sulla sua strada, gli strappò il pane da
mano. Il bimbo, nel ritrarre la mano, fu morso dal cane che
gli strappò, con il pane, anche un dito. Il padre e la madre
del bambino, che avevano assistito alla scena, dopo aver
fatto medicare la ferita, invocarono il beato Gioacchino
con tutta la devozione del loro cuore. L’indomani, venuto
il medico per curarlo, trovò che era spuntato nuovamente
un dito intatto. Il primo infatti era stato totalmente troncato. Allora i genitori, piangenti, portarono il bimbo alla
tomba del beato e vi fecero attaccare un dito d’argento.
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
327
25. Nella parrocchia di san Salvatore a Siena un tale aveva una botte di vino puro e ottimo che intendeva vendere per le sue necessità. Invitato dagli amici ad andare alla
festa del beato Gioacchino, disse: «Non vengo, non voglio
andare alla festa di uno sciocco che i suoi frati, per far soldi, dicono santo; piuttosto stamattina voglio metter mano
alla botte e incominciare a vendere il mio vino». Ma quando incominciò a tirarlo fuori, uscì un vino completamente torbido come feci e di sapore acidulo e sgradevole, mentre prima era stato limpido e di buon sapore. Allora l’uomo, molto confuso per il fatto che la botte era grande e di
notevole valore, si ricordò delle stupide parole che aveva
detto contro il santo, offrì il vino al beato Gioacchino: se
fosse tornato alla limpidezza e al sapore di prima, avrebbe
dato ai frati una lagèna di un paio di litri e a lui una botticcina di cera. Ed ecco il miracolo! Il giorno dopo il vino
tornò a una limpidezza e a un sapore maggiori di prima.
Allora l’uomo, tutto contento, ringraziò Dio e mantenne
in pieno il suo voto.
26. Un contadino, che stava passando per il bosco
di Lecceto, si imbatté in una serpe grande e nera. Si era nel
mezzo dell’estate e la serpe avanzava senza paura con il capo levato. Il contadino allora con il bastone che aveva in
mano colpì la serpe sul dorso; ma questa si scagliò contro
di lui, gli diede un terribile morso alla gamba e nella ferita iniettò il veleno. Il contadino fece ritorno a casa, e la gamba incominciò a gonfiarsi. Egli era devoto del beato Gioacchino, perché un suo parente era stato liberato da febbri
per i meriti di lui. E promise al beato che, se l’avesse guarito, gli avrebbe offerto una gamba di cera secondo le sue
possibilità, poiché era povero. Addormentatosi, vide un
frate con l’abito dei Servi che gli diceva: «Fammi vedere la
gamba e te la guarirò, perché sono san Gioacchino che tu
hai invocato». E mentre gliela toccava, si svegliò e si trovò,
328
FONTI AGIOGRAFICHE
lui che s’era addormentato infermo, perfettamente sanato.
Ringraziò allora Dio e mantenne il voto.
27. Una donna aveva un figlio solo, di tre anni,
che amava moltissimo. Dovendosi recare in chiesa, lasciò
il figlio a letto addormentato. Il figlio, svegliatosi dal sonno, e trovandosi solo cominciò a piangere. Volendo uscire
dal letto, cadde a terra e si ruppe il braccio destro. Al ritorno dalla chiesa, la madre, entrando in casa, sentì il pianto
del bimbo e accorrendo da lui lo trovò a terra mezzo morto. Lo alzò da terra e lo mise a letto, mandando a chiamare un medico. Poiché temeva che il marito, allora in viaggio, trovando al ritorno il figlio così ridotto fosse molto
addolorato per la cattiva custodia fatta del fanciullo, promise al beato Gioacchino che, se avesse guarito il figlio
prima del ritorno del padre, gli avrebbe offerto un’immagine di cera della grandezza del figlio. Il giorno dopo,
quando venne il medico, il braccio era già così saldato
come se mai ci fosse stata la frattura.
28. Un cavaliere, di nome Guglielmo, si trovava a
Siena quando il beato Gioacchino incominciò a fare miracoli; cacciato con i compagni dal comune di Siena, venne
assoldato a Bologna. Stando a Bologna, aveva un grosso
cavallo che non tollerava il freno e si difendeva con calci e
morsi. Un giorno, poichè non poteva essere tenuto dallo
scudiero, egli stesso prese il morso e si avvicinò al cavallo
per metterglielo. Ma il cavallo con un calcio colpì Guglielmo al petto che cadde a terra quasi morto. Il medico,
che era venuto, dichiarò che la maggior parte delle costole erano rotte. Il cavaliere si ricordò allora dei miracoli del
beato Gioacchino che aveva visto quando era a Siena. E
subito con intensa devozione promise che, se l’avesse liberato, avrebbe offerto al suo altare una statua di cera raffigurante il cavallo e se stesso sul cavallo. Incominciò subi-
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
329
to a migliorare e in pochi giorni si trovò perfettamente
ristabilito; e quello che aveva promesso al santo, lo adempì
fedelmente.
29. Nella città di Forlì un nostro frate aveva predicato al popolo sui miracoli di san Gioacchino e il popolo
aveva cominciato a sentire una grande devozione verso il
beato. Pochi giorni dopo ci fu nella piazza del comune una
grande rappresentazione di giochi all’asta. Un bambino di
cinque anni, nipote del signor Giacomo della Porta, era
con molti altri bambini alla finestra a guardare; sventato
come tutti i bambini, si sporse troppo, precipitando dalla
finestra con la testa in giù. La finestra era alta da terra circa
trenta bracci30. La folla, che era accorsa in aiuto del bambino trovò che era caduto in piedi leggero come una piuma. La madre del bimbo, infatti, che stava a un’altra finestra, vedendolo cadere, invocò il beato Gioacchino, perché
era stata alla predicazione in cui il nostro frate aveva parlato dei miracoli di lui. Chiesero al fanciullo come si sentisse ed egli rispose: «Bene, perché un frate dell’Ordine dei
Servi, con una corona assai splendente in capo, mi ha preso mentre cadevo e mi ha posto dolcemente in piedi a terra». Allora il nonno del fanciullo, il signor Giacomo, persona religiosa e di buona fama, volle far dipingere solennemente il beato Gioacchino in tre luoghi della città e fece
attaccare davanti al suo altare a Siena un’immagine di cera.
Con tutta la sua famiglia fu per sempre devoto del beato
Gioacchino.
30. Nel contado di Arezzo un tale di nome Bartolo, che in quei giorni era stato a Siena, aveva sentito parlare dei miracoli e della vita del beato Gioacchino. Un
giorno, avendo deciso di tagliare un albero, alzò incauta30 Un
braccio equivale a circa mezzo metro.
330
FONTI AGIOGRAFICHE
mente la scure e se la diede sul piede sinistro. La ferita,
profondissima, gli forò il piede per tutta la sua lunghezza,
fino a terra. Sentendo un dolore lancinante per il colpo
che si era dato, gridò dicendo: «San Gioacchino, aiutami».
E mentre preparava l’asino per andare in città a farsi curare, sentì che il dolore del piede era scomparso del tutto; e
mettendo il piede a terra, vide che poteva appoggiarsi su
di esso. Si tolse allora la grande fasciatura che sua moglie
aveva applicato con stoppa e bianco d’uovo. E trovò la ferita completamente rimarginata e perfettamente guarita. Era
rimasta però, da una parte e dall’altra, una cicatrice, credo
come segno del miracolo. Allora con molti della sua contrada venne a Siena, raccontò ai frati il miracolo e i frati ne
fecero fare un documento pubblico. Fece appendere davanti al sepolcro, in dimensione abbastanza grande, l’immagine di cera della gamba con il piede.
31. Un bambino di sei anni, che voleva raccogliere dei fiori sopra una fossa di acqua, sporgendosi troppo,
come fanno i bambini, cadde nella fossa. E non potendosi aiutare, andò a finire in fondo all’acqua e lì rimase per
un’ora buona. La madre del fanciullo passò di lì e si stupì
di vedere l’acqua insolitamente torbida. Rimase a guardare per un po’ di tempo, quand’ecco l’acqua, come succede
quando qualcuno vi annega, fece emergere un bambino.
Vide che era suo figlio e diede un grande urlo. Il padre del
bambino, che stava lavorando nell’orto, accorse, tirò fuori
il figlio che da tutti fu ritenuto morto. Allora egli con sua
moglie lo offrì al beato Gioacchino. Per più di un’ora il
bambino rimase senza respiro e vita. Incominciò poi a muovere un po’ la testa e, messo a terra dal padre con la testa
in giù, rimise molta acqua e quel giorno ricuperò la salute
di prima. Allora il padre e la madre portarono il bambino
al convento dei frati e resero grazie al beato Gioacchino.
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
331
32. Nella città di Firenze, un tale di nome Lippo,
della fraternità dei Servi31, era molto rovinato nelle parti
inferiori tanto che c’era stato un abbassamento degli intestini. E poiché soffriva dolori non lievi, promise al beato
Gioacchino di venire a piedi nudi da Firenze a Siena se l’avesse liberato con la sua intercessione, e di mettere una immagine di cera della sua statura e di offrire una lampada per
il Corpo di Cristo. Alzatosi la mattina, si trovò perfettamente liberato e non ebbe più a soffrire di quella infermità, vivendo ancora per più di venti anni. Da lì venne a piedi fino
a Siena e adempì fedelmente quanto aveva promesso.
33. Nella città di Massa Marittima un tale era stato
catturato in seguito a false accuse contro di lui e condannato alla decapitazione. Mentre si trovava in carcere con la
profonda tristezza di essere stato ingiustamente condannato, gli venne in mente il beato Gioacchino e perciò molte
cose che di lui aveva sentito a Siena: nei giorni della festa
del beato Gioacchino era stato infatti a Siena, in un albergo in borgo s. Maurizio. E così, ricordatosi dei miracoli di
cui aveva sentito parlare, promise devotissimamente che,
se per i meriti del beato Gioacchino fosse stato liberato
dalla morte e dal carcere, avrebbe portato i ceppi al suo altare e avrebbe fatto fare un carcere di cera e dentro la sua
immagine. Ed ecco, le guardie, gravate da un sonno profondo, lasciarono aperto il carcere e per volere di Dio si
addormentarono. I prigionieri se ne accorsero e senza alcuna fatica riuscirono ad evadere. Non solo lui, quindi,
ma tutti gli altri. Egli venne allora a piedi nudi a Siena,
portò in mano i ceppi in mezzo alla città fino al convento
31 Lippo appartiene a una compagnia mariana di Laudesi collegata al convento
dei Servi di Firenze, a cui il 4 giugno 1273 san Filippo Benizi invia una lettera
di partecipazione dei beni spirituali dell’Ordine. Cf. A. M. DAL PINO, Madonna
santa Maria e l’Ordine dei suoi Servi nel I secolo di storia (1233-1317 ca.), “Studi
Storici OSM”, 17 (1967), p. 53-55.
332
FONTI AGIOGRAFICHE
dei frati e fece fare un piccolo carcere di cera, come aveva
promesso.
34. Nella parrocchia tenuta dai frati del Tempio
da Camollia32, una donna soffriva di cataratte agli occhi.
E pur avendo ricevuto molte cure da vari medici, era andata peggiorando33. Aveva fatto voti a molti santi e non ne
aveva tratto alcun giovamento. In ultimo fece un voto al
beato Gioacchino: fino allora infatti aveva riso di lui. A
mezzanotte le apparve il beato Gioacchino e le disse: «Mi
conosci?». Quella rispose: «No, signore». E lui: «Sono san
Gioacchino, quello che fino ad oggi tu hai preso in giro.
Perciò, a dire il vero, non saresti degna di ricevere da Dio
la grazia. Ma perché tu sappia che io sono in cielo e non
rida più di qualche santo, ho ottenuto per te dal Signore
la grazia della salute. Alzati dunque guarita e da questo
momento in poi vivi bene». Svegliatasi e vistasi guarita,
ringraziò Dio e si pentì del male fatto; si recò al convento
dei frati e raccontò tutto.
35. Di questo nostro venerabile padre Gioacchino
sono narrate e possono essere scritte molte cose. Queste
sono state scritte a nostra informazione e ammaestramento, perché crediamo e, per intercessione della Vergine e di
lui, abbiamo la vita credendo34 in colui con il quale Dio
vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
32 Questi “frati del Tempio” sono l’Ordine dei cavalieri del Tempio, fondato nel
1118 da Ugo di Payens e da otto cavalieri francesi con lo scopo di difendere
dagli assalti dei briganti i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. Il nome di
Templari deriva dalla loro prima residenza in un’ala della chiesa-moschea di Al
Aqsa sulla spianata del Tempio di Salomone. Si impegnavano alla pratica della
castità, della povertà personale e dell’obbedienza e inoltre a combattere gli infedeli. L’Ordine fu soppresso dal concilio di Vienne nel 1312.
33 Mc 5, 26.
34 Gv 20, 30-31.
5
LEGENDA DEL BEATO
FRANCESCO DA SIENA
introduzione
La Legenda del beato Francesco da Siena (12661328) racconta gli eventi della vita di un frate senese,
entrato nel convento di Siena nel 1288, sedici anni dopo
il beato Gioacchino, e ordinato sacerdote nel 1291.
La visione che apre il racconto sintetizza l’atteggiamento spirituale profondo che ispirò l’esperienza religiosa
del beato Francesco: il giglio, sognato da sua madre in procinto di partorirlo (n. 2), è il simbolo di una vita verginale intesa come dedizione esclusiva al Signore e a colei che
è la Vergine gloriosa o la Regina dei vergini o semplicemente la Vergine. Questa pura luce traspare in ogni gesto
e attività del beato: prima di tutto nel grande amore alla
Parola, ascoltata e annunciata con fedeltà fino all’ultimo
respiro; nella profondità dello sguardo che penetra i cuori
di uomini e donne che in lui trovano un padre e un amico;
nell’accoglienza misericordiosa dei peccatori; nella tenera
pietà verso la Madre di Dio; nella carità verso i poveri e i
diseredati.
La legenda del beato Francesco da Siena è stata scritta da un amico e confidente del beato, fra Cristoforo da
334
FONTI AGIOGRAFICHE
Parma, di convento a Siena prima del 1328, nel 13301331 priore provinciale di Toscana e vicario del priore generale fra Pietro da Todi fino al 31 dicembre 1341. Due
passi della legenda stessa confermano l’identità dell’autore.
Nel primo si racconta che il beato, il giorno prima di morire, affidò al suo confessore l’incarico di trasmettere gli
ultimi fatti prodigiosi della sua vita a fra Cristoforo da Parma, “carissimo padre e figlio mio, al quale altre volte ho
manifestato alcuni segreti” (n. 29); e “a me – dice l’autore della legenda, identificandosi quindi con fra Cristoforo
– riferì (il confessore) quanto ho riportato” (ibid. ). Il secondo brano appartiene alla lunga testimonianza con cui
fra Benedetto “Gerj”, probabile copista e redattore finale
della legenda, entrato nel convento di Siena nel 1341 (n.
58), conclude il primo elenco dei miracoli (nn. 36-55)
avvenuti dopo la morte del beato. “Fin qui – egli dice – ha
scritto la legenda e ha compilato la vita del beato nostro
padre Francesco e ha riportato i grandi miracoli il reverendo fra Cristoforo da Parma, degno vicario del signor
generale del nostro eccellente Ordine” (n. 56). A questa
legenda fra Benedetto aggiunge il miracolo che egli stesso
ebbe all’età di quattro anni presso la tomba del beato
Francesco, nell’agosto del 1329 (n. 57).
Il Soulier, in base a un accenno alla peste del 1348
(n. 25), che imperversò nei paesi europei almeno fino al
1350, colloca la redazione della legenda in un’epoca posteriore, tra il 1355 e il 1360. Al Montagna questa datazione
sembra eccessivamente tardiva: egli ritiene impossibile che
intorno al 1350 possa essere ancora attivo nell’agiografia
servitana un “segretario di fra Pietro da Todi”, morto nel
1344 e già da oltre un decennio in disgrazia presso alcuni
conventi dell’Ordine. La Legenda del beato Francesco andrebbe collocata negli anni in cui fu scritta la Legenda del
beato Gioacchino, quindi tra il 1330 e il 1335. L’accenno
alla peste sarebbe una chiosa del copista e redattore finale,
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
335
identificato con fra Benedetto “Gerj”, che avrebbe potuto
trascrivere e integrare il testo originario dopo il 1348-49,
al limite anche verso il 1374, sotto il governo del priore generale fra Andrea da Faenza, interessato alla conservazione
delle memorie agiografiche delle origini dell’Ordine.
La Legenda del beato Francesco si differenzia da quella del beato Gioacchino per stile e impostazione teologica.
È l’opera di una persona colta, vicina per vari aspetti al redattore della Legenda de origine.
Edizioni
- La legenda del beato Francesco si trova nello stesso codice (Vat. Lat.
10.187, ff. 276v-284v) in cui è trascritta la legenda del beato Gioacchino.
- Una prima edizione parziale, e non sempre corretta, si ebbe nella relativa Positio super dubio: an sententia lata ... super cultu ab immemorabili
tempore, praedicto beato exhibito, seu super casu excepto ... sit confirmanda, Romae, ex Typographia Rev. Camerae Apostolicae, 1743, p. 15-28.
Il Soulier la pubblicò, sulla base della copia del Palombella, in Analecta
Bollandiana, XIV (1895) p. 167-197 e, dopo la scoperta del codice vaticano, ne curò una seconda edizione in Monumenta OSM, V, p. 22-45.
- Una traduzione italiana, a cura di F. M. FIORETTO e E. M. BEDONT,
con note di F. A. DAL PINO, in Due beati senesi: legende trecentesche dei
beati Gioacchino e Francesco, Vicenza 1965, p. 21-43 (Panis Servorum, 7).
Bibliografia
- F. DAL PINO, François de Sienne, bienheureux servite italien, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique, XVI, Paris 1975, col. 766-767.
- D. M. MONTAGNA, Il santorale dei Servi di santa Maria sino a fra Pietro
da Todi (1314-1344). II. Nuova datazione della «Legenda beati Francisci
de Senis», “Studi Storici OSM”, 43 (1993), p. 17-19.
- P. M. SUÁREZ, Spiritualità mariana dei frati Servi di Maria nei documenti agiografici del secolo XIV, “Studi Storici OSM”, 9 (1959), p. 133-134
e passim; 10 (1960), p. 1-41.
- P. M. SUÁREZ, Francesco da Siena, in Bibliotheca Sanctorum, V, Roma
1964, p. 1186-1188.
336
FONTI AGIOGRAFICHE
TESTO
LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO
CONFESSORE DA SIENA DELL’ORDINE DEI FRATI
SERVI DI SANTA MARIA VERGINE
1. DIO, che anticamente aveva parlato più volte e
in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi
ultimi tempi, fratelli carissimi, ha parlato a noi1 per mezzo
del servo suo Francesco, che il Padre di ogni misericordia2
si è degnato di chiamare dalla tenebre allo splendore della
sua luce3, affinché noi, rinnegando l’empietà e i desideri
mondani, come dice l’Apostolo, grandissimo teologo, viviamo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà,
nell’attesa della beata speranza4 e cioè della gloria futura
promessa ai fedeli che corrono nello stadio5. Perciò, carissimi, esporremo in une breve narrazione la felice nascita,
con cui entrò nell’esistenza della natura e della grazia, e il
santo transito con cui, glorioso, ascese alla gloria celeste
per regnarvi eternamente.
2. Il beato padre e fedele testimone di Cristo, Francesco, nacque dunque nella città di Siena, provincia di
Toscana. I genitori, il padre Arrighetto e la madre Rainaldesca, non erano di bassa condizione; e a questa condizione non erano inferiori la fede e la pietà che si manifestaEb 1, 1. La solennità dell’inizio ricorda l’introduzione di alcune delle prime
legendae di san Domenico.
2 2Cor 1, 3.
3 1Pt 2, 9.
4 Tt 2, 12-13a.
5 1Cor 9, 24-25.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
337
vano nella vita, nella testimonianza, in tutto il loro comportamento.
Sua madre, quando ancora lo portava in seno ed
era ormai prossima a darlo alla luce, mentre dormiva come
al solito a fianco di suo marito, sognò di partorire un giglio, le cui radici affondavano nella terra e lo stelo, levandosi in alto, produceva moltissimi gigli. Ella li coglieva con
timore e ne intrecciava una corona sul capo della Regina
dei vergini6. Svegliatasi, ne parlò a suo marito. Non pensava che fosse una visione riguardante il figlio che stava per
nascere. Era certo solo un sogno. Addormentatasi di nuovo, fu illuminata da una visione non meno mirabile. Le
sembrava infatti di trovarsi in una chiesa di meravigliosa
bellezza e di vedere un vescovo rivestito degli abiti pontificali e attorniato da chierici per la celebrazione della messa.
Ella era tutta tremante per il fatto inconsueto, ma il vescovo la chiamava e le diceva: «Donna, non temere. Partorirai
felicemente il giglio che hai visto nel tuo seno: resterà puro
e la sua vita passerà incontaminata tra le impurità della
carne». Detto questo, con la punta del pastorale le impresse sul ventre il segno della croce che dà la vita. Destatasi,
cercò di capire la visione accordatale dal Signore nel modo
semplice di cui era capace e fino alla morte non rivelò ad
alcuno il segreto che le era stato anticipato.
3. Non molti giorni dopo il bimbo dal seno materno uscì alla luce. I vicini si congratulavano con la madre
come se fosse una seconda Elisabetta7 e nel tempo dopo il
parto le davano una buona assistenza con le loro sostanze.
Il bambino venne subito rigenerato con il sacramento del
1
6 Il simbolo del giglio racchiude in sé l’intera vita del beato, in cui rifulge soprattutto la verginità (cf. nn. 6, 8, 9, 14, 27). Per questo la Madre di Dio è chiamata
o invocata come la Vergine gloriosa, la Vergine Madre, la Vergine o anche la Regina
dei vergini.
7 Lc 1, 58.
338
FONTI AGIOGRAFICHE
battesimo. Sollevatolo dal sacro fonte, il padrino consegnò
il bimbo a una ostetrica perché lo fasciasse, e l’ostetrica,
dopo averlo fasciato, offrì il bimbo davanti all’immagine
della Vergine gloriosa. Il bambino, già segnato da celeste
unzione, aprendo gli occhi, fece un balzo8, e con i gesti
propri della sua età cercava di salutare la Vergine gloriosa.
Questi santi inizi del fanciullo, che ancora in fasce era già
tutto pervaso di celeste unzione, facevano intravvedere
quale egli sarebbe diventato9 e quanto grande sarebbe stata
la sua pietà nel sacro giardino della Vergine gloriosa10.
4. Una volta svezzato da sua mamma che gli faceva
anche da nutrice, il bambino Francesco venne affidato a un
precettore per apprendere i primi elementi della scienza, così che, acquisita una sufficiente istruzione, restasse per sempre nel tempio del Signore come un secondo Samuele11.
Prima di compiere dieci anni il fanciullo, che già
era stato colmato di una benedizione speciale ed era pieno
di Dio, perse suo padre. Cominciò a frequentare le chiese,
come ascoltatore assiduo della parola del Signore. E quando riusciva ad afferrare, secondo la capacità della sua piccola mente, una parola o una frase, la ripensava più volte
con intensa e amorosa contemplazione e così riusciva a
conservare nella piccola biblioteca12 del suo cuore i fiori
raccolti da tante frasi.
8 Lc
1, 41.44.
1, 66. Tutto il paragrafo è costruito sul parallelismo tra Giovanni Battista e
il beato Franceco.
10 Una definizione dell’Ordine dei Servi che ne sottolinea la caratteristica di essere proprietà speciale della Vergine, secondo una concezione ricorrente anche
nella LO.
11 1Sam 1, 22ss.
12 L’espressione (qui al diminutivo: armariolum), di ascendenza patristica (cf. ad
es. Girolamo, Lettera 60, 10-8-9) è tipica della letteratura monastica medievale.
L’armarium è la biblioteca del monastero. Il termine si trova anche nella Legenda
“perugina” di san Filippo (ed. Montagna, p. 14-15, 40-42).
9 Lc
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
339
5. Viveva in quel tempo un uomo caro a Dio, di
immensa bontà e santità, il beato Ambrogio, frate dell’Ordine dei Predicatori13: era la gloria del popolo senese per
la vita e la celebrità acquistata soprattutto nelle frequenti
predicazioni. Il bambino Francesco era affascinato dall’eloquenza di questo predicatore illustre. I giochi e i divertimenti puerili, verso i quali spingono spesso l’età e anche la
famiglia, non lo attiravano affatto; più di una volta, al tempo del sacro digiuno, perché non sfuggisse alle sue sante orecchie neanche una parola del predicatore dall’inizio alla
fine, passò le notti vegliando nel cimitero dei frati Predicatori o alle porte della chiesa. Accadde un giorno che, durante una predica al popolo, questo famosissimo frate Ambrogio citasse con molto fervore di spirito una celebre parola detta ad Arsenio: «Arsenio, evita gli uomini e ti salverai»14. Questa parola si radicò in maniera così salda e stabile nel profondo del cuore e della mente di Francesco che
egli, pur così giovane, decise di ritirarsi nelle caverne del
deserto e abbracciare la vita solitaria15. E avrebbe attuato
questa idea se non ci fosse stato l’ostacolo della malattia di
sua madre a cui Dio, per provare l’umiltà e la pazienza del
beato Francesco, aveva tolto la vista. Nel timore di andare
contro le disposizioni e i comandamenti del Signore, curò
sua madre con amore fino all’età di ventidue anni. Fin dalla sua santa infanzia, quindi, era cresciuta con lui una misericordia generosa: manifestava viscere di pietà non solo
verso i genitori, ma anche verso tutti gli infelici, che il sangue di Cristo ha redento.
13 Per
il beato Ambrogio Sansedoni cf. p. 324, note 26 e 27.
Studita, Vita di Arsenio, cap. IV, n. 4.
15 Il desiderio del deserto può essere ancora in linea con il parallelismo tra il
Battista e il beato Francesco.
14 Teodoro
340
FONTI AGIOGRAFICHE
6. Il giovane Francesco si era scelto la Vergine gloriosa come speciale madre e signora16. Esteriormente e internamente le tributava un rispetto profondo, così che gli
era davvero impossibile darle un nome diverso da quello
di Signora. Aveva l’abitudine di inginocchiarsi davanti all’immagine della beata Vergine almeno cinquecento volte
tra il giorno e la notte; recitava l’Ave Maria insieme ad
altre lodi della Vergine e implorava la Vergine gloriosa perché mai venisse reciso il giglio della sua verginità. Chiedeva anche con ardenti suppliche l’umiltà del cuore, la
sapienza nelle avversità e la fortezza nel resistere agli attacchi dell’avversario. Piegava la carne a servire pienamente lo
spirito e quando impetuose passioni lusingavano l’anima,
con parole supplichevoli le stritolava sulla roccia, Cristo, e
la Vergine gloriosa sua Signora. Purificava con lacrime e
sospiri le colpe veniali che talora di nascosto si infiltrano
nella mente; portava inoltre il cilicio sulla carne e con flagelli e percosse domava il suo corpo.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
341
meriti se, con la salutare parola della sua esortazione e con
gli esempi della sua vita, fosse riuscito a strappare dalle
fauci del maligno e incamminare sulla via della santità gli
uomini che andavano come bestie selvatiche per le vie scoscese del mondo e i sentieri tortuosi dei vizi, e le cui anime
erano irretite dall’inganno del demonio.
7. Con la morte della madre il pio giovane Francesco, sentendosi sciolto da tutti i legami con il mondo,
decise di mettere in atto quanto andava pensando in cuore. Si sarebbe ben volentieri ritirato a vita solitaria, dove
servire per tutta la vita il Creatore dell’universo e la gloriosa Vergine sua Signora17, se essi non avessero disposto
altrimenti di lui. Mentre meditava e ruminava frequentemente in cuor suo quella parola “evita gli uomini”, lo Spirito Santo gli fece capire che la colpa sarebbe stata non nelle relazioni con gli uomini, bensì nell’imitazione dei loro
vizi. Anzi, avrebbe acquistato una quantità maggiore di
8. Allora il servo di Dio Francesco capì, secondo
l’oracolo del profeta, che in lui era Dio a parlare. Istruito,
quindi, dal cielo con questo oracolo e con il comandamento divino, si pose alla ricerca di un Ordine religioso
dove sotto l’obbedienza, che è preferibile ai sacrifici e alle
vittime18, spoglio dei suoi averi e senza nulla di proprio,
potesse imitare con maggiore libertà il Cristo povero e la
Vergine gloriosa, e con il fiore della sua verginità e purezza servire in modo più gradito alla Vergine Madre e al
Figlio della Vergine. All’età di ventidue anni Francesco
entrò nell’Ordine dei Servi della Vergine, lui che già era
servo, e fu una scelta felice come poi comprovò l’esito
della sua vita. Ci sono ancora frati e compagni di professione che possono testimoniare a quale vetta di perfezione
egli sia giunto, con l’aiuto del Signore di tutte le virtù.
Quanto a me, chiamo come testimoni Dio e tutti i suoi
santi: nel proclamare le sue virtù non dirò nulla che io
stesso non abbia visto e non abbia saputo dalla bocca del
padre, prima della sua beata morte. E ne farò il racconto
non alla maniera degli adulatori, ma solo nell’intento di
manifestare più veracemente la gloria della divina Maestà
e l’onore dell’intemerata Vergine Maria, la cui protezione
egli implorava di continuo.
16 Cf. LO,
9. Quest’uomo pieno di Dio, dunque, una volta
mi confidò sotto segreto di confessione di non ricordare o
n. 7.
17 Il servizio alla Vergine è strettamente unito al servizio di Dio. Al paragrafo
seguente (n. 8) si dice che Francesco sceglie l’Ordine dei Servi per servire con
una vita verginale la “Vergine Madre e il Figlio della Vergine”.
18 1Sam
15, 22.
342
FONTI AGIOGRAFICHE
conoscere di aver commesso, in cuore o di fatto, alcun grave peccato attuale, dall’infanzia fino alla vecchiaia. E ogni
giorno supplicava con gemiti di dolce implorazione la Vergine gloriosa perché volesse liberare il suo spirito dalla tenda della carne piuttosto che permettere che la sua anima
cadesse nella rete di qualche grave peccato attuale o volontario, e ripeteva spesso la parola di Salomone: “Come alla
vista del serpente fuggi il peccato”19. E se l’anima poteva
essere stata offuscata da qualche macchia veniale, ogni giorno, mattina e sera, egli la rendeva pura immancabilmente
con il sacramento della salutare penitenza.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
343
Israele non potevano fissare lo sguardo sul suo volto che
era divenuto raggiante, perché aveva conversato con il Signore21». Il suo confessore, che aveva sentito queste parole, gli chiese di dire apertamente se mai gli fose stato
rivelato qualcosa. Rispose: «Il mio segreto è mio22. Vuole
proprio essere derubato chi porta un tesoro per la pubblica strada».
L’intelligenza del servo di Dio era così pronta e
l’Altissimo aveva posto sulla sua bocca tanta facilità di
parola che sapeva rispondere subito, senza pensarci, anche
se interrogato all’improvviso e rispondeva alle domande di
tutti in maniera sempre soddisfacente.
10. Dopo meno di tre anni dal suo ingresso nell’Ordine, all’età di circa venticinque anni, fu elevato alla
dignità sacerdotale. Così grande e straordinario era il suo
sentimento di delicato amore verso il sacramento dell’eucaristia da celebrarlo tutti i giorni. Diceva infatti: «Non è
bene che un servo di Dio rimanga qualche giorno senza
viatico, poiché nulla è più incerto dell’ora della morte e
non sappiamo in quale ora il Signore verrà20». Talora, durante la celebrazione della messa, il suo volto si illuminava
tutto di una gioia così intensa e profonda da far pensare
che egli vedesse senza il velo sacramentale la carne del Cristo glorioso. Un frate, che in uno di questi momenti osservò il suo volto gioioso, al termine della messa gli chiese:
«Frate Francesco, che avevate? Che cosa avete visto durante la messa? Sembravate così allegro e felice». Il pio padre
chinò la testa e rispose: «Dio ti perdoni, figlio, per aver
osato guardare la faccia del sacerdote. A nessuno è permesso guardarne il volto, né il sacerdote può guardare
alcuno mentre è alla presenza del sacro Corpo di Gesù
Cristo. Mosè entrava da solo nel Santo dei Santi e i figli di
11. Grande era nel servo di Dio Francesco la cura
nel predicare al popolo la parola di Dio. Il Signore gli aveva dato tale facilità di parola che, anche quando gli veniva chiesto all’improvviso di predicare ed egli quindi non
aveva avuto il tempo di prepararsi, si inginocchiava dapprima davanti all’immagine del Crocifisso o della Vergine
gloriosa, riceveva la benedizione del prelato o di un altro
sacerdote, e poi con abbondanza spezzava al popolo il pane della parola e spiegava, in maniera più che soddisfacente, la parola di vita. E poiché alcuni frati si meravigliavano
molto della sua scienza, delle sue risposte e dell’improvvisazione nell’annunciare la parola di Dio senza alcuna previa lettura, decisero di metterlo alla prova. Frate Francesco
fu chiamato improvvisamente dal priore che gli impose di
salire subito sul pulpito e predicare la parola di Dio al
popolo che stava aspettando con impazienza. Ricevuta la
benedizione, si avviò verso la chiesa, ripetendo spesso il
saluto angelico e aggiungendo: «Il Signore sia nel mio cuore,
19 Sir
21 Es
20 Mt
21, 2.
24, 42.
22 Is
34, 29.
24, 16 LXX e Vg.
344
FONTI AGIOGRAFICHE
ecc.» 23. Un frate, che lo seguiva in silenzio, gli domandò
come mai osasse predicare senza alcuna preparazione. E
lui: «È il Signore che dà la sapienza, dalla sua bocca provengono ricchezza e gloria»24. E aggiunse: «Se qualcuno
ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti con
abbondanza e senza recriminazioni25; non sai che la Nostra Signora è la piena di grazia?». Ciò detto, salì sul pulpito e predicò più brillantemente del solito. I frati ringraziarono Dio.
Sono i farisei a stupirsi della dottrina del Signore e
a meravigliarsi di Pietro e Giovanni e della conoscenza che
essi hanno della legge, pur essendo illetterati26. Così alcuni si meravigliavano della predicazione del servo di Dio;
quando gli veniva chiesto come facesse a predicare dal momento che non aveva appreso tale scienza, guardava il cielo
e diceva: «Non l’erudizione, ma l’unzione; non la scienza,
ma la coscienza; non la carta, ma la carità insegna la teologia».
2. Un giorno, mentre stava predicando con particolare fervore la parola di Dio, due vergini, venute assieme
alla sua predica, furono allietate da un identico prodigio.
Come poi separatamente e insieme riferirono al loro confessore, videro scendere un globo di fuoco sulla testa del
servo dell’Altissimo, Francesco, mentre stava predicando
con grande fervore al popolo. Dopo essersi fermato un po’
sulla testa, lo videro discendere sulla spalla destra, dove
non appariva più un globo di fuoco ma una stella luminosissima che rifrangeva i suoi raggi scintillanti sulle lab-
23 Sono
le parole con cui il sacerdote benedice il diacono o che egli stesso pronuncia prima della proclamazione del vangelo.
24 Pr 2, 6.
25 Gc 1, 5.
26 At 4, 13.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
345
bra di lui. Finita la predica, la stella risalì sulla sua testa e
svanì in forma di giglio candidissimo. Di qui la certa convinzione che un dono abbondante di grazia era stato concesso dall’alto al servo di Dio.
13. Il servo dell’Altissimo, Francesco, aveva inoltre
il carisma speciale del consiglio, per cui ricorrevano spesso
a lui persone d’ambo i sessi e di diversa condizione. Alcuni
frati, invidiosi delle sue opere buone, presero a mormorare dicendo che frate Francesco, con la scusa della confessione, aveva rapporti troppo frequenti con secolari e donne. Quando il servo di Dio lo venne a sapere, si dolse moltissimo di essere stato causa di scandalo e di aver offerto a
qualcuno motivo di peccare. Desiderando dunque scegliere, come Maria, la parte migliore27 e non essere ad altri
causa di scandalo o di peccato, si prostrò dinanzi all’immagine della Vergine gloriosa, offrì tutto se stesso, pregando con intensa devozione: «Madre carissima, Vergine benignissima, Regina dei cieli, Signora degli Angeli, Madre
di grazia e di misericordia, vi prego, Madre dolcissima,
Avvocata dei peccatori, di disporre di me, vostro indegno
servo, sia quanto alle mie azioni che alle mie intenzioni, in
modo di piacervi e di perseverare ancor più fedelmente
nelle vostre riverenze, senza scandalo del prossimo». E
mentre diceva queste cose e chiedeva la grazia, piangeva a
dirotto. Diceva spesso, infatti, che non si deve in questa
vita chiedere alcuna grazia al Creatore e alla Signora del
cielo senza lacrime. Finita l’orazione, si assopì dolcemente
dinanzi all’immagine e udì da questa una voce che gli diceva: «La tua preghiera è stata esaudita». Svegliatosi, mentre
la quiete della mezzanotte avvolgeva tutte le cose28 e i silenzi dell’oscurità erano pieni di mistero, Francesco si alzò
27 Lc
10, 42.
18, 14.
28 Sap
346
FONTI AGIOGRAFICHE
come al solito dal giaciglio senza che alcuno lo svegliasse,
avviandosi con i frati alla preghiera del mattutino; ma, appena questa iniziò, si accorse di non sentire più. Da questo fatto, e cioè dalla perdita dell’udito, il servo di Dio Francesco comprese che la sua preghiera era stata esaudita dal
Signore. E quando i frati, come al solito, lo chiamarono,
mise un dito all’orecchio, indicando in tal modo di aver
perso l’udito. Di questo i frati e i secolari si dolsero moltissimo e avrebbero voluto rivolgersi a un medico, ma il
servo di Dio lo proibì assolutamente. Ai frati che gli chiedevano come mai questa infermità l’avesse colpito così
all’improvviso, rispondeva: «Questo male, che ora ci opprime, ci costringe ad andare verso Dio. Una delle porte
della città è già stata scardinata, perché ci poniamo a cercare con tutte le forze non la città caduca, ma quella permanente e stabile, la città celeste»29.
14. Era pieno di gioia, dunque, il servo di Cristo,
accorgendosi che in lui risplendeva la grazia divina. Da allora, divenuto più fervente nel servizio divino e proprietà
esclusiva della Vergine gloriosa, giorno e notte meditava
sulla legge del Signore30 e sulla bellezza di una vita virtuosa che si dilata e si approfondisce. Che dirvi, carissimi? Non
posso fare l’elogio di ogni sua virtù in particolare. Penso
che a nessuna penna di scrittore riuscirebbe farne un resoconto completo. Mai o di rado, e cioè solo quando era ammalato (intendo dire, gravemente ammalato) stendeva le
sue deboli membra su un morbido giaciglio; si adagiava
invece, mezzo morto, sopra alcune assi o per terra, con un
piccolo cuscino sotto la testa. E quando era colto dal sonno, di notte o di giorno, appena si svegliava correva subito al luogo della preghiera che aveva allestito nella sua cella
29 Eb
30
11, 10.16.
Sal 1, 2.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
347
davanti all’immagine della Vergine gloriosa; e dopo aver
recitato le ore dell’ufficio, continuamente e con una devozione crescente ripeteva l’Ave Maria ed altre lodi della
beata Vergine. Invocava poi la schiera degli angeli e degli
spiriti celesti, il glorioso coro degli apostoli, il venerando
collegio dei patriarchi, dei confessori e dei profeti, l’eletta
schiera dei martiri di Cristo, il puro esercito delle vergini,
e ogni giorno con parole sue esprimeva una speciale riverenza per ognuno di questi ordini. Invitava tutti ad essere
devoti della Madre di Cristo, e si sforzava così di porre sul
capo della Regina dei vergini la corona che era stata mostrata alla madre prima che nascesse.
15. Che dire di più? Molti frati possono ancora testimoniare la sua umiltà. Fu così profondamente e sinceramente umile da ritenersi l’ultimo, non solo rispetto ai
superiori o agli uguali, ma nei riguardi di tutti, anche dei
fanciulli. Venerava i superiori come padri e signori, gli uguali come padri, gli inferiori li riveriva come fratelli carissimi. Se talvolta poi qualcuno, anche inferiore, lo offendeva
con parole ed azioni, come succede tra persone che vivono insieme, pensava di essere stato lui a provocare l’offesa
e, riconoscendo una colpa là dove colpa non c’era, andava
a inginocchiarsi ai piedi del frate, con atteggiamento di
profonda umiltà, e stava lì prostrato finché non veniva costretto a tacere. Si immischiava assai di rado alla compagnia dei frati, a meno che i superiori non lo invitassero
esplicitamente.
16. Con estrema larghezza mostrava la profondità
del suo amore ai frati e al prossimo, senza eccezioni: orfani, bambini, vedove, nonché le persone più infelici e quelle che si trovavano in qualche amarezza di spirito o in qualche pericolo. Spesso infatti si privava persino della tonaca
per sovvenire alle necessità del prossimo. Non ti meravi-
348
FONTI AGIOGRAFICHE
gliare se dico questo: il servo di Dio aveva infatti un generico permesso dai suoi superiori di fare liberamente ciò che
la grazia dello Spirito Santo gli suggeriva. Si presentava
spesso ai signori e alle signore della nobiltà; e ciò che gli
offrivano, o egli stesso chiedeva, lo dispensava con mano
generosa a uomini e donne che si trovavano in povertà e si
vergognavano a chiedere. E diceva che in questo modo si
facevano due opere buone: provvedere al bene di chi dava
e alla miseria di chi pativa la mancanza del necessario.
17. L’uomo di Dio girava continuamente per la città
e a tutti rivolgeva senza stancarsi esortazioni salutari. Fu
mediatore di pace nelle liti e nelle discordie, amorevolissimo
consolatore di chi era schiacciato da disgrazie, così che appena si inseriva come paciere o mediatore tra le parti, queste
riuscivano a raggiungere il bene della concordia.
18. Nobildonne, anziane o giovani, che erano colpite da malattie fisiche, mandavano a chiamare il servo di
Dio. Egli, dopo aver pregato e imposto la sua santa mano
sul capo e talvolta anche sulle parti ammalate, tracciava il
segno della croce salvifica ed esse ricuperavano in pieno il
bene della salute. Un frate, chiamato Pietro da Castello,
mi ha raccontato che una volta ebbe a soffrire atrocemente a un occhio; non si trovavano rimedi e il dolore era come una spina nell’occhio. Pregò allora il servo di Dio,
Francesco, di fare un segno di croce sul suo male; e questi,
la cui bontà era totale non solo a livello emotivo ma anche
nei fatti, disse subito di sì e immediatamente fece sparire
ogni dolore. È inutile poi dire che riceveva con tanta umanità i pellegrini e gli ospiti, da sembrare quasi che li sollevasse da ogni disagio e fatica del viaggio.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
gare gli alimenti necessari31, perché non recalcitri o insuperbisca32, ma solo sia pronto e forte per ogni opera buona. E aggiungeva: «Sappiamo che tutto concorre al bene di
coloro che amano Dio»33.
20. Una volta, mentre il servo di Dio Francesco
stava recandosi per una predicazione al paese di Santa Colomba, in diocesi di Siena, si sentì durante il viaggio assai
stanco: la strada era in salita ed egli era abbastanza corpulento, e faceva caldo. Gli venne voglia di bagnarsi le labbra
con un po’ di vino e acqua. Avvicinatosi a una fattoria,
chiese al fattore dell’acqua e del vino per amore della beata
Vergine. Costui, molto sgarbatamente, disse che non aveva le chiavi della cantina. Allora l’uomo di Dio, che era
piuttosto timido, si allontanò tutto rosso in viso. Ma, dopo essere andato poco innanzi, disse al compagno: «Figlio,
si offende grandemente il Signore quando si negano ai
suoi servi le cose necessarie della vita. Come dice infatti
l’Apostolo, Dio ha ordinato che vivano dell’altare coloro
che servono l’altare34. E non è gran cosa se i secolari ci somministrano beni temporali, dal momento che noi diamo
loro i beni spirituali35. Penso che Iddio si adirerà contro
questo luogo». Ciò detto, se ne andò per la strada su cui era avviato. Ed ecco, la notte seguente si rovesciò un temporale così straordinariamente violento sulla casa, i vigneti, gli alberi del podere, da distruggere tutta la frutta, l’uva
e le foglie. Passando di lì, avresti creduto che d’improvviso all’estate fosse subentrato l’inverno.
31 Sir
33, 25.
29, 21.
33 Rm 8, 28.
34 1Cor 9, 13.
35 1Cor 9, 11.
32 Pr
19. Nel cibo era parco, ma non troppo: diceva
infatti che all’asino-servo, cioè al corpo, non si devono ne-
349
350
FONTI AGIOGRAFICHE
21. Tutte le volte che il servo di Dio Francesco doveva andare fuori le mura della città, per predicare o per
qualunque altra necessità, non partiva se non dopo aver
chiesto in ginocchio la benedizione al superiore e preso
dalle sue mani il bastone di viaggio. E quando il compagno gli diceva talvolta che non era necessario dare sempre
un segno di così grande rispetto, rispondeva: «Conosciamo, o carissimo, il nostro partire, ma non sappiamo in che
modo e quando il Signore abbia disposto il nostro ritorno.
Ogni giorno quindi è da disporre come se fosse l’ultimo».
22. Aveva infine la consuetudine, prima che i frati
si alzassero per mattutino, di battersi ogni giorno crudamente, per i vivi e per i defunti: lo faceva con una disciplina così feroce che all’udire i colpi, avresti detto che battesse non la sua carne, ma un pezzo di legno o una pietra.
23. Desiderava ardentemente di essere spogliato
dalla sua tenda carnale, per cui spesso, battendo le mani e
con il volto soffuso di santa gioia, ripeteva festoso a voce
alta quel detto dell’Apostolo: «Desidero andarmene ed essere con Cristo»36, e aggiungeva: «Per me infatti il vivere è
Cristo e il morire un guadagno»37.
Si avvicinava intanto per il beato Francesco la pienezza del tempo, in cui l’Altissimo aveva stabilito che il
suo spirito fosse sciolto e liberato dai legami con il corpo,
per riposare dalle fatiche nella pace piena dei beati. Toccando ormai l’età di circa sessantadue anni, con particolari segnali fece capire l’imminenza della sua felice chiamata
e della sua morte.
36 Fil
37 Fil
1, 23.
1, 21.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
351
24. Era vicina in quei giorni la solennità dell’Ascensione del Signore, nella quale Cristo, vinto l’impero della morte, era salito al cielo con la sostanza della sua
carne gloriosa per regnare in eterno. Prima di questa solennità, il servo dell’Altissimo, sapendo che era ormai vicina
la morte e non volendo che i suoi figli spirituali fossero abbandonati e tristi senza la sua benedizione, si recò in città
ed entrò prima di tutto nella casa di una persona a lui devotissima, chiamata Meocone, che con la moglie donna
Cuccia, essa pure legata da sincera devozione al servo di
Cristo, lo aveva sempre aiutato generosamente con i suoi
beni. Rivolse a questa signora parole di vita e poi le ordinò
di radunare i figli, le figlie e tutte le persone della casa. Dopo che tutti si furono in fretta radunati, egli, alzati gli occhi e le mani al cielo, li benedì uno ad uno, imponendo
loro sul capo le sue sante mani. La devota signora era stupita che avesse fatto chiamare tutta la famiglia in una maniera tanto inconsueta e in tanta fretta e che avesse pregato così a lungo su tutti e su ciascuno; si sentì rispondere
dall’uomo di Dio: «Quel che io faccio non lo capisci ora, lo
capirai più tardi»38. Poi uscì e trovò il marito di lei che se
ne stava con i suoi concittadini presso le case dei nobili;
anche a lui diede una simile benedizione con parole analoghe a quelle dette alla moglie, e suscitando in lui un’uguale meraviglia. Così continuò a fare in tutti quei pochi
giorni, finché non ebbe dato la benedizione a ciascuno dei
suoi figli spirituali e dei suoi devoti.
25. Si era alla vigilia della solenntà: di buon mattino, dopo aver ricevuto il sacramento della santa eucarestia, si ritirò nella sua cella-oratorio e qui prese a meditare
intensamente l’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo
e a rattristarsi non poco per il prolungarsi della sua dimo38 Gv
13, 7.
352
FONTI AGIOGRAFICHE
ra quaggiù. E prorompendo in lacrime abbondanti, con
singhiozzi e sospiri supplicava il Signore e la beata Vergine
di concedere al suo spirito la grazia di essere liberato dal
carcere del corpo: «È tempo – diceva –, o Re e Regina di
gloria, che il corpo di terra e di fango ritorni alla terra e
che lo spirito, sciolto da questi legami, faccia ritorno a voi».
E mentre egli era completamente immerso in queste lacrime di devozione, giunse un frate, di nome Giovanni da
Cennina, grande confidente e devoto del servo di Dio, e
gli chiese che cosa mai avesse. E il servo di Dio, sereno e
mite come sempre, con altre parole gli rispose: «Non lo
sai, figlio mio, che il Signore nostro domani ascenderà al
cielo?». »Lo so, padre» – disse quello. «Credi dunque, figlio mio, che mi lasci ancora in questa valle di miseria? Spero proprio, figlio mio, che presto mi faccia la grazia e non
mi tenga in questa miseria». Ma frate Giovanni, anch’egli
uomo che ha lasciato buona memoria di sé ed è morto nella peste generale39, non capì affatto allora queste parole.
26. All’improvviso il servo di Dio cominciò a perdere le forze, e da questo capì che il suo spirito entro breve
tempo sarebbe stato richiamato dal Signore; e, come se
dovesse trasferirsi in altro luogo, cominciò a mettere in
ordine al loro posto alcuni libri ed altre suppellettili necessarie all’umana natura. Ed ecco verso sera, quando i frati
del convento stavano per andare a cena, il servo di Dio
Francesco andò dal priore provinciale, frate Michele da
Castello, e poi dal priore del convento, frate Niccolò da
Siena, e li pregò insistentemente di poter cenare con loro
quella sera. E poiché essi si opponevano e dicevano che avrebbe potuto mangiar con loro un’altra volta, rispose:
«Padri, non sappiamo quel che il domani ci darà». A que-
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
sto punto essi diedero il loro benevolo consenso. Sedutosi
a mensa, l’uomo di Dio Francesco con voce e faccia liete
disse: «Ho desiderato ardentemente questa pasqua...»40. Gli
altri, che non compresero queste parole e pensarono che
l’uomo di Dio volesse parlare per enigmi, incominciarono
a mangiare. Il priore disse: «Mangiate, frate Francesco, con
la benedizione di Dio». Il servo di Dio Francesco rispose
come si fa a Siena: «Amore, non sapete che è venuto l’ambasciatore a dire che si consegni l’accampamento?» E io ho
risposto: «Ben volentieri, purché sia salva la persona». E
credendo che l’uomo di Dio parlasse di qualche accampamento della città di Siena, non gli rivolsero altre domande. Ma, finita la cena, il priore gli chiese se avesse parlato
dell’accampamento del suo corpo, specialmente perché non
aveva mangiato quasi niente; ma egli non volle manifestare il segreto del Signore.
27. Poco dopo il servo di Dio Francesco stese il suo
corpo mezzo morto sul letto di assi, dinanzi all’immagine
della Vergine gloriosa, e si assopì un po’. Vedeva la Vergine
gloriosa parlare col Figlio suo, che reggeva sulle ginocchia e
tra le braccia e a cui diceva: «Che cosa, mio diletto, che cosa, diletto del mio seno, che cosa potrò dare in ricompensa
al mio diletto per il servizio che mi ha reso?» E il Bambino
rispondeva: «Sarebbe giusto, Madre carissima, che colui
che ci ha tanto amato fosse felice con noi in cielo e fosse
onorato a tua gloria in terra». E facendo cenno con la mano, diceva il Bambino al servo di Dio Francesco: «Vieni,
mio diletto41, vieni, diletto della Madre mia, per godere in
eterno la gloria coi beati42, tu che serbasti integra e illibata
la stola della carne con l’onore della verginità».
40 Lc
39 È
la terribile peste del 1348, che dilagò in tutta Europa, mietendo più di 30
milioni di vittime, circa un terzo degli abitanti del continente.
353
22, 15.
7, 11.
42 La gioia eterna, che la Vergine ottiene dal Figlio per i suoi Servi, è il premio
41 Ct
354
FONTI AGIOGRAFICHE
28. Destato all’improvviso dal frate che aveva l’incarico di dare la sveglia ogni notte per il mattutino, il servo
di Dio era pieno di stupore e, andando in chiesa prima del
terzo segnale per il mattutino, si mantenne fisso nella visione e come in risposta ad essa diceva: «Pronto è il mio
cuore, Dio, pronto è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio
inneggiare»43. Ed alcuni frati, che erano entrati in coro
prima dell’ufficio, osservando le sue labbra e la sua voce
più forte del solito, l’udivano cantare alcuni salmi e versetti del salterio. Infatti, credendo di non essere udito, diceva: «Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi 44. Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia
ha sete di Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto
di Dio 45? Quanto sono amabili le tue dimore, o Signore degli
eserciti! L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore 46.
Quanto è grande la tua bontà, Signore! La riservi per coloro
che ti temono 47. Signore, amo la casa dove dimori e il luogo
dove abita la tua gloria 48. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni
della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario 49. In te, Signore, mi sono rifugiato, mai
sarò deluso. Vieni presto a liberarmi. Nelle tue mani affido il
mio spirito, o Signore» 50. E anche dopo il mattutino continuò a ripetere queste invocazioni fino all’ora di prima.
di un servizio fedelmente compiuto fino alla morte. Cf. LO, n. 28 (la morte di
sant’Alessio).
43 Sal 57, 8-9.
44 Sal 71, 17.
45 Sal 42, 2-3.
46 Sal 84, 2-3.
47 Sal 31, 20.
48 Sal 26, 8.
49 Sal 27, 4.
50 Sal 31, 2.3.6 (71,1).
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
355
29. Preparandosi a celebrare la messa del giorno
dell’Ascensione del Signore, chiamò il suo confessore che
aveva pure notato le parole da lui pronunciate. Si confessò diligentemente e poi gli fu chiesto dal confessore (che
mi riferì quanto riporto), perché avesse insolitamente continuato a cantare quei versetti. Rispose: «È volontà di Dio
che non nasconda il suo segreto, ma sta’ molto attento a
non manifestare prima del tempo stabilito dal Signore ciò
che ti dirò. Figlio carissimo, fra poco io sarò tolto dal mondo». «Frate Francesco – aggiunse il confessore – non dite
così». Rispose: «Non credo che tu mi vedrai più celebrare,
perché manca ormai poco che il Signore affidi alla terra il
mio corpo». Gli manifestò quindi la visione e la risposta
che era suonata sulle sue labbra. E poiché il suo confessore, preso da grande mestizia, voleva piangere, disse: «Cerca
di non piangere»; e aggiunse: «Conserva nel più assoluto
segreto queste cose; e quando piacerà a Dio, le rivelerai
con ordine a frate Cristoforo da Parma, carissimo padre e
figlio mio, al quale, in altri tempi, ho manifestato alcuni
segreti». E per la terza volta, con viso quasi minaccioso,
aggiunse: «Attento: non osare rivelarlo ad altri».
30. Al termine della messa era completamente sfinito e non riusciva più a stare in piedi; tuttavia doveva andare a predicare nei pressi di Siena in un paese detto Prisciano. Si inginocchiò dunque davanti al priore e gli chiese la benedizione e l’assoluzione di tutti i peccati, supplicando pure che gli ponesse in mano il bastone. E poiché il
priore ricusava tale atto di profonda riverenza, giacché non
poteva sapere quel che stava avvenendo in lui ed ignorava
completamente il segreto del Signore, il servo di Dio Francesco disse: «Padre, non so quando potrò mai più chiedere a voi la benedizione». Detto questo, con le forze che gli
restavano, se ne andò, sostenuto dal bastone e dal confratello che lo doveva accompagnare. Ma, uscito dalla porta della
356
FONTI AGIOGRAFICHE
città quanto un tiro di freccia, non avendo ormai più alcuna forza nel corpo, il servo di Dio cadde a terra col ginocchio destro e disse: «Ti amo, Signore, mia forza, Signore,
mia fortezza, mio rifugio e mio liberatore»51. E siccome aveva sempre sulle labbra il saluto angelico, aggiunse: «Ave
Maria, piena di grazia, il Signore è con te». Quindi, sostenuto dal compagno, volle proseguire la sua strada per essere obbediente fino alla morte.
31. E dopo essere avanzato ancor un po’ di circa
trenta passi, il servo di Dio vide venirgli incontro dalla
campagna una donna sconosciuta con un mazzo di rose.
Questa gli si fece vicino e gli disse: «Frate Francesco, prendete queste rose». Le prese con piacere dalle sue mani il
servo di Dio e le portò come poté davanti a un’immagine
della gloriosa Vergine, che era dipinta in un romitorio del
luogo. Aveva appena iniziato il saluto angelico, quando
lentamente scivolò a terra, prima sul ginocchio, poi sul
fianco destro e infine sul braccio ed ormai prossimo a
morire, raccomandò se stesso, fiore e giglio vergine, alla
Vergine. Il nostro Salvatore, o carissimi, portò a termine la
lotta della sua santa passione fuori dell’accampamento52,
affinché a tutte le genti fosse nota la sua passione salutare;
così anche il servo di Dio Francesco meritò di ricevere lo
spirito della promessa e la caparra della sua vocazione
dinanzi alla gloriosa Vergine sua Signora, al di fuori dell’accampamento, affinché la sua santa morte fosse nota
anche alle nazioni più lontane.
32. Il suo santo corpo, quasi privo di vita, viene
dunque portato in convento. E mentre si cercava l’aiuto
dei medici, il servo di Dio faceva capire con cenni quello
51 Sal
52 Eb
18, 2-3.
13, 12-13.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
357
che non poteva esprimere con la lingua: agitava infatti un
poco il suo venerabile capo e girava gli occhi, come per
dire apertamente che non aveva bisogno dei rimedi della
medicina terrena. E al frate, suo infermiere, che gli diceva:
«Frate Francesco, come state? Volete che vi faccia qualcosa?», il servo di Dio, aprendo gli occhi, mostrò un viso
risplendente di gioia e a fior di labbra, sommessamente,
come poteva, cominciò a ripetere: «Tutto è compiuto. In
pace mi corico e mi addormento»53.
33. Avvenne poi che nella quiete profonda della
notte dell’Ascensione del Signore, mentre in chiesa i frati
rendevano all’Altissimo degne lodi e si cantava l’invitatorio54, il frate infermiere gli domandò come stesse, ma il
servo di Dio non diede alcuna risposta. E quando si giunse a quel versetto: «Oggi se la voce, ecc.»55, con le labbra,
con gli occhi e con i cenni cercava di pronunciare quel versetto, facendo intendere che di lì a poco sarebbe stato chiamato dal Signore; e poi continuò allo stesso modo con
«Per quarant’anni, ecc.»56, quando i frati incominciarono
quel versetto. Al termine dell’invitatorio fece cenno con gli
occhi d’aver sete; e dopo aver bevuto, sembrò che dicesse:
«Non ti temo». Dopo ancora un po’ di tempo, con le mani
leggermente sollevate, fu sentito spiccare lentamente un
solo “meum”. Con tutta sicurezza riteniamo che egli abbia
pronunciata le sante parole del Salvatore nostro: «Padre,
nelle tue mani affido lo spirito mio» 57. Detto ciò, il servo
dell’Altissimo, Francesco, all’età di sessantadue anni, alla
presenza dei frati, rese il santo suo spirito al nostro Creato53 Sal
4, 9.
il salmo 95, chiamato così perché è il salmo che apre e “invita” alla preghiera comune.
55 Sal 95, 8.
56 Sal 95, 10.
57 Sal 31, 6; Lc 23, 46.
54 È
358
FONTI AGIOGRAFICHE
re, nell’anno del Signore 1328, nell’undicesima indizione58, il 26 maggio, durante il dodicesimo anno del pontificato del santissimo in Cristo padre e signore Giovanni,
per divina provvidenza papa XXII della sacrosanta ed universale Chiesa romana59.
34. Tutti accorrono. Anche senza essere chiamati,
tutti corrono a vedere il santo corpo: dai borghi, dai paesi,
da ogni parte si raduna gente. Stupiscono i frati per un tale
improvviso ed enorme afflusso di cittadini, uomini e donne. Lamenti, sospiri, battito di mani: pareva che in città ci
fosse una strage o un eccidio! Tutti piangono il padre,
fanno il lamento su colui che era il loro consolatore, tutti
avvertono di aver perduto colui che pregava e intercedeva
per loro presso la Vergine gloriosa. «Che facciamo – dicono – padre buono? Chi ci consolerà ora che ci sei stato
tolto? Chi ci darà ormai i consigli di salvezza, che tu in
gran numero ci hai dato?». Lo piangono come se fosse l’unico, con irrefrenabile profluvio di lacrime.
35. Si raduna la comunità dei religiosi e il collegio
dei chierici è al completo per dare degne esequie al santo
corpo e gloriosamente seppellirlo. Dopo l’ufficio dei defunti, i cantori iniziano solennemente il canto del Requiem
aeternam per l’introito della messa. Ma il popolo non vuole e li costringe a intonare «Gaudeamus omnes in Domino
diem festum celebrantes 60, ecc.». Eravamo infatti sicuri che
in quel giorno noi ancora pellegrini e il popolo senese ave58 L’indizione è un periodo di 15 anni computato a iniziare dall’anno 313
(Costantino e la pace della Chiesa). Gli anni di ciascuno di questi periodi si
numeravano progressivamente dall’1 al 15, poi si riprendeva da capo. Nella cancelleria papale si cominciò ad usarla nel 1088 e rimase in vigore per tutta l’epoca medievale.
59 Giacomo Duèse da Cahors, papa avignonese dal 1316 al 1334.
60 È il canto d’ingresso (introito) alla messa solenne delle feste.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
359
vamo mandato innanzi nelle dimore celesti un patrono e
un avvocato fidato al cospetto dell’Altissimo. I religiosi e i
chierici che erano convenuti, dopo la messa, volevano tumulare il corpo santissimo, ma non fu loro possibile se
non dopo quattro giorni. Dai paesi vicini e dalla città continuava ad essere grande l’afflusso di popolo verso quel
tesoro di virtù, il beato Francesco, in cui rifulgevano i doni
dello Spirito.
Per i meriti del santo corpo, l’Altissimo concedeva
la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la facoltà di camminare agli zoppi; gli indemoniati erano liberati, i lebbrosi mondati, tutte le malattie sanate e, cosa del tutto straordinaria, i
morti risuscitavano61. Frattanto il santo corpo veniva spogliato dei vestiti: parti delle sue sacre reliquie e le vesti che
coprivano la sua purissima carne vengono interamente portate via. Lo si rivestì una seconda e terza volta, e sempre di
nuovo si portarono via frammenti delle sue sante reliquie.
[Miracoli]
36. Sopraggiunse un curioso e cominciò a denigrare il santo uomo di Dio. Ed ecco uno estrasse la spada
per tagliare un pezzo del cappuccio di così grande padre e
averlo con sé come mezzo di salute e di devozione; ma premuto dalla calca dei presenti colpì con la spada il viso del
santo uomo. E subito dal santo corpo uscì a fiotti abbondanti un sangue vivo, tanto da pensare che egli non fosse
morto, ma vivente; e certo era morto al mondo, ma vivo
per Dio62. A tale vista, quell’uomo che era stato scettico si
batteva il petto e, diventato devoto del beato Francesco,
chiese perdono e incominciò a fare più frequenti visite al
suo sacro corpo.
61 Mt
62 Rm
11, 5; Lc 7, 22.
6, 11.
360
FONTI AGIOGRAFICHE
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
361
38. Nello stesso giorno in cui lo spirito del benevolo confessore di Cristo Francesco fu portato alle dimore
del cielo, a una donna, molto amica dell’uomo di Dio, di
nome Necca, che aveva preso pezzi di vestito dal sacro corpo, apparve improvvisamente il beato Francesco in quell’attegiamento con cui abitualmente si mostrava mentre
viveva tra gli uomini. Vedendolo, la donna fu presa da
grandissimo terrore. Il glorioso Francesco la confortava
dolcemente, dicendole: «Figlia, non aver paura; ma corri
velocemente a dire ai miei fratelli che con maggiore onore
sistemino il mio corpo, messo in un posto non conveniente. È piaciuto alla Regina del cielo onorare in terra il
mio corpo, come ha voluto innalzare il mio spirito con i
beati». E detto questo, subito scomparve. La donna corse
veloce e con molte lacrime raccontò pubblicamente la
visione ai frati e a tutti quelli che erano presenti.
quello che dice l’Apostolo: «Occhio non vide», ecc.64. E poichè le chiedevano di dire quello che aveva visto riguardo
ad alcuni religiosi molto famosi tra il popolo e se li avesse
visti nella gloria con i beati, rispose: «Gli uomini vedono
ciò che è fuori, Dio invece guarda il cuore65. Molti davanti agli uomini sono luminosi, ma tenebrosi al cospetto dell’Altissimo. Tuttavia, quelli di cui chiedete sono eletti, ma
non ancora si trovano nella gloria con i beati». Allora alcune, che non avevano una forte fiducia nella santità del glorioso Francesco, le chiesero con curiosità: «Avete visto, carissima signora, il beato Francesco dell’Ordine dei Servi,
per il quale ora sembra che Dio operi grandi miracoli?». E
quella, con il viso contento, rispose: «Ah, figlie carissime,
l’ho visto glorioso come il sole davanti alla Regina del cielo
e tutto raggiante, e la Regina della corte celeste gli imponeva una corona sul capo. Non dovete avere alcun dubbio
sulla gloria della sua santità». Poco dopo aver detto queste
parole, rese lo spirito al Creatore. Quelle donne, illuminate da questo celeste prodigio, aderirono con devozione sincerissima al glorioso Francesco e assiduamente presero a
visitarne il sepolcro. Ho voluto inserire qui questo fatto,
anche se prima sono accadute molte cose, perché la prima
visione e apparizione e manifestazione della sua gloria fosse rafforzata da un grande elogio della seconda visione.
39. Molti mesi dopo accadde che una donna, la
signora Mita, mantellata63 dei frati Predicatori, che godeva di ottima reputazione presso tutti i senesi, ormai prossima a morire, fosse rapita per due giorni alla contemplazione del cielo. Ritornata alla vita normale per raccontare
le meravigliose visioni, alle domande dei presenti che le
chiedevano una parola di conforto e di devozione, rispose
40. Mentre folle di popolo andavano a vedere con
grande devozione il sacro corpo e il suo sepolcro, poiché
di lì erano elargiti ai bisognosi doni spirituali e rimedi fisici, un certo Vito di Andrea, della contrada chiamata Camollia, si mise a denigrare moltissimo con parole e grida il
santo di Dio. Ed ecco viene subito preso da una febbre
grave e continua e si mette a letto. Si consultano medici,
63 Mantellati o mantellate sono chiamati, dal mantello che portavano, laici
appartenenti al terz’Ordine.
64 1Cor
37. Le lingue non bastano a raccontare la quantità
e la grandezza degli innumerevoli miracoli che lì la clemenza del nostro Salvatore ha operato per i meriti del glorioso suo confessore Francesco. Tuttavia vengono annotate qui di seguito, a conforto di chi legge e ascolta, poche e
semplici cose delle molte e innumerevoli che sono accadute.
65 1Sam
2, 9.
16, 7.
362
FONTI AGIOGRAFICHE
si cerca la causa della malattia ma dall’esame dei sintomi
non si ha alcun risultato. Il male aumenta continuamente,
così che dopo tre giorni di costante aggravamento, persa
ormai ogni speranza di salvezza, erano evidenti i segni
della morte non della salute. Come piacque all’Altissimo,
egli si ricordò di aver denigrato e di essere stato incredulo
nei riguardi del santo di Dio. Inorridì del misfatto, se ne
addolorò e, credendo nella santità di lui, su raccomandò
dall’intimo del cuore con totale devozione. Se avesse meritato di ottenere il beneficio della salute, che non meritava
affatto, promise che si sarebbe recato a piedi nudi a visitare con la dovuta riverenza il suo sepolcro. Non aveva ancora emesso il voto, quand’ecco improvvisamente balzò dal
letto sfebbrato e gridò di essere stato inaspettatamente sanato e liberato da ogni male per i meriti del beato Francesco. Sciolse il voto e divenne da allora un grande devoto del beato Francesco e dei frati.
41. Un tale ser Bartolomeo, ritenendo poca cosa i
miracoli del beato Francesco, diceva con la mano e il braccio levati: «Non so che miracoli siano questi». E in quel
momento la mano e il braccio divennero insensibili come
pietra e legno e si rattrappirono. Percuotendosi il petto e
piangendo abbondanti lacrime, si recò al sepolcro del santo di Dio e, prostratosi, riebbe il bene della salute.
42. Un altro, chiamato Giovanni Dureliani, si trovava da quattro anni e più con una mano rattrappita così
che non poteva in alcun modo stendere le dita e la stessa
mano. A contatto con il sacro corpo, subito la mano e le
dita si aprirono.
43. Da molto tempo Bindo da Pieve di Castello
era stato colpito da oscurità degli occhi che aveva talmente compresso la capacità visiva e le pupille degli occhi da
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
363
non fargli vedere quasi nulla. Fu condotto al sepolcro del
sacro corpo e si raccomandò con ogni devozione al santo
di Dio; prima di levarsi dalla preghiera, meritò di ottenere quel che chiedeva.
44. Una donna, signora Tora, che da più di otto
anni aveva le ginocchia e le gambre rattrappite e aveva
perso la possibilità di camminare, fu portata al sepolcro
del santo di Dio. Magnificando Dio e il glorioso Francesco, tornò liberamente a piedi alla sua casa senza l’aiuto di
alcuno e senza alcuna fatica.
45. Anche un’altra, chiamata signora Tura, che da
non poco tempo soffriva di sordità e non riusciva a sentire quasi alcun suono, visti i miracoli che Dio faceva con
tanta abbondanza per mezzo del suo santo Francesco, si
recò al sacro corpo, prese la santa mano di lui e se la mise
devotamente sulle orecchie. Subito le venne ridato il dono
dell’udito.
46. Una donna, Tuccia da Poleta, diocesi di Firenze, era posseduta da uno spirito malvagio e da dieci mesi
ne era crudelmente tormentata. Fu portata al sepolcro del
sacro corpo e posta davanti ad esso. Lo spirito maligno,
che non poteva sostenere la sua santità, incominciò a dare
segni della sua uscita. Venne fuori lasciando mezzo morto
il corpo di quella poveretta.
47. Una tale, di nome Bilia, vedova di Dino da
Ponte d’Arbia, che era stata per dodici anni posseduta da
uno spirito maligno, a contatto con il sacro corpo fu pienamente liberata.
48. Un bimbo di due anni e un mese, Francesco,
figlio del signor Naddo cittadino senese, era in preda a una
364
FONTI AGIOGRAFICHE
grave febbre: per otto giorni non aveva preso latte dalla
nutrice o qualche altro liquido ed era vicino a morire. Nella disperazione generale viene raccomandato al beato Francesco; appena fatta la raccomandazione, dopo un certo
tempo ritorna sano e salvo, come se non avesse mai avuto
una grave malattia.
49. Un uomo, Guido di Nerio da Belforte, diocesi di Siena, era scosso da un grande tremito delle membra,
del capo e delle mani e per quattro anni aveva sofferto
quella malattia che chiamano paralisi. Se portava in mano
un recipiente pieno di acqua, subito lo versava . Anche il
capo si muoveva con tale frequenza che non poteva star
fermo neanche un momento. Andato al sepolcro del sacro
corpo, e avendo trascorso lì tre giorni e tre notti, fu così
perfettamente liberato da pensare che mai egli avesse sofferto qualcosa.
50. Un tale, chiamato Minuzio, dell’ospedale66, aveva avuto dalla moglie un figlio. Questa, che si era avvicinata ai giorni del parto con preoccupazione, cominciò a
sentirsi oppressa dai travagli del parto. Venuti poi i dolori
del parto, partorì un aborto e diede alla luce la figura di un
infante senza gli organi vitali, neanche il respiro teneva in
vita quel corpicino: non un pianto, non un alito, non un
senso, risultava come assolutamente privo di vita. Il padre
di questo feto abortivo, pieno di tristezza, si rivolse al beato Francesco con piena fede e totale devozione perché ottenesse per i suoi meriti da Dio che in quel corpicino fossero infusi lo spirito vitale e l’anima razionale. La grazia
66 È il famoso ospedale senese di S. Maria della Scala, dove prestarono il loro servizio personalità eminenti dell’epoca. In particolare si ricordi il beato Giacomo
di Città della Pieve, detto Elemosiniere (1270 ca.-1304), terziario dei Servi nonché dell’Ordine francescano.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
365
divina non mancò di venire in aiuto alla devozione di lui;
ed ecco dopo tre ore, infuso il respiro, venne alla luce e come se fosse uscito subito dall’utero materno, compì tutte
le funzioni di quel primo momento di vita; alcuni giorni
dopo, rigenerato nel sacramento battesimale, fu chiamato
Giovanni, lui nel quale per i meriti del beato Francesco si
manifestò la grazia divina. Dio glorioso nei suoi santi è
colui che da solo fa grandi miracoli, rinnovando i miracoli come da principio.
51. Racconterò anche un celebre miracolo, noto a
tutto il popolo. Un tale, chiamato Vinuto, aveva un figlio
in età infantile. Questi, andando con altri ragazzi, arrivò
per caso a una fonte; per uno spintone datogli dai compagni cadde nella fonte e andò a fondo dove annegò. Venne
tirato fuori esanime: non appariva in lui alcun segno di
vita. Dal padre, che era accorso, viene portato a casa e raccomandato, con devozione e lacrime, al beato Francesco.
Fu immediatamente restituito alla vita e si mise a camminare da solo, come se, svegliandosi dal sonno, non avesse
per niente sofferto.
52. Inoltre un tale Niccolò di Giunta ebbe da sua
moglie, signora Bruna, un figlio a cui nel fonte battesimale fu dato il nome di Guntino. Quando aveva già tre anni,
fu preso da una forma violenta di epilessia che lo tormentava anche per fortissimi attacchi di febbre. In pochi giorni era ridotto in fin di vita per la forte febbre e la malattia.
Per due giorni rimase come se in lui non ci fosse alcuna
funzione vitale. I genitori, che erano nella più grande desolazione e piangevano il bimbo come morto, con una profonda fiducia nei meriti e nella grazia del beato Francesco,
lo raccomandarono devotissimamente alla grazia del beato
Francesco. E il bambino, come se non avesse avuto alcun
male, si alzò come dal sonno e fu subito restituito alla salu-
366
FONTI AGIOGRAFICHE
te di prima. I genitori lo rivestirono dell’abito dell’Ordine
e lo condussero per la città con un cero in mano alla tomba
del beato Francesco e, proclamando pubblicamente che era
stato guarito per i meriti del beato Francesco, lo offrirono
con profonda riverenza sull’altare del beato Francesco.
53. La moglie di un Pietro del fu Mino aveva concepito un figlio. Al momento di partorire, quando fu presa
dai dolori del parto, le ostetriche che l’assistevano, una chiamata Turma e l’altra Nuzia, tirarono fuori dall’utero della
madre un bimbo morto. Informarono – quanto dolore! –
il padre e la madre e questi, con lacrime copiose, lo raccomandarono subito al beato Francesco. E immediatamente
venne restituito incolume alla vita; ed essi lo portarono al
sepolcro e lo presentarono devotamente all’altare del beato
Francesco.
54. Un tale Muzio di Buonconvento, diocesi di
Siena, aveva un bimbo di circa due anni, il quale fu preso
da una di quelle forti febbri che capitano in quella età, e
per quattordici giorni ne fu continuamente tormentato e
non potè prendere latte o altro alimento, così che poco a
poco si era estinta in lui ogni forza vitale. Nel quattordicesimo giorno, alla prima vigilia della notte, il bambino
morì e fu pianto dai genitori. Il mattino dopo il bimbo
morto fu raccomandato dai genitori al beato Francesco e
immediatamente il bimbo venne liberato dai vincoli della
morte come se uscisse da un leggero sopore; ed essi baciarono vivo e sano colui che avevano pianto ormai come
morto. Lo portarono dunque guarito al sepolcro del beato
Francesco e lo mostrarono a tutti i frati. Anch’io l’ho visto
e l’ho preso in braccio, spinto dalla devozione che il miracolo ispirava.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
367
55. Allo scopo di esaltare la sua santità ho annotato, tra le tante, queste poche cose. Se tu, lettore, vorrai saperne di più e conoscere altri fatti importanti, va’ a vedere
nel libro dei suoi miracoli67, dove ci sono miracoli di ogni
specie: non c’è stato tipo o genere di malattia a cui l’Altissimo, per i meriti del santo confessore di Cristo Francesco,
non abbia dato il bene della salute.
56. Fin qui ha scritto questa legenda e ha compilato la vita del beato nostro padre Francesco e ha riportato i
grandi miracoli, il reverendo fra Cristoforo da Parma, degno vicario del signor generale del nostro eccellentissimo
Ordine68. Poiché gli uomini per loro natura desiderano
sapere molte cose, in seguito all’incarico affidatomi di leggere e fare una ricerca nel libro dei miracoli, voglio che a
questa legenda sia aggiunto un miracolo che ho trovato, in
modo che io dia testimonianza alla parola della verità,
manifestatasi luminosamente nel beato Francesco, cioè
che ogni parola sia confermata dalla bocca di due o tre.
Quello che voglio aggiungere alla legenda è accaduto nell’anno del Signore 1329, nel mese di agosto, e l’ho trovato convalidato per mano di notaio, come mi è sembrato.
E così si trova scritto nel libro dei miracoli:
57. Un bambino di quattro anni, chiamato Benedetto, figlio di Geri Lanarvoli69, della parrocchia di San
Martino, che non aveva mai camminato dalla nascita fino
al momento in cui fu portato al sepolcro del beato Francesco, quando venne portato a questo luogo, subito fu guarito. Testimoni: il padre, Geri, la madre, signora Mea, la so67 Questo
libro dei miracoli, autenticato da notai come poco più avanti dirà fra
Benedetto di Geri, esisteva ancora al tempo del Poccianti e del Giani.
68 Cf. Introduzione.
69 Ibid.
368
FONTI AGIOGRAFICHE
rella Minucia, e molti altri che sarebbe noioso elencare.
Questo è quanto scritto lì.
58. Certo, a me, scelto dai peccatori e ingiusti che,
come sappiamo, Dio non ascolta, la virtù non permette
che io, il suddetto piccolissimo fra Benedetto, inutile servo
e ingrato, a cui sono stati concessi tanti e tali favori, possa
dire per iscritto ciò che griderò a voce alta riguardo all’illustrissimo e celebre padre nostro Francesco; e anche l’ignoranza impedisce che io possa fare elogi degni di lui e
innalzare lodi speciali ed esaltare incessantemente le sue
virtù. Io non do una testimonianza solo perché mi sono
ritrovato negli scritti riguardanti il beato Francesco, ma
perché ne ho sentito parlare io stesso migliaia di volte da
parte di mio padre, di mia madre, di mia sorella e di moltissimi altri. Essendo bambino, come svegliandomi da un
breve sonno, non potevo ricordarmi di aver visto che io
ero stato messo sul suo altare; l’ho sentito dire. Perciò mi
appare chiaro che questa infermità mi sia capitata a gloria
del santo, e poiché uscito dal seno di mia madre e portato
al fonte battesimale e messo davanti al parroco quel giorno
senza indugio, il parroco, al vedermi, meravigliato disse
così a quelli che erano venuti con me: «Non sapete che chi
tiene (senza battesimo) una creatura per tanti giorni, è scomunicato?». Gli venne risposto: «È nato oggi». E sempre,
finchè mio padre e mia madre rimasero in questa vita, mi
mandarono ogni anno con un cero alla festa del beato e
molte volte vennero anche loro con me. E a lode del beato
voglio dire ciò che mi veniva detto. Quando, raggiunti gli
anni del giudizio, desideravo per la mia salvezza far parte
dell’Ordine dei Minori, quelli che mi conoscevano mi
dicevano apertamente: «Non deve assolutamente accadere
che tu sia dell’Ordine dei Minori: tu, in cui il beato
Francesco dell’Ordine dei Servi ha mostrato in tal modo le
sue virtù». Perciò io, pur non capendo le disposizioni di
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
369
Dio e tuttavia non volendo disconoscere il beato o disprezzare il suo Ordine, ma seguendo la devozione del mio
animo fanciullesco, fino al momento del mio ingresso in un
Ordine, chiesi di entrare per un mese nell’Ordine dei Minori. Già da due anni ero stato lasciato dai genitori in questa vita. Ispirato, però, dai meriti del beato attraverso un
discorso fatto da un uomo, entrai in questo suo Ordine, per
quanto servo malvagio e infedele, nell’anno del Signore
1341, alla vigilia di sant’Andrea apostolo del nostro Signore Gesù Cristo, a cui sia onore e lode perenne con il Padre
e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
Alcuni miracoli del beato Francesco
che non sono stati registrati nella Legenda.
Perché non si perda la memoria di così grandi
miracoli e delle sue virtù, cioè dell’illustrissimo uomo beato Francesco, voglio registrare, più brevemente possibile,
tra i molti miracoli, alcuni che ho trovato convalidati per
mano di notaio.
1. Una signora Guglielma, vedova di Andrea, della
contrada senese chiamata Vallepiatta, soffriva a un braccio
che non poteva stendere, poiché era paralizzato. Toccando la mano del beato Francesco, fu guarita all’istante alla
presenza di tutto il popolo.
2. Un signor Giovanni di Gualtiero Malevolti soffriva di mal di capo, tanto da perdere quasi la vista. Per il
dolore non poteva più prendere sonno. Si raccomandò al
beato Francesco con una preghiera devota e subito fu liberato.
370
FONTI AGIOGRAFICHE
3. Giovanni di Mino da Leonina, paralizzato alle
gambe per tre mesi, si portò al sepolcro del beato Francesco e fu reso sano alla vista del popolo.
4. Bartolomeo di Simone aveva perso un braccio
che non riusciva in alcun modo a stendere; fece voto al
beato e all’istante guarì.
5. Nello stesso giorno in cui il reverendo padre
migrò a Cristo, una donna, Gerrona, moglie di Manfredi,
che soffriva di un enorme ascesso alla gamba destra, quando il medico aveva perso ogni speranza di guarigione, fu
persuasa a raccomandarsi devotamente al santo. Assopitasi, fu da una voce invitata a farlo. Svegliatasi, sentiva la voce ma non vedeva nessuno e non sapeva di chi fosse la
voce. Fece quindi con grande fede un voto; e alzatasi la mattina dopo, si trovò subito guarita, per i meriti del santo,
dalla sua malattia che a tutti era nota.
6. Una donna, di nome Balduccia di ser Incontro
da San Quirico, del contado di Siena, soffriva da più di
quattro mesi di una malattia all’occhio destro così da non
vederci neanche fino ai suoi piedi. Si raccomandò al santo
e subito venne guarita. E così, uscì di casa e a piedi scalzi
si recò a visitare il suo sepolcro.
7. Un mercante da Pieve di Marmoraia, che non ci
vedeva più da un occhio, fece devotamente una promessa
e subito riacquistò la vista.
8. Una donna, Mina, moglie di ser Dato da Fileta,
ammalata agli occhi, non riusciva più a vedere la luce.
Sentendo parlare della virtù di così grande santo, si recò
con venerazione da quel luogo al suo sepolcro; e subito,
ottenuta la guarigione davanti a molta gente, se ne ritornò
che ci vedeva.
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
371
9. Un certo Casino di Casini, di Monte Santa Maria, contado di Siena, si era fatto male nell’addossarsi un
carico pesante, così che gli intestini erano scesi nella vescica da quattro mesi. Sentendo i miracoli del beato Francesco, andò a visitare con venerazione la sua tomba e, fatta
una preghiera, si accorse di essere guarito.
10. Angelo di Nutino di Naddo aveva un tale
dolore al petto da temere per la sua vita. Fu raccomandato devotamente dalla nutrice, e all’istante guarì.
11. Un certo Pietro di Saltuccio, che da un anno
soffriva di febbre quartana, raccomandandosi devotamente
al beato Francesco, visitò il suo sepolcro anche se ancora in
preda alla febbre; e subito, alla vista di molti, fu liberato.
12. La signora Angela, moglie del signor Gontiero,
ebbe sua figlia in preda a grandi febbri per cinque settimane. Sentendo la vita e i miracoli del beato Francesco,
gliela offrì in voto con devozione; alla sua fede fu concessa la liberazione per i meriti del beato Francesco.
13. Urso di Naddo da Marlia di Lucca, paralizzato al fianco destro, sentì parlare della vita e delle virtù del
beato. Dai bagni venne con grande fede e rimase con devozione davanti al corpo di lui. Ed egli, che da molti mesi
aveva sofferto e non era stato guarito né dai bagni né dalle
cure mediche, fu liberato immediatamente davanti a molta gente.
14. Anche Mante, domestica del signor Angelo
Grifoli, impedita da un lato, fece voto e subito fu guarita.
15. Pancolino da Montaperti, ammalato di epilessia, fece voto e per i meriti del beato Francesco fu liberato.
372
FONTI AGIOGRAFICHE
16. Uno da Montepulciano, che non sentiva più
da un anno, si raccomandò al beato e subito fu liberato.
17. Nove giorni dopo la sua morte, uno, mentre
stava mangiando di sera lattuga e formaggio, sentì improvvisamente dolori fortissimi, così che tutti pensavano...70.
18. Un bambino, figlio di un certo Crasso Barlettaio, della parrocchia di S. Giorgio, era stato ucciso da un
gran pezzo di carne essiccata che, sospesa in alto, era caduta su di lui. Per i meriti del beato e la preghiera che a lui
rivolsero la madre e altri familiari, fu risuscitato. Questo
fatto l’ho appreso dal resoconto di un religioso nostro frate, che ne ebbe dapprima testimonianza convalidata dalla
firma di notaio.
70 Qui si interrompe il codice, copiato dal Palombella. Il miracolo seguente è
scritto, in caratteri più piccoli, nella parte inferiore della seconda colonna dell’ultimo foglio.
6
LEGENDA DEL BEATO
PELLEGRINO DA FORLÌ
nella trascrizione umanistica di Nicolò Borghese (1483)
introduzione
Il documento più autorevole per san Pellegrino è
senz’altro la sua vita o legenda, scritta verso il 1350, poco
dopo la sua morte, assegnata tradizionalmente attorno al
1345. Con tutta probabilità, essa fu composta da un frate
dei Servi, che conobbe personalmente fra Pellegrino, o che
raccolse le sue informazioni da testimoni oculari.
A tutt’oggi non conosciamo il testo originale di
questa legenda primitiva del Santo, redatta in latino medievale qual era in uso nel secolo XIV. Possediamo invece
una trascrizione della medesima in latino classico-umanistico, effettuata non oltre il 1483 da Nicolò Borghese
(1432-1500), un senese eminente in campo politico e culturale, che, oltre a san Pellegrino, si interessò a figure di
santi e beati dell’Ordine dei Servi: compose una biografia
del beato Giacomo Filippo da Faenza, per la cui intercessione era stato guarito da una specie di cupa depressione, e,
siccome i frati del convento faentino gli riservarono un’ospitalità calorosa, accettò di scrivere anche le vite di san
Filippo Benizi e dei beati Gioacchino e Francesco da Siena.
Da un’inchiesta dettagliata e minuziosa sulla maniera con la quale il Borghese tratta le sue fonti, si è giunti alle seguenti conclusioni essenziali:
374
FONTI AGIOGRAFICHE
1. I materiali sono riferiti sostanzialmente per
intero e nello stesso ordine.
2. A titolo di brevità, l’autore ricorre a frequenti
omissioni. Per esempio:
a. I miracoli operati in vita, assai numerosi nei testi originali, sono ridotti a uno o due. Quelli dopo morte
sono riferiti al massimo in numero di quattro.
b. Gli elementi di teologia mariana sono quelli tra
i più omessi o notevolmente elisi.
c. Anche le citazioni bibliche risultano spesso tralasciate.
3. In omaggio a uno schema classico, il Borghese
organizza i materiali selezionati dalle fonti in tre momenti così scanditi: quello antecendente alla nascita, con notizie riguardanti la patria, i genitori e, a volte, la futura santità del fanciullo miracolosamente preannunciata; il periodo della vita, con episodi dell’infanzia e dell’adolescenza,
segni precursori della futura grandezza, l’ingresso nell’Ordine, la testimonianza di santità suggellata da prodigi e miracoli, la morte, annunciata di solito da un presagio divino; il tempo dopo la morte, caratterizzato da miracoli.
4. Il Borghese trascrive le sue fonti in maniera
sobria, fedele, anzi servile, mediante vari accorgimenti sintattico-letterari. Ad esempio: una serie di episodi o lunghi
periodi sono riassunti in base alle loro note qualitative; oppure sono sintetizzati con il ricorso a proposizioni relative,
participi, al discorso indiretto in luogo di quello diretto.
In conclusione: il Borghese aderisce scrupolosamente alle proprie fonti, nulla aggiungendo di suo, benché minimo. Le omissioni – dicevamo – impoveriscono soprattutto l’afflato biblico-mariano. Tuttavia ciò che egli conserva dei suoi testi originali è interpretato con indubbia accuratezza e aderenza ai medesimi. Sua è unicamente la veste
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
375
letteraria. Il latino medievale delle fonti a lui presentate, essendo ritenuto ormai desueto e poco appetibile ai rinnovati gusti dell’epoca rinascimentale, è convertito nel latino armonioso e fiammante dell’antichità classica di Roma. Compiuta questa operazione, accadeva sovente che gli originali
cadessero praticamente in disuso, fino quasi a scomparire.
Purtroppo, rimane ancora sconosciuto il testo originale di cui fece uso il Borghese per la vita di san Pellegrino. Ma credo si possa ribadire il giudizio che formulavo anni orsono: la scrupolosità di cui dà prova il Borghese,
quando possiamo controllarlo, è tale «da garantire moralmente la stessa accuratezza di metodo nel trascrivere anche
la fonte a noi ignota da cui egli ricava la vita di san Pellegrino».
Che il Borghese avesse sott’occhio un testo scritto,
lo si può ipotizzare in base ad argomenti esterni e soprattutto interni.
Degli argomenti esterni, due hanno una significativa importanza: l’impegno del priore generale fra Cristoforo Tornielli da Giustinopoli, morto il 16 giugno 1485,
grazie al quale fiorirono in quell’epoca molte composizioni riguardanti i santi dell’Ordine; e il confronto tra la vita
di Pellegrino di Nicolò Borghese e quella scritta dal forlivese Pino di Girolamo Cedri, nel 1528, sulla base di un
testo autentico della medesima esistente presso i Servi del
convento locale, testo già smarrito intorno al 1594 “per
negligentia dei Padri”. La vita del Cedri, come si può accertare da un esame intrinseco, dipende effettivamente da
una fonte scritta. E siccoma la vita del Cedri è molto simile a quella del Borghese, per conseguenza indiretta (ma
valida) si deduce che anche il Borghese dipende da una
fonte scritta.
Il secondo genere di prove, fondato sugli argomenti interni, si evince da un confronto con la vita del
beato Giacomo Filippo, redatta direttamente dal Borghese
376
FONTI AGIOGRAFICHE
in base a informazioni orali. Tra i due testi esistono innegabili divergenze. Eccone alcune.
1. Il discorso diretto e l’intervento del soprannaturale è molto frequente nella vita di san Pellegrino; assai
sporadico, invece, in quella del beato Giacomo Filippo.
2. La vita di san Pellegrino è cosparsa di numerose citazioni bibliche (circa una trentina), mentre in quella
del beato Giacomo Filippo compaiono due sole reminiscenze dei vangeli.
3. Soprattutto è determinante l’assenza completa
di elementi mariani nella vita del beato Giacomo Filippo.
Notevolissimi, al contrario, quelli offerti dalla vita di san
Pellegrino, che da capo a fondo è intrisa di cristocentrismo
mariano e di una marianità cristocentrica.
Infatti la Madre di Gesù svolge un ruolo di primo
piano nell’itinerario di Pellegrino verso Cristo. Dall’inizio
alla fine, ella è presente come “via” che conduce al Figlio.
Maria si mostra attenta alla vicenda di Pellegrino con tratto squisitamente materno. E, da parte sua, Pellegrino manifesta di vivere in tutto candore quella devozione mariana che pulsava, allora, nell’intimo di ogni fedele. Egli sa di
essere “figlio” spirituale della Madre di Gesù, di cui fa propri i comportamenti. Da verso servo di santa Maria, egli
riproduce in se stesso i tratti evangelici della Vergine, sua
Signora.
Per evidenziare questa sua scelta di vita, la fonte
ricalcata dal Borghese ricorre a uno schema letterario che
si riscontra frequentemente presso gli agiografi medievali.
Questi autori, infatti, sovente amano improntare gli episodi della vita di un santo su quelli della vita di Cristo e
della Vergine. È una tecnica compositiva, posta a servizio
di una tesi: il santo è colui che ispira la propria vita a quella di Cristo e della Madre sua.
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
377
La vita di san Pellegrino applica il suddetto canone agiografico in maniera avvincente. Vediamo infatti che
l’apparizione della Vergine a Pellegrino e il susseguente viaggio di Pellegrino a Siena sono modellati – rispettivamente
– sull’apparizione dell’angelo a Maria (Lc 1, 26-38) e sul
viaggio di Maria alla casa di Zaccaria (Lc 1, 39-56). Il
principio che regola questo calco letterario, a sovraimpressione, è assai evidente: il ruolo dell’angelo Gabriele è assunto da Maria; viceversa, il ruolo di Maria è rimpiazzato
da Pellegrino.
Abbiamo elencato una serie cospicua di argomenti esterni ed interni per dimostrare che Nicolò Borghese
seguiva la falsariga di un testo scritto, quando si accinse a
ricomporre la sua breve biografia di san Pellegrino. Ora
vorremmo dire di più: la fonte che egli ebbe sottomano era
l’antica legenda del Santo, redatta da un confratello poco
dopo la sua morte, cioè verso il 1350. Confortano questa deduzione il solido impianto biblico, di netto sapore medievale, e soprattutto la straordinaria ricchezza di dottrina e
spiritualità mariana, che offre tanti riscontri con quella dei
documenti agiografici servitani del secolo XIV.
In altre parole, nella vita di san Pellegrino scritta
nel 1483 da Nicolò Borghese siamo certi di raccogliere
l’eco della testimonianza fluente e incisiva dei confratelli
che conobbero il Santo. Anzi, per il tenore biblico-spirituale di cui è soffusa e per l’eccezionale ispirazione mariana
che la impreziosisce, la legenda di san Pellegrino può ritenersi un’autentica perla della letteratura agiografica fiorita
tra i Servi di Maria, nel loro primo secolo e mezzo di vita.
378
FONTI AGIOGRAFICHE
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
Edizioni
TESTO
- Vita beati Peregrini Foroliviensis Ordinis Servorum sanctae Mariae a
Nicolao Burgensio equestri clarissimo edita, [ed. P. SOULIER], in Monumenta OSM, IV, Bruxelles 1900-1901, p. 58-62. L’originale latino è
riprodotto, con una traduzione italiana a cura di P. M. BRANCHESI, in
appendice a A. M. SERRA, Santorale antico dei Servi della provincia di
Romagna, Bologna 1967, p. 109-119. La traduzione del Branchesi è
ripresa nel presente volume.
Bibliografia
- D. M. MONTAGNA, Il santorale dei Servi di santa Maria sino a fra
Pietro da Todi (1314-1344). III. Alcuni problemi sulla biografia di san
Pellegrino Laziosi, “Studi Storici OSM”, 43 (1993), p. 20-23.
- D. M. MONTAGNA, La «Legenda beati Peregrini de Forlivio»: perdita
e ricostruzione, “Studi Storici OSM”, 43 (1993), p. 35-50.
- A. M. SERRA, Nicolò Borghese (1432-1500) e i suoi scritti agiografici
servitani, Roma 1966.
- A. M. SERRA, Santorale antico dei Servi della provincia di Romagna,
p. 17-36.
- A. M. SERRA, S. Pellegrino Laziosi da Forlì dei Servi di Maria (1265
c.-1345 c.). Storia, culto, attualità, Forlì 1995.
379
VITA DEL BEATO PELLEGRINO DA
DELL’ORDINE DEI SERVI DI SANTA
FORLÌ
MARIA
1. Forlì, città preclara di Romagna, fu la patria
del beato Pellegrino; uomo sapiente fu il padre, della stirpe illustre e antica dei Laziosi, più dovizioso di doti dello
spirito e di virtù che di beni materiali.
Pellegrino era figlio unico, e pertanto dai genitori
teneramente amato. Egli, disprezzate le vanità terrene,
aveva ben presto deliberato di seguire la via della virtù e –
qualora avesse mantenuto durante la vita il retto sentiero
– la morte stessa gli sarebbe parsa un guadagno1; era solito infatti ripetere apertamente essere la condizione di questa vita mortale ombra e fango2.
2. Fortificato da questo fermo e santo proposito,
un giorno si recò alla chiesa di S. Maria della Croce. Essendosi intrattenuto piuttosto a lungo, in atteggiamento
devoto, innanzi all’immagine della Vergine Maria, la supplicò infine perché si degnasse di mostrargli la via della sua
salvezza. A lui subito apparve palesemente la beata Vergine, ornata di vesti preziose e fini, e così parlò: «Anch’io desidero, figlio mio, indirizzare i tuoi passi sulla via della salvezza».
Questa visione e queste parole egli tra sé considerando, temette, come ingenua colomba, di essere tratto in
fallo dall’ingannatore e nemico del genere umano. Vedu1 Fil
2 Sal
1, 21.
38, 7; Sap 2, 5; 5, 9.
380
FONTI AGIOGRAFICHE
tolo così dubbioso e sbigottito, ancor più benignamente la
Vergine Maria disse: «Non temere, figlio: io son proprio la
madre di Colui che tu adori crocifisso e da lui sono mandata per indicarti la strada della beatitudine». A queste parole così Pellegrino rispose: «Sono pronto a seguire i tuoi
comandi; ho sempre ardentemente desiderato di eseguire
fedelmente i tuoi ordini3. Tu dunque comanderai, o Regina; io pronto e volonteroso ubbidirò». Allora rispose la gloriosa Vergine: «Conosci tu quei religiosi che sono chiamati “Servi di Maria Vergine”?». E Pellegrino: «Ricordo di aver sentito da molti parlare di essi, con grandi lodi per il
loro Ordine e la loro santa vita; ma ignoro del tutto ove
dimorino». E questo lo disse perché ancora a Forlì non v’era
un convento dei frati Servi di Maria Vergine.
Subito Maria Vergine così riprese: «Ti chiami
Pellegrino; ebbene, sarai pellegrino di nome e di fatto. È
infatti necessario che t’incammini verso Siena; ivi giunto,
troverai quei santi uomini intenti alla preghiera: supplicali assai, perché ti ascrivano nella loro famiglia».
3. Udite queste cose, Pellegrino subito si mise in
viaggio e, accompagnato da un angelo4, se ne venne a
Siena. Giunto al convento e picchiato sollecitamente all’uscio, sbucò fuori un portinaio venerando che disse: «Chi
cerchi?», facendo presente che quello era il tempo del prescritto silenzio. Mentre il portinaio diceva queste cose,
subito ai suoi piedi si prostrò Pellegrino, come oltremodo
affaticato; e supplicò quel vecchio che non gl’impedisse
l’entrata, soprattutto perché alcune cose segrete doveva
riferire al priore. Udito ciò, il portinaio lo fece entrare e,
passato il tempo del silenzio, lo condusse alla presenza del
priore. Questi, dopo che l’ebbe squadrato, gli chiese infi-
381
ne di che paese fosse. Rispose [Pellegrino]: «Sono di Forlì».
Poi sentito di che si trattava e conosciuto il proposito di
Pellegrino, il priore e i frati – i quali frattanto assieme si
erano radunati – facilmente si persuasero come ad essi fosse egli inviato dalla Vergine Maria, e riguardavano il fatto
come miracolo di Maria Vergine, la quale è solita illuminare i propri fedeli e con grande sollecitudine renderli partecipi della beatitudine. Perciò i frati volentieri accettarono Pellegrino e lo rivestirono con il santo e nero abito della
Vergine Maria. Appena divenuto frate, un meraviglioso
splendore inondò il suo capo, come per attestare che fedelmente avrebbe custodito castità, obbedienza e povertà secondo il proprio impegno.
4. All’età di trent’anni era a tutti esempio di santa
vita. In seguito, per comando del superiore, tornò a Forlì,
sua città, per mettere fedelmente in pratica la legge del
Signore. Qui in maniera straordinaria afflisse il suo corpo
con veglie, digiuni e macerazioni; e, ciò che è appena credibile, per trent’anni non fu mai visto sedersi: sempre in piedi
mentre mangiava; pregava genuflesso; vinto talora dalla
stanchezza o dal sonno, per poco tempo s’appoggiava ad un
sasso e, trovandosi in coro, ad una panca. Di notte non si
coricava, ma la passava quasi del tutto nella lettura di inni e
salmi. Meditava incessantemente la legge di Dio5. Bramava
imitare gli esempi di Cristo con tutte le sue forze.
Ogni giorno esaminava tra sé le proprie azioni,
piangendo offese e mancanze che gli pareva di aver commesse e che ogni giorno discopriva al sacerdote e con molte lacrime confessava: il sant’uomo si faceva colpevole di
molte cose, mosso dal bruciante desiderio di osservare integralmente la legge divina.
3 Sal
4
118, 20. 40. 60. 127.
Tb 5, 1.
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
5 Sal
1, 2.
382
FONTI AGIOGRAFICHE
5. Dio, ottimo e misericordioso, – che è solito
mettere alla prova, e con la prova irrobustire coloro che
ardono di soprannaturale amore6 – riversò su Pellegrino
una molestissima malattia; infatti una gamba talmente
gonfiò e deperì, che tutti coloro i quali frequentavano per
dovere Pellegrino non riuscivano a trattenere le lacrime.
Alla piaga e allo straordinario gonfiore della gamba si aggiunse quel terribile morbo che chiamano cancro,
dal quale dilagava un tale fetore intollerabile a coloro che
lo assistevano. Per questo motivo già era abbandonato dai
suoi confratelli, anzi, era diventato stomachevole perfino a
se stesso. Dalla gente era detto nuovo Giobbe, tanto appariva svigorito e dolente. Tuttavia, ridotto in così grande e
molesta sofferenza, non compiangeva con lamenti la propria sorte; ma una simile malattia e sofferenza sosteneva
con animo inalterabile, fiducioso nella parola dell’Apostolo che dice: nell’infermità la virtù si perfeziona 7.
6. Il medico Paolo Salaghi, uno tra i suoi concittadini che piangevano una tanto grave malattia di
Pellegrino, venne alla casa dell’infermo servo di Dio.
Esaminata la gamba, indagò poi con più cura sulla forza
del male; infine col consenso di tutti, venne a questa conclusione: che ormai non giovavano rimedi per recuperare
la sanità e che la malattia si sarebbe ogni giorno più propagata fino a contaminare tutto il corpo, a meno che non
si amputasse tempestivamente la gamba piagata. Questo,
concordando tutti, fu deciso di eseguire, stimando essere
conveniente sacrificare un membro piuttosto che lasciar
perire tutto il corpo.
6 Tb
12, 13; Sap 3, 5-6.
12, 9a.
7 2Cor
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
383
7. Prima del giorno destinato all’operazione, la
notte precedente, dopo aver lungamente riflettuto su quella decisione, Pellegrino stabilì di ricorrere a Gesù Cristo,
suo Salvatore. Si levò, come poté, e da solo si trascinò faticosamente fino alla sala capitolare, dove si trovava un’immagine di Gesù Cristo crocifisso; a lui si rivolse implorante con queste parole: «O Redentore degli uomini, per cancellare i nostri peccati hai voluto piegarti sotto il supplizio
della croce e sotto una morte amarissima. Mentre eri sulla
terra tra gli uomini, molti ne hai sanati sottoposti a tante
malattie: mondasti il lebbroso, illuminasti il cieco quando
disse “Gesù, figlio di David, abbi pietà di me”8. Degnati
ugualmente, o Signore mio Dio, di liberare questa mia
gamba dal male altrimenti inguaribile; se non lo farai, sarà
necessario tagliarla!». Mentre diceva queste cose – tormentato con violenza dalla malattia – si addormentò, e nel sonno vide Gesù crocifisso discendere dalla croce e liberarlo
da ogni languore alla gamba. Subito svegliatosi, s’accorse
di avere la gamba sanata e così robusta come se mai fosse
stata inferma. Dopo aver ringraziato Dio clementissimo
per così straordinario dono, se ne tornò nella sua camera.
8. Alla mattina, fattosi chiaro, ecco che giunge il
medico con attrezzi e pomate per eseguire l’amputazione
della gamba. A lui dice Pellegrino: «Ritorna a casa, o tu
che sei venuto per sanarmi! Quel medico che mi ha restituito perfetta sanità così mi parlò: “Io sono colui che dono
e tolgo agli uomini la buona e la cattiva salute9, che mi
prendo cura dell’anima e del corpo; io sono colui che ridonai la vista ai ciechi, mondai i lebbrosi, sanai i paralitici,
resuscitai dagli inferi i morti; ecco, io sono colui che nessuna fatica, nessun obbrobrio – neppure un acerbissimo
8 Mt
9 Gb
8, 2 e paralleli.
1, 21.
384
FONTI AGIOGRAFICHE
genere di morte – ricusai per la vostra salvezza”. Colui che
così mi ha parlato, lo stesso, o medico, mi ha perfettamente guarito».
Udendo questi discorsi, il medico pensava che
Pellegrino vaneggiasse per la violenza del male, e dice:
«Mostra la gamba, perché io possa liberarti da questa contagiosa rovina di tutto il corpo». Risponde Pellegrino:
«Medico, cura te stesso! Di questa tua arte io più non bisogno; il Principe della medicina e l’Autore dell’umana salvezza ha allontanato con la sua potenza ogni mia infermità». E subito mostrandogli la gamba dice: «Guarda, e
sappi quale medico ho avuto!». Stupisce oltremodo il medico nell’osservare la gamba così guarita e robusta, senza
tracce né del tumore enorme né del cancro vorace, e dice
ai suoi assistenti: «Che grande miracolo!».
Partitosi dal luogo, a tutti coloro che incontrava
annunciava un così manifesto prodigio di Dio a favore di
quel suo servo, e si studiava divulgarlo per tutta la città.
Ben presto la fama di tanto singolare avvenimento largamente si diffuse e produsse grandissima venerazione da
parte di tutti verso l’amico di Dio Pellegrino.
Egli, ancor più corroborato dopo questi eventi, con
ogni energia seguì la via del Signore, anelando ai gaudi
eterni preparati a tutti coloro che osservano i salutari precetti divini10.
9. Morì all’età di quasi ottant’anni, colpito da assai
gagliarda febbre. La sua anima fu condotta alla felicità del
paradiso dai beati Filippo fiorentino e Francesco senese,
dello stesso Ordine, e dalla Vergine Maria. Appena morto
Pellegrino, dal suo corpo inanimato si sprigionò un profumo soavissimo, tanto che i presenti restarono altamente
meravigliati di quella straordinaria fragranza.
10 Mt
25, 34; Fil 1, 23; 2Tm 3, 7-8.
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
385
Mentre la sacra dimora di quell’anima già trionfante giaceva nella bara, posta nel coro, come se la morte
del santo fosse stata annunciata da banditore, era conosciuta da tutti i forlivesi, i quali ambivano tutti vedere le
reliquie venerande deposte nel coro. Da ogni dove, per tutte le porte della città, si accalcavano gli abitanti del contado spinti dalla fama di quel servo di Dio; tanto che in
quella notte, per la moltitudine irrompente, non fu possibile chiudere le porte della città.
Né mancò al beato Pellegrino la conferma mandata dal cielo alla sua santità, attraverso i miracoli. Noi ci
accontenteremo di riferirne due o tre, mentre a Forlì nella
chiesa dei Servi di Maria Vergine di molti altri se ne conserva memoria, con scrittura autentica di autorevolissimo
notaio.
Miracolo del cieco che vide.
10. Restando il corpo del beato Pellegrino esposto
in coro, si appressò supplichevole alle sacre reliquie un poveraccio – mendicante e cieco – implorante dal profondo
del cuore di riacquistare la vista.
O infinita potenza e grazia di Dio, che ti manifesti nei tuoi servi! Si levò allora il corpo beato e, di fronte
alla folla innumerevole, con un segno di croce benedì quel
cieco; e subito dagli occhi di lui furono viste cadere come
delle squame11. Il già cieco gridò esultante per la gioia e di
fronte a tutti dichiarò di vederci bene; egli, poi, dopo aver
ringraziato Dio e il beato Pellegrino, felice se ne andò.
11 Tb
11, 8. 12.
386
FONTI AGIOGRAFICHE
Liberazione di una donna indemoniata.
11. Uno o molti fra i peggiori diavoli si erano
impossessati di una donna forlivese; questa, piena di corruccio, imbestialiva talmente che non poteva essere raffrenata né da ceppi né da catene: infatti, dotata di forza sovrumana, spezzava o sfuggiva ogni legame. Essendosi sparsa assai largamente la fama dei miracoli, i familiari trascinarono questa furibonda indemoniata alle sacre reliquie
del beato Pellegrino, poste in chiesa. Appena l’ebbe toccate, fu espulso il maligno spirito con fragore spaventoso,
mentre i presenti videro uscire dalla bocca dell’indemoniata molti animali e udirono queste parole: «Le tue preghiere, o Pellegrino, mi tormentano acerbissimamente». La donna, affrancata del tutto dal dominio del diavolo, ringraziò
lungamente Dio e il beato Pellegrino, poi tornò lieta con i
suoi a casa.
Guarigione di uno caduto dall’albero.
12. Un tale era salito su una pianta assai alta;
essendo scivolato, precipitò a terra; per questo motivo,
usciti i visceri, schiattò: ormai non vi era più alcuna speranza di vita. In seguito, per l’intercessione del beato
Pellegrino, riacquistò perfetta sanità. In segno di riconoscenza, rese il dovuto ringraziamento.
FONTI ICONOGRAFICHE
1
INTRODUZIONE
Le prime venerabili icone mariane furono effigiate
immediatamente dopo le origini dell’Ordine ad opera di
grandi artisti, quali Coppo di Marcovaldo, Cimabue, Duccio di Boninsegna ed altri, per le chiese più importanti
dell’Ordine: Siena, Orvieto, Bologna e Firenze.
Rappresentano la “Maestà”, cioè la Madre del Signore con il Bambino in braccio, sede e propositrice della
Sapienza realmente incarnata, Regina di misericordia, sintesi della spiritualità dei Servi che si rapportano a Lei per
raggiungere e offrire agli altri il Figlio.
Le icone dovevano essere normalmente collocate
sull’altare maggiore. Ad esse si rivolgevano le “riverenze” o
atti di ossequio previsti dalla legislazione dell’Ordine, in
particolare la solenne Salve Regina al termine di compieta1.
Sulla collocazione della Vergine nell’iconografia primitiva dei Servi, come pianta di Jesse in cui Cristo si è veramente incarnato entrando a far parte della storia umana,
daranno testimonianza e colore, innestandola nel complesso del corso liturgico annuale, le miniature dei Corali di Siena e di Bologna, di poco posteriori alle tavole di Coppo.
Madonna della Salve è detta in Santa Maria dei Servi a Bologna un’icona
della Vergine della tenerezza, attribuita al secolo XIII (ma forse del XV).
1
390
FONTI ICONOGRAFICHE
La partecipazione di Maria ai misteri dell’incarnazione e della salvezza è espressa nella duplice raffigurazione dell’Annunciazione, inizio dell’opera redentrice2 e di
Maria e Giovanni ai piedi della croce 3, nel segno di somma
compartecipazione al mistero di assunzione e redenzione
di tutte le colpe e di tutte le sofferenze dell’uomo.
Nei primi decenni del Trecento, mentre le immagini della Madonna col Bambino evolvono verso i moduli
teneri e affettuosi del primo umanesimo, la sintesi storicospirituale fissata nella Legenda de origine trova la sua espressione iconografica nella predella di Taddeo Gaddi, a Firenze, con Maria nelle vesti della vedovanza, che, affiancata da sant’ Agostino, di cui i Servi seguono la Regola, e da
san Pietro Martire, consigliere spirituale dei primi padri,
accoglie il gesto di omaggio e dedizione dei primi Sette
suoi Servi prendendoli insieme sotto la sua protezione.
Quasi contemporaneamente nell’affresco di Todi,
dove riposa il suo corpo, Filippo Benizi, il beato per eccellenza dell’Ordine, appare quale interlocutore nel passaggio
dal Purgatorio alla gloria del Paradiso, tra la Vergine delle
“anime” purificate, incoronata e ammantata di stelle, e l’apostolo Pietro, clavigero del cielo.
I rilievi, poi, dell’arca marmorea del beato Gioacchino, l’umile frate laico senese, ci riportano alla quotidianità religiosa in cui la costante comunione con Dio induce a prendere su di sé i pesi e le sofferenze dei fratelli.
Le schede annesse permetteranno di documentare
e visualizzare questi dati essenziali di riferimento.
Bibliografia:
D. M. MONTAGNA, Le antiche icone mariane dei Servi (sec. XIII-XVI). Verso una riscoperta, “Moniales Ordinis Servorum”, 13/15 (1982-1984),
pp. 13-20.
2 Chiese
della Santissima Annunziata dei Servi in Pistoia e Firenze.
di Giuliano da Rimini nella sala del capitolo nel convento di Forlì.
3 Affresco
2
TAVOLE
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FONTI ICONOGRAFICHE
1. COPPO DI MARCOVALDO (noto tra il 1259 e il 1280)
Madonna in trono col Bambino o Maestà,
detta del Bordone (1261).
Eseguita al tempo del priore generale Iacopo da Siena (1257-1265).
Siena, Santa Maria dei Servi.
La Madre di Dio, con veste scura a pieghe geometriche segnate in oro e un velo bianco sul capo, è rappresentata seduta su di un ricco trono con spalliera a lira, i piedi
poggiati su di un cuscino. Volge lo sguardo mesto e dolce al
devoto (il volto è stato però ritoccato da un pittore duccesco) e tiene con la sinistra, quasi del tutto coperta da un
panno bianco con linee decorative rossastre, il Bambino cui
sorregge delicatamente con la destra uno dei piedini.
Gesù, volto piuttosto verso la Madre, tiene nella sinistra il rotolo della legge e alza la destra in segno di benedizione. Ambedue hanno il capo circondato da aureola.
Anche ciò che prima era semplice grafia delle pieghe di tipo ornamentale, diventa elemento dinamico-pittorico e definisce il volume. Il disegno è molto fluido ed
assai limpido, le inserzioni tonali delicate e sempre ben
accostate.
Emergono dallo sfondo dorato Michele e Gabriele,
l’angelo della cacciata dell’uomo dall’Eden (Gen 3, 24) e
l’angelo che annuncia la redenzione (Lc 1, 26-38): in Maria, infatti, il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) e si è compiuta la salvezza. I due piccoli angeli sembrano fare con la
mano un gesto di saluto e di venerazione e uno di loro sorregge un globo, simbolo del mondo.
Al tipo bizantino della Panaghia Angeloktistos, evocato nella Madonna del Bordone, il grande maestro, “il più
significativo ed alto precedente fiorentino della pittura di
Cimabue”, ha saputo conferire intensa espressività fatta di
maestà e dolcezza.
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FONTI ICONOGRAFICHE
2. COPPO DI MARCOVALDO (noto tra il 1259 e il 1280)
Madonna in trono col Bambino (1268).
Eseguita al tempo del priore generale san Filippo Benizi (1267-1285).
Orvieto, Santa Maria dei Servi.
Lo stesso Coppo dipinge un’altra Madonna – la seconda delle sue tre opere certe – a Santa Maria dei Servi
in Orvieto, probabilmente nel 1268.
Il tipo iconografico, pure in uno stile di esecuzione più evoluto anche se meno grandioso, è lo stesso del
precedente; ma qui la Madre tiene il Bambino sulla destra
e il suo capo, oltre che dall’aureola in rilievo, è coronato da
diadema gemmato con fronde a colori. I due angeli, portanti una verga fiorita nella mano, si affacciano a mezzo
corpo sui lati della spalliera del trono, ampliata. Una robusta plasticità ottenuta mediante dense ombre che sottolineano le sigle formali e i grafismi della tradizione bizantina,
conferendo loro un’intensità espressiva e drammatica del
tutto nuova, caratterizza lo stile di questo grande maestro.
La Madonna in trono col Bambino di Orvieto segue
lo schema delle Odighitrie bizantine, superandolo però con
la nitida e possente corposità, con le ombreggiature caricate, con la grossa linea incisiva che regge i volumi. Dove la
linea si fa più puntuta, come nella raggiatura aurea delle
vesti, essa assume un significato nuovo di movimento. La
Vergine Maria, signora e regina, regge quale sede la Sapienza increata. Con l'inclinazione del capo e col gesto della
mano indica Cristo benedicente e recante nella sinistra il rotolo della Parola di vita. Ella è rivestita del manto dorato che
esprime la sua dignità di Madre di Dio. Il velo bianco, che
le ricopre il capo, concentra la luce emergente dall'oro,
segno dello Spirito santo, sul viso dolce e mesto4.
4 Cf.
A. M. DAL PINO, Madonna santa Maria e l’Ordine dei suoi Servi nel primo
secolo di storia (1233-1317 ca.), “Studi Storici OSM”, 17 (1967), p. 22-24.
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FONTI ICONOGRAFICHE
3. CIMABUE (noto tra il 1272 e il 1302)
Madonna in trono col Bambino, o Maestà (al 1287 ca.).
Eseguita al tempo del priore generale fra Lotaringo da Firenze (12851300 ca.).
Bologna, Santa Maria dei Servi.
Molto vicina al tipo iconografico delle tavole di Coppo di Marcovaldo, la Madonna in maestà di Bologna riflette intensa espressività, grande dolcezza e una nuova monumentalità. Cimabue vi introduce una novità compositiva: egli presenta l’immagine leggermente d’angolo, cosicché, nonostante lo sfondo d’oro, essa gode di profondità prospettica.
Dietro al trono, due angeli con ali dai bellissimi colori sfumati e con atteggiamenti simmetrici, insieme sorreggono e presentano all'orante la Madre di Dio, trono
della misericordia.
La posizione del corpo di Maria, l’atteggiamento
del Bambino, il peso evidente di lui che fa sollevare il ginocchio alla madre perché egli possa salire ad accarezzarle
il volto, sono elementi di un rapporto decisamente umano
e ricco di dolcezza, proiettato verso future interpretazioni
del rapporto affettivo tra madre e figlio5.
Il Bambino, non benedicente, è in piedi, voltato
verso la madre, aggrappato al manto lumeggiato d’oro ed
ella con gesto delicato gli tiene un piedino tra le mani. Il
cuscino rosso su cui siede Maria ne indica la dignità e alleggerisce la struttura dell’icona.
La profonda concentrazione del suo sguardo, l’evidenza quasi scultorea delle grandi pieghe trasversali e verticali della veste, a sottolineare il moto bilanciato delle ginocchia, il gesto delicato di Maria sono invenzioni geniali
di un grande artista.
5 Cf. R. D’AMICO, Devozionalità e circolazione culturale nel Duecento a
Bologna: la Maestà di Cimabue a Santa Maria dei Servi, “Studi Storici OSM”,
31(1981), p. 273.
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FONTI ICONOGRAFICHE
4. DUCCIO DI BONINSEGNA (noto tra il 1278 e il 1318)
Madonna col Bambino.
Montepulciano, Santa Maria dei Servi.
La tavola in origine doveva mostrare la figura intera della Vergine.
Essa vi è raffigurata “inclinata leggermente sul Bambino, coperta da un ampio manto azzurro con una stella
in fronte alla maniera greca e da un bianco velo di seta ricamata, che era una innovazione tutta toscana, gettato sui
capelli e discendente molto, sì che le avvolge e le incornicia gentilmente il bel viso, che è tutto dipinto di un bianco
avorio con tocco di rosso nelle guance e con ombre delicate color cenere.
Il Bambino vivo e pensoso, seduto sul ginocchio sinistro di lei, fissa lo sguardo innocente sullo spettatore, mentre con la destra stringe un lembo del velo della Madre, nel
modo in cui le donne si avvolgono nei loro scialli”6.
Se, per un verso, l’arte di Duccio di Boninsegna può
considerarsi come l’ultimo e supremo episodio della “maniera greca” nella pittura toscana, dall’altro essa, sia per la sua
precoce assimilazione del gusto gotico per la linea ondulata
e serpeggiante, sia per il suo ricco contenuto di umanità e per
la sua immediatezza espressiva, appare degna di fiancheggiare l’opera novatrice di Cimabue e di Giotto e di aprire la
via alla susseguente splendida fioritura della “scuola” di Siena.
La Madonna col Bambino, nell’ariosa leggerezza del
portamento dolcemente regale, nel sinuoso linearismo del
panneggio e nel limpido incanto dei colori di miniaturistica finitezza e preziosità rievoca il fascino poetico della
grandiosa Maestà del duomo di Siena.
6 Cf.
R. TAUCCI, Il convento di Santa Maria di Montepulciano e i suoi ricordi,
“Studi Storici OSM”, 2(1934-1936), p. 27.
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5. SEGNA DI BONAVENTURA (noto tra il 1298 e il
1327)
Madonna col Bambino.
Siena, Santa Maria dei Servi.
Segna di Bonaventura, allievo e nipote di Duccio,
ripete tipi e forme del maestro, traducendoli in modo personale, sia pure sul piano di una grande fedeltà ai modelli.
La sua interpretazione sottolinea gli aspetti lirici e
decorativi dell’opera di Duccio, ricercando allungamenti
stilizzati, accentuando caratteri di melanconia nei volti dei
suoi personaggi.
Anch’egli deriva, come Duccio e Simone Martini,
dai moduli del classicismo bizantino, ma, come si vede sul
manto della Vergine, qui c’è un serpeggiare gotico del panneggio e un’altra ricerca di atmosfera.
La gamma cromatica si fa più varia e cantante
mentre le stesure e gli appoggi restano condotti con procedimento di sfumato ed una delicatezza ed una preziosità
di tocco esemplarissime.
Segna di Bonaventura persegue un atteggiamento
più morbidamente umano dei caratteri, pur con un nuovo
accento di pacata e severa monumentalità.
A lui, o almeno alla sua bottega, è dovuta anche
una tavola della Madonna col Bambino, conservata nel Museo della Collegiata a Casole d’Elsa, appartenuta alla locale chiesa dei Servi di San Pietro e poi Santissima Annunziata (vedi tavola a p. 414).
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6. SIMONE MARTINI (1284-1344)
Madonna col Bambino, quattro santi e angeli (1325 ca.).
Orvieto, Santa Maria dei Servi (ora a Boston, Gardner Museum).
L’arte di Martini ondeggia, dolcemente inquieta,
tra accenti di più rigoroso plasticismo e di più persuasiva
spazialità e delicati intarsi di colorismo. I primi sono evidenti nella Maestà affrescata nella sala del Palazzo pubblico di Siena, in cui si esprime totalmente la nuova arte gotica, di un’eleganza dolce e fiorita. I secondi sono riscontrabili nel polittico della Madonna col Bambino, quattro santi,
il Redentore e quattro angeli nelle cuspidi, che il pittore esegue per la chiesa dei Servi in Orvieto negli anni 13211325 con l’aiuto di Lippo Memmi.
È una delle sue più fulgide e preziose creazioni. In
essa le figure a mezzo busto, con le loro infinite, sottilissime
variazioni, sono come le variazioni di un “tempo” interiore.
L’icona, di straordinario fascino soprattutto per la
bellezza del volto della Vergine, di grande evidenza realistica, dall’ovale perfetto, la pelle luminosa, le guance delicatamente arrossate e i grandi occhi luminosi persi in lontananza, riprende il tipo orientale dell’Odighitria.
Fuori dagli schemi è la forza plastica dello stupendo partito di pieghe del velo bianco che esce quasi di forza
da sotto il manto azzurro notturno bordato di lumeggiature dorate, e la veste del Bambino di un rosa luminosissimo, segnato da intense sciabolate di luce e di colore.
Nel gesto delicato della Madre che porge tre rose
al Figlio e ne riceve una carezza affettuosa è racchiusa tutta
la raffinatezza dell’arte di Simone Martini e tutta la purità
della sua pittura, che rimanda costantemente all’intensità
della vita interiore e al valore trascendente dell'immagine
dipinta.
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7. LIPPO MEMMI (noto tra il 1317 e il 1356)
Madonna col Bambino.
Siena, Santa Maria dei Servi.
La Madonna del popolo di Lippo Memmi è parte
centrale di un polittico commissionato al pittore dagli stessi Servi: alla spesa per il dipinto che viene a costare più di
“trecento lire”, contribuisce con cento lire anche il Comune di Siena che si riunisce per la delibera nel Consiglio
della Campana il 16 ottobre 1319.
Lippo Memmi, uno degli allievi più sicuramente
definibili di Simone Martini, in questa Madonna riprende
dal maestro schemi e particolari della Annunciazione, oggi
al Museo degli Uffizi (Firenze).
Sulla spalla destra della Vergine compare lo stesso
rosone decorativo, il manto incornicia il volto con le stesse listellature d’oro, mentre il fondo appare bulinato secondo la tecnica di Martini. Tutta la tipologia della Vergine è martiniana: il naso appuntito, il perfetto ovale del
volto, gli occhi allungati. La mano destra, in particolare,
risente del tipo martiniano affusolato, dolce, finissimo.
E dolce è il clima di umanità che in quest’opera
viene fissato. Maria appare come il mistico trono della Sapienza, secondo la tipologia orientale dell’Odighitria, riletta però con cadenze intime ed armoniose.
Preziosissima la nota di bianco del copricapo della
Vergine, cadente in pieghe morbide e ben raccolte. Sul
bordo del mantello oscuro è decorata in oro la formula Ave
Maria, gratia plena 7.
7È
appena il caso di ricordare l’uso di questa preghiera evocata nella Legenda
del beato Gioacchino da Siena.
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FONTI ICONOGRAFICHE
8. BERNARDO DADDI (noto tra il 1312 e il 1348)
Madonna del soccorso.
Firenze, Santissima Annunziata.
Del pittore fiorentino operante nella prima metà
del secolo XIV, legato da principio all’arte di Giotto e accostatosi in seguito alla scuola senese, rimangono piccole
immagini sacre, brillanti di tinte preziose accordate a purezza di stile, sobrietà di ritmi e malia di colore.
Nella Madonna col Bambino, che nel XVI secolo
viene posta sull’altare della Cappella del Soccorso nella chiesa della Santissima Annunziata, egli perviene ad uno stile
di colorismo fuso e musicale, di delicati ritmi compositivi
e di poetiche cadenze spaziali, esprimendo con notevole
coerenza un suo sentimento di tenue commozione religiosa e di pietà intima e umile.
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FONTI ICONOGRAFICHE
9. GANO DI FAZIO (noto tra il 1302 e il 1317 ca.)
Tre rilievi con storie della vita del beato Gioacchino (1310 ca.).
Siena, Pinacoteca nazionale (già arca sepolcrale del beato in Santa Maria dei Servi in Siena).
Nei tre pannelli sono rappresentati i seguenti episodi:
- il giovane Chiaramonte, umilmente genuflesso e
tutto proteso verso l’ingresso semiaperto del convento sembra “impetrare la grazia di entrare”8. (Nell’interpretazione
seicentesca si tratterebbe del beato che, tornato di notte dal
visitare un infermo e non udito dai frati, avrebbe visto la
porta d’ingresso cadere miracolosamente per terra. Il beato,
tuttavia, indossa di fatto, nell’episodio, una veste secolare).
- Il miracolo della mensa. Di fronte ai frati seduti
dalla parte interna, secondo l’uso di allora, il beato si accascia colpito dal male caduco. Si nota la tavola già mezzo
rovesciata, il vasellame che vi rimane aderente, il gesto di soccorso e quello di ammirazione espresso dai fratelli presenti9.
- Il beato servendo all’altare come accolito, è colpito dalla stessa malattia all’elevazione dell’ostia e cade riverso mentre il cero che reggeva in mano rimane eretto10.
L’ultimo episodio, benché accaduto prima del precedente, è rappresentato nel terzo pannello, prestandosi il
secondo, più popolato ed animato, a coprire la scena centrale. L’abito, portato dai frati, con la “capa” cucita sul petto per la lunghezza di un palmo e costituente un unico
indumento con l’annesso cappuccio monastico, è del tutto
conforme al testo delle Constitutiones antiquae sulle vesti.
8Legenda
del beato Gioacchino da Siena, n. 3; per i tre rilievi cf. F. A. DAL PINO,
I tre rilievi con storie della vita del b. Gioacchino da Siena conservati presso la locale Pinacoteca, in Spazi e figure lungo la storia dei Servi di santa Maria (secoli XIIIXX), Roma 1997, p. 527-537.
9 Ibid., n. 9.
10 Ibid.
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FONTI ICONOGRAFICHE
10. ANONIMO UMBRO (metà del secolo XIV)
La Vergine, il beato Filippo Benizi, san Pietro e le anime del
Purgatorio, (1346).
Todi, San Marco (ora monastero di San Francesco).
Il monte del Purgatorio, descritto in parte secondo la “leggenda di san Patrizio”, è tagliato in sezione verticale, con sette grotte nelle quali le anime purganti si liberano dai sette vizi capitali.
Sulla vetta un santo vescovo, secondo alcuni Patrizio, lascia penetrare, attraverso un comignolo, dentro le
caverne disposte su due piani, qualcosa che simbolicamente allude ai suffragi della Chiesa.
Prima dell’uscita, è visibile il ponte del Purgatorio,
secondo la visione del monaco cassinese Alberico, del secolo XII. A sinistra, a breve distanza, si alzano le mura merlate di una città e sugli spalti appare il Redentore circondato da angeli in adorazione.
All’uscita dalla montagna le anime, rivestite di una
bianca tunica, si presentano alla Vergine ammantata di
bianco stellato che, in figura imponente, si piega ad incoronare di fiori una di esse, inginocchiata ai suoi piedi.
A fianco di Maria, Filippo Benizi, con la raggiera
dei beati, con la sinistra innalza un ramo di mirto (per altri
di ulivo) e con la destra guida un’anima già incoronata
dalla Vergine a san Pietro che l’avvia alla porta del castello
celeste, il Paradiso11.
Cf. E. M. CASALINI, Iconografia di san Filippo Benizi, in Da una “casupola” nella Firenze del sec. XIII. Celebrazioni giubilari dell’Ordine dei Servi di Maria. Cronaca, liturgia, arte, Firenze 1990, p. 109-111; cf.
anche C. GRONDONA, Todi storica e artistica, Todi 19816, p. 200-207.
11
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FONTI ICONOGRAFICHE
11. TADDEO GADDI (m. 1366)
Madonna dei Servi (1332-1334)
Predella della tavola dipinta per l’altare maggiore di Santa Maria di
Cafaggio in Firenze, scomparsa12.
«Nel mezzo della predella è rappresentato il momento in cui la Madre di Dio comanda ai sette santi Fondatori del suo Ordine di rivestire l’abito nero in memoria
dei dolori da lei sofferti nella passione del Figlio suo; e così
è composta la scena.
Nella parte centrale in piedi è la stessa beata Vergine, assistita ai lati da due angeli in forma umana. Alla
destra è sant’Agostino con un libro in mano, perché da lui
l'Ordine dei Servi prese la Regola; nella sinistra invece è
san Pietro Martire, fautore dell’Ordine; da un lato, poco
discosti appaiono tre religiosi rivestiti d’abito nero come
vestivano i Servi di Maria in antico13; altri tre frati stanno
dal lato opposto. Tutti sono genuflessi e guardano con
grande devozione la beatissima Vergine Maria ai cui piedi,
parimenti genuflesso, c’è un settimo frate dello stesso Ordine, al quale, come segno di imposizione dell’abito, la stessa Vergine beata, prendendo con la destra il proprio velo
di color nero, glielo stende sopra le spalle».
Il dipinto che trascrive pittoricamente la Legenda
de origine le è quasi contemporaneo, essendo stato eseguito intorno al 1334.
Ai lati della Vergine, insieme ai due angeli che rimandano al motivo iconografico bizantino caro a Coppo
di Marcovaldo, si vedono il santo legislatore Agostino e
san Pietro Martire, consigliere accreditato delle decisioni
iniziali dei Sette primi padri.
12 La
tavola è descritta e interpretata in un testo latino a stampa del 1717, qui
tradotto.
13 Il testo in altra parte recita: «Il cappuccio piccolo e stretto, l’abito o scapolare più corto della tonaca, la cappa stretta».
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La Vergine è in piedi e vestita – constatazione di
grande importanza storica – come le leggi suntuarie di Firenze nei secoli XIV e XV stabilivano che vestissero le vedove: bende bianche chiuse sotto il mento, manto nero che
ricopre la persona dalla testa ai piedi. Maria non reca il
Bambino essendo appunto nello stato di vedovanza come
dichiara il manto che la ricopre14.
Colui che è genuflesso a mani giunte, fa omaggio
di sé e degli altri sei discosti, nei quali è certamente rappresentato tutto l'Ordine, e veste già l'abito completo dei
Servi di Maria.
Il suo gesto è legato alla simbologia del manto e al
rito dell'investitura feudale. La Vergine accetta il servizio
che i Sette le offrono e ne diviene Signora, avvocata, patrona, mediatrice.
La Madonna del Gaddi ha davanti a sé dei “servi”,
non una servitù; dei vassalli, cioè degli uomini liberi che
volontariamente si mettono al suo servizio per ottenere un
bene spirituale, ed ella come signora accetta il servizio e
col gesto del manto si impegna nella protezione15.
14 Anche le opere di Coppo e di Duccio presentano Maria col manto e le vesti
di colore nero, proprie dello stato di vedovanza, come si usava nel Medioevo:
“Or me date un manto nero – fanno dire a Maria le laudi dell’epoca – poi ch’io
so si abbandonata et del mio Figlio vedovata”.
15 Cf. E. M. CASALINI, La Madonna dei Servi, Roma 1962 (Studia historica
minora, II), p. 18-23.
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FONTI ICONOGRAFICHE
3
CORALI
SEGNA DI BONAVENTURA (noto tra il 1298 e il 1327),
Madonna col Bambino.
Casole d’Elsa, Museo della Collegiata (già nella chiesa dei Servi di San
Pietro e poi Santissima Annunziata).
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FONTI ICONOGRAFICHE
3 - CORALI
417
SIENA, SANTA MARIA DEI SERVI
Corale F, Antifonario diurno, c. 1, (1271)
Corale F, Antifonario diurno, c. 21v., (1271)
I domenica di Avvento, miniatura della lettera A (Ad te levavi...).
In alto Dio Padre benedicente; in basso, nove santi che
guardano in alto, con al centro una figura femminile, la Vergine probabilmente, che posa frontalmente (Virgo mater
Ecclesie).
Natività di Cristo, miniatura della lettera P (Puer natus...).
Al centro, grande, la Madonna giacente; sopra, Cristo nella
culla con ai lati due angeli; presso la mangiatoia, il bue e
l’asino e un pastore; in basso, san Giuseppe e una donna
che lava il bambino.
418
FONTI ICONOGRAFICHE
3 - CORALI
419
Corale F, Antifonario diurno, c. 205v., (1271)
Corale G, Graduale dei santi, c. 5, (1271)
Ascensione, miniatura della lettera V (Viri Galilei...).
In alto, in una mandorla, figura del Redentore benedicente sorretta da due angeli; in basso, gli apostoli divisi in due
gruppi da un arbusto foliato (tronco di Jesse) che s’innalza al centro; tra le foglie dell’arbusto, una croce bianca.
Purificazione, miniatura della lettera S (Suscepimus Deus...).
In alto, due angeli separati da un arbusto foliato posto al
centro; in basso, Presentazione al tempio con Giuseppe,
Maria ammantata di nero, Simeone col bambino Gesù tra
le braccia e Anna.
420
FONTI ICONOGRAFICHE
3 - CORALI
421
Corale G, Graduale dei santi, c. 28, (1271)
Corale G, Graduale dei santi, c. 30, (1271)
Assunzione di Maria, miniatura della lettera G (Gaudeamus omnes...).
In alto, estremità inferiore di una mandorla sorretta da
due angeli e orlo della veste della Vergine, da cui scende
un cingolo raccolto da uno degli apostoli; all’interno, gli
apostoli, divisi in due gruppi, ai lati di un arbusto foliato.
Natività della Madonna, miniatura della lettera S (Salve
sancta Parens...).
In alto, Cristo benedicente tra due angeli; sotto, gli apostoli gesticolanti verso l’alto, divisi in due gruppi da un arbusto foliato centrale (Maria germoglio del tronco di Jesse).
422
FONTI ICONOGRAFICHE
BOLOGNA, SANTA MARIA DEI SERVI
Corale A/bis, Antifonario d’Avvento, c. 1v., (1270 ca.)
Responsorio del I notturno, miniatura lettera A (Aspiciens...).
In alto, Cristo con aureola crociata; in basso, quattro personaggi, due con l’aureola e due senza, alzano le mani verso il
Messia che deve venire; al centro del gruppo, un virgulto sovrastato da una piccola croce bianca, allusione esplicita al
fatto che il Messia nascerà dalla Vergine Maria (Is 11, 1).
3 - CORALI
423
Già nella miniatura della festa della Natività di Maria è
riassunto il tema di fondo: la Vergine di Nazareth, vera
creatura e donna in pienezza, è nata per dare alla luce dalla
stirpe di Davide e dal proprio sangue il Figlio di Dio fatto
uomo per la salvezza dell’uomo, mentre il popolo d’Israele
ancora invoca il Dio di Abramo perché invii dall’alto il
promesso liberatore.
La dottrina d’una maternità reale (non apparente)
viene esplicitata dalla simbologia della pianta di Jesse (cf.
Is 11, 1), dalla quale proviene il fiore che è l’Emmanuele
(Is 7, 14).
Ogni volta, quindi, che questa reale maternità di
Maria e la reale umanità di Cristo lasciano adito nella figurazione al dubbio o all’equivoco, a Maria donna si sostituisce il germoglio di Jesse, che fiorisce in Gesù Salvatore
degli uomini e produce il frutto (la crocetta bianca sulla
pianta) della nostra redenzione.
E perché anche l’immagine di Maria che presenta il
Figlio al tempio come sacrificio nuovo e nuova vittima efficace al Padre non crei equivoci sull’identità della vittima e
dell’offerta, ecco che nella stessa miniatura della Presentazione due angeli sono rappresentati in venerazione della
pianta di Jesse che fruttifica nella croce.
La Vergine indicata nel simbolo della pianta è presente nell’Ascensione, perché se in questa miniatura Maria
fosse stata raffigurata come donna l’equivoco del Cristo angelico o fantasma – come predicavano certe eresie del momento – continuava a sussistere16.
Per l’Assunzione, la miniatura descrive l’itinerario
di Maria verso il cielo in corpo e anima. Secondo gli apocrifi la cintura lasciata cadere dalla Vergine nel suo salire in
alto, per l’apostolo Tommaso, è segno concreto di quella
corporeità che s’invola dalla terra.
16 J. DELUMEAU, Rassicurare e proteggere. Devozione, intercessione, misericordia
nel rito e nel culto dell’Europa medievale e moderna, Milano 1992.
424
FONTI ICONOGRAFICHE
L’altra indicazione da non perdere è che in questa
Assunzione il virgulto, la pianta di Jesse non è più un simbolo ma un segno, un richiamo a quella che è stata una realtà, una missione che sulla terra ha ormai avuto il suo
compimento. Ecco perché sulla pianta non brilla più la
piccola croce bianca che abbiamo visto nelle altre miniature sopra il virgulto di Jesse.
Perché proprio i Servi di Maria in un periodo di
tempo non datato – forse II decennio dopo la prima metà
del secolo XIII – hanno usato una simbologia che, se era
corrente nella letteratura del tempo, certamente non era
molto diffusa iconograficamente?
La risposta è implicita nella Legenda de Origine,
ove l’autore insiste a parlare di eresia e di san Pietro Martire, per determinare il tempo in cui nacque l’Ordine dei
Servi e quindi dichiarare l’ortodossia dei primi Padri.
L’attacco dei nuovi manichei (Catari e Patarini) si
rivolgeva naturalmente alla cristologia e di conseguenza
alla maternità umana e divina della Vergine. Cristo non
era Dio e nemmeno vero uomo, ma un angelo adottato da
Dio e quindi con apparenza di uomo. Maria rimaneva
dunque un semplice strumento, un elemento di passaggio
senza nessun legame con quel Gesù Cristo che appariva
nato da lei17.
S’intaccava quindi il dogma cristologico della salvezza.
È chiaro che i concili condannarono tali eresie. Il
clima di difesa dell’ortodossia incide sulla sensibilità religiosa di un Ordine nato a Firenze – sempre un po’ covo di eresia – nel nome della Madre di Dio e al suo servizio dedicato, intitolato e votato, preoccupato altresì di dichiarare l’esatta posizione della Vergine nella storia della salvezza.
17 Cf. M. PETROCCHI, Storia della spiritualità italiana (sec.
1984.
XIII-XX ),
Roma
3 - CORALI
425
La decisione quindi di manifestare in testi fondamentali di spiritualità come sono i corali e con un linguaggio figurativo nuovo la propria ortodossia cristologica
e mariana, ci assicura di un apporto creativo alla cultura
religiosa locale e non di una devozione passiva da parte dei
Servi di Maria, a quarant’anni dalle loro origini.
Bibliografia
E. M. CASALINI, La Madonna dei Sette santi, in I Sette santi nel I centenario della canonizzazione (1888-1988). Convegno di studio promosso dalla Pontificia facoltà teologica Marianum in collaborazione
con l’Istituto storico OSM, Roma, 3-8 ottobre 1988, a cura di E. PERETTO, Roma 1990, p. 200-210, che rimanda frequentemente a A.
M. GIUSTI, Introduzione alla miniatura senese del Duecento, tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze,
anno acc. 1973-1974 (rel. M. G. Dupré Dal Poggetto); cf. anche P.
M. BRANCHESI, Libri corali del convento di S. Maria dei Servi di Siena
(sec. XIII-XVIII), “Studi Storici OSM”, 17 (1967), p. 128, 131-134.
INDICE ANALITICO
ABITO e vesti, presso OSM, 80, 88, 91, 105-107, 121-122, 123,125-126,
127, 128, 135, 136, 139, 159-160, 220, 230, 249, 251-252, 257, 269,
270, 280, 293, 299-301, 327, 347, 366, 381, 408, 412-413;
– suo significato, 252, 267, 270;
– in senso figurato, 212-213, 412-413
ABRAMO, 423; itinerario abramitico, 188, 236
ACCORSO, preposto di Pistoia e vicario gen. del vesc. di Castello, 75;
➝ Bonaccorso
ACQUASPARTA, città, 278
ACQUISTO d’Arezzo, OSM, 318
ADDOLORATA,
➝ Maria ss.
ADIMARI, Taddeo, storico OSM, poi vallombrosano, 288
ADIMARO, OSM, 78
ADRIANO V, papa,
➝ Ottobuono
ADRIANO, OSM, 67, 320
ADRIANO d’Assisi, OSM, 61
ADRIATICO, mare, 287
AGIOGRAFIA, presso OSM, 181-386;
➝ Legenda e Vita ac legenda
AGNESE di Montepulciano (s.), 65, 69-70
➝ Rimando ad altro lemma dell’indice.
428
INDICE ANALITICO
AGOSTINO (s.), regola e ordine, 69, 77;
– presso OSM, 19, 20, 21, 25-26, 28, 31, 33-35, 38, 40-41, 44-45,
47-51, 54-59, 61, 64, 68, 70, 74-75, 78, 80, 82, 83, 86, 88-90, 93,
103, 110, 120, 126-127, 138-139, 145, 194, 216, 220-221, 230,
249, 251-252, 270, 390, 412;
– festa, ottava, traslazione e memoria liturgica, 39, 49, 110-111,
153, 162, 166-167, 177;
– iconografia, 390, 412;
– citazioni, 194, 207, 219, 232, 246, 248
AGOSTINO, OSM, 32
ALBARELLI G. M., annalista, OSM, 81
ALBAVERDE, madre di s. Filippo Benizi, 266, 286
ALBERICO, monaco cassinese, 410
ALBERTINO, uno dei primi frati OSM, 23-24
ALBERTINO da Forlì, OSM, 62
ALBERTO, vesc. di Meissen, 58
ALBERTO della Scala, signore di Verona, 85
ALDOBRANDINO,
➝ Ildebrandino
ALDOBRANDINO di Drudolo, capitaneus della società fiorentina della
Vergine, 23
ALEMAGNA,
➝ Germania
ALESSANDRIA, città, 56;
– arcidiacono e canonici, 56-57;
– convento e parrocchia, OSM, 56-57
ALESSANDRO IV, papa, 20, 26-29, 31-33, 103, 253-255, 275
ALESSIO da Firenze (s.), detto dei Falconieri, uno dei fondatori OSM,
23, 32, 187, 189-190, 204, 206, 220, 221-225, 230, 256, 268
ALLELUIATICO, anno (1233), 204-205
ALT-LANDSBURG, convento OSM, 87
AMANUENSI, presso OSM, 179
AMANZIO (s.), 27
AMBROGIO Sansedoni da Siena (b.), OP, 324, 339
AMICIZIA di carità, presso i Sette fondatori, 226, 227, 250;
– verso Dio, 245;
➝ amore
AMMISSIONE di altri fratelli, da parte dei Sette ss., 247-248;
– presso OSM, 123-124, 255, 269, 381, 408
INDICE ANALITICO
429
“ordinato” degli iniziatori OSM, verso Dio, se stessi e il prossimo, 232-235, 247
ANAGNI, città, 25, 31, 33, 256
ANCONA, Marca, 21, 22, 82
ANDREA (s. apost.), vigilia e festa liturgica, 52, 53, 58, 369
ANDREA, OSM, 43
ANDREA, presunto padre di s. Filippo Benizi, 286, 291
ANDREA Balducci da Sansepolcro, priore gen. OSM, 61, 69, 96;
– sigillo, 96
ANDREA Bonazzi, 86
ANDREA da Castel della Pieve, OSM, 73, 321
ANDREA da Faenza, priore gen. OSM, 263, 335
ANDREA dei Mozzi, vesc. di Firenze, 52
ANDREA di Giovanni Bonaccorsi, 86
ANDREA Gandolfi, avvocato in curia romana, 43
ANDREA Sozzo da Siena, OSM, 76
ANGELI (ss.), iconografia, 392, 396, 402-403, 410-411, 412, 418421, 423;
➝ apparizioni
ANGELA, moglie di Gontiero, 371
ANGELO da Castel della Pieve, OSM, 73,
ANGELO da Firenze, OSM, 62
ANGELO da Montepulciano, OSM, 61
ANGELO da Orvieto, OSM, 62
ANGELO da Roma, avvocato in curia romana, 40, 43
ANGELO da Todi, OSM, 61
ANGELO di Nutino di Naddo, senese, 371
ANGELO Pero da Siena, OSM, 76
ANGELO Vanni da Foligno, OSM, 79
ANNA (s.), festa liturgica, 111
ANNA, profetessa, 419
ANNALIUM sacri ordinis fratrum Servorum, 37, 40-42, 50, 52, 56, 63,
68, 69, 72, 81, 84, 92, 93, 98
ANNUNZIATA (ss.), immagine presso la chiesa dei Servi di Firenze, 66,
87, 99;
➝ Firenze, chiesa e convento OSM
ANTONIO, OSM, 32
APOSTASIA e apostati, presso OSM, 139-140, 145
APOSTOLI (ss.), iconografia, 418, 420, 421
AMORE
430
INDICE ANALITICO
APPARIZIONI,
– di Gesù Bambino a s. Alessio da Firenze, 225;
– della Madonna a s. Pietro Martire, 230, 252-253, 294;
– a s. Filippo Benizi, 267-269;
– al b. Gioacchino da Siena, 316-317;
– a s. Pellegrino da Forlì, 377, 379-381;
– della Madonna e del Bambino al b. Francesco da Siena, 353-355;
– altra visione a s. Filippo 272;
– di s. Filippo, 306, 309, 310;
– del b. Gioacchino, 327-328, 329;
– del b. Francesco, 361;
– di ss. Angeli, 225, 309, 316, 319, 377, 380;
– alla madre del b. Francesco, 337;
– a due vergini sue devote, 344;
– ad una mantellata dei Predicatori, 360-361
APPENNINI, monti, 287, 297, 314
AQUILEIA, patriarca, 89
ARCHIVIO generale OSM, 77, 80, 81, 91, 98, 185, 263, 272
ARCHIVIO Segreto Vaticano, 89
ARDINGO, vesc. di Firenze, 19, 21, 24, 28, 103, 221, 249
AREZZO, città, 36, 273, 318, 329;
– vescovo, 69-70, 319;
– convento OSM, 61, 273-274, 318, 319
ARISTOTELE, 190;
– citazioni, 213-214
ARRIGHETTO, padre del b. Francesco da Siena, 336
ARRIGO, vedi Enrico
ARSENIO, asceta, 339
ARTURO o Orione, stella, 207, 217
ASCHERIO, arcidiac. di Alessandria, 56
ASCOLI Piceno, vescovo, 16
ASSISI, città, 211
ATTAVANTI, Paolo, scrittore e storico OSM, 184, 275, 297;
ATTIVITÀ apostolica e parrocchiale, presso OSM, 25, 32-33, 52, 58, 64,
66, 68-69, 73, 75, 83, 85, 89, 209-210, 258
AVE Maria, invocazione mariana, presso OSM, 109-110, 340, 347,
356, 404
AVE maris stella, inno, presso OSM, 113-114
AVE novella femina, sequenza mariana, 166-167, 170-174
INDICE ANALITICO
431
AVE Virgo virginum, sequenza mariana, 166, 169-170
AVIGNONE e periodo papale avignonese, 76, 81, 89, 90, 92, 99
AVITO, OSM, 302
AVVENTO, tempo liturgico, presso OSM, 112, 116-117
BALDUCCIA d’Incontro da S. Quirico, 370
BANDINO di Uguccione, sindaco di Siena, 42
BAMBINI, poveri, 303;
– presenza attiva in rapporto a s. Filippo Benizi, 293-294, 305, 309;
– miracolati dal b. Gioacchino da Siena, 326, 328-330;
- dal b. Francesco da Siena, 363-368, 371;
BANDITORE, 281, 385
BARNABA, eremita di Monte Vicchio e poi OSM, 54-55
BARTOLO, uno dei primi frati OSM, 23
BARTOLO da Sansepolcro, OSM, 62
BARTOLO da Spello, OSM, 73
BARTOLOMEO (s. apost.), festa liturgica, 116
BARTOLOMEO, senese, 362
BARTOLOMEO d’Accorso, OSM, 87
BARTOLOMEO da Cesena, OSM, 61, 286-287, 297
BARTOLOMEO da Pistoia, OSM, 62
BATTESIMO, sacramento della fede, 212-215, 338, 365, 368
BEDONT E. M., OSM, 315, 335
BELFORTE, diocesi di Siena, 364
BELLUNO, città, 85
BELTRAMINO, vesc. di Bologna, 91
BENCIVEGNI di Guarnieri, fiorentino, 23
BENCIVEGNI di Rinuccio, fiorentino, 21
BENE, OSM, 61
BENEDETTO (s.), 201;
– ordine di, 68
BENEDETTO XI (b.), papa, OP, 17, 37, 38, 64, 74, 75, 76, 186, 259
BENEDETTO XII, papa, 90
BENEDETTO, eremita di Monte Vicchio e poi OSM, 53-54
BENEDETTO, uno dei primi frati OSM, 23, 27, 32
BENEDETTO da Firenze, OSM, 62
BENEDETTO da Prato, OSM, 62
BENEDETTO di Geri Lanardoli, OSM, 334-335, 366-368
432
INDICE ANALITICO
BENEDETTO di Nuccio, notaio fiorentino, residente a Venezia, 76
BENEDETTUCCIO, devoto di Todi, 279-280
BENEFATTORI, presso OSM, 143
BENIGNO, uno dei primi frati OSM, 23
BENINCASA da Città della Pieve, OSM, 62
BENIZI, fam. fiorentina, vedi Giacomo e Filippo
BENTIVEGNA, OSM, 32
BERARDO Caracciolo da Napoli, notaio del papa, 44
BERNARDO, OSM, 32
BERNARDO, vesc. di Siena, 318
BERNARDO Daddi, pittore, 406-407
BERNARDO di Nuccio da Siena, OSM, 72
BERNARDO Giovannini, canonico di Agde e uditore della camera papale, 43
BERNARDUCCIO da Siena, OSM, 62
BERTOLO di Guglielmo, converso OSM, 43
BERTRANDO da Saint-Geniés, patriarca di Aquileia, 89
BERTRANDO du Puget (o del Poggetto), card. legato, 81, 90, 92
BESUTTI G. M., OSM, 285, 287-289
BIBBIA,
➝ Sacra Scrittura
BIBLIOTECA Apostolica Vaticana, codice, 315, 335
BIBLIOTECA del cuore, nell’agiografia OSM, 291, 338
BIBLIOTECHE e libri, presso OSM, 49, 124, 133, 135, 154, 352
BILIA, moglie di Arnoldo Peruzzi, 86;
BILIA, vedova di Dino da Ponte d’Arbia, 363
BINDO da Pieve di Castello, 362
BINDO da Siena, avvocato in curia romana, 43
BOEMIA, fondazioni OSM, 87
BOLOGNA, città, comune e contado, 24, 38, 43, 45-46, 49, 61, 67, 70,
80, 91, 92, 156, 162, 211, 314, 328;
– Archivio di Stato, 81, 92;
– vescovo e diocesi, 40, 46-47, 49, 91, 274, 303;
– cappella di S. Biagio, 67;
– chiesa di s. Tomaso di Braida, 91
BOLOGNA, chiese e conventi OSM:
– S. Maria dei Servi, 39, 41, 43, 45, 47, 49, 67, 80, 91, 92, 204,
258, 288, 389;
- scriptorium, 288;
- corali, 175-176, 390, 422;
- dipinti, 396-397;
INDICE ANALITICO
433
- biblioteca, 49;
- cappelle, 92;
- società delle laudi con annesso ospedale, 81;
– S. Giuseppe in Borgo Galliera, 68-69, 86
BOMBOLOGNO Aymerici, bolognese, 92
BONACCORSO, vicario gen. del vesc. di Castello, 77;
➝ Accorso
BONACCORSO di Bernardo, fiorentino, 76
BONAGIUNTA da Firenze (Manetti, s.), indicato come uno dei fondatori e priore gen. OSM, 23, 29, 32, 257, 271
BONAVENTURA, uno dei primi frati OSM, 23
BONAVENTURA da Pistoia (b.), OSM, 61, 69, 96, 204
BONFIGLIO da Firenze (Monaldi), uno dei fondatori OSM,
➝ Figliolo
BONFIGLIO, vesc. di Siena, 22
BONIFACIO VIII, papa, 59, 70, 76, 153
BONVICINO di Cece frenaio, fiorentino, 23
BORGHESE, Nicolò, agiografo, 184, 373-378
BORGO di Manetto, oblato OSM (?), 67
BOSTON, Gardner Museum, 402
BOZZONE, pieve della diocesi di Siena, 72
BRANCHESI P. M., OSM, 8, 9, 75, 76, 77, 89, 92, 97, 168, 265, 378, 425
BRANDEBURGO, vescovo, 58
BRUNA, moglie di Nicolò di Giunta, senese, 365
BRUNO (s.), fondatore dei Certosini, 205
BRUNO, vesc. di Naumburg, 58
BUONAMENTE di Gerardo, moglie di Borgo di Manetto, oblato OSM(?), 67
BUONCONVENTO, diocesi di Siena, 366
BUONO, OSM, 32
BUONO da Firenze, OSM, 61
BUONO di Filippo, fiorentino, residente a Venezia, 76
BURCARDO da Blankenburg, arcivesc. di Magdeburgo, 58, 74
BUTA, sorella di fra Forte da Sommaia e nipote di s. Filippo Benizi, 197
BUVIGLIANO, chiesa di S. Lucia, 55
CAFAGGIO, toponimo fiorentino e fondazione OSM, 23, 28, 250;
➝ Firenze, S. Maria di Cafaggio
CALZATURE, presso OSM, 121, 299, 131
CAMBIO, uno dei primi frati OSM, 23
434
INDICE ANALITICO
CAMBIO da Firenze, OSM, 62
CAMBIO di maestro Bruno, notaio senese, 42
CAMPAGNA marittima, territorio, 82
CANTO e cantori,
– presso OSM, 109-111, 113-114, 136, 165-167, 179, 309;
– in Filippo Benizi, 285-286, 290, 292, 295-296;
– nel b. Francesco da Siena, 354-355
CAPITOLI generali OSM, serie:
Firenze 1257, 32, 257-258;
Firenze (?) 1263, 257;
Firenze 1265, 258-259, 271;
Firenze 1267, 271;
Arezzo 1273, 36;
Firenze 1289, 103;
Siena 1291, 50, 51;
Città di Castello, 1292, 51;
Orvieto 1297, 57;
Città della Pieve 1298, 153;
Viterbo 1299, 153-154;
Pistoia 1300, 61, 154;
Città di Castello 1304, 154-155;
Viterbo 1307, 155;
Montepulciano 1316, 155, 157;
Bologna 1320, 156-157;
Venezia 1322, 310;
Firenze 1323, 80;
Orvieto 1324, 157;
Firenze 1325, 157;
Siena 1328, 158-162;
Bologna 1336, 162;
Bologna 1337, 85, 162;
CAPITOLO conventuale, presso OSM, 130, 131, 134, 137, 154;
– sala capitolare, 383, 390
CAPITOLO generale, presso OSM, 17, 30, 34, 38, 40, 44, 48, 64, 90, 107,
134, 140-144, 155, 160, 165, 168, 257-258, 272, 296, 302, 303, 310
CAPITOLO provinciale, presso OSM, 90, 138, 143
CAPONERI, M., 71, 73, 97
CARCERE conventuale, presso OSM, 133, 138, 159
CARDINALI legati e OSM, 20-23, 25, 68-69, 82, 92, 98;
– protettori, presso OSM, 24-25
INDICE ANALITICO
CARICHE civili, presso OSM, 134, 151, 162
CARITÀ, 138, 211, 217, 218, 224, 226, 231,
435
232, 234, 235, 241, 243,
248, 287, 290, 292, 296, 305, 314, 321, 322, 323, 333, 344;
– presso OSM, 224-225, 231-233, 248, 287, 290, 293, 296, 305,
321, 323, 333, 344;
➝ elemosina
CARLO d’Angiò, re di Sicilia, 259, 273
CARMELITANI, ordine mendicante, 42, 302
CASALINI, E. M., OSM, 63, 265, 410, 413, 425
CASAROTTO, G. M., OSM, 75, 76, 78, 97
CASINO di Casini, di Monte Santa Maria, 371
CASOLE d’Elsa, Museo della Collegiata, 400;
– chiesa OSM, 400
CASTEL della Pieve,
➝ Città della Pieve
CASTELLO (Venezia), vescovo e vicario gen., 75, 77, 89
CASTRO Stroncone, comitato, 82
CASTRUCCIO Antelminelli o Castracani, signore di Lucca, 75
CATARI o Patarini, eretici, 424
CATERINA, badessa di S. Iacopo a Ripoli, 21
CATERINA, suora di S. Maria Novella di Montepulciano, 69
CECCA, mantellata del Terz’Ordine di s. Francesco e poi professa dei
Servi, 78
CELLA,
➝ dormitorio
CESENA, 286-287;
– convento OSM, 61, 271, 286-287, 296
CHIARAMONTE, nome nel secolo del b. Gioacchino da Siena, 317, 408
CHIARISSIMO Falconieri, mercante fiorentino, 30, 34
CHIERICATO e ordini sacri, presso OSM, 123, 126, 271, 293, 294-295
CHIERICO da Pisa, avvocato in curia romana, 43
CHIESA, 9, 17, 20, 66, 90, 202, 207-208, 217, 257, 271, 410;
– romana, 20-24, 41, 148, 166, 358
CHIESE, oratori e fondazioni OSM, 20, 27, 29-30, 37, 39, 47-49, 53,
56-58, 65-66, 68-69, 73-76, 78, 81-83, 85, 88-89, 91-92, 95, 105,
110, 145, 255-257, 276-277
CHIETI, vescovo, 16
CHIOSTRO, presso OSM, 296, 318, 325
CIA, suora di s. Maria Novella di Montepulciano, 69
CIARDI Duprè, M., 97
436
CIBO,
INDICE ANALITICO
bevande, mensa e digiuni, presso OSM, 106, 116-120, 132, 137,
138-140, 148, 155-156, 158, 161, 223-224, 266, 269, 292, 296,
298-300, 303-304, 306, 320, 323, 349, 352-353, 381
CILICIO e flagelli, nell’agiografia OSM, 228, 340
CIMABUE, pittore, 389, 392, 396-398
CIMITERI, presso OSM,
➝ sepolture
CINTURA, presso OSM, 121, 122
CIPRIANI, F., 50, 97
CISTERCENSI, ordine monastico, 166, 198
CITERONI, R., 9, 71, 75, 76, 78, 85, 89, 97-98
CITTÀ della Pieve, 73, 152, 321;
– convento OSM, 61, 79-80
CITTÀ di Castello, 68, 154;
– vescovi e diocesi, 27, 52-55, 65, 68, 95;
– chiesa e convento, OSM, 27, 51, 62, 65, 68, 95
CLARUCCIO, OSM, 32
CLEMENTE IV, papa, 259-260
CLEMENTE V, papa, 72
CLEMENTE VI, papa, 16, 17, 65, 82, 89-90, 92, 151
CLEMENTE, uno dei primi frati OSM, 23
CLEMENTE da Perugia, OSM, 73
CLEMENTE Neri, priore prov. OSM, 87
COLPE, loro gravità e punizione, presso OSM, 32, 124, 129, 130, 134139, 160
COMUNIONE eucaristica, presso OSM, 112, 314, 323;
– fraterna, 144, 323;
– negli iniziatori dell’Ordine, 216, 227, 236;
– in s. Filippo Benizi, 299-302;
– nel b. Gioacchino da Siena, 313-314, 323;
– nel b. Francesco da Siena, 347, 351
CONDIVISIONE delle sofferenze altrui,
➝ prossimo
CONFESSIONI, presso OSM, 112, 124-125, 133, 138, 140, 143, 250,
342-343, 345, 355, 381;
➝ attività apostoliche
CONFRATERNITE laicali presso OSM,
➝ società
CONSTITUTIONES antiquae, osservate dai Sette ss. nel secolo, 208-209,
211-212;
INDICE ANALITICO
437
– le più antiche conosciute dell’Ordine, 17, 30, 39, 103-107, 107-144
(testo), 151, 157, 161, 165, 288, 297, 408
CONSTITUTIONES novae, OSM, 39, 90, 103, 151-162
CONSTITUTIONE recentiores, OSM, 90
CONSIGLIO, carisma, 345
CONSUETUDINI, presso OSM, 143
CONTE, arcidiac. di Milano, 40, 43
CONTEMPLAZIONE e ricerca della solitudine, presso gli iniziatori dell’Ordine, 214-216, 225, 228, 236-237, 239, 245, 247;
– presso OSM, 20, 25, 74, 188, 292, 322, 338, 340
COPPO di Marcovaldo, pittore, 389-390, 392-396, 412, 413
CORALI, presso OSM, 415-425;
➝ Bologna, Firenze, Siena, chiese e conventi
CORO, ufficiatura, presso OSM, 113, 153, 158, 161, 178-179, 354, 381
CORPO di Cristo,
➝ Eucarestia
CORTONA, 287-288;
– convento OSM, 61, 287, 300, 303
COSPIRAZIONI o congiure, presso OSM, 138
COSTANTINO, imperatore, 358
COSTITUZIONI, o istituzioni, presso OSM, 21-22, 23-24, 25, 26, 40,
44, 64, 103-107, 130-131, 221;
➝ Constitutiones
CRASSO Barlettaio, senese, 372
CRISTIANELLA, indemoniata, 325-326
CRISTOFORO da Parma, priore prov. e vicario gen. OSM, 313, 333-334,
355, 367
CRISTOFORO Tornielli da Giustinopoli, priore gen. OSM, 375
CROCE (s.), festa liturgica, 111
CROCIANI L. M., OSM, 168
CROCIFISSO, immagini, 343, 383
CUCCIA, moglie di Meocone, 351
CULTURA, formazione,
➝ studi
CURIA romana, 32, 34, 38, 40, 41, 43, 48, 66, 93, 255, 260, 272-273,
274, 286-287, 303, 358;
– rito, 111, 148, 154, 165, 256-257
438
INDICE ANALITICO
DAL PINO, F. A., 8, 9, 11, 21-28, 32-36, 40-53, 56-65, 69, 71-73, 75,
78-79, 84-85, 91, 98-99, 108, 152, 168, 190, 265, 289, 315, 331,
335, 394, 408
DAL POZZOLO, D., 70, 85, 98
D’AMICO, R., 396
DANIELA, suora di S. Maria Novella di Montepulciano, 69
DANIELE, profeta, 298
DANTE Alighieri, citazione, 275
DAVIDE, re, 240, 423
DECRETALI, 49
DECRETI o statuti generali, presso OSM, 103, 142-143, 151-162
DEFINITORI generali, presso OSM, 131, 138, 142-144, 146, 158-161
DEFUNTI,
➝ suffragi
DELUMEAU, J., 423
DEMONIO e indemoniati:
– in rapporto a s. Filippo Benizi, 287, 292, 302, 304, 306;
- al b. Gioacchino da Siena, 320-321, 325-326;
- al b. Francesco da Siena, 359, 363;
- a s. Pellegrino Laziosi, 379, 386
DENARI, uso,
➝ povertà
DEODATO da Sansepolcro, eremita di Monte Vicchio e poi OSM, 5355, 61, 81 (lo stesso?)
DE ORIGINE ORDINIS, di s. Filippo Benizi, 17, 189, 205
DI DOMENICO, PG. M, OSM, 8-9
DIANA, moglie del fu Davanzato Briccaldelli, oblata OSM, 38, 62
DIAS, O. J., 69, 77, 80, 91, 265
DIGIUNI, presso OSM,
➝ cibo
DINA, I., 63
DIO Padre, interventi, culto e servizio divino, 21, 24, 27, 28, 31, 36, 4041, 45, 47, 50, 51, 56, 59, 63, 73, 78, 79, 80, 81, 85, 86, 88, 119, 126127, 158-159, 162, 165, 191-192, 199, 208-210, 212-216, 218-220,
226-228, 231-243, 245-248, 250-254, 256, 259-260, 266-267, 269270-271, 274, 275-278, 280, 284, 286-287, 290-291, 293-294, 296298, 302, 304-306, 309-311, 316-323, 325, 327, 331-333, 336, 338346, 349-350, 354-357, 361-363, 367-369, 381-383, 385, 390, 423;
➝ iconografia
DISCIPLINA corporea, presso OSM, 125, 132, 140, 146, 350, 381
439
INDICE ANALITICO
DISCRETI conventuali, presso OSM, 90, 130, 124, 131, 134, 146, 155, 157
DOMENICO (s.), fondatore dei Predicatori, 71, 202, 211, 217-218, 220, 336
DOMENICO, OSM, 32
DONNE bibliche, 167
DONNE e OSM, 25, 31, 39, 71, 133, 210, 295, 344-345, 348
DORMITORIO e celle, presso OSM, 115, 121, 135, 115, 295, 299-300,
304, 322, 324, 346, 351
DUCCIO di Boninsegna, pittore, 389, 398-399, 400, 413
DUPRÉ Dal Poggetto, M. G., 425
ECLISSE di sole (1239), 205
EGIDIO, uno dei primi frati OSM, 23
EGIDIO, vesc. di Urbino, 49
ELEMOSINA, presso OSM, 151, 156, 209,
➝ questua
233-234, 267, 274, 277, 286;
ELENA, reclusa OSM, 278
ELEVAZIONE dell’Ostia consacrata, 319, 408
ELISABETTA (s.), madre del Battista, 337
ELM, K., 91
ENRICO, conte di Reinstein, 40
ENRICO, vesc. di Merseburg, 58
ENRICO (Arrigo) teutonico, OSM, 56, 62
ENRICO (Arrigo) di Baldovino dell’Anguillara, penitente “servo di s.
Maria” e poi oblato OSM, 21, 23, 30, 35-36, 210
EREMITI di s. Agostino, ordine mendicante 39, 42, 49, 70, 73, 302;
– convento di Bologna, 49
ERESIA e lotta antiereticale, 202, 249-250, 253-254, 294,
ERFURT, convento OSM, 87, 99
ERMANNO, OSM, 74
ERMANNO da Blankenburg, vesc. di Halberstadt, 58
ERMANNO teutonico, OSM, 62
ESENZIONE e OSM, 92
EUCARESTIA o Cena del Signore, 323, 342;
423-424
➝ comunione, elevazione dell’Ostia e Gesù Cristo
EX VOTO,
alla tomba del b. Gioacchino da Siena, 325-329
440
INDICE ANALITICO
FAGIOLI, R. M., OSM, 57
FALCONIERI, fam. fiorentina, 30;
➝ Chiarissimo, Giuliana, Guiduccia, Pietro
FAMIGLIE degli iniziatori dell’Ordine, 227, 236;
– di s. Filippo Benizi, 273
FECINO, convicino di s. Filippo Benizi, 197
FEDE,
➝ battesimo
FEDERICO II, imperatore, 20, 22, 249
FELTRE, città, 85
FEO di Tedaldo, 76
FERMENTINO da Milano, OSM, 62
FERMO, città, 21
FIESOLE, diocesi e chiese, 42, 266-267
FIGLIOLO o Bonfiglio (s., detto anche Totusbonus), uno dei fondatori
e priore maggiore OSM, 20, 23, 28, 95, 223, 257, 264, 268-269, 271,
286, 295-296
FILIPPO VI, re di Francia, 65, 88
FILIPPO Benizi (s.) da Firenze, priore gen. OSM, 9, 17, 29, 30, 31, 32,
36-37, 185-187, 189, 191, 195-199, 201-206, 210-211, 218, 229, 249,
253-260, 261-284, 285-311, 317-318, 331, 373, 384, 390, 394, 410;
– sua scienza, 266, 270-271, 286, 291-293, 295;
– indicato come uno dei Sette iniziatori dell’Ordine, 286, 288;
– “uomo o servo di Dio”, 264, 267-271, 275-280, 293, 295-304, 309;
– “servo di Cristo”, 300, 302;
– “uomo santo o santo”, 274, 277, 279, 290, 305-311;
– spirito di profezia, 276, 296-297;
– lucerna dell’Ordine e dei fedeli, 249, 254-257, 292;
– guida dei frati, 310;
– avvenimenti della sua vita e privilegi OSM, 255-260;
– sepoltura, 279-284, 305-309;
– traslazione del corpo, 66, 77, 185-186, 195, 281-284, 287, 308, 310;
– reliquie (pianelle, materasso, tonaca e scapolare), 280, 283, 306,
309-311;
– sua legenda preannunziata nella LO, detta anche “maior”, 254,
256, 260-263;
➝ apparizioni, canto, demonio, iconografia, Legenda beati Philippi,
miracoli e preghiera
FILIPPO da Perugia, OSM, 73
FIORETTO, F. M., OSM, 315, 335
INDICE ANALITICO
441
FIRENZE, città e contado, 17, 21, 23, 29, 31, 32, 34, 35, 39, 42, 52,
59, 60, 63, 82, 84, 87, 188, 202-203, 206-207, 210-211, 226, 237238, 243, 249-250, 253, 266-267, 270, 273, 275, 286, 290, 292294, 297-298, 311, 331, 413, 424;
– Archivio di Stato, 34, 87;
– Museo degli Uffizi, 404;
– Università degli Studi, 97, 425;
– vescovi e diocesi, 19, 21, 22, 24, 25, 42, 52;
– pievania di S. Giovanni, 52;
– chiesa di S. Pietro Scheraggio, 60;
– chiesa e cimitero di S. Croce dei Minori, 31, 35-36, 229;
– monastero e ospedale di S. Maria di Fonte Viva, 19, 21, 210;
– compagnia o società di s. Maria detta “maggiore”, 19, 21, 210-211;
– società di S. Michele, 84
FIRENZE, chiesa e convento OSM di S. Maria di Cafaggio, poi santuario SS. Annunziata, 17, 19, 29, 31, 32, 34-36, 39, 42, 48-49, 52, 60,
62, 63-65, 79, 80, 84, 86-87, 99, 185, 197, 204, 223, 267-269, 287,
295, 389-390, 406;
– biblioteca, 263-264;
– corali, 167, 177;
– dipinti, 406-407, 412-413;
– immagine dell’Annunziata, 66, 87, 99
➝ Annunziata;
– infermeria, 63;
– monastero femm. OSM, 65, 84;
– società della laude, 31, 36, 331
FLORA, reclusa OSM, 278
FLORIDO (s.), 27
FOLIGNO, 308;
– sezione d’Archivio di Stato, 80;
– vescovo, 37, 76;
– chiesa e convento OSM, 30, 37, 60-61, 81, 204, 308, 315;
– parrocchia, 30;
– fraternità di s. Maria della Prece, 60-61
FORESE di Guido della Guilla, della società della Vergine di Firenze, 21
FORESINO del fu Rota Ferrateri, oblato OSM, 79
FORESTERIA e forestieri, presso OSM, 118, 119, 161-162
FORLÌ, città e contado, 314, 328, 379, 381, 385;
– chiesa e convento OSM, 61, 375, 380, 385, 390;
– chiesa di S. Maria della Croce, 379
442
INDICE ANALITICO
FORTE da Sommaia o da Firenze, OSM, nipote di s. Filippo Benizi,
197, 273
FRANCESCO da Firenze, OSM, 62
FRANCESCO da Pistoia, OSM, 61
FRANCESCO da Siena (Arrighetti, poi detto Patrizi, b.), OSM, 60, 72,
291, 333-373, 384;
– morte e sepoltura, 334, 356-360;
– sepolcro e altare, 359, 361-364, 366-370;
– festa liturgica, 368;
– voti e ceri votivi, 362, 366, 368, 370-371;
– detto “servo o uomo di Dio o di Cristo”, 336, 341-357, 360
– e poi “santo uomo di Dio” o “santo di Dio” o “santo confessore di
Cristo”, 359, 361-363, 367;
– patrono e avvocato di Siena, 359;
– figli spirituali e devoti, 344, 351-352, 359-360, 362;
➝ apparizioni, demoni, Legenda, miracoli e preghiera
FRANCESCO d’Assisi (s.), fondatore dei Minori, 202, 205, 211, 217218, 286, 292
FRANCESCO di Donato da Siena, OSM, 72-73, 75-76, 78
FRANCESCO di Naddo, senese, 363-364
FRANCHINI, A., 68, 69, 83, 92, 98
FRANCIA, tentata fondazione OSM sotto Filippo VI, 88;
➝ Parigi
FRITZLAR, 58
GAGLIANO, in Val di Sieve, 274
GABRIELE (s. arcang.), 377; iconografia, 392
GALGANO (s.), eremita, 324
GALGANO da Lucca, OSM, 61
GALLICANA, notazione musicale, presso OSM, 111, 165
GANO di Fazio, 408
GARSIA, cappellano del papa e uditore di palazzo, 43
GEBICHENSTEIN, castello, 74; reclusorio OSM, 74
GENTILE da Figline, notaio, 43
GENTILE da Todi, OSM, 61
GERARDO, arcivesc. di Magonza, 58
GERARDO da Milano, OSM, 62
GERI Lanarvoli, senese, 367
GERMANIA, 270, 275, 295;
– provincia e fondazioni OSM, 17, 39, 59, 87, 99, 275-276
GERRONA, moglie di Manfredi, senese, 370
INDICE ANALITICO
443
GERUSALEMME, pellegrinaggio, 332
GESÙ Cristo, presenza attiva, culto e servizio, 21, 24, 30, 45, 48, 60,
62-63, 80, 81, 85, 88, 117, 127, 167, 176, 177, 193, 198-199, 202204, 211, 215, 218-219, 225, 227, 251, 253, 264, 286, 288, 290,
294, 304-305, 307, 309, 323-324, 340, 352-353, 357, 360, 370,
376, 383, 424-425;
– Cristo povero, 341;
– passione, morte, sangue e redenzione, 176, 212, 252, 277, 279,
290, 292-293, 314, 319, 339, 356, 380, 383-384, 423;
– Corpo del Signore o eucarestia, 314, 319, 331, 342-343;
– amore sponsale degli iniziatori OSM verso Cristo, 234-235, 240,
241-242, 245;
– del b. Francesco da Siena, 350;
– di s. Pellegrino Laziosi, 381;
– festività, 89, 112, 116-117, 156, 166, 167, 351, 355;
➝ Crocifisso e iconografia
GHERARDO del fu Migliore Guadagni, fiorentino, 83
GHIBELLINI, fazione politica, 38, 42, 273, 275
GIACOMO (s. apost.), 74;
– festa liturgica, 116
GIACOMO, OSM, 54-56
GIACOMO, uno dei primi frati OSM, 23, 32
GIACOMO, pievano di Bozzone, 72
GIACOMO, tudertino, 280
GIACOMO, vesc. di Città di Castello, 52-55
GIACOMO Albertini, vesc. di Castello, 75, 77
GIACOMO Benizi, padre di s. Filippo, 266, 286
GIACOMO da Bagnoregio, podestà di Siena, 42
GIACOMO da Borgo Sansepolcro, priore prov. OSM, 36
GIACOMO da Siena, OSM, 62, 79
GIACOMO da Siena, priore gen. OSM, 29, 30, 32, 257-259, 271, 392
GIACOMO della Porta, forlivese, 329
GIACOMO di Città della Pieve, detto Elemosiniere (b.), terziario dei
Servi e dei Minori, 364
GIACOMO DUÈSE, 358
➝ papa Giovanni XXII
GIACOMO Filippo, da Faenza (b.), OSM, biografia, 373, 375-376
GIACOMO Paradisi, OSM, 78
GIACOMO SAVELLI, 204, 303
➝ papa Onorio IV
444
INDICE ANALITICO
GIACOMO Silvestri, OSM, 88, 91
GIANI, Arcangelo, annalista OSM, 78, 96, 98, 288, 367
GIANNOTTO Baldese, fiorentino, 86
GILIO, OSM, 42
GIOACCHINO (s.), padre della b. Maria, 317
GIOACCHINO, OSM, 87
GIOACCHINO da Fiore, fondatore dei Florensi, e gioachimismo, 217
GIOACCHINO da Siena (b.), OSM, 65, 313-333, 373;
– malattie e sopportazione, 318-320, 322;
– morte ed esequie, 323- 324;
– sepoltura e arca sepolcrale, 315, 326, 330, 408-409;
– culto e festa liturgica, 65-66, 79, 84-85, 327, 331;
– detto subito “santo”, 325-327, 329-330, 332;
– immagini, 329;
➝ apparizioni, demonio, ex voto, iconografia, miracoli, preghiera
GIOBBE, personaggio biblico, 382;
– citazione, 234
GIOTTO, pittore, 398, 406
GIOVANNA, presunta madre di Filippo Benizi, 286, 291
GIOVANNI (s. apost.), 344; festa liturgica, 58; iconografia, 92
GIOVANNI Battista (s.), 338-339;
– festa liturgica, 115, 116
GIOVANNI XXI, papa, 37, 40
GIOVANNI XXII, papa, 76-77, 81, 358
GIOVANNI monaco di S. Antonio di Broilo, 46
GIOVANNI, pievano e vicario del vesc. di Siena, 72
GIOVANNI, uno dei primi frati OSM, 23, 32
GIOVANNI, vesc. di Havelberg, 58
GIOVANNI Arzioni da Roma, capitano del popolo di Orvieto, 57
GIOVANNI da Cennina, OSM, 352
GIOVANNI da Gubbio, OSM, 61
GIOVANNI da Firenze (Pesci), OSM, 61, 62
GIOVANNI da Todi, OSM, 310
GIOVANNI d’Andrea, canonista, 70-71, 77
GIOVANNI della Lunigiana, OSM, 62
GIOVANNI di Bonaventura da Firenze, notaio, 96
GIOVANNI di Gualtiero Malevolti, 369
GIOVANNI di Mino da Leonina, 370
GIOVANNI di Minuzio, 365
GIOVANNI Dureliani, senese, 362
INDICE ANALITICO
445
GIOVANNI Gaetano Orsini, card. legato, 82-84
GIOVANNI Massario da Pisa, notaio, 57
GIOVANNI Paganelli, notaio senese, 43
GIOVANNI Premartini, di Piumazzo, 49
GIOVANNI Segatari, notaio bolognese, 43
GIOVANNI teutonico, OSM, 62
GIOVANNINO, OSM, 32
GIROLAMO (s.), citazione, 338
GIROLAMO da Cesena, OSM, 297, 301
GIROLAMO da Sansepolcro, OSM, 61
GIUDEA, 203, 298
GIULIANA da Firenze (s., detta Falconieri), OSM, 184
GIULIANO da Rimini, pittore, 390
GIUNTA, OSM, 32
GIUSEPPE (s.), sposo di Maria, festa liturgica, 157;
– iconografia, 417, 419
GIUSTI, A. M., 425
GRAFFIUS, P. M., priore gen. OSM, 190
GRASSO, M., 265
GRAZIA di Gerardo, vedova di Rubino, senese, 72
GRAZIADIO del fu Bon, fiorentino residente a Venezia, 76
GRAZIA di Ranuccio, sindaco senese, 42
GREGORIO IX, papa, 202, 205
GREGORIO X, papa, 40, 44
GREGORIO Magno (s.), papa, citazioni nella LO , 194, 195, 201, 207, 244
GRONDONA, G., 410
GUALTEROTTO, padre del vesc. Ugolino di Città di Castello, 68
GUELFI, fazione politica, 42, 273, 274
GUGLIELMA, vedova di Andrea, senese, 369
GUGLIELMO, milite, 328
GUGLIELMO d’Alessandria, OSM, 62
GUGLIELMO Fieschi, card. protettore OSM, 24, 258
GUIDALOTTO, OSM, 46
GUIDINGA, moglie di Enrico di Baldovino, 31, 35
GUIDO da Biasio, vesc. di Reggio, 72
GUIDO di Nerio da Belforte, della diocesi di Siena, 364
GUIDUCCIA di Chiarissimo Falconieri, devota OSM, 65, 80
GUNTINO di Nicolò di Giunta, senese, 365
446
INDICE ANALITICO
HALBERSTADT, vescovi e diocesi, 40, 58;
– convento OSM, 87, 275
HALLE, convento OSM, 87, 99
HAVELBERG, vescovo, 58
HAYN, convento OSM, 87
HIMMELGARTEN, convento OSM, 58, 99
IACOPO
➝ Giacomo
ICONOGRAFIA, OSM,
389-425;
Dio Padre, 416;
Natività di Cristo, 417, 422;
Presentazione al Tempio, 419, 423;
Redentore, 410, 418, 421, 422, 423;
Ascensione, 418, 423;
Madonna:
- di maestà, 29-30, 389, 392-397;
- col Bambino, 28, 95-96, 390, 398-407, 417;
- dei Servi in abito vedovile, con s. Agostino, s. Pietro Martire e i
Sette ss., 412-413;
- con il b. Filippo Benizi, s. Pietro e le anime del Purgatorio, 410-411;
- in trono con Angeli e manto nero, 267;
– Natività della Madonna, 421, 423;
– Annunziazione, 70, 390
➝ Firenze, convento OSM;
– Maria pianta di Jesse, 289, 418-424;
– Purificazione, 419;
- con Giovanni ai piedi della croce, 390;
- nelle vesti della vedovanza, 390;
– Virgo Mater Ecclesie, 416;
– Assunzione, 420, 423, 424;
– Vergine delle “anime”, 390;
– Sette ss., 390, 412-413;
– s. Filippo Benizi, 390, 410-411;
– b. Gioacchino da Siena, 98, 315, 390, 408-409;
➝ s. Agostino, ss. Angeli, s. Giuseppe, s. Pietro da Verona
ILARIO da Parma, OSM, 76
ILDEBRANDINO, uno dei primi frati OSM, 23
ILDEBRANDINO, vesc. di Arezzo, 69-70
ILDEBRANDINO da Firenze, OSM, 37
–
–
–
–
–
–
INDICE ANALITICO
447
IMOLA, città, 68
INDULGENZE, per chiese e aggregazioni laicali OSM, 38, 42, 47-49, 51,
58-59, 74, 83, 89
INFERMI, infermieri e infermeria, presso OSM, 63, 72, 118-121, 131,
136, 151, 156, 158, 161, 223-224, 277, 296, 317-318, 356, 382-384;
➝ lebbrosi
INNOCENZO IV, papa, 19, 20, 25-26, 29, 32, 38, 103, 247, 250, 253254, 275
INSEGNAMENTO,
➝ studi
IRCANI Menichini, P., 63
ISIDORO di Siviglia (s.), citazione, 271
ISPIRAZIONE divina, nelle origini OSM, 227-228, 237, 241
ISRAELE, popolo, 203, 241, 251, 343, 423
ISTITUTO storico OSM, 8, 190, 425
ITALIA, 250, 253, 276, 294;
– fondazioni OSM, 17-18, 99
ITINERANZA e itineranti, presso OSM, 111, 117, 119, 128-129, 318;
– saluto all’immagine della Vergine, benedizione del prelato e consegna del bastone prima di uscire, 128, 343-344, 350, 355;
– compagni di viaggio, 275, 297, 318, 350, 355-356
LACRIME, dono delle, 345, 352, 355, 381
LAICI o conversi, frati, presso OSM, 133, 256, 269, 293, 313,
LAMBERTO da Prato, priore prov. OSM e penitenziere del
318
vesc. di
Bologna, 61, 287-288, 303
LANFRANCO, monaco di S. Antonio di Broilo, 46
LAPO da Firenze, OSM, 225
LATERANENSE IV, concilio del 1215, 64, 302
LATINO Frangipani o Malabranca, OP, card. protettore OSM, 42, 44
LAVORO manuale, presso OSM, 224-225, 293, 300, 317-318
LAZIOSI, fam. forlivese, 379
LEBBROSI, frati OSM, 120-121;
– malati, 274-275, 302, 307, 359, 383
LECCETO, bosco, 327
LEGENDA beati Francisci de Senis, 184, 291, 313, 333-335, 336-372 (testo)
LEGENDA del b. Gioacchino, vedi Vita
LEGENDA del b. Pellegrino da Forlì, nella trascrizione umanistica di
NicolòBorghese, 184, 373-378, 379-386 (testo)
448
INDICE ANALITICO
LEGENDA b. Philippi, “vulgata”, (LP), 183-186, 191, 195, 261-265;
266-284 (testo), 287, 295;
– “arcaica” o “perugina”, 183-184, 285-289, 289-311 (testo), 338
LEGENDA de origine Ordinis fratrum Servorum, (LO), 29 165, 183, 185190, 191-260 (testo), 261-263, 269, 335, 339, 390, 412, 424
LEGENDA primitiva della b. Giuliana Falconieri, 184
LEONARDO, canonico e vicario del vesc. di Bologna, 46-47
LETTERE di partecipazione ai beni spirituali presso OSM, 36, 57, 65,
80, 86
LETTI e modo di dormire, presso OSM, 72, 120-121, 124, 224, 296,
304-305, 345-346, 353, 381
LETTORI, presso OSM, 90, 154-155, 159, 161
LETTURA comune, presso OSM, 135, 178
LIBRI,
➝ biblioteche
LIONESE II, concilio del 1274, 17, 37, 40, 41, 44, 64, 81, 259, 302
LIPPA dei Gianfigliozzi, fiorentina, 86
LIPPO, della fraternità dei Servi di Firenze, 331
LIPPO Memmi, pittore, 402, 404-405
LITANIE, recita delle, presso OSM, 115, 286, 304
LITURGIA e paraliturgia, uffici divini, messe, libri liturgici, presso OSM,
109-114, 145- 149, 151, 153-154, 157, 161-162, 163-179, 345, 350,
354-355, 357;
– sveglia per gli uffici notturni, 354
LOLINGOZZA di Rigattieri, 86
LOMBARDIA, 275;
– provincia OSM, 56, 61
LORENZO (s.), festa liturgica, 116
LOTARINGO da Firenze, priore gen. OSM, 50-51, 57, 272-273, 290,
303, 320, 396;
– sigillo, 96
LUCCA, città e comune, 76, 88, 91;
– Archivio di Stato, 86;
– chiesa e convento OSM, 61, 75, 86, 88, 91, 204;
– compagnia della disciplina della b. Maria, 86;
– società delle Laudi, 89
LUCIA, suora di S. Maria Novella di Montepulciano, 69
LUDOVICO IV di Baviera, imperatore, 65, 85
INDICE ANALITICO
449
MACARIO da Castello, OSM, 61, 68
MACCA di Alberto, della società della Vergine di Firenze, 21
MAESTRO dei novizi, compiti, presso OSM, 124-126, 158-159;
– maestro o precettore laico, 291, 338
MAGDEBURGO, arcivescovo e diocesi, 58, 74
MAGONZA, arcivescovo e diocesi, 58-59
MANETTO da Firenze (detto dell’Antella, s.), indicato come uno dei
fondatori, priore gen. OSM, 23, 30, 31, 32, 35, 259-260, 271
MANSUETUDINE, presso OSM, 264, 269
MANTE, domestica d’Angelo Grifoli, 371
MANTELLATE o laiche del Terz’Ordine dei Minori, 78;
– dei Predicatori, 360
MANTESE, G., 98
MANZOLINO, nel modenese, 49
MARCA D’ANCONA,
➝ Ancona
MARCA germanica, 87
MARCO, OSM, 42
MARCO da Prato, OSM, 62
MARCO di Nascimbene Rosso, fiorentino residente a Venezia 76
MARCOVALDO di Guido, sindaco senese, 42
MARGHERITA, suora di S. Maria Novella di Montepulciano, 69-70
MARGHERITA di Borgognino e moglie di Vinta, fiorentina, 87
MARIA (ss.), 21, 41, 45, 47, 51, 60, 61, 69, 74, 78, 85, 166-167, 198,
251, 258, 347, 376, 381, 384;
– chiese, culto, pietà, servizio e legislazione, presso OSM, 17, 20, 24,
27, 29-31, 36-42, 47-51, 56, 63-67, 74, 76, 78, 79, 80-82, 88, 91,
96, 104-107, 109-110, 112-114, 126-128, 141, 143, 155, 165-167,
186, 192-193, 195, 199-202, 207-212, 216, 218, 225, 231, 251-253,
255, 260, 266, 274, 288, 313, 316-317, 340, 345, 349, 376, 389390, 413, 424;
– feste liturgiche e indulgenze annesse, 39, 45, 47-49, 51, 58, 78,
89, 111-112, 116, 156, 166, 278, 319;
– uffici mariani:
- quotidiano, 111, 153, 266;
- del sabato, 111, 154;
– addolorata, vedovanza e sette dolori, 105, 166-167, 176, 252,
270, 380, 412-413;
– signora, avvocata, fondatrice e mediatrice, 141, 188-189, 198200, 201-204, 207, 209, 211, 213, 217-222, 224, 226-231, 242,
450
INDICE ANALITICO
247, 249-258, 260, 264, 267-269, 286, 288, 304, 332, 340, 344345, 356, 376, 394, 413;
– regina, madre di misericordia e rifugio, 167, 188, 198, 211, 345,
360-361, 380, 389, 394;
– regina dei vergini, 333, 337, 347;
– Vergine gloriosa, 211, 268, 333, 337-338, 340-342, 345-346,
352-353, 358;
– santuari, 66;
– immagini, 64, 128, 338, 340, 343, 345-346, 353, 356, 379;
– aggregazioni laicali annesse alle chiese OSM, 31, 36-37, 51-52, 6061, 89;
➝ Ave Maria, Ave maris stella, Ave novella femina, Ave Virgo virginum,
Salve Regina, Spes desperatis, Virgo Mater Ecclesie, messe, vigilia
MARIA, sorella di Lazzaro, 345
MARLIA, di Lucca, 371
MARTINO, OSM, 32
MARTINO da Città di Castello, OSM, 61
MASSA Marittima, città, 331
MASSA Trabaria, comitato, 82
MASTINO della Scala, signore di Verona, 85
MATRIMONIO e mogli di alcuni dei Sette iniziatori dell’Ordine, 208, 227
MATTEO, uno dei primi frati OSM, 24
MATTEO da Bologna, OSM, 62
MATTEO da Città della Pieve, priore gen. OSM, 16, 89, 93
MATTEO da Lucca, OSM, 91
MATTIA, suora di S. Maria Novella di Montepulciano, 69
MAURIZIO (s.), festa liturgica, 58
MEA, moglie di Geri Lanarvoli, senese, 367
MEDITAZIONE,
➝ preghiera
MEISSEN, vescovo e diocesi, 58
– convento, 87
MEMENTO salutis, inno, presso OSM, 110
MENDICANTI, ordini, 17, 31, 37, 38, 44, 66, 71, 78, 97, 148, 259,
302, 315, 324
MENDICITÀ,
➝ questua
MENSA comune, presso OSM, 110, 115, 116, 117-120, 129, 132, 135, 140141, 148, 151, 161, 224, 269, 274, 299, 304, 315, 320, 353, 408-409
MEOCONE, cittadino senese, 351
INDICE ANALITICO
451
MERCANTI e mercanzia, 30, 34, 209-210
MERETRICI e Filippo Benizi, 277-278, 287, 301
MERSEBURG, vescovo, 58
MESSE mariane, 252;
– del sabato e del mercoledì, presso OSM, 109-110, 112-113,
MICHELE (s. arcang.), iconografia, 392
MICHELE da Castello, priore prov. OSM, 61, 352
MICHELE da Siena, OSM, 50
MIGLIORE, OSM, 27
MIGLIORE di Vieri di Matteo Migliore dei Guadagni, fiorentino, 83
MILANO, città, 253, 275
MILIANA, moglie del fu Dino, fiorentina, 63
MINA, moglie di Dato da Fileta, 370
MINUCIA, sorella di Benedetto di Geri, 368
MINORI, ordine mendicante, 39, 42, 71, 73, 202, 211, 217-218, 229,
302, 307, 309, 368-369
MINUZIO, dell’ospedale senese di S. Maria della Scala, 364
MIRACOLI: non riscontrabili per i Sette ss., 218-219;
– attribuiti a s. Filippo Benizi,
- in vita, 271, 273-276, 286-287, 294, 297-303;
- dopo morte, 278-284, 287, 305-311;
– al b. Gioacchino da Siena,
in vita, 318-322, 324-332;
dopo morte, 314;
– al b. Francesco da Siena,
dopo morte, 334, 359-372;
libro dei suoi miracoli, 367;
– a s. Pellegrino Laziosi,
in vita, 374, 383-384;
dopo morte 374, 385-386
MISERERE mei Deus, salmo, presso OSM, 117
MISERICORDIA , nell’agiografia OSM, 233, 271, 291, 295, 333, 336, 339-341
MITA, mantellata dei Predicatori, 360-361
MODENA, Archivio di Stato, 73
MONACO di Baviera, 85
MONASTERI di donne e OSM, 39, 65, 69-70, 128
MONETE correnti, 122, 146, 149, 155, 157
MONETTI, R., 68, 71, 73, 75, 91, 99
MONFIORITO da Coderta, podestà di Firenze, 60
452
INDICE ANALITICO
MONTAGNA, D. M., OSM, 78, 152, 184, 190, 263, 265, 285, 288-289,
334-335, 338, 378, 390
MONTAPERTI, contado di Siena, 371
MONTE Accianico, in Val di Sieve, 274
MONTE Amiata, cappella di S. Filippo Benizi, 275
MONTE Castello, contado di Todi, 284
MONTEFIASCONE, città, 92
MONTEPULCIANO, città e comune, 69-70, 78, 155, 157, 372;
– chiesa e convento OSM, 61, 69-70, 78, 82, 96, 99;
– dipinti, 398-399;
– monastero di S. Maria Novella di suor Agnese, 69-70
MONTE Santa Maria, contado di Siena, 371
MONTE Senario (o Asinario o Sonaio), convento di fondazione OSM,
17, 20, 21, 22, 23, 26, 28, 29, 39, 103-104, 188-190, 221, 223, 235,
255, 286, 288, 293-294;
– monte del Signore e nuovo Sinai, della risonanza delle virtù dei
Sette e degli inizi dell’Ordine, 237-248;
– temuto abbandono, 248;
– sigillo, 20, 27-28, 95;
– eremiti e fraticelli, 63
MONTEVEGLIO, pievania, diocesi di Bologna, 49
MONTE Vicchio, eremo e poi dipendenza del convento OSM di Sansepolcro, 53-55
MORINI, A., storico OSM, 190
MOSÈ, profeta e legislatore d’Israele, 241
MURLO, pieve, diocesi di Siena, 72
MUZIO di Buonconvento, 366
NADDO da Marlia, di Lucca, 371
NAPOLEONE Orsini, card. legato, 68
NAPOLI, città, 26-27
NARNI, città 278
NAUMBURG, vescovo, 58
NECCA, devota del b. Francesco da Siena, 360
NERI, OSM, 27,
NERIO d’Arezzo, OSM, 62
NERIO della Torre da Orvieto, capitano del popolo e comune, 59
NICOLÒ (s.), festa liturgica, 58
INDICE ANALITICO
453
NICOLÒ IV papa, dei Minori, 47-48
NICOLÒ, OESA, vesc. di Scarpanto, 78
NICOLÒ, uno dei primi frati OSM, 23
NICOLÒ Borghese, vedi Borghese
NICOLÒ da Perugia, OSM, 73
NICOLÒ da Sansepolcro, OSM, 61
NICOLÒ da Siena, predicatore OSM, 62, 325, 352
NICOLÒ di Giunta, senese, 365
NICOLÒ Pieri da Siena, OSM (lo stesso del predicatore?), 88
NOBILI, L., 92
NOME dell’Ordine, 229-231, 251-252, 254;
➝ Servi
NORDHAUSEN, città, 85, 99;
– convento, OSM, 66, 85, 99
NOTAIO, autenticazione notarile, 367, 372, 385
NOVIZI e noviziato, presso OSM, 123-126, 127, 134, 138, 151, 158-159
NUZIA, ostetrica senese, 366
OBBEDIENZA, presso OSM, 39, 124, 240, 269-270, 295, 313, 318, 341
OBLATI o conversi, e oblazioni presso OSM, 31, 35-36, 43, 62, 65, 79,
81, 325;
– di fanciulli, 206, 366-368
OLIVETO del Mugello, 46
ONORIO IV, papa, 17, 44, 204, 303
ORDINE dei Servi o di Nostra Signora, vedi Servi
ORDINI sacri,
➝ chiericatura
ORDO monasterii, testo pseudo-agostiniano, 221
ORLANDO di Aldobrandino di Drudolo, fiorentino, 23
ORREVOLE, moglie di Tano Dal Pino, fiorentina, 63
ORSINO di Bonaguida, fiorentino, 21
ORTO e ortolano, presso OSM, 224, 285, 293, 295-297, 303
ORTUS beate Virginis, convento OSM, 87
ORTUS celi, convento OSM, 87
ORVIETO, città e comune, 34, 48, 57, 71, 73, 260, 279, 287, 300-301;
– archivi, 97;
– vescovo e clero, 71, 204;
– chiesa di S. Pietro in Vetera, 204;
454
INDICE ANALITICO
– chiesa e convento OSM, 50, 57, 62, 204, 287, 389;
– dipinti, 394, 402-403;
– società della vergine Maria, 51-52
OSPIZI, e OSM, 294, 318
OSTIA e Velletri, diocesi, 42, 44, 90
OTTAVIANO, OSM, 32
OTTAVIANO degli Ubaldini, vesc. di Bologna e poi cardinale, 40, 46,
274-275
OTTOBUONO Fieschi, card. protettore OSM, poi papa Adriano V, 258259
PACE, frati OSM mediatori
PACINO, OSM, 32
PADOVA, città, 85;
di, 38, 42-43, 348
– Università degli Studi, 98-99
PAGNO (Bruni), laico devoto senese, 321
PALOMBELLA, C. M., procuratore gen. OSM, poi vesc. di Terracina e
Sezze-Priverno, 315, 335, 372
PANCOLINO da Montaperti, 371
PAOLO (s. apost.), 48;
– citazioni: 322, 336, 349-350, 361, 382;
– festa liturgica, 58, 112, 116
PAOLO Salaghi, medico forlivese, 382-384
PAPARONE, OP, vesc. di Foligno, 37
PAPATO,
➝ Sede apostolica
PARADISO, iconografia, 390, 410-411
PARASCEVE o venerdì santo, presso OSM, 110, 117, 133, 314, 323
PARIGI, “collegium” e “studium” OSM, 88, 90, 122, 160
PARMA, convento OSM, 81
PAROLA del Signore,
➝ Sacra Scrittura
PATER noster, presso OSM, 109, 112-115, 142, 149
PATRIGNANO o Monteducato, nel bolognese (?), 43
PATRIMONIO di s. Pietro, 55, 82;
– provincia OSM, 36-37, 54-55
PATRIZIO (s.), leggenda, 410
PAULINA predicabilis, quaresimale dell’Attavanti, 184
455
INDICE ANALITICO
PAZIENZA, nell’agiografia OSM,
PELACANI, fam. senese, 316
305, 319, 339
➝ Gioacchino da Siena (b.)
PELLEGRINI e ospiti, presso OSM, 17, 81, 119, 348
PELLEGRINO di Marco da Piumazzo, rettore di S. Maria a Piumazzo, dio-
cesi di Bologna, 49
PELLEGRINO Laziosi da Forlì (s.), OSM, 7, 184, 373-385;
– ammissione nell’Ordine a Siena, 380-381;
– malattia e guarigione, 382-384;
– morte e sepoltura, 384-385;
– detto “servo di Dio” e “amico di Dio”, 382, 384-385;
➝ apparizioni, demoni, Legenda, miracoli, preghiera
PENITENZA e impegno penitenziale, presso OSM, 159-160, 188, 212213, 215, 227, 233-234, 238, 247, 251, 266, 271, 275-278, 301
PENITENZA di Gesù Cristo, ordine mendicante, 82;
– conventi di Parma e di Spoleto, 82
PENTECOSTE, festa liturgica, 56, 112, 116
PEPO da Siena, avvocato in curia romana, 40, 43
PERCIVALLO, priore prov. OSM, 56
PERETTO, E., OSM, 190, 425
PERFEZIONE, vedi religiosità
PERUGIA, città, 68, 73, 259, 303;
– Archivio di Stato, 80, 97;
– Biblioteca Augusta, 285;
– vescovo, 76;
– convento OSM, 61, 76;
– monastero femm. domenicano di S. Maria delle Vergini, 76
PESTE, del 1348, 16, 17-18, 91, 334, 352
PETRINO da Siena, O.S.M, 62
PETROCCHI, M., 424
PETRULA Pauli, moglie del fu Masseo Fulingnoli de Pugillis, oblata
OSM, 81
PICCOLOMINI, fam. senese, vedi Gioacchino da Siena (b.)
PIERACCIONI, D., 190
PIETRO (s. apost.), 344;
– protezione e autorità, 28, 44, 49;
– festa liturgica, 57-58, 112, 116;
– iconografia, 390, 410-411
PIETRO, procuratore di S. Maria Novella di Montepulciano, 70
PIETRO, vesc. di Città di Castello, 27
456
INDICE ANALITICO
PIETRO Capocci, card. diac., 22-23
PIETRO da Castello, OSM, 348
PIETRO d’Alessandria, priore prov. OSM, 61
PIETRO da Todi
➝ Pietro Sapiti
PIETRO da Verona o Martire (s.), OP, 19, 186, 202, 210, 230, 253,
286, 294;
– padre, signore e consigliere dei Sette fondatori, 249-253, 257,
294, 390, 424;
– miracoli, 253-254;
– sua legenda, 253;
– festa liturgica, 154;
– iconografia, 390, 412
PIETRO Deprés, card. vesc. di Preneste, 90
PIETRO del fu Mino, senese, 366
PIETRO di Andrea Falastate, giudice orvietano, 71
PIETRO di Saltuccio, senese, 371
PIETRO Falconieri, fiorentino, 86
PIETRO Lotti, amanuense, 263-264
PIETRO Pettinaio (b.), terziario francescano, 324
PIETRO Sapiti da Todi, priore prov. e gen. OSM, 18, 65-67, 75, 79, 80,
82, 85, 88-90, 161-162, 186, 195, 261-262, 265, 334, 367
PIN, C., 75, 76, 89, 97
PINO di Girolamo Cedri, agiografo forlivese, 375
PISTOIA, comune, 41-42, 154;
– diocesi, 42;
– chiesa e convento OSM, 61-62, 390
PIUMAZZO, chiesa di S. Maria, diocesi di Bologna, 49
PLEIADI, costellazione, 207, 216-217
POCCIANTI, Michele, cronista OSM, 367
POLETA, diocesi di Firenze, 363
PONTE d’Arbia, nel senese, 363
PORRINA da Casole, avvocato in curia romana, 43
PORTA e portinaio, presso OSM, 132, 299, 303, 380, 408
POVERI di Cristo, titolo dato ai frati OSM, 106, 111;
– agli indigenti, 266-267
POVERI e bisognosi, 227, 233, 267, 290, 296, 300, 302-303, 333,
348;
– bambini, 303;
➝ lebbrosi
INDICE ANALITICO
457
POVERTÀ e uso del denaro, presso i Sette ss. 20, 23-24, 209-210, 214,
227, 294;
– presso OSM, 38, 40, 44, 50, 59, 74-75, 92, 103-106, 111, 119,
124, 128, 132-134, 138, 165, 242, 277, 293, 298, 300, 304-305, 341
PRECETTORE,
➝ maestro
PREDICATORI, ordine mendicante, 42, 71, 77, 198, 202, 211, 217218, 220, 249, 270, 294-295, 302;
– cimitero del convento di Siena, 339;
– mantellate, 360
PREDICAZIONE e predicatori, 217-218, 250, 253-254, 280, 292, 294;
– presso OSM, 161-162, 325, 329, 339, 343-345, 348-350, 355;
➝ attività apostoliche
PREGHIERA e meditazione, presso:
– gli iniziatori dell’Ordine, 228, 236, 251;
– s. Filippo Benizi, 266-268, 276, 285-286, 290, 292-293, 295296, 299-302, 304, 310;
– il b. Gioacchino da Siena, 313, 319-323;
– il b. Francesco da Siena, 344-347, 351-352, 354, 356;
– s. Pellegrino Laziosi, 379, 381, 383, 386
PRIORE generale presso OSM, compiti e autorità, 33, 64, 123, 126-129,
133-134, 138, 140-141, 143-144, 154, 158-162, 257-258;
– visita dei conventi, 286, 296, 299-301;
– rinunzia all’ufficio, 260, 271-273, 286, 302;
– priore provinciale, 124, 126, 128, 130, 133-134, 138, 140-143,
154, 158-159, 161;
– conventuale, 124, 128-130, 133-134, 138, 142-143, 156, 158159, 161, 268-269, 380-381
PRISCIANO, nei pressi di Siena, 355
PRIVILEGI apostolici in favore di OSM, 22, 25-27, 29-34, 38, 48, 64,
68, 75, 82-84, 204, 255-259
PROCURATORE conventuale, presso OSM, 131-132
PROFESSIONE religiosa, presso OSM, 50, 79-80, 125-127, 139-140,
145, 230-231, 249, 254, 341
PROSSIMO, presso: gli iniziatori OSM, 233, 235-236, 242-248;
– s. Filippo Benizi, 301-302;
– il b. Gioacchino da Siena, 313-314, 318-319, 390;
– il b. Francesco da Siena, 343-345, 347
PROVENZA, 259
458
INDICE ANALITICO
PUCCINA, di Matteo Guiscardini, moglie di Nicolò di Dino del Birro
di Lucca, vestita dei Servi, 88
PUCCINA, del fu Francesco degli Onesti, moglie di Marzio da Licignana della Garfagnana, vestita OSM, 91
PURGATORIO, iconografia, 390, 410
QUESTUA, presso OSM, 58-59, 66, 71, 74-74, 225, 293-294, 299;
➝ elemosina
QUARESIMA, presso OSM, 42, 112, 116-117, 266
RACKWITZ, R., 58-59, 85, 99
RADEBURG, convento OSM, 87
RAINALDESCA, madre del b. Francesco da Siena, 336
RAINALDO da Sansepolcro, OSM, 61
RANALDO di Cambio Baldovini, di Città di Castello, 55
RANIERI, OSM, 32
RANIERI Capocci, card. diac., 21, 25, 28, 103
RECLUSE, presso OSM, 128, 278, 301
REFETTORIO e refettoriere, presso OSM, 132, 161, 224, 320;
➝ cibo e mensa
REGGIO Emilia, città, 72;
– vescovo, 72;
– chiesa e convento OSM, 66, 73
REGOLA, presso OSM, 249, 251-254, 257;
➝ s. Agostino
RELIGIOSITÀ e perfezione, presso OSM, 213-216, 218-219
RESCHIGLIAN, Ch., 82, 89, 93, 99
RICCETTI, L., 71, 73, 97
RICORDANZE , del convento OSM di Firenze, 63, 197
RICOVERO, uno dei primi frati OSM, 23
RIETI, città, 303;
– diocesi, 82
RINALDO, vicario del vesc. di Città di Castello, 27
RINALDO da Montirone, senese, 45
RINALDO dei Malavolti, vesc. di Siena, 51.
RISTORO, OSM, 27, 95
RISTORO, procuratore di Sant’Iacopo a Ripoli (Firenze), 21,
RODANO, fiume, 302
ROMA, città, 43-44, 47, 272, 303;
– Laterano, 28, 59, 64;
INDICE ANALITICO
459
– Pontificia facoltà teologica “Marianum”, OSM, 190, 425
ROMAGNA, 379;
– provincia OSM, 61, 67, 303, 378
ROSSELLO, 86
ROSSI, A. M., annalista OSM, 190
ROSSO di Diotisalvi, fiorentino, residente a Venezia, 76
ROSSUNGEN, convento OSM, 58
RUBINO, marito di Grazia di Gerardo, senese, 72
RUGGERO, uno dei primi frati OSM, 23, 32
RUGGERO Calcagni, OP, inquisitore, 249
RUGGERO da Casole, OP, vesc. di Siena, 71, 72
RUSTICHELLO di Diotiguardi, della società della Vergine di Firenze, 21
SABATO
mariano, 155, 166;
➝ messe e uffici
SABINA, territorio, 82
SACCO, frati del, vedi Penitenza di Gesù Cristo, 81
SACERDOTI o presbiteri, presso OSM, 22, 140, 142, 342-343;
➝ chiericato
SACRA Scrittura, presso OSM, studio, amore e predicazione, 160, 333,
338, 343-344;
– citazioni, 166-167, 187-188, 191-193, 196, 197, 200, 201, 203,
209, 213-216, 218-219, 223-224, 232-246, 249-251, 253-256, 259,
264, 266-267, 269, 292, 294, 297-298, 305, 316-324, 332, 336-338,
341-346, 349-354, 356-357, 359, 361, 374-375, 377, 379-385, 392,
394, 423
SAGRESTANO, presso OSM, 132, 267-268
SALMI penitenziali, ufficio, 266, 286, 304
SALOMONE, citazione, 342
SALTERIO, recita del, presso OSM, 286, 290, 295-296, 300, 304, 320, 381
SALVE Regina, antifona mariana, presso OSM, 109-110, 113-114, 141,
166, 389;
– parafrasi, 170, 173;
– tropo, 175-176
SALVO da Bologna, avvocato in curia romana, 43
SAMUELE, giudice e profeta, 338
SAMUELE, OSM, 46
SAMUELE da Borgo Sansepolcro, OSM, 37
SANO Vivoli, pievano di S. Giovanni di Siena, 72
460
INDICE ANALITICO
SAN Quirico, contado di Siena, 370
SAN Quirico di Ruballa, presso Sesto Fiorentino, 21
SANSEPOLCRO, città, 52-53;
– convento OSM, 27, 52-55, 62, 95, 204
SANTA Colomba, diocesi di Siena, 349
SANTA Croce del Mugello, 40
SANTA Croce sull’Arno, monastero femm. di S. Maria, 57
SANTA Maria del Paradiso (Halberstadt), convento OSM, 40, 275
SANT’Angelo in Vado, convento OSM, 49, 61
SANT’Antonio di Broilo, monastero agostiniano e poi convento OSM,
46-47
SANT’Ansano, rettoria e poi convento OSM, della diocesi di Bologna, 61
SANT’Elena di Sacerno, monastero benedettino e poi convento OSM,
della diocesi di Bologna, 61, 68
SANTI, priore dell’eremo di Monte Vicchio, 53-55
SARPI, Paolo, priore prov. e procuratore gen. OSM, 97
SASSONIA, conventi OSM, 87, 99;
➝ Germania
SCALIGERI, signori di Verona, 65, 98;
➝ Albero e Mastino
SCARPANTO, vescovo, 78
SCRIGNO o cassa conventuale, presso OSM, 127, 130, 132, 133
SCRIPTORIUM, presso OSM, vedi Bologna,
SEDE apostolica, 21, 22, 26, 28, 29, 31, 32, 36, 38, 40, 42, 51, 57,
64, 68, 76, 80, 82, 83, 85, 89, 90, 92, 103, 255, 273-274
SEGNA di Bonaventura, pittore, 400-401
SEGNO della croce, nell’agiografia OSM, 321, 348, 385
SEMPLICITÀ, presso OSM, 264, 269
SENTENZE, di Pietro Lombardo, studio delle, 160;
– citazione, 271
SEPOLTURE e cimiteri, presso OSM, 32, 33, 78, 255-257
SERMONI capitolari, presso OSM, 141-142
SERRA, A. M., OSM, 9, 265, 378
SERVI di santa o della beata Maria, titolo di un gruppo laico fiorentino e poi di OSM, 17, 19, 21, 22, 24-25, 28, 31-34, 36-38, 40-41, 4344, 46-48, 51-55, 57-59, 61, 64, 68, 70, 71, 73, 74-78, 80-84, 8690, 92, 95-96, 105, 126-127, 210, 212, 229-231, 249, 252, 258,
267-269, 274, 276, 286, 293-294, 317, 336, 379;
– Servi della b. Vergine gloriosa, 85, 270;
– Servi e devoti della Vergine Maria, 50, 67;
INDICE ANALITICO
461
– Servi dell’Ordine della b. Maria, 52, 85, 264;
– Ordine dei Servi di s. o b. Maria, o della Vergine, 73, 89, 207,
218, 220-221, 229-231, 240, 242, 273, 284, 290, 307, 317, 341,
361, 368-369, 380, 385;
– Ordine di Nostra Signora, 199-200, 202-205, 207-208, 211, 216,
218-221, 229-231
SERVITORE, del priore gen. OSM, 304
SERVIZIO mariano,
➝ Maria
SESTO, del contado fiorentino, 21
SETTE santi Fondatori, OSM, 17, 19, 20, 30, 31, 104, 185, 187, 188,
190, 204-220, 222, 224-226, 268, 286, 288, 297, 390, 425;
– stati di vita nel mondo, 207-216, 226-228;
– ortodossia, 424;
– itinerario verso Dio, 228-243;
– passaggio da comunità a Ordine, 242-252;
➝ iconografia
SIENA, città e comune, 39, 42-43, 46, 51, 72-74, 79, 84, 184, 270,
295, 314, 316, 326, 328-329, 331, 336, 350, 352, 355, 369, 377,
380, 404;
– palazzo pubblico, 402;
– Archivio di Stato, 51, 72;
– Pinacoteca, 315, 408;
– miniatura senese, 425;
– vescovi, diocesi e cattedrale, 22, 42-43, 51, 71, 72, 318, 349;
– chiericato e consiglio canonico, 66, 72, 358-359;
– chiese:
- S. Angelo di Postierla, 73,
- S. Agostino, 73,
- S. Maria di Belverde, 73;
- S. Salvatore, 327;
– parrocchie:
- S. Giorgio, 372;
- S. Martino, 367;
- dei Templari, 332;
– ospedale di S. Maria della Scala, 61, 73, 364;
– società dei Raccomandati, 61
SIENA, chiesa e convento OSM, 30, 46, 51, 61, 62, 71-74, 84, 88, 97,
204, 223, 271, 315, 317, 319, 321, 325, 329-334, 356, 358, 380, 389;
– rettoria di S. Clemente, 30;
462
–
–
–
–
–
INDICE ANALITICO
infermeria, 72;
corali, 29, 166-168, 170, 173, 175, 178-179, 390, 416-421, 425;
dipinti, 392, 400-401, 404-405;
carbonaia, 320;
fraternità laicale, 51
SIGILLI, presso OSM,
– del priore maggiore di Monte Senario, 20, 27, 95-96;
– dei priori generali, 95-96, 162;
– dei vari priori, 122, 142-143
SIGNORELLO, eremita di Monte Vicchio, poi OSM, 54-55
SILENZIO, osservanza, presso OSM, 115-116, 126, 380
SILVESTRO da Siena, OSM, 62
SIMEONE, profeta, 419
SIMONE, prete, 21
SIMONE da Todi, OSM, 310
SIMONE e Giuda (ss. apost.), festa liturgica, 116
SIMONE Martini, pittore, 400, 402-403, 404
SINAI, monte di Dio, 241
SOCI del priore gen., presso OSM, 141-142
SOCIETÀ laicali presso OSM,
➝ conventi di: Bologna, Firenze, Foligno, Lucca, Orvieto, Siena, Venezia
SOSTEGNO da Firenze, OSM, 62, 225, 275, 297, 301
SOULIER, P. M., annalista OSM, 10-11, 22, 23, 25, 27, 32, 35-36, 44,
60, 74, 75, 79, 80, 81, 84, 87, 88, 99, 90, 91, 108, 152, 265, 315,
334-335, 378
SPEDALIERI, F., SJ, 84
SPES desperatis, responsorio mariano, 174-175
SPIRITO santo, 4, 48, 143, 158-159, 174, 192, 209, 245, 264, 267269, 394;
– unzione, forza e doni, 187, 207-208, 239-240, 246, 250, 253,
271, 277, 290, 301, 317, 340, 348, 359,
SPIRITUALITÀ e teologia mariana, nelle fonti agiografiche OSM, 188,
189-190, 198-204, 208, 211-212, 218-221, 225, 229-231, 242, 252,
288, 294, 313, 316-317, 333, 337-338, 340, 342, 344, 345-347,
352, 353, 356, 358, 374, 376-377, 380;
– sintesi, 264, 268, 270, 423-425
SPOLETO, città e ducato, 21, 82, 303, 310;
– convento OSM, 37
STEFANO da Siena, OSM, 62
STEFANO di Sansepolcro, priore prov. OSM, 52, 53, 55
INDICE ANALITICO
463
STROZZA degli Strozzi, 86
STROZZI, fam. fiorentina, 86;
➝ Strozza
STUDI e gradi accademici e d’insegnamento, presso OSM, 90, 123, 125,
131, 154-157, 160, 288, 295;
– studi generali, 148;
➝ Parigi
SUÁREZ, P. M., OSM, 75, 76, 78, 97, 190, 265, 315, 335
SUFFRAGI e ufficio dei defunti , presso OSM, 48, 80, 86, 106-107, 110,
112, 114-115, 142, 148-149, 266, 350, 358
TADDEO Gaddi, pittore, 390, 412-413
TARTARINO, di Città di Castello, 68
TAUCCI, R. M., annalista OSM, 21, 57, 70, 78, 82, 89, 99
TEBALDO da Sansepolcro, OSM, 61
TE DEUM, inno, presso OSM, 105, 113, 143
TEMPLARI, militi e ospedalieri, parrocchia di Siena, 332
TEODORO Studita, abate, 339
TEOLOGIA mariana,
➝ spiritualità
TERRA Santa, 49
TERRE dei figli di Arnolfo, comitato, 82
TEVERE, fiume, 277
TICCIO, arciprete di Colle Val d’Elsa e cappellano del card. Latino, 43
TIVOLI, diocesi, 82
TODI, città e contado, 276-281, 284, 305-309, 410;
– vescovo e diocesi, 77, 82;
– conventi OSM:
- di S. Marco, 61, 77, 186, 263-264, 276-277, 279, 286-287, 303,
306, 309, 390;
- dipinto, 410;
- S. Maria delle Grazie, poi S. Filippo, 277;
– convento dei Minori, 280
TOMMASO (s. apost.), 423
TOMMASO da Celano, agiografo francescano, 297, 322
TOMMASO d’Aquino (s.), OP, 213
TOMMASO da Recanati, capitano del popolo d’Orvieto, 71
TONIOLO, E. M., OSM, 190
TONSURA, presso OSM, 122, 149
464
INDICE ANALITICO
TORA, donna senese, 363
TORO, costellazione, 217
TOSCANA, 202-203, 206-207, 210-211, 273, 336;
– fondazioni OSM, 258
TOZZI F., storico OSM, 185
TRENTO, concilio dal 1545 al 1563, 99
TREVISO, 85;
– convento OSM, 98
TRIBALDO, canonista, 78
TRINITÀ, 290, 369;
– in rapporto a Maria, 169-172, 174-176
TUCCIA da Poleta, della diocesi di Firenze, 363
TURA, donna senese, 363
TURMA, ostetrica senese, 366
TUSCIA, 21, 25, 82;
➝ Toscana
TUTTI i santi, festa liturgica, 112-117
UBALDINI, famiglia, 274;
➝ Ottaviano
UBALDO da Borgo (b.), OSM, 287, 303-304
UBERTINO di Guido, convivente nel convento OSM di Firenze, 35
UBERTO di Bernardino, giudice senese, 42
UCCELLI, nella agiografia OSM, 225, 313, 322
UFFICI liturgici:
– divino, ➝ liturgia;
– dei morti, ➝ suffragi;
– mariani, ➝ Maria
UGERIO Beringhieri, rappresentante senese, 42
UGO di Payens, fondatore dei Templari, 332
UGOLINO di Segni, 202
➝ papa Gregorio IX
UGOLINO Gualterotti, vesc. di Città di Castello, 65, 68
UGUCCIONE, OSM, 275
UMBRIA, 97;
– fondazioni OSM, 258
UMILTÀ, presso OSM, 124, 127, 159-160, 211, 219, 224-225, 231,
234, 242, 248, 252, 268-271, 275, 277, 287, 291, 293-295, 305,
313, 317, 339-340, 347
INDICE ANALITICO
465
URBANO IV, papa, 33-34, 47, 257-259
URBINO, vescovo e diocesi, 49
VACHA, convento OSM, 87
VANGELO, richiamo e adesione, presso OSM, 209, 213-214, 264, 269,
376, 381;
➝ Sacra Scrittura
VARANINI, G. M., 98
VAUCHEZ, A., 315, 324
VEDOVANZA, stato di,
➝ Maria ss. e iconografia
VENERDÌ santo,
➝ Parasceve
VENEZIA, 77, 78, 89, 310;
– Biblioteca Nazionale Marciana, 97;
– patriarca, ➝ Castello;
– chiesa e convento OSM, 66, 75-76, 78, 89, 97-98;
– confraternita della b. Maria, 89
VENEZIA, provincia OSM, 18
VENTURA, eremita di Monte Vicchio e poi OSM, 53-55
VERGINITÀ, nell’agiografia OSM, 333, 337, 340-341, 356
VERONA, città, 65, 85, 98;
– Archivio di Stato, 70, 85;
– convento OSM, 71, 73, 78, 85, 98;
– archivio, 98
VIANDANTI,
➝ itineranti
VICARI, presso OSM:
– generali, 34, 48, 129
– provinciali, 129, 161;
– conventuali, 129, 131, 132, 134
VICENTINI, A. M., OSM, 78
VICENZA, città, 85
VIDUITAS, della Vergine, presso OSM,
➝ Maria, addolorata
VIENNE, concilio del 1312, 332
VIGILIA de Beata, piccolo ufficio mariano, presso OSM, 105, 109-110, 112
VIGORE, uno dei primi frati OSM, 23, 270
VINCENZO da Vicenza, OSM, 62
466
VINTA di Tignoso, fiorentino, 86-87
VINUTO, senese, 365
VIRGO Mater Ecclesie, tropo alla Salve, 175-176, 416
VISIONI,
➝ miracoli
VITA ac legenda beati Joachimi Senensis, 184, 313-315, 316-332
(testo), 334-335, 404, 408
VISITATORI, presso OSM, 133, 138, 161
VITA apostolica o degli apostoli, 104, 270;
– presso OSM, 270
VITA comune, presso gli iniziatori OSM, 227-230, 232
VITALE da Bologna, priore gen. OSM e poi vesc. di Ascoli Piceno e successivamente di Chieti, 16, 93
VITA vel legenda beati Philippi, 77
VITERBO, 40, 47, 287, 300;
– chiesa e convento OSM, 47-48, 61
VITO di Andrea, senese, 361
VITTORE,
➝ Vigore
VOLRADO, vesc. di Brandeburgo, 58
VOTI religiosi, presso OSM, 126-127, 145, 215-216, 381
Presentazione
Introduzione
Abbreviazioni
ZACCARIA, padre di Giovanni Battista, 377
ZENOBIO da Firenze, OSM, 62
ZDEKAUER L., 41
FONTI LEGISLATIVE
1 - CONSTITUTIONES ANTIQUAE
INDICE GENERALE
pag. 5
7
10
FONTI D’ARCHIVIO
13
1 - Introduzione
2 - Regesti
3 - Sigilli del priore maggiore di Montesenario
15
19
e dei priori generali dell’Ordine
4 - Bibliografia citata
95
97
introduzione
Testo
Glossario
101
103
109
145
2 - CONSTITUTIONES NOVAE O DECRETI CAPITOLARI
introduzione
Testo
151
153
FONTI LITURGICHE
163
1 - Introduzione
2 - Testi
165
169
468
INDICE GENERALE
FONTI AGIOGRAFICHE
181
1 - Premessa
2 - LEGENDA DE ORIGINE
183
introduzione
Testo
185
191
3 - LEGENDE DEL BEATO FILIPPO DA FIRENZE
I
Legenda “Vulgata”
introduzione
II
Testo
Legenda “Perugina”
introduzione
Testo
261
266
285
290
4 - LEGENDA DEL BEATO GIOACCHINO DA SIENA
introduzione
Testo
5 - LEGENDA DEL BEATO FRANCESCO DA SIENA
introduzione
Testo
313
316
333
336
6 - LEGENDA DEL BEATO PELLEGRINO DA FORLÌ
introduzione
Testo
373
379
FONTI ICONOGRAFICHE
387
1 - Introduzione
2 - TAVOLE
3 - CORALI
389
391
415
Indice analitico
427
FINITO DI STAMPARE IL DODICI
GENNAIO ♦ MEMORIA DEL SANTO ANTONIO MARIA PUCCI ♦
DELL’ANNO MILLENOVECENTONOVANTOTTO ♦ TIPOGRAFIA
LITOBRIVA IN OLGIATE MOLGORA LC ♦ FOTOLITO DI FERNANDO MASSIRONI BRIVIO LC
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Volume 1 - Servi di Maria