LIBERTÀdal Popolo
Anno 2010 - Numero 2
Supplemento al numero 1/2010 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO”
Aut. del tribunale di Cuneo n° 110 del 18 febbraio 1957 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli
Realizzazione GRAPHEDIT - stampa TIP. BOVESANA Boves (CN)
25 APRILE - 2 GIUGNO 2010
NELLA DATA DEL SECONDO RISORGIMENTO GLI EX COMBATTENTI INSORGONO
L’UNITÀ, IL TRICOLORE, LA COSTITUZIONE NON SI TOCCANO!
Un Terzo Risorgimento...?
Il Presidente Napolitano
Gli uomini e donne della Resistenza: deportati,
internati, combattenti nel partigianato, nei Reparti Alleati, reduci dal massacro di Cefalonia e
isole, denunciano volgari espressioni nei confronti di risorgimento, unità e bandiera italiana.
Valori che il popolo ha pagato con migliaia di caduti in combattimento, assassinati in carcere,
sotto la tortura, fucilati, impiccati in quella che
il Presidente Ciampi definisce il 2° Risorgimento per l’unità e la libertà d’Italia.
Quella unità e libertà che in questi ultimi vent’anni sono stati valori rimossi, grazie ad un
quotidiano, crescente impoverimento culturale
e morale del nostro Paese. Lo sforzo del recupero da parte degli stessi Presidenti della Repubblica è stato vanificato dal dilagare di una
nuova multicultura veicolata dalla invasione televisiva nelle stanze e nella quotidianità dell’uomo della strada, indifeso da una lava
irrefrenabile. A sua volta questa nuova società
si esprime sedotta dai componenti più comunicativi o estroversi (atleti, giornalisti, artisti, politici…) che seminano abbondanti parole, ma
soprattutto morbosi stili di vita: vedi plateali arricchimenti, carrierismo, spreco, disinvolto disfacimento familiare, presuntuosità gemellata
con ignoranza, egocentrismo, razzismo, ecc…
Questa società sta regalando alla storia contemporanea degli squallidi stili di vita inediti, o
perlomeno molto rari nelle pagine del passato
remoto… Ad esempio oggi i partiti o i movimenti
fanno fortuna se sono pilotati da saccenti maestri che distribuiscono “fanatismi ingenui”, videoconferenze di insulti, valanghe di
promesse…. E la gente li inghiotte e li
vota….Capita poi che qualche quotidiano usi
pubblicare la distinta delle remunerazioni del
sig. ministro o del compaesano parlamentare e
viene fuori che quelli intascano 10.000 Euro al
mese e l’omino della strada, pensionato non arriva a 800 Euro! Ma continua a votarli…
Uguali modelli di ingordigia li trovi tra quegli
“ex” che si sono ritirati con pingui pensionamenti dalle “poltrone” ma hanno “accettato” subito cariche di presidenze mai onorifiche ma
sempre copiosamente gettonate. Il Paese, insomma, presenta un quadro che si è distanziato
non poco da come l’avevano restituito Alleati e
Combattenti per la Libertà ai Valori essenziali
conservati e difesi dalla antiche democrazie dell’Europa e del Nord America.
Le potenzialità delle risorse in mano alle realtà
socio-culturali dell’intera collettività, se utilizzate con saggezza e realismo, potrebbero riportarci a Paese ordinato, riamministrato in
lucidità, onestà e credibilità, in casa e davanti
al mondo intero.
Disponiamo di un patrimonio culturale (etico,
religioso, economico, politico) di tutto riguardo,
oggi più volte accantonato da grossolani ritorni
a ritualità kitsch, a litigiosità sterili, a gestioni
del potere miopi, individualistiche, più vicine al
fascismo che alla Costituzione… La sana storia
del Paese, in particolare l’incancellabile memoria dei costi in vite umane del 2° Risorgimento
(o cacciata dell’invasore nazista), i valori della
tradizione cattolica (biblico-cristiana),
la dignitosa opera di popolo e politici cui va attribuita la ricostruzione del primo ventennio
(1945-1965) ci stimolino a riprendere con responsabilità, intelligenza, armonia il sentiero
giusto, anche aspro e sofferto, che ci porti fuori
da megalomania, ignoranza, presuntuosità e
corruzione dei cosiddetti “uomini pubblici”,
ignavia o individualismo delle generazioni più
giovani. La lettera con gli interrogativi del vegliardo novantaseienne romagnolo (vedi pag. 2)
ci mobiliti per un ….terzo risorgimento italiano!
Aldo Benevelli
L’ITALIA HA BISOGNO DI UNITÀ
Cardinal Bagnasco Presidente CEI
UNITÀ D’ITALIA, UN TESORO DI TUTTI
“Le celebrazioni del centocinquantesimo hanno senso perché l’Italia ha
bisogno di più unità, di nuova e più
forte coscienza unitaria; l’unità nazionale conquistata un secolo e mezzo fa
si consolida affrontando con nuovo
slancio la sfida dell’incompiutezza
della nostra unificazione…
In conclusione, le celebrazioni del
150° dell’Unità italiana dovrebbero favorire il diffondersi di un clima nuovo,
al Nord e al Sud. Da un lato, con l’abbandono di pregiudizi e luoghi comuni attorno al mezzogiorno e ai
meridionali, di atteggiamenti spregiativi che ignorano quel che il Mezzogiorno ha dato all’Italia in varii periodi
storici, e in particolare la ricchezza
degli apporti della sua intellettualità,
delle sue élite culturali (…) essenziali
nel concorrere all’unificazione del
paese (…)
Dall’altro lato ci vuole una seria riflessione critica della società meridionale (…)su se stessa. Il bilancio
delle istituzionali regionali nel Mezzogiorno non è uniforme, comprende
esperienze positive – come quelle
della Basilicata – ma nell’insieme è
tale da farci dubitare che le forze dirigenti meridionali abbiano retto alla
prova dell’autogoverno. E pur riservandoci e sollecitando un approfondimento obbiettivo delle ragioni di un
bilancio a dir poco insoddisfacente,
non possiamo - lasciate che lo dica in
questo momento da meridionale e da
convinto meridionalista – non possiamo permetterci nessuna auto indulgenza. Non possiamo nascondere
inefficienze e distorsioni dietro la denuncia delle responsabilità altrui, e
soprattutto dietro le responsabilità
dello Stato e dei governi che lo hanno
retto. La critica di indirizzi e di comportamenti, di omissioni e di penaliz-
“L’unità è un tesoro per tutti e, senza
retorica, deve riscaldare i cuori per
aiutare l’Italia a risollevarsi dalla crisi.
Così le celebrazioni possono diventare “felice occasione per un nuovo
innamoramento del nostro essere italiani”. Così il Cardinale Bagnasco al
convegno a Genova su “L’unità nazionale. Memoria condivisa, futuro da
condividere” organizzato dalla CEI in
vista della 46^ settimana sociale dei
cattolici italiani, ha ribadito l’interesse per una nazione unita dal federalismo solidale e ha chiesto alla
politica “visioni grandi per nutrire gli
spiriti e seminare nuovo, ragionevole
ottimismo”.
Genova è infatti centro delle celebrazioni dell’unità non a caso, secondo il
cardinale. “perché città di antiche tradizioni cristiane, tra le prime nell’avventura della forma repubblicana, che
molto sangue, anima e intelletto ha
dato all’Italia del Risorgimento, alla liberazione, agli anni duri della lotta al
terrorismo”
Nel messaggio inviato al Card. Bagnasco dal Presidente Giorgio Napolitano
“la storia di questi 150 anni di unità
politica d’Italia testimonia come, a
condizione di una elevata tensione
morale, anche nei momenti più difficili, certo non meno di quelli attuali,
sia possibile perseguire e conseguire
accordi che per lunghi periodi consentono una convivenza civile di
grande qualità” Accordi che segnano
“l’incontro tra differenze” e consentono lo sviluppo di quello che per don
Sturzo era il “sano agonismo della libertà”
Il Presidente dei vescovi italiani ha risposto “garantendo che l’Italia può
contare sempre sulla Chiesa, sulla
sua missione, sul suo spirito di sacrificio e la volontà di dono” Chiesa
zazioni, di cui il Mezzogiorno ha sofferto è legittima e anzi doverosa, purchè seria e fondata, ma non può
coprire le responsabilità di quanti si
sono nel corso di lunghi anni avvicendati nel rappresentare e guidare le Regioni meridionali e le istituzioni
locali, o hanno comunque espresso le
forze della società civile. (…)
Essenziale sarà soprattutto uno
scatto di volontà, di senso morale e di
consapevolezza civile da cui emer-
gano nel Mezzogiorno nuove forze idonee a meglio affrontare la prova
dell’autogoverno e della partecipazione al governo del paese.
C’è materia, credo, per un esame di
coscienza che unisca gli italiani nel
celebrare il momento fondativo del
loro Stato nazionale.”
(estratto del discorso pronunciato
dal Presidente Giorgio Napolitano a
Potenza il giorno 3 ottobre 2009)
amica e libera di parlare con franchezza. Allora è la richiesta dell’arcivescovo che l’anniversario n. 150 non
cada nel vuoto ma diventi occasione di
risveglio critico, “su quello che eravamo e su quello che oggi, dopo tanti
e rapidi successi rischiamo di compromettere” Che aiuti a superare
l’handicap dell’indifferenza verso le
istituzioni, “mancanza grave e crescente, che prelude alle più varie
forme di frattura nel Paese, che lo renderebbero incapace di affrontare le
sfide”
Bagnasco ha domandato perciò rigore
culturale del dibattito sull’unità.
“Serve una memoria storica critica,
severa, accurata, aperta, scevra da denigrazioni e mitizzazioni, da nostalgie
revisioniste come da fanatismi infantili e massimamente pericolosi.” E’ la
lezione della memoria che aiuta infatti
a declinare insieme “fedeltà e riforma”
e restituisce speranza. “il nostro popolo sa sempre quando è in gioco la
causa comune, il bene comune e, in
un certo senso, questo anniversario,
senza indulgere ad alcuna retorica,
deve aiutare anche un nuovo incontro
tra quelle che, con una espressione
molto imprecisa, ma efficace, qualcuna ha chiamato cultura “alta e cultura “diffusa”.
2 5 A P R I L E F E S TA D I T U T T I
Centinaia di fiaccolate. Discorsi franchi e mirati.
DA MASSA CARRARA
Per una lettura autentica della Resistenza
Il manifesto della
fondazione FIVL
23 GIUGNO 2010
Non mancano in quasi tutte le regioni le polemiche dovute alle diverse visioni della Resistenza ed al
ruolo dei partigiani comunisti. Con
tensioni e scontri esplosi a Milano,
le polemiche a Bolzano, Salerno e
a Mogliano (l'ANPI ha dovuto presentare una richiesta formale al
Sindaco per suonare Bella ciao!) si
è dato fiato ai denigratori istituzionali l'occasione ai ben noti "camaleonti" nostrani per riesumare
l'abusato epiteto "fascista” nei confronti di chi non la pensa come
loro.
Occorre invece parlarne ed approfondire la conoscenza di quel periodo che vide la migliore gioventù
scegliere la via del sacrificio per riscattare l'Italia dal famigerato ventennio fascista. AI di sopra degli
interessi di parte, dobbiamo (correttamente) sviscerare l’intervento
armato del C.V.L. durante la Resistenza non lesinando autocritiche
pur di documentarne la reale partecipazione e risultati evidenziandone soprattutto ideali e finalità.
E' noto infatti che mentre le Formazioni Garibaldine seguendo le
direttive del P.C.I. si proponevano
un cambiamento radicale dello
Stato, anche attraverso mezzi non
parlamentari propugnando altresì
l'allineamento con l'Unione Sovietica - gli ideali che avevano Ispirato
la partecipazione degli Autonomi,
dei G.L. (Giustizia e libertà) e dell'A.P.L. (Cattolici alla lotta di Liberazione), perseguivano invece una
Italia Libera in un regime democraticamente eletto riconoscendo altresì che l'alleanza con gli alleati
anglo-americani ebbe un ruolo preminente nella sconfitta dell'esercito nazista.
Occorre depurare la nostra Resistenza da falsi miti e da episodi 'fumettistici' che ne hanno stravolto
il vero volto . la nostra fu una mobilitazione volontaria armata che
costrinse il nemico ad impegnare
PARTIGIANI D’ITALIA
COMBATTENTI DELLA
GUERRA DI LIBERAZIONE!
Ragioni ideali, necessità profonde
di chiarire lo spirito della Resistenza hanno ispirato la costituzione della Federazione Italiana
Volontari della Libertà.
In essa si riuniscono le forze che
hanno con la loro iniziativa, con la
loro decisione e con il loro sangue
contribuito validamente al riscatto
della Patria.
Sono i primi fedeli e sfortunati difensori della Bandiera dell’ora tragica del settembre 1943, sono i
Partigiani in Italia e all’Estero, i
Combattenti della Campagna di Liberazione, gli internati dei campi
di concentramento, eroici e silenziosi assertori di fedeltà e di libertà.
Per l’indipendenza della Patria, per
la Libertà da ogni forma di regimi
totalitari sono caduti a decine di
migliaia i figli del popolo italiano.
Gli ideali che li mossero, non debbono soccombere.
PARTIGIANI,
COMBATTENTI
DELLA CAMPAGNA DI LIBERAZIONE, REDUCI DALL’INTERNAMENTO!
Nell’anno centenario delle battaglie
del Primo Risorgimento , nella memoria degli ideali dei Padri, nel ricordo di tutti coloro che sono
caduti nell’ombra del Tricolore e
nella lotta insieme combattuta;
eredi dello spirito di Mazzini, di
Garibaldi, di Cavour, per la difesa
degli ideali di unità, di libertà, di
indipendenza asseriti nel Risorgimento, nella visione di una più alta
Giustizia Sociale realizzata nel
pieno rispetto della libertà democratica e contro ogni ritorno di dittatura, uniamoci nella F.I.V.L.
IL PRESIDENTE Sen. Gen. Raffaele Cadorna
(manifesto murale del marzo 1948,
annunciante la costituzione della
F.I.V.L.)
Il Consiglio Nazionale della F.I.V.L.
è convocato presso la Villa Meardi
di Voghera, strada per Retorbido, in
prima convocazione alle ore 8,30
ed in seconda convocazione alle
ore 10,00 per mercoledì 23 giugno
2010, con il seguente ordine del
giorno:
Nomina organi previsti per la legale validità dell’Assemblea
Ricordo amici deceduti accompagnato dalla preghiera del ribelle
Lettura verbale della seduta del 12
marzo 2009 ed approvazione
Completamento del regolamento
per inserimento alla voce Soci di
famigliari ed altri soggetti, nel rispetto dell’articolo 4 con qualifica
di Soci effettivi. Approvazione definitiva
Approvazione bilanci Consuntivo
2009 e Preventivo 2010 con la relativa relazione del Presidente Revisori
Relazione del Presidente “dibattito”
nei rastrellamenti consistenti reparti, altrimenti destinati al fronte.
D'altra parte considerate le sostanziali differenze degli opposti schieramenti - da una parte un potente
esercito invasore che avvalendosi
dell'alleato fascista "giocava in
casa” - dall’altra piccoli reparti di
giovani inesperti e male armati, per
di più divisi da opposte ideologie
che ne impedirono l'unificazione
sotto un comando militare in grado
di coordinare la necessaria strategia unitaria. L'attività partigiana superata la fase dei rastrellamenti
- non poteva che limitarsi ad atti di
sabotaggio , a favorire la diserzione
dell'esercito nemico, a sabotare il
governo fantoccio di Salò, e, soprattutto, ad infondere speranza e
coraggio nella popolazione civile
perseguitata e terrorizzata .
Occorre sfatare la forza numerica
dei resistenti. Alcide De Gasperi per quel gigante della politica che
era - si rese conto della strategia
comunista, ed alla vigilia delle
prime elezioni politiche del 18
aprile '48, facendo affluire in Roma
tramite la F.I.V.L. migliaia di partigiani non comunisti, rese giustizia,
sfatando le oceanlche adunate di
“pseudo" partigiani con fazzoletti
rossi, frutto di una disinvolta distribuzione di attestati che dovevano essere rilasciati solamente a
chi era stato inquadrato nelle Formazioni armate per almeno tre
mesi, partecipando ad un fatto
d'armi.
Rifuggiamo da campanilismi sterili
e dannosi e trasmettiamo ai nostri
giovani studenti l'autentico volto di
quella gloriosa pagina di storia che
vide l’eroismo sino all'estremo sacrificio di migliaia di nostri fratelli.
Se avessero vinto coloro che appoggiavano le dittature nazi-fasciste, quale sarebbe stato il destino
della libertà e della democrazia in
Italia e in Europa?
Aldo Sacchetti
DA TORINO
Il RICORDO DEL 25 APRILE DELLA 7a DIVISIONE MONFERRATO
Domenica 25 aprile 2010, in una splendida giornata di sole incuneata in una
primavera piovosa,
I Fazzoletti Azzurri della 7a Divisione
Monferrato, hanno ricordato, come
fanno da ben 65 anni assieme a tanti
altri Partigiani in innumerevoli località
italiane, i grandi giorni che videro la Liberazione delle nostre terre dal giogo
nazifascista. Si sono ritrovati nei loro
posti storici di sempre e nel piccolo cimitero sulla collina di Robella vi è stata
la deposizione della prima corona della
giornata. Assieme a tutti gli intervenuti
c’erano loro, gli ottanta-novantenni sull’attenti quando la tromba ha suonato il
silenzio di ordinanza. E poi giù, giù per
la collina come una volta a perdifiato, si
fa per dire, a raggiungere il pianeggiare
della Val Cerrina, sotto Robella, dove la
grande stele ricorda i caduti della 7a Di-
visione Monferrato. E lì nella vivace aria
del mattino, con i loro stendardi di antichi guerrieri erano tutti sull’attenti
mentre, come portate da quel vento lontano, le note di “Fratelli d’Italia”, suonate dalla Banda “La Fenice” del paese
di Brusasco, riconfermavano a loro ed
a noi tutti la Storia della rinascita dei
nostri paesi e dell’Italia intera, concetti
molto ben espressi nella commemorazione fatta dal Presidente della Associazione Volontari della Libertà del
Piemonte, Giulio Cravino, che ha ricordato il contributo della 7a Divisione alla
lotta di Liberazione .Sì è vero, c’è qualcuno di loro in meno ogni anno e ciò fa
tristezza, ma quelli che rimangono
sono lì ed è il segno che vogliono continuare ad esserci, a testimoniare, a ricordare. E questo lo si è ben colto
anche nella tappa successiva di quel
I “ragazzi” della Monferrato con il medaglione della Federazione ed i gonfaloni comunali
2
mattino, nel corteo per le vie del paese
di Brusasco, nel ripercorrere i posti che
videro cadere dei Partigiani e poi nella
chiesa Parrocchiale, affollatissima, con
la celebrazione della Messa e l’omelia
del Parroco, Don Piero Accornero che
ricordava i caduti di questi paesi nella
Resistenza ed il ruolo attivo svolto in
essa da molti sacerdoti. in quelle zone.
Terminata la funzione, usciti nella
grande piazza tutti hanno partecipato
alla bella celebrazione civile, aperta da
un partigiano, continuata poi con il discorso del Sindaco di Brusasco, Franco
Cappellino, che ricordando e collegando la nostra Liberazione alla nascita della Carta Costituzionale, base di
questa nuova Italia, ha sottolineato la
necessità di difenderla sempre, difendendone inoltre lo spirito democratico
e pluralista che la contraddistingue. Parole sentite e commoventi il cui spirito
è stato ripreso dagli interventi della
Giunta Comunale dei Ragazzi e iniziando dal giovane Sindaco, ognuno di
loro ha illustrato un articolo della Carta
Costituzionale, con un approfondimento, una chiarezza e una determinazione nella loro giovane esplicazione,
che ha colpito molti dei presenti, che
hanno visto in quest’incontro tra generazioni il senso profondo di queste celebrazioni: non solo ricordare ma
consegnare memoria, valori ed impegno a chi è venuto dopo. Tra un grande
pranzo alla “nostra” Pirenta e la posa
dell’ultima corona nel tardo pomeriggio
al monumento che a Mombello Monferrato ricorda i caduti di tutte le Formazioni Partigiane della zona, è
trascorso questo venticinque aprile
duemiladieci.
Stefano Remelli
Consiglio nazionale a Villa Meardi - Voghera
Elezioni degli organi previsti dall’articolo 8 dello Statuto
Varie ed eventuali.
Il giorno seguente giovedì 24 CERIMONIA AL PENICE
Ore 9: trasferimento da Villa Meardi in pulman al Sacrario
Ore 10: ricevimento Autorità. Santa
Messa celebrata dal Cappellano
don Aldo Benevelli
Omaggio ai monumenti dei Soci
fondatori e dei caduti militari
Intervento delle Autorità e del Sen.
Paolo Rossi del Raggruppamento
Patrioti “Alfredo Di Dio”
Ore 12,30. Rientro a Villa Meardi
per pranzo
L’invito al Sacrario al Penice è
esteso ai familiari ed amici (specialmente ai nuovi soci delle Associazioni Partigiane). Saranno
ospiti molto graditi dei Veterani che
li accoglieranno fraternamente.
Il Presidente Guido De Carli
DA CESENA
Il lamento del vecchio partigiano
Riceviamo dall’amico Pietro Vaenti, vegliardo combattente della Libertà in Albania dopo l’8 settembre, Presidente
dell’Istituto Storico dei lager nazisti
della Città di Siena. Sono amari interrogativi che condividiamo…specialmente nella annuale atmosfera del 25
aprile, anche se ormai trascorsa.
“Amici, un altro anello si è aggiunto al
mio fortunoso percorso, con tanti interrogativi su il mio essere uomo, su le
mie debolezze e fragilità, su quanto ho
creduto di perseguire.
Sono quegli ideali, quelle finalità ancora sentite, condivise o rifiutate da
portarne vergogna e da arrossirne?
E, con tristezza mi viene di pensare al
prossimo 25 aprile e NOI, con quale
animo vi partecipiamo? Mortificati e
perdenti?
NOI, in quei giorni di fede e di ardimento, si era proiettati a nuovi orizzonti per l’Uomo; accoglierlo nelle
diversità, capirne le aspirazioni, essere
fratelli nel bisogno. E, se ancora coltiviamo gli stessi ideali, perché restare
muti, senza reagire al soffocante baccanale, negazione di ogni etica, in cui
tutto è lecito, esaltata ogni licenza
come valore? E che dire per la venerazione del “Vitello d’Oro”, con i suoi riflessi immondi e devastanti? A quando
un Mosè che fustighi e nuovi cavalier
serventi? E’ triste!
Ad una pressante cultura tesa alla negazione di ogni etica, che esalta ogni licenza, insorgiamo.
NOI tutti, prossimi al Grande Incontro,
non abdichiamo ad essere uomini col
nostro passato e con la nostra identità;
rifiutiamo, respingiamo questa asfissia
che inaridisce l’animo e uccide l’uomo.
Eleviamo, come in allora, la nostra bandiera; suoniamo la nostra diana; illuminiamo di luce nuova i nostri penosi
ultimi giorni.
Vi abbraccio”
Pietro Vaenti
DA VERONA
Festa di popolo a San Massimo all’Adige
Nei giorni che succedettero all’8 settembre
1943, nei pressi di S. Massimo all’Adige , i ferrovieri rallentavano i treni per far scappare i militari in fuga, che i tedeschi attendevano al varco
a Porta Nuova per catturarli e deportarli.
Ed è a S.Massimo che moltissimi di essi ricevettero qualche abito borghese, un pezzo di
pane, un consiglio, una buona parola,…
L’antico Comune di San Massimo all’Adige
perse la propria autonomia nel lontano 1927 ed
è – oggi – un Quartiere di Verona che, malgrado
il suo sviluppo urbano e demografico, è riuscito
a mantenere una certa sua tipicità e – in qualche
modo – a coinvolgervi gli abitanti aggiuntisi nel
tempo. Ed è tipico anche e sicuramente un
buon senso di “comunità” , oggi così poco frequente nei grandi agglomerati delle città, ove
ognuno è “solo tra la folla”.
Così è diventata tradizione che San Massimo
festeggi il proprio 25 aprile “in famiglia”, nella
grande famiglia del Quartiere. Ed è il 25 Aprile
dell’A.V.L. veronese. Così anche quest’anno la
Il Presidente della FIVL Piemonte, Giulio Cravino
Sezione dei Volontari della Libertà, con l’instancabile opera di Antonio Rettondini, in collaborazione con gli Alpini del Gruppo ANA di
San Massimo “nel fermo convincimento che la
memoria di coloro che – sui monti, nelle pianure, nelle città, nei campi di sterminio e di prigionia – hanno donato la vita per riconquistare
all’Italia e all’Umanità intera il bene supremo
della Libertà e della Dignità non debba né andare offuscata nel tempo né dimenticata”, come
sta scritto nel bel manifesto-invito, hanno celebrato con folta, spontanea e sentita partecipazione della gente, la Festa della Libertà:
S.Messa, breve corteo al Monumento ai Caduti e
discorso di Ivan Zerbato, saluto dell’On. Flego
che – in fascia tricolore rappresentava il Sindaco Tosi. A conclusione, un “brindisi dell’Amicizia” nella Baita degli Alpini.
Ottime e brillanti le esecuzioni del Corpo Bandistico di S. Massimo che hanno accompagnato
la giornata.
Gigi GRONICH
Non solo furti di vitelli, galline e tabacco!
PAGINE DI STORIA DELLA RESISTENZA: “EPOPEA D’AMORE”
COME L’HA VISSUTA UN GIOVANE PRETE CAPPELLANO DI FORMAZIONE GARIBALDINA
Ben lontano da qualsiasi capriccio preferenziale
di categorie culturali o…religiose, questa rubrica
che Libertà del Popolo dedica a figure di Cappellani di Formazioni partigiane e Sacerdoti o Religiosi martiri vuole essere anzitutto obbedienza
rigorosa e doverosa alla Storia della Resistenza
affinché ogni pagina autobiografica o di testimonianza credibile possa far scoprire dalle generazioni post 1943-45 modelli di umanesimo
nobilissimo e di eroica oblazione a servizio del
Paese. Non pecca di enfasi la frase uscita dalle
labbra di Papa Benedetto XVI allorché partecipando ad una celebrazione del sacrificio d’un Sacerdote trucidato dalla violenza nazista disse ai
fedeli: “voi avete e venerate questi vostri santi!”
Cominciamo col presentare in questo numero
passaggi luminosi del diario di un giovane prete
genovese schieratosi, già nella parrocchia di Genova-Bolzaneto, dalla parte della opposizione operaia alle continue vessazioni delle impietose
polizie nazifasciste, braccato poi giorno e notte
dalle medesime e salito, con la benedizione dell’Arcivescovo, sulle montagne liguri accanto alle
Formazione garibaldine.
Queste poche pagine rivelano la purezza cristiana d’un pastore che diventa un polo di simpatia, di stima, di genuina amicizia per uomini adusi
a vita povera, isolata, aspra, rischiata 24 ore su
24, di diverse culture e fedi.
Quelli che ancora oggi caricano scritti e discorsi
sulla Resistenza di delitti, rapine e viltà abbiamo
l’onestà di bere qualche sorso di storia limpida
del prete partigiano don Berto, al secolo Mons.
Bartolomeo Ferrari.
Dentro rocce indurite dall’odio e dalla ferocia
scopriranno un filo nascosto d’una sorgente che
i poeti della Bibbia chiamerebbero AMORE. Un
Amore che portò a dare la Vita (a.b.)
“La sera venne a cercarmi Jack assieme a Jim.
Essi mi confidarono che in quella notte avrebbero
avuto un abboccamento con due capi partigiani.
Li pregai di condurmi a conoscerli. Facemmo le
presentazioni. Uno di essi, non più giovane, piccolo di statura, era Carlo, il Comandante della formazione. L’altro, giovane e alto, era Oscar,
Comandante di un distaccamento. Parlammo a
lungo. Essi mi parlarono della loro vita partigiana.
Delle loro attività e delle azioni compiute. C’era
nelle loro parole un grande entusiasmo, una
grande fede. Ne fui contento. I partigiani erano
come li avevo sognati. Come li vedeva la parte
sana del popolo, che da essi, dai loro sacrifici, dai
loro rischi attendeva la liberazione e un domani
migliore.
Prima di lasciarci manifestai ad essi il mio desiderio di far parte della loro formazione quale Cappellano.
Carlo
mi
abbracciò.
Era
commosso.”Anche se son comunista” mi disse,
“ho piacere che tu venga in mezzo a noi. Io rispetto la libertà di tutti. Abbiamo con noi tanti ragazzi che son religiosi. Avrai modo di svolgere
liberamente il tuo Ministero. E poi la presenza di
un prete in mezzo a noi sarà di vantaggio a tutta
la formazione”
…….
Va con la mia benedizione
“Col cuore che mi batteva mi feci annunciare da
S.E.il Cardinale. Gli narrai delle continue ricerche
che faceva di me la Questura. Delle frequenti visite degli agenti a casa mia, della scoperta del mio
nascondiglio. Mi era quindi impossibile tornare al
mio lavoro quotidiano. La vita di nascondimento
condotta fino a quel giorno mi snervava.
“Che vuoi fare dunque, mio caro figliolo?”
“Eminenza, vorrei dirle una cosa”, dissi titubante.
“Dimmi. Che vuoi?”
“Vorrei dire a V.Em. una cosa per la quale non desidero un “sì”, ma vorrei che V.Em. non mi dicesse no”.
“Sentiamo. Hai un’aria così piena di mistero questa mattina!”
“Eminenza, mi sono incontrato con due capi partigiani. Ho chiesto ad essi se mi volevano come
Cappellano della formazione. Hanno accettato
con entusiasmo. Mi sentirei così a mio agio in
mezzo a quei ragazzi! Sono pronto però all’ubbidienza, se V.Em. non mi permette, rinuncio, sia
pure a malincuore, ad un desiderio che mi tormenta da tanto tempo”.
“Caro figliolo, di sì non te lo dico. Non perché io
abbia paura. Tutt’altro. Non vorrei però che il mio
consenso, conosciuto dalla Questura o dai tedeschi, portasse una rappresaglia sul Clero genovese. Son già tanto presi di mira i preti che fanno
il loro dovere. Di no non te lo dico manco.Non te
lo posso dire. Il bene che si fa anche a costo di
sacrifici, di gravi sacrifici. Quei ragazzi hanno diritto anch’essi ad avere un’assistenza religiosa,.
Anzi più degli altri, perché vivono in continuo pericolo. Qualcuno deve pure andare in mezzo a
loro a parlare di Dio, a frenarli negli eccessi,se ce
ne fosse bisogno, ad occuparsi della loro anima.
Mi sento però in dovere di avvertirti che la cosa è
quanto mai pericolosa. Potresti anche non tornare. Sai che quella gente non scherza. Se ti prendono complimenti non te ne fanno. Non ci
sarebbe che per te la fucilazione.
Le parole del Cardinale mi scesero nell’anima.
Non mi poteva essere di più padre.
“Eminenza, cercherò di non lasciarmi prendere.
Non dovessi più tornare, la mia vita sarà stata
spesa bene”.
Il Cardinale Arcivescovo mi fissò negli occhi:
“Allora, figliolo, va con la mia benedizione. Il Signore ti accompagni. Cerca di fare tanto bene in
mezzo a quei ragazzi, chè pur essi hanno
un’anima da salvare”
Mi inginocchiai. Il Cardinale mi benedisse. Gli baciai l’anello e mi congedai”.
…….
Il mio primo processo
Seduto sull’erba era un uomo in camicia nera.
Due uomini armati lo guardavano a distanza.
Chiesi a Boro chi fosse. Era un milite della G.N.R.
arrestato nei pressi della stazione di Ovada da
Pino. C’era stato segnalato dal CLN di fondo valle.
Mi avvicinai al giovane e mi sedetti vicino a lui.
“Come ti chiami?” gli chiesi. “Cossu Ferdinando”.
“Di dove sei?”. “Di T.”. “Quanti anni hai ?”. “Ventidue”.
“Come mai ti trovi qui in mezzo a noi?”. “Fui arrestato stamattina da uno di voi”. Il giovane rispondeva calmo. Ne fui meravigliato. Era evidente,
però, un po’ di smarrimento. “Dimmi, che ne
pensi dei partigiani?” “La propaganda ha sempre
detto ai quattro venti che i ribelli sono dei ladri,
degli assassini, della gente che non ha voglia di
lavorare. A me, veramente, come prima impressione, mi sembrate dei buoni ragazzi. Vedo che vi
volete bene. Siete disciplinati e corretti. Anzi siete
di una gentilezza inaspettata”.
Il martedì pomeriggio il prigioniero fu condotto al
Comando per il processo. Simba (che nella vita civile era un avvocato) fungeva da giudice istruttore.
Moritz da cancelliere. Il prigioniero da prima era
reticente. Ammise poi la verità delle accuse imputategli. Anzi, diede lui stesso particolari non
conosciuti.
I capi d’accusa erano i seguenti:
a) uccisione del partigiano Black.
b) d’aver fatto da guida ad un camion di bersaglieri
che andavano in rastrellamento, la Pasqua precedente. Non era arrivato in zona per non so quale
impedimento. A far da guida si era offerto lui, volontariamente.
……
La corte aveva deliberato. Tornava per pronunciare la sentenza. L’imputato era in piedi. Mi misi
al suo fianco. Non volevo fosse solo. Si voltò a
guardarmi. Sentiva la mia presenza. Il Presidente
cominciò a leggere: “Sentite le accuse contro l’imputato Cossu Ferdinando, sentiti gli argomenti di
difesa dell’avvocato difensore, in nome del Governo Bonomi e del C.L.N. Cossu Ferdinando è
condannato a morte mediante fucilazione al
petto”. Il giovane rimase calmo ed imperterrito
come durante tutto lo svolgimento del processo.
Si volse verso di me con voce ferma e sicura e mi
disse: “Prima voglio confessarmi e comunicarmi”
…….
Dietro mio consiglio scrisse una lettera alla
mamma. La riporto integralmente. Merita d’essere
conosciuta.
“Mamma carissima, mi rimangono ancora poche
ore di vita e queste le dedico pensando a te ed alla
salvezza della mia anima. Ho qui con me un Cappellano che mi parla di te e di Dio. Muoio serenamente perché ho la coscienza a posto. I partigiani
che mi catturarono e mi processarono non sono
dei banditi come ci dicevano, ma bensì bravi ragazzi che amano la loro terra e il loro prossimo.
Soffro solo pensando a te che tanto mi hai voluto
bene, e adesso dovrai rimanere sola. Abbi sempre
fiducia in Dio e vedrai che presto la nostra Patria
sarà libera e indipendente. Non piangere la mia
morte, io muoio in grazia di Dio. Non pensare alle
mie ultime sofferenze. Vedi? Io non tremo, pensando alla morte, muoio con la calma mia abituale. Come ultimo desiderio ti dico di opporti a
provvedimenti che i fascisti vorranno prendere
per vendicarmi. Dirai loro che io non voglio la
loro vendetta. Se veramente volessero vendicarmi
dovrebbero accoppare il fascista che mi ha tradito
e che perdono. Al grido di Viva l’Italia libera ed indipendente io saluto te e i parenti tutti. Con tanto
affetto ti abbraccio e ti bacio per l’ultima volta.
Tuo Nando”
Volle anche fare testamento. Ai partigiani lasciò
le cose di cui era in possesso al momento dell’arresto. Alla cassa della formazione i soldi che
aveva nel portafogli. Non volevo accettarli. “Tua
madre” gli dissi “potrebbe averne bisogno”. “Cappellano, non si opponga a questa mia ultima volontà. Mia madre lavora e guadagna quanto le
basta per vivere. Voialtri ne avete più bisogno di
lei” Lo presi sottobraccio ed uscimmo all’aperto.
Ci avviammo al luogo designato per l’esecuzione.
Era la prima volta che assistevo un condannato a
morte. Ero agitatissimo, forse anche tremavo. Il
giovane se ne avvide. Si voltò verso di me e mi
disse: “Cappellano, si faccia coraggio” Cercai di
farmi forza e di nascondergli il mio stato d’animo.
Ci fermammo. Eravamo giunti sul posto designato. Gli dissi le ultime parole. Ciò che può dire
un prete ad un uomo che sta per morire.
“Cappellano” mi disse ad un certo momento “le
chiedo scusa perché lei ci rimarrà male al vedere
il mio corpo crivellato di colpi”. “Figliolo, fra
poche ore sotto questi alberi celebrerò la Messa a
suffragio della tua anima. Tu, nella vita dell’al di
là, pregherai per me, per il mio pericoloso Ministero. Pregherai per tutti i partigiani” Commosso
mi fece promessa. I compagni mi fecero cenno di
ritirarmi.
Sul suo cadavere recitai le preghiere dei morti.
Era l’una e dieci del 13 settembre 1944. La morte
di questo giovane fu l’argomento delle nostra conversazione protratta fino al mattino. Il suo ricordo
sarà rievocato spesso sulla montagna.
(La sua condanna fu la sua punizione del suo
agire. La sua morte fu dettata dalla dura legge
della montagna. C’eran le leggi Bonomi che additavano le norme da seguire. L’operato dei partigiani era regolato da queste leggi)
……………….
La messa domenicale
La domenica era il giorno degli incontri tra gli uomini dei diversi distaccamenti. La distanza e gli
impegni li tenevano lontani per tutta la settimana.
Il piccolo piazzale rigurgitava di uomini armati.
Eran vestiti in mille modi. Colori diversi, fogge diversissime. Divise da carabiniere, da soldati tedeschi, americani, della X MASS, del Battaglione
San Marco. Vestiti borghesi, da contadini, da
montagna, qualcuno con abiti da città. Una fantasmagoria da veri ribelli. Anche l’armamento era
diversissimo. Pistole di ogni calibro, bombe a
mano italiane, tedesche, inglesi, francesi, Moschetti, Mauser a ripetizione, mitra, sten ecc… Al
mio richiamo i ragazzi si inquadravano ciascuno
secondo il proprio distaccamento. In ordine entravano nella piccola chiesetta. Strano contrasto
delle cose. Tutto quell’armamento nella casa del
Re della Pace.
Al Vangelo mi voltavo verso di essi e dicevo loro
qualche cosa. La mia voce diventava la eco della,
voce stessa di Cristo nella sua dottrina. I miei ragazzi mi ascoltavano con attenzione. Lo sentivano
così buono Gesù nella narrazione della sua vita.
Così grande nella potenza dei suoi miracoli. Tanto
reale nel Vangelo. Narravo ad essi della misericordia di Cristo. Del Suo amore per la giustizia.
…….
Ad un certo punto i partigiani si radunano in un
prato. Salgo su un rialzo del terreno. Tutti fanno
silenzio. Comincio a parlare. Parlo dei principi basilari della vita dell’uomo. Dei principi morali che
sono alla base dell’intelligenza, del cuore, della
volontà. Dei principi morali che devono governare
la vita di ogni uomo. In ogni attività.
Altre volte dicevo ancora: Ragazzi miei, non fate
alcuna cosa contro giustizia. Oggi comandiamo
noi, perché abbiamo le armi in pugno. Ricordate
però che domani saremo certamente chiamati a
render ragione al nostro operato di oggi. Dio non
voglia che non abbiamo a diventare gli squadristi
del domani. In ogni nostra azione lasciamoci guidare dall’onestà e dalla giustizia”
I ragazzi mi ascoltavano con evidente interesse.
E posso dire con tutta coscienza che le mie parole fecero presa sul loro cuore. Tanti eccessi furono evitati.
(dal diario di don Berto pubblicato con ben 4
edizioni successive dalla prima del 1946)
L’AVVENTURA DELLA SQUADRA MICHELETTI
SCELTI 4 DELLA VAL CORSAGLIA PER LA MISSIONE “INSIDE”
Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire
quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di
blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle
di Franosa Sottana.
Verso il 24/25 settembre 1944, Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi.
Quando fu di ritorno nel Distaccamento, mi descrisse,
un po’ eccitato, l’accaduto.
Secondo la logica versione dei Comandanti, l’avvicinarsi
della stagione invernale e la quasi certezza che le operazioni belliche non si sarebbero concluse entro l’anno,
imponeva, per la sopravvivenza dei combattenti della Libertà, l’adozione di rapide, positive soluzioni, non ipotizzabili senza un poderoso aiuto dall’esterno.
Da questa indifferibile esigenza, nasce l’iniziativa di rivolgersi al neonato governo del Sud, di concerto con il
Comitato Regionale di Liberazione Piemontese , e l’appoggio del grande amico, Maggiore Temple, per segnalare le principali carenze che mettevano in grave
pericolo non solamente i soggetti combattenti ma, altresì, tutti i civili della zona.
Per fronteggiare tale seria contingenza, si rendeva pertanto necessario contattare tempestivamente e senza
indugi, il nuovo governo centrale, presieduto da Ivanoe
Bonomi, da poco insediato a Brindisi.
Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia
che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti
e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri , Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro
di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la
meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della
scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare.
Ed eravamo pure all’oscuro del recente potenziamento
delle guarnigioni “repubblichine” disseminate sull’intera riviera di ponente, rientrate dalla Germania dopo un
teutonico rigoroso addestramento.
I precitati partigiani, ignari dei grandiosi eventi che li circondavano, accettarono tranquillamente, dopo un rapido scambio di idee, di formare un compatto gruppetto
destinato ad assolvere tale incombenza, senza avvertire
il pericolo che li sovrastava.
Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza
degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista
canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio).
Se non sbaglio, potrebbe chiamarsi Secondo Balestri,
emiliano di origine.
Elenco, non tutti, i nomi che ancora ricordo: Capitano
Lees, rigido Ufficiale effettivo inglese che coordinava il
comportamenti dei suoi sottoposti, Capitano di complemento sud africano Long, disegnatore, esperto nel
campo della fotografia, Caporale scozzese Mac Clelland,
soggetto estroverso e coraggioso , Larousse Sergente
americano di etnia francese, Jan Smiths di asserita dubbiosa origine rodesiana, Pat, forse inglese, ed altri tre o
quattro militari, dei quali ricordo la fisionomia, ma non
il cognome e la provenienza.
Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero,
il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie
condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove
pernottammo. Come è noto, detto Comune, alla fine
della guerra venne annesso alla Francia, e la frazione
Piaggia, rimasta italiana, divenne Comune ed assunse la
denominazione di Briga Alta.
Sempre percorrendo i secolari tratturi montani, allungando il percorso, aggirando tutti i centri abitati, ed addirittura anche le costruzioni isolare, al fine di evitare
spiacevoli incontri che avrebbero potuto compromettere
la nostra iniziativa, dopo un secondo faticoso giorno di
marcia, arrivammo, sfiniti, a Pigna, ubertoso Comune
medioevale dell’alta Valle Nervia.
La nostra stanchezza derivava non solo dalla faticosa
marcia su un terreno pietroso ed accidentato, ma, soprattutto, per l’ininterrotto aiuto prestato ai baldi “guerrieri” che accompagnavamo. Evidentemente l’eccessivo
benessere rende l’uomo rammollito..
All’arrivo nella piazza del Paese, rilevammo sorprendentemente una atmosfera festaiola e tanto allegra. Appurammo che quegli eccitati cittadini stavano
festeggiando alla grande la Festa patronale di San Michele.
A Pigna ci accorgemmo che la frontiera, sia quella ma-
Nino Micheletti, medaglia d’oro
rina, che l’adiacente territorio montano, pullulava di militari repubblichini e di tedeschi. Noi ignoravamo al
momento della partenza da Rastello, l’avvenuto potenziamento di quel tratto di confine, conseguente al recente sbarco delle truppe alleate nella vicina Provenza e
la liberazione di Nizza.
La situazione, già di per sé difficile all’origine, si stava
aggravando di ora in ora, mettendo a rischio il nostro
arduo progetto.
Intanto avvertimmo che la nostra presenza in loco era
stata già segnalata ai nazi-fascisti ed ai tedeschi acquartierati nei Comuni di fondo Valle, non ricordo più se
a Dolceacqua o Isolabona.
Ci consultammo tutta la notte Micheletti ed io. All’alba,
usciti nella strada, incontrammo poche persone tutte
esitanti nel rispondere alle nostre caute domande. Stavamo per rientrare alla locanda, al limite della disperazione, quando, alzando lo sguardo, ebbi la sensazione
che quel giovanotto appena uscito da una portina laterale, dovevo già averlo incontrato. Mi avvicinai lentamente.. Lui mi riconobbe per primo e mi abbracciò
dicendomi :”ma tu sei quel partigiano che io incontrai
a Fontane nel mese di luglio e che con altri partigiani
della Valle Corsaglia ci aiutò a sopravvivere?”
Insomma, un imprevisto colpo di fortuna..
A questo punto, intervenne Micheletti e poté esporre
apertamente la nostra situazione ed i gravi problemi che
dovevamo ancora risolvere. Ci mise in contatto con due
Comandanti garibaldini che non finivano di ringraziarci
per la generosa accoglienza e l’aiuto prestato alle formazioni garibaldine, in rotta a seguito dei consueti impietosi rastrellamenti.
Ci assicurarono che nel giro di una mezza giornata ci
avrebbero fatto conoscere le fidate persone idonee a risolvere i problemi che ci angustiavano.
Siamo rimasti increduli sino all’arrivo dei protagonisti..
Convenimmo di dividere in piccolo gruppetti gli uomini
da espatriare. Così si sarebbe reso meno visibile e pericoloso il movimento di uomini nella vicinanza della
frontiera. Un gruppetto si sarebbe avventurato sui sentieri montani ben conosciuti dai partigiani locali. L’altro, invece, via mare, su di un barcone condotto da due
muscolosi rematori figli di partigiani.
Alcuni “alleati” ai quali avevamo riferito la situazione in
atto, si dimostrarono un po’ esitanti, forse paurosi e
scelsero di ritornare con noi tre partigiani del monregalese, confidando nella imminente fine della Guerra.
Non furono profeti…. Due di essi caddero nel corso del
tristissimo rastrellamento di fine 1944.
Tenendo presente l’urgenza degli adempimenti affidati
ai due emissari, decidemmo, sempre d’intesa con i nostri inaspettati generosi amici, di includere nel primo
gruppo il prof. Bessone. L’Avv. Astengo, il Capitano inglese Lees ed il radiotelegrafista Biagio.
Costoro, il 2 ottobre si avviarono verso i sentieri montani, accompagnati da due esperti locali e, come si seppe
poi, raggiunsero dopo molte fortunose peripezie il luogo
stabilito.
La spedizione del secondo “quartetto” (cap. Long, giornalista Morton, militare scozzese Mac Clelland, sergente
Larouche) si rivelò molto più complicata e rischiosa, nonostante i costanti, generosi aiuti dei garibaldini locali.
Infatti, i tedeschi da diversi giorni insediati nel fondo
Valle, probabilmente avvertiti da qualche spia, iniziarono un intenso, fitto bombardamento sulla zona di
Pigna, seguiti da un ampio rastrellamento che compromise il “piano” concordato , già pronto per essere attuato, via mare.
Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Vale Corsaglia. Gli assalitori,
come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti. Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete,
il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati. Dopo dannosi imprevisti salirono su uno sgangherato barcone e
riuscirono a raggiungere Montecarlo. Non ricordo più il
giorno della loro partenza (forse il 6-7-8- ottobre) ed
ignoro i gravi rischi sofferti ed i contrattempi superati in
quella delicata circostanza. Su di un volume redatto
qualche decennio dopo dal giornalista Morton, ho trovato alcune verità e molta fantasia, descritta secondo
schemi romanzeschi.
Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima
di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali (Curo e Vittò) ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di
abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione
monregalese.
Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa
ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle
loro Formazioni in un momento tragico e disperato.
Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese.
Luigi Mondino
3
MEDAGLIONI DA RISPOLVERARE
Per crescere nell’amore della libertà e della pace
Un ricordo inedito
di Ignazio Vian
Erano notti di terrore
“Ricordo quella triste notte, che gli sgherri
fascisti, agli ordini degli assassini di Oltralpe, lo portarono in infermeria.
Erano tempi di terrore. I tedeschi tutte le
notti ne portavano di moribondi, e ne prelevavano sia per i servizi, che per le spedizioni
in Germania. La notte prima avevano prelevato due israeliti, uno di 75 anni ed un altro
sciancato che mal reggevasi su due grucce.
Ho ancora nel cervello i loro pianti, le loro
invocazioni di pietà…..
Com’è possibile cancellare tali voci?
Quando verso le undici, sentimmo il passo
cadenzato degli Unni, una morsa al cuore ci
avvinse. Fra i compagni di dolore, venne naturale la domanda: “A chi toccherà?”. Ma
sentimmo deporre la portantina e la voce
roca e gutturale del Maresciallo, che ordinava ai secondini di vietare in modo assoluto il contatto del ferito con chiunque,
all’infuori del medico.
Cinque minuti dopo il rag. Ettore Minucci,
che allora era il “deux ex machina” dei tedeschi, ma allo scopo di aiutar noi (ed infatti
per suo merito molti furono salvi, compreso
lo scrivente) entrò nella mia cella che era accanto a quella assegnata al nuovo arrivato.
“Svelto Papalone, dammi due uova, per preparare uno zabaglione per il nuovo arrivato.
E’ dissanguato. Si è svenato. E’ un Patriota,
vediamo se possiamo salvarlo”. Balzammo
tutti dai lettini, e contrariamente agli ordini
severissimi loro erano partiti e noi in loro assenza eravamo un po’ liberi accorremmo al
suo capezzale.
E’ indimenticabile la sua figura: la lunga
barba, che da sola spiccava sul suo ieratico
volto, bianco, affilato, gli occhi vitrei, la
bocca mobile, pareva un santo all’attimo del
gran passaggio.
Minucci di corsa era andato a preparare uno
zabaglione, ed ora si curvò sul morente, per
fargli ingoiare qualche goccia di liquido, per
vedere di rianimarlo. Accorsero subito i dottori
Barnabò e don Canale anch’essi detenuti.
Telefonò d’urgenza il capoguardia (bravissimo) al dottor Rossi che subito arrivò, e decretarono di fargli una trasfusione di sangue.
Un detenuto, credo il buon Ostetto, offrì il
plasma. Verso le due, il poverino riprese conoscenza.
Nessuno di noi voleva uscire da quella cella,
malgrado gli ordini del Capo Guardia, che temeva l’arrivo dei tedeschi, con tutte le conseguenze, per noi e per lui. Furono i dottori
ad imporci l’allontanamento, per lasciare
tranquillo il degente.
Tutta la notte nell’infermeria nessuno dormì,
eravamo in ansia per la sorte del prigioniero.
Al mattino sapemmo che era il Capitano
Vian. Nel giro per la distribuzione del pane,
la guardia di servizio ci disse che nella cella
del braccio ove s’era svenato, aveva scritto,
con un moncone di fiammifero, la storica
frase: “Piuttosto che tradire meglio morire”.
Ci mettemmo d’accordo tutti i detenuti politici di fare una istanza al Direttore delle carceri perché detta frase fosse difesa, per poter
tramandarla al dopo, in testimonianza della
dirittura morale del Martire. Ma purtroppo il
Direttore ci comunicò essere stato impossibile, in quanto l’Alfredo, il torturatore degli
Italiani, lui belga ed ebreo, l’aveva fatta subito cancellare, facendo raschiare il muro e
passare una mano di calce.
Al mattino vennero i tedeschi per un nuovo
interrogatorio. Volevano sapere il motivo del
tentato suicidio. Gli promisero la libertà immediata. Lui muto. Non parlò. Svenne. Il dottore pregò i torturatori di sospendere
l’interrogatorio date le precarie condizioni fisiche del detenuto.
Ritornarono alcuni giorni dopo, e tutti i
giorni per ore ed ore ebbe quella persecuzione. Volevano avere i nomi, luoghi ed altre
informazioni; lui si chiuse in un mutismo
esasperante, anche dietro la seduzione di
immediata sua libertà, che certamente non
gli avrebbero concessa.
Dopo inutili tentativi sospesero, e finirono di
lasciarlo un po’ tranquillo, lui e noi, perché
anche noi condividevamo le sue sofferenze,
chè tutti noi politici, per manifestargli la nostra solidarietà, allontanati gli inquisitori,
eravamo al suo capezzale.
Ricordo che l’amico Don Canale, un giorno
ci presentò quali eravamo. Rivolto a me gli
disse: “Vedi questo vecchiotto, oltre lui ha
nel reparto donne anche l’unica sua figlia,
4
Ci ha lasciato lo scultore partigiano
RICCARDO DUNCHI
Caro Nardo, ho letto della tua scomparsa nel “Tirreno” dell’8 maggio u.s.
che riportava la notizia in prima pagina
e puoi immaginare quale sia stato il
mio stato d’animo. Ormai sono rimasto
solo!
Nella cronaca, il tentativo di ricostruire
il tuo eroico periodo da partigiano è andato…a farsi benedire, con il trionfo
“more solito” della superficialità e della
non conoscenza dei fatti, sorvolando o
quasi il periodo più prestigioso della
tua attività di partigiano: quello trascorso a Cuneo.
Non hai bisogno di essere qualificato
per le amicizie di Parri, Calamandrei o
Bocca, con i quali non mi risulta Tu
abbia mai portato a termine atti di guerriglia!!! E né tanto meno con l’attribuirti la “creazione della prima banda
di Boves” ignorando volutamente, perché cattolico, Ignazio Vian – medaglia
d’oro, l’autentico leggendario protagonista delle tragiche giornate di Boves,
successivamente catturato dai tedeschi, torturato ed impiccato (22 luglio
’44) in Corso Vinzaglio a Torino, la cui
figura è sempre stata portata da te ad
esempio.
Carissimo compagno d’armi, non hai
bisogno di essere “incensato” da leggende. Vai ricordato per aver immediatamente
aderito
all’appello
di
Galimberti del 25 luglio ’43, e per il tuo
essere refrattario ad ogni disciplina, da
colpevole solo di essere figlia di un socialista”.
Vian a quelle dichiarazioni di Don Canale, rivolto a me: “Allora tu sei socialista? Anch’io
sono delle tue idee, solo che, voi socialisti
essendo materialisti, non posso accordare la
mia fede religiosa ai vostri principi filosofici,
ma il cristianesimo è per essenza il vero socialismo”.
Da questo spunto provocato dal caro Don
Canale, nacquero lunghe discussioni quotidiane, che maggiormente ci avvicinarono,
per quello spirito di comprensione cordiale,
che animò i due gruppi contendenti, ove
ognuno sosteneva il suo punto di vista politico e filosofico.
Ho ancora presente quando Vian, ad una mia
affermazione recisa di materialismo, sorridendo mi disse: “Ammiro la tua fede, pur
non condividendola, e ammiro in special
modo che in questo momento così pericoloso, tu abbia il coraggio di sostenerla, di
fronte a tanta viltà di uomini, che per un piccolo beneficio rinnegherebbero anche la loro
famiglia, non solo la coscienza, che purtroppo non hanno”. Lo disse con tale slancio e convinzione, che noi tutti ci sentimmo
commossi, ed abbracciandolo lo ringraziai
per la sua comprensione.
Purtroppo fu l’ultimo abbraccio.
I giorni successivi, furono per l’infermeria
tragici. Avevano rastrellato Dronero e le sue
vallate, e giunsero alle Nuove parecchi camion carichi di donne, uomini e bambini,
compresi molti ammalati, i quali vennero
portati in infermeria. L’andirivieni dei tedeschi nel reparto, per gli interrogatori, ci impedì di uscire dalle celle e trovarci.
Una mattina, vennero a prelevare il povero
Vian, ancora sofferente ed ammalato, e apprendemmo che l’avevano trasferito nel
Braccio Tedesco.
Minucci un giorno ci annunciò che avevano
telegrafato alla Mamma di Vian, di venire a
Buon anarchico carrarino, che ti tenne
fuori da ogni Formazione organizzata,
specie se politicizzata, preferendo
l’azione solitaria o con il fedele Ezio
Aceto. E così realizzasti la distruzione
del ponte di Vernante interrompendo il
traffico ferroviario dell’esercito tedesco
con la Francia, e partecipasti al colpo
all’aeroporto di Mondovì, ove dopo il
progettato prelevamento dei fusti di
benzina, grazie al tuo coraggioso e tempestivo intervento, vennero catturati i
5 soldati della Wermacht che si trovavano a transitare nel luogo e nel momento sbagliati (27 dicembre 1943).
Vanno ricordati, altresì, le azioni di sabotaggio ideate mentre eri ospite del
Capitano Cosa in Val Pesio (Albergo
Dama Bianca in S. Bartolomeo) e realizzate insieme: la distruzione del silurificio di Beinette e dei tralicci dell’alta
tensione in Busca che fornivano l’energia in tutta la Liguria, ma soprattutto
la rocambolesca missione, affiancato
da Aldo Viglione e da Ezio Aceto, a Limone Piemonte, presidiata dai tedeschi, per catturare l’Ufficiale della
G.N.R. reo di spionaggio nella Banda
Cosa.
Ma ciò che ti fa più onore e costituisce
– a mio parere – la pagina più bella del
tuo passato è l’aver dato vita, con Ezio
Aceto e Franco Ravinale, nel mentre si
concretizzava la Resistenza in montagna, a quella leggendaria figura di “colpisti” che scorazzavano in auto per la
pianura compiendo atti di sabotaggio e
colpi di mano che impressionarono il
nemico. Ribelli tra i ribelli, coraggiosi,
si erano creati, alla maniera dei “cavalieri della tavola rotonda” una meritata
aureola di fama e di simpatia tra la popolazione e gli stessi partigiani. Operando di giorno e di notte, creavano un
clima di tensione nelle file nemiche,
suscitando nel contempo nei giovani
un vivo desiderio di partecipazione alla
lotta armata (cfr “Un romano tra i ribelli” – Primalpe Cuneo)
A presto Nardo, con gli amici che ci
hanno preceduto, per rivivere quei
giorni vissuti da veri uomini, uniti da
una incomparabile amicizia.
Aldo Sacchetti
Commovente saluto dettato da Dunchi e spedito pochi giorni prima di morire al nostro direttore
GUAI A NOI DIMENTICARE LA FRASE
DI LIBERO PORCARI!
Il Generale Libero Porcari è stato per
tutti i partigiani un raro esempio di vivere civile. Un vero Maestro per tutti di
rettitudine e probità. Sempre presente e
capace, animatore di ogni manifestazione che avesse come oggetto il ricordo, la commemorazione o la
testimonianza del modo di essere Italiani, responsabili e onesti cittadini.
Libero Porcari era nato il 12 novembre
1922 a Parma; trasferitosi con la famiglia da giovane nella città di Alba , qui
compì i suoi studi che terminò a Torino;
intraprese nei primi anni ’40 la Carriera
militare frequentando il corso di allievo
ufficiale. Dopo l’8 settembre ’43, già tenente, scelse liberamente le formazioni
di Giustizia e Libertà delle quali fu
anche comandante di brigata, operando
nelle Langhe tra i comuni di Roddino,
Serralunga, Barolo e partecipò alla liberazione di Asti.
Riprese il servizio militare nella rinnovata Italia e divenne generale di divisione.
Diede alle stampe la sua storia di partigiano combattente e fu Presidente della
Sezione Combattenti e reduci della città
di Alba e rappresentante dell’Amministrazione comunale presso l’Istituto
Storico della Resistenza di Cuneo e provincia.
Compagno coetaneo e grande estimatore dello scrittore albese Beppe Fenoglio, amava spesso esaminare, discutere
con tutti i partigiani, Paolo Farinetti, Domenico Gai e tanti altri le varie tematiche e le interpretazioni fenogliane dei
nostri tempi di lotta sulle colline. Molti,
specie i vecchi sulle Langhe, chiamano
semplicemente “allora” i tempi dei partigiani, durante la guerra di Liberazione.
Il merito della Resistenza Italiana è
stato quello di riportare l’Italia in seno
alle nazioni civili. Un impulso di civiltà
e di giustizia per far crescere i valori
della Libertà e della Democrazia nel nostro paese; i valori della crescita sociale
e della solidarietà tra i popoli per un modello di vita migliore. Principi solidi e garanti, assai validi, dei quali c’è assoluto
bisogno, oggi, più che mai.
Il generale Porcari era particolarmente
orgoglioso del nome Libero che suo
papà gli aveva volutamente assegnato; e
voleva che fosse e diventasse il grande
principio ispiratore per tutti; ricordo che
insieme ultimamente abbiamo voluto
commentare ampiamente la copertina
illustrata di “Patria indipendente” numero 11 con quella straordinaria frase
del prof. Claudio Magris: “C’è nel clima
poltico-culturale sempre più dominante,
un’aggressiva negazione dei valori della
democrazia e della Resistenza che forse
ci costringe a ridiventare ciò che speravamo e credevamo di non venire più costretti ad essere, ossia intransigenti
antifascisti.
La frase “Nessuno mai più ci potrà togliere la libertà conquistata con il sangue dei partigiani” era il suo credo ed il
suo comandamento.
Ugo Cerrato
ANCHE NOI ABBIAMO I NOSTRI SANTI:
TERESIO OLIVELLI
Durante la sua audace lotta ed il doloroso calvario
finale ad Auschwitz scrisse la Preghiera del Ribelle
Torino, che il giorno successivo l’avrebbero
liberato.
Fu una gioia per noi tutti…. ma purtroppo
troppo breve.
Nella notte vennero invece a prenderlo, per
poi impiccarlo al mattino in corso Vinzaglio.
Sapemmo, da fonte non accertata, che la
Mamma fece in tempo ad arrivare, per vedere
il suo caro Ignazio penzolare dal cappio….
Non posso descrivere il dolore che noi tutti
provammo a tal tragica notizia…
Ma per noi, ed in modo particolare, per me,
non è possibile dimenticare il suo volto
cereo, affilato, coperto da un’ispida barba,
con gli occhi così dolci, che non un comandante militare sembrava, ma la figura di un
apostolo.”
La dettagliata relazione, pur tardiva, è
giunta a “Rinascita Italia” (foglio del
gruppo Divisioni R del cap. Piero Cosa)
dal carcerato Giovanni Givone, rinchiuso
da tempo nel braccio della Gestapo alle
Nuove di Torino, persona stimata e credibile per la sua preziosa testimonianza
sui commoventi particolari degli ultimi
giorni del martire Ignazio Vian.
“Signore, facci liberi,
Signore che fra gli uomini drizzasti la
Tua Croce, segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello
spirito,
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa,
a noi oppressi da un giogo numeroso e
crudele che, in noi e prima di noi,
ha calpestato Te fonte di libere vite, dà
la forza della ribellione.
Dio, che sei Verità e Libertà, facci liberi
e intensi; alita nel nostro proposito,
tendi la nostra volontà, moltiplica le
nostre forze, vestici della tua armatura.
Noi ti preghiamo Signore,
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora
delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria:
sii nell’indulgenza viatico, nel pericolo
sostegno, conforto nell’amarezza.
Quanto più si addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo fa che il nostro sangue si
unisca al Tuo innocente
e a quello dei nostri Morti a crescere al
mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti: “Io sono la resurrezione
e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una
vita generosa e severa. Liberaci dalla
tentazione degli affetti: veglia sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe
delle città, dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo, sia in noi la pace che
Tu solo sai dare.
Dio della pace e degli eserciti, Signore
che porti la spada e la gioia, ascolta la
preghiera di noi “ribelli per amore”.”
Sottotenente Teresio Olivelli
Perchè l’umanità sappia...
DOCUMENTAZIONE, STUDIO E RICERCHE
1° PUNTATA: UOMINI COMUNI NELL’OPERAZIONE “JOZEFOW”
“Da quieti soldatini della riserva ad assassini addestrati a fucilare ognuno
fino a 100 ebrei al giorno!
Un libretto di 150 pagine dal titolo “Uomini comuni”del Prof. C.R.Browning,
Docente di Storia Americana. Un titolo
di un’opera che a prima vista ti induce
a comprarla per portarla al mare… Si
tratta invece d’una pubblicazione di un
estratto o della poderosa ricerca condotta meticolosamente sul materiale
raccolto in dieci anni dall’Ufficio della
Procura Statale di Amburgo (Staatsanwaltschaft) “Uno degli enti tedeschi più
efficienti e zelanti nelle investigazioni
sui crimini nazisti”
Una singolare situazione per il Prof.
Browning fu la possibilità di leggere e
studiare le trascrizioni integrali degli
interrogatori di 210 militari su un reparto che ne ammontava un totale di
500 circa. Si trattava dal Battaglione
101 composto da anziani riservisti
della Polizia di ordine tedesca. (Ordnungspolizei)
In un primo tempo (autunno 1941)
questi personaggi provenienti da un ordinario servizio di ordine, dopo opportuno periodo di…formazione, furono
impiegati come guardie di scorta dei
treni che deportavano gli ebrei residenti nel terzo Reich. Per ogni convoglio di deportazione veniva fornito un
ufficiale con 15 uomini dell’Ordnungspolizei.
Tra i vari documenti conservati si possono leggere 2 dettagliati rapporti su
un convoglio con il comando del tenente riservista Foschumann e 13 riservisti della Prima Compagnia da
Vienna al campo di lavoro di Sobibor
(14.6.1942)
“Vienna, partenza ore 19 del 14.6.1942.
Carico 1000 ebrei; Sobibor arrivo ore
8,15 del 17.6.1942. Consegna di 949
ebrei (51 depositati a Lublino) – al
campo dotato di camere a gas nascoste
nella foresta (ab)
Nel rapporto il ten. Fischmann lamenta: “I prigionieri non hanno ricevuto né acqua né cibo in 61 ore di
viaggIo”
Il rapporto del secondo convoglio (Colonya.Belzec) redatto dal ten. Westerman riferisce sui rastrellamenti e
massacri di ebrei avvenuti a Colonya e
nei paesi vicini: Kolonya caricamento e
partenza 10 settembre 1942 – Totale
ebrei 8205 su 30 vagoni.Nel rapporto
per il caldo, il soffocamento, la man-
canza di acqua e cibo morirono il 25%;
un numero imprecisato di altri deportati fu ucciso nei ripetuti, disperati,
tentativi di fuga.
Riportiamo letteralmente il capitolo
della Operazione “Jozefow”affidata agli
uomini del Battaglione riservisti 101,
comandato dal Maggiore Trap. C’è da
rabbrividire nel leggere le pagine nelle
quali il Prof. Browning fa emergere la
tragedia personale della coscienza del
comandante Trapp, già bonario ufficiale
di polizia, precipitato nell’inferno di
“Jozefow” a presiedere il progetto diabolico.
È DOCUMENTATO DAL PROF C.R.
BROWNING UN PRIMO ESPERIMENTO DI “AZIONE SPECIALE”
PER LO STERMINIO DEGLI EBREI
IN RUSSIA E POLONIA. IL DETTAGLIATO RAPPORTO RIGUARDA
UN’OPERAZIONE ESEGUITA DAL
BATTAGLIONE 101 “ORDNUNGS
POLIZEI” (POLIZIA DELL’ORDINE)
DURANTE L’ESTATE DEL 1942
NEL VILLAGGIO POLACCO DI JOZEFOW.
pagnia di essere lasciato di guardia alla
caserma, ricevette questa risposta :
“Rallegrati di non dover venire. Vedrai
che cosa succede”. Il sergente Heinrich
Steinmetz della Terza Compagnia avvertì i suoi uomini che “non voleva vedere nessun codardo”. Fu distribuita
una scorta di munizioni. Un poliziotto
riferì che la sua unità ricevette alcune
fruste, il che fece sorgere il sospetto di
un’imminente Judenaktion, ma nessun altro ricorda questo particolare.
Il convoglio, partito da Bilgoraj verso le
due del mattino , arrivò a Jòzefòw all’alba. Trapp parlò ai poliziotti riuniti a
semicerchio intorno a lui e, dopo aver
spiegato il macabro compito assegnato
al battaglione, fece la sua insolita offerta: chi fra i più anziani non si sentisse all’altezza dell’incarico che lo
aspettava, poteva fare un passo avanti.
Trapp attese, e dopo qualche istante
un uomo della Terza Compagnia, OttoJulius Schimke, uscì dai ranghi. Il capitano Hoffmann, che era arrivato a
Jòzefòw direttamente da Zakrzòw con
il Terzo Plotone della Terza Compagnia
e non aveva perciò partecipato con gli
altri ufficiali alla riunione del giorno
precedente a Bilgoraj, era furibondo
che uno dei suoi uomini si fosse esposto per primo. Hoffmann cominciò a
rimproverare Schimke, ma Trapp lo interruppe . Dopo che Trapp ebbe preso
Schimke sotto la sua protezione, altri
dieci o dodici uomini fecero un passo
avanti, consegnarono i fucili e attesero
che il maggiore affidasse loro un altro
compito.
Trapp riunì poi i comandanti di compagnia e assegnò i rispettivi incarichi. Il
primo sergente Kammer comunicò gli
ordini alla Prima Compagnia, Gnade e
Hoffmann li trasmisero alla Seconda e
alla Terza. Due plotoni della Terza avevano il compito di circondare il villaggio; gli uomini ricevettero l’ordine
esplicito di sparare a chi tentava la
fuga. Gli altri poliziotti dovevano rastrellare gli ebrei e condurli sulla
piazza del mercato. I deboli e i malati, i
bambini piccoli e tutti quelli che resistevano o tentavano di scappare dovevano essere fucilati sul posto. Poi
alcuni uomini della terza Compagnia
avrebbero portato via gli ebrei “abili al
lavoro” selezionati sulla piazza del
mercato, mentre il resto della Prima
Compagnia si sarebbe diretto nel bosco
per formare i plotoni d’esecuzione. Gli
uomini della Seconda Compagnia e il
Terzo Plotone della Terza avrebbero ca-
chiaramente davanti a me il maggiore
Trapp che camminava avanti e indietro
con le mani dietro la schiena. Aveva
l’aria abbattuta e mi parlò. Disse qualcosa come “Amico … queste cose non
fanno per me. Ma gli ordini sono or-
ganizzavano per eseguire l’incarico affidato al battaglione. I sottufficiali formarono gruppetti di due-quattro
poliziotti e li mandarono a rastrellare
la zona ebraica. Vennero poste delle
guardie sulla piazza del mercato e
lungo la strada . Gli ebrei furono trascinati fuori dalle case e coloro che
non potevano camminare vennero fucilati sul posto; l’aria si riempì di urla e
spari. Secondo la testimonianza di un
riservista, si poteva sentire tutto perché il paese era piccolo: Molti altri poliziotti ricordano la vista dei cadaveri,
ma solo due ammettono di aver sparato. E ancora: parecchi ricordano di
aver sentito dire che tutti i pazienti
dell’”ospedale” e della “casa di riposo”
ebraica erano stati uccisi, ma nessuno
ammette di aver assistito alle fucilazioni o di avervi preso parte.
I testimoni sono poco concordi sulla
reazione iniziale degli uomini all’ordine di uccidere i bambini. Alcuni affermano che, come i vecchi e i malati, i
bambini piccoli venivano eliminati e lasciati nelle case, davanti alle porte e
sulle strade del paese. Altri invece sottolineano specificamente che in questa
prima fase i riservisti evitavano di sparare sui bambini durante i rastrellamenti. Un poliziotto pone l’accento sul
fatto che “tra gli ebrei eliminati nella
zona a noi affidata non c’erano neonati
o bambini piccoli. Direi che tutti, quasi
tacitamente, si astenevano dal fucilarli”. Lo steso testimone rileva che sia
Jòzefòw sia nelle località successive
“le madri ebree non si separavano dai
loro figli neanche davanti alla morte.
Perciò consentimmo loro di portare
con sé i bambini sulla piazza del mercato di Jòzefòw”. Un altro poliziotto afferma che “quasi tutti gli uomini
evitavano tacitamente di fucilare neonati e bambini piccoli. Nel corso dell’intera mattinata vidi portare via molte
donne con i figli in braccio o per
mano”. Entrambi i testimoni rilevano
che nessun ufficiale intervenne
quando i bambini furono portati sulla
piazza del mercato. Un poliziotto però
ricorda che in seguito la sua divisione(Terzo Plotone della Terza Compagnia) fu rimproverata dal capitano
Hoffmann. “Non avevamo agito con sufficiente durezza”.
Quando l’operazione di rastrellamento
stava per terminare, gli uomini della
Prima Compagnia furono convocati per
una rapida lezione sul macabro compito che li attendeva. A istruirli c’erano
il medico del battaglione e il primo sergente della compagnia. Un poliziotto
che aveva talento per la musica e che
alla sera suonava spesso il violino con
il medico, che possedeva una “meravigliosa armonica” ricorda: “Credo che
in quel momento fossero presenti tutti
gli ufficiali del battaglione, in particolare il nostro medico, il dottor Schoenfelder. Egli doveva spiegarci il modo
preciso di sparare per provocare la
morte immediata della vittima. Ricordo
chiaramente che per fare tale dimostrazione disegnò o tracciò il contorno
di un corpo umano, dalle spalle in su,
e poi indicò il punto esatto in cui la baionetta fissa andava posta per prendere
la mira.”...
continua nel prossimo numero
Fu probabilmente l’11 luglio che Globocnik, o qualcuno del suo gruppo,
contattò il maggiore Trapp informandolo che i riservisti del Battaglione 101
avevano il compito di rastrellare i 1800
ebrei di Jòzefòw, un villaggio di circa
trenta chilometri a sud-est di Bilgorj.
Questa volta però gran parte degli ebrei
non sarebbe stata trasferita: solo i maschi “abili al lavoro” erano destinati ai
campi di Lublino, mentre le donne, i
bambini ed i vecchi andavano fucilati
sul posto.
Trapp richiamò le unità di stanza nelle
città vicine. Il 12 luglio il battaglione si
riunì a Bilgoraj; mancavano solo il
Terzo Plotone della Terza Compagnia,
che era stato inviato a Zakrzòv insieme
al capitano Hoffmann, e alcuni uomini
della Prima Compagnia, già dislocati a
Jòzefòw. Trapp si incontrò con i comandanti della Prima e della Seconda
Compagnia il capitano Wohlauf ed il tenente Gnade, informandoli dell’operazione prevista per l’indomani. Pare che
l’aiutante di Trapp, il primo tenente Hagenm abbia messo al corrente gli altri
ufficiali del battaglione, perché il tenente Heinz Buchmann apprese da lui
quella sera i particolari dell’azione.
Buchmann, allora trentottenne, dirigeva ad Amburgo una impresa di legname a conduzione familiare. Aveva
aderito ad partito nazista nel maggio
del 1937 e si era arruolato nell’Ordnungspolizei nel 1939, prestando servizio come autista in Polonia.
Nell’estate del 1940 aveva fatto richiesta di congedo, ma invece era stato inviato a un corso di addestramento per
Ufficiali e, nel novembre del 1941, nominato tenente riservista. Nel 1942 gli
fu assegnato il comando del primo plotone della Prima compagnia.
Quando seppe dell’imminente massacro, Buchmann disse chiaramente ad
Hagen che, in quanto imprenditore di
Amburgo e tenente riservista, non
avrebbe mai “in nessun caso partecipato a tale azione, nel corso della quale
si fucilano donne e bambini indifesi”,
e chiese un altro incarico. Hagen riuscì ad assegnare a Buchmann il comando della scorta per i maschi ebrei
“abili al lavoro” da portare a Lublino. Il
comandante della compagnia, Wohlauf,
fu informato del compito di Buchmann
ma non del motivo per cui gli era stato
affidato.
Gli uomini non ricevettero alcuna informazione ufficiale; gli fu solo detto
che sarebbero stati svegliati presto per
un’importante azione in cui era coinvolto tutto il battaglione. Alcuni però
sapevano qualcosa: il capitano Wohlauf
disse a un gruppo dei suoi che l’indomani li aspettava “un compito molto
interessante”. Un altro poliziotto, che
si lamentava con l’aiutante della com-
Nelle “baracche-spogliatoio”, i poliziotti dell’Ordnungspolizei constringevano gli ebrei a spogliarsi e a consegnare gli oggetti di valore.
ricato gli ebrei sui camion del battaglione trasportandoli dalla piazza del
mercato al luogo dell’esecuzione.
Dopo aver diramato gli ordini, Trapp si
fermò in paese per gran parte della
giornata: si recò nella scuola trasformata in quartier generale, a casa del
sindaco polacco o del prete, sulla
piazza del mercato o sulla strada verso
il bosco, ma non andò mai nel bosco e
non assistette alle esecuzioni. La sua
assenza non passò inosservata. Un poliziotto disse con acredine: “ Il maggiore Trapp non c’era mai, anzi, rimase
a Jòzefòw perché evidentemente non
sopportava quella vista. Noi uomini eravamo sconvolti e dicevamo che non potevamo sopportarla neppure noi”.
In verità , l’angoscia di Trapp non era
un segreto per nessuno. Sulla piazza
del mercato un poliziotto ricorda di
aver sentito il maggiore che esclamava,
mettendosi una mano sul cuore:
“Oddio, perché mi hanno dato questi
ordini?”. Un altro lo incontrò nell’edificio della scuola: “Oggi vedo ancora
dini”. Un altro ancora ricorda chiaramente che Trapp , finalmente solo nella
sua stanza, si sedette su uno sgabello
e pianse amaramente. Gli sgorgavano
davvero le lacrime “. Un quarto testimone lo vide al quartier generale: “Il
maggiore Trapp correva avanti e indietro in preda all’agitazione, poi sboccò
davanti a me, mi fissò e mi chiese se
ero d’accordo con quanto accadeva: io
lo guardai diritto negli occhi e risposi:
“No, signor maggiore!”. Allora lui riprese a correre avanti e indietro e a
piangere come un bambino”. L’aiutante
del medico incontrò Trapp in lacrime
sulla strada che dalla piazza del mercato portava al bosco, e gli chiese se
poteva fare qualcosa per lui. “Ma mi
disse solo che tutto era davvero terribile”. Qualche tempo dopo, parlando di
Jòzefòw, il maggiore confidò al suo autista: “Poveri noi tedeschi, se questa
faccenda degli ebrei sarà un giorno
vendicata”.
Mentre Trapp si lamentava degli ordini
ricevuti e piangeva, i suoi uomini si or-
Possiamo affermare che i macabri sistemi vennero “copiati” e realizzati nella eliminazione di partigiani prigionieri e ostaggi in Italia. La foto documenta le fosse dove furono gettati i 59 fucilieri sul Turchino ed il recupero dei pietosi resti da parte di parenti ed amici.
5
ANCORA
25
APRILE
Da Savona
Poesia di Kriton Athanasulis affissa dalla
FIVL Carcare in Val Bormida
Non voglio che tu sia lo zimbello del
mondo.
Ti lascio il sole che lasciò mio padre
a me.
Le stelle brilleranno uguali ed
uguali ti indurranno
le notti a dolce sonno.
Il mare t'empirà di sogni. Ti lascio
il mio sorriso amareggiato: fanne
scialo
ma non tradirmi. Il mondo è povero
oggi. S'è tanto insanguinato questo
mondo ed è rimasto povero.
Diventa ricco
tu guadagnando l'amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l'arma con la canna arroventata.
Non l'appendere al muro. Il mondo
ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio. Tanta
pena
vinta nelle battaglie del tempo.
E ricorda. Quest'ordine ti lascio.
Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato inde-
gno, che disperazione mi ha portato
avanti e son rimasto indietro, al di
qua della trincea.
Ho gridato, mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento e piogge e
grandine hanno sepolto la mia voce.
Ti lascio la mia storia vergata con la
mano
d'una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi
con le mani mozzate,
ragazzi che non fecero a tempo
ad assumere austere forme d'uomo,
madri vestite di bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e Auschwitz.
Fa presto a farti grande. Nutri bene
il tuo gracile cuore con la carne
della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti
svanirono d'un tratto nelle nevi gelate
in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici; già.
I nemici dell'odio.
Ti lascio l'indirizzo della tomba
perché tu vada a leggere l'epigrafe.
Ti lascio accampamenti
d'una città con tanti prigionieri,
dicono sempre si, ma dentro loro
mugghia l'imprigionato no dell'uomo libero.
Anch'io sono di quelli che dicono di
fuori il sì della necessità, ma nutro,
dentro, il no.
Così è stato il mio tempo. Gira l'occhio
dolce al nostro crepuscolo amaro,
il pane è fatto di pietra, l'acqua di
fango,
la verità un uccello che non canta.
lo conquistai il coraggio
d'essere fiero. Sforzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove. E' questo che ti lascio.
Kriton Athanasulis
Da Verona
DAL DISCORSO DI VESCOVI NELLA SALA DELLA GRAN GUARDIA
Perché il 25 aprile, festa della Libertà?
E’ questa la domanda che un giovane
mi ha rivolto alcuni giorni fa.
Per capire perché si parla di Resistenza
e di festa della Libertà si deve prima conoscere la storia del ventennio fascista
e del più breve periodo nazista anche
se quest’ultimo ha portato all’estreme
conseguenze l’ideologia fascista.
Purtroppo sono ancora presenti interpretazioni e ignoranza storica per cui
si sente dire che cosa ha fatto di buono
la Resistenza evitando di domandarsi
la causa prima di tutti i mali prodotti da
dittature, violenza, guerra e dalle tremendi stragi eccidi e genocidi commessi da folli ideologie che hanno
sconvolto l’Europa e il mondo nella
prima metà del secolo scorso.
Del fascismo vanno ricordati gli atti di
governo: leggi contro la libertà personale, stampa e radio ridotte a esclusivo
servizio del partito fascista, l’abolizione
dei partiti, dei liberi sindacati, la scuola
finalizzata a creare il cittadino fedele al
Duce che aveva sempre ragione, per cui
il credere, obbedire, combattere diventava sola ragione di appartenenza come
cittadini all’Italia; le leggi razziali del
1938 e, infine la legge razzista, la consegna ai nazisti degli ebrei e degli oppositori al regime per la nota soluzione
finale nei campi di sterminio.
Questi gli atti di politica interna più conosciuti.
In politica estera il fascismo ha portato
l’Italia alle guerre con crescendo inarrestabile: in Etiopia 1935/1936, nella
guerra di Spagna subito dopo, ad occupare l’Albania nel 1939, a rivendicare
territori dei paesi vicini: Nizza e Savoia,
la Tunisia, la Dalmazia, le isole greche,
il dominio assoluto del Mar Mediterraneo, ricordano la storia dell’impero romano come diritto inalieabile della
Patria fascista e tutto ciò con esplosioni verbali di potenza, di minacce di
cui la mia generazione avrebbe dovuto
fare i conti nella guerra 1940/1945.
A parte l’impreparazione militare e
l’ignoranza storica del Duce e dei suoi
collaboratori di governo, nonché l’insignificante presenza della monarchia ridotta a pura presenza coreografica, il
10 giugno 1940 l’Italia fascista dichiarava guerra a Francia e Inghilterra sperando in una facile vittoria a fianco
dell’alleato nazista che con il suo esercito aveva già occupato gran parte dell’Europa seminando stragi e violenze.
Ebbe inizio così la tragedia del popolo
italiano.
Il 28 ottobre 1940, data fatidica della
marcia su Roma, il duce volle “spezzare le reni” alla Grecia; sappiamo
quale fu l’esito per i nostri Fanti e gli
Alpini.
In Albania, in Africa settentrionale, in
Russia si compì il sacrificio di tanti giovani. I cittadini inermi e le città furono
colpite dai bombardamenti, pagarono
anch’essi un tributo di sangue e distruzioni.
Seguì la fine ingloriosa del fascismo e
del suo Duce il 25 luglio 1943; Mussolini fu dimesso dallo stesso Gran Consiglio del fascismo, travolto dai suoi
errori e dalla tragedia vissuta dal popolo italiano che tra bombardamenti,
fame, miseria, lutti aveva toccato il
fondo di una guerra che ne aveva fiaccato volontà e speranze: il fascismo era
morto e sepolto soprattutto nel cuore
e nella mente degli italiani.
Si arrivò così all’8 settembre e all’armistizio chiesto agli angloamericani.
Il governo Badoglio, tra errori ed incertezze diede l’ordine di respingere attacchi “da qualsiasi parte provenienti”
questo mise i reparti italiani e gli stessi
singoli militari nelle condizioni di
dover decidere autonomamente cosa
fare: si aggiunse tragedia a tragedia,
momento drammatico di riflessione e
di scelta.
Nessuno può negare che le armate alleate furono determinanti per sconfiggere i tedeschi.
La libertà del 1945 però, non ci fu recata in dono; alla sua conquista, soprattutto morale, parteciparono uomini
e donne, giovani e anziani, fu moto popolare, non di un solo partito, partecipammo uniti con la sofferenza, il
sacrificio, l’olocausto; questo fu il
frutto più prezioso del secondo rinascimento nazionale, frutto non unico
della Resistenza.
Quando a Parigi si discussero le trattative di pace, De Gasperi potè presentare
il contributo dato dalla Resistenza italiana alla vittoria degli alleati per riuscire a salvare Trieste,Gorizia, Tarvisio,
Grado, Aquileia, l’alto Adige, la Val
D’Aosta, le alte valli del cuneese, Bordighera, Ventimigla dalle rivendicazioni
austriache, francesi e jugoslave.
La generazione che fu testimone e protagonista della lotta di liberazione contro la dittatura e la guerra, se ne sta
andando.
Una generazione di combattenti che ha
costellato le pianure e le montagne di
pietre spezzate; e come dice il poeta:
“C’è una generazione di uomini forti
che sta morendo
Una generazione di combattenti
Avevano vent’anni e le ragazze nel
cuore
Quando il ferro e il fuoco
Dalla pianura li spinse quassù
Tra le forre e i noccioli.
Unico riparo gli abeti
E la giubba che chiudeva
Un cuore ribelle.
(ma stanno morendo….)
Una gioventù strana
restia all’ascolto
li ha abbandonati
Così sono nonni senza nipoti
Aedi senza simposio
E avrebbero infinite cose da dire…
Non dimenticate la storia, i sacrifici e
le speranze di chi ha combattuto anche
per la vostra libertà, la pace e la solidarietà, ideali e valori umani conquistati
per gli amici ed i nemici.
La Resistenza per la libertà non finisce
mai: è una categoria esistenziale, è un
scelta dell’umano contro il disumano,
anche tra errori e difficoltà la libertà è
pur sempre l’idea vincente della ragione umana.
Ricordate, quindi, come è nata la Repubblica, la Costituzione, l’Europa
unita, una Patria unita e solidale.
La nostra generazione lascia una eredità morale che va rivissuta nella difesa, giorno per giorno, della libertà
personale e politica.
Dalle fredde lapidi, dai freddi marmi, i
Caduti ripetono: Qui vivono/ per sempre gli occhi/ che furono spenti alla
luce/ perché tutti/ li avessero aperti per
sempre alla luce.”
Raccogliete, italiani le nostre bandiere perché l’Italia viva.
Viva l’Italia!
Giulio Vescovi
Vice Presidente Assoc. Naz. Mutilati e
invalidi di Guerra.
IL C.C. POSTALE PER RIMETTERE IL CONTRIBUTO
D’APPOGGIO AGLI AMICI DI “LIBERTÀ DAL POPOLO” È:
C.C.P. N° 12220273
CENTRO SOCIALE RAGGRUPPAMENTO AUTONOMO PADANO
Ci scusiamo per il rinvio di alcuni articoli e lettere, sempre per mancanza di spazio.
6
Amici della Libertà venite con noi sui “Sentieri della Resistenza” tracciati
in Vallate di tutta Italia (come quello di Carnino (Valle Pesio - Cuneo). Rivedrete i vecchi partigiani con un nobile straccio di fazzoletto, divisa
delle Formazioni (azzurro, giallo-ginestra, rosso, verde) e vi racconteranno episodi di quella meravigliosa epopea italiana...Arrivederci!
Postazione degli Arpi (Fontane)
Nel contesto della battaglia di Pasqua 1944
Schietto ricordo d’una giornata fortunata
Qualche tempo prima di Pasqua, il Capitano ci mandò, noi buschesi, in ricognizione a Colla Piana, sopra il Vaccarile.
Dovevamo controllare se nella neve
c’erano tracce e segni di movimenti nemici. Trovammo effettivamente molte piste
di uomini, che erano saliti da Limone Piemonte ed al ritorno avvertimmo il Comando.
Il Distaccamento degli Arpi venne allora
trasferito al Gias del Vaccarile e facevamo
servizio di pattuglia su Colla Piana.
Un giorno la nostra pattuglia sorprese e
catturò su Colla Piana un fascista isolato.
Mentre ritornavamo, il fascista chiese di
fare i suoi bisogni e ne approfittò per tirare
fuori dai pantaloni una pistola, con la
quale sparò all’uomo che lo sorvegliava, ferendolo al ventre. Riuscì poi a scappare
portandosi via la radio, che gli avevamo caricato sulle spalle.
Il giorno dopo un pattuglione fascista di
una trentina di uomini, con un mitragliatore tentò di raggiungere Colla Piana.
Penso si trattasse di fascisti, per via delle
divise nere che indossavano.
Ci fu un breve scontro a fuoco, senza
morti né feriti da entrambe le parti. Poi il
Ten. Audino decise di abbandonare il Vaccarile. Così facemmo, dopo aver incendiato il Gias, in modo che non potesse
servire da base per i Fascisti.
Tornati a valle, il Distaccamento venne diviso. Il Ten. Audino rimase al Gias degli
Arpi coi suoi Chiusani ed i meridionali.
Noi 9 di Busca formammo un nuovo distaccamento più a valle, al Gias Fontane.
Comandante del nuovo Distaccamento era
Beppe Zurletti.
Pochi giorni prima di Pasqua, venne il Capitano Piero Cosa e ci fece preparare una
postazione per il Bren, a mezza costa,
4/500 metri lontano dal Gias.
La postazione guardava il sentiero che
scende dal Vaccarile: era in posizione
buona e la rinforzammo bene con sacchetti di terra. Molto in alto, sopra di noi
c’era la postazione del Gias degli Arpi, che
aveva il compito di proteggere la nostra ritirata.
Oltre al Bren, eravamo tutti armati con
sten e moschetto. Le munizioni erano abbondanti.
Il mattino del sabato santo aspettavamo la
visita del cappellano, che doveva venire a
trovarci per la Pasqua. C’era brutto tempo
e nebbia abbastanza fitta. Quando la nebbia si sollevò vedemmo del movimento su
al Vaccarile. I Fascisti avevano occupato il
Gias ed avevano posto due o tre uomini di
vedetta sopra il grande roccione che c’è un
po’ più in basso del Gias e domina il Vallone. Avvertimmo subito il Comando e sa-
limmo alla postazione.
Nel pomeriggio sentimmo una fitta sparatoria giù nella valle, verso la Certosa. La
sparatoria durò fino a sera. Al Vaccarile
nessuno si muoveva: c’erano sempre le
sentinelle sopra il roccione.
Il mattino di Pasqua sentimmo riprendere
il fuoco più vicino, appena sotto Pian delle
Gorre. Notammo che al Vaccarile le sentinelle erano aumentate di numero e restammo in attesa.
C’era sempre brutto tempo e nebbia. Nel
pomeriggio sentimmo dei cani abbaiare
sul sentiero del Vaccarile e ci accorgemmo
all’improvviso che due colonne di uomini
stavano scendendo verso di noi. Erano vestiti di nero e penso si trattasse di Fascisti. Ce n’erano 130-150 visibili, ma
dovevano essere molti di più, perché il Vallone è molto incassato e molti dunque
scendevano coperti alla nostra vista.
Quando giunsero a portata di tiro,
aprimmo il fuoco con il Bren e coi moschetti e cercammo di tenerli a bada. In effetti la colonna si fermò e quasi subito
venimmo individuati. Incominciarono a
spararci addosso anche loro, con un volume di fuoco impressionante: penso che
dovessero avere come minimo due mitragliatrici pesanti.
Per fortuna, come ho detto, la postazione
era molto ben scelta ed il loro fuoco giungeva alto sopra le nostre teste , distruggendo tutta la boscaglia sopra di noi, ma
senza colpire nessuno.
Continuammo a sparare per quasi un’ora,
sempre attendendo che la postazione degli
Arpi, sopra di noi, si decidesse ad aprire il
fuoco alleggerendo la pressione.. Decidemmo, allora, di mandare due uomini a
vedere cos’era successo. Partirono i partigiani Sandro Alladio e Luciano Bergia.
Erano tutti e due molto giovani e pieni di
paura, ma andarono lo stesso. Il sentiero
verso il Gias degli Arpi era tutto sotto il
fuoco dei Fascisti e così i due uomini impiegarono più di un’ora fra l’andare ed il
tornare. Nel frattempo continuammo a sostenere il combattimento coi Fascisti che
si facevano sempre più vicini.
I due tornarono e ci riferirono che sia la
postazione, sia il Gias degli Arpi erano deserti… Decidemmo allora di lasciare la posizione, ormai insostenibile e di ritirarci
tutti al Gias degli Arpi. Così facemmo, protetti dalla nebbia, che per fortuna era tornata abbastanza fitta. Ci incamminammo
sulla pista che gli uomini del Gias degli
Arpi avevano lasciato e li raggiungemmo
mezz’ora dopo sotto la baita di Sestrera
dove era stabilito il concentramento della
Banda per la ritirata.
Rinaudo Umberto
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