PROGETTO: “Il sogno di Vladimir”” – “El sueño de Vladimir” – “Le rêêv
ve de Vladimiir”
Asociation Emmaus
Compagnon du Rempart
(Forbach – France)
Associazione
San Marcellino
(Genova – Italia)
Fundacion
San Martin de Porres
(Madrid – España)
“Il sogno di Vladimir”
“El sueño de Vladimir”
”Le rêve de Vladimir”
(Italiano)
La presente pubblicazione è stata
realizzata nell’ambito del programma
sostenuto dalla Commissione Europea
D.G: Occupazione e Affari Sociali.
A Visnja e Vladimir Hudolin
“II sogno di Vladimir"
"El sueño de Vladimir"
"Le rêve de Vladimir"
Associazione San Macellino (Genova - Italia)
Fundacion San Martín de Porres (Madrid - España)
Asociation Emmaüs Compagnon du Rempart (Forbach - France)
La presente pubblicazione è stata realizzata nell’ambito del programma sostenuto dalla
Commissione Europea D.G: Occupazione e Affari Sociali.
1
ITALIANO
2
Indice Generale
LA RICERCA GENOVESE (ITA) ............................................................................................................6
1. Alcune riflessioni introduttive .............................................................................................................6
2. L'immagine sociale dell'alcol ..............................................................................................................7
3. San Marcellino e l'alcol.....................................................................................................................10
4. Il materiale empirico .........................................................................................................................12
5. L'azione combinata ...........................................................................................................................20
6. Tra stabilità e processualità ...............................................................................................................20
7. L'azione comunitaria.........................................................................................................................21
8. Il ruolo degli altri nel cambiamento...................................................................................................21
9. Azione comunitaria e cultura della sobrietà .......................................................................................22
10. Percorso terapeutico e rimozione: un cammino di alti e bassi.............................................................23
11. Prevenzione e ricerca: un circolo virtuoso .........................................................................................24
12. La ricerca transnazionale...................................................................................................................26
LA RICERCA A FORBACH (FRA)........................................................................................................28
Il Sogno di Vladimir ..............................................................................................................................28
Premessa................................................................................................................................................29
Le posizioni di principio di Emmaus ......................................................................................................29
Presentazione del lavoro ........................................................................................................................30
Definizione della problematica...............................................................................................................31
Il Sogno di Vladimir Realizzazione dell'indagine a Emmaüs Forbach .....................................................32
Resoconto delle interviste .................................................................................................................34
Utilizzazione delle interviste .............................................................................................................43
Postfazione ............................................................................................................................................50
Bibliografia............................................................................................................................................51
LA RICERCA A MADRID (SPA) ...........................................................................................................52
Il Sogno di Vladimir ..............................................................................................................................52
1. Introduzione.................................................................................................................................52
2. Metodologia e tecniche ................................................................................................................54
3. Epidemiologia e risposta sociale al problema................................................................................54
4. La Fondazione San Martín de Porres ei problemi legati all'abuso di alcolici..................................69
5. Conclusioni..................................................................................................................................85
6. Bibliografia..................................................................................................................................86
SINTESI DELLA SPERIMENTAZIONE DEI CAT A FORBACH ......................................................88
"IL SOGNO DI VLADIMIR IN SPAGNA"............................................................................................90
3
"Un sogno sognato da soli è solo un sogno.
Un sogno pensato da molti può diventare realtà."
(Dom Helmet Camara)
II presente progetto costituisce il naturale prosieguo di un lavoro comune in corso, a diverso titolo, ormai da
molti anni tra le diverse realtà coinvolte. E' incentrato sulle problematiche alcol-correlate delle persone senza
dimora nelle tre realtà di S. Marcellino (Genova, Italia), di Emmaus di Forbach (Francia) e della Fundacion
S. Martín de Porres (Madrid, Spagna). Il partenariato, già rodato da precedente esperienze di lavoro comune,
ha infatti individuato, al termine del precedente progetto europeo "Testa e Piedi", nelle problematiche alcolcorrelate uno degli snodi più frequenti nelle biografie delle persone senza dimora da esso seguite. Si è anche
notato che, in particolare nelle realtà francesi e spagnole, il problema alcol è, per taluni aspetti, sottovalutato,
venendo considerato tale solo in presenza di diagnosi di "alcolismo grave", che corrisponde ad uno stato di
intossicazione gravissimo.
San Marcellino invece, avendo da molti anni incontrato e poi adottato, l'approccio del Prof. Vladimir
Hudolin, ha iniziato ad utilizzare metodiche specifiche nel rapporto con l'alcol ed ha, soprattutto, iniziato una
sinergia coi C.A.T. (Club degli Alcolisti in Trattamento) che ha portato a risultati importanti sia sul piano del
benessere delle persone sia sul piano dell'approccio "culturale" al problema alcol. L'idea - forza del presente
progetto di ricerca è pertanto:
a) di valutare e mettere in comune le esperienze delle tre Associazioni - partner rispetto al lavoro con le
persone senza dimora con problemi alcol-correlati,
b) diffondere il metodo Hudolin, ed in particolare l'approccio dei C.A.T., anche nelle Associazioni che non
lo conoscevano.
A tal fine, infatti, è stata coinvolta nel progetto sia l'ARCAT Liguria (Associazione Regionale dei Club degli
Alcolisti in Trattamento liguri), sia la sezione di un Ser.T. (Servizio Tossicodipendenze) di Genova che da
anni ha adottato l'approccio dei Club, proprio allo scopo di disseminare, anche in Francia e in Spagna, tali
metodiche.
"Al termine del lavoro, ci si accorge che alcolismo è un problema e che, alcolismo più vita senza dimora è un
problema di problemi. Non si tratta solo di una doppia contingenza o di una mera sommatoria. Sembra
esserci qualcosa di più: vale a dire una forte accentuazione di caratteri, peraltro assai più diffusi di quanto
solitamente si ammetta, relativi alla condizione umana. Dallo studio del materiale relativo agli utenti emerge:
bugia, tendenza al lamento ed all'autocommiserazione, mania di persecuzione, abitudine a prendersela con
l'esterno e non con se stessi. Poi, al passare del tempo, le derive biografiche delle stesse persone presentano
altri caratteri. Si osservano infatti una serie di pratiche di vita che testimoniano concretamente l'acquisizione
e l'interiorizzazione di una cultura della sobrietà, trasmessa da San Marcellino e dai Club, e, prima di essa ed
insieme ad essa, una sorta di riattaccarsi alla vita. Tutto questo rompe progressivamente il guscio di chiusura
in se stessi e da conto di un progressivo aprirsi agli altri e, infine, dell'imparare a convivere con se stessi."
Il titolo di questo progetto fa riferimento all'effetto moltiplicatore che le idee e la capacità di immaginare
hanno al di là del raggiungimento degli obiettivi immediati. Il Prof. Hudolin ci ha lasciato un'eredità molto
ricca nella quale al centro non troviamo il metodo e le strutture, ma l'uomo; in funzione di quanto impariamo
a comprendere di lui, di noi, possiamo far crescere il metodo stesso, avvicinare la sofferenza degli altri e la
nostra, immaginarci diversi, migliori. Prima di presentare i singoli lavori di ricerca, ci sembra opportuno
offrire una breve descrizione della metodologia dei C.A.T.
II Club degli Alcolisti in Trattamento è una comunità multifamigliare inserita nella comunità locale, che
lavora secondo poche regole semplici:
1) II Club è composto al massimo da 12 famiglie; si moltiplica quando arriva la tredicesima; qualora il Club
non raggiunga le dodici famiglie entro un anno, è in ogni caso opportuno che si moltiplichi.
2) Le riunioni dei C.A.T., della durata di un'ora e mezzo, si svolgono regolarmente una volta alla settimana.
Le riunioni si aprono e terminano con puntualità. Non si fuma durante le riunioni del Club.
3) Al club partecipano solo le famiglie con problemi alcol correlati e complessi e il loro servito
re. Per le persone che non possono partecipare con la famiglia, si cerca di provvedere una famiglia
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sostitutiva. Non sono previsti tirocinanti, volontari, visitatori, accompagnatori, tranne che durante il corso
di sensibilizzazione. Viene mantenuta la riservatezza su quanto viene detto al Club.
Ogni club è una comunità multifamigliare inserita nella comunità locale. Il Club non appartiene ad alcuna
istituzione o associazione, ma con esse può fattivamente operare in uno spirito di cooperazione e di rispetto
delle reciproche autonomie. Il servitore - insegnante è al servizio del Club e in quanto tale non dipende da
altre istituzioni.
In questi Club si riuniscono le famiglie che hanno problemi alcol correlati e dove, seguendo la metodologia
ecologico - sociale ideata dal Prof. Hudolin, le famiglie si scambiano le rispettive esperienze in un clima di
solidarietà e di amicizia, rafforzandosi a vicenda nella decisione di smettere di bere e di cambiare lo stile di
vita.
La frequenza delle famiglie ai Club è completamente gratuita, così come gratuita la prestazione dei volontari
che fanno da servitori/insegnanti nei Club stessi. Questi ultimi ricevono un'adeguata formazione attraverso
un corso specifico chiamato "Corso di sensibilizzazione ai problemi alcol correlati e complessi", della durata
di una settimana (50 ore).
Il Club si apre alla multidimensionalità del disagio e della sofferenza umana, alla possibile combinazione tra
problemi alcol correlati e
A) Uso di altre sostanze
B) Disturbi psichiatrici
C) Persona senza dimora
D) Problemi giudiziari
E) Problemi di immigrazione;
Ogni Club può inserire solo una famiglia con problemi complessi ogni sei famiglie. I programmi alcologici
territoriali dei Club pongono particolare attenzione alla spiritualità antropologica, all'etica, ai diritti dei
cittadini e dei popoli, alla pace, allo sviluppo dei legami di amicizia, amore e solidarietà.
La metodologia dei C.A.T. viene impegnata in Italia da diversi anni e ha permesso di raggiungere risultati di
rilievo nel recupero delle persone con problemi legati all’alcol, nella percentuale del 70-75% (ricerca
VALCAT). Tale metodologia si presenta particolarmente interessante anche per via della sua natura
trasversale (ogni Club è composto da persone di età e di classi sociali differenti) e per la sua ricaduta in
termini di integrazione, occupazione e prevenzione, determinata dalla natura "aperta al territorio" dei club,
alla cui attività prendono parte le famiglie e che forniscono tutta una serie di servizi aperti alla città legati alla
prevenzione, alla formazione e alla diffusione. Il metodo dei C.A.T., pertanto, si caratterizza per una forte
valenza di integrazione sociale che va ben al di là dell'idea di "disintossicazione dell'alcolista".
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LA RICERCA GENOVESE (ITA)
di G. Pieretti
La ricerca transnazionale che abbiamo ora concluso, "II sogno di Vladimir" e lo stesso progetto "Testa e
Piedi" concluso l'anno scorso e condotto tra gli stessi partners (S. Marcellino, Emmaus di Forbach, S. Martín
de Porres di Madrid) hanno messo in luce la difficoltà estrema di considerare l'alcolismo una questione
prioritaria nell'esperienza dell'essere senza dimora. A volte, infatti, continuando a trincerarsi dietro
definizioni quali "alcolismo grave" si manifesta la propria resistenza a nominare l'alcolismo tout court, o a
prenderlo in considerazione come sindrome solo allorché si sia in presenza di situazioni praticamente
ingestibili e pressoché invalidanti.
Il materiale empirico del progetto Testa e Piedi raccolto tramite l'utilizzo di due strumenti principali, le figure
fittive e gli indicatori e informatori biografici oggettivati ha confermato da un lato la presenza dell'alcol nelle
biografie di quasi tutte le persone senza dimora e dall'altro il fatto che, ciò nonostante, l’alcol venisse
segnalato come problema degli operatori in un numero davvero limitato di casi.
Si è peraltro potuto constatare come le due associazioni francesi e spagnole, davanti all’alcol, tendessero a
delegare il problema a strutture istituzionali di stampo medicale quando non ad ospedali addirittura, facendo
con ciò intendere che l'alcolismo "grave" è materia per medici, ed è pertanto da considerare come una
malattia.
S. Marcellino ha evidenziato un approccio ben differente di problemi alcol-correlati: è tuttavia da
sottolineare che tale posizione è venuta sviluppandosi "per prove ed errori", da un lato e dall'altro per tramite
del rapporto con i C.A.T. addirittura con lo stesso prof. V. Hudolin. È intorno a tale approccio, alla sua
evoluzione ed alla sua efficacia nel tempo che svilupperemo il nostro discorso. Per fare questo il
ragionamento si svilupperà grazie al supporto dei seguenti materiali:
1) interviste ad operatori di S. Marcellino che ripercorrono i rapporti tra l’Associazione ed i problemi alcol
correlati;
2) una serie di interviste ad utenti di S. Marcellino con problemi alcol-correlati;
3) alcune riflessioni relative al Progetto Il Sogno di Vladimir;
4) alcune valutazioni quantitative sintetizzate in tabelle;
5) la prosecuzione degli indicatori ed informatori biografici ogget-tivati utilizzati nella precedente ricerca.
1. Alcune riflessioni introduttive
Chi ha dolori ha anche liquori, dice un proverbio viennese citato da S. Freud. È possibile sostenere, in
un'ottica puramente psicodinamica, che l'assunzione di bevande alcoliche costituisce una sorta di
automedicazione nei confronti del lutto, del dolore, del dispiacere e una modalità per legare l'ansia.
Ognuno combatte l'ansia e le proprie paure come può: ognuno ha i propri modi (o non modi) per fare ciò.
Si potrebbe anche sostenere, in linea del tutto generale, che coloro che oggi si permettono di non mettere in
campo strategie di automedicazione (quale è il ricorso all'alcol) si prendono un certo lusso, forse addirittura
commettono un vero e proprio peccato di hybris. Ora se è vero che ognuno avrebbe ragioni più che
sufficienti per ricorrere all’automedicazione, è anche vero che non solo l’alcol ma anche, ad esempio, le
relazioni, possono risultare automedicanti. Relazioni nella accezione piena dell'etimo, vale a dire legami
forti, che riempiono la vita. Non mi pare un caso che il C.A.T. sia un club che accoglie alcune famiglie (al
massimo 12): un gruppo ristretto quindi, all'interno del quale possono avere luogo relazioni significative tra
individui, nel convincimento che nessuno possa farcela da solo ad affrontare l'ansia e le proprie paure. C'è di
più: senza l'aiuto della famiglia (sede delle relazioni profonde par excellance) si pensa, nella logica dei
C.A.T., che non sia possibile farcela: tant'è che viene sollevato il problema della famiglia sostitutiva quando
la famiglia (originaria od acquisita) non è presente, come nel caso delle persone senza dimora. Il club viene
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definito una "comunità multi-familiare inserita e aperta al territorio". Tale definizione ci apre ad un altro
elemento: la comunità, vale a dire il territorio nella sua accezione più densa e coesa.
Comunità, famiglia, legami forti costituiscono una sorta di automedicazione non medicale: qualcosa che non
anestetizza i sentimenti, come accade invece con l'alcol, le droghe e le sostanze chimiche in genere, bensì
valorizza i sentimenti, gli affetti, le emozioni.
Affetti, sentimenti, emozioni, legami forti rappresentano elementi non controllabili, non prevedibili, possono
dare sicurezza ma esigono impegno continuo e ininterrotto, forte coinvolgimento e disponibilità a mettersi
continuamente in discussione.
Alcol, droghe e psicofarmaci possono invece consentire di vivere "con il pilota automatico", di percorrere
una specie di strada ferrata molto prevedibile, al limite sempre uguale a se stessa, priva di sorprese, ma che
può deragliare in ogni momento: coazione a ripetere, nel senso pieno del termine, e conseguente
allontanamento di tutti quegli stati d'animo poco controllabili, inevitabilmente connessi ai legami forti: paura
dell'abbandono, della perdita, senso di inadeguatezza, cogenza di responsabilità.
Coloro che sono all'interno di problematiche alcol correlate, sono pertanto intrisi di una sorta di sindrome da
controllo, portata alle estreme conseguenze. Anche se, ovviamente, non si vuole qui sostenere che tutti gli
individui siano identici e che tutti riescano, bevendo, ad attutire in modo efficace il proprio naturale bisogno
di dipendenza dagli affetti. Bisogno che, assai probabilmente, fa la propria comparsa tra le pieghe di una
esistenza condotta per anestetizzare il proprio lato debole.
Ricostruire la grammatica delle emozioni è il compito, non sempre esplicito, del lavoro del C.A.T., a partire
da uno stile di vita improntato alla sobrietà (alcol-free). Il C.A.T. si manifesta, in quest'ottica, come un
grembo accogliente ma non separato dal mondo il cui compito, tra gli altri, consiste nel proteggere la persona
dalle ansie, facendogliele sì incontrare, ma in maniera protetta e prudente, graduale.
Affrontare le ansie senza ricorrere all’alcol costituisce un deciso passo avanti nella strada di una graduale
ripresa di fiducia in se stessi, nelle proprie capacità: nel convincimento che, non essendo soli, ma supportati
dagli altri (il CAT), è anche consentito deflettere e manifestare momenti di umana debolezza, che saranno
appunto colmati dall'apporto degli altri significativi. La disponibilità a mostrare il proprio lato debole, o
perlomeno a non occultarlo, rappresenta già una prima difesa nei confronti dei processi di caduta relativi alle
problematiche alcol-correlate delle persone senza dimora.
2. L'immagine sociale dell'alcol
Molti sostengono, con ragione, che le droghe lasciano solo una via (quella dello sballo) mentre l'alcol (nelle
nostre usanze: il vino) permette di percorrere diverse vie.
La via dello sballo, certo, ma anche la via del gusto, della tradizione, di uno stile di vita "slow" opposto al
dominante "fast", di un moderato ma importante piacere.
Eppure è proprio qui la trappola: la assoluta tolleranza che la nostra cultura possiede nei confronti del vino,
fino a trasformarlo una vicenda del "saper vivere". In realtà, sappiamo bene che l'alcol è una sostanza tossica,
dannosa per l'organismo. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito droghe le sostanze che portano:
dipendenza, crisi di astinenza e problemi nei rapporti sociali, familiari e del lavoro. L'alcol è una droga
legale, ma è sempre una droga.
L'alcolismo è un problema sommerso che uccide fino a 60 volte più dell'eroina.
5 milioni di italiani sono bevitori problematici di alcolici e 1,5 milioni possono essere definiti alcolisti.
Ogni anno da 36.000 a 42.000 persone muoiono a causa dell'alcol ed altrettante sono le vittime indirette
(guida in stato di ebbrezza, suicidi, omicidi; 46 incidenti stradali su 100, in oltre metà degli omicidi, in 1/4
dei suicidi, nel 20% degli infortuni sul lavoro, compare come concausa l'alcol) 3.000 bambini all'anno
nascono con sindrome feto-alcolica. Le affezioni più gravi che colpiscono gli alcolisti sono la cirrosi epatica,
il cancro all'apparato digerente, malattie cardiocircolatorie, tubercolosi e ipertensione, l'aggravamento
dell'osteoporosi.
I costi economici e sociali di questo problema sono anch'essi drammatici, e totalmente passati
sotto silenzio: quasi il 10% dei ricoveri sono legati al bere dal 20 al 30% dei costi sanitari sono
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dovuti a patologie legate all'alcol sono circa 25 milioni le giornate lavorative perdute a causa dell'alcol e dei
problemi alcol-correlati.
Ogni persona ha ovviamente nei confronti del consumo di alcol una specifica posizione personale. Possiamo
distinguere:
9 gli astemi, che non hanno mai bevuto
9 gli astinenti, che per loro libera scelta hanno smesso di bere
9 i moderati, che non è possibile definire perché ogni persona che beve si considera moderata
9 i problematici, per i quali il bere inizia a costituire un problema
9 gli alcolisti, che hanno perso ogni forma di controllo sul bere e ne sono diventati dipendenti
Da queste brevi osservazioni si comprende come la realtà del problema alcol sia estremamente complessa,
difficile da circoscrivere e da affrontare. Per ragioni culturali, troppo spesso l'alcol non è considerato un
problema; molto spesso è all'interno della famiglia che si comincia a bere e molti sono i gruppi sociali in cui
addirittura si associa l'idea di "essere uomo" alla capacità di "reggere" l'alcol.
E' proprio il fattore culturale, unito a quello psicologico, che fa sì che di fronte alle alcoldipendenze
l'approccio medicale, fondamentalmente farmacologico, al problema non sia sufficiente in quanto una volta
terminato il trattamento le ricadute sono molto frequenti. Benché non sia possibile individuare una traccia
sicura, una metodologia che garantisca un'azione efficace e un miglioramento effettivo, ci sono molti metodi
e ciascuno si può adattare con maggiore o minore successo al singolo in difficoltà. Per questo è importante
instaurare con la persona in difficoltà un rapporto diretto che tenga in considerazione la specificità e la
singolarità della persona che chiede aiuto.
In Liguria i meccanismi di attenzione presenti sul territorio in rapporto a queste problematiche sono
principalmente tre:
1) gli Alcolisti Anonimi (A.A.)
2) i Club per Alcolisti in Trattamento (C.A.T.)
3) il Gruppo Ser.T. Ge-Quarto ASL 3 Liguria
Vediamo l'evoluzione degli steps che hanno consentito di pervenire ai Club.
# Alcolisti Anonimi (A.A.)
Nel 1935 dall'incontro tra Bill W. e il dr. Bob nacquero gli Alcolisti Anonimi. Bill W., un agente di cambio
astinente dall'alcol da circa un anno, durante un viaggio di affari sentì un forte desiderio di ricominciare a
bere. Invece di bere trovò il dr. Bob con il quale potè condividere il suo problema; nel 1939 gli A.A. erano
già 100. Grazie al cosiddetto "grande libro" (Big Book) e in seguito ad un articolo apparso su The Saturday
Evening Post, A.A. assunsero negli U.S.A. una grande visibilità che, unita all'attività si sensibilizzazione
successivamente portò gli A.A. a contare nel 1985 1.793.834 membri in tutto il mondo.
A.A. si fonda sull'idea che considera l'alcolismo una malattia progressiva, inguaribile e mortale che non può
essere curata ma solo arrestata con la totale astinenza dall'alcol. A.A. sono poco interessati alla prevenzione
primaria dei problemi alcol-correlati; per loro l'alcolista è un malato come gli altri che deve astenersi dal
bere. Inoltre, gli A.A. ritengono fondamentale la differenza tra il bere moderato - considerato non rischioso e il bere compulsivo, ritenuto patologico senza possibilità di ritorno: una volta alcolista si è alcolista per
sempre.
II metodo degli A.A. si fonda sulla consapevolezza del fatto che la capacità di un alcolista astinente di
aiutare un bevitore incontrollato è molto incisiva perché il primo, aiutando il secondo,
libera se stesso dall'ossessione alcolica ed indica la via per uscire dal problema.
Senza l'intervento di figure professionali socio-sanitarie i membri seguono un percorso organizzato in 12
passi (fondamento per il recupero personale, tappe per il conseguimento della sobrietà) e 12 tradizioni
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(salvaguardia dell'armonia dei gruppi) che con una progressiva presa di coscienza di sé e del mondo esterno
conduce ad un miglioramento della qualità di vita.
I gruppi si incontrano con cadenza bi-trisettimanale e durante le riunioni ciascuno porta la propria
testimonianza ed i propri problemi senza ricevere né giudizi né critiche. E' il gruppo il vero
agente terapeutico perché è il luogo della condivisione anche in modo anonimo senza differenze sociali,
economiche, di razza, religione o sesso.
Dal 1940 si sono formati i Gruppi Familiari Al-Anon e Alateen (il secondo particolarmente pensato per gli
adolescenti) con lo scopo di fornire aiuto diretto a familiari e amici degli alcolisti che devono imparare a
concepire l'alcolismo come una malattia ed a separare la propria vita emotiva da quella dell'alcolista
rendendolo responsabile di se stesso.
# Club degli Alcolisti In Trattamento - C AT
II primo club nacque a Zagabria nel 1964 grazie a Vladimir Hudolin, psichiatra croato interessato ai
problemi alcol-correlati.
Per primo ebbe l'intuizione di staccare gli alcolisti dal reparto psichiatrico per curarli in comunità
terapeutiche .
Il primo aprile 1964 vennero inaugurati il Reparto di Alcologia, l'Ospedale diurno per gli alcolisti, il
Dispensario, la Stazione per rendere sobri, l'ambulatorio Alcologico e il Centro per lo studio e la lotta contro
l'alcolismo e le altre dipendenze.
Intorno al 1979 il Prof. Hudolin comincia la sua attività in Italia fondando a Trieste il primo C.A.T. italiano i
cui operatori erano lo stesso Hudolin e suoi collaboratori. Di qui i C.A.T. si diffusero in tutta Italia dove ora
sono circa 2.500.
I C.A.T. non sono un gruppo autoreferente ma sono radicati nella comunità locale per produrre un
cambiamento della cultura sociale e sanitaria. I C.A.T. sono raggruppati in associazioni locali ACAT,
provinciali APCAT, regionali ARCAT e un'associazione nazionale AICAT.
Hudolin era convinto della necessità di affrontare i problemi alcol-correlati attraverso l'approccio ecologicoverde secondo il quale bisogna difendere la qualità della vita dell'uomo e della comunità; in questo senso i
disturbi alcol-correlati sono disturbi dell'equilibrio ecologico della comunità e non una malattia o un disturbo
morale del bevitore.
Secondo Hudolin l'alcolismo deve essere considerato come un fenomeno di grappo per cui più si beve nella
comunità, più ci sono individui che esagerano con il bere. Con l'approccio ecologico o verde, attraverso
adeguati programmi si può giungere a modificare i modelli comportamentali della comunità per far calare la
pressione sociale e la spinta al bere.
II programma dei C.A.T. viene definito psico-medico-sociale in quanto affronta il disturbo alcolismo nei suoi
molteplici aspetti dato che le problematiche alcol-correlate sono una conseguenza di diversi fattori, di origine
biologica, culturale, psicologica e sociale.
Il consumo di alcolici è considerato un comportamento a rischio le cui conseguenze investono tutto il mondo
relazionale della persona: la famiglia, l'ambiente di lavoro, la comunità territoriale. Questo è il motivo per cui
il trattamento deve coinvolgere l'intera famiglia dell'alcolista e da questa incidere sul comportamento della
comunità tutta.
I C.A.T. sono delle comunità multifamiliari formati da un massimo di 12 famiglie e da un servitoreinsegnante conoscitore dei problemi legati all'uso d'alcol e che favorisce la comunicazione e l'interazione tra
i partecipanti.
Quando il C.A.T. raggiunge le 12 famiglie da vita ad un nuovo C.A.T. con un nuovo servitore insegnante, sia
per facilitare il contatto reciproco e l'interazione che per favorire l'ingresso di altre famiglie.
Non vi sono regole fisse salvo la regolare partecipazione, la puntualità e l'astinenza dal fumo alle riunioni
(circa h. 1.30, una volta alla settimana).
Proprio perché l'alcol viene visto come problema di stile di vita, alle riunioni partecipa tutta la famiglia e, nel
caso di persone sole, per famiglia si intende anche quella parentale allargata o quella amicale e, quando
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necessario, anche una sostitutiva. Possono partecipare ai C.A.T. anche le famiglie di alcolisti che non
vogliano essere presenti.
Durante le riunioni non vengono dati consigli, ma solidarietà, amicizia e condivisione per promuovere un
cambiamento di vita e per riuscire a superare il momento decisivo della "ricaduta" che va sdrammatizzata,
accettata e risolta. In funzione di questo momento molto delicato i C.A.T. si devono attivare maggiormente
per offrire disponibilità al patronage, cioè le visite amicali a domicilio che supportano le famiglie in
difficoltà.
3. San Marcellino e l'alcol
Da un intervento di Danilo De Luise traiamo i seguenti brani, che danno il senso del rapporto tra
S. Marcellino e l'alcol.
"L'incontro con i Club ha segnato, nella storia di San Marcellino, una svolta importante, perché abbiamo
cambiato il nostro punto di vista nel considerare i problemi alcol-correlati, ma, soprattutto, perché siamo
cambiati noi, abbiamo incontrato nuovi compagni di viaggio, attivi in altre realtà. Questi incontri hanno
creato contaminazioni importanti che hanno arricchito tutti e tutte le rispettive realtà di provenienza. Già solo
da questa prima banale osservazione possiamo tutti riconoscere il ruolo rilevante e moltiplicatore che il
mondo dei C.A.T. ha avuto anche a Genova. Questa città deve l'impulso all'espansione dei Club alle persone
senza dimora. La prima famiglia entrata a far parte del C.A.T. n° due vi fu invitata da una persona senza
dimora che ne aveva conosciuto un membro in ospedale. Lo stesso Club ha accolto persone con capacità di
verbalizzazione veramente esigue e le ha viste crescere.
Questo metodo è, passatemi il termine "popolare", cioè riesce ad accogliere uomini e donne con strumenti di
relazione che in altre situazioni non sarebbero sufficienti neanche a fare le presentazioni.
I punti forti dell'accoglienza nei Club, vista come priorità da salvaguardare e quello che una volta si
chiamava patronage, secondo noi, hanno rappresentato e rappresentano irrinunciabili orientamenti.
L'affetto e l'interesse per l'altro, la centralità della persona, ci ha colpito e accomunato fin dall'inizio e,
crediamo, sia la vera forza di tutto il movimento. Questa centralità travalica il metodo stesso, che si fa da
parte di fronte a questo valore, non si arrocca su regole rigide, punti di vista assoluti. È previsto che il
modello cambi, cresca, si adatti alle esigenze e alla scoperta che può derivare dall'incontro con le famiglie e
gli individui. Pensate a quanta strada si è fatta dalla fine degli anni settanta, quando anche nei Club si parlava
di alcolismo come malattia, pensate alla spiritualità antropologica.
Credo che questa capacità di crescere, di immaginarci migliori sia, la grande eredità che il professore
Hudolin ci ha lasciato; abbiamo la responsabilità di non dispensarla facendoci tentare dalle ricette, dalle
regole, dalle teorie, facendoci sedurre dalle rassicuranti certezze che ci allontanano dalle persone e dalla loro
sofferenza, rischiando di chiuderci in mondi forse un po' più facili, ma molto più poveri".
Certo si può notare che questa attenzione alla persona è un elemento fondamentale che caratterizza
l'approccio al problema da parte di San Marcellino.
Infatti, la maggior parte delle persone che entrano in contatto presentano problemi di natura psichica e/o
fisica e disagi relazionali dovuti all'alcolismo. Trattare alcolisti senza dimora è particolarmente difficile
perché è necessario cogliere la multidimensionalità dei problemi (spesso di natura esistenziale) dei senza
dimora e capire quale genere di aiuto e/o interazione necessitano le singole persone e questa è la ragione per
cui San Marcellino ha trovato nell'approccio "ecologico-sociale ai problemi alcol-correlati e complessi "dei
Club degli Alcolisti in Trattamento una particolare sintonia di principi ed obiettivi".
Proseguiamo nella ricostruzione, per così dire "storica" del rapporto di San Marcellino ai problemi alcolcorrelati delle persone senza dimora avute in carico riproponendo un intervento di Padre Alberto Remondini,
il responsabile della Associazione:
"Parto da un punto di vista soggettivo, d'altronde questo è il metodo dei Club, ciascuno vi è coinvolto in
prima persona.
Alla fine dell’86 ho assunto la responsabilità del centro di san Marcellino, che ai tempi si occupava di
accoglienza a persone in situazioni di povertà estrema. Arrivavano tradizionalmente da noi persone molto
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diverse tra loro (era difficile cogliere delle somiglianze). Il padre Carena, prima di noi, metteva nel pacco
natalizio, accanto alla pasta, allo zucchero ed al panettone anche la bottiglia di vino. Ed io vedevo sfilare
davanti a me un piccolo esercito di personaggi speciali, che di tanto in tanto facevano intravedere, al di là dei
segni esterni del logoramento e di quelli interni alla fatica di vivere, con le ferite tipiche dell'abbandono,
scintille di originalità che oltrepassavano di lungo le mie esperienze, cognizioni, conoscenze culturali.
Talvolta queste scintille si accendevano proprio parlando con persone che avevano bevuto: tra le righe
strascicate di un discorso alterato dall'alcol, apparivano squarci di vita attraenti ed alcune volte
entusiasmanti; ma questi squarci immediatamente si chiudevano perché l'alcol impediva di fare un discorso
che andasse oltre l'immediato. Ritornavano immediatamente le richieste di soldi, l'aggressività, le lacrime,
l'odore sgradevole nella piccola stanza dei colloqui. Tutto finiva lì, era impossibile procedere oltre. Restava
nel mio cuore la nostalgia di una bellezza intravista, intuita, ma come inavvicinabile.
Con le persone che bevevano era impossibile avviare un processo, mettere insieme una relazione in vista di
una prospettiva di vita più dignitosa e bella.
Nell'88 un obiettore del Centro, un giovane medico, era partito per fare un corso di sensibilizzazione dei
C.A.T. ed era ritornato con l'imperativo ricevuto di aprire un club. Presto fatto, i più incalliti bevitori attorno
a san Marcellino, erano stati catturati dalla caparbietà e dall'entusiasmo di Maurizio, che aveva avviato un
Club molto particolare, poco ortodosso: dentro quel club è esplosa la sofferenza comune che sapeva di
strada, di abbandono, di nostalgie degli affetti. La puzza d'alcol, poco alla volta, ma anche abbastanza in
fretta, ha fatto posto all'odore di umanità con la U maiuscola. Sul tavolo non più bottiglie ma le ferite delle
persone, la crescita della consapevolezza, l'inizio caparbio di nuovi progetti di vita, evidentemente fino ad
allora insperati. Dopo un annetto mi decido anche io, vado a Torino per il "mio" corso di sensibilizzazione:
metto piede per la prima volta in un club famiglie. Il buon Dio volle che una di quelle sere a Chieri si
incontrassero in un Club, con alcune altre famiglie, un imprenditore di Cuneo con sua moglie, nonché una
persona senza dimora assistita dal Comune di Chieri. La moglie dell'imprenditore beveva e non si capiva
perché faticasse tanto a smettere. L'uomo di strada intervenne, come un abilissimo terapeuta famigliare,
conducendo il marito ad ammettere d'aver messo fuori la moglie dall'azienda dove anche lei lavorava, per
sentirsi più autonomo.
Nessuno dei due aveva collegato l'alcol alla sofferenza di una donna che si sente diventata inutile: nessuno
dei due aveva capito, fino a quel momento che tutti e due erano coinvolti sulla scelta dell'alcol, le cui
conseguenze stavano pagando da anni. Il piccolo uomo era stato grande, grandissimo, anche lui aveva
vissuto qualcosa del genere, un giorno che, messo da parte si era sentito completamente inutile.
Sono tornato a Genova con una nuova intuizione: le persone sulla strada potevano aver parola nelle
dinamiche famigliari degli imprenditori. Le ferite talvolta aprono la strada al dialogo, la condivisione può
diventare solidale, gli squarci di bellezza una volta intravisti, potevano diventare roccia su cui progettare.
Bella cosa davvero!
Ho fatto da famigliare ad una persona che aveva vissuto dentro ad un armadio per un paio d'anni: poco alla
volta, nel club, ho scoperto che aveva una moglie e due figli a Montecarlo, che conosceva cinque lingue, fra
cui l'arabo, che aveva girato il mondo su navi ed yacht, che aveva una sensibilità raffinata, che amava
tenacemente i suoi figli, che aveva vergogna di incontrarli ma anche orgoglio per le loro affermazioni
professionali. Accanto a ciò, poco alla volta, ero entrato nelle altre famiglie del club, avevo visto come le
ansie di una bambina di 10 anni circa il proprio padre e l'armadio degli alcolici di casa potessero tenere
banco e far uscire le lacrime a qualcuno, avevo vissuto in diretta licenziamenti per "giusta causa",
separazioni coniugali, degrado di rapporti affettivi una volta intensi."
A rinforzo ed ulteriore chiarimento di quanto già viene emergendo, ci serviamo, qui di seguito, di alcuni
brani significativi di un'intervista al medesimo Alberto Remondini, effettuata da Gabriele Verrone
appositamente per questo progetto di ricerca e che fa emergere il ruolo dei C.A.T..
"… la tradizione precedente alla nostra vedeva, tra le proposte degli aiuti alle persone sulla strada, anche
quella di fornire loro delle bottiglie di alcol in occasione delle festività … ma il problema dell’alcol era
veramente inaffrontabile". Tutto questo, naturalmente, fino alla scoperta dei Club ed al rapporto poi
instauratosi. Dice Remondini che poi:
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"la gente, all'interno dei Club, si esprimeva con molta più scioltezza e rapidità rispetto a quanto non facesse
nei colloqui al Centro D'Ascolto o nei percorsi che noi proponevamo". E' poi venuto maturandosi una vera e
propria proposta esistenziale e culturale: "oggi l'idea che a San Marcellino non si beve e che ci sia una
proposta che va nella direzione di aiutare quelli che cercano di smettere di bere è un elemento oramai
acquisito … credo che sicuramente più della metà abbia no problemi seri con l'alcol e credo che potremmo
arrivare anche al 60%".
Remondini affronta poi un problema importante per le persone senza dimora che hanno problemi alcolcorrelati, che ha fondamentalmente a che fare con la mancanza della famiglia.
"… ci sono anche situazioni nelle quali le persone non riescono a vivere con la vita di un Club … se il
metodo dei Club è una proposta fatta a famiglie, quando abbiamo a che fare con persone sulla strada, le
famiglie normalmente non ci sono … qualche volta questo tentativo è stato fatto, però normalmente questo
non avviene, abbiamo provato tutta una serie di escamotages e di espedienti … le caratteristiche dei Club ci
sono a tutti gli effetti, mancano le famiglie. È evidente che non ci sentiamo di sacrificare la realtà alla teoria,
nel senso che di fatto funzionano. Non dovrebbero funzionare, secondo la teoria più ortodossa, però
funzionano … noi diciamo che il legame che viene ad instaurarsi gradualmente con le persone è un legame di
tipo comunitario, di fatto San Marcellino, il Centro, la Chiesa, la domenica, le feste, le attività, i luoghi di
svago, il centro diurno, ecc. sono spazi dove la gente percepisce una sua appartenenza e talvolta percepisce
questa appartenenza come un legame familiare che poi dura".
È chiaro che il messaggio di San, Marcellino ai propri utenti rappresenta una vera e propria controcultura
rispetto a ciò che accade nel mondo esterno:
"una sorta di controcultura rispetto all'osteria, a san Marcellino non si beve, non si va d'accordo con gli osti";
San Marcellino ha sviluppato anche particolari rapporti e messo a punto regole di funzionamento che per
certi versi somigliano a ciò che accade in una famiglia:
"certe volte non si fa entrare una persona semplicemente perché l'alito sa un po' di alcol, ma non è alterato
nel suo comportamento, ma perché c'è un contratto con lui attraverso il quale si intende fargli passare che il
rigore e l'attenzione assoluta al non bere in quel momento sono talmente importanti da pregiudicare il suo
potere rimanere in una struttura".
Tuttavia si distingue tra situazioni differenziate: "… in una comunità dove una persona sta da molto tempo,
una persona può anche rimanere avendo bevuto, entrando in casa e discutendo come avviene in una famiglia,
senza venire messo fuori, salvo che non complichi tanto l'esistenza agli altri, ma con lui si approfitta per
discutere e chiedere che cosa è successo. In un dormitorio dove il discorso della sobrietà, del non arrivare
ubriachi è importante come elemento del contratto iniziale, è importante verificarlo con un certo rigore".
4. Il materiale empirico
II materiale empirico analizzato consta, come si sa, di una parte quantitativa e di una parte qualitativa.
La parte quantitativa da conto dell'evoluzione della traiettoria di vita di alcuni soggetti in un arco di tempo
determinato, dal punto di vista del loro rapporto con il C.A.T.. Il materiale raccolto è stato elaborato e
successivamente "tradotto" in una serie di tabelle che mostrano l'evoluzione e le peculiarità del fenomeno.
Da tale materiale è possibile evidenziare il ruolo decisivo del rapporto con il C.A.T., per quanto riguarda la
linea biografica dominante, delle persone senza dimora seguite da San Marcellino. Il lavoro di San
Marcellino, nella ricostruzione dell'attaccamento alla vita delle persone senza dimora seguite, è
effettivamente stato corroborato dalla frequenza al C.A.T. da parte dei soggetti. Si è verificata pertanto una
doppia contingenza: singolarmente considerati, San Marcellino e i C.A.T. sono bene, complessivamente San
Marcellino e i C.A.T. sono meglio. E' possibile sostenere infatti, alla luce del materiale empirico analizzato,
che il lavoro dell'uno corrobori il lavoro dell'altro e che venga a crearsi una continuità di impegno, per il
singolo soggetto seguito, che fa evidentemente scattare alcune molle nella direzione del cambiamento. A
questo effettivamente si assiste: ad un positivo effetto cumulativo dei due, se possiamo così impropriamente
chiamarli, trattamenti. L'uno migliora e consolida l'altro e, in buona misura, lo integra e a volte lo supplisce.
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La doppia contingenza o effetto cumulativo ha luogo perché vengono enfatizzate alcune caratteristiche
comuni dei due approcci: tra essi, in primo luogo, il convincimento che non esiste cronicità, vale a dire che è
sempre possibile, in generale nella vita di un uomo, cadere sì nell'abisso della propria autoreferenza ma, nello
stesso tempo e in qualsiasi momento, risorgere. La metafora Croce-Resurrezione funziona, può funzionare
per ogni essere umano, qualunque "caduta" gli sia incorsa.
In altre parole è sempre possibile una sorta di "miracolo", un "Alzati e cammina" per l'alcolista senza dimora,
alla stessa stregua di ognuno di noi. Ed è su questo che la combinazione del lavoro di San Marcellino e dei
C.A.T. punta, con esiti positivi come testimonia il materiale empirico analizzato.
Qui di seguito riportiamo alcuni dei dati quantitativi che maggiormente danno conto dei risultati ottenuti dal
lavoro di San Marcellino in rapporto con i Club. In occasione di questa ricerca si è cercato di ricostruire
l'esperienza che le persone in questi anni hanno fatto con i Club e restituirla in modo tale da offrire elementi
di comprensione e riflessione tramite, raccolta di dati relativi alla frequenza delle persone in alcune strutture
dell'Associazione San Marcellino, a come frequentano il Club (soli, ecc), a come stanno o stavano, alla data
dell'ultimo contatto con noi, al numero dei morti e all'età del decesso.
Valutare "come stanno" richiama ad un certo imbarazzo e, alla fine, ci siamo orientati e rassegnati, a riferirci
a tre grosse aree:
9 Gli abbandoni dal club, che peraltro non necessariamente significano ricadute,
9 Gli esiti medi che ci piace di più definire come rapporti incostanti con il Club,
9 Gli esiti buoni che ci piace di più definire come rapporti costanti con il Club.
Il senso attribuito a queste categorie rappresenta un tentativo e ne siamo ben consapevoli, di fare una
mediazione tra quello di San Marcellino, quello dei Club e quello della persona. A San Marcellino le persone
con cui si è lavorato e che hanno orientato la loro vita verso una qualità migliore, sono quelle che hanno
instaurato con l'Associazione un rapporto intenso e significativo per entrambi. Questa esperienza nasce dal
rapporto con gli operatori, nelle comunità, con i volontari, nelle attività ricreative.
Si crea, quindi, una rete di relazioni significative che, in quel momento e alla lunga, svolgono la funzione di
veri e propri legami parentali, punti identitari fragili, delicati, attenti, ma soprattutto, intensi.
Questa crediamo sia anche l'esperienza di quelle persone che sono state inviate al club e che lo hanno
frequentato da sole.
Abbiamo cercato di ricostruire il loro percorso. I dati riguardano solo 112 persone suddivise come si può
vedere nei lucidi 1,2,3. Da questi emerge che buona parte delle persone sole hanno tratto giovamento dal
lavoro nei club. Abbiamo quindi pensato di ricostruire quantitativamente il loro rapporto con l'Associazione
attraverso dati che riguardano i contatti con il nostro centro di ascolto, il nostro centro diurno e le situazioni
alloggiative. Abbiamo individuato il mese di inserimento al Club e poi abbiamo monitorato il periodo di
frequenza nelle strutture per i sei mesi prima del mese di inserimento, e per i sei mesi dopo. Abbiamo
chiamato questo periodo: periodo campione.
Si è lavorato su un campione di persone inviate ai C.A.T. dalla Associazione San Marcellino corrispondente
a 112 persone, dei quali 105 maschi e 7 femmine. Di esse, 97 sono andate sole, 7 accompagnate (da qualcuno
di San Marcellino 2) 3 in coppia, 1 con un famigliare, 4 con un famigliare sostitutivo.
Di essi sono ancora in contatto con l'Associazione 32 persone (più del 28%), non più in contatto 58 persone
(quasi il 52%) ed infine sono decedute 22 persone (il 20%). L'età media del decesso è 54 anni (cosa su cui è
opportuno riflettere comunque: rispetto ad un genovese qualsiasi, l'aspettativa di vita si abbassa di ben oltre
vent'anni). È da rilevare che i dati non riguardano gli utenti di San Marcellino che hanno avuto problemi
alcol-correlati, ma riguardano direttamente coloro che è stato possibile ricostruire tramite archivio.
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Tabella 01
Persone inviate ai CAT dall’Associazione San Marcellino
dal Gen.1988 al Dic 2000
sole:
97 (3 femmine)
accompagnate:
7 (0 femmine)
in coppia:
3 (1 femmine)
con un famigliare
1 (0 femmine)
con un famigliare sostitutivo
4 (0 femmine)
Totale
112 (108 maschi + 4 femmine)
Tabella 02
Ancora in contatto con
l’Associazione:
32 (2 femmine)
Non più in contatto:
58 (2 femmine)
Deceduti:
26 (0 femmine)
(età media decesso: 54 anni)
Tabella 03
Rapporto col CAT delle 112 persone inviate dall’Associazione
Partecipazione
costante
Partecipazione
incostante
Rapporto
interrotto
39 (1 fem.)
25 (1 fem.)
33 (1 fem.)
1
3
3
2 (1 fem.)
1
0
con un famigliare
0
1
0
con un famigliare
sostitutivo
0
4
0
42 (2 fem.)
34 (1 fem.)
36 (1 fem.)
sole:
accompagnate:
in coppia:
Totale
14
Tabella 04
Tabella 05
Tabella 06
15
Tabella 07
Tabella 08
Tabella 09
16
Tabella 10
Tabella 11
Tabella 12
17
Tabella 13
Tabella 14
Tabella 15
18
Raccolta dati biografici delle persone che hanno contattato un CAT inviate da San Marcellino.
Persone censite
Maschi
Femmine
Totale
Nazionalità
Italiani
(26 Genova e provincia)
Stranieri
Stato Civile
Celibe/nubile
Coniugato
Divorziato
Diviso
Separato
Vedovo
n.r.
Titolo di studio
Analfabeta
Elementare
Media inf.
Media sup.
Laurea
n.r.
Età (attuale)
Meno di 30 anni
Dai 30 ai 39 anni
Dai 40 ai 49 anni
Dai 50 ai 59 anni
Dai 60 ai 69 anni
Più di 70 anni
Deceduti
Alloggiamento
In uso
In affitto
Di proprietà
Struttura protetta
Asilo notturno
San Marcellino
Nessuna
n.r.
Entrate economiche
Da lavoro
Sussidio da SSM
Sussidio da Comune
Pensione di lavoro
Pensione d'invalidità civile
Pensione d'invalidità da lavoro
Pensione sociale
CAD
Nessuna
n.r.
112
5
117
113
4
44
9
3
19
30
4
8
3
28
15
4
3
64
1
6
17
38
23
5
26
1
25
2
2
8
16
3
60
5
4
1
4
22
2
2
3
53
13
19
NOTA: I dati relativi all'età si riferiscono a quella attuale e non a quella di inizio rapporto col CAT. Anche
altre informazioni (entrate economiche./ alloggio) sono generali, non relative ad un periodo
specifico e talvolta non aggiornate.
5. L'azione combinata
Si tratta però di un "miracolo", quello cui accennavamo all'inizio del paragrafo precedente, non da Superstar,
è il tempo il vero artefice dei cambiamenti positivi. Il lavoro di San Marcellino e dei C.A.T. permette di
innescare, nel tempo, dei cambiamenti nel percorso di vita del soggetto che sfruttano le latenze evolutive del
soggetto stesso. L'azione combinata aiuta tuttavia a far sì che tali cambiamenti, pur tra alti e bassi, continuino
e, se possibile, si irrobustiscano nel tempo. Un risvolto importante del convincimento, direi empiricamente
dimostrato, che la cronicità non esiste neppure per gli alcolisti senza dimora (o per i senza dimora alcolisti, al
di là delle etichette), è tuttavia legato all'esito del, chiamiamolo così, "percorso terapeutico" (anche se la
definizione è impropria, parzialmente) dal punto di vista delle aspettative sia di San Marcellino sia dei
C.A.T..
Consapevoli o no che essi ne siano, infatti, entrambi i poli terapeutici non si aspettano una guarigione nel
senso medicale del termine. Si aspettano anzi, o meglio non escludono mai, una o più possibili "ricadute"
senza per questo considerare fallimentare il loro intervento. Qui bisogna capire bene. Non è che il loro
intervento, dal punto di vista dell'autovalutazione, sia considerato positivo comunque, che cioè ci si contenti
di una sorta di linimento delle sofferenze dei soggetti in carico in una specie di teoria (e di pratica) di
riduzione del danno. Eppure esiste una sorta di certezza più o meno esplicita nel lavoro sia di San Marcellino
sia dei C.A.T., che esce rinforzata nella azione combinata: ed è il convincimento, del tutto eversivo e
scandaloso rispetto a molto sentire comune dei giorni nostri, che così come nella vita non esiste la cronicità
non esiste neppure la soluzione una tantum dei propri problemi esistenziali, del dolore, del dispiacere, del
senso di inadeguatezza, delle ferite dell'abbandono (autentico o percepito non importa).
Questo comporta, e il materiale qualitativo mette straordinariamente in luce tutto ciò, una specie di continui
alti e bassi, di miglioramenti e ricadute, ricadute e miglioramenti che danno in pieno il senso dell'autentica
processualità della vita e che contraddicono ogni immagine di stabilità o di risultato (positivo o negativo)
permanentemente acquisito.
6. Tra stabilità e processualità
Ciò non significa che i passi avanti che vengono compiuti dai soggetti in carico non portino comunque, per
loro, a dei benefici effetti: ma bisogna ben capire che i risultati positivi si acquisiscono nel tempo, con molto
tempo. L'ammonimento del C.A.T. costituisce, da questo punto di vista, un esempio paradigmatico: "Io sono
xy, non bevo da z tempo" significa sostanzialmente ricordare, in ogni momento, che si può tornare indietro,
che il percorso è sempre in salita e che, comunque, non è mai in discesa. Significa anche che se si smette di
pedalare ci si ferma e si può regredire, anche molto rapidamente. Significa però anche che si può sempre
riprendere la salita e che quindi non esiste qualcuno immune né dalle possibilità di salita né dalle possibilità
di discesa.
La fiducia nella possibilità del singolo, tuttavia, è in entrambi i trattamenti, e più ancora nella combinazione
di essi, corroborata dalla azione comunitaria: entrambi gli interventi, sia quello di San Marcellino sia quello
del C.A.T. possiedono infatti forte valenza comunitaria. Non si tratta di terapie od interventi individualistici,
anche se sono individualizzati, ma sono anzitutto milieu Therapy (cioè terapie ambientali) di tipo
comunitario.
In comunità c'è accoglienza, incontro, condivisione; la comunità è il luogo dei legami ove ognuno può
trovare riferimento non come persona (ciò che appare) ma come individuo (ciò che è o che, tramite la
liberazione delle sue latenze evolutive, può essere o sta per essere). Vi è, in comunità, soprattutto un'azione
educativa in cui non vi è distinzione alcuna, se non eventualmente funzionale, tra chi educa e chi è educato.
Il destinatario dell'azione educativa è come me, nella comunità. Quando dico che non vi è distinzione alcuna
tra chi educa e chi è educato voglio quindi sottolineare che non vi è distinzione ontologica alcuna, che non vi
è alcuno stupore, alcuna meraviglia e neppure può esserci alcuna asettica presa di distanza. Non vi è
distinzione ontologica, vi è empatia.
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7. L'azione comunitaria
La comunità poi esclude la separazione tra affetto e ragione, ma in particolare nella comunità non vi è la
politica del confronto, la competizione (aperta o implicita), e soprattutto non vi è selezione: ciò perché manca
ogni criterio selettivo che consenta di stabilire differenze di valore tra un individuo e un altro, tra
un'esperienza e un'altra. Vi è da capire che, nella comunità di vita o terapeutica (nel senso dell'etimo greco),
non vi è la pratica del confronto, non vi è alcun criterio di selezione (più o meno naturale) proprio perché vi è
rispetto per la pratica della vita e per l'idea di vita che già prevede la diversità, una diversità, come si è detto,
"cieca" perché originaria, del tutto priva di ogni esperienza di verifica per tramite del confronto o del
paragone. Ciò tuttavia è possibile solo se, come sostiene G. Piazzi: "Non c'è sopravvivenza del più adatto, c'è
sopravvivenza dell'adatto, senza più".
Lungo e difficile è certo il lavoro che si deve compiere, faticosa l'azione educativa per far capire, a ciascuno,
che esiste anche la possibilità di rispettare la vita in quanto tale, qualcosa che è ben al di qua di ogni
confronto, di ogni competizione, di ogni gara, di ogni carriera e quindi di ogni "Falso Sé".
È importante, per chiunque e in particolare per chi ha vissuto nella emarginazione, sapere che non ci si deve
avvicinare ad un tipo ideale, che non c'è un metro rispetto al quale confrontare le proprie misure ma che
invece tutto ciò che conta è prendersi le proprie misure, per ciò che afferisce se stessi, aiutati dalla azione
comunitaria, come s'è detto, a proprio tempo ed a proprio modo. Tutto questo è comunque possibile se, e solo
se, si è all'interno di un sapere della vita. Un sapere della vita infatti sa bene che la pratica del confronto
competitivo non è priva di gravi conseguenze su ogni singolarità vivente, proprio a partire dal fatto che ciò è
quanto di più strutturalmente estraneo alla vita stessa.
8. Il ruolo degli altri nel cambiamento
Nell'analisi del nostro materiale empirico, appare evidente poi che sono gli altri, se e nella misura in cui li si
frequenta, sia gli altri significativi di San Marcellino (gli operatori) sia gli altri generalizzati (gli altri utenti
di San Marcellino e i membri del Club, di cui credo debba essere considerato parte uguale anche il servitoreinsegnante), a costituire uno specchio dei propri personali atteggiamenti e comportamenti ed a rappresentare
quindi una continua possibilità di autocorrezione di essi, cosa ben diversa dal doversi uniformare a parametri
o traiettorie predefinite. E' una sorta di looking-glass-Self (simile a quello di cui parla l’Interazionismo
Simbolico) quello che viene a costituirsi nella azione combinata di San Marcellino e del C.A.T.: in entrambe
le esperienze, che cumulate forniscono una sorta di valore aggiunto, la soggettività dell'individuo in
trattamento viene continuamente rispecchiata dagli altri (ripeto: sia generalizzati sia significativi).
E' importante che l'individuo, il quale ad un certo punto della propria vita si è trovato in condizioni estreme,
sappia che non deve intraprendere un cammino basandosi esclusivamente sulle proprie forze ma ricevendo
dagli altri che gli stanno intorno un continuo feed-back, ma anche appoggio, comprensione e soprattutto la
percezione concreta che si può effettivamente compiere passi avanti di tipo evolutivo.
Sotto questo particolare profilo, che potremmo definire della rassicurazione, il ruolo del C.A.T. assume un
peso straordinario. Si tratta infatti di una rassicurazione non solo verbale e, per così dire, cognitiva, ma in
realtà di una rassicurazione proveniente da una autentica testimonianza (le persone, facenti parte del C.A.T.,
che sono astinenti da molti anni): la presenza concreta di persone, al club, che da molto tempo riescono a
vivere senza bere vale certo, per i senza dimora alcolisti, molto di più di altre esperienze.
Nel club, infatti, gli alcolisti senza dimora hanno la possibilità di ritrovare fiducia in se stessi, tramite la
consapevolezza che le derive esistenziali degli altri alcolisti (pur non senza dimora) presenti al club hanno in
ogni caso toccato punte verso il basso che, magari, solo loro pensavano di avere toccato. Questi ultimi inoltre
possono, concretamente, vedere che altri ce l'hanno fatta, a vivere senza bere, e questo costituisce, anche in
termini comportamentistici, un positive reinfo-cement decisivo.
Il materiale empirico, tuttavia, lascia comprendere come, per gli alcolisti senza dimora, il solo lavoro del
C.A.T., pur importantissimo, non potrebbe essere sufficiente. Questo soprattutto per la mancanza (reale o
fantastica) della famiglia. I senza dimora alcolisti, nella più parte dei casi, sono senza famiglia: non tanto dal
punto di vista anagrafico, quanto sostanzialmente. Poco importa sapere, qui, se sono stati abbandonati, se
hanno abbandonato o se credono di essere stati abbandonati: il risultato non cambia.
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9. Azione comunitaria e cultura della sobrietà
In questi casi San Marcellino va a costituire, con la sua azione comunitaria, una sorta di clima famigliare, se
non di famiglia vera e propria che, nell'ottica del C.A.T. stesso, appare indispensabile per una evoluzione
della situazione.
Venendo ad un altro aspetto, si deve sottolineare anche, tra i risultati dell'azione combinata dei due interventi,
in termini di valore aggiunto, lo sviluppo di una serie di pratiche di vita che testimoniano concretamente
l'acquisizione e l'interiorizzazione di una cultura della sobrietà. È utile sottolineare che non è solo il C.A.T. a
diffondere l'idea di una cultura della sobrietà (cosa che naturalmente il C.A.T. fa quanto al problema alcol)
ma, in misura rilevante, lo stesso San Marcellino quanto, in generale, agli stili di vita suggeriti agli utenti in
buona misura tramite la testimonianza.
Una decisa sobrietà quanto agli stili di vita e di consumo caratterizza l'approccio di San Marcellino e così il
lavoro del Club relativo all'alcol viene rafforzato da un messaggio generale che i due poli inviano, che
significa pressappoco che la vita può essere affrontata senza additivi chimici, da un lato ma anche senza
erotizzazioni consumistiche o stili di vita sopra le righe, dall'altro. Anche questo elemento contribuisce a
corroborare, a chi si accosti al materiale empirico raccolto, la sensazione di un cammino fatto davvero di
piccoli passi, avanti e indietro, su e giù come in uno yo-yo, di acquisizioni provvisorie che, nel lunghissimo
periodo, diventano poi più o meno permanenti, ma con molta fatica. Viene soprattutto trasmessa la
sensazione di ossessività e di ripetizione. Diverse volte, leggendo i verbali degli incontri e dei colloqui tra gli
operatori di San Marcellino e gli alcolisti senza dimora, si potrebbe sovrapporre, quasi in fotocopia, un
resoconto - mettiamo - dal 1990 con uno del 1997, relativo allo stesso utente.
Questa sensazione, certamente autentica, provoca due reazioni molto diverse: la prima, diciamo così
pessimistica, che non si muove, che non si sta muovendo nulla e che quindi il tempo che passa, ed il lavoro
che si svolge, serva davvero a poco. La seconda reazione, forse più ottimistica, consiste nella comprensione
del fatto che, all'interno di un cammino evolutivo, i tempi sono lunghissimi e che la staticità, la ripetizione,
da parte dell'utente, rappresenta la messa in campo di un più che normale meccanismo di difesa.
Tale meccanismo è imputabile alla paura che i cambiamenti che il soggetto ha messo in atto lo destabilizzino,
non gli consentano cioè più di affrontare la vita tramite risposte note. Quel che voglio dire, in realtà, parlando
delle due reazioni così diverse, è che ci troviamo di fronte alla ricomparsa di un processo di coazione a
ripetere molto forte, nel corso del lavoro su se stessi che gli utenti alcolisti senza dimora attuano nella
cornice di San Marcellino e del C.A.T., Di tutto il materiale analizzato, sono proprio i resoconti dei colloqui
a San Marcellino a far emergere, molto più che nelle interviste a operatori e utenti o negli indicatori
biografici oggetti vati questo senso di ripetizione, di fatica e di un tempo che passa proficuamente o
improficuamente. Si deve in realtà capire, anche se ciò non è semplice, che il tempo che passa è sempre e
comunque proficuo, e che le ripetizioni di atteggiamenti, comportamenti e richieste (a volte assurde) da parte
degli utenti, in realtà sono il segnale di una evoluzione, comunque, in un cammino maturativo che è, per sua
intima natura, lento e irto di difficoltà.
Se il cammino non è semplice e tantomeno lineare, tuttora, credo non si debba per questo considerarlo un
cammino fallimentare e tantomeno un cammino insoddisfacente, ovvero che si debba considerare il lavoro
compiuto sul soggetto una sorta di semilavorato e non di prodotto finito. Dobbiamo, per capire, cercare di
toglierci dalla testa l'immagine della normalità che circola nel nostro sociale ed anche tra noi singoli stessi.
Ognuno a volte fa cose ripugnanti ed ha l'opportunità di capirlo, prima o poi. Eppure la capacità di rimozione
è talmente forte da permettere di dimenticare ciò che ci fa vergognare profondamente; ci consideriamo
quindi con una certa benevolenza, solitamente: essa viene meno solo nei momenti di crisi, in cui riusciamo
ad avvertire compiutamente la nostra umana pochezza, l’insufficienza della nostra capacità di amore, la
tendenza ad avvitarci nelle nostre proprie personali irrilevanti preoccupazioni.
Eppure, nel momento stesso in cui si esce dall'ansia della crisi, si è portati a dimenticare quei sentimenti che
si era potuto provare, con lucidità ma anche, inevitabilmente, con dolore. Tanto forte è la paura del dolore ed
il bisogno di mantenersi entro binari quotidiani di prevedibilità che quei momenti di crisi, dolorosi eppure
preziosissimi per la crescita di ognuno di noi, vengono rimossi, riposti ad acta, insieme alla percezione della
nostra inadeguatezza, alla paura di non essere completamente sani di mente.
22
10. Percorso terapeutico e rimozione: un cammino di alti e bassi
È la rimozione delle proprie personali situazioni di crisi che fa enucleare un metro di valutazione delle crisi
altrui completamente distonico da quello usato per valutare le proprie. Per valutare le crisi degli altri, e
soprattutto per avere certezza del superamento di tali crisi, sempre da parte degli altri, ci attendiamo
indicatori affidabili, osservazioni prolungate e ripetute nel tempo. Ciò, intendiamoci, va bene, anzi è
assolutamente necessario. Ma non è sufficiente da un importante punto di vista: non si possono applicare due
pesi e due misure. Ovvero: un peso e una misura per chi ha avuto crisi "dichiarate" e ufficiali" e un altro peso
e un'altra misura per chi le sue crisi è riuscito a tenersele per sé e a camuffarle in vari modi. Se è pertanto
giusto compiere verifiche accurate delle condizioni di una persona che, ad esempio, è stato tossicodipendente
od alcolista per poter capire se è venuto a capo di quel tipo di problemi, non si può ritenere altrettanto giusto
imporre su altri dei parametri di valutazione che non ci si sognerebbe di applicare a se stessi.
Nel caso del presente progetto di ricerca (Il sogno di Vladimir) che si occupa del binomio alcolismo - senza
dimora bisognerà ragionare su cosa intendiamo con il termine: aver superato i propri problemi. E,
probabilmente, sarà opportuno dotarsi di un ulteriore punto di vista: in questo campo il "lavoro finito" o
"prodotto chiavi in mano" non esiste, perché in realtà, all'interno della condizione umana, prodotti finiti non
esistono ed esiste invece, come prassi, l'imperfezione, l'incompiutezza, l'inadeguatezza. È un saggio di
Sigmund Freud, scritto nel 1937, a porsi per la prima volta compiutamente il problema; esso porta il titolo
Analisi terminabile e interminabile 1 . In tale lavoro, Freud si interroga, senza pervenire a una risposta
standard, sulla durata del trattamento psicoanalitico, e anche sulla possibilità di pervenire a una totale
guarigione, nonché sulle resistenze che ogni paziente presenta allo stesso trattamento. Ovviamente, le
considerazioni freudiane valgono per il trattamento psicoanalitico, e sono da considerarsi eventualmente
esaurienti e definitive quanto al momento in cui vengono scritte. Impossibile, dunque, generalizzarle in
assoluto; ancora più arduo sarebbe poi considerarle qui come l'unico punto di riferimento, per molteplici
ragioni e in particolare per la specificità della popolazione considerata, nonché per il fatto, evidente fin che si
vuole ma che mette conto tenere in ogni caso in considerazione che non è previsto, né nel caso di
San Marcellino né in quello del C.A.T., un rapporto terapeutico strettamente duale, tra un solo paziente e un
solo terapeuta.
Tuttavia mi pare che alcuni interrogativi posti da Freud in quel saggio risultino assolutamente validi per ogni
terapia che riguardi il campo che oggi, con un termine in parte brutale, viene definito del people processing.
Pertanto cercherò di tradurli qui in termini che risultino di qualche utilità interpretativa, ovviamente
assumendomi la piena responsabilità del tentativo che, dal mio punto di vista, ritengo legittimo in quanto,
così come è impossibile negare le differenze tra una terapia psicoanalitica consolidata e il trattamento che si
compie nelle strutture genovesi, mi pare altrettanto impossibile, oltre che fuori luogo, negare che le strutture
qui considerate costituiscano una sede ove vengono effettuate terapie (anche se si preferisce chiamarle
azione educativa o accompagnamento sociale).
Nel saggio citato, Freud solleva un problema davvero comune a ogni terapia e che, credo, distingue
significativamente l'ambito del people processing da quelli più specificamente sociosanitari, che consiste in
realtà nella definizione del termine guarigione.
Mentre infatti nella medicina, soprattutto nella tradizionale medicina della terapia, è possibile fornire, per
una specifica patologia, una definizione pressoché standard dei parametri che interessano la guarigione, ed
esistono quindi strumenti diagnostici (quanto essi siano effettivamente affidabili non ci riguarda) per
sostenere se si è pervenuti a una guarigione, ed è pertanto possibile prevedere tempi medi di durata della
terapia, o dell'insieme delle terapie, necessarie per pervenire alla guarigione stessa, così non è per l'ambito
delle terapie comunque afferenti il people processing, nonché per le cosiddette patologie della modernità2 .
1
Cfr. S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, in S. Freud, Opere, voi.XI, Boringhieri, Torino, 1979. Si veda
inoltre, S. Freud, II problema dell'analisi condotta da non medici, in S. Freud, Opere, voi. X, Boringhieri, Torino,
1979.
2
Cfr. P. Donati (a cura di), La cura della salute verso il 2000, Angeli, Milano, 1989. Si veda anche P. Donati, Teoria
relazionale della società, Angeli, Milano, 1991, in particolare il capitolo 6 "La cronicità come relazione sociale".
23
In tali ambiti, guarigione e durata della terapia assumono un significato fortemente individualizzato, variano
da persona a persona, anche se ciò non significa assolutamente che i due termini siano evanescenti e inadatti
al campo specifico di cui si parla.
Ma vi è poi un altro fattore distintivo, che demarca l'ambito delle terapie afferenti dì people processing dai
campi più propriamente sociosanitari e soprattutto dalle terapie medicali. Tale fattore riguarda la inscindibile
relazione tra guarigione e durata della terapia, negli ambiti di cui si stiamo occupando. Vi è una relazione
diretta tra guarigione e durata della terapia perché, mentre in molte terapie di stampo medicale non molto è
lasciato al contributo del paziente, negli ambiti del people processing il contributo soggettivo del paziente è
assolutamente decisivo. Tale fenomeno è imputabile alle resistenze che il paziente, ogni paziente, il migliore
dei pazienti, necessariamente oppone allorché le patologie che lo affliggono non siano di tipo evidentemente
e meramente organico.
Ogni paziente ha in sé forti spinte che lo porterebbero ad accontentarsi cioè di risultati parziali e provvisori
che in realtà non lo porterebbero mai fuori dal nucleo di problemi che egli stesso ha, almeno in parte, veduto,
visto che a un certo punto ha deciso (non importa per quali ragioni) di curarsi, vale a dire di chiedere aiuto e
di entrare in una relazione terapeutica. Scrive infatti S. Freud nel saggio citato:
L’esperienza analitica ci ha mostrato che il meglio è sempre nemico del bene e che
in ogni fase del processo di guarigione dobbiamo lottare contro l'inerzia del
paziente che lo indurrebbe ad accontentarsi di una soluzione incompleta1 .
Il proverbio francese che Freud cita qui, le mieux est l’enemi du bien, andrebbe tenuto sempre presente,
perché caratterizza ogni terapia e costituisce poi una vera e propria costante nella cura delle cosiddette
patologie della modernità. Basti infatti pensare al paradosso dell'alcolista di cui parla Gregory Bateson in
Verso un'ecologia della mente: "Sono stato bravo, posso premiarmi con goccetto" non costituisce affatto una
peculiarità dell'esperire vivente degli alcolisti, esso rappresenta bensì il tratto comune delle cosiddette
patologie della modernità, come ben testimonia il materiale empirico raccolto.
11. Prevenzione e ricerca: un circolo virtuoso
Pur non volendo citare come paradigma ciò che accade nella scienza medica, non si può non rilevare il gap
tra quest'ultima e le scienze sociali sul piano non tanto della ricerca in generale, ma del legame pratico tra la
ricerca ed i fenomeni esaminati. E' opportuno notare che l'idea di prevenzione dei fenomeni, nelle scienze
sociali, sembra slegata dalla ricerca e dai risultati di quest'ultima.
Il caso della ricerca genovese di cui qui parliamo sembra aprire una finestra interessante anche per le stesse
scienze sociali, nel senso sopra indicato: potendo essa essere letta anche come ricerca di follow-up, ci dice
quali sono state le buone pratiche che, nel tempo, hanno permesso ad un buon numero di persone senza
dimora con problemi alcol-correlati di sopravvivere e, in parecchi casi, di ritrovare voglia di vivere e senso
della vita. Come vedremo, ricerca di follow-up e prevenzione hanno tra loro, o possono avere nell'ottica qui
proposta, un legame molto stretto. La prevenzione, primaria, secondaria e terziaria, costituisce un pilastro
della cultura socio-sanitaria italiana almeno a partire dalla 833/78, la legge di riforma sanitaria. Tuttavia è il
caso di sottolineare che, mentre in medicina il ruolo della prevenzione è evidente e consolidato, e così pure i
contenuti di essa, ed è inoltre accertata la sua funzione dal punto di vista del mantenimento della salute, le
cose stanno in modo ben diverso nel campo delle scienze sociali. In esse, la stessa definizione di prevenzione
è vaga ed incerta. Può essere utile notare come, in medicina, le strategie e le azioni preventive derivino, in
realtà, dallo studio cumulativo dei decorsi di specifiche malattie, vale a dire da efficaci ricerche di follow-up,
ripetute nel tempo. Non nascono quindi, in medicina, le azioni preventive da teorie, più o meno raffinate, ma
possiedono una forte circolarità con le ricerche sugli effettivi andamenti delle singole specifiche patologie
nel tempo. Prima si capisce cosa "fa bene" e cosa "fa male" e, successivamente, si elaborano le strategie per
rafforzare, in termini di prevenzione, ciò che fa bene e per scoraggiare, sempre in termini preventivi, ciò che
fa male. Poco spazio è lasciato alle astrazioni e alle intuizioni, per brillanti che esse possano risultare. In
medicina quindi si verifica la cosiddetta circolarità tra ricerca e prevenzione, ove è da sottolineare che il
primum movens è certo la ricerca, che poi si traduce in prevenzione ed infine in ricerca sugli effetti delle
strategie e delle azioni preventive messe in campo.
1
S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, cit., p.514, corsivo mio. 22
24
In ogni disciplina consolidata, la conoscenza procede tramite prove ed errori, verso una cumulatività della
ricerca scientifica. Nate in medicina, le ricerche di follow-up, cioè di ricaduta, hanno lo scopo di valutare
l'efficacia dei trattamenti che hanno la finalità di guarire o di attenuare il peso di specifiche patologie. Le
ricerche di follow-up, pertanto, costituiscono un test di efficacia rispetto a un trattamento, o ad una
combinazione di trattamenti; esse hanno anche un altro effetto, che potremmo definire middle range, di
ridefinire le teorie di partenza sulle specifiche patologie analizzate, in termini teoria-ricerca-teoria.
Si pensi per questo all'ematologia ed agli altri straordinari passi avanti compiuti nella cura dei linfosarcomi
ove è innegabile il follow-up del follow-up, la ricaduta della ricaduta, cioè il peso correttivo sui trattamenti,
o sulle combinazioni dei trattamenti, delle ricerche effettuate. Le ricerche di follow-up, tra l'altro, hanno il
merito indiscutibile di avere una finalità eminentemente pratica, una spendibilità immediata, ma è da
sottolineare che la ricerca di follow-up o di valutazione di efficacia, parte come particolare ma diventa presto
di valore generale. Una ricerca di valutazione di efficacia, in sintesi, è si specifica ma non può in ogni caso
partire da zero e prescindere dalla definizione comune, e scientificamente consolidata, del fenomeno
studiato.
Non si può in una ricerca di valutazione di efficacia, cominciare sempre da zero, fare insomma tabula rasa.
Se questo accadesse all'interno delle discipline in cui essa è nata, la valutazione di efficacia avrebbe prodotto
ben pochi risultati. I linfosarcomi sarebbero forse ancora, e per tutti, malattie mortali mentre, grazie a Dio,
non lo sono più.
Senza ricerca, in ogni campo del sapere, si va a farfalle: e il fatto è che si va a farfalle sulla prevenzione del
fenomeno, ove si procede a tastoni e senza tenere conto delle indicazioni provenienti dalla realtà, vale a dire
dai successi di chi concretamente opera sul campo. La ricerca genovese da conto di una attività molteplice
nei confronti dell'alcolismo, entro la cornice della vita senza dimora, che è venuta consolidandosi nel tempo
per prove ed errori: ciò significa che non si è partiti da dogmi e che si sono scandite poi alcune certezze
nell'approccio attraverso il fare di molti anni. Lo stesso incontro con il metodo Hudolin (e con lo stesso
Vladimir Hudolin in prima persona) è avvenuto per esigenze pratiche, avendo compreso San Marcellino che
l'alcolismo, entro la vita senza dimora, non riusciva ad essere affrontato attraverso un approccio tradizionale,
come effettivamente l'Associazione aveva fatto nei primi anni. Così ovviamente è stato con i Club,
conseguenza logica e per certi versi inevitabile dell'incontro con V. Hudolin: il rapporto si è sviluppato, per
così dire, naturalmente e si è evoluto per ragioni eminentemente pratiche e verificate in termini di follow-up.
La ricerca genovese, infatti, dimostra, oltre ogni interpretazione soggettiva, sia nella parte quantitativa sia
nella parte qualitativa, l'efficacia dell'azione combinata di San Marcellino e dei Club nel tempo, come già
abbiamo evidenziato: ciò che qui va aggiunto è che lo dimostra nei termini inequivocabili di una ricerca di
follow-up. È proprio nei termini di una ricerca di follow-up che il presente lavoro, nel caso della ricerca
genovese, va considerato. Il follow-up dimostra che vi è elevata capacità di far rimanere agganciati soggetti
alcolisti senza dimora. In questo senso si tratta di una attività (che potremmo anche chiamare un trattamento,
o anche una terapia) di successo. E' anche sconsolante, l'esito del follow-up, per coloro che, possedendo una
immagine eufemistica e metafisica della condizione umana, si aspettano guarigioni a tutto tondo e magari
pure perfette, proprio perché pensano che il binomio senza dimora-alcolismo sia una malattia. Da questo
particolare punto di vista, nonostante gli indiscutibili passi avanti compiuti da molti soggetti seguiti negli
anni, qualcuno avrà sempre qualcosa da dire.
Sano/malato, normale/patologico, e via di questo passo, appaiono invece a chi scrive come schematismi
binari da abbandonare in fretta, dovendoli invece sostituire, soprattutto nel caso presente, con alcune
interpretazioni meno dogmatiche. In altre parole si dovrebbe, come spesso accade per ciò che afferisce la vita
interiore, sostituire gli aut/aut con la logica et-et. Ciò significa che è possibile, nel corso degli anni, ottenere
una sorta di stabilizzazione che permette una sopravvivenza certa e spesso anche una vita dignitosa senza
tuttavia garanzie assolute rispetto al rischio di ricadute (nell'alcolismo, nella vita senza dimora o più spesso
in entrambi). Tali ricadute però, a ben guardare, non vanno considerate ricadute in senso pieno se, come è
accaduto spessissimo negli anni, permane l'aggancio con San Marcellino e/o con i Club. Diciamo questo
perché, avendo ben chiara la situazione di partenza dei soggetti di cui parliamo, già il mantenimento di un
rapporto o, se si preferisce, di una relazione terapeutica, costituisce un indicatore di successo. La presente
ricerca, infatti, propone a mio avviso una ridefinizione di successo nel trattamento, pur sapendo che a
qualcuno, nel campo di chi si occupa di persone senza dimora, le parole "trattamento" e "successo"
potrebbero far venire in mente rischi di utilizzare un approccio medicalizzante, che in realtà sono del tutto
estranei dalle intenzioni di chi scrive. Se tuttavia non si ha paura delle parole e tenendo ben presente che lo
25
scopo della presente ricerca non era né quello di "dare numeri" né, a maggior ragione, di snocciolare
percentuali di successi in trattamenti (non sono questi infatti gli obiettivi dell'Associazione San Marcellino),
si può in ogni caso sottolineare che, pur in un quadro di accoglienza e promozione umana, se si considera la
ricerca genovese dal punto di vista del follow-up, i risultati vanno anche visti in termini di efficacia della
proposta di San Marcellino. Se al termine proposta si sostituisce il termine trattamento il gioco è fatto.
Qui efficacia significa capacità di tenere agganciati i soggetti nella prospettiva di una loro evoluzione ed
autonomizzazione, da ottenersi comunque con i loro tempi ed i loro modi e pertanto in un arco temporale ben
ampio. Efficacia significa anche operare nei termini della azione educativa.
L'azione educativa appare evidente, in termini di efficacia, dal materiale analizzato della ricerca genovese.
Educare, dal latino educere, vuoi dire condurre fuori, portare fuori, fare emergere ciò che di migliore esiste
già in una persona: non vuoi dire, quindi, educare, sostituirsi a lui e tantomeno cercare di fargli fare o pensare
cose che non fanno parte del suo patrimonio biopsichico. Significa invece aiutarlo a liberare le latenze
evolutive in lui presenti e che non sono ancora riuscite ad emergere o che si sono, per così dire, inabissate.
Con ciò viene in luce la funzione di quello che oggi si chiama approccio dell’accompagnamento sociale che,
applicato al contesto della presente ricerca, significa accettare, per gli utenti, da parte di San Marcellino, un
percorso lungo e ondivago, in ogni caso non lineare.
L'affiancamento degli utenti ha significato non sottoporre gli stessi a pressioni selettive di sorta, né di natura
temporale ("devi fare questo entro un tempo prestabilito") e tantomeno dovute ad una logica strettamente
condizionale ("io ti do questo se tu fai quella certa cosa"), che potremmo definire con il termine logica del
rientro. Non promuovere una logica condizionale non vuoi dire, si badi bene, da parte di San Marcellino,
sposare una logica assistenzialistica in cui ogni atteggiamento dell'utente viene accettato o addirittura
rinforzato.
La stessa logica di funzionamento dei Club trova, con tale agire, notevoli punti di convergenza: non vi è mai
una selezione permanente, così come non vi è mai l'attribuzione di una patente di guarigione a chi frequenta
il Club, che è anzi invitato a definirsi in permanenza alcolista e quindi a portarsi addosso for ever il segno
della propria imperfezione .
Da questo particolare punto di vista potremmo sottolineare, forse in modo un po' enfatico, che gli alcolisti in
trattamento, a maggior ragione se senza dimora, appartengono a color che son sospesi: non viene attribuita
né una patente di guarigione né per converso una patente di cronicità. Si prende atto invece di una condizione
umana che, come tutte, è stata attraversata dal solco di una mancanza e che, diversamente da molte, viene
invitata a tenere a mente quel solco. Si può affermare che il lavoro di San Marcellino e dei Club, nella loro
azione combinata, tende a prevenire quello stato, così frequente e pur così poco maturativo all'interno della
condizione umana, che la psicoanalisi lacaniana chiama beanza. La beanza, che potremmo forse definire
come una sorta di soddisfatta contemplazione di se stessi, ha a che fare con ciò che, sempre entro la trama
della psicoanalisi lacaniana, viene definito come il miraggio della padronanza delle proprie funzioni.
Ovvero, in parole molto più povere di quelle di Jacques Lacan: il senso di dominio e di controllo, la
sopravvalutazione di sé, il mancato senso del limite, l'illusione di non dipendere emotivamente da nessuno,
l'idea grandiosa e magniloquente di "fare il proprio gioco". Tutti questi si configurano come stati d'animo,
sensazioni, "moods" che, come ben sanno gli operatori che si occupano di alcolisti senza dimora,
costituiscono un sicuro habitat per lo sviluppo delle derive biografiche dell'emarginazione adulta grave. Nei
percorsi nell'emarginazione adulta grave, nelle derive biografiche delle povertà urbane estreme, nei processi
di decomposizione ed abbandono del Sé si riscontra frequentemente infatti una sorta di atteggiamento
delirante che suona "tanto io ce la faccio da solo" che spesso, e non solo paradossalmente, si accompagna ad
una richiesta di aiuto incondizionato nei confronti di strutture quali San Marcellino. E' proprio smontando
pezzo per pezzo tale idea prevalente ("farcela da soli", "bastare a se stessi") che l'azione educativa rivela la
sua efficacia: né il volto compiaciuto della beanza e tanto-meno il volto duro e metallico di chi non deve
chiedere mai possono consentire un recupero della propria dimensione umana, senza la quale il recupero
della mera dimensione sociale appare un risultato parziale.
12. La ricerca transnazionale
In una ricerca transnazionale le trappole della comparazione sono, come si sa, a portata di mano: è molto
facile infatti scambiare le proprie modalità di giudizio per quelle degli altri, o comportarsi come un turista il
quale osserva per poco tempo e superficialmente (cfr. F. Schulteis) una realtà che non conosce affatto e poi
26
inizia a trinciare giudizi e a sputare sentenze. In un lavoro come "II sogno di Vladimir" le trappole senza
presenti in una ricerca transnazionale sono decisamente meno pericolose perché la cultura del bere in
Spagna, Francia e Italia ha forti punti di collegamento anche se, naturalmente, possiede le proprie differenze.
È la funzione esercitata dal bere nella decomposizione ed abbandono del Sé ad interessare qui, ed il suo
accoppiamento strutturale con la vita sulla strada che porta le persone coinvolte in un circolo esistenziale di
rinforzi continui.
Rinforzi continui che significano, praticamente, che più bevi e più stai sulla strada, più stai sulla strada e più
bevi e soprattutto che perdi progressivamente attaccamento alla vita. Infatti la vita sulla strada e la crescente
abitudine a bere interessato non certo in termini di giudizio di valore, o come stigmatizzazione, bensì perché
rappresentano uno dei segni più evidenti dell'uomo in difficoltà, dell'uomo sofferente , dell'uomo solo che
non cerca più l'appoggio e l'aiuto dei fratelli, e che cerca nelle bevande e nella solitudine di dimenticare ciò
che più gli da dolore.
"Bere per dimenticare" è un rimedio antico quanto l'uomo, non certo peculiare alla formazione sociale nella
quale ci troviamo a vivere, ma che, nella formazione sociale attuale, unendosi alla vita di strada, accentua
sempre più la componente di disperazione e di dispiacere, il segno di un'automedicazione artificiosa alla
sofferenza.
27
LA RICERCA A FORBACH (FRA)
Il Sogno di Vladimir
Ricerca sulla presa in carico delle pratiche di alcolizzazione nei centri di accoglienza per persone in
situazioni di grave difficoltà sociale
LETTERE D'AMORE
Laboratorio di scrittura diretto da Philippe Malone
Con i Compagnons du Rempart – Emmaüs
E la Compagnie du Bredin
Amore !
Un angelo di bellezza ama oggi
Un fiore
Facevo ridere quando barcollavo per la via
Facevo ridere quando avevo bevuto troppo e non rientravo più
Avrei voluto amare, ma non l'ho saputo fare
Avrei voluto piangere ma non l’ho potuto fare
Avevo una moglie ed un figlio a cui volevo bene
Ma amavo la mia bottiglia e non me ne importava
Volevo essere migliore, ma non credo più in Dio
Avrei potuto essere così forte, ma non ero più come loro
Mi guardo allo specchio e piango, mio figlio mi guarda bere
Ne prendo un altro bicchiere, non sono più suo padre
Capisco la sua disperazione, sono di nuovo nel buio
Continuo il mio viaggio e capisco la sua miseria
Avevo dei genitori a cui volevo bene
Bevevo e non me ne importava
Ora non ho più nulla
Eppure non ho smesso
Voglio bene ancora a tutti, soprattutto a Raphaël e Ghislaine
Vorrei rimediare ma non sono più lo stesso
Vorrei essere perdonato ma non ne ho più il diritto
Vi vorrò sempre bene perché -
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Premessa
II contesto del programma "II sogno di Vladimir" è quello di una ricerca a lungo termine sulle pratiche di
presa in carico di popolazioni adulte in condizioni di estrema difficoltà sociale (SDF 1 ) in tre diversi Paesi
della Comunità Europea. Al termine dell'ultimo programma di ricerca (1999-2000), questi lavori hanno
condotto alla distinzione tra diversi modelli di azione, corrispondenti a referenziali teorici ed ideologici
parzialmente esplicitati ma che, a mio parere, possiedono ciascuno la propria razionalità.
In pratica, i tre modelli stabiliti potrebbero essere riferiti ad altrettanti livelli di comprensione della
costruzione dell'identità o, più precisamente, a registri, ossia a modalità diverse di interpretazione della realtà
delle situazioni incontrate. Si potrebbero così distinguere i tre registri seguenti:
1) registro della costruzione dell'identità (nel senso freudiano del termine: esistere in quanto soggetto).
Questo registro corrisponde a quello che è stato definito l'approccio della responsabilità,
consistente nell'essere responsabile di se stessi nei confronti del mondo esterno. In tale registro
si tende ad insistere sulla considerazione delle teorie dell'inconscio nella costruzione dell'identità sociale.
Elisabeth
Maurel 2
(sociologa,
consigliere
presso
la
Federazione
Nazionale
delle
Associazioni per il Reinserimento Sociale) parla di "ristabilire l'immagine di sé della persona in
difficoltà, per investirla nel reale sociale";
2) registro della socializzazione, nel senso che Piaget attribuisce a questo termine. L'intervento sociale è
dettato, in particolare, dall'intento di favorire l'educazione della persona dal punto di
vista delle sue capacità di adattamento ed assimilazione rispetto a situazioni sociali di apprendi
mento (il modello che, nel programma " Testa e Piedi ", è stato definito di accompagnamento
sociale). Secondo E. Maurel "inserirsi significa integrarsi in un sistema sociale retto dalla legge
dello scambio";
3) registro dell'integrazione sociale (nel senso interpretato ad esempio da F. Dubet e A. Touraine : esistere in
quanto soggetto ed attore in una società in rottura con i modelli tradizionali di organizzazione). In
quest'ottica si insiste principalmente sulla capacità delle persone a collocarsi, in
quanto cittadini, in un contesto socioeconomico fatto di disuguaglianze (modello definito del
l'assistenza parapubblica). Elisabeth Maurel afferma che "inserirsi vuoi dire anche scavare il posto
della persona in difficoltà nel cuore della razionalità moderna".
In questo modo, piuttosto che cercare di attribuire un valore più o meno importante all'uno o all'altro
modello, individueremo l'interesse che ciascun modello assume in un determinato contesto, nel quale la
storia, il materiale tecnico ed umano ed il coinvolgimento istituzionale assumono ciascuno un'importanza
particolare.
Trattandosi dunque di rendere conto della presa in carico di un problema particolare e particolarmente
importante in questo settore di attività, quale l'alcolismo e le sue modalità di cura, mi sembra opportuno
evitare un approccio al problema che sia esterno rispetto alle modalità di presa in carico generali evidenziate
fino ad oggi.
Le posizioni di principio di Emmaus
I responsabili di Emmaus Forbach hanno illustrato la propria posizione rispetto al problema dell'alcolismo
presentando una serie di considerazioni di portata generale.
"Se l'esigenza dell'astinenza fosse promulgata come una legge, una condizione sine qua non, condurrebbe a
intransigenze, atteggiamenti elitari, infallibilità, eroismo o totalitarismo. Molte persone sarebbero escluse a
priori, perché l'alcolizzazione spesso è un rifugio, una via di fuga...
Il nostro percorso, pur affermando l'astinenza come unica soluzione di benessere, consiste nell'accompagnare
e "scortare" la persona umana nella propria personale volontà di esistenza e nell'orientamento o
riorientamento della propria vita quotidiana.
1
Sans Domicile Fixe
2
Maurel E., De l'insertion sociale, Revue de droit sanitaire et social, n. 25, oct - déc 89
29
L'idea di base è quella di liberare l'individuo dal senso di colpa, risvegliando le sue capacità nascoste e
dimenticate nel campo lavorativo e relazionale. Restituire il gusto e la voglia di rivalutare l'essere di ciascun
individuo con gesti di servizio e solidarietà, in cui la persona è coinvolta direttamente o agisce mediante la
collettività: è questo il motore principale di tutta la pratica comunitaria" .
Queste dichiarazioni di principi e di intenti rappresentano, in qualche modo, non solo la conferma di
adesione ad uno dei modelli precedentemente descritti, ma la volontà di sintetizzare i 3 registri: si tratta di
una concezione dell'inserimento che rappresenta una sintesi delicata, possibile solo grazie ad un approccio
sostanzialmente psicologico, uno psicosociale, che mette la persona in relazione con l'ambiente in cui vive,
ed uno sociologico, volto alla partecipazione al processo di costruzione dell'ambiente sociale.
"Così come il disinserimento è un processo attivo di degrado ed accumulo di sconfitte, allo stesso modo il
reinserimento è un atto imposto dalla persona, è l'atto di cambiare, l'atto di produrre". (E. Maurel, op. cit.)
Presentazione del lavoro
Nella prefazione al rapporto sulla pericolosità delle droghe del professor Bernard Roques, Bernard Kouchner,
segretario di Stato alla Sanità, scrive: "Trattandosi di abuso di sostanze tossiche, non si può negare che la
situazione attuale abbia dato vita a zone di non diritto. È stato necessario molto tempo per prendere coscienza
dei pericoli della guida sotto l'effetto dell'alcol. Oggi lo sappiamo bene: il 30% dei decessi dovuti ad
incidenti stradali è dovuto all'abuso di alcol, per non parlare dei feriti. Allo stesso modo, l'alcol è
responsabile del 20% degli incidenti domestici, del 15% degli infortuni sul lavoro, del 5% degli infortuni
sportivi, dell'80% delle risse e dei tafferugli. E, nella stragrande maggioranza dei casi, i responsabili di questi
incidenti non sono alcolisti, ma semplici consumatori di alcol".
D'altra parte, nell'approccio sociologico all'alcolismo realizzato da Pascale Ancel e Ludo vie Gaussot 1 , gli
autori ci ricordano che, "secondo i criteri medici, il 20% dei francesi di età superiore a 15 anni consuma alcol
in quantità eccessive e rischia di diventare malata di alcolismo. Una percentuale compresa tra il 5 e 1'8%
della popolazione francese si dichiara malata di alcol, cioè dipendente da questo prodotto tossico".
Nel programma "II sogno di Vladimir" gli autori del lavoro di ricerca sull'alcolismo erano forse privi di
quella visibilità di partenza riservata alla diffusione di un modello di intervento sviluppato a partire
dall'esperienza italiana dell'associazione San Marcellino di Genova, in collaborazione con un'associazione di
lotta all'alcolismo (CAT), ampiamente rappresentata a livello nazionale ed internazionale (ad eccezione
tuttavia del caso francese e di quello spagnolo, Paese che costituisce il terzo partner del progetto e che è
rappresentato dall'associazione San Martín de Porres di Madrid).
Tuttavia, i ricercatori associati alle tre strutture hanno chiesto ed ottenuto il riconoscimento del principio di
uno studio di tipo qualitativo, basato sull'intervista, da una parte, di alcuni rappresentanti istituzionali e,
dall'altra, di persone in condizioni di difficoltà sociale; lo studio è stato poi corredato da dati quantitativi
relativi agli utenti accolti. Lo scopo consisteva nell'evidenziare il modo in cui questi diversi protagonisti
affrontano il problema del trattamento dei comportamenti alcolisti. Di seguito si presenteranno i temi di
indagine individuati per questo lavoro. È parso subito evidente come la priorità non fosse uno studio
comparativo tra le tre strutture, peraltro difficilmente realizzabile in seguito alla diversità delle situazioni.
Per contro, ci è parso molto proficuo il fatto di poter confrontare e discutere gli studi effettuati nelle tre
strutture con le peculiarità investigative di ciascun ricercatore, il che ha reso ancora più indispensabile
riferire questi lavori al tema più generale della presa in carico delle persone senza fissa dimora. Si presenta di
seguito un approccio qualitativo al problema, a partire soltanto dalla realtà di Emmaus di Forbach.
Il primo capitolo di questo lavoro è dedicato ad un tentativo di definizione della problematica dell'oggetto di
studio: il trattamento dall'alcolismo nella presa in carico, in un ambiente protetto, di persone in condizioni di
estrema difficoltà sociale.
Il secondo capitolo è costituto dalla trascrizione, sotto forma di estratti, delle interviste realizzate con alcuni
responsabili e residenti. Naturalmente non ho osato sollecitare l'espressione di persone ancora prigioniere di
questa dipendenza, per timore di suscitare principalmente un discorso di giustificazione o razionalizzazione
dei comportamenti, difficile da analizzare in quanto tale se non da un punto di vista psicologico: non era
1
Ancel P.et Gaussot L., Alcool et alcoolisme, pratiques et représentations. L'Harmattan, Paris 1998.
30
evidentemente questo il mio intento. Il terzo capitolo mira a proporre un punto di vista analitico sull'oggetto
in esame, in rapporto alle ipotesi avanzate nella problematica.
Definizione della problematica
Nell'insieme delle problematiche proposte dalle scienze sociali a proposito dell'alcolizzazione, come afferma
Pascale Ancel, le interpretazioni di tipo qualitativo fanno dell'alcol un rifugio temporaneo, una scappatoia a
condizioni di vita fisiche o morali difficilmente sopportabili. In questa stessa prospettiva la psicologia sociale
e le discipline cliniche affrontano il problema del consumo eccessivo. Altri studi descrivono l'alcolismo come
un fenomeno derivante da un processo di costruzione storica... L'etnologo Jean-Pierre Castelain 1 descrive le
pratiche di alcolizzazione degli scaricatori di Londra come un insieme di avvenimenti o riti facenti parte
della costruzione di un'identità sociale ...
Di fatto, secondo Ancel e Gaussot, gli studiosi oscillano tra due atteggiamenti: trasformare l'alcol in generale
ed il vino in particolare in uno degli elementi più evidenti del modo di vivere, dell'identità o del patrimonio
nazionale, oppure stigmatizzarlo come un veleno che porta alla decadenza ed alla marginalità.
Appare evidente come il discorso principale de "II sogno di Vladimir" appartenga alla seconda categoria, e
questo in modo molto netto, dal momento che denuncia esplicitamente il culturalismo di un approccio
antropologico e le sue implicazioni commerciali o di proselitismo, attraverso la valutazione del fattore di
socievolezza attribuito all'alcol. Pur restando in linea con questa posizione, cercheremo di determinare un
effetto di distanziamento, in modo da chiarire gli interlocutori sociali chiamati in causa da questo problema.
Nella letteratura sociologica attuale, il bere viene visto da alcuni, a volte, come un atto individuale, di
sofferenza, disperazione e richiesta di aiuto, altre volte come un atto sociale volto a favorire l'integrazione del
bevitore in un gruppo o in un'attività (alcol droga o alcol doping). Ma è anche un atto che si inserisce nelle
pratiche collettive e nei valori sociali, entro limiti più o meno definiti dal punto di vista sociale; oltrepassare
questi limiti significa a volte rischiare la repressione, ma soprattutto suscitare la riprovazione sociale.
P. Ancel afferma che "L'ubriaco e l'alcolista restano figure stigmatizzate, che cristallizzano un certo numero
di paure contemporanee e servono da modello opposto alla visione di una società ideale, rassicurante,
integratrice ... " "L'ubriaco impersona una delle figure minacciose dell'esclusione in tutte le sue forme ...
l'alcolista, come il senza dimora, è l’anti modello nel quale temiamo di precipitare 2 "
Se, al di fuori della figura dell'artista, l'alcolismo viene considerato da numerosi specialisti come una
patologia delle relazioni sociali o dello stato psicologico, per le persone intervistate da P. Ancel e L. Gaussot
(op. cit.) esso è prima di tutto una forma di inazione sociale. Per gli autori, l'alcol è paragonato
principalmente ad una droga, una fuga, un rifiuto del mondo reale piuttosto che ad una sostanza dopante, ad
un tentativo di prepararsi meglio ad affrontare il mondo reale, ad iniziare un processo di integrazione; di
fatto, questo uso dell'alcol presuppone, da parte dell'alcolista, il riconoscimento della propria mancanza di
integrazione, della propria incapacità personale di appartenere al mondo senza prodotti additivi che gli
permettano di oltrepassare questi limiti. Questo significa, per la persona, attribuire a se stessa la
responsabilità della propria debolezza piuttosto che ad un sistema sociale inumano. Il sociologo Alain
Ehrenberg esprime questo processo di creazione del senso di colpa sotto forma di una duplice schiavitù: "con
il doping, l'individuo sotto perfusione rappresenta un aspetto della richiesta di sempre maggiore
intraprendenza. L'ansia del guadagno, del successo, di essere qualcuno è strettamente legata al consumo di
massa di psicotropi, perché una cultura della conquista è necessariamente una cultura dell'ansia, che ne
rappresenta il cono d'ombra 3 ".
L'esperienza del soggetto non distinguerà forse così nettamente l'alcol doping dall'alcol droga. È corretto
supporre una forte interdipendenza tra le due tendenze. L'isolamento dal mondo è spesso una forma di
reazione alla difficoltà di integrarsi, di sentirsi accettato. Per noi, l'accettazione del principio di questa
interdipendenza equivale all'individuazione dell'elemento che unisce le due tendenze: il bisogno di
integrazione dinanzi all'individualizzazione dei percorsi e, di conseguenza, all'interiorizzazione delle
sconfitte, che può portare fino all'isolamento dal mondo.
1
Castelain J. P, Manières de vivre, manieres de moire. Alcool et sociabilité sur le port, Imago, Paris, 1989.
2
Ehrenberg A., L'individu incertain, Calmann-Lévy, 1995
3
Ehrenberg A., Le culte de la performance ...
31
L'individualizzazione, tipica della società post-moderna, costituisce una delle principali tematiche della
sociologia contemporanea, in relazione agli interrogativi basati sulle trasformazioni della costruzione del
legame sociale quale ci è stata trasmessa dal modo di organizzazione sociale ereditato dalla società
industriale. Talvolta, l'ottimismo degli studiosi ha il sopravvento, con il riconoscimento dell'emergere di un
soggetto attivo, padrone del proprio destino (Lue Ferry, Alain Renaut); altre volte predomina una visione
pessimista, quella dell'individuo insicuro di Ehrenberg ("L'individuo sofferente sembra essersi sostituito
all'individuo conquistatore"), Dubet o Bernard Lahire ... Laddove i meccanismi sociali favoriscono
automatismi comportamentali o norme stabilite, le scelte personali sembrano avere preso il sopravvento sulle
costrizioni ed il destino collettivo. Questa mobilitazione permanente dell'io si paga con un'inquietudine
esistenziale (Sciences Humaines, Questions de notre temps - Scienze Umane, Problemi del nostro tempo speciale settembre 2001).
Su un altro registro, il sociologo tedesco Ulrich Beck afferma che "assistiamo alla nascita di un nuovo
rapporto tra l'individuo e la società. Il collettivo non può essere ordinato dalla sommità alla base, ma deve
essere liberamente richiesto e costruito a seconda delle biografie individuali. Deve essere negoziato, fondato,
discusso, vissuto e protetto, opponendosi alle forze centrifughe che racchiudono queste biografie ... ",
constatando, d'altro canto, che "l'individualizzazione non si basa su una libera scelta. Gli uomini sono
condannati all'individualizzazione. Si tratta di una costrizione, certamente paradossale, alla propria
realizzazione, non solo a livello della propria esistenza personale, ma anche a livello dei legami morali,
sociali e politici fissati negli schemi imposti dallo Stato sociale". D'altra parte, prosegue "se
individualizzazione non significa dissoluzione, significa per il momento rafforzamento continuo delle
disuguaglianze sociali … (e qui si ricollega agli autori precedentemente citati). Nel contesto
dell'individualizzazione, quello che prima era dominato collettivamente come un destino di classe deve
sempre più essere affrontato individualmente, come un'incapacità personale … 1 "
Constatando il fallimento dei sistemi statali, U. Beck vede il ritorno degli individui ad un livello infra
politico, nel senso che i movimenti di iniziativa dei cittadini si impongono progressivamente sui partiti
politici per piegare le politiche statali e lottare contro l'individualismo selvaggio imposto dall'egemonia della
globalizzazione dei mercati. Probabilmente è proprio in questo senso che si sono sviluppate le "conferenze
del consenso" nei Paesi scandinavi o le "conferenze cittadine" in Francia, allo scopo di trattare problemi la
cui complessità ha raggiunto livelli tali da rendere il viavai di politici ed esperti inefficace ed
insoddisfacente.
In che modo queste nuove distribuzioni vengono o meno integrate dai pochi attori di una piccola comunità,
attorno ad un particolare argomento, l'alcolismo, nella gestione della loro vita quotidiana? Ecco in un certo
qual modo la domanda che mi accompagnerà nel mio incontro con uomini, e sfortunatamente solo con
uomini, dignitosi.
Il Sogno di Vladimir
Realizzazione dell'indagine a Emmaüs Forbach
Numero di interviste effettuate : 5
II presidente dell'associazione
II direttore della comunità Emmaüs di Forbach
II vice direttore della comunità (ex "compagnon")
II responsabile della residenza sociale (ex "compagnon")
Un "compagnon"
Durata di ciascuna intervista : 70 minuti
1
Beck U., La société des risques (Risikogesellschaft), sur la voie vers une autre modernité, 1986, cité in Lien social et
Politiques - RIAC, 39,1998.
32
Guida all'intervista:
Guida all'intervista con i responsabili Istituzionali
1. L'istituzione e l'alcol
In che modo viene affrontato il problema della presenza e dell'introduzione dell'alcol nell'istituzione:
principi, regole di vita, campagne informative, prodotti sostitutivi ...
Qual è la reale situazione dell'istituzione nei confronti dell'alcol: rispetto delle regole, sistemi di controllo,
sanzioni, eventuali conflitti ...
2. L'istituzione e l'alcolismo
Qual è la reale situazione del livello di alcolizzazione dei residenti
Come viene affrontato il problema del consumo di alcol e dell'alcolismo dei residenti: modalità di intervento
e presa in carico, assistenza medica, terapie, azioni educative, di sostegno, gruppi di discussione ...
3. Ruolo e posizione del residente nella presa in carico del proprio alcolismo
In che modo viene attuato il principio di responsabilizzazione nella presa in carico dei problemi di alcolismo.
Il gruppo dei residenti è parte ricevente ...
4. L'impegno personale
Qual è la posizione che l'intervistato è disposto ad assumere dal punto di vista di un impegno personale nella
lotta contro l'alcolismo: astinenza, impegno nei gruppi di discussione, partecipazione a campagne
informative ...
Guida all'intervista con i residenti
1. Lo statuto dell'alcolismo
L'importanza attribuita dai residenti all'alcolismo: esagerata, insufficiente ...
Si tratta di un fenomeno sociale, di uno stile di vita, di una malattia, di una tossicodipendenza, di una
compensazione ...
2. II rapporto personale con l'alcol
II consumo eccessivo di alcol: è possibile consumare alcol in quantità non eccessive
In quali occasioni avete tendenza a bere
Come avete iniziato a bere
La vostra vita sociale è stata direttamente influenzata dall'alcol
L'alcol vi ha causato lesioni, sofferenze fisiche, psichiche, sociali, oppure è associato a ricordi piacevoli ...
3. II trattamento dell'alcolismo
Avete seguito uno o più trattamenti, programmi...
Pensate di poter uscire da questo problema, lo avete già fatto, lo desiderate
Che ruolo vi aspettate dalle persone che vi circondano, o qual è stato il ruolo ricoperto da queste persone
Vorreste aiutare altre persone ad uscire dalla schiavitù dell'alcol.
33
Resoconto delle interviste
II lavoro di trascrizione riportato di seguito tiene conto, con riferimento ad ogni punto stabilito, di tutte le
interviste effettuate a residenti e responsabili delle istituzioni. L'idea di base privilegia il tema principale
della ricerca, ossia l'alcolismo tra le persone assistite e le relative modalità di trattamento. Sul totale delle 5
persone intervistate, 3 sono direttamente interessate dai problemi legati al consumo di alcol.
I punti considerati per la trascrizione delle interviste sono:
1 - realtà dell'alcolismo tra gli ospiti di Emmaüs Forbach;
2 - percorsi personalizzati nel rapporto con l'alcol
3 - priorità di azioni diverse, spesso complementari
4 - logiche di azione sovrapposte
La realtà dell'alcolismo tra gli ospiti di Emmaüs Forbach
Una storia pesante
J : Tra gli anziani ancora presenti a Emmaüs nessuno beve più, bisogna dire che il direttore ha fatto molto
per... la vera battaglia è stata il problema dell'alcol. E' stato proibito introdurre alcolici, acquistarli o tenerli in
camera. Oggi è meno forte, JL ha condotto una battaglia quotidiana, ma oggi è finita, può darsi che una volta
al mese faccia una sfuriata perché qualcuno è uscito, si è riempito la gola, ma è tutto qua, non si va oltre
questa fase. Prima, era un battaglia quotidiana, erano sfuriate continue da parte del " vecchio ", nessuno
osava rispondere, era rispettato. I casi di violenza erano molto rari. Ogni tanto faceva un giro nelle camere,
spesso trovava dell'alcol, allora faceva una bella lavata di capo, si diceva è la " distribuzione dei sigari "
quando iniziava a fare il giro delle camere: " sigaro gratis ". Ed è vero: li sorprendeva a mezzogiorno, quando
rientravano per mangiare, una bella sgridata a parole e poi basta ...
F : Sono stato io a decidere di smettere di bere: un giorno, dopo una bella sbronza, mi sono detto accidenti,
ma cosa stai facendo, rientri in comunità, sai, allora la principale lotta di H era quella contro l'alcol, perché
allora era peggio di adesso, era la lotta principale, non tutti eravamo ubriachi fradici ma qualcuno sì, e tu, con
il passato che hai, stai mandando tutto all'aria, in più sei il delegato dei tuoi compagni, non hai il diritto di
farlo... Qualche anno fa nella comunità stessa c'erano più persone alcolizzate di adesso, c'era più violenza...
C : Nella comunità non deve esserci alcol, per questo la si sorveglia attentamente e si controlla anche che
l'alcol non circoli tra gli ospiti. Un tempo si tendeva ad adottare una politica di repressione rispetto all'alcol,
anche piuttosto dura, soprattutto da parte del responsabile; oggi la situazione è completamente cambiata, si
cerca di andare dalle persone che hanno questo tipo di problema e di trovare con loro delle soluzioni, vedere
insieme come è possibile uscirne, magari proporre delle terapie. Si cerca di aiutare le persone piuttosto che
imporre sanzioni. Quando si faceva il giro delle camere, che allora erano una specie di dormitori, se si
trovava dell'alcol era una sfuriata, e a volte il "colpevole" era messo alla porta. Oggi se vengono trovati
alcolici in una camera vengono confiscati. Esiste un regolamento, che è stato stabilito 5 o 6 anni fa e che
occorre rivedere: questo regolamento è stato fatto nell'ambito del " COPRA " con i "compagnon", ma oggi
bisogna aggiornarlo. La posizione dell'istituzione, dei responsabili rispetto all'alcol si è ammorbidita... ma è
vero anche che, tra i nuovi arrivati, 8 su 10 hanno problemi di alcolismo, che, probabilmente, costituiscono il
motivo principale del loro crollo sociale...
H : Tra le persone che arrivano vi è una media del 60 per cento di alcolizzati. Oggi vi sono più giovani ed i
loro problemi sono spesso legati alla tossicodipendenza, a volte sono casi di persone con problemi
psicologici, rifiutate da tutti: sono casi di tossicodipendenze multiple, l'alcol diventa regolare, un prodotto in
più... Ci sono anche situazioni estreme legate all'alcol: fondamentalmente, tutti sperano che nessuno muoia
per l'alcol, ci sono casi di persone come L, che sa di stare per morire anche se ha smesso di bere nell'86. Ma
adesso l'ha ripreso, lo sa e ne parla, e questo impressiona, fa paura agli altri...
34
Soglie di tolleranza variabili
T : Nulla consentirebbe di dire che tutti i membri della comunità sono astemi. Ci sono dei consumatori, le
persone sono libere di girare per la città, di introdurre prodotti... A livello della comunità si rileveranno
soltanto i comportamenti legati all'abuso di alcol. Il regolamento vieta l'alcol; vi sono alcune comunità che
possono optare per un consumo moderato. Abbiamo visitato una comunità dove il consumo era permesso
entro determinati limiti ed in determinati orari. Per loro la tendenza era quella di autorizzare un consumo
moderato nel gruppo, piuttosto che lasciar andare tutti in città con il rischio di ritrovarli la sera ubriachi,
senza poter controllare il fenomeno. Da noi è vietato. Vi è una posizione ufficiale di Emmaüs che consiste
nel vietare, ma alcuni colleghi sono giunti a questo tipo di riflessione constatando che non potevano resistere
alla tentazione dei bar vicini, e allora hanno scelto di gestire in prima persona il rapporto con l'alcol. Per noi
la valvola di sicurezza è che la persona può andare singolarmente a consumare in città. Ma in questi ultimi
tempi assistiamo, a livello comunitario, ad un fenomeno di presa di coscienza del proprio problema di
alcolismo da parte di tre o quattro persone, che rientrano di propria iniziativa nelle procedure terapeutiche.
H : Ad Emmaüs Forbach ci si immerge rapidamente nelle problematiche sviluppate dall'associazione a livello
nazionale. Ad Emmaüs coesistono diverse tendenze: quella purista dice "niente alcol nella casa". Poi vi è la
tendenza molto più permissiva, ma non lassista, che consiste nel dire " perché impedire ai ragazzi di bere se
fanno il loro lavoro, se non disturbano la vita del gruppo" ; e, infine, vi è una posizione intermedia che dice
"gestiamo l'alcol, consentendo il consumo di un paio di birre al bar della comunità, ma gestiamo noi la
situazione" ... Tra queste tre posizioni, fin dall'inizio della mia esperienza comunitaria, la mia è stata quella di
dire "l'alcol è prima di tutto una via di fuga, un rifugio, nasconde qualcos'altro: per sapere cos'è questo
qualcos'altro bisogna iniziare un percorso con i ragazzi, e fin dall'inizio del cammino bisogna sapere dove si
vuole arrivare..." Sono sempre stato chiaro con i ragazzi: voglio aiutarti a liberarti dall'alcol, ma bisogna che
te ne renda conto. È anche per questo che hai a disposizione la comunità e, in più, un alloggio collegato in
una parte della struttura. Fin dall'inizio abbiamo nutrito la speranza di favorire qualcosa di simile ad un
cuscinetto, che, nell'accompagnamento, permettesse alla persona che non si sentisse ancora in grado di
aderire ai principi della comunità di non essere completamente rifiutata. Questo permette ai ragazzi di dire
"ora sono pronto a camminare con te "...
Non bisogna essere più realisti del re, ogni tanto si ha bisogno di surrogati, prodotti di sostituzione,
"mentine" : il bar fa parte della vita della comunità, ci sono alcuni momenti in cui funziona meglio di altre
cose... La birra analcolica può incitare qualcuno a bere, ma ho anche vissuto l'esperienza contraria di un
ragazzo che ha iniziato a dirmi "io non bevo più, neppure la birra senza alcol, perché mi spinge a bere ", e, 15
giorni dopo, beveva birra vera. Io sono cauto, ogni tanto è meglio fare un assaggio sapendo che si rischia di
riprendere con la birra vera... in tutte le comunità Emmaüs c'è un bar; quando i ragazzi arrivano o passano,
chiedono sistematicamente " dov'è il bar ", questo fa parte della vita delle comunità. Non ne ho mai viste
senza bar. È anche simbolico, perché è la prima cosa che si incontra prima della camera. È così anche da noi,
è anche un luogo di incontro...
C : Una delle condizioni per stare qui è il rifiuto dell'alcol nelle camere; la differenza con la residenza sociale
adiacente è chiara ed evidente, perché dall'altra parte la situazione è più flessibile. Si sa che è vietato ma è
tollerato, mentre qui non è tollerato: si vogliono evitare le serate di baldoria che seguono sempre un abuso di
alcol. Quando i "compagnon" vengono a sapere che c'è dell'alcol in casa intervengono facilmente, si
autodisciplinano, non esitano a chiedere conto personalmente ai propri compagni.
F : Le regole della comunità e della residenza sociale sono diverse: nella comunità non è possibile introdurre
alcolici, mentre nella residenza sì. In un certo senso, gli abitanti della residenza sono un po' come gli
affittuari di una HLM 1 , perciò non vi è ragione di vietare l'alcol. Nell'alloggio di prima accoglienza, se non
consentiamo agli ospiti di bere, ritornano sulla strada... E, in ogni caso, qui si contengono maggiormente di
quando sono per strada. Nella residenza si chiede agli ospiti soltanto di non portare l'alcol negli spazi
collettivi, ad esempio nella sala da pranzo, altrimenti sono liberi, purché non facciano danni.
Nonostante tutto mi è già successo di fare delle verifiche nell'alloggio di prima accoglienza o nelle camere,
ma è molto raro, non gioco a fare il poliziotto... qualcuno ha la scorta, con un po' di confezioni di birra, ma
anche di sangria: spesso preferiscono il vino rosso, ma sempre più frequentemente acquistano cocktail,
miscugli di alcolici e succhi di fratta. La sangria ha abbastanza successo. Comunque, l'alcol non è motivo di
1
Habitat à Loyer Modéré.
35
esclusione alla residenza. Al contrario, nei cantieri è proibito, anche se non vi sono leggi del lavoro che
vietano l'introduzione di alcol sul luogo di lavoro, ma vi è il regolamento interno del cantiere.
Nella residenza vi sono attualmente quattro persone che non fanno uso di alcol, ma di queste quattro due
sono tossicodipendenti gravi ed un terzo lo è in modo meno serio. I ragazzi della residenza sono
evidentemente più liberi, perché devono rispettare meno regole, e questo non solo per quanto riguarda l'alcol.
Ma non sono tuttavia troppo sicuro che la differenza sia così abissale, perché da qualche parte i ragazzi
cercano comunque di attaccarsi a qualcosa, di provare un sentimento di appartenenza ...
Percorsi personalizzati nel rapporto con l’alcol
Una sofferenza difficile da condividere
F : Mia moglie mi ha lasciato nell'86 e, da un giorno all'altro, mi sono ritrovato solo, senza niente. Mi
restavano circa 2000 franchi, era tutto quello che avevo, ero in una situazione piuttosto critica... Per un mese
e mezzo sono tornato da mia madre e, un bel giorno, vengo a sapere che le HBL 1 cercano un custode. Me la
cavo bene nei lavori manuali, sembra tutto a posto, telefono, il colloquio fila liscio, poi il tipo mi chiede la
mia situazione familiare e io rispondo: istanza di divorzio e lui " non va bene, non fa una buona
impressione ..." Ho perso le staffe, il giorno dopo sono partito senza meta, non ne volevo sapere più nulla.
Ho fatto il rigattiere, ho lavorato in nero come bracciante, e questo per 3 anni. Poi sono tornato in me, ho
lavorato per 3 mesi a termine e poi è iniziato tutto, una settimana lavoravo, l'altra no. A dire il vero avevo
cominciato a bere prima che mia moglie se ne andasse, poi è stata la catastrofe. Non è stato il lavoro a
spingermi a bere in quel momento, ma i momenti di ritrovo, si paga a giro, tutti mi conoscevano ... Un bel
giorno C mi dice " ma cosa fai, non vedi che sei su una brutta strada, vieni da noi per 15 giorni, 1 mese, poi
te ne vai ..." Sono venuto qui e ho visto che c'erano persone con molti più problemi di me... avevo un passato
di attività sindacali e politiche, allora mi sono detto ma cosa stai facendo, c'è un sacco di lavoro, e allora mi
sono aggrappato a questo ...
J : Alcuni "compagnon" si raccontano, si aprono, per qualcuno tutto è iniziato con l'abbandono della moglie,
che li ha ingannati, che ha commesso delle meschinità, per altri sono i genitori, poi c'è stato il tunnel del
bere, hanno perso tutto. Ciascuno ha una storia diversa, qualcuno è stato in prigione. Non tutti sono in grado
di parlarne, ma chi ce la fa ne esce meglio.
Sono arrivato ad Emmaüs dopo aver scorrazzato soprattutto in Germania, senza un lavoro fisso, sempre
lavoretti saltuari, la vita dei cantieri, senza punti fermi. Sono andato a lavorare in Germania dopo la morte di
mia moglie. Presto l'alcol è diventato il mio nuovo compagno. Era presente in tutti i giorni della mia vita,
tutte le sere si faceva baldoria, spesso tra francesi, con fiumi di birra; ho iniziato con 4 o 5 mezzi, poi 10,15 e
poi fino a 20, 30, era un inferno, poche ore di sonno, giornate massacranti di 12 ore di lavoro... ci si
arrangiava il più possibile per racimolare qualcosa, ma si calcolava molto meno la sera all'osteria, quando ci
si beveva quasi tutta la paga della giornata. Vivevo così, alla giornata. È durata oltre due anni...
T : Ho avuto a che fare con i problemi di alcolismo nelle mie diverse attività professionali e di volontariato, e
spesso mi sono rotto la testa su questi problemi. Occuparsi di alcune persone per circa 15 anni e vedere che
tutto quello che si ottiene è una sconfitta permanente, pensare alla presa in carico andando oltre le
competenze degli specialisti, provare a capire il perché dell'alcol e rimanere molto perplesso sulle capacità di
terapia, sulla quantità di successi nei tentativi di aiuto ... Ci sono ragazzi che arrivano tatuati dalla testa ai
piedi, ubriachi fradici, semi incoscienti, li raccogli decine di volte e questo non cambia nulla, sei impotente...
Ho vissuto situazioni indescrivibili, da spavento, perché questi ragazzi erano davvero al limite dell'umanità.
H : Oggi vi è un problema a livello della società: l'idea generale è che tutto vada bene, che non vi siano
problemi, le persone si dicono che non hanno il diritto di parlare dei propri problemi, io non ho il diritto di
mostrarli, appartengo alla categoria delle persone che non vanno bene, prive di identità sociale, che
disturbano, rovinano il mondo ...
Si può citare l'esempio di un tipo di M, il barbone, l'ubriacone del villaggio, i bambini usavano il suo nome
per insultarsi... dopo diversi anni ne è uscito, ha smesso di bere; è appena stato operato per un tumore
1
Houillères du Bassin de Lorraine.
36
all'intestino ed è in via di guarigione. Prima dell'operazione, quando si pensava che non ce l'avrebbe fatta,
sono andato a fare visita alla sua famiglia, per convincere il figlio maggiore ad andare a trovarlo, per vederlo
almeno l'ultima volta: tutto inutile, avevano chiuso le finestre e rifiutavano di incontrarmi, sono passati 17
anni ed il problema di base, quello delle relazioni familiari, non è stato risolto. Ho supplicato il figlio, ho
supplicato il padre perché accettasse di fare il primo passo, vedevo bene la loro sofferenza ma non si è risolto
niente, e forse non si risolverà mai...
Adesso ci sono altre persone che ne escono meglio, che incontrano qualcuno, riescono a ricostruirsi una
vita ...
Volontà personale e presa di coscienza
H : ho sempre guardato con diffidenza alle sedute di testimonianza di ex alcolisti, le trovo pericolose perché
all'inizio le ho vissute. Quando la persona inizia a testimoniare passa per un eroe e subito dopo è la disfatta, e
l'immagine che la persona ha di se stessa diventa ancora più negativa. .. La mia posizione a questo proposito
è fare sì che la persona si formi un'immagine positiva di sé, con la consapevolezza che non si è mai vittoriosi
definitivamente ma che a un certo punto della vita ti dici: "non bevo più, accetto o sopporto di vivere in un
altro modo". Questo non vuoi dire che si risolvono i problemi, ma si acquista un'immagine positiva di se
stessi: "sono comunque una persona in gamba, perché sono riuscito a smettere di bere e, all'improvviso,
posso dare ai miei figli un'altra immagine di me"...
F : Una cosa che mi sento dire spesso è: "tu non hai problemi, hai una moglie, una figlia "... Allora ne
approfitto per spiegare che, prima di arrivare a questo punto, ho vissuto esperienze completamente diverse.
Tra loro vi sono divorziati, single, ognuno ha i suoi problemi... "se ad un certo punto, dopo che mia moglie
mi ha lasciato, non avessi fatto un esame di coscienza non avrei capito che anch'io avevo sbagliato, che non
tutte le colpe erano di mia moglie ..." Per arrivare a questo punto, bisogna prima di tutto smettere di bere,
capire dove si è sbagliato e riconquistare un po' di fiducia in se stessi.
C : C'è stata un'avventura con i vecchi "compagnon" che ho particolarmente ammirato, è quella dei
primissimi ospiti che praticamente hanno aperto la comunità con H: erano 5 o 6, hanno smesso di bere senza
cure, brutalmente, e sono quelli che resistono meglio. Non è stata propriamente un'azione concertata,
collettiva, ma è passato poco tempo tra uno e l'altro, c'è stata una presa di coscienza, si sono detti "basta,
bisogna smetterla con queste stupidate", ed avevano perfino fissato una piccola festa per celebrare
l'anniversario, con tanto di consegna di una coppa, per diversi anni ...
Solidarietà nella lotta
H : Per il ragazzo dipendente è importante che il gruppo, la comunità, lo accetti, sapendo che si percorrerà un
tratto di strada insieme... è necessario che questa lotta contro l'alcol, questa astinenza faccia parte della vita di
tutti i giorni, che non diventi una prodezza isolata ...
F : Un residente ricoverato in ospedale mi ha detto recentemente " la famiglia? Non l'ho più ", ma io so
benissimo che vi sono alcuni membri della sua famiglia ancora in vita: ha rotto con le relazioni familiari. Un
altro, divorziato da tempo, ogni tanto vede la sorella: è straordinaria, perché per lui non è facile vivere, ma lei
non lo ha mai lasciato solo. Non è lui ad andarla a cercare, è lei a farsi viva..
Un altro esempio è quello di A. Con lui cerco di evitare di ricordare la famiglia, gli farebbe più male che
bene: è divorziato dall'83 ma non ha mai dimenticato la sua ex moglie, è ancora innamorato, non so se un
giorno uscirà dall'alcol; i suoi genitori... sua madre, ad esempio, è una donna distruttrice, non ha saputo fare
di meglio che venire a trovarlo alla residenza e dirgli " non hai mai trovato un lavoro normale " , quando era
appena rientrato in un CES, era appena uscito dalla strada, lei non ha fatto che lodare suo fratello, alto
ufficiale ...
C : Per me la famiglia è stata essenziale, perché l'avevo persa bevendo e l'ho ritrovata quando ho smesso.
Finché bevevo la mia famiglia non ha fatto nulla, ero rifiutato. Oggi va meglio, ma c'è sempre questa spada
di Damocle, mia figlia, non è che non abbia fiducia in me ma sa molto bene che basta poco...
J : Se ho un amico con cui mi intendo bene non esito a parlargli se ha un problema di alcolismo, gli dico le
cose in faccia, viene direttamente da me, tutto dipende dalla simpatia tra di noi, perché non tutti i compagni
mi sono simpatici, con qualcuno non c'è sintonia, ci sono molte cose da mettere in conto, con altri invece
siamo come fratelli, questo non si spiega....
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Priorità diverse in base agli attori
Insistenza sull'aiuto diretto alle persone
F : Si parla di alcol praticamente tutti i giorni, o perché restano tracce delle sbronze e bisogna che qualcuno
pulisca, o perché si notano i segni fisici di un eccesso di alcol, oppure nei cantieri. Spesso inizio la
discussione per motivi di salute. Ad esempio, qualche mese fa avevo accolto un ragazzo che poi,
improvvisamente, ha smesso di venire. Non aveva pagato le quote, il fascicolo GIPDAL 1 non era stato
firmato, così ho chiesto ad un altro residente di cercarlo in città, perché non volevo che perdesse la fiducia,
che pensasse che faccio il poliziotto... a un certo punto mi ha telefonato, per la seconda volta, e quella
mattina era in cantiere. Al telefono mi aveva detto " non è perché ti dovevo dei soldi che non sono venuto, ci
sono caduto di nuovo ". Quando si era presentato alla residenza, aveva appena finito la terapia.
C : Quando qualcuno entra sotto l'effetto dell'alcol, non vi sono procedure standard, dipende dalla persona,
dalla sua aggressività. Di solito la persona viene mandata a dormire, perché si riposi, poi si discute con lei,
ma la discussione in stato di ebbrezza viene rifiutata. Perciò, se l'ospite non si ritira in camera di sua
spontanea volontà, siamo noi a chiedergli di farlo: praticamente è questo l'ordine della procedura. C'è un
ospite che tutte le domeniche mattina ci dice di andare a messa: è possibile, ma non va soltanto in chiesa, e
quando a mezzogiorno rientra inizia con il suo spettacolo. Allora gli si chiede gentilmente di salire in camera,
magari lo si aiuta. I ragazzi accettano positivamente questo atteggiamento, ma negli anni ci sono stati anche
dei violenti, che assolutamente rifiutavano le osservazioni e gli ordini, negando completamente il proprio
problema di alcolismo... Più tardi, H prende da parte la persona per parlare ...
H si è personalmente impegnato a non bere più neppure una goccia di alcol. Lo fa per un desiderio di
credibilità nei confronti dei "compagnon", soprattutto quando bisogna fare loro la morale, vietare l’alcol...
Per prima cosa gli dico non ne vale la pena, ci sono passato anch'io, quello che provi tu l'ho vissuto anch'io,
qualche volta ho fatto anche di peggio, perciò non raccontarmi frottole: in questo modo si crea subito un
certo tipo di clima con i ragazzi, non mi giudicano male, non sono uno sbruffone, e si dicono guarda, almeno
lui può capirmi...
In un certo qual modo devo accettare di dare il buon esempio, per me è quasi un obbligo, non posso
permettermi il minimo sbaglio, altrimenti metterei in discussione la mia posizione all'interno della comunità.
H : Per quanto riguarda la lotta all'alcol, le relazioni interpersonali vengono prima delle relazioni con
l'istituzione... Per quanto riguarda i metodi, li ho utilizzati quasi tutti. All'inizio, quando un ospite accettava
di lottare contro l'alcol, se venivo a sapere che andava regolarmente all'osteria facevo il giro dei bar, alcuni
ragazzi si sono presi il loro bel bicchiere sulla testa: oggi gli ospiti mi ricordano di questo, io non ricordo più
con precisione, ma loro sì.
In alcuni momenti, conta più una relazione fisica, un corpo a corpo, delle parole: chiamo questo metodo
" orangina ", naturalmente dopo si dice che sono troppo intransigente, alcuni ragazzi non vogliono venire ad
Emmaus, ma qualche volta è importante che ci sia uno scontro: questo mi fa correre dei rischi, ma sono
pronto ad affrontarli se possono aiutare i ragazzi ad uscire dall'alcol. Negli anni 80 Emmaus aveva assunto
uno psichiatra per fare un lavoro sulla strada: dopo 6 mesi si è arreso. Gli ho chiesto il motivo. Ha risposto:
" quando ci si limita a svolgere un lavoro di psichiatria, la mia esperienza mi ha insegnato che si aprono le
finestre sulla vita delle persone, ma queste le richiudono, sbattendole, per non riaprirle mai più, e poi
diventano dei morti viventi: se si aprono le finestre, bisogna poter proporre loro le cose che stanno dietro, ma
io non potevo ... ". Non si vince mai, bisogna accompagnare, vi sono ricadute, il ragazzo deve sentire che ha
un sostegno. Qui l'ospite sa che non ci è indifferente, che, se necessario, riceverà degli scrolloni, ma che
nello stesso tempo si scherza insieme, ed è così un po' con tutti, a volte può esserci un entusiasmo
improvviso, uno scatto d'ira. Anche se può sembrare presuntuoso, cerco di instaurare dei rapporti autentici. È
anche una specie di relazione paterna. Sono qui da 20 anni, quando ho iniziato ne avevo 30 e gli ospiti di 50
o 60 anni mi chiamavano già " il vecchio ", come se avessero bisogno di un punto di riferimento ma anche di
una possibilità di denigrare l'autorità, di poter dire " ma vai a quel paese... "
1
Groupe d'Intérêt Public pour le Droit Au Logement.
38
In tutte le comunità Emmaüs la personalità del responsabile ricopre un ruolo importante nella gestione. Il
responsabile è un garante, se domani me ne vado ci sarà qualcun altro, certo, non sono indispensabile, ma
ognuno di noi da un contributo personale. In alcune comunità, per evitare questa personalizzazione è stata
predisposta una direzione collegiale o l'assunzione di un assistente sociale, ma piano piano il leader si stacca,
perché ciascuno ha un modo diverso di lavorare. Per non essere onnipotente dalla mia posizione, mi sono
giocato la carta del gruppo dei "com-pagnon", che poi ha provocato la crisi di Forbach. A volte si sente dire
che i problemi di queste persone sono così grandi che non possono avere accesso alla parola. Un giorno mi
sono sentito dire " abbiamo provato, ma ci vuole così tanto prima che i ragazzi ci parlino... " allora ho tirato
fuori la frase "il problema non è che le persone parlino a voi, ma che parlino ".
L'importanza del gruppo sociale
T : Si può constatare un certo successo nella comunità, l'effetto del gruppo permette alle persone di stare alla
larga dall'alcol, o almeno di farne un consumo più moderato, perché si trovano davanti a regole che non
incontrano in altre situazioni sociali. La comunità è una risposta, che permette di ricostruire una vita,
aiutando la persona ad accettarsi ed a rinascere, piuttosto che a fossilizzarsi sull'assunzione di medicinali o
altri prodotti chimici. Mi sembra che da parte della comunità vi sia una presa di coscienza che impegna
attivamente diverse persone nella gestione dell'abbandono dell'alcolismo per propria iniziativa.
H : Sarebbe interessante che, oltre alla vita di comunità, vi fossero dei gruppi di discussione, animati da
qualcuno proveniente dall'esterno. L'azione individuale che conduco con ogni "compa-gnon" deve essere
sostenuta dal gruppo e controllata: giocare su questo aspetto comunitario è un po' la forza di Emmaüs...
C : Dobbiamo rivedere il nostro regolamento interno, che risale a 5 o 6 anni fa; ora c'è il COPRA 1 , ossia un
consiglio, a cui partecipano i "compagnon"...
La comunità ricopre un ruolo particolarmente importante per le persone in rotta con la propria famiglia, è un
po' come una famiglia sostitutiva. Alcuni decidono di intraprendere degli sforzi "per il bene della comunità "
come si direbbe " per il bene della mia famiglia ", per stare bene nella comunità, assumersi le proprie
responsabilità; c'è una volontà di responsabilizzazione di ciascuno, a partire dal momento in cui la comunità
permette ai "compagnon" di assumersi delle responsabilità sociali può davvero muoversi qualcosa ...
Lo sviluppo socioprofessionale
J : Quando sono arrivato in comunità, mi è stato proposto di andare alla " Villa " ; ho rifiutato, perché là tutti
sbevazzavano tutto il giorno, ho detto a JL che ero volontario per lavorare, mi ha detto OK. Mi ha messo allo
smistamento dei rottami, si inizia sempre da lì, ma continuavo a bere, perché mettevo da parte un gruzzoletto
e poi seguivo gli altri all'osteria... ma non avevo abbastanza soldi per bere tanto, allora a poco a poco ho
lasciato perdere l'osteria, le uscite, l'alcol, mi concedevo una vera baldoria solo ogni due o tre mesi. Il giorno
dopo H mi faceva la predica... poi, ad un certo punto, discutendo grazie a H ed al COPRA, ho accettato di
partecipare alla vita interna. Ho iniziato ad essere in prima linea tutto il giorno, mi sono state attribuite
sempre maggiori responsabilità e, una volta assunte queste responsabilità, l'alcol iniziava ad essere
fastidioso. Progressivamente, ho lasciato perdere. Sono ormai due anni che ho smesso completamente, non
tocco più una goccia d'alcol. Non ho molto tempo per me, sono il primo ad alzarmi per recuperare il pane, gli
oggetti invenduti, i ragazzi che vivono negli appartamenti... e la sera guido il bus degli operai di ritorno dal
lavoro nei centri di smistamento, passo la mia giornata a destra e a sinistra, mi occupo delle riparazioni, della
vendita, del COPRA, della sistemazione delle persone che passano da noi...
La cosa che amo di più è il cameratismo che ho trovato, ci si affeziona come ad una famiglia, ma sarei
contento anche se trovassi un lavoro all'esterno, se avessi un appartamento tutto mio, vorrebbe dire più
indipendenza, più intimità, ma di andarsene sulla base di un RMI (reddito minimo) non se ne parla. La cosa
che mi preme maggiormente è restare attivo, con gli anni che incalzano aiuta a mantenersi in piedi... Io non
sono uno che si rassegna, sono ottimista, non voglio passare qui il resto dei miei giorni, prima o poi
succederà qualcosa di nuovo. Ma per il momento mi sento molto utile qui, faccio anche le piccole riparazioni
per i "compagnon", mi occupo dell'elettricità, dell'idraulica, il mio lavoro è l'installazione degli impianti di
riscaldamento, ho installato il mio impianto solo con materiale di recupero. Certo, non mi dispiacerebbe se
1
Comité de Proposition, de Réflexion et d'Action.
39
mi proponessero un contratto di lavoro qui, o anche fuori, magari custode di un palazzo,... una volta non
l'avrei mai accettato, non era un lavoro, adesso invece...
I laboratori potrebbero essere un buon cantiere di inserimento, ma non bisogna confonderli con quello che
avviene nella residenza, sono due modelli di funzionamento diversi, è vero che ero il proprietario di
un'azienda e che nel mio negozio avevo una dozzina di dipendenti...
C : Per quanto riguarda l'alcol, si tende a privilegiare l'aspetto di aiuto e di discussione piuttosto che la
sanzione. Questo ad eccezione di alcuni casi particolari: ad esempio per chi fa l'autista che, guidando un
minibus con 8 passeggeri, mette a rischio la vita delle altre persone. In questo caso non ci sono scuse, si
tolgono le chiavi dalle mani della persona e le si fa capire che non guiderà più, e allora di solito l'interessato
la prende male: l'ultimo che ha avuto una grana perché era in preda all'alcol ha fatto un esame di coscienza
ed ha deciso di propria volontà di iniziare una cura
Al momento stiamo cercando un sostituto per il posto di vice, il titolare è in malattia, il primo criterio da
rispettare, anche se non è scritto da nessuna parte, è che il candidato abbia risolto definitivamente i propri
problemi di alcolismo. La prospettiva di una nuova condizione sociale è importante per le persone che non
vogliono passare qui il resto della vita, e si passa necessariamente per il lavoro. Al centro di smistamento,
delle 6 persone assunte 2 hanno lasciato per motivi legati all'alcol. Per chi non ha potuto ottenere un lavoro
all'esterno vi sono altri tipi di responsabilizzazione, ad esempio in cucina, io parlo spesso di responsabilità,
perché se si beve l'incidente è questione di un attimo. C'è anche il problema della sicurezza, soprattutto nel
lavoro di squadra, nei cantieri...
T : Per quanto riguarda l'accoglienza negli " ALGECO 1 " di persone che non vogliono entrare in comunità,
l'associazione ha deciso di mettere in atto un vero e proprio progetto di assunzione con contratto a termine,
valido anche per gli alcolisti: è il principio della residenza sociale, è stato deciso di assumere a termine le
persone proponendo loro di fare un tratto di strada insieme per uscire dall'alcolismo, con un primo contratto
in CES 2 , accompagnato da una supervisione tecnica. L'idea iniziale era quella di sistemare gli ambienti,
curare gli spazi verdi, soprattutto per la comunità, il cantiere della residenza sociale. Il secondo principio
consisteva nel dire: " considerato lo stato di salute in cui vi trovate nessun affittuario privato o istituzionale vi
accetterebbe come inquilino, perciò vi proponiamo di fare questo percorso insieme per questi due obiettivi:
ritrovare il gusto al lavoro, con un ordine perentorio di non bere nei cantieri (si trattava di persone senza
dimora, che vivevano sulla strada), e partecipare alla costruzione di un alloggio nuovo e piacevole dove
troverete un riparo, e vi promettiamo di lavorare con voi per costruire alloggi adeguati nei diversi comuni del
"bacino carbonifero", per aiutarvi a trovare una nuova sistemazione ". In quel momento non si è parlato del
lavoro da fare su se stessi per quanto riguarda l'astinenza, ma non era neppure possibile immaginare di poter
formalizzare questo aspetto del progetto: i nostri partner istituzionali non sarebbero peraltro stati d'accordo,
essendo più interessati ad una politica di bassa soglia, al fatto che qualcuno fosse disposto ad accogliere
queste persone rifiutate da tutti...
Le strategie istituzionali
T : Le persone senza dimora, le più fragili, quelle che vorremmo sedentarizzare, sono il risultato della nostra
mancanza di coordinamento in materia di reinserimento sociale nel bacino carbonifero. Pensiamo a quello
che è successo ai CHRS 3 , di cui difendo il principio: nell'87-88 hanno iniziato a fabbricare alloggi
d'emergenza, ed ho visto un certo numero di posti letto passare da posto CHRS a posto d'emergenza. C'è una
domanda a cui bisogna rispondere, anche noi stessi abbiamo reagito in questo senso, ma di fatto si costruiva
una risposta di emergenza ad un problema di fondo e ancora oggi si continua a trattare il problema in questo
modo. Si è finito per costituire un gruppo di riflessione sulla regione che è stato chiamato " le patate bollenti
" per trattare insieme il problema delle persone che tutti si passano. Con la nostra esperienza con queste
persone abbiamo dimostrato che è possibile ottenere dei risultati. L'esperienza della residenza sociale e del
cantiere di inserimento è seguita da un ex "compagnon", aiutato da un infermiere psichiatrico del CMP 4 e
1
Abris provisoires préfabriqués.
2
Contrat Emploi Solidarité.
3
Centre d'Hébergement et de Réinsertion Sociale.
4
Centre Médico-Psychologique.
40
dal gruppo di pilotaggio, anche se il ruolo di quest'ultimo riguarda soprattutto l'inserimento professionale. Ci
sono poi membri dell'ANPE (Agenzia Nazionale per l'Impiego), formatori per beneficiari di RMI 1 ,
infermieri psichiatrici... con i nostri partner, abbiamo dimostrato che è davvero possibile determinare un
capovolgimento della situazione con degli utenti considerati irrecuperabili ...
Il punto che mi sembrava essenziale nel partenariato è la costruzione di una rete nella regione del bacino
carbonifero: esistono delle reti " città-ospedale ", ma qui non vengono ancora messe in pratica. Riguardava i
medici generici, gli ospedali, gli ospedali psichiatrici, gli infermieri ed i servizi sociali, ma non si è lavorato
abbastanza su questo punto. Il gruppo delle " patate bollenti ", riunito sotto l'egida della prefettura sotto il
nome " riunione decentralizzata nell'ambito dello schema dipartimentale degli esclusi e degli emarginati" si
occupa soltanto dei casi estremi, ma gli altri non vengono gestiti trasversalmente. A più riprese si è cercata
una cooperazione con ospedali, polizia, forze dell'ordine o con il mondo della giustizia, e ci si è resi conto di
quanto fosse difficile. Ad esempio, è stato molto difficile far passare il principio di un follow-up sociale. A
Forbach sono stati istituiti alcuni posti letto chiamati " di ospitalità ", ma non funzionano troppo bene,
appaiono piuttosto come un alibi per tutto ciò che non è stato fatto. Alcuni organismi sono più sensibili ed
accoglienti di altri, ma manca una concertazione ufficiale per costruire una migliore coerenza tra la cura, il
follow-up sociale e la repressione, per diventare un po' come una catena di solidarietà.
Attualmente neanche le " patate bollenti " funzionano più, perché non hanno fatto passi avanti sui progetti
realizzati relativamente a due tipi di luoghi di accoglienza, uno verso un'accoglienza senza troppi vincoli per
persone che hanno problemi di alcol, l'altro per quanto riguarda la cura delle malattie psichiatriche, evitando
la concentrazione delle persone interessate, per creare luoghi di accoglienza dall'aspetto più umano. Perciò
oggi mi pongo il problema del motivo per cui il DASS (Dipartimento dell'Azione Sociale e della Sanità),
nell'ambito del DHR, non si muova decisamente in questa direzione e anche del perché non riconosca
l'interesse delle nostre discussioni nel gruppo delle " patate bollenti ". Gli incontri tra i rappresentanti delle
associazioni diventano del tutto sterili, mentre l'amministrazione non li riconosce o, peggio, li nega.
Per quanto riguarda le associazioni di aiuto agli alcolisti, lavoro in particolare con una di queste associazioni
e mi sono accorto di avere un'idea falsa a questo proposito, perché pensavo che fossero ex alcolisti che
sentivano il bisogno di ritrovarsi, di mettere in rilievo le tappe del loro percorso di guarigione dall'alcol,
mentre si tratta di persone che, come noi, sono sensibili al problema, che hanno cercato soluzioni a problemi
che altri hanno rifiutato di gestire. Penso che ognuno possa trovare il proprio posto in questa lotta, e spero
che nell'ambito del nostro lavoro e del programma europeo queste associazioni locali possano partecipare
alla nostra discussione. C'è un gruppo, il CDPA (Centro dipartimentale di prevenzione dell'alcolismo) che ha
un'importanza particolare, l'ho visto funzionare in occasione di alcune sedute di informazione ed è capace di
attivare professionisti per sensibilizzarli ai problemi di alcolismo, e che dovrebbe avere un ruolo
preponderante in questa lotta.
Dal punto di vista dei nostri partner europei, le due associazioni con cui lavoriamo si basano su movimenti
religiosi. I colleghi italiani vengono con un progetto " chiavi in mano ", ma con un altro modo di concepire la
vita associativa. Non so come i gruppi di accompagnamento che hanno realizzato, provenienti dal
movimento religioso, potrebbero costituirsi da noi. Il loro principale appoggio sembra essere la parrocchia,
da noi ci sono associazioni che esistono da tempo, non so come si possa articolare il lavoro. Quello che è
certo è che il prodotto finito non funzionerà. È interessante capire come si sviluppa il loro lavoro, cosa
funziona, per poter capire come il gruppo di cittadini di una città si preoccupi degli esclusi ed organizzi la
propria vita associativa. Siamo nella società del consumismo, che a livello associativo predilige il
divertimento e non le azioni di impegno. È importante che la loro azione venga presentata qui per aiutarci a
riflettere e per riprodurla in modo semplice.
C : Nell'orientamento dell'alcolista per una cura esterna, attualmente non vi è un lavoro di rete nel senso
proprio del termine, la persona viene mandata dal medico di famiglia, che decide se è necessaria una
disassuefazione in ospedale, da 8 a 15 giorni, oppure se ci vuole un'altra procedura; si cercano di valutare le
diverse soluzioni, ad esempio la cura di 28 giorni all' "ILE" del CHS 2 . Si tratta di un padiglione separato nel
CHS, poi c'è la convalescenza a Maisonroy, che una volta durava 3 mesi ed oggi è stata ridotta a 1 mese e
mezzo. Poi ci sono le relazioni regolari con i CMP, i Centri medico psicologici, i CHA, Centri di igiene
1
Personnes bénéficiant du Revenu Minimum d'Insertion.
2
Centre Hospitalier Spécialisé.
41
alimentare, in cui lavorano medici e paramedici. Propongono discussioni, incontri, come le associazioni di ex
alcolisti...
H : Per quanto riguarda la situazione attuale dei dispositivi locali, mi dispiace l'inganno commesso a
discapito delle persone, la mancanza di coordinamento tra le strutture esistenti. Vi è un posto letto per la
disassuefazione a Marie-Madelaine, il CHS dove è possibile il ricovero normale con le diverse procedure
d'ufficio, richieste da un terzo o su iniziativa degli interessati, ed anche il ricovero nel centro di cura
dell'"ILE ", un reparto specializzato nella gestione dell'alcolismo dove si potrebbero mandare alcuni dei
nostri ospiti. In questo centro, la persona assistita che entra appare tagliata fuori dal mondo, è sotto
trattamento speciale per 28 giorni, non può ricevere visite. Poi viene immersa di nuovo nell'ambiente: non
funziona molto bene. Poi c'è la convalescenza, che dura tre mesi. Almeno da questo punto di vista emerge
una certa volontà di apertura. Prima era un disastro, non c'erano contatti, informazioni, adesso c'è un minimo
di apertura, vengono a lavorare con noi. È una presa in carico di tipo quasi industriale. Sono stato accusato di
comportarmi da psichiatra perché chiedevo vivacemente delle riunioni di sintesi. Era una reazione difensiva,
ora va un po' meglio... All'ospedale la situazione è molto simile: la persona è in disassuefazione, per un
motivo qualsiasi vuole uscirne. In questa fase ha bisogno di un po' di convalescenza, ma la si rimanda a casa
per 3 settimane aspettando che si liberi un posto... questo non serve a niente. La camera sociale che è stata
allestita su nostra richiesta non funziona, è un'ipocrisia bella e buona, rifiutano di riconoscerlo ma è così.
Tutte queste istituzioni si irrigidiscono progressivamente e le persone vengono ingannate.
Logiche di azione sovrapposte
H : Ad Emmaüs Forbach abbiamo provato a mettere i "compagnon" al centro della comunità: non è
questione di grana, di rispetto delle regole economiche, sono innanzi tutto gli ospiti che contano, che
vengono accolti, con tutta la loro complessità: sono stato accusato di voler fare dell'autogestione, ma non era
questo il problema ...
T : La priorità che ci siamo prefissati nel 92, dopo la crisi istituzionale, si è discretamente evoluta. Allora si
voleva creare un luogo dove le persone potessero fermarsi, ad un certo punto dell'esistenza, per ritrovare poi
la vita normale, il lavoro, la famiglia, ma in seguito ci siamo resi conto che la situazione era più complessa,
che a volte bisognava prevedere durate più lunghe. Nei CHRS vi sono clausole di rinnovamento: non si può
dire la stessa cosa per noi, anche se auspichiamo che le persone possano crescere. Il nostro progetto è quello
di far uscire le persone, soprattutto i più giovani. Ad un certo punto abbiamo scelto di creare una nuova
comunità e questo ci ha portato ai margini di Emmaus. Emmaus voleva che questa comunità cessasse di
funzionare, magari per rilanciarla successivamente con un comitato completamente rinnovato. Avevamo
deciso di ripartire con i "compagnon" ad anche con i lavoratori. Eravamo dunque in una situazione precaria
nei confronti del movimento Emmaus ed abbiamo vissuto 7-8 anni di purgatorio, in cui siamo stati al
margine, ma comunque alcune comunità ci hanno sostenuto, in particolare Béziers, Montpellier, oltre ad
alcune comunità del nord della Francia che ci sostenevano in questa specie di traversata del deserto. Per noi,
lo spirito di Emmaus è una comunità di vita e di lavoro dove la persona che viene accolta, in mancanza di
personale sufficiente, diventa a sua volta colei che accoglie, partecipa non soltanto con il proprio lavoro
quotidiano, che consiste nel recupero di mobili, vestiti e nella loro rivendita, ma anche con le attività della
vita di tutti i giorni, la cucina, la pulizia delle camere e tutte le altre attività di una comunità. In questo modo,
tutte le persone accolte sono chiamate, prima o poi, a diventare coloro che accolgono. Il fatto di avere vissuto
in prima persona situazioni drammatiche, di aver vissuto sulla strada, di aver conosciuto crisi familiari, le
aiuta ad accogliere meglio i nuovi arrivati, a percorrere con loro un tratto del cammino... L'associazione,
proprio per effetto di questa crisi e del suo superamento, è diventata più forte, forse anche in seguito al rifiuto
dello Stato di riconoscere uno statuto di CHRS che ci avrebbe permesso di seguire linee comportamentali più
ufficiali. In questa assenza di riferimenti, siamo stati portati a fissare le nostre regole, forse con un'autorità un
po' troppo forte nei riguardi della stessa comunità, dove in generale il responsabile si assume le proprie
responsabilità. La stessa impresa era soggetta ad una procedura fallimentare, e questo ha rappresentato un
altro rischio per l'associazione.
42
Utilizzazione delle interviste
Richiamo dell'orientamento della problematica :
Nella letteratura sociologica attuale, il bere viene visto a volte come un atto individuale, di sofferenza,
disperazione e richiesta di aiuto, altre volte come un atto volto a favorire l'integrazione del bevitore in un
gruppo, in un'attività (alcol droga o alcol doping).
L'isolamento dal mondo è spesso una forma di reazione alla difficoltà di integrarsi, sentirsi accettato. "
L'alcolizzazione in quanto modo di funzionamento difensivo è un comportamento che deriva dal sociale per
palliare una carenza identificativa" 1 .
Il bisogno di integrazione da una parte, l'individualizzazione dei percorsi e la conseguente interiorizzazione
delle sconfitte dall'altra, costituiscono i due volti della realtà che si presenta alle persone dipendenti
dall'alcol. Sono due aspetti inseparabili ed irriducibili.
"... Laddove i meccanismi sociali favoriscono automatismi comportamentali o norme stabilite, le scelte
personali sembrano avere preso il sopravvento sulle costrizioni ed il destino collettivo. Questa mobilitazione
permanente dell'io si paga con un'inquietudine esistenziale (Sciences Humaines, Questions de notre temps, Scienze umane - Problemi del nostro tempo - speciale settembre 2001)...
Prima di procedere alla lettura di questi estratti di interviste, si possono fare alcune constatazioni di portata
generale:
9 l'alcolismo non è un falso problema, anche se non è definito una priorità è onnipresente e condiziona
fortemente le relazioni quotidiane;
9 tutte le persone intervistate ne sono consapevoli, anche se non tutte affrontano il problema nello stesso
modo;
9 per chi è stato direttamente interessato dal problema, il legame familiare e la sua crisi sono stati un fattore
importante nella nascita del comportamento alcolista;
9 tutti sono d'accordo: la situazione è stata più critica ai Rempart per quanto concerne i problemi derivanti
dall'alcolismo, e la tendenza attuale va verso la tossicodipendenza multipla, soprattutto per effetto
dell'abbassamento dell'età media della popolazione accolta;
9 infine, trattandosi di modalità di presa in carico, è innegabile l'importanza attribuita al gruppo sociale,
fondato sulla vita comunitaria: questo è un elemento fondamentale dell'intervento sociale ad Emmaus.
Al di là di queste osservazioni di carattere generale, ci soffermeremo sugli aspetti evidenziati nella
problematica, ed in particolare per quanto concerne la costruzione dell'identità sociale tra bisogno di
appartenenza, logica di individualizzazione ed interiorizzazione della sofferenza. Infatti ci sembra che parlare
di alcolismo senza fare riferimento al ruolo che ricopre nella costruzione dell'identità equivarrebbe a farne un
semplice oggetto di riprovazione, come precedentemente accennato, e non a considerarlo come sintomo di un
malessere più profondo, così come lo riusciamo ad intravedere dall'esperienza dei " compagnon".
Una delle peculiarità della situazione esaminata è forse il rapporto sociale forzato tra chi accoglie e chi è
accolto, che struttura immediatamente il legame sociale in una relazione di forte interdipendenza. Senza
dubbio il movimento Emmaüs cerca, fin dalla sua creazione, di controllare questa particolarità e di costruire
nelle proprie comunità un legame sociale originale, spesso con varianti, o addirittura con disaccordi, che
alimentano il dibattito al proprio interno. E parlo intenzionalmente di interdipendenza, con riferimento alla
definizione di autonomia che ci viene proposta dall'approccio sistemico: l'acquisizione dell'autonomia passa
per diverse fasi, che vanno dalla dipendenza del bambino all'indipendenza dell'adulto capace di badare a se
stesso, passando per la controdipendenza tipica dell'adolescenza. Però, da un punto di vista sistemico, questo
modello classico non è sufficiente a rendere conto della stretta relazione esistente tra l'autonomia del
soggetto e la sua appartenenza ad una società: è questo legame che la nozione di interdipendenza prova a
rendere esplicito. Il soggetto esiste solo attraverso l'altro, ma questo legame di alterità assume un significato
1
Le Vot-Ifra, "de l'ivres à l'alcoolisme", 1989, cité par Merchi Salima: "de l'importance des processus de groupes
dans le traitement thérapeutique de l'alcoolisme
43
reale solo nella capacità del soggetto di distaccarsi, sciogliendosi, nel senso proprio del termine, da un altro
legame, quello dell'assoggettamento... in altre parole, divenendo capace di fare le proprie scelte.
Questo viene espresso molto chiaramente da uno dei miei informatori:
.. La cosa che amo di più è il cameratismo che ho trovato, ci si affeziona come ad
una famiglia, ma sarei contento anche se trovassi un lavoro all’esterno, se avessi
un appartamento tutto mio, vorrebbe dire più indipendenza, più intimità, ma di
andarsene sulla base di un RMI (reddito minimo) non se ne parla. La cosa che mi
preme maggiormente è restare attivo, con gli anni che incalzano aiuta a
mantenersi in piedi... Io non sono uno che si rassegna, sono ottimista, non voglio
passare qui il resto dei miei giorni, prima o poi succederà qualcosa di nuovo.
Ma anche da un altro che, parlando della relazione con il prodotto, dice:
...a un certo punto della vita ti dici: "non bevo più, accetto o sopporto di vivere in
un altro modo". Questo non vuoi dire che sì risolvono i problemi, ma si acquista
un'immagine positiva di se stessi, "sono comunque una persona in gamba, perché
sono riuscito a smettere di bere e, all'improvviso, posso dare ai miei figli un'altra
immagine di me..."
...se ad un certo punto, dopo che mia moglie mi ha lasciato, non avessi fatto un
esame di coscienza "non avrei capito che anch'io avevo sbagliato, che non tutte le
colpe erano di mia moglie ..." Per arrivare a questo punto, bisogna prima di tutto
smettere di bere, capire dove si è sbagliato e riconquistare un po' di fiducia in se
stessi.
...C'è stata un'avventura con i vecchi "compagnon" che ho particolarmente
ammirato, è quella dei primissimi ospiti che praticamente hanno aperto la
comunità con H: erano 5 o 6, hanno smesso di bere senza cure, brutalmente, e
sono quelli che resistono meglio. Non è stata propriamente un'azione concertata,
collettiva, ma è passato poco tempo tra uno e l'altro, c'è stata una presa di
coscienza, si sono detti "basta, bisogna smetterla con queste stupidate", ed
avevano perfino fissato una piccola festa per celebrare l'anniversario, con tanto di
consegna di una coppa, per diversi anni ...
Questa stretta correlazione tra la coscienza individuale e l'apporto degli altri si declina su diversi registri:
Interpersonale :
... l'alcol è prima di tutto una via di fuga, un rifugio, nasconde qualcos'altro: per
sapere cos'è questo qualcos'altro bisogna iniziare un percorso con i ragazzi, e fin
dall'inizio del cammino bisogna sapere dove si vuole arrivare..." Sono sempre stato
chiaro con i ragazzi: voglio aiutarti a liberarti dall’alcol, ma bisogna che te ne
renda conto. È anche per questo che hai a disposizione la comunità e, in più, un
alloggio collegato in una parte della struttura. Fin dall’inizio abbiamo nutrito la
speranza di favorire qualcosa di simile ad un cuscinetto, che,
nell’accompagnamento, permettesse alla persona che non si sentisse ancora in
grado di aderire ai principi della comunità di non essere completamente rifiutata.
Questo permette ai ragazzi di dire " ora sono pronto a camminare con te "...
...Se ho un amico con cui mi intendo bene non esito a parlargli se ha un problema
di alcolismo, gli dico le cose in faccia, viene direttamente dame ...
H si è personalmente impegnato a non bere più neppure una goccia di alcol. Lo fa
per un desiderio di credibilità nei confronti dei "compagnon", soprattutto quando
bisogna fare loro la morale, vietare V alcol...
... Per quanto riguarda la lotta all’alcol, le relazioni interpersonali vengono prima
delle relazioni con l'istituzione...
... Non si vince mai, bisogna accompagnare, vi sono ricadute, il ragazzo deve
sentire che ha un sostegno. Qui l'ospite sa che non ci è indifferente, che, se
44
necessario, riceverà degli scrolloni, ma che nello stesso tempo si scherza insieme,
ed è così un po' con tutti, a volte può esserci un entusiasmo improvviso, uno scatto
d'ira. Anche se può sembrare presuntuoso, cerco di instaurare dei rapporti
autentici. È anche una specie di relazione paterna. Sono qui da 20 anni, quando ho
iniziato ne avevo 30 e gli ospiti di 50 o 60 anni mi chiamavano già " il vecchio ",
come se avessero bisogno di un punto di riferimento ma anche di una possibilità di
denigrare l'autorità, di poter dire " ma vai a quel paese... "
Del gruppo familiare :
... Per me la famiglia è stata essenziale, perché l'avevo persa bevendo e l'ho
ritrovata quando ho smesso. Finché bevevo la mia famiglia non ha fatto nulla, ero
rifiutato. Oggi va meglio, ma c'è sempre questa spada di Damocle, mia figlia, non
è che non abbia fiducia in me ma sa molto bene che basta poco....
...Un altro, divorziato da tempo, ogni tanto vede la sorella: è straordinaria, perché
per lui non è facile vivere, ma lei non lo ha mai lasciato solo. Non è lui ad andarla
a cercare, è lei a farsi viva.
Del gruppo di accoglienza :
... Per il ragazzo dipendente è importante che il gruppo, la comunità, lo accetti,
sapendo che si percorrerà un tratto di strada insieme... è necessario che questa
lotta contro V alcol, questa astinenza faccia parte della vita di tutti i giorni, che
non diventi una prodezza isolata ...
.. .Si può constatare un certo successo nella comunità, l'effetto del gruppo permette
alle persone di stare alla larga dall’alcol, o almeno di farne un consumo più
moderato, perché si trovano davanti a regole che non incontrano in altre situazioni
sociali. La comunità è una risposta, che permette di ricostruire una vita, aiutando
la persona ad accettarsi ed a rinascere, piuttosto che a fossilizzarsi sull'assunzione
di medicinali o di altri prodotti chimici. Mi sembra che da parte della comunità vi
sia una presa di coscienza che impegna attivamente diverse persone nella gestione
dell'abbandono dell'alcolismo per propria iniziativa.
...La comunità ricopre un ruolo particolarmente importante per le persone in rotta
con la propria famiglia, è un pò1 come una famiglia sostitutiva. Alcuni decidono
di intraprendere degli sforzi "per il bene della comunità " come si direbbe " per il
bene della mia famiglia ", per stare bene nella comunità, assumersi le proprie
responsabilità; c'è una volontà di responsabilizzazione di ciascuno, a partire dal
momento in cui la comunità permette ai "compagnon " di assumersi delle
responsabilità sociali può davvero muoversi qualcosa
Istituzionale i
... Fin dall’inizio abbiamo nutrito la speranza di favorire qualcosa come di simile
ad un cuscinetto, che, nell'accompagnamento, permettesse alla persona che non si
sentisse ancora in grado di aderire ai principi della comunità di non essere
completamente rifiutata. Questo permette ai ragazzi di dire " ora sono pronto a
camminare con te "...
.. Ad un certo punto abbiamo scelto di creare una nuova comunità e questo ci ha
portato ai margini di Emmaüs. Emmaüs voleva che questa comunità cessasse di
funzionare, magari per rilanciarla successivamente con un comitato completa-mente rinnovato. Avevamo deciso di ripartire con i "compagnon" ad anche con i
lavoratori.
... Ad Emmaüs Forbach abbiamo provato a mettere i "compagnon " al centro della
comunità: non è questione di grana, di rispetto delle regole economiche, sono
innanzi tutto gli ospiti che contano, che vengono accolti, con tutta la loro
complessità...
45
.. Per noi, lo spirito di Emmaüs è una comunità di vita e di lavoro dove la persona
che viene accolta, in mancanza di personale sufficiente, diventa a sua volta colei
che accoglie, partecipa non soltanto con il proprio lavoro quotidiano, che consiste
nel recupero di mobili, vestiti e nella loro rivendita, ma anche con le attività della
vita di tutti i giorni, la cucina, la pulizia delle camere e tutte le altre attività di una
comunità. In questo modo, tutte le persone accolte sono chiamate, prima o poi, a
diventare coloro che accolgono. Il fatto di avere vissuto in prima persona
situazioni drammatiche, di aver vissuto sulla strada, di aver conosciuto crisi
familiari, le aiuta ad accogliere meglio i nuovi arrivati, a percorrere con loro un
tratto del cammino... L'associazione, proprio per effetto di questa crisi e del suo
superamento, è diventata più forte, forse anche in seguito al rifiuto dello Stato di
riconoscere uno statuto di CHRS che ci avrebbe permesso di seguire linee
comportamentali più ufficiali. In questa assenza di riferimenti, siamo stati portati a
fissare le nostre regole...
Socioprofessionale :
La prospettiva di una nuova condizione sociale è importante per le persone che
non vogliono passare qui il resto della vita, e si passa necessariamente per il
lavoro. Al centro di smistamento, delle 6 persone assunte 2 hanno lasciato per
motivi legati all'alcol. Per chi non ha potuto ottenere un lavoro all'esterno vi sono
altri tipi di responsabilizzazione, ad esempio in cucina, io parlo spesso di
responsabilità, perché se si beve l'incidente è questione di un attimo. C'è anche il
problema della sicurezza, soprattutto nel lavoro di squadra, nei cantieri...
... Per quanto riguarda l'accoglienza negli " ALGECO " di persone che non
vogliono entrare in comunità, l’associazione ha deciso di mettere in atto un vero e
proprio progetto di assunzione con contratto a termine, valido anche per gli
alcolisti: è il principio della residenza sociale, è stato deciso dì assumere a termine
le persone proponendo loro di fare un tratto di strada insieme per uscire
dall’alcolismo, con un primo contratto in CES, accompagnato da una supervisione
tecnica.
Tuttavia, succede anche che l'interdipendenza venga a mancare, che la solidarietà sparisca dietro i
trinceramenti degli uni e degli altri :
... Oggi vi è un problema a livello della società: l’idea generale è che tutto vada
bene, che non vi siano problemi, le persone si dicono che non hanno il diritto di
parlare dei propri problemi, io non ho il diritto di mostrarli, appartengo alla
categoria delle persone che non vanno bene, prive di identità sociale, che
disturbano, rovinano il mondo ...
Si può citare l'esempio di un tipo di M, il barbone, l'ubriacone del villaggio, i
bambini usavano il suo nome per insultarsi... dopo diversi anni ne è uscito, ha
smesso di bere; è appena stato operato per un tumore all'intestino ed è in via di
guarigione. Prima dell'operazione, quando si pensava che non ce l'avrebbe fatta,
sono andato a fare visita alla sua famiglia, per convincere il figlio maggiore ad
andare a trovarlo, per vederlo almeno l'ultima volta: tutto inutile, avevano chiuso
le finestre e rifiutavano di incontrarmi, sono passati 17 anni ed il problema di
base, quello delle relazioni familiari, non è stato risolto. Ho supplicato il figlio, ho
supplicato il padre perché accettasse di fare il primo passo, vedevo bene la loro
sofferenza ma non si è risolto niente, e forse non si risolverà mai...
Un residente ricoverato in ospedale mi ha detto recentemente " la famiglia? Non
l'ho più ", ma io so benissimo che vi sono alcuni membri della sua famiglia ancora
in vita: ha rotto con le relazioni familiari.
Un altro esempio è quello di A. Con lui cerco di evitare di ricordare la famiglia, gli
farebbe più male che bene: è divorziato dall'83 ma non ha mai dimenticato la sua
ex moglie, è ancora innamorato, non so se un giorno uscirà dall'alcol; i suoi
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genitori... sua madre, ad esempio, è una donna distruttrice, non ha saputo fare di
meglio che venire a trovarlo alla residenza e dirgli " non hai mai trovato un lavoro
normale " , quando era appena rientrato in un CES, era appena uscito dalla
strada, lei non ha fatto che lodare suo fratello, alto ufficiale ...
La libertà e la lucidità con cui le persone intervistate affrontano questi problemi rivelano le loro angosce di "
identificarsi con... ", di ricadere nel tunnel, perdere la faccia, lasciano intravedere il lavoro effettuato a
Emmaüs Forbach sul problema dell'alcolismo. Un aspetto rilevante emerso nelle interviste è che l'alcol viene
raramente considerato come un problema a sé stante, alieno dal proprio contesto. Viene sempre riferito a
situazioni sociali e, da questo punto di vista, non deve essere considerato come un atto di un essere isolato,
ma come un atto sociale che, come dice uno dei protagonisti, contribuisce alla " soluzione " di una situazione
critica. Naturalmente è una soluzione sbagliata, ma ciò non condanna la persona interessata, non è un difetto.
Non è neppure oggetto della creazione di un senso di colpa, di un obbligo di ammettere la propria incapacità
davanti ad un giudice, ad un gruppo moralizzatore:
...ho sempre guardato con diffidenza alle sedute di testimonianza di ex alcolisti, le
trovo pericolose perché all'inizio le ho vissute. Quando la persona inizia a
testimoniare passa per un eroe e subito dopo è la disfatta, e l'immagine che la
persona ha di se stessa diventa ancora più negativa...
La retorica sviluppata dai responsabili viene spogliata di qualsiasi effetto di denuncia: lo spirito critico non
manca, ma non serve ad instaurare l'equità delle scelte di Emmaüs ; le inefficienze istituzionali sono
condivise:
Attualmente neanche le "patate bollenti " funzionano più, perché non hanno fatto
passi avanti sui progetti realizzati relativamente a due tipi di luoghi di accoglienza,
uno verso un’accoglienza senza troppi vincoli per persone che hanno problemi di
alcol, l'altro per quanto riguarda la cura delle malattie psichiatriche, evitando la
concenti-azione delle persone interessate, per creare luoghi di accoglienza
dall'aspetto più umano..
Ma non incoraggiate :
Per quanto riguarda la situazione attuale dei dispositivi locali, mi dispiace
l'inganno commesso a discapito delle persone, la mancanza di coordinamento tra
le strutture esistenti. Vi è un posto letto per la disassuefazione a Marie-Madelaine,
il CHS, dove è possibile il ricovero normale con le diverse procedure d'ufficio,
richieste da un terzo o su iniziativa degli interessati, ed anche il ricovero nel centro
di cura dell'"ILE ", un reparto specializzato nella gestione dell'alcolismo dove si
potrebbero mandare alcuni dei nostri ospiti. In questo centro, la persona assistita
che entra appare tagliata fuori dal mondo, è sotto trattamento speciale per 28
giorni, non può ricevere visite. Poi viene immersa di nuovo nell'ambiente: non
funziona molto bene...
...All'ospedale la situazione è molto simile: la persona è in disassuefazione, per un
motivo qualsiasi vuole uscirne. In questa fase ha bisogno di un po' di
convalescenza, ma la si rimanda a casa per 3 settimane aspettando che si liberi un
posto... questo non serve a niente. La camera sociale che è stata allestita su nostra
richiesta non funziona, è un'ipocrisia bella e buona, rifiutano di riconoscerlo ma è
così. Tutte queste istituzioni si irrigidiscono progressivamente e le persone vengono
ingannate.
L'intenzione dichiarata ai Remparts è quella di insistere sulla caratteristica dell'alcolismo come atto sociale,
come espressione della sofferenza derivante dalla perdita del legame sociale, per aiutare la persona a
ricostruirsi in un dato contesto, " ad inserirsi in un sistema sociale retto dalla legge dello scambio, a scavare
la propria posizione nel cuore della razionalità moderna ..."
E vero che, da questo punto di vista, le persone intervistate hanno qualcosa da dire e da ridire. Non
risparmiano proposte, dubbi, addirittura rivolte:
47
Da parte dei partner
...Le persone senza dimora, le più fragili, quelle che vorremmo sedentarizzare,
sono il risultato della nostra mancanza di coordinamento in materia di
reinserimento sociale nel bacino carbonifero. Pensiamo a quello che è successo ai
CHRS, di cui difendo il principio: nell'87-88 hanno iniziato a fabbricare alloggi
d'emergenza, ed ho visto un certo numero di posti letto passare da posto CHRS a
posto d'emergenza. C'è una domanda a cui bisogna rispondere, anche noi stessi
abbiamo reagito in questo senso, ma di fatto si costruiva una risposta di emergenza
ad un problema di fondo e ancora oggi si continua a trattare il problema in questo
modo. Si è finito per costituire un gruppo di riflessione sulla regione che è stato
chiamato " le patate bollenti "per trattare insieme il problema delle persone che
tutti si passano. Con la nostra esperienza con queste persone abbiamo dimostrato
che è possibile ottenere dei risultati. Un’esperienza della residenza sociale e del
cantiere di inserimento è seguita da un ex "compagnon", aiutato da un infermiere
psichiatrico del CMP e dal gruppo di pilotaggio, anche se il ruolo di quest'ultimo
riguarda soprattutto l'inserimento professionale. Ci sono poi membri dell'ANPE
(Agenzia Nazionale per l'Impiego), formatori per beneficiari di RMI, infermieri
psichiatrici... con i nostri partner, abbiamo dimostrato che è davvero possibile
determinare un capovolgimento della situazione con degli utenti considerati
irrecuperabili ...
... Nell'orientamento dell'alcolista per una cura esterna, attualmente non vi è un
lavoro di rete nel senso proprio del termine, la persona viene mandata dal medico
di famiglia, che decide se è necessaria una disassuefazione in ospedale, da 8 a 15
giorni, oppure se ci vuole un'altra procedura; si cercano di valutare le diverse
soluzioni, ad esempio la cura di 28 giorni ali' " ILE " del CHS. Si tratta di un
padiglione separato nel CHS,poi c'è la convalescenza a Maisonroy, che una volta
durava 3 mesi ed oggi è stata ridotta a 1 mese e mezzo. Poi ci sono le relazioni
regolari con i CMP, i Centri medico psicologici, i CHA, Centri di igiene
alimentare, in cui lavorano medici e paramedici. Propongono discussioni, incontri,
come le associazioni di ex alcolisti...
// gruppo delle "patate bollenti ", riunito sotto l'egida della prefettura sotto il nome
" riunione decentralizzata nell'ambito dello schema dipartimentale degli esclusi e
degli emarginati" si occupa soltanto dei casi estremi, ma gli altri non vengono
gestiti trasversalmente. A più riprese si è cercata una cooperazione con ospedali,
polizia, forze dell'ordine o con il mondo della giustizia, e ci sì è resi conto di
quanto fosse difficile. Ad esempio, è stato molto difficile far passare il principio di
un follow-up sociale. A Forbach sono stati istituiti alcuni posti letto chiamati " di
ospitalità ", ma non funzionano troppo bene, appaiono piuttosto come un alibi per
tutto ciò che non è stato fatto.
Attualmente neanche le "patate bollenti " funzionano più, perché non hanno fatto
passi avanti sui progetti realizzati relativamente a due tipi di luoghi di accoglienza,
uno verso un'accoglienza senza troppi vincoli per persone che hanno problemi di
alcol, l'altro per quanto riguarda la cura delle malattie psichiatriche, evitando la
concentrazione delle persone interessate, per creare luoghi di accoglienza
dall'aspetto più umano. Perciò oggi mi pongo il problema del motivo per cui il
DASS (Dipartimento dell'Azione Sociale e della Sanità), nell'ambito del DHR, non
si muova decisamente in questa direzione e anche del perché non riconosca
l'interesse delle nostre discussioni nel gruppo delle "patate bollenti ". Gli incontri
tra i rappresentanti delle associazioni diventano del tutto sterili, mentre
l'amministrazione non li riconosce o, peggio, li nega.
Da parte della comunità
... Sarebbe interessante che, oltre alla vita di comunità, vi fossero dei gruppi di
discussione, animati da qualcuno proveniente dall'esterno. L'azione individuale
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che conduco con ogni "compagnon " deve essere sostenuta dal gruppo e
controllata: giocare su questo aspetto comunitario è un po' la forza di Emmaüs ...
Dobbiamo rivedere il nostro regolamento interno, che risale a 5 o 6 anni fa; ora
c'è il COPRA, ossia un consiglio, a cui partecipano i "compagnon"...
La comunità ricopre un ruolo particolarmente importante per le persone in rotta
con la propria famiglia, è un po' come una famiglia sostitutiva. Alcuni decidono di
intraprendere degli sforzi "per il bene della comunità " come si direbbe " per il
bene della mia famiglia "', per stare bene nella comunità, assumersi le proprie
responsabilità; c'è una volontà di responsabilizzazione di ciascuno, a partire dal
momento in cui la comunità permette ai "compagnon " di assumersi delle
responsabilità sociali può davvero muoversi qualcosa ...
...ad un certo punto, discutendo grazie a H ed al COPRA, ho accettato di
partecipare alla vita interna. Ho iniziato ad essere in prima linea tutto il giorno, mi
sono state attribuite sempre maggiori responsabilità e, una volta assunte queste
responsabilità, l’alcol iniziava ad essere fastidioso. Progressivamente, ho lasciato
perdere. Sono ormai due anni che ho smesso completamente, non tocco più una
goccia d'alcol.
La prospettiva di una nuova condizione sociale è importante per le persone che
non vogliono passare qui il resto della vita, e si passa necessariamente per il
lavoro. Al centro di smistamento, delle 6 persone assunte 2 hanno lasciato per
motivi legati all’alcol. Per chi non ha potuto ottenere un lavoro all'esterno vi sono
altri tipi di responsabilizzazione, ad esempio in cucina, io parlo spesso di
responsabilità, perché se si beve l'incidente è questione di un attimo. C'è anche il
problema della sicurezza, soprattutto nel lavoro di squadra, nei cantieri...
.. Per quanto riguarda l'accoglienza negli " ALGECO " di persone che non
vogliono entrare in comunità, l'associazione ha deciso di mettere in atto un vero e
proprio progetto di assunzione con contratto a termine, valido anche per gli
alcolisti: è il principio della residenza sociale, è stato deciso di assumere a termine
le persone proponendo loro di fare un tratto di strada insieme per uscire
dall'alcolismo, con un primo contratto in CES, accompagnato da una supervisione
tecnica ...
Come si vede, i punti di vista non mancano, con l'aiuto dell'esperienza vi sono alcuni orientamenti che si
sono stabiliti nell'anima dei "compagnon", senza tuttavia generare un modello particolare.
Resta aperto il problema di un nuovo tipo di sostegno, simile a quello proposto dai CAT italiani, fondato
sulla solidarietà del gruppo familiare o di un gruppo sostitutivo dello stesso tipo. Come abbiamo visto, il
gruppo familiare ricopre un'importanza preponderante nella " carriera dell'alcolista" tra i "compagnon" di
Emmaüs. Ma nei discorsi esso corrisponde principalmente a quello che potrebbe essere definito un gruppo di
appartenenza piuttosto che un gruppo di riferimento che agisce come motore di nuove figure di integrazione;
a volte il gruppo familiare è un luogo di attaccamento fondatore, ma altre volte è il contrario. In ogni caso,
non è lo spazio su cui si concentra la costruzione dei progetti futuri. Al contrario, è una possibile base, così
come lo è la comunità, ma viene vissuto, ovviamente, in un modo più passionale, in un senso e nell'altro. Di
fatto, risulta più difficile staccarsene per ritrovare un legame di interdipendenza con gli altri piuttosto che un
nuovo legame di assoggettamento. Figura emblematica del gruppo di socializzazione primaria, la famiglia è
ancora un passaggio obbligato in un periodo della vita in cui l'esperienza della vita stessa si è già
diversificata in investimenti socioaffettivi diversi? Bisogna considerarla come un elemento di rifondazione
per momenti di crisi eccezionali?
Chi se non le persone direttamente interessate potrebbe decidere? In ogni caso, per la sociologia
contemporanea la famiglia non rappresenta più il luogo privilegiato della solidarietà moderna. Essa diventa
sempre più oggetto di studio sul tema " la famiglia in frantumi ". " Le solidarietà familiari, afferma JeanHugues Déchaux, sono di natura diversa da quelle dispensate dai poteri pubblici. L'idea di un trasferimento
di responsabilità ai propri congiunti presuppone una perequazione endogena delle risorse familiari che, allo
stato attuale dei fatti, è decisamente imperfetta. Per i motivi indicati non sembra che la famiglia possa essere
più efficace di quanto già non sia. Il legame familiare non si può dunque sostituire alle responsabilità
49
istituzionali, è già abbastanza sollecitato ed il fatto di chiedere sempre più alla famiglia costituirebbe un
danno per il corpo sociale. Se la diagnosi della crisi dello Stato provvidenza verrà confermata, sarà
necessario trovare altrove le energie di una nuova solidarietà." 1
... A volte sì sente dire che i problemi di queste persone sono così grandi che non
possono avere accesso alla parola. Un giorno mi sono sentito dire " abbiamo
provato, ma ci vuole così tanto prima che i ragazzi ci parlino... " allora ho tirato
fuori la frase "il problema non è che le persone parlino a voi, ma che parlino ".
Postfazione
La mia ricerca nell'ambito del programma europeo " II sogno di Vladimir " si conclude con questa citazione.
Tuttavia, vorrei aggiungere qualche frase destinata in modo più specifico ai responsabili dei Rempart,
relativamente alle pratiche professionali in atto ed al loro sviluppo.
Come è emerso dalle interviste effettuate, vi sono molteplici prospettive di avvicinamento al problema
dell'alcolismo e della sua cura. Queste prospettive si riferiscono sia alle persone nei propri comportamenti
individuali, nella propria difficoltà personale ad uscire da questa dipendenza, sia ai rapporti interpersonali,
che sono momenti di tensione ma anche di vicinanza ed impegno affettivo, quali la vita di gruppo dentro e
fuori la comunità, le disposizioni organizzative e le strategie istituzionali, siano esse di natura economica,
sociale o culturale.
Questa grande differenza di approccio a livello di comprensione ed azione sembra in qualche modo
attraversare l'istituzione, senza che si possa dire chi è veramente depositario di una determinata prospettiva
piuttosto che di un'altra. Il principi di Emmaus - Forbach, richiamati all'inizio di questo documento,
confermano, d'altra parte, questa preoccupazione di eclettismo e diversità di obiettivi.
Tuttavia, mi sembra che tra questi due poli, le posizioni personali degli attori e le posizioni di principio,
manchi uno spazio meglio identificato di analisi e costruzione delle pratiche, uno spazio di parola e decisione
(magari analogo a quello del COPRA), grazie al quale possa prendere vita un lavoro di regolamentazione ed
accompagnamento delle pratiche, in modo da esplicitare meglio il senso di quella trasversalità
precedentemente citata. Questo processo di esplicitazione potrebbe concretizzarsi nella formalizzazione di un
progetto d'istituto, non mirato alla produzione di un testo di celebrazione ideologica delle scelte istituzionali,
ma alla creazione di uno strumento di accompagnamento alla costruzione di un pensiero collettivo, di uno
spazio di trattativa delle convinzioni e degli impegni degli uni e degli altri. Paul Fustier esprime questo
pensiero in un articolo dedicato alla scomparsa del sacro nella costruzione del senso negli istituti di
formazione specializzata: "non si tratta di fare l'esegesi del prodotto finito, ma di appoggiarsi sul processo
della sua elaborazione, in quanto questo permette di mettere a punto un pensiero di gruppo" 2 .
Ma sono pienamente consapevole del fatto che questa proposta sia insita, al di là degli aspetti tecnici, nella
stessa filosofia dell'azione che è stata sviluppata ad Emmaus, in particolare attraverso la valorizzazione di
una cultura orale che cerca di radicare gli scambi in un quadro relazionale basato sulla vicinanza, sul modello
comunitario di socializzazione, a discapito di una cultura scritta, tipica dei rapporti sempre più simili a
contratti che caratterizzano il modello societario, ma anche le sue derive burocratiche.
Arsene Amen 3 ,
Sociologo, Istituto Regionale del Lavoro Sociale della Lorena
Laboratorio di sociologia dell'Università di Metz
1
J. H. Déchaux, "l'Etat et les solidarités familiales" in "l'Exclusion: l'etat des savoirs", dir. S. Paugam,
La Découverte, 1996
2
Paul Fustier, in Connexions 71/1998-1, De la crise du sacre au projet institutionnel.
3
Adresse e-mail: [email protected]
50
Bibliografia
Ancel P. e Gaussot L., “Alcool et alcoolisme, pratiques et représentations” (Alcol e alcolismo, pratiche e
rappresentazioni). L'Harmattan, Parigi 1998
Beck U., “La société des risques (Risikogesellschaft), sur la vote vers une autre modernité” (La società dei
rischi, sulla strada verso un'altra modernità), 1986, citato in Lien social et Politiques (Legame sociale e
politiche) - RIAC, 39, 1998.
Castelain JP., “Manières de vivre, manières de boire. Alcool et sociabilité sur le port” (Modi di vivere, modi
di bere. Alcol e socievolezza al porto), Imago, Parigi, 1989.
Déchaux J.H., "L'Etat et les solidarités familiales " ("Lo Stato e le solidarietà familiari"), in "L’Exclusion :
l'état des savoirs " ("L'esclusione: lo stato delle conoscenze"), dir. S. Paugam, La Découverte, 1996
Ehrenberg A., “L'individu incertain” (L'individuo insicuro), Calmann-Lévy, 1995 Ehrenberg A, “Le eulte de
la performance …” (Il culto della prestazione)
Paul Fustier, “De la crise du sacre au projet institutionnel” (Dalla crisi del sacro al progetto istituzionale),
Connexions 71/1998-1
Le Vot-Ifrah, "De l’ivresse à l'alcoolisme " ("dall'ubriachezza all'alcolismo"), 1989 , citato da Merchi Salima:
"De l’importance des processus de groupe dans le traitement thérapeutique de l'alcoolisme"
(Dell'importanza dei processi di gruppo nel trattamento terapeutico dell'alcolismo).
Maurel E., “De l'insertion sociale, Revue de droit sanitaire et social” (Dell'inserimento sociale, Rivista di
diritto sanitario e sociale), n° 25, ott-dic 89
51
LA RICERCA A MADRID (SPA)
Il Sogno di Vladimir
II problema dell'alcolismo nelle Persone senza Dimora dall'esperienza della Fondazione San Martín de
Porres di Madrid.
PEDRO JOSÉ CABRERA E MARÍA JOSÉ RUBIO
Maggio 2002
1. Introduzione
Sullo sfondo del progetto "II Sogno di Vladimir" la seguente ricerca mostra i dati fondamentali del consumo
di alcol nella società spagnola e madrilena, studia i metodi di trattamento che si applicano nelle strutture
esistenti nella regione e, per finire, analizza la strategia concreta di intervento che si sviluppa nel Ricovero
San Martín de Porres in relazione al fenomeno dell'alcolismo, presente in alcuni pazienti.
L'alcol è pienamente integrato nella nostra cultura, e occupa un ruolo importante come fattore di relazione o
vincolo sociale con il gruppo, con la comunità, è presente nelle festività o nei riti quotidiani, e costituisce un
tramite normale ed accettato per favorire la relazione sociale. La cultura dell'alcol è ricca di valori, tradizioni
e comportamenti assimilati nella vita quotidiana (Peinado, A. y Portero, P, 1994).
Tuttavia, questa normalità con la quale il fenomeno è osservato da parte dell'opinione pubblica, negli ultimi
tempi è cambiata a causa delle elevate cifre di consumo in determinati periodi di tempo, e soprattutto, per via
del nuovo - e in certe occasioni allarmante, - modello di consumo giovanile. L'attuale dibattito legato alla
legislazione definita "antibotellón 1 ”, non è altro che l'espressiva dimostrazione dell'alto grado di
preoccupazione sociale esistente in relazione a quel nuovo modello di consumo, segnato da una tendenza
all'eccesso che degrada il vincolo sociale, all'interno del quale il consumo di bevande alcoliche veniva
tradizionalmente collocato. L'alcol, attualmente, rappresenta la sostanza che provoca assuefazione, più
consumata in Spagna. Durante gli ultimi anni '50, l'evoluzione di tale consumo è andata progressivamente
modificandosi, e benché nella realtà sia diminuito, continua ancora ad essere la causa del 15% delle
consulenze di medicina generale, del 50% degli incidenti stradali, o del 15% degli infortuni sul lavoro.
(Fuertes, J.C., 1998).
E' pur vero che, da metà degli anni '80, si è verificata una diminuzione del consumo, valutabile in un 40% per
l'anno 2000, in relazione al livello di consumo massimo raggiunto nello stesso periodo.
Questo calo è legato alla comparsa di nuovi valori associati alla salute e ad un comportamento personale più
equilibrato, alla progressiva consapevolezza da parte della popolazione (partendo dai sondaggi sul consumo
di alcol e di altre droghe), ed ai risultati dei programmi di prevenzione entrati in funzione nel primo decennio
degli anni '90.
Tuttavia, nonostante questa diminuzione, secondo i dati forniti dall'Osservatorio Spagnolo sulle Droghe, il
61,7% della popolazione spagnola ha consumato bevande alcoliche in quantità variabile negli ultimi 30
giorni, il 46,7% lo ha fatto durante l'ultima settimana e il 13,7% tutti i giorni. (PND,1999). Il cambiamento
più significativo, meglio consiste nel fatto che i modelli di consumo ed i gruppi a rischio sono mutati,
accentrandosi in spazi di tempo più brevi (fenomeno che qualche autore ha definito l'alcolismo dei fine
settimana), ed in gruppi di età sempre minore.
Per quanto concerne il modo in cui è stato affrontato il problema, è necessario dire che le prime risposte
ufficiali che si discostano dalle tradizionali impostazioni psichiatriche e manicomiali, cominciarono in
Spagna tardivamente (Santo-Domingo, 2000). Negli anni '60 si ideò una piccola rete di dispensari antialcolismo, e nacquero le prime associazioni di ex-alcolisti. Negli anni '70, venne pubblicato il "Libro bianco"
1
Attualmente, la maggior parte delle Comunità Autonome emanano leggi volte a penalizzare il consumo di alcol
nella strada, al fine di eliminare il disturbo provocato dalle riunioni di giovani nelle piazze e nei parchi, che si
incontrano per consumare alcolici all'aperto. Nella realtà, in ogni paese e città esistono queste assemblee, note con il
nome di "botellón".
52
relativo alle conseguenze dell'alcolismo ed ai problemi derivanti dalle droghe; si creò, inoltre, il Piano
Nazionale sulle Droghe. Infine, già in pieno regime democratico, le diverse Comunità Autonome
predisponevano i loro progetti per trovare una soluzione all'alcolismo.
Storicamente, l'esperienza assistenziale ha potuto fare affidamento su una solida base di tipo medicopsichiatrico, e ancora oggi, almeno in parte, continua a conservarla; ad esempio, nella Comunità di Madrid ambito geografico di questa indagine - le competenze sull'alcolismo fanno capo essenzialmente ai Servizi di
Igiene Mentale. Anche nella letteratura relativa a questo tema si può riconoscere il prevalere delle
impostazioni mediche, rispetto ad altre di tipo maggiormente psico-sociale, sia per spiegare l'eziologia, che
per dare fondamento ai metodi di cura. Tuttavia, soprattutto nell'ultimo decennio, si sono integrati i
trattamenti di tipo farmacologico con altri approcci di taglio psico-terapeutico. In questo modo, si è venuto a
creare un consenso informale, il quale concepisce che l'assistenza ai problemi relazionati con il consumo di
bevande alcoliche, deve essere multidisciplinare e multiprofessionale; benché sia utile non dimenticare che,
negli ultimi anni, qualcuno ha messo in guardia circa la psichiatrizzazione (sfiducia verso la neurobiologia)
dell'alcolismo, sia nell'ambito dell'eziologia e della ricerca, che in quello della terapia. J. Santo-Domingo
(2000: 389-390).
Per quanto riguarda il legame tra il consumo di alcol e le Persone senza Dimora (P.S.J.), la letteratura sul
tema ha relazionato in modo variabile il problema dell'abuso di alcol con il fenomeno delle P.S.D. In questo
modo, seguendo la tesi di Muñoz, Vázquez y Cruzado (1995), per interi decenni le Persone senza Dimora
sono state fondamentalmente considerate degli alcolisti, esposti alla vita di strada proprio a causa del bere. In
questo modo, l'alcolismo si collocava come la causa determinante di un processo di deterioramento personale
e sociale. In seguito, negli anni '70, dopo la "disistituzionalizzazione" psichiatrica, si iniziò a considerare le
Persone senza Dimora come pazienti principalmente psichiatrici deambulanti, per i quali non era stato creato
uno spazio residenziale adatto, collocando quindi l'abuso di alcol al secondo posto. Verso la metà degli anni
'80, gli studi epidemiologici e gli alti tassi di prevalenza registrati, hanno riproposto l'antica domanda: l'alcol
e le altre droghe possono essere un elemento scatenante del fenomeno delle P.S.D. ?
All'interno della scarsa letteratura specifica sul tema esistente nel nostro paese, le ricerche di tipo più
sociologico hanno collocato il fenomeno dell'alcolismo insieme ad altri problemi di salute mentale e fisica,
associandoli poi ad un processo di emarginazione sociale, caratterizzato dalla rottura dei legami e dallo
sradicamento dell'individuo. Come sostiene P. Cabrera (1998:343) "l'aspetto maggiore di questi problemi
muta in relazione al grado di sviluppo raggiunto dal processo di rinnegamento e sradicamento al quale molte
Persone senza Dimora si vedono esposte". L'impostazione sociologica colloca l'alcolismo come una variabile
in più nel processo di esclusione sociale che conduce al vagabondaggio.
Altri studi di tipo psicologico hanno cercato di associare l'alto tasso di "eventi vitali stressanti" (separazione
matrimoniale, morte, licenziamento, ecc.) nella vita delle Persone senza Dimora, con i problemi di alcolismo.
In questa linea di indagine troviamo lo studio di Muñoz, Vázquez y Cruzado (1995), nelle cui conclusioni
sostengono che le Persone senza Dimora alcoliste, "hanno avuto più problemi durante l'infanzia e
l'adolescenza (famiglie separate, problemi di delinquenza, abbandono degli studi, etc.) rispetto ai Senzatetto
non alcolisti. In questo senso, l'alcolismo appare come una variabile che interviene nel processo di
emarginazione.
In relazione all'assistenza ed al trattamento specifico delle Persone senza Dimora con problemi di alcolismo,
è necessario mettere in rilievo che, paradossalmente, nonostante il consenso generale sulla rilevanza di tale
fenomeno nelle Persone senza Dimora, i programmi o i piani espressamente creati al fine di fronteggiare tale
problema, sono stati veramente pochi, sia all'interno della rete di assistenza sanitaria, che nelle strutture di
accoglienza previste per le Persone senza Dimora. Tuttavia, tutte le prove di indagine esistenti a livello
internazionale, dimostrano che l'universalizzazione dell'assistenza sanitaria non è sufficiente a cancellare
tutte le difficoltà di ingresso che nella pratica, finiscono per lasciare senza una adeguata assistenza molte
Persone senza Dimora.
Tradizionalmente, i centri di accoglienza per le Persone senza Dimora, hanno considerato il problema
dell'alcolismo come se fosse una peculiarità "inevitabilmente" associata a quel tipo di persone, senza che sino
a quel momento si siano sviluppati, al loro interno, dei programmi specifici di terapia. L'alcolismo di una
buona parte dei loro utenti, è stato per decenni qualcosa di tanto ovvio ed evidente, che curiosamente, la sua
stessa ovvietà lo ha reso invisibile dal punto di vista dell'intervento sociale; in modo che, come poi
osserveremo, dando per scontato che la sua terapia corrisponde al Sistema Sanitario, non ci sono state
proposte di intervento globale da parte degli stessi centri specifici di assistenza alle Persone senza Dimora.
53
2. Metodologia e tecniche
Per la realizzazione di questo studio abbiamo utilizzato una metodologia eclettica, nella quale si uniscono
l'approccio qualitativo-strutturale e l'impostazione quantitativa.
Dal punto di vista della prospettiva qualitativa, sono state realizzate 20 interviste personali: 10, a persone
che ancora hanno o hanno avuto in passato problemi di alcolismo, e 10 a specialisti e/o responsabili dei
centri tra i quali troviamo medici, psicologi, assistenti sociali ed educatori. Si tennero inoltre, 2 focus group
con lo staff professionale della Fondazione San Martín de Porres.
Da un punto di vista quantitativo, è stato creato un questionario in cui gli specialisti della Fondazione hanno
cercato di raccogliere i dati di ciascuna delle persone assistite nel corso dell'anno, che inequivocabilmente
mostravano segni di dipendenza dall'alcol, e sulle quali si avevano a disposizione dati ed informazioni
sufficienti per poterlo riempire senza che interferisse con il processo di intervento. Sono state però escluse,
un certo numero di persone seguite solo per breve tempo, e sulle quali non ci si è potuti accertare
dell'effettiva condizione di alcolisti. Il risultato ottenuto permise di avere a disposizione un campione di 52
individui.
Le circa 500 pagine dei testi corrispondenti alle interviste e al focus group sono state esaminate con il
programma QSR-NUDIST per l'analisi del contenuto. Mentre i dati del sondaggio, vennero caricati nel
programma Sphinx Survey e analizzati con il medesimo programma e con il SPSS versione 10.
3. Epidemiologia e risposta sociale al problema
Tra le droghe esistenti, legali e illegali, l'alcol rappresenta la sostanza maggiormente consumata all'interno
della società spagnola . Il suo consumo, si colloca al di sopra di quello del tabacco, cannabis e altre droghe
illegali: l'87,l% della popolazione spagnola in un'età compresa tra i 15 e i 65 anni, ha bevuto alcolici
"qualche volta" nella sua vita. Il 14% afferma di consumare bevande alcoliche ogni giorno.
Tavola 1
Predominio del consumo di sostanze psicoattive "qualche volta".
Spagna. 1999 (%)
Alcol
87.1
Tabacco
65.1
Cannabis
19.5
Ecstasy
2.4
Anfetamina/Speed
2.2
Allucinogeni
1.9
Sostanze Inalabili
0.6
Eroina
0.4
Crack
0.3
Fonte: DGPNSD. Osservatorio Spagnolo sulle Droghe:
Sondaggio domiciliane sul consumo di droghe.
54
Per quanto riguarda l'evoluzione del consumo durante gli ultimi anni, si può constatare che dal 1995 al 1999
il consumo si mantiene stabile o presenta una leggera tendenza ad aumentare. Sebbene il consumo tra gli
uomini sia superiore a quello delle donne, è necessario far emergere che il divario tra i due sessi è ogni volta
minore: il 74,7% degli uomini dichiara di aver consumato alcolici negli ultimi 30 giorni, rispetto al 50,7%
delle donne. Considerando una fascia di età più giovane (15-19 anni), minori sono le differenze in relazione
al sesso: 54,9% per le donne e 50,9% per gli uomini. Tale dato indica una progressiva femminilizzazione del
consumo di alcol, o perlomeno una alquanto rapida omogeneità nei comportamenti delle generazioni più
giovani, come viene dimostrato nel seguente grafico.
Bere, continua ad essere qualcosa che fanno soprattutto gli uomini in una popolazione superiore ai 40 anni,
ma che diventa un fenomeno privo di alcuna relazione con il genere maschile o femminile, tra i minori di 20
anni.
Per quanto riguarda l'età di inizio, il consumo di bevande alcoliche, rappresenta l'esperienza più precoce
rispetto ad altre droghe, (si inizia a bere verso i 16,9 anni), superata solamente dalla prima sigaretta (16,7).
Più della quarta parte dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni (26%) ha consumato per la prima volta
un alcolico, prima di aver compiuto 15 anni, percentuale che diventa il 22% tra coloro i quali hanno
oggigiorno 20-24 anni. Vale a dire che l'esperienza relativa al consumo di alcol è sempre più precoce.
Il tipo di bevanda alcolica preferita dagli spagnoli, varia a seconda che si beva nei giorni feriali o durante il
fine settimana. Nel primo caso, durante gli ultimi 30 giorni, la sostanza alcolica maggiormente consumata è
il vino, - 1' 11,7% dichiara di berlo tutti i giorni -, seguito dalla birra, che registra il 6,5% di consumatori
giornalieri. Tuttavia, l'ordine cambia nel fine settimana: il 18,5% ha consumato birra tutti i fine settimana e il
17,2% vino. Possiamo dunque affermare che, durante il fine settimana, al gruppo di consumatori abituali di
vino si uniscono quei giovani tra i quali la bevanda alcolica maggiormente consumata è la birra. Tutto ciò
comporta, senza dubbio, una frattura con il modello tradizionale spagnolo, dato che la birra è una bevanda
importata e che solamente verso gli anni '60 iniziò a diffondersi largamente tra di noi.
Durante i giorni feriali, quasi la metà (46%) delle persone che hanno bevuto alcolici negli ultimi 30 giorni,
dichiara di essere astemio. Mentre, il 6% della popolazione consuma bevande alcoliche in quantità
considerate illecite e per questo motivo, a rischio. Ciò comporta che più di un milione di spagnoli
(1.035.000) durante i giorni feriali, si colloca oltre il limite a rischio. Tra questi, circa 263.000 si
potrebbero inserire all'interno di un consumo definibile come patologico-ad alto rischio, a causa
dell'immediato pericolo che può causare alla salute.
Se si prende in considerazione l'età, il consumo spropositato di bevande alcoliche, colpisce in misura
maggiore le persone di età superiore ai 25 anni. La fascia di età che va dai 25 ai 29 anni è quella che registra
un predominio nella categoria del consumo alto; quella che va dai 40 ai 65 anni si colloca invece, nella
55
categoria di consumo eccessivo, ed infine, il consumo ad alto rischio colpisce soprattutto le persone dai 30 ai
34 anni. Tale accentramento dell'abuso di alcolici nei giorni feriali da parte dei "giovani adulti" (25-34 anni)
e degli "adulti veri e propri" (40-65 anni), indicherebbe la categoria di persone che inizia a bere presto, in
maniera particolare durante il fine settimana, ma che lentamente conserva tale abitudine anche negli altri
giorni. Il pericolo quindi, che ciò che inizia come un alcolismo giovanile dei fine settimana, si trasformi,
dopo 15 anni, in un alto numero di adulti alcolisti, è estremamente serio.
Tra coloro i quali fanno uso di alcol durante il fine settimana, la percentuale aumenta considerevolmente tra
le donne. In questo modo, da una lato si può osservare la progressiva incorporazione della donna a tale
abitudine, invece dall'altro lato, si evidenzia il vincolo esistente tra il tempo libero del fine settimana ed il
consumo di alcolici. Più di 1300.000 persone corrispondono a questo profilo, tra le quali, circa 285.000
appartengono alla categoria precedentemente definita ad alto rischio. Come accade con il consumo
durante i giorni feriali, maggiore è l'eccedenza, minore sono le differenze tra i due sessi. I bevitori abituali
del fine settimana definiti ad alto rischio e di sesso maschile (1,8%), superano solamente di 4 punti le donne,
che seguono il medesimo modello (1,4%).
I dati attualmente a disposizione, confermano che l'abuso di alcolici durante il fine settimana colpisce in
buona parte i gruppi di età più giovane. In questo modo, l'età dai 15 ai 19 anni, 20-24 anni e 25-29 anni
indicano un aumento notevole di bevitori, se confrontati con le percentuali dei giorni feriali. Per ciò che
concerne il consumo di alcolici nei giorni feriali e durante il fine settimana, il seguente grafico mostra
l'enorme differenza che la fascia di età minore ai 30 anni registra.
3.1
L'Interesse al problema
La risposta sociale ai problemi alcol-correlati, è conforme al basso livello di pericolo che viene percepito
dalla nostra società, perciò solamente nell'eccesso, nella trasgressione ostensibile della norma, si
percepiscono le conseguenze negative legate alla sua assunzione.
Tuttavia, nell'ultimo decennio, in seguito ad una maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica, si è
creata più consapevolezza per ciò che riguarda i problemi legati al consumo di alcolici; soprattutto per
quanto concerne il pericolo che rappresenta per determinati gruppi a rischio, come ad esempio, la
popolazione giovanile, o quando l'alcol è correlato a particolari attività incompatibili con il suo consumo
(quali guidare, o attività lavorative rischiose). Pertanto nel loro studio relativo all'importanza delle droghe in
Spagna, Rodríguez y Mejía (2001) affermano che, benché l'alcol e il tabacco continuino ad essere poco
identificate come droghe, la percentuale di risposte che le riconoscono droghe dannose alla salute è
aumentata.
56
In relazione alla rete di strutture, o "rete Istituzionale", disponibili ad offrire una risposta ai problemi legati
al consumo di bevande alcoliche, ci troviamo di fronte ad un paradosso: pur essendo l'alcol, la sostanza che
provoca assuefazione, più consumata nel nostro paese, l'odierna rete assistenziale specifica, risulta essere con
tutta probabilità una delle più insufficienti, priva di mezzi e con una coordinazione interna debole o talvolta
semplicemente assente. In questo senso, i sacrifici che le associazioni degli alcolisti e i loro familiari devono
affrontare, sono un preciso riflesso di questa situazione. Muovendosi all'interno di grandi carenze e
mancanza di un appoggio istituzionale, sono privi di strutture e del presupposto con il quale poter affrontare
il progetto di alcuni programmi di assistenza più specializzati e stabili:
"Noi non siamo liberi, né vogliamo esserlo, vogliamo avere a disposizione mezzi
che ci permettano di assumere assistenti sociali e psicologi, e realizzare un centro
alternativo all'interno del quale, oltre all'aspetto psico-sociale, vi siano corsi, vi
sia formazione, perché esistono anche alcolisti disoccupati..., e naturalmente le
residenze protette e così via..." (Associazione degli assistiti).
3.1.1. Le risorse a disposizione della popolazione
Attualmente, nella Comunità di Madrid, il nucleo centrale della rete di assistenza ai problemi alcol-correlati,
è rappresentato dai Centri di Igiene Mentale, i quali dipendono dall’Amministrazione regionale. Insieme a
questi, continuano ad avere un certo ruolo in relazione all'alcolismo, i Gruppi di Assistenza primaria, primo
anello dell'assistenza sanitaria generale, e gli ospedali civili, destinati ad assistere i casi più gravi di
intossicazione etilica acuta, o pazienti con gravi patologie legate all'alcolismo. D'altra parte, l'UDA (Unità di
Disintossicazione Alcolica) è un espediente pensato soprattutto per quei soggetti che non riescono a
realizzare una disintossicazione di tipo ambulatoriale, oppure incapaci a rimanere in astinenza per un periodo
di tempo necessario ad essere inclusi in un programma di disintossicazione; infine, per quelle persone con un
disfacimento familiare, personale e sociale, bisognose di una terapia specializzata. La cura prevista dall'UDA
consiste in un periodo di disintossicazione di 15 giorni, a cui si aggiunge un altro periodo di un mese.
Parallelamente a questa rete che dipende dal governo regionale, e talvolta dissimulando le sue azioni,
troviamo i CAD (Centri di assistenza per i tossicodipendenti - rete del Comune di Madrid per l'assistenza ai
tossicodipendenti), la maggior parte dei quali si avvale di un Programma di Alcolismo, sebbene, rispetto al
totale degli utenti che assistono, solo l'11% presenta come problema principale la dipendenza dall'alcol,
percentuale che nell'anno 2000 salì al 19%. Secondo i gruppi di appoggio agli alcolisti, per le persone con
problemi alcol-correlati, i CAD implicano il marchio della tossicodipendenza, referente simbolico da cui
l'alcolista vorrebbe allontanarsi; senza dimenticare che la dipendenza alcolica suppone stili di vita ed
immagini sociali peggiorative, come quelle legate all'eroina e ad altre droghe. Simultaneamente, dalle
associazioni di alcolisti si ritiene che le abitudini dei tossicodipendenti in terapia siano incompatibili con
quelle degli alcolisti.
"Noi, ciò che veramente abbiamo è l'esperienza del fatto che gli alcolisti non
vogliano andare lì, perché lì vi sono altri tipi di persone, perché coloro che
prendono il metadone, escono dal gruppo e vanno a bere, e l'alcolista che con loro
esce dal gruppo, non può stare lì". (Associazione di alcolisti)
Troviamo, infine, i gruppi di mutuo aiuto . All'interno della Comunità di Madrid la rete organizzata più
grande di questo tipo è rappresentata dalla Federazione di Alcolisti della Comunità di Madrid (FACOMA),
che si avvale di 20 associazioni di alcolisti e familiari.
57
Rete istituzionale rivolta alle persone
con problemi di dipendenza dall'alcol. Rete di risorse
Comunità Autonoma
Comune
Società Civile
Centri di Igiene mentale
CAD
Gruppi di aiuto reciproco
Gruppi di Assistenza Primaria
Ospedali Civili
Unità di Disintossicazione Alcolica
Tali associazioni considerano il consumo di alcolici una malattia, e la loro strategia di comportamento è volta
a fornire sostegno ed accompagnamento agli alcolisti, ex-alcolisti ed ai loro familiari, per un periodo minimo
di 2 anni, ai quali è necessario aggiungere un terzo anno di controllo. La filosofia che motivò
l'incorporazione dei problemi di alcolismo alla rete dei Centri di Igiene Mentale, iniziava da una doppia
considerazione. Da un lato, prima dell'attivazione del Piano Regionale di Interventi contro l'Alcolismo
(1988), i pazienti con questo problema venivano curati nei Consultori Antialcolismo il che comportava una
stigmatizzazione di tipo morale, che si voleva eliminare attraverso l'introduzione dei pazienti nella rete
standardizzata di assistenza sanitaria; dall'altro lato, molti di questi soggetti presentavano alterazioni
depressive, ansia, disturbi della personalità, ecc, per cui era consigliabile che l'assuefazione fosse curata
parallelamente a questi altri sintomi.
Pertanto, all'inizio, il primo passo fu la normalizzazione dell'attenzione ai problemi di alcolismo; anche se, in
seguito, la mancanza di una reale attuazione del Piano ha condotto verso quello che si potrebbe definire
un'assistenza poco specializzata ed articolata dei problemi stessi, dove è possibile riscoprire validi
progetti teorici di intervento, ma purtroppo ostacolati da insufficienti presupposti e scarsi mezzi materiali e
umani, da destinare alla loro realizzazione.
Il Programma regionale di Interventi Sanitari contro l'Alcolismo stabiliva che questi servizi avrebbero
dovuto fare affidamento su uno staff specializzato (composto da medico-psichiatra, psicologo, assistente
sociale ed infermiera), addetto alla cura dei problemi di alcolismo, da compiere durante visite specifiche, in
giorni e orari fissi, staff costituito da specialisti appartenenti a differenti settori, compresi quelli dei Centri di
Igiene Mentale esaminati. Nonostante ciò, si è unanimi nell'affermare che il suddetto Programma non si è
mai realizzato.
"Ciò che capitò fu che,fintanto che durò questo Piano e l'Assemblea di Madrid
continuò nell'opera d'intervento, quelle contrattazioni continuarono, ma nel
momento in cui venne interrotto, nessuno proseguì con il programma".
(Intervista 14:2)
Nella pratica, i pazienti dipendenti dall'alcol vengono curati nei consultori generali di psichiatria, senza che
la maggior parte dei centri abbia a disposizione uno staff specializzato nella cura dell'alcolismo, né
programmi o ambulatori specifici.
"Loro gli dicono, "ritorna tra 20 giorni", la cosa più normale è che riprenda a
bere.
Per
un
alcolista,
la
cosa
logica
è
questa".
(Intervista 8:4)
Per quanto riguarda l'approccio dell'assistenza praticata nei CSM (Centri di Igiene Mentale), la maggior parte
sembra collocarsi, almeno formalmente e verbalmente, nel modello "bio-psicosociale". Tale denominazione,
sembra far riferimento ad una sorta di modello "ombrello" che raccoglie in modo indefinito, qualunque tipo
58
di atto e di impostazione teorica. Anche se all'inizio si cerca di dare una risposta ad ognuno di questi ambiti
(medico, psicologico e sociale), nella pratica si ha una certa predisposizione verso il modello medicofarmacologico, per giungere alla disintossicazione e alla disassuefazione. Ciò non significa che non venga
praticato un trattamento di tipo più terapeutico, ma che la cura attualmente, rappresenta l'ingresso principale
per la maggior parte delle terapie. E' uno strumento che raggruppa il consenso più ampio, ed è inoltre, la
strada futura più produttiva per i nuovi approcci con l'alcolismo. In effetti, la nuova classe di farmaci in
grado di ridurre il desiderio di consumare bevande alcoliche, se da un lato, non può fermare l'assunzione,
sembra essere il punto di partenza di un nuovo modello medico-terapeutico per affrontare il problema
dell'alcolismo.
L'approccio psicoterapeutico si limita a terapie brevi o molto brevi, in massima parte di tipo cogniti vocomportamentale, anche se contiene altri propositi, i quali non sono in grado di soddisfare neanche in
minima parte, le necessità che una persona con problemi di alcolismo, a medio o lungo termine, presenta.
"Quando smettiamo di bere, abbiamo solamente due cose: una malattia da tenere
sotto controllo e una personalità che in quel momento non è in grado di esercitare
quel controllo. Bene, nei CSM (Centri di Igiene Mentale) non hanno tempo per
questo, ma comunque si occupano di noi. Allora, l'Igiene Mentale si rende
responsabile di quelle competenze, le riconosce come sue, ma se adesso andiamo a
Villaverde o a Carabanchel oposti così, e le dicono, "verrai il 29 Maggio ", pensi
che non le hanno dato retta e dice in casa che dal medico è andato...questa è la
malattia".
(Intervista 8:6)
All'interno di queste necessità si deve sottolineare, l'appoggio psico-sociale dato al paziente e alle famiglie.
Quest'ultima parte, è vista dai gruppi di aiuto reciproco, come un elemento chiave nel processo di recupero e
riabilitazione sociale. Ma, malgrado ciò, a stento viene inserita ed utilizzata nel programma di intervento che
i Servizi pubblici di Igiene Mentale dirigono.
L'idea che l'alcolista ha dei Centri di Igiene Mentale, è utile anche come indicatore del minimo adeguamento
della rete assistenziale, al problema che stiamo trattando.
"Anche gli alcolisti non andavano ai centri perché naturalmente dicevano, io non
sono pazzo".
(Intervista, 8: 5)
D'altro canto, la collaborazione e la coordinazione dei CSM (Centri di Igiene Mentale) con le altre strutture a
disposizione della rete, non sembra essere molto stretta, ma si limita ad indirizzare i diversi casi., verso
l'Unità di disintossicazione Alcolica, gli Ospedali Civili e anche verso la rete municipale di assistenza ai
tossicodipendenti – CAD. In nessun caso, però, sono stati stipulati accordi di collaborazione, né attuati
programmi di intervento complementari.
3.1.2. Le risorse a disposizione delle Persone senza Dimora: il CPA e T
La rete di risorse disponibili per le Persone senza Dimora e con problemi di alcolismo, è più definita rispetto
a quella rivolta alle persone che presentano, invece, solo la dipendenza dall'alcol; questo perché esiste uno
specifico mezzo, creato 14 anni fa, indirizzato ad occuparsi di questo problema: il CPA e T (Centro di
Prevenzione dell'Alcolismo e Tabagismo). Dipende dal Comune di Madrid e si definisce come un mezzo
istituzionale, municipale, il quale ha come obiettivo quello di "facilitare la disassuefazione al consumo
cronico di bevande alcoliche". I suoi beneficiari sono "persone che dichiarano di trovarsi in una condizione
di rischio sociale, (utenti di ricoveri, senzatetto, etc), e dipendenti del Comune di Madrid e dell'EMT
(Azienda Municipale dei Trasporti) 1 .
Il programma di terapia del CPA e T, è articolato in 3 fasi: la prima di valutazione, la seconda di
disintossicazione (privazione), e la terza di disassuefazione dall'alcol.
1
Pagina web del Comune di Madrid.
59
Una volta che la persona è stata condotta al CPA e T, ed inizia la terapia, delle volte, gli specialisti dei centri
di accoglienza e quelli del CPA e T, instaurano una comunicazione, allo scopo di seguire e valutare
l'evoluzione dei pazienti. Questo coordinamento è solitamente di tipo informale. A nostro giudizio, tale
modello di lavoro, basato sul risultato e sul coordinamento informale tra enti, sottintende un intervento
incompleto e poco integrato, con conseguenze negative per il soggetto interessato.
Nella pratica, nonostante esista uno scambio di informazioni tra i diversi mezzi e il CPA e T, di fatto, non si
realizza un lavoro di squadra rivolto alle Persone senza Dimora. Al contrario, ogni struttura affronta in modo
piuttosto frammentario aspetti parziali della condizione personale di ogni utente, e cerca di fornire una
soluzione al problema dell'alcolismo, che però non può essere considerato se non in modo pieno e integrato.
Si lavora come se in ogni struttura, o settore, si cercasse di risolvere un aspetto della vita del paziente l'alcol, il lavoro, la casa, la salute mentale, etc - quando, in realtà, la dimensione del problema del fenomeno
delle P.S.D., richiede un tipo di intervento che conservi come nucleo centrale la sua personale e non cedibile
storia di emarginazione. Ciò che è In gioco, non è semplicemente il problema legato alla condizione dei
senzatetto, ma lo stesso processo di abbandono vitale del soggetto.
Di fatto, il tipo di intervento del CPA e T, è più incentrato sulla figura generica della persona che ha problemi
di alcolismo, piuttosto che nel soggetto che non ha denaro; e concepisce il problema dell'alcolismo, più come
un atteggiamento o come una conseguenza, che come il sintomo di un processo globale: quello
dell'emarginazione. Proprio qui, si può notare la mancanza di adeguamento del programma di
disintossicazione e disassuefazione del CPA e T, alle condizioni nelle quali vivono le Persone senza Dimora.
Le azioni di questo centro, sono rivolte a modificare l'abitudine del bere, mentre, le vere cause del suo
processo di deterioramento vitale restano senza soluzione, per via di un intervento puramente di tipo medicoterapeutico.
Le altre carenze del CPA e T, hanno a che fare con il suo carattere ambulatoriale. Ogni paziente segue il
trattamento di disintossicazione e disassuefazione recandosi, ogni settimana, - all'inizio della terapia -, ogni
15 giorni o una volta al mese, al centro. Man mano che la terapia procede, gli incontri sono meno frequenti.
Tra una seduta e l'altra, le Persone senza Dimora, continuano a vivere nella realtà della strada e/o nelle
condizioni che stabilisce il ricovero o la pensione nei quali alloggiano. Il sostegno familiare e quello delle
conoscenze su cui possono contare, sono minimi, o talvolta inesistenti, ed il contesto vitale di riferimento,
rimane costante. In quelle condizioni di solitudine, mancanza di intimità e isolamento relazionale, solamente
un eroe sarebbe in grado di continuare senza interruzioni le fasi della terapia. Come tanti, gli utenti si
avvalgono della funzione "terapeutica" e dell'appoggio di quelle attività offerte dalle risorse a favore delle
Persone senza Dimora: corsi prelavorativi o occupazionali, la dinamica di gruppo, un luogo di ritrovo, o il
sostegno di uno specialista -psicologo, assistente sociale o educatore- del suo centro di riferimento. Queste
attività si presentano come ammortizzatoli del vuoto esistenziale e affettivo del soggetto, vuoto che si fa più
evidente quando smette di bere.
"Nel senso che, ad esempio, la persona che viene, deve riuscire a riempire la
propria giornata. Vale a dire che, se tu ti alzi la mattina ed esci e la domanda che
60
nasce è, "e cosa faccio tutto il giorno sino alle 8 di sera, quando devo ritornare al
ricovero?". Se non hai niente da fare, devi iniziare da lì".
(Intervista, 9:2).
"Cioè, possono smettere di bere con un farmaco, ed avere una forte crisi
d'astinenza che si riesce a superare grazie alla medicina, ma poi senza l'alcol si
sentono vuoti, perché la loro vita gira intorno a quella sostanza. Queste persone
che probabilmente vivono per la strada e resistono a quella vita perché bevono, e
riescono a dormire perché bevono, e allora, eliminando dalla loro vita le bevande
alco-lìche,
è
necessario
trovare
un
sostituto
migliore."
(Intervista, 10:4}
Dal CPA e T, si cerca di lavorare sull'autostima e la fiducia in se stessi, esercitando il soggetto ad apprendere
abilità sociali e ad affrontare quelle "situazioni stressanti" che lo spingono a bere. In questo tipo di intervento
quello che si cerca di fare, è ricollocare l'individuo, quanto prima, in uno spazio di "normalità" - dal
momento in cui si giunge alla disintossicazione dall'alcol -, trattamento che va da uno ai due mesi. Tuttavia,
non si tiene in considerazione che l'inserimento in quelle attività sociali, cosiddette di "normalità", richiede
una volontà al cambiamento che continui nel tempo, ed inoltre un'autostima difficilmente conseguibile dalle
Persone senza Dimora se "non sono state prima, o contemporaneamente, sottoposte ad una terapia intensiva e
senza interruzioni. Perciò, si è soliti raccogliere solo esiti positivi di breve portata, dato che mancano delle
risposte per quanto riguarda il vuoto affettivo e relazionale. Tali risposte forti, integrate, e a lungo termine,
sarebbero necessarie per finire di "riallacciare" il vincolo, il legame sociale.
Il trattamento ambulatoriale favorisce la sovrapposizione di interventi specialistici. Così, non deve
meravigliare che, psicologi, assistenti sociali, educatori...di ricoveri, day hospitals, CPA e T, o dei Centri di
Igiene Mentale, indaghino nella vita delle Persone senza Dimora e riaprano le loro ferite, senza riuscire a
dare una risposta efficace alle necessità e alle domande dei destinatali del loro intervento.
"E molte volte devi fare attenzione, perché e 'è troppo interessamento, ed è ciò che
dicevamo prima: se alla persona non si è fatto vivere un processo più globale, più
integrante, e se s'interviene continuamente, c'è astio, stanchezza.. .troppe domande,
troppa intrusione nella propria intimità, e per questa ragione tanti pazienti si
allontanano" (Intervista, 12)
Tutte queste carenze nella rete attuale di cura della dipendenza alcolica in Persone senza Dimora, fanno
emergere la convenienza di creare delle strutture di assistenza più integrate, di tipo domiciliare (comunità
terapeutiche, residenze protette, miniricoveri), simili a quelle che esistono per il trattamento di altre
tossicodipendenze, ma soprattutto ideate ed adattate per quei soggetti privi sia di una casa, che della
protezione familiare su cui contare.
"Dunque il dramma è un po' questo: gli alcolisti hanno bisogno di terapie diverse,
ognuno fa quello che può, ogni centro. Ma tra tutte le possibilità che offre ogni
terapia, non riusciamo ad ottenere ciò che è indispensabile ".
"Inoltre vi sono anche molte ricadute, sia che gli alcolisti siano stati assistiti
all'UDA o al CPA. Quindi, ciò che capita, è che essendo un sintomo le cui cause
non sono note, e se non si sono potute eliminare le cause..., e le puoi eliminare solo
se inserisci quella persona in un processo di pieno reinserimento... Ed il
reinserimento funzionerebbe da quando ti alzi sino a quando vai a dormire. (...) E
questo
è
impossibile
in
una
terapia
ambulatoriale"
(Intervista, 12)
E' già un luogo comune nel dibattito degli specialisti della rete assistenziale alle Persone senza Dimora, la
comparazione tra le strutture a disposizione delle persone alcoliste e quelle rivolte alla cura di altre forme di
tossicodipendenza.
"Perché è incredibile che dai un calcio e scopri l'esistenza di mille centri e specialisti per la
cura dei tossicomani, ricoveri e laboratori. Ma per gli alcolisti? Forse non si sono resi conto
dell'alta percentuale di alcolisti. E adesso, sin dall'adolescenza ci sono dei potenziali alcolisti".
(Intervista 12)
61
Gli utenti
Da quando è stato creato, il profilo degli utenti del CPA e T si è modificato con il passare del tempo.
Attualmente, il suo tratto distintivo è quello di collocarsi nelle situazioni di emarginazione e/o esclusione
sociale, con un'età media che si colloca tra i 45 e i 50 anni. La maggior parte dei pazienti, proviene dai
ricoveri pubblici - Centro di accoglienza San Isidro y Mayorales - o privati - San Juan de Dios, San Martín
de Porres, CEDIA -, ma anche dalla rete di Servizi Sociali. Oggigiorno, ci si occupa approssimativamente di
circa 200 persone all'anno, cifra notevolmente inferiore alle 500 richieste che il centro riceveva quando
accoglieva qualsiasi tipo di paziente.
Il più grande modello di consumo tra gli utenti privi di una dimora del CPA e T, è colui che beve
quotidianamente una grossa quantità di alcol, e che lo fa da un numero considerevole di anni. Tutti questi
elementi comportano importanti conseguenze fisiche, psichiche e sociali.
9
Tra le conseguenze fisiche, i sanitari del centro indicano molteplici danni di tipo organico, prodotti
dalla tossicità dell'alcol: anemie, processi epatici, perdita di memoria, insonnia, ipertensione, etc.
9 Le conseguenze psichiche più frequenti, diagnosticate e curate nel centro, sono la depressione e
l'ansia. Inoltre sono relativamente frequenti le patologie schizofreniche ed i disturbi della
personalità. Tuttavia, gli specialisti del centro, sottolineano che ancora non è chiara la relazione
diretta tra l'una e l'altra patologia. Vale a dire che, sino ad ora non si è stabilito se l'origine delle
malattie psichiche è relazionata al consumo di alcol o se, al contrario, l'alcol non
è altro che un elemento che rafforza ed acutizza le crisi psichiche. Pertanto, più che di conseguenze
psichiche si dovrebbe parlare di problemi di salute mentale associati al consumo di
alcol.
9 Le conseguenze sociali dell'abuso di alcol comprendono diversi campi: quello lavorativo,
familiare e relazionale. L'abuso di alcol provoca la discontinuità lavorativa o persino la per
dita del lavoro. Inoltre, quanto più si prolunga il consumo e maggiore è l'età di coloro che
bevono, minori sono le possibilità di trovare un lavoro.
9 La famiglia è l'ambito nel quale, probabilmente, maggiore importanza ha l'abuso di bevande
alcoliche. Secondo gli specialisti del CPA, la maggior parte delle Persone senza Dimora
che si recano al centro, affermano di non avere un rapporto con la famiglia, e se questo esiste,
appare piuttosto deteriorato. Questo è considerato come un handicap per il lavoro dei pazienti, dato
che il sostegno familiare rappresenta uno strumento molto influente nel processo di disassuefazione
dall'alcol. Anche i rapporti con gli amici, vicini, conoscenti … sono solitamente quasi inesistenti.
Per portare avanti il suo programma di lavoro, le risorse umane, relativamente ridotte, delle quali il CPA e T
si avvale sono composte da:
9 2 Medici.
9 1 Assistente sociale.
9 3 Psicologi.
9 1 Infermiere.
9 1 Ausiliare sanitario.
L'intervento
II CPA e T concepisce i problemi di alcolismo, in termini di comportamento e risultato. Il consumare
bevande alcoliche, sarebbe il risultato dell'interazione di una serie di variabili organiche, sociali e
psicologiche, che delineano, "insieme ad altri comportamenti, uno stile di vita". (Herrero, Moreno e Vásquez,
1998)
Questo punto di partenza, comporta un doppio approccio ermeneutico/interpretativo e pratico/terapeutico.
62
Da una parte si inizia dal modello bio-psico-sociale sia per capire il problema, sia per affrontarlo. E, di
conseguenza,
gli
specialisti
del
centro
(medici,
psicologi
e
assistenti
sociali)
influiscono in modo coordinato, su ognuno degli aspetti organici, psicologici e sociali.
Dall'altra parte, l'intervento si colloca all'interno di un modello psicologico di tipo cognitivo comportamentale, che segna e condiziona tutta la strategia d'azione.
L'IMPOSTAZIONE DEL CPA E T
Tutti gli specialisti dei centri consultati, possiedono una chiara consapevolezza in relazione a queste
impostazioni di fondo, che ormai sembrano aver acquisito. Invece, le critiche verso l'antico modello medico,
che affrontava i problemi dell'abuso o della dipendenza dall'alcol da un punto di vista puramente organico,
sono generalizzate. Si ripropone, infatti, quasi insistentemente, nel dibattito degli specialisti, la necessità di
avere una prospettiva, integrante e multiprofessionale degli aspetti medici, psicologici e sociali del problema.
"Guarda... qualsiasi medico che abbia a che fare con tossicodìpendenze, deve
usare un modello di questo tipo. E' improponibile, invece, il modello medico
tradizionale del tipo: "cos'hai? e prenditi una pastiglia!". Non si può affrontare un
problema di tossicodipendenze come affronti un problema di... Questo è un modello
teorico, che spiega come puoi attraversare i diversi stadi, e che non ha un
elemento biologico, ma ha alle spalle una certa esperienza. Perciò, è fondamentale
l'aspetto causale" (Intervista 1:11)
Nonostante, in effetti, si abbia a disposizione una prospettiva più complessa e globale del problema, ciò che è
certo, è essenzialmente che l'intervento del CPA e T si avvale soprattutto di una terapia di tipo medico.
Secondo le dichiarazioni degli stessi intervistati, "l'ordine di priorità" nel recupero delle Persone senza
Dimora che chiedono aiuto è diretta dal medico. Anche se l'assistente sociale ha un contatto, precedente o
simultaneo, alla stregua di un ingresso principale e si occupa di analizzare la richiesta del soggetto e cercare
di offrire alcuni mezzi primari di sussistenza.
"Bene, per prima cosa, logicamente, c'è un ordine di priorità che è inoltre un
ordine dal significato comune, dato che non è un problema molto tecnico. Comune
nel senso che, la prima cosa che manca ad una persona che viene qui è la salute
fisica, e poi che abbia un casa nella quale dormire. Questo vuoi dire che la prima
assistenza è offerta dal medico e dall'assistente sociale, perché è un discorso di
priorità. Gli altri aspetti, come le sottigliezze psicologiche, vengono dopo. Dunque,
l'ordine di intervento è questo: medico, assistente sociale e psicologo".
(Intervista 9:1 ).
E' il medico colui che valuta il modello di consumo del paziente, gli effetti organici, fisiologici e psichici
associati al consumo, la ragione che lo porta a lasciare l'alcol, iniziare il recupero, ed infine la dichiarazione
del soggetto. Inoltre, è sempre la figura del medico che giudica se al trattamento medico deve seguire quello
psicologico, o se le due terapie si devono sviluppare contemporaneamente. Secondo l'impostazione del
centro, non sempre è necessario che una Persona senza Dimora con problemi di alcolismo sia curata dallo
psicologo.
In questo senso, attira l'attenzione la frattura tra ciò che è considerato un "problema medico", da un lato, ed il
processo vitale dell'individuo (fenomeno delle P.S.D.) dall'altro. La decisione di una persona di non volere un
sostegno psicologico, evidenzia una mancata considerazione del processo vitale che ha portato la persona,
non solo a bere, ma anche a vivere per la strada. Così, se il paziente risponde positivamente al trattamento
medico-farmacologico -, si valuta il suo cambiamento in base ad alcuni elementi: astinenza, non presentare
63
problemi di motivazione, resistenza o altri di tipo psicologico rilevante. In queste condizioni, l'assistenza
all'utente è limitata alla figura del medico.
Questo problema rivela come dal CPA e T si considera e si applica il modello di intervento bio-psico-sociale.
Si tratta di un modello che, da una prospettiva teorica, si presenta come integrante ed equilibrato con
ciascuno dei tre aspetti, ma che, nella pratica, rivela alcune scompensazioni. In poche parole, l'intervento è
concepito più come una catena di passi progressivi-guidata soprattutto, dal criterio medico - dove ogni
anello non è necessariamente imprescindibile, ma può trascurarsi. Si presenta quasi, come una forma di
azione circolare dove nessuno degli ambiti è estraneo al processo del fenomeno delle P.S.D., legato al
consumo di alcol e ad altri problemi di dipendenza o di salute mentale e/o fisica.
Giustamente sino ad ora, l'azione del CPA e T sembra ben ancorata, non solo dal punto di vista dell'assistenza
medica, ma anche da quella delle figure professionali presenti nel centro. Il centro ha dei criteri suoi in
relazione alle conseguenze dell'alcolismo, e ha a disposizione un programma di disintossicazione e di
prevenzione per eventuali ricadute. Tuttavia, nel suo dibattito, a stento si fa riferimento alla Persona senza
Dimora. Evidentemente, non è la mancanza di riferimenti alle caratteristiche personali di questi individui,
quanto piuttosto il fatto che, nell'opposizione tra l'alcol e persona, ciò che è presente nella diagnosi e nella
terapia è, principalmente, la figura dell'alcolista.
L'immagine del soggetto, le cui vicissitudini della vita lo hanno spinto a cadere nell'alcol, sulla strada o nella
dipendenza istituzionale, si rivela sempre oscurato dal discorso sull'attuale comportamento di dipendenza ed
i problemi di disassuefazione. E come se l'intervento del CPA e T dipingesse su tela il ritratto del
consumatore di alcolici, tela già precedentemente tracciata, nella quale al passato del soggetto si sovrappone
quello affettivo, quello cognitivo, lo sviluppo emozionale e psicologico, quello relazionale, il contesto
storico, le opportunità di lavoro ed econo-miche, etc. La "vita anteriore", questo ritratto precedente, viene a
malapena recuperato. In altre parole, le impronte o le cicatrici del soggetto non vengono ricomposte per
spiegare il suo decorso, dato che viene privilegiata la attuale situazione di dipendenza.
"Quando fai loro una prima diagnosi, ricostruisci anche la storia della loro vita o
qualcosa del genere?
Si, ma breve. È un par de items. Ma, sai, non mi interessa tanto il passato per il
passato, ma mi serve per illuminare il presente. La cosa più importante è il
presente, ciò che accadde trent'annì fa quando, adolescente, il soggetto iniziò a
bere, beh... mi interessa relativamente". (Intervista 9: 19)
Pertanto, l'intervento è in gran parte centrato sulla diagnosi clinica, il trattamento medico-farmacologico di
disintossicazione, e l'ulteriore, ma non sempre indispensabile, sostegno psicologico di disassuefazione e
prevenzione di ricadute. Generalmente, si segue questo procedimento funzionale, senza neanche situare il
soggetto nella sua storia personale, senza ricostruire la sua vita, né il posto che l'alcol occupa nel processo di
isolamento sociale dell'individuo. Senza ricostruire, quindi, la situazione contestuale, quella personale individuale, quella relazionale. L'approccio bio-psico-sociale, così solennemente dichiarato nella teoria, si
riduce, nella pratica, a una procedura del medico che, effettivamente, può contare sul sostegno ulteriore
dell'assistente sociale e dello psicologo, come aiuto accessorio al suo lavoro.
Dal modo in cui gli specialisti descrivono il loro intervento, e anche da come lo raccontano gli utenti
intervistati, è come se nell'esperienza di ogni paziente non ci fossero tracce della propria storia, come se
dietro il problema dell'alcol non ci fosse uno sfondo, uno scenario, quello tipico delle vicissitudini di ogni
Persona senza Dimora.
"Ma, nella vita delle Persona senza Dimora, quando fa la sua comparsa l'alcol?
Beh, in realtà, qui noi non insistiamo nel... Quasi tutti dicono, "vediamo quali sono
le cause ". Beh, no. La verità è che cominciano a bere alcolici con regolarità, come
succede alla maggior parte degli spagnoli, e poi arriva il momento in cui, per
qualche motivo, cominciano ad abusarne. Che può essere un motivo sentimentale,
certo; o può anche essere un problema di divorzio, perché si beve più del normale;
che può essere qualsiasi scombussolamento che si verifica nella vita, può essere!
Tutti hanno un motivo per iniziare a bere, ma la cosa importante è che lo
riconoscano e inizino a smettere" (Intervista 1:10).
64
Questo tipo di intervento centrato, in gran parte, sul "consumatore di alcolici", prima che sulla Persona senza
Dimora, spesso, con il passare del tempo, porta alla distrazione del disegno dell'alcol e all'apparizione del
collage delle vicissitudini della vita della persona, che cercano di restare nascoste, e che riemergono ancora
una volta sotto forma di ricaduta nell'alcol o nella condizione di "senza dimora". Le cosiddette ricadute del
trattamento e, chiaramente, le interruzioni così frequenti dello stesso, rivelano che l'utente, prima di tutto,
non è una persona con problemi di alcol, ma una Persona senza Dimora, con tutto il peso concettuale che
racchiude questo termine. Gli stessi specialisti del centro, affermano che sono più frequenti le ricadute e le
interruzioni del trattamento da parte delle Persone senza Dimora.
"Le ricadute sono frequenti?
Si, sono frequenti. È molto facile che non ne abbiano nei primi... Sinceramente il
trattamento disintossicante funziona bene. Quindi, si trovano benissimo, c'è un
cambiamento spettacolare. Questo può durare un mese, due. (...) Non conosco le
attuali percentuali di interruzione del trattamento, ma devono essere alte, per il
tipo dì persone, o per la provenienza. Le persone che arrivano perché sono
impiegate, o perché vengono dai Servizi Sociali per problemi di disoccupazione e
frequentano un corso di reinserimento nel lavoro, e trovano un impiego, e hanno
sostegno familiare, quelle hanno un'adesione maggiore e maggiore è anche il
successo, chiaramente" (Intervista 1:8).
Le cause di queste ricadute, secondo gli specialisti del CPA e T, sono da attribuirsi alla volubilità e
imprevedibilità delle Persona senza Dimora. Come se questo fosse un lato della personalità che i soggetti
appartenenti a questo gruppo condividessero. A questo punto, ecco che riemerge il vecchio vizio di incolpare
le vittime, come meccanismo di difesa che ritarda, quando non impedisce, la valutazione e revisione dei
propri programmi di intervento: se la colpa è sua..., allora, di sicuro, non è nostra. Il potere della visione
stereotipata o stigmatizzante delle Persona senza Dimora, senza dubbio, rappresenta un ostacolo alla ricerca
di un migliore adeguamento del programma di intervento alle caratteristiche del gruppo di pazienti.
"Spesso, essendo soggetti che si spostano molto, perché stanno nei ricoveri e forse
li cacciano per cattiva..., perché non seguono le regole, o se ne vanno altrove a
svolgere impieghi provvisori, a vendemmiare, a raccogliere le pere, o molti di essi
vanno a lavorare nei circhi poiché piace loro questa vita bohemia, smettono di
frequentare. Probabilmente tornano l'anno dopo e dicono, "ho ripreso a bere, sto
male, voglio riprendere a frequentare". (Intervista 1:8)
È vero che le condizioni materiali causano, in un certo senso, questa instabilità, e inoltre si deve cercare,
nelle caratteristiche personali di ogni soggetto, una spiegazione che aiuti a giustificare gli espedienti; ma,
poche volte, si considera che, forse, l'incostanza e le ricadute, siano da associare anche al fatto che non si
affronti il problema di fondo: l'esclusione del soggetto.
Secondo il nostro modo di vedere, quindi, l'assistenza Istituzionale che presta il CPA e T, possiede un
carattere bio-psico-sociale, a catena lineare, che considera principalmente la patologia dell’alcol, e non
la Persona senza Dimora. Si passa da un servizio all'altro - quello medico, quello sociale e quello
psicologico - e, sebbene, naturalmente, non manchi la coordinazione e la comunicazione tra gli specialisti del
centro, non esiste nemmeno un vero e proprio dialogo centrato sulla Persona senza Dimora, ma solo sul
comportamento del bere.
65
D'altra parte, il modello di tipo comprensivo e terapeutico su cui si fonda l'intervento del CPA e T, quello
cognitivo-comportamentale, non è estraneo alla dinamica che stiamo esponendo. Piuttosto, sta all'origine
della stessa e nei suoi presupposti. Secondo questo approccio, il consumo di alcolici è un comportamento che
ha legami di tipo funzionale con una serie di variabili. "Bere in modo spropositato", è la risposta del soggetto
allo stimolo del bere o ad altri stimoli ambientali. Questa interazione "viene concettualizzata in termini di
processi di condizionamento classico, di condizionamento strumentale e di apprendimento simbolico e
vicario" (Herrero, Moreno e Vázquez, 1998).
La questione di fondo poggia sul fatto che, da questa prospettiva cognitivo-comportamentale, l'abuso di
alcolici è una conseguenza - un comportamento - e non un processo dinamico vissuto da una persona. Così,
tale comportamento deve essere modificato mediante l'apprendimento e l'approccio agli stimoli che spingono
a bere. Si interviene, quindi, in modo parziale - sul comportamento del bere -, e non sull'intero processo
vitale del soggetto.
A nostro avviso, e da una prospettiva più focalizzata sul processo di esclusione sociale delle Persone senza
Dimora, il comportamento del bere dovrebbe essere interpretato come un sintomo. Come la manifestazione
di una serie di esperienze nella vita del soggetto, che si modella interiormente e che, non solo incoraggia il
vizio di bere, ma lo preserva e lo rende duro a scomparire. Il modo per affrontare questo comportamento
dovrebbe essere, pertanto, più integrale. In altre parole, si dovrebbe affrontare non solo l'aspetto puramente
comportamentale, ma anche i problemi legati all'ambito emozionale, affettivo, cognitivo, biografico,
contestuale, ecc. Così da non ridurre o limitare la realtà psicologica o soggettiva complessa, a una realtà
puramente tecnica.
".. .ti parlo più da psicologo, visto che è il mio lavoro, più tecnico, puro e duro,
diciamo, dato che mi occupo di disassuefazione dall'alcol e di prevenzione delle
ricadute. Allora, la disassuefazione dall'alcol, è un procedimento attraverso il
quale, in parole povere, l'individuo, poco a poco, affronta, gradualmente, quelle
situazioni che provocano il suo desiderio di bere, senza arrivare a farlo, in modo
che il legame che esiste tra determinati stimoli e la risposta di bere, venga
indebolita. La disassuefazione, lo dice la parola stessa, è la perdita di un'abitudine.
E l'unico modo per disabituarci a qualcosa, sia per gli alcolisti che per chiunque
abbia qualsiasi abitudine, è affrontare la situazione che genera l'abitudine, senza
metterla in pratica. Questo è il vero Paulov." (Intervista 9:2).
D'altra parte, il trattamento ambulatoriale che offre il CPA e T, utilizza un tipo di interazione tecnica la quale,
da un lato, consiste nel valutare i bisogni sanitaria materiali e "psico-sociali" dell'utente e, dall'altro, nel
mettere a disposizione strumenti di uso e apprendimento. Ciò nonostante, di certo, questa interazione
presenta una certa empatia, con cui si cerca di capire la difficile situazione dei soggetti.
I bisogni sanitari, nucleo su cui si fonda e consolida il trattamento, vengono valutati attraverso gli esami
clinici e l'intuizione medica, e vengono garantiti tramite l'informazione all'utente, la cura e il seguito.
66
Riguardo alla valutazione dei bisogni materiali, e sebbene il soggetto dell'intervento sia il consumatore di
alcolici, si cerca di dare assistenza di base con mezzi materiali e sociali. Gli specialisti trovano che la realtà
delle Persona senza Dimora può spingerle al consumo di alcolici, per cui ritengono necessario fornire loro di
un minimo di protezione, che gli permetta di iniziare la disintossicazione e mantenersi disassuefatti. Così,
offrire un tetto temporaneo a coloro che vivono in mezzo alla strada, somministrare aiuti economici alle
persone senza mezzi - come FIMI o le pensioni non contributive -, fornire loro informazioni su alcuni servizi
della comunità, o su alcune attività che svolgono associazioni o ricoveri, sono gli aiuti di base forniti alle
Persone senza Dimora del programma di disintossicazione e prevenzione delle ricadute del CPA e T.
Per quanto riguarda i bisogni psico-sociali, si da la priorità all'apprendimento di nuovi comportamenti e alla
creazione di uno stile di vita lontano dalla marginalità. Pertanto si cerca di indirizzare i pazienti a nuovi spazi
di relazione sociale (associazioni, day hospitals, centri d'accoglienza, ecc.) fuori dai giri legati al consumo di
alcolici e alle dinamiche quotidiane del fenomeno delle P.S.D..
Infine, il legame tra lo specialista e l'utente si stringe con l'apprendimento di una serie di strumenti, che
cercano di aiutare il soggetto a dare una risposta negativa allo stimolo della bevanda, in modo che raggiunga
una moderazione nel suo consumo. Tra di essi, si distinguono le tecniche di assertività e abilità sociali, le
tecniche di modellamento, l'autocontrollo al consumo di alcolici, ecc.
Tutti questi mezzi e tecniche, hanno lo scopo di rafforzare le risorse personali dell'individuo, in modo che,
una volta che diventi capace di dire no all'alcol, possa lasciare la sua condizione di senza dimora. Appare
evidente, a maggior ragione, che, per il CPA e T, il nucleo del problema sia il consumo di alcolici, e non la
condizione del fenomeno delle P.S.D..
Quindi, nei decorsi molto cronici del fenomeno delle P.S.D., quando le forze personali sono ridotte allo
stremo, il rapporto tecnico che stabilisce il CPA e T si rivela debole, senza che si possa fare poco o niente. A
questo punto, risulta chiaramente inefficace la terapia nei confronti di una realtà che è qualcosa di più di una
patologia medica o comportamentale, tenuto conto che coinvolge aspetti sociali, economici, istituzionali,
affettivi e, addirittura, politici, che finiscono per essere determinanti nel decorso della "malattia" e del
"paziente". Tutto ciò che è stato precedentemente ignorato in nome di un approccio esclusivamente
"scientifico" e "oggettivo", finisce per essere ripreso in considerazione e per prendersi la rivincita.
"Non m'importa molto sapere dove ti trovi, se ti trovi in un posto o in un altro, e
neanche conoscere le tue risorse personali (...) Per cui, probabilmente, una
persona che beve poco, ma che ha un danno psicologico forse importante, e che ha
una storia di alcolismo probabilmente molto lunga, e che ha cercato di smettere di
bere un sacco di volte, ma non ci è riuscito, e con risorse personali molto limitate,
come la capacità di affrontare situazioni sociali o lavorative, e con ridotte capacità
di imparare a cambiare, ecc. Ecco, c'è poco da dire. In questo caso ci troviamo di
fronte a un caso di cronicità. (Intervista 9:6)
Secondo il nostro parere, questo tipo di intervento ambulatoriale, che si regge sulla forza di volontà degli
utenti, offre limitate possibilità di recupero e "aggancio" per le Persone senza Dimora. Appunto perché le
vere necessità di questi utenti vanno al di là dell'abuso di alcolici. Sono le carenze affettive e relazionali che
emarginano e isolano i soggetti, e quando si rivolgono, volontariamente, a un programma di disassuefazione
dall'alcol, queste carenze passano in secondo piano agli occhi del progetto della struttura assistenziale e degli
imperativi tecnici del programma.
Perciò, è necessario comprendere l'esperienza e le valutazioni che alcuni utenti esprimono sul CPA e T, e il
suo trattamento ambulatoriale:
".. .io volevo già smettere e dissi loro che potevo stare un mese senza uscire, e stetti
un mese senza uscire e andai al CPA, ma ebbi varie ricadute. Però al CPA vedevo
che non facevano niente. Raccontami del CPA
Bè, si, lì mi fecero le analisi e mi dissero che avevo contratto anche il virus
dell'AIDS, lo seppi lì. E mi diedero delle pastiglie per i nervi e delle vitamine, ma
non ti davano nessun tipo di appoggio..., eh, no..." (Intervista 4:4).
"Ah!, la dottoressa venne qui l'anno scorso e mi disse, "che fai tu qui, se non ti ho
dimesso? ", dico, "oh, mamma! mi sono stufato e me ne sono andato". Che devo
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dire. Tutto il giorno avanti e indietro, e analisi su analisi!. Via, per favore!".
(Intervista 7:13).
Quindi sembra che, rispetto a questo tipo di assistenza ambulatoriale, la consulenza e l'orientamento che
ricevono si possa rivelare insufficiente. Molte Persone senza Dimora riescono a sentirsi degli utenti, se si
trovano a girare attraverso una serie di reticolati amministrativi con i quali hanno dei contatti solo
temporanei, quando il loro rapporto con l'alcol li mette in pericolo di morte, o quando tutta una serie di
infortuni causati dall'alcol li spinge a voler iniziare un trattamento. Molto probabilmente, in questi momenti,
il desiderio di lasciare l'alcol è concreto, ma riflette un desiderio di cambiamento più amplio e globale, nei
confronti del quale, una eccessiva medicalizzazione del suo impulso a cambiare, corre il rischio di far
riapparire tutti i vecchi fantasmi.
"Mi portarono all'ospedale, dopo diedi i documenti alla dottoressa del CPA. Mi
aveva già avvertito, "Jesús, dal momento in cui inizi questo Colme, non puoi bere
più niente". E rimasi sei mesi senza bere, tre mesi con le gocce e dopo tre mesi
ripresi a bere. E, dopo, un'altra volta, quando mi accorsi che la cosa ricominciava,
dico, "l'unico modo è ricominciare con il Colme", e non perché, così, io creda di
curarmi, ma per la paura di restare in quel posto, perché quando poi ti trovi nei
guai, dici, "me ne sbatto, ma che ci faccio qui", e vai avanti, ma per il resto no."
(Intervista 7: 14).
Perciò, si dovrebbero prendere in considerazione delle alternative che mirassero a qualche tipo di struttura
più integrata, in modo che, da un rapporto quotidiano di tipo socioeducativo e terapeutico, i soggetti possano
ricevere un appoggio personale al loro sforzo, e fosse anche possibile affrontare in maniera globale e
intensiva i diversi problemi delle Persone senza Dimora.
"Devono tornare a sentire di avere una casa, dove qualcuno li aspetta, a sentire
che gli affetti cominciano a circolare, e che ciò va a costruire una certa autostima,
"cazzo, non sarò così malvagio se questa gente sta facendo tutto questo per me, mi
stanno dando un'opportunità". (Intervista 12).
Anche i ricoveri e i day hospitals per Persone senza Dimora dovrebbero svolgere un lavoro più organizzato e
in collaborazione con il CPA e T, al fine di adattare il trattamento antialcolismo e l'attività socializzante che
alcuni di questi centri svolgono. Attualmente, solo uno dei centri per Persone senza Dimora, il CASI del
Comune di Madrid, ha formalizzato un protocollo d'azione con il CPA e T in materia di alcolismo. Negli altri
casi il coordinamento tra le strutture è esclusivamente informale. Questo significa che ogni centro segue
norme improvvisate e informali per accedere ai servizi del CPA e T, e rendere possibile l'assistenza dei
soggetti. Spesso, sono i centri d'accoglienza che stabiliscono un contatto telefonico con il CPA e T, sebbene,
anche occasionalmente, si organizzino riunioni tra gli specialisti di ambe le parti per valutare i casi.
Comunque, bisogna dire che non esistono regole stabilite riguardo a come realizzare questa assistenza, chi
deve effettuarla, chi deve dare informazioni da entrambe le parti, come e quando valutare i risultati.
Un altro aspetto fondamentale nel coordinamento tra CPA e T e i centri d'accoglienza a Persone senza
Dimora, è la mancanza di coordinamento formale tra le varie fasi del trattamento del primo, e le attività che
svolgono i secondi. In nessuno dei centri d'accoglienza consultati è stata compiuta una programmazione
pianificata, volta a conciliare e completare le fasi del programma di disintossicazione e disassuefazione, con
la permanenza o le attività dei centri d'accoglienza. In questo caso, l'unica cosa che si fa, è avvalersi delle
informazioni sul decorso del paziente in trattamento (se segue la cura, se aderisce al trattamento, se continua
a non bere, ecc.) per cercare di includerlo progressivamente nelle attività delle strutture.
Questa mancanza di interazione tra i programmi è ancora più evidente, se si considera che il carattere
ambulatoriale del trattamento del CPA e T, "obbliga" a utilizzare le altre strutture come day hospitals, dove
poter sperimentare alcune abitudini e uno stile di vita che lo stesso CPA e T promuove (corsi prelavorativi,
orientamento lavorativo, luoghi di ritrovo, ecc).
Sul filo di questa mancanza di integrazione dei programmi, bisogna rilevare le scarse conoscenze del
contenuto del trattamento del CPA e T, da parte degli specialisti dei centri di accoglienza. La maggior parte
delle persone consultate conoscono qualcosa sul trattamento medico (farmaci e modi di somministrazione), o
poco più. Ciò nonostante, confidano nella professionalità dello staff del centro.
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4. La Fondazione San Martín de Porres ei problemi legati all'abuso di alcolici
4.1. Storia
II ricovero San Martín de Porres inizia la sua attività verso l'anno 1959, sebbene non si formalizzi come
Fondazione fino al 1969. Fondamentalmente, la storia del ricovero segue un corso parallelo alla storia della
estrema povertà di Madrid e i cambiamenti che si producono nella struttura sociale e politica del paese.
Fondato lo stesso anno in cui si attiva il Piano di Stabilizzazione, che servirà per lasciarsi alle spalle le fasi di
autarchia, e sosterrà il liberismo franchista degli anni sessanta, in un regime di mancanza di libertà e riassetti
economici profondi, i suoi primi utenti verranno reclutati tra i più impoveriti dall'esodo rarale-urbano che
iniziava allora. Anche le lotte antifranchiste della Madrid della fine degli anni sessanta ed i primi anni
settanta, lasceranno la loro impronta nell'attività del ricovero che, oltre ad accogliere emarginati senza
dimora, ospiterà anche alcune riunioni di quei sindacati nascenti, che l'illegalità lasciava, in un certo senso,
senza tetto, né rifugio. Con l'arrivo della democrazia e la diffusione dei servizi sociali, cambia anche e
profondamente la dinamica dell'associazione. I problemi della libertà, lo sradicamento, la disoccupazione di
massa, le droghe e la maggiore mobilità geografica della popolazione spagnola, modificano il carattere della
gente e aumentano le sfide. Infine, già negli anni novanta, i cambiamenti che accompagnano la piena
incorporazione della Spagna in seno all'UE, che facilitano la partecipazione a programmi di interscambio con
l'estero, insieme al carattere sempre più trasnazionale della stessa gente accolta, ci consentirebbero di parlare
di una fase veramente internazionale, che segue quelle precedenti franchista e democratica. Perciò, in
generale, si possono individuare tre fasi nella storia dell'intervento della Fondazione. In ognuna di esse, si
possono rilevare differenze nel carattere degli utenti e nelle strategie di lavoro adottate. A seconda delle fasi,
il problema dell'alcolismo viene affrontato in maniera differente.
4.1.l La fase franchista
Una prima fase comprende il periodo che va dalla creazione del ricovero, grazie all'iniziativa del
Domenicano P. Ángel Manzaneque Romero, fino agli anni 70. Inizialmente, il gruppo di persone che il
ricovero accolse, era composto da immigranti che provenivano dalle regioni più impoverite del paese
(Andalusia, Estremadura e le due Castiglie), che si trasferivano a Madrid in cerca di lavoro. Si trattava,
principalmente, di uomini soli, in gran parte padri di famiglia, che lasciavano le proprie famiglie nei luoghi
d'origine, finché non trovavano un mezzo di sostentamento e un luogo in cui vivere. Il liberismo degli anni
sessanta, offriva opportunità lavorative nella capitale, ma, malgrado ciò, non forniva sistemazioni adeguate
per quei nuovi operai e le loro famiglie.
I primi utenti del ricovero furono, pertanto, tali immigranti in cerca di lavoro. In molti casi, queste persone
prolungarono la loro permanenza nel centro fino a quando si assicurarono, in qualche misura, una posizione
lavorativa, e riuscirono a costruire una baracca, o trovarono un appartamento nei quartieri periferici di
Madrid. Anche in questo periodo il ricovero accoglieva persone escluse, che per vari motivi, necessitavano di
lavoro e cibo. Erano quelli generalmente noti come vagabondi o mendicanti. Infine, un terzo tipo di utenti era
costituito da ex detenuti, o meglio, persone in stato di fermo nei commissariati che, dopo essere state
arrestate per svariate ragioni, molte delle quali oggigiorno appaiono insignificanti, - per esempio, non essere
identificabili, non disporre di Documenti d'Identità, o chiedere l'elemosina -, per prima cosa si rivolgevano al
ricovero per trovare protezione 1 . Perciò, oggi si può parlare delle profonde sinergie esistenti tra il carcere di
Carabanchel, situato nello stesso quartiere, e il ricovero, visto che, in un certo senso, condividevano la
"missione" di fornire alloggio alle persone emarginate e perseguitate da un regime dittatoriale, durante il
quale non sempre era semplice distinguere tra l'arresto per motivi politici e motivi sociali. Così, gli ex
carcerati di Carabanchel, a tarda notte, scendevano a cercare rifugio nel ricovero, dato che non avevano un
posto migliore dove andare 2 e, al contrario, spesso, qualcuno riusciva a risparmiarsi di dormire dietro le
sbarre, poiché veniva accolto nel ricovero, ed evitava che la polizia gli applicasse la tristemente famosa
1
"A quell'epoca qui arrivava molta gente senza documenti, per cui sostava anche la polizia, e chiedeva, "Dove sta
andando?: al ricovero. E i documenti?: non li ho. Allora, al commissariato!"
2
"Arrivavano alle due del mattino, e chiedevi loro: "Da dove arrivi?" e ti rispondevano "Da sopra", e quando ti
dicevano da sopra, significava che venivano dal carcere di Carabanchel, ed era vero, poiché li rilasciavano a quelle
ore".
69
Legge dei Fannulloni e Malviventi, con la quale, spesso, prostitute, bisognosi, omosessuali o persone poco
"devote" al Regime, andavano a finire in galera.
L'alcol era molto presente tra gli utenti di quest'epoca, generalmente vino di qualità scadente e acquavite o
cognac di "damigiana". Fondamentalmente, si beveva perché era un'abitudine fortemente presente nella vita
sociale degli adulti. Negli immigranti, la bevanda alcolica non sembrava ostacolare la loro ricerca di impiego
e domicilio. Comunque, tra i cosiddetti mendicanti, gli alcolici sembravano interferire in tutte le loro
difficoltà lavorative e relazionali. In questa prima fase, le strutture della Fondazione erano molto instabili. Le
persone si ammucchiavano in stanzette con letti a castello e tetto in eternit, nelle quali, a malapena, c'era
posto per mettere il poco che possedevano, e dove il caldo dell'estate diventava soffocante.
"Immaginati una di quelle stanze... lì, mettevano tutte le loro cose e tutti i loro
problemi personali, perché non c'era nessun ordine, non c'era niente."
(Intervista 16:3;
Anche il tipo di assistenza sociale che si effettuava era molto rudimentale. Si limitava a offrire riparo e mezzi
molto elementari, come l'assistenza sanitaria d'emergenza a carico di alcuni medici volontari; basti pensare
che, in quegli anni, si era lontani dal raggiungimento della universalizzazione dell'assistenza sanitaria. Le
porte del ricovero restavano aperte giorno e notte, non si facevano perquisizioni, né, ancor meno,
pedinamenti alle persone che passavano per il centro. In quegli anni la capacità del ricovero era di circa 250
persone.
Il clima socio-sanitario generale del paese, andava all'unisono col tipo di intervento effettuato dalla
Fondazione. Fino agli anni settanta, la cultura della salute era molto poco diffusa tra la popolazione. La
copertura sanitaria non era universale, e la consapevolezza delle persone a proposito della salute in generale,
e dei possibili rischi sul consumo degli alcolici in particolare, era minima:
"II settore sanitario era trascuratissimo, perché sai che ora, tutti, anche chi non ha
un impiego, ha diritto all'assistenza sanitaria; allora, se non facevamo noi le
pratiche, con il libretto di beneficenza?, rimanevano senza copertura sanitaria.
Prova a immaginare lo stato di abbandono della gente. Anche in Spagna non
esisteva l'assistenza sanitaria e alimentare che c'è attualmente"
(Intervista 16)
II consumo di alcolici era così presente nella vita quotidiana che, addirittura, la Fondazione San Martín de
Porres, durante la cena, offriva un bicchiere di vino agli utenti.
"Guarda, senza nessun controllo si dava un bicchierino di vino all'ora di cena, fino
all'anno 86 o 87. Qualcuno arrivava in cerca di vino. (...) Beh, è che si trattava
dell'educazione che avevamo tutti." (Intervista 16)
II piccolo staff che allora gestiva la Fondazione, si limitava a constatare la considerevole incidenza del
consumo di alcolici, ma, a malapena, effettuava interventi che tentassero di attenuarlo. I mezzi sanitari a
disposizione degli alcolisti erano quasi inesistenti. Si limitavano al ricovero d'urgenza e temporaneo in
qualche ospedale psichiatrico o ospedale civile, nei quali, beninteso, venivano trattate solo le patologie più
gravi.
"L'unica soluzione restava l'Aloriso Vega 1 . Prendere l'auto e andare là. Sia per
Delirium Tremens dovuta agli alcolici, sia per schizofrenia. Il fatto è che non c'era
altra soluzione." (Intervista 16)
4.1.2 La fase democratica
La decade degli anni 80 segnò una nuova fase della Fondazione San Martín de Porres. E lo stesso successe
con l'assistenza sanitaria (universalizzazione dell'assistenza) e i Servizi Sociali (creazione di una rete di
Servizi Sociali) del paese. La memoria storica della Fondazione ricorda la nascita del governo socialista,
come il punto di deviazione verso un nuovo intervento nel centro del paese. La Madrid di Tierno, oltre a
cambiare il colore dei tassi madrileni dal nero al bianco, porta con sé anche una sterzata, non meno radicale,
1
Un ospedale psichiatrico, un manicomio
70
verso una nuova concezione dell'azione sociale, che affermava con chiarezza l'attività puramente
assistenziale e benefica, centrata sull'assistenza di base e primaria - alloggio, cibo, indumenti e poco più - di
cui, fino ad allora, si era occupato il ricovero.
"Quando la cosa cominciò a svilupparsi, già negli anni ottanta, ...mi ricordo che a
Maldonado si discusse molto su come dovessero gestire l'assistenza i Servizi
Sociali. Perché, fino ad allora, chi gestiva questo tipo di attività erano le religiose,
più o meno quattro persone, senza nessuna preparazione, lì non c'erano assistenti
sociali, né personale qualificato, né niente, era fatto alla buona, e la prima cosa
che cercavi di realizzare era l’assistenza primaria." (Intervista 16)
Secondo i responsabili della Fondazione, in questi anni ci fu una presa di coscienza del fatto che il tipo di
intervento effettuato fino a quel momento, non faceva altro che prolungare l'emarginazione. E per far sì che
le persone uscissero da questa situazione, era necessario servirsi di altri mezzi e di un altro modo di lavorare,
più organizzato e professionale. L'indirizzo sociale dello Stato del Benessere, si scontrava con la tradizione
caritativa-benefica che segnò la fase precedente.
"È che vedevamo che il risultato di ciò era provocare... Mi resi conto che, invece
di aiutare, causavamo … Notavamo che si prolungava" (Intervista 16)
Da allora, si comincia a produrre coordinamento tra i ricoveri della Comunità di Madrid, si crea FACIAM e
si da il via a un nascente lavoro in rete, che eviti il trambusto e l'itineranza delle persone accolte nei ricoveri.
Contemporaneamente, nella Fondazione San Martín de Porres, viene attivato un tipo di intervento più
organizzato. Così, si cominciano a fare i primi elenchi degli utenti, in cui vengono raccolti alcuni dati
importanti, e si tengono, con loro, i primi colloqui "tecnici".
Unitamente a questo nuovo approccio, e con la diffusione, a livello nazionale, di una cultura della salute,
all'interno del ricovero si inizia a prendere coscienza dei possibili rischi che corre la Persona senza Dimora, a
causa del consumo di alcolici. Da quel momento, occasionalmente, si informano gli utenti sui suddetti rischi,
e il messaggio va diffondendosi tra di essi.
"Vedi, succedeva che, quando offrivamo un bicchiere di vino, c'era già un 40%
delle persone che non beveva. Questo perché avevamo iniziato ad affrontare con
loro il tema dell'alcol, a parlarne. Io, o un altro, sapevamo già che in una tavolata
di otto persone, ci avrebbero detto, "qui solo quattro". Stavano già cominciando ad
essere consapevoli, ad avere cura di sé, e non solo per ciò che riguarda l’alcol, ma
in tutto, nell'avere il libretto sanitario, nel consultare il medico. Tutto ciò si diffuse.
E per questo, in parte, servì loro anche osservare come finiva il "compagno",
quindi il vedersi riflesso in lui." (Intervista 16)
4.13. La fase internazionale
Alla fine, verso la metà degli anni ottanta, e come esemplificazione di un intervento più deciso sul consumo
di alcolici, si decide di non offrire agli utenti il bicchiere di vino durante la cena. Questa decisione fu
motivata da vari fattori: in primo luogo, si spiegò che la mancanza di mano d'opera nella mensa rendeva
impossibile distribuire i bicchieri di vino ai tavoli; in secondo luogo, la Fondazione diffuse le critiche che
provenivano dagli altri centri. Si metteva in discussione la contraddizione esistente tra l'”offrire" alcolici agli
utenti e, contemporaneamente, il "cercare di attirare" la loro attenzione sui rischi legati al consumo di
alcolici; e, inoltre, in questo periodo, i responsabili di San Martín de Porres cominciano a subire l'influenza
di altri ricoveri, e più concretamente, del San Marcellino di Genova. La lunga esperienza di questo centro,
consigliava loro di non offrire vino alle Persone senza Dimora, come requisito primo di una condotta basata
sui rischi del consumo di alcolici.
Gli anni 90, comportano un intervento più deciso sui problemi alcol-correlati, nel quale gioca un ruolo
importantissimo il rinnovo e l'ampliamento dello staff di specialisti, che diventa anche più specializzato,
come se fosse multiprofessionale. Prima di tutto, durante i colloqui privati con le Persone senza Dimora, si
comincia ad affrontare il tema, cercando di sensibilizzare le coscienze. Ma è soprattutto in questa fase che si
utilizzano gli strumenti esterni specializzati nell'Alcolismo (II Centro di Prevenzione dell'Alcolismo e
Tabagismo) e nella Salute Mentale (i Centri di Igiene Mentale).
71
La Fondazione amplia la sua tradizionale offerta di accoglienza temporanea a Persone senza Dimora, con
azioni a più lungo termine, orientate all’impiego-formazione e all'alloggiamento. Per far ciò, sarà decisiva la
partecipazione in diverse iniziative comunitarie del Fondo Sociale Europeo. Questa nuova dimensione
dell'intervento di San Martín de Porres, farà sentire il suo peso anche nell'approccio al consumo di alcolici
delle Persone senza Dimora. Da un lato, il lavoro nell'inserimento professionale di queste persone, risalterà
l'urgenza di trattamenti che riducano la dipendenza. Dall'altro lato, la disponibilità di strutture residenziali,
diverse dal ricovero, apre nuovi spazi relazionali dove poter lavorare sulle difficoltà personali e sociali che
caratterizzano il consumatore di alcolici.
Infine, bisogna sottolineare la particolare difficoltà che l'intervento affronta, in questa fase, con il gruppo
alcolista e tossicodipendente, soprattutto per ciò che riguarda gli utenti che seguono il trattamento con il
Metadone, e che consumano alcolici per supplire alle altre droghe. Per questo tipo di utente, sembra non sia
stata ancora trovata, né a San Martín de Porres, né in altri centri d'accoglienza per Persone senza Dimora, una
proposta di intervento che si adatti alle loro necessità.
4.2
Filosofia di lavoro
II fine ultimo dell'intervento della Fondazione San Martín de Porres, è aiutare le "persone emarginate senza
dimora" a rendersi indipendenti, e ad imparare a vivere con le loro forze e in condizioni dignitose. In questo
senso, l'alcol rappresenta sempre, nel cammino dell'associazione, una barriera difficilmente superabile nel
corso di questo processo di reinserimento nella società.
La filosofia del lavoro della Fondazione, consiste in una disponibilità non dovuta, ed è basata principalmente
nel rispetto alla riservatezza e alla vita personale di ogni soggetto, nell'accompagnamento e nel rapporto
d'aiuto, e nella progressiva responsabilizzazione delle Persone senza Dimora. Questi principi generali,
accentuano anche l'intervento più specifico sui problemi alcol-correlati.
All'interno dell'associazione non è permesso il consumo di alcolici. Ma questa regola si comporta più come
una norma che cerca di organizzare la convivenza nel centro e occuparsi della salute degli utenti, piuttosto
che come un divieto che reprime il vizio di bere. In pratica, si compie un lavoro di individuazione indiretta di
quelle persone che si presume stiano bevendo eccessivamente. Tale individuazione ha l’obbiettivo di far
prendere progressivamente coscienza al soggetto del suo problema, e motivarlo, in modo che sospenda o
moderi il consumo di alcolici, oppure che inizi un trattamento di carattere esterno. Gli utenti, generalmente,
rispettano la norma di non bere. Non introducono alcolici di nascosto, e in molti casi, quando hanno bevuto,
essi stessi esercitano una funzione autopunitiva, evitando di dormire nel ricovero.
Nella Fondazione, si ritiene che il consumo di alcolici sia un problema che affianchi il processo di
isolamento sociale di molte Persone senza Dimora, e che sia strettamente legato al processo di abbandono del
soggetto e ai sentimenti di solitudine e sradicamento.
Ed ora come ti spieghi perché bevono ?
La verità è che si sentono molto soli, c'è in loro una solitudine assoluta. E per loro
è molto difficile uscire dalla situazione in cui si trovano, e recuperare la propria
autostima. (...) Finché non recuperano un po'di autostima, amore per la vita, qualsiasi legame che possano ancora avere con la famiglia, ma questa mancanza di
interesse per tutto, beh, li porta a ciò,per loro fa lo stesso." (Intervista 16:9)
Partendo da questo modo di concepire il problema, San Martín de Porres cerca di affrontarlo mediante uno
stile di lavoro "tollerante" e "comprensivo". In pratica, questo implica che non si eseguano espulsioni perché
si arriva ubriachi, a meno che non si verifichi qualche atto violento o aggressivo nei confronti di qualche
utente o specialista del centro. Anche in questi casi, si può punire la persona, mandandola a dormire fuori, in
qualche ricovero pubblico, per esempio, ma per un breve periodo di tempo, non definitivamente. Nella
maggior parte dei casi, sebbene si rilevi che la persona abbia bevuto, non si proibisce mai l'accesso al centro.
"Noi, espulsioni a causa dell'alcol, non ne facciamo. Al massimo, durante l'estate,
diciamo loro, "aspetta fino alle dieci e mezza o le undici, poi ti apro la porta". Ma
adesso no, con questo tempo no, si sorvola." (Intervista 16:8)
Contrariamente, la tattica consiste nell’invitarli a entrare, e nell'avvertirli che il giorno seguente dovranno
affrontare il problema, parlando e riflettendo con qualcuno del gruppo di lavoro. Giustamente, il dialogo e la
72
riflessione sembrano essere i principali strumenti di lavoro della filosofia di intervento della Fondazione. In
questo senso, la tecnica di sensibilizzazione si rivela come uno dei punti chiave della sua azione contro
l'alcolismo.
Il passo che segue quello della sensibilizzazione, si compie rivolgendosi a un programma esterno di
disintossicazione e disassuefazione dall'alcol (il CPA e T), senza che si siano organizzati, all'interno
dell'associazione, gruppi terapeutici, campagne d'informazione, né forme di collaborazione con gruppi di
auto aiuto.
Parallelamente al trattamento antialcolismo, nella Fondazione si cerca di attivare gli aspetti legati al processo
di isolamento e abbandono del soggetto (l'autostima, la capacità a socializzare, la formazione, le regole di
convivenza, ecc). Perciò, si è pienamente consapevoli del fatto che, sebbene i trattamenti medici siano
importanti, ciò che davvero rappresenta un punto di ancoraggio per la persona, è l'appoggio affettivo e il
rapporto d'aiuto che si stabilisce presso la Fondazione.
"Sebbene il Colme e l’Antabús facciano il loro effetto, beh, è il fatto di stare qui
che aiuta realmente." (…) "questo è ciò che a loro serve, che li segua, e che non li
abbandoni." (Intervista 16)
Per concludere, la Fondazione ha come fine ultimo della sua azione di intervento, la progressiva
emancipazione delle Persone senza Dimora dell'associazione. In altre parole, si tratta, in primo luogo, di
ristabilire un rapporto sociale rotto, attraverso la relazione con i compagni e gli specialisti dell'associazione,
in modo che la persona diventi capace di fare una scelta e un progetto di vita personalizzato.
"Per loro significa molto che ti interessi a loro e che non li abbandoni. Perché qui
non diciamo mai loro, "non puoi più venire qui, ma, qui le porte per te sono sempre
aperte; se hai un problema, parlane, e se vuoi, vieni a raccontarci la tua
situazione". Questo è ciò che li tira su. Noi cerchiamo, da una parte, che si
sgancino dall'associazione, però glielo spieghiamo, "non è che non vogliamo
vederti" (...) finché non trovano un amico col quale condividere qualcosa, qui si
sentono un pò meno soli. Ci rendiamo conto che la solitudine è molto grande."
(Intervista 16:13)
4.3
Attuale strategia di Intervento
Attualmente, la Fondazione San Martín de Porres, nella sua attività con le Persone senza Dimora, realizza un
intervento, legato ai problemi alcol-correlati, che, sebbene non sia stato formalizzato né esplicitato in un
protocollo d'azione, si può realizzare con una strategia d'intervento implicita, suddivisa, molto chiaramente,
in tre tappe temporali che abbiamo denominato: a breve, medio e lungo termine.
9 A breve termine, si possono individuare tre obiettivi: 1. l'individuazione del problema da
parte del gruppo di specialisti; 2. l'ammissione, da parte dell'utente, della sua dipendenza; e
3. un lavoro di motivazione, in modo che l'utente inizi un trattamento medico di disassuefazione.
9 A medio termine, si osserva il trasferimento dell'utente al Centro di Prevenzione dell'Alcolismo e
Tabagismo (CPA e T), il seguito dell'azione che lì si realizza e l'inserimento in
alcune delle strutture della Fondazione (laboratori, Servizio di Orientamento Professionale,
alloggio, ecc.) come appoggio al processo di disassuefazione, e come modo per proseguire il
cammino verso l'inserimento.
9 A lungo termine, l'obiettivo sarebbe quello del mantenimento della condizione di astinenza
dall'alcol o del consumo moderato, oltre all'inserimento in specie di occupazione-impiego e
residenza, il più possibile normalizzate.
73
Strategia di intervento
Fondazione San Martín de Porres
A breve termine
A medio termine
A lungo termine
Individuazione
Ammissione
Motivazione
Trasferimento al CPA e T
Mantenimento
dell’astinenza
o consumo moderato
4.3.1 La individuazione
L'alcol fa pienamente parte della cultura del nostro paese. Contemporaneamente, il concetto del fenomeno
delle P.S.D. viene associato, indirettamente, al marchio del consumo di alcolici.
"L'argomento alcol è qualcosa che caratterizza la collettività."
(Gruppo di lavoro: 10)
"Bevi?: normalmente come tutti. Lo si trova nella cultura".
(Gruppo di lavoro: 20).
Entrambi i fattori rendono difficile individuare il consumo, e stabilire i limiti entro i quali si può considerare
"normale" o meno. Questa difficoltà nel riconoscere i limiti del consumo di alcolici, viene espressa dagli
specialisti della Fondazione, che apertamente ammettono di non conoscere la linea di confine del rischio, a
partire dalla quale si possono individuare i casi e intervenire in modo specializzato.
"Quindi, perciò, mi è venuto in mente che ciò che dovremmo aver chiaro,
chiarissimo, è ciò che si intende per alcolismo grave, o per alcolismo lieve. Perché,
se devi fare una valutazione per una diagnosi, tu per primo devi avere chiaro il
concetto,
perché
sennò,
puoi
fare
qualsiasi
cosa"
(Gruppo di lavoro: 14)
L'individuazione dei problemi di consumo di alcolici, si ottiene, principalmente, mediante l'osservazione
quotidiana delle Persone senza Dimora, e con il sostegno di un misto di intuizione ed esperienza. Si tratta,
quindi, di una strategia di individuazione indiretta, non invadente, che ha come filosofia di lavoro il rispetto
alla riservatezza della persona. Un altro tipo di individuazione, relativamente frequente, è quella che nasce
dalla confessione/dichiarazione diretta dello stesso utente, sia nel servizio di Accoglienza, che in altri
ambienti (laboratori, Servizio di Orientamento Professionale). Succede spesso che, al principio, durante il
suo passaggio attraverso il servizio di Accoglienza della Fondazione, la persona nasconda la dipendenza, o la
interpreti come un'abitudine normale, che non gli causa problemi nella vita quotidiana. In molti casi, il
trasferimento al Servizio di Orientamento Professionale, gli permette di ottenere un impiego, col quale si
scopre il problema della dipendenza dall'alcol. Perciò, gli specialisti della Fondazione San Martín de Porres,
considerano i problemi alcol-correlati la principale barriera che impedisce il processo di reinserimento nella
società (attraverso l'impiego) delle Persone senza Dimora con questo tipo di dipendenza.
L'osservazione si effettua spontaneamente sia all'entrata del ricovero, negli orari d'ingresso, sia negli altri
servizi. Le persone incaricate di questa osservazione sono i responsabili dei settori. Bisogna rilevare che non
esistono protocolli formalizzati, né indicatori, che guidino in maniera sistematica questa osservazione. I
principali criteri seguiti per effettuarla sono l'intuizione dell'osservatore e i segnali fisici più evidenti (l'odore,
barcollamento, discorso confusionario, loquacità, pupille dilatate, colore della pelle, ecc).
Tale mancanza di strumenti e informazione, fa sì che l'informazione offerta dall'osservazione sia poco
sviluppata. Per esempio, non esistono indicatori standard che aiutino a stabilire diversi livelli di consumo di
alcolici (leggero, moderato, alto, ecc), e nemmeno gli specialisti dispongono di conoscenze che permettano
loro di fare distinzione tra abuso e dipendenza, o l'unità di misura del consumo.
"Questo è l'altro lato del problema. Certo, il problema è il seguente: questo è
alcolismo grave e l'altro è meno grave, o leggero o lieve o non esiste. Non c'è
modo, no." (Gruppo di lavoro: 14)
74
Questa forma di individuazione del problema, spontanea e poco sistematica, si riflette chiaramente nei
registri della Fondazione. I tre strumenti principali di registrazione dei dati sono: a) Piantina informatizzata
(da cui si elaborano gli Archivi); b) Esperienze o storia dell'utente; c) Piantine dei vari servizi, che non
esplicitamente vengono ideate per raccogliere il consumo di alcolici.
"L'argomento alcol non si raccoglie, non si raccoglie mai volutamente"
(Gruppo di lavoro: 4)
D'altra parte, quando si registra questa informazione, lo si fa in modo abbastanza sommario e generico, senza
che il sistema di raccolta di dati sia capace di riflettere la realtà di questo problema, né dal punto di vista
quantitativo, né da quello qualitativo. La conseguenza è abbastanza curiosa, visto che, sebbene esista una
consapevolezza generale dell'enorme importanza che riveste il problema tra le Persone senza Dimora, è certo
che la sua stessa evidenza lo rende invisibile, e in pratica non viene "avvertito" dai dati statistici che si
riflettono nell'archivio, o viene espresso in maniera poco percettibile. È l’invisibilità dell'evidente.
Se ci atteniamo a ciò che viene riportato dall'Archivio del 1999, all'interno delle "problematiche specifiche"
si rileva che "l'alcolismo grave" riguarda appena il 4% delle persone assistite. Il fatto che si manifesti una
certa idea latente che collega al ritratto della Persona senza Dimora l'abitudine generale di consumare
alcolici, rende sufficiente metterlo in evidenza solo quando emerge sotto forma di ulteriori problemi gravi,
come scoppi di violenza o come causa di inoccupabilità; è in questi casi (il 4%) che rimane affidato alle
statistiche. Nel momento in cui il problema dell'alcol diventa, per gli specialisti, il problema specifico, attira
maggiormente la loro attenzione ed esercitano su di lui un'azione maggiore.
"Bè, forse il problema dell'alcol è quello su cui facciamo più attenzione, no? Ci
facciamo molta attenzione, è dove più..." (Gruppo di lavoro: 12)
Questo paradosso evidenzia lo scarso adeguamento del sistema di rilevazione e raccolta di dati. Essendo
l'alcolismo il problema specifico più importante e "numeroso", secondo la percezione degli specialisti,
tuttavia, non si riesce ad individuare né a ritrarre adeguatamente la realtà negli Archivi dell'attività.
Tenuto conto dello scarso riflesso documentale che la problematica dell'alcol lasciava nella dinamica della
consueta attività della Fondazione, decidemmo di tentare di recuperare la memoria storica del problema,
attraverso la realizzazione di un'inchiesta, nella quale si cercasse di attestare, caso per caso, l'anamnesi in
relazione all’alcol.
Problemi di alcol
tra le Persone senza dimora
Tuttavia, l'inchiesta sarebbe dovuta essere realizzata senza
intromissioni nello stile dell'attività sociale del Centro, che è
uno stile essenzialmente non invadente e rispettoso della
dinamica propria di ogni persona. Per cui si decise di valutare
l'incidenza del problema, prendendo come punto di
riferimento quegli utenti che avevano usufruito dei servizi di
pernottamento durante l'anno 2001 per oltre un mese, avendo
capito che, durante questo periodo, anche senza aver chiesto
loro direttamente se avessero problemi con l'alcol, solo il
fatto di convivere nel Ricovero e nelle altre strutture,
ininterrottamente ed a stretto contatto gli uni con gli altri,
avrebbe permesso di rilevare l'esistenza del problema in un
gran numero di casi.
Alla fine, su un campione di 182 persone che si sono rivolte alla Fondazione (in una qualsiasi della sue
strutture), durante un periodo di tempo superiore a un mese, nell'anno 2001, si è giunti alla conclusione,
attendibile, che almeno nel 30,2% dei casi (55 persone), esistevano problemi seri con l'alcol (Vedi Grafico),
mentre, nella parte restante (19 persone), non si poteva stabilire il dato con chiarezza.
Stranamente, questa percentuale si avvicina abbastanza a quella riportata dalla maggior parte degli studi
realizzati nel nostro paese, sull'incidenza dell'alcolismo nelle Persone senza Dimora, percentuale che gira
intorno al 25%, e che naturalmente si allontana molto dal 4% che emerge dagli archivi. Pertanto, né sono
tutti alcolisti, né gli alcolisti comprendono quel numero così limitato, che emerge se ci limitiamo a
considerare quei casi che danno luogo a problemi di violenza o di espulsioni. Si potrebbe affermare che, se ci
limitassimo a intervenire nei casi di bevitori che finiscono per causare problemi con l'ente e/o i suoi
programmi di lavoro, staremmo agendo solo sulla sesta parte delle Persone senza Dimora che manifestano
75
dipendenza dall'alcol. Verosimilmente, questo è ciò che si verificava fino a questo momento. I 5/6 del
problema rimanevano privi di un chiaro intervento.
Nel momento in cui stavamo svolgendo il nostro studio, la metà delle persone continuavano ad abusare degli
alcolici, il 31% era in trattamento o aveva smesso momentaneamente di bere, e solo il 19% poteva essere
denominato "ex-alcolista", intendendo, con questo, che non bevevano da due o più mesi.
Si trattava, in maggioranza, di persone che bevevano quotidianamente (82%), anche se lo studio prende in
considerazione il dato di un 12% che concentrava l'abuso di alcolici nei fine settimana, o addirittura, di un
6% che si ubriacava in modo ancora più irregolare o sporadico. Per quanto riguarda i tipi di bevande
consumate, le più frequenti sono quelle con un maggior tasso alcolico, come il cognac, ecc, che venivano
consumate generalmente dal 63% delle persone, seguite, di poco, dal vino (57%) e dalla birra (53%).
Non poteva essere altrimenti, e si può osservare con chiarezza, nella tavola successiva, che il fatto di bere o
non bere, oggigiorno, è un fattore determinante per potersi mantenere con delle entrate derivanti da un
lavoro. Tra coloro che hanno smesso di bere in questi momenti, i due terzi usufruiscono di entrate derivanti
da lavoro e, molto probabilmente, la stabilità del lavoro dipenderà dal mantenimento della sobrietà.
Tavola 2
Fonti di entrate in funzione dello Status attuale
della propria condizione di alcolista (% nelle File)
Non beve
Beve
(N)
Senza entrate
43 %
57 %
(14)
Lavoro
64 %
36 %
(11)
Altra situazione
48 %
52 %
(27)
TOTALE
50 %
50 %
(52)
Per quanto riguarda l'età approssimativa che avevano nel momento in cui hanno iniziato a bere, ci troviamo
davanti ad un'età media, relativamente alta, in proporzione alla regola attuale: 20,3 anni. Ricordiamo che,
attualmente, si aggira intorno ai 17 anni. Tuttavia, bisogna prendere in considerazione il fatto che ci troviamo
davanti ad un campione di persone un po' più adulto. Infatti, se consideriamo tre gruppi generazionali di
quindici anni ognuno, ci troviamo davanti al fatto che, l'età in cui dicono di aver incominciato a bere, si è
man mano ridotta in maniera molto palese (Vedere Tavola 3 successiva). Quindi, tra le Persone senza Dimora
minori di 40 anni, la media si aggira intorno ai 17,8 anni. Per cui, bisogna pensare che coloro i quali iniziano
a bere in età più giovane, non hanno ancora subito un processo così palese di deterioramento fisico e
psicosociale, tanto da essere costretti a rivolgersi ai ricoveri, ed essere trattati come Persone senza Dimora
con problemi seri di alcolismo.
Tavola 3
Età media in cui hanno iniziato a bere
Età
(N)
24 – 39
17,8 anni
(10)
40 – 55
20,5 anni
(22)
56 ed oltre
22,3 anni
(11)
TOTALE
20,3 anni
(43)
76
4.3.2 La motivazione e l'ammissione
Una volta che si è provveduto all'individuazione, il passo successivo che ci si propone, è quello di cercare di
far ammettere il problema al soggetto, motivandolo ad iniziare un trattamento. Ciò ha luogo mediante un
metodo che suggerisce, e che non impone, il percorso da seguire: quello della presa di coscienza dello stato
di dipendenza. In questo modo, si da continuità alla filosofia dell'intervento della Fondazione, basata
sull'accompagnamento del soggetto e su un processo di responsabilizzazione personale.
Come nella fase precedente, non c'è nessuna strategia prefissata che porti avanti quest'opera di motivazione e
ammissione. Come non vi sono figure particolari che instaurino un rapporto intenzionale con le persone che
presentano il problema. Nella maggior parte dei casi, quest'opera di motivazione viene portata a termine da
uno specialista che è riuscito a instaurare un rapporto più stretto con la Persona senza Dimora, o il
responsabile del servizio presso il quale si trova, nonostante non vi siano approcci chiari:
"Si, va bene, parlare con la persona, in che modo parlarci e in che modo
avvicinarla, senza interferire con la sua intimità. E' difficile" (Intervista 15:3)
In questo senso, forse, si dovrebbero discutere ed elaborare protocolli o percorsi, che segnino il cammino da
seguire una volta che si trovino indizi dell'abuso di alcolici e gravi alterazioni della personalità, prima del
trasferimento al CPA e T.
Per questo lavoro, forse, sarebbe necessaria la figura di uno psicologo che aiuti a valutare lo stato di
dipendenza della persona, e a scoprire la struttura psichica nella quale è inserito l'alcol e il processo di
esclusione sociale della persona. In questo senso, gli specialisti della Fondazione riconoscono apertamente di
non avere né strumenti né conoscenze per tentare questo approccio.
"E quando raccontano della loro esperienza con l'alcol, fanno dei collegamenti o
parlano di cose personali e del fatto di essere rimasti senza dimora?
Può essere e, anche se non direttamente, puoi osservare che ì rapporti familiari
non sono stati buoni; lo lasciano intravedere.
E quando parli con loro, credi di avere strumenti sufficienti per avvicinarli?
No, questa sarebbe la figura dello psicologo, e qualcosa di più terapeutico. Ma a
volte,... ascoltare e basta. Nel caso di E. ha dentro la figura molto repressiva del
padre (...) e, beh, viene così, racconta, ascolto, tutto qui" (Intervista, 15:12).
Nei casi in cui non si riesca a motivare la persona affinché vada al CPA e T, non vi sono precise direzioni da
seguire.
4.3.3 Il trattamento: II trasferimento al CPA e T
II trattamento di disintossicazione e disassuefazione del CPA e T, è l'unica risorsa su cui si basa San Martín
de Porres per trattare la dipendenza dall'alcol. Prima di aver intrapreso questa nuova fase (percorsa,
approssimativamente, negli ultimi cinque anni), si lavorava con i Centri di Igiene Mentale (CSM), ma,
secondo gli specialisti, l'esperienza negativa con gli stessi, ha fatto in modo che vengano indirizzate, a questi
centri, solamente le persone con problemi psichici.
"Perché a me fa paura dire a una persona di andare a trattare il problema
dell'alcol presso il Centro di Igiene Mentale. No, no, personalmente non mi piace.
La mia esperienza con la salute mentale, di gente che da qui va con problemi
psichici, e poi il coordinamento è zero spaccato, proprio zero spaccato".
(Intervista 15:5)
I problemi principali individuati nei Centri di Igiene Mentale, sono la mancanza di comunicazione e il
coordinamento interprofessionale, il ritardo negli incontri con i pazienti, e l'approccio prettamente medicopsichiatrico che l'amministrazione medica predilige, anche se, in effetti, non trascura completamente il
trattamento terapeutico.
Arrivati a questo punto, è importante sottolineare che il trasferimento è l'unico modo diretto di interventotrattamento promosso dalla Fondazione San Martín de Porres. Per il momento, non è stato né provato né
77
studiato nessun tipo di programma interno, o di collaborazione con gruppi di aiuto per alcolisti. Tra gli
inconvenienti principali che si rilevano, si può citare la possibile reticenza degli stessi utenti ad ammettere,
tra i propri compagni, la loro dipendenza dall'alcol.
"Siamo sempre stati a favore del ricorso a mezzi esterni, e poi bisogna tener conto
che loro sono molto restii a raccontare il problema davanti ad un familiare che lo
conosce, preferiscono andare lì dove non lo conoscono e lì dove ci si può aprire."
(Intervista 16:11)
II trasferimento al CPA e T presuppone, attualmente, un metodo importante di canalizzare i problemi che i
consumatori di alcolici pongono ai servizi della Fondazione. In questo senso, l'opinione che si ha su questo
strumento, in generale è molto positiva, perché accoglie immediata mente i casi, inserendoli in un
trattamento. In altre parole, il CPA e T comincia a "darsi da fare", con i consumatori di alcolici, togliendo la
Fondazione dall'impasse in cui si trova, rispetto a questo problema. In mancanza di suggerimenti sul "come
comportarsi", lo staff della Fondazione è in possesso di uno strumento che risponde alla loro necessità, con
solo qualche impedimento o intermediazione.
Sfortunatamente, nel momento in cui si è svolta l'inchiesta, solamente cinque persone si trovavano in cura
contro l'alcolismo; per cui, molto difficilmente possiamo approfondire la nostra analisi. Nell'80% di questi
casi, si tratta di persone che già in precedenza avevano subito un trattamento di disintossicazione, e che in
seguito hanno avuto delle ricadute. Tre persone stanno frequentando il CPA e T; una quarta è stata accolta in
un Centro di Igiene Mentale e, infine, la quinta viene trattata nell'ospedale "Doce de Octubre". Quest'ultima è
in trattamento da 4 mesi; quella che va al Centro di Igiene Mentale frequenta solo da 2 mesi; e, infine, quelle
che sono state accolte nel CPA e T, sono quelle il cui trattamento si è prolungato; infatti, rispettivamente,
frequentano da 9,14 e 36 mesi. Se pensiamo che il CPA e T imposta il suo trattamento a lungo termine,
possiamo dire che è logico:
"Quanto tempo dura normalmente un trattamento?
Beh, qui lo prevediamo per almeno due anni. Due anni di sedute, quelli di cui ogni
persona ha bisogno. Si suppone che la prima seduta sia dopo una settimana, dopo
quindici giorni e dopo un mese e, in seguito, ogni tre mesi. Ma la verità è che
spesso le persone vengono di continuo, ogni settimana e tutti i mesi, come minimo.
Se tutto va bene e si riesce a mantenere l'astinenza dall'alcol, o se non si riesce, ma
c'è un consumo moderato, se ci sono cambiamenti reali nella loro vita o una
patologia che si è risolta, o se hanno recuperato la loro vita normale o hanno
ottenuto un lavoro e lo mantengono, o se sono tornati con la loro famiglia, allora li
si dimette (simbolicamente) dopo due anni, e da quel momento, ogni anno sono
loro
a
chiedere
un
appuntamento
simbolico
per
continuare.
(Intervista 1)
E non poteva essere altrimenti che, dato che si tratta dei pochi casi che in questo momento sono in
trattamento, l'opinione degli specialisti, così come quella dei pazienti, fosse positiva, salvo che nel caso del
paziente dell'ospedale, per cui si hanno delle riserve sul trattamento adottato, che è stato esclusivamente
farmacologico.
Se consideriamo tutti i casi che hanno avuto esperienze di trattamenti precedenti, osserviamo che la
maggioranza è passata attraverso il CPA e T (il 68%).
78
Tavola 4
”Dove ha seguito il trattamento ?”
(esperienze di trattamenti precedenti)
%
(N)
CPA e T
68 %
(15)
CAD
5%
(1)
Altri
27 %
(6)
TOTALE
100 %
(22)
In quanto al risultato di queste esperienze di trattamenti precedenti, abbiamo una determinata situazione, che
si riferisce al momento in cui abbiamo condotto quest'inchiesta, riassumibile nel seguente modo:
Tavola 5
”Dove ha seguito il trattamento ?”
CPA y T
CAD
Altri
Ha ripreso a bere
66,7 %
100 %
33,3 %
Ha smesso di bere
-
-
50 %
20 %
-
-
Consumo moderato
13,3 %
-
16,7 %
TOTALE
(N)
100 %
(15)
100 %
(1)
100 %
(6)
Con ricadute
Anche se la scarsità dei casi non permette di fare valutazioni definitive, la cosa certa è che, dei 15 casi che
sono stati trattati in passato nel CPA e T, non c'è stato nessuno, che attualmente abbia dichiarato di avere
smesso di bere, per un periodo di tempo superiore ai due mesi. In ogni caso, questa cifra potrebbe essere
maggiorata, se le aggiungiamo i tre casi di persone che attualmente sono in trattamento e che,
momentaneamente, non stanno facendo uso di bevande alcoliche. Da questo, deriverebbe il quadro di
risultati seguente:
79
Tutto questo, ci invita a mantenere un ottimismo moderato. Qualcosa si può fare e in realtà si sta facendo;
comunque sia, i dati, anche se sono molto scarsi e frammentari, ci mostrano che, solamente il 17% dei casi
delle persone trattate in un determinato momento dal CPA e T, non hanno fatto uso di alcolici per più due
mesi, fino al momento in cui è stato effettuato questo sondaggio. Se si confermassero queste cifre con uno
studio fatto a lungo termine, si rileverebbe l'urgenza di cercare di unire e coordinare il lavoro che si svolge
nel CPA e T, con supporti di altro tipo, che si forniscono nella Fondazione e in altri centri di assistenza a
Persone senza Dimora.
Appare molto istruttivo rilevare come le Persone senza Dimora con problemi di alcolismo, per quanto
possano essere danneggiate in molte delle loro capacità, sono le prime a percepire l'insufficienza di un
approccio terapeutico parziale e frammentato, per cui nonostante i loro limiti espressivi, esprimono
l'inadeguatezza e l'insufficienza dei trattamenti contro l’alcol sui quali si concentra l'attenzione medica.
"Così andai al CPA, però ho avuto varie ricadute. Comunque ho visto che al CPA
non facevano niente.
Parlami del CPA.
Beh, si, lì mi fecero le analisi e mi dissero che avevo contratto anche il virus
dell'AIDS, lo seppi lì. E mi diedero delle pastiglie per i nervi e delle vitamine, ma
non ti davano nessun tipo di appoggio..." (Intervista 4:4)
Con questo si dimostra, ancora una volta, che quando esiste una motivazione per smettere di bere, è
necessario che esista anche un sostegno affettivo e relazionale, nel quale il soggetto possa nuovamente
riconoscersi come tale, ed inoltre un apprendimento di tipo sociale che gli restituisca la possibilità di
interagire con gli altri. Senza questo tipo di sostegno, il trattamento medico mette il soggetto a nudo, senza
che abbia neanche il supporto dell'alcol, quindi ancora peggio di prima e di conseguenza, le ricadute sono
molto frequenti.
"Come sempre ti ritrovi solo, il problema è quello, e l'unica cosa a cui pensi è bere
uno o due bicchieri o chissà quanti. (Intervista 5:15)
Dalle parole degli utenti risulta che la struttura del CPA e T, sia un luogo nel quale vengono ben accolti,
sebbene il trattamento che offre è soprattutto di tipo medico-farmacologico. Le continue allusioni alle
medicine e agli effetti che le stesse producono su di loro, fanno passare in secondo piano altri tipi di
commenti di carattere più psicoterapeutico. Invece di basare i loro discorsi sul rapporto tra l'alcol e il loro
processo di recupero e di integrazione personale e sociale, descrivono gli effetti che le medicine hanno su di
loro e la capacità di astinenza che essi sperimentano.
"Mi disse che potevamo vedere se potevo andare avanti senza trattamento, però
non ci riuscii perché, neanche passata una settimana, ebbi una ricaduta. Allora mi
disse che mi avrebbe dato Sevrium. Sono stato dietro al Sevrium per un po', è un
ansiolitico che serve a calmarti l'ansia da alcol, ma a me non me la calmava per
niente! Quando venni a conoscenza, da uno del ricovero, che con il Sevrium potevi
anche bere, che non succedeva niente, dissi: "Ascolta, questo è il mio momento". E
poi ebbi un'altra ricaduta, e allora dissi: "guarda, stavo pensando che ne ho le
tasche piene dell' alcol, puoi farmi la ricetta per l'Antabús?" Sapevi di cosa si
trattava?
Sì, proprio da qui, dalla gente del ricovero. Sapevo che con l'Antabús non puoi
bere, altrimenti puoi entrare in coma etilico o puoi avere un attacco di cuore. E io
dissi: "si, proprio l'Antabús ". Questo avvenne il 6 aprile, adesso ne abbiamo 13 di
giugno, ed è da tre mesi e sette giorni che non tocco un goccio di alcol, e sto
lavorando da tre mesi." (Intervista 13:8)
Infine, stranamente, gli specialisti di San Martín de Porres conoscono molto poco il tipo di trattamento che
viene adottato al CPA e T. Inoltre, sostengono che esista un coordinamento tra i progetti di entrambe gli enti
mentre, nella realtà, l'unico rapporto instaurato è basato sulla comunicazione informale ed opportunistica tra
gli specialisti.
Da parte di San Martín de Porres si cerca di fare in modo che il trattamento, al quale vengono sottoposte le
persone nel CPA e T, renda affidabile il processo generale, che porta avanti la Fondazione. Tale processo
80
consiste nell'ottenere la riabilitazione e l'autonomia personale e sociale, da un lato, attraverso il recupero o la
costruzione di abitudini lavorative e di formazione e, dall'altro, attraverso la socializzazione o il ritorno alla
socializzazione, grazie all'apprendimento di capacità sociali, esperienze di autonomia personale, sagacia
nella vita quotidiana, allontanamento dalle esperienze di emarginazione, ecc.
In questo senso, la Fondazione cerca di essere complementare all'approccio del trattamento del CPA e T, con
la partecipazione ai diversi servizi (laboratori, Servizi di Orientamento Professionale, strutture residenziali
specifiche - residenza protetta o miniricoveri, Centri sociali, ecc); in modo tale che le persone con problemi
di dipendenza, percorrano un cammino parallelo di riabilitazione personale e sociale e di disassuefazione alla
dipendenza.
Malgrado questo tentativo di complementarietà negli interventi, il coordinamento e l'interrelazione tra i
programmi di entrambe gli enti, è debole. Essenzialmente, si limita allo scambio telefonico di informazioni
sul paziente, soprattutto per quanto riguarda gli orientamenti medici che dal CPA e T si danno alla
Fondazione, affinché il paziente continui il trattamento farmacologico. In certe occasioni, anche il medico da
informazioni sullo stato emotivo del paziente (ansia, incoraggiamenti, prospettive, etc), su richiesta dello
staff di lavoro della Fondazione.
Nel coordinamento tra i due enti, si può rilevare che il centro di gravita del trattamento del CPA e T è
rappresentato dal medico. E' con lui che si ha il maggior numero di contatti, ed è lui la figura di riferimento
principale del CPA e T. Molte volte addirittura, nel discorso degli specialisti della Fondazione, sembra quasi
che il contenuto esclusivo del trattamento e del suo approccio, sia lo stretto adempimento della prescrizione
farmacologica.
"Senti, guarda, questo farmaco con Tizio, come va?, Non so a cosa serva questa
medicina. Anche se sono un po' di informazioni: "Come va? La direzione è questa:
c'è una buona risposta al trattamento, gli si sta dando l'Antabús tutte le mattine" .
(Intervista 15:6)
Per quanto concerne la comunicazione con lo psicologo, questa è subordinata al criterio del CPA e T, per cui
non tutti i pazienti hanno un supporto psicologico.
Appare molto più sorprendente il fatto che la figura dell'Assistente sociale del CPA e T compaia a malapena
nella presentazione dello staff di lavoro della Fondazione, invece la vicinanza fisica e la facilità di
comunicazione dovrebbe permettere il contatto. Si afferma esplicitamente che il rapporto con questo
specialista si limita a qualche contatto occasionale, quando si decide del trasferimento di un nuovo paziente.
A questo punto, l'intervento del CPA e T appare in buona parte fuori dal contesto, visto che, concentra la sua
attenzione soprattutto sulla dipendenza del paziente, "non curandosi" del processo di esclusione sociale della
Persona senza Dimora.
In effetti, l'alcolismo delle Persone senza Dimora si trova saldamente legato, vuoi come causa o vuoi come
effetto, alle condizioni precarie e di esclusione sociale in cui hanno vissuto. Considerando che è difficile
individuare un unico evento vitale come la causa fondamentale o immediata che scatena l'abuso di bevande
alcoliche, talvolta è invece possibile, per le persone coinvolte, individuarne una, in maniera inequivocabile e
senza troppi problemi. Per lo meno, questo è ciò che possiamo pensare nel 58% dei casi studiati. I
81
licenziamenti (38%) e le separazioni (24%) rappresentano, in percentuale, le cause che risultano più
frequenti. Segue: l'essersi inseriti in ambienti emarginati o legati ad altre droghe (14%), i problemi con la
famiglia d'origine (10%), o il decesso di un familiare (10%).
Inoltre, sorprendentemente, secondo l'opinione delle persone intervistate, i problemi con l'alcol, appaiono
prima di essersi trovati nella condizione di "senza dimora" (Vedere il grafico). Chiaramente, in questa
complessa logica di cause ed effetti, tipica dell'esistenza umana, questo dato deve essere preso con la dovuta
cautela; ma sembra che, anche quando la vita emarginata presuppone un aumento di consumo di alcolici, in
generale, si può concludere dicendo che i problemi le sono precedenti. Questo risultato è in perfetta armonia
con quelli ottenuti nelle ricerche del progetto "Health & Dignity" che sta conducendo, a livello europeo, il
gruppo dell'Igiene Mentale e quello dell'Esclusione Sociale.
Infine, è utile segnalare un altro dato che si è andato ad aggiungere, negli ultimi decenni, ai problemi di
alcolismo di molti degli utenti della Fondazione, e che aggrava la loro condizione di emarginati e di esclusi:
nel 29% dei casi analizzati, il consumo problematico di alcolici sembra legato al consumo di altre droghe.
Dunque, se consideriamo questo dato, già di per sé preoccupante, in funzione dell'età, ci troviamo davanti al
fatto che, mentre l'alcolismo appare legato al consumo delle altre droghe nel 7% della generazione più
anziana e nel 22% della generazione di età media, al contrario rappresenta il 69% tra le Persone senza
Dimora più giovani. Per cui, in quest'ultima generazione, sono quasi inesistenti le persone che dipendono
esclusivamente dall'alcol. Dipendenza alcolica ed altri tipi di dipendenza, sembrano progressivamente andare
di pari passo. In ogni caso, questo è un fatto che non sembra venga preso in considerazione al momento di
delineare i programmi di disintossicazione, sia relativi all'alcolismo (CPA e T) che ad altre droghe (CAD),
che attualmente agiscono separatamente, benché tra i giovani di strada, l'alcolismo e la tossicodipendenza "si
danno la mano".
Tavola 6
”Oltre all’alcol faceva uso di altre droghe?”
(per fasce di età)
24 – 39
40 – 55
56 e oltre
SI
69 %
22 %
7%
NO
31 %
78 %
93 %
TOTALE
(N)
26 %
(13)
46 %
(23)
28 %
(14)
E' importante non dimenticare, che l'alcolismo è una fonte inesauribile di sofferenza e distruzione per le
Persone senza Dimora. Quando chiedevamo come era stato il loro rapporto con l'alcol, risultava che esso
faceva sentire la sua nefasta influenza principalmente sotto forma di problemi di lavoro (che il 50% del
campione dichiara di aver avuto), e/o di problemi familiari (60%). Questo non vuoi dire che la Persona senza
Dimora si renda conto sempre, ed in tutti i casi, che l'abuso di bevande alcoliche ha creato dei problemi nella
sua vita. Questo, è un fatto che riconosce solo il 58% del campione interpellato nella nostra inchiesta.
Almeno un altro 42%, nonostante viva senza dimora, fa fatica a riconoscere le bevande alcoliche come causa
di buona parte dei suoi problemi.
I problemi di lavoro sono facilmente identificabili, dato che nell'80% dei casi si risolvono con il
licenziamento. Nel resto dei casi, è la stessa persona che da le dimissioni, smette di andare a lavoro, si lascia
prendere dalla rabbia, o le sembra di non riuscire ad assolvere i propri compiti. Per quanto riguarda i
problemi familiari, rappresentano il 64% dei casi; per il resto si tratta di conflitti con i genitori, con i fratelli o
addirittura con i figli, i quali rendono insopportabile la convivenza.
Se consideriamo ciò che riflettono le interviste nel profondo, possiamo osservare che tutte le persone
intervistate attribuiscono all’alcol un ruolo ben definito e rilevante, dato che è sempre presente nella loro
esperienza e si trova in primo piano nei momenti salienti della loro vita. In qualche occasione, lo si individua
come la causa di tutte le sventure e l'agente principale del processo di emarginazione; in altri invece appare
come il motore grazie al quale si può continuare a vivere.
82
In questo modo, l'alcol ha un doppio valore, un valore biunivoco che risulta contraddittorio perché l'alcolista
risolve i suoi problemi attraverso il consumo di alcolici. Dal consumo di bevande alcoliche scaturiscono due
mondi, davanti ai quali si viene a trovare la Persona senza Dimora. In senso negativo, ne deriva il
distanziamento e la rottura con l'ordine sociale "normale", l'amore per la vita e inoltre, rende difficile il
ritorno ai legami sociali. In senso positivo, continuare a bere permette di mantenere, nel mondo
dell'emarginazione, la speranza di sopravvivere un giorno in più.
In questo senso, possiamo percepire nei vari discorsi o nelle varie tappe, il doppio valore simbolico che
l'alcol assume per le Persone senza Dimora:
"Caspita, se non mi fossi dato all'alcol, sarei andato avanti" (Intervista 5:15)
"Mi sveglio e se ho del vino, me lo bevo..., se ho mezzo litro di vino, allora me lo
bevo tutti i giorni, a seconda di come mi alzo.
E che effetto tifa?
Ah, bellissimo, è quello che mi fa andare avanti" (Intervista 1:7)
D'altro canto, il consumo delle bevande alcoliche diventa un filo conduttore nella vita degli intervistati,
assumendo un significato speciale in momenti critici del ciclo vitale. In questo modo, l'alcol può far uscire la
persona da un periodo di infanzia più o meno perenne, catapultandola nell'adolescenza.
"La mia prima sbornia, a diciassette anni, è finita con un coma etilico."
(Intervista 3:9);
Può essere il motivo scatenante di un licenziamento, oppure può considerarsi la causa di un divorzio o di una
separazione dal coniuge e dai figli.
"E per quale ragione diresti che ti sei separato? Per quello, per l'alcol"
(Intervista 5:4)
"Mi ha licenziato perché lui era più ubriaco di me" (Intervista 1:6)
In questo processo al quale si riconducono i momenti di crisi, il consumo di bevande alcoliche, alla fine, si
presenta come la causa principale dell'allontanamento da casa.
"E' arrivato un momento in cui sono finito negli ospedali, molte volte per
intossicazione etilica, fino a che mia nonna non ha potuto più sopportare questa
situazione e mi ha sbattuto fuori di casa" (Intervista, 2:7)
La Persona senza Dimora, normalmente rivive queste situazioni e comprensibilmente sono i momenti che,
con maggior frequenza ed intensità, la spingono a bere. Momenti legati a qualche fatto che, direttamente o
indirettamente, riapre le loro ferite. L'incapacità di contare sulle proprie forze non trovando un lavoro, le
difficoltà di mantenere un rapporto più o meno equilibrato con gli altri, le informazioni riguardanti vecchi
conflitti familiari o il continuo vagare senza meta e senza affetti, di solito sono motivi validi per non smettere
di bere e per ricadérci dopo mesi di astinenza.
"Se ho una crisi generalmente bevo molto, ma se sto bene, allora mi faccio una
birra, un litro di birra magari accompagnato, o due, e poi non bevo più".
(Intervista, 2:17)
Un utente, ex-alcolista, racconta l'abbandono del carcere, come la constatazione della mancanza di un posto
dove andare. Mancanza che quasi subito viene riempita dall'alcol.
"Allora sono uscito e dico: "dove vado adesso?", e niente, la prima cosa che ho
fatto è stata quella di ordinare una birra... (Intervista 4:17)
Durante tutto questo processo abbiamo visto che il malessere di ogni soggetto si concretizza in un oggetto,
l'alcol, attraverso il quale incanalano le proprie difficoltà. Si tratterebbe di un mezzo alternativa, per dare
risposte ad un malessere che il soggetto non riesce a sopportare. L'alcolismo diventa così un sintomo che
rimanda ad una difficoltà personale nel rapporto con gli altri.
In certe occasioni, e come abbiamo già detto, l'alcol viene descritto come una specie di rifugio o di fuga dal
processo di abbandono del soggetto. Funge da anestetico nelle situazioni in cui si è coscienti di aver perso
quasi tutto (famiglia, amici, lavoro...), nelle situazioni in cui ormai non può proiettare il suo affetto su
83
nessuno, e nessuno lo riconosce. Quindi, si beve per dimenticare, per rimanere insensibile davanti ad una
realtà dolorosa, nella quale il soggetto si sente fondamentalmente solo.
"E in strada stavi un po'con tutti, e lì, un cartone di vino (...). Poi anche la
disperazione di sentirti solo, e voler dimenticare tutto. Perché ti mettevi a
pensare... io molte volte mi mettevo a pensare troppo. Mi mettevo a pensare alla
famiglia (...) e quando vedevi che non ti calcolavano, niente, a bere per
dimenticare." (Intervista 4:3 ).
"E' arrivato un momento (...) in cui non mi divertivo più. Andavo in discoteca e non
mi divertivo più. Semplicemente rimanevo a bere. Andavo già con loro, ma non mi
divertivo, mi pesava". (Intervista 2: 11).
Tale effetto anestetizzante, l'essere come mezzo stordito dall'alcol, può notarsi nelle Persone senza Dimora
con decorso cronici di abbandono, nei quali rimangono poche speranze e motivazioni per rincominciare a
vivere.
"Quell’uomo ha perso talmente tanto la stima di sé, che non c'era verso di fargliela
tornare. Diceva a un ragazzo che era lì "uccidimi, uccidimi che io non ho il
coraggio." (Intervista 16:12)
In ogni caso, non vi è dubbio che si tratta di un'intensa sofferenza psicologica che finisce per intaccare quasi
tutti gli schemi della vita, ed è difficile liberarsi delle cicatrici. In generale, le persone che dichiarano di
avere problemi con l’alcol, si rifanno alla sofferenza provocata dalla rottura familiare che in parte, è stata la
causa del loro alcolismo. Se a tutto questo si aggiunge la perdita del posto di lavoro, questo si traduce in
senso di colpa, bassissima autostima, solitudine e isolamento, ecc, così come si può notare nella tavola che
segue.
Tavola 7. -Come esprime la sofferenza causata dall'alcol nella sua vita?
Tendenza alla depressione. Mancanza d'aria: senso di soffocamento. Infortuni causato da uno stato
depressivo e ingerimento massiccio di bevande alcoliche, commozione cerebrale, caduta.
Secondo quello che dice, i suoi problemi non sono la conseguenza del consumo delle bevande alcoliche.
Sofferenza: limitazione nell'avallare altri progetti: impotenza.
Sente che quando ha fiducia (lavoro, coppia...) non ha bisogno di bere, ma nel momento in cui ha una
discussione o un conflitto, risponde automaticamente con l'abuso di alcol, arrivando, a volte, a dover
essere portato in ospedale per coma etilico.
Separazione familiare.
Senso di solitudine, delusione sentimentale.
Sensazione del pericolo di morte. Rottura familiare.
Si vergogna dopo aver bevuto. Scarso concetto di sé e scarsa autostima. Paura di non essere accettato e di
non essere amato.
Rottura matrimoniale. Perdita del posto di lavoro.
Ha avuto ripercussioni psicologiche, gli venivano ossessioni che peggioravano. Soffriva d'insonnia.
Problemi familiari fino ad arrivare alla separazione. Si aggiungono poi, problemi sul lavoro.
Chiude la propria impresa, a causa del suo stato di solitudine e problemi sul lavoro.
Perdita del posto di lavoro. Rottura familiare. Conflittualità con la gente.
Non ha avuto problemi di lavoro perché non ne aveva uno, allo stesso tempo gli ha impedito di cercarlo,
non aveva voglia di niente, sopravviveva solamente, cercava di "racimolare" qualcosa per bere e, se
avanzava, qualcosa per mangiare. Ha rinunciato alla famiglia, si vergognava.
Molti sensi di colpa.
Lo ostacolano altri progetti; alto grado di sofferenza vitale.
Ha avuto difficoltà a trovare lavoro e a godere del tempo libero.
Gli piacerebbe essere ancora sposato, dato che dichiara di essere ancora innamorato di sua moglie e quello
è stata la causa della separazione. Prova dolore per la sofferenza causata ai familiari più prossimi: sua
madre, la sua ex moglie e i suoi figli.
Lo nuoce personalmente e peggiora il suo forte temperamento. Abbandono delle attività che lo
appassionavano.
84
Lo ritiene un fattore che riguarda la rottura familiare oltre al il fatto di vivere in strada.
Riconosce che gli ha portato nient'altro problemi con tutti: lavoro, genitori, fratelli, compagna/o.
Dice che gli causa un vuoto esistenziale e vede la realtà molto nera. Ricorre all'alcol perché non accetta né
se stesso né il suo passato.
Degrado personale. Rottura familiare. Peggioramento di problemi di salute mentale. Difficoltà a trovare
lavoro dovuto a lunghi periodi di disoccupazione, si accentua l'ingerimento di bevande alcoliche e questo,
si ripercuote nel suo matrimonio fino ad arrivare alla separazione.
Quando beveva aveva reazioni abbastanza aggressive, seguite da episodi di violenza fisica.
Ha continuato a vivere con i suoi genitori e questo ha comportato un grosso sforzo, dato che, il fatto di non
avere un lavoro normale, gli ha impedito di avere delle entrate che gli dessero una certa autonomia, fino a
che il problema dell'alcol è peggiorato e la situazione familiare è diventata insostenibile.
Degrado personale. Perdita del lavoro.
Infine, talvolta, l'intensità della sofferenza della persona trasforma l'alcol in un autentico strumento di
suicidio. Bere, quindi, non è solamente uno stimolo o un rifugio, bensì è un punto di non ritorno che si
avvicina alla morte. Questo si riflette, con una certa frequenza, sia nei casi del fenomeno delle P.S.D.
piuttosto cronicizzato in coloro che bevono fino ad arrivare al coma etilico, sia in molti trattamenti medici
che vengono bruscamente interrotti quando il paziente combina psicofarmaci con bevande alcoliche.
"E come mai ti è venuto in mente di mischiarlo, ti ricordi? Mi è venuto, perché ero
stanco che mi chiamassero e mi dicessero "Quanti anni ha lei?", "Io, quaranta".
"Venga qui su", allora mi vedevano e mi dicevano "Senta, lei non ha quarant'anni".
Così tanti altri, fino a che ho detto: "Vaffanculo ".(Intervista, 7:13)
Vivere nella strada presuppone saltare nel vuoto, interrompere le relazioni sociali "normali" che una forte
angoscia provoca normalmente nel soggetto. L'alcol agisce molte volte come un ammortizzatore di
quell'angoscia, di quel senso di solitudine così radicale o al contrario, come evasione definitiva della stessa.
Il racconto successivo, su un tentativo di suicidio, traduce in parole l'angoscia della strada e la funzione
dell'alcol come veicolo che porta la persona alla morte.
"Beh guarda", pensai, "è meglio che crepi!" (...) Nel momento successe e dissi:
"Guarda, è la cosa migliore che possa fare" La cosa migliore perché?
In quel momento, è ciò che ho pensato, non ti posso dire perché. Perché forse eri
un po' stressato?
Molto stressato, molto stressato, perché quella notte dovevo dormire nella
maledetta strada, non avevo un posto dove andare a dormire, e mi sentivo molto,
molto stressato
(Intervista 3:6)
5. Conclusioni
Considerando che attualmente, l'intervento sull'alcolismo della Fondazione San Martín de Porres appare
molto vincolato al CPA e T, secondo noi, si dovrebbe stabilire un programma di lavoro ed un
coordinamento più efficiente e adeguato tra la Fondazione San Martín de Porres e il CPA e T 1 . Questo
comporterebbe:
Da una parte, prefissare dei protocolli di comportamento che stabiliscano: forme di individuazione del
problema,
comportamenti
e
strategie
per
motivare
l'inizio
del
trattamento,
approcci per l'accompagnamento e trasferimento dei pazienti, forme di coordinamento reale
tra gli specialisti, strategie di continuità e di valutazione.
1
Molti di noi temono che il programma debba assomigliare al modo di lavorare che il CPA e T ha con il resto di
ricoveri e centri di accoglienza per le Persone senza Dimora, per cui la situazione dovrebbe essere più o meno
simile. Forse l'unica eccezione la ha con il CASI, dato che il fatto che entrambi dipendano dal Comune di Madrid, li
ha costretti ad avere una maggiore coordinazione.
85
Dall'altra, si dovrebbero "assemblare" in modo strutturato la politica di intervento di
entrambi gli enti. In questo modo, le fasi di disassuefazione da alcol verrebbero appoggiate
e rafforzate dall'intervento di riabilitazione, in modo molto più integrante, da parte del San
Martín de Porres. Più schematicamente, si dovrebbero stabilire dei criteri ad azione congiunta
tra i vari incontri o tra i vari periodi di terapia, nei quali il soggetto dovrebbe trovare un sostegno ed un
rafforzamento integrativo ad ogni passo del trattamento di disassuefazione.
Chiaramente, questa mancanza di coordinamento e di programmazione congiunta, in generale, si riflette nelle
parole degli specialisti di San Martín de Porres, i quali affermano di non sapere quali siano le fasi del
programma di disintossicazione e di disassuefazione da alcol del CPA e T, e tantomeno le impostazioni ed i
contenuti dello stesso, nella fattispecie, quanto dura il trattamento, come viene valutato il suo risultato, ecc.
Un altro aspetto che aiuta a individuare la mancanza di coordinamento tra gli enti è, per esempio, nel
momento in cui si verifica un abbandono nel CPA e T, questo, non viene comunicato alla Fondazione, e
tantomeno viene fatta un'analisi congiunta e sistematica sul perché si è avuto tale abbandono.
Ma aldilà del bisogno di formalizzare e assemblare gli interventi, solo l'impostazione degli interventi del
CPA e T ci suggerisce che la Fondazione San Martín de Porres potrebbe collaudare una nuova politica
d'intervento, sulle Persone senza Dimora con problemi d'alcol, in modo complementare all'intervento che
adotta il CPA e T.
Questo significa, come si è già detto prima, che l'intervento del CPA e T ha come obiettivo principale quello
di modificare il comportamento del bere, mentre mette in secondo piano il passato ed il presente
dell'emarginazione sociale, ed il processo di abbandono personale del soggetto. In particolare, questo vuoto
potrebbe essere riempito dalla Fondazione, con la proposta di attivare qualche forma di supporto specifico gruppi di appoggio o di aiuto reciproco, per esempio -, che non solo rafforzino l'intervento del CPA e T, ma
che individuino e lavorino in modo esplicito, sulle cause del processo di esclusione sociale delle Persone
senza Dimora e sulla dipendenza dall'alcol.
In questo modo, questi gruppi dovrebbero essere utili per stabilire un tipo di relazione terapeutica che
rimuova le cause del processo di destrutturazione della persona e che stimoli la voglia di vivere delle Persone
senza Dimora. Si rende, in questo modo, più facile il reintegro della persona nel campo sociale. In questi
gruppi la Persona senza Dimora dovrebbe trovare una sorta di appoggio o di vincolo affettivo e morale,
capace di sostenere il trattamento di tipo medico-assistenziale (CPA e T), e un modo di reinserimento
personale e sociale attraverso dei corsi prelavorativi e lavorativi e del Servizio di Orientamento Professionale
della Fondazione San Martín de Porres.
Un esempio di questo tipo di lavoro, si può trovare in molti gruppi di aiuto reciproco di alcolisti che
usufruiscono dell'intervento di tipo medico-assistenziale nei Centri di Igiene Mentale o le visite di Assistenza
Primaria, che offrono comunque un appoggio di tipo psico-sociale. Chiaramente, un'altra via, sarebbe quella
ispirata ai CAT (Club di Alcolisti in Trattamento) italiani che continuano ad usare il metodo del professore
Hudolin, secondo il quale i malati e le famiglie, o meglio le figure sostitutive di esse, nei casi in cui non si
possa contare sulla propria famiglia, possano formare dei gruppi di aiuto reciproco. Si è cominciato a creare
qualcosa del genere da qualche mese a questa parte, con l'entrata in funzione del primo club, a Madrid, al
quale prendono parte persone della Fondazione, utenti e famiglie di persone con problemi d'alcol. In larga
parte, l'inizio di questa esperienza è il risultato tangibile del progetto transnazionale "II sogno di Vladimir".
Questi risultati, ancora incipienti, permettono di riporre grandi speranze nel futuro.
6. Bibliografia
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86
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AAVV. (2000) Memoria del Plan Municipal contra las Drogas. Madrid. Comune di Madrid.
87
SINTESI DELLA SPERIMENTAZIONE DEI CAT A FORBACH
Associazione EMMAÜS
Compagnons du Rempart
34, rue du rempart
57600 FORBACH
L'Associazione Emmaüs si è inserita nel progetto "II sogno Vladimir" con una duplice intenzione.
9 Proseguire un lavoro di partenariato con l'Associazione San Marcellino di Genova e la Fondazione
San Martín de Porres di Madrid nei confronti degli utenti accolti nelle singole strutture, che
presentano caratteristiche simili ed un diverso tipo di approccio all'intervento, ma che possono
confrontarsi e quindi arricchirsi.
9 Comprendere il problema dell'alcolismo delle persone accolte nelle due strutture alloggiative
dell'Associazione Emmaüs di Forbach: la comunità Emmaüs e la Residenza sociale. L'alcolismo è
una difficoltà che colpisce la gran parte degli utenti di queste strutture. Tale difficoltà emerge nei
percorsi di vita delle persone, come punto di origine di un processo di esclusione o come
conseguenza dello stesso.. In ogni caso, la regola che impone l'astinenza nella comunità e la sobrietà
nella residenza sociale non permette evidentemente la risoluzione dei problemi di alcolismo delle
persone accolte.
Tuttavia, la trasgressione troppo evidente o troppo frequente di tale regola può condurre alla messa
in discussione della posizione e del progetto della persona, portando ad un accompagnamento.
“Il sogno di Vladimir" è arrivato al momento giusto per determinare, con il sostegno della volontà
istituzionale, la trasformazione di una pratica … Al di là dell'impatto comunitario, della domanda
della persona volta a prendere in considerazione il proprio problema di alcolismo, la situazione di
"crisi" legata alla trasgressione della regola costituisce l'occasione per parlare direttamente del
problema alcol, per confrontarsi e riportare tale argomento al centro delle preoccupazioni
dell'Associazione Emmaüs.
La sperimentazione dei CAT è stata attuata il 23.09.2001, data del primo incontro. Tuttavia, è stato effettuato
a monte un lavoro di sensibilizzazione. Questa pratica, realizzata sulla base di un'informazione collettiva in
occasione delle riunioni degli ospiti e di informazioni individualizzate durante i colloqui, si è però rivelata
fallimentare, in quanto la lista degli iscritti al primo incontro del CAT è rimasta bianca.
Paura della novità? Paura di affrontare in gruppo un problema personale? Paura dell'etichetta di alcolista che
la persona potrebbe vedersi attribuita dagli altri "compagnon" o ospiti? Adozione di un comportamento
basato sulla fuga, a cui le persone sono abituate? Rifiuto di confrontarsi su un argomento a cui ci si sente
estranei?
Dinanzi a tale situazione, l'istituzione ha preso una posizione autoritaria e dirigista. Il responsabile della
Comunità ha scelto un certo numero di "volontari" per partecipare al primo incontro, con la possibilità di
scegliere se presenziare o meno alle riunioni successive.. Per quanto riguarda le persone accolte alla
Residenza sociale, 4 persone si sono iscritte volontariamente a questo primo incontro.
Alla fine, solo due persone non sono ritornate agli incontri successivi. Alla prima seduta del CAT erano
presenti dodici persone: quattro provenienti dalla Residenza sociale e otto nominate all'interno della
Comunità.
Le riunioni, della durata di un'ora e mezza, si sono svolte con cadenza settimanale ed hanno registrato una
partecipazione media di nove persone.. I partecipanti, ad eccezione di una coppia, sono tutte persone sole.
Tutti i partecipanti sono di nazionalità francese. Una persona ha 25 anni, tutte le altre ne hanno più di 40.
Tutti sono originari della città di Forbach e delle zone limitrofe.
Una problematica è comune e presente e si traduce con l'inserimento in un processo di esclusione
caratterizzato da un susseguirsi di rotture (familiari, affettive, professionali...) che hanno portato le persone a
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vivere una situazione di senza dimora e di vagabondaggio. Un punto in comune di queste persone è dato
dall'alcol, a livelli più o meno importanti e sotto diverse forme:
9 le persone che negano il proprio problema di alcolismo;
9 le persone che hanno già seguito uno o più trattamenti di disintossicazione ma che continuano a
bere;
9 le persone che sono consapevoli del proprio problema di alcolismo ma che non hanno mai
intrapreso un percorso di risoluzione.
Fin dall'inizio gli incontri si sono svolti in presenza di due servitori, Denis Chichery e Gaston Weber.
Entrambi sono ex compagnon, attualmente lavoratori dell'Associazione Emmaüs, incaricati di occuparsi di
questo progetto e di partecipare alla formazione sui CAT. Tale formazione non ha completamente convinto
uno dei due servitori. I due sono sostenuti nell'attività dal responsabile della Comunità, Jean Luc Ferstler, ed
hanno scelto di essere presenti contemporaneamente ai CAT.
È stato necessario un notevole lavoro di rassicurazione del gruppo dei partecipanti, mediante la ripetuta
spiegazione delle regole del gioco.
In breve tempo, i servitori si sono visti "obbligati" ad animare gli incontri, poiché la paura di partecipare si è
rapidamente trasformata in una partecipazione attiva ma disordinata, con scambi che hanno affrontato molti
argomenti diversi. Lo spazio di espressione creato con questi incontri è stato realmente sfruttato dai
partecipanti, a volte in maniera estrema, come quando i partecipanti entravano nel dettaglio della propria
intimità e quando la porta del campo terapeutico faticava a rimanere chiusa, nonostante un certo
orientamento verso gli specialisti del settore. Nel corso di questi incontri, il nome CAT (club degli alcolisti in
trattamento), è stato messo in discussione dai partecipanti, che hanno preferito ampliare l'argomento delle
riunioni fino a comprendere la tossicodipendenza e la tossicodipendenza multipla piuttosto che limitarsi
all'alcolismo. Si tratta ancora di una volontà di fuga, di un inserimento nella realtà comunitaria, di una
chiamata in causa della struttura di Emmaus, che privilegerebbe i tossicodipendenti dal momento che non ha
predisposto dei "club dei tossicodipendenti in trattamento" ?
D'altro canto, l'affermazione secondo la quale l'alcolista non è un malato non ha trovato eco tra i partecipanti
e viene sempre rimessa in discussione. La richiesta dell'intervento degli specialisti (medico, psicologo,
psichiatra...) ritorna frequentemente (nell'intento di creare una sorta di passerella con l'ambiente, in un
approccio psico-sociale?).
Dopo sei mesi di funzionamento, possiamo dire che la realizzazione dei CAT corrisponde ad un bisogno dei
partecipanti. Dopo la rinuncia delle due persone al momento della messa in pratica, la presenza regolare degli
altri membri e la loro partecipazione attiva dimostrano che è stato creato un vero e proprio spazio di
espressione.
Questo spazio di discussione pullula di scambi e la presenza di una relativa contestazione accompagnata da
una forza propositiva rivela che i partecipanti si sono appropriati del CAT. Il CAT rappresenta sicuramente
anche l'espressione della cultura istituzionale di Emmaus Forbach, che si avvicina agli uomini senza
considerarli oggetti, ma in quanto persone capaci di parlare, riflettere ed agire. Attualmente, l'esperimento
continua.
Denis CHICHERY
Gaston WEBER
Serge BEE
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"IL SOGNO DI VLADIMIR IN SPAGNA"
Memoria del Sogno di Vladimir
La esperienza del CAT a Madrid da Settembre 2001 a Maggio 2002
Da Genova a Madrid …
Come è stato il nostro cammino
9 Dopo aver partecipato al corso che si tenne a Genova lo scorso maggio e in seguito alla
presentazione dello stesso alla nostra équipe, decidemmo di avviare questa metodologia come
esperienza pilota a Madrid. Pertanto, in seguito a varie riunioni successive, ci accordammo di
iniziare questo progetto.
9 II primo passo fu la definizione del profilo dei possibili destinatari al fine di costituire un gruppo
omogeneo che, in linea di massima, fosse slegato dalla vita del dormitorio. Pertanto, proponemmo i
seguenti profili:
1 - Alcolisti in trattamento
2 - Ex alcolisti
3 - Familiari di alcolisti in trattamento o meno alla ricerca di alternative per risolvere il loro
problema.
Avvio del CAT, settembre 2001
La prima fase dell'applicazione del progetto consistette nel far conoscere il Sogno di Vladimir in Spagna.
COME?
Presentando la metodologia dei CAT a varie istituzioni di carattere pubblico e privato.
CONTATTI PRESI
C.P.A. (Centro di Prevenzione dell'Alcolismo e Tabagismo).
C.R.P. (Centro di Riabilitazione Psicosociale).
C.A.D. I e C.A.D. II (Centri di Assistenza al Tossicodipendente)
Centri di Salute.
Centri di Igiene Mentale.
Servizi Sociali del Comune di Madrid.
Croce Rossa.
ONG Associazione Gruppo "La Calle".
STRUMENTI UTILIZZATI
Elaborammo vari tipi di documentazione in base ai possibili destinatari: presentazione con lucidi, dossier
informativo e dittico sulla metodologia
Risultato delle comunicazioni
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Positivo: per quanto concerne la predisposizione a collaborare con noi. La realtà: non abbiamo ricevuto una
risposta consistente da parte delle istituzioni.
Ragioni:
9 Metodologia ortodossa: la necessità che siano presenti le famiglie.
9 Vi sono già risorse di questo tipo.
9 Mancanza di motivazione della gente a partecipare a questi gruppi.
INAUGURAZIONE DEL PRIMO CAT A MADRID NOVEMBRE 2001
II 7 novembre, come previsto, si tenne la prima riunione del CAT nel Centro della Cittadinanza "LaMadeja".
I partecipanti furono una famiglia, uno dei nostri ragazzi della mini residenza ed io come servitore. L'altra
famiglia non potette partecipare per motivi di lavoro, tuttavia, confermò la sua intenzione di partecipare alla
riunione della settimana seguente.
In seguito a una breve introduzione sui CAT, sui suoi fondamenti, metodologia e percorso, ci fu un giro di
presentazione da parte di tutti i componenti del gruppo.
In questa dinamica, ciascuno raccontava la sua vita, la sua esperienza con l'alcol, il prima e il dopo. In questo
modo si creò un clima di apertura, di rispetto, di empatia da parte di chi capisce perché conosce
perfettamente ciò che ha vissuto l'altro, e di comunicazione, qualcosa di molto positivo durante l'intero
incontro.
Dato che si trattava del primo passo di questa interessante iniziativa, concludemmo con una merenda per tutti
i partecipanti al club. Questo momento servì perché, sempre in maniera distesa, si rafforzassero i legami tra i
membri del gruppo. Uno di loro, addirittura, propose di programmare delle uscite che servano come
momento di incontro "diverso" per le famiglie e per poter condividere il tempo libero in maniera costruttiva e
senza alcol. A partire da questo momento, parteciparono sempre più persone. Le riunioni si succedevano ed
io notavo come si stesse creando un clima di fiducia, calore e sostegno tra tutti i membri in maniera tale che
praticamente non è più necessario incoraggiarli a partecipare, giacché loro stessi sono motivati a
comunicazione e prendono l'iniziativa. Potremmo dire che il gruppo acquisisce vita propria, sostenendosi,
facendosi forza uno con l'altro con l'atteggiamento e l'intenzione di chi capisce e mostra empatia in quanto si
trovò a vivere esperienze quantomeno analoghe.
I primi cambiamenti nella metodologia del CAT, dicembre 2001
A dicembre ebbe luogo una seduta un po' diversa, in cui parteciparono al CAT due utenti del nostro
dormitorio che, sapendo ciò che stava avvenendo, decisero di avvicinarsi e non mi sembrò opportuno dire
loro di andare via, pertanto li lasciai partecipare alla riunione. Questo fatto suscitò una discussione nella
successiva riunione generale dell'equipe di San Martín de Porres. Da parte mia, avanzai la possibilità di
formare un gruppo eterogeneo nel quale potessero partecipare anche persone senza dimora, come accade già
a San Marcellino. Tuttavia, compresi l'atteggiamento dell'equipe che mi suggeriva che forse era un po' presto
per allontanarci dall'ortodossia della metodologia proposta dai CAT. D'altro canto, vorrei sottolineare, che
queste due persone vissero la seduta come qualcosa di positivo, trovandovi uno spazio aperto per la
comunicazione e il rispetto e che, in seguito all'esperienza, continuano a chiedere di partecipare, in modo tale
che al di fuori di questo contesto dei CAT potremmo valutare di studiare altre formule che rendano possibile
la creazione di spazi per la partecipazione e l'espressione del gruppo con il quale lavoriamo ogni giorno.
Da parte mia insisto sulla necessità di rendere flessibile il metodo, facendo riferimento alle differenze
individuali così come ai bisogni che mostrano in maniera esplicita le diverse persone nell'affrontare la loro
problematica con l'alcol da uno spazio come questo. Vi è un fatto oggettivo: non è la realtà a doversi adattare
al metodo, bensì il metodo che deve adattarsi alla realtà mutevole. Seguendo questa linea, perché non
potrebbero partecipare le persone senza dimora, per quanto non fossero accompagnate da nessun volontario?
Queste e altre questioni sorte saranno proposte nel prossimo incontro del Comitato Scientifico che si terrà a
Madrid a gennaio.
91
Come è evoluto il CAT
9 Da novembre 2001 a maggio 2002 sono passate 14 persone dal CAT, delle quali ne restano 9.
Di queste, sei sono state le più costanti fin dall'inizio.
9 Man mano che si susseguono le riunioni si crea un clima di fiducia, calore e sostegno reciproco.
9 Non è praticamente più necessario incoraggiare la partecipazione, in quanto arrivano già motivati a
comunicare e prendono l'iniziativa.
9 Si può dire che il gruppo assume vita propria, con sostegno reciproco delle persone, con
l'atteggiamento di chi capisce e prova empatia nei confronti dell'altro perché si è trovato a vivere la
stessa situazione.
Evoluzione del numero di membri del CAT
Relazione dei temi più importanti
Di che cosa si parla nel CAT? Sono molti i temi che vengono trattati nel CAT, ma soprattutto alcuni sono
ricorrenti e si ripetono costantemente nella maggior parte delle riunioni. Mi è sembrato interessante
riassumerli in quanto sono il riflesso di quello che potrebbe essere il crollo del sistema di valori di chiunque
quando l'alcol entra nella sua vita. Così come tutti i suoi punti deboli possono diventare punti forti con l'aiuto
di altre famiglie e della volontà:
9 II sostegno di una famiglia.
9 Determinati lavori in rapporto con una maggior tendenza al consumo abusivo di alcol
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9 I falsi amici che scompaiono lungo il percorso e i veri amici che restano in seguito alla decisione di
smettere di bere e che rispettano e sostengono il cambiamento.
9 La volontà necessaria per smettere di bere e restare astinenti.
9 I miglioramenti a livello di salute che sono praticamente immediati quando si abbandona l’alcol
(si osserva un aumento considerevole dell'appetito, si recupera il gusto del cibo …).
Analisi della situazione attuale
Difficoltà
9 La risposta da parte delle istituzioni, fino ad oggi, è stata scarsa. I contatti con le stesse non
sono stati così proficui come avremmo sperato che fossero.
9 La grande offerta di risorse di questo tipo.
9 La scarsa motivazione delle persone a partecipare ai gruppi.
9 Difficoltà di trovare e accogliere nuovi membri del club
Aspetti Positivi
9 Abbiamo creato il primo CAT, che attualmente annovera nove persone.
9 Questo potrebbe essere, con il tempo, il germe di nuovi club, grazie all'effetto moltiplicatore.
Azioni future da San Martín de Porres
Dinanzi alla scarsa risposta o richiesta di partecipazione, avanziamo le seguenti proposte:
9 Accogliere partecipanti esterni al club, basandosi anche sul passaparola.
9 Poster e dittici distribuiti nei centri pubblici e per strada.
9 Continuare con la ricerca, riprendendo i vecchi contatti e prendendone nuovi
9 Rendere flessibile il metodo, adattandoci alla realtà di una società mutevole
9 Continuare a creare gruppi integratori ai quali possano partecipare le persone senza dimora.
Raccomandazioni o decisioni
9 Partecipazione di persone sole
Rendere flessibile e adattare il metodo Hudolin per scarsità di famiglie.
La realtà del club è la difficoltà di partecipazione di famiglie o parte delle stesse, per mancanza di
disponibilità o di motivazione.
9 Partecipazione delle persone con le quali interviene la Fondazione
Presuppone che, per il momento, le persone senza dimora non possano partecipare al club. Deve
essere un gruppo integratore.
93
La nostra visione del futuro
9 Un club aperto è un primo passo
9 Le aspettative passano attraverso il prosieguo dell'attività costante e interessante per i partecipanti
del club in attesa dell'effetto moltiplicatore.
9 Mantenere un contatto più insistente con le risorse pubbliche.
9 Alla fine di maggio si terrà la prima scuola territoriale per le famiglie del CAT. Laura Luquero,
Teresa Sánchez ed io ci occuperemo della programmazione, pianificazione e di impartire
queste giornate.
9 Sono già stabilite per il futuro le riunioni tra servitori-insegnanti e di coordinamento di interclub tra
Avila e Madrid, con cadenza mensile.
Per riassumere …
9 II metodo serve alle persone che partecipano al Club.
9 Abbiamo difficoltà per aumentare il numero di partecipanti e di gruppi.
9 Continuiamo con l'entusiasmo e la voglia di andare avanti con l'esperienza dei CAT.
94
Hanno Collaborato:
Giovanni Pieretti – Università Bologna (Italia)
***
Arsené Amen – Université Metz (France)
***
Pedro Jose Cabrera – Universidad Comillas – Madrid (España)
***
Maria José Rubio -Universidad Comillas – Madrid (España)
***
Croix Blue – Forbach (France)
***
Mara Morelli – interprete e traduttrice – Genova (Italia)
***
Ayuntamento de Madrid –( España)
***
Municipalité de Forbach – (France)
***
Comune di Genova – (Italia)
***
ARCAT Liguria (Associazione Regionale Club Alcolisti in Trattamento)
***
AICAT (Associazione Italiana Club Alcolisti in Trattamento)
***
ACAT (Associazione Club Alcolisti in Trattamento) -Avila (España)
***
Ser.T. ambiti 3 e 4 ASL 3 Regione Liguria
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