Atti del seminario
29 novembre 2007
Sindrome di Down
IL TERRITORIO: RIFLESSIONI A PIU’ VOCI
A cura delle operatrici del
Centro Documentazione per l’Integrazione – CDI
del Consorzio Servizi Sociali
Dei Comuni di Ravenna, Cervia, Russi e Azienda USL
Anna Allegri
Franca Olivi
Mirella Mosconi – Responsabile UO Formazione/Sistema
Qualità/URP/CDI
La pubblicazione è a disposizione presso il CDI
Sede Legale: Piazza Caduti per la Libertà, 21 – Ravenna
Tel. 0544 249128 Fax 0544 249149
E-mail: [email protected]
Siti Internet: www.sindrome-down.it e www.cdi.ra.it
La presente Documentazione è frutto della
sbobinatura/videoregistrazione della giornata seminariale.
Ci si scusa per imprecisioni dovute al passaggio dal codice
comunicativo/verbale al codice scritto.
Si fa presente inoltre, che per problemi tecnici di mancata
registrazione, non sono riportati due interventi della Tavola Rotonda
del pomeriggio.
Per la sbobinatura si ringraziano
Elisa Neri e Jessica De Simoni
tirocinanti dell’IPSSCT “Olivetti” Ravenna.
Ravenna ottobre 2008
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Sindrome Down, il
Territorio: riflessioni a più
voci
Renzo Vianello
Questi eventi avvengono
perché c’è
qualcuno che aiuta a pensarli, di solito le
persone che aiutano in questo senso sono
di due tipi: le autorità che rappresentano
Enti, Associazioni, e così via, poi ci sono le
persone che operativamente fanno le
prassi, una giustissima prassi. Darei
innanzitutto la parola alle autorità, e per
primo al presidente del Consorzio Servizi
Sociali, il senatore Aldo Preda, a cui chiedo
di rendere testimonianza dell’impegno che
c’è stato a questo proposito. Grazie.
SALUTO DELLE AUTORITA’
Aldo Preda - Presidente Consorzio Servizi
Sociali
Intanto grazie a tutti quelli che sono
presenti, soprattutto agli operatori e ai
rappresentanti della famiglia. Giustamente,
come lei diceva, c’è una continuità
nell’impegno, io credo che questa continuità
sia la dimostrazione di questo incontro, di
questa riflessione, perché questo è il terzo
appuntamento del Consorzio dei Servizi
Sociali di Ravenna sulla sindrome di Down.
Ricordo
che
l’anno
scorso
questo
avvenimento era allegato alla proiezione di
un cortometraggio. Quest’anno alla mostra.
Anche
questo
è
un
avvenimento
abbastanza importante perché è la
rappresentazione di quello che è stato fatto
nella nostra regione e in questo nostro
distretto sul problema della disabilità.
Giustamente il titolo di quest’anno richiama
il territorio, il legame con il territorio, che
cosa significa questo territorio? Ecco, io
credo che si veda anche nell’organizzazione
della Mostra, il dott. Mazza della Regione ha
fatto secondo me un discorso importante
sottolineando come ci dev’essere un
coinvolgimento
del
territorio,
della
comunità. Io ricordo che l’anno scorso
portando il saluto, alla seconda edizione di
questo convegno, citavo un proverbio
africano che dice: “per far crescere un
bambino è necessario un intero villaggio”.
Questo proverbio africano non dice ci deve
essere un’istituzione, dice ci deve essere
l’intero villaggio.
Credo che questa riflessione sul nostro
territorio, con gli operatori e con i
rappresentanti dell’associazionismo, sia
importante perché, molte volte noi tutti
auspichiamo che ci siano interventi
economici in alcuni settori, in tutti i settori
sociali, credo che questo sia importante ma
non sufficiente. Occorre un coinvolgimento
continuo degli operatori, dell’Ente pubblico,
dell’istituzione, anche a livello culturale di
tutta la Comunità, di tutto il villaggio,
questo villaggio, che è il nostro distretto, i
comuni
di
questo
distretto,
un
coinvolgimento delle famiglie interessate.
Fortunatamente in questo distretto le
famiglie interessate sono organizzate e
dovrebbero essere sempre più organizzate,
e inoltre un coinvolgimento di tutto il
modello delle associazioni, del volontariato,
quindi non solo dell’istituzione. Molte volte
pensiamo molto ai diritti, poco ai doveri e
pensiamo poco ai diritti di chi non ha voce,
di chi non è potente, di chi non si presta a
gesti clamorosi, molte volte in questa
nostra società contano i gesti clamorosi.
Molte volte il settore della disabilità è un
settore che non ha voce.
Renzo Vianello
È molto bello questo proverbio no? Si può
immaginare, vedere, e non si vede certo
un’istituzione ma delle persone che si
muovono. Ecco, credo sia molto giusta
questa riflessione di dire “siamo un
territorio”; mi sono chiesto la mia funzione
in questo contesto, ecco forse io ho anche
la funzione di far si che questo villaggio,
questo territorio tenga conto anche di cosa
succede al di fuori di questo villaggio di
questo territorio, le esperienze e le
conoscenze che vengono dal di fuori,
avendo appunto il compito di dare una
visione un po’ generale.
Pericle Stoppa – Assessore ai Servizi
Sociali Comune di Ravenna
Sono ben lieto di portare il saluto
dell’amministrazione comunale a questo
importante seminario, il terzo se non
sbaglio, promesso dal Consorzio Dei Servizi
Sociali della nostra città, e quindi ringrazio,
le persone che si sono adoperate che
seguono queste attività di sensibilizzazione.
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Solidarietà. Ecco io parto da questa parola,
che per noi ha un valore straordinario, che
guida l’attività della nostra amministrazione
comunale. Solidarietà, è più di un impegno
politico o di un impegno amministrativo, è
qualcosa che appartiene alla nostra
sensibilità, alla nostra cultura e quindi,
siamo ben consapevoli della portata di
questa parola. Io credo che questa
sensibilità si è molto estesa nella nostra
comunità, mi riferisco in particolare alla
presenza molto attiva di diverse forme di
volontariato che dà una mano importante al
servizio pubblico per affrontare problemi.
Per quanto riguarda il pubblico, devo dire
che fa molto, fa tutto quello che può, cito
ad esempio la Regione che ha messo in
campo un’iniziativa molto importante con
delle risorse significative per affrontare la
non autosufficienza e stiamo proprio
lavorando in questi mesi per attuare
progetti innovativi. Stiamo ragionando
proprio in questa settimana di bilancio.
Per il prossimo anno, abbiamo sicuramente
difficoltà ma, la nostra intenzione è
addirittura di incrementare le spese per due
settori: il settore dell’infanzia ma anche il
settore dei servizi.
Il volontariato abbiamo detto che fa molto,
abbiamo bisogno del privato sociale, del
privato religioso, delle fondazioni bancarie e
anche del mondo dell’imprenditoria.
Gli imprenditori fanno alcune cose per le
attività sociali, ancora poco probabilmente
perché non c’è un immediato ritorno
d’immagine, dobbiamo lavorare in questo
settore per avere qualche risorsa.
provincia che sono consorziate nel progetto
AGAPE. Il progetto prevede che alcuni
servizi del comune siano affidati proprio a
queste cooperative per l’inserimento
lavorativo dei disabili e delle persone
svantaggiate. E’ un primo passo in questa
direzione ma, noi sappiamo che dobbiamo
fare di più, dobbiamo sicuramente puntare
ad una integrazione sia con iniziative di
sensibilizzazione
come
questa,
ma
soprattutto di sensibilizzazione nella scuola.
Mi fa piacere vedere nella sala molti
insegnanti e questo è un dato positivo
perché è appunto nel mondo della scuola,
con le istituzioni, con la famiglia che
possiamo
far
crescere
la
cultura
dell’integrazione e una sensibilità nei
confronti delle persone che hanno qualche
problema. Io credo che lavorare nella
scuola sia utile, sia utile fra i giovani per far
crescere una società dove tutte le persone
abbiano uguale diritti e doveri.
Per quanto riguarda la disabilità io credo
che i servizi messi in campo siano
abbastanza efficienti c’è un buon livello di
servizi. In questi giorni stiamo cercando
qualche risorsa per incrementare il servizio
trasporti per i disabili che nella nostra realtà
ha qualche lacuna. C’è da lavorare, sulla
normalità, sulla normalità anche per quanto
riguarda la disabilità perché bisogna
valorizzare la personalità anche di chi è
diversamente abile, non separarlo, e di dare
a tutti, opportunità di relazioni, di
inserimento.
Il problema del lavoro, questo è un campo
molto importante perché il lavoro è dignità.
Stiamo lavorando perché le cooperative
sociali di tipo B possano veramente
incrementare la loro attività.
Proprio due giorni fa come Giunta
Comunale abbiamo trovato un accordo con
le 19 cooperative di tipo B della nostra
Alberto Minardi – Direttore Distretto
Renzo Vianello:
Grazie è stato un intervento con vari spunti,
mi permetto di commentarlo io. A volte
usiamo molto spesso il termine solidarietà
tanto che non ne ricordiamo più il
significato perché quando si usano tante
volte le parole diventano altro. Mi piace
sottolineare che solidarietà vuol dire equità
non solo giustizia aritmetica e non solo
ripartizione, ci ricorda che dobbiamo andare
verso la distribuzione delle risorse ma a
seconda dei bisogni e non a seconda delle
teste.
Sanitario di Ravenna
Sono responsabile del Distretto veramente
da poco tempo, soltanto dal 5 di novembre
e la prima cosa che vorrei dire è che
quando si fa un saluto in genere chi parla
per terzo o per quarto non ripete le cose
già dette, io invece ripeterò le cose già
dette
perché
fondamentalmente
le
condivido e non penso che bisogna
inventarsi d’altro e parlare d’altro quando in
realtà il centro della questione è proprio
quella che qui è già stata presentata dai
due interventi che mi hanno preceduto.
Declinerò questi concetti con qualche
spunto di carattere sanitario, io sono un
medico, lavoro nella sanità pubblica, credo
che un paese evoluto e civile abbia la
necessità di un sistema sanitario qualificato
e anche pubblico purché non significhi
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corrispondere veramente a quei principi che
qui sono stati precedentemente richiamati
quelli
della
solidarietà,
dell’equità,
dell’equità d’accesso, senza di ché
evidentemente poco importa se il sistema
sia pubblico o privatistico.
Fondamentalmente dobbiamo leggere i
risultati di un sistema, gli esiti e non avere
gli occhiali dell’ideologia. Ciò detto io
difendo il sistema sanitario pubblico nel
quale sono impegnato ormai da venti anni e
sullo specifico sui temi dell’integrazione
sociale e sanitaria, sui temi della disabilità
dirò pochissime cose.
La prima, che mi preme sottolineare, è che
la sanità mai come in questo momento è
fortemente chiamata ad un processo di
radicale trasformazione e cambiamento.
Trasformazione e cambiamento proprio se
vuole corrispondere ed adeguarsi a quelle
necessità a cui i bisogni di equità, di pari
opportunità che le persone oggi esprimono.
Il mondo, intanto che stavamo parlando, è
cambiato si è trasformata la struttura
sociale anagrafica della popolazione, la
sopravvivenza delle persone è oggi
garantita in maniera molto maggiore che
nel passato, malattie croniche che nel
passato non erano presenti, oggi si
affrontano.
Se parliamo nello specifico per esempio
della disabilità sappiamo che noi in sanità
siamo in condizione di fare sopravvivere
bambini che nascono alla ventiquattresima
settimana, e che hanno 600/700 grammi di
peso ma che naturalmente nel corso della
loro evoluzione porteranno con sè anche
dei problemi di carattere fisico e
richiederanno un impegno a quelle famiglie
a cui faceva riferimento prima l’assessore, e
della comunità a cui faceva riferimento il
senatore quando citava un proverbio
africano sul fatto che i bambini non sono
allevati soltanto dalla famiglia ma anche
dalla comunità.
Quindi
noi
abbiamo
uno
scenario
profondamente diverso. Da che cosa si
caratterizza questo scenario? Dal fatto che
la mano medica, cioè l’intervento sanitario
in quanto tale, da solo ben difficilmente è in
grado di dare una risposta completa,
organica e complessiva a queste nuove
condizioni di salute. Questo è un punto che
la sanità, nel suo complesso di medici ma
anche infermieri di altri operatori che sono
condizionati da uno specifico professionale
molto forte, stentano a comprendere, io lo
dico in maniera schietta ed evidente.
I medici continuano a pensare che il
fondamento di tutto sia la qualità
dell’intervento specifico, il chirurgo è
concentrato sul gesto tecnico in sala
operatoria. Ma se a questo gesto tecnico
magari straordinariamente ben fatto non si
accompagna un percorso di dimissione
ospedaliera programmata e pianificata che
conduca l’anziano a casa ad essere gestito
in maniera integrata, questo non è più un
problema del chirurgo, e questo è un
elemento di contraddizione intrinseca alla
sanità per come è fatta oggi.
Dentro tale contraddizione ci troviamo
continuamente a discutere e a portare una
nuova cultura innovativa che ha bisogno
naturalmente di rafforzarsi e di diventare
credibile.
Questo era il primo punto: l’integrazione è
una necessità impellente, inderogabile, cioè
dare risposta all’altezza dei problemi vuol
dire in qualche modo collocare la parte
clinico/medico/sanitaria accanto alla parte
assistenziale senza che ci sia una risposta
monca,
impersonale,
inadeguata
ed
inefficace; questa è una questione di cui
bisogna prendere atto in maniera cosciente
e razionale.
Dopo di che il problema è quale risposta
abbiamo quando pensiamo a modelli di
integrazione sociale e sanitaria, io credo
che un punto, (non dico nulla di nuovo
perché è già stato detto questa mattina) è
proprio quello di pensare a delle risposte
che non siano uguali ovunque nei vari
territori, nei vari contesti ma che si
radichino sui territori di riferimento
comprendendo che una risposta che va
bene a Ravenna non va bene a Torino, o a
Piacenza o a Caltanisetta, perché c’è uno
specifico sul quale bisogna costruire lì
tenendo conto di come è strutturata la
società, di qual è il movimento cooperativo,
di qual’è il movimento imprenditoriale, di
quali sono le specificità operative, il lavoro.
Il lavoro: allora per il lavoro noi dobbiamo
capire per aprire con gli imprenditori, con le
strutture un discorso completo e operativo
che porti a quelle risposte che vogliamo
costruire.
Infine c’è, se mi consentite, una questione
alla quale io assegno una grande
importanza che è la questione del
linguaggio. Io credo che abbiamo bisogno
di parlare con la gente, con le persone un
linguaggio più comprensibile, lo dico ai
sanitari ma da questo punto di vista
neanche il mondo del sociale è esente,
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abbiamo bisogno di usare parole semplici,
lavoro, casa, amicizia, hobby.
Abbiamo bisogno di parlare di cose che le
persone maneggiano e comprendono con
estrema facilità e quando costruiamo i
progetti abbiamo bisogno persino di
banalizzare questi progetti, se vogliamo
essere coerenti con la nostra impostazione,
con il nostro impulso, la nostra volontà
emotiva di costruire le cose veramente, per
essere più vicini alle persone, perché anche
la questione del linguaggio è una questione
rilevante. Non possiamo usare delle parole
da tecnici, l’efficienza, la personalizzazione,
sono astrazioni, noi dobbiamo fare uno
sforzo per parlare il linguaggio che parla
mia mamma, mia nonna, e quindi da
questo punto di vista io chiedo sempre agli
operatori e ai tecnici uno sforzo in questa
direzione, qualche volta è difficile parlare
questo linguaggio perché “abbassandosi”,
se mi consentite, al livello delle persone si
rischia di perdere in qualche modo
autorevolezza, si rischia di mettersi in
discussione. Questo è proprio il punto
rilevante che noi dobbiamo avere dei
servizi, quello di andare a parlare con la
gente, di parlare il loro linguaggio così che
sentano che i servizi sono i loro servizi, non
solo dei servizi fatti da “un’altra parte” per
altre persone.
Allora da questo punto di vista voglio
concludere con un’immagine che è anche
una provocazione, tutti gli operatori in sala,
sanno il valore ce ha l’ippoterapia nella
sindrome di Down, probabilmente pochi
sanno, che attualmente dal punto di vista
tecnico
meglio
dell’ippoterapia
c’è
l’onuterapia, cioè è la stessa cosa fatta con
l’asino,
l’asino
è
un
animale
straordinariamente empatico. Ecco una
parola da non usare con le persone, noi
addetti ai lavori le possiamo usare perché
sappiamo cosa vuol dire. L’asino è un
animale amico, è un animale affettuoso e
può effettivamente consentire gli stessi
percorsi che sono riabilitanti per quello che
riguarda l’ippoterapia in un modo migliore e
più
amicale.
Bene,
il
problema
fondamentale è di capire per esempio se in
un territorio ci sono gli asini, se ci sono gli
allevatori di asini, se si può costruire
qualcosa nelle fattorie con questi animali.
Pensate se vado a fare un ragionamento di
questo tipo con un cardiochirurgo, pensate
cosa potrà pensare di me (che sono
impazzito) eppure se guardate con gli occhi
di quella famiglia, e della felicità che
possiamo donare, a quel bambino, ecco
probabilmente operiamo la missione che
dobbiamo avere nel nostro lavoro.
Renzo Vianello
bene, innanzi tutto mi permetta Direttore,
di congratularmi per l’energia e la grinta
con cui sta cominciando il suo lavoro, e
anche l’entusiasmo che riesce a dare.
Mi permetto due piccole note, avete visto
che cerco svolgere il mio ruolo di
coordinatore facendo anche dei commenti,
penso non inutili perchè servono per pause,
per riflettere, dare contenuti interessanti.
Per esempio nell’intervento precedente mi
sono annotato, disabilità, integrazione, non
è mai finita ci sono sempre nuove sfide.
L’esempio dei bambini prematuri, ci è stato
ricordato,
è vero noi riusciamo a
mantenerli in vita ma , quali sono le
implicanze sul piano dello sviluppo
generale, tra cui lo sviluppo neuro
psicologico e così via, non è mai finita,
sempre nuove sfide. L’altra cosa che mi
sono annotato è “niente solisti, servono
orchestre”, ecco mi sembrava un bel modo
di dire, non si può agire semplicemente da
soli.
Luigi Mazza
Direzione
generale
Regione
EmiliaRomagna: sanità e politiche sociali. Area dei
servizi socio-sanitari.
“Dal deficit alla partecipazione”
L’iniziativa di oggi rientra nel programma di
attività sostenuto anche dalla Regione
Emilia Romagna e realizzato dalla rete dei
Centri
di
Documentazione
per
l’integrazione. Tale rete mette insieme tutti
i Centri di Documentazione che da lungo
tempo operano nella nostra regione e che
fanno riferimento principalmente ai comuni
capoluogo. Noi sosteniamo questa rete,
all’interno della legge 2/2003, quindi
all’interno del sistema integrato degli
interveti dei Servizi Sociali.
Quest’anno abbiamo voluto promuovere
due iniziative. Entrambe si realizzano a
Ravenna in questi giorni, una è il ciclo di
seminari dedicati ai deficit
di cui
questo è il primo; è dedicato alla sindrome
di Down (ne seguiranno altri che vedete
descritti nel programma che si trova nella
carpetta).
Un’altra iniziativa molto importante è quella
della Mostra itinerante che ricorda la
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storia
dell’integrazione
nella
nostra
Regione, quindi nel titolo che ho voluto
dare alla mia relazione “Dal deficit alla
partecipazione” c’è il senso di queste due
iniziative: la mostra segna un percorso che
ha cambiato sostanzialmente la cultura con
cui tutti noi ci rapportiamo alla disabilità.
Era ricordato anche prima dal Direttore del
Distretto dell’AUSL, la necessità di una
cultura che come dice l’Organizzazione
Mondiale della Sanità si deve incentrare
sull’approccio bio-psico-sociale quindi una
visione più ampia di sostegno alla
cittadinanza,
alla
promozione
della
partecipazione. In questo senso ci deve
essere,
come
dice
l’Organizzazione
Mondiale stessa, un approccio bio-psicosociale, cioè un approccio all’integrazione
ad esempio tra l’aspetto medico-sanitario e
quello sociale. Lo dico perché il rischio è di
perdere tutto un patrimonio e anche una
capacità di leggere le specificità dei bisogni
delle persone che è legato appunto al
deficit, alla disabilità.
Noi abbiamo voluto organizzare questo ciclo
di seminari proprio dedicati a specifici
deficit e disabilità per ricordare ai nostri
operatori sociali che certamente è
importante lavorare sulla partecipazione nel
più ampio senso del termine, ma è anche
necessario mantenere una capacità di
lettura specifica dei singoli bisogni che sono
legati anche al deficit e alla disabilità.
Il contesto nel quale ci muoviamo è
articolato in quattro sotto sistemi principali
che rappresentano secondo me quattro
diritti fondamentali di cittadinanza della
persona.
Noi abbiamo la fortuna di trovarci in una
regione in cui tutti i settori del welfare
hanno un impegno nel promuovere i diritti
delle persone con disabilità e non parliamo
soltanto di integrazione socio-sanitaria ma
parliamo dell’integrazione fra tutte le
politiche nel senso più ampio del termine.
E’ la logica del Progetto di Vita, una di
quelle parole chiave introdotte su richiesta
delle stesse associazioni delle persone con
disabilità, quindi questi sono i quattro
angoli: la salute, l’educazione, il
sociale/socio-sanitario che si ricollega al
tema dell’assistenza che viene ancora
gestita a livello statale e naturalmente il
tema del lavoro.
I temi, i diritti di cittadinanza sarebbero più
ampi, c’è anche il tema della mobilità, il
tema del tempo libero ce ne sono tanti altri
che richiamano i principali ambiti di
partecipazione a livello sociale ma questi,
secondo me, sono quattro obbiettivi
fondamentali che ci riportano alla logica del
Progetto di Vita.
Un Progetto di Vita che, pur in una
situazione ancora parzialmente eterogenea
nella locazione delle risorse su tutto il
territorio
regionale,
è
abbastanza
favorevole.
Riusciamo a garantire quasi dappertutto il
Progetto Educativo Individuale: il
percorso di integrazione scolastica per poi
arrivare in età adulta con due percorsi che
in maniera semplificativa possono essere
ricondotti a due strade: da un lato l’accesso
al lavoro e a una vita più indipendente per
chi ha un livello di autonomia sufficiente
(fortunatamente questa strada riesce a
essere percorsa da un numero sempre
maggiore di persone), dall’altro il settore
dedicato alla situazione di gravità e di non
autosufficienza,
quindi
il
tema
di
integrazione socio–sanitaria della rete dei
servizi integrati.
Sostanzialmente il Progetto di Vita è una
risultanza almeno di quattro percorsi
fondamentali:
•
•
•
•
il
progetto
diagnosi-cura
e
riabilitazione,
il progetto assistenziale individuale,
il progetto educativo individuale,
il progetto per il collocamento
mirato.
Questa è una logica che anche negli altri
atti di programmazione regionale è stata
recentemente ribadita e ricordata, ed è un
invito all’integrazione, sociale e sanitaria,
tra gli enti istituzionali, in particolare con la
scuola e le province che sono responsabili
del collocamento mirato e naturalmente
un’integrazione anche in una logica di
comunità.
Se possiamo vantare una rete piuttosto
diffusa e capillare di interventi è anche
grazie al ruolo della comunità locale intesa
nel più ampio senso del termine: le reti di
solidarietà informale, organizzazioni di
volontariato, le associazioni sociali che
hanno partecipato fortemente al processo
di costruzione della rete dei Servizi SocioSanitari.
Sottolineo
le
reti
informali
quindi,
l’importanza (ricordata anche dalla nostra
legge 2/2003 sul sistema dei Servizi Sociali)
10
delle iniziative delle persone, delle famiglie,
delle reti di solidarietà. E’ un tema
assolutamente importante, si ritrova nel
Piano Sociale e Sanitario attualmente in
corso di discussione e negli interventi che la
Regione sta promuovendo, ad esempio
attraverso il Fondo Regionale per la non
autosufficienza, finalizzato a promuovere lo
sviluppo del sistema dei Servizi in una
logica di maggiore razionalizzazione ed
efficienza organizzativa.
Stiamo cercando, attraverso nuovi criteri di
accreditamento
e
indicazioni
sull’organizzazione complessiva dei servizi,
di razionalizzare il sistema in un settore che
non sempre riesce a garantire servizi
omogenei e efficienti sul tutto il territorio
regionale.
Questa è una delle piste principali che
stiamo seguendo, cioè sviluppare gli
strumenti per il governo e il sistema dei
Servizi Socio-Sanitari e del Fondo Regionale
per la non autosufficienza.
Un altro tema molto importante è il lavoro
sociale, il lavoro di comunità, nel senso
che, il nostro modello di welfare, è un
modello che comunque si ispira e trae
spunto dal ruolo della comunità locale e
quindi si tratta di mantenere un equilibrio
tra questi due aspetti. Il tema evidenziato,
è quello dell’integrazione nel senso ampio,
quindi anche della qualità professionale; in
questo obiettivo possiamo far rientrare
anche il ciclo di seminari, di cui dicevo
prima,
finalizzati
ad
aumentare
la
competenza degli operatori sociali di
dialogare con i Servizi Sanitari.
Abbiamo promosso una serie di percorsi in
questi anni, ad esempio abbiamo fatto una
serie di direttive sulle disabilità acquisite e
affrontando queste gravissime disabilità, ci
siamo resi conto dell’importanza di processi
di integrazione verticali, ad esempio tra
l’ospedale e il territorio, ma anche
orizzontali sul territorio tra i Servizi Sanitari
e i Servizi Sociali. Allora conoscere le
specifiche tipologie di deficit di disabilità,
vuol dire anche, da parte degli operatori
sociali, essere in grado di dialogare in modo
più competente anche con i propri
interlocutori in ambito sanitario, in
particolare con i servizi di neuropsichiatria e
con il dipartimento di salute mentale e
anche con i dipartimenti di riabilitazione.
Questo è importante secondo me, perché in
una regione come la nostra c’è un livello
abbastanza elevato per quanto riguarda i
percorsi generali di integrazione. Adesso
siamo nella condizione di partire da una
base comune che comunque deve essere
ulteriormente
sviluppata,
anche
di
ragionare su percorsi che fanno riferimento
a
specifici
problemi.
Questo
è
sostanzialmente quello che noi ci siamo
proposti; da novembre al prossimo ottobre,
ci saranno una serie di occasioni,
logicamente aperte a tutti, in una logica che
va al di fuori e al di là dei singoli ambiti
territoriali.
Renzo Vianello
Due riflessioni sempre per giocare sulle
pause di passaggio da una relazione
all’altra.
Hai molto insistito sul concetto di progetto,
e mi sembrava tutto molto giusto, ben
presentato, però questa riflessione sul
progetto mi ha invitato a pensare alla realtà
quotidiana in cui qualche volta le persone
con disabilità e le loro famiglie non hanno
quello che io chiamerei un referente del
Progetto di Vita.
Penso a delle persone concrete, secondo
me nell’operatività di tutti i giorni, perché
qualche volta le famiglie sono un po’
disorientate, nel senso che devono un po’
troppo
essere
protagonisti
del
coordinamento di tutte queste forze guida.
Noi dovremmo fare le stesse identiche cose
anche se i genitori avessero cinquanta o
sessanta anni.
L’accento è sul diritto alla persona. A volte
anche questo riflettere sui termini, sulle
parole, può essere, che spostano l’enfasi
dalle preoccupazioni dei genitori ai diritti
degli individui. Perché certe cose sono
nell’aria, solo che ci si aspetta che ci sia
qualcuno che trova le parole.
Come da accordi con le organizzatrici,
preferisco inserire piccoli interventi ogni
tanto nell’arco della giornata, dovrei parlare
di disabilità intellettiva, di sindrome di
Down, nel senso che tutta la mia vita
professionale è stata dedicata a ricerche e
studi sulla psicologia dello sviluppo atipico.
All’università insegno psicologia dello
sviluppo, disabilità cognitiva e disabilità
cognitiva avanzato.
E’ mia intenzione chiedere a Lucia Onfiani e
Franca Olivi di presentarci le novità dei siti.
Abbiamo dedicato molte energie a questi
lavori. Vi presento per primo un sito che ha
incontrato favori inaspettati, noi abbiamo in
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media mille persone al giorno che lo
visitano. Se si pensa che è un sito a cui si
arriva con le parole disablità oppure ritardo
mentale, allora stupisce che ci siano in
media mille persone al giorno che vanno a
vederlo, per cui stiamo andando verso le
400.000 visite.
Lo scopo è quello di presentarvi il primo,
che sarà il trampolino di lancio per
presentarvi il secondo e potete fare delle
riflessioni. Ogni tanto facciamo delle
osservazioni di contenuto. Inevitabilmente
Lucia dovrà dire qualcosa per chi non l’ha
mai visto, ma sarà molto veloce. Vogliamo
evidenziare gli aspetti di novità. È visitato
da tanti familiari, operatori, da studenti
universitari,
ci
sono
quattro/cinque
università
che
lo
utilizzano
delle
esercitazioni.
Lucia Onfiani Coordinatrice Rete Centri di
Documentazione Regione Emilia-Romagna
www.ritardomentale.it
Vengo da Modena, lavoro nel centro Memo,
Multicentro educativo Sergio Neri, e da
alcuni anni abbiamo anche il compito, in
qualità
di centro per la qualità e
l’integrazione che si occupa delle persone
con disabilità, di coordinare la rete dei CDI.
L’attività del sito sul ritardo mentale e
disabilità intellettive, si inserisce nella
cornice di cui ci parlava prima Luigi Mazza,
di specializzazione dei centri. Quindi
abbiamo tentato di creare dei poli che
potessero raccogliere una serie di
informazioni,
di
documentazioni,
da
restituire al pubblico attraverso queste
pagine web.
Il sito che vi vogliamo presentare oggi è
quello del ritardo mentale e disabilità
intellettive, e diciamo che è frutto di una
collaborazione di due centri: quello di
Modena e quello di Ferrara; ma lavoriamo
anche insieme al centro di Ravenna, che si
occupa appunto della sindrome di Down.
Si valutava il numero dei visitatori on line,
in questo momento sono 864 visitatori,
quindi ci fa proprio pensare che il lavoro
che stiamo facendo viene utilizzato da
figure diverse, e questo l’analizzeremo nelle
cose che andiamo a vedere. Nel sito tutti i
temi vengono sviluppati sia dal punto di
vista medico che psicologico che biologico li
vedete trattati in questa parte che riguarda
le cause e la prevenzione.
Ci sono anche delle parti che riguardano in
modo più specifico l’integrazione e il
trattamento, cioè tutto quello che viene
fatto e dato per integrare le persone.
Poi c’è una sezione che riguarda invece i
materiali che raccolgono tutto ciò che si
può trovare all’interno dei centri, quindi le
banche dati dei documenti con delle sezioni
specifiche sui percorsi possibili, su
approfondimenti per auto–formazione in
particolare sui temi del ritardo mentale in
generale ed al alcune sindromi in modo
specifico, tra cui anche la sindrome di
Down.
Selezioniamo
articoli, un modo per
mantenere sempre attivo e vivace il
dibattito sulla ricerca.
La selezione degli articoli viene fatta
presentando delle sintesi. Poi c’è il
glossario. Ecco, questa è una delle novità
che vi volevamo introdurre. Il glossario
viene costruito in comune tra alcuni centri,
raccoglie dei termini. Praticamente il
glossario è un vocabolario molto ricco,
contiene oltre 600 termini, ognuno con la
propria definizione che spaziano sempre
negli ambiti: medico, biologico, psicologico,
pedagogico. Ora vado sulla lettera D.
Renzo Vianello: credo stia cercando, su
questo ci eravamo messi d’accordo,
diversamente abili. La cosa è voluta perché
affrontare il problema delle disabilità
richiede a volte di dover cambiare le parole,
ne abbiamo fatto un esempio prima. C’è
anche una tendenza a volte a rifugiarsi
nelle parole. Cioè a credere di risolvere
delle cose trovando delle parole buone.
Questa espressione “diversamente abile” ha
una funzione consolatoria, ci siamo chiesti
se qualche volta non veniva usata anche in
modo sbagliato, per nascondere più che per
12
affrontare le situazioni nelle loro difficoltà e
nelle loro complessità.
Ecco perché volevo ricordare una riflessione
e perché Lucia è andata a scegliere proprio
questa parola, perché qualche volta è
opportuno usarla “senza far finta di …”
Quindi non è solo un glossario tecnico, ma
è un glossario di cultura. La prossima volta
metteremo,
e
l’ho
già
preparato,
integrazione ed inclusione. Sembra quasi
che utilizzando la parola inclusione si siano
risolti chissà quali problemi. Invece le
parole devono aiutare ad analizzare, ad
affrontare la realtà e non a nascondersi. In
questo caso (mia opinione) è che forse non
ne avevamo nemmeno tanto bisogno
perché in realtà già nel termine
integrazione c’è il concetto di modificazione
sia della persona sia del contesto.
Lucia Onfiani: un’ altra novità che vi
volevamo presentare e che raccoglie
informazioni utili per tutti è questa parte
che riguarda le risorse. Nella sezione delle
risorse noi volevamo inserire, ed è
intenzione condividere questi progetti, tutte
le informazioni che riguardano centri di
cura, centri di formazione, tutto ciò che i
territori mettono a disposizione per favorire
i percorsi di integrazione.
Per inciso, parallelamente a questo
progetto legato alla specializzazione sui
deficit e disabilità, abbiamo anche realizzato
un altro progetto raccogliendo informazioni
legate al territorio: risorse/opportunità e le
abbiamo sistemate in una Banca Dati.
Queste informazioni si trovano appunto in
rete e le potrete visitare nel sito
www.servizidisabili.it.
Ogni centro ha raccolto a livello provinciale
tutte queste informazioni restituendo così a
chi visita il sito, un’informazione a più livelli.
Una parte dedicata alla descrizione del
servizio, quindi l’attività che quel servizio
propone, una proposta per “far circolare le
idee”. L’altra parte della scheda, raccoglie le
informazioni anagrafiche: la sede, il luogo,
l’orario, la persona di riferimento, ecc..
Quello che vorremmo fare di nuovo in
questo progetto è riuscire a creare a livello
regionale dei percorsi che a partire dalla
tipologia di deficit (quindi sindrome di
Down, autismo, ecc..) riesce a trovare
collegamenti
con
centri,
situazioni,
associazioni, che si occupano in maniera
particolare di quel tipo di disabilità.
Questo per offrire ad un utente esterno un
percorso già costruito; per esempio io
riesco a sapere che a Reggio o a Cesena o
a Ravenna ci può essere una determinata
situazione o risorsa che si occupa di
autismo, o che si occupa di sindrome di
Down, così via. Senza entrare ovviamente
in un livello valutativo (non è compito
nostro valutare i servizi) ma dal punto di
vista invece dell’informazione da restituire
in maniera decisamente ampia. E speriamo
che questo possa essere un servizio utile.
Ritorno al sito, all’interno di questa sezione
legata alle risorse abbiamo pensato di
cominciare a dare uno sguardo generale,
anche a livello nazionale. Per esempio, quali
sono le associazioni che si occupano di quel
tipo particolare di disabilità, quali sono gli
istituti di ricerca che offrono servizi
particolari. Quando avremo pronto il
percorso a livello territoriale e regionale
anche quella sarà un’informazione che
inseriremo. L’altra cosa che volevo far
notare è la voce “domande e risposte”. Nel
corso degli anni (sono sette anni che
lavoriamo su questo progetto) abbiamo
ricevuto parecchi quesiti, pareri o spunti di
riflessione.
Abbiamo
cominciato
ad
organizzarle,
quelle
che
solitamente
chiamiamo le FAQ, le domande e le
risposta. Abbiamo cercato di trovare dei
temi che le accomunassero. Abbiamo
trovato qualcosa che potesse riguardare i
centri specialistici in Italia. Accanto, nella
casella più a destra, ci sono ad esempio le
visite, quante persone hanno cercato
questo tipo di informazione.
Tutti questi dati sono estremamente utili
per chi lavora sul sito perché in realtà
stabilisce con l’utente un rapporto di
scambio
nel
senso
che
vediamo
direttamente qual è l’informazione che più
interessa e a quel punto cerchiamo di
costruire e di dirottare anche il nostro livello
d’informazione verso tale interesse.
Renzo Vianello: questo è un aspetto molto
più dinamico di quanto possa sembrare.
Cioè si potrebbe dire: se io so che cosa
cercano, potenzio quello, ma non è proprio
così. Un sito non è un accumulo ben fatto
di informazioni, c’è una logica, una cultura,
ci sono dei messaggi, un’organicità. Allora
noi teniamo conto del fatto che per
esempio si cerca “cosa devono fare le
famiglie”. Ma se a noi sembra opportuno
che prima di leggere una certa parte se ne
legga una propedeutica, mettiamo quella
pagina e l’indicazione: “se interessa un
approfondimento
lo
puoi
trovare...”
Sfruttando
queste
informazioni,
le
13
utilizziamo per avere un’organizzazione più
dinamica che invita a costruirsi anche una
cultura, non una semplice risposta a ciò che
viene chiesto.
Lucia Onfiani: vi vorrei mostrare ancora due
cose in modo molto veloce, una riguarda la
presentazione
delle
schede,
come
cerchiamo
di
restituire
appunto
l’informazione sulle diverse sindromi che
sono raccolte all’ interno di questo sito.
Siamo partiti da una scheda, ecco, questo è
l’elenco che voi vedete e la scheda che
raccoglie tutte le sindromi con le recenti
scoperte anche sul DNA e del genoma che
ci riconducono a problemi genetici..
Renzo Vianello: ci sono informazioni che
non si trovano nei libri ma solo in articoli
recenti.
Prendiamo come esempio la sindrome
Cornelia Delange. Dicevo prima, le diverse
sindromi sono presentate con una scheda
sintetica,
dove
vengono
comunque
affrontate una serie di problematiche che
vanno dalla denominazione all’incidenza, un
quadro clinico complessivo. Ma poi entra
anche in modo più specifico, sugli aspetti
tematici, gli aspetti cognitivi, lo sviluppo
cognitivo, comunicativo, del linguaggio e
delle autonomie ecc.. In questo quadro
sintetico
abbiamo
cercato
di
dare
comunque delle informazioni molto utili e
spendibili. Per eventuali progetti, posso
tenerne
conto
perché
mi
danno
effettivamente elementi utili per un
progetto successivo. Quello che abbiamo
cercato di fare è di costruire anche delle
schede
più
analitiche
quindi
più
approfondite. Gli stessi argomenti vengono
presentati in più pagine, in modo esteso. In
questo caso di Cornelia Delange oltre alle
cose che vi dicevo prima, ci sono delle
specifiche sull’educazione e il trattamento e
vengono presentati anche alcuni casi. Casi
presentati, non di fantasia ma nel rispetto
della privacy
E’ anche un problema di sinergia. Abbiamo
cercato di collegare tutte queste cose coi
lavori che si fanno all’università: andiamo
all’home page e alla voce università. Qui
trovate per ora solo l’università dove
insegno io e quindi sono i libri che
utilizziamo nei miei corsi.
Adesso aprendo a caso trovate tutti questi
volumi con ogni capitolo su power point e
credo che vi interessi perché parla della
sindrome X fragile, dell’epilessia, o
dell’autismo ecc.. Questi sono power point
che non ho fatto io, sono costruiti dagli
studenti, li studiano e li presentano a
lezione.
Ogni anno dico agli studenti: “andate a
vedere nel sito quello che hanno fatto i
vostri colleghi l’anno precedente, dovete
fare meglio”. E in effetti, vi mostro una
lezione tenuta dalle studentesse dove io
svolgo il ruolo di monitoraggio, di tutor e
osservando posso dire “Questo va bene..
questo potevamo farlo meglio ..” vi assicuro
che è piacevole far lezione in questo modo.
Avete notato che ci sono 50 sindromi in
questo sito generale, ciascuna di queste
potrebbe diventare un sito con queste
caratteristiche. Una di queste 50-60
descritte è la sindrome di Down, cioè quella
più
diffusa
perché
particolarmente
frequente.
Franca Olivi operatrice Centro
Documentazione Integrazione – CDI
Ravenna
www.sindrome-down.it
Lavoro insieme alla collega Anna Allegri e
alla responsabile Mirella Mosconi al Centro
di Documentazione per l’Integrazione di
Ravenna.
Il Centro è un luogo dove noi operatori
accogliamo i fruitori del servizio, non siamo
esperti, ma persone che si pongono in
“ascolto attivo” per offrire informazione e
per creare i collegamenti necessari con gli
altri soggetti del territorio.
Ci occupiamo di integrazione nei diversi
ambiti di vita della persona con particolare
attenzione alla disabilità.
Il sito internet www.sindrome-down.it che
noi curiamo, (responsabile scientifico prof.
Renzo Vinello) è dedicato esclusivamente
alla sindrome di Down e contiene
informazioni
di
carattere
scientifico,
educativo, riabilitativo.
14
Il progetto di Ravenna è stato impostato in
linea con quello di Modena sulle Disabilità
Intellettive, presentato poco fa da Lucia ed
è stato creato con un sistema che permette
di gestire tutte le pagine e i contenuti
autonomamente, senza il bisogno della
presenza di un esperto esterno. Questo
offre
la
possibilità
di
aggiornarlo
tempestivamente.
Il sito non è una novità in assoluto; in
realtà è già attivo da circa due anni e poco
più, ma solo da poco tempo, praticamente
da oggi, vive una vita propria, ha assunto
cioè una sua identità essendo stato
scorporato dal sito del
Centro di
Documentazione nel quale fino ad ora era
integrato.
Questa è la foto nella nostra home page:
Martino, di 8 anni circa con sindrome di
Down, ci accoglie con un sorriso aperto e
accattivante e a braccia tese.
Le novità apportate consistono nell’avere
aggiunto alcune funzionalità, un logo
dedicato,
migliorie
al
sistema
di
navigazione, una grafica nuova che mette
in risalto la linearità e la semplicità, dove
sono stati tolti distrattori a lato che
distolgono l’attenzione del visitatore, una
mappa del sito per rendere maggiormente
chiaro all’utente i contenuti come sono
distribuiti, la segnalazione del numero dei
visitatori on line, presenti cioè nello stesso
momento, e il numero totale degli utenti
che hanno navigato le pagine web dalla
nascita del sito.
A sinistra viene evidenziato il menù che
contiene tutte le voci del progetto:
• il progetto,
• gli aspetti genetici, medici, fisici e
motori,
• lo sviluppo cognitivo
• lo
sviluppo
comunicativo
e
linguistico
• lo sviluppo sociale
• i comportamenti disadattivi e
psicopatologici
• la prevenzione
• l’educazione e l’integrazione
• il trattamento
• i materiali
• le risorse
• il glossario
Cliccando sulla voce interessata si
espandono le sottopagine integrate al menù
di navigazione.
Possiamo vedere ad esempio alla voce LO
SVILUPPO SOCIALE che il capitolo si apre
con un’immagine di una squadra di calcio
che si sta allenando dove è inserito un
bambino con sindrome di Down e una
introduzione all’argomento.
Nelle sottopagine viene descritto lo sviluppo
sociale in quattro fasi separate:
nei primi anni di vita, dai 3 ai 6 anni, dai 6
agli 11, dall’adolescenza in poi e gli
approfondimenti. Questa voce, per ora,
contiene: la storia di Alfredo, (una persona
con sindrome Down di Ravenna che fece un
percorso lavorativo con assunzione) e
Caratteristiche di personalità dei minori con
sindrome di Down secondo le opinioni dei
genitori.
Quando inserisco i contenuti che ricevo dal
prof. Vianello, mi piace personalizzare la
pagina, caratterizzarla accompagnando i
contenuti con un’immagine corrispondente,
e questo dà vita ad una ricerca di materiali,
di foto, disegni, che meglio si abbinano
all’informazione che si vuole dare.
Per
esempio
se
vado
alla
voce
EDUCAZIONE INTEGRAZIONE e si aprono
le sottopagine:
FAMIGLIA
SCUOLA
SOCIETA’
APPROFONDIMENTI
Esplorando
il
capitolo
FAMIGLIA,
incontriamo l’immagine di un neonato
proprio perché l’argomento da introdurre è
relativo alla comunicazione della diagnosi.
Scorrendo troviamo poi un’esperienza dal
titolo “LA NASCITA DI CATERINA” che
raccoglie il vissuto dei genitori, le difficoltà,
le criticità, le conflittualità, ma anche i
momenti di gioia e di soddisfazione.
Di seguito ancora vi sono le indicazioni e i
suggerimenti relativi alle autonomie...
vediamo un bambino impegnato nell’atto
del mangiare autonomamente che si porta
il cucchiaio alla bocca e in un’ altra
immagine il momento in cui si pettina e si
specchia.
Il sito sviluppato con queste modalità
diventa una realtà possibile grazie alla
grande disponibilità da parte di famiglie,
insegnanti, educatori, nel consegnarci foto,
disegni, esperienze, progetti educativi,
risorse, a volte semplicemente idee che
vanno ad arricchire di un valore aggiunto le
pagine web.
Questo tipo di apertura alla partecipazione
viene a crearsi grazie ad un bisogno di
vicinanza emotiva che si esprime attraverso
l’opportunità di condividere ed elaborare le
15
proprie esperienze con gli altri, ma anche di
vicinanza intellettuale con persone che
hanno interessi per argomenti comuni e
dove esiste la possibilità di intrecciare i
diversi saperi.
Connettersi al sito non significa solo
“cliccare” un tasto, non è solo una
questione puramente tecnica, significa
anche connettersi con l’altro attraverso
una relazione costruita sulla conoscenza,
sulla fiducia e sulla reciprocità.
Down ad essere autonomi, la vita in
appartamento, le mansioni quotidiane..
Direttore neuropsichiatria
Paolo Stagi
Infantile Ravenna
Sindrome
associate
di
Down
e
patologie
La partecipazione attiva di tutti i soggetti
nominati (famiglie, insegnanti, operatori,
educatori...) oltre a portare contributi,
crea una rete di rapporti significativi, una
collaborazione feconda e concorre al
miglioramento della qualità dei servizi alla
persona.
Renzo Vianello: chiederei
domande, osservazioni...
se
avete
Intervento del Direttore del Distretto AUSL
Alberto Minardi
Ho una curiosità: traspare da questa
presentazione in maniera molto forte
un’idea di forte relazione col contesto e
sollecitazioni in qualche modo a un
interscambio con la società. Allora la
domanda è la seguente: le esperienze
lavorative delle persone adulte e gli
interventi per esempio di imprenditori o di
operatori, sono già presenti nel sito?
Renzo
Vianello:
la
nostra
prima
preoccupazione è stata quella di creare la
struttura portante e di inserire le
informazioni fondamentali per ogni voce. Su
integrazione e trattamento c’è famiglia,
scuola e società. Come entriamo nella
società abbiamo 3-4-5 voci che riguardano
appunto l’autonomia e gli inserimenti
lavorativi. Quindi è già preparata, ci sono le
problematiche generali, non ci sono ancora
abbastanza esperienze. Abbiamo ragionato
così nella progettazione: prima facciamo
tutte le pagine, una volta arrivati
metteremo le esperienze. Per esempio un
anno fa c’erano le sindromi ma non c’erano
i casi, adesso abbiamo messo i casi. Come
c’è Alfredo nelle esperienze (che è un
esempio), noi col tempo vogliamo arricchire
sempre più aspetti specifici. E comunque
una nostra preoccupazione è anche quella
dell’inserimento lavorativo assieme a quello
dell’autonomia. Abbiamo un video su come
si preparano i ragazzi con sindrome di
Mi è stato assegnato il tema delle patologie
associate alla sindrome di Down e quindi
quello che in una parola sola si può dire la
comorbidità.
L’altro sabato si è tenuto a Bologna, ma in
contemporanea in tutte le regioni d’Italia,
un incontro ad alto livello per la discussione
di questo documento: “proposte di un
modello
assistenziale
per
bambini/adolescenti con malattie genetiche
e disabilità a derivata complessità
assistenziale e per le loro famiglie”.
Questo è un documento condiviso non solo
dalle società medico–scientifiche, ma anche
da moltissime associazioni di familiari, e
anzi, ci sono dei modelli innovativi, esiste
un’associazione che li promuove che è
mista, e non è l’unica in Italia, sia di
professionisti che di familiari e utenti.
Arriveranno i verbali perché si sta cercando
di condividere a livello nazionale questo
modello di presa in carico. Parallelamente si
è tenuto in azienda un incontro con il più
alto livello della direzione, alla presenza del
Direttore sanitario, il direttore per le attività
sociali e sanitarie, il primario dell’ unità
operativa di pediatria ospedaliera, della
pediatria di comunità e una serie di altri
colleghi, non li posso elencare tutti, proprio
per concordare un modello aziendale in
rapporto a questi bisogni. E anche in
rapporto a queste sollecitazioni giunte da
alcune associazioni di genitori, in particolare
16
genitori di bambini e adolescenti Down nel
distretto di Faenza.
Ora passo direttamente al tema che mi è
stato assegnato ovvero alle patologie
associate alla sindrome di Down. Già alla
nascita alcuni problemi possono essere
evidenti, sono bambini che possono
presentare liquidi nelle cavità pleuriche,
nelle cavità seriose, possono avere come
nella sindrome “Le cri du Chat”, un pianto
particolare che può di per se stesso
segnalare un problema di una particolare
conformazione della laringe, possono avere
enfisema, o cisti a livello polmonare e
soprattutto, una cosa molto grave, non con
elevata frequenza ma certamente con
frequenza superiore a quella della
popolazione non Down, problemi a livello
del diaframma. In questi casi il diaframma,
quel segmento che divide la cavità
diaframmale da quella toracica, ha un ernia
e quindi ad ogni atto inspiratorio esce dalla
cavità addominale. Naturalmente come tutti
sappiamo un altro problema che ha una
certa frequenza sono le cardiopatie, e
naturalmente noi le conosciamo sempre di
più per il semplice motivo che abbiamo
degli strumenti sempre più fini che ci
consentono di compiere la diagnosi anche
prima della nascita. Fra l’altro queste
cardiopatie non sempre sono riconosciute.
Quando non lo erano si poteva creare un
sovraccarico del circolo polmonare, una
sindrome, che se non riconosciuta, quando
il bambino veniva portato in montagna,
anche a basse quote poteva avere
scompensi cardiaci improvvisi.
Questo è il modello della circolazione che
penso conosciate che vede delle cavità
cardiache nel cuore sinistro, veicolare il
sangue anteriore su quello ossigenato e
quelle del cuore destro invece veicolare del
sangue che è invece de-ossigenato. E ci
sono una serie di valvole che regolano
queste circolazioni. Tali valvole nei bambini
Down hanno qualche mal funzionamento
con una certa frequenza il 30-40%.
Per esempio, l’aorta può partire dal cuore
destro per errore e la arteria polmonare dal
sinistro, cioè sono invertiti. Una situazione
che si può verificare è la tetralogia di
Fallau, un complesso malformativo che
riguarda il cuore, piuttosto particolare, che
richiede un intervento chirurgico di
correzione.
Molte disfunzioni si possono diagnosticare
già nelle ecografie morfologiche e poi
ovviamente alla nascita. Vedete, con questi
nuovi strumenti si possono addirittura
dosare i flussi. Naturalmente si può fare un
elettro cardiogramma.
Altre patologie che riguardano i bambini
Down sono a carico della cute. Molti di loro
hanno una certa secchezza della cute, in
alcuni casi alla nascita hanno una cute con
delle scaglie, come se fossero squame di
pesce. A livello del cranio ovviamente ci
sono la microcefalia, che si conosce, le
fontane molto ampie. Possono esserci
malposizioni dentali, c’è una lingua
piuttosto grossa, c’è un palato che tende ad
essere ….. , e le tube e le adenoidi tendono
ad ostruire le tube uditive e quindi a tenere
accese delle otiti croniche.
A livello della funzione visiva ci sono alcuni
particolari, vedete queste colorazioni e
chiazze, sono solo delle discromie
caratteristiche della sindrome di Down ma
non recano nessun danno.
Invece la cateratta, cioè la cornea che
invece di essere a calotta sferica è a punta,
crea dei disturbi. Ci possono essere
problemi a livello di retina. E poi ci sono
difficoltà più semplici che si correggono con
l’utilizzo di occhiali da vista.
Inoltre i bambini Down hanno un tono
dell’umore generalmente elevato, (si dice in
termini
psichiatrici).
Vanno
sempre
accertate bene queste cose, perché è vero
che può essere una caratteristica della
sindrome di Down, ma è una caratteristica
di un miliardo e mezzo di persone, gli
orientali hanno questa caratteristica ma non
hanno certo problemi funzionali.
Un problema in genere dei neonati è il
ristagno di liquidi e secrezioni negli occhi,
che poi passa; invece bisogna stare molto
attenti a problemi di acuità visiva. Basta
guardare nel fondo dell’occhio, se ci sono
dubbi si può ricorrere alla diagnostica
strumentale fisiologica. Ci sono tecniche per
valutare anche nei neonati l’acuità visiva. È
ovvio che un neonato non può dire nulla
davanti alla lavagna degli oculisti, però il
medico oculista ha modo di capire se ci
vede o no.
Per la funzione uditiva, il condotto uditivo
dei bambini Down ha un aspetto particolare
ma non crea grossi problemi, a volte è un
po’ piccolino e quello può essere un
problema per il ristagno di cerume. Ma la
cosa più frequente è che questo canale, le
trombe uditive, le tube di Eustachio
sboccano nella parte alta della faringe, può
essere ostacolato come dicevo prima da un
17
palato troppo alto e dalle adenoidi un po’
troppo fuori. E quindi c’è il ristagno di
catarro, otite media di tipo conduttivo o
trasmissivo. Sono molto comuni: 70/80%
dei bambini Down, soprattutto nel periodo
invernale.
Questo non toglie che i bambini Down con
una frequenza superiore agli altri bambini,
possano avere problemi di sordità
neurosensoriale. Possono esserci problemi
a carico del nervo acustico anche perché a
molti bambini Down una volta venivano
somministrati antibiotici che potevano dare
tossicità, (ora si fa con antibiotici più sani) e
questo portava conseguenze. Ci sono
strumenti per valutare una sordità
neurosensoriale, si vede alla nascita perchè
tutti i neonati sono sottoposti a questi
esami.
Ci possono essere disturbi a carico del
torace, a volte l’hanno incavato, a imbuto,
oppure carenato. Altre volte ci possono
essere problemi di ernia ombelicale. A volte
alla nascita queste ernie sono da
correggere
chirurgicamente
immediatamente perché si può determinare
un’ernia strozzata.
Altri problemi sono a carico degli arti
superiori, dita soprannumerarie oppure dita
molto corte. Possono esserci problemi a
carico degli arti inferiori, piede piatto, ma
tutte cose facilmente correggibili con
scarpine corrette. Occorre ricordarsi di fare
visite fisiatriche o ortopediche. Adesso si
può studiare la marcia dei bambini, ma è
molto interessante solo a fini della ricerca.
Possono esserci anomalie delle vertebre,
tutte cose che il medico dovrebbe
controllare. C’è un problema di massa
corporea. Spesso i bambini Down non
crescono come gli altri. O meglio, non
crescono come gli altri in statura, ma in
“cicciosità” a volte crescono anche troppo.
Non certo si mettono a dieta dei bambini,
ma quando si avvicinano all’adolescenza
bisogna anche eventualmente correggere
queste cose. E’ importante che una corretta
educazione alimentare venga da lontano,
da quando il bambino è piccolo.
I bambini Down sono predisposti ad alcune
malattie internistiche. Ipertiroidismo e
ipotiroidismo.
Questo
può
aggravare
il
ritardo
psicomotorio e cognitivo. L’ipertiroidismo è
legato ad un problema di immunità, ci sono
anticorpi che vanno a stimolare la tiroide e i
bambini Down hanno problemi di assetto
immunitario, sia in predisposizione ad un
certo numero di infezioni, ma anche a
sviluppare questi quadri immuni.
Ci possono essere problemi a livello
dell’apparato urogenitale.
A livello
dell’apparato gastroenterico i disturbi più
comuni sono i mal di pancia e in alcuni casi
questi sono dovuti alla celiachia, che va
sempre ricercata perchè è abbastanza
frequente nei bambini Down (anche se non
è un’assoluta caratteristica di questa
sindrome). La celiachia è un’intolleranza
permanente al glutine e ovviamente i
bambini che ce l’hanno non possono
mangiare di tutto, devono fare una
selezione dei cibi e per fortuna oggi è più
facile perché in tutti i supermercati c’è un
banco apposito ed anche una certa scelta e
varietà.
Nella
popolazione
generale
comporta osteoporosi, infertilità, aborti
ripetuti, bassa statura.
Sviluppano
più
di
altri
bambini
malformazioni cerebrali, come displasie
corticali. Questo è un filamento di un
neurone con tutte le spine che consentono
di collegarlo a tutti gli altri. E qui vedete
quello di un bambino Down. Sono spine
molto più piccoline, molto più fitte, e questo
sta alla base anche della riduzione
volumetrica del cervello che ha la tendenza
a sviluppare quelle anomalie istopatologiche
proprie della sindrome di Alzheimer con un
certo anticipo, a partire 25-30 anni. Questo
è dovuto ad un gene che è precursore di
una proteina responsabile poi della
sindrome, che si trova proprio sul
cromosoma 21.
I bambini Down presentano un’incidenza
dell’epilessia un po’ particolare. Hanno più
spesso degli altri bambini spasmi infantili.
Le convulsioni febbrili, che sono un
fenomeno comune a tutti i bambini con la
febbre alta, nei bambini Down stranamente
sono molto più rare. Naturalmente per
queste
cose
si
può
fare
l’elettroencefalogramma, ora ci sono
versioni computerizzate, più o meno
sofisticate, con la telecamera, così il medico
può registrare i muscoli, il cuore, il respiro,
l’attività del cefalo, i movimenti e poi fare
un elenco fotogramma per fotogramma di
come inizia la crisi.
C’è un’altra particolarità dei bambini Down:
le crisi epilettiche, se le hanno, sono diverse
rispetto agli altri bambini. Sono spesso crisi
riflesse. Per esempio una crisi particolare
causa un soprassalto che si vede in tanti
bambini con paralisi cerebrale infantile, ma
18
lì finisce; invece nei bambini Down può
prendere inizio una vera crisi che poi
prosegue al di là dell’evento che l’ha
scatenato. E così altri tipi di crisi riflesse.
Quando il televisore era 16 Heartz, poteva
provocare delle crisi. Ora conosciamo alcuni
correlati più vicini alla sindrome di Down dal
punto di vista neurologico.
I bambini Down tendono ad avere uno
slancio, un’attivazione fulminea di tutto
l’arto e questa cosa provoca spesso
simpatia.
I bambini con la sindrome di Down hanno
delle particolarità, delle differenze che si
notano a colpo d’occhio dal punto di vista
del profilo psicologico. Si pone anche il
problema di disturbi psichiatrici che una
volta si dicevano di innesto. Soprattutto
sulle forme di ritardo mentale più
consistenti si possono verificare in
adolescenza esordi di disturbi psichiatrici
che si innestano su un quadro preesistente
con una frequenza superiore rispetto ad
altri.
Renzo Vianello
Tutte le volte che si segue una lezione di
questo tipo alla fine uno dice “beh insomma
mi sento abbastanza bene, non è che ho
tante malattie e poi guardo mio figlio e
anche lui sta bene” perché in effetti può
esserci un effetto di questo tipo. Tengo a
sottolineare che sono molto utili, i genitori
hanno sempre bisogno di sapere che il loro
figlio è in mano a persone che lo conoscono
bene. Se si tratta di un medico, hanno
bisogno di sapere che questo medico fa le
ipotesi per andare a valutare se c’è
qualcosa su cui intervenire, e in questo
senso è stata magistrale questa relazione.
Ci è stato detto “guardate che noi sappiamo
che dobbiamo verificare tutte queste
cose..” e ciò dà fiducia.
Vi faccio un esempio, mi è stato chiesto di
fare un corso di aggiornamento per
educatrici di asilo nido sul problema dei
rapporti tra scuola e famiglia; cosa si
aspettavano le persone? Che dicessi loro
come si parla con i genitori, le strategie,
come bisogna risultare accettanti. Ho detto
“si, le facciamo queste cose” però prima
ricordatevi che i genitori, la prima cosa che
vogliono, desiderano, vorrebbero è di
essere sicuri che avete capito il loro figlio,
cioè prima vogliono sapere se voi capite, se
voi conoscete i bambini.
Noi chiediamo sempre questo, è un merito
conoscere il punto di vista medico,
all’educatore dal punto di vista degli
interventi educativi, allo psicologo dal punto
di vista degli aspetti psicologici, e quindi ci
tranquillizza molto la relazione adesso, e
stranamente prima ci avrebbe un po’
preoccupato perché è un elenco di possibili
complicazioni.
Mi permetto una semplice riflessione:
qualche volta facciamo fatica a seguire
perché in letteratura si utilizza l’espressione
“più a rischio rispetto alla popolazione
normale”; allora, per esempio, se nella
popolazione normale l’incidenza di un X è il
4% e si dice, guardate che questa sindrome
è tre volte tanto, e la cosa ci spaventa, però
4 per 3 fa 12 e quindi l’88% non ha
problemi. Questa è una cosa molto
importante perché ci dimentichiamo la
parte che fortunatamente sta bene.
Qualche volta, avere le ipotesi, per andare
a vedere se le cose non funzionano, sono
tranquillizzanti nel senso che almeno sai
che non c’è, se poi trovi, dopo il momento
di disorientamento sei contento perché sai
che puoi prevenire.
Paolo Stagi
D’altra parte, se un bambino ha una
cardiopatia, una volta risolta è risolta! Farà
il suo full-op, ma poi è risolta, e se io ho
accertato che invece non ce l’ha, non è che
poi viene, perché se non c’è, non c’è, poi
avrà lo stesso rischio che abbiamo tutti, di
prendersi gli attacchi di cuore.
Diverso il discorso della celiachia, della
vista, ma per quello io faccio il controllo
tutti gli anni, e questo quindi è identico alla
popolazione normale, chi porta occhiali farà
i controlli, per il disturbo uditivo idem, è
chiaro che nei primi anni di vita c’è un po’
più rischio, ma dopo, quando un bambino
ha acquisito il linguaggio si nota più
facilmente se dovesse insorgere un
problema.
Renzo Vianello
Non è un caso che le aspettative di vita
siano cresciute così tanto dall’inizio del
1900. Infatti le aspettative di vita medie
erano di 10 anni, le ultime ricerche che
trovate anche nel sito, ci dicono che ormai
stiamo andando oltre i 60 anni.
Paolo Stagi
E anche su questo, io non voglio avere dato
un impressione troppo negativa, siccome si
partiva da quelli che ora hanno 40/50 anni,
non hanno avuto gli interventi precoci dei
bambini di oggi. Gran parte dei bambini in
seconda o terza elementare leggono e
19
scrivono, magari non fluentemente, non in
modo pari a quello che ci si aspetta alla loro
età, ma leggono e scrivono e le persone
che adesso hanno 50 anni non avevano
questo livello di alfabetizzazione, quindi è
molto probabile, che gli attuali bambini
Down, quando saranno adulti, abbiano un’
evoluzione migliore.
Renzo Vianello
E se vi interessano le percentuali attuali di
capacità di lettura e scrittura aritmetica le
trovate nel sito nella sezione della scuola. E
presto inserirò le variazioni che ho fatto
all’inizio sulla qualità della vita in cui ho
spiegato il fenomeno interessantissimo del
surplus rispetto all’età mentale, cioè il fatto
che escono con una buona educazione,
hanno
prestazioni
scolastiche
di
adattamento di due o tre anni superiori
rispetto alle capacità cognitive, che è un
grande messaggio di speranza.
Tiziana Grilli
coordinatore
Ravenna
Progetto
Ravenna
medico psicoterapeuta Forum
Neuropsichiatria
FORUM
Azienda
USL
Negli anni passati avevo testimoniato come
mamma di un ragazzino Down, (non è più
un bambino, lui vuole essere chiamato così)
di 12 anni, che frequenta ormai la prima
media, lo scorso anno avevo presentato
insieme al dr. Stagi la nascita di un
progetto, quest’anno vengo a comunicarvi
la realizzazione di questo progetto.
Sto parlando del FORUM per la
neuropsichiatria infantile e adolescenza.
Alcuni di voi lo conoscono, io ho ricevuto
molti genitori, che vedo qui e li saluto, il
FORUM è un servizio, presento una realtà
che sta già lavorando però diventerà
ufficiale nei prossimi giorni. E’ un gruppo
formato
da
due
operatori
della
neuropsichiatria infantile nella figura del
primario e di uno psicologo, cinque
rappresentanti
di
associazione
di
volontariato o di auto-mutuo aiuto, un
familiare di un bambino che non afferisce a
delle associazioni, un operatore della
comunicazione che renderà più visibile il
lavoro all’esterno.
Io sono la coordinatrice di questo gruppo,
che è ristretto, però sarebbe nostra
intenzione aprire il dibattito e le riflessioni a
tutti gli altri genitori e operatori che
vorranno partecipare nei momenti di
incontro aperto.
Formare questo gruppo, per alcuni aspetti
non è stato molto semplice, perché le
associazioni sul territorio che si occupano in
particolare di bambini, di minori, non sono
facili da scoprire. Ho cercato con i miei
strumenti di muovermi ma ho trovato non
poche difficoltà, ci sono genitori che
aderiscono con i loro bambini ad
associazioni anche molto importanti e molto
ben strutturate ma di associazioni che
strettamente
studino,
ricerchino
ed
agiscano sul bambino ce ne sono ben
poche.
Brevemente per chi non lo conoscesse
ancora il FORUM si occuperà di ricerca–
azione per quello che riguarda la presa in
carico dei minori sia al livello strettamente
sanitario, sia per quello che riguarda tutte
quelle azioni di benessere e di collegamento
con gli altri Enti locali, territoriali, privati, e
soprattutto con altre istituzioni come la
scuola.
Stiamo parlando di minori quindi sono tutti
scolarizzati, siamo convinti che nel concetto
di benessere (secondo le nuove direttive
dell’OMS) c’è anche tutto ciò che riguarda il
non sanitario. Quindi per un buon Progetto
di Vita, di cura, di riabilitazione che parte
dalla sanità, vorremmo lavorare come
gruppo, sulle relazioni da tenere con gli Enti
locali con le altre istituzioni, compresi chi si
occupa di quello che noi chiamiamo “tempo
libero”.
Per esempio, allo sportello d’ascolto
arrivano genitori costantemente con questa
domanda, cosa fa il bambino quando sono
finite le ore della scuola, che cosa può fare
di organizzato che abbia un percorso che
possa portare ad un obbiettivo non
semplicemente portarlo a nuoto o portarlo
eventualmente a giocare a calcio ma che ci
sia veramente un progetto dove andare a
riconoscere un significato di un benessere
per il bambino e anche per la famiglia.
Oltre a questo momento di ricerca e azione,
ricerca intendo a tutti i livelli ovviamente
abbiamo visto quanto possiamo trovare
negli altri servizi del Consorzio, il Centro di
Documentazione, l’assessore qui presente
alle Pari Opportunità, Giovanna Piaia
appena intervenuta, l’assessore Stoppa... è
importante cercare di interloquire con tutti
ma, per la ricerca sul territorio, io ho
cercato di coprire con i rappresentanti
appena citati, tutto il territorio di Faenza,
Lugo e Ravenna.
20
Lo sportello d’ascolto è già attivo, verrà
ampliamente pubblicizzato, è uno sportello
aperto sia ai familiari che agli operatori e
questo è importante perché è un momento
in cui si possono raccogliere delle
informazioni e poi riportarle una volta che si
è visto il bisogno comune o le criticità.
Posso dire che le famiglie hanno quasi
sempre gli stessi bisogni. Non vorrei essere
fraintesa, il FORUM non si occupa
ovviamente soltanto dei bambini con la
sindrome di Down, il FORUM è per tutti i
bambini
che
afferiscono
alla
neuropsichiatria infantile. Nel numero dei
genitori è stato introdotto anche un
rappresentante dell’associazione del GRD in
particolare di Faenza e quindi un genitore di
un bambino con sindrome di Down.
Chiediamo l’aiuto di tutti, oltre che della
sanità, della scuola, degli educatori, dei
servizi, del Comune, del Distretto e delle
famiglie stesse, il cui rapporto è
fondamentale.
Desidero leggervi un brano che ho trovato,
è un gruppo lombardo che ha svolto lavoro
nelle scuole, un gruppo interdisciplinare che
nel descrivere come lavorano ha riportato
un brano che apparentemente sembra
quasi un raccontino di Disney, in realtà è un
brano di Schopenhauer e io l’ho letto due,
tre volte prima di cercare di capire
profondamente il senso, che credo di aver
trovato, ve lo leggo:
La giusta distanza
In una fredda giornata d’inverno, un
gruppo di porcospini si rifugia in una
grotta, per proteggersi dal freddo si
stringono vicini, ben presto però
sentono le spine reciproche, e il dolore
li costringe ad allontanarsi l’uno
dall’altro.
Quando poi, il bisogno di riscaldarsi li
riporta di nuovo ad avvicinarsi, si
pungono di nuovo.
Ripetono più e più volte questi
tentativi sballottati avanti e indietro
tra due mali e tra il bisogno, finché
non trovano quella moderata distanza
reciproca che rappresenta la migliore
posizione, la giusta distanza che
consente loro di scaldarsi e nello
stesso tempo di non farsi male
reciprocamente.
L’ho voluto portare perché sarebbe lo
spirito di questo gruppo che si sta
formando, siamo persone diverse, portiamo
vissuti, dolori diversi, ci sono gli operatori
che hanno il loro punto di vista.
Si tratta di un gruppo, non tanto di porco
spini omogenei, ma un gruppo che deve
trovare la giusta distanza, il giusto rispetto
per potersi ascoltare, ma che sicuramente
deve avere un unico obiettivo, esattamente
come i porcospini, avevano bisogno di
scaldarsi, il bisogno di questo gruppo è
quello dei nostri figli, è quello di dare
benessere a loro, conseguentemente alle
famiglie, conseguentemente a questa
società che li deve accogliere, che li deve
fare partecipare.
E questo è quanto cercheremo di fare.
Renzo Vianello
Un commento, sulla storia dei porcospini:
supporto, ma non opposizione, disponibilità
ma non invadenza. Spesso ci troviamo in
questa situazione, sia nel rapporto tra
operatori, sia con i familiari; è difficile
trovare quell’equilibrio per cui la porta è
spalancata, si può entrare ma non ti obbligo
ad entrare, quindi disponibilità ma non
invadenza.
E’ il gioco dell’autonomia, cioè come esserci
sempre, essere lì, ma non imporre e non
essere invadenti perché altrimenti non
permettiamo la crescita.
Cristina Casagrande insegnante
Grattugina, la bambina “speciale”
Sono un insegnate, ma prima di tutto la
mamma di una bambina celiaca, una
bambina di sette anni che si chiama
Eleonora. Mi è stato chiesto di presentare
un libretto che ho prodotto insieme
all’associazione Italiana Celiachia.
Queste storie riassumono il percorso di
accettazione iniziale quotidiano mio e di mia
figlia nei confronti di questa patologia.
21
Per fare questo volevo partire da Feuerbach
tanto per parlare di filosofia oggi e da una
sua affermazione “noi siamo ciò che
mangiamo”, in effetti Feuerbach intitolò
un’opera con questa frase, ora mi viene da
pensare che se noi siamo ciò che
mangiamo, la vita del ciliaco è veramente
un po’ triste, non solo perché deve fare a
meno del glutine in prodotti tipo pane,
pasta o pizza, quanto perché il glutine è
presente in addensanti e di tutta una serie
di prodotti che l’industria alimentare
utilizza, quindi questo si traduce in una
astensione
da
caramelle,
liquirizie,
cioccolate varie.
Inoltre poiché bastano pochissime quantità
affinché l’organismo riconosca nel suo
interno il glutine e lo combatta, e
aggredisce poi se stesso, è chiaro che il
livello di attenzione dev’essere generale e il
più totale perché la contaminazione è
senz’altro il lato più pericoloso della
celiachia.
Bastano poche briciole che arrivano dal
piatto del vicino e parte
una risposta
allergica.
Le briciole, o comunque una posata prima
messa nel piatto di un bambino che mangia
glutine, un risotto allungato con l’acqua
della pasta, e via dicendo, questi sono solo
pochi esempi.
Ho saputo e visto atteggiamenti all’interno
delle scuole, abbastanza tristi. In una
scuola materna qui di Ravenna, so che le
maestre, per altro animate delle migliori
attenzioni, usavano tracciare con un
pennarello sulla tovaglia di carta delle linee
all’interno delle quali il bambino celiaco
doveva mangiare, e al di fuori dovevano
stare gli altri.
Io ritengo che questa linea di confine così
definita sia estremamente triste e
pericolosa soprattutto in un periodo in cui
cerchiamo di abbatterli tutti i confini.
Quando mia figlia è stata diagnosticata
celiaca, ho avuto seri problemi perché non
sapevo come spiegare a una bambina di
due anni che aveva sempre mangiato ciò
che mangiavano gli altri, che non solo non
poteva più mangiarle, ma che non doveva
neanche più avvicinarsi ai cibi degli altri.
Ho riflettuto tanto, perché il problema della
condivisione del pane è fondamentale, la
tavola è il luogo dove tutti noi condividiamo
un momento insieme agli altri, la tavola in
questo caso diventa un momento di
tensione; ci sono bambini che piangono
perché la loro pizza è quadrata e non è
tonda come quella degli altri. Questo è per
dire le piccole cose che fanno la
quotidianità.
Ho riflettuto a lungo e ho deciso di iniziare
a dire ad Eleonora che lei era una bambina
speciale, e in quanto speciale lei deve
mangiare una pappa speciale, che
purtroppo non poteva più mangiare quello
che mangiavano gli altri e questo perché
doveva crescere. Siccome tutti noi
volevamo che lei crescesse, lei deve
mangiare una pappa speciale. Ho cercato di
fare capire che questa situazione comunque
aveva dei lati positivi: lei era la destinataria
di cure e d’attenzioni speciali, era sempre al
centro dell’attenzione di tutti e comunque
tutti pensavano sempre anche a lei. E’
chiaro che con questo atteggiamento ho
rafforzato un naturale egocentrismo della
bambina però secondo me le ha permesso
di costruirsi una corazza e anche di
ottenere dei naturali risarcimenti alle tante
piccole situazioni di delusione cui andava in
contro.
Vi presento questi due libretti: uno è
“Grattugina la bambina speciale” e l’altro
“Grattuggina va in Montagna”.
Il nome Grattugina è un’allusione alla
manifestazione epidermica della ciliachia
che è la dermatite... Grattuggina è una
bambina speciale e in realtà si tratta del
percorso di accettazione che abbiamo fatto
io ed Eleonora. Mi piace sottolineare che
comunque chi scrive fiabe, racconti lo fa
prima di tutto per se stesso, poi se c’è
un’utilità per gli altri, ancora meglio.
In questa pubblicazione sono esaminate
tutte le fasi a cui si va incontro, quindi,
l’identificazione
del
problema/non
problema, perché non tutte le diagnosi di
celiachia arrivano dopo un percorso sofferto
e problematico, molte volte si arriva ad una
diagnosi che ci colpisce come “un fulmine a
ciel sereno” ed è altrettanto chiaro che la
serenità con la quale io cerco la dieta è
strettamente in rapporto con il mio vissuto
di sofferenza che ho avuto prima, se non
ho sofferto vivo la diagnosi e la dieta
aglutinata come una limitazione, se io ho
sofferto la vedo come una liberazione dei
problemi che ho avuto prima.
Quindi
dicevo,
identificazione
del
problema/non problema, gli esami e le
paure degli esami, qualche strategia per
superarli, la diagnosi e l’inizio della dieta
aglutinata.
Dopo la fase iniziale abbiamo avuto anche
momenti di ribellione, Eleonora buttava il
piatto in terra all’asilo nido, però con una
serie di strategie abbiamo imparato come
22
aiutarla per fare in modo che (tra l’altro)
non
rimanesse
anche
senza
cibo.
Dividevamo sempre i cibi in due piatti
diversi, quindi lei buttava giù il primo, però
c’era sempre il secondo, e pian piano è
arrivata anche ad accettare questa
situazione e a non farlo più. Eleonora sui
tre anni ho incominciato a dirle che era
celiaca, in realtà lei era intollerante al
glutine, però questa modalità “io sono
speciale” è rimasta sempre una modalità
preferenziale per lei, ancora adesso mi dice
“mamma questo è speciale” ma lei sa
benissimo quello che vuole dire, contiene il
glutine o meno.
Il secondo racconto, in realtà ha un fine
catartico e rappresenta una delle tante
situazioni a cui i celiaci si trovano di fronte,
ovvero, ad esempio in un ristorante quando
le persone dicono di sapere di cosa si tratti
e in realtà poi non lo sanno. Il cameriere, (è
successo a me) dice “ho capito, la celiachia,
è allergica al glucosio, a no al glicine”
quindi sono situazioni tragi-comiche che in
certi momenti ci portano a non sapere se è
meglio piangere o ridere, in definitiva è
sempre meglio ridere ma vi assicuro che le
difficoltà sono diverse.
Mia figlia qualche volta mi dice “mamma sai
io vorrei essere al glutine”, però poco dopo
trova sempre qualche forma di risarcimento
e l’ultima volta mi ha detto “ma sai la
Costanza darebbe qualsiasi cosa per essere
speciale, perché io mangio delle cose
buonissime” quindi trova dei momenti di
soddisfazione, agisce sulle sue risorse per
andare avanti e accettare la cosa.
Come ultimo elemento di riflessione vorrei
proporre questo, va bene aiutare i bambini
a superare questi problemi, ma la
condivisione dev’essere fatta con i
compagni, noi abbiamo avuto diversi
problemi in prima elementare, perché le
maestre erano reticenti, non volevano
affrontare il discorso in classe, quindi
abbiamo avuto qualche episodio spiacevole,
del tipo: Eleonora scappa perché una
bambina la rincorre con il panino dicendole
di assaggiare… questo episodio si ripeteva,
sia all’interno della scuola che a ginnastica.
Eleonora mi ripeteva “lo fa apposta”
probabilmente era vero.
Di fatto finché l’argomento non è stato
trattato in classe, legittimato e condiviso
insieme ai compagni, questi episodi non
diminuivano, nel momento in cui è stato
trattato, sono terminati.
Educare alla diversità, è quello che
dobbiamo fare. Educazione alla diversità in
termini di normalità poiché tutti siamo
diversi e la normalità è fatta di diversità,
quindi Eleonora non può mangiare il
glutine, qualcun altro forse non può
mangiare l’uovo, qualcun altro il latte…
Non siamo uguali, nessuno di noi è uguale.
Renzo Vianello:
La problematica della dieta. Ho interpretato
questa relazione proprio come un gioco
molto sottile e fine cui da una parte si deve
trovare il modo di non far pesare
l’informazione e non appena la bambina è
stata pronta (a 3 anni) l’ha ricevuta
estremamente raffinata.
Io credo che uno dei bisogni fondamentali
dei bambini, quando ci sono dei problemi, è
sentire che i genitori ce la fanno a superarli
(anche se è difficile). I figli devono sentire
l’equilibrio dei genitori, genitori che non si
nascondono dalle cose ma che ce la fanno
lo stesso.
Un compito dell’operatore qual’è?
Aiutare i genitori a farcela.
Alice Maraldi educatrice professionale
Raccontiamo un’esperienza
Sono l’educatrice di un bimbo con la
sindrome di Down, si chiama Elvis, ha
cinque anni e mezzo e attualmente
frequenta il terzo anno della Scuola
dell’Infanzia.
Per comprendere l’esperienza di Elvis è
importante soprattutto sottolineare che la
sua storia nella prima infanzia, parte con
una lunghissima degenza in ospedale, la
sofferenza che ha avuto dalla nascita ha
inciso profondamente sullo sviluppo del
bambino.
Elvis infatti non ha potuto nei primissimi
mesi di vita vivere uno scambio relazionale
con la figura materna (fondamentale per
sviluppare la capacità di scambio e
comprensione con il mondo esterno);
inoltre gli è stata poi successivamente
23
diagnosticata anche una sindrome dello
sviluppo.
La sua storia cambia ulteriormente nel
momento in cui viene preso in carico dai
Servizi e affidato alla
famiglia che
attualmente si occupa di lui. Ha frequentato
il nido e ora la scuola dell’infanzia.
Al suo ingresso abbiamo subito notato nel
bambino caratteristiche di dolcezza e
affettuosità, nello stesso tempo tendeva a
rifugiarsi nelle stereotipie dell’isolamento
caratteristiche della sindrome dello sviluppo
subentrata quindi la chiusura verso il
mondo esterno.
Entrare in contatto con Elvis spesso è
difficile. Abbiamo dovuto utilizzare strategie
anche solo per avere un contatto oculare
con il bambino. A questo proposito il primo
anno abbiamo utilizzato perfino le retine
per le arance, è un esempio, infatti essendo
molto colorate riuscivano ad attirare
l’attenzione del bambino e ponendole
davanti al viso il bambino guardando la
retina guardava anche il viso.
Attualmente il contatto oculare sicuramente
c’è,
il
bambino
ricerca
gli
occhi
dell’interlocutore e questa può sembrare
una piccola cosa ma è una grande
conquista, abbiamo lavorato tantissimo,
soprattutto il primo anno.
Ora
continuiamo,
soprattutto
col
“maternage”,
utilizzando
il
contatto
corporeo per creare una relazione con
sensazioni tattili, di affettività. Da una
chiusura di Elvis verso l’esterno insomma si
è passati ad una sua ricerca dell’adulto
soprattutto, ma anche dei compagni.
Elvis è un bambino che ha un ritardo
importante, non possiede ancora lo
sviluppo del linguaggio e per spostarsi
“gattona”, cammina solo se sostenuto, con
le mani su un piano o
con l’aiuto
dell’adulto.
Ecco questo quadro del bambino ci fa
capire come vi è stata subito la necessità, al
suo ingresso, di creare un contesto
competente e accogliente, a cui la scuola
dell’infanzia non è sempre abituata.
L’ambientamento di Elvis nella scuola non
doveva basarsi solo sulle competenze
dell’educatore ma, sulla corresponsabilità di
tutti: insegnanti e personale ausiliario. Lo
spazio della nostra scuola di limitate
dimensioni ha facilitato il percorso di Elvis di
conoscenza
dell’adulto,
di
tutte
le
insegnanti e degli ambienti con la
costruzione di un progetto di tutta la suola.
Abbiamo investito le nostre energie per
realizzare un contesto che fosse un
supporto affettivo ed emotivo
capace
anche di offrire elementi favorevoli
all’esplorazione
e
all’elaborazione
di
strumenti sensoriali, sostenendo curiosità e
motivazioni. Abbiamo utilizzato la musica
che senz’altro è uno dei suoi principali
interessi, la zona dello stereo è un luogo
che lui conosce bene e in cui si reca in
autonomia richiedendo (anche senza
linguaggio) l’accensione dello strumento,
quindi la musica. È emersa subito la
necessità di pensare a un’organizzazione di
spazio e tempi che fossero congeniali alle
esigenze di Elvis e che si sono posti come
elementi
mediatori
dell’esperienza
educativa. E a proposito di tempi, era
fondamentale suddividere la giornata in
momenti ben scanditi, quindi le attività
dovevano avere un loro momento e una
durata specifica in modo che Elvis si
formasse uno schema mentale della
giornata.
E’ stato creato uno spazio raccolto,
silenzioso e polivalente, morbido, con dei
libri che diventa anche “tana”, l’abbiamo
dotata il primo anno di una tenda, in modo
che ci fosse un isolamento non solo auditivo
ma anche visivo affinchè potesse rilassarsi;
questo spazio è diventato anche di altri,
perchè il bisogno di appartarsi
è un
bisogno di tutti i bambini. Infatti i compagni
spesso chiedono di seguire Elvis nei
“cuscinoni”, nel momento di rilassamento,
nei piccoli gruppi. In questi anni è diventato
un vero e proprio luogo educativo molto
piacevole dove può trovare occasioni di
esperienze per lui gratificanti.
Abbiamo utilizzato l’acqua, la utilizziamo
come strumento sensoriale sia tingendola
con vari colori, sia riempiendola di schiuma
e questo è forte e coinvolgente per Elvis, è
una strategia che usiamo per rafforzare il
cammino laterale e quindi lo spostarsi da
un
lavandino
all’altro
(colorati
diversamente).
Vicino al fasciatolo c’è la zona massaggi
dotata di creme, oli profumati, un
pennellone con cui si massaggia.
La diversità di Elvis e le sue esigenze
speciali ci hanno dato la spinta per creare
un
percorso
che
fosse
realmente
individualizzato e che tenesse conto di una
prospettiva di sviluppo e di apprendimento
realistica.
Vorrei
sottolineare
la
collaborazione su più fronti della famiglia
che ci ha permesso di individuare delle
attività mirate proprio al suo deficit nella
prospettiva di un ampliamento delle
capacità residue di Elvis.
24
Utilizziamo anche filastrocche che ripetiamo
tutti i giorni supportate dalle scritte
(ovviamente Elvis non legge ma la sua
attenzione è attirata) con un programma al
computer che propone una serie di sillabe
colorate col supporto sonoro.
Laila Giunchi insegnante
Sono
un’insegnante
della
scuola
dell’infanzia Le Ali dove è inserito Elvis.
La sua presenza nella nostra scuola è una
risorsa, soprattutto una cartina di tornasole
dei bisogni di tutti i bambini; Elvis può
instaurare relazioni con i proprio compagni
che contribuiscono a creare in lui il piacere
dell’incontro con il mondo esterno. In
questa relazione e in questo tipo di
amicizia, tutti i bambini imparano a trovare
un linguaggio comune e speciale per
condividere esperienze e sensazioni con
modalità nuove ed insolite.
Elvis viene guidato ad esplorare questo
contesto sociale in modo che possa sentirsi
gratificato dai legami positivi con i coetanei.
Le attività proposte hanno l’obiettivo di
guidare tutti i bambini verso una maggiore
comprensione del mondo che li circonda e
nuovi modi di vivere sensazioni ed
esperienze comuni nel rispetto delle
reciproche diversità.
Pur avendo come primo riferimento Alice,
molte sono le occasioni per Elvis di stare
vicino agli altri bambini: il pasto, il gioco
guidato, il canto, sul tappeto, nel salone e
durante le uscite in giardino. Nel tempo
l’interesse di Elvis per i compagni si è
sviluppato, li guarda, li osserva mostrando
di riconoscerli e di stare bene insieme a
loro, i bambini hanno certamente dovuto
cogliere ed inventare delle modalità di
comunicazione insolite per creare una
relazione con lui.
Come si è già detto Elvis non parla però il
canto costituisce un modo privilegiato di
interazione con i compagni, è un momento
ricco di stimoli per lui, facilita la liberazione
delle sue emozioni e delle sue risorse
comunicative rafforzando la sfera affettiva e
relazionale consolidando il rapporto di
condivisione con i compagni.
Nei momenti di assenza di Elvis i bambini
dimostrano di accorgersi della sua
mancanza, che si avverte anche nel
cambiamento del ritmo della giornata.
Vorrei a questo proposito citare una
riflessione di un autore riportato da Andrea
Canevaro nel suo libro “Il manuale
dell’integrazione scolastica” che afferma: “la
base dell’integrazione è data dalla
presenza, che è l’inizio di una conoscenza
che comporta dei cambiamenti, una
presenza che si rivela in dimensioni che
comprendono la fisicità e la corporeità ma
anche la lontananza e la presenza
nell’assenza”.
Ci sono bambini più sensibili che si
avvicinano ad Elvis con una carezza, con un
sorriso, con un bacio o con l’offerta di un
giocattolo.
I bambini hanno questa
capacità di empatia accompagnata da gesti
di cura che si concretizzano in molti modi
nel fare attenzione quando giocano, a come
si muovono, ad usare un tono di voce
adeguato, ad approcciarsi con delicatezza.
In questa prospettiva notiamo delle precise
assunzioni di responsabilità da parte dei
compagni, Alice si allontana per un
momento ed ecco che qualche bambino o
bambina si siede vicino ad Elvis. La sua
curiosità e il suo interesse sono germogliati,
la scuola ha senz’altro contribuito a ridurre
l’handicap.
Ci è sembrato significativo concludere
citando alcune frasi dei bambini e delle
bambine compagni di Elvis che colgono
delle differenze fra Elvis e loro ma anche
delle somiglianze e delle speranze per il loro
amico, il tutto con molto affetto e rispetto:
“Io da piccolo ero come Elvis? Elvis quando
è grande può camminare?” Francesco un
bimbo di 4 anni ha notato Elvis seduto sul
tappeto che sta piangendo e molto
garbatamente gli si avvicina e gli canta una
ninnananna, poi dice “questa ninnananna
me la cantava sempre la mia mamma
quando ero piccolo e mi faceva stare bene,
così voglio che Elvis stia bene come me”
Patrizia Rossi insegnante di sostegno e
Gloria Roberti insegnante di classe
Parole in mano
Alba è una bambina con sindrome di Down
di 10 anni, nata in Italia, di origine
albanese, ultima di tre figlie. Ha subìto,
appena nata, un difficile e impegnativo
intervento al cuore e ad un anno e mezzo è
stata colpita da una paresi celebrale che le
ha compromesso l’uso della parte destra
degli arti sia della mano sia del piede. È
tuttora supportata da un tutore che le
permette di camminare, ma la paresi le ha
compromesso
anche
l’aspetto
fonico/linguistico.
25
Alba ha frequentato il Nido e la Scuola
dell’Infanzia. Ora è inserita nella classe
quarta della scuola primaria. Nelle classi
precedenti hanno lavorato moltissimo sul
linguaggio che tuttavia è solo parziale. Va
sottolineato inoltre che Alba è cresciuta in
un ambiente bilingue: altro fattore che a lei
può aver creato maggiori difficoltà.
Quando è entrata nella scuola primaria non
parlava, ma comunicava con qualche gesto
per i bisogni primari come bere, mangiare e
dormire. Non aveva il controllo sfinterico. Il
primo anno scolastico è stato dedicato
interamente
all’accoglienza
e
all’osservazione,
ponendoci,
come
insegnanti, obiettivi legati a competenze di
base. Inoltre la sua permanenza a scuola
era ridotta perché molto cagionevole di
salute.
Per continuità, nella sua valigetta portata
dalla scuola dell’infanzia, c’era una cassetta
con canzoncine che lei conosceva molto
bene e sapeva mimare “a suo modo”.
L’unico momento che condivideva con i
compagni era questo.
Si trattava di tempi limitati perché i
compagni erano impegnati in materie che
prevedevano capacità di lettura e scrittura e
lei era fuori da questo contesto. Quindi
dedicavamo qualche ora, nel salone o in
classe, insieme al gruppo a mimare alcune
canzoncine. Le piaceva molto mettersi al
centro del cerchio dei compagni. Loro
collaboravano.
Abbiamo così cercato di valorizzare questa
sua capacità mimico-gestuale e nel secondo
anno, inserita nel laboratorio di lettura a
classi aperte, le piaceva molto ascoltare le
favole e soprattutto mimarle, raccontarle a
suo modo anticipando quasi l’insegnante
con gesti ed emissioni gutturali.
Dopo l’uscita didattica in una fattoria,
pensammo con Alba di costruire un libro,
partendo da una favola che lei amava
molto: quella dei tre porcellini.
Abbiamo anche drammatizzato questo libro
costruito con vari materiali. L’obiettivo
finale era che Alba raccontasse con i suoi
gesti, con la sua mimica la favola dei tre
porcellini. Così è stato, con un grande
successo anche nel gruppo dei compagni.
Abbiamo verificato che Alba sapeva
raccontare
qualcosa
con
forte
partecipazione, e soprattutto riusciva ad
emettere qualche parola. Tutti questi gesti
e queste azioni sono state raccolte in un
quadernone con foto, segni, azioni che lei
compie spontaneamente quando vuole dire
qualcosa.
L’abbiamo chiamato “Laboratorio dei gesti”
e veniva settimanalmente proposto alla
classe da parte di Alba. All’inizio del
secondo ciclo, in terza, con l’aiuto della
neuropsichiatria
abbiamo
contattato
un’esperta di comunicazione alternativaaumentativa, che è venuta a scuola e ci ha
consigliato dopo un’attenta valutazione, di
introdurre un linguaggio dei segni.
Però Alba non è sordo-muta e noi volevamo
che con il segno producesse anche qualche
parola.
Inizialmente la bambina non era molto
disponibile. La sua attenzione è stata
variabile. Poi forse cogliendo che dietro al
segno la parola veniva di conseguenza, si
faceva comprendere meglio e comunicava
di più con gli altri. Ha cominciato a
migliorare e si è spontaneamente ampliato
il suo vocabolario.
Il lavoro sta procedendo ancora adesso, e
durerà probabilmente fino alla fine del ciclo
scolastico. Esso si divide in due parti: il
momento individuale, in cui l’educatrice
ripete con lei le figurine con i gesti e con le
parole, e poi c’è la verifica che condivide
con la classe.
Sia i compagni che Alba sono molto
entusiasti di questa attività diventata
gratificante per tutti; infatti lei ha un
riscontro importante e i compagni di classe
vedono cosa fa quando non è con loro.
Gloria Roberti
Io vorrei precisare l’atteggiamento o il
progetto educativo sul quale la nostra
scuola cerca di formare un sistema
integrato.
Se una scuola, come spesso succede, si
pone come scopo prioritario quello di fare
raggiungere ai bambini determinate abilità
di tipo didattico e lo stabilisce prima, per cui
afferma rigidamente di dover arrivare a
quel determinato punto, forse toglie risorse
ai ragazzi.
La scelta di cercare strade nuove penso
faccia parte dell’affrontare le diversità e gli
imprevisti.
Sicuramente Alba è stata vissuta come
bambina imprevedibile. Il non sapere fin
dove poteva arrivare ci ha aiutato a cercare
strade diverse. Da una parte il linguaggio
dei segni. Dall’altra, leggendo i segnali di
motivazione di Alba nei confronti del teatro
dei burattini, è partito un percorso legato
proprio all’uso di questi personaggi.
26
Abbiamo cominciato con la costruzione del
burattino, un’ attività insieme a tutti i
compagni.
Quando
poi
si
è
passati
alla
caratterizzazione dei burattini ci siamo
accorti che il personaggio che ciascuno
aveva costruito stranamente aveva delle
somiglianze con il suo costruttore; chi
abitualmente utilizza queste tecniche di
figura
sa
che
si
tende
a
prolungare/riprodurre se stessi fino alla
mano che muove il burattino.
È stato così anche per il cane di Alba.
Dovevamo darle uno strumento utilizzabile
tecnicamente (meglio manipolabile rispetto
ad una testa di burattino) e che le
consentisse
di
“effettuare
il
suo
prolungamento”; il cane poteva permettere
di essere utilizzato da Alba esattamente
come gli altri utilizzavano i loro personaggi.
È stata un’esperienza significativa, diversa
dalle solite, meno formale, meno codificata,
ma che forse è servita proprio “per andare
oltre”.
Renzo Vianello
un filo che unisce con la storia che abbiamo
visto col discorso non solisti ma orchestre,
vero, anche in questo caso lo abbiamo
visto.
Anna Lacchini operatore pedagogico
Testimonianza di una madre dalla
città di Trento
Sono un’operatrice pedagogica, da anni
lavoro con persone disabili e con le famiglie
e oggi ho scelto di portare la testimonianza
di Marcella Maurina insegnante del liceo
classico di Trento e madre di Marta, una
ragazza con sindrome di Down.
Marcella è una persona che ho conosciuto
alla scuola estiva di scrittura, oggi sarebbe
stata qui, ma c’è stata un’impossibilità
dovuta al fatto che sua figlia è ammalata.
Leggerò il suo scritto.
Quella che mi accingo ad esporre è ben più
che una riflessione sull’ormai lungo
percorso scolastico di mia figlia: si configura
come un bilancio di circa sedici anni di vita,
dalla frequenza all’asilo nido, alla scuola
dell’infanzia, poi la primaria, la secondaria
di primo grado e infine la scuola secondaria
di secondo grado, che Marta sta pressoché
ultimando.
E’ la mia primogenita: alle incertezze e ai
dubbi che sempre accompagnano i percorsi
e le scelte scolastiche dei figli, nel suo caso
c’è stata fin dall’inizio l’ansia all’avvio di
ogni anno scolastico, soprattutto nel
passaggio da un ordine all’altro; e poi una
serie infinita di momenti lieti e altri critici, o
conflittuali, gioie, sorprese, progressi e
lunghe attese, delusioni, spesso disillusioni.
La sua storia scolastica è una serie
ricchissima di incontri con compagni,
insegnanti, dirigenti, bidelli, terapisti e
specialisti di ogni ordine e grado; un
bagaglio di visi, parole, racconti, frasi,
discussioni , schemi, quaderni, ripasso e
studio, poesie a memoria e cartelloni che a
scuola e a casa hanno segnato la sua vita e
la nostra, ogni giorno.
Molti sono stati gli episodi, i momenti, le
esperienze positive: quelle che danno
fiducia, che rasserenano la famiglia che
vede una bambina o una ragazza felice di
sé e di quel che fa.
I ricordi del nido sono legati a tante
fotografie, a nomi di bimbi ed educatrici
ormai persi di vista, come quelli della scuola
dell’infanzia: le attività pensate e strutturate
con attenzione, competenza ed entusiasmo,
gli ambienti accoglienti, “su misura”, gli
amici con cui giocare, imparare e
confrontarsi con serenità; le cuoche, le
assistenti coinvolte nel gioco processoeducativo, capaci di contribuire con
efficacia nella creazione di una rete di
rapporti che ricordiamo tutti significativi; ciò
che rimane di quegli anni , benché filtrato e
forse idealizzato (date le esperienze
successive), è la grande fiducia nel futuro,
un coinvolgimento profondo di tutte le
figure (in primis le insegnanti) nel costruire
un processo formativo ricco e sempre
significativo, anche nei momenti o nei suoi
elementi apparentemente più semplici.
Questi ricordi, i nomi, le fotografie, sanno
ancora regalarci bei momenti, quando ne
parliamo
insieme,
sfogliando
i
“quadernoni”.
Il passaggio alla scuola elementare,
preparato con la maggiore attenzione
possibile, ha rivelato fin dai primi mesi le
caratteristiche che, ripensandoci oggi, si
sono rivelate come costanti nel percorso
scolastico di Marta nella scuola pubblica:
interesse e disponibilità di alcuni insegnanti,
creazione di occasioni di integrazione
effettiva (per esempio semplificando i
contenuti di alcune materie, che lei seguiva
in classe), realizzazione di attività di
laboratorio, uscite, momenti in cui davvero
27
era un’alunna come gli altri, anzi, in cui
diventava una risorsa per gli altri,
facilitando lei le cose per i compagni; però
purtroppo molto più spesso abbiamo
verificato la sostituzione infinita di
insegnanti di sostegno, l’esclusione dal
gruppo, col pretesto di potenziare alcune
materie lavorando da sola con l’insegnante,
le ore passate in aule in solitudine, o
all’esterno della scuola, per accompagnare
qualche insegnante nelle sue commissioni.
Lei ricorda con gioia la mensa, i compagni
con cui giocava, la palestra, le insegnanti,
la segreteria; ripensa con piacere alle tante
ore
passate
fuori,
in
compagnia
dell’insegnante di sostegno: per lei era un
modo di lavorare più rassicurante, visto il
vincolo di affetto che si creava
regolarmente tra lei e queste figure. Ogni
tanto qualche argomento veniva trattato in
parallelo a quello che studiavano i
compagni, ma era molto maggiore il tempo
che Marta passava da sola con l’insegnante,
in spazi diversi da quelli dell’aula.
Alla scuola media la situazione non cambia,
la frase ricorrente era: “nell’interesse di
Marta”, così era più il tempo che passava
fuori, nell’aula cosiddetta “di sostegno”: lei
ricorda la pizza, che faceva ogni settimana
(avesse almeno imparato davvero a fare la
pizza!), alcuni professori particolarmente
affettuosi e simpatici, i quaderni riempiti di
nozioni e di compiti, le pause, passate quasi
sempre a parlare con gli insegnanti.
Momenti davvero belli erano le uscite, le
gite e i viaggi di istruzione: lì davvero si
stava tutti insieme e ci si divertiva.
La scelta della scuola secondaria, pur
meditata, è stata un salto nel buio: non
siamo stati davvero aiutati, indirizzati tra le
varie realtà esistenti, direi che hanno
semplicemente assecondato quella che
sembrava una nostra intenzione verso una
determinata scelta, quella che poteva
rispondere meglio ai bisogni di nostra figlia.
Marta frequenta il quarto anno dell’Istituto
d’Arte “A.Vittoria” a Trento: è inserita in
una classe di ventitré alunni, ma passa
poco tempo con i suoi compagni: per la
precisione due ore il lunedì per un’ attività
di laboratorio, due il martedì per un’altra (il
gruppo classe è diviso a metà). Il mercoledì
e il venerdì passa due ore in classe (storia e
religione), ma dice di “fare le sue cose”,
cioè occupa un banco e pensa ad altro. Io
le ho chiesto: “E’ il tuo banco?” “No, - mi ha
risposto – mi siedo dove c’è posto. Io non
ho un banco mio”. Quando torna a casa
leggiamo quello che ha scritto sul quaderno
di brutta copia: racconta dell’estate, del
campeggio in montagna con i suoi amici,
ripetendo sempre le
stesse cose,
ossessivamente.
Questa organizzazione dell’orario e del
lavoro degli insegnanti è stata fissata a
inizio d’anno e ritengo che rimarrà tale sino
alla fine: le nostre richieste di genitori, i
consigli
e i suggerimenti dell’equipe
sanitaria sono regolarmente disattesi,
purtroppo in modo subdolo, anche se
formalmente lecito (sarebbe meglio dire:
coperto dalla burocrazia); gli insegnati
dichiarano di assolvere al loro compito nel
migliore modo possibile.
Alla nostra richiesta di prendere visione
della documentazione scritta, in particolare
del Piano Educativo Individualizzato, ci è
stato risposto che nulla è stato ancora
predisposto, ci dicono: “abbiamo in mente
qualche cosa”, perché il regolamento della
scuola prevede che il termine ultimo sia la
data dello scrutinio (perciò gennaio); ciò
avveniva nella riunione del 16 novembre
scorso.
Alle
nostre
obiezioni
circa
una
collaborazione più fattiva e trasparente tra
la scuola e la famiglia, la sollecitazione
dell’alunna all’autonomia, a sperimentarsi, a
fare esperienze, la creazione di una reale
integrazione nei vari momenti della vita
scolastica, il coinvolgimento e il contatto
con l’intero consiglio di classe, è stato
risposto che sono cose difficili e che non
tutti gli insegnanti manifestano disponibilità.
La redazione di un piano di lavoro che
preveda, almeno per alcune materie, la
semplificazione dei contenuti, l’effettuazione
di prove di verifica adeguate, ma “vere”,
costa certo fatica, ma è davvero
qualificante: l’abbiamo visto di rado, in
questi ultimi anni, forse solo con l’
insegnante di scienze, che in un’occasione
preparò un lavoro di biologia che poi fu
presentato da Marta in classe.
Una considerazione finale: gli anni della
scuola dovrebbero essere quelli in cui tutti
siamo uguali
davvero, prima di
intraprendere le diverse strade: per un
ragazzo con handicap potrebbero costituire
un lungo “tirocinio” con i coetanei, nelle
varie occasioni dell’apprendimento, del
gioco, dello svago, della formazione, con
l’aiuto significativo delle figure degli
educatori. Dalla mia esperienza, tuttavia,
posso dire che anche la scuola, come tutto
il resto, è stata una gran fatica per Marta,
28
un continuo rincorrere gli altri, assecondare
le richieste altrui, soggiacere alle esigenze
di questo o quel consiglio di classe, aprire
tutti
i
giorni
un
portone
che
apparentemente la accoglieva, ma subito
dopo la ricacciava in qualche “aula di
sostegno” .
La parola che ho sentito ripetere più
spesso, in questi anni, è “copertura”, con
tutta l’area semantica annessa: sua figlia è
“coperta” per un buon numero di ore, Marta
ha un’ampia “copertura”, cercheremo di
“coprire” le assenze degli insegnanti di
sostegno con dei supplenti….
Non sarà che per molti di questi insegnanti
l’unica “copertura” è quella burocratica, che
tutela sempre i loro interessi, prima di quelli
dell’alunno disabile, al punto che la sua
dignità di essere umano viene regolarmente
calpestata?
Questa è la parola che dovrebbe comparire
più spesso, di cui dovrebbe sostanziarsi
ogni
discorso, ogni riflessione, ogni
documento sul tema: dignità.
“Maxima debetur puero reverentia”, al
fanciullo si deve il massimo rispetto: se
tutte le figure della scuola si attenessero
davvero a questo principio, tanta sofferenza
e tante umiliazioni sarebbero risparmiate ai
ragazzi disabili e alle loro famiglie.
Io ringrazio per la testimonianza Marcella
che mi ha detto telefonicamente di
aggiungere quanto vi dirò. La regione del
Trentino Alto Adige è una regione ricca, i
fondi ci sono, i dirigenti scolastici hanno le
possibilità di promuovere l’integrazione,
però non è solamente un fatto di risorse è
un fatto proprio di cultura dell’integrazione
della comunità.
Essere adulti, sarà poi il passaggio che nel
pomeriggio affronteremo: le esperienze e i
servizi per adulti e l’inserimento lavorativo.
Essere adulti con un deficit significa essere
diversi ed assomigliare a tanti altri,
condividere percorsi comuni, a volte essere
accompagnati dentro e fuori dalla scuola,
dai servizi.
Da adulti continuare ad essere pensati, allo
scopo di ridurre l’handicap, le situazioni
handicappate ed affrontare il deficit.
Renzo Vianello
Nel 1977 sono iniziate una serie di ricerche
sull’integrazione
scolastica
e
sugli
atteggiamenti degli insegnanti; trent’anni
sono proseguite tali ricerche. Eppure riesco
a sintetizzarle in una frase (da un detto
veneziano): gli insegnanti funzionano
quando si sentono nella stessa barca con gli
alunni e sentono che se la barca va a fondo
tutti affondano. Quando invece questo
coinvolgimento pieno non si sente, allora le
cose non funzionano.
Abbiamo avuto prima testimonianza di
insegnanti che si sentivano coinvolti. Perché
funzionino le cose ci deve essere anche un
rischio
della
caduta
dell’autostima
professionale.
Pomeriggio
Giovanna Piaia Assessore Pari
opportunità Volontariato, Diritti dei cittadini
L’Associazionismo
La fantasia dell’umanità è sempre stata
colpita dal diverso ed ha reagito sempre
con timore a tentativi di controllo sociale.
Con il rifiuto e la delega si struttura la
logica dell’esclusione .
Nonostante la Costituzione agli art. 34 e 38
affermi che la scuola è aperta a tutti e gli
inabili hanno diritto all’ educazione e
all’avviamento professionale, solo dagli anni
settanta si è avviato un percorso di
integrazione sociale.
Da allora abbiamo appreso nel lavoro
sociale che l’integrazione è cambiamento
continuo, non raggiunge mai livelli che
possano
dichiararsi
stabili
perché
l’integrazione chiede continuo mutamento
di mentalità e buone pratiche.
Con la legge 104/92 si è sancito che
l’handicappato è un soggetto di diritto e
come tale ha diritto all’accoglienza e a tutte
quelle condizioni che recuperano abilità e
riducono l’handicap.
Più recentemente si è avanzato il concetto
di “pari opportunità”, un ruolo del disabile
maggiormente attivo anche nella capacità
di dare e non solo di ricevere.
Non un semplice concetto di uguaglianza,
ma realizzazione di tutto quanto è
potenzialmente realizzabile.
Una piena applicazione dell’art. 3 della
Costituzione pari dignità dunque, ma
occorre
come
cita
la
Costituzione
“rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale che impediscono il pieno sviluppo
della persona umana”.
Non
un’uguaglianza
formale,
ma
un’uguaglianza
sostanziale:
significa
chiedersi che cosa le persone sono in grado
di fare e di essere nella nostra società.
29
Quanto la loro dignità sia riconosciuta e
valorizzata, quanto esse siano libere di
scegliere la propria vita nella concretezza
delle loro particolari condizioni. Tutte
responsabilità
delle
politiche
pubbliche,nuove responsabilità per le
politiche pubbliche.
La diversità dei bisogni richiede che le
risorse vengano distribuite diversamente
per poter garantire funzionamenti analoghi.
Sono compiti ridistribuitivi in termini di
risorse, ma anche di impegno a contrastare
attivamente tutti i meccanismi che
vincolano fortemente le capacità di
particolari individui.
La capacità “è infatti un concetto esigente”,
chiede siano predisposte le condizioni per la
sua messa in pratica per il suo sviluppo e se
la persona lo desidera.
Il desiderio nasce anche dal vedere che si
può, che c’è qualcosa che ho davanti e
posso raggiungerlo.
Poi bisogna essere più profondi: non si
tratta solo di riconoscere che un disabile ha
bisogno di risorse aggiuntive per far fronte
ai propri bisogni quotidiani. Occorre far si
che il modo in cui è organizzato l’ambiente
e l’insieme delle regole sociali non
aggiungano ulteriori vincoli a una esistenza
già resa difficile dalla disabilità: barriere
architettoniche, modalità di prestazione
lavorativa, ritmi di tempo sociale, uso del
linguaggio, stereotipi non verificati.
Rimuovere gli ostacoli, ritorniamo all’art.3
della Costituzione, anche quelli delle
disabilità socialmente costruite.
Politiche
pubbliche
come
politiche
abilitanti,non solo diritti ma capacità.
Le capacità possono essere anche della
persona
singolare, che va
portata
all’obiettivo di mettere tutti e ciascuno su
un piano di uguaglianza di opportunità.
Tutti questi concetti sono basati sulla
capacità di capire i bisogni differenti delle
persone, i bisogni sono realizzabili
attraverso le relazioni.
Senza la relazione, la costruzione di
relazioni non si può realizzare nessun
cambiamento.
La dignità umana ha bisogno di cura, la
cittadinanza
nasce
dalla
cura,
dall’attenzione ai cittadini. Anche la cura si
realizza attraverso le relazioni.
I bisogni di cura, il bisogno di riceverla e di
darla sono un concetto non riferibile solo
all’ambito famigliare, la famiglia è luogo
primario di cura a cui sono state
storicamente deputate le donne in forma
sacrificale e gratuita, ma anche la società
allargata deve prendersi cura delle persone.
La società deve essere capace di dare
affetto, solidarietà, cura.
Capacità preziose e relazioni produttive di
benessere sono ugualmente ritrovabili nella
famiglia in qualunque forma essa si
costituisca, così come in altre forme di
aggregazione sociale: scuola, spazi di
tempo libero, associazioni, comunità
lavorativa.
Il concetto di cura va oltre la famiglia, deve
essere presente nella rete delle relazioni
umane, nei servizi alla persona come negli
organismi elettivi che progettano le
politiche del welfare.
Lo stereotipo della connotazione femminile
del lavoro di cura non può essere
semplicemente
soppresso
da
azioni
rivendicative.
La vocazione alla cura è stata una
costruzione culturale operata nei confronti
delle donne sulla base di concezioni di
genere fortemente asimmetriche e su una
divisione del lavoro sia familiare che sociale,
divisione non superabile ancora oggi solo
con la ridistribuzione di compiti tra uomini e
donne al fine di ridurre il carico del doppio
lavoro femminile.
Occorre diffondere l’idea del lavoro di cura
come dimensione umana come attitudine
alla relazione da valorizzare e far circolare.
Atteggiamento di cura come atteggiamento
umano fondamentale che dovrebbe fondare
ogni teoria etica e di cittadinanza. E’ là
dove la condizione di vita appare più
spezzata o meno completa che questa
capacità di prendersi cura diviene più
essenziale e irrinunciabile.
Non un generalizzato senso di tolleranza e
di solidarietà, ma responsabilità nei
confronti dei soggetti deboli.
Di essi non si può occupare solo la famiglia,
i servizi o le stesse associazioni di
volontariato in quanto portatori di interessi
e di bisogni.
Lo sviluppo di un senso diffuso di
responsabilità può essere portato dalle
associazioni alla società se affrontano la
problematica
non
adottando
un
comportamento mutualistico per avere più
attenzione e protezione, ma sentendosi
parte attiva di uno sviluppo umano che
deve arricchirsi del contributo di tutti
attraverso la forma della partecipazione.
Una responsabilità civile che poggia su basi
morali e anche politiche (io sono portata ad
aggiungere per il significato che attribuisco
30
alla politica) responsabilità non puramente
basata sulle esigenze personali.
Una responsabilità che favorisce, senza
imporla, la solidarietà e la cooperazione
degli altri.
Non vorrei mancare di riconoscere anche la
funzione che l’associazione assolve nella
condivisione di una problematica comune,
trasformando un problema privato in un
problema sociale dunque collettivo. Essere
portatori di interesse consente di avere una
conoscenza vissuta, che interpreta i bisogni
per come si presentano nella vita
quotidiana.
Un intreccio che può far maturare incontri
fecondi e trasformativi delle politiche sociali
se il terreno dell’incontro è quello di un
welfare partecipato, organizzato sulla
partecipazione.
Una sorta di controllo sociale maturo,
propositivo che promuove la partecipazione
dei servizi per creare uno stato sociale più
sociale.
Possono così riprendere le associazioni un’
impegno di cittadinanza attiva che sa
vedere il proprio problema dentro il
contesto sociale che incontra altri problemi.
Un’apertura che diventa incontro oltre la
solidarietà.
Impegno civico come forte antidoto al
pessimismo e alla sfiducia del non
cambiamento.
Sicuramente
siamo
ancora
molto
insoddisfatti, ma impegna come dimostra la
giornata di oggi a combinare le nostre
competenze per fare diventare le politiche
pubbliche politiche abilitanti, abilitanti al
rispetto e allo sviluppo della persona in
condizioni di maggiore giustizia sociale e
anche economica perché sicuramente
anche questa diventa spesso fonte di
disagio.
Manteniamoci in questo impegno.
Renzo Vianello
Un intervento molto denso, molto ricco e ho
dovuto concentrarmi per seguire tutto, e
per esempio, mi piacerebbe approfondire
quel passaggio oltre alla solidarietà che mi
è sembrato molto interessante.
Giovanna Piaia
Quando un'associazione di volontariato
opera, parte molto spesso dal proprio
bisogno di difesa, di tutela dei diritti e
quindi si mette in campo e mette in comune
la
propria
esperienza
anche
della
rivendicazione della richiesta dei diritti. E’
tutto legittimo questo, però secondo me
occorre andare oltre quindi chiedere la
solidarietà, la solidarietà non va imposta,
non si può, si riceve se l'altro trova un
punto di incontro, trova una ragione, sente
che quell'incontro lo fa cambiare in
qualcosa, gli attiva un qualcosa che gli dice
io voglio comunicare, voglio mettermi in
contatto con queste cose che mi aiutano.
Quindi oltre agli aspetti della solidarietà
secondo me il volontariato fa una forte
azione politica, politica intesa come
trasformazione del nostro vivere comune,
qualcosa che mette tutti nella condizione di
avere un benessere.
Renzo Vianello
ho letto nella sua relazione un tentativo di
ricerca di grande equilibrio fra diritto e
rivendicazione, come deve esserci, sempre
rispettoso, o sbaglio?
Giovanna Piaia
E’ tutto esattamente così, quando parlavo
del discorso della cura che è sempre stato
un lavoro delle donne e solo ora
incominciamo a far sentire anche agli
uomini che tale tema li può riguardare ma
non solo perché noi abbiamo bisogno di
alleggerirci, sappiamo che se questo non
entra nella mentalità comune diventa solo
una rivendicazione che poi crea dei conflitti
nella famiglia e nella coppia.
Antonio Pocaterra Associazione ANFFAS
L’integrazione
attraverso
le
associazioni dei genitori
E’ importante che questo sia un evento
periodico, perché solo così la cultura può
crescere, altrimenti si parte sempre
daccapo, si ripetono sempre le stesse cose,
invece una maturazione ci aiuta, anche
perché i figli crescono e noi abbiamo
bisogno
sempre
di
maggiori
approfondimenti.
Quando nacque la nostra seconda bambina,
quasi diciotto anni fa, ci comunicarono che
aveva la sindrome di Down, io e mia
moglie, prima di tutto non ci credevamo,
poi visto il certificato, abbiamo cominciato a
renderci conto della realtà. La prima cose
che ci venne in mente era di capire cosa
eravamo di fronte. Cercammo
delle
associazioni, trovammo l'associazione di
Bologna, il CEPS, forse molti di voi lo
31
conoscono, proprio solo per la sindrome di
Down.
La bambina cresceva e ad un certo punto,
vedendo che presso questa associazione
andavano molti amici di Ravenna e dintorni,
abbiamo creato una nostra associazione,
che la chiamammo addirittura Promozione
Down non per promuovere la sindrome ma
l’integrazione dei nostri ragazzi nella
società.
Questa integrazione non è semplice, è
sempre moderna questa parola perché è
difficile, se mi permettete penso a questa
metafora: è come le palline del polistirolo
che si vogliono mescolare al calcestruzzo,
se non ci si mette della forza o dell'energia
non ci stanno dentro, si separano. Non
sono loro che non vogliono essere integrati,
ma è la società che non li integra, non per
farne una colpa, ma è così. I ragazzi si
aggregano, poi c'è competizione, lasciamo
stare il bullismo, i nostri figli bulli non
potranno mai esserlo, però c'è da lavorare
duro, per questo, in questo momento
stiamo lavorando, ringrazio tutti gli
operatori, perché oggi ho visto delle
esperienze che mi hanno commosso.
La nostra associazione l'avevamo poi vista
più come un auto-aiuto: ci trovavamo fra
famiglie, ci parlavamo, ci scambiavamo le
esperienze e in questo modo siamo riusciti
a fare molto.
Poi questa associazione è confluita
nell’ANFFAS che è più strutturata, ha
maggiori risorse che servono per iniziative
di vario genere.
L’ANFFAS è un'associazione nazionale di
famiglie di persone con disabilità intellettiva
e relazionale, per cui ci sono famiglie di
ragazzi con varie problematiche, però tutti
hanno le stesse esigenze.
Era già attiva la scuola di mosaico, il
comune ci offre l’affitto di una casetta dove
all'interno c'è una scuola di mosaico, e qui
al momento quattordici o quindici ragazzi
che di pomeriggio si ritrovano a fare delle
attività Creano mosaici e ceramiche che
sono esposte anche nella mostra.
Poi siamo riusciti a ottenere un contributo
dalla Fondzione Cassa di Risparmio, e con il
Comune di Ravenna,
siamo riusciti a
mettere insieme un'auletta con tre
computer e facciamo un corso di computer
dedicato ai ragazzi. Abbiamo acquistato
anche degli hardware, le lezioni sono molto
seguite, non pensavamo che sarebbero
state così apprezzato dai ragazzi, e
imparano... vedo che anche mia figlia ci va
da sola.
Siamo riusciti a fare anche un corso di
psicomotricità, ma ad un certo punto non
siamo più riusciti a finanziarlo.
Attualmente si organizzano feste, abbiamo
la festa principale che è quella della befana
dove ci sono sempre centinaia di persone,
poi altri momenti di svago perché se non li
organizziamo noi questi ragazzi hanno
difficoltà ad andare con i coetanei, non
hanno il gruppetto di amici.
L'anno scorso facevamo gruppi di ragazzini
che noi genitori accompagnavamo a pub, in
discoteca.
Renzo Vianello
Ci sono tanti modi di dire le cose che hanno
un grande spessore, una grande profondità,
adesso noi abbiamo sentito Antonio
Pocaterra che con toni e modalità molto
piacevoli e accattivanti, ci ha parlato di
questioni molto profonde, ho preso due, tre
note.
La prima è questa. C'è un ampia
discussione sulle cose che devono fare i
giovani con disabilità intellettive e gli adulti
con disabilità intellettive, e si dice: devono
lavorare insieme ai normali, ma possono
stare anche fra loro. Ho un'idea molto
semplice: una società che funziona bene ha
una molteplicità di offerte, cioè ci stanno
tutte bene, e nel momento in cui ci sono
tutte, è più facile che ciascuno trovi una
propria collocazione, quindi non facciamo
guerre, è solo al momento in cui abbiamo
realmente tutte le possibilità che riusciamo
meglio a trovare una collocazione piuttosto
che un'altra.
La seconda riflessione molto più banale,
riguarda il computer. Per lavorare al
computer, se non sei un programmatore,
ma solo esecutivo, bastano quattro anni e
mezzo di età mentale; occorre usare le
tecniche tipiche dell’età... racconto questo
perchè è un messaggio ottimistico cioè
significa che, se i nostri ragazzi hanno come
minimo questa capacità è bene che
sappiamo usarla anche raggiungendo livelli
molto elevati e quindi tutt'al più il problema
è di farlo ancor prima, è di farlo sempre, di
farlo subito, perché richiede un tipo di
pensiero intuitivo che normalmente si ha
all'età in cui si può imparare a leggere e a
scrivere.
32
La terza riflessione: le persone con
disabilità possono stare insieme solo a
persone normali o anche fra di loro? E' una
domanda radicale , la mia risposta è
semplice, è un problema di tempi, cioè più
sono piccoli, e più hanno bisogno di
respirare attorno a sé quasi esclusivamente,
o solo normalità perché questo permette a
loro di farsi un'identità in cui tutti i loro
aspetti diversi da quello del deficit
emergono, quindi è brutto se ce ne sono
tre nella stessa sezione, meglio uno, nella la
scuola dell'infanzia, nella scuola materna,
eccetera.
Più andiamo avanti, più emerge un altro
problema,
e
cioè
che
l'obbiettivo
fondamentale per le persone con disabilità,
è una doppia identità, e cioè, scoprire la
propria identità di persone normali come gli
altri, a parte i propri deficit, anche se a
volte gravi, e poi l'identità di persone come
me nel mio deficit. Quindi se si è ben
formata una personalità che ha fatto
emergere situazioni di integrazione, tutti gli
aspetti di normalità l’essere tra persone
Down, tra persone con disabilità è molto
meno grave di quanto noi crediamo.
Quando vogliamo fare un discorso di
principio, questa è la mia opinione con
trent'anni di esperienza, e non è un tornare
indietro, è un capire che ci sono tempi e
tempi e che un obbiettivo soprattutto
adolescenziale giovanile è quello di capire,
"quelli come me" mentre prima era di
capire "tutti quanti cosa siamo"
Associazione GRD –
Osservatorio IPSSAR di Cervia
Anna Lanzoni
Inclusione formativa oltre a quella
scolastica
Oggi mi trovo qui in duplice veste, come
associata alla GRD e come persona che si
occupa, all’interno dell’Istituto IPSSAR di
Cervia, di progettazione scolastica e
formativa.
Sono mamma di Rachele, una ragazzina di
quattordici anni, con la sindrome di Down.
Vorrei
esprimere
una
riflessione,
un’emozione, quanto forse non si dice, per
pudore, per imbarazzo, quando si diventa
mamma di un figlio con disabilità .
Quello che si prova immediatamente è
paura, una grande paura, quasi un senso di
colpa, e dico quasi, perchè sono stati
d’animo
forti
e
disorientanti,
che
inizialmente stentano ad essere riconosciuti
con chiarezza anche da chi li prova .
C’è un senso di colpa, per affacciare al
mondo un figlio diverso da come il mondo
probabilmente l’avrebbe voluto, diverso
dalle aspettative dei più. Esiste il timore di
creare un peso sociale, ed in definitiva, si
sperimenta l’angoscia di non essere
accettati. Come donna, poi, non ci si
risparmia dal disagio profondo di sentirsi
sminuita, per non essere stata in grado di
partorire un figlio “sano”, o un figlio definito
“perfetto”.
La soddisfazione più grande è quella di
scoprire che sempre più i genitori sentono
transitorio tutto questo guazzabuglio di stati
d’animo caratterizzati da
timore e
sofferenza. Transitorio, perché essi sanno
fin da subito ricercare con coraggio delle
relazioni significative, con la voglia di
trovare uno spazio vero, reale, forte per il
figlio,
in
grado
di
contribuire
all’affermazione di un posto di dignità e
soddisfazione nella vita.
I genitori sanno cercare immediatamente
aiuto, sia fra gli operatori socio–sanitari,
sia rivolgendosi alle Associazioni presenti,
alla
scuola,
perché
si
desidera
prioritariamente che il bambino o la
bambina cresca con il riconoscimento
sociale del valore della sua esistenza, per
meglio coltivare l’alto valore di sé.
Soltanto coltivando il valore della propria
unicità, della propria peculiare bellezza,
della propria inconfondibile essenza, si può
pensare di trovare un posto adeguato nella
vita, e nella società ; ripeto che è
confortante pensare che sempre più i
genitori sentono urgente l’impeto di onorare
nel modo migliore quell’amore che hanno
per il figlio, perché non è sempre stato così:
l’isolamento e lo smarrimento a volte
perduravano tutta la vita, senza soluzione
di continuità, senza
dare scampo,
purtroppo, né ai figli, né ai genitori .
Credo sia rassicurante sapere che
l’accettazione familiare, vera e profonda,
certo non semplice ed immediata, possa
essere favorita dalla crescita etica che ha
33
interessato tutto il nostro sistema sociale;
oggi
chi
nasce
inizialmente
non
fortunatissimo, ed alla sua famiglia vengono
in soccorso tanti aiuti per costruire un
percorso di vita che si vuole il migliore
possibile.
Le istituzioni vanno interpellate, affinché
diano
risposte,
perché
forniscano
coordinate di aiuto immediato ed i genitori
debbono imparare a chiedere quanto è loro
possibile: occorre che tutti gli attori
coinvolti facciano cemento insieme, in
modo tale che possano contribuire,
nell’ambito delle proprie competenze, a
facilitare il cammino di integrazione e
naturalmente anche la scuola può e deve
fare davvero molto.
Noi pensiamo all’integrazione scolastica e ci
fermiamo ai primi anni di scuola. I nostri
ragazzi, le nostre ragazze oggi, per fortuna
proseguono gli studi, ci sono anche ragazzi
(pochi) che arrivano all’Università. Servono
sempre elementi indispensabili: la forza
della determinazione, la fiducia e la volontà
di voler scegliere per la soddisfazione nella
propria vita.
Non ci si deve accontentare di quanto è
solitamente concesso e consolidato: i
ragazzi e le giovani con la sindrome di
Down devono poter
aver alternative,
debbono poter coltivare progetti per la
propria vita; non necessariamente si
devono accontentare di quanto altri hanno
individuato teoricamente per i loro bisogni
.
Molte sono le scuole medie superiori che
seguono studenti con s. di Down fino al
quinto anno e li guidano anche a compiere
esperienze extra scolastiche, per arricchire
le loro competenze in realtà lavorative.
Questo avviene soprattutto negli istituti
professionali.
All’IPSSAR di Cervia tutti i nostri ragazzi
effettuano esperienze di stage formativi
anche per periodi prolungati e noi ci
impegniamo perché gli studenti con
disabilità
possano
avere
le
stesse
opportunità degli altri; attualmente gli
studenti con disabilità frequentanti sono
53, di cui 5 con sindrome di Down. Il nostro
obiettivo, riuscito con successo fino ad ora,
è che possa essere loro consentito
concretamente di vivere con soddisfazione
queste esperienze.
Mi spiego meglio: nella logica di
comprensibili
agevolazioni,
i
tirocini
vengono
di norma programmati e
concordati con enti locali, ma la nostra
scuola ha deciso di fare un passo ulteriore,
favorita anche dal fatto che operiamo in un
territorio pullulante di attività private,
turistiche, ristorative ed alberghiere.
Abbiamo creato le possibilità affinché anche
le strutture private potessero concorrere a
far crescere sotto l’aspetto esperienziale i
nostri ragazzi con svantaggi psicofisici,
come avviene per tutto il resto della nostra
popolazione scolastica.
Il 19 settembre scorso è stato siglato con il
territorio di Cesenatico un Protocollo
d’Intesa: sono state mappate con la
collaborazione del Comune e dei Servizi
Sociali tutte le associazioni private del
commercio e queste a loro volta, attraverso
la mediazione dei responsabili incaricati,
hanno individuato le aziende interessate
all’effettuazione di stage da parte dei nostri
ragazzi in difficoltà. La scuola, per le sue
competenze, ha creato una struttura
progettuale ed operativa, in grado
di
costruire effettive esperienze spendibili nel
concreto, fornendo un’occasione di crescita
per gli stagisti e salvaguardando la
tranquillità, oltre che il
profitto, delle
aziende ospitanti.
L’esperienza
deve
sempre
produrre
gratificazione e soddisfazione per i soggetti
coinvolti, e pertanto l’impegno dei docenti e
dei tutor scolastici ed aziendali deve essere
forte e convinto per la sua ottimale riuscita.
É anche vero che attraverso questi accordi,
non si può garantire il diritto al lavoro,
intendiamo però assicurare a tutti, ma
proprio a tutti i nostri alunni, il diritto alla
formazione, attraverso esperienze concrete
e non fittizie.
Il Comune di Cesenatico si è messo a
disposizione della scuola, e la scuola a
disposizione delle associazioni; le famiglie
ed i ragazzi coinvolti hanno collaborato
con interesse, fornendo anche suggerimenti
ed indicazioni utili per il successo formativo.
Ci piace pensare che ci sia tanto di possibile
e di sinergico da fare; tutto, ovviamente,
finalizzato all’integrazione autentica, con
tutti i significati salvaguardati.
Tanto più si farà e si produrrà in termini di
integrazione, tanto più faremo una cultura
della vita .
Ci sono realtà, come ad esempio quella nei
paesi scandinavi, in cui la richiesta di
interruzione di gravidanza, in caso di
accertata malformazione è praticamente
nulla, e non certo perché si tratta di paesi
dipendenti dalla Santa Sede, ma perché
esiste una struttura sociale e lavorativa che
abbatte di fatto le possibili barriere
ostacolanti
il futuro dei ragazzi.
34
L’organizzazione tiene conto del reale
inserimento delle persone con sindrome di
Down nella vita produttiva, pertanto è nullo
il timore dell’opinione pubblica, dei suoi
giudizi
e non ci si pone il dubbio
dell’eventuale peso sociale se il soggetto è
Down, o non è Down ...
Le sicurezze sociali di certo possono far
privilegiare la cultura della vita ad altre
soluzioni che spesso non sono frutto di una
scelta, ma bensì crudeli costrizioni della
paura, e per di più quasi sempre vengono
accompagnate da un insopportabile senso
di autocondanna che non lascia scampo,
mai.
I doni della vita meritano sempre di
essere accettati, nessuno escluso.
Facciamo in modo di poterli cogliere
serenamente, tutti.
Renzo Vianello
Ho scritto la parola coraggio e poi ho
aggiunto intellettuale, ha detto: per riuscire
ad andare veramente incontro alla disabilità
bisogna avere coraggio, però non volevo la
connotazione coraggio dal punto di vista
emotivo è anche il coraggio di analisi di
realtà.
Certo che tutto è più facile se si ha
qualcuno vicino, se si sente che c'è chi ti
aiuta ad avere coraggio.
L'altra osservazione molto breve è sul punto
finale: se riusciamo a risolvere il problema
Donatella Marchetti Responsabile U.O.
Disabili adulti e rapporti con il Dipartimento
Salute Mentale
L’integrazione nell’età adulta in una
logica socio-sanitaria
Ho preparato un intervento che presenterà
la realtà dei servizi di Ravenna relativi alla
disabilità.
Fino al 2004, rispetto alla popolazione
residente, abbiamo avuto un numero totale
di disabili abbastanza stabile, mentre dal
2005 in poi, abbiamo constatato una
crescita costante.
Abbiamo una maggiore incidenza di minori
con deficit cognitivo, un aumento delle
disabilità acquisite e questo è un problema
molto grande, tutta una fascia di persone
giovani disabili a causa di incidenti stradali,
è un punto di grande attualità purtroppo.
L'innalzamento dell'età media anche questo
è importantissimo, poi abbiamo un altro
fattore che è quello dei trasferimenti da
altre regioni... quindi abbiamo una
popolazione che ha come dato attuale
1015 fra adulti e minori.
delle persone con disabilità avremo anche
una società migliore, questa frase può
sembrare molto retorica ma non lo è, una
dimostrazione l’abbiamo già chiarissima
nella scuola. La scuola in questo momento
sta vivendo una crisi pazzesca per cui è
molto complesso il discorso, però ci sono
cose
tipo
l'inserimento
differenziato,
apprendimento cooperativo, tutor e così via
che la scuola italiana lo ha imparato perché
costretta ad impararlo per l’inserimento
delle persone con disabilità. Poi lo utilizza
anche quando in classe non ci sono persone
con disabilità abbiamo esempi di come
anche la società migliora se veramente va
incontro alle persone con disabilità, ci sono
ma non sono così limpidi, ecco mi auguro
vivamente che in futuro siano limpidi anche
quelli che riguardano la società.
Sindrome di Down
IL TERRITORIO: RIFLESSIONI A PIU’ VOCI
29/11/2007
L’integrazione nell’età adulta
in una logica socio-sanitaria
Donatella Marchetti
responsabile U.O.
DISABILI ADULTI
e
RAPPORTI D.S.M.
35
PREMESSA
l
I dati relativi alle persone disabili della zona sociale dei Comuni di
Ravenna, Cervia, Russi, dopo alcuni anni (2002-2003-2004) di stabilità
del grado d’incidenza rispetto al numero totale della popolazione,
confermano una crescita costante dovuta principalmente ai seguenti
fattori:
- maggiore incidenza di minori con deficit cognitivi;
- aumento delle disabilità acquisite;
- innalzamento dell’età media data dai progressi nell’assistenza
sanitaria;
- trasferimenti di nuclei familiari da altre province/regioni.
La popolazione con disabilità si caratterizza quindi per estensione di
età (prima infanzia- età anziana) con esigenza di specializzazione dei
servizi in relazione all’età e ai progetti individuali.
• La rete dei Servizi Diurni
Centro Socio Riabilitativo Diurno (Autorizzazione 564/01)
Servizi territoriali rivolti a persone disabili
con diversi profili di autosufficienza con le seguenti finalità:
-
riabilitativa/educativa;
di socializzazione;
di aumento e/o mantenimento dell’autonomia;
di integrazione alla risorsa famiglia nel sostegno al compito di cura quotidiano;
prevenzione alla residenzialità e conseguente diritto a permanere nel proprio ambiente di
vita.
Numero strutture presenti nella zona sociale Tot. 7
Alla data odierna il numero totale di disabili in carico (minori e adulti)
è pari a 1.015.
Comune di Ravenna
n° 6
utenti
Comune di Cervia
n° 1
utenti
n° 8
Utenti Down
1
n°
Comune di Russi
n° 0
utenti
n° 0
Utenti Down
0
n°
Tot. n° 7
n° 48
Tot. n° 56
Utenti Down
8
n°
Tot. n° 9
Interventi domiciliari territoriali
a sostegno familiare
Assistenza Domiciliare
• CENTRI SOCIO OCCUPAZIONALI
Sono servizi territoriali a carattere diurno rivolte a persone disabili adulte
certificate dalla Commissione Invalidi e dalla Commissione L. 104 con potenzialità
che consentano forme di integrazione lavorativa.
Il Servizio è finalizzato a favorire la permanenza della persona con disabilità nel proprio
nucleo familiare o a facilitarne l’inserimento nella Rete dei Servizi.
•Assistenza domiciliare- n° utenti 31 - tot. ore 9000 annue
•Assistenza domiciliare integrata – n° utenti 15 - tot. ore 2700
•Assegno di cura:
•
•
•
•
Obiettivi:
- mantenimento e sviluppo delle autonomie personali acquisite dopo il percorso
scolastico/formativo;
- progressiva maturazione dell’identità lavorativa (comprensione e condivisione di regole, sviluppo
delle relazioni interpersonali e sociali con il gruppo e l’ambiente);
- conseguimento di capacità lavorative e professionalizzazione in rapporto alle attitudini personali;
- aumento dell’inclusione sociale attraverso inserimenti in contesti facilitati nel tessuto socio
economico territoriale.
L’assegno di cura a favore della popolazione disabile, è una risorsa della rete dei servizi
socio sanitari integrati che ha assunto un valore strategico per potenziare le
NUMERO STRUTTURE
TOT. 11
opportunità di permanenza al loro domicilio. L’obiettivo principale è evitare, o comunque
posticipare, l’inserimento definitivo del disabile in struttura residenziale.
•
COMUNE DI RAVENNA 9
Consiste in un contributo economico di entità variabile su tre livelli a seconda della
gravità del disabile (Del. Reg. 1122/2002 e Del. Reg. 2068/2004), a sostegno della
famiglia o di altre persone non appartenenti al nucleo familiare che garantiscano
prestazioni assistenziali a valenza sanitaria.
•
•
Assegno di cura delibera 1122/02 n. 30
Assegno di cura delibera 2068/04 n. 13
•
Servizio trasporto - n. utenti 163
Il Servizio prevede il trasporto di persone disabili con automezzi adeguati e
personale
addetto all’accompagnamento.
Promuove così la mobilità sul territorio, per favorire:
- l’inserimento scolastico;
- l’accesso agli ambulatori della riabilitazione;
- le attività di tempo libero e le vacanze;
- Centri Educativi, inserimenti lavorativi, residenziali.
•
C.A.A.D. (Centro Adattamento Ambiente Domestico)
Il C.A.A.D. si occupa di fornire informazioni e consulenza sugli adattamenti che
possono essere effettuati nel domicilio di persone anziane o disabili per favorirne
la massima autonomia e la permanenza al domicilio. Facilita il lavoro di cura dei
familiari.
Il C.A.A.D. tramite un’equipe multidisciplinare (Architetto del Comune di Ravenna,
Fisioterapista A.USL e Operatore Sociale del Consorzio Servizi Sociali)studia
interventi integrati riferiti ai settori: ausili, abbattimento barriere
architettoniche, tecnologie/automazioni e controllo ambientale rispetto ai vari
ambienti domestici e alle funzioni in esser espletate: igiene, riposo, svago, studio,
riabilitazione, ecc.
Il Centro cura anche l’informazione su tutte le facilitazioni fiscali e i contributi a
cui i cittadini possono accedere per gli adattamenti; cura il collegamento con tutti
gli enti e/o organismi che hanno competenza in materia.
tot. contatti nel 2006 n. 104
•
•
•
•
•
•
totale utenti
120 - con sindrome Down 9
COMUNE DI CERVIA
1
totale utenti
17 - con sindrome Down 0
COMUNE DI RUSSI
1
totale utenti
5 - con sindrome Down 1
_______________________________________________
11
142
10
• NUCLEI AZIENDALI attività occupazionali per piccoli gruppi
(max. 6/7) organizzati all’interno di Enti pubblici, Aziende private,
Cooperative sociali… il nucleo garantisce prestazioni integrate
all’organizzazione aziendale.
• Numero totale nuclei 8
• COMUNE DI RAVENNA 8 tot. Utenti 39 - con s. Down 5
• COMUNE DI CERVIA
0
• COMUNE DI RUSSI
0
__________________________________________________
8
39
5
36
Dati dal 01.01.2006 al
02.02.07
Unità Operativa Ravenna,
Cervia e Russi
• CENTRI DI PROMOZIONE AL LAVORO servizi
ancora in sperimentazione la cui prospettiva ed evoluzione è
mirata a facilitare l’inclusione lavorativa dei disabili.
• N. Servizi presenti 3
• COMUNE DI RAVENNA
• COMUNE DI CERVIA
• COMUNE DI RUSSI
UTENTI IN CARICO: 213
NUOVE PRESE IN CARICO: 83
TOTALE NUMERO PROGETTI: 343
1- PROGETTAZIONE ATTIVA: 117
2- OSSERV. SPERIMENTALE: 14
3- OSSERVATIVI/FORMATIVI: 63
4- MEDIATORI OCCUPAZIONE: 40
5- SOSTEGNO OCCUPAZIONE: 89
6- SOSTEGNO DIMISSIONE: 20
3 – tot utenti n. 5-con s.Down 0
0
0
MONITORAGGI ASSUNZIONI: 82
DIMISSIONI: 50
• RETE DEI SERVIZI RESIDENZIALI
S.I.I.L.
Sostegno Integrato Inserimento Lavorativo
è un servizio che si offre alle persone disabili in base alla Legge 68 del
’99, alle Aziende, Enti Pubblici e Privati, soggetti e non soggetti
all’obbligo di legge.
Finalità
•
•
•
•
La finalità del servizio è il collocamento mirato ai disabili individuati dai NUCLEI DI VALUTAZIONE
TERRITORIALE tra quelli iscritti al collocamento obbligatorio e per i quali la Commissione 104 (L. 68) nella
diagnosi funzionale suggerisce il sostegno di un servizio di mediazione (Operatori della Mediazione).
Promozione presso le Imprese (su indicazione dei Centri per l’Impiego) delle Convenzioni per l’integrazione
lavorativa previste dalla Legge 68/99.
Contatti diretti e visite in azienda per consulenza alle imprese, definizione delle mansioni e delle posizioni
lavorative.
Ricerca di nuove aziende anche non soggette alla Legge 68/99.
Rete Istituzionale
•
Provincia di Ravenna, 18 Comuni della Provincia, A.USL di Ravenna, INAIL
Rete Operativa
•
Centri per l’impiego, Cooperazione Sociale, Formazione Professionale, Servizi Sociali Territoriali, D.S.M.,
S.E.R.T.
Organizzazione
•
n°1
n°2
Utenti
Utenti
s.Down
C. S. R. R. (Autorizzazione 564/01) Centro
Accoglienza e Assistenza per persone con disabilità
acquisita a livello aziendale (DGR 2068/04)
6
0
C.S.R.R. (Autorizzazione 564/01) ad alta
integrazione sanitaria (presenza medico di struttura,
infermieri, Referente Psichiatra del D.S.M.)
30
3
n°4
Centri Socio Riabilitativi Residenziali (Autorizzazione
564/01)
18
0
n°2
Case Famiglia
3
1
n°1
Nucleo Abitativo per giovani disabili
2
0
n°4
Gruppi Appartamento Comunità Alloggio
7
2
n°3
Residenza Sanitaria Assistita
3
1
n°5
Servizi Vari fuori Regione
16
0
85
7
E’ strutturato a livello provinciale su U. O. che agiscono nei comprensori Ravenna, Lugo, Faenza.
Totale
Gestione
•
Affidata ad una Associazione Temporanea di Impresa (Ente di Formazione Professionale) con risorse della
Provincia, dei Comuni e dell’Azienda.
Prossima attivazione per il 2008 di n° 1 C.S.R.R. e Diurno per un totale di 11 posti residenziali e 10 diurni.
Operatori
Anche per inserimenti a livello aziendale
•
Provengono dagli Enti di Formazione gestori del SIIL, dalle Coop. Sociali. Compartecipano Operatori e
novembre ‘07
Tecnici messi a disposizione dai Servizi Sociali, in specifico nel territorio ravennate dal Consorzio Servizi
Sociali.
ATTIVITA’ TEMPO LIBERO
•
In coerenza con il progetto di vita, in collaborazione con Provincia, Comune,
A.USL, Associazioni familiari, Volontariato, Enti privati, Fondazioni, ecc.
sono state promosse varie iniziative finalizzate alla gestione del tempo
libero che facilitino l’accesso alle realtà culturali, sportive, sociali del
territorio e periodi di vacanza residenziale.
•
Dal 2004 si è costituito un gruppo di progetto e coordinamento benessere
sport disabilità
disabilità con le seguenti finalità:
-favorire un confronto strutturato fra tutte le associazioni delle famiglie,
associazioni sportive, culturali e di volontariato impegnate in azioni di
rappresentanza delle persone disabili;
- promuovere attività specifiche per l’accesso alle opportunità di
integrazione presenti nel territorio;
- facilitare il coordinamento e monitoraggio delle attività pianificate.
•
In particolare con le Associazioni delle famiglie si sono consolidati da anni
una serie di progetti che hanno qualificato e integrato le attività dei servizi
della rete.
37
VALUTAZIONE DISABILITA’ U.V.D.
(FASE DI SPERIMENTAZIONE)
Su proposta condivisa dell’Azienda USL di Ravenna e dei Servizi Sociali dei Distretti di Ravenna, Lugo e Faenza, è
costituita la Unità di Valutazione della Disabilità (U.V.D.), con l’obiettivo di presiedere alla valutazione
multidimensionale della autonomia/dipendenza, al fine di valorizzare le connessioni tra gli aspetti clinici-funzionali
e le valenze sociali e psicologiche dei disabili non autosufficienti (DGR. 2068/04 – 1122/01) e consentire l’accesso
ai Servizi Territoriali.
La U.V.D. Aziendale è composta dalle seguenti figure:
-Assistente Sociale Coordinatore Area Disabili dei 3 Distretti;
-FKT individuata dall’U.O. Aziendale Servizio Recupero e Rieducazione Funzionale
- Medico specialista rispettivamente Aree della Riabilitazione (Coordinatore della Commissione), Neurologia,
D.S.M., Dipendenze Patologiche a livello aziendale.
-Responsabili dei SAA
-Coordinatori Servizio Infermieristico Domiciliare dei 3 Distretti.
-Altri operatori che siano intervenuti in modo significativo nel percorso del caso: Ass. Sociale territoriale, M.M.G.,
Psicologo, Educatori, ecc.
La valutazione multi-professionale può quindi essere utilizzata per individuare, modificare migliorare la
progettazione individualizzata da parte del Servizio che ha in carico la persona. Le richieste di valutazione
riguarderanno i casi ai sensi del DPCM 29/11/01 (“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”) e della Delibera
G.R. 17/7/96 n° 1637 (“Direttiva regionale per l’identificazione degli interventi sociali a rilievo sanitario a carico
del Fondo Sanitario Nazionale”) e per i quali si ipotizzano i seguenti interventi:
-Assegni di Cura per disabili (DGR 2068/04 – 1122/02)
-Accesso alla rete dei servizi territoriali diurni e residenziali per minori e adulti per i quali è necessario un
progetto di integrazione socio sanitaria.
UNITA’ DI VALUTAZIONE 2007
Numero casi valutati al 30 Novembre 2007
Ravenna
Lugo
Faenza
74
44
52
SPERIMENTAZIONE
1)
2)
3)
4)
I.C.F.
Da Aprile 2004 è attivo il GRUPPO CONGIUNTO di ricerca e
progettazione nei servizi per la disabilità del Consorzio Servizi Sociali e
della Cooperazione Sociale, finalizzato allo sviluppo condiviso di modalità
operative adeguate a rafforzare il lavoro di rete e la progettazione
individualizzata nell’ottica del sostegno ai progetti di vita.
Il gruppo coerentemente al protocollo di sperimentazione per la diagnosi
funzionale a sostegno dell’orientamento scolastico (CSA – MONPI –
Consorzio Servizi Sociali – Cooperative Sociali) ha raggiunto i seguenti
obiettivi anche per i disabili in età adulta:
Completamento di un nuovo modello di PEI secondo ICF;
Formazione su ICF e sul modello aggiornato del PEI dei coordinatori
pedagogici e dei responsabili delle strutture oggetto della
sperimentazione;
Sperimentazione del modello PEI secondo ICF in almeno due strutture per
ciascuna tipologia (per un totale di 10/12 servizi);
Verifica dei risultati e validazione scientifica del modello (Università di
Bologna Cattedra di Pedagogia) per fine anno 2007.
38
Tavola Rotonda
Dall’Integrazione scolastica e
Formazione Professionale al SIIL per il
lavoro
Daniele Civolani
Marcella Nonni
Carlo De Leonardo
Anna Lacchini
Cinzia Arrigoni
Patrizia Cazzanti
dava il prezzo del francobollo, ritornavo
dentro e mi davano un quantitativo di
francobolli da comprare e poi andavo in
posta a comprarli, poi dopo rientravo.
Quali fatiche hai fatto, quali difficoltà
hai incontrato?
Nel 2000 ho fatto un po’ fatica nel cambio
dalla lira all’ euro. Ho fatto un po’ fatica
perché non sapevo distinguere la lira dall’
euro... è un po’ difficile capire com’è la
storia qui... è meglio che l’Anna mi faccia
un’altra domanda.
Quali sono i tuoi compiti oggi?
Carlo De Leonardo
Grazie di essere venuti, mi presento: mi
chiamo Carlo De Leonardo, ho 30 anni e
abito a Porto Corsini con i miei genitori.
Adesso Anna Lacchini mi farà delle
domande e io risponderò davanti a voi.
Prima di cominciare il tirocinio a Ravenna
Teatro lavoravo come giardiniere per la
cooperativa San Vitale. Ho cominciato lì a
lavorare, i miei compiti erano abbastanza
importanti: in serra annaffiavo le piante, poi
facevo le talee, preparavo i vasetti con la
torba e la terra. Poi ho fatto dei lavori
esternamente per le vie del centro cioè
l’annaffiatura nei vasconi nel centro di
Ravenna. Poi portavo le piante per abbellire
manifestazioni importanti come ad esempio
per i Vigili del fuoco, alla Marinara a Marina
e poi in altri posti qui a Ravenna.
Adesso Anna mi farà qualche altra
domanda.
Dove inizia il tuo percorso lavorativo?
Io ho cominciato il tirocinio nel ’99 a
Ravenna Teatro. Non è iniziato abbastanza
bene perché facevo dei piccoli/grandi
pasticci.
Quando parli di pasticci, cosa vuoi
dire? Quali erano?
E’ un po’ difficile dirlo, però lo devo dire. I
miei piccoli pasticci erano ad esempio
cambiare direzione. Invece di fare lo stesso
percorso facevo una deviazione per andare
a mangiare un panino, poi al negozio
Marchesini. (Dopo ho capito che non
dovevo fare questi errori piccoli e grandi
come palazzi).
Facendo le fotocopie, invece di farle
controllare, le facevo tutte e 100.. Ma dopo
ho imparato a fare un modello da far
controllare, poi se andavano bene
fotocopiavo le altre cento, altrimenti dovevo
comprare una risma di carta.
Per fare il giro delle poste prima mi
preparavano una busta, andavo dal
tabaccaio, mi facevo pesare la busta e mi
I miei compiti di oggi sono: prima ascolto i
messaggi della segreteria telefonica, li
smisto nei vari uffici, anzi, ai vari referenti,
ad esempio Anna Lacchini telefona e dice:
“oggi vengo, però devo sentire per l’orario
”. Infatti prima... veniva spesso Cinzia
Arrigoni, ogni due settimane, ogni tre, poi
una volta al mese per verificare... per
aumentare i miei compiti... trasmetteva poi
il mio mansionario scritto firmato da Cinzia
Arrigoni, Marcella Nonni e poi da me.
I miei compiti all’esterno sono: andare a
portare delle buste per le varie banche di
Ravenna centro, poi alle poste, poi dai vigili
urbani per i permessi per le compagnie
teatrali. E poi Ravenna festival, Ravenna
Teatro in via Mariani. Sono compiti
importanti... vado in posta, spedisco e ritiro
le raccomandate per i vari uffici:
amministrazione, ufficio organizzativo o per
Marcella... e vari giri di Ravenna.
È successo che c’erano delle persone che
mi controllavano. Queste persone sono: i
miei genitori che mi hanno scoperto perché
Anna Lacchini ha fatto la spia. Poi non solo,
mi ha scoperto anche il mio parroco...
I rapporti con i colleghi. Com’erano
all’inizio e come sono oggi?
Prima era abbracciamento senza motivo,
poi ho capito una cosa.. ho capito che non
c’è bisogno di fare questi abbracciamenti
tutti i giorni. Adesso non lo faccio più
perché ho capito che non va fatto, solo nei
giorni di festa oppure nei compleanni.
Com’è il Carlo lavoratore e il Carlo
attore?
Io sono uno degli attori di Ravenna Teatro,
ho fatto degli spettacoli, diversi spettacoli
non solo nella mia scuola ma anche a
Ravenna al Teatro delle Albe, alla cascina di
Mandriole… Prima io ripetevo la parte per
strada, mi hanno visto tutti e mi
prendevano per matto. Adesso non ripeto
più la parte perché non si fa. Prendo un
giorno di permesso per ripetere ed
esercitarmi a casa, dalla mattina alla sera.
Alcune volte se sono stanco prendo anche
qualche giorno di ferie, così mi riprendo
meglio.
Hai consigli da dare a chi come te
inizia un’esperienza lavorativa?
Ho un consiglio da dare molto importante,
cioè è vero che ho fatto degli errori anch’
io, però se ci sono dei ragazzi che mi
ascoltano con questi problemi dico che è
meglio non fare questi piccoli pasticci, e
soprattutto quelli grandi come palazzi, anzi
come grattacieli. Vi faccio un piccolo
esempio: mi è capitato una volta di buttare
una busta nel bidone. Io la posta la devo
portare a tutti se no, prima di tutto rischio il
posto di tirocinio, poi adesso rischio anche il
posto di lavoro. Questo si chiama
responsabilità, come ha detto Anna
Lacchini.
Sai che verrai assunto, cosa ne pensi?
L’anno prossimo verrò assunto come
dipendente a Ravenna Teatro. Penso che
mi vogliono bene, io voglio dare il massimo,
tre volte il massimo, poi voglio fare altri
laboratori finché non andrò in pensione.
Cinzia
Arrigoni
-
Operatrice
della
mediazione S.I.I.L.
Da un’occasione un’intuizione:
capacità di far nascere un progetto
la
L’esperienza
di
Carlo
nasce
da
un’opportunità
per
poi
trasformarsi,
attraverso un’intuizione, in occasione che
diventa progetto: da un’esperienza teatrale
alla costruzione di un’identità lavorativa, da
un’attività occupazionale protetta ad un
inserimento in un contesto lavorativo
“normale”.
Ci siamo dati obiettivi realistici, al tempo
stesso “senza accontentarci”.
Prendersi il tempo per crescere insieme
consapevoli che in questa storia non si è
preteso che solo lui crescesse, ma sono
cresciuti: il contesto, le relazioni, le
capacità personali e di sistema
In queste poche parole chiave è racchiusa
tutta una storia in cui anche i dettagli sono
importanti.
Chi si occupa d’inserimento lavorativo ha,
infatti, un compito definito che deve tenere
conto dei vari contesti in cui si muove la
persona disabile.
In questo caso specifico il ruolo
dell’operatore della mediazione è stato
quello di tenere insieme tutti gli elementi,
chiarendo compiti e ruoli, valutando i
passaggi, e favorendo i chiarimenti.
La rete di protezione è diventata una rete di
relazioni e le relazioni, nate da nuove
connessioni hanno identificato persone,
ruoli e modalità adeguate.
Carlo arriva a Ravenna Teatro come
partecipante ai laboratori teatrali, attività
che occupa il suo tempo libero.
Si delinea per lui l’opportunità di effettuare
un tirocinio presso l’Ufficio Stampa come
ausiliario di segreteria semplice con
mansioni di: fotocopiatura, imbustatura,
etichettatura
e
timbratura
e
solo
successivamente e gradualmente di messo
esterno.
Questi due ambiti sono nello stesso spazio,
ma costituiscono per Carlo due esperienze
diverse. Da una parte una crescita
espressiva teatrale e personale, dall’altra la
costruzione
di
un’identità
lavorativa
professionale. Questa dicotomia è stata
importante chiarirla, prima che a Carlo, a
noi che ci siamo trovate a tradurre un’idea
in un Progetto.
Il compito dell’operatore della mediazione è
stato quello di delimitare i confini di ogni
contesto e costruire un contenimento che
fosse compreso e introiettato da Carlo.
Gli incontri di verifica fra l’operatore e Carlo
riguardavano
l’ambito
lavorativo.
Un’ulteriore attenzione dell’operatore è
stata quella di tenere in considerazione le
esigenze degli altri contesti di vita del
ragazzo (famiglia, tempo libero…)
La capacità di saper distinguere l’identità
lavorativa dagli aspetti personali, chiarisce e
differenzia le relazioni interpersonali e
costruisce un’identità al plurale, quale
struttura di contenimento dei vari “attori “
in gioco.
Il ruolo dell’operatore della mediazione del
S.I.I.L. è quello di costruire un Progetto
Individualizzato facendo incontrare due
conoscenze: quella del contesto lavorativo e
delle relazioni che quel contesto esprime, e
la persona disabile con le sue capacità e
specificità.
E’ quindi l’accompagnare, e supportare
queste due parti verso un processo di
cambiamento possibile che le rappresenta,
verificabile nei tempi concordati.
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Sono stati individuati:
• un referente aziendale: Marcella
Nonni ( Direttore organizzativo di
Ravenna Teatro), alla quale Carlo
doveva
far
riferimento
per
l’organizzazione e distribuzione dei
compiti lavorativi;
• giornate ed orari di attività;
• mansioni (nel corso dell’esperienza
il mansionario è stato ampliato con
attività sia all’interno degli uffici sia
all’esterno con compiti di messo );
• uno spazio e una postazione di
lavoro all’interno dei vari uffici;
• Foglio presenze, compiti scritti,
regolamento,
cartella
per
le
commissioni esterne, ecc…
• modalità e tempi di verifica
I passi sono stati piccoli e attenti con la
cura necessaria per permettere a Carlo di
introiettare il proprio ruolo lavorativo, di
“mettersi dentro” compiti e mansioni ed
essere nel tempo sempre più adeguato
nelle relazioni.
In questo senso si è scelto di intervenire
con fermezza davanti a comportamenti non
adeguati.
Nel tempo gli aspetti di complessità del
progetto sono stati affrontati dall’operatore
della mediazione, in raccordo con i tecnici
del Servizio Sociale, con il referente
aziendale e con la famiglia.
In sintesi l’operatore:
• è stato facilitatore nel riuscire a far
svolgere a ciascuno il ruolo che gli
era stato attribuito.
• Si
è
occupato
della
fase
preparatoria delle uscite di Carlo, al
fine
di
raggiungere
un
apprendimento corretto nel gestire
le proprie autonomie in esterno.
• Ha aiutato a costruire un’identità
adulta attraverso il ruolo lavorativo;
• Ha richiesto un processo di crescita
“senza sconti” all’interno di quel
sistema;
• E’ partito dal presupposto che per
un disabile è auspicabile un’identità
al plurale (lavoro, tempo libero,
teatro...) imparando a sapersi
muovere nelle diverse situazioni
senza fare confusione.
•
confronto e supervisione col
gruppo operativo S.I.I.L.
• Ha
monitorato
il
progetto
attraverso verifiche periodiche con i
vari soggetti che partecipano al
•
processo ( azienda, Servizi sociali e
famiglia).
Ultimo ma fondamentale si è
avvalso di una metodologia e di
strumenti specifici:
coordinatrice
Romina
Maresi
pedagogica del Consorzio S.Vitale e
portavoce della cooperazione sociale a
Ravenna
Centri concentrici: percorsi possibili
nella rete dei Servizi
Faccio un passo in dietro rispetto
all'intervento di Carlo, ma ricordiamoci però
che è possibile prendere un percorso che
arriva a quell'esito attraverso l'occupare
spazi intermedi cioè servizi protetti, tutelati,
(supportati preferisco) che hanno anche lo
scopo di costruire un contesto organizzato
più vicino alle persone. Le persone con
disabilità infatti possono intraprendere
questo percorso di crescita che le può
portare anche ad un esito come quello di
Carlo.
Per cui la domanda "si può uscire dai centri
socio occupazionali? " Certamente, anzi
occorre valorizzarli al massimo proprio nella
prospettiva evolutiva. Per intraprendere un
percorso all'uscita della scuola quando non
si è ancora pronti al mondo del lavoro è
necessario supportare la persona con
disabilità
attraverso
la
formazione
situazione. La cooperazione sociale ci può
aiutare in questo quindi sfruttiamo al
massimo tutti i contesti produttivi reali che
la cooperazione ci può offrire.
Chiudo con una provocazione di Montobbio,
la logica del progetto, che ci spinge a
lavorare non soltanto per promuovere il
benessere e l'attaccamento nei confronti
delle persone che entrano nei servizi, (certo
tutto questo deve esserci, è il modo in cui si
inizia a costruire un rapporto) occorre
comunque un progetto che deve avere
come obiettivo l’autonomia e perciò la
dimissione in vista di un’evoluzione.
Molte volte accade che all'interno dei servizi
si fatica a riconoscere l'autonomia raggiunta
dalla persona; dovremmo sforzarci tutti a
lavorare in questa direzione perché se
abbiamo in mente la logica della dimissione
cioè nel lasciare andare la persona
riusciremo anche ad impostare all'interno
dei servizi delle attività educative finalizzate
a quella dimissione quindi alla costruzione
di autonomia.
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Non giocheremo con la plastilina, anche se
come svago, può essere importantissimo
anche questo, ma insegneremo ai nostri
ragazzi a preparare da mangiare e a far
funzionare la lavatrice. Se pensiamo a un
progetto di abitazione supportata in
autonomia questi sono i principi, quindi al
di là di lavori raffinati o di marchingegni
sofisticati stiamo sulla semplicità, come
diceva il direttore del Distretto questa
mattina, usiamo linguaggi semplici, ma
proponiamo anche attività semplici, perché
fanno
riferimento
alla
nostra
vita
quotidiana.
Concludo, ho chiesto a Roberto Dragoni di
essere qui con me perché ora vediamo
qualche slide, qualche viaggio all'interno dei
servizi, qualche foto che ci illustra un po’
l'idea del percorso evolutivo, foto che ho
recuperato
in
alcuni
servizi
delle
cooperative.
Ho intitolato questa slide "verso la
soluzione" e c'è Roberto Dragoni qui con
me insieme a Donatella, Anna e gli
operatori, abbiamo valutato di costruire
questa opportunità a partire, non dal SIIL
questa volta, ma direttamente dal nucleo
della cooperativa, proprio nella logica di
una prospettiva evolutiva che può nascere
anche all'interno di un circuito supportato,
abbiamo valutato di sperimentare questo
percorso di uscita estivo (dal primo giugno
al quindici Settembre) e Roberto è stato
impiegato presso un distributore a Lido
Adriano.
Gli educatori di Fusignano avevano preso
contatto con il proprietario del distributore
che naturalmente è un amico (faceva
volontariato nei parcheggi) per cui mi piace
concludere
questa
riflessione
della
prospettiva evolutiva con una “quasi
assunzione” quindi con una quasi uscita dal
circuito supportato, pensando comunque
che l'obbiettivo lavoro è fondamentale.
Questo non significa che una volta
conseguito l'obbiettivo lavoro debbano
cessare tutti gli altri supporti per la
persona. Credo sia importante pensare
all'evoluzione dei supporti a sostegno del
Progetto di Vita della persona e quindi
come eventualmente rimanere agganciati
ad un circuito che può sostenere la persona
disabile anche se è diventata adulta tanto
da poter lavorare in autonomia.
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