Atti del seminario 29 novembre 2007 Sindrome di Down IL TERRITORIO: RIFLESSIONI A PIU’ VOCI A cura delle operatrici del Centro Documentazione per l’Integrazione – CDI del Consorzio Servizi Sociali Dei Comuni di Ravenna, Cervia, Russi e Azienda USL Anna Allegri Franca Olivi Mirella Mosconi – Responsabile UO Formazione/Sistema Qualità/URP/CDI La pubblicazione è a disposizione presso il CDI Sede Legale: Piazza Caduti per la Libertà, 21 – Ravenna Tel. 0544 249128 Fax 0544 249149 E-mail: [email protected] Siti Internet: www.sindrome-down.it e www.cdi.ra.it La presente Documentazione è frutto della sbobinatura/videoregistrazione della giornata seminariale. Ci si scusa per imprecisioni dovute al passaggio dal codice comunicativo/verbale al codice scritto. Si fa presente inoltre, che per problemi tecnici di mancata registrazione, non sono riportati due interventi della Tavola Rotonda del pomeriggio. Per la sbobinatura si ringraziano Elisa Neri e Jessica De Simoni tirocinanti dell’IPSSCT “Olivetti” Ravenna. Ravenna ottobre 2008 2 3 Sindrome Down, il Territorio: riflessioni a più voci Renzo Vianello Questi eventi avvengono perché c’è qualcuno che aiuta a pensarli, di solito le persone che aiutano in questo senso sono di due tipi: le autorità che rappresentano Enti, Associazioni, e così via, poi ci sono le persone che operativamente fanno le prassi, una giustissima prassi. Darei innanzitutto la parola alle autorità, e per primo al presidente del Consorzio Servizi Sociali, il senatore Aldo Preda, a cui chiedo di rendere testimonianza dell’impegno che c’è stato a questo proposito. Grazie. SALUTO DELLE AUTORITA’ Aldo Preda - Presidente Consorzio Servizi Sociali Intanto grazie a tutti quelli che sono presenti, soprattutto agli operatori e ai rappresentanti della famiglia. Giustamente, come lei diceva, c’è una continuità nell’impegno, io credo che questa continuità sia la dimostrazione di questo incontro, di questa riflessione, perché questo è il terzo appuntamento del Consorzio dei Servizi Sociali di Ravenna sulla sindrome di Down. Ricordo che l’anno scorso questo avvenimento era allegato alla proiezione di un cortometraggio. Quest’anno alla mostra. Anche questo è un avvenimento abbastanza importante perché è la rappresentazione di quello che è stato fatto nella nostra regione e in questo nostro distretto sul problema della disabilità. Giustamente il titolo di quest’anno richiama il territorio, il legame con il territorio, che cosa significa questo territorio? Ecco, io credo che si veda anche nell’organizzazione della Mostra, il dott. Mazza della Regione ha fatto secondo me un discorso importante sottolineando come ci dev’essere un coinvolgimento del territorio, della comunità. Io ricordo che l’anno scorso portando il saluto, alla seconda edizione di questo convegno, citavo un proverbio africano che dice: “per far crescere un bambino è necessario un intero villaggio”. Questo proverbio africano non dice ci deve essere un’istituzione, dice ci deve essere l’intero villaggio. Credo che questa riflessione sul nostro territorio, con gli operatori e con i rappresentanti dell’associazionismo, sia importante perché, molte volte noi tutti auspichiamo che ci siano interventi economici in alcuni settori, in tutti i settori sociali, credo che questo sia importante ma non sufficiente. Occorre un coinvolgimento continuo degli operatori, dell’Ente pubblico, dell’istituzione, anche a livello culturale di tutta la Comunità, di tutto il villaggio, questo villaggio, che è il nostro distretto, i comuni di questo distretto, un coinvolgimento delle famiglie interessate. Fortunatamente in questo distretto le famiglie interessate sono organizzate e dovrebbero essere sempre più organizzate, e inoltre un coinvolgimento di tutto il modello delle associazioni, del volontariato, quindi non solo dell’istituzione. Molte volte pensiamo molto ai diritti, poco ai doveri e pensiamo poco ai diritti di chi non ha voce, di chi non è potente, di chi non si presta a gesti clamorosi, molte volte in questa nostra società contano i gesti clamorosi. Molte volte il settore della disabilità è un settore che non ha voce. Renzo Vianello È molto bello questo proverbio no? Si può immaginare, vedere, e non si vede certo un’istituzione ma delle persone che si muovono. Ecco, credo sia molto giusta questa riflessione di dire “siamo un territorio”; mi sono chiesto la mia funzione in questo contesto, ecco forse io ho anche la funzione di far si che questo villaggio, questo territorio tenga conto anche di cosa succede al di fuori di questo villaggio di questo territorio, le esperienze e le conoscenze che vengono dal di fuori, avendo appunto il compito di dare una visione un po’ generale. Pericle Stoppa – Assessore ai Servizi Sociali Comune di Ravenna Sono ben lieto di portare il saluto dell’amministrazione comunale a questo importante seminario, il terzo se non sbaglio, promesso dal Consorzio Dei Servizi Sociali della nostra città, e quindi ringrazio, le persone che si sono adoperate che seguono queste attività di sensibilizzazione. 6 Solidarietà. Ecco io parto da questa parola, che per noi ha un valore straordinario, che guida l’attività della nostra amministrazione comunale. Solidarietà, è più di un impegno politico o di un impegno amministrativo, è qualcosa che appartiene alla nostra sensibilità, alla nostra cultura e quindi, siamo ben consapevoli della portata di questa parola. Io credo che questa sensibilità si è molto estesa nella nostra comunità, mi riferisco in particolare alla presenza molto attiva di diverse forme di volontariato che dà una mano importante al servizio pubblico per affrontare problemi. Per quanto riguarda il pubblico, devo dire che fa molto, fa tutto quello che può, cito ad esempio la Regione che ha messo in campo un’iniziativa molto importante con delle risorse significative per affrontare la non autosufficienza e stiamo proprio lavorando in questi mesi per attuare progetti innovativi. Stiamo ragionando proprio in questa settimana di bilancio. Per il prossimo anno, abbiamo sicuramente difficoltà ma, la nostra intenzione è addirittura di incrementare le spese per due settori: il settore dell’infanzia ma anche il settore dei servizi. Il volontariato abbiamo detto che fa molto, abbiamo bisogno del privato sociale, del privato religioso, delle fondazioni bancarie e anche del mondo dell’imprenditoria. Gli imprenditori fanno alcune cose per le attività sociali, ancora poco probabilmente perché non c’è un immediato ritorno d’immagine, dobbiamo lavorare in questo settore per avere qualche risorsa. provincia che sono consorziate nel progetto AGAPE. Il progetto prevede che alcuni servizi del comune siano affidati proprio a queste cooperative per l’inserimento lavorativo dei disabili e delle persone svantaggiate. E’ un primo passo in questa direzione ma, noi sappiamo che dobbiamo fare di più, dobbiamo sicuramente puntare ad una integrazione sia con iniziative di sensibilizzazione come questa, ma soprattutto di sensibilizzazione nella scuola. Mi fa piacere vedere nella sala molti insegnanti e questo è un dato positivo perché è appunto nel mondo della scuola, con le istituzioni, con la famiglia che possiamo far crescere la cultura dell’integrazione e una sensibilità nei confronti delle persone che hanno qualche problema. Io credo che lavorare nella scuola sia utile, sia utile fra i giovani per far crescere una società dove tutte le persone abbiano uguale diritti e doveri. Per quanto riguarda la disabilità io credo che i servizi messi in campo siano abbastanza efficienti c’è un buon livello di servizi. In questi giorni stiamo cercando qualche risorsa per incrementare il servizio trasporti per i disabili che nella nostra realtà ha qualche lacuna. C’è da lavorare, sulla normalità, sulla normalità anche per quanto riguarda la disabilità perché bisogna valorizzare la personalità anche di chi è diversamente abile, non separarlo, e di dare a tutti, opportunità di relazioni, di inserimento. Il problema del lavoro, questo è un campo molto importante perché il lavoro è dignità. Stiamo lavorando perché le cooperative sociali di tipo B possano veramente incrementare la loro attività. Proprio due giorni fa come Giunta Comunale abbiamo trovato un accordo con le 19 cooperative di tipo B della nostra Alberto Minardi – Direttore Distretto Renzo Vianello: Grazie è stato un intervento con vari spunti, mi permetto di commentarlo io. A volte usiamo molto spesso il termine solidarietà tanto che non ne ricordiamo più il significato perché quando si usano tante volte le parole diventano altro. Mi piace sottolineare che solidarietà vuol dire equità non solo giustizia aritmetica e non solo ripartizione, ci ricorda che dobbiamo andare verso la distribuzione delle risorse ma a seconda dei bisogni e non a seconda delle teste. Sanitario di Ravenna Sono responsabile del Distretto veramente da poco tempo, soltanto dal 5 di novembre e la prima cosa che vorrei dire è che quando si fa un saluto in genere chi parla per terzo o per quarto non ripete le cose già dette, io invece ripeterò le cose già dette perché fondamentalmente le condivido e non penso che bisogna inventarsi d’altro e parlare d’altro quando in realtà il centro della questione è proprio quella che qui è già stata presentata dai due interventi che mi hanno preceduto. Declinerò questi concetti con qualche spunto di carattere sanitario, io sono un medico, lavoro nella sanità pubblica, credo che un paese evoluto e civile abbia la necessità di un sistema sanitario qualificato e anche pubblico purché non significhi 7 corrispondere veramente a quei principi che qui sono stati precedentemente richiamati quelli della solidarietà, dell’equità, dell’equità d’accesso, senza di ché evidentemente poco importa se il sistema sia pubblico o privatistico. Fondamentalmente dobbiamo leggere i risultati di un sistema, gli esiti e non avere gli occhiali dell’ideologia. Ciò detto io difendo il sistema sanitario pubblico nel quale sono impegnato ormai da venti anni e sullo specifico sui temi dell’integrazione sociale e sanitaria, sui temi della disabilità dirò pochissime cose. La prima, che mi preme sottolineare, è che la sanità mai come in questo momento è fortemente chiamata ad un processo di radicale trasformazione e cambiamento. Trasformazione e cambiamento proprio se vuole corrispondere ed adeguarsi a quelle necessità a cui i bisogni di equità, di pari opportunità che le persone oggi esprimono. Il mondo, intanto che stavamo parlando, è cambiato si è trasformata la struttura sociale anagrafica della popolazione, la sopravvivenza delle persone è oggi garantita in maniera molto maggiore che nel passato, malattie croniche che nel passato non erano presenti, oggi si affrontano. Se parliamo nello specifico per esempio della disabilità sappiamo che noi in sanità siamo in condizione di fare sopravvivere bambini che nascono alla ventiquattresima settimana, e che hanno 600/700 grammi di peso ma che naturalmente nel corso della loro evoluzione porteranno con sè anche dei problemi di carattere fisico e richiederanno un impegno a quelle famiglie a cui faceva riferimento prima l’assessore, e della comunità a cui faceva riferimento il senatore quando citava un proverbio africano sul fatto che i bambini non sono allevati soltanto dalla famiglia ma anche dalla comunità. Quindi noi abbiamo uno scenario profondamente diverso. Da che cosa si caratterizza questo scenario? Dal fatto che la mano medica, cioè l’intervento sanitario in quanto tale, da solo ben difficilmente è in grado di dare una risposta completa, organica e complessiva a queste nuove condizioni di salute. Questo è un punto che la sanità, nel suo complesso di medici ma anche infermieri di altri operatori che sono condizionati da uno specifico professionale molto forte, stentano a comprendere, io lo dico in maniera schietta ed evidente. I medici continuano a pensare che il fondamento di tutto sia la qualità dell’intervento specifico, il chirurgo è concentrato sul gesto tecnico in sala operatoria. Ma se a questo gesto tecnico magari straordinariamente ben fatto non si accompagna un percorso di dimissione ospedaliera programmata e pianificata che conduca l’anziano a casa ad essere gestito in maniera integrata, questo non è più un problema del chirurgo, e questo è un elemento di contraddizione intrinseca alla sanità per come è fatta oggi. Dentro tale contraddizione ci troviamo continuamente a discutere e a portare una nuova cultura innovativa che ha bisogno naturalmente di rafforzarsi e di diventare credibile. Questo era il primo punto: l’integrazione è una necessità impellente, inderogabile, cioè dare risposta all’altezza dei problemi vuol dire in qualche modo collocare la parte clinico/medico/sanitaria accanto alla parte assistenziale senza che ci sia una risposta monca, impersonale, inadeguata ed inefficace; questa è una questione di cui bisogna prendere atto in maniera cosciente e razionale. Dopo di che il problema è quale risposta abbiamo quando pensiamo a modelli di integrazione sociale e sanitaria, io credo che un punto, (non dico nulla di nuovo perché è già stato detto questa mattina) è proprio quello di pensare a delle risposte che non siano uguali ovunque nei vari territori, nei vari contesti ma che si radichino sui territori di riferimento comprendendo che una risposta che va bene a Ravenna non va bene a Torino, o a Piacenza o a Caltanisetta, perché c’è uno specifico sul quale bisogna costruire lì tenendo conto di come è strutturata la società, di qual è il movimento cooperativo, di qual’è il movimento imprenditoriale, di quali sono le specificità operative, il lavoro. Il lavoro: allora per il lavoro noi dobbiamo capire per aprire con gli imprenditori, con le strutture un discorso completo e operativo che porti a quelle risposte che vogliamo costruire. Infine c’è, se mi consentite, una questione alla quale io assegno una grande importanza che è la questione del linguaggio. Io credo che abbiamo bisogno di parlare con la gente, con le persone un linguaggio più comprensibile, lo dico ai sanitari ma da questo punto di vista neanche il mondo del sociale è esente, 8 abbiamo bisogno di usare parole semplici, lavoro, casa, amicizia, hobby. Abbiamo bisogno di parlare di cose che le persone maneggiano e comprendono con estrema facilità e quando costruiamo i progetti abbiamo bisogno persino di banalizzare questi progetti, se vogliamo essere coerenti con la nostra impostazione, con il nostro impulso, la nostra volontà emotiva di costruire le cose veramente, per essere più vicini alle persone, perché anche la questione del linguaggio è una questione rilevante. Non possiamo usare delle parole da tecnici, l’efficienza, la personalizzazione, sono astrazioni, noi dobbiamo fare uno sforzo per parlare il linguaggio che parla mia mamma, mia nonna, e quindi da questo punto di vista io chiedo sempre agli operatori e ai tecnici uno sforzo in questa direzione, qualche volta è difficile parlare questo linguaggio perché “abbassandosi”, se mi consentite, al livello delle persone si rischia di perdere in qualche modo autorevolezza, si rischia di mettersi in discussione. Questo è proprio il punto rilevante che noi dobbiamo avere dei servizi, quello di andare a parlare con la gente, di parlare il loro linguaggio così che sentano che i servizi sono i loro servizi, non solo dei servizi fatti da “un’altra parte” per altre persone. Allora da questo punto di vista voglio concludere con un’immagine che è anche una provocazione, tutti gli operatori in sala, sanno il valore ce ha l’ippoterapia nella sindrome di Down, probabilmente pochi sanno, che attualmente dal punto di vista tecnico meglio dell’ippoterapia c’è l’onuterapia, cioè è la stessa cosa fatta con l’asino, l’asino è un animale straordinariamente empatico. Ecco una parola da non usare con le persone, noi addetti ai lavori le possiamo usare perché sappiamo cosa vuol dire. L’asino è un animale amico, è un animale affettuoso e può effettivamente consentire gli stessi percorsi che sono riabilitanti per quello che riguarda l’ippoterapia in un modo migliore e più amicale. Bene, il problema fondamentale è di capire per esempio se in un territorio ci sono gli asini, se ci sono gli allevatori di asini, se si può costruire qualcosa nelle fattorie con questi animali. Pensate se vado a fare un ragionamento di questo tipo con un cardiochirurgo, pensate cosa potrà pensare di me (che sono impazzito) eppure se guardate con gli occhi di quella famiglia, e della felicità che possiamo donare, a quel bambino, ecco probabilmente operiamo la missione che dobbiamo avere nel nostro lavoro. Renzo Vianello bene, innanzi tutto mi permetta Direttore, di congratularmi per l’energia e la grinta con cui sta cominciando il suo lavoro, e anche l’entusiasmo che riesce a dare. Mi permetto due piccole note, avete visto che cerco svolgere il mio ruolo di coordinatore facendo anche dei commenti, penso non inutili perchè servono per pause, per riflettere, dare contenuti interessanti. Per esempio nell’intervento precedente mi sono annotato, disabilità, integrazione, non è mai finita ci sono sempre nuove sfide. L’esempio dei bambini prematuri, ci è stato ricordato, è vero noi riusciamo a mantenerli in vita ma , quali sono le implicanze sul piano dello sviluppo generale, tra cui lo sviluppo neuro psicologico e così via, non è mai finita, sempre nuove sfide. L’altra cosa che mi sono annotato è “niente solisti, servono orchestre”, ecco mi sembrava un bel modo di dire, non si può agire semplicemente da soli. Luigi Mazza Direzione generale Regione EmiliaRomagna: sanità e politiche sociali. Area dei servizi socio-sanitari. “Dal deficit alla partecipazione” L’iniziativa di oggi rientra nel programma di attività sostenuto anche dalla Regione Emilia Romagna e realizzato dalla rete dei Centri di Documentazione per l’integrazione. Tale rete mette insieme tutti i Centri di Documentazione che da lungo tempo operano nella nostra regione e che fanno riferimento principalmente ai comuni capoluogo. Noi sosteniamo questa rete, all’interno della legge 2/2003, quindi all’interno del sistema integrato degli interveti dei Servizi Sociali. Quest’anno abbiamo voluto promuovere due iniziative. Entrambe si realizzano a Ravenna in questi giorni, una è il ciclo di seminari dedicati ai deficit di cui questo è il primo; è dedicato alla sindrome di Down (ne seguiranno altri che vedete descritti nel programma che si trova nella carpetta). Un’altra iniziativa molto importante è quella della Mostra itinerante che ricorda la 9 storia dell’integrazione nella nostra Regione, quindi nel titolo che ho voluto dare alla mia relazione “Dal deficit alla partecipazione” c’è il senso di queste due iniziative: la mostra segna un percorso che ha cambiato sostanzialmente la cultura con cui tutti noi ci rapportiamo alla disabilità. Era ricordato anche prima dal Direttore del Distretto dell’AUSL, la necessità di una cultura che come dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità si deve incentrare sull’approccio bio-psico-sociale quindi una visione più ampia di sostegno alla cittadinanza, alla promozione della partecipazione. In questo senso ci deve essere, come dice l’Organizzazione Mondiale stessa, un approccio bio-psicosociale, cioè un approccio all’integrazione ad esempio tra l’aspetto medico-sanitario e quello sociale. Lo dico perché il rischio è di perdere tutto un patrimonio e anche una capacità di leggere le specificità dei bisogni delle persone che è legato appunto al deficit, alla disabilità. Noi abbiamo voluto organizzare questo ciclo di seminari proprio dedicati a specifici deficit e disabilità per ricordare ai nostri operatori sociali che certamente è importante lavorare sulla partecipazione nel più ampio senso del termine, ma è anche necessario mantenere una capacità di lettura specifica dei singoli bisogni che sono legati anche al deficit e alla disabilità. Il contesto nel quale ci muoviamo è articolato in quattro sotto sistemi principali che rappresentano secondo me quattro diritti fondamentali di cittadinanza della persona. Noi abbiamo la fortuna di trovarci in una regione in cui tutti i settori del welfare hanno un impegno nel promuovere i diritti delle persone con disabilità e non parliamo soltanto di integrazione socio-sanitaria ma parliamo dell’integrazione fra tutte le politiche nel senso più ampio del termine. E’ la logica del Progetto di Vita, una di quelle parole chiave introdotte su richiesta delle stesse associazioni delle persone con disabilità, quindi questi sono i quattro angoli: la salute, l’educazione, il sociale/socio-sanitario che si ricollega al tema dell’assistenza che viene ancora gestita a livello statale e naturalmente il tema del lavoro. I temi, i diritti di cittadinanza sarebbero più ampi, c’è anche il tema della mobilità, il tema del tempo libero ce ne sono tanti altri che richiamano i principali ambiti di partecipazione a livello sociale ma questi, secondo me, sono quattro obbiettivi fondamentali che ci riportano alla logica del Progetto di Vita. Un Progetto di Vita che, pur in una situazione ancora parzialmente eterogenea nella locazione delle risorse su tutto il territorio regionale, è abbastanza favorevole. Riusciamo a garantire quasi dappertutto il Progetto Educativo Individuale: il percorso di integrazione scolastica per poi arrivare in età adulta con due percorsi che in maniera semplificativa possono essere ricondotti a due strade: da un lato l’accesso al lavoro e a una vita più indipendente per chi ha un livello di autonomia sufficiente (fortunatamente questa strada riesce a essere percorsa da un numero sempre maggiore di persone), dall’altro il settore dedicato alla situazione di gravità e di non autosufficienza, quindi il tema di integrazione socio–sanitaria della rete dei servizi integrati. Sostanzialmente il Progetto di Vita è una risultanza almeno di quattro percorsi fondamentali: • • • • il progetto diagnosi-cura e riabilitazione, il progetto assistenziale individuale, il progetto educativo individuale, il progetto per il collocamento mirato. Questa è una logica che anche negli altri atti di programmazione regionale è stata recentemente ribadita e ricordata, ed è un invito all’integrazione, sociale e sanitaria, tra gli enti istituzionali, in particolare con la scuola e le province che sono responsabili del collocamento mirato e naturalmente un’integrazione anche in una logica di comunità. Se possiamo vantare una rete piuttosto diffusa e capillare di interventi è anche grazie al ruolo della comunità locale intesa nel più ampio senso del termine: le reti di solidarietà informale, organizzazioni di volontariato, le associazioni sociali che hanno partecipato fortemente al processo di costruzione della rete dei Servizi SocioSanitari. Sottolineo le reti informali quindi, l’importanza (ricordata anche dalla nostra legge 2/2003 sul sistema dei Servizi Sociali) 10 delle iniziative delle persone, delle famiglie, delle reti di solidarietà. E’ un tema assolutamente importante, si ritrova nel Piano Sociale e Sanitario attualmente in corso di discussione e negli interventi che la Regione sta promuovendo, ad esempio attraverso il Fondo Regionale per la non autosufficienza, finalizzato a promuovere lo sviluppo del sistema dei Servizi in una logica di maggiore razionalizzazione ed efficienza organizzativa. Stiamo cercando, attraverso nuovi criteri di accreditamento e indicazioni sull’organizzazione complessiva dei servizi, di razionalizzare il sistema in un settore che non sempre riesce a garantire servizi omogenei e efficienti sul tutto il territorio regionale. Questa è una delle piste principali che stiamo seguendo, cioè sviluppare gli strumenti per il governo e il sistema dei Servizi Socio-Sanitari e del Fondo Regionale per la non autosufficienza. Un altro tema molto importante è il lavoro sociale, il lavoro di comunità, nel senso che, il nostro modello di welfare, è un modello che comunque si ispira e trae spunto dal ruolo della comunità locale e quindi si tratta di mantenere un equilibrio tra questi due aspetti. Il tema evidenziato, è quello dell’integrazione nel senso ampio, quindi anche della qualità professionale; in questo obiettivo possiamo far rientrare anche il ciclo di seminari, di cui dicevo prima, finalizzati ad aumentare la competenza degli operatori sociali di dialogare con i Servizi Sanitari. Abbiamo promosso una serie di percorsi in questi anni, ad esempio abbiamo fatto una serie di direttive sulle disabilità acquisite e affrontando queste gravissime disabilità, ci siamo resi conto dell’importanza di processi di integrazione verticali, ad esempio tra l’ospedale e il territorio, ma anche orizzontali sul territorio tra i Servizi Sanitari e i Servizi Sociali. Allora conoscere le specifiche tipologie di deficit di disabilità, vuol dire anche, da parte degli operatori sociali, essere in grado di dialogare in modo più competente anche con i propri interlocutori in ambito sanitario, in particolare con i servizi di neuropsichiatria e con il dipartimento di salute mentale e anche con i dipartimenti di riabilitazione. Questo è importante secondo me, perché in una regione come la nostra c’è un livello abbastanza elevato per quanto riguarda i percorsi generali di integrazione. Adesso siamo nella condizione di partire da una base comune che comunque deve essere ulteriormente sviluppata, anche di ragionare su percorsi che fanno riferimento a specifici problemi. Questo è sostanzialmente quello che noi ci siamo proposti; da novembre al prossimo ottobre, ci saranno una serie di occasioni, logicamente aperte a tutti, in una logica che va al di fuori e al di là dei singoli ambiti territoriali. Renzo Vianello Due riflessioni sempre per giocare sulle pause di passaggio da una relazione all’altra. Hai molto insistito sul concetto di progetto, e mi sembrava tutto molto giusto, ben presentato, però questa riflessione sul progetto mi ha invitato a pensare alla realtà quotidiana in cui qualche volta le persone con disabilità e le loro famiglie non hanno quello che io chiamerei un referente del Progetto di Vita. Penso a delle persone concrete, secondo me nell’operatività di tutti i giorni, perché qualche volta le famiglie sono un po’ disorientate, nel senso che devono un po’ troppo essere protagonisti del coordinamento di tutte queste forze guida. Noi dovremmo fare le stesse identiche cose anche se i genitori avessero cinquanta o sessanta anni. L’accento è sul diritto alla persona. A volte anche questo riflettere sui termini, sulle parole, può essere, che spostano l’enfasi dalle preoccupazioni dei genitori ai diritti degli individui. Perché certe cose sono nell’aria, solo che ci si aspetta che ci sia qualcuno che trova le parole. Come da accordi con le organizzatrici, preferisco inserire piccoli interventi ogni tanto nell’arco della giornata, dovrei parlare di disabilità intellettiva, di sindrome di Down, nel senso che tutta la mia vita professionale è stata dedicata a ricerche e studi sulla psicologia dello sviluppo atipico. All’università insegno psicologia dello sviluppo, disabilità cognitiva e disabilità cognitiva avanzato. E’ mia intenzione chiedere a Lucia Onfiani e Franca Olivi di presentarci le novità dei siti. Abbiamo dedicato molte energie a questi lavori. Vi presento per primo un sito che ha incontrato favori inaspettati, noi abbiamo in 11 media mille persone al giorno che lo visitano. Se si pensa che è un sito a cui si arriva con le parole disablità oppure ritardo mentale, allora stupisce che ci siano in media mille persone al giorno che vanno a vederlo, per cui stiamo andando verso le 400.000 visite. Lo scopo è quello di presentarvi il primo, che sarà il trampolino di lancio per presentarvi il secondo e potete fare delle riflessioni. Ogni tanto facciamo delle osservazioni di contenuto. Inevitabilmente Lucia dovrà dire qualcosa per chi non l’ha mai visto, ma sarà molto veloce. Vogliamo evidenziare gli aspetti di novità. È visitato da tanti familiari, operatori, da studenti universitari, ci sono quattro/cinque università che lo utilizzano delle esercitazioni. Lucia Onfiani Coordinatrice Rete Centri di Documentazione Regione Emilia-Romagna www.ritardomentale.it Vengo da Modena, lavoro nel centro Memo, Multicentro educativo Sergio Neri, e da alcuni anni abbiamo anche il compito, in qualità di centro per la qualità e l’integrazione che si occupa delle persone con disabilità, di coordinare la rete dei CDI. L’attività del sito sul ritardo mentale e disabilità intellettive, si inserisce nella cornice di cui ci parlava prima Luigi Mazza, di specializzazione dei centri. Quindi abbiamo tentato di creare dei poli che potessero raccogliere una serie di informazioni, di documentazioni, da restituire al pubblico attraverso queste pagine web. Il sito che vi vogliamo presentare oggi è quello del ritardo mentale e disabilità intellettive, e diciamo che è frutto di una collaborazione di due centri: quello di Modena e quello di Ferrara; ma lavoriamo anche insieme al centro di Ravenna, che si occupa appunto della sindrome di Down. Si valutava il numero dei visitatori on line, in questo momento sono 864 visitatori, quindi ci fa proprio pensare che il lavoro che stiamo facendo viene utilizzato da figure diverse, e questo l’analizzeremo nelle cose che andiamo a vedere. Nel sito tutti i temi vengono sviluppati sia dal punto di vista medico che psicologico che biologico li vedete trattati in questa parte che riguarda le cause e la prevenzione. Ci sono anche delle parti che riguardano in modo più specifico l’integrazione e il trattamento, cioè tutto quello che viene fatto e dato per integrare le persone. Poi c’è una sezione che riguarda invece i materiali che raccolgono tutto ciò che si può trovare all’interno dei centri, quindi le banche dati dei documenti con delle sezioni specifiche sui percorsi possibili, su approfondimenti per auto–formazione in particolare sui temi del ritardo mentale in generale ed al alcune sindromi in modo specifico, tra cui anche la sindrome di Down. Selezioniamo articoli, un modo per mantenere sempre attivo e vivace il dibattito sulla ricerca. La selezione degli articoli viene fatta presentando delle sintesi. Poi c’è il glossario. Ecco, questa è una delle novità che vi volevamo introdurre. Il glossario viene costruito in comune tra alcuni centri, raccoglie dei termini. Praticamente il glossario è un vocabolario molto ricco, contiene oltre 600 termini, ognuno con la propria definizione che spaziano sempre negli ambiti: medico, biologico, psicologico, pedagogico. Ora vado sulla lettera D. Renzo Vianello: credo stia cercando, su questo ci eravamo messi d’accordo, diversamente abili. La cosa è voluta perché affrontare il problema delle disabilità richiede a volte di dover cambiare le parole, ne abbiamo fatto un esempio prima. C’è anche una tendenza a volte a rifugiarsi nelle parole. Cioè a credere di risolvere delle cose trovando delle parole buone. Questa espressione “diversamente abile” ha una funzione consolatoria, ci siamo chiesti se qualche volta non veniva usata anche in modo sbagliato, per nascondere più che per 12 affrontare le situazioni nelle loro difficoltà e nelle loro complessità. Ecco perché volevo ricordare una riflessione e perché Lucia è andata a scegliere proprio questa parola, perché qualche volta è opportuno usarla “senza far finta di …” Quindi non è solo un glossario tecnico, ma è un glossario di cultura. La prossima volta metteremo, e l’ho già preparato, integrazione ed inclusione. Sembra quasi che utilizzando la parola inclusione si siano risolti chissà quali problemi. Invece le parole devono aiutare ad analizzare, ad affrontare la realtà e non a nascondersi. In questo caso (mia opinione) è che forse non ne avevamo nemmeno tanto bisogno perché in realtà già nel termine integrazione c’è il concetto di modificazione sia della persona sia del contesto. Lucia Onfiani: un’ altra novità che vi volevamo presentare e che raccoglie informazioni utili per tutti è questa parte che riguarda le risorse. Nella sezione delle risorse noi volevamo inserire, ed è intenzione condividere questi progetti, tutte le informazioni che riguardano centri di cura, centri di formazione, tutto ciò che i territori mettono a disposizione per favorire i percorsi di integrazione. Per inciso, parallelamente a questo progetto legato alla specializzazione sui deficit e disabilità, abbiamo anche realizzato un altro progetto raccogliendo informazioni legate al territorio: risorse/opportunità e le abbiamo sistemate in una Banca Dati. Queste informazioni si trovano appunto in rete e le potrete visitare nel sito www.servizidisabili.it. Ogni centro ha raccolto a livello provinciale tutte queste informazioni restituendo così a chi visita il sito, un’informazione a più livelli. Una parte dedicata alla descrizione del servizio, quindi l’attività che quel servizio propone, una proposta per “far circolare le idee”. L’altra parte della scheda, raccoglie le informazioni anagrafiche: la sede, il luogo, l’orario, la persona di riferimento, ecc.. Quello che vorremmo fare di nuovo in questo progetto è riuscire a creare a livello regionale dei percorsi che a partire dalla tipologia di deficit (quindi sindrome di Down, autismo, ecc..) riesce a trovare collegamenti con centri, situazioni, associazioni, che si occupano in maniera particolare di quel tipo di disabilità. Questo per offrire ad un utente esterno un percorso già costruito; per esempio io riesco a sapere che a Reggio o a Cesena o a Ravenna ci può essere una determinata situazione o risorsa che si occupa di autismo, o che si occupa di sindrome di Down, così via. Senza entrare ovviamente in un livello valutativo (non è compito nostro valutare i servizi) ma dal punto di vista invece dell’informazione da restituire in maniera decisamente ampia. E speriamo che questo possa essere un servizio utile. Ritorno al sito, all’interno di questa sezione legata alle risorse abbiamo pensato di cominciare a dare uno sguardo generale, anche a livello nazionale. Per esempio, quali sono le associazioni che si occupano di quel tipo particolare di disabilità, quali sono gli istituti di ricerca che offrono servizi particolari. Quando avremo pronto il percorso a livello territoriale e regionale anche quella sarà un’informazione che inseriremo. L’altra cosa che volevo far notare è la voce “domande e risposte”. Nel corso degli anni (sono sette anni che lavoriamo su questo progetto) abbiamo ricevuto parecchi quesiti, pareri o spunti di riflessione. Abbiamo cominciato ad organizzarle, quelle che solitamente chiamiamo le FAQ, le domande e le risposta. Abbiamo cercato di trovare dei temi che le accomunassero. Abbiamo trovato qualcosa che potesse riguardare i centri specialistici in Italia. Accanto, nella casella più a destra, ci sono ad esempio le visite, quante persone hanno cercato questo tipo di informazione. Tutti questi dati sono estremamente utili per chi lavora sul sito perché in realtà stabilisce con l’utente un rapporto di scambio nel senso che vediamo direttamente qual è l’informazione che più interessa e a quel punto cerchiamo di costruire e di dirottare anche il nostro livello d’informazione verso tale interesse. Renzo Vianello: questo è un aspetto molto più dinamico di quanto possa sembrare. Cioè si potrebbe dire: se io so che cosa cercano, potenzio quello, ma non è proprio così. Un sito non è un accumulo ben fatto di informazioni, c’è una logica, una cultura, ci sono dei messaggi, un’organicità. Allora noi teniamo conto del fatto che per esempio si cerca “cosa devono fare le famiglie”. Ma se a noi sembra opportuno che prima di leggere una certa parte se ne legga una propedeutica, mettiamo quella pagina e l’indicazione: “se interessa un approfondimento lo puoi trovare...” Sfruttando queste informazioni, le 13 utilizziamo per avere un’organizzazione più dinamica che invita a costruirsi anche una cultura, non una semplice risposta a ciò che viene chiesto. Lucia Onfiani: vi vorrei mostrare ancora due cose in modo molto veloce, una riguarda la presentazione delle schede, come cerchiamo di restituire appunto l’informazione sulle diverse sindromi che sono raccolte all’ interno di questo sito. Siamo partiti da una scheda, ecco, questo è l’elenco che voi vedete e la scheda che raccoglie tutte le sindromi con le recenti scoperte anche sul DNA e del genoma che ci riconducono a problemi genetici.. Renzo Vianello: ci sono informazioni che non si trovano nei libri ma solo in articoli recenti. Prendiamo come esempio la sindrome Cornelia Delange. Dicevo prima, le diverse sindromi sono presentate con una scheda sintetica, dove vengono comunque affrontate una serie di problematiche che vanno dalla denominazione all’incidenza, un quadro clinico complessivo. Ma poi entra anche in modo più specifico, sugli aspetti tematici, gli aspetti cognitivi, lo sviluppo cognitivo, comunicativo, del linguaggio e delle autonomie ecc.. In questo quadro sintetico abbiamo cercato di dare comunque delle informazioni molto utili e spendibili. Per eventuali progetti, posso tenerne conto perché mi danno effettivamente elementi utili per un progetto successivo. Quello che abbiamo cercato di fare è di costruire anche delle schede più analitiche quindi più approfondite. Gli stessi argomenti vengono presentati in più pagine, in modo esteso. In questo caso di Cornelia Delange oltre alle cose che vi dicevo prima, ci sono delle specifiche sull’educazione e il trattamento e vengono presentati anche alcuni casi. Casi presentati, non di fantasia ma nel rispetto della privacy E’ anche un problema di sinergia. Abbiamo cercato di collegare tutte queste cose coi lavori che si fanno all’università: andiamo all’home page e alla voce università. Qui trovate per ora solo l’università dove insegno io e quindi sono i libri che utilizziamo nei miei corsi. Adesso aprendo a caso trovate tutti questi volumi con ogni capitolo su power point e credo che vi interessi perché parla della sindrome X fragile, dell’epilessia, o dell’autismo ecc.. Questi sono power point che non ho fatto io, sono costruiti dagli studenti, li studiano e li presentano a lezione. Ogni anno dico agli studenti: “andate a vedere nel sito quello che hanno fatto i vostri colleghi l’anno precedente, dovete fare meglio”. E in effetti, vi mostro una lezione tenuta dalle studentesse dove io svolgo il ruolo di monitoraggio, di tutor e osservando posso dire “Questo va bene.. questo potevamo farlo meglio ..” vi assicuro che è piacevole far lezione in questo modo. Avete notato che ci sono 50 sindromi in questo sito generale, ciascuna di queste potrebbe diventare un sito con queste caratteristiche. Una di queste 50-60 descritte è la sindrome di Down, cioè quella più diffusa perché particolarmente frequente. Franca Olivi operatrice Centro Documentazione Integrazione – CDI Ravenna www.sindrome-down.it Lavoro insieme alla collega Anna Allegri e alla responsabile Mirella Mosconi al Centro di Documentazione per l’Integrazione di Ravenna. Il Centro è un luogo dove noi operatori accogliamo i fruitori del servizio, non siamo esperti, ma persone che si pongono in “ascolto attivo” per offrire informazione e per creare i collegamenti necessari con gli altri soggetti del territorio. Ci occupiamo di integrazione nei diversi ambiti di vita della persona con particolare attenzione alla disabilità. Il sito internet www.sindrome-down.it che noi curiamo, (responsabile scientifico prof. Renzo Vinello) è dedicato esclusivamente alla sindrome di Down e contiene informazioni di carattere scientifico, educativo, riabilitativo. 14 Il progetto di Ravenna è stato impostato in linea con quello di Modena sulle Disabilità Intellettive, presentato poco fa da Lucia ed è stato creato con un sistema che permette di gestire tutte le pagine e i contenuti autonomamente, senza il bisogno della presenza di un esperto esterno. Questo offre la possibilità di aggiornarlo tempestivamente. Il sito non è una novità in assoluto; in realtà è già attivo da circa due anni e poco più, ma solo da poco tempo, praticamente da oggi, vive una vita propria, ha assunto cioè una sua identità essendo stato scorporato dal sito del Centro di Documentazione nel quale fino ad ora era integrato. Questa è la foto nella nostra home page: Martino, di 8 anni circa con sindrome di Down, ci accoglie con un sorriso aperto e accattivante e a braccia tese. Le novità apportate consistono nell’avere aggiunto alcune funzionalità, un logo dedicato, migliorie al sistema di navigazione, una grafica nuova che mette in risalto la linearità e la semplicità, dove sono stati tolti distrattori a lato che distolgono l’attenzione del visitatore, una mappa del sito per rendere maggiormente chiaro all’utente i contenuti come sono distribuiti, la segnalazione del numero dei visitatori on line, presenti cioè nello stesso momento, e il numero totale degli utenti che hanno navigato le pagine web dalla nascita del sito. A sinistra viene evidenziato il menù che contiene tutte le voci del progetto: • il progetto, • gli aspetti genetici, medici, fisici e motori, • lo sviluppo cognitivo • lo sviluppo comunicativo e linguistico • lo sviluppo sociale • i comportamenti disadattivi e psicopatologici • la prevenzione • l’educazione e l’integrazione • il trattamento • i materiali • le risorse • il glossario Cliccando sulla voce interessata si espandono le sottopagine integrate al menù di navigazione. Possiamo vedere ad esempio alla voce LO SVILUPPO SOCIALE che il capitolo si apre con un’immagine di una squadra di calcio che si sta allenando dove è inserito un bambino con sindrome di Down e una introduzione all’argomento. Nelle sottopagine viene descritto lo sviluppo sociale in quattro fasi separate: nei primi anni di vita, dai 3 ai 6 anni, dai 6 agli 11, dall’adolescenza in poi e gli approfondimenti. Questa voce, per ora, contiene: la storia di Alfredo, (una persona con sindrome Down di Ravenna che fece un percorso lavorativo con assunzione) e Caratteristiche di personalità dei minori con sindrome di Down secondo le opinioni dei genitori. Quando inserisco i contenuti che ricevo dal prof. Vianello, mi piace personalizzare la pagina, caratterizzarla accompagnando i contenuti con un’immagine corrispondente, e questo dà vita ad una ricerca di materiali, di foto, disegni, che meglio si abbinano all’informazione che si vuole dare. Per esempio se vado alla voce EDUCAZIONE INTEGRAZIONE e si aprono le sottopagine: FAMIGLIA SCUOLA SOCIETA’ APPROFONDIMENTI Esplorando il capitolo FAMIGLIA, incontriamo l’immagine di un neonato proprio perché l’argomento da introdurre è relativo alla comunicazione della diagnosi. Scorrendo troviamo poi un’esperienza dal titolo “LA NASCITA DI CATERINA” che raccoglie il vissuto dei genitori, le difficoltà, le criticità, le conflittualità, ma anche i momenti di gioia e di soddisfazione. Di seguito ancora vi sono le indicazioni e i suggerimenti relativi alle autonomie... vediamo un bambino impegnato nell’atto del mangiare autonomamente che si porta il cucchiaio alla bocca e in un’ altra immagine il momento in cui si pettina e si specchia. Il sito sviluppato con queste modalità diventa una realtà possibile grazie alla grande disponibilità da parte di famiglie, insegnanti, educatori, nel consegnarci foto, disegni, esperienze, progetti educativi, risorse, a volte semplicemente idee che vanno ad arricchire di un valore aggiunto le pagine web. Questo tipo di apertura alla partecipazione viene a crearsi grazie ad un bisogno di vicinanza emotiva che si esprime attraverso l’opportunità di condividere ed elaborare le 15 proprie esperienze con gli altri, ma anche di vicinanza intellettuale con persone che hanno interessi per argomenti comuni e dove esiste la possibilità di intrecciare i diversi saperi. Connettersi al sito non significa solo “cliccare” un tasto, non è solo una questione puramente tecnica, significa anche connettersi con l’altro attraverso una relazione costruita sulla conoscenza, sulla fiducia e sulla reciprocità. Down ad essere autonomi, la vita in appartamento, le mansioni quotidiane.. Direttore neuropsichiatria Paolo Stagi Infantile Ravenna Sindrome associate di Down e patologie La partecipazione attiva di tutti i soggetti nominati (famiglie, insegnanti, operatori, educatori...) oltre a portare contributi, crea una rete di rapporti significativi, una collaborazione feconda e concorre al miglioramento della qualità dei servizi alla persona. Renzo Vianello: chiederei domande, osservazioni... se avete Intervento del Direttore del Distretto AUSL Alberto Minardi Ho una curiosità: traspare da questa presentazione in maniera molto forte un’idea di forte relazione col contesto e sollecitazioni in qualche modo a un interscambio con la società. Allora la domanda è la seguente: le esperienze lavorative delle persone adulte e gli interventi per esempio di imprenditori o di operatori, sono già presenti nel sito? Renzo Vianello: la nostra prima preoccupazione è stata quella di creare la struttura portante e di inserire le informazioni fondamentali per ogni voce. Su integrazione e trattamento c’è famiglia, scuola e società. Come entriamo nella società abbiamo 3-4-5 voci che riguardano appunto l’autonomia e gli inserimenti lavorativi. Quindi è già preparata, ci sono le problematiche generali, non ci sono ancora abbastanza esperienze. Abbiamo ragionato così nella progettazione: prima facciamo tutte le pagine, una volta arrivati metteremo le esperienze. Per esempio un anno fa c’erano le sindromi ma non c’erano i casi, adesso abbiamo messo i casi. Come c’è Alfredo nelle esperienze (che è un esempio), noi col tempo vogliamo arricchire sempre più aspetti specifici. E comunque una nostra preoccupazione è anche quella dell’inserimento lavorativo assieme a quello dell’autonomia. Abbiamo un video su come si preparano i ragazzi con sindrome di Mi è stato assegnato il tema delle patologie associate alla sindrome di Down e quindi quello che in una parola sola si può dire la comorbidità. L’altro sabato si è tenuto a Bologna, ma in contemporanea in tutte le regioni d’Italia, un incontro ad alto livello per la discussione di questo documento: “proposte di un modello assistenziale per bambini/adolescenti con malattie genetiche e disabilità a derivata complessità assistenziale e per le loro famiglie”. Questo è un documento condiviso non solo dalle società medico–scientifiche, ma anche da moltissime associazioni di familiari, e anzi, ci sono dei modelli innovativi, esiste un’associazione che li promuove che è mista, e non è l’unica in Italia, sia di professionisti che di familiari e utenti. Arriveranno i verbali perché si sta cercando di condividere a livello nazionale questo modello di presa in carico. Parallelamente si è tenuto in azienda un incontro con il più alto livello della direzione, alla presenza del Direttore sanitario, il direttore per le attività sociali e sanitarie, il primario dell’ unità operativa di pediatria ospedaliera, della pediatria di comunità e una serie di altri colleghi, non li posso elencare tutti, proprio per concordare un modello aziendale in rapporto a questi bisogni. E anche in rapporto a queste sollecitazioni giunte da alcune associazioni di genitori, in particolare 16 genitori di bambini e adolescenti Down nel distretto di Faenza. Ora passo direttamente al tema che mi è stato assegnato ovvero alle patologie associate alla sindrome di Down. Già alla nascita alcuni problemi possono essere evidenti, sono bambini che possono presentare liquidi nelle cavità pleuriche, nelle cavità seriose, possono avere come nella sindrome “Le cri du Chat”, un pianto particolare che può di per se stesso segnalare un problema di una particolare conformazione della laringe, possono avere enfisema, o cisti a livello polmonare e soprattutto, una cosa molto grave, non con elevata frequenza ma certamente con frequenza superiore a quella della popolazione non Down, problemi a livello del diaframma. In questi casi il diaframma, quel segmento che divide la cavità diaframmale da quella toracica, ha un ernia e quindi ad ogni atto inspiratorio esce dalla cavità addominale. Naturalmente come tutti sappiamo un altro problema che ha una certa frequenza sono le cardiopatie, e naturalmente noi le conosciamo sempre di più per il semplice motivo che abbiamo degli strumenti sempre più fini che ci consentono di compiere la diagnosi anche prima della nascita. Fra l’altro queste cardiopatie non sempre sono riconosciute. Quando non lo erano si poteva creare un sovraccarico del circolo polmonare, una sindrome, che se non riconosciuta, quando il bambino veniva portato in montagna, anche a basse quote poteva avere scompensi cardiaci improvvisi. Questo è il modello della circolazione che penso conosciate che vede delle cavità cardiache nel cuore sinistro, veicolare il sangue anteriore su quello ossigenato e quelle del cuore destro invece veicolare del sangue che è invece de-ossigenato. E ci sono una serie di valvole che regolano queste circolazioni. Tali valvole nei bambini Down hanno qualche mal funzionamento con una certa frequenza il 30-40%. Per esempio, l’aorta può partire dal cuore destro per errore e la arteria polmonare dal sinistro, cioè sono invertiti. Una situazione che si può verificare è la tetralogia di Fallau, un complesso malformativo che riguarda il cuore, piuttosto particolare, che richiede un intervento chirurgico di correzione. Molte disfunzioni si possono diagnosticare già nelle ecografie morfologiche e poi ovviamente alla nascita. Vedete, con questi nuovi strumenti si possono addirittura dosare i flussi. Naturalmente si può fare un elettro cardiogramma. Altre patologie che riguardano i bambini Down sono a carico della cute. Molti di loro hanno una certa secchezza della cute, in alcuni casi alla nascita hanno una cute con delle scaglie, come se fossero squame di pesce. A livello del cranio ovviamente ci sono la microcefalia, che si conosce, le fontane molto ampie. Possono esserci malposizioni dentali, c’è una lingua piuttosto grossa, c’è un palato che tende ad essere ….. , e le tube e le adenoidi tendono ad ostruire le tube uditive e quindi a tenere accese delle otiti croniche. A livello della funzione visiva ci sono alcuni particolari, vedete queste colorazioni e chiazze, sono solo delle discromie caratteristiche della sindrome di Down ma non recano nessun danno. Invece la cateratta, cioè la cornea che invece di essere a calotta sferica è a punta, crea dei disturbi. Ci possono essere problemi a livello di retina. E poi ci sono difficoltà più semplici che si correggono con l’utilizzo di occhiali da vista. Inoltre i bambini Down hanno un tono dell’umore generalmente elevato, (si dice in termini psichiatrici). Vanno sempre accertate bene queste cose, perché è vero che può essere una caratteristica della sindrome di Down, ma è una caratteristica di un miliardo e mezzo di persone, gli orientali hanno questa caratteristica ma non hanno certo problemi funzionali. Un problema in genere dei neonati è il ristagno di liquidi e secrezioni negli occhi, che poi passa; invece bisogna stare molto attenti a problemi di acuità visiva. Basta guardare nel fondo dell’occhio, se ci sono dubbi si può ricorrere alla diagnostica strumentale fisiologica. Ci sono tecniche per valutare anche nei neonati l’acuità visiva. È ovvio che un neonato non può dire nulla davanti alla lavagna degli oculisti, però il medico oculista ha modo di capire se ci vede o no. Per la funzione uditiva, il condotto uditivo dei bambini Down ha un aspetto particolare ma non crea grossi problemi, a volte è un po’ piccolino e quello può essere un problema per il ristagno di cerume. Ma la cosa più frequente è che questo canale, le trombe uditive, le tube di Eustachio sboccano nella parte alta della faringe, può essere ostacolato come dicevo prima da un 17 palato troppo alto e dalle adenoidi un po’ troppo fuori. E quindi c’è il ristagno di catarro, otite media di tipo conduttivo o trasmissivo. Sono molto comuni: 70/80% dei bambini Down, soprattutto nel periodo invernale. Questo non toglie che i bambini Down con una frequenza superiore agli altri bambini, possano avere problemi di sordità neurosensoriale. Possono esserci problemi a carico del nervo acustico anche perché a molti bambini Down una volta venivano somministrati antibiotici che potevano dare tossicità, (ora si fa con antibiotici più sani) e questo portava conseguenze. Ci sono strumenti per valutare una sordità neurosensoriale, si vede alla nascita perchè tutti i neonati sono sottoposti a questi esami. Ci possono essere disturbi a carico del torace, a volte l’hanno incavato, a imbuto, oppure carenato. Altre volte ci possono essere problemi di ernia ombelicale. A volte alla nascita queste ernie sono da correggere chirurgicamente immediatamente perché si può determinare un’ernia strozzata. Altri problemi sono a carico degli arti superiori, dita soprannumerarie oppure dita molto corte. Possono esserci problemi a carico degli arti inferiori, piede piatto, ma tutte cose facilmente correggibili con scarpine corrette. Occorre ricordarsi di fare visite fisiatriche o ortopediche. Adesso si può studiare la marcia dei bambini, ma è molto interessante solo a fini della ricerca. Possono esserci anomalie delle vertebre, tutte cose che il medico dovrebbe controllare. C’è un problema di massa corporea. Spesso i bambini Down non crescono come gli altri. O meglio, non crescono come gli altri in statura, ma in “cicciosità” a volte crescono anche troppo. Non certo si mettono a dieta dei bambini, ma quando si avvicinano all’adolescenza bisogna anche eventualmente correggere queste cose. E’ importante che una corretta educazione alimentare venga da lontano, da quando il bambino è piccolo. I bambini Down sono predisposti ad alcune malattie internistiche. Ipertiroidismo e ipotiroidismo. Questo può aggravare il ritardo psicomotorio e cognitivo. L’ipertiroidismo è legato ad un problema di immunità, ci sono anticorpi che vanno a stimolare la tiroide e i bambini Down hanno problemi di assetto immunitario, sia in predisposizione ad un certo numero di infezioni, ma anche a sviluppare questi quadri immuni. Ci possono essere problemi a livello dell’apparato urogenitale. A livello dell’apparato gastroenterico i disturbi più comuni sono i mal di pancia e in alcuni casi questi sono dovuti alla celiachia, che va sempre ricercata perchè è abbastanza frequente nei bambini Down (anche se non è un’assoluta caratteristica di questa sindrome). La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine e ovviamente i bambini che ce l’hanno non possono mangiare di tutto, devono fare una selezione dei cibi e per fortuna oggi è più facile perché in tutti i supermercati c’è un banco apposito ed anche una certa scelta e varietà. Nella popolazione generale comporta osteoporosi, infertilità, aborti ripetuti, bassa statura. Sviluppano più di altri bambini malformazioni cerebrali, come displasie corticali. Questo è un filamento di un neurone con tutte le spine che consentono di collegarlo a tutti gli altri. E qui vedete quello di un bambino Down. Sono spine molto più piccoline, molto più fitte, e questo sta alla base anche della riduzione volumetrica del cervello che ha la tendenza a sviluppare quelle anomalie istopatologiche proprie della sindrome di Alzheimer con un certo anticipo, a partire 25-30 anni. Questo è dovuto ad un gene che è precursore di una proteina responsabile poi della sindrome, che si trova proprio sul cromosoma 21. I bambini Down presentano un’incidenza dell’epilessia un po’ particolare. Hanno più spesso degli altri bambini spasmi infantili. Le convulsioni febbrili, che sono un fenomeno comune a tutti i bambini con la febbre alta, nei bambini Down stranamente sono molto più rare. Naturalmente per queste cose si può fare l’elettroencefalogramma, ora ci sono versioni computerizzate, più o meno sofisticate, con la telecamera, così il medico può registrare i muscoli, il cuore, il respiro, l’attività del cefalo, i movimenti e poi fare un elenco fotogramma per fotogramma di come inizia la crisi. C’è un’altra particolarità dei bambini Down: le crisi epilettiche, se le hanno, sono diverse rispetto agli altri bambini. Sono spesso crisi riflesse. Per esempio una crisi particolare causa un soprassalto che si vede in tanti bambini con paralisi cerebrale infantile, ma 18 lì finisce; invece nei bambini Down può prendere inizio una vera crisi che poi prosegue al di là dell’evento che l’ha scatenato. E così altri tipi di crisi riflesse. Quando il televisore era 16 Heartz, poteva provocare delle crisi. Ora conosciamo alcuni correlati più vicini alla sindrome di Down dal punto di vista neurologico. I bambini Down tendono ad avere uno slancio, un’attivazione fulminea di tutto l’arto e questa cosa provoca spesso simpatia. I bambini con la sindrome di Down hanno delle particolarità, delle differenze che si notano a colpo d’occhio dal punto di vista del profilo psicologico. Si pone anche il problema di disturbi psichiatrici che una volta si dicevano di innesto. Soprattutto sulle forme di ritardo mentale più consistenti si possono verificare in adolescenza esordi di disturbi psichiatrici che si innestano su un quadro preesistente con una frequenza superiore rispetto ad altri. Renzo Vianello Tutte le volte che si segue una lezione di questo tipo alla fine uno dice “beh insomma mi sento abbastanza bene, non è che ho tante malattie e poi guardo mio figlio e anche lui sta bene” perché in effetti può esserci un effetto di questo tipo. Tengo a sottolineare che sono molto utili, i genitori hanno sempre bisogno di sapere che il loro figlio è in mano a persone che lo conoscono bene. Se si tratta di un medico, hanno bisogno di sapere che questo medico fa le ipotesi per andare a valutare se c’è qualcosa su cui intervenire, e in questo senso è stata magistrale questa relazione. Ci è stato detto “guardate che noi sappiamo che dobbiamo verificare tutte queste cose..” e ciò dà fiducia. Vi faccio un esempio, mi è stato chiesto di fare un corso di aggiornamento per educatrici di asilo nido sul problema dei rapporti tra scuola e famiglia; cosa si aspettavano le persone? Che dicessi loro come si parla con i genitori, le strategie, come bisogna risultare accettanti. Ho detto “si, le facciamo queste cose” però prima ricordatevi che i genitori, la prima cosa che vogliono, desiderano, vorrebbero è di essere sicuri che avete capito il loro figlio, cioè prima vogliono sapere se voi capite, se voi conoscete i bambini. Noi chiediamo sempre questo, è un merito conoscere il punto di vista medico, all’educatore dal punto di vista degli interventi educativi, allo psicologo dal punto di vista degli aspetti psicologici, e quindi ci tranquillizza molto la relazione adesso, e stranamente prima ci avrebbe un po’ preoccupato perché è un elenco di possibili complicazioni. Mi permetto una semplice riflessione: qualche volta facciamo fatica a seguire perché in letteratura si utilizza l’espressione “più a rischio rispetto alla popolazione normale”; allora, per esempio, se nella popolazione normale l’incidenza di un X è il 4% e si dice, guardate che questa sindrome è tre volte tanto, e la cosa ci spaventa, però 4 per 3 fa 12 e quindi l’88% non ha problemi. Questa è una cosa molto importante perché ci dimentichiamo la parte che fortunatamente sta bene. Qualche volta, avere le ipotesi, per andare a vedere se le cose non funzionano, sono tranquillizzanti nel senso che almeno sai che non c’è, se poi trovi, dopo il momento di disorientamento sei contento perché sai che puoi prevenire. Paolo Stagi D’altra parte, se un bambino ha una cardiopatia, una volta risolta è risolta! Farà il suo full-op, ma poi è risolta, e se io ho accertato che invece non ce l’ha, non è che poi viene, perché se non c’è, non c’è, poi avrà lo stesso rischio che abbiamo tutti, di prendersi gli attacchi di cuore. Diverso il discorso della celiachia, della vista, ma per quello io faccio il controllo tutti gli anni, e questo quindi è identico alla popolazione normale, chi porta occhiali farà i controlli, per il disturbo uditivo idem, è chiaro che nei primi anni di vita c’è un po’ più rischio, ma dopo, quando un bambino ha acquisito il linguaggio si nota più facilmente se dovesse insorgere un problema. Renzo Vianello Non è un caso che le aspettative di vita siano cresciute così tanto dall’inizio del 1900. Infatti le aspettative di vita medie erano di 10 anni, le ultime ricerche che trovate anche nel sito, ci dicono che ormai stiamo andando oltre i 60 anni. Paolo Stagi E anche su questo, io non voglio avere dato un impressione troppo negativa, siccome si partiva da quelli che ora hanno 40/50 anni, non hanno avuto gli interventi precoci dei bambini di oggi. Gran parte dei bambini in seconda o terza elementare leggono e 19 scrivono, magari non fluentemente, non in modo pari a quello che ci si aspetta alla loro età, ma leggono e scrivono e le persone che adesso hanno 50 anni non avevano questo livello di alfabetizzazione, quindi è molto probabile, che gli attuali bambini Down, quando saranno adulti, abbiano un’ evoluzione migliore. Renzo Vianello E se vi interessano le percentuali attuali di capacità di lettura e scrittura aritmetica le trovate nel sito nella sezione della scuola. E presto inserirò le variazioni che ho fatto all’inizio sulla qualità della vita in cui ho spiegato il fenomeno interessantissimo del surplus rispetto all’età mentale, cioè il fatto che escono con una buona educazione, hanno prestazioni scolastiche di adattamento di due o tre anni superiori rispetto alle capacità cognitive, che è un grande messaggio di speranza. Tiziana Grilli coordinatore Ravenna Progetto Ravenna medico psicoterapeuta Forum Neuropsichiatria FORUM Azienda USL Negli anni passati avevo testimoniato come mamma di un ragazzino Down, (non è più un bambino, lui vuole essere chiamato così) di 12 anni, che frequenta ormai la prima media, lo scorso anno avevo presentato insieme al dr. Stagi la nascita di un progetto, quest’anno vengo a comunicarvi la realizzazione di questo progetto. Sto parlando del FORUM per la neuropsichiatria infantile e adolescenza. Alcuni di voi lo conoscono, io ho ricevuto molti genitori, che vedo qui e li saluto, il FORUM è un servizio, presento una realtà che sta già lavorando però diventerà ufficiale nei prossimi giorni. E’ un gruppo formato da due operatori della neuropsichiatria infantile nella figura del primario e di uno psicologo, cinque rappresentanti di associazione di volontariato o di auto-mutuo aiuto, un familiare di un bambino che non afferisce a delle associazioni, un operatore della comunicazione che renderà più visibile il lavoro all’esterno. Io sono la coordinatrice di questo gruppo, che è ristretto, però sarebbe nostra intenzione aprire il dibattito e le riflessioni a tutti gli altri genitori e operatori che vorranno partecipare nei momenti di incontro aperto. Formare questo gruppo, per alcuni aspetti non è stato molto semplice, perché le associazioni sul territorio che si occupano in particolare di bambini, di minori, non sono facili da scoprire. Ho cercato con i miei strumenti di muovermi ma ho trovato non poche difficoltà, ci sono genitori che aderiscono con i loro bambini ad associazioni anche molto importanti e molto ben strutturate ma di associazioni che strettamente studino, ricerchino ed agiscano sul bambino ce ne sono ben poche. Brevemente per chi non lo conoscesse ancora il FORUM si occuperà di ricerca– azione per quello che riguarda la presa in carico dei minori sia al livello strettamente sanitario, sia per quello che riguarda tutte quelle azioni di benessere e di collegamento con gli altri Enti locali, territoriali, privati, e soprattutto con altre istituzioni come la scuola. Stiamo parlando di minori quindi sono tutti scolarizzati, siamo convinti che nel concetto di benessere (secondo le nuove direttive dell’OMS) c’è anche tutto ciò che riguarda il non sanitario. Quindi per un buon Progetto di Vita, di cura, di riabilitazione che parte dalla sanità, vorremmo lavorare come gruppo, sulle relazioni da tenere con gli Enti locali con le altre istituzioni, compresi chi si occupa di quello che noi chiamiamo “tempo libero”. Per esempio, allo sportello d’ascolto arrivano genitori costantemente con questa domanda, cosa fa il bambino quando sono finite le ore della scuola, che cosa può fare di organizzato che abbia un percorso che possa portare ad un obbiettivo non semplicemente portarlo a nuoto o portarlo eventualmente a giocare a calcio ma che ci sia veramente un progetto dove andare a riconoscere un significato di un benessere per il bambino e anche per la famiglia. Oltre a questo momento di ricerca e azione, ricerca intendo a tutti i livelli ovviamente abbiamo visto quanto possiamo trovare negli altri servizi del Consorzio, il Centro di Documentazione, l’assessore qui presente alle Pari Opportunità, Giovanna Piaia appena intervenuta, l’assessore Stoppa... è importante cercare di interloquire con tutti ma, per la ricerca sul territorio, io ho cercato di coprire con i rappresentanti appena citati, tutto il territorio di Faenza, Lugo e Ravenna. 20 Lo sportello d’ascolto è già attivo, verrà ampliamente pubblicizzato, è uno sportello aperto sia ai familiari che agli operatori e questo è importante perché è un momento in cui si possono raccogliere delle informazioni e poi riportarle una volta che si è visto il bisogno comune o le criticità. Posso dire che le famiglie hanno quasi sempre gli stessi bisogni. Non vorrei essere fraintesa, il FORUM non si occupa ovviamente soltanto dei bambini con la sindrome di Down, il FORUM è per tutti i bambini che afferiscono alla neuropsichiatria infantile. Nel numero dei genitori è stato introdotto anche un rappresentante dell’associazione del GRD in particolare di Faenza e quindi un genitore di un bambino con sindrome di Down. Chiediamo l’aiuto di tutti, oltre che della sanità, della scuola, degli educatori, dei servizi, del Comune, del Distretto e delle famiglie stesse, il cui rapporto è fondamentale. Desidero leggervi un brano che ho trovato, è un gruppo lombardo che ha svolto lavoro nelle scuole, un gruppo interdisciplinare che nel descrivere come lavorano ha riportato un brano che apparentemente sembra quasi un raccontino di Disney, in realtà è un brano di Schopenhauer e io l’ho letto due, tre volte prima di cercare di capire profondamente il senso, che credo di aver trovato, ve lo leggo: La giusta distanza In una fredda giornata d’inverno, un gruppo di porcospini si rifugia in una grotta, per proteggersi dal freddo si stringono vicini, ben presto però sentono le spine reciproche, e il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno dall’altro. Quando poi, il bisogno di riscaldarsi li riporta di nuovo ad avvicinarsi, si pungono di nuovo. Ripetono più e più volte questi tentativi sballottati avanti e indietro tra due mali e tra il bisogno, finché non trovano quella moderata distanza reciproca che rappresenta la migliore posizione, la giusta distanza che consente loro di scaldarsi e nello stesso tempo di non farsi male reciprocamente. L’ho voluto portare perché sarebbe lo spirito di questo gruppo che si sta formando, siamo persone diverse, portiamo vissuti, dolori diversi, ci sono gli operatori che hanno il loro punto di vista. Si tratta di un gruppo, non tanto di porco spini omogenei, ma un gruppo che deve trovare la giusta distanza, il giusto rispetto per potersi ascoltare, ma che sicuramente deve avere un unico obiettivo, esattamente come i porcospini, avevano bisogno di scaldarsi, il bisogno di questo gruppo è quello dei nostri figli, è quello di dare benessere a loro, conseguentemente alle famiglie, conseguentemente a questa società che li deve accogliere, che li deve fare partecipare. E questo è quanto cercheremo di fare. Renzo Vianello Un commento, sulla storia dei porcospini: supporto, ma non opposizione, disponibilità ma non invadenza. Spesso ci troviamo in questa situazione, sia nel rapporto tra operatori, sia con i familiari; è difficile trovare quell’equilibrio per cui la porta è spalancata, si può entrare ma non ti obbligo ad entrare, quindi disponibilità ma non invadenza. E’ il gioco dell’autonomia, cioè come esserci sempre, essere lì, ma non imporre e non essere invadenti perché altrimenti non permettiamo la crescita. Cristina Casagrande insegnante Grattugina, la bambina “speciale” Sono un insegnate, ma prima di tutto la mamma di una bambina celiaca, una bambina di sette anni che si chiama Eleonora. Mi è stato chiesto di presentare un libretto che ho prodotto insieme all’associazione Italiana Celiachia. Queste storie riassumono il percorso di accettazione iniziale quotidiano mio e di mia figlia nei confronti di questa patologia. 21 Per fare questo volevo partire da Feuerbach tanto per parlare di filosofia oggi e da una sua affermazione “noi siamo ciò che mangiamo”, in effetti Feuerbach intitolò un’opera con questa frase, ora mi viene da pensare che se noi siamo ciò che mangiamo, la vita del ciliaco è veramente un po’ triste, non solo perché deve fare a meno del glutine in prodotti tipo pane, pasta o pizza, quanto perché il glutine è presente in addensanti e di tutta una serie di prodotti che l’industria alimentare utilizza, quindi questo si traduce in una astensione da caramelle, liquirizie, cioccolate varie. Inoltre poiché bastano pochissime quantità affinché l’organismo riconosca nel suo interno il glutine e lo combatta, e aggredisce poi se stesso, è chiaro che il livello di attenzione dev’essere generale e il più totale perché la contaminazione è senz’altro il lato più pericoloso della celiachia. Bastano poche briciole che arrivano dal piatto del vicino e parte una risposta allergica. Le briciole, o comunque una posata prima messa nel piatto di un bambino che mangia glutine, un risotto allungato con l’acqua della pasta, e via dicendo, questi sono solo pochi esempi. Ho saputo e visto atteggiamenti all’interno delle scuole, abbastanza tristi. In una scuola materna qui di Ravenna, so che le maestre, per altro animate delle migliori attenzioni, usavano tracciare con un pennarello sulla tovaglia di carta delle linee all’interno delle quali il bambino celiaco doveva mangiare, e al di fuori dovevano stare gli altri. Io ritengo che questa linea di confine così definita sia estremamente triste e pericolosa soprattutto in un periodo in cui cerchiamo di abbatterli tutti i confini. Quando mia figlia è stata diagnosticata celiaca, ho avuto seri problemi perché non sapevo come spiegare a una bambina di due anni che aveva sempre mangiato ciò che mangiavano gli altri, che non solo non poteva più mangiarle, ma che non doveva neanche più avvicinarsi ai cibi degli altri. Ho riflettuto tanto, perché il problema della condivisione del pane è fondamentale, la tavola è il luogo dove tutti noi condividiamo un momento insieme agli altri, la tavola in questo caso diventa un momento di tensione; ci sono bambini che piangono perché la loro pizza è quadrata e non è tonda come quella degli altri. Questo è per dire le piccole cose che fanno la quotidianità. Ho riflettuto a lungo e ho deciso di iniziare a dire ad Eleonora che lei era una bambina speciale, e in quanto speciale lei deve mangiare una pappa speciale, che purtroppo non poteva più mangiare quello che mangiavano gli altri e questo perché doveva crescere. Siccome tutti noi volevamo che lei crescesse, lei deve mangiare una pappa speciale. Ho cercato di fare capire che questa situazione comunque aveva dei lati positivi: lei era la destinataria di cure e d’attenzioni speciali, era sempre al centro dell’attenzione di tutti e comunque tutti pensavano sempre anche a lei. E’ chiaro che con questo atteggiamento ho rafforzato un naturale egocentrismo della bambina però secondo me le ha permesso di costruirsi una corazza e anche di ottenere dei naturali risarcimenti alle tante piccole situazioni di delusione cui andava in contro. Vi presento questi due libretti: uno è “Grattugina la bambina speciale” e l’altro “Grattuggina va in Montagna”. Il nome Grattugina è un’allusione alla manifestazione epidermica della ciliachia che è la dermatite... Grattuggina è una bambina speciale e in realtà si tratta del percorso di accettazione che abbiamo fatto io ed Eleonora. Mi piace sottolineare che comunque chi scrive fiabe, racconti lo fa prima di tutto per se stesso, poi se c’è un’utilità per gli altri, ancora meglio. In questa pubblicazione sono esaminate tutte le fasi a cui si va incontro, quindi, l’identificazione del problema/non problema, perché non tutte le diagnosi di celiachia arrivano dopo un percorso sofferto e problematico, molte volte si arriva ad una diagnosi che ci colpisce come “un fulmine a ciel sereno” ed è altrettanto chiaro che la serenità con la quale io cerco la dieta è strettamente in rapporto con il mio vissuto di sofferenza che ho avuto prima, se non ho sofferto vivo la diagnosi e la dieta aglutinata come una limitazione, se io ho sofferto la vedo come una liberazione dei problemi che ho avuto prima. Quindi dicevo, identificazione del problema/non problema, gli esami e le paure degli esami, qualche strategia per superarli, la diagnosi e l’inizio della dieta aglutinata. Dopo la fase iniziale abbiamo avuto anche momenti di ribellione, Eleonora buttava il piatto in terra all’asilo nido, però con una serie di strategie abbiamo imparato come 22 aiutarla per fare in modo che (tra l’altro) non rimanesse anche senza cibo. Dividevamo sempre i cibi in due piatti diversi, quindi lei buttava giù il primo, però c’era sempre il secondo, e pian piano è arrivata anche ad accettare questa situazione e a non farlo più. Eleonora sui tre anni ho incominciato a dirle che era celiaca, in realtà lei era intollerante al glutine, però questa modalità “io sono speciale” è rimasta sempre una modalità preferenziale per lei, ancora adesso mi dice “mamma questo è speciale” ma lei sa benissimo quello che vuole dire, contiene il glutine o meno. Il secondo racconto, in realtà ha un fine catartico e rappresenta una delle tante situazioni a cui i celiaci si trovano di fronte, ovvero, ad esempio in un ristorante quando le persone dicono di sapere di cosa si tratti e in realtà poi non lo sanno. Il cameriere, (è successo a me) dice “ho capito, la celiachia, è allergica al glucosio, a no al glicine” quindi sono situazioni tragi-comiche che in certi momenti ci portano a non sapere se è meglio piangere o ridere, in definitiva è sempre meglio ridere ma vi assicuro che le difficoltà sono diverse. Mia figlia qualche volta mi dice “mamma sai io vorrei essere al glutine”, però poco dopo trova sempre qualche forma di risarcimento e l’ultima volta mi ha detto “ma sai la Costanza darebbe qualsiasi cosa per essere speciale, perché io mangio delle cose buonissime” quindi trova dei momenti di soddisfazione, agisce sulle sue risorse per andare avanti e accettare la cosa. Come ultimo elemento di riflessione vorrei proporre questo, va bene aiutare i bambini a superare questi problemi, ma la condivisione dev’essere fatta con i compagni, noi abbiamo avuto diversi problemi in prima elementare, perché le maestre erano reticenti, non volevano affrontare il discorso in classe, quindi abbiamo avuto qualche episodio spiacevole, del tipo: Eleonora scappa perché una bambina la rincorre con il panino dicendole di assaggiare… questo episodio si ripeteva, sia all’interno della scuola che a ginnastica. Eleonora mi ripeteva “lo fa apposta” probabilmente era vero. Di fatto finché l’argomento non è stato trattato in classe, legittimato e condiviso insieme ai compagni, questi episodi non diminuivano, nel momento in cui è stato trattato, sono terminati. Educare alla diversità, è quello che dobbiamo fare. Educazione alla diversità in termini di normalità poiché tutti siamo diversi e la normalità è fatta di diversità, quindi Eleonora non può mangiare il glutine, qualcun altro forse non può mangiare l’uovo, qualcun altro il latte… Non siamo uguali, nessuno di noi è uguale. Renzo Vianello: La problematica della dieta. Ho interpretato questa relazione proprio come un gioco molto sottile e fine cui da una parte si deve trovare il modo di non far pesare l’informazione e non appena la bambina è stata pronta (a 3 anni) l’ha ricevuta estremamente raffinata. Io credo che uno dei bisogni fondamentali dei bambini, quando ci sono dei problemi, è sentire che i genitori ce la fanno a superarli (anche se è difficile). I figli devono sentire l’equilibrio dei genitori, genitori che non si nascondono dalle cose ma che ce la fanno lo stesso. Un compito dell’operatore qual’è? Aiutare i genitori a farcela. Alice Maraldi educatrice professionale Raccontiamo un’esperienza Sono l’educatrice di un bimbo con la sindrome di Down, si chiama Elvis, ha cinque anni e mezzo e attualmente frequenta il terzo anno della Scuola dell’Infanzia. Per comprendere l’esperienza di Elvis è importante soprattutto sottolineare che la sua storia nella prima infanzia, parte con una lunghissima degenza in ospedale, la sofferenza che ha avuto dalla nascita ha inciso profondamente sullo sviluppo del bambino. Elvis infatti non ha potuto nei primissimi mesi di vita vivere uno scambio relazionale con la figura materna (fondamentale per sviluppare la capacità di scambio e comprensione con il mondo esterno); inoltre gli è stata poi successivamente 23 diagnosticata anche una sindrome dello sviluppo. La sua storia cambia ulteriormente nel momento in cui viene preso in carico dai Servizi e affidato alla famiglia che attualmente si occupa di lui. Ha frequentato il nido e ora la scuola dell’infanzia. Al suo ingresso abbiamo subito notato nel bambino caratteristiche di dolcezza e affettuosità, nello stesso tempo tendeva a rifugiarsi nelle stereotipie dell’isolamento caratteristiche della sindrome dello sviluppo subentrata quindi la chiusura verso il mondo esterno. Entrare in contatto con Elvis spesso è difficile. Abbiamo dovuto utilizzare strategie anche solo per avere un contatto oculare con il bambino. A questo proposito il primo anno abbiamo utilizzato perfino le retine per le arance, è un esempio, infatti essendo molto colorate riuscivano ad attirare l’attenzione del bambino e ponendole davanti al viso il bambino guardando la retina guardava anche il viso. Attualmente il contatto oculare sicuramente c’è, il bambino ricerca gli occhi dell’interlocutore e questa può sembrare una piccola cosa ma è una grande conquista, abbiamo lavorato tantissimo, soprattutto il primo anno. Ora continuiamo, soprattutto col “maternage”, utilizzando il contatto corporeo per creare una relazione con sensazioni tattili, di affettività. Da una chiusura di Elvis verso l’esterno insomma si è passati ad una sua ricerca dell’adulto soprattutto, ma anche dei compagni. Elvis è un bambino che ha un ritardo importante, non possiede ancora lo sviluppo del linguaggio e per spostarsi “gattona”, cammina solo se sostenuto, con le mani su un piano o con l’aiuto dell’adulto. Ecco questo quadro del bambino ci fa capire come vi è stata subito la necessità, al suo ingresso, di creare un contesto competente e accogliente, a cui la scuola dell’infanzia non è sempre abituata. L’ambientamento di Elvis nella scuola non doveva basarsi solo sulle competenze dell’educatore ma, sulla corresponsabilità di tutti: insegnanti e personale ausiliario. Lo spazio della nostra scuola di limitate dimensioni ha facilitato il percorso di Elvis di conoscenza dell’adulto, di tutte le insegnanti e degli ambienti con la costruzione di un progetto di tutta la suola. Abbiamo investito le nostre energie per realizzare un contesto che fosse un supporto affettivo ed emotivo capace anche di offrire elementi favorevoli all’esplorazione e all’elaborazione di strumenti sensoriali, sostenendo curiosità e motivazioni. Abbiamo utilizzato la musica che senz’altro è uno dei suoi principali interessi, la zona dello stereo è un luogo che lui conosce bene e in cui si reca in autonomia richiedendo (anche senza linguaggio) l’accensione dello strumento, quindi la musica. È emersa subito la necessità di pensare a un’organizzazione di spazio e tempi che fossero congeniali alle esigenze di Elvis e che si sono posti come elementi mediatori dell’esperienza educativa. E a proposito di tempi, era fondamentale suddividere la giornata in momenti ben scanditi, quindi le attività dovevano avere un loro momento e una durata specifica in modo che Elvis si formasse uno schema mentale della giornata. E’ stato creato uno spazio raccolto, silenzioso e polivalente, morbido, con dei libri che diventa anche “tana”, l’abbiamo dotata il primo anno di una tenda, in modo che ci fosse un isolamento non solo auditivo ma anche visivo affinchè potesse rilassarsi; questo spazio è diventato anche di altri, perchè il bisogno di appartarsi è un bisogno di tutti i bambini. Infatti i compagni spesso chiedono di seguire Elvis nei “cuscinoni”, nel momento di rilassamento, nei piccoli gruppi. In questi anni è diventato un vero e proprio luogo educativo molto piacevole dove può trovare occasioni di esperienze per lui gratificanti. Abbiamo utilizzato l’acqua, la utilizziamo come strumento sensoriale sia tingendola con vari colori, sia riempiendola di schiuma e questo è forte e coinvolgente per Elvis, è una strategia che usiamo per rafforzare il cammino laterale e quindi lo spostarsi da un lavandino all’altro (colorati diversamente). Vicino al fasciatolo c’è la zona massaggi dotata di creme, oli profumati, un pennellone con cui si massaggia. La diversità di Elvis e le sue esigenze speciali ci hanno dato la spinta per creare un percorso che fosse realmente individualizzato e che tenesse conto di una prospettiva di sviluppo e di apprendimento realistica. Vorrei sottolineare la collaborazione su più fronti della famiglia che ci ha permesso di individuare delle attività mirate proprio al suo deficit nella prospettiva di un ampliamento delle capacità residue di Elvis. 24 Utilizziamo anche filastrocche che ripetiamo tutti i giorni supportate dalle scritte (ovviamente Elvis non legge ma la sua attenzione è attirata) con un programma al computer che propone una serie di sillabe colorate col supporto sonoro. Laila Giunchi insegnante Sono un’insegnante della scuola dell’infanzia Le Ali dove è inserito Elvis. La sua presenza nella nostra scuola è una risorsa, soprattutto una cartina di tornasole dei bisogni di tutti i bambini; Elvis può instaurare relazioni con i proprio compagni che contribuiscono a creare in lui il piacere dell’incontro con il mondo esterno. In questa relazione e in questo tipo di amicizia, tutti i bambini imparano a trovare un linguaggio comune e speciale per condividere esperienze e sensazioni con modalità nuove ed insolite. Elvis viene guidato ad esplorare questo contesto sociale in modo che possa sentirsi gratificato dai legami positivi con i coetanei. Le attività proposte hanno l’obiettivo di guidare tutti i bambini verso una maggiore comprensione del mondo che li circonda e nuovi modi di vivere sensazioni ed esperienze comuni nel rispetto delle reciproche diversità. Pur avendo come primo riferimento Alice, molte sono le occasioni per Elvis di stare vicino agli altri bambini: il pasto, il gioco guidato, il canto, sul tappeto, nel salone e durante le uscite in giardino. Nel tempo l’interesse di Elvis per i compagni si è sviluppato, li guarda, li osserva mostrando di riconoscerli e di stare bene insieme a loro, i bambini hanno certamente dovuto cogliere ed inventare delle modalità di comunicazione insolite per creare una relazione con lui. Come si è già detto Elvis non parla però il canto costituisce un modo privilegiato di interazione con i compagni, è un momento ricco di stimoli per lui, facilita la liberazione delle sue emozioni e delle sue risorse comunicative rafforzando la sfera affettiva e relazionale consolidando il rapporto di condivisione con i compagni. Nei momenti di assenza di Elvis i bambini dimostrano di accorgersi della sua mancanza, che si avverte anche nel cambiamento del ritmo della giornata. Vorrei a questo proposito citare una riflessione di un autore riportato da Andrea Canevaro nel suo libro “Il manuale dell’integrazione scolastica” che afferma: “la base dell’integrazione è data dalla presenza, che è l’inizio di una conoscenza che comporta dei cambiamenti, una presenza che si rivela in dimensioni che comprendono la fisicità e la corporeità ma anche la lontananza e la presenza nell’assenza”. Ci sono bambini più sensibili che si avvicinano ad Elvis con una carezza, con un sorriso, con un bacio o con l’offerta di un giocattolo. I bambini hanno questa capacità di empatia accompagnata da gesti di cura che si concretizzano in molti modi nel fare attenzione quando giocano, a come si muovono, ad usare un tono di voce adeguato, ad approcciarsi con delicatezza. In questa prospettiva notiamo delle precise assunzioni di responsabilità da parte dei compagni, Alice si allontana per un momento ed ecco che qualche bambino o bambina si siede vicino ad Elvis. La sua curiosità e il suo interesse sono germogliati, la scuola ha senz’altro contribuito a ridurre l’handicap. Ci è sembrato significativo concludere citando alcune frasi dei bambini e delle bambine compagni di Elvis che colgono delle differenze fra Elvis e loro ma anche delle somiglianze e delle speranze per il loro amico, il tutto con molto affetto e rispetto: “Io da piccolo ero come Elvis? Elvis quando è grande può camminare?” Francesco un bimbo di 4 anni ha notato Elvis seduto sul tappeto che sta piangendo e molto garbatamente gli si avvicina e gli canta una ninnananna, poi dice “questa ninnananna me la cantava sempre la mia mamma quando ero piccolo e mi faceva stare bene, così voglio che Elvis stia bene come me” Patrizia Rossi insegnante di sostegno e Gloria Roberti insegnante di classe Parole in mano Alba è una bambina con sindrome di Down di 10 anni, nata in Italia, di origine albanese, ultima di tre figlie. Ha subìto, appena nata, un difficile e impegnativo intervento al cuore e ad un anno e mezzo è stata colpita da una paresi celebrale che le ha compromesso l’uso della parte destra degli arti sia della mano sia del piede. È tuttora supportata da un tutore che le permette di camminare, ma la paresi le ha compromesso anche l’aspetto fonico/linguistico. 25 Alba ha frequentato il Nido e la Scuola dell’Infanzia. Ora è inserita nella classe quarta della scuola primaria. Nelle classi precedenti hanno lavorato moltissimo sul linguaggio che tuttavia è solo parziale. Va sottolineato inoltre che Alba è cresciuta in un ambiente bilingue: altro fattore che a lei può aver creato maggiori difficoltà. Quando è entrata nella scuola primaria non parlava, ma comunicava con qualche gesto per i bisogni primari come bere, mangiare e dormire. Non aveva il controllo sfinterico. Il primo anno scolastico è stato dedicato interamente all’accoglienza e all’osservazione, ponendoci, come insegnanti, obiettivi legati a competenze di base. Inoltre la sua permanenza a scuola era ridotta perché molto cagionevole di salute. Per continuità, nella sua valigetta portata dalla scuola dell’infanzia, c’era una cassetta con canzoncine che lei conosceva molto bene e sapeva mimare “a suo modo”. L’unico momento che condivideva con i compagni era questo. Si trattava di tempi limitati perché i compagni erano impegnati in materie che prevedevano capacità di lettura e scrittura e lei era fuori da questo contesto. Quindi dedicavamo qualche ora, nel salone o in classe, insieme al gruppo a mimare alcune canzoncine. Le piaceva molto mettersi al centro del cerchio dei compagni. Loro collaboravano. Abbiamo così cercato di valorizzare questa sua capacità mimico-gestuale e nel secondo anno, inserita nel laboratorio di lettura a classi aperte, le piaceva molto ascoltare le favole e soprattutto mimarle, raccontarle a suo modo anticipando quasi l’insegnante con gesti ed emissioni gutturali. Dopo l’uscita didattica in una fattoria, pensammo con Alba di costruire un libro, partendo da una favola che lei amava molto: quella dei tre porcellini. Abbiamo anche drammatizzato questo libro costruito con vari materiali. L’obiettivo finale era che Alba raccontasse con i suoi gesti, con la sua mimica la favola dei tre porcellini. Così è stato, con un grande successo anche nel gruppo dei compagni. Abbiamo verificato che Alba sapeva raccontare qualcosa con forte partecipazione, e soprattutto riusciva ad emettere qualche parola. Tutti questi gesti e queste azioni sono state raccolte in un quadernone con foto, segni, azioni che lei compie spontaneamente quando vuole dire qualcosa. L’abbiamo chiamato “Laboratorio dei gesti” e veniva settimanalmente proposto alla classe da parte di Alba. All’inizio del secondo ciclo, in terza, con l’aiuto della neuropsichiatria abbiamo contattato un’esperta di comunicazione alternativaaumentativa, che è venuta a scuola e ci ha consigliato dopo un’attenta valutazione, di introdurre un linguaggio dei segni. Però Alba non è sordo-muta e noi volevamo che con il segno producesse anche qualche parola. Inizialmente la bambina non era molto disponibile. La sua attenzione è stata variabile. Poi forse cogliendo che dietro al segno la parola veniva di conseguenza, si faceva comprendere meglio e comunicava di più con gli altri. Ha cominciato a migliorare e si è spontaneamente ampliato il suo vocabolario. Il lavoro sta procedendo ancora adesso, e durerà probabilmente fino alla fine del ciclo scolastico. Esso si divide in due parti: il momento individuale, in cui l’educatrice ripete con lei le figurine con i gesti e con le parole, e poi c’è la verifica che condivide con la classe. Sia i compagni che Alba sono molto entusiasti di questa attività diventata gratificante per tutti; infatti lei ha un riscontro importante e i compagni di classe vedono cosa fa quando non è con loro. Gloria Roberti Io vorrei precisare l’atteggiamento o il progetto educativo sul quale la nostra scuola cerca di formare un sistema integrato. Se una scuola, come spesso succede, si pone come scopo prioritario quello di fare raggiungere ai bambini determinate abilità di tipo didattico e lo stabilisce prima, per cui afferma rigidamente di dover arrivare a quel determinato punto, forse toglie risorse ai ragazzi. La scelta di cercare strade nuove penso faccia parte dell’affrontare le diversità e gli imprevisti. Sicuramente Alba è stata vissuta come bambina imprevedibile. Il non sapere fin dove poteva arrivare ci ha aiutato a cercare strade diverse. Da una parte il linguaggio dei segni. Dall’altra, leggendo i segnali di motivazione di Alba nei confronti del teatro dei burattini, è partito un percorso legato proprio all’uso di questi personaggi. 26 Abbiamo cominciato con la costruzione del burattino, un’ attività insieme a tutti i compagni. Quando poi si è passati alla caratterizzazione dei burattini ci siamo accorti che il personaggio che ciascuno aveva costruito stranamente aveva delle somiglianze con il suo costruttore; chi abitualmente utilizza queste tecniche di figura sa che si tende a prolungare/riprodurre se stessi fino alla mano che muove il burattino. È stato così anche per il cane di Alba. Dovevamo darle uno strumento utilizzabile tecnicamente (meglio manipolabile rispetto ad una testa di burattino) e che le consentisse di “effettuare il suo prolungamento”; il cane poteva permettere di essere utilizzato da Alba esattamente come gli altri utilizzavano i loro personaggi. È stata un’esperienza significativa, diversa dalle solite, meno formale, meno codificata, ma che forse è servita proprio “per andare oltre”. Renzo Vianello un filo che unisce con la storia che abbiamo visto col discorso non solisti ma orchestre, vero, anche in questo caso lo abbiamo visto. Anna Lacchini operatore pedagogico Testimonianza di una madre dalla città di Trento Sono un’operatrice pedagogica, da anni lavoro con persone disabili e con le famiglie e oggi ho scelto di portare la testimonianza di Marcella Maurina insegnante del liceo classico di Trento e madre di Marta, una ragazza con sindrome di Down. Marcella è una persona che ho conosciuto alla scuola estiva di scrittura, oggi sarebbe stata qui, ma c’è stata un’impossibilità dovuta al fatto che sua figlia è ammalata. Leggerò il suo scritto. Quella che mi accingo ad esporre è ben più che una riflessione sull’ormai lungo percorso scolastico di mia figlia: si configura come un bilancio di circa sedici anni di vita, dalla frequenza all’asilo nido, alla scuola dell’infanzia, poi la primaria, la secondaria di primo grado e infine la scuola secondaria di secondo grado, che Marta sta pressoché ultimando. E’ la mia primogenita: alle incertezze e ai dubbi che sempre accompagnano i percorsi e le scelte scolastiche dei figli, nel suo caso c’è stata fin dall’inizio l’ansia all’avvio di ogni anno scolastico, soprattutto nel passaggio da un ordine all’altro; e poi una serie infinita di momenti lieti e altri critici, o conflittuali, gioie, sorprese, progressi e lunghe attese, delusioni, spesso disillusioni. La sua storia scolastica è una serie ricchissima di incontri con compagni, insegnanti, dirigenti, bidelli, terapisti e specialisti di ogni ordine e grado; un bagaglio di visi, parole, racconti, frasi, discussioni , schemi, quaderni, ripasso e studio, poesie a memoria e cartelloni che a scuola e a casa hanno segnato la sua vita e la nostra, ogni giorno. Molti sono stati gli episodi, i momenti, le esperienze positive: quelle che danno fiducia, che rasserenano la famiglia che vede una bambina o una ragazza felice di sé e di quel che fa. I ricordi del nido sono legati a tante fotografie, a nomi di bimbi ed educatrici ormai persi di vista, come quelli della scuola dell’infanzia: le attività pensate e strutturate con attenzione, competenza ed entusiasmo, gli ambienti accoglienti, “su misura”, gli amici con cui giocare, imparare e confrontarsi con serenità; le cuoche, le assistenti coinvolte nel gioco processoeducativo, capaci di contribuire con efficacia nella creazione di una rete di rapporti che ricordiamo tutti significativi; ciò che rimane di quegli anni , benché filtrato e forse idealizzato (date le esperienze successive), è la grande fiducia nel futuro, un coinvolgimento profondo di tutte le figure (in primis le insegnanti) nel costruire un processo formativo ricco e sempre significativo, anche nei momenti o nei suoi elementi apparentemente più semplici. Questi ricordi, i nomi, le fotografie, sanno ancora regalarci bei momenti, quando ne parliamo insieme, sfogliando i “quadernoni”. Il passaggio alla scuola elementare, preparato con la maggiore attenzione possibile, ha rivelato fin dai primi mesi le caratteristiche che, ripensandoci oggi, si sono rivelate come costanti nel percorso scolastico di Marta nella scuola pubblica: interesse e disponibilità di alcuni insegnanti, creazione di occasioni di integrazione effettiva (per esempio semplificando i contenuti di alcune materie, che lei seguiva in classe), realizzazione di attività di laboratorio, uscite, momenti in cui davvero 27 era un’alunna come gli altri, anzi, in cui diventava una risorsa per gli altri, facilitando lei le cose per i compagni; però purtroppo molto più spesso abbiamo verificato la sostituzione infinita di insegnanti di sostegno, l’esclusione dal gruppo, col pretesto di potenziare alcune materie lavorando da sola con l’insegnante, le ore passate in aule in solitudine, o all’esterno della scuola, per accompagnare qualche insegnante nelle sue commissioni. Lei ricorda con gioia la mensa, i compagni con cui giocava, la palestra, le insegnanti, la segreteria; ripensa con piacere alle tante ore passate fuori, in compagnia dell’insegnante di sostegno: per lei era un modo di lavorare più rassicurante, visto il vincolo di affetto che si creava regolarmente tra lei e queste figure. Ogni tanto qualche argomento veniva trattato in parallelo a quello che studiavano i compagni, ma era molto maggiore il tempo che Marta passava da sola con l’insegnante, in spazi diversi da quelli dell’aula. Alla scuola media la situazione non cambia, la frase ricorrente era: “nell’interesse di Marta”, così era più il tempo che passava fuori, nell’aula cosiddetta “di sostegno”: lei ricorda la pizza, che faceva ogni settimana (avesse almeno imparato davvero a fare la pizza!), alcuni professori particolarmente affettuosi e simpatici, i quaderni riempiti di nozioni e di compiti, le pause, passate quasi sempre a parlare con gli insegnanti. Momenti davvero belli erano le uscite, le gite e i viaggi di istruzione: lì davvero si stava tutti insieme e ci si divertiva. La scelta della scuola secondaria, pur meditata, è stata un salto nel buio: non siamo stati davvero aiutati, indirizzati tra le varie realtà esistenti, direi che hanno semplicemente assecondato quella che sembrava una nostra intenzione verso una determinata scelta, quella che poteva rispondere meglio ai bisogni di nostra figlia. Marta frequenta il quarto anno dell’Istituto d’Arte “A.Vittoria” a Trento: è inserita in una classe di ventitré alunni, ma passa poco tempo con i suoi compagni: per la precisione due ore il lunedì per un’ attività di laboratorio, due il martedì per un’altra (il gruppo classe è diviso a metà). Il mercoledì e il venerdì passa due ore in classe (storia e religione), ma dice di “fare le sue cose”, cioè occupa un banco e pensa ad altro. Io le ho chiesto: “E’ il tuo banco?” “No, - mi ha risposto – mi siedo dove c’è posto. Io non ho un banco mio”. Quando torna a casa leggiamo quello che ha scritto sul quaderno di brutta copia: racconta dell’estate, del campeggio in montagna con i suoi amici, ripetendo sempre le stesse cose, ossessivamente. Questa organizzazione dell’orario e del lavoro degli insegnanti è stata fissata a inizio d’anno e ritengo che rimarrà tale sino alla fine: le nostre richieste di genitori, i consigli e i suggerimenti dell’equipe sanitaria sono regolarmente disattesi, purtroppo in modo subdolo, anche se formalmente lecito (sarebbe meglio dire: coperto dalla burocrazia); gli insegnati dichiarano di assolvere al loro compito nel migliore modo possibile. Alla nostra richiesta di prendere visione della documentazione scritta, in particolare del Piano Educativo Individualizzato, ci è stato risposto che nulla è stato ancora predisposto, ci dicono: “abbiamo in mente qualche cosa”, perché il regolamento della scuola prevede che il termine ultimo sia la data dello scrutinio (perciò gennaio); ciò avveniva nella riunione del 16 novembre scorso. Alle nostre obiezioni circa una collaborazione più fattiva e trasparente tra la scuola e la famiglia, la sollecitazione dell’alunna all’autonomia, a sperimentarsi, a fare esperienze, la creazione di una reale integrazione nei vari momenti della vita scolastica, il coinvolgimento e il contatto con l’intero consiglio di classe, è stato risposto che sono cose difficili e che non tutti gli insegnanti manifestano disponibilità. La redazione di un piano di lavoro che preveda, almeno per alcune materie, la semplificazione dei contenuti, l’effettuazione di prove di verifica adeguate, ma “vere”, costa certo fatica, ma è davvero qualificante: l’abbiamo visto di rado, in questi ultimi anni, forse solo con l’ insegnante di scienze, che in un’occasione preparò un lavoro di biologia che poi fu presentato da Marta in classe. Una considerazione finale: gli anni della scuola dovrebbero essere quelli in cui tutti siamo uguali davvero, prima di intraprendere le diverse strade: per un ragazzo con handicap potrebbero costituire un lungo “tirocinio” con i coetanei, nelle varie occasioni dell’apprendimento, del gioco, dello svago, della formazione, con l’aiuto significativo delle figure degli educatori. Dalla mia esperienza, tuttavia, posso dire che anche la scuola, come tutto il resto, è stata una gran fatica per Marta, 28 un continuo rincorrere gli altri, assecondare le richieste altrui, soggiacere alle esigenze di questo o quel consiglio di classe, aprire tutti i giorni un portone che apparentemente la accoglieva, ma subito dopo la ricacciava in qualche “aula di sostegno” . La parola che ho sentito ripetere più spesso, in questi anni, è “copertura”, con tutta l’area semantica annessa: sua figlia è “coperta” per un buon numero di ore, Marta ha un’ampia “copertura”, cercheremo di “coprire” le assenze degli insegnanti di sostegno con dei supplenti…. Non sarà che per molti di questi insegnanti l’unica “copertura” è quella burocratica, che tutela sempre i loro interessi, prima di quelli dell’alunno disabile, al punto che la sua dignità di essere umano viene regolarmente calpestata? Questa è la parola che dovrebbe comparire più spesso, di cui dovrebbe sostanziarsi ogni discorso, ogni riflessione, ogni documento sul tema: dignità. “Maxima debetur puero reverentia”, al fanciullo si deve il massimo rispetto: se tutte le figure della scuola si attenessero davvero a questo principio, tanta sofferenza e tante umiliazioni sarebbero risparmiate ai ragazzi disabili e alle loro famiglie. Io ringrazio per la testimonianza Marcella che mi ha detto telefonicamente di aggiungere quanto vi dirò. La regione del Trentino Alto Adige è una regione ricca, i fondi ci sono, i dirigenti scolastici hanno le possibilità di promuovere l’integrazione, però non è solamente un fatto di risorse è un fatto proprio di cultura dell’integrazione della comunità. Essere adulti, sarà poi il passaggio che nel pomeriggio affronteremo: le esperienze e i servizi per adulti e l’inserimento lavorativo. Essere adulti con un deficit significa essere diversi ed assomigliare a tanti altri, condividere percorsi comuni, a volte essere accompagnati dentro e fuori dalla scuola, dai servizi. Da adulti continuare ad essere pensati, allo scopo di ridurre l’handicap, le situazioni handicappate ed affrontare il deficit. Renzo Vianello Nel 1977 sono iniziate una serie di ricerche sull’integrazione scolastica e sugli atteggiamenti degli insegnanti; trent’anni sono proseguite tali ricerche. Eppure riesco a sintetizzarle in una frase (da un detto veneziano): gli insegnanti funzionano quando si sentono nella stessa barca con gli alunni e sentono che se la barca va a fondo tutti affondano. Quando invece questo coinvolgimento pieno non si sente, allora le cose non funzionano. Abbiamo avuto prima testimonianza di insegnanti che si sentivano coinvolti. Perché funzionino le cose ci deve essere anche un rischio della caduta dell’autostima professionale. Pomeriggio Giovanna Piaia Assessore Pari opportunità Volontariato, Diritti dei cittadini L’Associazionismo La fantasia dell’umanità è sempre stata colpita dal diverso ed ha reagito sempre con timore a tentativi di controllo sociale. Con il rifiuto e la delega si struttura la logica dell’esclusione . Nonostante la Costituzione agli art. 34 e 38 affermi che la scuola è aperta a tutti e gli inabili hanno diritto all’ educazione e all’avviamento professionale, solo dagli anni settanta si è avviato un percorso di integrazione sociale. Da allora abbiamo appreso nel lavoro sociale che l’integrazione è cambiamento continuo, non raggiunge mai livelli che possano dichiararsi stabili perché l’integrazione chiede continuo mutamento di mentalità e buone pratiche. Con la legge 104/92 si è sancito che l’handicappato è un soggetto di diritto e come tale ha diritto all’accoglienza e a tutte quelle condizioni che recuperano abilità e riducono l’handicap. Più recentemente si è avanzato il concetto di “pari opportunità”, un ruolo del disabile maggiormente attivo anche nella capacità di dare e non solo di ricevere. Non un semplice concetto di uguaglianza, ma realizzazione di tutto quanto è potenzialmente realizzabile. Una piena applicazione dell’art. 3 della Costituzione pari dignità dunque, ma occorre come cita la Costituzione “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Non un’uguaglianza formale, ma un’uguaglianza sostanziale: significa chiedersi che cosa le persone sono in grado di fare e di essere nella nostra società. 29 Quanto la loro dignità sia riconosciuta e valorizzata, quanto esse siano libere di scegliere la propria vita nella concretezza delle loro particolari condizioni. Tutte responsabilità delle politiche pubbliche,nuove responsabilità per le politiche pubbliche. La diversità dei bisogni richiede che le risorse vengano distribuite diversamente per poter garantire funzionamenti analoghi. Sono compiti ridistribuitivi in termini di risorse, ma anche di impegno a contrastare attivamente tutti i meccanismi che vincolano fortemente le capacità di particolari individui. La capacità “è infatti un concetto esigente”, chiede siano predisposte le condizioni per la sua messa in pratica per il suo sviluppo e se la persona lo desidera. Il desiderio nasce anche dal vedere che si può, che c’è qualcosa che ho davanti e posso raggiungerlo. Poi bisogna essere più profondi: non si tratta solo di riconoscere che un disabile ha bisogno di risorse aggiuntive per far fronte ai propri bisogni quotidiani. Occorre far si che il modo in cui è organizzato l’ambiente e l’insieme delle regole sociali non aggiungano ulteriori vincoli a una esistenza già resa difficile dalla disabilità: barriere architettoniche, modalità di prestazione lavorativa, ritmi di tempo sociale, uso del linguaggio, stereotipi non verificati. Rimuovere gli ostacoli, ritorniamo all’art.3 della Costituzione, anche quelli delle disabilità socialmente costruite. Politiche pubbliche come politiche abilitanti,non solo diritti ma capacità. Le capacità possono essere anche della persona singolare, che va portata all’obiettivo di mettere tutti e ciascuno su un piano di uguaglianza di opportunità. Tutti questi concetti sono basati sulla capacità di capire i bisogni differenti delle persone, i bisogni sono realizzabili attraverso le relazioni. Senza la relazione, la costruzione di relazioni non si può realizzare nessun cambiamento. La dignità umana ha bisogno di cura, la cittadinanza nasce dalla cura, dall’attenzione ai cittadini. Anche la cura si realizza attraverso le relazioni. I bisogni di cura, il bisogno di riceverla e di darla sono un concetto non riferibile solo all’ambito famigliare, la famiglia è luogo primario di cura a cui sono state storicamente deputate le donne in forma sacrificale e gratuita, ma anche la società allargata deve prendersi cura delle persone. La società deve essere capace di dare affetto, solidarietà, cura. Capacità preziose e relazioni produttive di benessere sono ugualmente ritrovabili nella famiglia in qualunque forma essa si costituisca, così come in altre forme di aggregazione sociale: scuola, spazi di tempo libero, associazioni, comunità lavorativa. Il concetto di cura va oltre la famiglia, deve essere presente nella rete delle relazioni umane, nei servizi alla persona come negli organismi elettivi che progettano le politiche del welfare. Lo stereotipo della connotazione femminile del lavoro di cura non può essere semplicemente soppresso da azioni rivendicative. La vocazione alla cura è stata una costruzione culturale operata nei confronti delle donne sulla base di concezioni di genere fortemente asimmetriche e su una divisione del lavoro sia familiare che sociale, divisione non superabile ancora oggi solo con la ridistribuzione di compiti tra uomini e donne al fine di ridurre il carico del doppio lavoro femminile. Occorre diffondere l’idea del lavoro di cura come dimensione umana come attitudine alla relazione da valorizzare e far circolare. Atteggiamento di cura come atteggiamento umano fondamentale che dovrebbe fondare ogni teoria etica e di cittadinanza. E’ là dove la condizione di vita appare più spezzata o meno completa che questa capacità di prendersi cura diviene più essenziale e irrinunciabile. Non un generalizzato senso di tolleranza e di solidarietà, ma responsabilità nei confronti dei soggetti deboli. Di essi non si può occupare solo la famiglia, i servizi o le stesse associazioni di volontariato in quanto portatori di interessi e di bisogni. Lo sviluppo di un senso diffuso di responsabilità può essere portato dalle associazioni alla società se affrontano la problematica non adottando un comportamento mutualistico per avere più attenzione e protezione, ma sentendosi parte attiva di uno sviluppo umano che deve arricchirsi del contributo di tutti attraverso la forma della partecipazione. Una responsabilità civile che poggia su basi morali e anche politiche (io sono portata ad aggiungere per il significato che attribuisco 30 alla politica) responsabilità non puramente basata sulle esigenze personali. Una responsabilità che favorisce, senza imporla, la solidarietà e la cooperazione degli altri. Non vorrei mancare di riconoscere anche la funzione che l’associazione assolve nella condivisione di una problematica comune, trasformando un problema privato in un problema sociale dunque collettivo. Essere portatori di interesse consente di avere una conoscenza vissuta, che interpreta i bisogni per come si presentano nella vita quotidiana. Un intreccio che può far maturare incontri fecondi e trasformativi delle politiche sociali se il terreno dell’incontro è quello di un welfare partecipato, organizzato sulla partecipazione. Una sorta di controllo sociale maturo, propositivo che promuove la partecipazione dei servizi per creare uno stato sociale più sociale. Possono così riprendere le associazioni un’ impegno di cittadinanza attiva che sa vedere il proprio problema dentro il contesto sociale che incontra altri problemi. Un’apertura che diventa incontro oltre la solidarietà. Impegno civico come forte antidoto al pessimismo e alla sfiducia del non cambiamento. Sicuramente siamo ancora molto insoddisfatti, ma impegna come dimostra la giornata di oggi a combinare le nostre competenze per fare diventare le politiche pubbliche politiche abilitanti, abilitanti al rispetto e allo sviluppo della persona in condizioni di maggiore giustizia sociale e anche economica perché sicuramente anche questa diventa spesso fonte di disagio. Manteniamoci in questo impegno. Renzo Vianello Un intervento molto denso, molto ricco e ho dovuto concentrarmi per seguire tutto, e per esempio, mi piacerebbe approfondire quel passaggio oltre alla solidarietà che mi è sembrato molto interessante. Giovanna Piaia Quando un'associazione di volontariato opera, parte molto spesso dal proprio bisogno di difesa, di tutela dei diritti e quindi si mette in campo e mette in comune la propria esperienza anche della rivendicazione della richiesta dei diritti. E’ tutto legittimo questo, però secondo me occorre andare oltre quindi chiedere la solidarietà, la solidarietà non va imposta, non si può, si riceve se l'altro trova un punto di incontro, trova una ragione, sente che quell'incontro lo fa cambiare in qualcosa, gli attiva un qualcosa che gli dice io voglio comunicare, voglio mettermi in contatto con queste cose che mi aiutano. Quindi oltre agli aspetti della solidarietà secondo me il volontariato fa una forte azione politica, politica intesa come trasformazione del nostro vivere comune, qualcosa che mette tutti nella condizione di avere un benessere. Renzo Vianello ho letto nella sua relazione un tentativo di ricerca di grande equilibrio fra diritto e rivendicazione, come deve esserci, sempre rispettoso, o sbaglio? Giovanna Piaia E’ tutto esattamente così, quando parlavo del discorso della cura che è sempre stato un lavoro delle donne e solo ora incominciamo a far sentire anche agli uomini che tale tema li può riguardare ma non solo perché noi abbiamo bisogno di alleggerirci, sappiamo che se questo non entra nella mentalità comune diventa solo una rivendicazione che poi crea dei conflitti nella famiglia e nella coppia. Antonio Pocaterra Associazione ANFFAS L’integrazione attraverso le associazioni dei genitori E’ importante che questo sia un evento periodico, perché solo così la cultura può crescere, altrimenti si parte sempre daccapo, si ripetono sempre le stesse cose, invece una maturazione ci aiuta, anche perché i figli crescono e noi abbiamo bisogno sempre di maggiori approfondimenti. Quando nacque la nostra seconda bambina, quasi diciotto anni fa, ci comunicarono che aveva la sindrome di Down, io e mia moglie, prima di tutto non ci credevamo, poi visto il certificato, abbiamo cominciato a renderci conto della realtà. La prima cose che ci venne in mente era di capire cosa eravamo di fronte. Cercammo delle associazioni, trovammo l'associazione di Bologna, il CEPS, forse molti di voi lo 31 conoscono, proprio solo per la sindrome di Down. La bambina cresceva e ad un certo punto, vedendo che presso questa associazione andavano molti amici di Ravenna e dintorni, abbiamo creato una nostra associazione, che la chiamammo addirittura Promozione Down non per promuovere la sindrome ma l’integrazione dei nostri ragazzi nella società. Questa integrazione non è semplice, è sempre moderna questa parola perché è difficile, se mi permettete penso a questa metafora: è come le palline del polistirolo che si vogliono mescolare al calcestruzzo, se non ci si mette della forza o dell'energia non ci stanno dentro, si separano. Non sono loro che non vogliono essere integrati, ma è la società che non li integra, non per farne una colpa, ma è così. I ragazzi si aggregano, poi c'è competizione, lasciamo stare il bullismo, i nostri figli bulli non potranno mai esserlo, però c'è da lavorare duro, per questo, in questo momento stiamo lavorando, ringrazio tutti gli operatori, perché oggi ho visto delle esperienze che mi hanno commosso. La nostra associazione l'avevamo poi vista più come un auto-aiuto: ci trovavamo fra famiglie, ci parlavamo, ci scambiavamo le esperienze e in questo modo siamo riusciti a fare molto. Poi questa associazione è confluita nell’ANFFAS che è più strutturata, ha maggiori risorse che servono per iniziative di vario genere. L’ANFFAS è un'associazione nazionale di famiglie di persone con disabilità intellettiva e relazionale, per cui ci sono famiglie di ragazzi con varie problematiche, però tutti hanno le stesse esigenze. Era già attiva la scuola di mosaico, il comune ci offre l’affitto di una casetta dove all'interno c'è una scuola di mosaico, e qui al momento quattordici o quindici ragazzi che di pomeriggio si ritrovano a fare delle attività Creano mosaici e ceramiche che sono esposte anche nella mostra. Poi siamo riusciti a ottenere un contributo dalla Fondzione Cassa di Risparmio, e con il Comune di Ravenna, siamo riusciti a mettere insieme un'auletta con tre computer e facciamo un corso di computer dedicato ai ragazzi. Abbiamo acquistato anche degli hardware, le lezioni sono molto seguite, non pensavamo che sarebbero state così apprezzato dai ragazzi, e imparano... vedo che anche mia figlia ci va da sola. Siamo riusciti a fare anche un corso di psicomotricità, ma ad un certo punto non siamo più riusciti a finanziarlo. Attualmente si organizzano feste, abbiamo la festa principale che è quella della befana dove ci sono sempre centinaia di persone, poi altri momenti di svago perché se non li organizziamo noi questi ragazzi hanno difficoltà ad andare con i coetanei, non hanno il gruppetto di amici. L'anno scorso facevamo gruppi di ragazzini che noi genitori accompagnavamo a pub, in discoteca. Renzo Vianello Ci sono tanti modi di dire le cose che hanno un grande spessore, una grande profondità, adesso noi abbiamo sentito Antonio Pocaterra che con toni e modalità molto piacevoli e accattivanti, ci ha parlato di questioni molto profonde, ho preso due, tre note. La prima è questa. C'è un ampia discussione sulle cose che devono fare i giovani con disabilità intellettive e gli adulti con disabilità intellettive, e si dice: devono lavorare insieme ai normali, ma possono stare anche fra loro. Ho un'idea molto semplice: una società che funziona bene ha una molteplicità di offerte, cioè ci stanno tutte bene, e nel momento in cui ci sono tutte, è più facile che ciascuno trovi una propria collocazione, quindi non facciamo guerre, è solo al momento in cui abbiamo realmente tutte le possibilità che riusciamo meglio a trovare una collocazione piuttosto che un'altra. La seconda riflessione molto più banale, riguarda il computer. Per lavorare al computer, se non sei un programmatore, ma solo esecutivo, bastano quattro anni e mezzo di età mentale; occorre usare le tecniche tipiche dell’età... racconto questo perchè è un messaggio ottimistico cioè significa che, se i nostri ragazzi hanno come minimo questa capacità è bene che sappiamo usarla anche raggiungendo livelli molto elevati e quindi tutt'al più il problema è di farlo ancor prima, è di farlo sempre, di farlo subito, perché richiede un tipo di pensiero intuitivo che normalmente si ha all'età in cui si può imparare a leggere e a scrivere. 32 La terza riflessione: le persone con disabilità possono stare insieme solo a persone normali o anche fra di loro? E' una domanda radicale , la mia risposta è semplice, è un problema di tempi, cioè più sono piccoli, e più hanno bisogno di respirare attorno a sé quasi esclusivamente, o solo normalità perché questo permette a loro di farsi un'identità in cui tutti i loro aspetti diversi da quello del deficit emergono, quindi è brutto se ce ne sono tre nella stessa sezione, meglio uno, nella la scuola dell'infanzia, nella scuola materna, eccetera. Più andiamo avanti, più emerge un altro problema, e cioè che l'obbiettivo fondamentale per le persone con disabilità, è una doppia identità, e cioè, scoprire la propria identità di persone normali come gli altri, a parte i propri deficit, anche se a volte gravi, e poi l'identità di persone come me nel mio deficit. Quindi se si è ben formata una personalità che ha fatto emergere situazioni di integrazione, tutti gli aspetti di normalità l’essere tra persone Down, tra persone con disabilità è molto meno grave di quanto noi crediamo. Quando vogliamo fare un discorso di principio, questa è la mia opinione con trent'anni di esperienza, e non è un tornare indietro, è un capire che ci sono tempi e tempi e che un obbiettivo soprattutto adolescenziale giovanile è quello di capire, "quelli come me" mentre prima era di capire "tutti quanti cosa siamo" Associazione GRD – Osservatorio IPSSAR di Cervia Anna Lanzoni Inclusione formativa oltre a quella scolastica Oggi mi trovo qui in duplice veste, come associata alla GRD e come persona che si occupa, all’interno dell’Istituto IPSSAR di Cervia, di progettazione scolastica e formativa. Sono mamma di Rachele, una ragazzina di quattordici anni, con la sindrome di Down. Vorrei esprimere una riflessione, un’emozione, quanto forse non si dice, per pudore, per imbarazzo, quando si diventa mamma di un figlio con disabilità . Quello che si prova immediatamente è paura, una grande paura, quasi un senso di colpa, e dico quasi, perchè sono stati d’animo forti e disorientanti, che inizialmente stentano ad essere riconosciuti con chiarezza anche da chi li prova . C’è un senso di colpa, per affacciare al mondo un figlio diverso da come il mondo probabilmente l’avrebbe voluto, diverso dalle aspettative dei più. Esiste il timore di creare un peso sociale, ed in definitiva, si sperimenta l’angoscia di non essere accettati. Come donna, poi, non ci si risparmia dal disagio profondo di sentirsi sminuita, per non essere stata in grado di partorire un figlio “sano”, o un figlio definito “perfetto”. La soddisfazione più grande è quella di scoprire che sempre più i genitori sentono transitorio tutto questo guazzabuglio di stati d’animo caratterizzati da timore e sofferenza. Transitorio, perché essi sanno fin da subito ricercare con coraggio delle relazioni significative, con la voglia di trovare uno spazio vero, reale, forte per il figlio, in grado di contribuire all’affermazione di un posto di dignità e soddisfazione nella vita. I genitori sanno cercare immediatamente aiuto, sia fra gli operatori socio–sanitari, sia rivolgendosi alle Associazioni presenti, alla scuola, perché si desidera prioritariamente che il bambino o la bambina cresca con il riconoscimento sociale del valore della sua esistenza, per meglio coltivare l’alto valore di sé. Soltanto coltivando il valore della propria unicità, della propria peculiare bellezza, della propria inconfondibile essenza, si può pensare di trovare un posto adeguato nella vita, e nella società ; ripeto che è confortante pensare che sempre più i genitori sentono urgente l’impeto di onorare nel modo migliore quell’amore che hanno per il figlio, perché non è sempre stato così: l’isolamento e lo smarrimento a volte perduravano tutta la vita, senza soluzione di continuità, senza dare scampo, purtroppo, né ai figli, né ai genitori . Credo sia rassicurante sapere che l’accettazione familiare, vera e profonda, certo non semplice ed immediata, possa essere favorita dalla crescita etica che ha 33 interessato tutto il nostro sistema sociale; oggi chi nasce inizialmente non fortunatissimo, ed alla sua famiglia vengono in soccorso tanti aiuti per costruire un percorso di vita che si vuole il migliore possibile. Le istituzioni vanno interpellate, affinché diano risposte, perché forniscano coordinate di aiuto immediato ed i genitori debbono imparare a chiedere quanto è loro possibile: occorre che tutti gli attori coinvolti facciano cemento insieme, in modo tale che possano contribuire, nell’ambito delle proprie competenze, a facilitare il cammino di integrazione e naturalmente anche la scuola può e deve fare davvero molto. Noi pensiamo all’integrazione scolastica e ci fermiamo ai primi anni di scuola. I nostri ragazzi, le nostre ragazze oggi, per fortuna proseguono gli studi, ci sono anche ragazzi (pochi) che arrivano all’Università. Servono sempre elementi indispensabili: la forza della determinazione, la fiducia e la volontà di voler scegliere per la soddisfazione nella propria vita. Non ci si deve accontentare di quanto è solitamente concesso e consolidato: i ragazzi e le giovani con la sindrome di Down devono poter aver alternative, debbono poter coltivare progetti per la propria vita; non necessariamente si devono accontentare di quanto altri hanno individuato teoricamente per i loro bisogni . Molte sono le scuole medie superiori che seguono studenti con s. di Down fino al quinto anno e li guidano anche a compiere esperienze extra scolastiche, per arricchire le loro competenze in realtà lavorative. Questo avviene soprattutto negli istituti professionali. All’IPSSAR di Cervia tutti i nostri ragazzi effettuano esperienze di stage formativi anche per periodi prolungati e noi ci impegniamo perché gli studenti con disabilità possano avere le stesse opportunità degli altri; attualmente gli studenti con disabilità frequentanti sono 53, di cui 5 con sindrome di Down. Il nostro obiettivo, riuscito con successo fino ad ora, è che possa essere loro consentito concretamente di vivere con soddisfazione queste esperienze. Mi spiego meglio: nella logica di comprensibili agevolazioni, i tirocini vengono di norma programmati e concordati con enti locali, ma la nostra scuola ha deciso di fare un passo ulteriore, favorita anche dal fatto che operiamo in un territorio pullulante di attività private, turistiche, ristorative ed alberghiere. Abbiamo creato le possibilità affinché anche le strutture private potessero concorrere a far crescere sotto l’aspetto esperienziale i nostri ragazzi con svantaggi psicofisici, come avviene per tutto il resto della nostra popolazione scolastica. Il 19 settembre scorso è stato siglato con il territorio di Cesenatico un Protocollo d’Intesa: sono state mappate con la collaborazione del Comune e dei Servizi Sociali tutte le associazioni private del commercio e queste a loro volta, attraverso la mediazione dei responsabili incaricati, hanno individuato le aziende interessate all’effettuazione di stage da parte dei nostri ragazzi in difficoltà. La scuola, per le sue competenze, ha creato una struttura progettuale ed operativa, in grado di costruire effettive esperienze spendibili nel concreto, fornendo un’occasione di crescita per gli stagisti e salvaguardando la tranquillità, oltre che il profitto, delle aziende ospitanti. L’esperienza deve sempre produrre gratificazione e soddisfazione per i soggetti coinvolti, e pertanto l’impegno dei docenti e dei tutor scolastici ed aziendali deve essere forte e convinto per la sua ottimale riuscita. É anche vero che attraverso questi accordi, non si può garantire il diritto al lavoro, intendiamo però assicurare a tutti, ma proprio a tutti i nostri alunni, il diritto alla formazione, attraverso esperienze concrete e non fittizie. Il Comune di Cesenatico si è messo a disposizione della scuola, e la scuola a disposizione delle associazioni; le famiglie ed i ragazzi coinvolti hanno collaborato con interesse, fornendo anche suggerimenti ed indicazioni utili per il successo formativo. Ci piace pensare che ci sia tanto di possibile e di sinergico da fare; tutto, ovviamente, finalizzato all’integrazione autentica, con tutti i significati salvaguardati. Tanto più si farà e si produrrà in termini di integrazione, tanto più faremo una cultura della vita . Ci sono realtà, come ad esempio quella nei paesi scandinavi, in cui la richiesta di interruzione di gravidanza, in caso di accertata malformazione è praticamente nulla, e non certo perché si tratta di paesi dipendenti dalla Santa Sede, ma perché esiste una struttura sociale e lavorativa che abbatte di fatto le possibili barriere ostacolanti il futuro dei ragazzi. 34 L’organizzazione tiene conto del reale inserimento delle persone con sindrome di Down nella vita produttiva, pertanto è nullo il timore dell’opinione pubblica, dei suoi giudizi e non ci si pone il dubbio dell’eventuale peso sociale se il soggetto è Down, o non è Down ... Le sicurezze sociali di certo possono far privilegiare la cultura della vita ad altre soluzioni che spesso non sono frutto di una scelta, ma bensì crudeli costrizioni della paura, e per di più quasi sempre vengono accompagnate da un insopportabile senso di autocondanna che non lascia scampo, mai. I doni della vita meritano sempre di essere accettati, nessuno escluso. Facciamo in modo di poterli cogliere serenamente, tutti. Renzo Vianello Ho scritto la parola coraggio e poi ho aggiunto intellettuale, ha detto: per riuscire ad andare veramente incontro alla disabilità bisogna avere coraggio, però non volevo la connotazione coraggio dal punto di vista emotivo è anche il coraggio di analisi di realtà. Certo che tutto è più facile se si ha qualcuno vicino, se si sente che c'è chi ti aiuta ad avere coraggio. L'altra osservazione molto breve è sul punto finale: se riusciamo a risolvere il problema Donatella Marchetti Responsabile U.O. Disabili adulti e rapporti con il Dipartimento Salute Mentale L’integrazione nell’età adulta in una logica socio-sanitaria Ho preparato un intervento che presenterà la realtà dei servizi di Ravenna relativi alla disabilità. Fino al 2004, rispetto alla popolazione residente, abbiamo avuto un numero totale di disabili abbastanza stabile, mentre dal 2005 in poi, abbiamo constatato una crescita costante. Abbiamo una maggiore incidenza di minori con deficit cognitivo, un aumento delle disabilità acquisite e questo è un problema molto grande, tutta una fascia di persone giovani disabili a causa di incidenti stradali, è un punto di grande attualità purtroppo. L'innalzamento dell'età media anche questo è importantissimo, poi abbiamo un altro fattore che è quello dei trasferimenti da altre regioni... quindi abbiamo una popolazione che ha come dato attuale 1015 fra adulti e minori. delle persone con disabilità avremo anche una società migliore, questa frase può sembrare molto retorica ma non lo è, una dimostrazione l’abbiamo già chiarissima nella scuola. La scuola in questo momento sta vivendo una crisi pazzesca per cui è molto complesso il discorso, però ci sono cose tipo l'inserimento differenziato, apprendimento cooperativo, tutor e così via che la scuola italiana lo ha imparato perché costretta ad impararlo per l’inserimento delle persone con disabilità. Poi lo utilizza anche quando in classe non ci sono persone con disabilità abbiamo esempi di come anche la società migliora se veramente va incontro alle persone con disabilità, ci sono ma non sono così limpidi, ecco mi auguro vivamente che in futuro siano limpidi anche quelli che riguardano la società. Sindrome di Down IL TERRITORIO: RIFLESSIONI A PIU’ VOCI 29/11/2007 L’integrazione nell’età adulta in una logica socio-sanitaria Donatella Marchetti responsabile U.O. DISABILI ADULTI e RAPPORTI D.S.M. 35 PREMESSA l I dati relativi alle persone disabili della zona sociale dei Comuni di Ravenna, Cervia, Russi, dopo alcuni anni (2002-2003-2004) di stabilità del grado d’incidenza rispetto al numero totale della popolazione, confermano una crescita costante dovuta principalmente ai seguenti fattori: - maggiore incidenza di minori con deficit cognitivi; - aumento delle disabilità acquisite; - innalzamento dell’età media data dai progressi nell’assistenza sanitaria; - trasferimenti di nuclei familiari da altre province/regioni. La popolazione con disabilità si caratterizza quindi per estensione di età (prima infanzia- età anziana) con esigenza di specializzazione dei servizi in relazione all’età e ai progetti individuali. • La rete dei Servizi Diurni Centro Socio Riabilitativo Diurno (Autorizzazione 564/01) Servizi territoriali rivolti a persone disabili con diversi profili di autosufficienza con le seguenti finalità: - riabilitativa/educativa; di socializzazione; di aumento e/o mantenimento dell’autonomia; di integrazione alla risorsa famiglia nel sostegno al compito di cura quotidiano; prevenzione alla residenzialità e conseguente diritto a permanere nel proprio ambiente di vita. Numero strutture presenti nella zona sociale Tot. 7 Alla data odierna il numero totale di disabili in carico (minori e adulti) è pari a 1.015. Comune di Ravenna n° 6 utenti Comune di Cervia n° 1 utenti n° 8 Utenti Down 1 n° Comune di Russi n° 0 utenti n° 0 Utenti Down 0 n° Tot. n° 7 n° 48 Tot. n° 56 Utenti Down 8 n° Tot. n° 9 Interventi domiciliari territoriali a sostegno familiare Assistenza Domiciliare • CENTRI SOCIO OCCUPAZIONALI Sono servizi territoriali a carattere diurno rivolte a persone disabili adulte certificate dalla Commissione Invalidi e dalla Commissione L. 104 con potenzialità che consentano forme di integrazione lavorativa. Il Servizio è finalizzato a favorire la permanenza della persona con disabilità nel proprio nucleo familiare o a facilitarne l’inserimento nella Rete dei Servizi. •Assistenza domiciliare- n° utenti 31 - tot. ore 9000 annue •Assistenza domiciliare integrata – n° utenti 15 - tot. ore 2700 •Assegno di cura: • • • • Obiettivi: - mantenimento e sviluppo delle autonomie personali acquisite dopo il percorso scolastico/formativo; - progressiva maturazione dell’identità lavorativa (comprensione e condivisione di regole, sviluppo delle relazioni interpersonali e sociali con il gruppo e l’ambiente); - conseguimento di capacità lavorative e professionalizzazione in rapporto alle attitudini personali; - aumento dell’inclusione sociale attraverso inserimenti in contesti facilitati nel tessuto socio economico territoriale. L’assegno di cura a favore della popolazione disabile, è una risorsa della rete dei servizi socio sanitari integrati che ha assunto un valore strategico per potenziare le NUMERO STRUTTURE TOT. 11 opportunità di permanenza al loro domicilio. L’obiettivo principale è evitare, o comunque posticipare, l’inserimento definitivo del disabile in struttura residenziale. • COMUNE DI RAVENNA 9 Consiste in un contributo economico di entità variabile su tre livelli a seconda della gravità del disabile (Del. Reg. 1122/2002 e Del. Reg. 2068/2004), a sostegno della famiglia o di altre persone non appartenenti al nucleo familiare che garantiscano prestazioni assistenziali a valenza sanitaria. • • Assegno di cura delibera 1122/02 n. 30 Assegno di cura delibera 2068/04 n. 13 • Servizio trasporto - n. utenti 163 Il Servizio prevede il trasporto di persone disabili con automezzi adeguati e personale addetto all’accompagnamento. Promuove così la mobilità sul territorio, per favorire: - l’inserimento scolastico; - l’accesso agli ambulatori della riabilitazione; - le attività di tempo libero e le vacanze; - Centri Educativi, inserimenti lavorativi, residenziali. • C.A.A.D. (Centro Adattamento Ambiente Domestico) Il C.A.A.D. si occupa di fornire informazioni e consulenza sugli adattamenti che possono essere effettuati nel domicilio di persone anziane o disabili per favorirne la massima autonomia e la permanenza al domicilio. Facilita il lavoro di cura dei familiari. Il C.A.A.D. tramite un’equipe multidisciplinare (Architetto del Comune di Ravenna, Fisioterapista A.USL e Operatore Sociale del Consorzio Servizi Sociali)studia interventi integrati riferiti ai settori: ausili, abbattimento barriere architettoniche, tecnologie/automazioni e controllo ambientale rispetto ai vari ambienti domestici e alle funzioni in esser espletate: igiene, riposo, svago, studio, riabilitazione, ecc. Il Centro cura anche l’informazione su tutte le facilitazioni fiscali e i contributi a cui i cittadini possono accedere per gli adattamenti; cura il collegamento con tutti gli enti e/o organismi che hanno competenza in materia. tot. contatti nel 2006 n. 104 • • • • • • totale utenti 120 - con sindrome Down 9 COMUNE DI CERVIA 1 totale utenti 17 - con sindrome Down 0 COMUNE DI RUSSI 1 totale utenti 5 - con sindrome Down 1 _______________________________________________ 11 142 10 • NUCLEI AZIENDALI attività occupazionali per piccoli gruppi (max. 6/7) organizzati all’interno di Enti pubblici, Aziende private, Cooperative sociali… il nucleo garantisce prestazioni integrate all’organizzazione aziendale. • Numero totale nuclei 8 • COMUNE DI RAVENNA 8 tot. Utenti 39 - con s. Down 5 • COMUNE DI CERVIA 0 • COMUNE DI RUSSI 0 __________________________________________________ 8 39 5 36 Dati dal 01.01.2006 al 02.02.07 Unità Operativa Ravenna, Cervia e Russi • CENTRI DI PROMOZIONE AL LAVORO servizi ancora in sperimentazione la cui prospettiva ed evoluzione è mirata a facilitare l’inclusione lavorativa dei disabili. • N. Servizi presenti 3 • COMUNE DI RAVENNA • COMUNE DI CERVIA • COMUNE DI RUSSI UTENTI IN CARICO: 213 NUOVE PRESE IN CARICO: 83 TOTALE NUMERO PROGETTI: 343 1- PROGETTAZIONE ATTIVA: 117 2- OSSERV. SPERIMENTALE: 14 3- OSSERVATIVI/FORMATIVI: 63 4- MEDIATORI OCCUPAZIONE: 40 5- SOSTEGNO OCCUPAZIONE: 89 6- SOSTEGNO DIMISSIONE: 20 3 – tot utenti n. 5-con s.Down 0 0 0 MONITORAGGI ASSUNZIONI: 82 DIMISSIONI: 50 • RETE DEI SERVIZI RESIDENZIALI S.I.I.L. Sostegno Integrato Inserimento Lavorativo è un servizio che si offre alle persone disabili in base alla Legge 68 del ’99, alle Aziende, Enti Pubblici e Privati, soggetti e non soggetti all’obbligo di legge. Finalità • • • • La finalità del servizio è il collocamento mirato ai disabili individuati dai NUCLEI DI VALUTAZIONE TERRITORIALE tra quelli iscritti al collocamento obbligatorio e per i quali la Commissione 104 (L. 68) nella diagnosi funzionale suggerisce il sostegno di un servizio di mediazione (Operatori della Mediazione). Promozione presso le Imprese (su indicazione dei Centri per l’Impiego) delle Convenzioni per l’integrazione lavorativa previste dalla Legge 68/99. Contatti diretti e visite in azienda per consulenza alle imprese, definizione delle mansioni e delle posizioni lavorative. Ricerca di nuove aziende anche non soggette alla Legge 68/99. Rete Istituzionale • Provincia di Ravenna, 18 Comuni della Provincia, A.USL di Ravenna, INAIL Rete Operativa • Centri per l’impiego, Cooperazione Sociale, Formazione Professionale, Servizi Sociali Territoriali, D.S.M., S.E.R.T. Organizzazione • n°1 n°2 Utenti Utenti s.Down C. S. R. R. (Autorizzazione 564/01) Centro Accoglienza e Assistenza per persone con disabilità acquisita a livello aziendale (DGR 2068/04) 6 0 C.S.R.R. (Autorizzazione 564/01) ad alta integrazione sanitaria (presenza medico di struttura, infermieri, Referente Psichiatra del D.S.M.) 30 3 n°4 Centri Socio Riabilitativi Residenziali (Autorizzazione 564/01) 18 0 n°2 Case Famiglia 3 1 n°1 Nucleo Abitativo per giovani disabili 2 0 n°4 Gruppi Appartamento Comunità Alloggio 7 2 n°3 Residenza Sanitaria Assistita 3 1 n°5 Servizi Vari fuori Regione 16 0 85 7 E’ strutturato a livello provinciale su U. O. che agiscono nei comprensori Ravenna, Lugo, Faenza. Totale Gestione • Affidata ad una Associazione Temporanea di Impresa (Ente di Formazione Professionale) con risorse della Provincia, dei Comuni e dell’Azienda. Prossima attivazione per il 2008 di n° 1 C.S.R.R. e Diurno per un totale di 11 posti residenziali e 10 diurni. Operatori Anche per inserimenti a livello aziendale • Provengono dagli Enti di Formazione gestori del SIIL, dalle Coop. Sociali. Compartecipano Operatori e novembre ‘07 Tecnici messi a disposizione dai Servizi Sociali, in specifico nel territorio ravennate dal Consorzio Servizi Sociali. ATTIVITA’ TEMPO LIBERO • In coerenza con il progetto di vita, in collaborazione con Provincia, Comune, A.USL, Associazioni familiari, Volontariato, Enti privati, Fondazioni, ecc. sono state promosse varie iniziative finalizzate alla gestione del tempo libero che facilitino l’accesso alle realtà culturali, sportive, sociali del territorio e periodi di vacanza residenziale. • Dal 2004 si è costituito un gruppo di progetto e coordinamento benessere sport disabilità disabilità con le seguenti finalità: -favorire un confronto strutturato fra tutte le associazioni delle famiglie, associazioni sportive, culturali e di volontariato impegnate in azioni di rappresentanza delle persone disabili; - promuovere attività specifiche per l’accesso alle opportunità di integrazione presenti nel territorio; - facilitare il coordinamento e monitoraggio delle attività pianificate. • In particolare con le Associazioni delle famiglie si sono consolidati da anni una serie di progetti che hanno qualificato e integrato le attività dei servizi della rete. 37 VALUTAZIONE DISABILITA’ U.V.D. (FASE DI SPERIMENTAZIONE) Su proposta condivisa dell’Azienda USL di Ravenna e dei Servizi Sociali dei Distretti di Ravenna, Lugo e Faenza, è costituita la Unità di Valutazione della Disabilità (U.V.D.), con l’obiettivo di presiedere alla valutazione multidimensionale della autonomia/dipendenza, al fine di valorizzare le connessioni tra gli aspetti clinici-funzionali e le valenze sociali e psicologiche dei disabili non autosufficienti (DGR. 2068/04 – 1122/01) e consentire l’accesso ai Servizi Territoriali. La U.V.D. Aziendale è composta dalle seguenti figure: -Assistente Sociale Coordinatore Area Disabili dei 3 Distretti; -FKT individuata dall’U.O. Aziendale Servizio Recupero e Rieducazione Funzionale - Medico specialista rispettivamente Aree della Riabilitazione (Coordinatore della Commissione), Neurologia, D.S.M., Dipendenze Patologiche a livello aziendale. -Responsabili dei SAA -Coordinatori Servizio Infermieristico Domiciliare dei 3 Distretti. -Altri operatori che siano intervenuti in modo significativo nel percorso del caso: Ass. Sociale territoriale, M.M.G., Psicologo, Educatori, ecc. La valutazione multi-professionale può quindi essere utilizzata per individuare, modificare migliorare la progettazione individualizzata da parte del Servizio che ha in carico la persona. Le richieste di valutazione riguarderanno i casi ai sensi del DPCM 29/11/01 (“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”) e della Delibera G.R. 17/7/96 n° 1637 (“Direttiva regionale per l’identificazione degli interventi sociali a rilievo sanitario a carico del Fondo Sanitario Nazionale”) e per i quali si ipotizzano i seguenti interventi: -Assegni di Cura per disabili (DGR 2068/04 – 1122/02) -Accesso alla rete dei servizi territoriali diurni e residenziali per minori e adulti per i quali è necessario un progetto di integrazione socio sanitaria. UNITA’ DI VALUTAZIONE 2007 Numero casi valutati al 30 Novembre 2007 Ravenna Lugo Faenza 74 44 52 SPERIMENTAZIONE 1) 2) 3) 4) I.C.F. Da Aprile 2004 è attivo il GRUPPO CONGIUNTO di ricerca e progettazione nei servizi per la disabilità del Consorzio Servizi Sociali e della Cooperazione Sociale, finalizzato allo sviluppo condiviso di modalità operative adeguate a rafforzare il lavoro di rete e la progettazione individualizzata nell’ottica del sostegno ai progetti di vita. Il gruppo coerentemente al protocollo di sperimentazione per la diagnosi funzionale a sostegno dell’orientamento scolastico (CSA – MONPI – Consorzio Servizi Sociali – Cooperative Sociali) ha raggiunto i seguenti obiettivi anche per i disabili in età adulta: Completamento di un nuovo modello di PEI secondo ICF; Formazione su ICF e sul modello aggiornato del PEI dei coordinatori pedagogici e dei responsabili delle strutture oggetto della sperimentazione; Sperimentazione del modello PEI secondo ICF in almeno due strutture per ciascuna tipologia (per un totale di 10/12 servizi); Verifica dei risultati e validazione scientifica del modello (Università di Bologna Cattedra di Pedagogia) per fine anno 2007. 38 Tavola Rotonda Dall’Integrazione scolastica e Formazione Professionale al SIIL per il lavoro Daniele Civolani Marcella Nonni Carlo De Leonardo Anna Lacchini Cinzia Arrigoni Patrizia Cazzanti dava il prezzo del francobollo, ritornavo dentro e mi davano un quantitativo di francobolli da comprare e poi andavo in posta a comprarli, poi dopo rientravo. Quali fatiche hai fatto, quali difficoltà hai incontrato? Nel 2000 ho fatto un po’ fatica nel cambio dalla lira all’ euro. Ho fatto un po’ fatica perché non sapevo distinguere la lira dall’ euro... è un po’ difficile capire com’è la storia qui... è meglio che l’Anna mi faccia un’altra domanda. Quali sono i tuoi compiti oggi? Carlo De Leonardo Grazie di essere venuti, mi presento: mi chiamo Carlo De Leonardo, ho 30 anni e abito a Porto Corsini con i miei genitori. Adesso Anna Lacchini mi farà delle domande e io risponderò davanti a voi. Prima di cominciare il tirocinio a Ravenna Teatro lavoravo come giardiniere per la cooperativa San Vitale. Ho cominciato lì a lavorare, i miei compiti erano abbastanza importanti: in serra annaffiavo le piante, poi facevo le talee, preparavo i vasetti con la torba e la terra. Poi ho fatto dei lavori esternamente per le vie del centro cioè l’annaffiatura nei vasconi nel centro di Ravenna. Poi portavo le piante per abbellire manifestazioni importanti come ad esempio per i Vigili del fuoco, alla Marinara a Marina e poi in altri posti qui a Ravenna. Adesso Anna mi farà qualche altra domanda. Dove inizia il tuo percorso lavorativo? Io ho cominciato il tirocinio nel ’99 a Ravenna Teatro. Non è iniziato abbastanza bene perché facevo dei piccoli/grandi pasticci. Quando parli di pasticci, cosa vuoi dire? Quali erano? E’ un po’ difficile dirlo, però lo devo dire. I miei piccoli pasticci erano ad esempio cambiare direzione. Invece di fare lo stesso percorso facevo una deviazione per andare a mangiare un panino, poi al negozio Marchesini. (Dopo ho capito che non dovevo fare questi errori piccoli e grandi come palazzi). Facendo le fotocopie, invece di farle controllare, le facevo tutte e 100.. Ma dopo ho imparato a fare un modello da far controllare, poi se andavano bene fotocopiavo le altre cento, altrimenti dovevo comprare una risma di carta. Per fare il giro delle poste prima mi preparavano una busta, andavo dal tabaccaio, mi facevo pesare la busta e mi I miei compiti di oggi sono: prima ascolto i messaggi della segreteria telefonica, li smisto nei vari uffici, anzi, ai vari referenti, ad esempio Anna Lacchini telefona e dice: “oggi vengo, però devo sentire per l’orario ”. Infatti prima... veniva spesso Cinzia Arrigoni, ogni due settimane, ogni tre, poi una volta al mese per verificare... per aumentare i miei compiti... trasmetteva poi il mio mansionario scritto firmato da Cinzia Arrigoni, Marcella Nonni e poi da me. I miei compiti all’esterno sono: andare a portare delle buste per le varie banche di Ravenna centro, poi alle poste, poi dai vigili urbani per i permessi per le compagnie teatrali. E poi Ravenna festival, Ravenna Teatro in via Mariani. Sono compiti importanti... vado in posta, spedisco e ritiro le raccomandate per i vari uffici: amministrazione, ufficio organizzativo o per Marcella... e vari giri di Ravenna. È successo che c’erano delle persone che mi controllavano. Queste persone sono: i miei genitori che mi hanno scoperto perché Anna Lacchini ha fatto la spia. Poi non solo, mi ha scoperto anche il mio parroco... I rapporti con i colleghi. Com’erano all’inizio e come sono oggi? Prima era abbracciamento senza motivo, poi ho capito una cosa.. ho capito che non c’è bisogno di fare questi abbracciamenti tutti i giorni. Adesso non lo faccio più perché ho capito che non va fatto, solo nei giorni di festa oppure nei compleanni. Com’è il Carlo lavoratore e il Carlo attore? Io sono uno degli attori di Ravenna Teatro, ho fatto degli spettacoli, diversi spettacoli non solo nella mia scuola ma anche a Ravenna al Teatro delle Albe, alla cascina di Mandriole… Prima io ripetevo la parte per strada, mi hanno visto tutti e mi prendevano per matto. Adesso non ripeto più la parte perché non si fa. Prendo un giorno di permesso per ripetere ed esercitarmi a casa, dalla mattina alla sera. Alcune volte se sono stanco prendo anche qualche giorno di ferie, così mi riprendo meglio. Hai consigli da dare a chi come te inizia un’esperienza lavorativa? Ho un consiglio da dare molto importante, cioè è vero che ho fatto degli errori anch’ io, però se ci sono dei ragazzi che mi ascoltano con questi problemi dico che è meglio non fare questi piccoli pasticci, e soprattutto quelli grandi come palazzi, anzi come grattacieli. Vi faccio un piccolo esempio: mi è capitato una volta di buttare una busta nel bidone. Io la posta la devo portare a tutti se no, prima di tutto rischio il posto di tirocinio, poi adesso rischio anche il posto di lavoro. Questo si chiama responsabilità, come ha detto Anna Lacchini. Sai che verrai assunto, cosa ne pensi? L’anno prossimo verrò assunto come dipendente a Ravenna Teatro. Penso che mi vogliono bene, io voglio dare il massimo, tre volte il massimo, poi voglio fare altri laboratori finché non andrò in pensione. Cinzia Arrigoni - Operatrice della mediazione S.I.I.L. Da un’occasione un’intuizione: capacità di far nascere un progetto la L’esperienza di Carlo nasce da un’opportunità per poi trasformarsi, attraverso un’intuizione, in occasione che diventa progetto: da un’esperienza teatrale alla costruzione di un’identità lavorativa, da un’attività occupazionale protetta ad un inserimento in un contesto lavorativo “normale”. Ci siamo dati obiettivi realistici, al tempo stesso “senza accontentarci”. Prendersi il tempo per crescere insieme consapevoli che in questa storia non si è preteso che solo lui crescesse, ma sono cresciuti: il contesto, le relazioni, le capacità personali e di sistema In queste poche parole chiave è racchiusa tutta una storia in cui anche i dettagli sono importanti. Chi si occupa d’inserimento lavorativo ha, infatti, un compito definito che deve tenere conto dei vari contesti in cui si muove la persona disabile. In questo caso specifico il ruolo dell’operatore della mediazione è stato quello di tenere insieme tutti gli elementi, chiarendo compiti e ruoli, valutando i passaggi, e favorendo i chiarimenti. La rete di protezione è diventata una rete di relazioni e le relazioni, nate da nuove connessioni hanno identificato persone, ruoli e modalità adeguate. Carlo arriva a Ravenna Teatro come partecipante ai laboratori teatrali, attività che occupa il suo tempo libero. Si delinea per lui l’opportunità di effettuare un tirocinio presso l’Ufficio Stampa come ausiliario di segreteria semplice con mansioni di: fotocopiatura, imbustatura, etichettatura e timbratura e solo successivamente e gradualmente di messo esterno. Questi due ambiti sono nello stesso spazio, ma costituiscono per Carlo due esperienze diverse. Da una parte una crescita espressiva teatrale e personale, dall’altra la costruzione di un’identità lavorativa professionale. Questa dicotomia è stata importante chiarirla, prima che a Carlo, a noi che ci siamo trovate a tradurre un’idea in un Progetto. Il compito dell’operatore della mediazione è stato quello di delimitare i confini di ogni contesto e costruire un contenimento che fosse compreso e introiettato da Carlo. Gli incontri di verifica fra l’operatore e Carlo riguardavano l’ambito lavorativo. Un’ulteriore attenzione dell’operatore è stata quella di tenere in considerazione le esigenze degli altri contesti di vita del ragazzo (famiglia, tempo libero…) La capacità di saper distinguere l’identità lavorativa dagli aspetti personali, chiarisce e differenzia le relazioni interpersonali e costruisce un’identità al plurale, quale struttura di contenimento dei vari “attori “ in gioco. Il ruolo dell’operatore della mediazione del S.I.I.L. è quello di costruire un Progetto Individualizzato facendo incontrare due conoscenze: quella del contesto lavorativo e delle relazioni che quel contesto esprime, e la persona disabile con le sue capacità e specificità. E’ quindi l’accompagnare, e supportare queste due parti verso un processo di cambiamento possibile che le rappresenta, verificabile nei tempi concordati. 40 Sono stati individuati: • un referente aziendale: Marcella Nonni ( Direttore organizzativo di Ravenna Teatro), alla quale Carlo doveva far riferimento per l’organizzazione e distribuzione dei compiti lavorativi; • giornate ed orari di attività; • mansioni (nel corso dell’esperienza il mansionario è stato ampliato con attività sia all’interno degli uffici sia all’esterno con compiti di messo ); • uno spazio e una postazione di lavoro all’interno dei vari uffici; • Foglio presenze, compiti scritti, regolamento, cartella per le commissioni esterne, ecc… • modalità e tempi di verifica I passi sono stati piccoli e attenti con la cura necessaria per permettere a Carlo di introiettare il proprio ruolo lavorativo, di “mettersi dentro” compiti e mansioni ed essere nel tempo sempre più adeguato nelle relazioni. In questo senso si è scelto di intervenire con fermezza davanti a comportamenti non adeguati. Nel tempo gli aspetti di complessità del progetto sono stati affrontati dall’operatore della mediazione, in raccordo con i tecnici del Servizio Sociale, con il referente aziendale e con la famiglia. In sintesi l’operatore: • è stato facilitatore nel riuscire a far svolgere a ciascuno il ruolo che gli era stato attribuito. • Si è occupato della fase preparatoria delle uscite di Carlo, al fine di raggiungere un apprendimento corretto nel gestire le proprie autonomie in esterno. • Ha aiutato a costruire un’identità adulta attraverso il ruolo lavorativo; • Ha richiesto un processo di crescita “senza sconti” all’interno di quel sistema; • E’ partito dal presupposto che per un disabile è auspicabile un’identità al plurale (lavoro, tempo libero, teatro...) imparando a sapersi muovere nelle diverse situazioni senza fare confusione. • confronto e supervisione col gruppo operativo S.I.I.L. • Ha monitorato il progetto attraverso verifiche periodiche con i vari soggetti che partecipano al • processo ( azienda, Servizi sociali e famiglia). Ultimo ma fondamentale si è avvalso di una metodologia e di strumenti specifici: coordinatrice Romina Maresi pedagogica del Consorzio S.Vitale e portavoce della cooperazione sociale a Ravenna Centri concentrici: percorsi possibili nella rete dei Servizi Faccio un passo in dietro rispetto all'intervento di Carlo, ma ricordiamoci però che è possibile prendere un percorso che arriva a quell'esito attraverso l'occupare spazi intermedi cioè servizi protetti, tutelati, (supportati preferisco) che hanno anche lo scopo di costruire un contesto organizzato più vicino alle persone. Le persone con disabilità infatti possono intraprendere questo percorso di crescita che le può portare anche ad un esito come quello di Carlo. Per cui la domanda "si può uscire dai centri socio occupazionali? " Certamente, anzi occorre valorizzarli al massimo proprio nella prospettiva evolutiva. Per intraprendere un percorso all'uscita della scuola quando non si è ancora pronti al mondo del lavoro è necessario supportare la persona con disabilità attraverso la formazione situazione. La cooperazione sociale ci può aiutare in questo quindi sfruttiamo al massimo tutti i contesti produttivi reali che la cooperazione ci può offrire. Chiudo con una provocazione di Montobbio, la logica del progetto, che ci spinge a lavorare non soltanto per promuovere il benessere e l'attaccamento nei confronti delle persone che entrano nei servizi, (certo tutto questo deve esserci, è il modo in cui si inizia a costruire un rapporto) occorre comunque un progetto che deve avere come obiettivo l’autonomia e perciò la dimissione in vista di un’evoluzione. Molte volte accade che all'interno dei servizi si fatica a riconoscere l'autonomia raggiunta dalla persona; dovremmo sforzarci tutti a lavorare in questa direzione perché se abbiamo in mente la logica della dimissione cioè nel lasciare andare la persona riusciremo anche ad impostare all'interno dei servizi delle attività educative finalizzate a quella dimissione quindi alla costruzione di autonomia. 41 Non giocheremo con la plastilina, anche se come svago, può essere importantissimo anche questo, ma insegneremo ai nostri ragazzi a preparare da mangiare e a far funzionare la lavatrice. Se pensiamo a un progetto di abitazione supportata in autonomia questi sono i principi, quindi al di là di lavori raffinati o di marchingegni sofisticati stiamo sulla semplicità, come diceva il direttore del Distretto questa mattina, usiamo linguaggi semplici, ma proponiamo anche attività semplici, perché fanno riferimento alla nostra vita quotidiana. Concludo, ho chiesto a Roberto Dragoni di essere qui con me perché ora vediamo qualche slide, qualche viaggio all'interno dei servizi, qualche foto che ci illustra un po’ l'idea del percorso evolutivo, foto che ho recuperato in alcuni servizi delle cooperative. Ho intitolato questa slide "verso la soluzione" e c'è Roberto Dragoni qui con me insieme a Donatella, Anna e gli operatori, abbiamo valutato di costruire questa opportunità a partire, non dal SIIL questa volta, ma direttamente dal nucleo della cooperativa, proprio nella logica di una prospettiva evolutiva che può nascere anche all'interno di un circuito supportato, abbiamo valutato di sperimentare questo percorso di uscita estivo (dal primo giugno al quindici Settembre) e Roberto è stato impiegato presso un distributore a Lido Adriano. Gli educatori di Fusignano avevano preso contatto con il proprietario del distributore che naturalmente è un amico (faceva volontariato nei parcheggi) per cui mi piace concludere questa riflessione della prospettiva evolutiva con una “quasi assunzione” quindi con una quasi uscita dal circuito supportato, pensando comunque che l'obbiettivo lavoro è fondamentale. Questo non significa che una volta conseguito l'obbiettivo lavoro debbano cessare tutti gli altri supporti per la persona. Credo sia importante pensare all'evoluzione dei supporti a sostegno del Progetto di Vita della persona e quindi come eventualmente rimanere agganciati ad un circuito che può sostenere la persona disabile anche se è diventata adulta tanto da poter lavorare in autonomia. 42