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Ekkehart Krippendorff
LE COMMEDIE DI
SHAKESPEARE
IL REGNO DELLA LIBERTÀ
traduzione di Cesarina Wolf-Ferrari
Indice
Prefazione
IX
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
Introduzione. La commedia come regno della libertà
3
Commedia e democrazia: il libro scomparso di Aristotele,
p. 5 – La commedia come premio di liberazione dello spirito:
Hegel, p. 7 – Tragedia e commedia, p. 8 – Mozart – Shakespeare, p. 12 – L’amore e l’arte della comunità, p. 14 – Uomini – Donne – Giochi di ruolo, p. 18 – Il ruolo del pubblico, p.
23 – Classificazioni, p. 29 – Le commedie di Shakespeare e il
loro teatro: The Globe, p. 32 – Definizione finale, p. 40
1. Luogo d’azione: Efeso
The Comedy of Errors
2. La bisbetica
The Taming of the Shrew
3. Amicizia
The Two Gentlemen of Verona
4. «Una delle sue opere teatrali più perfette»
Love’s Labour’s Lost
5. La realtà dell’invisibile
A Midsummer Night’s Dream
6. Belmont vs Venezia
The Merchant of Venice
42
59
101
119
143
173
7. Davvero molto rumore per nulla?
Much Ado About Nothing
8. La foresta di Arden
As You Like It
9. «Niente che è lo è davvero»
Twelfth Night: or, What You Will
218
248
280
10. È tutto bene quel che finisce bene?
All’s Well That Ends Well
11. Giustizia o gioco di potere?
Measure for Measure
330
Epilogo
376
Note
Bibliografia
377
393
309
Prefazione
Comunicare è per l’uomo una necessità essenziale. Che
il messaggio incontri interesse e partecipazione è fattore
imprevedibile. I libri sono comunicazione, ma che vengano notati, ammucchiati come sono sui tavoli delle occasioni, questo è un altro discorso. Ogni libro nuovo che
prendiamo in mano ci strilla: «Comprami, leggimi, ho
qualcosa da dirti!». E noi, per lo più, già lo riponiamo,
perché il libro accanto ci chiama con parole un po’ differenti, ma con la stessa impellenza. E via così con quello
seguente… I libri non solo costano, ma ci richiedono anche qualcosa di ancor più prezioso del nostro denaro: il
nostro tempo. Con quali argomenti un autore può giustificare questa sua richiesta d’attenzione? Con la promessa
di comunicare qualcosa che arricchirà interiormente, così com’è successo a lui stesso nell’applicarsi a esaminare
la materia enunciata da titolo e sottotitolo di copertina: la
promessa di istruire mente, spirito e animo, di condurre
a nuove nozioni, a nuove scoperte, quelle cui lui stesso è
giunto e che ora intende spartire, comunicare ad altri.
Nel caso presente la scoperta si chiama Shakespeare.
Lui naturalmente non ha bisogno di essere scoperto,
lo conosce persino chi non ha mai visto una rappresentazione teatrale di un suo dramma, per non parlare di chi
non lo ha mai letto. Eppure le scoperte le fa soprattutto
X
PREFAZIONE
chi ha familiarità non solo con il suo nome, ma anche
con parte della sua produzione drammatica. La scoperta più importante consiste nel rendersi conto che nessuno è in grado di affermare di conoscere anche solo una
delle sue opere teatrali in modo tanto esaustivo che questa non possa più porgli nuovi interrogativi. Ciò vale ovviamente per ogni capolavoro e quindi anche Shakespeare è sempre più grande e più lungimirante di tutti i
suoi interpreti, sa sempre più di tutti i suoi esperti, da
quattro secoli offre a ogni giovane generazione l’opportunità di fare nuove scoperte, inesauribile fonte d’informazioni che sa fornire a chi gliele richiede. A dire il vero non ci rivolgiamo a Shakespeare stesso, bensì ai personaggi da lui creati e posti in situazioni in cui interagiscono, e questi non smetteranno mai di sorprenderci,
poiché nessuno può dire di un’altra persona e neppure
di se stesso di conoscerla e conoscersi fin negli anfratti
più reconditi della psiche. I personaggi di Shakespeare
non sono figure artificiali che acquistano vigore vitale solo attraverso l’attore. Essi vivono già nel loro linguaggio
e in esso si manifestano, complicati e contraddittori come noi tutti, qui e oggi.
Quindici anni fa l’autore di tali “informazioni su Shakespeare”, da politologo professionista, aveva interrogato il grande drammaturgo sulla sua posizione nei confronti della politica, delle tecniche del potere, della guerra e della pace, del dominio e della violenza, della fama
e della grandezza storica per sapere se fosse in grado di
insegnargli qualcosa. E lo fu. Politik in Shakespeares Dramen (1992)1 fu l’oggetto di tale indagine, dal quale risultò che il poeta possedeva in materia di politica nozioni
molto più profonde, complesse e critiche di quelle rappresentate dalla mia facoltà accademica attinente. Chi
comprende, dunque, ciò che Shakespeare ha da dire in
proposito, saprà riconoscere anche i plateali giochi di
PREFAZIONE
XI
potere, spesso indegni, che le nostre classi politiche, quasi in eterni ricorsi, presentano pavoneggiandosi sul palcoscenico mondiale. Distanziandosi maggiormente da loro, saprà scrutarli con intelligenza e anche con maggior
rabbia in corpo, e potrà risparmiarsi la lettura di buona
parte del suo quotidiano.
Il drammaturgo non aveva portato sulle scene solamente drammi storici, drammi romani e tragedie, ma anche commedie. Quanto a queste ultime ci si può chiedere se anche in tale genere egli avesse qualcosa da dire in
fatto di politica. Si potrà bussare anche in questo caso alla sua porta e chiedere ragguagli? Sì e no. Dipende dalle
domande, che, per essere fruttuose, dovranno essere poste in tutt’altri termini. Ho scoperto – e i risultati di questo mio approccio alla questione hanno superato ogni
mia aspettativa, la loro elaborazione tuttavia si è dimostrata estremamente ardua e di conseguenza è proceduta
molto lentamente – che le commedie sono in certo qual
modo il mondo opposto a quello della politica, che Shakespeare qui, in poche parole, porta sulla scena progetti
positivi di una comunità politica auspicabile, indicando
contemporaneamente vie d’uscita da una brutta realtà
che si riproduce ciecamente. Vi sono conflitti fruttuosi e
infruttuosi, conflitti che ci fanno avanzare e altri che ci
costringono a retrocedere; quelli delle commedie appartengono al primo gruppo. Non utopie, bensì tentativi
modello di un “tema con variazioni” in seno a società i
cui conflitti sono degni di essere vissuti e sopportati perché implicano una nostra crescita, di società affrancate
dalla sterile patologia del potere. Shakespeare, profondo conoscitore delle tecniche e dei meccanismi di dominio, non si limita a criticarli con asprezza e profondità,
ma sa essere anche efficace poeta dell’altra, migliore possibile alternativa. Questa scoperta non avanza pretese
d’originalità, tuttavia conta di offrire qualche nuovo
XII
PREFAZIONE
spunto a chi, incuriosito da tale ipotesi, consideri giusto
e utile verificarla.
L’autore ambisce e spera che anche senza una precedente conoscenza di queste opere teatrali, che dalla loro
nascita non cessano d’eccitare gli animi con immutata intensità, la lettura di questi capitoli costituisca un piacere
intellettuale e uno stimolo alla verità nella vita e in amore.
Tale lettura non può ovviamente sostituire quella dei testi
originali, con il suo supporto analitico può comunque renderla maggiormente proficua. Io stesso del resto ho imparato molto dalle copiose acute interpretazioni fornite dalla ricerca e dai colloqui con gli attori shakespeariani sul lavoro alle proprie parti e, per chi volesse controllare o per
gli entusiasti di Shakespeare che volessero approfondire la
materia, ho segnalato nella bibliografia le fonti da cui ho
attinto. Spero di essere riuscito a presentare questa materia poetica che trascende l’umano e il terreno – «We are
such stuff as dreams are made on» – in maniera esaltante e
leggibile, come essa merita. Attenzione, la “shakespearologia” può rendere dipendenti, fino a farci accostare alla
questione se lo Shakespeare storico fosse realmente l’autore delle sue opere…2 Queste sono costituite, oltre che
da 5 lunghi poemetti e da 154 sonetti, da 37 opere drammatiche, 14 delle quali nella prima edizione completa del
1623, nel cosiddetto “primo in folio”, furono dagli editori definite commedie accanto ai drammi storici e alle tragedie; oggi La tempesta, Il racconto d’inverno, Cimbelino e
Pericle vengono annoverate al genere dei romances o
drammi romanzeschi.
Delle dodici commedie ho tralasciato di trattarne una:
Le allegre comari di Windsor. Non era che un lavoro malriuscito, commissionatogli per la regina Elisabetta I, che
dimostra come anche uno dei più grandi personaggi comici mai esistiti perda sostanza una volta tolto dal suo
contesto originario: l’Enrico IV. Paradossalmente a di-
PREFAZIONE
XIII
stanza di tre secoli da tale soggetto fu tratto un libretto
(Arrigo Boito) che messo in musica può competere egregiamente con le opere del teatro di prosa: il Falstaff di
Giuseppe Verdi. È un miracolo del mondo dello spirito
che Verdi, questo gigante tra i grandi compositori operistici, ultranovantenne, abbia messo in musica una commedia di Shakespeare, considerandola il compimento
della propria carriera. Anch’egli aveva varcato la soglia
del “regno della libertà”.
Questi saggi sulle commedie di Shakespeare, che in
tutta modestia vi propongo nell’ordine cronologico di
stesura, si dimostrano anche idonei e utili nel prepararsi
ad assistere a uno spettacolo teatrale o a riconsiderarlo in
seguito, possiedono quindi anche un valore d’uso pratico, come l’autore osa sperare. Fortunatamente quasi tutte le commedie sono più o meno parte integrante dei repertori del paesaggio teatrale di lingua tedesca, a tutt’oggi estremamente ricco3.
EKKEHART KRIPPENDORFF
maggio 2006
Berlino
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
Dedicato con gratitudine allo
Shakespeare’s Globe
sotto Mark Rylance (1995-2005)
per le tante indimenticabili esperienze
in quello spazio divenuto patria spirituale di Eve,
la quale ha accompagnato la crescita
di questo libro con grande empatia e amore.
Introduzione
La commedia come regno della libertà
L’Illiria, la foresta di Arden, il bosco di Atene, il regno
di Navarra sperduto sui Pirenei, un paradiso terrestre
apparentemente fuori dalla realtà nell’hinterland veneziano chiamato Belmont, un’isola incantata del Mediterraneo, l’Efeso biblica, sino a un’enigmatica «Boemia sul
mare»: questi i luoghi magici e mistici, in bilico tra realtà topografica e parto virtuale della fantasia, in cui sono
ambientate le commedie di Shakespeare. La situazione
cambia nettamente per i drammi storici, romani e per le
tragedie che riproducono sul palcoscenico il nostro mondo realpolitico, così com’è e come è divenuto, con luoghi d’azione nettamente definiti: Venezia, Cipro, la Scozia, Roma, Alessandria, strade e palazzi nobiliari di Verona, il castello danese di Elsinore1. Le commedie invece trattano di un mondo differente, affrancato dalle tare
e dagli incubi del passato, di un mondo possibile.
Si è più volte discusso se il primo posto spetti alla tragedia o alla commedia. Se con ciò si vuole semplicemente
chiedere quale delle due tratti l’oggetto più nobile, non
c’è dubbio che sia la tragedia ad affermare la sua superiorità; se invece si vuole sapere quale delle due richieda
un autore più grande, ci si dovrà allora pronunciare a favore della commedia. Nella tragedia si verificano moltis-
4
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
simi eventi grazie all’oggetto, mentre nella commedia non
accade nulla in virtù dell’oggetto e tutto in forza del poeta [...]. Il poeta tragico è sostenuto dal suo oggetto, quello comico deve invece mantenere il suo oggetto all’altezza estetica in virtù della sua soggettività. Il primo deve
prendere uno slancio, e per questo non è poi necessario
un grande sforzo; il secondo deve rimanere uguale a se
stesso, deve quindi essere, ed essere a casa propria là dove il primo giunge soltanto con una rincorsa [...].
Produrre e conservare in noi una simile libertà dell’animo
è il compito bello della commedia, così come la tragedia
deve operare affinché si ristabilisca mediante l’estetica la
libertà dell’animo se questa è stata violentemente annullata da una passione. Nella tragedia, quindi, la libertà dell’animo deve essere eliminata ad arte e in via sperimentale, affinché dimostri la sua forza poetica ristabilendola;
nella commedia è invece necessario non giungere mai a
quella soppressione della libertà dell’animo. È per questo
che il poeta tragico considera sempre praticamente il suo
oggetto e il poeta comico teoreticamente [...]. Non la sfera da cui è tratto l’argomento, bensì il tribunale al cospetto del quale il poeta lo porta, lo rende tragico o comico. Il
tragico deve guardarsi dal calmo ragionamento e coinvolgere sempre il cuore; il comico deve guardarsi dal pathos
e intrattenere sempre l’intelletto. L’uno presenta quindi la
sua arte attraverso una costante eccitazione, l’altro allontanandola [...]. Se dunque la tragedia muove da un punto
più importante, si deve però riconoscere che la commedia
procede verso una meta più importante e, se la raggiungesse, renderebbe ogni tragedia superflua e impossibile.
La sua meta è identica a quella verso cui deve tendere
l’uomo, vale a dire liberarsi dalla passione, contemplare
sempre la realtà circostante con chiarezza e calma, rintracciare ovunque più caso che destino, ridere della stoltezza più che adirarsi e piangere per la malvagità.2
Schiller, come Mosè con la terra promessa, ebbe sola-
INTRODUZIONE
5
mente la visione di questo regno della libertà, del “caso”,
senza tuttavia mai accedervi, cioè non ha mai composto
una commedia. Tra tutti i grandi poeti solo uno vi è entrato con assoluta certezza: William Shakespeare. Oltre
a 5 lunghi poemetti e a 154 sonetti, ci ha lasciato 37 opere drammatiche; nella prima edizione completa del 1623,
accanto ai drammi storici e alle tragedie, 12 di queste
erano state classificate come commedie – tale genere fu
così denominato in antichità proprio da Aristotele, l’enciclopedico catalogatore di tutto lo scibile.
Commedia e democrazia: il libro perduto di Aristotele
La storia di questo genere letterario inizia già come
una vera e propria commedia, cioè con un equivoco. È
andata perduta proprio la seconda parte della Poetica,
dedicata all’analisi sistematica della commedia, cosicché
per risalire a una definizione di Aristotele di tale genere
non possiamo che affidarci alle poche annotazioni marginali del testo dedicato agli altri due generi, la tragedia e
l’epica, e queste sono per lo più misconoscenti e sprezzanti3. Ma rispecchiano realmente il giudizio che il grande maestro della filosofia e della teologia occidentali aveva espresso sulla commedia? Attorno all’enigma del testo scomparso Umberto Eco ha costruito il suo affascinante bestseller Il nome della rosa. Poiché una valutazione positiva di questo genere, ritenuto sovversivo e critico nei confronti dell’autorità, sembrava minare la posizione teologica della Chiesa, poiché la legittimazione ufficiale di una risata libera e liberatoria sul potere e sui
potenti insidiava gli interessi del loro ordinamento politico, poiché infine nella commedia era insito un potenziale rivoluzionario di emancipazione e di libertà, il fanatico monaco bibliotecario Jorge non aveva esitato a uc-
6
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
cidere chiunque si fosse messo alla ricerca di quest’ultimo esemplare, motivando come segue il suo agire: «Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella
festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto,
dunque controllabile. Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza –
ma la legge si impone attraverso la paura. Da questo libro deriverebbe il pensiero che l’uomo può volere sulla
terra l’abbondanza stessa del paese di Cuccagna. Ma è
questo che non dobbiamo e non possiamo avere»4. Alla
fine, frate Jorge lascia che l’intera biblioteca venga distrutta dalle fiamme piuttosto che permettere al mondo
la lettura di quel libro, morendo nell’incendio…
Nei pochi riferimenti alla commedia riscontrabili nella Poetica pervenutaci, Aristotele aveva fatto intendere
che la polis libera e autonoma sarebbe stata il terreno
ideale per la nascita della commedia: «I Megaresi ne vantano il merito, adducendo a ragione il fatto che sarebbe
nata lì nei tempi in cui vi vigeva la democrazia»5. Come
fa notare il curatore tedesco di un’edizione della Poetica,
a Megara, una città dorica della Grecia centrale in concorrenza con Atene nei secoli VI e V, «si andava fieri di
un passato “democratico”, cioè di un periodo di libertà,
favorevole alla nascita della commedia, intendendo con
ciò l’epoca successiva alla cacciata del tiranno Teagene
(seconda metà del VII secolo a.C.)»6. Portando oltre con
una punta d’ironia il ragionamento sviluppato da Eco,
forse la storia europea e anche mondiale avrebbe preso
un corso differente, più felice, se si fosse potuta orientare allo spirito libertario, trasgressivo, utopico, democratico e liberatorio della commedia, anziché alla visione
tragica di un mondo governato dalle inesorabili leggi e
dinamiche del potere, della hybris e del peccato…
La perdita della teoria aristotelica sulla commedia ha
impedito che questo genere, con la sua giocosa consape-
INTRODUZIONE
7
volezza di sé, acquisisse dignità letteraria (rinunciò fino a
Medioevo inoltrato a una forma scritta che avrebbe sancito e invigorito la sua tradizione), tuttavia non ha sbarrato la strada alle rappresentazioni comiche in occasione
di feste popolari, sulle piazze del mercato, nelle taverne e
nei più svariati luoghi di ritrovo, anzi, fino alla soglia del
nostro secolo la definizione professionale dell’attore era
quella di “commediante”. E come sarebbe stato possibile
altrimenti, se proprio nella mimesi, in questo ludico rispecchiamento imitativo delle relazioni umane, trova
espressione un bisogno primordiale di trascendere la costante imperfezione del presente, se nel gioco delle parti
si esterna l’anelito a liberarsi dalle costrizioni della vita
reale, trovando scampo in un regno della libertà, sia esso
anche solamente anticipazione fantastica. «Nessun altro
animale ride, eccetto l’uomo», sostiene Aristotele altrove
(Le parti degli animali). E il riso è liberazione.
La commedia come premio di liberazione
dello spirito: Hegel
Il regno della libertà: il più eminente studioso sistematico dell’era moderna che se ne sia occupato, il filosofo Hegel, conclude la sua ricostruzione enciclopedica del
cammino dello spirito umano attraverso tutte le sue manifestazioni estetiche, fino alla coscienza di sé in piena libertà, proprio con… la commedia! E non solo considerata come genere, cui egli attribuisce in assoluto la più
alta dignità tra tutte le creazioni dello spirito umano, risarcendoci più che mai della perdita del testo aristotelico, bensì in particolare con la commedia di Shakespeare, che egli considera «brillante esempio di tale sfera»7.
Hegel termina il capitolo finale della sua Estetica, dedicato a tale genere, in questo modo: «Nell’arte, infatti,
8
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
non abbiamo a che fare con un congegno ludico puramente piacevole o utile, bensì con la liberazione dello
spirito dal contenuto e dalle forme del finito, con la presenza e la conciliazione dell’assoluto nel sensibile e nel
visibile, con un’estrinsecazione della verità che non si
esaurisce nella storia naturale, bensì si rivela nella storia
universale, di cui essa stessa costituisce la pagina più bella e la migliore ricompensa per il duro lavoro nel reale e
per le aspre fatiche della conoscenza». La commedia, la
commedia di Shakespeare, come compimento della storia universale, come ricompensa al duro lavoro di liberazione dello spirito: è concepibile una visione più bella e
più grande? Se paragonati a questa appaiono alquanto
modesti i tentativi, qui esposti, di evidenziare, mediante
caute interpretazioni, alcune delle promesse celate in
questi testi, facendo uso degli strumenti imperfetti forniti da una prosaica analisi fondata sulle scienze sociali.
Per mettere meglio a fuoco le peculiarità di questa forma artistica che simboleggia il regno della libertà dello
spirito, attenendoci al tradizionale metodo di classificazione aristotelico, è dapprima necessario confrontarla
con il suo opposto, la tragedia, criterio cui si è attenuto
naturalmente anche Friedrich Schiller.
Tragedia e commedia
Nella tragedia e nella commedia si contrappongono
due atteggiamenti nei confronti del mondo, due possibilità dell’essere al mondo, due cosmologie contrarie: destino
(imposto da Dio) contro libertà (raggiunta dall’uomo in
piena autonomia) e, in ultima analisi, anche due tempi
verbali: un passato concluso, infelice, poiché le sue promesse sono rimaste inadempiute, ormai irrimediabile, e un
futuro aperto e malleabile, più felice, la cui possibilità è
INTRODUZIONE
9
idealmente anticipata dall’azione scenica. «Il teatro è riflessione attiva dell’uomo su se stesso. Ogni rappresentazione del passato è una tragedia nel vero senso della parola, ogni rappresentazione di ciò che sarà del futuro è commedia» (Goethe a Riemer). La tragedia mostra l’uomo come singolo individuo, «combattente solitario» contro le
avversità e i pericoli di questo mondo – «Whether ’tis nobler in the mind to suffer / The slings and arrows of outrageous fortune, / Or to take arms against a sea of troubles, /
And by opposing end them» (Amleto) –, e se persegue da
solo la propria realizzazione o quella dei suoi progetti, dovrà necessariamente fallire. Uno contro tutti non può aver
successo, il fallimento dell’eroe tragico è ineluttabile. La
volontà coraggiosa, per quanto grande e nobile essa sia,
non può che spezzarsi contro la potenza superiore del destino. La coscienza della propria debolezza e l’ammissione dei propri errori giungono di regola troppo tardi: la hybris dell’infallibilità e la presunzione della propria grandezza rendono ciechi, la forte volontà diviene inevitabilmente volontà folle, l’eroe non riesce più a gestire il proprio destino, anzi è lui a essere guidato da forze irresistibili e pressoché segrete che lo conducono all’autodistruzione o comunque a una morte violenta.
A patire una sorte tragica, a essere colpiti da cecità, sono
sempre e solo personaggi maschili: la cosmologia tragica si
fonda allo stesso tempo su una cosmologia maschile e patriarcale. La loro realtà è assenza totale di libertà, ammantata da una parvenza di libero arbitrio. A Wallenstein, che
come la maggior parte degli eroi tragici crede nei segni del
destino e viene illuso da indizi male interpretati, Schiller fa
pronunciare le seguenti riflessioni: «Che possa essere? Che
io non possa più come vorrei? Non più tornar indietro come amerei? Dovrei compiere l’atto, avendolo pensato, non
avendo cacciato via la tentazione… Solo per me lasciai
aperte le vie?» (La morte di Wallenstein, I, 4). Non a caso,
10
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
dunque, i contenuti della tragedia moderna sono per lo più
di natura storica, come del resto quelli dei loro grandi modelli classici erano tratti dal fondo di vicende primordiali,
tramandate come miti: qui sappiamo sempre che cosa è
successo, che l’inesorabilità storica ha apportato fama postuma ai suoi grandi personaggi, condannandoli però a
soccombere quand’erano ancora in vita. Per questa ragione
la tragedia è anche la forma drammatica maggiormente
adottata per trasmettere contenuti monarchici, autoritari,
assolutistici e comunque “non democratici” – esemplari in
tal senso le grandi tragedie francesi di Corneille e Racine
sullo sfondo della Versailles imperiale. Alla fine della tragedia, come dice Amleto, regna il «silenzio»; alla chiassosa e festosa fine della commedia, invece, si combinano matrimoni e si dà spazio a una nuova generazione sul palcoscenico della vita.
La tragedia è retta dall’inesorabile logica di condizioni
e di leggi oggettive – la commedia sorprende rendendo
possibile e reale l’inverosimile. Una fine violenta è nella
tragedia la condizione necessaria a far ricominciare la vita
da capo, la commedia illustra la capacità umana di apprendere e di migliorare. «Nella commedia il destino si
trasforma in libertà»8. Materia della tragedia è la ricca empiria della storia; l’autore di commedie (non di Lustspiele
che vanno nettamente distinti dalle prime!) deve sviluppare la materia dalla sua libera fantasia, non può trovarla
in nessun luogo nella realtà essendo essa «espressione di
un’ultima libertà spirituale»9, anzi prodotto della libertà
stessa. Nella commedia, dunque, per citare nuovamente
Schiller, «il nostro stato d’animo è calmo, chiaro, libero,
sereno. È questa la condizione degli dèi che, non preoccupati di alcunché di umano, liberi, sovrastano il tutto, indifferenti ad ogni destino, da nessuna legge vincolati»10.
E non per ultimo, per questo motivo la commedia, cominciando dal suo primo e più grande rappresentante an-
INTRODUZIONE
11
tico, Aristofane, è «poesia nella sua forma più democratica, suo principio fondamentale, infatti, è accettare il rischio di anarchici scompigli, piuttosto che sacrificare l’interdipendenza e i privilegi delle sue singole componenti:
versi, caratteri, perfino pensieri isolati, inganni e illusioni, che ruotano tutte sul cardine della libera volontà» –
così Edith Sitwell in un’annotazione per una conferenza
su Shakespeare11. Se alla fine della tragedia sta la morte,
alla fine della commedia sta la vita, o meglio, una vita
nuova, in Shakespeare sottoforma di happy end matrimoniale. Se nella tragedia l’eroe accecato dalla hybris acquista troppo tardi coscienza dei propri errori, nella commedia non è mai troppo tardi per percepire qualcosa di
nuovo, cambiare prospettiva, correggere un errore. Se il
personaggio principale della tragedia è un eroe solitario, i
protagonisti della commedia sono sempre circondati da
amici, immersi nel flusso della società. L’eroe tragico può
avere parenti, i personaggi della commedia hanno amici
e vicini. Il primo è regolarmente di sesso maschile, nelle
commedie sono invece per lo più le donne a prendere
l’iniziativa, a dare una svolta agli eventi, a dimostrare
maggiore sensibilità, buon senso e maturità emotiva. Nella tragedia, l’uomo, a dispetto delle proprie illusioni, non
ha alcun controllo sul corso del mondo e degli eventi in
cui è coinvolto; i suoi piani falliscono o gli sfuggono di
mano. Nella commedia trionfano la fantasia umana e
l’immaginazione, la creatività nell’escogitare nuove strategie e sistemi, la libertà del pensiero pratico. Essa non
celebra il grand’uomo, l’eroe, ma la comunità di donne e
uomini, sempre in pericolo e quindi sempre da reinventare. Il grande personaggio isolato, ogni ostinato individualismo fallisce tragicamente; la commedia mostra come sia necessaria e anche possibile la convivenza in seno
a una comunità, come persone diverse, nonostante i loro
difetti, capricci, le loro manie e idiosincrasie possano e
12
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
debbano vivere le une con le altre. Con spirito, fantasia e
saggezza essa presenta in diverse variazioni «insegnamenti nell’arte della comunità».
Mozart – Shakespeare
La commedia ha raggiunto il suo più alto compimento
nelle opere di Mozart, che, come sostiene lo studioso di
sociologia della musica Thrasybulos Georgiades, sono simbioticamente affini a quelle di Shakespeare: «La commedia non si fonda su grandi personaggi, non conosce “eroi”.
I suoi titoli: Sogno di una notte di mezza estate, La dodicesima notte, La tempesta, La bisbetica domata, fanno riferimento a una situazione, un ambiente, un’azione. Essi contraddistinguono già la struttura della commedia come un
qualcosa che proviene primariamente dalla comunità. Nella collettività l’uomo non appare come grande personaggio, direi non in primo luogo come qualcosa di “assoluto”,
bensì nelle sue “relazioni” con gli altri. La collettività è un
sistema di correlazioni. Lo stesso vale anche [...] per la
musica. La struttura della commedia e la struttura musicale sono affini, l’una è la riproduzione dell’altra»13. Ciò
che Georgiades espone in seguito sulle opere di Mozart,
come progetto opposto alla cosmologia della tragedia, vale in pratica senza alcuna riserva anche per le commedie di
Shakespeare – soprattutto per La dodicesima notte, Pene
d’amor perdute e Sogno di una notte di mezza estate –, la cui
somma musicalità è stata da tempo riconosciuta sia dalla
critica letteraria che da grandi compositori. Nel passo che
segue potremmo sostituire tranquillamente a «teatro di
Mozart» la «commedia di Shakespeare»: «L’insieme mozartiano [...] rappresenta la comunità umana, essendo esso un teatro genuino e un teatro concepito partendo dalla
musica. La tragedia come teatro di prosa e il teatro genui-
INTRODUZIONE
13
no-musicale così come Mozart lo ha realizzato sono due
pilastri portanti della creazione umana sul palcoscenico: la
tragedia per quel che concerne l’individuo e il teatro di
Mozart per quel che concerne la comunità. Voler comprendere il teatro di Mozart e quello di prosa partendo dai
loro personaggi non può che fuorviare da ciò che è essenziale. Da un confronto tra la tragedia e il teatro di Mozart
che valutasse solo la grandezza dei personaggi, la tragedia
risulterebbe ovviamente vittoriosa. Il personaggio di re Lear è superiore al personaggio di Figaro. Certo, anche nel
teatro di Mozart esiste qualcosa di simile a dei “caratteri”,
ma solo secondariamente. Di primaria importanza è la
struttura originata dalla comunità, è lo “spazio” creato dall’uomo che domina l’azione teatrale». Solo apparentemente il Don Giovanni non rientra in questo schema – apparentemente il suo protagonista assoluto è provvisto di
quasi tutti i requisiti classici della figura tragica, personificando lo straordinario, il singolo contro il mondo intero,
la hybris, il disprezzo verso la società, la fine ineluttabile e
violenta; al termine di questo “dramma giocoso”, però, a
trionfare è la comunità ricostituita della gente normale,
semplice, mediocre, che nel sestetto finale supera a mo’ di
commedia il potenziale distruttivo e demoniaco di una visione e di una prassi del mondo tragiche. I finali delle
commedie di Shakespeare sono quasi esclusivamente finali d’insieme e dal 1997, anno in cui sono stati reintrodotti
nella pratica teatrale del nuovo Globe Theatre londinese i
revels, queste feste gioiose della compagnia comica, che,
felice dello spettacolo ben riuscito, con balli e musiche e
con la sua euforia contagia il pubblico che applaude, regalano emozioni indimenticabili (non traducibili in parole) e fanno intuire un possibile brave new world, un eccellente nuovo mondo.
Per altro posso qui anticipare che l’happy end delle
commedie shakespeariane, come anche quello delle ope-
14
LE COMMEDIE DI SHAKESPEARE
re di Mozart, non è privo di ombre, di punti interrogativi,
di dubbi e di offese. Non tutti festeggiano insieme con gli
altri l’ordine stabilito (o ristabilito): Malvolio (La dodicesima notte) abbandona la felice comitiva con propositi di
vendetta e una maledizione sulle labbra; Shylock (Il mercante di Venezia) umiliato e con l’animo infranto, continua a essere l’unico escluso dalla comunità dei cristiani,
a prescindere da una conversazione forzata; il caporale, il
cancelliere e la guardia che avevano scoperto il complotto fatale in Molto rumore per nulla non vengono neppure
invitati alla festa nuziale; Lucio viene maritato a forza con
una prostituta e Isabella, alla richiesta di matrimonio del
duca, tace (Misura per misura); le lagnanze del vecchio
Egeo, comprensibili dal punto di vista soggettivo, che
danno avvio al Sogno di una notte di mezza estate, alla fine
non ricevono soddisfazione; ed è prevedibile che non tutti i matrimoni festeggiati con tanto fasto e solennità produrranno coppie felici. Anche quest’ambivalenza, questo
scetticismo realistico, nonostante l’innegabile ottimismo
cosmologico, accomuna i finali delle commedie di Shakespeare alle opere di Mozart.
L’amore e l’arte della comunità
Uno dei temi centrali della commedia è la ricerca del
partner ideale in amore e nella vita. A cercare veramente
sono soprattutto le donne. Gli uomini si innamorano,
spesso con una buona porzione di narcisismo, le donne
invece amano e, a differenza degli uomini, sono perfettamente consce della complessità, dei rischi esistenziali e
dei pericoli dell’amore. Esse agiscono con maggiore maturità, prudenza, intelligenza, ordiscono complotti, operano con saggezza, pur occupando una posizione sociale
più debole14. Viola (La dodicesima notte), Rosalinda (Co-
INTRODUZIONE
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me vi piace) o Beatrice (Molto rumore per nulla) resteranno impresse nella nostra mente per molto tempo, anche
dopo la rappresentazione, molto meno invece il duca Orsino, Orlando o Benedetto, personaggi molto pallidi a
confronto. Quasi sempre le donne sulla scena sono più
interessanti, più complicate, ma anche più amabili degli
uomini, più spiritose, più fantasiose e più poetiche. Ciò
denota in Shakespeare sistema e metodo, infatti il confronto con le fonti letterarie di alcune sue commedie – La
commedia degli errori, La bisbetica domata, Tutto è bene
quel che finisce bene – evidenzia che di regola le parti
femminili sono fortemente ampliate e psicologicamente
approfondite15, e solo invano si cercheranno tra i suoi colleghi drammaturghi contemporanei figure femminili di
pari peso e formato16; esse infatti, come tutti i personaggi
di Shakespeare, sono persone in carne e ossa, non sono
figure costruite artificialmente, bensì capolavori d’autoriflessione umana al più alto livello di consapevolezza.
Nel suo linguaggio incomparabile – è necessario leggerlo
più volte lentamente! – Hegel ha cercato di descrivere così tale fenomeno: «Più Shakespeare s’inoltra nell’infinita
vastità del suo teatro universale anche fino agli estremi
del male e della scempiaggine, più egli stesso, a questi
estremi confini, fa sprofondare i suoi personaggi, tuttavia
non senza provvederli di ricchezza poetica nella loro limitatezza, anzi conferendo loro spirito e fantasia li rende
liberi artefici di se stessi, attraverso l’immagine nella quale essi con visione teoretica si osservano oggettivamente
come un capolavoro d’arte, e con il pieno vigore e la fedeltà della sua caratterizzazione sa risvegliare il nostro interesse per i delinquenti come per i più vili e bassi zoticoni e folli»17. A chi cercasse prove vive e affascinanti che
avallino tale osservazione, sia consigliato Players of Shakespeare sul lavoro alle parti degli attori della Royal Shakespeare Company (RSC), che appare dal 198518.
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il crollo pp. 320 - 10 righe dai libri