LIBERTÀdal Popolo Anno 2010 - Numero 2 Supplemento al numero 1/2010 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO” Aut. del tribunale di Cuneo n° 110 del 18 febbraio 1957 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli Realizzazione GRAPHEDIT - stampa TIP. BOVESANA Boves (CN) 25 APRILE - 2 GIUGNO 2010 NELLA DATA DEL SECONDO RISORGIMENTO GLI EX COMBATTENTI INSORGONO L’UNITÀ, IL TRICOLORE, LA COSTITUZIONE NON SI TOCCANO! Un Terzo Risorgimento...? Il Presidente Napolitano Gli uomini e donne della Resistenza: deportati, internati, combattenti nel partigianato, nei Reparti Alleati, reduci dal massacro di Cefalonia e isole, denunciano volgari espressioni nei confronti di risorgimento, unità e bandiera italiana. Valori che il popolo ha pagato con migliaia di caduti in combattimento, assassinati in carcere, sotto la tortura, fucilati, impiccati in quella che il Presidente Ciampi definisce il 2° Risorgimento per l’unità e la libertà d’Italia. Quella unità e libertà che in questi ultimi vent’anni sono stati valori rimossi, grazie ad un quotidiano, crescente impoverimento culturale e morale del nostro Paese. Lo sforzo del recupero da parte degli stessi Presidenti della Repubblica è stato vanificato dal dilagare di una nuova multicultura veicolata dalla invasione televisiva nelle stanze e nella quotidianità dell’uomo della strada, indifeso da una lava irrefrenabile. A sua volta questa nuova società si esprime sedotta dai componenti più comunicativi o estroversi (atleti, giornalisti, artisti, politici…) che seminano abbondanti parole, ma soprattutto morbosi stili di vita: vedi plateali arricchimenti, carrierismo, spreco, disinvolto disfacimento familiare, presuntuosità gemellata con ignoranza, egocentrismo, razzismo, ecc… Questa società sta regalando alla storia contemporanea degli squallidi stili di vita inediti, o perlomeno molto rari nelle pagine del passato remoto… Ad esempio oggi i partiti o i movimenti fanno fortuna se sono pilotati da saccenti maestri che distribuiscono “fanatismi ingenui”, videoconferenze di insulti, valanghe di promesse…. E la gente li inghiotte e li vota….Capita poi che qualche quotidiano usi pubblicare la distinta delle remunerazioni del sig. ministro o del compaesano parlamentare e viene fuori che quelli intascano 10.000 Euro al mese e l’omino della strada, pensionato non arriva a 800 Euro! Ma continua a votarli… Uguali modelli di ingordigia li trovi tra quegli “ex” che si sono ritirati con pingui pensionamenti dalle “poltrone” ma hanno “accettato” subito cariche di presidenze mai onorifiche ma sempre copiosamente gettonate. Il Paese, insomma, presenta un quadro che si è distanziato non poco da come l’avevano restituito Alleati e Combattenti per la Libertà ai Valori essenziali conservati e difesi dalla antiche democrazie dell’Europa e del Nord America. Le potenzialità delle risorse in mano alle realtà socio-culturali dell’intera collettività, se utilizzate con saggezza e realismo, potrebbero riportarci a Paese ordinato, riamministrato in lucidità, onestà e credibilità, in casa e davanti al mondo intero. Disponiamo di un patrimonio culturale (etico, religioso, economico, politico) di tutto riguardo, oggi più volte accantonato da grossolani ritorni a ritualità kitsch, a litigiosità sterili, a gestioni del potere miopi, individualistiche, più vicine al fascismo che alla Costituzione… La sana storia del Paese, in particolare l’incancellabile memoria dei costi in vite umane del 2° Risorgimento (o cacciata dell’invasore nazista), i valori della tradizione cattolica (biblico-cristiana), la dignitosa opera di popolo e politici cui va attribuita la ricostruzione del primo ventennio (1945-1965) ci stimolino a riprendere con responsabilità, intelligenza, armonia il sentiero giusto, anche aspro e sofferto, che ci porti fuori da megalomania, ignoranza, presuntuosità e corruzione dei cosiddetti “uomini pubblici”, ignavia o individualismo delle generazioni più giovani. La lettera con gli interrogativi del vegliardo novantaseienne romagnolo (vedi pag. 2) ci mobiliti per un ….terzo risorgimento italiano! Aldo Benevelli L’ITALIA HA BISOGNO DI UNITÀ Cardinal Bagnasco Presidente CEI UNITÀ D’ITALIA, UN TESORO DI TUTTI “Le celebrazioni del centocinquantesimo hanno senso perché l’Italia ha bisogno di più unità, di nuova e più forte coscienza unitaria; l’unità nazionale conquistata un secolo e mezzo fa si consolida affrontando con nuovo slancio la sfida dell’incompiutezza della nostra unificazione… In conclusione, le celebrazioni del 150° dell’Unità italiana dovrebbero favorire il diffondersi di un clima nuovo, al Nord e al Sud. Da un lato, con l’abbandono di pregiudizi e luoghi comuni attorno al mezzogiorno e ai meridionali, di atteggiamenti spregiativi che ignorano quel che il Mezzogiorno ha dato all’Italia in varii periodi storici, e in particolare la ricchezza degli apporti della sua intellettualità, delle sue élite culturali (…) essenziali nel concorrere all’unificazione del paese (…) Dall’altro lato ci vuole una seria riflessione critica della società meridionale (…)su se stessa. Il bilancio delle istituzionali regionali nel Mezzogiorno non è uniforme, comprende esperienze positive – come quelle della Basilicata – ma nell’insieme è tale da farci dubitare che le forze dirigenti meridionali abbiano retto alla prova dell’autogoverno. E pur riservandoci e sollecitando un approfondimento obbiettivo delle ragioni di un bilancio a dir poco insoddisfacente, non possiamo - lasciate che lo dica in questo momento da meridionale e da convinto meridionalista – non possiamo permetterci nessuna auto indulgenza. Non possiamo nascondere inefficienze e distorsioni dietro la denuncia delle responsabilità altrui, e soprattutto dietro le responsabilità dello Stato e dei governi che lo hanno retto. La critica di indirizzi e di comportamenti, di omissioni e di penaliz- “L’unità è un tesoro per tutti e, senza retorica, deve riscaldare i cuori per aiutare l’Italia a risollevarsi dalla crisi. Così le celebrazioni possono diventare “felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani”. Così il Cardinale Bagnasco al convegno a Genova su “L’unità nazionale. Memoria condivisa, futuro da condividere” organizzato dalla CEI in vista della 46^ settimana sociale dei cattolici italiani, ha ribadito l’interesse per una nazione unita dal federalismo solidale e ha chiesto alla politica “visioni grandi per nutrire gli spiriti e seminare nuovo, ragionevole ottimismo”. Genova è infatti centro delle celebrazioni dell’unità non a caso, secondo il cardinale. “perché città di antiche tradizioni cristiane, tra le prime nell’avventura della forma repubblicana, che molto sangue, anima e intelletto ha dato all’Italia del Risorgimento, alla liberazione, agli anni duri della lotta al terrorismo” Nel messaggio inviato al Card. Bagnasco dal Presidente Giorgio Napolitano “la storia di questi 150 anni di unità politica d’Italia testimonia come, a condizione di una elevata tensione morale, anche nei momenti più difficili, certo non meno di quelli attuali, sia possibile perseguire e conseguire accordi che per lunghi periodi consentono una convivenza civile di grande qualità” Accordi che segnano “l’incontro tra differenze” e consentono lo sviluppo di quello che per don Sturzo era il “sano agonismo della libertà” Il Presidente dei vescovi italiani ha risposto “garantendo che l’Italia può contare sempre sulla Chiesa, sulla sua missione, sul suo spirito di sacrificio e la volontà di dono” Chiesa zazioni, di cui il Mezzogiorno ha sofferto è legittima e anzi doverosa, purchè seria e fondata, ma non può coprire le responsabilità di quanti si sono nel corso di lunghi anni avvicendati nel rappresentare e guidare le Regioni meridionali e le istituzioni locali, o hanno comunque espresso le forze della società civile. (…) Essenziale sarà soprattutto uno scatto di volontà, di senso morale e di consapevolezza civile da cui emer- gano nel Mezzogiorno nuove forze idonee a meglio affrontare la prova dell’autogoverno e della partecipazione al governo del paese. C’è materia, credo, per un esame di coscienza che unisca gli italiani nel celebrare il momento fondativo del loro Stato nazionale.” (estratto del discorso pronunciato dal Presidente Giorgio Napolitano a Potenza il giorno 3 ottobre 2009) amica e libera di parlare con franchezza. Allora è la richiesta dell’arcivescovo che l’anniversario n. 150 non cada nel vuoto ma diventi occasione di risveglio critico, “su quello che eravamo e su quello che oggi, dopo tanti e rapidi successi rischiamo di compromettere” Che aiuti a superare l’handicap dell’indifferenza verso le istituzioni, “mancanza grave e crescente, che prelude alle più varie forme di frattura nel Paese, che lo renderebbero incapace di affrontare le sfide” Bagnasco ha domandato perciò rigore culturale del dibattito sull’unità. “Serve una memoria storica critica, severa, accurata, aperta, scevra da denigrazioni e mitizzazioni, da nostalgie revisioniste come da fanatismi infantili e massimamente pericolosi.” E’ la lezione della memoria che aiuta infatti a declinare insieme “fedeltà e riforma” e restituisce speranza. “il nostro popolo sa sempre quando è in gioco la causa comune, il bene comune e, in un certo senso, questo anniversario, senza indulgere ad alcuna retorica, deve aiutare anche un nuovo incontro tra quelle che, con una espressione molto imprecisa, ma efficace, qualcuna ha chiamato cultura “alta e cultura “diffusa”. 2 5 A P R I L E F E S TA D I T U T T I Centinaia di fiaccolate. Discorsi franchi e mirati. DA MASSA CARRARA Per una lettura autentica della Resistenza Il manifesto della fondazione FIVL 23 GIUGNO 2010 Non mancano in quasi tutte le regioni le polemiche dovute alle diverse visioni della Resistenza ed al ruolo dei partigiani comunisti. Con tensioni e scontri esplosi a Milano, le polemiche a Bolzano, Salerno e a Mogliano (l'ANPI ha dovuto presentare una richiesta formale al Sindaco per suonare Bella ciao!) si è dato fiato ai denigratori istituzionali l'occasione ai ben noti "camaleonti" nostrani per riesumare l'abusato epiteto "fascista” nei confronti di chi non la pensa come loro. Occorre invece parlarne ed approfondire la conoscenza di quel periodo che vide la migliore gioventù scegliere la via del sacrificio per riscattare l'Italia dal famigerato ventennio fascista. AI di sopra degli interessi di parte, dobbiamo (correttamente) sviscerare l’intervento armato del C.V.L. durante la Resistenza non lesinando autocritiche pur di documentarne la reale partecipazione e risultati evidenziandone soprattutto ideali e finalità. E' noto infatti che mentre le Formazioni Garibaldine seguendo le direttive del P.C.I. si proponevano un cambiamento radicale dello Stato, anche attraverso mezzi non parlamentari propugnando altresì l'allineamento con l'Unione Sovietica - gli ideali che avevano Ispirato la partecipazione degli Autonomi, dei G.L. (Giustizia e libertà) e dell'A.P.L. (Cattolici alla lotta di Liberazione), perseguivano invece una Italia Libera in un regime democraticamente eletto riconoscendo altresì che l'alleanza con gli alleati anglo-americani ebbe un ruolo preminente nella sconfitta dell'esercito nazista. Occorre depurare la nostra Resistenza da falsi miti e da episodi 'fumettistici' che ne hanno stravolto il vero volto . la nostra fu una mobilitazione volontaria armata che costrinse il nemico ad impegnare PARTIGIANI D’ITALIA COMBATTENTI DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE! Ragioni ideali, necessità profonde di chiarire lo spirito della Resistenza hanno ispirato la costituzione della Federazione Italiana Volontari della Libertà. In essa si riuniscono le forze che hanno con la loro iniziativa, con la loro decisione e con il loro sangue contribuito validamente al riscatto della Patria. Sono i primi fedeli e sfortunati difensori della Bandiera dell’ora tragica del settembre 1943, sono i Partigiani in Italia e all’Estero, i Combattenti della Campagna di Liberazione, gli internati dei campi di concentramento, eroici e silenziosi assertori di fedeltà e di libertà. Per l’indipendenza della Patria, per la Libertà da ogni forma di regimi totalitari sono caduti a decine di migliaia i figli del popolo italiano. Gli ideali che li mossero, non debbono soccombere. PARTIGIANI, COMBATTENTI DELLA CAMPAGNA DI LIBERAZIONE, REDUCI DALL’INTERNAMENTO! Nell’anno centenario delle battaglie del Primo Risorgimento , nella memoria degli ideali dei Padri, nel ricordo di tutti coloro che sono caduti nell’ombra del Tricolore e nella lotta insieme combattuta; eredi dello spirito di Mazzini, di Garibaldi, di Cavour, per la difesa degli ideali di unità, di libertà, di indipendenza asseriti nel Risorgimento, nella visione di una più alta Giustizia Sociale realizzata nel pieno rispetto della libertà democratica e contro ogni ritorno di dittatura, uniamoci nella F.I.V.L. IL PRESIDENTE Sen. Gen. Raffaele Cadorna (manifesto murale del marzo 1948, annunciante la costituzione della F.I.V.L.) Il Consiglio Nazionale della F.I.V.L. è convocato presso la Villa Meardi di Voghera, strada per Retorbido, in prima convocazione alle ore 8,30 ed in seconda convocazione alle ore 10,00 per mercoledì 23 giugno 2010, con il seguente ordine del giorno: Nomina organi previsti per la legale validità dell’Assemblea Ricordo amici deceduti accompagnato dalla preghiera del ribelle Lettura verbale della seduta del 12 marzo 2009 ed approvazione Completamento del regolamento per inserimento alla voce Soci di famigliari ed altri soggetti, nel rispetto dell’articolo 4 con qualifica di Soci effettivi. Approvazione definitiva Approvazione bilanci Consuntivo 2009 e Preventivo 2010 con la relativa relazione del Presidente Revisori Relazione del Presidente “dibattito” nei rastrellamenti consistenti reparti, altrimenti destinati al fronte. D'altra parte considerate le sostanziali differenze degli opposti schieramenti - da una parte un potente esercito invasore che avvalendosi dell'alleato fascista "giocava in casa” - dall’altra piccoli reparti di giovani inesperti e male armati, per di più divisi da opposte ideologie che ne impedirono l'unificazione sotto un comando militare in grado di coordinare la necessaria strategia unitaria. L'attività partigiana superata la fase dei rastrellamenti - non poteva che limitarsi ad atti di sabotaggio , a favorire la diserzione dell'esercito nemico, a sabotare il governo fantoccio di Salò, e, soprattutto, ad infondere speranza e coraggio nella popolazione civile perseguitata e terrorizzata . Occorre sfatare la forza numerica dei resistenti. Alcide De Gasperi per quel gigante della politica che era - si rese conto della strategia comunista, ed alla vigilia delle prime elezioni politiche del 18 aprile '48, facendo affluire in Roma tramite la F.I.V.L. migliaia di partigiani non comunisti, rese giustizia, sfatando le oceanlche adunate di “pseudo" partigiani con fazzoletti rossi, frutto di una disinvolta distribuzione di attestati che dovevano essere rilasciati solamente a chi era stato inquadrato nelle Formazioni armate per almeno tre mesi, partecipando ad un fatto d'armi. Rifuggiamo da campanilismi sterili e dannosi e trasmettiamo ai nostri giovani studenti l'autentico volto di quella gloriosa pagina di storia che vide l’eroismo sino all'estremo sacrificio di migliaia di nostri fratelli. Se avessero vinto coloro che appoggiavano le dittature nazi-fasciste, quale sarebbe stato il destino della libertà e della democrazia in Italia e in Europa? Aldo Sacchetti DA TORINO Il RICORDO DEL 25 APRILE DELLA 7a DIVISIONE MONFERRATO Domenica 25 aprile 2010, in una splendida giornata di sole incuneata in una primavera piovosa, I Fazzoletti Azzurri della 7a Divisione Monferrato, hanno ricordato, come fanno da ben 65 anni assieme a tanti altri Partigiani in innumerevoli località italiane, i grandi giorni che videro la Liberazione delle nostre terre dal giogo nazifascista. Si sono ritrovati nei loro posti storici di sempre e nel piccolo cimitero sulla collina di Robella vi è stata la deposizione della prima corona della giornata. Assieme a tutti gli intervenuti c’erano loro, gli ottanta-novantenni sull’attenti quando la tromba ha suonato il silenzio di ordinanza. E poi giù, giù per la collina come una volta a perdifiato, si fa per dire, a raggiungere il pianeggiare della Val Cerrina, sotto Robella, dove la grande stele ricorda i caduti della 7a Di- visione Monferrato. E lì nella vivace aria del mattino, con i loro stendardi di antichi guerrieri erano tutti sull’attenti mentre, come portate da quel vento lontano, le note di “Fratelli d’Italia”, suonate dalla Banda “La Fenice” del paese di Brusasco, riconfermavano a loro ed a noi tutti la Storia della rinascita dei nostri paesi e dell’Italia intera, concetti molto ben espressi nella commemorazione fatta dal Presidente della Associazione Volontari della Libertà del Piemonte, Giulio Cravino, che ha ricordato il contributo della 7a Divisione alla lotta di Liberazione .Sì è vero, c’è qualcuno di loro in meno ogni anno e ciò fa tristezza, ma quelli che rimangono sono lì ed è il segno che vogliono continuare ad esserci, a testimoniare, a ricordare. E questo lo si è ben colto anche nella tappa successiva di quel I “ragazzi” della Monferrato con il medaglione della Federazione ed i gonfaloni comunali 2 mattino, nel corteo per le vie del paese di Brusasco, nel ripercorrere i posti che videro cadere dei Partigiani e poi nella chiesa Parrocchiale, affollatissima, con la celebrazione della Messa e l’omelia del Parroco, Don Piero Accornero che ricordava i caduti di questi paesi nella Resistenza ed il ruolo attivo svolto in essa da molti sacerdoti. in quelle zone. Terminata la funzione, usciti nella grande piazza tutti hanno partecipato alla bella celebrazione civile, aperta da un partigiano, continuata poi con il discorso del Sindaco di Brusasco, Franco Cappellino, che ricordando e collegando la nostra Liberazione alla nascita della Carta Costituzionale, base di questa nuova Italia, ha sottolineato la necessità di difenderla sempre, difendendone inoltre lo spirito democratico e pluralista che la contraddistingue. Parole sentite e commoventi il cui spirito è stato ripreso dagli interventi della Giunta Comunale dei Ragazzi e iniziando dal giovane Sindaco, ognuno di loro ha illustrato un articolo della Carta Costituzionale, con un approfondimento, una chiarezza e una determinazione nella loro giovane esplicazione, che ha colpito molti dei presenti, che hanno visto in quest’incontro tra generazioni il senso profondo di queste celebrazioni: non solo ricordare ma consegnare memoria, valori ed impegno a chi è venuto dopo. Tra un grande pranzo alla “nostra” Pirenta e la posa dell’ultima corona nel tardo pomeriggio al monumento che a Mombello Monferrato ricorda i caduti di tutte le Formazioni Partigiane della zona, è trascorso questo venticinque aprile duemiladieci. Stefano Remelli Consiglio nazionale a Villa Meardi - Voghera Elezioni degli organi previsti dall’articolo 8 dello Statuto Varie ed eventuali. Il giorno seguente giovedì 24 CERIMONIA AL PENICE Ore 9: trasferimento da Villa Meardi in pulman al Sacrario Ore 10: ricevimento Autorità. Santa Messa celebrata dal Cappellano don Aldo Benevelli Omaggio ai monumenti dei Soci fondatori e dei caduti militari Intervento delle Autorità e del Sen. Paolo Rossi del Raggruppamento Patrioti “Alfredo Di Dio” Ore 12,30. Rientro a Villa Meardi per pranzo L’invito al Sacrario al Penice è esteso ai familiari ed amici (specialmente ai nuovi soci delle Associazioni Partigiane). Saranno ospiti molto graditi dei Veterani che li accoglieranno fraternamente. Il Presidente Guido De Carli DA CESENA Il lamento del vecchio partigiano Riceviamo dall’amico Pietro Vaenti, vegliardo combattente della Libertà in Albania dopo l’8 settembre, Presidente dell’Istituto Storico dei lager nazisti della Città di Siena. Sono amari interrogativi che condividiamo…specialmente nella annuale atmosfera del 25 aprile, anche se ormai trascorsa. “Amici, un altro anello si è aggiunto al mio fortunoso percorso, con tanti interrogativi su il mio essere uomo, su le mie debolezze e fragilità, su quanto ho creduto di perseguire. Sono quegli ideali, quelle finalità ancora sentite, condivise o rifiutate da portarne vergogna e da arrossirne? E, con tristezza mi viene di pensare al prossimo 25 aprile e NOI, con quale animo vi partecipiamo? Mortificati e perdenti? NOI, in quei giorni di fede e di ardimento, si era proiettati a nuovi orizzonti per l’Uomo; accoglierlo nelle diversità, capirne le aspirazioni, essere fratelli nel bisogno. E, se ancora coltiviamo gli stessi ideali, perché restare muti, senza reagire al soffocante baccanale, negazione di ogni etica, in cui tutto è lecito, esaltata ogni licenza come valore? E che dire per la venerazione del “Vitello d’Oro”, con i suoi riflessi immondi e devastanti? A quando un Mosè che fustighi e nuovi cavalier serventi? E’ triste! Ad una pressante cultura tesa alla negazione di ogni etica, che esalta ogni licenza, insorgiamo. NOI tutti, prossimi al Grande Incontro, non abdichiamo ad essere uomini col nostro passato e con la nostra identità; rifiutiamo, respingiamo questa asfissia che inaridisce l’animo e uccide l’uomo. Eleviamo, come in allora, la nostra bandiera; suoniamo la nostra diana; illuminiamo di luce nuova i nostri penosi ultimi giorni. Vi abbraccio” Pietro Vaenti DA VERONA Festa di popolo a San Massimo all’Adige Nei giorni che succedettero all’8 settembre 1943, nei pressi di S. Massimo all’Adige , i ferrovieri rallentavano i treni per far scappare i militari in fuga, che i tedeschi attendevano al varco a Porta Nuova per catturarli e deportarli. Ed è a S.Massimo che moltissimi di essi ricevettero qualche abito borghese, un pezzo di pane, un consiglio, una buona parola,… L’antico Comune di San Massimo all’Adige perse la propria autonomia nel lontano 1927 ed è – oggi – un Quartiere di Verona che, malgrado il suo sviluppo urbano e demografico, è riuscito a mantenere una certa sua tipicità e – in qualche modo – a coinvolgervi gli abitanti aggiuntisi nel tempo. Ed è tipico anche e sicuramente un buon senso di “comunità” , oggi così poco frequente nei grandi agglomerati delle città, ove ognuno è “solo tra la folla”. Così è diventata tradizione che San Massimo festeggi il proprio 25 aprile “in famiglia”, nella grande famiglia del Quartiere. Ed è il 25 Aprile dell’A.V.L. veronese. Così anche quest’anno la Il Presidente della FIVL Piemonte, Giulio Cravino Sezione dei Volontari della Libertà, con l’instancabile opera di Antonio Rettondini, in collaborazione con gli Alpini del Gruppo ANA di San Massimo “nel fermo convincimento che la memoria di coloro che – sui monti, nelle pianure, nelle città, nei campi di sterminio e di prigionia – hanno donato la vita per riconquistare all’Italia e all’Umanità intera il bene supremo della Libertà e della Dignità non debba né andare offuscata nel tempo né dimenticata”, come sta scritto nel bel manifesto-invito, hanno celebrato con folta, spontanea e sentita partecipazione della gente, la Festa della Libertà: S.Messa, breve corteo al Monumento ai Caduti e discorso di Ivan Zerbato, saluto dell’On. Flego che – in fascia tricolore rappresentava il Sindaco Tosi. A conclusione, un “brindisi dell’Amicizia” nella Baita degli Alpini. Ottime e brillanti le esecuzioni del Corpo Bandistico di S. Massimo che hanno accompagnato la giornata. Gigi GRONICH Non solo furti di vitelli, galline e tabacco! PAGINE DI STORIA DELLA RESISTENZA: “EPOPEA D’AMORE” COME L’HA VISSUTA UN GIOVANE PRETE CAPPELLANO DI FORMAZIONE GARIBALDINA Ben lontano da qualsiasi capriccio preferenziale di categorie culturali o…religiose, questa rubrica che Libertà del Popolo dedica a figure di Cappellani di Formazioni partigiane e Sacerdoti o Religiosi martiri vuole essere anzitutto obbedienza rigorosa e doverosa alla Storia della Resistenza affinché ogni pagina autobiografica o di testimonianza credibile possa far scoprire dalle generazioni post 1943-45 modelli di umanesimo nobilissimo e di eroica oblazione a servizio del Paese. Non pecca di enfasi la frase uscita dalle labbra di Papa Benedetto XVI allorché partecipando ad una celebrazione del sacrificio d’un Sacerdote trucidato dalla violenza nazista disse ai fedeli: “voi avete e venerate questi vostri santi!” Cominciamo col presentare in questo numero passaggi luminosi del diario di un giovane prete genovese schieratosi, già nella parrocchia di Genova-Bolzaneto, dalla parte della opposizione operaia alle continue vessazioni delle impietose polizie nazifasciste, braccato poi giorno e notte dalle medesime e salito, con la benedizione dell’Arcivescovo, sulle montagne liguri accanto alle Formazione garibaldine. Queste poche pagine rivelano la purezza cristiana d’un pastore che diventa un polo di simpatia, di stima, di genuina amicizia per uomini adusi a vita povera, isolata, aspra, rischiata 24 ore su 24, di diverse culture e fedi. Quelli che ancora oggi caricano scritti e discorsi sulla Resistenza di delitti, rapine e viltà abbiamo l’onestà di bere qualche sorso di storia limpida del prete partigiano don Berto, al secolo Mons. Bartolomeo Ferrari. Dentro rocce indurite dall’odio e dalla ferocia scopriranno un filo nascosto d’una sorgente che i poeti della Bibbia chiamerebbero AMORE. Un Amore che portò a dare la Vita (a.b.) “La sera venne a cercarmi Jack assieme a Jim. Essi mi confidarono che in quella notte avrebbero avuto un abboccamento con due capi partigiani. Li pregai di condurmi a conoscerli. Facemmo le presentazioni. Uno di essi, non più giovane, piccolo di statura, era Carlo, il Comandante della formazione. L’altro, giovane e alto, era Oscar, Comandante di un distaccamento. Parlammo a lungo. Essi mi parlarono della loro vita partigiana. Delle loro attività e delle azioni compiute. C’era nelle loro parole un grande entusiasmo, una grande fede. Ne fui contento. I partigiani erano come li avevo sognati. Come li vedeva la parte sana del popolo, che da essi, dai loro sacrifici, dai loro rischi attendeva la liberazione e un domani migliore. Prima di lasciarci manifestai ad essi il mio desiderio di far parte della loro formazione quale Cappellano. Carlo mi abbracciò. Era commosso.”Anche se son comunista” mi disse, “ho piacere che tu venga in mezzo a noi. Io rispetto la libertà di tutti. Abbiamo con noi tanti ragazzi che son religiosi. Avrai modo di svolgere liberamente il tuo Ministero. E poi la presenza di un prete in mezzo a noi sarà di vantaggio a tutta la formazione” ……. Va con la mia benedizione “Col cuore che mi batteva mi feci annunciare da S.E.il Cardinale. Gli narrai delle continue ricerche che faceva di me la Questura. Delle frequenti visite degli agenti a casa mia, della scoperta del mio nascondiglio. Mi era quindi impossibile tornare al mio lavoro quotidiano. La vita di nascondimento condotta fino a quel giorno mi snervava. “Che vuoi fare dunque, mio caro figliolo?” “Eminenza, vorrei dirle una cosa”, dissi titubante. “Dimmi. Che vuoi?” “Vorrei dire a V.Em. una cosa per la quale non desidero un “sì”, ma vorrei che V.Em. non mi dicesse no”. “Sentiamo. Hai un’aria così piena di mistero questa mattina!” “Eminenza, mi sono incontrato con due capi partigiani. Ho chiesto ad essi se mi volevano come Cappellano della formazione. Hanno accettato con entusiasmo. Mi sentirei così a mio agio in mezzo a quei ragazzi! Sono pronto però all’ubbidienza, se V.Em. non mi permette, rinuncio, sia pure a malincuore, ad un desiderio che mi tormenta da tanto tempo”. “Caro figliolo, di sì non te lo dico. Non perché io abbia paura. Tutt’altro. Non vorrei però che il mio consenso, conosciuto dalla Questura o dai tedeschi, portasse una rappresaglia sul Clero genovese. Son già tanto presi di mira i preti che fanno il loro dovere. Di no non te lo dico manco.Non te lo posso dire. Il bene che si fa anche a costo di sacrifici, di gravi sacrifici. Quei ragazzi hanno diritto anch’essi ad avere un’assistenza religiosa,. Anzi più degli altri, perché vivono in continuo pericolo. Qualcuno deve pure andare in mezzo a loro a parlare di Dio, a frenarli negli eccessi,se ce ne fosse bisogno, ad occuparsi della loro anima. Mi sento però in dovere di avvertirti che la cosa è quanto mai pericolosa. Potresti anche non tornare. Sai che quella gente non scherza. Se ti prendono complimenti non te ne fanno. Non ci sarebbe che per te la fucilazione. Le parole del Cardinale mi scesero nell’anima. Non mi poteva essere di più padre. “Eminenza, cercherò di non lasciarmi prendere. Non dovessi più tornare, la mia vita sarà stata spesa bene”. Il Cardinale Arcivescovo mi fissò negli occhi: “Allora, figliolo, va con la mia benedizione. Il Signore ti accompagni. Cerca di fare tanto bene in mezzo a quei ragazzi, chè pur essi hanno un’anima da salvare” Mi inginocchiai. Il Cardinale mi benedisse. Gli baciai l’anello e mi congedai”. ……. Il mio primo processo Seduto sull’erba era un uomo in camicia nera. Due uomini armati lo guardavano a distanza. Chiesi a Boro chi fosse. Era un milite della G.N.R. arrestato nei pressi della stazione di Ovada da Pino. C’era stato segnalato dal CLN di fondo valle. Mi avvicinai al giovane e mi sedetti vicino a lui. “Come ti chiami?” gli chiesi. “Cossu Ferdinando”. “Di dove sei?”. “Di T.”. “Quanti anni hai ?”. “Ventidue”. “Come mai ti trovi qui in mezzo a noi?”. “Fui arrestato stamattina da uno di voi”. Il giovane rispondeva calmo. Ne fui meravigliato. Era evidente, però, un po’ di smarrimento. “Dimmi, che ne pensi dei partigiani?” “La propaganda ha sempre detto ai quattro venti che i ribelli sono dei ladri, degli assassini, della gente che non ha voglia di lavorare. A me, veramente, come prima impressione, mi sembrate dei buoni ragazzi. Vedo che vi volete bene. Siete disciplinati e corretti. Anzi siete di una gentilezza inaspettata”. Il martedì pomeriggio il prigioniero fu condotto al Comando per il processo. Simba (che nella vita civile era un avvocato) fungeva da giudice istruttore. Moritz da cancelliere. Il prigioniero da prima era reticente. Ammise poi la verità delle accuse imputategli. Anzi, diede lui stesso particolari non conosciuti. I capi d’accusa erano i seguenti: a) uccisione del partigiano Black. b) d’aver fatto da guida ad un camion di bersaglieri che andavano in rastrellamento, la Pasqua precedente. Non era arrivato in zona per non so quale impedimento. A far da guida si era offerto lui, volontariamente. …… La corte aveva deliberato. Tornava per pronunciare la sentenza. L’imputato era in piedi. Mi misi al suo fianco. Non volevo fosse solo. Si voltò a guardarmi. Sentiva la mia presenza. Il Presidente cominciò a leggere: “Sentite le accuse contro l’imputato Cossu Ferdinando, sentiti gli argomenti di difesa dell’avvocato difensore, in nome del Governo Bonomi e del C.L.N. Cossu Ferdinando è condannato a morte mediante fucilazione al petto”. Il giovane rimase calmo ed imperterrito come durante tutto lo svolgimento del processo. Si volse verso di me con voce ferma e sicura e mi disse: “Prima voglio confessarmi e comunicarmi” ……. Dietro mio consiglio scrisse una lettera alla mamma. La riporto integralmente. Merita d’essere conosciuta. “Mamma carissima, mi rimangono ancora poche ore di vita e queste le dedico pensando a te ed alla salvezza della mia anima. Ho qui con me un Cappellano che mi parla di te e di Dio. Muoio serenamente perché ho la coscienza a posto. I partigiani che mi catturarono e mi processarono non sono dei banditi come ci dicevano, ma bensì bravi ragazzi che amano la loro terra e il loro prossimo. Soffro solo pensando a te che tanto mi hai voluto bene, e adesso dovrai rimanere sola. Abbi sempre fiducia in Dio e vedrai che presto la nostra Patria sarà libera e indipendente. Non piangere la mia morte, io muoio in grazia di Dio. Non pensare alle mie ultime sofferenze. Vedi? Io non tremo, pensando alla morte, muoio con la calma mia abituale. Come ultimo desiderio ti dico di opporti a provvedimenti che i fascisti vorranno prendere per vendicarmi. Dirai loro che io non voglio la loro vendetta. Se veramente volessero vendicarmi dovrebbero accoppare il fascista che mi ha tradito e che perdono. Al grido di Viva l’Italia libera ed indipendente io saluto te e i parenti tutti. Con tanto affetto ti abbraccio e ti bacio per l’ultima volta. Tuo Nando” Volle anche fare testamento. Ai partigiani lasciò le cose di cui era in possesso al momento dell’arresto. Alla cassa della formazione i soldi che aveva nel portafogli. Non volevo accettarli. “Tua madre” gli dissi “potrebbe averne bisogno”. “Cappellano, non si opponga a questa mia ultima volontà. Mia madre lavora e guadagna quanto le basta per vivere. Voialtri ne avete più bisogno di lei” Lo presi sottobraccio ed uscimmo all’aperto. Ci avviammo al luogo designato per l’esecuzione. Era la prima volta che assistevo un condannato a morte. Ero agitatissimo, forse anche tremavo. Il giovane se ne avvide. Si voltò verso di me e mi disse: “Cappellano, si faccia coraggio” Cercai di farmi forza e di nascondergli il mio stato d’animo. Ci fermammo. Eravamo giunti sul posto designato. Gli dissi le ultime parole. Ciò che può dire un prete ad un uomo che sta per morire. “Cappellano” mi disse ad un certo momento “le chiedo scusa perché lei ci rimarrà male al vedere il mio corpo crivellato di colpi”. “Figliolo, fra poche ore sotto questi alberi celebrerò la Messa a suffragio della tua anima. Tu, nella vita dell’al di là, pregherai per me, per il mio pericoloso Ministero. Pregherai per tutti i partigiani” Commosso mi fece promessa. I compagni mi fecero cenno di ritirarmi. Sul suo cadavere recitai le preghiere dei morti. Era l’una e dieci del 13 settembre 1944. La morte di questo giovane fu l’argomento delle nostra conversazione protratta fino al mattino. Il suo ricordo sarà rievocato spesso sulla montagna. (La sua condanna fu la sua punizione del suo agire. La sua morte fu dettata dalla dura legge della montagna. C’eran le leggi Bonomi che additavano le norme da seguire. L’operato dei partigiani era regolato da queste leggi) ………………. La messa domenicale La domenica era il giorno degli incontri tra gli uomini dei diversi distaccamenti. La distanza e gli impegni li tenevano lontani per tutta la settimana. Il piccolo piazzale rigurgitava di uomini armati. Eran vestiti in mille modi. Colori diversi, fogge diversissime. Divise da carabiniere, da soldati tedeschi, americani, della X MASS, del Battaglione San Marco. Vestiti borghesi, da contadini, da montagna, qualcuno con abiti da città. Una fantasmagoria da veri ribelli. Anche l’armamento era diversissimo. Pistole di ogni calibro, bombe a mano italiane, tedesche, inglesi, francesi, Moschetti, Mauser a ripetizione, mitra, sten ecc… Al mio richiamo i ragazzi si inquadravano ciascuno secondo il proprio distaccamento. In ordine entravano nella piccola chiesetta. Strano contrasto delle cose. Tutto quell’armamento nella casa del Re della Pace. Al Vangelo mi voltavo verso di essi e dicevo loro qualche cosa. La mia voce diventava la eco della, voce stessa di Cristo nella sua dottrina. I miei ragazzi mi ascoltavano con attenzione. Lo sentivano così buono Gesù nella narrazione della sua vita. Così grande nella potenza dei suoi miracoli. Tanto reale nel Vangelo. Narravo ad essi della misericordia di Cristo. Del Suo amore per la giustizia. ……. Ad un certo punto i partigiani si radunano in un prato. Salgo su un rialzo del terreno. Tutti fanno silenzio. Comincio a parlare. Parlo dei principi basilari della vita dell’uomo. Dei principi morali che sono alla base dell’intelligenza, del cuore, della volontà. Dei principi morali che devono governare la vita di ogni uomo. In ogni attività. Altre volte dicevo ancora: Ragazzi miei, non fate alcuna cosa contro giustizia. Oggi comandiamo noi, perché abbiamo le armi in pugno. Ricordate però che domani saremo certamente chiamati a render ragione al nostro operato di oggi. Dio non voglia che non abbiamo a diventare gli squadristi del domani. In ogni nostra azione lasciamoci guidare dall’onestà e dalla giustizia” I ragazzi mi ascoltavano con evidente interesse. E posso dire con tutta coscienza che le mie parole fecero presa sul loro cuore. Tanti eccessi furono evitati. (dal diario di don Berto pubblicato con ben 4 edizioni successive dalla prima del 1946) L’AVVENTURA DELLA SQUADRA MICHELETTI SCELTI 4 DELLA VAL CORSAGLIA PER LA MISSIONE “INSIDE” Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle di Franosa Sottana. Verso il 24/25 settembre 1944, Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi. Quando fu di ritorno nel Distaccamento, mi descrisse, un po’ eccitato, l’accaduto. Secondo la logica versione dei Comandanti, l’avvicinarsi della stagione invernale e la quasi certezza che le operazioni belliche non si sarebbero concluse entro l’anno, imponeva, per la sopravvivenza dei combattenti della Libertà, l’adozione di rapide, positive soluzioni, non ipotizzabili senza un poderoso aiuto dall’esterno. Da questa indifferibile esigenza, nasce l’iniziativa di rivolgersi al neonato governo del Sud, di concerto con il Comitato Regionale di Liberazione Piemontese , e l’appoggio del grande amico, Maggiore Temple, per segnalare le principali carenze che mettevano in grave pericolo non solamente i soggetti combattenti ma, altresì, tutti i civili della zona. Per fronteggiare tale seria contingenza, si rendeva pertanto necessario contattare tempestivamente e senza indugi, il nuovo governo centrale, presieduto da Ivanoe Bonomi, da poco insediato a Brindisi. Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri , Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare. Ed eravamo pure all’oscuro del recente potenziamento delle guarnigioni “repubblichine” disseminate sull’intera riviera di ponente, rientrate dalla Germania dopo un teutonico rigoroso addestramento. I precitati partigiani, ignari dei grandiosi eventi che li circondavano, accettarono tranquillamente, dopo un rapido scambio di idee, di formare un compatto gruppetto destinato ad assolvere tale incombenza, senza avvertire il pericolo che li sovrastava. Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio). Se non sbaglio, potrebbe chiamarsi Secondo Balestri, emiliano di origine. Elenco, non tutti, i nomi che ancora ricordo: Capitano Lees, rigido Ufficiale effettivo inglese che coordinava il comportamenti dei suoi sottoposti, Capitano di complemento sud africano Long, disegnatore, esperto nel campo della fotografia, Caporale scozzese Mac Clelland, soggetto estroverso e coraggioso , Larousse Sergente americano di etnia francese, Jan Smiths di asserita dubbiosa origine rodesiana, Pat, forse inglese, ed altri tre o quattro militari, dei quali ricordo la fisionomia, ma non il cognome e la provenienza. Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo. Come è noto, detto Comune, alla fine della guerra venne annesso alla Francia, e la frazione Piaggia, rimasta italiana, divenne Comune ed assunse la denominazione di Briga Alta. Sempre percorrendo i secolari tratturi montani, allungando il percorso, aggirando tutti i centri abitati, ed addirittura anche le costruzioni isolare, al fine di evitare spiacevoli incontri che avrebbero potuto compromettere la nostra iniziativa, dopo un secondo faticoso giorno di marcia, arrivammo, sfiniti, a Pigna, ubertoso Comune medioevale dell’alta Valle Nervia. La nostra stanchezza derivava non solo dalla faticosa marcia su un terreno pietroso ed accidentato, ma, soprattutto, per l’ininterrotto aiuto prestato ai baldi “guerrieri” che accompagnavamo. Evidentemente l’eccessivo benessere rende l’uomo rammollito.. All’arrivo nella piazza del Paese, rilevammo sorprendentemente una atmosfera festaiola e tanto allegra. Appurammo che quegli eccitati cittadini stavano festeggiando alla grande la Festa patronale di San Michele. A Pigna ci accorgemmo che la frontiera, sia quella ma- Nino Micheletti, medaglia d’oro rina, che l’adiacente territorio montano, pullulava di militari repubblichini e di tedeschi. Noi ignoravamo al momento della partenza da Rastello, l’avvenuto potenziamento di quel tratto di confine, conseguente al recente sbarco delle truppe alleate nella vicina Provenza e la liberazione di Nizza. La situazione, già di per sé difficile all’origine, si stava aggravando di ora in ora, mettendo a rischio il nostro arduo progetto. Intanto avvertimmo che la nostra presenza in loco era stata già segnalata ai nazi-fascisti ed ai tedeschi acquartierati nei Comuni di fondo Valle, non ricordo più se a Dolceacqua o Isolabona. Ci consultammo tutta la notte Micheletti ed io. All’alba, usciti nella strada, incontrammo poche persone tutte esitanti nel rispondere alle nostre caute domande. Stavamo per rientrare alla locanda, al limite della disperazione, quando, alzando lo sguardo, ebbi la sensazione che quel giovanotto appena uscito da una portina laterale, dovevo già averlo incontrato. Mi avvicinai lentamente.. Lui mi riconobbe per primo e mi abbracciò dicendomi :”ma tu sei quel partigiano che io incontrai a Fontane nel mese di luglio e che con altri partigiani della Valle Corsaglia ci aiutò a sopravvivere?” Insomma, un imprevisto colpo di fortuna.. A questo punto, intervenne Micheletti e poté esporre apertamente la nostra situazione ed i gravi problemi che dovevamo ancora risolvere. Ci mise in contatto con due Comandanti garibaldini che non finivano di ringraziarci per la generosa accoglienza e l’aiuto prestato alle formazioni garibaldine, in rotta a seguito dei consueti impietosi rastrellamenti. Ci assicurarono che nel giro di una mezza giornata ci avrebbero fatto conoscere le fidate persone idonee a risolvere i problemi che ci angustiavano. Siamo rimasti increduli sino all’arrivo dei protagonisti.. Convenimmo di dividere in piccolo gruppetti gli uomini da espatriare. Così si sarebbe reso meno visibile e pericoloso il movimento di uomini nella vicinanza della frontiera. Un gruppetto si sarebbe avventurato sui sentieri montani ben conosciuti dai partigiani locali. L’altro, invece, via mare, su di un barcone condotto da due muscolosi rematori figli di partigiani. Alcuni “alleati” ai quali avevamo riferito la situazione in atto, si dimostrarono un po’ esitanti, forse paurosi e scelsero di ritornare con noi tre partigiani del monregalese, confidando nella imminente fine della Guerra. Non furono profeti…. Due di essi caddero nel corso del tristissimo rastrellamento di fine 1944. Tenendo presente l’urgenza degli adempimenti affidati ai due emissari, decidemmo, sempre d’intesa con i nostri inaspettati generosi amici, di includere nel primo gruppo il prof. Bessone. L’Avv. Astengo, il Capitano inglese Lees ed il radiotelegrafista Biagio. Costoro, il 2 ottobre si avviarono verso i sentieri montani, accompagnati da due esperti locali e, come si seppe poi, raggiunsero dopo molte fortunose peripezie il luogo stabilito. La spedizione del secondo “quartetto” (cap. Long, giornalista Morton, militare scozzese Mac Clelland, sergente Larouche) si rivelò molto più complicata e rischiosa, nonostante i costanti, generosi aiuti dei garibaldini locali. Infatti, i tedeschi da diversi giorni insediati nel fondo Valle, probabilmente avvertiti da qualche spia, iniziarono un intenso, fitto bombardamento sulla zona di Pigna, seguiti da un ampio rastrellamento che compromise il “piano” concordato , già pronto per essere attuato, via mare. Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Vale Corsaglia. Gli assalitori, come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti. Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete, il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati. Dopo dannosi imprevisti salirono su uno sgangherato barcone e riuscirono a raggiungere Montecarlo. Non ricordo più il giorno della loro partenza (forse il 6-7-8- ottobre) ed ignoro i gravi rischi sofferti ed i contrattempi superati in quella delicata circostanza. Su di un volume redatto qualche decennio dopo dal giornalista Morton, ho trovato alcune verità e molta fantasia, descritta secondo schemi romanzeschi. Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali (Curo e Vittò) ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione monregalese. Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle loro Formazioni in un momento tragico e disperato. Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese. Luigi Mondino 3 MEDAGLIONI DA RISPOLVERARE Per crescere nell’amore della libertà e della pace Un ricordo inedito di Ignazio Vian Erano notti di terrore “Ricordo quella triste notte, che gli sgherri fascisti, agli ordini degli assassini di Oltralpe, lo portarono in infermeria. Erano tempi di terrore. I tedeschi tutte le notti ne portavano di moribondi, e ne prelevavano sia per i servizi, che per le spedizioni in Germania. La notte prima avevano prelevato due israeliti, uno di 75 anni ed un altro sciancato che mal reggevasi su due grucce. Ho ancora nel cervello i loro pianti, le loro invocazioni di pietà….. Com’è possibile cancellare tali voci? Quando verso le undici, sentimmo il passo cadenzato degli Unni, una morsa al cuore ci avvinse. Fra i compagni di dolore, venne naturale la domanda: “A chi toccherà?”. Ma sentimmo deporre la portantina e la voce roca e gutturale del Maresciallo, che ordinava ai secondini di vietare in modo assoluto il contatto del ferito con chiunque, all’infuori del medico. Cinque minuti dopo il rag. Ettore Minucci, che allora era il “deux ex machina” dei tedeschi, ma allo scopo di aiutar noi (ed infatti per suo merito molti furono salvi, compreso lo scrivente) entrò nella mia cella che era accanto a quella assegnata al nuovo arrivato. “Svelto Papalone, dammi due uova, per preparare uno zabaglione per il nuovo arrivato. E’ dissanguato. Si è svenato. E’ un Patriota, vediamo se possiamo salvarlo”. Balzammo tutti dai lettini, e contrariamente agli ordini severissimi loro erano partiti e noi in loro assenza eravamo un po’ liberi accorremmo al suo capezzale. E’ indimenticabile la sua figura: la lunga barba, che da sola spiccava sul suo ieratico volto, bianco, affilato, gli occhi vitrei, la bocca mobile, pareva un santo all’attimo del gran passaggio. Minucci di corsa era andato a preparare uno zabaglione, ed ora si curvò sul morente, per fargli ingoiare qualche goccia di liquido, per vedere di rianimarlo. Accorsero subito i dottori Barnabò e don Canale anch’essi detenuti. Telefonò d’urgenza il capoguardia (bravissimo) al dottor Rossi che subito arrivò, e decretarono di fargli una trasfusione di sangue. Un detenuto, credo il buon Ostetto, offrì il plasma. Verso le due, il poverino riprese conoscenza. Nessuno di noi voleva uscire da quella cella, malgrado gli ordini del Capo Guardia, che temeva l’arrivo dei tedeschi, con tutte le conseguenze, per noi e per lui. Furono i dottori ad imporci l’allontanamento, per lasciare tranquillo il degente. Tutta la notte nell’infermeria nessuno dormì, eravamo in ansia per la sorte del prigioniero. Al mattino sapemmo che era il Capitano Vian. Nel giro per la distribuzione del pane, la guardia di servizio ci disse che nella cella del braccio ove s’era svenato, aveva scritto, con un moncone di fiammifero, la storica frase: “Piuttosto che tradire meglio morire”. Ci mettemmo d’accordo tutti i detenuti politici di fare una istanza al Direttore delle carceri perché detta frase fosse difesa, per poter tramandarla al dopo, in testimonianza della dirittura morale del Martire. Ma purtroppo il Direttore ci comunicò essere stato impossibile, in quanto l’Alfredo, il torturatore degli Italiani, lui belga ed ebreo, l’aveva fatta subito cancellare, facendo raschiare il muro e passare una mano di calce. Al mattino vennero i tedeschi per un nuovo interrogatorio. Volevano sapere il motivo del tentato suicidio. Gli promisero la libertà immediata. Lui muto. Non parlò. Svenne. Il dottore pregò i torturatori di sospendere l’interrogatorio date le precarie condizioni fisiche del detenuto. Ritornarono alcuni giorni dopo, e tutti i giorni per ore ed ore ebbe quella persecuzione. Volevano avere i nomi, luoghi ed altre informazioni; lui si chiuse in un mutismo esasperante, anche dietro la seduzione di immediata sua libertà, che certamente non gli avrebbero concessa. Dopo inutili tentativi sospesero, e finirono di lasciarlo un po’ tranquillo, lui e noi, perché anche noi condividevamo le sue sofferenze, chè tutti noi politici, per manifestargli la nostra solidarietà, allontanati gli inquisitori, eravamo al suo capezzale. Ricordo che l’amico Don Canale, un giorno ci presentò quali eravamo. Rivolto a me gli disse: “Vedi questo vecchiotto, oltre lui ha nel reparto donne anche l’unica sua figlia, 4 Ci ha lasciato lo scultore partigiano RICCARDO DUNCHI Caro Nardo, ho letto della tua scomparsa nel “Tirreno” dell’8 maggio u.s. che riportava la notizia in prima pagina e puoi immaginare quale sia stato il mio stato d’animo. Ormai sono rimasto solo! Nella cronaca, il tentativo di ricostruire il tuo eroico periodo da partigiano è andato…a farsi benedire, con il trionfo “more solito” della superficialità e della non conoscenza dei fatti, sorvolando o quasi il periodo più prestigioso della tua attività di partigiano: quello trascorso a Cuneo. Non hai bisogno di essere qualificato per le amicizie di Parri, Calamandrei o Bocca, con i quali non mi risulta Tu abbia mai portato a termine atti di guerriglia!!! E né tanto meno con l’attribuirti la “creazione della prima banda di Boves” ignorando volutamente, perché cattolico, Ignazio Vian – medaglia d’oro, l’autentico leggendario protagonista delle tragiche giornate di Boves, successivamente catturato dai tedeschi, torturato ed impiccato (22 luglio ’44) in Corso Vinzaglio a Torino, la cui figura è sempre stata portata da te ad esempio. Carissimo compagno d’armi, non hai bisogno di essere “incensato” da leggende. Vai ricordato per aver immediatamente aderito all’appello di Galimberti del 25 luglio ’43, e per il tuo essere refrattario ad ogni disciplina, da colpevole solo di essere figlia di un socialista”. Vian a quelle dichiarazioni di Don Canale, rivolto a me: “Allora tu sei socialista? Anch’io sono delle tue idee, solo che, voi socialisti essendo materialisti, non posso accordare la mia fede religiosa ai vostri principi filosofici, ma il cristianesimo è per essenza il vero socialismo”. Da questo spunto provocato dal caro Don Canale, nacquero lunghe discussioni quotidiane, che maggiormente ci avvicinarono, per quello spirito di comprensione cordiale, che animò i due gruppi contendenti, ove ognuno sosteneva il suo punto di vista politico e filosofico. Ho ancora presente quando Vian, ad una mia affermazione recisa di materialismo, sorridendo mi disse: “Ammiro la tua fede, pur non condividendola, e ammiro in special modo che in questo momento così pericoloso, tu abbia il coraggio di sostenerla, di fronte a tanta viltà di uomini, che per un piccolo beneficio rinnegherebbero anche la loro famiglia, non solo la coscienza, che purtroppo non hanno”. Lo disse con tale slancio e convinzione, che noi tutti ci sentimmo commossi, ed abbracciandolo lo ringraziai per la sua comprensione. Purtroppo fu l’ultimo abbraccio. I giorni successivi, furono per l’infermeria tragici. Avevano rastrellato Dronero e le sue vallate, e giunsero alle Nuove parecchi camion carichi di donne, uomini e bambini, compresi molti ammalati, i quali vennero portati in infermeria. L’andirivieni dei tedeschi nel reparto, per gli interrogatori, ci impedì di uscire dalle celle e trovarci. Una mattina, vennero a prelevare il povero Vian, ancora sofferente ed ammalato, e apprendemmo che l’avevano trasferito nel Braccio Tedesco. Minucci un giorno ci annunciò che avevano telegrafato alla Mamma di Vian, di venire a Buon anarchico carrarino, che ti tenne fuori da ogni Formazione organizzata, specie se politicizzata, preferendo l’azione solitaria o con il fedele Ezio Aceto. E così realizzasti la distruzione del ponte di Vernante interrompendo il traffico ferroviario dell’esercito tedesco con la Francia, e partecipasti al colpo all’aeroporto di Mondovì, ove dopo il progettato prelevamento dei fusti di benzina, grazie al tuo coraggioso e tempestivo intervento, vennero catturati i 5 soldati della Wermacht che si trovavano a transitare nel luogo e nel momento sbagliati (27 dicembre 1943). Vanno ricordati, altresì, le azioni di sabotaggio ideate mentre eri ospite del Capitano Cosa in Val Pesio (Albergo Dama Bianca in S. Bartolomeo) e realizzate insieme: la distruzione del silurificio di Beinette e dei tralicci dell’alta tensione in Busca che fornivano l’energia in tutta la Liguria, ma soprattutto la rocambolesca missione, affiancato da Aldo Viglione e da Ezio Aceto, a Limone Piemonte, presidiata dai tedeschi, per catturare l’Ufficiale della G.N.R. reo di spionaggio nella Banda Cosa. Ma ciò che ti fa più onore e costituisce – a mio parere – la pagina più bella del tuo passato è l’aver dato vita, con Ezio Aceto e Franco Ravinale, nel mentre si concretizzava la Resistenza in montagna, a quella leggendaria figura di “colpisti” che scorazzavano in auto per la pianura compiendo atti di sabotaggio e colpi di mano che impressionarono il nemico. Ribelli tra i ribelli, coraggiosi, si erano creati, alla maniera dei “cavalieri della tavola rotonda” una meritata aureola di fama e di simpatia tra la popolazione e gli stessi partigiani. Operando di giorno e di notte, creavano un clima di tensione nelle file nemiche, suscitando nel contempo nei giovani un vivo desiderio di partecipazione alla lotta armata (cfr “Un romano tra i ribelli” – Primalpe Cuneo) A presto Nardo, con gli amici che ci hanno preceduto, per rivivere quei giorni vissuti da veri uomini, uniti da una incomparabile amicizia. Aldo Sacchetti Commovente saluto dettato da Dunchi e spedito pochi giorni prima di morire al nostro direttore GUAI A NOI DIMENTICARE LA FRASE DI LIBERO PORCARI! Il Generale Libero Porcari è stato per tutti i partigiani un raro esempio di vivere civile. Un vero Maestro per tutti di rettitudine e probità. Sempre presente e capace, animatore di ogni manifestazione che avesse come oggetto il ricordo, la commemorazione o la testimonianza del modo di essere Italiani, responsabili e onesti cittadini. Libero Porcari era nato il 12 novembre 1922 a Parma; trasferitosi con la famiglia da giovane nella città di Alba , qui compì i suoi studi che terminò a Torino; intraprese nei primi anni ’40 la Carriera militare frequentando il corso di allievo ufficiale. Dopo l’8 settembre ’43, già tenente, scelse liberamente le formazioni di Giustizia e Libertà delle quali fu anche comandante di brigata, operando nelle Langhe tra i comuni di Roddino, Serralunga, Barolo e partecipò alla liberazione di Asti. Riprese il servizio militare nella rinnovata Italia e divenne generale di divisione. Diede alle stampe la sua storia di partigiano combattente e fu Presidente della Sezione Combattenti e reduci della città di Alba e rappresentante dell’Amministrazione comunale presso l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo e provincia. Compagno coetaneo e grande estimatore dello scrittore albese Beppe Fenoglio, amava spesso esaminare, discutere con tutti i partigiani, Paolo Farinetti, Domenico Gai e tanti altri le varie tematiche e le interpretazioni fenogliane dei nostri tempi di lotta sulle colline. Molti, specie i vecchi sulle Langhe, chiamano semplicemente “allora” i tempi dei partigiani, durante la guerra di Liberazione. Il merito della Resistenza Italiana è stato quello di riportare l’Italia in seno alle nazioni civili. Un impulso di civiltà e di giustizia per far crescere i valori della Libertà e della Democrazia nel nostro paese; i valori della crescita sociale e della solidarietà tra i popoli per un modello di vita migliore. Principi solidi e garanti, assai validi, dei quali c’è assoluto bisogno, oggi, più che mai. Il generale Porcari era particolarmente orgoglioso del nome Libero che suo papà gli aveva volutamente assegnato; e voleva che fosse e diventasse il grande principio ispiratore per tutti; ricordo che insieme ultimamente abbiamo voluto commentare ampiamente la copertina illustrata di “Patria indipendente” numero 11 con quella straordinaria frase del prof. Claudio Magris: “C’è nel clima poltico-culturale sempre più dominante, un’aggressiva negazione dei valori della democrazia e della Resistenza che forse ci costringe a ridiventare ciò che speravamo e credevamo di non venire più costretti ad essere, ossia intransigenti antifascisti. La frase “Nessuno mai più ci potrà togliere la libertà conquistata con il sangue dei partigiani” era il suo credo ed il suo comandamento. Ugo Cerrato ANCHE NOI ABBIAMO I NOSTRI SANTI: TERESIO OLIVELLI Durante la sua audace lotta ed il doloroso calvario finale ad Auschwitz scrisse la Preghiera del Ribelle Torino, che il giorno successivo l’avrebbero liberato. Fu una gioia per noi tutti…. ma purtroppo troppo breve. Nella notte vennero invece a prenderlo, per poi impiccarlo al mattino in corso Vinzaglio. Sapemmo, da fonte non accertata, che la Mamma fece in tempo ad arrivare, per vedere il suo caro Ignazio penzolare dal cappio…. Non posso descrivere il dolore che noi tutti provammo a tal tragica notizia… Ma per noi, ed in modo particolare, per me, non è possibile dimenticare il suo volto cereo, affilato, coperto da un’ispida barba, con gli occhi così dolci, che non un comandante militare sembrava, ma la figura di un apostolo.” La dettagliata relazione, pur tardiva, è giunta a “Rinascita Italia” (foglio del gruppo Divisioni R del cap. Piero Cosa) dal carcerato Giovanni Givone, rinchiuso da tempo nel braccio della Gestapo alle Nuove di Torino, persona stimata e credibile per la sua preziosa testimonianza sui commoventi particolari degli ultimi giorni del martire Ignazio Vian. “Signore, facci liberi, Signore che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito, contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo numeroso e crudele che, in noi e prima di noi, ha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione. Dio, che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi; alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della tua armatura. Noi ti preghiamo Signore, Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indulgenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più si addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità. Tu che dicesti: “Io sono la resurrezione e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo, sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi “ribelli per amore”.” Sottotenente Teresio Olivelli Perchè l’umanità sappia... DOCUMENTAZIONE, STUDIO E RICERCHE 1° PUNTATA: UOMINI COMUNI NELL’OPERAZIONE “JOZEFOW” “Da quieti soldatini della riserva ad assassini addestrati a fucilare ognuno fino a 100 ebrei al giorno! Un libretto di 150 pagine dal titolo “Uomini comuni”del Prof. C.R.Browning, Docente di Storia Americana. Un titolo di un’opera che a prima vista ti induce a comprarla per portarla al mare… Si tratta invece d’una pubblicazione di un estratto o della poderosa ricerca condotta meticolosamente sul materiale raccolto in dieci anni dall’Ufficio della Procura Statale di Amburgo (Staatsanwaltschaft) “Uno degli enti tedeschi più efficienti e zelanti nelle investigazioni sui crimini nazisti” Una singolare situazione per il Prof. Browning fu la possibilità di leggere e studiare le trascrizioni integrali degli interrogatori di 210 militari su un reparto che ne ammontava un totale di 500 circa. Si trattava dal Battaglione 101 composto da anziani riservisti della Polizia di ordine tedesca. (Ordnungspolizei) In un primo tempo (autunno 1941) questi personaggi provenienti da un ordinario servizio di ordine, dopo opportuno periodo di…formazione, furono impiegati come guardie di scorta dei treni che deportavano gli ebrei residenti nel terzo Reich. Per ogni convoglio di deportazione veniva fornito un ufficiale con 15 uomini dell’Ordnungspolizei. Tra i vari documenti conservati si possono leggere 2 dettagliati rapporti su un convoglio con il comando del tenente riservista Foschumann e 13 riservisti della Prima Compagnia da Vienna al campo di lavoro di Sobibor (14.6.1942) “Vienna, partenza ore 19 del 14.6.1942. Carico 1000 ebrei; Sobibor arrivo ore 8,15 del 17.6.1942. Consegna di 949 ebrei (51 depositati a Lublino) – al campo dotato di camere a gas nascoste nella foresta (ab) Nel rapporto il ten. Fischmann lamenta: “I prigionieri non hanno ricevuto né acqua né cibo in 61 ore di viaggIo” Il rapporto del secondo convoglio (Colonya.Belzec) redatto dal ten. Westerman riferisce sui rastrellamenti e massacri di ebrei avvenuti a Colonya e nei paesi vicini: Kolonya caricamento e partenza 10 settembre 1942 – Totale ebrei 8205 su 30 vagoni.Nel rapporto per il caldo, il soffocamento, la man- canza di acqua e cibo morirono il 25%; un numero imprecisato di altri deportati fu ucciso nei ripetuti, disperati, tentativi di fuga. Riportiamo letteralmente il capitolo della Operazione “Jozefow”affidata agli uomini del Battaglione riservisti 101, comandato dal Maggiore Trap. C’è da rabbrividire nel leggere le pagine nelle quali il Prof. Browning fa emergere la tragedia personale della coscienza del comandante Trapp, già bonario ufficiale di polizia, precipitato nell’inferno di “Jozefow” a presiedere il progetto diabolico. È DOCUMENTATO DAL PROF C.R. BROWNING UN PRIMO ESPERIMENTO DI “AZIONE SPECIALE” PER LO STERMINIO DEGLI EBREI IN RUSSIA E POLONIA. IL DETTAGLIATO RAPPORTO RIGUARDA UN’OPERAZIONE ESEGUITA DAL BATTAGLIONE 101 “ORDNUNGS POLIZEI” (POLIZIA DELL’ORDINE) DURANTE L’ESTATE DEL 1942 NEL VILLAGGIO POLACCO DI JOZEFOW. pagnia di essere lasciato di guardia alla caserma, ricevette questa risposta : “Rallegrati di non dover venire. Vedrai che cosa succede”. Il sergente Heinrich Steinmetz della Terza Compagnia avvertì i suoi uomini che “non voleva vedere nessun codardo”. Fu distribuita una scorta di munizioni. Un poliziotto riferì che la sua unità ricevette alcune fruste, il che fece sorgere il sospetto di un’imminente Judenaktion, ma nessun altro ricorda questo particolare. Il convoglio, partito da Bilgoraj verso le due del mattino , arrivò a Jòzefòw all’alba. Trapp parlò ai poliziotti riuniti a semicerchio intorno a lui e, dopo aver spiegato il macabro compito assegnato al battaglione, fece la sua insolita offerta: chi fra i più anziani non si sentisse all’altezza dell’incarico che lo aspettava, poteva fare un passo avanti. Trapp attese, e dopo qualche istante un uomo della Terza Compagnia, OttoJulius Schimke, uscì dai ranghi. Il capitano Hoffmann, che era arrivato a Jòzefòw direttamente da Zakrzòw con il Terzo Plotone della Terza Compagnia e non aveva perciò partecipato con gli altri ufficiali alla riunione del giorno precedente a Bilgoraj, era furibondo che uno dei suoi uomini si fosse esposto per primo. Hoffmann cominciò a rimproverare Schimke, ma Trapp lo interruppe . Dopo che Trapp ebbe preso Schimke sotto la sua protezione, altri dieci o dodici uomini fecero un passo avanti, consegnarono i fucili e attesero che il maggiore affidasse loro un altro compito. Trapp riunì poi i comandanti di compagnia e assegnò i rispettivi incarichi. Il primo sergente Kammer comunicò gli ordini alla Prima Compagnia, Gnade e Hoffmann li trasmisero alla Seconda e alla Terza. Due plotoni della Terza avevano il compito di circondare il villaggio; gli uomini ricevettero l’ordine esplicito di sparare a chi tentava la fuga. Gli altri poliziotti dovevano rastrellare gli ebrei e condurli sulla piazza del mercato. I deboli e i malati, i bambini piccoli e tutti quelli che resistevano o tentavano di scappare dovevano essere fucilati sul posto. Poi alcuni uomini della terza Compagnia avrebbero portato via gli ebrei “abili al lavoro” selezionati sulla piazza del mercato, mentre il resto della Prima Compagnia si sarebbe diretto nel bosco per formare i plotoni d’esecuzione. Gli uomini della Seconda Compagnia e il Terzo Plotone della Terza avrebbero ca- chiaramente davanti a me il maggiore Trapp che camminava avanti e indietro con le mani dietro la schiena. Aveva l’aria abbattuta e mi parlò. Disse qualcosa come “Amico … queste cose non fanno per me. Ma gli ordini sono or- ganizzavano per eseguire l’incarico affidato al battaglione. I sottufficiali formarono gruppetti di due-quattro poliziotti e li mandarono a rastrellare la zona ebraica. Vennero poste delle guardie sulla piazza del mercato e lungo la strada . Gli ebrei furono trascinati fuori dalle case e coloro che non potevano camminare vennero fucilati sul posto; l’aria si riempì di urla e spari. Secondo la testimonianza di un riservista, si poteva sentire tutto perché il paese era piccolo: Molti altri poliziotti ricordano la vista dei cadaveri, ma solo due ammettono di aver sparato. E ancora: parecchi ricordano di aver sentito dire che tutti i pazienti dell’”ospedale” e della “casa di riposo” ebraica erano stati uccisi, ma nessuno ammette di aver assistito alle fucilazioni o di avervi preso parte. I testimoni sono poco concordi sulla reazione iniziale degli uomini all’ordine di uccidere i bambini. Alcuni affermano che, come i vecchi e i malati, i bambini piccoli venivano eliminati e lasciati nelle case, davanti alle porte e sulle strade del paese. Altri invece sottolineano specificamente che in questa prima fase i riservisti evitavano di sparare sui bambini durante i rastrellamenti. Un poliziotto pone l’accento sul fatto che “tra gli ebrei eliminati nella zona a noi affidata non c’erano neonati o bambini piccoli. Direi che tutti, quasi tacitamente, si astenevano dal fucilarli”. Lo steso testimone rileva che sia Jòzefòw sia nelle località successive “le madri ebree non si separavano dai loro figli neanche davanti alla morte. Perciò consentimmo loro di portare con sé i bambini sulla piazza del mercato di Jòzefòw”. Un altro poliziotto afferma che “quasi tutti gli uomini evitavano tacitamente di fucilare neonati e bambini piccoli. Nel corso dell’intera mattinata vidi portare via molte donne con i figli in braccio o per mano”. Entrambi i testimoni rilevano che nessun ufficiale intervenne quando i bambini furono portati sulla piazza del mercato. Un poliziotto però ricorda che in seguito la sua divisione(Terzo Plotone della Terza Compagnia) fu rimproverata dal capitano Hoffmann. “Non avevamo agito con sufficiente durezza”. Quando l’operazione di rastrellamento stava per terminare, gli uomini della Prima Compagnia furono convocati per una rapida lezione sul macabro compito che li attendeva. A istruirli c’erano il medico del battaglione e il primo sergente della compagnia. Un poliziotto che aveva talento per la musica e che alla sera suonava spesso il violino con il medico, che possedeva una “meravigliosa armonica” ricorda: “Credo che in quel momento fossero presenti tutti gli ufficiali del battaglione, in particolare il nostro medico, il dottor Schoenfelder. Egli doveva spiegarci il modo preciso di sparare per provocare la morte immediata della vittima. Ricordo chiaramente che per fare tale dimostrazione disegnò o tracciò il contorno di un corpo umano, dalle spalle in su, e poi indicò il punto esatto in cui la baionetta fissa andava posta per prendere la mira.”... continua nel prossimo numero Fu probabilmente l’11 luglio che Globocnik, o qualcuno del suo gruppo, contattò il maggiore Trapp informandolo che i riservisti del Battaglione 101 avevano il compito di rastrellare i 1800 ebrei di Jòzefòw, un villaggio di circa trenta chilometri a sud-est di Bilgorj. Questa volta però gran parte degli ebrei non sarebbe stata trasferita: solo i maschi “abili al lavoro” erano destinati ai campi di Lublino, mentre le donne, i bambini ed i vecchi andavano fucilati sul posto. Trapp richiamò le unità di stanza nelle città vicine. Il 12 luglio il battaglione si riunì a Bilgoraj; mancavano solo il Terzo Plotone della Terza Compagnia, che era stato inviato a Zakrzòv insieme al capitano Hoffmann, e alcuni uomini della Prima Compagnia, già dislocati a Jòzefòw. Trapp si incontrò con i comandanti della Prima e della Seconda Compagnia il capitano Wohlauf ed il tenente Gnade, informandoli dell’operazione prevista per l’indomani. Pare che l’aiutante di Trapp, il primo tenente Hagenm abbia messo al corrente gli altri ufficiali del battaglione, perché il tenente Heinz Buchmann apprese da lui quella sera i particolari dell’azione. Buchmann, allora trentottenne, dirigeva ad Amburgo una impresa di legname a conduzione familiare. Aveva aderito ad partito nazista nel maggio del 1937 e si era arruolato nell’Ordnungspolizei nel 1939, prestando servizio come autista in Polonia. Nell’estate del 1940 aveva fatto richiesta di congedo, ma invece era stato inviato a un corso di addestramento per Ufficiali e, nel novembre del 1941, nominato tenente riservista. Nel 1942 gli fu assegnato il comando del primo plotone della Prima compagnia. Quando seppe dell’imminente massacro, Buchmann disse chiaramente ad Hagen che, in quanto imprenditore di Amburgo e tenente riservista, non avrebbe mai “in nessun caso partecipato a tale azione, nel corso della quale si fucilano donne e bambini indifesi”, e chiese un altro incarico. Hagen riuscì ad assegnare a Buchmann il comando della scorta per i maschi ebrei “abili al lavoro” da portare a Lublino. Il comandante della compagnia, Wohlauf, fu informato del compito di Buchmann ma non del motivo per cui gli era stato affidato. Gli uomini non ricevettero alcuna informazione ufficiale; gli fu solo detto che sarebbero stati svegliati presto per un’importante azione in cui era coinvolto tutto il battaglione. Alcuni però sapevano qualcosa: il capitano Wohlauf disse a un gruppo dei suoi che l’indomani li aspettava “un compito molto interessante”. Un altro poliziotto, che si lamentava con l’aiutante della com- Nelle “baracche-spogliatoio”, i poliziotti dell’Ordnungspolizei constringevano gli ebrei a spogliarsi e a consegnare gli oggetti di valore. ricato gli ebrei sui camion del battaglione trasportandoli dalla piazza del mercato al luogo dell’esecuzione. Dopo aver diramato gli ordini, Trapp si fermò in paese per gran parte della giornata: si recò nella scuola trasformata in quartier generale, a casa del sindaco polacco o del prete, sulla piazza del mercato o sulla strada verso il bosco, ma non andò mai nel bosco e non assistette alle esecuzioni. La sua assenza non passò inosservata. Un poliziotto disse con acredine: “ Il maggiore Trapp non c’era mai, anzi, rimase a Jòzefòw perché evidentemente non sopportava quella vista. Noi uomini eravamo sconvolti e dicevamo che non potevamo sopportarla neppure noi”. In verità , l’angoscia di Trapp non era un segreto per nessuno. Sulla piazza del mercato un poliziotto ricorda di aver sentito il maggiore che esclamava, mettendosi una mano sul cuore: “Oddio, perché mi hanno dato questi ordini?”. Un altro lo incontrò nell’edificio della scuola: “Oggi vedo ancora dini”. Un altro ancora ricorda chiaramente che Trapp , finalmente solo nella sua stanza, si sedette su uno sgabello e pianse amaramente. Gli sgorgavano davvero le lacrime “. Un quarto testimone lo vide al quartier generale: “Il maggiore Trapp correva avanti e indietro in preda all’agitazione, poi sboccò davanti a me, mi fissò e mi chiese se ero d’accordo con quanto accadeva: io lo guardai diritto negli occhi e risposi: “No, signor maggiore!”. Allora lui riprese a correre avanti e indietro e a piangere come un bambino”. L’aiutante del medico incontrò Trapp in lacrime sulla strada che dalla piazza del mercato portava al bosco, e gli chiese se poteva fare qualcosa per lui. “Ma mi disse solo che tutto era davvero terribile”. Qualche tempo dopo, parlando di Jòzefòw, il maggiore confidò al suo autista: “Poveri noi tedeschi, se questa faccenda degli ebrei sarà un giorno vendicata”. Mentre Trapp si lamentava degli ordini ricevuti e piangeva, i suoi uomini si or- Possiamo affermare che i macabri sistemi vennero “copiati” e realizzati nella eliminazione di partigiani prigionieri e ostaggi in Italia. La foto documenta le fosse dove furono gettati i 59 fucilieri sul Turchino ed il recupero dei pietosi resti da parte di parenti ed amici. 5 ANCORA 25 APRILE Da Savona Poesia di Kriton Athanasulis affissa dalla FIVL Carcare in Val Bormida Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo. Ti lascio il sole che lasciò mio padre a me. Le stelle brilleranno uguali ed uguali ti indurranno le notti a dolce sonno. Il mare t'empirà di sogni. Ti lascio il mio sorriso amareggiato: fanne scialo ma non tradirmi. Il mondo è povero oggi. S'è tanto insanguinato questo mondo ed è rimasto povero. Diventa ricco tu guadagnando l'amore del mondo. Ti lascio la mia lotta incompiuta e l'arma con la canna arroventata. Non l'appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno. Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena vinta nelle battaglie del tempo. E ricorda. Quest'ordine ti lascio. Ricordare vuol dire non morire. Non dire mai che sono stato inde- gno, che disperazione mi ha portato avanti e son rimasto indietro, al di qua della trincea. Ho gridato, mille e mille volte no, ma soffiava un gran vento e piogge e grandine hanno sepolto la mia voce. Ti lascio la mia storia vergata con la mano d'una qualche speranza. A te finirla. Ti lascio i simulacri degli eroi con le mani mozzate, ragazzi che non fecero a tempo ad assumere austere forme d'uomo, madri vestite di bruno, fanciulle violentate. Ti lascio la memoria di Belsen e Auschwitz. Fa presto a farti grande. Nutri bene il tuo gracile cuore con la carne della pace del mondo, ragazzo, ragazzo. Impara che milioni di fratelli innocenti svanirono d'un tratto nelle nevi gelate in una tomba comune e spregiata. Si chiamano nemici; già. I nemici dell'odio. Ti lascio l'indirizzo della tomba perché tu vada a leggere l'epigrafe. Ti lascio accampamenti d'una città con tanti prigionieri, dicono sempre si, ma dentro loro mugghia l'imprigionato no dell'uomo libero. Anch'io sono di quelli che dicono di fuori il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no. Così è stato il mio tempo. Gira l'occhio dolce al nostro crepuscolo amaro, il pane è fatto di pietra, l'acqua di fango, la verità un uccello che non canta. lo conquistai il coraggio d'essere fiero. Sforzati di vivere. Salta il fosso da solo e fatti libero. Attendo nuove. E' questo che ti lascio. Kriton Athanasulis Da Verona DAL DISCORSO DI VESCOVI NELLA SALA DELLA GRAN GUARDIA Perché il 25 aprile, festa della Libertà? E’ questa la domanda che un giovane mi ha rivolto alcuni giorni fa. Per capire perché si parla di Resistenza e di festa della Libertà si deve prima conoscere la storia del ventennio fascista e del più breve periodo nazista anche se quest’ultimo ha portato all’estreme conseguenze l’ideologia fascista. Purtroppo sono ancora presenti interpretazioni e ignoranza storica per cui si sente dire che cosa ha fatto di buono la Resistenza evitando di domandarsi la causa prima di tutti i mali prodotti da dittature, violenza, guerra e dalle tremendi stragi eccidi e genocidi commessi da folli ideologie che hanno sconvolto l’Europa e il mondo nella prima metà del secolo scorso. Del fascismo vanno ricordati gli atti di governo: leggi contro la libertà personale, stampa e radio ridotte a esclusivo servizio del partito fascista, l’abolizione dei partiti, dei liberi sindacati, la scuola finalizzata a creare il cittadino fedele al Duce che aveva sempre ragione, per cui il credere, obbedire, combattere diventava sola ragione di appartenenza come cittadini all’Italia; le leggi razziali del 1938 e, infine la legge razzista, la consegna ai nazisti degli ebrei e degli oppositori al regime per la nota soluzione finale nei campi di sterminio. Questi gli atti di politica interna più conosciuti. In politica estera il fascismo ha portato l’Italia alle guerre con crescendo inarrestabile: in Etiopia 1935/1936, nella guerra di Spagna subito dopo, ad occupare l’Albania nel 1939, a rivendicare territori dei paesi vicini: Nizza e Savoia, la Tunisia, la Dalmazia, le isole greche, il dominio assoluto del Mar Mediterraneo, ricordano la storia dell’impero romano come diritto inalieabile della Patria fascista e tutto ciò con esplosioni verbali di potenza, di minacce di cui la mia generazione avrebbe dovuto fare i conti nella guerra 1940/1945. A parte l’impreparazione militare e l’ignoranza storica del Duce e dei suoi collaboratori di governo, nonché l’insignificante presenza della monarchia ridotta a pura presenza coreografica, il 10 giugno 1940 l’Italia fascista dichiarava guerra a Francia e Inghilterra sperando in una facile vittoria a fianco dell’alleato nazista che con il suo esercito aveva già occupato gran parte dell’Europa seminando stragi e violenze. Ebbe inizio così la tragedia del popolo italiano. Il 28 ottobre 1940, data fatidica della marcia su Roma, il duce volle “spezzare le reni” alla Grecia; sappiamo quale fu l’esito per i nostri Fanti e gli Alpini. In Albania, in Africa settentrionale, in Russia si compì il sacrificio di tanti giovani. I cittadini inermi e le città furono colpite dai bombardamenti, pagarono anch’essi un tributo di sangue e distruzioni. Seguì la fine ingloriosa del fascismo e del suo Duce il 25 luglio 1943; Mussolini fu dimesso dallo stesso Gran Consiglio del fascismo, travolto dai suoi errori e dalla tragedia vissuta dal popolo italiano che tra bombardamenti, fame, miseria, lutti aveva toccato il fondo di una guerra che ne aveva fiaccato volontà e speranze: il fascismo era morto e sepolto soprattutto nel cuore e nella mente degli italiani. Si arrivò così all’8 settembre e all’armistizio chiesto agli angloamericani. Il governo Badoglio, tra errori ed incertezze diede l’ordine di respingere attacchi “da qualsiasi parte provenienti” questo mise i reparti italiani e gli stessi singoli militari nelle condizioni di dover decidere autonomamente cosa fare: si aggiunse tragedia a tragedia, momento drammatico di riflessione e di scelta. Nessuno può negare che le armate alleate furono determinanti per sconfiggere i tedeschi. La libertà del 1945 però, non ci fu recata in dono; alla sua conquista, soprattutto morale, parteciparono uomini e donne, giovani e anziani, fu moto popolare, non di un solo partito, partecipammo uniti con la sofferenza, il sacrificio, l’olocausto; questo fu il frutto più prezioso del secondo rinascimento nazionale, frutto non unico della Resistenza. Quando a Parigi si discussero le trattative di pace, De Gasperi potè presentare il contributo dato dalla Resistenza italiana alla vittoria degli alleati per riuscire a salvare Trieste,Gorizia, Tarvisio, Grado, Aquileia, l’alto Adige, la Val D’Aosta, le alte valli del cuneese, Bordighera, Ventimigla dalle rivendicazioni austriache, francesi e jugoslave. La generazione che fu testimone e protagonista della lotta di liberazione contro la dittatura e la guerra, se ne sta andando. Una generazione di combattenti che ha costellato le pianure e le montagne di pietre spezzate; e come dice il poeta: “C’è una generazione di uomini forti che sta morendo Una generazione di combattenti Avevano vent’anni e le ragazze nel cuore Quando il ferro e il fuoco Dalla pianura li spinse quassù Tra le forre e i noccioli. Unico riparo gli abeti E la giubba che chiudeva Un cuore ribelle. (ma stanno morendo….) Una gioventù strana restia all’ascolto li ha abbandonati Così sono nonni senza nipoti Aedi senza simposio E avrebbero infinite cose da dire… Non dimenticate la storia, i sacrifici e le speranze di chi ha combattuto anche per la vostra libertà, la pace e la solidarietà, ideali e valori umani conquistati per gli amici ed i nemici. La Resistenza per la libertà non finisce mai: è una categoria esistenziale, è un scelta dell’umano contro il disumano, anche tra errori e difficoltà la libertà è pur sempre l’idea vincente della ragione umana. Ricordate, quindi, come è nata la Repubblica, la Costituzione, l’Europa unita, una Patria unita e solidale. La nostra generazione lascia una eredità morale che va rivissuta nella difesa, giorno per giorno, della libertà personale e politica. Dalle fredde lapidi, dai freddi marmi, i Caduti ripetono: Qui vivono/ per sempre gli occhi/ che furono spenti alla luce/ perché tutti/ li avessero aperti per sempre alla luce.” Raccogliete, italiani le nostre bandiere perché l’Italia viva. Viva l’Italia! Giulio Vescovi Vice Presidente Assoc. Naz. Mutilati e invalidi di Guerra. IL C.C. POSTALE PER RIMETTERE IL CONTRIBUTO D’APPOGGIO AGLI AMICI DI “LIBERTÀ DAL POPOLO” È: C.C.P. N° 12220273 CENTRO SOCIALE RAGGRUPPAMENTO AUTONOMO PADANO Ci scusiamo per il rinvio di alcuni articoli e lettere, sempre per mancanza di spazio. 6 Amici della Libertà venite con noi sui “Sentieri della Resistenza” tracciati in Vallate di tutta Italia (come quello di Carnino (Valle Pesio - Cuneo). Rivedrete i vecchi partigiani con un nobile straccio di fazzoletto, divisa delle Formazioni (azzurro, giallo-ginestra, rosso, verde) e vi racconteranno episodi di quella meravigliosa epopea italiana...Arrivederci! Postazione degli Arpi (Fontane) Nel contesto della battaglia di Pasqua 1944 Schietto ricordo d’una giornata fortunata Qualche tempo prima di Pasqua, il Capitano ci mandò, noi buschesi, in ricognizione a Colla Piana, sopra il Vaccarile. Dovevamo controllare se nella neve c’erano tracce e segni di movimenti nemici. Trovammo effettivamente molte piste di uomini, che erano saliti da Limone Piemonte ed al ritorno avvertimmo il Comando. Il Distaccamento degli Arpi venne allora trasferito al Gias del Vaccarile e facevamo servizio di pattuglia su Colla Piana. Un giorno la nostra pattuglia sorprese e catturò su Colla Piana un fascista isolato. Mentre ritornavamo, il fascista chiese di fare i suoi bisogni e ne approfittò per tirare fuori dai pantaloni una pistola, con la quale sparò all’uomo che lo sorvegliava, ferendolo al ventre. Riuscì poi a scappare portandosi via la radio, che gli avevamo caricato sulle spalle. Il giorno dopo un pattuglione fascista di una trentina di uomini, con un mitragliatore tentò di raggiungere Colla Piana. Penso si trattasse di fascisti, per via delle divise nere che indossavano. Ci fu un breve scontro a fuoco, senza morti né feriti da entrambe le parti. Poi il Ten. Audino decise di abbandonare il Vaccarile. Così facemmo, dopo aver incendiato il Gias, in modo che non potesse servire da base per i Fascisti. Tornati a valle, il Distaccamento venne diviso. Il Ten. Audino rimase al Gias degli Arpi coi suoi Chiusani ed i meridionali. Noi 9 di Busca formammo un nuovo distaccamento più a valle, al Gias Fontane. Comandante del nuovo Distaccamento era Beppe Zurletti. Pochi giorni prima di Pasqua, venne il Capitano Piero Cosa e ci fece preparare una postazione per il Bren, a mezza costa, 4/500 metri lontano dal Gias. La postazione guardava il sentiero che scende dal Vaccarile: era in posizione buona e la rinforzammo bene con sacchetti di terra. Molto in alto, sopra di noi c’era la postazione del Gias degli Arpi, che aveva il compito di proteggere la nostra ritirata. Oltre al Bren, eravamo tutti armati con sten e moschetto. Le munizioni erano abbondanti. Il mattino del sabato santo aspettavamo la visita del cappellano, che doveva venire a trovarci per la Pasqua. C’era brutto tempo e nebbia abbastanza fitta. Quando la nebbia si sollevò vedemmo del movimento su al Vaccarile. I Fascisti avevano occupato il Gias ed avevano posto due o tre uomini di vedetta sopra il grande roccione che c’è un po’ più in basso del Gias e domina il Vallone. Avvertimmo subito il Comando e sa- limmo alla postazione. Nel pomeriggio sentimmo una fitta sparatoria giù nella valle, verso la Certosa. La sparatoria durò fino a sera. Al Vaccarile nessuno si muoveva: c’erano sempre le sentinelle sopra il roccione. Il mattino di Pasqua sentimmo riprendere il fuoco più vicino, appena sotto Pian delle Gorre. Notammo che al Vaccarile le sentinelle erano aumentate di numero e restammo in attesa. C’era sempre brutto tempo e nebbia. Nel pomeriggio sentimmo dei cani abbaiare sul sentiero del Vaccarile e ci accorgemmo all’improvviso che due colonne di uomini stavano scendendo verso di noi. Erano vestiti di nero e penso si trattasse di Fascisti. Ce n’erano 130-150 visibili, ma dovevano essere molti di più, perché il Vallone è molto incassato e molti dunque scendevano coperti alla nostra vista. Quando giunsero a portata di tiro, aprimmo il fuoco con il Bren e coi moschetti e cercammo di tenerli a bada. In effetti la colonna si fermò e quasi subito venimmo individuati. Incominciarono a spararci addosso anche loro, con un volume di fuoco impressionante: penso che dovessero avere come minimo due mitragliatrici pesanti. Per fortuna, come ho detto, la postazione era molto ben scelta ed il loro fuoco giungeva alto sopra le nostre teste , distruggendo tutta la boscaglia sopra di noi, ma senza colpire nessuno. Continuammo a sparare per quasi un’ora, sempre attendendo che la postazione degli Arpi, sopra di noi, si decidesse ad aprire il fuoco alleggerendo la pressione.. Decidemmo, allora, di mandare due uomini a vedere cos’era successo. Partirono i partigiani Sandro Alladio e Luciano Bergia. Erano tutti e due molto giovani e pieni di paura, ma andarono lo stesso. Il sentiero verso il Gias degli Arpi era tutto sotto il fuoco dei Fascisti e così i due uomini impiegarono più di un’ora fra l’andare ed il tornare. Nel frattempo continuammo a sostenere il combattimento coi Fascisti che si facevano sempre più vicini. I due tornarono e ci riferirono che sia la postazione, sia il Gias degli Arpi erano deserti… Decidemmo allora di lasciare la posizione, ormai insostenibile e di ritirarci tutti al Gias degli Arpi. Così facemmo, protetti dalla nebbia, che per fortuna era tornata abbastanza fitta. Ci incamminammo sulla pista che gli uomini del Gias degli Arpi avevano lasciato e li raggiungemmo mezz’ora dopo sotto la baita di Sestrera dove era stabilito il concentramento della Banda per la ritirata. Rinaudo Umberto