SOMMARIO
ISSN 1826-6371
1
SAN PIETRO AL NATISONE-ŒPIETAR
Mancanza di responsabilità istituzionale
L’istituto per l’istruzione slovena contro la lettera
di cinque sindaci al ministro degli Esteri, Frattini
2
LA LETTERA
I diritti dei bambini non ricevono la giusta attenzione
Lettera aperta al ministro degli Esteri, Frattini
3
SAN PIETRO AL NATISONE-ŒPIETAR
Bilingue, verrà ristrutturata la vecchia sede
L’esito della riunione tra Comune, Prefetto, Regione,
Provincia e dirigenza scolastica
6
150° UNITÀ D’ITALIA
Cittadini onesti ma speciali
La ricorrenza offre uno spunto di riflessione
sull’atteggiamento dello Stato italiano verso gli sloveni
7
MINORANZA
Fattore privilegiato
La risposta del ministro degli Affari esteri, Frattini,
al presidente della Skgz, Rudi Pavœi@
8
TRIESTE-TRST
Con noi da 65 anni
Il 13 maggio di 65 anni fa usciva il primo numero
del Primorski dnevnik, quotidiano sloveno di Trieste
Anno XII N° 5 (151) 31 maggio 2010
10
RESIA-REZIJA
Che guaio confondere genetica e linguistica
13
TRIESTE-TRST
Progetto Jezik/Lingua per valorizzare le minoranze
Presentato il programma europeo
che verrà realizzato anche nella Slavia friulana
17
TRIESTE-TRST
Sigillo della Provincia a Boris Pahor
Un riconoscimento all’attività letteraria
e all’esperienza di vita dello scrittore sloveno
19
TAIPANA-TIPANA
Restituire dignità alla gente dei “tempi difficili”
Presentato il volume di Sandrino Coos «Te¡ko ¡ivenje»
L’istituto per l’istruzione slovena contro la lettera di 5 sindaci a Frattini S. PIETRO AL NAT.-ŒPIETAR
Mancanza di responsabilità istituzionale
Ancora in alto mare la ricerca di una collocazione definitiva per la scuola bilingue
a sistemazione della scuola bilingue per il prossimo
anno e della sua definitiva collocazione nell’ambito
delle strutture scolastiche di San Pietro al Natisone
rimangono ancora in alto mare a pochi giorni dalla fine delle
lezioni e sono diventate oggetto di assurde e per certi versi
inquietanti prese di posizione da parte di alcuni sindaci delle
Valli del Natisone imbeccati da esponenti dello stantio nazionalismo locale. D’altra parte rimane la ferma posizione dei
genitori dei 221 alunni, che frequentano la scuola bilingue,
decisi ad arrivare ad una soluzione dignitosa che non penalizzi il percorso formativo e didattico dei loro figli.
Della posizione e delle aspettative dei genitori si è fatto carico l’Istituto per l’istruzione slovena - Zavod za slovensko
izobra¡evanje, che nella recente assemblea e nella prima
riunione del nuovo direttivo (presidente è stato eletto il prof.
Igor Tull) ha preso in esame la situazione venutasi a creare dopo lo sgombero dell’edificio di viale Azzida e le prospettive che si prospettano sia per la provvisoria che per
la definitiva sistemazione dell’Istituto comprensivo statale
bilingue. Ma ha soprattutto stigmatizzato la lettera dei sindaci di San Pietro al Natisone, Savogna, San Leonardo,
Drenchia e Stregna al ministro Frattini
In un comunicato l’Istituto esprime gratitudine ai genitori
«che hanno offerto la loro collaborazione ed hanno proposto
soluzioni razionali e accettabili dal punto di vista didattico,
economico ed organizzativo sia per questo momento di
emergenza che per il futuro dell’Istituto comprensivo bilingue. In questa fase di emergenza i genitori, in sintonia con
la direzione e il personale della scuola, hanno posto come
pregiudiziale il mantenimento della scuola a San Pietro al
Natisone e per quanto possibile unita, pena un marcato
disagio in primo luogo degli alunni. Per una soluzione stabile essi prevedevano la ristrutturazione della Casa dello
studente, attualmente sottoutilizzata, che avrebbe potuto
essere portata a termine senza eccessivo dispendio di risorse finanziarie e in tempi ragionevolmente brevi.
Le loro proposte, che sono state illustrate all’amministrazione comunale, provinciale, regionale e al prefetto di Udine,
sono cadute nel vuoto mentre stanno avanzando soluzioni che, per la fase di emergenza, non rispondono né a criteri di economia né alle esigenze didattiche ed organizzative dell’Istituto comprensivo bilingue. Gli alunni, secondo
le ultime notizie, potrebbero essere dislocati in tre centri
distanti diversi chilometri l’uno dall’altro: scuola materna a
San Pietro al Natisone, elementare a Savogna e media a
Pulfero. Si tratta di scelte che penalizzano fortemente gli
alunni, le loro famiglie e il personale della scuola.
C’è la fondata sensazione – si legge nel comunicato
dell’Istituto per l’istruzione slovena – che sia proprio questa la finalità di quanti operano queste scelte e che trova
ampia conferma nella lettera dei cinque sindaci delle Valli
del Natisone al ministro degli Esteri, Franco Frattini. Da
quanto è apparso sulla stampa, (Messaggero Veneto del
23 maggio scorso) i sindaci di San Pietro al Natisone, San
Leonardo, Stregna, Drenchia e Savogna, hanno fatto proprio un documento nel quale l’esponente di un partito stigmatizza “lo straordinario interessamento del mondo politi-
L
co e istituzionale regionale, nazionale e internazionale al
problema della bilingue”, che viene accusata di “concorrenza sleale nei confronti di quelle italiane”.
Riguardo al metodo di intervento dei sindaci va sottolineata
la mancanza di sensibilità e responsabilità istituzionale per
le quali il sindaco rimane al di sopra delle parti ed opera
per il bene di tutti i cittadini. In questo caso i cittadini sono
i genitori che per i loro figli hanno scelto in tutta libertà l’insegnamento bilingue in un Istituto comprensivo che rientra a tutti gli effetti nel sistema scolastico statale e per il
quale devono provvedere le istituzioni pubbliche.
Riguardo ai contenuti dell’intervento dei sindaci è da rilevare la loro malafede nell’accostare le organizzazioni culturali, che operano autonomamente per la promozione della
cultura slovena del territorio, con l’Istituto comprensivo statale bilingue, il quale a sua volta svolge la propria attività
perseguendo le finalità stabilite dalle norme e dalle leggi
italiane. Come dimostrano assoluta malafede quando accusano l’Istituto bilingue di “concorrenza sleale” ben sapendo che i finanziamenti statali alle scuole sono contemplati da precisi parametri stabiliti dal Ministero per l’Istruzione
e da altri enti pubblici.
Riguardo allo “straordinario interessamento” di cui è stata
fatta oggetto la scuola bilingue è da ricordare che di recente lo stesso presidente del Friuli - Venezia Giulia, Renzo
Tondo, ha definito la scuola bilingue “un fiore all’occhiello
della regione”. È evidente che i sindaci non si sono mai
preoccupati di conoscere le finalità, i metodi e i risultati dell’insegnamento della scuola bilingue che i genitori, loro cittadini, hanno scelto per i propri figli. Se l’avessero fatto,
avrebbero capito i motivi del successo della scuola: i 5 bambini, che contava nel 1984, oggi sono diventati 221; e avrebbero capito perché essa viene presa a modello a livello
nazionale ed internazionale per le minoranze linguistiche».
Intanto 13 associazioni delle Valli del Natisone e di Cividale
sono scese in campo a sostegno all’azione dei genitori degli
alunni della scuola bilingue in una fase molto delicata della
storia di un’istituzione scolastica attiva da oltre venti anni
sul territorio, e che ha visto – grazie all’innovativa formula didattica legata all’insegnamento parallelo della lingua
italiana e di quella slovena – crescere in maniera esponenziale il numero degli iscritti, in contrasto con il calo demografico vissuto dal territorio e con il calo di iscrizioni registrato in altri plessi scolastici.
Le associazioni, come i genitori ed il corpo docente ed
amministrativo dell’Istituto scolastico ritengono fondamentale che le classi della scuola per l’infanzia, primaria
e media (220 alunni) rimangano anche in via provvisoria
unite e localizzate sul territorio di S. Pietro al Natisone.
Le associazioni firmatarie sono le seguenti: Circolo culturale Ivan Trinko, Cooperativa Novi Matajur, Cooperativa
Most, Istituto per la cultura slovena, Circolo culturale Re@an,
Planinska dru¡ina Bene@ije, Associazione degli artisti della
Benecia, Pro loco Nediœke doline, Skgz e Sso della provincia di Udine, Società operaia di mutuo soccorso, Circolo
Navel, Associazione don Eugenio Blanchini.
(Dom, 31.5.2010)
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 1
LA LETTERA
I diritti dei bambini non ricevono
la giusta attenzione
Lettera aperta al ministro degli Esteri, Franco Frattini
Egregio signor ministro, giorni fa ha ricevuto, in occasione della sua visita a Cividale, una lettera firmata da alcuni sindaci delle Valli del Natisone riguardante la nostra scuola, l’Istituto comprensivo statale con insegnamento bilingue
sloveno-italiano.
Siamo profondamente indignati e addolorati nell’apprenderne dalla stampa il contenuto, anche perché proviene da
coloro che istituzionalmente avrebbero il dovere di assicurare, senza discriminazione alcuna, le basi materiali per
il funzionamento delle scuole del primo ciclo d’istruzione.
Le “ingenti risorse” reperite per la soluzione del caso altro
non sono che fondi assegnati al comune per rendere staticamente sicuro l’edificio di sua proprietà in cui i 221 alunni della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di 1°
grado erano ospitati fino all’ordinanza di sgombero firmata dal sindaco il 5 marzo di quest’anno. I tempi dell’intervento non si prospettano brevissimi. Intanto i nostri bambini si trovano in locali provvisori che non corrispondono
ai minimi standard igienico-sanitari, e la situazione di provvisorietà rischia non solo di protrarsi, ma di diventare ancora più pesante nei prossimi anni scolastici. Ad oggi da parte
del comune non è stata espressa nessuna soluzione per
il prossimo anno scolastico e le proposte avanzate dai genitori non sono state prese in considerazione. Se qualcosa
si è mosso, e il contributo ministeriale ne è la prova, è perché c’è stata una forte iniziativa dei genitori che hanno
messo a disposizione tutte le loro forze, quelle fisiche nell’attuazione del primo trasloco e quelle intellettuali e professionali per la ricerca di soluzioni future. Se ciò avesse
generato, come sostengono i sottoscrittori della lettera,
«nella stragrande maggioranza della popolazione… forti
perplessità e … insofferenza», questo sarebbe segno di
una forte caduta di senso civico e comunitario. Pensiamo
però che questi atteggiamenti riguardino fortunatamente
solo una piccola minoranza e che nella nostra comunità
prevalgano ancora menti responsabili.
Nella lettera dobbiamo purtroppo segnalare alcuni passi che
vanno oltre ogni sia pur discutibile presa di posizione politica e sconfinano nella calunnia. Non entriamo in merito alle
valutazioni sulla legge 38/2001, alle associazioni che
potranno esprimersi da sé, all’attinenza della nostra scuola con la tutela della cultura e dell’identità della comunità
locale (che il nostro operato ampiamente dimostra), ma parlare, nei confronti della nostra scuola, di «cospicui sostegni con i quali attua una concorrenza sleale nei confronti
delle scuole italiane» è semplicemente vergognoso, in quanto gli stessi sindaci ben sanno che tutte le scuole statali
vengono finanziate secondo precisi parametri ministeriali,
oltre a beneficiare di contributi regionali e locali su bandi
e progetti. Se la nostra scuola è trattata come tutte le altre
per i finanziamenti statali e regionali, è certamente la cenerentola per quel che riguarda il sostegno degli enti locali.
Egregio signor ministro, quand’era Vice Presidente della
Commissione Europea, scrisse sul suo sito: «Lavoro per
la libertà, la sicurezza e la giustizia. Tra i miei compiti ce
n'è uno che mi sta particolarmente a cuore: il rispetto dei
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 2
diritti e delle libertà dei bambini. Avete il diritto di crescere in un ambiente sicuro, di ricevere un'istruzione, di esprimere la vostra opinione sulle decisioni che riguardano la
vostra vita, di essere protetti da ogni forma di violenza e
di abuso. Purtroppo i vostri diritti non sempre ricevono l'attenzione che meritano».
Ecco, il nostro è proprio un caso in cui i diritti dei bambini
non ricevono la giusta attenzione, in cui viene messa in
discussione la libertà delle famiglie di scegliere un determinato percorso educativo, in cui la sicurezza sembra diventare pretesto per penalizzare una parte della popolazione
scolastica, in cui anche la giustizia cede il passo a trattamenti discriminanti. Ed è proprio in nome della libertà, della
sicurezza e della giustizia che non possiamo desistere dal
ricercare una soluzione dignitosa per far studiare i nostri
bambini.
Michele Coren, presidente del Consiglio d’istituto
Viviana Gruden, dirigente scolastico
LA RIFLESSIONE
Ma si sta giocando sulla pelle dei bambini
Le scelte degli amministratori locali sulla bilingue
Già, la palla è passata al Comune di S. Pietro al Natisone.
Dovremmo sentirci tutelati, dovremmo sentirci tranquilli, perché difesi da amministratori locali che considerano una propria realtà scolastica, riconosciuta un modello didattico
anche a livello nazionale, come un fiore all’occhiello che
come tale va mantenuto.
Dovremmo scommettere sul fatto che i nostri amministratori locali tengano conto di una storia ultraventennale nata
quasi clandestinamente e cresciuta in maniera esponenziale grazie all’azione di insegnanti, genitori, anche alunni, grazie alla loro caparbietà ed anche alla loro sofferenza, soprattutto quando la scuola era ancora privata e occorreva lottare ogni anno, ogni mese, ogni giorno per permettere il normale corso scolastico. Dovremmo credere che
un’amministrazione comunale, una qualsiasi, prima di prendere una decisione talmente importante sul futuro di una
scuola tenga in dovuta considerazione le istanze di chi la
scuola la “vive”, del corpo insegnanti e dei genitori.
Dovremmo anche essere convinti che un’amministrazione
comunale, una qualsiasi, sia in grado di valutare anche economicamente i pro ed i contro di una scelta. Dovremmo.
Ci ritroviamo, invece, nella condizione di dover pensare che,
oltre all’illogicità, in alcuni atteggiamenti regni anche una
certa malafede: lo dimostra, se ce n’era bisogno, il contenuto di una lettera che cinque “nostri” sindaci hano consegnato al ministro degli Esteri italiano. Ci ritroviamo a pensare che esista un disegno, un piano. La cosa triste, veramente triste, è che tutto questo si sta facendo giocando
sul futuro, direi sulla pelle, di oltre 220 bambini e ragazzi.
Sul nostro futuro. E davvero questo non importa?
Michele Obit
(Novi Matajur, 27. 5. 2010)
La Cooperativa Most
pubblica anche il quindicinale bilingue
Dom.
Copie omaggio disponibili allo 0432 700896
SAN PIETRO AL NAT.-ŒPIETAR
Bilingue, verrà ristrutturata la vecchia sede
L’esito della riunione tra Comune, Prefetto, Regione,
Provincia e dirigenza scolastica
Punto primo: la somma messa a disposizione dal Ministero
per l’Istruzione su input della Regione, un milione 100 mila
euro circa, servirà per ristrutturare l’edificio di viale Azzida,
la sede dell’Istituto comprensivo bilingue di S. Pietro al
Natisone sgomberato lo scorso marzo. Punto secondo: ci
vorranno almeno due anni prima di poter riprendere possesso dell’edificio, cosa fare nel frattempo verrà deciso nel
giro di una decina di giorni.
È questo il risultato dell’incontro sul futuro dell’istituto bilingue che si è tenuto lunedì 17 maggio in Prefettura a Udine,
presenti, oltre al prefetto Ivo Salemme, il sindaco di S. Pietro
Tiziano Manzini, gli assessori regionali Roberto Molinaro
e Riccardo Riccardi, l’assessore provinciale Elena Lizzi ed
il dirigente scolastico regionale Daniela Beltrame.
«Abbiamo deciso di mettere a posto la scuola di viale Azzida
– fa sapere Manzini – usufruendo della somma del
Ministero, il cui decreto sarà pubblicato in questi giorni.
Affideremo subito un incarico per lo studio preliminare, per
capire cosa mettere in sicurezza della struttura».
Nel frattempo, entro dieci giorni il Comune dovrà trovare
una soluzione transitoria, da concordare con i dirigenti scolastici interessati. Per Manzini «resta la volontà dell’amministrazione di mantenere l’istituto a S. Pietro, ma se non
si trovano gli spazi bisognerà cercare un’altra soluzione».
M. O.
(Novi Matajur, 20. 5. 2010)
IL COMMENTO
La palla ritorna al comune
A proposito di scuola bilingue
Il dado è tratto. La scuola bilingue avrà la sua sede definitiva nel vecchio stabile in viale Azzida, adeguato alle
norme di sicurezza antisismica. La soluzione migliore, crediamo, sarebbe stata quella indicata dai genitori: il college. Una struttura dal punto di vista statico e antisismico in
condizioni eccellenti e situata nel centro studi di S. Pietro,
accanto alle altre scuole. I lavori di adeguamento funzionale avrebbero riguardato solo gli spazi interni ed avrebbe comportato un notevole risparmio di tempo e quasi certamente di spesa. La casa dello studente sampietrina ora
utilizzata molto parzialmente – checchè se ne dica – e divenuta corpo avulso dalla realtà locale, si sarebbe probabilmente per la prima volta riempita di vita e avrebbe svolto
quel ruolo di promozione e di sviluppo della comunità delle
valli del Natisone alle quali era stata destinata dalle autorità americane nel dopo-terremoto.
Si è scelto diversamente, in barba alle dichiarazioni fatte
anche da questa amministrazione comunale di voler favorire l’integrazione e la collaborazione tra le scuole italiana
e bilingue. Il succo del discorso è: ognuno rimanga al suo
posto, chiuso nel suo fortino.
Ora il problema più grave ed impellente in questo momen-
to è la garanzia del diritto allo studio dei bambini che frequentano la scuola bilingue in attesa che la vecchia scuola possa nuovamente accoglierli. Si parla di due anni necessari per i lavori di ristrutturazione, ma conoscendo le cose
italiane possiamo dire che saranno tre se non quattro. E
nel frattempo?
La scuola è protetta da una specifica norma della legge di
tutela della minoranza slovena oltre che dalla normativa scolastica generale.
La caratteristica di questa scuola è l’educazione bilingue.
Per poter funzionare dal punto di vista didattico ed organizzativo, la scuola ha bisogno di rimanere unita. Ce lo
hanno spiegato, e non una volta, la dirigente, gli insegnanti,
gli esperti e con molta determinazione anche i genitori.
Vanno quindi immediatamente individuati e valutati gli spazi
esistenti e prediposto un piano per ospitare tutti gli studenti
sampietrini. Non solo nell’emergenza va considerato che
le scuole sono in primis dei bambini che le frequentano. E
non sono fatte solo di aule ma anche di mensa, trasporti,
biblioteca, palestra, laboratori...
Il comune di S. Pietro ha doveri e responsabilità precise.
E l’amministrazione comunale se le deve prendere, evitando
qualsiasi discriminazione, anche se questa scuola non gode
delle sue simpatie. Le due scuole sono entrambe patrimonio
del Comune, così come gli edifici scolastici.
A meno che non ci troviamo di fronte ad un disegno perverso perseguito fin dall’inizio. In ogni caso le reazioni non
mancheranno.
J. N.
(Novi Matajur, 20. 5. 2010)
I PRECEDENTI
S. PIETRO AL NAT.-ŒPIETAR
Una soluzione stabile per la bilingue
Niente di nuovo sul fronte della ricerca di una sistemazione unitaria, dignitosa e veloce della scuola bilingue di San
Pietro al Natisone, costretta alla «diaspora» dopo lo sgombero per motivi di sicurezza della vecchia sede di viale
Azzida. O, meglio, sono state riaccreditate le tre ipotesi ventilate in un primo tempo: un prefabbricato da realizzare nell’area della vecchia sede, che andrebbe demolita, una scuola nuova nell’area del Centro studi, trasferimento nei comuni vicini. Le prime due, a causa del lungo tempo per il reperimento dei fondi e la loro realizzazione, non paiono percorribili se non nell’ipotesi (o volontà?) di mantenere la diaspora con i relativi disagi, la precarietà, l’incertezza, i riflessi negativi sulla didattica; la terza penalizzerebbe ancora
di più un’istituzione che nei lunghi anni della sua attività
ha arricchito l’offerta didattica delle Valli del Natisone e non
solo.
La soluzione più semplice, meno dispendiosa, definitiva e
più rapida – la ristrutturazione della casa dello studente di
San Pietro – sembra non avere più credito, almeno negli
ambienti dell’amministrazione comunale che, come emerso nel corso del recente consiglio comunale, opterebbe in
un primo momento per una soluzione “provvisoria”, e cioè
la costruzione di un prefabbricato, che però potrebbe ospitare solo la scuola materna ed elementare, mentre la media
sarebbe “distaccata” nelle vecchie magistrali, e come approSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 3
do definitivo la costruzione di una nuova struttura.
Le due soluzioni, a parte il tempo di realizzazione e i costi
(quelli del prefabbricato si aggiungerebbero a quelli della
nuova struttura), non vengono certamente incontro alle attese dei genitori, del consiglio di istituto e della direzione della
scuola che vedono nel trasferimento della bilingue nella
casa dello studente una soluzione rapida, ottimale e definitiva. La loro proposta è stata accolta positivamente da
esponenti del mondo politico e scolastico ed è approdata
anche presso i competenti organismi regionali che, assieme ad altri enti ed istituzioni, avrà la responsabilità di decidere in materia.
Ora il problema più urgente è che una decisione arrivi in
tempi brevi e prospetti una soluzione stabile e definitiva.
È risaputo che la fretta è cattiva consigliera, ma in questo
caso i rinvii e i ripensamenti non farebbero altro che aggravare la situazione a scapito, in primo luogo, degli alunni e
delle loro famiglie e, poi, dell’immagine degli enti che sono
chiamati a dare risposte.
Per questi ultimi si presenta l’occasione di dimostrare le
loro capacità operative e il loro apprezzamento, con i fatti,
della scuola bilingue.
(Dom, 30. 4. 2010)
BILINGUE
Soluzione ancora in alto mare
Del problema si è parlato nell’incontro tra
il presidente Tondo e il ministro sloveno ˘ekœ
e in occasione della recente visita della sesta
commissione regionale a San Pietro al Natisone
Per il Friuli Venezia Giulia la scuola bilingue di San Pietro
al Natisone rappresenta un fiore all'occhiello e un'istituzione
di prestigio proprio per la sua impostazione bilingue. Lo ha
affermato il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Renzo
Tondo, nel corso dell’incontro con il ministro per gli sloveni d’oltre confine e nel mondo del governo di Lubiana,
Boœtjan ˘ekœ, che ha avuto luogo lo scorso 4 maggio a
Trieste.
Nell'incontro, Tondo era affiancato dagli assessori per le
Relazioni internazionali e comunitarie, Federica Seganti,
e alla Cultura, Roberto Molinaro, mentre ˘ekœ era accompagnato dal sottosegretario, Boris Jesih, e dal console generale di Slovenia a Trieste, Vlasta Valen@i@ Pelikan. Ha partecipato alla riunione anche il consigliere regionale della
Slovenska skupnost Igor Gabrovec.
Ampie rassicurazioni sono state fornite al ministro sloveno sul futuro della scuola bilingue e l'assessore Molinaro
ha avuto modo di chiarire i passi più recenti compiuti dalla
Regione per arrivare a una soluzione duratura nel tempo
che assicuri agli alunni una tranquilla prosecuzione degli
studi in una struttura sicura e accentrata, per quanto le circostanze lo possono permettere.
«Quello di oggi – ha rilevato Tondo – è un appuntamento
importante, che consente di dare continuità ai rapporti istituzionali affrontando problemi concreti. Vi è un interesse
reciproco a rafforzare la cooperazione bilaterale e, in questo percorso, le minoranze rappresentano un valore aggiunto».
Il ministro ˘ekœ si è da parte sua augurato che il finanziamento statale annuale per la minoranza slovena in Italia,
pari a un milione di euro, possa essere erogato in via ordiSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 4
naria, senza dover cioè avviare ogni anno una nuova trattativa fra i due Paesi. Su questo Tondo ha confermato l'impegno della Regione nei confronti del Governo nazionale,
proprio per arrivare a una condizione di certezza della risorse.
La scuola bilingue di San Pietro al Natisone, dunque, è stata
posta all’attenzione del governo regionale, che sta prendendo in esame le possibili soluzione, come ha confermato
l’assessore Molinaro, per tenere la scuola unita a San Pietro
al Natisone.
Della futura sistemazione dei 221 alunni che frequentano
la bilingue e che ora sono dislocati in tre diverse strutture
di San Pietro, con tutti i problemi organizzativi e didattici
che questa improvvisa diaspora comporta, si interessata
anche la sesta commissione regionale permanente, presieduta da Piero Camber (Pdl). Su iniziativa del consigliere del Pd-Slovenska Skup, Igor Gabrovec, la commissione ha compiuto una visita per conoscere la situazione e
le aspettative della dirigenza della scuola e dei genitori degli
alunni. Della delegazione facevano parte oltre ai già citati Camber e Gabrovec, i consiglieri Paride Cargnelutti (Pdl),
Ugo De Mattia e Enore Picco della Lega, Franco Iacop (Pd),
Igor Kocijan@i@ (Sa-Prc) e Stefano Pustetto (Sa-Sel).
La situazione, esposta dal sindaco Tiziano Manzini, è tale
che l'opera di messa in sicurezza dell'edificio dove
l'Istituto bilingue aveva sede non offre certezze né di tempi
né di costi e i fondi stanziati dallo Stato e vincolati all'adeguamento di questo edificio potrebbero risultare insufficienti. Manzini ha anche evidenziato che esistono spazi
nei Comuni limitrofi, così come ha fatto la dirigente
dell'Istituto comprensivo statale di San Pietro, Margherita
Cencig. Una soluzione di spostamento provvisoria è accettabile per l'assessore comunale all'Istruzione, Aurelio
Massera, che però non vedrebbe di buon occhio il trasferimento permanente di nessuna delle realtà scolastiche presenti a San Pietro.
Ad illustrare l’attuale situazione e le attese delle varie componenti dell’Istituto statale comprensivo sono stati la dirigente ˘iva Gruden e il presidente del consiglio d’istituto
Michele Coren, i quali hanno ribadito quanto in altre sedi
è stato esposto e che cioè la scuola bilingue deve rimanere a San Pietro al Natisone in un’unica struttura. E ciò
per comprensibili motivi didattici ed organizzativi dal
momento che, proprio per la sua particolare impostazione, esiste tra i diversi cicli scolastici una continuità e collaborazione che verrebbe compromessa dalla divisione forzata delle classi in ambienti diversi o, peggio, distanti.
Ed è stata proprio il college del capoluogo delle Valli del
Natisone ad animare la discussione. Il genitori degli alunni vedono in esso la soluzione ideale e duratura per la sistemazione della scuola bilingue, in tempi ragionevolmente
veloci e con finanziamenti contenuti.
A questo proposito hanno anche presentato un progetto
circostanziato, elaborato da genitori architetti ed ingegneri. Ma questa soluzione è stata fermamente respinta dalla
dirigente del convitto cividalese Paolo Diacono, Anna Maria
Germini, la quale ha ricordato che la struttura ospita studenti delle scuole superiori che vi svolgono anche alcune
attività di studio.
L’osservatore esterno ha l’impressione che una soluzione
sia ancora lontana, mentre l’anno scolastico si sta chiudendo e il nuovo si avvicina a grandi passi. Si attende che,
chi ha in mano anche la soluzione finanziaria della questione, si assuma al più presto le proprie responsabilità.
G. M.
(Dom, 15. 5. 2010)
IL COMMENTO
Benvengano gli incontri concreti
A proposito dell’incontro tra Tondo e ˘ekœ
Qualche anno fa l’incontro tra il presidente della regione
Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo, e il ministro sloveno
Boœtjan ˘ekœ sarebbe stato considerato probabilmente normale e quasi di routine. Mentre, invece, l’incontro che si è
tenuto ieri (martedì 4 maggio, ndt.) costituisce un evento
in tempi in cui i rapporti tra la nostra regione e la Slovenia
e quelli tra i governi sloveno ed italiano non sono certo rosei.
Il recente incontro tra Tondo e ˘ekœ è degno di nota anche
perché è stato improntato alla concretezza.
La minoranza slovena in Italia e la Slovenia sono comprensibilmente preoccupate per la sorte della scuola bilingue di San Petro al Natisone, senza la quale è difficile
immaginare un futuro per la comunità slovena della provincia di Udine. La regione si è nuovamente espressa a
favore della tutela dell’integrità della scuola bilingue e speriamo che Tondo e l’assessore regionale alla Cultura,
Roberto Molinaro, sapranno persuadere definitivamente su
questo punto gli interlocutori locali.
L’amministrazione regionale concorda sull’importanza del
Teatro stabile sloveno, che, secondo Tondo e ˘ekœ, deve
operare in base alle risorse finanziarie disponibili. A breve
probabilmente lo Stabile sloveno avrà un nuovo consiglio
d’amministrazione, del quale faranno parte anche i rappresentanti delle amministrazioni locali. Ed è un bene perché, in questo modo, la Regione, il Comune e la Provincia
di Trieste non potranno più sfuggire alle responsabilità ed
agli obblighi verso il Teatro.
Resta insoluta la questione del finanziamento della minoranza slovena da parte del governo italiano e della regione Fvg. Il milione di euro che il governo italiano ha restituito alla minoranza slovena rappresenta una soluzione temporanea ed eccezionale. Mentre la minoranza necessita
di una sicurezza economica, che attualmente non si vede
all’orizzonte.
Sandor Tence
(Primorski dnevnik, 5. 5. 2010)
SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA
Sede adeguata ed unica per la bilingue
In una mozione il consiglio comunale di Grimacco
auspica una soluzione ragionevole per la scuola
bilingue
Il consiglio comunale di Grimacco / Garmak nella seduta
del 30 aprile, ha votato all’unanimità una mozione che auspica una soluzione ragionevole per la scuola bilingue di S.
Pietro al Natisone. I consiglieri di estrema destra, di destra,
di centro, di sinistra e di estrema sinistra, si sono trovati
tutti d’accordo nella richiesta di salvaguardia e potenziamento di una scuola che offre la possibilità di apprendere
anche lo sloveno. Numerosi ragazzi del comune la frequentano con soddisfazione delle famiglie e molti anziani
invidiano questi ragazzi che, finalmente, hanno l’opportunità di poter imparare a leggere e scrivere nella propria lin-
gua. L’Istituto, statale, di istruzione bilingue italiano – sloveno deve essere sostenuto e deve poter operare con tranquillità come ogni altra scuola pubblica della Repubblica
italiana. Deve avere una sede adeguata ed unica proprio
per le caratteristiche che la rendono unica; infatti le sue attività sono strettamente collegate a numerose realtà formative e gestionali, tutte presenti nel Comune di S. Pietro,
come la scuola di musica – Glasbena matica – la biblioteca scolastica slovena, l’Istituto per l’istruzione slovena,
il servizio centralizzato della mensa, il servizio di trasporto. L’unicità della sede è vincolante per il fatto che la scuola bilingue è un progetto unico e particolare, vive della partecipazione di tutto il suo personale e per la complessità
delle sue attività e la diversa provenienza territoriale degli
alunni abbisogna di modalità relazionali molto strette che
solo una sede unica può garantire. Smembrarla in più sedi
distaccate porterebbe alla sua atrofizzazione e successiva eliminazione.
I genitori, ma anche un sempre crescente numero di cittadini, danno grande importanza alla formazione bilingue
dei ragazzi in una struttura di eccellenza, apprezzano la
qualità dell’insegnamento ed il legame con la cultura del
territorio.
Le difficoltà, si auspica temporanee, con cui oggi la scuola bilingue deve misurarsi sono una parte dei problemi che
la scuola nel suo complesso patisce oggi nella Bene@ija.
Qui anche la scuola monolingue sta vivendo tempi difficili, da una parte è sempre incombente il rischio di chiusura di diverse sedi, dall’altra l’esigenza di garantire un nucleo
minimo di scolari per avere una buona efficacia formativa.
Problema nel mare dei problemi sociali ed economici che
i nostri amministratori locali dovrebbero affrontare senza
preconcetti, studiando soluzioni innovative ed attingendo
a tutte le possibilità pratiche che può offrire la nostra realtà
– a cominciare dalla presenza della minoranza slovena –
per arrivare ad una struttura formativa valida, sia essa mono
o bilingue.
(Dom, 15. 5. 2010)
MINORANZA
La Slovenska skupnost sulla scuola bilingue
e la cooperativa Goriœka Mohorjeva
Noi sloveni non possiamo accettare la frammentazione della
scuola bilingue di San Pietro al Natisone perché questo
comporterebbe l’annullamento di un impegno pluridecennale, che ha prodotto risultati significativi per la comunità
slovena della Slavia friulana. È quanto è stato affermato
nel corso di una recente riunione del partito sloveno
Slovenska skupnost-Ssk, alla quale ha preso parte anche
il presidente del consiglio d’istituto della scuola bilingue,
Michele Coren.
Nel corso della riunione, come riferisce il segretario regionale della Slovenaka skupnost, Damijan Terpin, è stato sottolineato quanto sia importante che i genitori e la direzione della scuola siano pervenuti alla decisione, condivisa
da tutta la minoranza, di trasferire tutte le classi della scuola materna, elementare e media bilingue negli spazi della
Casa dello studente di San Pietro al Natisone, che dipende dal Convitto Paolo Diacono di Cividale del Friuli, e che
attualmente ospita 23 studenti. La struttura, che è di proprietà del Comune di San Pietro al Natisone, potrebbe ospiSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 5
tare la bilingue già a partire dal prossimo anno scolastico,
dopo opportuni lavori di manutenzione, il cui importo non
dovrebbe superare il milione di euro.
La segreteria regionale della Ssk si è soffermata anche sulla
situazione finanziaria in cui versano alcune importanti organizzazioni, tra le quali la Cooperativa Goriœka Mohorjeva
di Gorizia, che pubblica il locale settimanale sloveno «Novi
glas». Dopo aver espresso solidarietà ai dipendenti del giornale per la difficile situazione che stanno vivendo, la Ssk
ha sottolineato l’importante ruolo informativo del Novi glas
nell’ambito della comunità slovena in Italia e si è detta pronta ad appoggiare tutti i provvedimenti che la Cooperativa
adotterà per tutelare il giornale e il personale dipendente.
Di seguito la Ssk si è soffermata sulla situazione politica
nel Goriziano e nel Triestino ed ha deciso di partecipare
con i propri rappresentanti alle elezioni delle amministrazioni che saranno rinnovate l’anno prossimo. La Ssk ha
aggiunto che nella sua presenza vede l’unica garanzia per
un’efficace conduzione delle amministrazioni a vantaggio
della comunità nazionale slovena.
La segreteria regionale della Ssk ha espresso, inoltre, soddisfazione in merito alla tavola rotonda indetta sulla scuola, che si è tenuta recentemente a Opicina-Op@ine, su iniziativa dei giovani. Secondo la Ssk l’iniziativa è riuscita
soprattutto a risvegliare l’interesse per il futuro della scuola slovena, la quale dovrebbe diventare sempre più un argomento di pubblico interesse.
A proposito di scuola la Ssk, inoltre, ha sottolineato la necessità di non chiudere gli occhi di fronte ad un fenomeno in
crescita, che accomuna la minoranza slovena in Italia e
quella italiana in Slovenia. Sono, infatti, sempre numerose in Italia le famiglie italiane che iscrivono i propri figli alle
scuole slovene e, viceversa, in Slovenia le scuole italiane
che registrano, di anno in anno, un crescente numero di
alunni provenienti da famiglie slovene.
(Novi glas, 29. 4. 2010)
Il presidente della Repubblica respinge ogni tentativo di dividere l’Italia
150° DELL’UNITÀ D’ITALIA
Cittadini onesti ma speciali
La ricorrenza offre uno spunto di riflessione sull’atteggiamento dello Stato italiano verso gli sloveni
n questi giorni sono iniziati in Italia i festeggiamenti per
il150° anniversario dell’unità d’Italia, che culmineranno
il 17 marzo dell’anno prossimo, quando verrà ricordata
la proclamazione del Regno d’Italia, sotto la regnante Casa
Savoia, ad opera del parlamento riunito nella capitale di
allora, Torino.
In questi giorni, il presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, prima a Quarto, presso Genova, e poi a
Marsala, in Sicilia, e cioè in due luoghi simbolo che rappresentano l’inizio e la fine del viaggio dei Mille al seguito di Garibaldi, ha detto molto chiaramente che chi pensa
o propone di dividere l’Italia si prepara a fare un salto nel
vuoto.
Le parole di Napolitano erano palesemente rivolte a quei
politici, che in questi giorni hanno proposto di separare la
Padania o la Sicilia dal resto dell’Italia.
Un parlamentare europeo della Lega nord ha sottolineato
come la separazione del nord Italia dal resto del Paese sia
un’idea meravigliosa, che fu anche dei protagonisti della
Resistenza. Un suo collega ha aggiunto che divisione non
vuol dire salto nel buio, come dimostrano gli esempi della
Repubblica ceca e della Slovacchia e di altri Stati che, grazie alla separazione, sono entrati a fare parte dell’Unione
Europea. A questa aggiungiamo le pittoresche dichiarazioni
di altri politici contro la bandiera italiana, che utilizzerebbero volentieri come carta igenica, contro la capitale Roma
ed altre istituzioni statali.
Non vogliamo commentare queste affermazioni e indulgere
in riflessioni sulla necessità di un riordinamento dello Stato
e di una maggiore autonomia delle regioni e di altre amministrazioni locali.
Ciò che a noi interessa è l’atteggiamento che lo Stato italiano ha avuto e continua ad avere nei confronti degli sloveni della provincia di Udine, entrati a far parte dell’Italia
cinque anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
In questi 144 anni le autorità italiane si sono comportate
verso gli sloveni come una madre con tanti figli che un bel
I
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 6
mattino trova sulla soglia di casa un bambino bello e intelligente, ma che non somiglia a suoi. Lo accoglie nella sua
casa e lungu gli anni si adopera in tutti i modi a farlo diventare come i suoi figli. Invano! Quando il bambino diventa
grande, la madre è contenta nel vederlo lavorare per lei,
difenderla contro gli attacchi esterni e lo manda addirittura a combattere contro il nemico… Il bambino, però, anche
da adulto, continua a chiedersi perché sua madre abbia
sempre avuto un atteggiamento ostile nei suoi confronti.
Finché un giorno scopre di non essere suo figlio…
Una metafora questa per fare capire meglio la situazione
degli sloveni. Quando, infatti, gli sloveni della provincia di
Udine si sono resi conto di poter usufruire di determinati
diritti per tutelare la propria identità, hanno iniziato a rivendicarli in modo pacifico. Avevano fiducia nella Costituzione,
nelle leggi, nella buona fede delle autorità… sono rimasti
cittadini italiani bravi e fedeli, ma chiedevano che la loro
specificità fosse riconosciuta.
Non hanno messo ordigni esplosivi sotto gli elettrodotti, non
hanno rinnegato le autorità e la bandiera italiane e non
hanno mai preso in considerazione di potersi separare
dall’Italia. Dio ce ne scampi! Hanno sempre pagato le tasse,
servito la «patria» Italia tra gli alpini, combattuto con coraggio sui fronti contro il nemico. Chiedevano solamente che
i diritti fossero loro riconosciuti.
E che cosa hanno ottenuto in cambio? I sacerdoti e gli intellettuali sloveni furono perseguitati e minacciati di confino.
i baldi giovani e i padri di famiglia venivano mandati a lavorare nelle miniere in Belgio; i paesi sloveni vennero svuotati e gli abitanti sparsi nei cinque continenti. Solo dopo 135
anni di cittadinanza italiana sono stati riconosciuti come sloveni, ciò che sono ed hanno desiderato essere.
Quanti, invece, chiedono la divisione dell’Italia, ricoprono
alte cariche nel governo italiano, nel parlamento e nelle
regioni; quanti utilizzerebbero volentieri la bandiera italiana come carta igienica sono tra quelli che privano gli sloveni dei loro diritti e affermano che gli abitanti della Slavia
friulana-Bene@ija e di Resia-Rezija non sono sloveni, che
cioè sono senza padre e senza madre.
Cosa succederebbe se i rappresentanti della nostra
comunità slovena assumessero questi comportamenti?
Verrebbero accusati di tradimento, di diffamazione delle istituzioni dello Stato e della bandiera nazionale, di tramare
un attentato contro l’Italia.
Per dirla con un proverbio latino: Quod licet Iovi non licet
bovi. Vale a dire che quanto è proibito ai normali cittadini,
è concesso alle autorità.
L. M.
(Dom, 15. 5. 2010)
MINORANZA
Fattore privilegiato
La risposta del ministro degli Affari esteri, Franco
Frattini, al presidente della Skgz, Rudi Pavœi@
«Il governo italiano considera le minoranze slovena in Italia
ed italiana in Slovenia come un fattore privilegiato nelle relazioni bilaterali e come un elemento di stimolo per l’ulteriore sviluppo della già intensa e diversificata collaborazione
tra i nostri due Paesi».
Lo ha scritto il ministro degli Affari esteri Franco Frattini in
una lettera al presidente dell’Unione culturale economica
slovena-Skgz, Rudi Pavœi@, che tramite suo aveva ringraziato il governo italiano per i finanziamenti concessi alla
minoranza slovena per l’anno in corso. Pavœi@ aveva
espresso anche la preoccupazione della minoranza slovena
per i tagli previsti per il prossimo anno che ridurrebbero la
dotazione finanziaria di enti ed associazioni slovene del 40%
e chiesto l’autorevole intervento del ministro.
«Posso assicurarle» è stata la riposta di Frattini al presidente della Skgz Rudi Pavœi@ «che continueremo ad essere animati anche in futuro dallo stesso spirito verso la
Comunità slovena in Italia pur nei limiti posti dall’attuale,
complessa fase congiunturale».
(Novi Matajur, 20. 5. 2010)
GORIZIA-GORICA
Skgz, incontro con Franco Juri
Con il parlamentare sloveno si è parlato
di minoranza e scuola bilingue
Ha avuto recentemente luogo presso il centro culturale sloveno Kulturni dom, a Gorizia, l’incontro tra il direttivo regionale dell’Unione culturale economica slovena-Skgz e il parlamentare sloveno, vicepresidente del Comitato parlamentare per la politica estera-Ozp e membro della commissione parlamentare per gli sloveni d’oltre confine e nel
mondo, Franco Juri. All’incontro hanno preso parte anche
la console generale della Repubblica slovena a Trieste,
Vlasta Valen@i@-Pelikan, la console Bojana Cipot, il presidente e il direttore del Kulturni dom, Boris Peric e Igor
Komel.
Al parlamentare sloveno il presidente della Skgz, Rudi
Pavœi@, ha illustrato l’attuale situazione della comunità nazionale slovena e il suo impegno ad attuare la legge di tute-
la. È stata sottolineata soprattutto la preoccupante situazione finanziaria che ha colpito una serie di istituzioni e organizzazioni. I rappresentanti della Skgz hanno espresso la
loro preoccupazione per i drastici tagli che l’anno prossimo il governo prevede di operare sui fondi destinati alla
minoranza slovena.
Juri ha chiesto poi informazioni sulla situazione della scuola bilingue di San Pietro al Natisone-Œpeter, attualmente
alle prese con gravi problemi dovuti alla mancanza di spazi
a seguito della chiusura per motivi di sicurezza dell’edificio scolastico in viale Azzida. A questo proposito urge trovare una soluzione adeguata in tempi brevi, diversamente sarà fortemente condizionato lo sviluppo futuro dell’unico centro scolastico bilingue in provincia di Udine.
All’incontro si è, tra l’altro, parlato anche della necessità di
trovare una sede adeguata nella quale trasferire l’Istituto
per la cultura slovena, di San Pietro al Natisone-Œpeter,
attualmente in affitto. L’Istituto è uno dei principali promotori del progetto europeo Jezik-Lingua, portato avanti dalla
Skgz e dalla Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso insieme ai rappresentanti delle organizzazioni italiane in Slovenia. (…)
(Primorski dnevnik, 19. 5. 2010)
GORIZIA-GORICA
Incontro sui rapporti italo-sloveni
L’ex territorio di confine, di cui fanno parte il Friuli-Venezia
Giulia, il Litorale sloveno e l’Istria dovrà trovarsi da solo un
ruolo attivo nei rapporti tra Italia e Slovenia. È questa l’affermazione evidenziata nel corso della serata sui rapporti tra Italia e Slovenia, che ha avuto recentemente luogo a
Gorizia ed è stata organizzata all’Unione culturale economica slovena-Skgz. All’incontro sono intervenuti i deputati Alessandro Maran, membro della commissione parlamentare per la politica estera, Roberto Antonione, ex sottosegretario al ministero degli Esteri, e Franco Juri, vicepresidente del Comitato parlamentare sloveno per la politica estera-Ozp. A fare moderatore l’esponente della Skgz,
Livio Semoli@. I tre intervenuti hanno espresso la convinzione che la posizione geografica non rappresenta più la
condizione principale per la collaborazione, per la quale
sono necessari progetti concreti e l’integrazione economica.
I parlamentari concordano sul fatto che i rapporti tra Italia
e Slovenia sono buoni e che oggi sono inseriti in un contesto oggettivo migliore rispetto al passato. Juri è convinto che dei quattro Paesi confinanti è la Slovenia ad avere
i migliori rapporti con l’Italia, mentre la collaborazione non
ha portato a quei risultati che la popolazione residente sul
territorio di confine si aspettava. Juri ha detto che ci troviamo in una fase buia anche perché nella nostra realtà
territoriale continua a gravare il peso del passato. E cosa
fare perché le cose cambino in meglio?
Maran è convinto che la politica del dialogo è un mezzo
utile ma insufficiente se non è seguita da progetti concreti. A questo proposito ha citato l’esempio della linea ferroviaria nell’ambito del cosiddetto Corridoio europeo n° 5, che
sta diventando sempre più un’utopia. Costretta dalle circostanze l’Italia sta rafforzando il corridoio VeronaBrennero; in Val di Susa in Piemonte, sul confine con la
Francia, hanno finora costruito solo due chilometri di linea
ferroviaria ad alta velocità e i lavori vanno avanti sotto il
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 7
controllo della polizia.
Ancora più realistica la posizione di Antonione, che ha definito formali e cordiali i rapporti tra il Friuli-Venezia Giulia
e la Slovenia, dettati anche dalla volontà di dialogo dei due
governi. Antonione è convinto che Trieste non abbia più
alcun potere condizionante nella politica estera italiana e
reputa questo un bene.
È molto buona, invece, la collaborazione tra Italia e Slovenia
nella politica verso i Paesi dell’ex Jugoslavia, che ora, insieme all’Albania, costituiscono il cosiddetto territorio dei
Balcani occidentali. A questo proposito Lubiana e Roma
sono già diventate una sorta di partner strategici, come
dimostra, per esempio, l’impegno comune dei ministri degli
Esteri italiano, Franco Frattini, e sloveno, Samuel ˘bogar,
rivolto all’abrogazione del visto per i cittadini della Bosnia
Erzegovina. Quest’ultima non è l’unica ad essere in gioco,
dal momento che gli interessi comuni di Italia e Slovenia
riguardano anche il Montenegro, la Serbia e la Macedonia.
Ci sono, quindi, molti sviluppi in corso, ma non nell’immediato futuro.
Maran e Antonione non sono proprio ottimisti, dubitano infatti che il nostro territorio possa risvegliarsi immediatamente dal torpore, mentre Juri vede la possibilità di passi concreti nella zona dell’Alto Adriatico. Nel golfo di Trieste se
da una parte si stanno accumulando difficoltà e timori (Juri
li considera legittimi, ma superflui), dall’altra non mancano le opportunità di sviluppo, che però richiedono tempi lunghi. Maran ha ribattuto dicendo che il tempo non è nostro
alleato. Sarebbe necessaria una grande svolta che attualmente la regione Fvg non è in grado di fare ed anche il
Litorale sloveno non mostra molto interesse in questa direzione.
Semoli@ ha richiamato l’attenzione anche sulla comunità
slovena in Italia e italiana in Slovenia. A questo proposito
Juri ha espresso la sua soddisfazione sul fatto che non si
parli più retoricamente di minoranze come ponti tra gli Stati.
Oggi entrambe le minoranze, tra le quali c’è una buona collaborazione, si stanno confrontando con nuove difficoltà e
sfide, legate anche al crescente numero di famiglie miste
in entrambe le comunità. (…)
Antonione ha detto che Roma e Lubiana dovrebbero cercare nuovi e duraturi meccanismi di finanziamento per
antrambe le minoranze.
S. T.
(Primorski dnevnik, 16. 5. 2010)
chezza e valore dell’area transfrontaliera italo – slovena»
è stato ritenuto in linea con i criteri richiesti dall’Unione europea e quindi approvato dalla Regione autonoma FriuliVenezia Giulia e inserito tra i progetti finanziati. A questo
proposito lo Sso ha sottolineato il ruolo positivo di tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione del progetto.
Di seguito il presidente dello Sso, Drago Œtoka, ha informato il direttivo sull’incontro avuto di recente, insieme al
presidente dell’Unione culturale economica slovena-Skgz,
Rudi Pavœi@, con l’assessore regionale alla cultura,
Roberto Molinaro, nel corso del quale Œtoka ha sottolineato
la necessità di nominare al più presto il Consiglio di amministrazione del Teatro stabile sloveno-Ssg, affinché, quando scadrà il mandato dei due commissari, questo possa
adottare le riforme amministrative attraverso le quali assicurare, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, l’attività di questa istituzione primaria slovena.
Lo Sso si è poi soffermato sulla situazione di tre sue organizzazioni affiliate: la Cooperativa Goriœka Mohorjeva, il
Centro sloveno di educazione musicale Emil Komel e la
Casa editrice Mladika. Si tratta di tre istituzioni che vantano un’attività decennale e che svolgono una funzione importante nell’ambito della comunità nazionale slovena. A questo proposito è stato sottolineato che dev’essere garantita la continuità della loro attività.
Per quanto riguarda i rapporti con l’Unione culturale economica slovena-Skgz è stata sottolineata la necessità di
affermare lo spirito di collaborazione improntata al perseguimento di traguardi comuni ed al rispetto reciproco in un
periodo incerto come quello che stiamo attraversando,
soprattutto per sul piano finanziario.
Di seguito il presidente dello Sso per la provincia di Udine,
Giorgio Banchig, ha parlato dell’intervento tenuto lo scorso 25 aprile a Drenchia, dall’ex vescovo di Udine, Battisti,
in occasione della benedizione del monumento in onore di
cinque sacerdoti, che nello scorso secolo hanno servito nel
comune della Slavia friulana. A questo proposito è stato
sottolineato come sia stato particolarmente commovente
il passo in cui mons. Battisti ha riconosciuto i torti subiti,
nel periodo fascista, dalla locale popolazione slovena.
In chiusura il direttivo ha approvato la proposta, espressa
dal presidente Œtoka, di istituire una commissione per i
media ed una per le direttrici programmatiche, delle quali
saranno chiamati a far parte sia i membri dello Sso che
esperti esterni.
(Novi glas, 13. 5. 2010)
MINORANZA
Lo Sso su Teatro Stabile sloveno
e situazione finanziaria
Nel corso della sua ultima riunione, presso la sede di
Cividale del Friuli, il direttivo della Confederazione delle
organizzazioni slovene-Sso ha accolto con favore la notizia della nomina del nuovo vicario episcopale per i fedeli
sloveni della diocesi di Trieste, don Anton Beden@i@, chiamato dall’arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi a ricoprire
una funzione che finora è stata assolta da mons. Franc
Von@ina. A questo proposito, oltre ad augurare buon lavoro a don Beden@i@, lo Sso ha ringraziato mons. Von@ina
per il suo operato quasi ventennale.
Lo Sso ha accolto con favore anche il fatto che il progetto, denominato «Lingua-Jezik. Plurilinguismo quale ricSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 8
TRIESTE-TRST
Con noi da 65 anni
Il 13 maggio di 65 anni fa usciva il primo numero del
Primorski dnevnik, quotidiano sloveno di Trieste, erede
del celebre Partizanski dnevnik
In questi giorni ricorre il 65° anniversario dalla liberazione
di Trieste. Ed è nella Trieste liberata che il 13 maggio di
65 anni fa usciva il primo numero del Primorski dnevnik, il
quotidiano sloveno nato su iniziativa di un gruppo di partigiani.
Agli inizi del secolo scorso era stato il giornale Edinost a
dare voce alla comunità slovena di Trieste finché non fu
costretto a chiudere dal regime fascista.
La pubblicazione di un giornale sloveno in quei giorni di
maggio del dopoguerra era un evidente segnale della
volontà di rinascere, di esistere e di affermare nuovamente
la lingua slovena fino ad allora soppressa. Allora ancora
nessuno poteva immaginare che, come decise la storia poi,
una gran parte degli sloveni sarebbe rimasta entro i confini dello Stato italiano. Dopodiché il compito del Primorski
dnevnik divenne ancora più importante, dal momento che,
oltre a svolgere una funzione di informazione, divenne
anche uno strumento di mobilitazione e di collegamento
della nostra gente nel Triestino e nel Goriziano e in seguito anche nella provincia di Udine.
Fino al 7 maggio 1945 nella Trieste liberata uscì ancora
qualche numero del celebre Partizanski dnevnik, diventato poi Primorski dnevnik. I macchinari di stampa e la rotativa erano bottino di guerra ed erano della redazione del
giornale italiano fascista, che per decenni riversò sugli sloveni disprezzo e odio. Come potete immaginare, nei giorni successivi alla liberazione l’euforia era alle stelle, dal
momento che a Trieste dopo un lungo silenzio la parola
slovena stampata veniva restituita ai lettori. Quanto la decisione di stampare il Primorski dnevnik sia stata lungimirante,
lo testimonia il fatto che ancora oggi è qui, diverso per contenuti e forma, moderno, al passo con i tempi e con lo sviluppo tecnologico, ma orgoglioso e legato alle sue origini,
alla sua ricca storia e tradizione. Un giornale dalle nobili
ascendenze, come l’ha definito con malcelato rispetto un
certo funzionario di Stato a Roma, che evidentemente non
è molto informato sugli sloveni, mentre lo è sui giornali che
vengono pubblicati in Italia.
Dopo tanti anni sono rimasti pochi i testimoni diretti delle
circostanze in cui iniziò ad essere pubblicato il Primorski
dnevnik. Il tempo passa in fretta e le generazioni si avvicendano. Nei decenni passati centinaia di persone hanno
lavorato nella nostra redazione e, in un modo o nell’altro,
hanno dato il loro contributo affinché noi sloveni in Italia
potessimo riuscire in questa impresa. Il fatto che la minoranza abbia un suo giornale, rappresenta, infatti, un’impresa, espressione di una ferma volontà e delle competenze di molte persone capaci.
E proprio sul piano umano il nostro giornale vanta un passato eccezionale, che è bene tenere presente. In tutti questi anni un esercito di professionisti, fatto di amministratori, giornalisti, fotoreporter, addetti alla stampa, un tempo
compositori manuali e linotipisti, correttori di bozze, personale amministrativo e commerciale, personale ausiliario,
collaboratori, autisti e giornalai (alcuni dei profili menzionati sono nel frattempo scomparsi a causa dello sviluppo
tecnologico) ha dovuto lavorare come una macchina ben
funzionante affinché i nostri abbonati potessero ricevere il
giornale ogni giorno, già di primo mattino. In occasione del
nostro 65° anniversario rivolgiamo un ricordo e un sentito
grazie a quanti hanno finora collaborato alla riuscita del giornale, molti dei quali oggi purtroppo non ci sono più.
In base a quanto detto possiamo concludere affermando
che il Primorski dnevnik poggia su solide basi storiche, è
radicato nel tempo e nel luogo ed è questa una delle ragioni del suo successo. È riuscito, infatti, ad adattarsi ai cambiamenti ed a superare numerose crisi che hanno rischiato di metterlo in ginocchio. Attualmente, a causa della situazione economica, il personale addetto al giornale è sostanzialmente inferiore a quello di un tempo ed ha ovviamente subito dei cambi generazionali. Fino ad ora grazie ad
un’accorta amministrazione è stato possibile adattare alle
necessità dei tempi sia l’organizzazione del personale che
la tecnologia adottata al fine di ottenere un prodotto finito
moderno, consono alle aspettative dei lettori. E i risultati
non si sono fatti attendere. Con il passare degli anni il numero dei lettori e degli abbonati al giornale non ha subito flessioni, al contrario, nella comunità slovena il nostro giornale gode di una netta preferenza, anche se oggi la versione in internet sta riscontrando un crescente interesse. Tutti
questi sono segnali incoraggianti, in base ai quali possiamo affermare che, oltre ad un celebre passato, il Primorski
dnevnik potrà avere anche un promettente futuro.
Duœan Udovi@
(Primorski dnevnik, 13.5.2010)
OPICINA-OP#INE
Bilancio positivo, ma futuro incerto
Assemblea generale del Primorski dnevnik
Si è svolta recentemente presso il centro culturale
(Prosvetni dom) di Opicina-Op@ina l’assemblea, generale
della Cooperativa del Primorski dnevnik (quotidiano sloveno
di Trieste, ndt.), nel corso della quale è stato nominato il
nuovo direttivo, con quattro nuovi membri, composto da
Giorgio Kufersin, Toma¡ Ban, Alessandro Corradetti, Marino
Marsi@, Jole Namor, Matja¡ Rustja, Livio Valen@i@, Andrej
Vogri@, Alessandro Waltritsch.
La relazione del Consiglio di amministrazione è stata letta
dal presidente uscente Ace Mermolja, che, per decorrenza dei termini, si è anche congedato dalla carica, che ha
ricoperto per nove anni e cioè per tre mandati.
«Al mio successore – ha esordito Mermolja – auguro tanta
fortuna, ne avrà bisogno. Nell’ultimo triennio – ha proseguito – il Consiglio di amministrazione ha svolto il suo compito, garantendo l’uscita regolare del giornale. Il personale dipendente è stato regolarmente pagato ed è stato garantito il lavoro a tutti sebbene in condizioni non facili. Da proprietari abbiamo seguito attentamente il lavoro e della
società di controllo Dzp/Prae e del Primorski dnevnik».
Mermolja ha ringraziato tutti gli addetti ai lavori per il loro
operato e ai giovani colleghi giornalisti, che iniziano la loro
professione in questo periodo di incertezza finanziaria, ha
detto che il rischio farà parte del loro mestiere. (…) Di seguito il vicepresidente della Cooperativa, Livio Valen@i@, ha illustrato il bilancio relativo al 2009, che si chiude in positivo,
mentre la relazione dei revisori dei conti è stata presentata dal presidente del relativo Consiglio, Vojko Lovriha. Il
bilancio del 2009 è stato approvato con la maggioranza dei
voti.
Nella discussione sono intervenuti, tra gli altri, il direttore
responsabile del Primorski dnevnik, Duœan Udovi@, la senatrice Tamara Bla¡ina, i presidenti dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Rudi Pavœi@, e della Confederazione
delle organizzazioni slovene-Sso, Drago Œtoka.
Udovi@ si è soffermato sulle attuali difficoltà del quotidiano che, a causa della crisi finanziaria, dovrà operare dei
tagli nel personale e ridurre il numero delle pagine. Udovi@
ha sottolineato la sua preoccupazione sul futuro del
Primorski devnik, per il quale, com’è già accaduto in passato, si potrebbe chiedere aiuto al settore economico della
minoranza slovena.
La senatrice Bla¡ina ha detto che questo periodo di crisi
finanziaria può anche offrire nuove opportunità di sviluppo e di apertura del Primorski dnevnik ad altre reti di comunicazione. Per quanto riguarda la legge sull’editoria, in base
alla quale attinge fondi anche il Primorski dnevnik, la Bla¡ina
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 9
ha sottolineato la necessità di fare pulizia, dal momento che
sono troppi i fruitori ingiustificati della legge. Non è questo
il caso del Primorski dnevnik, ha concluso, che senza questi fondi sarebbe destinato a chiudere.
Pavœi@ ha detto che il Primorski dovrebbe offrire maggiore sostegno alla minoranza al fine di affermarne i diritti e
le norme contemplate dalla legge di tutela. Ha poi aggiunto che lo sguardo al futuro comporta un adeguamento a
tempi nuovi sia per la minoranza slovena che per il Primorski
dnevnik.
Œtoka ha sottolineato il ruolo fondamentale, svolto dalle
scuole e dal Primorski dnevnik, nella tutela della lingua slovena nell’ambito della minoranza. Per quanto riguarda, invece, i problemi finanziari, Œtoka ha detto che sarebbe bene
che il Primorski dnevnik si appoggiasse anche ad altri giornali minoritari, come il sudtirolese Dolomiten.
(Primorski dnevnik, 18. 5. 2010)
IL COMMENTO
L’augurio di Ace non è casuale
Possiamo tranquillamente concordare con l’affermazione
di Ace Mermolja, presidente uscente della cooperativa che
amministra il Primorski dnevnik, il quale, nel corso della
recente assemblea generale, ha augurato tanta fortuna al
suo successore. E, infatti, ne avrà bisogno.
Si tratta di un augurio non casuale ed espresso con cognizione di causa. Da quando esiste la Cooperativa, il
Primorski dnevnik è riuscito a sopravvivere ed a conseguire
un discreto successo. Questo grazie ad un’amministrazione
oculata e ad una serie di circostanze relativamente fortunate. A partire dal fatto che finora il meccanismo dei contributi che il giornale riceve in base alla legge italiana sull’editoria, nonostante le frequenti minacce, non ha subito
arresti.
La storia la conosciamo. Ci sono stati ritardi e tagli e da
vent’anni i contributi sono rimasti invariati, il che vuol dire
che ogni anno ce ne sono di meno. Ciononostante finora
siamo riusciti a sopravvivere anche se non senza vittime
e a costo di grandi sacrifici legati alla redazione quotidiana del giornale. Il prossimo futuro è molto preoccupante,
dal momento che, volendo essere realisti, le testate giornalistiche riusciranno difficilmente a sottrarsi alle drastiche
manovre finanziarie preannunciate.
Per questo motivo la nostra comunità deve necessariamente chiedersi se e in che modo in futuro potrà sostenere il suo giornale che, comunque, rappresenta un mezzo
di informazione quotidiana indispensabile per la nostra
comunità. Adesso è il momento per una seria riflessione
in merito e non quando saremo sommersi dalle difficoltà.
Duœan Udovi@
(Primorski dnevnik, 18. 5. 2010)
UDINE-VIDAN
Collaborazione tra Friuli e Slovenia
in Alpe Adria
Incontro del presidente della provincia con la Console
generale slovena a Trieste, Vlasta Valeni@i@ Pelikan
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 10
Favorire la collaborazione tra il Friuli e la Slovenia. Questo
il leit motiv dell’incontro tra il presidente della Provincia on.
Pietro Fontanini e la console generale della Repubblica di
Slovenia a Trieste, Vasta Valen@i@ Pelikan, che era accompagnata dalla console Bojana Cipot. «Grazie a progetti condivisi – ha sottolineato Fontanini – si possono raggiungere obiettivi ambiziosi. Fondamentale in questo momento
puntare all’Alpe Adria: attraverso la macroarea che comprende, oltre ai nostri territori, anche il nordovest della
Penisola e una parte della Germania, si potranno pensare politiche di sviluppo comuni in grado di rilanciare le diverse Regioni coinvolte. E per fare questo tutti dovranno fare
la propria parte. Il Friuli, come la Slovenia – ha aggiunto
Fontanini –, da anni ha avviato un dialogo proficuo per la
promozione dei rispettivi prodotti e territori. Ben venga dunque la condivisione degli obiettivi per aiutare le nostre imprese e, più in generale, tutto il nostro tessuto economico ad
aprirsi per cogliere nuove opportunità».
Nel corso dell’incontro Fontanini e Valen@i@ hanno anche
affrontato questioni che toccano da vicino le rispettive comunità: Valen@i@, in particolare, ha chiesto un impegno alla
Provincia per la questione relativa alla scuola bilingue di
San Pietro al Natisone evidenziando che c’è la necessità
di trovare in tempi rapidi una soluzione adeguata per la
sistemazione degli allievi. Superata l’emergenza, con lo
sgombero dell’edificio che accoglieva l’istituto, bisogna trovare una soluzione per il medio periodo, visto che, quella
attuale, è temporanea, ovvero fino alla fine dell’anno scolastico in corso.
«Pur non avendo competenza diretta per quell’ordine e
grado di istituti – ha rilevato Fontanini – la Provincia sta
collaborando attivamente valutando tutte le opportunità per
dare una giusta sistemazione ai ragazzi».
(Dom, 30.4.2010)
RESIA-REZIJA
Che guaio confondere genetica e linguistica
Lo scienziato americano Neil Campbell, una delle massime autorità nel campo della biologia, ha suddiviso il genere umano in cinque razze: africani, amerindiani, asiatici,
australiani, caucasoidi e oceaniani. Il gruppo caucasoide
costituisce la cosiddetta razza bianca e comprende tutte
le popolazioni dell'Europa (oltre che quelle dell'Asia nordoccidentale, gli arabi del Medio Oriente, gli africani che
vivono a nord del Sahara, i popoli dell’India). Tutte, tranne i resiani, come apprendiamo dal sindaco di Resia, Sergio
Chinese.
«Siamo una razza unica», ha infatti esultato l’ineffabile primo
cittadino una volta venuto a conoscenza che i resiani condividono in media il 79 per cento del genoma secondo quanto emerso dai primi risultati del progetto «Parco genetico
del Friuli Venezia Giulia», finanziato dalla Regione, che nell'arco degli ultimi due anni ha coinvolto le popolazioni di
Illegio, Sauris, Clauzetto, San Martino del Carso, Resia, Erto
e Casso. Non importa che gli studiosi abbiano sottolineato che questo è possibile in virtù di un isolamento derivato dall’essere una vallata chiusa.
Non importa che lo stesso si verifichi a Sauris e Illegio.
Non importa che il progetto abbia lo scopo di fare la storia clinica delle sei comunità per «conoscere meglio – come
hanno sottolineato i ricercatori – le patologie per le quali
c'è una maggiore predisposizione genetica e quelle per cui
è stata sviluppata una protezione»; lo studio ha infatti «permesso di identificare tutta una serie di geni coinvolti nella
predisposizione o protezione rispetto a malattie importanti, come Alzheimer, Parkinson, e farci meglio comprendere anche stili di vita o preferenze alimentari».
Secondo Chinese i risultati dello studio genetico darebbero
«dimostrazione scientifica di ciò che abbiamo sempre sostenuto», cioè che i resiani non sono sloveni.
Fermo restando che il patrimonio genetico al 90 per cento
è comune a tutti gli esseri umani e che l’85 per cento di
tutta la diversità genetica umana si concentra negli individui che appartengono allo stesso gruppo (chissà se Chinese
questo lo sa), il sindaco con le sue sparate (riprese acriticamente da organi di informazioni e importanti esponenti
politici) alimenta una distorsione di tipo ideologico, confondendo volutamente il piano biologico con quello socio-culturale, nella fattispecie etnico e linguistico.
Ma come si fa a pensare che un’identità, che si esprime
in una determinata parlata, in una cultura, in un insieme
di tradizioni, sia data da un patrimonio genetico?
Naturalmente nella trappola di queste strampalate suggestioni cascano le persone più sprovvedute, quelle che non
dispongono dei mezzi culturali per valutarle.
«Bisogna fare molta attenzione quando si manipolano i geni.
Questo vale sempre, che siano quelli del granoturco, delle
pecore o delle persone. In questo ultimo caso ci vuole ancora maggiore prudenza», suggerisce Marco Stolfo, friulano,
esperto di politica linguistica, dalle colonne del quotidiano
«E polis Friuli». Il progetto di Parco genetico, prosegue
Stolfo, è passato «solo come studio curioso sui gusti alimentari e soprattutto sulle ipotetiche radici di quelle comunità, mischiando identità e biologia, cultura e genetica, proprio come, secondo Luca Sforza, il più famoso genetista
italiano, non si dovrebbe mai fare. Ci è cascato anche qualche politico, con dichiarazioni su scienza, razze e rivendicazioni che sembrano arrivare a 70 anni fa».
Alla disinformazione, alle manipolazioni e all’incultura al giorno d’oggi, purtroppo, è difficile far fronte. L’antropologo, psicologo e filosofo francese Claude Lévi-Strauss affermava
che «è ben probabile che le differenze razziali continueranno a servire da pretesto alla crescente difficoltà di vivere insieme». Ma a Sergio Chinese e ai suoi accoliti questo sembra importare poco e niente.
M. K.
(Dom, 31.5.2010)
I COMMENTI
Da dove proviene l’«homo Resianus»?
«Già da anni stiamo affermando che siamo una razza particolare, ora ne abbiamo le prove». Non è un passo dal libro
Mein Kampf, ma l’affermazione del sindaco di Resia, Sergio
Chinese, che ha commentato con tono euforico i risultati
della ricerca sulle caratteristiche genetiche degli abitanti di
Resia-Rezija. È quest’affermazione l’unica nota negativa
della presentazione dei primi risultati del progetto Parco
genetico del Friuli-Venezia Giulia, finanziato dalla regione
Fvg. Già da due anni nelle sei comunità coinvolte gli esperti stanno portando avanti un’ambiziosa ricerca genetica, che
sarà utile soprattutto per l’analisi e la prevenzione delle
malattie. I ricercatori hanno elaborato anche delle mappe
genetiche attraverso le quali mettere a confronto le singole
comunità. Il caso più clamoroso è rappresentato da Resia,
sotto il profilo genetico molto differente dalle altre comunità, forse anche da alcune situate al di là del confine. Una
peculiarità quella di Resia dovuta al suo secolare isolamento
ed alla quasi assenza di rapporti con la periferia. Questo
ha portato ad una particolarità genetica, mentre resta conosciuta l’origine del primo abitante che vi si insediò.
Il sindaco di Resia ha colto la palla al balzo ed ha chiesto
l’esclusione di Resia dalla legge di tutela per gli sloveni e
la stesura di una legge esclusivamente per il territorio resiano. Il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo,
l’ha praticamente appoggiato affermando che i resiani sono
«solo Resiani».
I dati, che non dimostrano nient’altro se non il secolare isolamento degli abitanti di Resia, vengono interpretati da alcuni in modo del tutto personale. Dopo le teorie di chi afferma (nonostante le valutazioni dei linguisti dicano il contrario)
che il resiano è una lingua del tutto diversa dallo sloveno,
ora sentiremo parlare della teoria sulla «razza resiana». In
tempo immemorabile il presunto «homo Resianus» si sarebbe trasferito da una regione sconosciuta nella valle a ovest
del monte Canin e non avrebbe avuto niente in comune
con i vicini sloveni.
Aljoœa Fonda
(Primorski dnevnik, 12. 5. 2010)
Resia, doveva essere uno screening medico
Il Progetto del Parco genetico è diventato
una miscela esplosiva
L’idea base era quella di creare una banca dati, che, partendo dall'analisi della componente genetica di sei piccole comunità a lungo isolate nel contesto territoriale della
regione, consentisse lo studio di importanti malattie, usufruendo delle più attuali conoscenze scientifiche, per comprendere se e quanto esse siano determinate da fattori
genetici o ambientali. Così è nato il progetto regionale
«Parco genetico del Friuli Venezia Giulia» che ha messo
sotto la lente le popolazioni di Illegio, Sauris, Clauzetto, San
Martino del Carso, Resia, Erto e Casso tracciandone la storia clinica e ricavandone la mappa genetica. A tal fine si è
messo in rete il meglio della ricerca scientifica, quali l’Area
Science Park, l’Irccs Burlo Garofolo, il Cnr, il Centro studi
fegato, le Università di Trieste e Udine coinvolgendo genetisti, cardiologi, psichiatri, neurologi, nutrizionisti, odontoiatri.
La banca di dati clinici, storici, ambientali e geografici può
contribuire a migliorare la conoscenza delle cause di particolari malattie multifattoriali o complesse che dipendono
sia da fattori genetici che da fattori ambientali. Con uno
screening della popolazione si identificano i fattori genetici che possono essere implicati nella formazione delle
malattie più comuni, come ad esempio sordità, diabete,
osteoporosi, ipertensione ed esaminando le condizioni e
gli stili di vita, le abitudini alimentari delle singole comunità
si ottengono strumenti ancor più precisi per chiarire l’implicazione dei fattori ambientali nella patogenesi delle stesse.
Vi sono particolari ragioni medico scientifiche nella scelta
delle popolazioni da prendere in esame e tra queste è stata
evidenziata in particolare «la localizzazione geografica isolata» cui si aggiungono barriere di tipo linguistico, pochi fondatori da cui è sorta la comunità, quindi pochi cognomi collegati all’elevato tasso di endogamia e scarsa immigrazione.
Bastano queste poche affermazioni per definire Resia e la
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 11
sua comunità. In fondo i risultati della ricerca non stupiscono
neppure tanto: sono solo una conferma di quanto si è detto
e scritto di questa comunità, da quando studiosi di ben altre
discipline ( ad es. Baudouin de Courtenay) si accorsero
delle particolarità etnolinguistiche, e non solo, della popolazione di questa valle. Indagini antropologico fisiche
(Corrain e Capitanio, 1987) hanno consentito, attraverso
l'esame della distribuzione di diversi fenotipi ematologici,
di accertarne le caratteristiche genetiche evidenziando
appunto un'inattesa omogeneità interna costituente un isolato genetico quasi da manuale, sebbene vi rimanga confermata una divisione interna in 4 gruppi di località su basi
storiche e demografiche. Ancora oggi «si fanno sentire gli
effetti delle poche famiglie iniziali fondatrici...», forse una
ventina. L'isolamento successivo ha mantenuto nei secoli il patrimonio genetico dei fondatori; una situazione ormai
rarissima in Europa.
L’analisi genetica dei resiani, come risulta dalla relazione
del “Parco” regionale ha verificato questa “unicità” ed ha
calcolato che essi «condividono in media il 79% del genoma». Che cosa vuol dire? Qui si entra nella complessità
dell’organismo umano, vale a dire nel corredo di cromosomi contenuti in ogni sua cellula. In parole povere «il genoma umano può essere considerato come un libretto di istruzioni contenente l'informazione necessaria perché sia costituito l'intero organismo», libretto fatto di 5000 volumi ognuno con 300 pagine, il tutto contenuto nella dimensione di
una capocchia di spillo. Il fatto che ciascun resiano sottoposto al test genetico condivida coi valligiani poco meno
di 4000 volumi differenziandosi per il restante migliaio, ha
dato al primo cittadino del comune e a molti altri un senso
di “esaltazione” di difficile comprensione e, cosa ancor più
fuorviante, l’estro per leggere il dato genetico, indubbiamente rilevante, in chiave etnopolitica, come se questa
fosse la prova del nove della propria origine, per così dire,
marziana o di un altro qualsiasi pianeta. Parlare di altra
razza, di unicità nel genere umano, ed usare il dato in chiave antislovena per me vuol dire confondere il tutto in un
calderone di stampo naif, nel senso originale del termine,
di «artisti che non hanno frequentato accademie e scuole
di sorta».
È Sergio Chinese a parlare di «dimostrazione scientifica
di ciò che abbiamo sempre sostenuto», ovvero che «siamo
una razza unica», e a rivendicare per questa ragione una
tutela specifica delle peculiarità linguistiche e storiche. Che
sia lo stesso governatore Tondo a condividere questa traslazione di significati non rende la cosa maggiormente
sostenibile, anzi. Perché mischiando genetica, linguistica
e politica si produce una miscela esplosiva che danneggia l’immagine di chi l’ha fatta. Le caratteristiche culturali
e linguistiche, in quanto tali, hanno ben poco a vedere con
i genomi fino a che gli scienziati non trovino nel 5000 volumi di cui sopra le quattro righe che determinerebbero la
condizione linguistica come quella del colore dei capelli.
È chiaro, come lo è sempre stato, che il relativo isolamento
durato per secoli abbia creato condizioni particolari e nessuno ha mai messo in dubbio la particolarità linguistico culturale di questa comunità.
Che questa possa essere difesa in chiave culturale rifiutando l’evidente appartenenza del resiano al ceppo sloveno
si fa un un torto ai resiani, perché la particolarità basata
su falsi storici e culturali potrebbe portare alla devianza.
Infatti, a leggere i blog dei siti su Resia si prova un certo
sentore di “alienazione”.
Riccardo Ruttar
(Dom, 31.5.2010)
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 12
SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA
Accademici sloveni in visita nella Slavia
La presidenza della Sazu a San Pietro al Natisone,
nella Val Torre e a Resia
Venerdì 21 maggio hanno fatto visita a Resia, ospiti del
Centro culturale Ta rozajanska kulturska hiœa, alcuni membri dell’Accademia slovena delle scienze e delle arti (Sazu).
Della delegazione facevano parte il presidente, Jo¡e
Trontelj, i vice presidenti, Marko Muœi@ e Matija Gogala, gli
accademici Branko Stanovnik e Ciril Zlobec.
L’accademia slovena delle scienze e delle arti, fondata nel
1938, è la più alta istituzione nazionale scientifica ed artistica della Repubblica di Slovenia. Essa riunisce accademici e studiosi che si sono distinti in vari rami del sapere
e delle espressioni artistiche che sono stati eletti per altissimi meriti, per il loro impegno e le loro pubblicazioni.
Questo prestigioso istituto, oltre ad affrontare le questioni
fondamentali della scienza e dell'arte, partecipa alla ricerca scientifica, organizza il lavoro di ricerca con università
e altri enti e sviluppa la cooperazione internazionale. Questa
istituzione ha lavorato molto su Resia soprattutto nell’ambito della ricerca etnografica; tra gli studiosi, che ne fanno
parte, vi è il prof. Milko Mati@etov, cittadino onorario del
Comune di Resia conosciuto e stimato da molti resiani per
i suoi studi e le sue pubblicazioni sul dialetto e la cultura
resiana.
Tra gli accademici presenti all’incontro vi era anche il noto
poeta, romanziere, saggista, antropologo, traduttore Ciril
Zlobec. Nato nel 1925 a Ponikve sul Carso, frequentò la
scuola elementare italiana e le prime classi ginnasiali nel
seminario minore di Gorizia prima e Capodistria poi. Nel
1941 venne espulso dal seminario perché scriveva poesie in sloveno. Dopo essere stato confinato in Abruzzo, nel
settembre del 1943 rientrò in patria e prese parte alla resistenza slovena. Dopo la liberazione continuò gli studi a
Lubiana e si laureò in lingua e letteratura slovena e russa.
Due volte deputato al Parlamento della Repubblica di
Slovenia, Zlobec è membro di quattro Accademie delle
Scienze e delle Arti: quella slovena, della quale è stato per
due volte vicepresidente ed ora è membro della presidenza,
quella croata, quella europea (Salisburgo) e quella mediterranea (Napoli). Zlobec ha pubblicato fino ad oggi, tra poesia, narrativa, saggistica, traduzioni ed antologie oltre 100
titoli. Ha dedicato una parte notevole della sua attività letteraria alle traduzioni, soprattutto di autori italiani, tra i quali
Giacomo Leopardi, Dante Alighieri, Salvatore Quasimodo
e Giosuè Carducci.
Gli ospiti hanno espresso interesse ed apprezzamento per
l’attività proposta dalle associazioni culturali presenti a
Resia. Ancora una volta un segnale di attenzione per la
piccola Valle da parte di persone di grande cultura.
Prima della visita a Resia gli accademici sloveni si sono
incontrati a San Pietro al Natisone con i rappresentanti delle
organizzazioni slovene della provincia di Udine. La presidente dell’Istututo per la cultura slovena, Bruna Dorbolò,
la direttrice della scuola bilingue, ˘iva Gruden, la vice presidente della Skgz provinciale, Iole Namor, e il presidente dello Sso provinciale Giorgio Banchig, hanno illustrato
agli accademici sloveni le attività delle associazioni che operano sul territorio per il consolidamento e lo sviluppo della
cultura slovena. Gli ospiti hanno dimostrato particolare
attenzione al ruolo e all’attività della scuola bilingue, auspicando una pronta e soddisfacente soluzione dei problemi
creatisi in seguito allo sgombero delle vecchia sede, e al
progetto strategico Jezik / Lingua, che darà ulteriore impulso alla diffusione e alla conoscenza delle lingue minoritarie, slovena in Italia e italiana in Slovenia.
Nel loro itinerario tra le comunità slovene della provincia
di Udine gli accademici sloveni hanno visitato anche la Val
Torre accompagnati dal Viljem #erno.
Sandro Quaglia
(Dom, 31.5.2010)
TRIESTE-TRST
Progetto Jezik/Lingua
per valorizzare le minoranze
Presentato il programma europeo che verrà realizzato
anche nella Slavia friulana
«È questo, un progetto importante ed innovativo. Innovativo
perché impostato su elementi nuovi di collaborazione, di
coesione, di intesa tra due comunità minoritarie che ha
anche un’importante valenza economica. Va ribadito in questo contesto – ha aggiunto – che queste comunità sono
tutelate da trattati internazionali e che come tali cercano
una propria strada proprio su questo più ampio ambito europeo, secondo lo spirito e le finalità che l’Unione Europea
si era proposta quando elaborava i progetti Interreg». In
queste parole è condensato l’intervento che il presidente
della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso,
Drago Œtoka, ha fatto alla presentazione del progetto Jezik
– Lingua, avvenuta lo scorso 24 maggio nella prestigiosa
sede della regione a Trieste. A Œtoka ha fatto eco il presidente dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Rudi
Pavœi@: «Questo è un bel giorno, e non solo dal punto di
vista meteorologico. Ci troviamo nella principale istituzione del Friuli Venezia Giulia e qui sono riuniti i rappresentanti delle minoranze slovena in Italia e italiana in Slovenia
e quelli dei due rispettivi Stati d’appartenenza, per presentare un progetto di particolare rilevanza non solo per
le due comunità minoritarie. Qui si manifesta un nuovo
modo di intendere i rapporti transfrontalieri nella costruzione
della nuova Europa».
Le parole dei presidenti Pavœi@ e Œtoka fanno parte degli
interventi delle numerose personalità che hanno presentato alla stampa il corposo progetto, finanziato nel’ambito
del Programma per la cooperazione transfrontaliera Italia
- Slovenia 2007-2013 che va sotto il nome «Jezik / Lingua
- Plurilinguismo quale ricchezza e valore dell’area transfrontaliera italo-slovena». Come è noto, il programma di
cooperazione prevede la disponibilità di risorse pubbliche
complessive pari a 136 milioni 714 mila euro, di cui 116
milioni 206 mila, pari all'85 per cento di provenienza comunitaria Fesr e 20 milioni 507 mila di risorse nazionali italiane e slovene. Esso interessa un'area di oltre 30 mila km2
ed una popolazione di circa 5,5 milioni di abitanti. L'area
comprende, infatti, sul versante sloveno, le regioni della
Gorenjska, Goriœka, Obalno-kraœka e, in deroga territoriale, l’Osrednjeslovenska e Notranjsko-kraœka; sul versante
italiano, le province di Udine, Gorizia, Trieste, Venezia,
Padova, Rovigo, Ferrara e Ravenna e, in deroga,
Pordenone e Treviso.
In questo quadro si inserisce l’iniziativa promossa dalle istituzioni e associazioni slovene in Italia e italiane in
Slovenia, con lo studio, l’elaborazione e la perfetta gestione formale del progetto Jezik / Lingua. La competenza, la
serietà, la fattibilità e l’importanza, non solo sul piano locale ma su quello comunitario, sono state premiate, tanto che
il progetto è stato considerato il migliore del settore con un
punteggio valutativo di 85 punti su 100. Promosso a pieni
voti, quindi, in quanto rispondeva, in tutte le sue parti, agli
obiettivi strategici – si tratta infatti di obiettivo strategico –
che l’UE poneva come condizione sine qua non.
Era lunedì 24 maggio (data solo occasionalmente simbolica, se si va col pensiero allo stesso giorno del 1915 quando il Regno d’Italia entrava in guerra contro gli Imperi centrali per barattare, al prezzo di 700 mila morti, Trento e
Trieste), quando il progetto Jezik / Lingua è stato illustrato ai mezzi di comunicazione, nelle sue finalità, nei termini, nelle principali caratteristiche in programma e nelle forze
messe in campo.
Al tavolo dei relatori faceva gli onori di casa l’assessore
regionale alle Relazioni internazionali, Federica Seganti,
che si è detta soddisfatta ed orgogliosa d’aver contribuito
al buon fine di un progetto cosi «interessante ed innovativo», poi il presidente della giunta esecutiva dell'Unione
Italiana in Slovenia, Maurizio Tremul, i presidenti di Sso ed
Skgz già citati. Per la diplomazia della Slovenia la console Bojana Cipot, la rappresentante dell’ufficio per gli sloveni d’oltreconfine e nel mondo, Breda Mulec, ed il vicesindaco di Capodistria / Koper, Alberto Scheriani. La coralità delle valutazioni positive ed innovative di un progetto
così corposo e complesso apparirebbe scontata, ma mai
a sufficienza ne viene rimarcata la portata storica, nell’ottica del superamento delle travagliate vicende dell’ultimo
secolo e che ancora frenano l’integrazione ed il definitivo
oblio di insensati rancori e pregiudizi.
Quaranta mesi sono previsti per tradurre in azioni concrete,
visibili e valutabili gli oltre tre milioni di euro che vale il progetto, il quale coinvolge l’ampio territorio di confine abitato dalle minoranze. Lead partner è l’Associazione temporanea di scopo “Jezik-Lingua”, costituita dall’Inœtitut za slovensko kulturo – Istituto per la cultura slovena di San Pietro
al Natisone, la Skgz e lo Sso. Numerosissimi sono i partner tra cui vanno segnalate per la pregnanza culturale e
scientifica ben quattro università: Università del Litorale
di Capodistria, l’Università di Udine, l’Università di Trieste
e l’Università Cà Foscari di Venezia cui si aggiunge il Centro
studi Jacques Maritain di Portogruaro.
R. R.
(Dom, 31.5.2010)
PROGETTO JEZIK-LINGUA
˘ekœ: un importante passo in avanti
nella tutela degli sloveni in Italia
Come abbiamo già riferito lunedì 24 maggio è stato presentato a Trieste il progetto Jezik-Lingua: Plurilinguismo
come ricchezza e valore del territorio transfrontaliero italosloveno. Il progetto è inserito nell’ambito della cooperazione
transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013.
Secondo il ministro per gli sloveni d’oltre confine e nel
mondo del governo di Lubiana, Boœtjan ˘ekœ, il progetto
darà un notevole contributo allo sviluppo di entrambe le linSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 13
gue minoritarie (lo sloveno in Italia e l’italiano in Slovenia),
contribuirà a rafforzare la consapevolezza dell’appartenenza
etnica, a migliorare le prospettive in entrambe le minoranze
(quella slovena in Italia e italiana in Slovenia, ndt.) ed a
migliorare i rapporti tra Italia e Slovenia.
˘ekœ ha affermato, inoltre, che l’Ufficio per gli sloveni d’oltre confine e nel mondo ha sempre appoggiato progetti,
come questo, rivolti alla promozione della lingua quale strumento di dialogo e di migliore collaborazione transfrontaliera. Ha poi affermato che il progetto Lingua rappresenta
un modello di cooperazione tra la minoranza slovena in Italia
e quella italiana in Slovenia.
Si tratta, ha concluso ˘ekœ, di un progetto al passo con i
tempi che contribuirà ad un miglioramento qualitativo dell’insegnamento della lingua in ambito scolastico.
(Primorski dnevnik, 26. 5. 2010)
REGIONE
Molinaro: in Fvg la diversità è ricchezza
Celebrata la Giornata mondiale della diversità culturale
L’Italia sta celebrando in Friuli Venezia Giulia il momento
clou della sua Giornata mondiale della diversità culturale
per il dialogo e lo sviluppo, proclamata dalle Nazioni Unite
nel 2002 dopo l'adozione, da parte dell’Unesco, della
Dichiarazione universale sulla diversità culturale.
Nell’ambito di questo festival, che nel 2010 si iscrive nel
più ampio contesto dell'Anno internazionale del riavvicinamento delle culture, la Commissione nazionale italiana
Unesco ha recentemente organizzato al Castello di Duino
un convegno che ha preso avvio tra lo sventolare delle bandiere dei ragazzi del Collegio del Mondo Unito, «istituzione che da anni si impegna nell'educazione di giovani provenienti da tutto il mondo ad una cultura del dialogo e della
pace», ha detto Giovanni Puglisi, presidente della
Commissione.
I lavori, cui hanno partecipato anche Boris Pahor e Predrag
Matvejeviæ, sono stati aperti dal presidente del Collegio del
Mondo Unito, Gianfranco Facco Bonetti, e dal sindaco di
Duino Aurisina, Giorgio Ret. Non è mancata l'adesione del
presidente della Camera Gianfranco Fini, il quale, in una
lettera indirizzata a Puglisi, ha auspicato che la giornata
di Duino «possa contribuire a diffondere la consapevolezza di quanto la conoscenza tra i popoli ed il dialogo interculturale costituiscano dei fattori essenziali per la realizzazione di un mondo più pacifico e più solidale».
L’assessore regionale alla Cultura, istruzione e formazione, Roberto Molinaro (tra le altre autorità intervenute, il presidente della provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa
Poropat, e l'assessore alle Risorse umane del Comune di
Trieste, Michele Lo bianco), ha espresso il suo apprezzamento per la scelta di organizzare quest’importante giornata in Friuli Venezia Giulia e nel Collegio del Mondo Unito
dell'Alto Adriatico, «realtà d'eccellenza per noi e per l'intera area europea che lo accoglie».
Molinaro ha ricordato che il richiamo alla diversità culturale come risorsa e ricchezza è nello statuto di autonomia
di questa Regione ed è un concetto che in questa parte
d'Italia ha influenzato il modo d'essere delle istituzioni, portando alla nascita della Comunità di lavoro Alpe Adria,
dell'Iniziativa Centroeuropea, del Mittelfest, all'insegna del
dialogo, del fare insieme, della contaminazione culturale
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 14
che hanno preceduto la dimensione economica, anticipando
così il trattato di Lisbona. L'assessore ha indicato «in
Aquileia romana e patriarcale, per 2 mila anni riferimento
delle culture slava, latina e tedesca, e nel XX secolo, compendio qui della storia d'Europa, dalle trincee del Carso alla
sbarra alzata nel 2004 con l'ingresso della Slovenia nell’Ue»
le radici del Friuli Venezia Giulia. Ma ha anche rilevato che
qui, dopo gli ultimi cambiamenti geopolitici, va colta l'opportunità di operare per consolidare i rapporti con il Centro
e l’Est Europa, «una visione strategica in cui dobbiamo coinvolgere i giovani e che chiama tutti ad un atto di responsabilità per la costruzione, partendo da una comune cittadinanza europea, di un futuro di pace e libertà».
Di «diversità come presupposto per il dialogo tra le culture e lo sviluppo dell'intero genere umano» ha parlato anche
Puglisi, sottolineando che scuola e università sono chiamate «a costruire il sapere che alimenta la didattica dei diritti umani». Ha invece ricordato l'impegno dello Stato (80
milioni di euro per progetti presentati da enti locali e istituzioni scolastiche) a favore della valorizzazione delle dodici minoranze riconosciute nel Paese il direttore centrale per
i Diritti civili la Cittadinanza e le Minoranze del ministero
dell'Interno, Angelo Di Caprio.
«In Friuli Venezia Giulia risultano residenti 94.976 cittadini provenienti da 151 Paesi diversi di tutti i 5 continenti e
nella sola provincia di Trieste risiedono 16.528 stranieri di
ben 125 Stati - ha spiegato il commissario di Governo e
prefetto di Trieste Alessandro Giacchetti – e se si pensa
che gli stati membri dell’Onu sono 192, possiamo parlare
della regione e di Trieste in particolare come di un microcosmo internazionale nel centro dell'Europa. Giacchetti ha
quindi detto che Trieste è stata posta al primo posto nella
graduatoria delle 103 province italiane per indice di integrazione degli stranieri, posizione privilegiata che si percepisce materialmente nel clima sociale di queste terre».
Parlando del Mediterraneo, «mare che assomiglia sempre
di più ad una frontiera estesa da Levante a Ponente per
separare l'Europa dall'Africa e dall'Asia Minore» Predrag
Matvejevi@ ha dichiarato che le sue rive «non hanno in
comune che le loro insoddisfazioni» mentre «le decisioni
relative alla sua sorte sono prese al di fuori di esso o senza
di esso e ciò genera frustrazioni e fantasmi».
Infine, Boris Pahor ha confermato che anche manifestazioni come questa, organizzata nel contesto del Collegio
del Mondo Unito, parlano di una Trieste multilingue «così
com'era una volta» uno sviluppo sancito dai rapporti tra la
popolazione italiana e quella slovena, tra la cultura italiana e quella slovena. Resta invece, secondo Pahor, ancora tanto cammino da fare per chiarire la questione storica,
che l'opinione pubblica italiana non conosce e andrebbe
spiegata già nei libri di storia «al di là dei fatti del’45 e non
per fare confronti, ma affinché i giovani sappiano quanto
è accaduto e che qui esiste una comunità slovena dai tempi
di Carlo Magno».
Arc/Lvz
(www.regione.fvg.it)
VISCO
Cresce l’interesse per il campo di Visco
Ma rimane chiuso ai visitatori «per motivi di sicurezza»
Che fosse un luogo che vale, lo dicevano già da tempo stu-
diosi di questo specifico settore, uomini di cultura, giornalisti, storici in Italia e in altri Paesi europei. Nel febbraio di
quest’anno c’è stato anche il vincolo del ministero dei Beni
culturali su di una parte notevole (il cuore logistico) di quello che era il campo di concentramento I C di Visco (Ud)
per civili jugoslavi tra il febbraio e il settembre 1943.
L’interesse è stato accresciuto da una mostra itinerante,
allestita dal Centro Gasparini di Gradisca, intitolata
«Quando morì mio padre», che illustra l’elaborazione del
lutto da parte dei bambini colpiti dalla perdita di un genitore nei campi di concentramento fascisti (la mostra ha già
toccato numerose località del Friuli - Venezia Giulia, del
Veneto, Capodistria, Lubiana, l’Università di Klagenfurt e
prossimamente sarà esposta a Vienna). Il prof. Gestettner,
dell’Università Alpe Adria di Klagenfurt, ha inserito il campo
di Visco negli itinerari riguardanti i luoghi della memoria.
Il 14 aprile, un’ottantina di studenti delle superiori di Trieste
e Gorizia è venuta in visita, nell’ambito dell’iniziativa «Treno
della Memoria» patrocinata da Stato, Regione e dalle quattro Province. Ad Auschwitz e a Birkenau sono potuti entrare, a Visco no. Sono andati appena aldilà del cancello, impediti a varcarne un altro da presunti motivi di sicurezza.
Stessa sorte è toccata a insegnanti e ragazzi delle scuole medie di Mariano del Friuli e Romans d’Isonzo (Go).
Nell’ottobre dello scorso anno vennero tenuti fuori dalla
porta insegnanti di liceo della Carinzia. Nel gennaio di quest’anno la deputata europea Debora Serracchiani e l’on.
Ivano Strizzalo (motivazione, la sicurezza). Il 27 gennaio,
Giornata della memoria, l’autorizzazione fu concessa; quattro giorni dopo, la sicurezza ci fu ancora. In due mesi e
mezzo la sicurezza svanì di nuovo, e non fu reintegrata neppure con ampio preannuncio per le visite successive. Un
lasso di tempo che avrebbe consentito di mettere in sicurezza un campo minato o una palude infestata da alligatori. Probabilmente manca la consapevolezza del valore
storico e delle opportunità culturali del luogo. Si voleva risolvere la questione permettendo di aggiungere una lapide,
dove già altri ci avevano pensato e poi esercitare il “potere”, evidentemente un potere piccolo piccolo.
Prof. Ferruccio Tassin
Coordinatore dell’Associazione
“Terre sul Confine” – Visco
(Dom, 30.4.2010)
LA RIFLESSIONE
carta d’identità o un certificato anagrafico bilingue.
L’istituzione di questo sportello non grava in alcun modo
sul bilancio comunale in quanto la copertura finanziaria è
assicurata dalla legge di tutela. La legge lo colloca a
Cividale, riconoscendole il ruolo di “capitale” di un’area molto
vasta che va dalle valli del Natisone e del Torre ad un’ampia parte della pianura friulana. Inoltre non prevede che lo
attui il Comune bensì che si istituisca in forma consorziata tra le diverse amministrazioni interessate: si tratta in primo
luogo di Comune di Cividale, Comunità montana, Provincia
di Udine e Regione Friuli-Venezia Giulia.
È vero che, su proposta di alcuni consiglieri di centro-sinistra, Cividale è stata inserita nella tabella dei comuni in cui
si applica la legge 38/2001. E sarebbe ben strano se non
fosse così: la legge di tutela stessa prevede l’attivazione
dello sportello a Cividale, inoltre qui hanno la propria sede
importanti associazioni della minoranza slovena: il circolo
di cultura Ivan Trinko (che vi opera da 55 anni), i due giornali Novi Matajur e Dom, l’Unione degli emigranti sloveni,
due associazioni economiche di categoria (l’Unione regionale economica slovena-Sdgz e l’Associazione agricoltori-Kme@ka zveza) ed altre ancora. Ma nella tabella dei
comuni in cui si applica la legge di tutela, promulgata con
decreto dal Presidente della Repubblica, c’è un’importante precisazione del Comitato paritetico, dove si dice che a
Cividale la legge si applica limitatamente all’art. 8 (ufficio/sportello).
Premesso che le minoranze linguistiche sono tutelate dalla
Costituzione italiana e dalle leggi in materia (due statali,
la 482 e la 38, ed una regionale 26/2007), Cividale, che
ambisce al riconoscimento Unesco, non può non affermare
il suo ruolo storico di crocevia e incontro di culture che ben
si salda con il nuovo compito che le è stato affidato dallo
Stato e dalla Regione con il Mittelfest, luogo di incontro e
confronto con i paesi e le culture del Centro Europa.
Lo sportello sloveno oltretutto potrà svolgere, a costo zero,
un’attività importante di dialogo e collegamento anche nei
rapporti tra il Comune di Cividale e quelli della vicina
Slovenia ai quali è legato anche da progetti europei di cooperazione transfrontaliera.
Va riconosciuto quindi al legislatore statale e regionale di
aver operato con equilibrio e saggezza. E comunque le
leggi, piacciano o no, vanno applicate.
J. N.
(Novi Matajur, 13. 5. 2010)
L’OPINIONE
Cividale, bilinguismo? no, sportello sloveno
Tutte le famiglie di Cividale, in vista delle prossime elezioni
amministrative, hanno ricevuto una lettera del consigliere
regionale e capolista del Pdl Roberto Novelli in cui, a caratteri cubitali, lancia l’allarme sul «rischio concreto dell’istituzione e imposizione del bilinguismo integrale, quindi gonfalone, timbri, carte intestate, statuti, tutto dovrà essere bilingue italiano e sloveno». È un’affermazione deprecabile, specie se fatta da chi ha ruoli istituzionali, poiché dimostra che
chi la fa o è poco informato o vuole alimentare la polemica politica per puro tornaconto elettorale.
La verità è che la legge di tutela della minoranza slovena,
approvata dal Parlamento ormai quasi 10 anni fa, prevede a Cividale soltanto l’apertura di un ufficio/sportello (art.
8) al quale si possono rivolgere cittadini appartenenti alla
minoranza slovena, residenti anche in altri comuni del Friuli,
che vogliano avvalersi del diritto di avere, per esempio, la
Una chiamata alle armi per difendersi
da che cosa?
A proposito di un intervento del coordinatore Pdl di
S. Pietro al Natisone
Di fronte a certi fatti, a certe esternazioni, a ragionamenti
che spesso non conoscono e men che meno applicano i
basilari principi della logica razionale (senza scomodare
questa scienza quale ramo della filosofia sistematica) non
si sa cosa dire, proprio perché mancano coerenti termini
di confronto. Contro un gioco di parole raffazzonate, prive
di consequenzialità logica, slegate dalla realtà, messe insieme per mistificarla, non è possibile alcuna difesa, specie
quando il loro collante è costituito dalla malafede e dalSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 15
l’arroganza. Quasi 900 parole, messe insieme nel tentativo di far passare, comunque, gli sloveni della Slavia per
profittatori, mestatori e di dubbia italianità e per schierarsi nella difesa del consigliere regionale Novelli, sono apparse impilate sotto il titolo “Dibattito” nel noto quotidiano provinciale, la settimana scorsa. Il costrutto porta la firma del
coordinatore del Popolo della libertà valligiano, Aldo Sturam,
ma non è detto che sia frutto dei suoi approfonditi studi sulla
complessa realtà sociale della Slavia. Vi si ritrovano, infatti, confusamente riciclate note acrimoniose di qualche conoscitore delle problematiche etnolinguistiche beneciane in
prematura quiescenza.
Voler intendere lo scritto di Sturam come proposta di dibattito è fuorviante, perché un qualsiasi dibattito sottintende
una qualche disponibilità di dialogo, di confronto su fatti,
su cose concrete e verificabili, non farcite di volute equivocità, di falsità e di rifiuto delle ragioni dell’altro. D’altronde
dibattere sulle pagine di un giornale di parte, che privilegia lo scontro, che fa da megafono ai provocatori e imbavaglia il buon senso, fa a pugni proprio con quest’ultimo,
il buon senso, appunto. Se qui ne scrivo non è per “controribattere” all’articolo di Sturam – perché questo vorrebbe –, ma per esprimere rammarico ed invitare le persone
di buon senso ad una riflessione sulla questione slovena
nella Slavia.
Non conosco il signor Sturam, presumo che qualche merito gli venga attribuito se si presenta come coordinatore del
Pdl locale. Ritengo anche che, magari solo sulla base del
cognome, non abbia le sue radici molto distanti dalle mie
e che quindi almeno i nostri nonni si comprendessero bene
nella lingua della Slavia. Non so se egli la sappia, se la
apprezzi o la rifiuti; non so come la chiami visto che il suo
nome naturale, ovvio e genuino di “slovena” lo costringe
a ricorrere a forti dosi di antistaminici per curarne l’allergia. Sembra invece che forti mal di testa gli procurino quei
suoi compaesani che riconoscono nella loro lingua, nella
loro cultura, nelle loro tradizioni la propria appartenenza al
mondo sloveno, in particolare quelli che, guarda caso si
sono organizzati, hanno difeso la propria identità, hanno
costituito circoli, stampano giornali, promuovono e conducono attività di insegnamento nelle scuole, cantano nei cori
i canti della ricca tradizione locale e non solo, si esibiscono nelle rappresentazioni teatrali, organizzano giornate culturali, aprono mostre d’arte, fanno convegni… usano, sì,
tutti i giorni, in ogni occasione quel linguaggio “sloveno” che
il signor Sturam ed i suoi accoliti dicono di difendere.
Leggo testualmente: «Il Pdl di San Pietro al Natisone rivolge un appello ai cittadini delle valli del Natisone affinché
prendano seriamente coscienza del grave pericolo di snazionalizzazione che corre questa comunità e si preparino
alla necessaria mobilitazione di tutte le forze democratiche
per la salvaguardia della loro identità nazionale italiana, pur
nella valorizzazione della loro specialità culturale e linguistica».
Questa la chiamata alle armi: per difendersi da che cosa?
Per difendere cosa? La serie di frottole e funambolismi
semantici raffazzonati in decine di righe per giungere a questo appello da operetta! Pensate, dice il “politico”, questi
della «minoranza nazionale slovena» hanno «addirittura
presentato denuncia contro ignoti per l’imbrattamento delle
tabelle bilingui! Hanno rifiutato “sdegnosamente” la verifica dell’esistenza di una comunità nazionale slovena». Ha
dell’incredibile veramente, ma non il fatto che esista nella
Slavia, una comunità che si definisce orgogliosamente slovena, ma che un rappresentante del partito di governo non
abbia il buon senso e la coerenza di verificare banalmenSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 16
te il senso delle parole che usa per impostarvi le sue strampalate accuse. Insiste su «Comunità nazionale slovena»
e parla di «cittadini di San Pietro e delle Valli» appositamente per confondere e fondere i due concetti ben distinti di cittadinanza e di nazionalità = appartenenza linguistica. Sono stufo di ripeterlo, ma questo qui si fa beffe dei
primi articoli della Costituzione discriminando degni cittadini italiani sulla base della loro appartenenza linguistica.
E via, poi, con il coinvolgimento della Slovenia e degli sloveni di Trieste e Gorizia, come se fossero tutti lì ad accumulare armamenti lungo il confine e nelle cantine alla
maniera dei Gladiatori di tenebrosa memoria.
Gli sloveni d’Italia, secondo questo novello difensore delle
cause perse, avrebbero strappato con l’inganno le leggi a
loro tutela che sono previste in modo inequivocabile dall’articolo 6 della Costituzione! Fa ridere, se non facesse
pena, l’appello ai cittadini delle Valli ad un confronto «per
giungere al necessario chiarimento etico, politico, legislativo e istituzionale sul futuro della comunità che da troppo
tempo paga le conseguenze dell’incredibile svuotamento
democratico del sistema che la governa».
Quale senso dare a simili affermazioni? Chi è che governa in Regione, in Provincia, nei Comuni rientranti nella
Legge 38/2001? Se Sturam parla di «svuotamento democratico del sistema che governa» ovviamente parla di sé,
del sistema di governo di cui fa parte. E questo è solo un
piccolo esempio per dimostrare quanta irrazionalità stia alla
base dell’artificiosa diatriba politica che Sturam e i suoi mantengono in vita, invece di preoccuparsi seriamente della
rinascita e dello sviluppo della Slavia.
Riccardo Ruttar
(Dom, 30.4.2010)
DRENCHIA-DREKA
Monumento a 5 sacerdoti della Benecia
Mons. Battisti: «Impegnati nella fede e nella difesa
della lingua slovena»
È stato l’arcivescovo emerito di Udine, mons. Alfredo
Battisti, a celebrare la santa messa e a benedire il piccolo monumento, eretto accanto alla chiesa di Santa Maria
Assunta, in onore di cinque sacerdoti, che nello scorso
secolo hanno servito nel comune di Drenchia. È stata una
cerimonia sentita, raccolta, partecipata che ha riunito i
sacerdoti della forania, mons. Mario Qualizza, don Rinaldo
Gerussi, don Federico Saracino, e il rettore del santuario
di Lussari, mons. Dionisio Mateucig, originario di Paciug
di Drenchia e «allievo» di mons. Birtig, e richiamato tanta
gente di Drenchia, anche quelli sparsi nei paesi del Friuli,
e dei paesi vicini.
Si è trattato di un omaggio corale ai sacerdoti che in tempi
difficili, come ha detto mons. Battisti nell’omelia, hanno lavorato in questi paesi per annunciare la fede, difendere e promuovere la lingua e la cultura slovena. Richiamandosi al
brano evangelico di san Giovanni sul buon Pastore, l’arcivescovo emerito di Udine ha ricordato una cena pastorale molto comune nella Palestina di quell’epoca: alla sera
il pastore conduceva nell’ovile il suo gregge e al mattino
si presentava sulla porta, alzava la voce e chiamava le sue
pecore, che riconoscevano la sua voce, si alzavano e lo
seguivano. Questa abituale scena ha fatto dire a Gesù: «Io
sono il buon pastore».
«Nello spirito di questo Vangelo – ha proseguito mons.
Battisti – sono venuto a ricordare, a venerare e ringraziare a cento anni dalla loro nascita alcuni sacerdoti, esemplari pastori della Benecia: don Guion, don Cracina, don
Birtig, don Succaglia, don Laurencig, che è nato nel 1908
ed è rimasto a lavorare in loco dal 1934 al 1989, anno della
sua morte».
Nelle Valli del Natisone essi hanno lavorato «in anni difficili, tra due guerre – ha ricordato l’arcivescovo –. Si sono
impegnati per l’educazione nella fede di queste comunità,
ma anche per la difesa e la promozione della lingua e della
cultura slovena. Ho sempre apprezzato la religiosità di queste popolazioni, venendo quassù negli anni del mio episcopato, espressa anche nel saluto “Hvaljen Jezus
Kristus!”. Questo loro lavoro è stato messo in difficoltà da
politiche poco lungimiranti. I sacerdoti hanno spesso sofferto perché il loro attaccamento alla lingua e alla cultura
slovena è stato erroneamente accusato di poco amore
verso l’Italia, la propria patria: sloveni ma italiani. Io ho sofferto con loro, specialmente quando ci incontravamo nelle
riunioni foraniali.
Quando iniziai la visita pastorale nelle Vallli del Natisone
io ho dichiarato: il Signore ha mandato me come vescovo
a difendere e promuovere la fede. La fede però si incarna
e si esprime in una lingua, in una cultura, la cultura di questo popolo. Venendo nelle vostre comunità io intendo difendere il diritto naturale di ogni singolo paese: chi sceglie la
lingua slovena, ha il diritto naturale di esprimerla nella liturgia e nel canto e lo stesso diritto intendo difendere nelle
comunità che scelgono la lingua italiana. Ho constatato con
gioia la vicinanza di voi fedeli ai pastori che hanno lavorato in queste comunità.
Spiace che una politica errata in qualche modo non favorisca la montagna, dalla Carnia alle Valli del Natisone,
costringendo tante famiglie ad emigrare e con questo provocando un grave danno con la perdita di valori umani e
cristiani.
Inauguriamo oggi un monumento per onorare tutti i sacerdoti della Benecia e perpetuare il loro ricordo. La Pasqua
di Cristo, Signore risorto, che stiamo celebrando in questo tempo santo, ravvivi la speranza, la vostra speranza
accogliendo l’esortazione del primo papa, san Pietro, che
esortava: “Siate sempre pronti a rispondere a coloro che
vi chiedono le ragioni della vostra speranza”. Il Signore faccia fiorire la speranza in questa meravigliosa terra».
(Dom, 30.4.2010)
Un riconoscimento all’attività letteraria e all’esperienza di vita dello scrittore sloveno TRIESTE-TRST
Sigillo della provincia a Boris Pahor
«Egli ha dato voce alle oppressioni del XX secolo e alle vicende degli sloveni del Litorale»
eri (mercoledì 5 maggio, ndt) Boris Pahor ha ricevuto il
Sigillo dalla Provincia di Trieste, città in cui lo scrittore
sloveno è nato e vive tutt’ora. È stata la stessa presidente della Provincia, Maria Teresa Bassa Proropat, a consegnare il riconoscimento allo scrittore dopo un lungo intervento (che pubblichiamo di seguito, ndt) in cui ha parlato
dell’attività letteraria, dell’esperienza di vita di Boris Pahor
e delle circostanze storiche che l’hanno caratterizzata.
Nel suo intervento letto prima in italiano e poi in sloveno,
il presidente del Consiglio provinciale, Boris Pangerc, ha
sottolineato l’importanza delle radici e dell’identità slovena, non solo dello scrittore, ma della città di Trieste.
Nel ringraziare per il riconoscimento ricevuto, Boris Pahor
ha detto di essersi commosso nell’ascoltare gli interventi
a lui rivolti ed ha ricordato il connubio letterario che già da
secoli unisce intellettuali italiani e sloveni di Trieste, attraverso il quale essi costruiscono un’Europa unita in miniatura. Pahor ha, inoltre, aggiunto che la recente approvazione del nuovo statuto della provincia, che prevede l’uso
della lingua slovena, rappresenta una sorta di piccolo rinascimento. Sta a noi, ha detto, costruire, con i mezzi che
abbiamo a disposizione, una convivenza ancora più armoniosa.
Alla cerimonia di consegna erano presenti numerosi esponenti politici e amici dello scrittore, i presidenti dell’Unione
culturale economica slovena-Skgz, Rudi Pavœi@, e della
Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, Drago
Œtoka. Assenti, invece, i consiglieri provinciali dell’opposizione di centrodestra e i rappresentanti del Comune di
Trieste.
(Poljanaka Dolhar, Primorski dnevnik 6.5.2010
Ivana Gherbaz, Il Piccolo 6.5.2010)
I
L’INTERVENTO
Pubblichiamo di seguito il discorso tenuto dalla
presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa
Bassa Proropat, all’atto della consegna del Sigillo
allo scrittore sloveno Boris Pahor
Autorità, Colleghi, gentili Ospiti,
ho sempre pensato che tra i compiti di chi è chiamato a
governare una comunità vi sia anche il dovere di ricordare la cultura, la storia, ma soprattutto i valori collettivi nei
quali la società si riconosce e sui quali fonda la sua consapevolezza di civile aggregazione.
Con questa premessa oggi ringrazio Boris Pahor per aver
accettato il riconoscimento della Provincia di Trieste. Egli
ha dato voce alle oppressioni del XX secolo e alle vicende degli sloveni del Litorale, ricordando come il tradimento della originaria multiculturalità di questo territorio, mai
ridotta all’omologazione, si sia consumato nell’italianizzazione forzata. È stato il dramma di una componente e la
negazione di una storia collettiva che dovrebbe essere sempre consapevole, attenta e fiera della sua complessità.
Consegnare il sigillo a Pahor è omaggio alla sua attività di
scrittore e al contempo alla sua testimonianza di vita, divenuta naturalmente materia letteraria ed esempio civile. I suoi
romanzi, le sue interviste, i numerosi incontri, specie con
i giovani, sono strumenti affidati alla nostra capacità di riflessione. Essi non consentono di dimenticare. Sono ricordi nitidi di ciò che sono state le dittature del Novecento, fermate dalla scrittura che trasforma la memoria in espressione
etica facendone, come ogni classico exemplum, monito per
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 17
il futuro, un futuro che, nonostante tutto, Pahor guarda sempre con speranza. Egli racconta ciò che ha visto e vissuto, apre squarci e non accetta di veder tradita la sofferenza direttamente esperita, rinunciando al compito dello storico per affermare invece il suo ruolo di testimone, divenendo voce anche di chi non ha potuto ricordare.
Un rapporto profondo lega, dunque, il percorso esistenziale
di Pahor alla sua attività di scrittore: egli ci parla con la forza
dell’eroe quotidiano, ovvero dell’uomo comune che vede,
sente, soffre e denuncia. Lo fa con un rigore aspro, a volte
sferzante, come la pietra e l’aria di questo territorio, sottolineando le ingiustizie del nostro tempo. Parla di sé con
un coraggio che noi tutti avremmo dovuto avere e che oggi
dobbiamo cercare di eguagliare, concedendo alla Trieste
di «Qui è proibito parlare», di ritrovare la capacità di accogliere, ascoltare e rispettare.
Proprio alle nostre spalle sorge un palazzo in stile secessionista. Eretto nel cuore commerciale della Trieste asburgica e cosmopolita, divenne segno tangibile della presenza e dell’ascesa economica e culturale degli sloveni: è il
Narodni dom che in un giorno di luglio del 1920 venne dato
alle fiamme. Quel giorno Trieste non seppe valorizzare le
sue componenti autoctone, presenze attorno alle quali altre
comunità si erano nel tempo raccolte. L’incendio del Narodni
dom fu purtroppo solo il preludio di un lungo percorso finalizzato a cancellare la presenza storica degli sloveni a
Trieste. Boris Pahor, bambino, vide con i suoi occhi quel
rogo, simbolo sordo e violento, di un governo che, fattosi
dittatura fascista, rifiutò di riconoscere i più elementari diritti, a partire dalla lingua, a coloro che erano suoi cittadini.
Episodi che, assieme alla deportazione nei campi di concentramento in Francia e Germania, segnano la vita di
Pahor e divengono materia della sua produzione letteraria che è racconto biografico e al contempo esempio di
dramma universale.
Ricordo le parole di Claudio Magris che nella sua introduzione a Necropoli definisce il libro opera «eccezionale, che
riesce a fondere l’assoluto dell’orrore con la complessità
della storia, la relatività delle situazioni e i limiti dell’intelligenza e della comprensione umana».
Proprio perché quanto aveva visto e conosciuto superava
l’iniquità per farsi gelida brutalità, il percorso di Pahor non
è stato né rapido né semplice.
Sopravvissuto a umiliazioni morali e privazioni fisiche, lenite le ferite e cambiati i tempi, trovò solo nel dopoguerra l’occasione per sublimare il suo vissuto nell’arte. Un itinerario
faticoso e rimasto irrisolto sino a quando non raggiunse la
pienezza di cui era stato privato: ricomporre la Sua storia,
riappropriandosi della sua identità di sloveno e di triestino
al contempo. Riprendere ad essere ciò che semplicemente
era, tanto da poter guardare il mondo con la serena consapevolezza che la libertà sta prima di tutto nel rispetto di
sé, nel coraggio della rettitudine, nell’onestà del pensiero.
Un rigore che non si mitiga a seconda delle ideologie, perché la sua posizione è sempre stata limpida, volta alla difesa della dignità umana e delle identità. Accanto alle brutalità del fascismo e del nazismo, egli ricorda dunque, senza
esitazione alcuna, l’oppressione e i massacri del regime
jugoslavo, toccando anche il tema delle foibe e dell’annientamento della milizia anticomunista slovena.
Così come non ha accettato nel passato l’immagine abusata dello sloveno contadino contrapposto all’italiano borghese, egli ha rifiutato anche quella che lo voleva per forza
operaio e “popolare” per rispondere ad un egualitarismo
solo materiale.
Pahor ha sofferto il coraggio di queste sue posizioni troSLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 18
vandosi nella paradossale situazione di vedersi due volte
emarginato, dagli ambienti culturali della Trieste italiana e
da quelli della Jugoslavia socialista, protagonista suo malgrado delle persecuzioni politiche del Novecento.
Questo per la sua capacità di denunciare, perché alla radice della sua opera c’è l’uomo con la sua fragilità, i suoi
mondi interiori e la sua ricerca di senso, che travalica le
frontiere. Da autentico uomo di cultura, egli non si è limitato a essere voce di una sola comunità, quella slovena,
ma, come ha avuto occasione di dire più volte, di tutti «i
piccoli oppressi», che nelle sue vicende personali e politiche, oltre che nei suoi scritti, possono trovare frammenti di sé e delle proprie sofferenze, un riferimento e una speranza.
Quella speranza di cui, nonostante i drammi vissuti, egli
parla sempre ai giovani.
Il sigillo della Provincia di Trieste va dunque a Boris Pahor
– per l’intensa rappresentazione dei drammi del ‘900 attraverso l’opera letteraria e la personale esperienza di vita,
divenuta testimonianza delle tragedie del nazismo e del
fascismo, memoria affidata alla collettività per ricordare e
ammonire;
– per aver descritto, accanto alle atrocità umane, la capacità dell’individuo alla solidarietà, la sua volontà di rinascita
e la tensione al futuro;
– per rappresentare l’identità, composita per cultura e lingua, di Trieste.
IL COMMENTO
Onore alla provincia di Trieste
Ci sono cose che dovrebbero rientrare nella normalità.
Parole che non dovrebbero destare meraviglia o plauso per
il fatto di essere espresse da un personaggio pubblico, un
politico o un amministratore.
E tuttavia viviamo in un tempo ed in un luogo in cui in molti
non riescono a pronunciare le parole «fascismo», «italianizzazione forzata», «pulizia culturale ed etnica». In un contesto in cui molti non riescono a parlare delle colpe, per le
quali non hanno alcuna responsabilità.
Il precedente è noto: lo scrittore sloveno di Trieste, Boris
Pahor, ha fatto sapere, in via preventiva, al sindaco del
capoluogo giuliano, che non avrebbe accettato il conferimento della cittadinanza onoraria se nella motivazione non
fossero state citate le colpe che il fascismo ha commesso
nei confronti degli sloveni. Se Pahor vivesse in una società
«normale» un simile atto sarebbe del tutto superfluo.
D’altronde come possiamo immaginare che all’atto dell’assegnazione di un riconoscimento a Boris Pahor vengano
sottaciute le colpe del regime fascista e nazista, che lo stesso scrittore ha sperimentato e di cui dà testimonianza nei
suoi numerosi romanzi?
Si è visto che Trieste non è maturata, o meglio che l’amministrazione comunale della città non si è dimostrata all’altezza del concittadino scrittore 96-enne. Boris Pahor non
è diventato cittadino onorario di Trieste, ma è stato insignito della Legione d’onore dalla Francia ed ha ricevuto dal
governo austriaco la croce al merito per la scienza e l’arte.
Ai numerosi riconoscimenti ricevuti finora da Pahor, si
aggiunge anche il Sigillo che gli è stato recentemente conferito dalla Provincia di Trieste. Alla cerimonia di assegnazione, prima di consegnare il Sigillo allo scrittore, la pre-
sidente Maria Teresa Bassa Proropat ha parlato della dittatura fascista che ha privato la minoranza slovena dei diritti più elementari, ma anche dei crimini commessi nei campi
di concentramento nazisti e di quelli perpetrati dal regime
jugoslavo nel dopoguerra. Argomenti che sono parte integrante della vita e dell’opera omnia dello scrittore.
Boris Pahor «parla di sé con un coraggio che noi tutti avremmo dovuto avere – ha detto la presidente della Provincia
– e che oggi dobbiamo cercare di eguagliare, concedendo alla Trieste di “Qui è proibito parlare”, di ritrovare la capacità di accogliere, ascoltare e rispettare».
La Proropat non ha detto niente di nuovo, ma nel contesto temporale e territoriale in cui viviamo le sue parole esprimono rispetto e coraggio, dal momento che a Trieste molti
non sono capaci nemmeno di ascoltarle, figuriamoci di pronunciarle. Alla cerimonia di assegnazione del sigillo a Boris
Pahor non ha preso parte nessun rappresentante del
Comune di Trieste e neanche i consiglieri provinciali dell’opposizione di centrodestra. Evidentemente non hanno
ritenuto opportuno rendere omaggio allo scrittore, un esempio di rettitudine morale e di coraggio.
Poljanka Dolhar
(Primorski dnevnik, 6. 5. 2010)
TAIPANA-TIPANA
Restituire dignità alla gente
dei “tempi difficili”
Presentato il volume di Coos «Te¡ko ¡ivenje»
edito dal Comune e dalla cooperativa Most
Un sussulto di identità è stata la reazione più immediata
alla presentazione del libro di Sandrino Coos «Tempi difficili - Te¡ko ¡ivenje», tenutasi, sabato 19 maggio, nella sala
consiliare di Taipana gremita come nei più importanti appuntamenti del territorio.
Una carrellata di aneddoti per testimoniare radici, storia,
cultura, lingua e, in ultima analisi, senso di appartenenza.
Ma anche, come puntualizza l’autore, un omaggio a gente
semplice, ma portatrice di grandi valori.
Al tavolo dei relatori il sindaco Elio Berra, il professor Viljem
#erno, il direttore del settimanale diocesano la Vita
Cattolica, Ezio Gosgnach, e l’autore Sandrino Coos. Li coordinava Giorgio Banchig della cooperativa Most, coeditrice
del libro assieme al Comune di Taipana, che si è avvalso
di un contributo della Comunità montana Torre-NatisoneCollio.
Tra il pubblico, il consigliere regionale Giorgio Baiutti, l’ex
provveditore agli studi di Udine, Valerio Giurleo, e Pietro
Dore, cittadino onorario di Taipana per meriti culturali.
Introducendo l’incontro, Banchig ha parlato di «un’operazione letteraria di grande spessore culturale, in quanto recupera spaccati di storia e di lingua come segni distintivi della
comunità locale attraverso aneddoti che esaltano il sale,
il colore, il sapore della vita umana, pregevole recupero del
patrimonio di storia della gente di Taipana. È un libro da
portare non soltanto in famiglia per recuperare una galleria di fantastici personaggi, ma soprattutto nella scuola, perché i bambini possano avere conoscenza di un passato che,
nella semplicità, esprimeva valori di condivisione, di integrazione, soprattutto di socializzazione».
«In “Tempi difficili - Te¡ko ¡ivenje” – ha detto Berra – l’au-
tore presenta fatti e personaggi che aiutano a ricostruire i
modi di vivere della società contadina della Slavia italiana
tra ‘800 e ‘900. Il libro valorizza la cultura locale e, in primo
luogo, la parlata slovena dei nostri paesi, elevandola a
mezzo di espressione letteraria. Il fatto non è trascurabile, poiché l’autore restituisce dignità e un mezzo espressivo che, nel corso degli ultimi due secoli, subì ogni sorta
di vessazioni e divieti. Per questa ragione si può ben dire
che la sua sopravvivenza ha dello straordinario».
Da parte sua, Viljem #erno ha sottolineato che «Coos ha
saputo rappresentare la vita paesana con simpatia e partecipazione. Nel suo libro c’è l’impronta di una successione di identità e di cultura reale, concreta, che diventa civiltà
comunitaria. È un angolo di mondo che ha accumulato fatiche, emarginazioni, fedeltà, orgogli, sofferenze, angustie,
senza decorazioni. Coos fa rifiorire la vita di un tempo quasi
per essere di nuovo tra la sua gente che ha una sua voce,
che sa vivere di incontri e che sotto il carico del lavoro sa
sorridere. In ultima analisi, si tratta di un distillato di sapienza spicciola e di buon senso della gente di un tempo».
Si è invece soffermato Ezio Gosgnach sulla valenza linguistica della pubblicazione, redatta in italiano e nello sloveno po naœen e ne riferiamo ampiamente a parte. Un
excursus, il suo, che partendo dalla definizione appropriata
del termine ‘comunità’ giunge alla puntualizzazione del valore della lingua come segno specifico di identità.
Ma cosa ha indotto Sandrino Coos a dare alle stampe
«Tempi difficili - Te¡ko ¡ivenje»? Soddisfatto e commosso, l’autore ha ricordato che «è scomparsa la bella abitudine del racconto, in osteria e in famiglia, che raccoglieva
attorno agli anziani le persone più giovani e affidava loro
il patrimonio culturale del paese, fatto di tradizioni, di aneddoti, di fiabe e di proverbi carichi di saggezza. Il libro fa
emergere dal passato fatti e personaggi che possono suscitare consapevolezze, ricostruire il percorso storico locale,
tacciare nuove prospettive e aiutare a meglio comprendere
la situazione attuale».
E a Valerio Giurleo che gli chiedeva se tra gli aneddoti ce
ne fosse uno al quale si sentiva più legato, Coos ha risposto che «la motivazione di fondo, che mi ha spinto a rivisitare il mio paese, trae radici dalla volontà di restituire
dignità e di esprimere gratitudine alle persone semplici e
care che mi hanno donato nella concretezza di ogni giorno un pregevole patrimonio di valori». Da parte sua, il consigliere regionale Giorgio Baiutti, amministratore da tanti
anni legato alle problematiche del territorio di Taipana e ai
suoi aspetti sociali e culturali, si è complimentato «con
Sandrino Coos per la brillante carrellata di aneddoti e personaggi, con l’artista Moreno Tomasettig che ha bene illustrato la sequenza dei racconti, con il sindaco Berra per
una felice operazione culturale di recupero di identità, con
la cooperativa Most coeditrice dell’opera, non dimenticando i soggetti primari che, con i loro ricordi, hanno permesso
di fissare aspetti di un mondo fantastico, ricco di valori ai
quali sarebbe opportuno ritornare ad attingere».
Nella sequenza dei ringraziamenti, lo stesso Coos rende
merito ai suoi collaboratori, Giorgio Banchig in primis per
la sapiente introduzione alla scrittura slovena, a Moreno
Tomasettig per avere impreziosito il libro con bellissimi disegni, a Viljem #erno per le consulenze.
Di sicuro, il grazie più sentito va all’autore per avere saputo far rifiorire quel senso di appartenenza che era doveroso e opportuno annaffiare, operazione che gode anche
dell’imprimatur del sindaco Berra.
Gianpietro Carniato
(Dom, 31.5.2010)
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 19
L’INTERVENTO
La lingua è la prima manifestazione
dell’identità
Ezio Gosgnach, direttore del settimanale diocesano
la Vita Cattolica: «Gli slavisti hanno convenuto che i
dialetti della Slavia friulana sono di origine slovena»
«Una comunità, se intende restare vitale, non può ignorare il proprio passato e dimenticare le proprie radici». Così
il sindaco di Taipana, Elio Berra, inizia la sua introduzione a «Tempi difficili-Te¡ko ¡ivenje». E a questa affermazione si rifà l’intervento di Ezio Gosgnach, direttore responsabile del settimanale diocesano la Vita cattolica e dell’emittente Radio Spazio 103. Dopo la relazione letteraria,
tenuta da Viljem #erno, ecco una riflessione su un aspetto generale che Gosgnach ritiene molto significativo e, al
riguardo, propone al numeroso pubblico la citazione di un
vescovo brasiliano Helder Camara: «Quando gli alberi vedono gli uomini camminare li compatiscono perché li credono senza radici e quindi in balia del vento».
«Queste affermazioni – dice il relatore – esprimono il senso
dell’impegno a mantenere una identità, ad essere orgogliosi
della propria cultura, della propria lingua. Nel libro di
Sandrino Coos emerge proprio il senso di comunità, ovvero di una qualità di rapporti tra individui, caratterizzati da
sentimenti di solidarietà, identificazione, apertura, unione,
amore, carità, integrazione, altruismo».
Ecco che la comunità è espressione di un gruppo di persone con il suo territorio. I suoi fattori di unione sono di natura etnica, territoriale, linguistica, religiosa, economica e politica, mentre tratti caratteristici sono l’acquisizione di una
specifica identità, di un elevato senso di appartenenza.
«Questa è una realtà – afferma Gosgnach – da definire
comunità di sentimenti in quanto rappresenta una sorta di
rifugio sicuro, una stabilità in un’epoca, quella della globalizzazione, nella quale prevale, invece, la comunità razionale, cioè il legame sociale basato sul calcolo degli interessi, quelli politici e soprattutto economici, e sui mezzi
necessari per raggiungerli. Questo tipo di comunità si scioglie quando questi interessi vengono meno».
Allora è il caso di approfondire un aspetto basilare della
comunità di sentimenti, quello della lingua, italiano e sloveno po naœen, usata per «Tempi difficili – Te¡ko ¡ivenje».
«Nel rapporto del significato di comunità – spiega ancora
Gosgnach – la lingua rappresenta molto di più di un mero
strumento di comunicazione. Infatti è la prima manifestazione dell’identità, è il più marcato tratto caratteristico di una
comunità».
La lingua appunto: lo sloveno po naœen di Taipana, ma
anche tutti i dialetti sloveni che si parlano nella fascia orientale della provincia di Udine, da Tarvisio e Resia fino a
Prepotto.
Inevitabile, al riguardo, il riferimento «a quanto spesso viene
scritto su alcuni giornali della provincia – ricorda Gosgnach
—, dove si dice che i dialetti parlati non si capiscono tra
Valli del Torre e del Natisone, tantomeno con Resia. Sono
cose dette in assoluta malafede, senza alcuna base scientifica o letteraria. Tutti gli slavisti hanno da tempo convenuto che tutti i dialetti parlati nella Slavia friulana o Benecia
sono di origine slovena. Questo a qualcuno non piace perché confonde nazionalità con cittadinanza, confonde il piano
SLOVIT N° 5 del 31/5/10 pag. 20
politico con quello culturale. Così escono le teorie più strane di improvvisati paladini natisoniani o resiani».
Fatta questa precisazione, il relatore si rifà alla valenza letteraria e culturale della pubblicazione di Coos, dove gli
aneddoti sono riportati anche in sloveno po naœen, che
tradotto significa “a modo nostro”, la parlata più naturale
e immediata.
Lo sloveno po naœen era il mezzo espressivo orale di una
civiltà contadina e artigiana, legata alla concretezza e al
lavoro quotidiano, una realtà che non esiste più perché è
cambiato il modo di vivere. Rimase relegato all’oralità non
soltanto per il basso livello di istruzione della gente, ma
soprattutto a motivo della pressione politica che, secondo
una insensata prospettiva nazionalistica, ne vietava l’uso.
«Ecco perché – conclude Gosgnach – il libro di Coos assume una notevole rilevanza culturale in quanto fissa persone
e fatti nel loro contesto reale, dove la lingua esprime sicuramente appartenenza ed è segno identificativo della comunità di Taipana».
Gianpietro Carniato
(Dom, 31.5.2010)
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