Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA MEDICINA DEL SONNO Ciclo XXI Settore scientifico disciplinare di afferenza: MED/26 - Neurologia TITOLO TESI TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DELL’INSONNIA: CORRELAZIONE CON VARIABILI PERSONOLOGICHE, DI QUALITA’ DELLA VITA E TONO DELL’UMORE Candidato: dott.ssa Alessandra Giordano Coordinatore Dottorato Relatore Prof. Pasquale Montagna Dott. Giuseppe Plazzi Esame finale anno 2009 Indice 2 Insonnia: definizione ed epidemiologia 3 Le insonnie primarie 5 Terapie non farmacologiche dell’insonnia 9 Regole di igiene del sonno 10 Restrizione di sonno 18 Controllo dello stimolo 22 Tecniche di rilassamento 23 Terapia cognitivo-comportamentale 27 Terapia cognitiva 30 Terapia multicomponenziale 35 Trattamento self-help 39 Contributo sperimentale 41 Obiettivi 41 Materiali e metodi 42 Strumenti 46 Risultati 53 Discussione e conclusioni 64 Bibliografia 68 Ringraziamenti 73 2 INSONNIA: DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA L’insonnia è il più comune di tutti i disturbi del sonno interessando saltuariamente ogni anno più del 40% della popolazione. Viene definita come la percezione da parte del soggetto di un sonno inadeguato e/o insufficiente, riflette una ridotta qualità, durata o efficienza del sonno ed è caratterizzata da uno o più dei seguenti sintomi: difficoltà ad iniziare o mantenere il sonno, risveglio precoce mattutino e sensazione di sonno non ristoratore. Oltre ai sintomi notturni, sono spesso presenti disturbi diurni quali astenia, sonnolenza, difficoltà di concentrazione, irritabilità, disturbi dell’umore, deficit di attenzione, concentrazione e memoria, scarso rendimento lavorativo e scolastico, incidenti sul lavoro e alla guida, cefalea tensiva e disturbi digestivi che possono avere significative ripercussioni sulla salute percepita dal soggetto. Il sonno insufficiente è spesso associato ad una ridotta qualità della vita, ad un aumento dei disturbi fisici, a ripercussioni economiche dovute ad uno scarso rendimento sul lavoro ed inoltre a problemi medico-legali. Se l’insonnia presenta solo gli indicatori notturni è definita “insonnia di primo livello”, se questi invece sono accompagnati da manifestazioni diurne si descrive come “insonnia di secondo livello”. Questa percezione soggettiva può essere o meno sostenuta da un’evidenza oggettiva mediante polisonnografia, actigrafia o un’osservazione esterna. Le insonnie sono definite primarie qualora non siano associate ad altri disturbi del sonno o a malattie internistiche o mentali o ancora all’utilizzo di farmaci o di altre sostanze. La mancanza di una definizione univoca di insonnia ha costituito uno dei problemi con i quali la ricerca scientifica sui disturbi del sonno ha dovuto scontrarsi negli ultimi trent’anni del secolo scorso. Nel 1999 l’American Academy of Sleep Medicine (AASM) ha commissionato a un gruppo di lavoro, costituito dai più importanti specialisti in materia, il compito di revisionare la letteratura per identificare quei “fenotipi” dell’insonnia più validi, frequenti e plausibili. Fu quindi chiesto di redigere i “Research Diagnostic Criteria” (RDC) per l’insonnia e per gli altri disturbi del sonno e di delineare le procedure di valutazione per il loro accertamento. Lo scopo era fornire delle linee guida che aiutassero i ricercatori in ambito scientifico e i 3 clinici, in ambito terapeutico, ad orientarsi in un campo, quale i “disturbi del sonno”, intriso di ambiguità classificatorie. Dopo cinque anni di lavoro, furono pubblicati i risultati di tale indagine (Edinger et Al. 2004) che portarono ad una definizione di insonnia, che fu inclusa nella versione recente dell’ICSD-2 (2005) e che riporta i seguenti criteri diagnostici: 1. L’individuo riferisce uno o più dei seguenti disturbi relativi al sonno: difficoltà all’addormentamento, difficoltà a mantenere il sonno, risvegli precoci al mattino ed un sonno cronicamente non ristoratore o di scarsa qualità. 2. Le difficoltà sovra riportate avvengono nonostante l’opportunità e le circostanze adeguate per il sonno. 3. L’individuo deve riportare almeno una delle seguenti forme di disagio diurno conseguente ad un sonno notturno disturbato: 3.1. Fatica/malessere 3.2. Difficoltà nell’attenzione, concentrazione o nella memoria 3.3. Disfunzioni sociali/professionali o scarse performance scolastiche 3.4. Disturbi dell’umore/irritabilità 3.5. Sonnolenza diurna 3.6. Riduzione della motivazione, energia e iniziativa 3.7. Disposizione a errori/accidenti sul lavoro o alla guida 3.8. Tensione, mal di testa, sintomi gastrointestinali in risposta a perdita del sonno 3.9. Ansia o preoccupazioni per il sonno L’insonnia, le cui conseguenze influenzano anche le funzioni diurne, si può quindi definire come un disturbo del sonno che coinvolge le 24 ore. Classificazioni delle insonnie La quarta edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dell’Associazione Psichiatrica Americana (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-IV) suddivide i disturbi primari del sonno dai disturbi secondari: tra i primi sono elencate le dissonnie di cui fanno parte le insonnie primarie. Le insonnie secondarie sono comprese invece tra i disturbi secondari del sonno. Secondo la prima versione della Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno (International Classification of Sleep Disorders, ICSD I) le forme di insonnia venivano distinte in insonnia intrinseca, data cioè da fattori “interni” al 4 paziente, ed insonnia estrinseca, dipendente da fattori “esterni” al paziente. Nel primo gruppo rientravano l’insonnia idiopatica, l’insonnia psicofisiologica e l’alterata percezione di sonno o insonnia paradossa, mentre al secondo gruppo appartenevano l’inadeguata igiene del sonno, la sindrome da sonno insufficiente e il disturbo del sonno da adattamento. La stessa classificazione, recentemente rivista (ICSD II, 2005), riunisce le diverse forme di insonnia in un unico gruppo così composto: 1) insonnia acuta 2) insonnia psicofisiologica 3) insonnia paradossa (da alterata percezione del sonno) 4) insonnia idiopatica 5) inappropriata igiene del sonno 6) insonnia dovuta a disordini mentali 7) insonnia comportamentale dell’infanzia 8) insonnia correlata all’uso di sostanze o farmaci 9) insonnia dovuta a condizioni mediche 10) NOS 11) insonnia organica o fisiologica LE INSONNIE PRIMARIE Le insonnie primarie sono forme di insonnia non associate ad altri disturbi del sonno o a malattie internistiche o mentali o ancora all’utilizzo di farmaci o di altre sostanze. Il DSM IV (307.42) definisce l’insonnia primaria come difficoltà a iniziare o a mantenere il sonno o sensazione di sonno non ristoratore che dura da almeno un mese e che causa una significativa faticabilità diurna associata ad angoscia o alterazione funzionale, occupazionale o riguardante altre importanti aree. Tale disturbo non compare esclusivamente associato ad altri disordini del sonno o a disordini mentali e non è dovuto ad effetti di farmaci o altre sostanze. Secondo i criteri dell’International Classification of Sleep Disorders modificata (ICDS II, 2005), si definisce insonnia primaria la difficoltà ad iniziare o a mantenere il sonno, il risveglio precoce o la sensazione di sonno non ristoratore, nonostante condizioni ambientali adeguate a favorire il sonno, che causa una 5 significativa ripercussione sulle performance diurne con limitazione sociale e occupazionale e che non dipende da altri disturbi del sonno, internistici, medici o da sostanze esterne. L’insonnia primaria rappresenta il 30% delle insonnie ed è caratterizzata da andamento solitamente cronico e da scarsa risposta al trattamento con farmaci benzodiazepinici. Secondo l’ICSD II, le insonnie primarie sono rappresentate dalle prime cinque forme di insonnia elencate (insonnia acuta, insonnia psicofisiologica, insonnia paradossa o da alterata percezione del sonno, insonnia idiopatica, inappropriata igiene del sonno), a differenza del DSM IV in cui le insonnie primarie sono rappresentate unicamente dall’insonnia psicofisiologica, paradossa e idiopatica. Insonnia idiopatica L’età di esordio è tipicamente infantile o giovanile e il decorso è cronico con persistenza dell’insonnia per tutta la vita. Talvolta si evidenzia una familiarità o la presenza di minimi segni neurologici (lievi anomalie EEGrafiche, dislessia, ipercinesia). Si ipotizza che alla base vi sia una inefficienza delle strutture che inducono e mantengono il sonno o un’iperattività di quelle preposte alla veglia. Durante la giornata questi pazienti manifestano astenia e faticabilità, hanno uno scarso rendimento lavorativo e frequentemente concomita un disturbo depressivo dell’umore. In genere le facoltà cognitive non vengono compromesse. Una cattiva igiene del sonno spesso complica ed aggrava l’insonnia idiopatica. I dati polisonnografici, oltre a presentare una riduzione dell’efficienza di sonno con aumento della latenza di addormentamento e numerosi risvegli intermedi, hanno evidenziato la riduzione della rappresentazione dei fusi del sonno (spindles) ed un sonno REM con scarse bouffé di movimenti oculari rapidi. La diagnosi differenziale nei confronti dell’insonnia psicofisiologica si basa non solo sull’età d’insorgenza ma anche sull’assenza di un evento scatenante iniziale e sulla scarsa influenza degli eventi stressanti e degli stati emotivi del soggetto sulla gravità del disturbo. Insonnia psicofisiologica È una delle più frequenti forme d’insonnia, rappresentando il 15% di tutte le tipologie. Ne sono prevalentemente affette persone in età adulta e di sesso 6 femminile. Di solito insorge in seguito ad un evento stressante ma, a differenza delle forme transitorie, una volta scomparsa la causa scatenante non regredisce, persistendo o spesso aggravandosi nel tempo. Gli individui affetti sentono il bisogno di dormire, ma appena giunti a letto si ritrovano improvvisamente irrequieti e con difficoltà all’addormentamento. Alla genesi di questo disturbo concorrono soprattutto fenomeni di condizionamento negativi interni ed esterni nei confronti del sonno. Il fattore interno è rappresentato dalla consapevolezza di non riuscire a dormire per cui lo stato di apprensione e l’attività neurovegetativa aumentano al momento di coricarsi. Il condizionamento esterno, invece, è rappresentato dall’insieme di quegli stimoli che provengono dall’ambiente in cui si dorme e che possono essere associati a situazioni spiacevoli che possono aver dato inizio all’insonnia stessa. L’importanza di questi fattori è dimostrata dalla facilità con cui i pazienti si addormentano in ambienti non abituali quali il laboratorio di un centro del sonno. L’insonnia psicofisiologica trae un vantaggio solo temporaneo dall’uso dei farmaci ipnotici. Molto più utili sono le tecniche di supporto psicologico atte a innescare un condizionamento positivo tra sonno e letto. Insonnia paradossa o alterata percezione di sonno Indica una situazione di discrepanza tra il disturbo del sonno (inteso come alterata qualità e quantità) percepito soggettivamente e lamentato dal paziente, e la compromissione effettiva del sonno rilevabile oggettivamente tramite polisonnografia o actigrafia. Il tracciato polisonnografico rivela infatti normali parametri di sonno, se si esclude qualche risveglio in più rispetto ai controlli. I pazienti lamentano un cattivo sonno anche nelle notti in cui dormono in laboratorio, a differenza dell’insonnia psicofisiologica. Il test delle latenze multiple all’addormentamento (MSLT) mostra latenze medie nella norma. Sembra che questo disturbo sia dovuto ad un’eccessiva attività mentale che continua a svolgersi durante il sonno cosicché molte delle ore di sonno vengono percepite come dormiveglia. Alcuni ipotizzano che esistano modificazioni talmente sottili dell’attività del sonno da non essere svelate dal tracciato, altri suppongono che esista una grossolana sottovalutazione del sonno come espressione di una condizione ipocondriaca sottostante che si manifesta solo a questo livello. 7 Caratteristiche polisonnografiche dell’insonnia primaria Studi polisonnografici in pazienti affetti da insonnia primaria dimostrano una scarsa qualità ed efficienza di sonno dovute ad un aumento della latenza di sonno, ad una riduzione del tempo totale di sonno e alla presenza di risvegli intermedi multipli. La macrostruttura ipnica generalmente è caratterizzata da un aumento percentuale del sonno leggero (NREM 1 e 2), con conseguente riduzione degli stadi di sonno profondo (NREM 3 e 4) e relativa conservazione percentuale della rappresentazione di sonno REM. Concomita un aumento del tono muscolare ed un aumento dell’attività durante il sonno. La microstruttura ipnica nel paziente affetto da insonnia è caratterizzata generalmente da un aumento dell’indice di CAP (indice di pattern alternante ciclico, vedi nota a piè di pagina) che esprime un’alterazione qualitativa del sonno. In casi di grave sovvertimento della macrostruttura ipnica, tuttavia, è possibile riscontrare un CAP rate diminuito in risposta al venire meno dell’azione stabilizzatrice sul sonno delle fasi di CAP sincronizzato. Per la diagnosi di insonnia primaria devono inoltre essere esclusi altri disturbi del sonno evidenziabili allo studio polisonnografico. La valutazione della microstruttura ipnica permette di esprimere gli aspetti qualitativi del sonno in modo migliore rispetto all’analisi della sola macrostruttura. Terzano e collaboratori hanno individuato, nell’ambito delle diverse fasi di sonno NREM, il tracciato alternante ciclico o CAP, caratterizzato da un regolare susseguirsi di sequenze di cicli CAP, ciascuno di essi rappresentato da una fase A, espressa dal breve alleggerimento del sonno (ricomparsa dell’attività alfa, sequenze di complessi K o di onde lente di ampio voltaggio) e da una fase B, caratterizzata dal ripristino dell’attività EEG propria di quella fase. La successione di più cicli CAP, ciascuno costituito da fase A+B, viene definita sequenza di CAP. La fase A del CAP può essere poi suddivisa in tre sottotipi: fase A1 (quando dominano i grafoelementi che esprimono sincronizzazione), fase A2 (quando vi è una ripartizione bilanciata tra i grafoelementi in sincronizzazione e in desincronizzazione) e fase A3 (quando vi è una prevalenza di grafoelementi in desincronizzazione). Il CAP rate (o indice di CAP) si ottiene dividendo il tempo totale di tracciato CAP per il tempo di sonno NREM espresso in percentuale. I valori di CAP rate compresi tra 30% (giovani adulti) e 50% (anziani) sono compatibili con un sonno ritenuto soggettivamente soddisfacente. Di fronte ad una situazione in grado di determinare una perturbazione del sonno, si assiste ad un aumento dell’indice di CAP in tutte le fasi di sonno NREM iniziando dal sonno profondo che per primo risente del disturbo, mentre in un secondo momento, se il disturbo del sonno assume carattere di maggior gravità, si avrà ad una riduzione percentuale di queste fasi. Le modificazioni della microstruttura del sonno riflettono meglio i suoi aspetti qualitativi, pertanto possono essere utilizzate, accanto alle variazioni più propriamente quantitative della macrostruttura ipnica, nella valutazione dell’efficacia dei farmaci ipnotici potenzialmente in grado di ridurre il CAP rate aumentato in corso di disturbo del sonno. 8 TERAPIA NON FARMACOLOGICA DELL’INSONNIA La Consensus Conference (Terzano et Al., 2005) nata dall’esigenza di fornire ai clinici uno strumento realmente utilizzabile nell’attività quotidiana per la gestione diagnostica e terapeutica dell’insonnia propone le seguenti linee guida tertapeutiche: • l’insonnia dovrebbe essere sempre diagnosticata se il paziente si lamenta spontaneamente e trattata sebbene non espressamente richiesto; • l’insonnia dovrebbe essere sempre ricercata e trattata in concomitanza di patologie psichiatriche e internistiche; • l’insonnia dovrebbe essere sempre ricercata in concomitanza di disturbi dell’umore; • l’insonnia può essere gestita prevalentemente dal MMG; • la causa di insonnia dovrebbe sempre essere ricercata ai fini della gestione diagnostica e terapeutica; • è preferibile utilizzare ipnotici a emivita breve; • è preferibile utilizzare ipnotici non-benzodiazepinici per la maneggevolezza. Gli ipnotici benzodiazepinici devono essere indicati in situazioni specifiche; • in caso di depressione è preferibile utilizzare gli ipnotici non- benzodiazepinici; • è preferibile utilizzare gli ipnotici con formulazione in compresse; • l’evoluzione dell’insonnia e della sua terapia deve essere rivalutata nel tempo; • l’autogestione della terapia deve essere sconsigliata ed evitata; • in caso di inefficienza del farmaco ipnotico la dose consigliata non deve essere aumentata, ma bisogna modificare la terapia o rivalutare la diagnosi. Il trattamento previsto è dunque prevalentemente farmacologico e molto spesso le condizioni dei pazienti richiedono questo tipo di intervento. Negli anni, però, sono state elaborate ed hanno dimostrato la loro efficacia numerose terapie di tipo non farmacologico (esposizione alla luce, melatonina, tecniche di rilassamento, controllo dello stimolo, regole di igiene del sonno, terapia cognitiva, biofeedback, restrizione del sonno). 9 In letteratura, numerose pubblicazioni consigliano, come primo approccio, una terapia psico-comportamentale (Chesson et Al., 1999; Morin et Al., 1999; Petit et Al., 2003; C.M. Morin e C. Espie, 2004; Morgenthaler et Al., 2006; Morin et Al., 2006). In queste pubblicazioni, si nota l’evoluzione dei trattamenti non farmacologici considerati inizialmente efficaci solo per l’insonnia primaria e successivamente validi anche per l’insonnia secondaria. L’approccio farmacologico viene introdotto quando questi trattamenti non siano riusciti ad alleviare l’insonnia in modo sufficiente, oppure quando sia giustificata una terapia sintomatica più immediata. Talvolta vengono invece associati alla terapia farmacologica per potenziarne gli affetti o nel caso in cui si voglia sospendere il farmaco in caso di dipendenza sia fisica che psicologica (Morin e Espie, 2004). I trattamenti non farmacologici sono poi indicati per quelle persone restie all’utilizzo dei farmaci, anche se potrebbero trarre benefici da un ausilio farmacologico occasionale. I trattamenti non farmacologici prevedono l’utilizzo di differenti metodiche, tra cui: A. regole di igiene del sonno B. restrizione di sonno C. controllo dello stimolo D. tecniche di rilassamento E. terapia cognitivo-comportamentale F. terapia cognitiva G. terapia multicomponenziale H. trattamento self-help Igiene del sonno Una corretta igiene del sonno costituisce il presupposto essenziale per il trattamento dell’insonnia indipendentemente dall’adozione di altri approcci terapeutici. Il termine “sleep hygiene” (SH) viene usato per la prima volta da Peter Hauri (1981) per aiutare i pazienti a migliorare il proprio sonno; esso si riferisce a tutti quei comportamenti che vengono considerati come promotori di una quantità e qualità del sonno più efficiente. Alcune di queste regole derivavano da studi 10 scientifici che riguardano gli effetti della caffeina o dell’alcool sul sonno; altre provengono dall’osservazione clinica di Hauri su pazienti che presentavano un sonno non ristoratore. Qui di seguito sono riportate le regole originali (Stepanski e Wyatt, 2003): 1. Dormire quanto è necessario a sentirsi sani e riposati durante il giorno seguente, ma non di più. Ridurre un poco il tempo a letto, sembra accrescere la qualità del sonno; per contro, spendere tempo a letto eccessivamente, sembra correlato ad un sonno frammentato e superficiale. 2. Una sveglia regolare al mattino sembra rafforzare il ritmo circadiano e alla fine conduce a una regolare attivazione del sonno. 3. Una quantità giornaliera equilibrata di esercizio fisico probabilmente riduce il sonno a lungo andare, ma l’esercizio occasionale non influenza direttamente il sonno durante la notte successiva. 4. Rumori forti occasionali possono disturbare il sonno. Attenuare il suono nella stanza, è consigliabile per le persone che sono costrette a dormire vicine ad un rumore eccessivo. 5. Nonostante una stanza eccessivamente calda disturbi il sonno, non ci sono evidenze che una stanza eccessivamente fredda rinforzi il sonno, come è stato sostenuto. 6. L’appetito può disturbare il sonno. Un leggero snack prima di coricarsi (soprattutto un latte caldo o bevande simili) sembra aiutare il sonno di molti individui. 7. Una farmaco occasionale per il sonno può apportare qualche beneficio, ma l’uso cronico di ipnotici è inefficace e deleterio in alcune persone insonni. 8. Caffeina alla sera disturba il sonno, persino in quelle persone che non avvertono un suo effetto. 9. L’alcool può aiuta le persone tese ad addormentarsi facilmente ma il sonno successivo risulta frammentato. 11 10. Piuttosto che provare insistentemente a prendere sonno durante una notte, accendere la luce e fare qualcos’altro può aiutare quelle persone che si innervosiscono, che si sentono frustrate o tese per il non riuscire a dormire. Queste regole si presentano oggi più aggiornate; in particolare sono presenti maggiori informazioni riguardo il ruolo dell’alimentazione: sono sconsigliati pasti serali ipercalorici o comunque abbondanti e ad alto contenuto di proteine (carne, pesce), in quanto queste rendono più difficile l’assorbimento del triptofano, un amminoacido che entra nella sintesi della serotonina, sostanza che ha un ruolo importante nella regolazione del sonno. La dieta a base di zuccheri (amidi del riso e della pasta, fruttosio, saccarosio) favorisce l’insorgenza e il mantenimento del sonno facilitando l’assorbimento di questo aminoacido. In aggiunta a queste indicazioni, ve ne sono altre più specifiche rispetto alla versione originale che riguardano la stanza in cui si dorme. Questa non dovrebbe ospitare altro che l’essenziale per dormire: è quindi sconsigliabile collocare nella camera da letto televisore, computer, scrivanie, per evitare di stabilire legami tra attività non rilassanti e l’ambiente in cui si deve invece stabilire una condizione di relax, che favorisca l’inizio ed il mantenimento del sonno notturno. La stanza in cui si dorme dovrebbe inoltre essere sufficientemente buia, silenziosa e di temperatura adeguata (evitare eccesso di caldo o di freddo). Per quanto riguarda le raccomandazioni relative alla possibilità di concedersi sonnellini diurni, se ne concede uno, breve e postprandiale, evitandoli invece dopo cena, nella fascia oraria prima di coricarsi. In questa fascia temporale, è inoltre sconsigliato l’esercizio fisico di media-alta intensità (per es. palestra), per contro auspicabile nel tardo pomeriggio; così come il bagno caldo serale non dovrebbe esser fatto nell’immediatezza di coricarsi ma a distanza di 1-2 ore. Molto importante è l’osservanza di orari regolari e costanti, in cui coricarsi la sera ed alzarsi al mattino, il più possibile consoni alla propria tendenza naturale al sonno; a questo, si aggiunge il consiglio di non protrarre eccessivamente il tempo trascorso a letto di notte, anticipando l’ora in cui coricarsi e/o posticipando l’ora in cui alzarsi al mattino. Queste ultime due raccomandazioni sono utili alla regolazione e al mantenimento di un buon ritmo circadiano del sonno. 12 Esistono numerose versioni delle regole sull’igiene del sonno che presentano diverse aggiunte e modifiche rispetto alla lista originale. In alcune, gli specialisti del sonno hanno adottato le istruzioni della SH in modo più limitato, focalizzandosi solo su quegli aspetti dell’ambiente che riguardano il sonno, gli effetti degli esercizi e l’uso di caffeina, alcool e nicotina. Questa versione è definita come un approccio psico-educazionale al trattamento dell’insonnia. Altre versioni prevedono aspetti cognitivo-comportamentali più complessi; questi sono, peraltro, oggi impiegati come trattamenti più specifici per l’insonnia, come il metodo della restrizione del sonno e il controllo dello stimolo. La restrizione del sonno (Sleep Restriction Therapy, SRT) è nata, infatti, proprio da uno sforzo di Spielman, Saskin sistematicamente l’efficacia delle e Thorpy finalizzato regole della SH per il a studiare trattamento dell’insonnia (Spielman et Al., 1987). Nonostante la SRT abbia avuto origine dalle regole della SH, le versioni correnti dell’igiene del sonno includono spesso solo quegli elementi che sono unici e che non sono parte di questi altri approcci terapeutici. Di conseguenza, le versione attuali della SH sono meno sofisticate e rappresentano un trattamento meno rigoroso rispetto alle regole originali di Hauri. Quest’ultime, così come egli le aveva concepite, richiedono chiaramente, per una piena realizzazione, un trattamento cognitivo- comportamentale complesso; per tale ragione le regole dell’igiene del sonno sono spesso incluse come parte di questi programmi terapeutici. Attualmente si discute l’esatta definizione di queste regole: in letteratura non vi è un consenso unanime che stabilisca con chiarezza quali siano le regole esatte della SH; questo è dovuto proprio alle numerose versioni e modifiche apportate dagli stessi clinici, che a seconda del disturbo riportato dal paziente, si concentrano sull’attuazione di solo alcune delle regole contemplate dalla SH. Nonostante questa diatriba, gli specialisti del sonno raccomandano comunemente la SH per il trattamento di pazienti affetti da insonnia. In particolare le regole dell’igiene del sonno risultano indicate per le persone a cui è stata fatta una diagnosi di insonnia psicofisiologica, di inadeguata igiene del sonno, di insonnia associata a disturbi d’ansia, di sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno, di sindrome da sonno ritardato o di insonnia dovuta a un disturbo dell’umore. Anche l’insonnia comportamentale dell’infanzia che può esser determinata da ritmi biologici alterati, può trovare un equilibrio seguendo 13 proprio le raccomandazioni dell’igiene del sonno. In linea generale, l’igiene del sonno può esser concepita come una guida a “stili di vita” e comportamenti che contribuiscono alla creazione di un pattern del sonno sano e regolare. Per queste ragioni, l’applicazione dei suoi principi in uno stile di vita già salutare può prevenire l’insorgere di problemi relativi al sonno (Morin ed Espie, 2004). Le raccomandazioni per un’adeguata igiene del sonno sono indicate in particolare per quegli individui, il cui disturbo di insonnia sembra correlato alla mancata osservanza di tali regole. Sia i soggetti sani che i pazienti insonni conoscono le regole per un’adeguata igiene del sonno, anche solo secondo il buon senso comune, la differenza consta nell’adesione o meno a tali raccomandazioni. Per esempio, sebbene i pazienti insonni sappiano che la caffeina ostacoli il sonno, questi sono molto più propensi dei buoni dormitori a consumare nella serata bevande contenenti caffeina. Un’altra ragione che sembra discriminare i due tipi di popolazione, quelli insonni verso i buoni dormitori, viene ricondotta ai fattori predisponenti l’insonnia. Per tale ragione, alcuni soggetti dovrebbero esser più attenti e protettivi verso il proprio sonno ed essere maggiormente istruiti sulle regole della SH; in questi casi l’igiene del sonno può esser considerata un’ottima prevenzione. Stepansky e Wyatt nel 2003 hanno studiato come tali pratiche influiscano sul sonno dei soggetti normali, ovvero che non presentano un disturbo del sonno Stabilire orari in cui ci si corica e in cui ci si sveglia, regola e mantiene il ritmo circadiano del sonno. Quest’ultimo rappresenta uno dei numerosi ritmi biologici presenti nel nostro organismo: quelli che hanno una durata di 24 ore, sono detti circadiani (“relativi al giorno” inteso di 24 ore), quelli che hanno una durata superiore o inferiore, rispettivamente ritmi infradiani e ritmi ultradiani. Il ritmo circadiano del sonno è regolato da un “orologio interno”, un pacemaker endogeno, individuato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo: ad esso giungerebbero afferenze dirette provenienti dal tratto ottico (fibre retinoipotalamiche) che trasportano dalla retina informazioni sulla condizione di luce/buio; quest’ultime sarebbero responsabili delle oscillazioni nel rilascio di neurotrasmettitori o di ormoni quali la melatonina, la quale agisce modulando i circuiti del tronco dell’encefalo, che a loro volta controllano il ciclo sonnoveglia (Purves et Al., 2004). I neuroni del nucleo soprachiasmatico mantengono un’attività di scarica che oscilla regolarmente nelle 24 ore, anche quando il 14 nucleo è stato isolato dal tessuto nervoso circostante. Pertanto esso è considerato un generatore autonomo del ritmo circadiano. È noto che variabili esterne, quali la luce e la temperatura, si impongono sul ritmo endogeno: questo processo viene definito entrainment. Tali variabili, in grado di regolare i ritmi circadiani, sono chiamate agenti di entrainment o Zeitgeber (dal tedesco Zeit = tempo e Geber = dispensatore). A seguito della modulazione circadiana ed omeostatica del sonno, non sorprende che l’abitudine di concedersi dei sonnellini durante la giornata comporti un effetto sul sonno della notte successiva. Questi infatti riducono il debito di sonno per la notte ed aumentano la latenza di sonno: ciò non significa che tali “riposini” non abbiano delle applicazioni potenziali positive. Essi infatti risultano benefici nell’attenuare i decrementi nelle attività mentali associate a perdite di sonno tipiche di alcune professioni in cui può esserci una diminuzione del riposo, come i piloti di linea o i turnisti. In queste circostanze i sonnellini sono efficaci per recuperare il debito di sonno, ma in condizioni normali sono considerati deleteri e dannosi per il sonno della notte successiva. La caffeina è la sostanza più comunemente usata per promuovere la veglia e combattere la sonnolenza. Essa infatti blocca i recettori dell’adenosina nel sistema nervoso centrale (CNS). L’adenosina è stata riconosciuta come una sostanza endogena che induce il sonno e sembra seguire il corso omeostatico del sonno. L’adenosina aumenta nel corso della veglia prolungata e perciò la caffeina agisce per contrastare questo processo. Sono stati già presentati gli effetti del suo consumo eccessivo nel secondo capitolo relativamente all’insonnia dovuta a farmaci o a sostanze; nei soggetti sani invece l’assunzione controllata di caffeina comporta degli effetti moderati, implicando talora una maggiore latenza di sonno e qualche intrusione di risvegli infrasonno. L’alcool è considerato come un soppressore del sonno REM notturno. Inoltre, l’assunzione di sostanze alcoliche a sei ore di distanza dall’ora in cui ci si corica, sembra condurre ad una frammentazione del sonno nella notte successiva. Alcuni individui utilizzano l’alcool come ipnoinducente, poiché accorcia i tempi di latenza del sonno come è stato dimostrato attraverso il MSLT; tale effetto non si è tuttavia riscontrato nei soggetti che non presentano disturbi del sonno (Stepansky e Wyatt, 2003). 15 I recettori nicotino-colinergici sono presenti in molte regioni del cervello, ma rimane incerto quali di questi siano importanti per gli effetti della nicotina sul sonno e sull’attenzione diurna. Si parla poco in letteratura degli effetti della nicotina sul sonno dei non fumatori. Per contro, si è riscontrato che nei fumatori, la sospensione di nicotina comporta una frammentazione del sonno e che uno degli effetti collaterali, conseguente alla sua sostituzione con il cerotto, è l’insonnia. È stato sostenuto che l’esercizio fisico potesse svolgere un ruolo importante nell’aumentare il debito di sonno o sollecitare l’inizio del sonno. I dati sono decisamente controversi. C’è poca evidenza del fatto che l’esercizio praticato nel primo mattino possa davvero influire sui parametri del sonno: una breve attività fisica può accrescere significativamente i tempi di latenze del sonno nel MSLT. Piuttosto, praticare esercizio fisico nell’ultima parte della giornata sembra incrementare il debito di sonno, come avvalorano le percentuali delle onde lente e il tempo totale di sonno, ma l’esercizio praticato vicino all’ora del coricamento può ritardare l’inizio del sonno (Stepanski, 2003 e Hood et Al., 2004). Molti studi hanno dimostrato come l’aumento della temperatura corporea, raggiunta con l’aiuto di bagni caldi, i cosiddetti “passive body heating”, prima di coricarsi a letto, possa favorire la propensione all’addormentamento sia nei soggetti normali che in quelli affetti da insonnia (Stepansky e Wyatt, 2003). Considerando infatti i cambiamenti della temperatura corporea e la facilitazione del sonno, ci sono dati che mostrano come all’aumento della temperatura distale corrisponda un decremento della temperatura centrale: questo determina un inizio del sonno più veloce, dovuto proprio a questo intenso calo della temperatura centrale. La temperatura si abbassa gradualmente durante il sonno per raggiungere i valori più bassi al mattino (fra le h.4.00 e le h.6.00); i valori più alti vengono invece raggiunti nel tardo pomeriggio (tra le h.16 e le h.18). Tuttavia, a causa di una cattiva igiene del sonno, se si inverte il ritmo sonno-veglia, l’inversione del ritmo circadiano della temperatura corporea si attua con estrema lentezza, per cui i valori più bassi continuano ad osservarsi a lungo nelle ore notturne quando il soggetto è sveglio e i più alti nel pomeriggio, quando egli tenta eventualmente di dormire. 16 In letteratura si è molto discusso se considerare l’efficacia delle raccomandazioni dell’igiene del sonno come un unico approccio terapeutico per il trattamento dell’insonnia (Chesson et Al., 1999, Stepanski et Al., 2003, Morin et Al. 1999, Friedman et Al., 2000). Alla fine degli anni novanta, Chesson e collaboratori stabiliscono che non esiste sufficiente evidenza per raccomandare la SH come unico trattamento per l’insonnia e che, inoltre, non vi sono sufficienti dati per valutare se le regole dell’igiene del sonno siano efficaci unitamente ad altri trattamenti (Chesson et Al., 1999). Morin e collaboratori nello stesso anno affermano che la scarsa igiene del sonno non costituisce la causa primaria di insonnia, di conseguenza il solo utilizzo di tali regole non risulta efficace come trattamento terapeutico ma molto utile da un punto di vista educativo, come riportato in precedenza per i bambini e per i soggetti predisposti a sviluppare un disturbo del sonno. Un lavoro di Stepanski e collaboratori (2003), sull’uso della sleep hygiene, considera l’igiene del sonno non efficace come un unico approccio terapeutico. In un altro studio Friedman e collaboratori (2000) mostrano come vi siano scarse differenze tra i tre tipi di interventi terapeutici da loro analizzati: restrizione del sonno in unione a igiene del sonno, restrizione del sonno modificata con un sonnellino pomeridiano ogni giorno e igiene del sonno da sola. I soggetti a cui era stata assegnata la sola SH, come trattamento di controllo, mostrano miglioramenti nel TST, SE, SOL e WASO; tali risultati, non si discostano in maniera significativa rispetto alla restrizione del sonno. In questo caso, gli Autori anziché attribuire una scarsa efficacia alla SH, avvalorano l’ipotesi che l’igiene del sonno possa rappresentare un trattamento attivo, terapeutico, somministrabile anche singolarmente. Uno studio di Hoch et Al. (2001), conclude dimostrando l’efficacia della SH. Esso è nato dall’esigenza di studiare come migliorare il sonno degli anziani, la cui carenza è vista come causa di numerosi fattori debilitanti e invalidanti fisicamente e come generatori di patologie che autoalimentano il circolo vizioso dell’insonnia. Lo studio propone due interventi: restrizione del sonno modificata e igiene del sonno. Il campione era costituito da 21 soggetti anziani senza disturbi del sonno randomizzati: a un gruppo è stato assegnato come trattamento la SH assieme alla restrizione del sonno (modificata rispetto alla procedura generale: ad ogni notte, per otto settimane, si sono sottratti 30 minuti di sonno, ritardando l’ora del 17 coricamento a letto: p.es. andare a letto alle h.22.30, anziché alle h.22.00; inoltre fu loro consentito giornalmente un sonnellino pomeridiano di 30 minuti tra le h.14.00 e le h.16.00); all’altro gruppo era stata assegnata solo l’igiene del sonno. Il gruppo di persone a cui era stata somministrata la restrizione del sonno mostrarono un incremento delle onde lente durante il sonno ed inoltre un aumento medio nell’efficienza del sonno del 6.1% contro il 1.8% dei pazienti trattati con le regole della SH. Quest’ultimi invece riportarono un umore migliorato al risveglio mattutino. A seguito di questi risultati, gli Autori convengono sul ritenere che l’igiene del sonno sia associata ad un miglioramento nella sensazione di benessere al risveglio, mentre la restrizione del sonno sia correlata ad un incremento nell’efficienza di sonno. Restrizione del sonno La maggior parte delle persone sofferenti di insonnia, pensano che trascorrere del tempo a letto, tentando di dormire, possa condurre più facilmente all’addormentamento; questo comportamento, scorretto, viene considerato uno degli elementi perpetuanti l’insonnia. Su tale presupposto si fonda la restrizione del sonno (Sleep Restriction Therapy, SRT), nata dallo studio di Spielman, Saskin e Thorpy negli anni ottanta, i cui risultati furono pubblicati nel 1987. La procedura inizia con la valutazione del tempo totale di sonno (TST) che il paziente riporta in media ogni notte. Questo emerge dalla compilazione giornaliera del diario del sonno per le due settimane precedenti l’inizio del trattamento, eventualmente associato a registrazione actigrafica. A questo punto gli Autori calcolano il tempo da trascorrere a letto (TIB) durante il trattamento, che non dovrà mai essere inferiore alle 4.5 ore (Spielman et Al., 1987). Tuttavia tale limite è molto variabile e diverso in letteratura così come in clinica, spesso infatti si indicano almeno 5 ore per notte. Ai pazienti viene dunque prescritto di trascorrere a letto un periodo uguale alla durata del sonno soggettivo riferito: per esempio, per un soggetto che afferma di trascorrere 8 ore a letto, di cui ritiene di averne dormite 5, viene stabilito, per l’inizio del trattamento, un tempo di letto pari a 5 ore. L’orario del risveglio del mattino viene concordato col paziente in base alle sue esigenze sociali, mentre l’orario in cui deve coricarsi alla sera viene stabilito a scalare, sulle ore di sonno risultanti dal diario del sonno, compilato in precedenza. Il trattamento dura otto 18 settimane, non vengono effettuati incrementi nei primi 5 giorni. Dopo 5 giorni infatti, si calcola la media dell’efficienza di sonno (SE = TST/TIB x 100) degli ultimi 5 giorni e si procede come segue: • Se la media della SE≥ è90% si anticiperà di 15 minuti l’ora di addormentamento • Se la media della SE è ≤ 85% si diminuirà il TIB (comunque non prima di 10 giorni dall’inizio del trattamento) • Se la media della SE è < 90% e ≥85% il TIB rimane invariato L’unica aggiuntiva raccomandazione che viene data al paziente, oltre al rispetto degli orari stabiliti, è di non effettuare sonnellini pomeridiani o di coricarsi in orari che non siano quelli concordati. La riduzione del tempo trascorso a letto, anche se può sembrare paradossale per quei pazienti che tentano di dormire di più, mette in moto una serie di processi che favoriscono il sonno. Questo metodo crea una lieve-media deprivazione di sonno che promuove un più rapido addormentamento, un tempo di veglia ridotto durante la notte, un sonno più solido ed efficiente ed una minore variabilità internotte. Tuttavia prima di ottenere tali benefici, il paziente deve superare quattro ordini di problemi: I. L’imperativo principe del trattamento della restrizione del sonno -la riduzione del tempo a letto- appare controintuitivo per quei pazienti che dormono poco a cui viene chiesto di ridurre ulteriormente il TIB. II. L’incremento della sonnolenza diurna può scoraggiare l’adesione al trattamento da parte del paziente; per evitare eventuali abbandoni, alcuni propongono un breve sonnellino al giorno, di solito nel primo pomeriggio (Brooks et Al., 1993 e Brooks e Lack 2006). III. Talvolta i pazienti lamentano di non saper come occupare il tempo in attesa dell’ora stabilita per coricarsi o al mattino. IV. Alzarsi all’ora stabilita anche nei weekend, vincendo la tentazione di restare a letto. Questi aspetti sono state prese in considerazione da uno studio di Riedel e Lichstein (2001). Gli Autori ipotizzano che, anziché la deprivazione del sonno, sia la compliance al trattamento a determinare la sua efficacia. Infatti molti pazienti spesso non rispettano le raccomandazioni della SRT. Per tali ragioni, gli Autori propongono accanto al regime restrittivo del sonno, una maggiore 19 tolleranza alle richieste del paziente concentrandosi maggiormente sul momento di maggiore difficoltà riportato dal soggetto: per esempio, se un paziente non mostra difficoltà ad addormentarsi, ma riporta più fatica ad alzarsi al mattino, il focus attentivo del trattamento verterà sull’ora del risveglio. Inoltre se il paziente rifiuta di trascorrere un tempo minore a letto rispetto a quelle che lui considera le sue necessità, anche in tale circostanza si cerca di raggiungere un accordo. A parere degli Autori, l’efficacia della restrizione del sonno consta maggiormente nella compliance del paziente al trattamento, che prevede comunque un TIB ben circoscritto nell’arco della notte, ma non così deprivato come la SRT richiederebbe. Tali conclusioni derivano dal fatto che stabilire precisi orari per la sera e per la sveglia al mattino, piuttosto che un regime restrittivo del sonno, sia più accettabile da parte del paziente, tuttavia questo approccio non riporta dati attendibili che certifichino la sua efficacia tanto quanto la restrizione del sonno. Piuttosto, sembra più avvalorare alcune delle regole dell’igiene del sonno e del controllo dello stimolo che vogliono regolare e disciplinare il ritmo circadiano di un sonno alterato. Infatti il rimanere meno tempo a letto, toglie una buona parte di quegli stimoli condizionanti negativi che, come si è detto, originano nell’ambiente stesso in cui si dorme. Inoltre si toglierà all’insonne la cattiva abitudine di variare continuamente la lunghezza e la distribuzione del suo sonno nelle 24 ore. In alcuni casi il contatto quotidiano anche solo telefonico con i clinici che seguono il paziente nella cura costituisce pertanto una funzione di sostegno psicologico nella sua impresa e di aiuto a non desistere; inoltre, i benefici ottenuti sembrano compensare i disagi sostenuti. Si riporta un caso tratto dalla letteratura (Morin et Al., 1990). Una donna di 49 anni, divorziata, casalinga, ricoverata per depressione maggiore e dolore cronico. Una valutazione clinica riguardo il suo sonno, ha rilevato un disturbo ad iniziare e mantenere il sonno, associato a depressione maggiore e dolore cronico. È stata quindi trattata per la depressione con amitriptilina (150 mg). Tuttavia il disturbo del sonno permaneva, con associati dolori addominali, probabilmente causati dal diabete, diagnosticato nella valutazione medica. Per tali condizioni fisiche le sono stati prescritti diversi farmaci. Durante i primi 15 giorni di ospedalizzazione, la paziente dormiva per una media di 2.5-3 ore per notte, trascorrendo dalle 6 alle 8 ore a letto; talvolta 20 dormiva anche di giorno per una o due ore (tali osservazioni venivano fornite dai controlli delle infermiere). Durante il trattamento non le è stato concesso di dormire durante la giornata e le è stato detto di limitare il tempo nella sua stanza da letto. Per le prime tre notti, le sono state indicate, come tempo a letto (Time in Bed, TIB) 4 ore, tra le h.3.00 e le h.7.00 del mattino. Le infermiere sono state istruite a lasciare la paziente nella stanza da giorno fino all’ora stabilita per il coricamento e a svegliarla poi all’ora prevista dalla restrizione. Incrementata l’efficienza di sonno, le successive tre notti le è stato aumentato il TIB a 5 ore tra le h.2.00 2 le h.7.00 del mattino. Dopo aver raggiunto un’efficienza di sonno pari all’ 85%, le è stato concesso un TIB di 6 ore, tra le h.1.00 e le h. 7.00 del mattino. Questo orario è stato mantenuto per i successivi 4 giorni. Per i suoi ultimi due giorni di ospedalizzazione le sono state assegnate 7 ore di TIB tra le h.12.00 e le 7.00 del mattino. Prima della dimissione, è stato chiesto alla paziente di continuare a monitorare il suo sonno giornalmente almeno per 2 settimane, TIB sempre di 7 ore a meno che il tempo totale di sonno scendesse a 6 ore per notte. Quattro mesi dopo la dimissione dall’ospedale, le è stato nuovamente richiesto di compilare un diario del sonno per una settimana mantenendo gli ultimi parametri stabiliti. I risultati di quest’ultima indagine hanno riportato un significativo incremento nella qualità e quantità del sonno: 7 ore di sonno, con un TIB medio di 7.5 per notte e una SE del 93.5%. Il pattern del sonno è cambiato parallelamente ai miglioramenti dell’umore: la depressione, misurata con il BDI e il POMS-D, è scesa rispettivamente da un punteggio di 29 a 0 e da 30 a 0. Inoltre la paziente ha incrementato anche il suo punteggio nella scala del vigore, da 8 a 15, e diminuito il suo livello di fatica da 16 a 5. Questo esempio mostra come l’insonnia e la depressione fossero strettamente correlate, al punto tale che una risoluzione della prima ha comportato un beneficio più che significativo nella seconda. Inoltre questo caso è uno dei primi studi che documentano l’efficacia di una terapia non farmacologica per una paziente affetta da insonnia secondaria, nonostante si assuma generalmente che le condizioni di insonnia dovute a cause mediche o psichiatriche non rispondano positivamente a tali tipi di interventi comportamentali. Spielman e collaboratori (1987) avevano infatti compiuto il 21 loro studio su pazienti affetti per lo più da insonnia psicofisiologica, che secondo il DSM-IV viene classificata come primaria. Controllo dello stimolo L’analisi della letteratura sui trattamenti non farmacologici dell’insonnia indica che risultati molto significativi nella cura di questo disturbo, si ottengono in risposta alla “Stimulus Control Therapy”, SCT, (Chesson et Al., 1999). Tale tecnica prevede di ristabilire una connessione positiva tra i fattori correlati al momento di coricarsi e a un rapido addormentamento. Capita spesso che le persone insonni provino la frustrazione di rigirarsi nel letto cercando di prendere sonno: alla fine si crea un’associazione negativa tra i comportamenti precedenti il sonno e l’ambiente della stanza da letto, con la conseguente incapacità di addormentarsi. Le originali raccomandazioni proposte da Bootzin nel 1972, autore del trattamento, sono: 1. Coricarsi per dormire solo quando ci si sente assonnati. 2. Se non si è in grado di addormentarsi entro 10 minuti, alzarsi dal letto e dedicarsi ad alcune attività (leggere, mangiare, guardare la televisione, etc). ritornare a letto solo se assonnati, e ripetere questa procedura tanto quanto risulta necessario. 3. Utilizzare il letto solo per dormire e/o per attività sessuali. 4. Non concedersi alcun sonnellino. 5. Alzarsi alla stessa ora ogni giorno. Il controllo dello stimolo risulta particolarmente indicato per l’insonnia psicofisiologica, quando il letto e la camera da letto, hanno perso la loro peculiare abilità di evocare il sonno, trasformandosi invece in stimoli condizionati per l’attivazione di uno stato di vigilanza, inibendo perciò l’addormentamento. Inoltre tale approccio si dimostra efficace nel trattamento delle difficoltà di addormentamento -sleep onset insomnia- (Zwart e Lisman, 1979) e nel mantenimento del sonno -sleep maintenance insomnia(Morin e Azmir, 1987). Quest’ultima viene trattata in uno studio di Hoelscher ed Edinger (1988), mediante un “approccio multicomponenziale” all’insonnia (vedi dopo), costituito dalla somministrazione congiunta dei tre trattamenti non farmacologici esaminati fino ad ora: l’igiene del sonno, la restrizione del sonno 22 ed il controllo dello stimolo. Nonostante il campione sia molto piccolo, solo 4 soggetti, merita riportare i risultati, che mostrano una modesta riduzione della WASO del 50%, importante rispetto all’oggetto di studio, e nonostante il TIB fosse stato ridotto di solo un’ora per notte, si nota un TST assestato anche a distanza di 2 e 6 mesi alla fine del trattamento. Tecniche di rilassamento L’insonnia, come è stato detto, è un disturbo che può essere condizionato da fattori psicologici; molti, infatti, sono i soggetti insonni che non riescono ad addormentarsi perché ansiosi o tesi. Per tale ragione, le tecniche di rilassamento propongono di ridurre l’arousal fisiologico, in modo da attivare i normali meccanismi che promuovono il sonno. Si distinguono 4 tecniche di rilassamento: rilassamento muscolare progressivo, biofeedback, training immaginativo e training autogeno. I primi due vengono analizzati molto bene in uno studio di Nicasso et Al. (1982) per il trattamento di insonnia cronica a tipo disturbo dell’addormentamento. Questi stabiliscono 4 condizioni sperimentali: rilassamento muscolare progressivo, biofeedback elettromiografico, gruppo placebo e gruppo non trattato. Nel primo, venivano date ai soggetti le istruzioni di tendere e poi rilassare progressivamente i muscoli relativi al torace, poi braccia e gambe, collo e spalle, a seguire viso, mascelle e fronte, gambe e piedi e alla fine concentrandosi sul corpo nel suo insieme. Nel compiere questo esercizio, i soggetti venivano istruiti a distinguere tra vari livelli di tensione e rilassamento muscolare. A casa invece, i pazienti esercitavano la tecnica in 2 sessioni giornaliere di 30 minuti, l’ultima a letto in attesa dell’addormentamento. I soggetti assegnati alla seconda condizione, sono stati forniti di un feedback che riguardava il livello di tensione del muscolo della loro fronte. Mentre giacevano in un lettino, i soggetti si concentravano su un suono metallico proveniente da un contatore elettromeccanico; questo variava nella frequenza in accordo con il livello di tensione del loro muscolo frontale. Si diceva inoltre ai soggetti di rilassarsi concentrandosi sulle sensazioni fisiche e sulle esperienze mentali che sembravano ridurre la frequenza del segnale del biofeedback. In alternativa, i terapeuti non suggerivano nessuna strategia specifica per ridurre lo stimolo di feedback. 23 Il gruppo placebo riceveva anch’esso un feedback elettromiografico ma falso: mentre il livello di tensione reale dei soggetti era monitorato, il terapeuta manipolava il feedback riducendo gradualmente la frequenza del segnale proveniente dal contatore durante il corso della seduta. Alla fine di questa, i terapeuti mostravano ai soggetti di come “fossero riusciti a ridurre drasticamente la loro tensione” (si portava la frequenza del contatore a metà rispetto l’inizio della seduta). Come negli altri due gruppi, si diceva ai soggetti di applicare a casa l’esercizio che “avevano imparato” in laboratorio. Il rilassamento progressivo ed il biofeedback EMG hanno condotto ad una significativa riduzione sia nella latenza di sonno che nella sintomatologia depressiva (depressione ed ansia accompagnano spesso la difficoltà di addormentarsi). Tuttavia, quando entrambi i trattamenti sono stati confrontati con il gruppo placebo, non sono emerse significative differenze riguardo la medesima misura della latenza di addormentamento. A fronte di tali miglioramenti nel gruppo di controllo, gli Autori suggeriscono che le aspettative, relative alla capacità di rilassarsi, possano contribuire all’efficacia terapeutica delle strategie di rilassamento. In uno studio di Lichstein del 2001, si confrontano le tecniche di rilassamento con la restrizione del sonno, modificata rispetto alle regole originali in quanto è stata concessa la possibilità di un sonnellino pomeridiano di massimo 30 minuti entro le h14. In tale studio la terapia di rilassamento (REL) consisteva nell’indurre un atteggiamento rilassato, effettuando cinque profondi e lenti sospiri compreso un sussurrato “relax”, esaminando il corpo in parti sequenziali mentre ci si concentrava sulle sensazioni di rilassamento, rilassamento passivo, ed infine pronunciando ripetitivamente in modo silenzioso e lento la frase autogena “Sono in pace, le mie braccia e le mie gambe sono calde e pesanti”. Il paziente veniva istruito sulla conduzione di tale metodo durante la prima seduta terapeutica. Le successive (durata del trattamento 2 settimane, con 6 sedute individuali per settimana) erano volte a rifinire la tecnica dei pazienti e per risolvere qualsiasi problema essi riportassero. Questi inoltre erano invitati a praticare questo trattamento anche a casa, due volte al giorno, l’ultima a letto prima di addormentarsi. I soggetti, anche in questo caso affetti da insonnia primaria, che prima della terapia lamentavano stanchezza durante la giornata, hanno risposto meglio 24 alla tecnica del rilassamento: gli Autori infatti hanno proposto che tali individui necessitassero di dormire di più e la REL risultava efficace proprio nel facilitare l’addormentamento. Per contro, gli individui con un basso livello di stanchezza diurna, mostravano una significativa responsività alla restrizione del sonno: questi infatti avevano bisogno di consolidare il proprio sonno. La REL si è dimostrata utile per entrambi i tipi di pazienti, ma i risultati nel follow-up del gruppo “alta stanchezza” hanno riportato una maggiore SE rispetto al gruppo “bassa stanchezza”. Anche in uno studio di Friedman e Bliwise (1991), dove si confrontavano gli effetti della restrizione del sonno vs quelli della tecnica di rilassamento muscolare, si sono ottenuti risultati simili: entrambi i trattamenti efficaci nella riduzione della latenza del sonno e nei risvegli notturni, così come nel tempo totale di sonno al follow-up. In questo caso però i risultati conseguenti la restrizione del sonno erano due volte migliori di quelli ottenuti con la terapia di rilassamento. Per quanto le tecniche di rilassamento si siano dimostrate utili nella facilitazione del sonno, lo studio di Means e collaboratori sottolinea che talvolta, nonostante si sia riusciti a migliorare i parametri del sonno, non si riesca ad estinguere i problemi diurni che l’insonnia primaria comporta (Means et Al., 2000). In questo studio gli Autori hanno somministrato la tecnica di rilassamento muscolare progressivo a un gruppo di studenti insonni ed a un gruppo di studenti non insonni. I soggetti hanno ricevuto il trattamento in tre sedute individuali da 3 a 7 giorni di distanza (il trattamento è durato 3 settimane). Durante ogni incontro, si chiedeva al paziente di chiudere gli occhi e di assumere una confortevole posizione seduta in una stanza buia. Il terapeuta guidava il paziente nel concentrarsi sulle sensazioni corporee durante un’induzione di 15-20 minuti. Per valutare l’effetto del rilassamento, gli studenti giudicavano il proprio stato su una scala a 10 modalità (1 = molto sveglio ed agitato, 10 = completamente e profondamente rilassato) prima e dopo il trattamento. Anche in questa circostanza, gli studenti dovevano replicare a casa, due volte al giorno, di cui una a letto, gli esercizi di rilassamento appresi durante le sedute. In aggiunta a questo, i soggetti dovevano completare un diario in cui annotare il giorno, quante volte e per quanto tempo si era praticata la terapia. Gli studenti insonni, trattati con questo approccio terapeutico, sono migliorati in diversi parametri del sonno: WASO, SE e SQ. Migliorarono inoltre i livelli nella scala di 25 Epworth (ESS), nella IIS, nella “Penn State Worry Questionnaire” (PSWQ), una scala autosomministrata a 16 item studiata per misurare il livello di ansia/preoccupazione. Nonostante questi esiti positivi, non vi è stato un significativo miglioramento nel funzionamento diurno: una soluzione che gli Autori hanno proposto a tale insuccesso, riguardava la breve durata del trattamento; essi hanno ipotizzato che una terapia più lunga possa risolvere anche i problemi relativi al funzionamento diurno, come ad esempio la stanchezza. Il training autogeno consta semplicemente in una combinazione del rilassamento muscolare e delle tecniche immaginative. Quest’ultime comportano la visualizzazione di alcune immagini neutre e/o piacevoli per concentrarsi puramente sulle loro proprietà descrittive. Questa tecnica è stata studiata a confronto con il controllo dello stimolo, il quale si è dimostrato più efficace nel ridurre la frequenza e la durata dei risvegli notturni (Morin e Azmir, 1987). Tuttavia anche il training immaginativo ha sortito un effetto positivo su questi due parametri, risultando migliore, a lungo termine, per quanto riguarda la durata dei risvegli. Nello studio di Rosen e collaboratori (2000) i soggetti dovevano immaginare ad occhi chiusi alcuni oggetti (una lampadina, una lavagna, un bicchiere, un aquilone, una candela, un cesto di frutta) e focalizzarli con la massima attenzione possibile. Ogni oggetto doveva esser visualizzato in sequenza per 2 minuti. È stato detto ai pazienti di esercitarsi a casa praticando questo tipo di esercizio e di ripetere la sequenza due volte al giorno, per un totale di 15 minuti; accanto a queste istruzioni, è stata aggiunta la raccomandazione di effettuare diversi e profondi respiri all’inizio di ogni sessione. Il training immaginativo viene utilizzato come una strategia per combattere sia l’intrusione di pensieri negativi che le difficoltà di addormentamento, caratteristiche dell’insonnia psicofisiologica. In conclusione, sembra che le tecniche di rilassamento riducano la latenza di sonno e i risvegli notturni e migliorino complessivamente la qualità del sonno. Si è inoltre dimostrato che tali tecniche favoriscono la continuità del sonno e la riduzione dell’uso di ipnotici nei pazienti anziani in cura farmacologica (Rosen et Al., 2000). 26 Terapia cognitivo-comportamentale Dopo aver considerato i benefici dei trattamenti non farmacologici sopra descritti, si pone ora l’attenzione su un tipo di approccio terapeutico, concepito per neutralizzare i meccanismi cognitivi e/o comportamentali responsabili dell’insonnia primaria. Le terapie cognitivo-comportamentali si avvalgono di più trattamenti che di solito vengono consigliati come unica terapia. Tuttavia in letteratura si riporta la difficoltà nel determinare quali siano i trattamenti da includere in una terapia cosiddetta “cognitivo- comportamentale”, CBT, (Wang et Al., 2005). L’American Academy of Sleep Medicine Report (Morgenthaler et Al., 2006) considera le terapie cognitivo-comportamentali una combinazione di interventi sia cognitivi che comportamentali: i primi propongono di cambiare le convinzioni e gli atteggiamenti del paziente riguardo l’insonnia, mentre le componenti comportamentali includono terapie come il controllo dello stimolo, restrizione del sonno, tecniche di rilassamento e molto spesso l’igiene del sonno. Un’altra questione consiste nel considerare se questo tipo di trattamento sia valido come unica terapia ed efficace tanto quanto i trattamenti che vengono somministrati singolarmente (p.es. SCT, SRT, SH etc.). Questo problema è stato affrontato da uno studio condotto da Edinger e suoi collaboratori nel 2001). Gli Autori hanno incluso nella CBT l’educazione sul sonno, il controllo dello stimolo e la restrizione del sonno. La prima concerneva informazioni riguardo i bisogni del sonno, sul come la perdita del sonno influisca sul pattern del sonno-veglia,gli effetti dell’età, e i ritmi circadiani. L’intento era di confrontare la CBT con la tecnica del progressivo rilassamento muscolare (PRT), ipotizzando che la prima risultasse più efficace della seconda nell’ottenere miglioramenti più significativi, sia a breve che a lungo termine, relativi al sonno e ai suoi annessi sintomi soggettivi per pazienti affetti da insonnia primaria, cronica, a tipo disturbo nel mantenimento del sonno. Nello studio è inoltre presente un gruppo placebo (PT). La terapia cognitivo-comportamentale, in tale indagine, ha prodotto i migliori effetti sulla frammentazione del sonno. In media, i soggetti trattati con la CBT hanno riportato, alla fine del trattamento, una riduzione del 54% nel WASO, contro il 16% per i pazienti PRT ed il 12% per quelli PT. Inoltre, solo il gruppo CBT 27 ha mostrato incrementi soggettivi ed oggettivi nel sonno, come nella SE. Per quanto riguarda il TST, da una media di 5.5 ore per notte dei pazienti CBT, alla fine del trattamento, si è raggiunta una media di oltre 6 ore per notte, così come i punteggi relativi alla ISQ apparivano normalizzati. In conclusione, questo studio ha dimostrato che la sola somministrazione della terapia cognitivo-comportamentale, ha prodotto dei risultati statisticamente significativi nel migliorare i parametri del sonno dei pazienti affetti da insonnia primaria. Un altro punto oggetto di dibattito (Wang et Al., 2005) è stabilire il numero di sedute terapeutiche più efficace nell’ottenere una responsività significativa alla terapia CBT per il trattamento dell’insonnia primaria; a tal quesito, hanno cercato una risposta nuovamente Edinger e collaboratori (2007). È stato creato un disegno in cui si sono comparati gli effetti sia a breve e che a lungo termine di 1,2,4, e 8 sedute di CBT, distribuite lungo un periodo di 8 settimane. Gli Autori hanno proposto l’ipotesi che la condizione di 8 sedute avrebbe condotto a migliori risultati relativi al mantenimento del sonno e allo stato umorale, di quanto non avrebbero prodotto gli altri trattamenti abbreviati. Anche in questo studio, gli Autori hanno incluso nella CBT l’educazione sul sonno, la restrizione del sonno ed il controllo dello stimolo. I terapeuti coinvolti nello studio fornivano il trattamento attraverso sedute di terapia individuale. La prima seduta, per tutti i soggetti, durava 45-60 minuti, mentre le successive, che avrebbero ricevuto i pazienti assegnati alle altre condizioni che prevedevano più di un incontro, consistevano di 15-30 minuti. I partecipanti randomizzati alla CBT incontravano i loro terapeuti, a seconda della condizione sperimentale loro assegnata, una volta (solo la prima settimana), 2 volte (la prima e la quinta settimana), 4 volte (la prima, la terza, la quinta e la settima settimana) e 8 volte (ogni settimana) lungo il corso dello studio della durata di 8 settimane di terapia. Attraverso l’analisi dei risultati, restituiti dai diari del sonno, dall’actigrafo e dai questionari sui sintomi globali dell’insonnia (ISQ e “Sleep related Self-Efficacy Scale, SES), è stata confutata l’ipotesi di partenza: si è dimostrato infatti il più efficace, il trattamento che prevedeva la frequenza di 4 sedute di terapia. Questa condizione e quella costituita da una sola seduta, si sono rivelate paradossalmente più efficaci delle altre due (rispettivamente 2 e 8 sedute terapeutiche). Gli Autori hanno pensato che il modello di 4 sedute, 28 con un intervallo di due settimane tra ciascuna seduta, abbia potuto fornire un equilibrio ottimale tra la guida del terapeuta e l’indipendenza del paziente. Si considera infatti necessaria alla riuscita “l’autosufficienza” nella gestione dei propri problemi relativi al sonno, oltre che attenersi alle indicazioni previste dalla CBT: si è dedotto infatti che il trattamento di 4 sedute, con i suoi incontri bisettimanali, abbia rinforzato l’autosufficienza dal paziente e sia stata di aiuto per quelli che necessitavano del monitoraggio e della guida del terapeuta. Similmente accade per il trattamento di una sola seduta, la cui efficacia è stata vagliata anche dalle terapie cognitivo-comportamentali abbreviate, ACBT, ed autosomministrate, self-help treatment (vedi oltre). Un trattamento di 8 sedute sembra ostacolare l’indipendenza del paziente nel processo di assimilazione personale e il conseguente rispetto nel tempo alla terapia. Per quanto riguarda il trattamento da 2 sedute, il secondo incontro con il terapeuta, a 4 settimane di distanza dal primo, depisterebbe l’autosufficienza che il paziente si sarebbe costruito nell’intervallo tra i due colloqui. I trattamenti cognitivo-comportamentali approccio terapeutico, non ma vengono risultano solo anche impiegati come particolarmente unico efficaci nell’interrompere la dipendenza psico-fisiologica che molto spesso i pazienti manifestano nei confronti dei farmaci. Nella monografia di Morin ed Espie (2004) vengono fornite le linee guide per la conduzione del processo di sospensione graduale dal farmaco. In un lavoro dello stesso Morin e collaboratori (2004) viene invece dimostrata l’efficacia del CBT come ausilio per la cessazione del consumo di benzodiazepine in pazienti con insonnia cronica. Settantasei pazienti, consumatori cronici di benzodiazepine, sono stati randomizzati in tre condizioni di studio: 25 pazienti hanno ricevuto un programma di sospensione da farmaco con la riduzione progressiva, 24 sono invece stati trattati con il solo CBT e 27 con la sospensione graduale associata a CBT. Tutti e tre gli interventi hanno riportato significative riduzioni nella quantità (90%) e frequenza (80%) nell’uso del BDZ; il 63% dei pazienti ha sospeso completamente il farmaco nell’arco di una media di 7 settimane, i restanti hanno comunque ridotto il farmaco in modo clinicamente significativo. Entrambi i trattamenti con CBT hanno prodotto i migliori risultati nel processo di interruzione del farmaco, tuttavia quello combinato è risultato migliore per l’85% dei pazienti, contro il 54 % trattati con CBT ed il 48% con la sospensione 29 progressiva. Questi risultati sono stati mantenuti anche nel follow-up a 12 mesi, ma i miglioramenti relativi al sonno sono stati registrati solo dopo questo periodo in assenza di BDZ. È infatti importante informare il paziente che potrebbe intercorrere un tempo discreto tra la sospensione del farmaco e un sonno finalmente ristoratore. Talvolta la CBT viene associata ai trattamenti farmacologici per potenziarne gli effetti. A tal proposito, si riporta un recente lavoro (Manber et Al., 2008) che analizza una condizione molto frequente nella pratica clinica: depressione associata ad insonnia. I soggetti coinvolti nello studio erano tutti affetti dal disturbo depressivo maggiore (MDD) in cui, come molto spesso capita, l’insonnia non era più un suo sintomo ma era diventato un disturbo indipendente e concomitante al disturbo depressivo originale. Pertanto l’insonnia ostacolava e nascondeva gli effetti della risposta al trattamento antidepressivo. Gli Autori hanno dunque deciso di accostare, accanto al trattamento farmacologico dell’insonnia associata a depressione, anche quello cognitivo-comportamentale. I soggetti sono stati assegnati a due condizioni sperimentali: escitalopram (EsCIT) più sette sedute individuali di CBT vs EsCIT più CTRL (una CBT comprensiva di solo un’educazione sul sonno e di un’igiene del sonno per creare un campione di controllo). La CBT relativa alla prima condizione consisteva invece di educazione sul sonno, restrizione del sonno, controllo dello stimolo e terapia cognitiva. La prima condizione (EsCIT+CBT) ha prodotto una remissione della depressione nel 61.5% dei pazienti rispetto alla seconda condizione (EsCIT+CTRL) che riportava il 33% di remissioni. Il trattamento EsCIT+CBT è stato inoltre associato al miglioramento dell’insonnia (misurata attraverso actigrafi, diari del sonno e ISI) per il 50% dei pazienti contro il 7.7% in cura con EsCIT+CTRL. Questi risultati dimostrano l’efficacia della CBT per la cura del disturbo depressivo maggiore associato ad insonnia. Terapia cognitiva Questo tipo di terapia si rivolge soprattutto a quei pazienti affetti da insonnia primaria, in particolare dovuta a false convinzioni riguardo il proprio sonno, paradoxical insonnia, e a quei meccanismi, come l’iperarousal cognitivo, che rinforzano il disturbo come nell’insonnia psicofisiologica. In quest’ultimo caso, è stato già presentato come eventi stressanti possano costituire le cause dell’insonnia: talvolta il disturbo del sonno si risolve con l’attenuazione 30 dell’agente stressante o con l’adattamento a questo da parte del paziente. Tuttavia, le risposte individuali alle iniziali difficoltà del sonno, principalmente i comportamenti e le idee del soggetto, possono determinare la comparsa o meno di un disturbo cronico. L’insonnia ha maggiori probabilità di persistere nel tempo se una persona interpreta questo disturbo come un segno di pericolo di perdita di controllo e inizia a monitorare la carenza di sonno e a preoccuparsi delle sua conseguenze. Questi tipi di reazione cognitiva (per es., preoccupazione, aspettative irrealistiche, valutazioni errate) possono assumere il carattere disfunzionale e alimentare il circolo vizioso dell’insonnia persistente, delle alterazioni emotive e delle ulteriori turbe del sonno (Fig. 3.1). Figura 3.1 Circolo vizioso dell’insonnia persistente La terapia cognitiva si basa sull’assunto che emozioni negative, comportamenti maladattivi e sintomi fisiologici associati a disturbi psicologici sono per lo più l’effetto di cognizioni disfunzionali. Di conseguenza, una persona va incontro ad ansia o a depressione non a causa degli avvenimenti esterni o del mondo circostante, ma in seguito alla propria percezione e interpretazione di tali eventi. Analogamente, un individuo può presentare disturbi del sonno causati da eventi realmente stressanti, ma queste difficoltà 31 sono effettivamente esacerbate dal concetto personale dell’insonnia e delle sue conseguenze. Pertanto, l’obiettivo della terapia non consiste nel negare la presenza di disturbi del sonno, o minimizzare il loro impatto sulla vita di una persona, piuttosto si tratta di guidare il paziente nel considerare l’insonnia e le sue conseguenze da una prospettiva più realistica e razionale. Inoltre, poiché spesso i pazienti si considerano vittime dell’insonnia, uno scopo importante della terapia è rinforzare la loro sensazione di poter dominare e gestire le difficoltà legate al sonno e le loro conseguenze. La terapia cognitiva è un intervento psicoeducativo strutturato che si basa su un’ampia varietà di procedimenti, come rivalutazione, riattribuzione, ridimensionamento, deviazione dell’attenzione ed esame delle ipotesi. Il punto cruciale consiste nell’illustrare come l’interpretazione/giudizio personale di una determinata situazione possa modulare il tipo di reazione emotiva a tale situazione. Psicologo e paziente collaborano attivamente per cogliere la relazione fra pensieri, emozioni e comportamenti. La terapia comincia nell’individuare i pensieri disfunzionali del paziente riguardo il sonno. Molte persone non hanno consapevolezza di tali pensieri e della loro influenza sullo sviluppo di emozioni ansiose e disforiche. Dopodiché si passa ad incoraggiare il paziente a considerare i sui concetti semplicemente come una delle molte interpretazioni possibili, anziché una verità assoluta. Per reinquadrare le cognizioni maladattive possono essere utilizzate le tecniche di ristrutturazione cognitiva sopracitate (rivalutazione, riattribuzione, ridimensionamento, deviazione dell’attenzione ed esame delle ipotesi). Nella pratica, inizialmente si informa il paziente circa le esigenze soggettive relative alla quantità di sonno: secondo un’opinione largamente diffusa sono necessarie otto ore di sonno per sentirsi ristorati e operare adeguatamente durante il giorno. Esistono differenze individuali nella necessità di sonno e la “falsa credenza” di dover raggiungere un certo numero di ore “socialmente determinato” potrebbe aumentare l’ansia nei riguardi del proprio sonno incrementandone i disturbi. Bisogna quindi riportare il paziente ad aspettative realistiche. Il secondo passo consiste nel rivedere le attribuzioni delle cause dell’insonnia: vi è una tendenza naturale a imputare i disturbi del sonno a fattori esterni (per es., squilibri biochimici, dolore, invecchiamento). Questo rafforza la convinzione che non si possa migliorare il sonno e che il paziente si senta una 32 vittima impotente. Egli va quindi incoraggiato ad esercitare un controllo sul proprio sonno attraverso le tecniche descritte nei paragrafi precedenti, come il controllo dello stimolo, restrizione del sonno e igiene del sonno. Terzo punto della terapia consiste nell’invitare il paziente a non imputare i problemi diurni alla mancanza di sonno: sebbene l’insonnia comporti molti disagi diurni, potrebbero esserci anche altre preoccupazioni (per es., salute, famiglia) che influenzano l’umore del paziente e che riducono le sue energie. Alcuni pazienti sono assillati dalla convinzione che l’insonnia possa comportare delle conseguenze gravi sulla salute o sull’aspetto fisico, altri ancora vedono l’insonnia come un indice della totale perdita di controllo sulla loro vita. In queste situazioni è necessario invitare il paziente a non drammatizzare eccessivamente la scarsità di sonno notturno. Vi sono altre persone che vedono le loro attività sociali, professionali e familiari condizionate dalla quantità e dalla durata del sonno. In questo caso si chiede al paziente di non attribuire al sonno più valore di quanto effettivamente meriti e di intraprendere le normali attività quotidiane senza proibizioni. A tal proposito è utile spronare il paziente a portare avanti le proprie abitudini e attività quotidiane anche dopo una notte non ristoratrice e sviluppare una certa tolleranza nei confronti della perdita di sonno. Ultimo consiglio è di non ricercare il sonno forzatamente poiché questo alimenta l’iperarousal cognitivo. Queste raccomandazioni pratiche e dirette possono essere sufficienti, in alcuni casi, per modificare le convinzioni e gli atteggiamenti del paziente nei confronti del sonno e dell’insonnia; tuttavia sono pochissimi i pazienti che necessitano di tutti i consigli sopracitati e quindi il clinico dovrà valutare quali sono gli ambiti su cui intervenire, riassunti qui di seguito: • Mantenere le aspettative del paziente su un piano realistico • Rivedere le attribuzioni delle cause del paziente • Non imputare tutti i problemi diurni alla mancanza di sonno • Non drammatizzare eccessivamente la scarsità di sonno notturno • Non enfatizzare l’importanza del sonno • Sviluppare una certa tolleranza verso gli effetti della perdita di sonno • Non cercare mai di dormire forzatamente La letteratura è ricca di pubblicazioni dedicate a questo tipo di intervento terapeutico (tra gli altri, Morin ed Espie, 2004; Harvey et Al., 2005). La più 33 recente di queste, a nostra conoscenza, è uno studio (Harvey et Al., 2007) che mostra una possibile conduzione della terapia cognitiva divisa in tre fasi. La prima comporta la formulazione del caso, che consiste nell’individuare la versione specifica dei modelli cognitivi del paziente: uno relativo ad una tipica e recente notte insonne, ed uno di una tipica e recente giornata, successiva ad un sonno non ristoratore. Nella seconda fase, i processi di mantenimento dell’insonnia vengono invertiti seguendo 5 interventi: 1. Intervento per ridurre preoccupazioni e ruminazioni: si valuta la presenza di pensieri preoccupanti che possono ostacolare il sonno come “se non mi addormento subito, domani sarà un disastro!”. Inoltre si cerca di cambiare le strategie inutili, se presenti, per allontanare questi pensieri disturbanti. 2. Intervento per ridurre bias attenzionali e per controllare la minacce al sonno: questo tipo di approccio è volto ad attenuare o smettere tutte quelle attenzioni e controlli (p.es. all’orologio, ai segni della fatica accusati o alle difficoltà di concentrazione commesse durante la giornata), che il paziente è solito rivolgere mentre è coricato a letto, impedendo quindi l’addormentamento. 3. Intervento per ridurre convinzioni inutili riguardo il sonno: si identificano durante il corso della terapia le convinzioni inutili sul sonno, si escogitano degli approcci terapeutici specifici, per verificare la loro validità ed utilità, e si prova la validità delle nuove credenze. Un esempio: un paziente organizza con estrema attenzione la sua giornata per conservare la proprie risorse energetiche, poiché è convinto che queste si esauriscano con il corso della giornata e che l’unico modo, per generare queste energie, sia dormire o riposare. Contrariamente a questo tipo di convinzione, il suo umore e le sue risorse vengono migliorati con “l’uso” dell’energia stessa: “usufruire delle proprie forze” diventa sinonimo di “generare energia”; questa diventa una strategia per gestire la stanchezza diurna. 4. Intervento per ridurre l’alterata percezione del sonno: molte persone frequentemente sovrastimano il tempo che impiegano per addormentarsi e sottostimano il loro tempo totale di sonno. Per tal ragione, è utile mostrare loro i tracciati actigrafici confrontandoli con i 34 loro diari del sonno, per ridurre l’alterata percezione del sonno e l’ansia collegata ad un riposo notturno non ristoratore. 5. Intervento per ridurre l’uso di “comportamenti di salvezza”: con tali atteggiamenti ci si riferisce ad azioni palesi o celate, che vengono adottate per evitare delle conseguenze temute. Esempio: una persona cancella un appuntamento di lavoro, perché non si sente in grado di sostenerlo per via della stanchezza che accusa in seguito ad una notte non ristoratrice. Il problema conseguente, sorge la notte successiva, quando il paziente alimenterà una notte insonne a causa dell’ansia emersa dall’inadempienza al suo dovere professionale. Questo tipo di intervento è volto all’individuazione di tal genere di meccanismi ed alla loro inversione. Gli scopi della terza ed ultima fase sono il consolidamento dei benefici ottenuti con la terapia e la prevenzione delle ricadute. Gli Autori hanno ottenuto risultati significativi, mantenuti anche nel follow-up a 12 mesi, relativi al SOL e WASO diminuiti e al TST incrementato. Si è inoltre rivelata una significativa riduzione della sonnolenza e stanchezza diurna dalla condizione pre-trattamento al post-trattamento, e protrattasi anch’essa nel follow-up; ma soprattutto è stata dimostrata l’efficacia dei propositi degli interventi previsti dalla terapia cognitiva. La terapia cognitivo-comportamentale e la terapia cognitiva convergono su un punto: entrambe ricercano le false convinzioni riguardo il sonno. La differenza consta nel metodo con il quale tali credenze vengono affrontate: la prima ricorre ad una educazione sul sonno, fornendo quindi informazioni riguardo ai ritmi circadiani sonno-veglia, influenza dell’età, etc.; la seconda invece le affronta attraverso una “ristrutturazione cognitiva”. Terapia multicomponenziale I “Practice parameters for the psychological and behavioural treatment of insomnia” dell’American Academy of Sleep Medicine Report includono questo nuovo trattamento non farmacologico per la cura dell’insonnia cronica (Morgenthaler et Al., 2006). La terapia multicomponenziale prevede, in un unico approccio terapeutico, l’utilizzo di più terapie comportamentali con l’esclusione di quella cognitiva. Inoltre le impostazioni dei singoli trattamenti 35 vengono modificate rispetto alle procedure originali; questo per renderli più adattabili alle esigenze dei pazienti (per la maggior parte anziani) e di conseguenza più utilizzabili: si preferisce investire, da parte del paziente, sulla compliance al trattamento, vista come incisiva nella determinazione del risultato. In letteratura sono presenti, a nostra conoscenza, tre studi relativi alla terapia multicomponenziale. Il primo studio risale al 2000 (Lichstein et Al., 2000). Questo è nato dalla considerazione che in letteratura (Morin et Al., 1999) si sia troppo spesso discussa e studiata, rispetto all’insonnia secondaria, l’insonnia primaria e le relative modalità di trattamento psicologico. Tale discriminazione scaturisce dalla convinzione che l’insonnia secondaria non possa essere trattata attraverso le terapie psico-comportamentali. Gli Autori, Lichstein e collaboratori, hanno proposto dunque un approccio terapeutico composto dai più rappresentativi trattamenti comportamentali per l’insonnia primaria, per la cura dell’insonnia secondaria dovuta a cause mediche (MSI) o psichiatriche (PSI): il controllo dello stimolo e il rilassamento progressivo. I soggetti sono stati assegnati in modo randomizzato al gruppo che avrebbe ricevuto il trattamento -controllo dello stimolo e rilassamento- o al gruppo di controllo non trattato. La valutazione autosomministrata condotta nella fase di pre-trattamento, nel post-trattamento e a 3 mesi di follow-up ha mostrato come i pazienti abbiano significativamente beneficiato della terapia, migliorando i parametri relativi al WASO, SE e SQ. Il secondo studio (Edinger e Sampson, 2003) emerge dalla revisione in letteratura di precedenti studi cognitivo-comportamentali, che sembrano dimostrare esiti positivi, nonostante siano stati somministrati via telefono o attraverso “self-help treatment”. L’obbiettivo di tale studio è proprio l’ideazione di un terapia cognitivo-comportamentale abbreviata (ACBT) che sia adeguata ad affrontare i vari problemi di insonnia nelle condizioni di cure primarie. I soggetti, affetti da insonnia primaria, sono stati distribuiti in modo randomizzato a 2 condizioni: al gruppo di controllo, a cui sono state somministrate solo le principali raccomandazioni dell’igiene del sonno (SHC) o al gruppo a cui è stato assegnato il trattamento ACBT. Questo consisteva nella raccolta della storia del sonno del paziente, in una educazione del sonno (spiegazione dei 36 ritmi circadiani del sonno, di come il sonno possa influenzare il funzionamento diurno, gli effetti dell’età sul sonno, etc.) ed infine in un regime comportamentale costituito, a sua volta, dalla combinazione di 2 trattamenti non farmacologici: controllo dello stimolo e restrizione del sonno; durata dei trattamenti 2 settimane, seguita da un follow-up a 3 mesi. La maggior parte dei pazienti ACBT hanno riportato alla fine del trattamento, rispetto alla condizione iniziale di base, miglioramenti della SE pari all’83%, così come riduzioni del 52% nella WASO e del 50% nella SOL. Inoltre i pazienti hanno ottenuto gradualmente un sonno maggiore di 6 ore per notte e decrementi fino a livelli normali nell’Insomnia Symptom Questionnaire (ISQ). Questi dati hanno permesso di evidenziare la buona efficacia del trattamento multicomponenziale a breve durata, disegnato specificatamente per le condizioni di cure primarie. In particolare tale approccio supera gli effetti positivi della SH, che tuttavia risultava deprivata di molte delle sue regole e concentrata solo su quelle ritenute fondamentali. Il terzo studio è quello di Waters e collaboratori (2003). Lo studio è scaturito dal desiderio di confrontare una cura farmacologica e l’efficacia di un approccio comprensivo di più trattamenti non farmacologici nella cura dell’insonnia cronica. Lo studio si compone di 2 fasi. Prima fase: i soggetti, sofferenti di insonnia cronica, sono stati assegnati in modo randomizzato a quattro condizioni sperimentali. Una di queste era costituita da due trattamenti, rilassamento progressivo muscolare (PMR) e distrazione cognitiva (CD), che vengono di solito impiegati per ridurre l’arousal fisiologico all’inizio del sonno. Il secondo approccio era costituito dalla restrizione del sonno (SR) e dal controllo dello stimolo (SC), che vengono invece considerati promotori di un sonno continuativo attraverso la regolazione dei sistemi omeostatici e circadiani del sonno. Procedendo in questo modo si volevano minare le due condizioni che più facilmente determinano l’insonnia. Al terzo gruppo è stata assegnata la sola igiene del sonno (SH) come condizione di controllo ed infine il quarto gruppo è stato trattato farmacologicamente. È stato impiegato come farmaco il “flurazepam”, un ipnotico benzodiazepinico, che viene utilizzato per facilitare l’addormentamento e il mantenimento del sonno. Per quanto riguarda invece la distrazione cognitiva qui impiegata, non 37 è una tecnica validata, e consta nell’immaginare le vicende e i personaggi di una storia, letta prima di spegnere le luci. I soggetti hanno seguito i trattamenti per due settimane, alla fine dei quali sono stati confrontati i risultati tra i due approcci comportamentali, tra il gruppo SH e tra il gruppo trattato farmacologicamente. Seconda fase: le successive due settimane (quinta e sesta settimana dello studio, contando le prime due di pre-trattamento) è stato assegnato ai soggetti, che nella prima fase avevano ricevuto gli approcci comportamentali, l’intero pacchetto terapeutico composto dai 4 trattamenti (PMR, CD, SR, SC) più la SH, considerata come componente base di qualsiasi trattamento per l’insonnia. Il gruppo che nella prima fase aveva ricevuto la SH, ha proseguito con la stessa terapia anche nella seconda. Alla fine dei trattamenti è seguito il confronto tra questi 2 gruppi. Il gruppo trattato farmacologicamente nella prima fase, non è stato più considerato nella seconda. I risultati evidenziano come nella prima fase la cura farmacologica abbia diminuito i tempi di addormentamento durante il trattamento, dimostrandosi molto più efficace nell’ottenere dei progressi a breve termine rispetto agli altri trattamenti PMR/CD, SR/SC e SH. Per quanto riguarda i trattamenti cognitivocomportamentali, dimostratesi più efficaci a lungo termine, non sono state dimostrate significative differenze tra i due approcci, PMR/CD vs SR/SC, relative alla capacità di addormentarsi e di mantenere un sonno continuativo, che tuttavia hanno riportato dei miglioramenti significativi. Per la seconda fase, il pacchetto terapeutico, che includeva PMR, CD, SR, SC e SH, si è rivelato più efficace della sola SH, la quale si è dimostrata tuttavia più efficace di quanto ci si aspettasse e di quanto si sia rilevato nella prima fase. Questo non significa che gli altri trattamenti comportamentali siano efficaci quanto la SH, piuttosto la presenza di un gruppo di controllo, non trattato, avrebbe potuto fornire una differenza più significativa rispetto agli altri trattamenti comportamentali. A fronte dei risultati ottenuti, gli Autori hanno concluso che la terapia farmacologica risulta maggiormente indicata per la cura di un’insonnia transitoria; per quanto riguarda invece l’insonnia cronica, sono consigliati prevalentemente i trattamenti non farmacologici. 38 Trattamento self-help Questo tipo intervento è nato dall’esigenza di voler raggiungere il maggior numero di persone insonni: tale trattamento si è dimostrato essere una valida alternativa all’approccio terapeutico guidato dal clinico. In letteratura (Morin et Al., 2005) si riportano vari studi effettuati per osservare la responsività a tali trattamenti che sembrano aver riportato risultati soddisfacenti. Nonostante ne esistano varie versioni, le componenti principali della maggior parte dei trattamenti self-help includono: materiale educativo riguardo il sonno, l’insonnia e le regole per una buona igiene del sonno, raccomandazioni comportamentali sulla pianificazione del sonno, rilassamento, metodi psicologici per cambiare le credenze e le attitudini sul sonno. Uno studio paradigmatico, relativo a tale forma di intervento, è quello di Morin e dei suoi collaboratori (2005): l’intento era quello di valutare l’efficacia di un trattamento comportamentale minimo per la cura dell’insonnia, somministrandolo ad un campione della popolazione che soddisfacesse tutti i criteri diagnostici per l’insonnia (sia ti tipo primario che secondario) secondo il DSM-IV e l’ICD-10. L’intervento consisteva di 6 libretti psicoeducazionali, spediti settimanalmente per 6 settimane, ognuno contenente una terapia differente per l’insonnia. Ciascun libretto, costituito da una quindicina di pagine, riportava le procedure comportamentali, il loro fine e alcuni casi per fornire degli esempi concreti. In particolare ciascun libretto riguardava: 1. Le informazioni di base relative al sonno, all’insonnia e all’approccio selfhelp. 2. Strategie di pianificazione per il sonno (controllo dello stimolo e restrizione del sonno). 3. Informazioni riguardo i rischi e i benefici relativi agli ausili, come i farmaci, per la conciliazione del sonno e linee guida opzionali per ridurre il loro consumo tra i fruitori cronici. 4. Linee guida psicologiche per cambiare false credenze e attività riguardo il sonno e sonnolenza. 5. Le principali regole del sonno sui fattori che possono impedire (p.es.: caffeina) o promuovere (p.es.: l’esercizio fisico) il sonno. 39 6. Prevenzione di ricadute e mantenimento dei risultati positivi ottenuti. I pazienti vennero istruiti a leggere attentamente il materiale del trattamento e ad attenersi alle procedure raccomandate. Fu inoltre chiesto loro di compilare quotidianamente il diario del sonno, incluso in ogni libretto, per accertarsi che fosse rispettata la restrizione del sonno. Un numero telefonico gratuito era stato reso disponibile ai partecipanti che necessitassero di ulteriori informazioni o chiarimenti nel comprendere ed implementare correttamente le raccomandazioni terapeutiche. L’intervento prevedeva 2 settimane per la raccolta delle misure pretrattamento: compilazione del diario del sonno e di un pacchetto di questionari, comprensivi di ISI, PSQI, BDI-II STAI-State. Tale procedura fu anche richiesta per le 2 settimane successive alla fine del trattamento per la valutazione post-trattamento; seguì il follow-up 6 mesi dopo. I risultati dimostrarono che l’intervento comportamentale self-help sortì un effetto positivo nell’alleviare i sintomi dell’insonnia. Inoltre i cambiamenti furono mantenuti anche nei sei mesi del follow-up, suggerendo che tale approccio potesse produrre dei miglioramenti duraturi. I pazienti, che seguirono tale procedura, migliorarono su tutti i principali parametri del sonno, inclusa la qualità del sonno (SQ). In particolare, la media del sonno aumentò di 21 minuti, il tempo di veglia dopo l’addormentamento scese a 20 minuti ed infine l’efficienza di sonno raggiunse un incremento pari al 4%. Tali risultati indicano che, sebbene il trattamento si sia dimostrato efficace, è necessario l’intervento guidato di un terapeuta al fine di ottenere dei miglioramenti più consistenti da un punto di vista clinico. Gli Autori aggiungono che probabilmente la media potrebbe esser stata inficiata dalla presenza dei pazienti affetti da insonnia secondaria, per i quali il trattamento potrebbe non esser stato sufficiente. 40 CONTRIBUTO SPERIMENTALE Obiettivi Finalità primaria della presente ricerca è stata il valutare l’efficacia della tecniche di restrizione del sonno e igiene del sonno nel trattamento dell’insonnia primaria. A tale valutazione è stata associata una analisi di aspetti comportamentali, personologici e relativi al tono dell’umore, finalizzata a studiare possibili correlazioni con parametri del sonno. Il primo obiettivo è stato perseguito attraverso la misurazione di variabili oggettive ottenute mediante tracciato actigrafico, efficienza del sonno (SE), tempo totale di sonno (TST), tempo trascorso a letto (TIB e l’attività motoria notturna e variabili soggettive ottenute dalla compilazione del questionario di autovalutazione Short Form (SF-36) sulla qualità della vita. Secondariamente si è voluto evidenziare l’eventuale superiorità, in termini di beneficio terapeutico, di una tecnica rispetto all’altra. Infine si è cercato di correlare l’efficienza del sonno con variabili cliniche ottenute dalla compilazione di scale auto ed eterovalutate sui disturbi dell’umore, sulla qualità di vita e sulla personalità al fine di evidenziare eventuali fattori predittivi alla risposta sul miglioramento del sonno. Si è scelto di valutare queste due tecniche non farmacologiche alla luce di alcune considerazioni emerse dalla pratica clinica. Innanzi tutto la apparente conoscenza, da parte dei pazienti, di implicite regole notturne e diurne di “buona condotta” seguite però da una loro scarsa implementazione nel quotidiano. Secondariamente l’evidenza, e talora il riferito, dopo alcune notti di deprivazione di sonno autoindotta, dovuta ad esigenze lavorative o sociali, di una maggiore facilità all’addormentamento e una migliore qualità del sonno. Questa osservazione è in linea con alcuni dati in Letteratura già discussi, che partono dal presupposto che il tempo trascorso a letto nel tentativo di addormentarsi, possa essere uno degli elementi che perpetuano l’insonnia. È infatti su tale premessa che si basa il trattamento di restrizione del sonno. Sono stati inseriti nello studio pazienti ambulatoriali consecutivi afferenti al Centro di Medicina del Sonno presso l’ASO San Giovanni Battista in Torino nell’arco di due anni, con diagnosi di insonnia primaria che non desideravano 41 terapie farmacologiche, nei confronti delle quali le stesse si erano rivelate inefficaci e pazienti disassuefatti da trattamento con benziodiazepine. Sotto è riportato schematicamente il disegno dello studio: 1. DIVISIONE DEL CAMPIONE IN 2 SOTTOGRUPPI BILANCIATI PER ETÀ, SCOLARITÀ E SESSO. DIAGNOSI GRUPPO A (RESTRIZIONE DEL SONNO): 10 INSONNIA PSICOFISIOLOGICA DIAGNOSI GRUPPO B (IGIENE DEL SONNO): 8 INSONNIA PSICOFISIOLOGICA + 2 INSONNIA IDIOPATICA 2. VALUTAZIONE DELL’EVENTUALE EFFICACIA DELLE TECNICHE DI RESTRIZIONE DEL SONNO E IGIENE NEL MIGLIORAMENTO DELL’INSONNIA: T-TEST PER CAMPIONI APPAIATI SU VARIABILI ACTIGRAFICHE (OGGETTIVE) E SF-36 (SOGGETTIVE): A PRE VS A POST B PRE VS B POST 3. COMPARAZIONE DELLE DUE TECNICHE T-TEST PER CAMPIONI APPAIATI SU VARIABILI ACTIGRAFICHE E SF-36 A POST VS B POST 4. CORRELAZIONE TRA SLEEP EFFICIENCY (SE) E ALTRE VARIABILI CLINICHE IN CONDIZIONI BASALI AL FINE DI VALUTARE SE ESISTONO FATTORI PREDITTIVI ALLA RISPOSTA SUL MIGLIORAMENTO DEL SONNO (CORRELAZIONE DI PEARSON TRA SE E VARIABILI CLINICHE) Materiali e metodi Sono stati reclutati 28 pazienti affetti da insonnia primaria (paradoxical insomnia, insonnia idiopatica e insonnia psicofisiologica) definita da uno specialista neurologo secondo i criteri del DSM-IV TR e dell’ ICSD mediante esame clinico e colloquio. Sono stati esclusi pazienti affetti da Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS), Movimenti periodici degli arti (PLM), Sindrome delle Gambe Senza Riposo (RLS), valutati clinicamente o, quando possibile, mediante registrazione polisonnografica o poligrafica. Sono stati, parimenti esclusi pazienti affetti da insonnia dovuta a cause psichiatriche, con deterioramento cognitivo stimato mediante colloquio e somministrazione del Mini Mental State Examination (MMSE ≤26), coloro che facevano uso regolare di alcool e abuso di caffeina, in trattamento 42 farmacologico in atto (interferenti con il sonno, antidepressivi) o in trattamenti psicoterapeutici. 15 soggetti affetti da insonnia primaria sono stai inseriti nel gruppo trattamento con restrizione del sonno (SRT) e 13 nel gruppo trattamento con igiene del sonno (SH). La restrizione del sonno è una tecnica che consiste nel far coincidere il tempo trascorso a letto con la quantità di sonno che un soggetto soggettivamente percepisce. Tale metodica crea uno stato di lieve-media deprivazione di sonno che promuove un più rapido addormentamento, un sonno più efficiente ed una minore variabilità internotte. L’inserimento nel gruppo di igiene del sonno prevedeva il fornire regole alimentari e di stile di vita e indicazioni ambientali con l’obiettivo di rendere i soggetti consapevoli di pratiche ed abitudini relative alla propria salute. Di seguito sono elencate le regole suggerite ai pazienti. 1. La stanza in cui si dorme non dovrebbe ospitare altro che l’essenziale per dormire (è da sconsigliare la collocazione nella camera da letto di televisore, computer, scrivanie per evitare di stabilire legami tra attività non rilassanti e l’ambiente in cui si deve invece stabilire una condizione di relax che favorisca l’inizio ed il mantenimento del sonno notturno 2. La stanza in cui si dorme deve essere sufficientemente buia, silenziosa e di temperatura adeguata (evitare eccesso di caldo o di freddo) 3. Evitare di assumere, in particolare nelle ore serali, bevande a base di caffeina e simili (caffe’, té, coca-cola, cioccolata) 4. Evitare di assumere nelle ore serali o, peggio, a scopo ipnoinducente, bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici) 5. Evitare pasti serali ipercalorici o comunque abbondanti e ad alto contenuto di proteine (carne, pesce). 6. Evitare il fumo di tabacco nelle ore serali 7. Evitare sonnellini diurni, eccetto un breve sonnellino dopo pranzo (in particolare sonnellini dopo cena e nella fascia oraria prima di coricarsi) 8. Evitare, nelle ore prima di coricarsi, l’esercizio fisico di medio-alta intensità (per es. palestra). L’esercizio fisico e’ invece auspicabile nel tardo pomeriggio 43 9. Il bagno caldo serale non dovrebbe essere fatto nell’immediatezza di coricarsi ma a distanza di 1-2 ore 10. Evitare, nelle ore prima di coricarsi, di impegnarsi in attività che risultano particolarmente coinvolgenti sul piano mentale e/o emotivo (studio, lavoro al computer, video-giochi etc…) almeno 1 ora e mezza prima di andare a dormire 11. Cercare di coricarsi la sera e alzarsi al mattino in orari regolari e costanti e quanto più possibile consoni alla propria tendenza naturale al sonno e coricarsi soltanto quando si avverte il sonno 12. Appena coricati spegnere la luce 13. Evitare di leggere o guardare la tv a letto 14. Darsi un tempo limite per l’addormentamento: se non ci si è addormentati in 20 minuti è conveniente alzarsi e rilassarsi in una altra stanza aspettando di avvertire sonno 15. Non protrarre eccessivamente il tempo trascorso a letto di notte, anticipando l’ora di coricarsi e/o posticipando l’ora di alzarsi al mattino Il protocollo prevedeva, per tutti i pazienti, 6 fasi : • Fase 1: consegna del diario del sonno + valutazione actigrafica (vedi oltre) per le 2 settimane precedenti l’inizio del trattamento e consegna delle seguenti scale e questionari etero ed auto-somministrati (più oltre descritti): -Beck Depression Scale (BDI) -Hamilton ansia -MADRS -State-Trait Anxiety Inventory (STAI) -MMPI -SF-36 -ESS Epworth Sleepiness scale -Morningness/eveningness Scale Le suddette scale valutavano aspetti relativi al tono dell’umore, all’insonnia e sonnolenza, alla personalità e qualità della vita. 44 • Fase 2: (dopo 2 settimane) prelievo ematico al fine di dosare il cortisolo prima dell’inizio del trattamento, ritiro scale cliniche, actigrafo e diario del sonno • Fase 3: inserimento dei soggetti in uno dei 2 gruppi di trattamento (durata 8 settembre) e implementazione della tecnica • Fase 4: (dopo 2 settimane) prelievo ematico al fine di dosare il cortisolo alla fine del trattamento, risomministrazione delle scale precedentemente elencate ad esclusione dell’MMPI, consegna del diario del sonno + valutazione actigrafica per 1 settimana • Fase 5:Ritiro diario del sonno + actigrafo e colloquio conclusivo • Fase 6: Follow up clinico a 6 mesi Gruppo-trattamento con restrizione Calcolo del tempo da trascorrere a letto (TIB) sulla media delle 2 settimane registrate base-line mediante actigrafo (mai < 5 H) Definizione dell’ora del risveglio sulla base delle esigenze lavorative e sociali e calcolo, a scalare, dell’ora di addormentamento. Previsto incremento settimanale di 15-20 minuti Durante le 8 settimane di trattamento, calcolo della media della SE degli ultimi 5 giorni: A. se la media della SE≥ è 90% si è anticipato di 15-20 minuti l’ora di addormentamento B. se la media della SE è ≤ 80% si è diminuito il TIB (comunque non prima di 10 giorni dall’inizio del trattamento) C. se la media della SE è ≤ 90% e ≥ 80% Il TIB è rimasto invariato La SE e gli eventuali incrementi sono stati valutati a cadenza settimanale dopo l’analisi del diario del sonno. Ai pazienti è stato richiesto di inviare via fax i diari del sonno compilati al termine delle settimane di trattamento a cui seguiva un contatto telefonico da parte del terapeuta. 45 Gruppo-trattamento con igiene del sonno Spiegazione e fornitura elenco delle regole di igiene del sonno. Verifica dell’implementazione delle regole di igiene del sonno e monitoraggio dell’andamento sintomatologico ogni fine settimana mediante contatto telefonico dopo l’invio via fax dei diari del sonno compilati. Il protocollo di restrizione è stato tratto, con delle minime variazioni, da quello inizialmente proposto da Spielman e colleghi nel 1987 che per primi definirono e formalizzarono la tecnica. Ai pazienti è stato richiesto di recarsi in ambulatorio per colloquio clinico informativi circa la tecnica, il ritiro dell’actigrafo e il prelievo del cortisolo e la consegna delle scale da compilare. Una visita di controllo era richiesta a metà trattamento (1 mese) e la successiva al termine del trattamento (2 mesi) occasione in cui era riconsegnato l’actigrafo, effettuato il prelievo di controllo e riconsegnate le scale cliniche. Dopo 1 settimana ai soggetti era chiesto di tornare per la restituzione dell’apparecchio e la conclusione della terapia. A tutti i pazienti è stato rilasciato il foglio informativo e fatto firmare il consenso informato. Il protocollo è stato approvato dal Comitato Etico dell’ASO San Giovanni Battista - Molinette di Torino in data 18/07/2006. Strumenti L’actigrafia è una tecnica di valutazione del sonno che si avvale di un dispositivo, simile ad uno orologio, che rileva e registra semplicemente i movimenti dell’arto su cui viene indossato (polso, caviglia) rispetto al tempo permettendo di identificare le fasi di riposo da quelle di attività. L’actigrafia è stata proposta come una procedura di valutazione alternativa al metodo della PSG. Anche se la polisonnografia offre un’estesa informazione sul comportamento del sonno e la fisiologia del sonno, essa è molto costosa e può talvolta essere troppo invasiva e non necessaria nei casi in cui l’attenzione è posta sulla quantificazione del sonno, della veglia o d’entrambi (Sivertsen et Al., 2006). 46 L’actigrafia non è una misura del sonno così come è comunemente definito e non misura l’esperienza soggettiva del sonno, come invece fanno le descrizioni sul sonno e i questionari. Tra quest’ultimi e l’actigrafia sono emerse alcune discordanze. Per esempio, l’actigrafo generalmente sottostima la latenza del sonno perché molti soggetti sono inattivi, ma svegli, mentre sono distesi a letto in attesa di prender sonno, oppure dopo i risvegli dal sonno: il presupposto è che il paziente stia dormendo quando il tracciato actigrafico, emerso dalla registrazione, non registra i movimenti dell’arto su cui è stato indossato il dispositivo. Per tale ragione, l’actigrafo è utilizzato molto spesso unitamente ad altri metodi, come il diario del sonno, che accerta determinate condizioni: tempo a luci spente, tempo a letto, tempo fuori dal letto, i tempi in cui lo strumento è stato rimosso e i tempi in cui il paziente può esser stato seduto fermo per un lungo periodo (come lo star seduto in auto o al cinema). Similmente può accadere che le descrizioni del sonno da parte del paziente sovrastimino il tempo di sonno comparato con i referti actigrafici oppure che i pazienti insonni sottostimino frequentemente il TST nei loro resoconti. Per quanto concerne le ulteriori discrepanze tra le misure actigrafiche e quelle ottenute con altri metodi di valutazione del sonno, un recente studio di Sivertsen et Al. (2006) esamina la sensibilità, specificità e precisione per la rilevazione del pattern sonno-veglia, a confronto con la polisonnografia, in un campione caratterizzato da adulti (età media 60.5, DS 4.5) trattati per insonnia primaria cronica. Da questo emerge come il tempo totale di sonno e l’efficienza di sonno siano sovrastimate dall’actigrafo, rispetto a quanto invece riporta la PSG. Questa sovrastima si riduce, appunto, con l’utilizzo del diario del sonno. L’actigrafia è molto utile nella valutazione dei pazienti di cui si sospetta la sindrome del sonno anticipato (ASPS), la sindrome del sonno ritardato (DSPS), 47 “disturbo del sonno legato ai turni di lavoro”, disturbo del ritmo circadiano, che include la sindrome da cambiamento del fuso orario (jet-lag) e il disturbo del pattern sonno-veglia non di 24 ore. L’actigrafia, pertanto descrive il “pattern del sonno” (definito come modello circadiano del sonno e della veglia nell’arco delle 24 ore) e la presenza e l’assenza di WASO; come la PSG e i diari del sonno, è stata usata sia come strumento diagnostico che di screening, sia come misura quantitativa. In definitiva, il suo uso potenziale come misura oggettiva del pattern sonnoveglia è utile in associazione ai resoconti soggettivi dei pazienti e quando la PSG non risulta possibile (Buysse et Al., 2006), come per i pazienti che non possono essere trasportati in ospedale, nei quali il monitoraggio tradizionale del sonno può risultare difficile da ottenere e/o interpretare. Il diario del sonno, completato tipicamente al risveglio, permette un resoconto soggettivo giornaliero del sonno e delle sue alterazioni, fornendo una stima della qualità della notte precedente. Attraverso questo metodo di indagine è possibile ottenere alcuni parametri quali la frequenza e la durata totale dei risvegli (tempo di veglia dopo l’addormentamento, Wake after Sleep Onset, WASO), la qualità del sonno (Sleep Quality, SQ), l’efficienza di sonno (Sleep Efficiency, SE), la latenza di sonno (Sleep-Onset Latency, SOL), il tempo a letto (Time in Bed, TIB) ed il tempo totale di sonno (Total Sleep Time, TST). Attraverso il diario è inoltre possibile raccogliere informazioni sull’uso di farmaci (o di altre sostanze stimolanti), sui comportamenti giornalieri, come i sonnellini e il consumo di alcool e caffeina. Le medie per ogni variabile vengono normalmente effettuate sulla base di una o due settimane di raccolta dati. Nonostante siano stati pubblicati numerosi diari del sonno, non ne esiste un formato standard. Il diario del sonno fornisce informazioni più precise e dettagliate, rispetto ai rapporti retrospettivi dei pazienti, sulla severità e variabilità dei disturbi quantitativi del sonno, sulla programmazione del sonno, sul pattern sonnoveglia e pare sia, inoltre, meno soggetto a bias. Le informazioni ottenute attraverso tale strumento vengono impiegate per stabilire una diagnosi generale di insonnia e per escludere disturbi del ritmo circadiano. Comparazioni tra il diario del sonno e la polisonnografia possono esser utili per identificare errori soggettivi-oggettivi 48 spesso attinenti alla “Paradoxical Insomnia”. Considerate come misure quantitative, le stime dei parametri del sonno, ottenuti con tali diari, producono un valido e attendibile indice dei sintomi dell’insonnia anche se non riflettono valori assoluti che invece si otterrebbero con la PSG: a confronto con i dati polisonnografici, gli individui con insonnia tendono a sovrastimare SOL e WASO e per contro sottostimare il TST. Tuttavia, l’utilizzo del diario del sonno, per una serie di notti consecutive (in genere una settimana, ma talvolta persino 3 per cogliere certi parametri significativi come la WASO), consente di registrare la variabilità di sonno che spesso caratterizza le notti di un paziente affetto da insonnia cronica. Il Mini Mental State Examination (MMSE), di M.F. Folstein at al. (1975) è uno screening neuropsicologico ad ampio spettro atto a valutare le globali funzioni intellettive e a rilevare eventuali deficit di memoria, di orientamento spaziotemporale, di calcolo, di attenzione, di rievocazione e di prassia costruttiva. È stato utilizzato per escludere eventuali pazienti con deterioramento cognitivo e pertanto presumibilmente poco attendibili (punteggio al di sotto del cut-off patologico di 26). Il punteggio massimo ottenibile è di 30. La Hamilton Anxiety Scale (Hamilton, 1959) è una scala eterosomministrata composta da 14 item ognuno di essi rappresenta un cluster nel quale sono raggruppati diversi sintomi (da 2 a 8 ) associati tra loro o per loro natura o perché l’esperienza clinica ha dimostrato che sono tra loro correlati. I sintomi che compongono ciascun item sono indicati nel testo della scala. Per quanto riguarda il punteggio, ogni item è valutato su di una scala a 5 punti (“assente”, “lieve”, “moderato”, “grave”, “molto grave”). Il punteggio della scala potrà variare da 0 a 56. Un punteggio totale intorno a 18 deve essere considerato patologico. Montgomery-Asperg Depression Rating Scale MADRS (Montgomery e Asberg, 1979) è un questionario diagnostico eterosomministrato (compilato dal clinico a seguito di colloquio clinico) a 10 item utilizzato per misurare la severità di episodi depressive in pazienti con disturbi dell’umore. La versione originale della BDI Beck Depression Inventory fu introdotta da Beck, e collaboratori nel 1961. È una breve scala autosomministrata (richiede circa 10 minuti per la compilazione) formato da 21 aree 49 d’indagine, che corrispondono rispettivamente ai 21 item che misurano le supposte manifestazioni della depressione. Gli aspetti indagati dal test sono: tristezza, pessimismo, senso di fallimento, insoddisfazione, senso di colpa, aspettativa di punizione, delusione verso sé stessi, autoaccusa, idee suicide, pianto, irritabilità, indecisione, dubbio, ritiro sociale, svalutazione della propria immagine corporea, calo dell’efficienza lavorativa, disturbo del sonno, faticabilità, calo dell’appetito, calo ponderale, preoccupazioni somatiche, calo della libido. Il paziente ha la possibilità di scegliere tra quattro risposte alternative secondo gradi di gravità crescente. Lo scopo del test è quello di misurare l’intensità della depressione esperita dal paziente con particolare riferimento all’ultima settimana. Il calcolo del punteggio richiede l’esecuzione di una semplice addizione, in quanto non è necessaria la standardizzazione dei valori grezzi. La Scala STAI State-Trait Anxiety Inventory (Spielberger et al 1970, 1983) è una scala autosomministrata per la valutazione dell’ansia di stato (un’interruzione temporanea del continuum emozionale, che si esprime attraverso una sensazione soggettiva di tensione ed è associata all’attivazione del sistema nervoso autonomo) e di tratto (considerata una caratteristica relativamente stabile della personalità). Le due scale sono composte da 20 item ciascuna. Il punteggio totale è compreso tra 20 e 80 con un valore soglia predittivo di sintomatologia ansiosa posto a 40. Secondo un criterio scalare è possibile definire inoltre il livello di gtà: dravia 40 a 50 forma lieve, da 50 a 60 moderata, > di 60 grave. La Epworth Sleepiness Scale ESS (Johns, 1991) è stata messa a punto allo scopo di misurare il livello generale di sonnolenza diurna, come strumento rapido ed economico di screening per identificare coloro che hanno problemi diurni di sonnolenza da approfondire, eventualmente, con il MSLT. È una scala di autovalutazione composta da 8 item che prendono in considerazione varie situazioni della vita quotidiana che sappiamo avere un diverso effetto soporifero, per ognuna delle quali il soggetto deve stabilire in che misura tendano a farlo appisolare o addormentare. Ogni item è valutato su di una scala a 4 punti, da 0 = non mi appisolerei mai, a 3 = alta probabilità di appisolarsi. Le proprietà psicometriche dello strumento 50 sono risultate assai buone, compresa una discreta sensibilità al cambiamento per effetto del trattamento. Lo Short Form Health Survey SF-36 (Apolone e Mosconei, 1998) è un questionario sullo stato di salute del paziente che è caratterizzato dalla brevità (mediamente il soggetto impiega non più di 10 minuti per la sua compilazione) e dalla precisione (lo strumento è valido e riproducibile). E' stato sviluppato a partire dagli anni 80 negli Stati Uniti d'America come questionario generico, multi-dimensionale articolato attraverso 36 domande che permettono di assemblare 8 differenti scale. Le 36 domande si riferiscono concettualmente a 8 domini di salute: AF-attività fisica (10 domande), RP-limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica (4 domande) e RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo (3 domande), BP-dolore fisico (2 domande), GH-percezione dello stato di salute generale (5 domande), VT-vitalità (4 domande), SF-attività sociali (2 domande), MH- salute mentale (5 domande) e una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute. Il questionario SF-36 può essere autocompilato o può essere oggetto di una intervista sia telefonica sia faccia-afaccia. Tutte le domande dell'SF-36, tranne una, si riferiscono ad un periodo di quattro settimane precedenti la compilazione del questionario. La validità delle 8 scale dell'SF-36 è stata largamente studiata in gruppi noti di pazienti. Gli studi di validazione hanno inoltre dimostrato che l'SF-36 ha capacità discriminanti nei confronti di popolazioni con problemi psichiatrici o problemi fisici e di discriminare tra gruppi di popolazioni con condizioni mediche severe da gruppi di popolazioni moderatamente malate o sane. Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Hathaway e Mc Kinley, 1948) nasce sul finire degli anni Trenta in una clinica psichiatrica universitaria del Minnesota a opera di Starke R. Hathaway (PhD) e di J. Charnley McKinley (MD) come strumento per la diagnosi psicopatologica e, più in generale, per valutare caratteristiche di personalità, sia patologiche che normali, in popolazione cliniche. Poichè consente una valutazione ad ampio spettro dei disturbi, esso viene frequentemente usato come test di routine che completa i colloqui diagnostici; è, inoltre, impiegato, somministrandolo prima-dopo, per documentare gli effetti di un trattamento psicologico o psichiatrico. Il fatto di studiare caratteristiche sia normali che patologiche di personalità ne ha 51 allargato l'uso a molti ambiti, da quello peritale a quello della selezione del personale. L'obiettivo dichiarato dei due ideatori era quello di avere una lista sufficientemente ampia di voci attraverso cui identificare e diagnosticare un po' tutte le malattie mentali. L’MMPI utilizza 566 (o meno nelle versioni ridotte) item a risposte dicotomiche: Vero contro Falso. Il sistema di definizioni delle voci nello MMPI, test per nulla fattorializzato ma fondato solo su una convinzione di costrutto, è piuttosto vario e complesso. I punti di riferimento indicati dagli editori delle versioni italiane sono attualmente: sei Scale di validità, dieci Scale di base, dodici Scale supplementari e quindici Scale di contenuto. La Morningness/eveningness Scale (Horne e Ostberg, 1976) è una scala auto somministrata finalizzata a determinare la tipologia circadiana ovvero per stabilire se una persona possiede il maggior livello di vigilanza durante le ore diurne o serali. Dosaggio cortisolo. Nell’ottica di capire se l’insonnia è una conseguenza o una causa di patologie mediche associate, una prima indicazione viene data nel rapporto tra insonnia e sistema ormonale. Entrano in gioco i ritmi circadiani scanditi dall’alternarsi del periodo di luce e buio che accompagnano il sonno: un sonno adeguato è sincronizzato con un ritmo circadiano equilibrato. Il funzionamento della ciclicità si sovrappone all’andamento dei livelli ematici di alcuni ormoni; per esempio il cortisolo è minimo nelle prime ore di sonno e ha un picco dalle 4 alle 6 del mattino; una variazione che, per esempio, non si verifica durante il riposino pomeridiano o comunque nel sonno diurno. 52 Risultati Dei 28 pazienti reclutati, 5 pazienti (4 inseriti nel trattamento restrizione, 1 inserito nel trattamento igiene del sonno) non hanno concluso i trattamenti. In linea con i dati in letteratura (Spielman et Al., 1987) i soggetti in restrizione del sonno hanno riportato come motivazione alla sospensione, la rigidità della tecnica, la stanchezza riportata al risveglio mattutino soprattutto nelle prime 2 settimane di trattamento e la difficoltà nell‘occupare il tempo nelle ore precedenti il coricamento a letto e successive al risveglio. La scarsa costanza nel seguire le regole è stata invece la motivazione nel gruppo igiene del sonno. 3 casi, inoltre, sono stati esclusi dall’analisi statistica per l’elevato numero di dati mancanti con particolare riferimento al rifiuto verso il prelievo per il dosaggio del cortisolo e alla mancata compilazione di numerose scale cliniche. L’analisi statistica è stata effettuata mediante software SPSS. Di seguito la descrittiva del campione SESSO Valid maschio Frequency Percent Valid Percent 9 45.0 45.0 11 55.0 55.0 20 100.0 100.0 femmina Total Cumulative Percent 45.0 100.0 ETÀ età soggetto anni di istruzione Valid N 20 Minimum 27 Maximum 78 Mean 50.35 Std. Deviation 14.076 20 5 17 11.55 3.531 20 53 Total 20 100.0 100.0 DIAGNOSI Valid Insonnia psicofisiologica Frequency Percent Valid Percent 18 90.0 90.0 Insonnia idiopatica 2 10.0 10.0 Total 20 100.0 100.0 Cumulative Percent 90.0 100.0 CRONOTIPO Valid mattutino mattutino moderato neutro serale moderato Total Frequency Percent Valid Percent 2 10.0 10.0 5 25.0 25.0 7 35.0 35.0 6 30.0 30.0 20 100.0 100.0 Frequency Percent Valid Percent 10 50.0 50.0 10 50.0 50.0 20 100.0 100.0 Cumulative Percent 10.0 35.0 70.0 100.0 TRATTAMENTO Valid assenza presenza Total Cumulative Percent 50.0 100.0 COMORBIDITÀ Valid assenza presenza Total Frequency Percent Valid Percent 7 35.0 35.0 13 65.0 65.0 20 100.0 100.0 54 Cumulative Percent 35.0 100.0 Valid assenza presenza Total Frequency Percent Valid Percent 10 50.0 50.0 10 50.0 50.0 20 100.0 100.0 ASSUNZIONE FARMACI 55 Cumulative Percent 50.0 100.0 T-TEST 1. Al fine di bilanciare il campione è stato effettuato il T-test per campioni appaiati sui due gruppi nel pre-trattamento. Non si sono evidenziate differenza statisticamente significative per ciò che riguarda le variabili actigrafiche e di qualità di vita. 2. L’eventuale efficacia delle tecniche di restrizione del sonno e igiene nel miglioramento dell’insonnia è stata stimata mediante il T-Test per campioni appaiati su variabili actigrafiche (oggettive) e SF-36 (soggettive). È stata, pertanto, valutata la differenza di prestazioni ottenuta sulle suddette variabili prima e dopo il trattamento in ciascuno dei due gruppi. Le variabili considerate sono state 4 variabili oggettive di derivazione actigrafica: • Valore medio actigrafia 1= tempo totale di letto (TIB) • Valore medio actigrafia 2= tempo totale di sonno (TST) • Valore medio actigrafia 3= attività motoria (WASO) • Valore medio actigrafia 4= efficienza di sonno (SE) e 7 variabili relative alle sottoscale dell’SF-36: • Attività fisica • Ruolo e salute fisica • Dolore fisico • Salute in generale • Vitalità • Attività sociali • Salute mentale 56 Risultati A pre vs A post Paired Samples Test Paired Differences Std. Deviation Std. Error Mean 34.700 44.237 13.989 3.055 66.345 2.481 9 .035 -13.900 51.013 16.132 -50.392 22.592 -.862 9 .411 10.500 13.721 4.339 .684 20.316 2.420 9 .039 -10.096 9.054 2.863 -16.572 -3.619 -3.526 9 .006 .55556 3.00463 1.00154 -1.75400 2.86512 .555 8 .594 -1.66667 12.50000 4.16667 -11.27502 7.94168 -.400 8 .700 -7.77778 12.01850 4.00617 -17.01602 1.46046 -1.941 8 .088 -8.33333 9.68246 3.22749 -15.77593 -.89074 -2.582 8 .033 -6.11111 6.97217 2.32406 -11.47039 -.75183 -2.630 8 .030 -1.11111 10.00868 3.33623 -8.80446 6.58224 -.333 8 .748 1.77778 8.51143 2.83714 -4.76469 8.32024 .627 8 .548 Mean Pair 1 Pair 2 Pair 3 Pair 4 Pair 5 Pair 6 Pair 7 Pair 8 Pair 9 Pair 10 Pair 11 valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 4 valore medio actigrafia 4 attività fisica - attività fisica post ruolo e salute fisica ruolo e salute fisica post dolore fisico - dolore fisico post salute in generale - salute in generale post vitalità - vitalità post attività sociali - attività sociali post salute mentale - salute mentale post 95% Confidence Interval of the Difference Upper Lower t df Sig. (2-tailed) I risultati evidenziano una differenza statisticamente significativa (efficacia significativamente migliore) nel gruppo restrizione del sonno, nel post trattamento, per quanto riguarda il tempo trascorso a letto e l’attività motoria, che diminuiscono, e l’efficienza di sonno, che aumenta (↓TIB, ↓ TIB, SE). Per ciò che riguarda le scale di qualità della vita, aumenta la percezione di una migliore salute in generale e della vitalità. A= restrizione di sonno 57 Risultati B pre vs B post Paired Samples Test Paired Differences Std. Deviation Std. Error Mean 1.300 38.210 12.083 -26.034 28.634 .108 9 .917 -3.400 32.063 10.139 -26.337 19.537 -.335 9 .745 4.500 9.204 2.911 -2.084 11.084 1.546 9 .157 -2.800 5.371 1.698 -6.642 1.042 -1.649 9 .134 -15.00000 29.26175 9.75392 -37.49257 7.49257 -1.538 8 .163 -.55556 18.44662 6.14887 -14.73488 13.62377 -.090 8 .930 -14.44444 10.44164 3.48055 -22.47060 -6.41829 -4.150 8 .003 -18.88889 14.31297 4.77099 -29.89081 -7.88697 -3.959 8 .004 Mean Pair 1 Pair 2 Pair 3 Pair 4 Pair 5 Pair 6 Pair 7 Pair 8 Pair 9 Pair 10 Pair 11 valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 4 valore medio actigrafia 4 attività fisica - attività fisica post ruolo e salute fisica ruolo e salute fisica post dolore fisico - dolore fisico post salute in generale - salute in generale post vitalità - vitalità post attività sociali - attività sociali post salute mentale - salute mentale post 95% Confidence Interval of the Difference Lower Upper t df Sig. (2-tailed) -11.66667 9.68246 3.22749 -19.10926 -4.22407 -3.615 8 .007 -12.27778 17.86601 5.95534 -26.01081 1.45526 -2.062 8 .073 -12.55556 12.65021 4.21674 -22.27937 -2.83174 -2.978 8 .018 Nel gruppo trattamento con igiene del sonno non si evidenziano, nel post trattamento, significative variazioni sulle variabili oggettive mentre all’SF-36 aumentano i punteggi alle sottoscale relative al concetto di salute in generale, al dolore fisico e alla percezione di vitalità e salute mentale. B = igiene del sonno 3. È stato poi effettuato il T-Test sui due gruppi nel dopo trattamento al fine di verificare se una delle due tecniche risultasse significativamente migliore dell’altra. 58 Risultati A post vs B post Independent Samples Test Levene's Test for Equality of Variances F valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 4 attività fisica post ruolo e salute fisica post dolore fisico post salute in generale post vitalità post attività sociali post salute mentale post Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed Equal variances assumed Equal variances not assumed 9.586 1.709 2.904 Sig. .006 .208 .106 16.117 .001 4.096 .060 .173 .683 .478 .025 .483 .084 1.078 .499 .876 .497 .776 .315 t-test for Equality of Means Sig. (2-tailed) -3.109 18 .006 -60.400 19.429 -101.219 -19.581 -3.109 12.447 .009 -60.400 19.429 -102.564 -18.236 -.567 18 .578 -10.300 18.163 -48.458 27.858 -.567 13.436 .580 -10.300 18.163 -49.409 28.809 -2.411 18 .027 -7.800 3.235 -14.597 -1.003 -2.411 14.617 .030 -7.800 3.235 -14.711 -.889 3.812 18 .001 8.396 2.202 3.769 13.022 3.812 9.611 .004 8.396 2.202 3.462 13.329 .956 16 .353 6.11111 6.39492 -7.44552 19.66775 .956 10.157 .361 6.11111 6.39492 -8.10792 20.33014 .037 16 .971 .55556 15.13315 -31.52530 32.63641 .037 15.809 .971 .55556 15.13315 -31.55678 32.66789 .108 16 .916 1.11111 10.33393 -20.79584 23.01807 .108 15.864 .916 1.11111 10.33393 -20.81108 23.03330 .445 16 .662 3.33333 7.49485 -12.55505 19.22171 .445 15.983 .662 3.33333 7.49485 -12.55645 19.22312 1.478 16 .159 10.00000 6.76433 -4.33974 24.33974 1.478 15.821 .159 10.00000 6.76433 -4.35291 24.35291 .027 16 .978 .27778 10.13984 -21.21772 21.77328 .027 15.951 .978 .27778 10.13984 -21.22304 21.77860 -.547 16 .592 -4.55556 8.33130 -22.21711 13.10600 -.547 13.572 .593 -4.55556 8.33130 -22.47736 13.36625 t df Std. Error Difference 95% Confidence Interval of the Difference Lower Upper Mean Difference L’analisi dei dati evidenzia una efficienza di sonno migliore nel gruppo sottoposto a restrizione di sonno e un maggior tempo trascorso a letto nel gruppo sottoposto a igiene. CORRELAZIONI Successivamente è stata effettuata una correlazione tra la Sleep Efficiency (SE) e le sottoscale di qualità di vita in condizioni basali al fine di valutare se esistono fattori predittivi alla risposta sul miglioramento del sonno (Correlazione di Pearson tra SE e variabili cliniche). Di seguito i risultati significativi: 59 Variabile Dipendente: SE (sleep efficiency) Variabile Indipendente: valore medio actigrafia 2 = TST A un minor tempo trascorso a letto correla una maggiore efficienza di sonno (↓TST ↑ SE, Sig .035) 60 Variabile dipendente: SE (sleep efficiency) Variabile indipendente: valore medio actigrafia 3 = WASO A una maggiora attività motoria in sonno correla una maggiore efficienza di sonno (↑attività motoria ↑SE, Sig .000) 61 Variabile dipendente: SE (sleep efficiency) Variabile indipendente: valore medio actigrafia 4 = SE A una minor efficienza di sonno iniziale correla una maggior efficienza di sonno finale(↓ SE ↑SE, Sig .000) RIASSUMENDO L’analisi dei dati ha permesso di evidenziare una efficacia significativamente migliore della restrizione del sonno vs igiene valutate attraverso alcuni parametri oggettivi (TST, WASO e SE). Entrambi i trattamenti sono efficaci valutati attraverso alcuni parametri soggettivi (“salute in generale” e “vitalità” sono comuni ad entrambi, “dolore fisico” e “salute mentale” si presentano con punteggio più alto nel solo gruppo dell’igiene del sonno). Minor iniziale SE e TST e WASO più elevata possono essere predittivi di un maggiore miglioramento in termini di efficienza di sonno nel post trattamento. Nel gruppo sottoposto a restrizione di sonno è possibile evidenziare un alto tasso di rifiuti al trattamento e di drop out. I pazienti sottoposti al trattamento riferivano come maggiore difficoltà l’occupare il tempo serale che precedeva 62 l’orario in cui coricarsi e, in misura minore, la gestione dei risvegli mattutini precoci associate alla stanchezza e alla sonnolenza diurna prevalenti nelle prime due settimane. Inoltre, risultava controintuitivo per i pazienti che fosse loro suggerito di trascorrere inizialmente meno tempo a letto quando la contromisura più comune all’insonnia è il cercare di perpetuare il più possibile le ore a letto nel tentativo di prendere sonno. Parimenti, è stato possibile evidenziare un livello di rifiuti al prelievo ematico tale da non consentire di effettuare alcuna operazione statistica sui pochi dati raccolti. 63 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’elevata diffusione, l’impiego delle risorse sociosanitarie e l’impatto sulla qualità della vita rendono l’insonnia “una malattia meritevole di primaria attenzione” (Terzano et Al., 2005). Molto spesso essa risulta essere l’effetto della mancata osservanza di quelle regole di una buona igiene del sonno, suggerita anche solo dal buon senso comune. Si è dimostrato, infatti, come abitudini scorrette possano con il tempo cronicizzare in un disturbo del sonno. Tuttavia, grazie alla straordinaria capacità del nostro organismo di regolarsi in relazione ai nostri cambiamenti comportamentali, è possibile ristabilire i propri ritmi circadiani e conseguentemente una condizione fisiologica normale, spesso alterata in una diagnosi di insonnia. Il trattamento elettivo è solitamente quello farmacologico poiché tale disturbo rientra in ambito medico e spesso le risorse sanitarie (tempo e personale) non consentono un approccio psico-comportamentale. Inoltre, i pazienti stessi sono ancora per lo più ancorati all’approccio farmacologico; sono rari coloro che preferisco e/o richiedono un trattamento psicoterapeutico. I farmaci ipnoinducenti come le benzodiazepine risultano particolarmente utili per il trattamento dell’insonnia acuta o a breve termine, conseguente a cambiamenti ambientali o al “jet lag”, non sono invece consigliati per il trattamento dell’insonnia cronica; tuttavia può esser indicato un breve ciclo di farmaci durante l’intervento iniziale, al fine di spezzare il circolo della mancanza di sonno e della sofferenza emotiva. Negli anni è stata ampiamente dimostrata l’efficacia dei trattamenti non farmacologici per la cura dell’insonnia sia primaria che secondaria. Tali approcci sono inoltre indicati per le persone resistenti al trattamento farmacologico e utili nel processo di sospensione dal farmaco nei casi di dipendenza psico-fisiologica. Possono inoltre esser impiegati con ottimi risultati in associazione al farmaco: è infatti piuttosto frequente nella pratica clinica che i pazienti siano dapprima sottoposti a trattamento farmacologico da parte dei medici e, successivamente, siano inviati a psicologi per una terapia comportamentale (Morin e Espie, 2004). Tuttavia in questa situazione può accadere che i farmaci indeboliscano gli sforzi del paziente per modificare i pattern comportamentali mal adattivi e le cognizioni disfunzionali. Di conseguenza, il fatto che il paziente attribuisca i benefici terapeutici iniziali al 64 solo farmaco, senza l’integrazione delle capacità di autogestione, può ostacolare i risultati a lungo termine e rendere più difficoltoso il processo di sospensione del farmaco. Pertanto, se il paziente è sottoposto a trattamento combinato, è particolarmente importante assicurargli una certa assistenza, per rendere i progressi conseguiti con la terapia, risultati da attribuire ai suoi sforzi e ai cambiamenti del suo comportamento, oltre che all’azione del farmaco. Il vantaggio dei trattamenti non farmacologici, che includono aspetti sia educativi che riabilitativi, consta nel proposito di cambiare quelle convinzioni e quegli atteggiamenti del paziente che, da soli o insieme ad alcune abitudini comportamentali, causano e perpetuano i fattori multidimensionali dell’insonnia. Complessivamente i trattamenti non farmacologici prevedono quattro principi, sui quali si fonda la loro efficacia: 1. Facilitano e migliorano il sonno curando i disturbi e le situazioni che interferiscono con il sonno, come la deflessione timica, il dolore fisico, l’iperarousal, gli eccessivi episodi di sonno diurno. 2. Insegnano all’individuo a dormire per mezzo di determinati meccanismi di condizionamento. 3. Migliorano il sonno favorendo i meccanismi centrali di mantenimento e induzione del sonno ed il ritmo sonno-veglia. 4. Mitigano le conseguenze dell’insonnia riducendo le preoccupazioni eccessive correlate al sonno. Tuttavia queste terapie non sono esenti da svantaggi: i progressi sono molto difficoltosi da raggiungere e rispetto al trattamento farmacologico spesso richiedono più tempo e maggiori accessi alle strutture ospedaliere o presso gli specialisti che li hanno proposti. Il sostegno psicologico è sempre necessario per incoraggiare e monitorare il paziente durante il trattamento. Come si è visto per la restrizione del sonno, la presenza di un clinico può costituire un riferimento molto importante per il paziente, che talvolta percepisce la terapia troppo difficoltosa da affrontare, necessario a condurre fino alla risoluzione del disturbo. Questo intervento richiede perciò delle risorse sanitarie ulteriori ma i disagi sostenuti sembrano condurre a risultati più duraturi e risolutivi rispetto all’uso di farmaci. In questo senso potrebbe esser utile un confronto tra costi e 65 benefici nel tempo e il rischio di ricadute delle terapie non farmacologiche contro quelle farmacologiche. Nel nostro studio abbiamo evidenziato come alcuni trattamenti non farmacologici dell’insonnia (restrizione e igiene del sonno) siano variamente efficaci nel migliorare alcuni parametri legati al sonno. Mentre la restrizione incrementava alcuni parametri quantitativi e qualitativi del sonno, l’igiene migliorava solo parametri soggettivi ma in misura maggiore rispetto alla restrizione. Gli studi in Letteratura circa l’efficacia della restrizione e dell’igiene del sonno sono controversi: una meta-analisi di Morin, Culbert e Schwartz del 1994 rileva come la tecnica della restrizione del sonno abbia la più alta percentuale di riduzione di WASO e SL rispetto alle altre tecniche non farmacologiche; Friedman e colleghi nel 1999 non evidenziano una superiorità della restrizione rispetto all’igiene mentre Spielman e collaboratori nel 1987 già dimostrarono l’efficacia della restrizione del sonno in un gruppo di 35 soggetti. I nostri risultati sembrano confermare un miglioramento della sensazione di benessere soggettivo nei pazienti sottoposti a igiene rispetto all’altro gruppotrattamento, elemento rilevato anche in uno studio di Hoch e colleghi del 2001. Egli evidenzia come, in soggetti sani che seguivano le regole di igiene del sonno, ci fosse un maggior riferito benessere durante il giorno, rispetto ai soggetti in restrizione dove, per contro, si rilevava una maggior continuità e profondità del sonno. Ciò significa che, a fronte di un trattamento quale le restrizione, che potrebbe migliorare oggettivamente la qualità e la quantità di sonno, un trattamento di igiene del sonno potrebbe risultare migliore per i pazienti data la loro miglior tolleranza alle semplici regole comportamentali e alimentari rispetto alle rigide regole della restrizione; essi pertanto fanno seguire alla implementazione delle prime, una migliore percezione della qualità di vita. In aggiunta a ciò, in accordo con i dati in Letteratura, il nostro studio evidenzia una correlazione tra condizioni iniziale del sonno e risposta al trattamento: una minore SE e TST iniziali e una WASO più elevata possono essere predittivi di un maggiore miglioramento in termini di efficienza di sonno. Quasi tutti gli autori analizzati hanno anch’essi evidenziato una correlazione tra peggiori condizioni di sonno iniziale e miglior beneficio al termine del trattamento. Per citarne alcuni, Spielman (1987) segnala importante sonno 66 deteriorato pre trattamento e maggior miglioramento al follow up, Riedel (2001) maggior TIB e WASO al baseline e maggior SE al post trattamento. In conclusione possiamo affermare che entrambe le tecniche sono efficaci nel miglioramento del sonno: la restrizione parrebbe superiore nel migliorare i parametri oggettivi del sonno mentre l’igiene incrementerebbe la sensazione soggettiva di benessere. È inoltre possibile affermare che peggiori sono le condizioni iniziali del soggetto, maggiori sono le sue possibilità di miglioramento dopo i trattamenti. Alcune considerazioni che impongono una certa cautela nell’interpretazione dei dati. Il modesto numero di pazienti reclutati non consente ampie generalizzazioni ed elaborazioni statistiche diverse. Inoltre, non è ancora concluso un follow up su tutti i pazienti. 5 (4 in restrizione e 1 in igiene del sonno) dei 20 pazienti che hanno concluso il trattamento, contattati a distanza di 6 mesi riferiscono soggettivamente un mantenimento del beneficio ottenuto ma non sono state effettuate registrazioni actigrafiche. Infine, i dati riportati durante il trattamento sono basati su self-report da parte dei pazienti con il rischio di sovra o sottostima delle condizioni riferite. Peraltro, a nostra conoscenza, tutti gli studi in letteratura si sono appoggiati a self-report dei pazienti anche perché una maggiore obiettività in questo ambito probabilmente coinciderebbe con una maggiore intrusività e con un’alterazione del comportamento e delle abitudini tipiche del soggetto. Nell’ottica dell’ampliamento del campione, sarebbe opportuno valutare eventuali differenza emerse in sottogruppi di pazienti ovvero diverse risposte al trattamento nelle differenti diagnosi all’interno del gruppo delle insonnie primarie. 67 BIBLIOGRAFIA 1. American Academy of Sleep medicine (2005). International classification of sleep disorders: Diagnostic and coding manual (2nd ed.). Westchester, IL: American Academy of Sleep Medicine. 2. American Psychiatric Association 2000. DSM-IV TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Text Revised. Masson. 3. Apolone G., Mosconei P., (1998). The italian SF 36 Health Survey: translation, validation and norming. 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Non credo riuscirei a nominare tutte le persone che mi hanno affiancato lungo questo cammino, in questi anni. Compagni di studio e di ricerca, alleati nel lavoro assistenziale quotidiano, tecnici, medici, specializzandi, infermieri, “capi”. Non li elencherò tutti, anche se sono e restano i miei compagni di viaggio. Ritengo doveroso però citare qualcuno. Un ringraziamento particolare va ad Alessandro Cicolin, amico, professionista e “capo” del Centro di Medicina del Sonno con il quale ho condiviso la nascita del Centro e la sua crescita professionale ed umana e anche qualche sana incomprensione risolta alla luce del buon senso e della voglia di lavorare insieme. Al prof. Roberto Mutani, per avermi chiesto, ormai 9 o più anni fa, di seguirlo nella sua migrazione verso l’Ospedale Molinette e verso la nascita del Centro del Sonno; ha permesso e favorito la mia formazione all’interno della struttura da lui diretta. Ringrazio il prof. Pasquale Montagna, coordinatore del Dottorato che mi ha consentito di lavorare “a distanza” concedendomi libertà organizzativa e scientifica pur sotto costante monitoraggio e supervisione e il dott. Giuseppe Plazzi per il suo tutoraggio. Grazie al personale del Centro, tutto. “I vecchi”, che hanno percorso strade differenti, “i nuovi” che si sono da poco appassionati agli enigmi del sonno e lo “zoccolo duro”, quelli che lavorano giorno dopo giorno, con dedizione e professionalità tra le mille difficoltà organizzative, logistiche e burocratiche. Non ultimi, ringrazio i pazienti, che hanno, di fatto, consentito la realizzazione di questo lavoro, anche quelli che, per varie vicissitudini non hanno concluso il loro percorso terapeutico. 73