Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA
MEDICINA DEL SONNO
Ciclo XXI
Settore scientifico disciplinare di afferenza: MED/26 - Neurologia
TITOLO TESI
TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DELL’INSONNIA: CORRELAZIONE CON
VARIABILI PERSONOLOGICHE, DI QUALITA’ DELLA VITA E TONO DELL’UMORE
Candidato: dott.ssa Alessandra Giordano
Coordinatore Dottorato
Relatore
Prof. Pasquale Montagna
Dott. Giuseppe Plazzi
Esame finale anno 2009
Indice
2
Insonnia: definizione ed epidemiologia
3
Le insonnie primarie
5
Terapie non farmacologiche dell’insonnia
9
Regole di igiene del sonno
10
Restrizione di sonno
18
Controllo dello stimolo
22
Tecniche di rilassamento
23
Terapia cognitivo-comportamentale
27
Terapia cognitiva
30
Terapia multicomponenziale
35
Trattamento self-help
39
Contributo sperimentale
41
Obiettivi
41
Materiali e metodi
42
Strumenti
46
Risultati
53
Discussione e conclusioni
64
Bibliografia
68
Ringraziamenti
73
2
INSONNIA: DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
L’insonnia è il più comune di tutti i disturbi del sonno interessando
saltuariamente ogni anno più del 40% della popolazione. Viene definita come
la percezione da parte del soggetto di un sonno inadeguato e/o insufficiente,
riflette una ridotta qualità, durata o efficienza del sonno ed è caratterizzata da
uno o più dei seguenti sintomi: difficoltà ad iniziare o mantenere il sonno,
risveglio precoce mattutino e sensazione di sonno non ristoratore. Oltre ai
sintomi notturni, sono spesso presenti disturbi diurni quali astenia, sonnolenza,
difficoltà di concentrazione, irritabilità, disturbi dell’umore, deficit di attenzione,
concentrazione e memoria, scarso rendimento lavorativo e scolastico, incidenti
sul lavoro e alla guida, cefalea tensiva e disturbi digestivi che possono avere
significative ripercussioni sulla salute percepita dal
soggetto. Il sonno
insufficiente è spesso associato ad una ridotta qualità della vita, ad un
aumento dei disturbi fisici, a ripercussioni economiche dovute ad uno scarso
rendimento sul lavoro ed inoltre a problemi medico-legali.
Se l’insonnia presenta solo gli indicatori notturni è definita “insonnia di primo
livello”, se questi invece sono accompagnati da manifestazioni diurne si
descrive come “insonnia di secondo livello”.
Questa percezione soggettiva può essere o meno sostenuta da un’evidenza
oggettiva mediante polisonnografia, actigrafia o un’osservazione esterna.
Le insonnie sono definite primarie qualora non siano associate ad altri disturbi
del sonno o a malattie internistiche o mentali o ancora all’utilizzo di farmaci o di
altre sostanze.
La mancanza di una definizione univoca di insonnia ha costituito uno dei
problemi con i quali la ricerca scientifica sui disturbi del sonno ha dovuto
scontrarsi negli ultimi trent’anni del secolo scorso.
Nel 1999 l’American Academy of Sleep Medicine (AASM) ha commissionato a
un gruppo di lavoro, costituito dai più importanti specialisti in materia, il
compito di revisionare la letteratura per identificare quei “fenotipi” dell’insonnia
più validi, frequenti e plausibili. Fu quindi chiesto di redigere i “Research
Diagnostic Criteria” (RDC) per l’insonnia e per gli altri disturbi del sonno e di
delineare le procedure di valutazione per il loro accertamento. Lo scopo era
fornire delle linee guida che aiutassero i ricercatori in ambito scientifico e i
3
clinici, in ambito terapeutico, ad orientarsi in un campo, quale i “disturbi del
sonno”, intriso di ambiguità classificatorie.
Dopo cinque anni di lavoro, furono pubblicati i risultati di tale indagine (Edinger
et Al. 2004) che portarono ad una definizione di insonnia, che fu inclusa nella
versione recente dell’ICSD-2 (2005) e che riporta i seguenti criteri diagnostici:
1. L’individuo riferisce uno o più dei seguenti disturbi relativi al sonno: difficoltà
all’addormentamento, difficoltà a mantenere il sonno, risvegli precoci al
mattino ed un sonno cronicamente non ristoratore o di scarsa qualità.
2. Le difficoltà sovra riportate avvengono nonostante l’opportunità e le
circostanze adeguate per il sonno.
3. L’individuo deve riportare almeno una delle seguenti forme di disagio
diurno conseguente ad un sonno notturno disturbato:
3.1. Fatica/malessere
3.2. Difficoltà nell’attenzione, concentrazione o nella memoria
3.3. Disfunzioni sociali/professionali o scarse performance scolastiche
3.4. Disturbi dell’umore/irritabilità
3.5. Sonnolenza diurna
3.6. Riduzione della motivazione, energia e iniziativa
3.7. Disposizione a errori/accidenti sul lavoro o alla guida
3.8. Tensione, mal di testa, sintomi gastrointestinali in risposta a perdita del
sonno
3.9. Ansia o preoccupazioni per il sonno
L’insonnia, le cui conseguenze influenzano anche le funzioni diurne, si può
quindi definire come un disturbo del sonno che coinvolge le 24 ore.
Classificazioni delle insonnie
La quarta edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dell’Associazione
Psichiatrica Americana (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders,
DSM-IV) suddivide i disturbi primari del sonno dai disturbi secondari: tra i primi
sono elencate le dissonnie di cui fanno parte le insonnie primarie. Le insonnie
secondarie sono comprese invece tra i disturbi secondari del sonno.
Secondo la prima versione della Classificazione Internazionale dei Disturbi del
Sonno (International Classification of Sleep Disorders, ICSD I) le forme di insonnia
venivano distinte in insonnia intrinseca, data cioè da fattori “interni” al
4
paziente, ed insonnia estrinseca, dipendente da fattori “esterni” al paziente.
Nel primo gruppo rientravano l’insonnia idiopatica, l’insonnia psicofisiologica e
l’alterata percezione di sonno o insonnia paradossa, mentre al secondo
gruppo appartenevano l’inadeguata igiene del sonno, la sindrome da sonno
insufficiente e il disturbo del sonno da adattamento.
La stessa classificazione, recentemente rivista (ICSD II, 2005), riunisce le diverse
forme di insonnia in un unico gruppo così composto:
1) insonnia acuta
2) insonnia psicofisiologica
3) insonnia paradossa (da alterata percezione del sonno)
4) insonnia idiopatica
5) inappropriata igiene del sonno
6) insonnia dovuta a disordini mentali
7) insonnia comportamentale dell’infanzia
8) insonnia correlata all’uso di sostanze o farmaci
9) insonnia dovuta a condizioni mediche
10) NOS
11) insonnia organica o fisiologica
LE INSONNIE PRIMARIE
Le insonnie primarie sono forme di insonnia non associate ad altri disturbi del
sonno o a malattie internistiche o mentali o ancora all’utilizzo di farmaci o di
altre sostanze.
Il DSM IV (307.42) definisce l’insonnia primaria come difficoltà a iniziare o a
mantenere il sonno o sensazione di sonno non ristoratore che dura da almeno
un mese e che causa una significativa faticabilità diurna associata ad
angoscia o alterazione funzionale, occupazionale o riguardante altre
importanti aree. Tale disturbo non compare esclusivamente associato ad altri
disordini del sonno o a disordini mentali e non è dovuto ad effetti di farmaci o
altre sostanze.
Secondo i criteri dell’International Classification of Sleep Disorders modificata
(ICDS II, 2005), si definisce insonnia primaria la difficoltà ad iniziare o a
mantenere il sonno, il risveglio precoce o la sensazione di sonno non ristoratore,
nonostante condizioni ambientali adeguate a favorire il sonno, che causa una
5
significativa ripercussione sulle performance diurne con limitazione sociale e
occupazionale e che non dipende da altri disturbi del sonno, internistici, medici
o da sostanze esterne.
L’insonnia primaria rappresenta il 30% delle insonnie ed è caratterizzata da
andamento solitamente cronico e da scarsa risposta al trattamento con
farmaci benzodiazepinici.
Secondo l’ICSD II, le insonnie primarie sono rappresentate dalle prime cinque
forme di insonnia elencate (insonnia acuta, insonnia psicofisiologica, insonnia
paradossa
o
da
alterata
percezione
del
sonno,
insonnia
idiopatica,
inappropriata igiene del sonno), a differenza del DSM IV in cui le insonnie
primarie
sono
rappresentate
unicamente
dall’insonnia
psicofisiologica,
paradossa e idiopatica.
Insonnia idiopatica
L’età di esordio è tipicamente infantile o giovanile e il decorso è cronico con
persistenza dell’insonnia per tutta la vita. Talvolta si evidenzia una familiarità o
la presenza di minimi segni neurologici (lievi anomalie EEGrafiche, dislessia,
ipercinesia). Si ipotizza che alla base vi sia una inefficienza delle strutture che
inducono e mantengono il sonno o un’iperattività di quelle preposte alla
veglia. Durante la giornata questi pazienti manifestano astenia e faticabilità,
hanno uno scarso rendimento lavorativo e frequentemente concomita un
disturbo depressivo dell’umore. In genere le facoltà cognitive non vengono
compromesse. Una cattiva igiene del sonno spesso complica ed aggrava
l’insonnia idiopatica. I dati polisonnografici, oltre a presentare una riduzione
dell’efficienza di sonno con aumento della latenza di addormentamento e
numerosi
risvegli
intermedi,
hanno
evidenziato
la
riduzione
della
rappresentazione dei fusi del sonno (spindles) ed un sonno REM con scarse
bouffé di movimenti oculari rapidi. La diagnosi differenziale nei confronti
dell’insonnia psicofisiologica si basa non solo sull’età d’insorgenza ma anche
sull’assenza di un evento scatenante iniziale e sulla scarsa influenza degli eventi
stressanti e degli stati emotivi del soggetto sulla gravità del disturbo.
Insonnia psicofisiologica
È una delle più frequenti forme d’insonnia, rappresentando il 15% di tutte le
tipologie. Ne sono prevalentemente affette persone in età adulta e di sesso
6
femminile. Di solito insorge in seguito ad un evento stressante ma, a differenza
delle forme transitorie, una volta scomparsa la causa scatenante non
regredisce, persistendo o spesso aggravandosi nel tempo. Gli individui affetti
sentono il bisogno di dormire, ma appena giunti a letto si ritrovano
improvvisamente irrequieti e con difficoltà all’addormentamento. Alla genesi di
questo disturbo concorrono soprattutto fenomeni di condizionamento negativi
interni ed esterni nei confronti del sonno. Il fattore interno è rappresentato dalla
consapevolezza di non riuscire a dormire per cui lo stato di apprensione e
l’attività
neurovegetativa
aumentano
al
momento
di
coricarsi.
Il
condizionamento esterno, invece, è rappresentato dall’insieme di quegli stimoli
che provengono dall’ambiente in cui si dorme e che possono essere associati
a situazioni spiacevoli che possono aver dato inizio all’insonnia stessa.
L’importanza di questi fattori è dimostrata dalla facilità con cui i pazienti si
addormentano in ambienti non abituali quali il laboratorio di un centro del
sonno. L’insonnia psicofisiologica trae un vantaggio solo temporaneo dall’uso
dei farmaci ipnotici. Molto più utili sono le tecniche di supporto psicologico atte
a innescare un condizionamento positivo tra sonno e letto.
Insonnia paradossa o alterata percezione di sonno
Indica una situazione di discrepanza tra il disturbo del sonno (inteso come
alterata qualità e quantità) percepito soggettivamente e lamentato dal
paziente, e la compromissione effettiva del sonno rilevabile oggettivamente
tramite polisonnografia o actigrafia. Il tracciato polisonnografico rivela infatti
normali parametri di sonno, se si esclude qualche risveglio in più rispetto ai
controlli. I pazienti lamentano un cattivo sonno anche nelle notti in cui
dormono in laboratorio, a differenza dell’insonnia psicofisiologica. Il test delle
latenze multiple all’addormentamento (MSLT) mostra latenze medie nella
norma. Sembra che questo disturbo sia dovuto ad un’eccessiva attività
mentale che continua a svolgersi durante il sonno cosicché molte delle ore di
sonno vengono percepite come dormiveglia. Alcuni ipotizzano che esistano
modificazioni talmente sottili dell’attività del sonno da non essere svelate dal
tracciato, altri suppongono che esista una grossolana sottovalutazione del
sonno come espressione di una condizione ipocondriaca sottostante che si
manifesta solo a questo livello.
7
Caratteristiche polisonnografiche dell’insonnia primaria
Studi polisonnografici in pazienti affetti da insonnia primaria dimostrano una
scarsa qualità ed efficienza di sonno dovute ad un aumento della latenza di
sonno, ad una riduzione del tempo totale di sonno e alla presenza di risvegli
intermedi multipli. La macrostruttura ipnica generalmente è caratterizzata da
un aumento percentuale del sonno leggero (NREM 1 e 2), con conseguente
riduzione degli stadi di sonno profondo (NREM 3 e 4) e relativa conservazione
percentuale della rappresentazione di sonno REM. Concomita un aumento del
tono muscolare ed un aumento dell’attività durante il sonno.
La microstruttura ipnica nel paziente affetto da insonnia è caratterizzata
generalmente da un aumento dell’indice di CAP (indice di pattern alternante
ciclico, vedi nota a piè di pagina) che esprime un’alterazione qualitativa del
sonno. In casi di grave sovvertimento della macrostruttura ipnica, tuttavia, è
possibile riscontrare un CAP rate diminuito in risposta al venire meno dell’azione
stabilizzatrice sul sonno delle fasi di CAP sincronizzato.
Per la diagnosi di insonnia primaria devono inoltre essere esclusi altri disturbi del
sonno evidenziabili allo studio polisonnografico.
La valutazione della microstruttura ipnica permette di esprimere gli aspetti qualitativi del sonno in
modo migliore rispetto all’analisi della sola macrostruttura. Terzano e collaboratori hanno
individuato, nell’ambito delle diverse fasi di sonno NREM, il tracciato alternante ciclico o CAP,
caratterizzato da un regolare susseguirsi di sequenze di cicli CAP, ciascuno di essi rappresentato da
una fase A, espressa dal breve alleggerimento del sonno (ricomparsa dell’attività alfa, sequenze di
complessi K o di onde lente di ampio voltaggio) e da una fase B, caratterizzata dal ripristino
dell’attività EEG propria di quella fase. La successione di più cicli CAP, ciascuno costituito da fase
A+B, viene definita sequenza di CAP.
La fase A del CAP può essere poi suddivisa in tre sottotipi: fase A1 (quando dominano i
grafoelementi che esprimono sincronizzazione), fase A2 (quando vi è una ripartizione bilanciata tra
i grafoelementi in sincronizzazione e in desincronizzazione) e fase A3 (quando vi è una prevalenza
di grafoelementi in desincronizzazione).
Il CAP rate (o indice di CAP) si ottiene dividendo il tempo totale di tracciato CAP per il tempo di
sonno NREM espresso in percentuale. I valori di CAP rate compresi tra 30% (giovani adulti) e
50% (anziani) sono compatibili con un sonno ritenuto soggettivamente soddisfacente. Di fronte ad
una situazione in grado di determinare una perturbazione del sonno, si assiste ad un aumento
dell’indice di CAP in tutte le fasi di sonno NREM iniziando dal sonno profondo che per primo
risente del disturbo, mentre in un secondo momento, se il disturbo del sonno assume carattere di
maggior gravità, si avrà ad una riduzione percentuale di queste fasi. Le modificazioni della
microstruttura del sonno riflettono meglio i suoi aspetti qualitativi, pertanto possono essere
utilizzate, accanto alle variazioni più propriamente quantitative della macrostruttura ipnica, nella
valutazione dell’efficacia dei farmaci ipnotici potenzialmente in grado di ridurre il CAP rate
aumentato in corso di disturbo del sonno.
8
TERAPIA NON FARMACOLOGICA DELL’INSONNIA
La Consensus Conference (Terzano et Al., 2005) nata dall’esigenza di fornire ai
clinici uno strumento realmente utilizzabile nell’attività quotidiana per la
gestione diagnostica e terapeutica dell’insonnia propone le seguenti linee
guida tertapeutiche:
•
l’insonnia dovrebbe essere sempre diagnosticata se il paziente si
lamenta spontaneamente e trattata sebbene non espressamente
richiesto;
•
l’insonnia dovrebbe essere sempre ricercata e trattata in concomitanza
di patologie psichiatriche e internistiche;
•
l’insonnia dovrebbe essere sempre ricercata in concomitanza di disturbi
dell’umore;
•
l’insonnia può essere gestita prevalentemente dal MMG;
•
la causa di insonnia dovrebbe sempre essere ricercata ai fini della
gestione diagnostica e terapeutica;
•
è preferibile utilizzare ipnotici a emivita breve;
•
è
preferibile
utilizzare
ipnotici
non-benzodiazepinici
per
la
maneggevolezza. Gli ipnotici benzodiazepinici devono essere indicati in
situazioni specifiche;
•
in caso di depressione
è
preferibile
utilizzare
gli ipnotici non-
benzodiazepinici;
•
è preferibile utilizzare gli ipnotici con formulazione in compresse;
•
l’evoluzione dell’insonnia e della sua terapia deve essere rivalutata nel
tempo;
•
l’autogestione della terapia deve essere sconsigliata ed evitata;
•
in caso di inefficienza del farmaco ipnotico la dose consigliata non deve
essere aumentata, ma bisogna modificare la terapia o rivalutare la
diagnosi.
Il trattamento previsto è dunque prevalentemente farmacologico e molto
spesso le condizioni dei pazienti richiedono questo tipo di intervento.
Negli anni, però, sono state elaborate ed hanno dimostrato la loro efficacia
numerose terapie di tipo non farmacologico (esposizione alla luce, melatonina,
tecniche di rilassamento, controllo dello stimolo, regole di igiene del sonno,
terapia cognitiva, biofeedback, restrizione del sonno).
9
In letteratura, numerose pubblicazioni consigliano, come primo approccio, una
terapia psico-comportamentale (Chesson et Al., 1999; Morin et Al., 1999; Petit
et Al., 2003; C.M. Morin e C. Espie, 2004; Morgenthaler et Al., 2006; Morin et Al.,
2006). In queste pubblicazioni, si nota l’evoluzione dei trattamenti non
farmacologici considerati inizialmente efficaci solo per l’insonnia primaria e
successivamente
validi
anche
per
l’insonnia
secondaria.
L’approccio
farmacologico viene introdotto quando questi trattamenti non siano riusciti ad
alleviare l’insonnia in modo sufficiente, oppure quando sia giustificata una
terapia sintomatica più immediata. Talvolta vengono invece associati alla
terapia farmacologica per potenziarne gli affetti o nel caso in cui si voglia
sospendere il farmaco in caso di dipendenza sia fisica che psicologica (Morin e
Espie, 2004). I trattamenti non farmacologici sono poi indicati per quelle
persone restie all’utilizzo dei farmaci, anche se potrebbero trarre benefici da un
ausilio farmacologico occasionale.
I trattamenti non farmacologici prevedono l’utilizzo di differenti metodiche, tra
cui:
A. regole di igiene del sonno
B. restrizione di sonno
C. controllo dello stimolo
D. tecniche di rilassamento
E. terapia cognitivo-comportamentale
F. terapia cognitiva
G. terapia multicomponenziale
H. trattamento self-help
Igiene del sonno
Una corretta igiene del sonno costituisce il presupposto essenziale per il
trattamento dell’insonnia indipendentemente dall’adozione di altri approcci
terapeutici.
Il termine “sleep hygiene” (SH) viene usato per la prima volta da Peter Hauri
(1981) per aiutare i pazienti a migliorare il proprio sonno; esso si riferisce a tutti
quei comportamenti che vengono considerati come promotori di una quantità
e qualità del sonno più efficiente. Alcune di queste regole derivavano da studi
10
scientifici che riguardano gli effetti della caffeina o dell’alcool sul sonno; altre
provengono dall’osservazione clinica di Hauri su pazienti che presentavano un
sonno non ristoratore. Qui di seguito sono riportate le regole originali (Stepanski
e Wyatt, 2003):
1. Dormire quanto è necessario a sentirsi sani e riposati durante il giorno
seguente, ma non di più. Ridurre un poco il tempo a letto, sembra
accrescere la qualità del sonno; per contro, spendere tempo a letto
eccessivamente, sembra correlato ad un sonno frammentato e
superficiale.
2. Una sveglia regolare al mattino sembra rafforzare il ritmo circadiano e
alla fine conduce a una regolare attivazione del sonno.
3. Una quantità giornaliera equilibrata di esercizio fisico probabilmente
riduce il sonno a lungo andare, ma l’esercizio occasionale non influenza
direttamente il sonno durante la notte successiva.
4. Rumori forti occasionali possono disturbare il sonno. Attenuare il suono
nella stanza, è consigliabile per le persone che sono costrette a dormire
vicine ad un rumore eccessivo.
5. Nonostante una stanza eccessivamente calda disturbi il sonno, non ci
sono evidenze che una stanza eccessivamente fredda rinforzi il sonno,
come è stato sostenuto.
6. L’appetito può disturbare il sonno. Un leggero snack prima di coricarsi
(soprattutto un latte caldo o bevande simili) sembra aiutare il sonno di
molti individui.
7. Una farmaco occasionale per il sonno può apportare qualche
beneficio, ma l’uso cronico di ipnotici è inefficace e deleterio in alcune
persone insonni.
8. Caffeina alla sera disturba il sonno, persino in quelle persone che non
avvertono un suo effetto.
9. L’alcool può aiuta le persone tese ad addormentarsi facilmente ma il
sonno successivo risulta frammentato.
11
10. Piuttosto che provare insistentemente a prendere sonno durante una
notte, accendere la luce e fare qualcos’altro può aiutare quelle
persone che si innervosiscono, che si sentono frustrate o tese per il non
riuscire a dormire.
Queste regole si presentano oggi più aggiornate; in particolare sono presenti
maggiori informazioni riguardo il ruolo dell’alimentazione: sono sconsigliati pasti
serali ipercalorici o comunque abbondanti e ad alto contenuto di proteine
(carne, pesce), in quanto queste rendono più difficile l’assorbimento del
triptofano, un amminoacido che entra nella sintesi della serotonina, sostanza
che ha un ruolo importante nella regolazione del sonno. La dieta a base di
zuccheri (amidi del riso e della pasta, fruttosio, saccarosio) favorisce
l’insorgenza e il mantenimento del sonno facilitando l’assorbimento di questo
aminoacido. In aggiunta a queste indicazioni, ve ne sono altre più specifiche
rispetto alla versione originale che riguardano la stanza in cui si dorme. Questa
non dovrebbe ospitare altro che l’essenziale per dormire: è quindi sconsigliabile
collocare nella camera da letto televisore, computer, scrivanie, per evitare di
stabilire legami tra attività non rilassanti e l’ambiente in cui si deve invece
stabilire una condizione di relax, che favorisca l’inizio ed il mantenimento del
sonno notturno.
La
stanza
in cui si
dorme dovrebbe
inoltre
essere
sufficientemente buia, silenziosa e di temperatura adeguata (evitare eccesso
di caldo o di freddo). Per quanto riguarda le raccomandazioni relative alla
possibilità di concedersi sonnellini diurni, se ne concede uno, breve e postprandiale, evitandoli invece dopo cena, nella fascia oraria prima di coricarsi. In
questa fascia temporale, è inoltre sconsigliato l’esercizio fisico di media-alta
intensità (per es. palestra), per contro auspicabile nel tardo pomeriggio; così
come il bagno caldo serale non dovrebbe esser fatto nell’immediatezza di
coricarsi ma a distanza di 1-2 ore. Molto importante è l’osservanza di orari
regolari e costanti, in cui coricarsi la sera ed alzarsi al mattino, il più possibile
consoni alla propria tendenza naturale al sonno; a questo, si aggiunge il
consiglio di non protrarre eccessivamente il tempo trascorso a letto di notte,
anticipando l’ora in cui coricarsi e/o posticipando l’ora in cui alzarsi al mattino.
Queste ultime due raccomandazioni sono utili alla regolazione e al
mantenimento di un buon ritmo circadiano del sonno.
12
Esistono numerose versioni delle regole sull’igiene del sonno che presentano
diverse aggiunte e modifiche rispetto alla lista originale. In alcune, gli specialisti
del sonno hanno adottato le istruzioni della SH in modo più limitato,
focalizzandosi solo su quegli aspetti dell’ambiente che riguardano il sonno, gli
effetti degli esercizi e l’uso di caffeina, alcool e nicotina. Questa versione è
definita come un approccio psico-educazionale al trattamento dell’insonnia.
Altre versioni prevedono aspetti cognitivo-comportamentali più complessi;
questi sono, peraltro, oggi impiegati come trattamenti più specifici per
l’insonnia, come il metodo della restrizione del sonno e il controllo dello stimolo.
La restrizione del sonno (Sleep Restriction Therapy, SRT) è nata, infatti, proprio
da
uno
sforzo
di
Spielman,
Saskin
sistematicamente l’efficacia delle
e
Thorpy
finalizzato
regole della SH per
il
a
studiare
trattamento
dell’insonnia (Spielman et Al., 1987). Nonostante la SRT abbia avuto origine
dalle regole della SH, le versioni correnti dell’igiene del sonno includono spesso
solo quegli elementi che sono unici e che non sono parte di questi altri
approcci terapeutici. Di conseguenza, le versione attuali della SH sono meno
sofisticate e rappresentano un trattamento meno rigoroso rispetto alle regole
originali di Hauri. Quest’ultime, così come egli le aveva concepite, richiedono
chiaramente,
per
una
piena
realizzazione,
un
trattamento
cognitivo-
comportamentale complesso; per tale ragione le regole dell’igiene del sonno
sono spesso incluse come parte di questi programmi terapeutici.
Attualmente si discute l’esatta definizione di queste regole: in letteratura non vi
è un consenso unanime che stabilisca con chiarezza quali siano le regole
esatte della SH; questo è dovuto proprio alle numerose versioni e modifiche
apportate dagli stessi clinici, che a seconda del disturbo riportato dal paziente,
si concentrano sull’attuazione di solo alcune delle regole contemplate dalla
SH. Nonostante questa diatriba, gli specialisti del sonno raccomandano
comunemente la SH per il trattamento di pazienti affetti da insonnia. In
particolare le regole dell’igiene del sonno risultano indicate per le persone a
cui è stata fatta una diagnosi di insonnia psicofisiologica, di inadeguata igiene
del sonno, di insonnia associata a disturbi d’ansia, di sindrome dell’apnea
ostruttiva nel sonno, di sindrome da sonno ritardato o di insonnia dovuta a un
disturbo dell’umore. Anche l’insonnia comportamentale dell’infanzia che può
esser determinata da ritmi biologici alterati, può trovare un equilibrio seguendo
13
proprio le raccomandazioni dell’igiene del sonno. In linea generale, l’igiene del
sonno può esser concepita come una guida a “stili di vita” e comportamenti
che contribuiscono alla creazione di un pattern del sonno sano e regolare. Per
queste ragioni, l’applicazione dei suoi principi in uno stile di vita già salutare
può prevenire l’insorgere di problemi relativi al sonno (Morin ed Espie, 2004).
Le raccomandazioni per un’adeguata igiene del sonno sono indicate in
particolare per quegli individui, il cui disturbo di insonnia sembra correlato alla
mancata osservanza di tali regole. Sia i soggetti sani che i pazienti insonni
conoscono le regole per un’adeguata igiene del sonno, anche solo secondo il
buon senso comune, la differenza consta nell’adesione o meno a tali
raccomandazioni. Per esempio, sebbene i pazienti insonni sappiano che la
caffeina ostacoli il sonno, questi sono molto più propensi dei buoni dormitori a
consumare nella serata bevande contenenti caffeina. Un’altra ragione che
sembra discriminare i due tipi di popolazione, quelli insonni verso i buoni
dormitori, viene ricondotta ai fattori predisponenti l’insonnia. Per tale ragione,
alcuni soggetti dovrebbero esser più attenti e protettivi verso il proprio sonno ed
essere maggiormente istruiti sulle regole della SH; in questi casi l’igiene del
sonno può esser considerata un’ottima prevenzione.
Stepansky e Wyatt nel 2003 hanno studiato come tali pratiche influiscano sul
sonno dei soggetti normali, ovvero che non presentano un disturbo del sonno
Stabilire orari in cui ci si corica e in cui ci si sveglia, regola e mantiene il ritmo
circadiano del sonno. Quest’ultimo rappresenta uno dei numerosi ritmi biologici
presenti nel nostro organismo: quelli che hanno una durata di 24 ore, sono detti
circadiani (“relativi al giorno” inteso di 24 ore), quelli che hanno una durata
superiore o inferiore, rispettivamente ritmi infradiani e ritmi ultradiani. Il ritmo
circadiano del sonno è regolato da un “orologio interno”, un pacemaker
endogeno, individuato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo: ad esso
giungerebbero afferenze dirette provenienti dal tratto ottico (fibre retinoipotalamiche) che trasportano dalla retina informazioni sulla condizione di
luce/buio; quest’ultime sarebbero responsabili delle oscillazioni nel rilascio di
neurotrasmettitori o di ormoni quali la melatonina, la quale agisce modulando i
circuiti del tronco dell’encefalo, che a loro volta controllano il ciclo sonnoveglia (Purves et Al., 2004). I neuroni del nucleo soprachiasmatico mantengono
un’attività di scarica che oscilla regolarmente nelle 24 ore, anche quando il
14
nucleo è stato isolato dal tessuto nervoso circostante. Pertanto esso è
considerato un generatore autonomo del ritmo circadiano. È noto che variabili
esterne, quali la luce e la temperatura, si impongono sul ritmo endogeno:
questo processo viene definito entrainment. Tali variabili, in grado di regolare i
ritmi circadiani, sono chiamate agenti di entrainment o Zeitgeber (dal tedesco
Zeit = tempo e Geber = dispensatore).
A seguito della modulazione circadiana ed omeostatica del sonno, non
sorprende che l’abitudine di concedersi dei sonnellini durante la giornata
comporti un effetto sul sonno della notte successiva. Questi infatti riducono il
debito di sonno per la notte ed aumentano la latenza di sonno: ciò non
significa che tali “riposini” non abbiano delle applicazioni potenziali positive.
Essi infatti risultano benefici nell’attenuare i decrementi nelle attività mentali
associate a perdite di sonno tipiche di alcune professioni in cui può esserci una
diminuzione del riposo, come i piloti di linea o i turnisti. In queste circostanze i
sonnellini sono efficaci per recuperare il debito di sonno, ma in condizioni
normali sono considerati deleteri e dannosi per il sonno della notte successiva.
La caffeina è la sostanza più comunemente usata per promuovere la veglia e
combattere la sonnolenza. Essa infatti blocca i recettori dell’adenosina nel
sistema nervoso centrale (CNS). L’adenosina è stata riconosciuta come una
sostanza endogena che induce il sonno e sembra seguire il corso omeostatico
del sonno. L’adenosina aumenta nel corso della veglia prolungata e perciò la
caffeina agisce per contrastare questo processo.
Sono stati già presentati gli effetti del suo consumo eccessivo nel secondo
capitolo relativamente all’insonnia dovuta a farmaci o a sostanze; nei soggetti
sani invece l’assunzione controllata di caffeina comporta degli effetti moderati,
implicando talora una maggiore latenza di sonno e qualche intrusione di
risvegli infrasonno.
L’alcool è considerato come un soppressore del sonno REM notturno. Inoltre,
l’assunzione di sostanze alcoliche a sei ore di distanza dall’ora in cui ci si corica,
sembra condurre ad una frammentazione del sonno nella notte successiva.
Alcuni individui utilizzano l’alcool come ipnoinducente, poiché accorcia i tempi
di latenza del sonno come è stato dimostrato attraverso il MSLT; tale effetto non
si è tuttavia riscontrato nei soggetti che non presentano disturbi del sonno
(Stepansky e Wyatt, 2003).
15
I recettori nicotino-colinergici sono presenti in molte regioni del cervello, ma
rimane incerto quali di questi siano importanti per gli effetti della nicotina sul
sonno e sull’attenzione diurna. Si parla poco in letteratura degli effetti della
nicotina sul sonno dei non fumatori. Per contro, si è riscontrato che nei fumatori,
la sospensione di nicotina comporta una frammentazione del sonno e che uno
degli effetti collaterali, conseguente alla sua sostituzione con il cerotto, è
l’insonnia.
È stato sostenuto che l’esercizio fisico potesse svolgere un ruolo importante
nell’aumentare il debito di sonno o sollecitare l’inizio del sonno. I dati sono
decisamente controversi. C’è poca evidenza del fatto che l’esercizio praticato
nel primo mattino possa davvero influire sui parametri del sonno: una breve
attività fisica può accrescere significativamente i tempi di latenze del sonno nel
MSLT. Piuttosto, praticare esercizio fisico nell’ultima parte della giornata sembra
incrementare il debito di sonno, come avvalorano le percentuali delle onde
lente e il tempo totale di sonno, ma l’esercizio praticato vicino all’ora del
coricamento può ritardare l’inizio del sonno (Stepanski, 2003 e Hood et Al.,
2004).
Molti studi hanno dimostrato come l’aumento della temperatura corporea,
raggiunta con l’aiuto di bagni caldi, i cosiddetti “passive body heating”, prima
di coricarsi a letto, possa favorire la propensione all’addormentamento sia nei
soggetti normali che in quelli affetti da insonnia (Stepansky e Wyatt, 2003).
Considerando infatti i cambiamenti della temperatura corporea e la
facilitazione del sonno, ci sono dati che mostrano come all’aumento della
temperatura distale corrisponda un decremento della temperatura centrale:
questo determina un inizio del sonno più veloce, dovuto proprio a questo
intenso calo della temperatura centrale.
La temperatura si abbassa
gradualmente durante il sonno per raggiungere i valori più bassi al mattino (fra
le h.4.00 e le h.6.00); i valori più alti vengono invece raggiunti nel tardo
pomeriggio (tra le h.16 e le h.18). Tuttavia, a causa di una cattiva igiene del
sonno, se si inverte il ritmo sonno-veglia, l’inversione del ritmo circadiano della
temperatura corporea si attua con estrema lentezza, per cui i valori più bassi
continuano ad osservarsi a lungo nelle ore notturne quando il soggetto è
sveglio e i più alti nel pomeriggio, quando egli tenta eventualmente di dormire.
16
In
letteratura
si
è
molto
discusso
se
considerare
l’efficacia
delle
raccomandazioni dell’igiene del sonno come un unico approccio terapeutico
per il trattamento dell’insonnia (Chesson et Al., 1999, Stepanski et Al., 2003,
Morin et Al. 1999, Friedman et Al., 2000). Alla fine degli anni novanta, Chesson e
collaboratori
stabiliscono
che
non
esiste
sufficiente
evidenza
per
raccomandare la SH come unico trattamento per l’insonnia e che, inoltre, non
vi sono sufficienti dati per valutare se le regole dell’igiene del sonno siano
efficaci unitamente ad altri trattamenti (Chesson et Al., 1999). Morin e
collaboratori nello stesso anno affermano che la scarsa igiene del sonno non
costituisce la causa primaria di insonnia, di conseguenza il solo utilizzo di tali
regole non risulta efficace come trattamento terapeutico ma molto utile da un
punto di vista educativo, come riportato in precedenza per i bambini e per i
soggetti predisposti a sviluppare un disturbo del sonno.
Un lavoro di Stepanski e collaboratori (2003), sull’uso della sleep hygiene,
considera l’igiene del sonno non efficace come un unico approccio
terapeutico. In un altro studio Friedman e collaboratori (2000) mostrano come
vi siano scarse differenze tra i tre tipi di interventi terapeutici da loro analizzati:
restrizione del sonno in unione a igiene del sonno, restrizione del sonno
modificata con un sonnellino pomeridiano ogni giorno e igiene del sonno da
sola. I soggetti a cui era stata assegnata la sola SH, come trattamento di
controllo, mostrano miglioramenti nel TST, SE, SOL e WASO; tali risultati, non si
discostano in maniera significativa rispetto alla restrizione del sonno. In questo
caso, gli Autori anziché attribuire una scarsa efficacia alla SH, avvalorano
l’ipotesi che l’igiene del sonno possa rappresentare un trattamento attivo,
terapeutico, somministrabile anche singolarmente. Uno studio di Hoch et Al.
(2001), conclude dimostrando l’efficacia della SH. Esso è nato dall’esigenza di
studiare come migliorare il sonno degli anziani, la cui carenza è vista come
causa di numerosi fattori debilitanti e invalidanti fisicamente e come generatori
di patologie che autoalimentano il circolo vizioso dell’insonnia. Lo studio
propone due interventi: restrizione del sonno modificata e igiene del sonno. Il
campione era costituito da 21 soggetti anziani senza disturbi del sonno
randomizzati: a un gruppo è stato assegnato come trattamento la SH assieme
alla restrizione del sonno (modificata rispetto alla procedura generale: ad ogni
notte, per otto settimane, si sono sottratti 30 minuti di sonno, ritardando l’ora del
17
coricamento a letto: p.es. andare a letto alle h.22.30, anziché alle h.22.00;
inoltre fu loro consentito giornalmente un sonnellino pomeridiano di 30 minuti
tra le h.14.00 e le h.16.00); all’altro gruppo era stata assegnata solo l’igiene del
sonno. Il gruppo di persone a cui era stata somministrata la restrizione del sonno
mostrarono un incremento delle onde lente durante il sonno ed inoltre un
aumento medio nell’efficienza del sonno del 6.1% contro il 1.8% dei pazienti
trattati con le regole della SH. Quest’ultimi invece riportarono un umore
migliorato al risveglio mattutino. A seguito di questi risultati, gli Autori
convengono sul ritenere che l’igiene del sonno sia associata ad un
miglioramento nella sensazione di benessere al risveglio, mentre la restrizione
del sonno sia correlata ad un incremento nell’efficienza di sonno.
Restrizione del sonno
La maggior parte delle persone sofferenti di insonnia, pensano che trascorrere
del tempo a letto, tentando di dormire, possa condurre più facilmente
all’addormentamento; questo comportamento, scorretto, viene considerato
uno degli elementi perpetuanti l’insonnia. Su tale presupposto si fonda la
restrizione del sonno (Sleep Restriction Therapy, SRT), nata dallo studio di
Spielman, Saskin e Thorpy negli anni ottanta, i cui risultati furono pubblicati nel
1987.
La procedura inizia con la valutazione del tempo totale di sonno (TST) che il
paziente riporta in media ogni notte. Questo emerge dalla compilazione
giornaliera del diario del sonno per le due settimane precedenti l’inizio del
trattamento, eventualmente associato a registrazione actigrafica. A questo
punto gli Autori calcolano il tempo da trascorrere a letto (TIB) durante il
trattamento, che non dovrà mai essere inferiore alle 4.5 ore (Spielman et Al.,
1987). Tuttavia tale limite è molto variabile e diverso in letteratura così come in
clinica, spesso infatti si indicano almeno 5 ore per notte. Ai pazienti viene
dunque prescritto di trascorrere a letto un periodo uguale alla durata del sonno
soggettivo riferito: per esempio, per un soggetto che afferma di trascorrere 8
ore a letto, di cui ritiene di averne dormite 5, viene stabilito, per l’inizio del
trattamento, un tempo di letto pari a 5 ore. L’orario del risveglio del mattino
viene concordato col paziente in base alle sue esigenze sociali, mentre l’orario
in cui deve coricarsi alla sera viene stabilito a scalare, sulle ore di sonno
risultanti dal diario del sonno, compilato in precedenza. Il trattamento dura otto
18
settimane, non vengono effettuati incrementi nei primi 5 giorni. Dopo 5 giorni
infatti, si calcola la media dell’efficienza di sonno (SE = TST/TIB x 100) degli ultimi
5 giorni e si procede come segue:
•
Se la media della SE≥ è90% si anticiperà di 15 minuti l’ora di
addormentamento
•
Se la media della SE è ≤ 85% si diminuirà il TIB (comunque non prima di 10
giorni dall’inizio del trattamento)
•
Se la media della SE è < 90% e ≥85% il TIB rimane invariato
L’unica aggiuntiva raccomandazione che viene data al paziente, oltre al
rispetto degli orari stabiliti, è di non effettuare sonnellini pomeridiani o di
coricarsi in orari che non siano quelli concordati.
La riduzione del tempo trascorso a letto, anche se può sembrare paradossale
per quei pazienti che tentano di dormire di più, mette in moto una serie di
processi che favoriscono il sonno. Questo metodo crea una lieve-media
deprivazione di sonno che promuove un più rapido addormentamento, un
tempo di veglia ridotto durante la notte, un sonno più solido ed efficiente ed
una minore variabilità internotte. Tuttavia prima di ottenere tali benefici, il
paziente deve superare quattro ordini di problemi:
I.
L’imperativo principe del trattamento della restrizione del sonno -la
riduzione del tempo a letto- appare controintuitivo per quei pazienti che
dormono poco a cui viene chiesto di ridurre ulteriormente il TIB.
II. L’incremento della sonnolenza diurna può scoraggiare l’adesione al
trattamento da parte del paziente; per evitare eventuali abbandoni,
alcuni propongono un breve sonnellino al giorno, di solito nel primo
pomeriggio (Brooks et Al., 1993 e Brooks e Lack 2006).
III. Talvolta i pazienti lamentano di non saper come occupare il tempo in
attesa dell’ora stabilita per coricarsi o al mattino.
IV. Alzarsi all’ora stabilita anche nei weekend, vincendo la tentazione di
restare a letto.
Questi aspetti sono state prese in considerazione da uno studio di Riedel e
Lichstein (2001). Gli Autori ipotizzano che, anziché la deprivazione del sonno, sia
la compliance al trattamento a determinare la sua efficacia. Infatti molti
pazienti spesso non rispettano le raccomandazioni della SRT. Per tali ragioni, gli
Autori propongono accanto al regime restrittivo del sonno, una maggiore
19
tolleranza alle richieste del paziente concentrandosi maggiormente sul
momento di maggiore difficoltà riportato dal soggetto: per esempio, se un
paziente non mostra difficoltà ad addormentarsi, ma riporta più fatica ad
alzarsi al mattino, il focus attentivo del trattamento verterà sull’ora del risveglio.
Inoltre se il paziente rifiuta di trascorrere un tempo minore a letto rispetto a
quelle che lui considera le sue necessità, anche in tale circostanza si cerca di
raggiungere un accordo. A parere degli Autori, l’efficacia della restrizione del
sonno consta maggiormente nella compliance del paziente al trattamento,
che prevede comunque un TIB ben circoscritto nell’arco della notte, ma non
così deprivato come la SRT richiederebbe.
Tali conclusioni derivano dal fatto che stabilire precisi orari per la sera e per la
sveglia al mattino, piuttosto che un regime restrittivo del sonno, sia più
accettabile da parte del paziente, tuttavia questo approccio non riporta dati
attendibili che certifichino la sua efficacia tanto quanto la restrizione del sonno.
Piuttosto, sembra più avvalorare alcune delle regole dell’igiene del sonno e del
controllo dello stimolo che vogliono regolare e disciplinare il ritmo circadiano di
un sonno alterato. Infatti il rimanere meno tempo a letto, toglie una buona
parte di quegli stimoli condizionanti negativi che, come si è detto, originano
nell’ambiente stesso in cui si dorme. Inoltre si toglierà all’insonne la cattiva
abitudine di variare continuamente la lunghezza e la distribuzione del suo
sonno nelle 24 ore. In alcuni casi il contatto quotidiano anche solo telefonico
con i clinici che seguono il paziente nella cura costituisce pertanto una
funzione di sostegno psicologico nella sua impresa e di aiuto a non desistere;
inoltre, i benefici ottenuti sembrano compensare i disagi sostenuti.
Si riporta un caso tratto dalla letteratura (Morin et Al., 1990). Una donna di 49
anni, divorziata, casalinga, ricoverata per depressione maggiore e dolore
cronico. Una valutazione clinica riguardo il suo sonno, ha rilevato un disturbo
ad iniziare e mantenere il sonno, associato a depressione maggiore e dolore
cronico. È stata quindi trattata per la depressione con amitriptilina (150 mg).
Tuttavia il disturbo del sonno permaneva, con associati dolori addominali,
probabilmente causati dal diabete, diagnosticato nella valutazione medica.
Per tali condizioni fisiche le sono stati prescritti diversi farmaci.
Durante i primi 15 giorni di ospedalizzazione, la paziente dormiva per una
media di 2.5-3 ore per notte, trascorrendo dalle 6 alle 8 ore a letto; talvolta
20
dormiva anche di giorno per una o due ore (tali osservazioni venivano fornite
dai controlli delle infermiere).
Durante il trattamento non le è stato concesso di dormire durante la giornata e
le è stato detto di limitare il tempo nella sua stanza da letto. Per le prime tre
notti, le sono state indicate, come tempo a letto (Time in Bed, TIB) 4 ore, tra le
h.3.00 e le h.7.00 del mattino. Le infermiere sono state istruite a lasciare la
paziente nella stanza da giorno fino all’ora stabilita per il coricamento e a
svegliarla poi all’ora prevista dalla restrizione. Incrementata l’efficienza di
sonno, le successive tre notti le è stato aumentato il TIB a 5 ore tra le h.2.00 2 le
h.7.00 del mattino. Dopo aver raggiunto un’efficienza di sonno pari all’ 85%, le
è stato concesso un TIB di 6 ore, tra le h.1.00 e le h. 7.00 del mattino. Questo
orario è stato mantenuto per i successivi 4 giorni. Per i suoi ultimi due giorni di
ospedalizzazione le sono state assegnate 7 ore di TIB tra le h.12.00 e le 7.00 del
mattino. Prima della dimissione, è stato chiesto alla paziente di continuare a
monitorare il suo sonno giornalmente almeno per 2 settimane, TIB sempre di 7
ore a meno che il tempo totale di sonno scendesse a 6 ore per notte. Quattro
mesi dopo la dimissione dall’ospedale, le è stato nuovamente richiesto di
compilare un diario del sonno per una settimana mantenendo gli ultimi
parametri stabiliti. I risultati di quest’ultima indagine hanno riportato un
significativo incremento nella qualità e quantità del sonno: 7 ore di sonno, con
un TIB medio di 7.5 per notte e una SE del 93.5%. Il pattern del sonno è
cambiato parallelamente ai miglioramenti dell’umore: la depressione, misurata
con il BDI e il POMS-D, è scesa rispettivamente da un punteggio di 29 a 0 e da
30 a 0. Inoltre la paziente ha incrementato anche il suo punteggio nella scala
del vigore, da 8 a 15, e diminuito il suo livello di fatica da 16 a 5.
Questo esempio mostra come l’insonnia e la depressione fossero strettamente
correlate, al punto tale che una risoluzione della prima ha comportato un
beneficio più che significativo nella seconda. Inoltre questo caso è uno dei
primi studi che documentano l’efficacia di una terapia non farmacologica per
una
paziente
affetta
da
insonnia
secondaria,
nonostante
si
assuma
generalmente che le condizioni di insonnia dovute a cause mediche o
psichiatriche
non
rispondano
positivamente
a
tali
tipi
di
interventi
comportamentali. Spielman e collaboratori (1987) avevano infatti compiuto il
21
loro studio su pazienti affetti per lo più da insonnia psicofisiologica, che
secondo il DSM-IV viene classificata come primaria.
Controllo dello stimolo
L’analisi della letteratura sui trattamenti non farmacologici dell’insonnia indica
che risultati molto significativi nella cura di questo disturbo, si ottengono in
risposta alla “Stimulus Control Therapy”, SCT, (Chesson et Al., 1999). Tale tecnica
prevede di ristabilire una connessione positiva tra i fattori correlati al momento
di coricarsi e a un rapido addormentamento. Capita spesso che le persone
insonni provino la frustrazione di rigirarsi nel letto cercando di prendere sonno:
alla fine si crea un’associazione negativa tra i comportamenti precedenti il
sonno e l’ambiente della stanza da letto, con la conseguente incapacità di
addormentarsi.
Le originali raccomandazioni proposte da Bootzin nel 1972, autore del
trattamento, sono:
1. Coricarsi per dormire solo quando ci si sente assonnati.
2. Se non si è in grado di addormentarsi entro 10 minuti, alzarsi dal letto e
dedicarsi ad alcune attività (leggere, mangiare, guardare la televisione,
etc). ritornare a letto solo se assonnati, e ripetere questa procedura tanto
quanto risulta necessario.
3. Utilizzare il letto solo per dormire e/o per attività sessuali.
4. Non concedersi alcun sonnellino.
5. Alzarsi alla stessa ora ogni giorno.
Il controllo dello stimolo risulta particolarmente indicato per l’insonnia
psicofisiologica, quando il letto e la camera da letto, hanno perso la loro
peculiare abilità di evocare il sonno, trasformandosi invece in stimoli
condizionati per l’attivazione di uno stato di vigilanza, inibendo perciò
l’addormentamento.
Inoltre
tale
approccio
si
dimostra
efficace
nel
trattamento delle difficoltà di addormentamento -sleep onset insomnia- (Zwart
e Lisman, 1979) e nel mantenimento del sonno -sleep maintenance insomnia(Morin e Azmir, 1987). Quest’ultima viene trattata in uno studio di Hoelscher ed
Edinger (1988), mediante un “approccio multicomponenziale” all’insonnia
(vedi dopo), costituito dalla somministrazione congiunta dei tre trattamenti non
farmacologici esaminati fino ad ora: l’igiene del sonno, la restrizione del sonno
22
ed il controllo dello stimolo. Nonostante il campione sia molto piccolo, solo 4
soggetti, merita riportare i risultati, che mostrano una modesta riduzione della
WASO del 50%, importante rispetto all’oggetto di studio, e nonostante il TIB
fosse stato ridotto di solo un’ora per notte, si nota un TST assestato anche a
distanza di 2 e 6 mesi alla fine del trattamento.
Tecniche di rilassamento
L’insonnia, come è stato detto, è un disturbo che può essere condizionato da
fattori psicologici; molti, infatti, sono i soggetti insonni che non riescono ad
addormentarsi perché ansiosi o tesi. Per tale ragione, le tecniche di
rilassamento propongono di ridurre l’arousal fisiologico, in modo da attivare i
normali meccanismi che promuovono il sonno.
Si distinguono 4 tecniche di rilassamento: rilassamento muscolare progressivo,
biofeedback, training immaginativo e training autogeno.
I primi due vengono analizzati molto bene in uno studio di Nicasso et Al. (1982)
per il trattamento di insonnia cronica a tipo disturbo dell’addormentamento.
Questi
stabiliscono
4
condizioni
sperimentali:
rilassamento
muscolare
progressivo, biofeedback elettromiografico, gruppo placebo e gruppo non
trattato. Nel primo, venivano date ai soggetti le istruzioni di tendere e poi
rilassare progressivamente i muscoli relativi al torace, poi braccia e gambe,
collo e spalle, a seguire viso, mascelle e fronte, gambe e piedi e alla fine
concentrandosi sul corpo nel suo insieme. Nel compiere questo esercizio, i
soggetti venivano istruiti a distinguere tra vari livelli di tensione e rilassamento
muscolare. A casa invece, i pazienti esercitavano la tecnica in 2 sessioni
giornaliere di 30 minuti, l’ultima a letto in attesa dell’addormentamento.
I soggetti assegnati alla seconda condizione, sono stati forniti di un feedback
che riguardava il livello di tensione del muscolo della loro fronte. Mentre
giacevano in un lettino, i soggetti si concentravano su un suono metallico
proveniente da un contatore elettromeccanico; questo variava nella
frequenza in accordo con il livello di tensione del loro muscolo frontale. Si
diceva inoltre ai soggetti di rilassarsi concentrandosi sulle sensazioni fisiche e
sulle esperienze mentali che sembravano ridurre la frequenza del segnale del
biofeedback. In alternativa, i terapeuti non suggerivano nessuna strategia
specifica per ridurre lo stimolo di feedback.
23
Il gruppo placebo riceveva anch’esso un feedback elettromiografico ma falso:
mentre il livello di tensione reale dei soggetti era monitorato, il terapeuta
manipolava il feedback riducendo gradualmente la frequenza del segnale
proveniente dal contatore durante il corso della seduta. Alla fine di questa, i
terapeuti
mostravano
ai
soggetti
di
come
“fossero
riusciti
a
ridurre
drasticamente la loro tensione” (si portava la frequenza del contatore a metà
rispetto l’inizio della seduta). Come negli altri due gruppi, si diceva ai soggetti di
applicare a casa l’esercizio che “avevano imparato” in laboratorio. Il
rilassamento progressivo ed il biofeedback EMG hanno condotto ad una
significativa riduzione sia nella latenza di sonno che nella sintomatologia
depressiva (depressione ed ansia accompagnano spesso la difficoltà di
addormentarsi). Tuttavia, quando entrambi i trattamenti sono stati confrontati
con il gruppo placebo, non sono emerse significative differenze riguardo la
medesima misura della latenza di addormentamento. A fronte di tali
miglioramenti nel gruppo di controllo, gli Autori suggeriscono che le
aspettative, relative alla capacità di rilassarsi, possano contribuire all’efficacia
terapeutica delle strategie di rilassamento.
In uno studio di Lichstein del 2001, si confrontano le tecniche di rilassamento
con la restrizione del sonno, modificata rispetto alle regole originali in quanto è
stata concessa la possibilità di un sonnellino pomeridiano di massimo 30 minuti
entro le h14. In tale studio la terapia di rilassamento (REL) consisteva nell’indurre
un atteggiamento rilassato, effettuando cinque profondi e lenti sospiri
compreso un sussurrato “relax”, esaminando il corpo in parti sequenziali mentre
ci si concentrava sulle sensazioni di rilassamento, rilassamento passivo, ed infine
pronunciando ripetitivamente in modo silenzioso e lento la frase autogena
“Sono in pace, le mie braccia e le mie gambe sono calde e pesanti”.
Il
paziente veniva istruito sulla conduzione di tale metodo durante la prima
seduta terapeutica. Le successive (durata del trattamento 2 settimane, con 6
sedute individuali per settimana) erano volte a rifinire la tecnica dei pazienti e
per risolvere qualsiasi problema essi riportassero. Questi inoltre erano invitati a
praticare questo trattamento anche a casa, due volte al giorno, l’ultima a letto
prima di addormentarsi.
I soggetti, anche in questo caso affetti da insonnia primaria, che prima della
terapia lamentavano stanchezza durante la giornata, hanno risposto meglio
24
alla tecnica del rilassamento: gli Autori infatti hanno proposto che tali individui
necessitassero di dormire di più e la REL risultava efficace proprio nel facilitare
l’addormentamento. Per contro, gli individui con un basso livello di stanchezza
diurna, mostravano una significativa responsività alla restrizione del sonno:
questi infatti avevano bisogno di consolidare il proprio sonno. La REL si è
dimostrata utile per entrambi i tipi di pazienti, ma i risultati nel follow-up del
gruppo “alta stanchezza” hanno riportato una maggiore SE rispetto al gruppo
“bassa stanchezza”. Anche in uno studio di Friedman e Bliwise (1991), dove si
confrontavano gli effetti della restrizione del sonno vs quelli della tecnica di
rilassamento muscolare, si sono ottenuti risultati simili: entrambi i trattamenti
efficaci nella riduzione della latenza del sonno e nei risvegli notturni, così come
nel tempo totale di sonno al follow-up. In questo caso però i risultati
conseguenti la restrizione del sonno erano due volte migliori di quelli ottenuti
con la terapia di rilassamento.
Per quanto le tecniche di rilassamento si siano dimostrate utili nella facilitazione
del sonno, lo studio di Means e collaboratori sottolinea che talvolta, nonostante
si sia riusciti a migliorare i parametri del sonno, non si riesca ad estinguere i
problemi diurni che l’insonnia primaria comporta (Means et Al., 2000). In questo
studio gli Autori hanno somministrato la tecnica di rilassamento muscolare
progressivo a un gruppo di studenti insonni ed a un gruppo di studenti non
insonni. I soggetti hanno ricevuto il trattamento in tre sedute individuali da 3 a 7
giorni di distanza (il trattamento è durato 3 settimane). Durante ogni incontro, si
chiedeva al paziente di chiudere gli occhi e di assumere una confortevole
posizione seduta in una stanza buia. Il terapeuta guidava il paziente nel
concentrarsi sulle sensazioni corporee durante un’induzione di 15-20 minuti. Per
valutare l’effetto del rilassamento, gli studenti giudicavano il proprio stato su
una scala a 10 modalità (1 = molto sveglio ed agitato, 10 = completamente e
profondamente rilassato) prima e dopo il trattamento. Anche in questa
circostanza, gli studenti dovevano replicare a casa, due volte al giorno, di cui
una a letto, gli esercizi di rilassamento appresi durante le sedute. In aggiunta a
questo, i soggetti dovevano completare un diario in cui annotare il giorno,
quante volte e per quanto tempo si era praticata la terapia. Gli studenti
insonni, trattati con questo approccio terapeutico, sono migliorati in diversi
parametri del sonno: WASO, SE e SQ. Migliorarono inoltre i livelli nella scala di
25
Epworth (ESS), nella IIS, nella “Penn State Worry Questionnaire” (PSWQ), una
scala autosomministrata a 16 item studiata per misurare il livello di
ansia/preoccupazione. Nonostante questi esiti positivi, non vi è stato un
significativo miglioramento nel funzionamento diurno: una soluzione che gli
Autori hanno proposto a tale insuccesso, riguardava la breve durata del
trattamento; essi hanno ipotizzato che una terapia più lunga possa risolvere
anche i problemi relativi al funzionamento diurno, come ad esempio la
stanchezza.
Il training autogeno consta semplicemente in una combinazione del
rilassamento
muscolare
e
delle
tecniche
immaginative.
Quest’ultime
comportano la visualizzazione di alcune immagini neutre e/o piacevoli per
concentrarsi puramente sulle loro proprietà descrittive. Questa tecnica è stata
studiata a confronto con il controllo dello stimolo, il quale si è dimostrato più
efficace nel ridurre la frequenza e la durata dei risvegli notturni (Morin e Azmir,
1987). Tuttavia anche il training immaginativo ha sortito un effetto positivo su
questi due parametri, risultando migliore, a lungo termine, per quanto riguarda
la durata dei risvegli. Nello studio di Rosen e collaboratori (2000) i soggetti
dovevano immaginare ad occhi chiusi alcuni oggetti (una lampadina, una
lavagna, un bicchiere, un aquilone, una candela, un cesto di frutta) e
focalizzarli con la massima attenzione possibile. Ogni oggetto doveva esser
visualizzato in sequenza per 2 minuti. È stato detto ai pazienti di esercitarsi a
casa praticando questo tipo di esercizio e di ripetere la sequenza due volte al
giorno, per un totale di 15 minuti; accanto a queste istruzioni, è stata aggiunta
la raccomandazione di effettuare diversi e profondi respiri all’inizio di ogni
sessione. Il training immaginativo viene utilizzato come una strategia per
combattere
sia
l’intrusione
di
pensieri
negativi
che
le
difficoltà
di
addormentamento, caratteristiche dell’insonnia psicofisiologica.
In conclusione, sembra che le tecniche di rilassamento riducano la latenza di
sonno e i risvegli notturni e migliorino complessivamente la qualità del sonno. Si
è inoltre dimostrato che tali tecniche favoriscono la continuità del sonno e la
riduzione dell’uso di ipnotici nei pazienti anziani in cura farmacologica (Rosen
et Al., 2000).
26
Terapia cognitivo-comportamentale
Dopo aver considerato i benefici dei trattamenti non farmacologici sopra
descritti, si pone ora l’attenzione su un tipo di approccio terapeutico,
concepito per neutralizzare i meccanismi cognitivi e/o comportamentali
responsabili dell’insonnia primaria. Le terapie cognitivo-comportamentali si
avvalgono di più trattamenti che di solito vengono consigliati come unica
terapia. Tuttavia in letteratura si riporta la difficoltà nel determinare quali siano i
trattamenti
da
includere
in
una
terapia
cosiddetta
“cognitivo-
comportamentale”, CBT, (Wang et Al., 2005).
L’American Academy of Sleep Medicine Report (Morgenthaler et Al., 2006)
considera
le
terapie
cognitivo-comportamentali
una
combinazione
di
interventi sia cognitivi che comportamentali: i primi propongono di cambiare le
convinzioni e gli atteggiamenti del paziente riguardo l’insonnia, mentre le
componenti comportamentali includono terapie come il controllo dello
stimolo, restrizione del sonno, tecniche di rilassamento e molto spesso l’igiene
del sonno.
Un’altra questione consiste nel considerare se questo tipo di trattamento sia
valido come unica terapia ed efficace tanto quanto i trattamenti che
vengono somministrati singolarmente (p.es. SCT, SRT, SH etc.). Questo problema
è stato affrontato da uno studio condotto da Edinger e suoi collaboratori nel
2001). Gli Autori hanno incluso nella CBT l’educazione sul sonno, il controllo
dello stimolo e la restrizione del sonno. La prima concerneva informazioni
riguardo i bisogni del sonno, sul come la perdita del sonno influisca sul pattern
del sonno-veglia,gli effetti dell’età, e i ritmi circadiani. L’intento era di
confrontare la CBT con la tecnica del progressivo rilassamento muscolare (PRT),
ipotizzando che la prima risultasse più efficace della seconda nell’ottenere
miglioramenti più significativi, sia a breve che a lungo termine, relativi al sonno
e ai suoi annessi sintomi soggettivi per pazienti affetti da insonnia primaria,
cronica, a tipo disturbo nel mantenimento del sonno. Nello studio è inoltre
presente un gruppo placebo (PT).
La terapia cognitivo-comportamentale, in tale indagine, ha prodotto i migliori
effetti sulla frammentazione del sonno. In media, i soggetti trattati con la CBT
hanno riportato, alla fine del trattamento, una riduzione del 54% nel WASO,
contro il 16% per i pazienti PRT ed il 12% per quelli PT. Inoltre, solo il gruppo CBT
27
ha mostrato incrementi soggettivi ed oggettivi nel sonno, come nella SE. Per
quanto riguarda il TST, da una media di 5.5 ore per notte dei pazienti CBT, alla
fine del trattamento, si è raggiunta una media di oltre 6 ore per notte, così
come i punteggi relativi alla ISQ apparivano normalizzati. In conclusione,
questo studio ha dimostrato che la sola somministrazione della terapia
cognitivo-comportamentale,
ha
prodotto
dei
risultati
statisticamente
significativi nel migliorare i parametri del sonno dei pazienti affetti da insonnia
primaria.
Un altro punto oggetto di dibattito (Wang et Al., 2005) è stabilire il numero di
sedute terapeutiche più efficace nell’ottenere una responsività significativa
alla terapia CBT per il trattamento dell’insonnia primaria; a tal quesito, hanno
cercato una risposta nuovamente Edinger e collaboratori (2007). È stato creato
un disegno in cui si sono comparati gli effetti sia a breve e che a lungo termine
di 1,2,4, e 8 sedute di CBT, distribuite lungo un periodo di 8 settimane. Gli Autori
hanno proposto l’ipotesi che la condizione di 8 sedute avrebbe condotto a
migliori risultati relativi al mantenimento del sonno e allo stato umorale, di
quanto non avrebbero prodotto gli altri trattamenti abbreviati. Anche in questo
studio, gli Autori hanno incluso nella CBT l’educazione sul sonno, la restrizione
del sonno ed il controllo dello stimolo. I terapeuti coinvolti nello studio fornivano
il trattamento attraverso sedute di terapia individuale. La prima seduta, per
tutti i soggetti, durava 45-60 minuti, mentre le successive, che avrebbero
ricevuto i pazienti assegnati alle altre condizioni che prevedevano più di un
incontro, consistevano di 15-30 minuti. I partecipanti randomizzati alla CBT
incontravano i loro terapeuti, a seconda della condizione sperimentale loro
assegnata, una volta (solo la prima settimana), 2 volte (la prima e la quinta
settimana), 4 volte (la prima, la terza, la quinta e la settima settimana) e 8 volte
(ogni settimana) lungo il corso dello studio della durata di 8 settimane di
terapia.
Attraverso
l’analisi
dei
risultati,
restituiti
dai
diari
del
sonno,
dall’actigrafo e dai questionari sui sintomi globali dell’insonnia (ISQ e “Sleep
related Self-Efficacy Scale, SES), è stata confutata l’ipotesi di partenza: si è
dimostrato infatti il più efficace, il trattamento che prevedeva la frequenza di 4
sedute di terapia. Questa condizione e quella costituita da una sola seduta, si
sono rivelate paradossalmente più efficaci delle altre due (rispettivamente 2 e
8 sedute terapeutiche). Gli Autori hanno pensato che il modello di 4 sedute,
28
con un intervallo di due settimane tra ciascuna seduta, abbia potuto fornire un
equilibrio ottimale tra la guida del terapeuta e l’indipendenza del paziente. Si
considera infatti necessaria alla riuscita “l’autosufficienza” nella gestione dei
propri problemi relativi al sonno, oltre che attenersi alle indicazioni previste
dalla CBT: si è dedotto infatti che il trattamento di 4 sedute, con i suoi incontri
bisettimanali, abbia rinforzato l’autosufficienza dal paziente e sia stata di aiuto
per quelli che necessitavano del monitoraggio e della guida del terapeuta.
Similmente accade per il trattamento di una sola seduta, la cui efficacia è
stata vagliata anche dalle terapie cognitivo-comportamentali abbreviate,
ACBT, ed autosomministrate, self-help treatment (vedi oltre). Un trattamento di
8 sedute sembra ostacolare l’indipendenza del paziente nel processo di
assimilazione personale e il conseguente rispetto nel tempo alla terapia. Per
quanto riguarda il trattamento da 2 sedute, il secondo incontro con il
terapeuta, a 4 settimane di distanza dal primo, depisterebbe l’autosufficienza
che il paziente si sarebbe costruito nell’intervallo tra i due colloqui. I trattamenti
cognitivo-comportamentali
approccio
terapeutico,
non
ma
vengono
risultano
solo
anche
impiegati
come
particolarmente
unico
efficaci
nell’interrompere la dipendenza psico-fisiologica che molto spesso i pazienti
manifestano nei confronti dei farmaci. Nella monografia di Morin ed Espie
(2004) vengono fornite le linee guide per la conduzione del processo di
sospensione graduale dal farmaco. In un lavoro dello stesso Morin e
collaboratori (2004) viene invece dimostrata l’efficacia del CBT come ausilio
per la cessazione del consumo di benzodiazepine in pazienti con insonnia
cronica. Settantasei pazienti, consumatori cronici di benzodiazepine, sono stati
randomizzati in tre condizioni di studio: 25 pazienti hanno ricevuto un
programma di sospensione da farmaco con la riduzione progressiva, 24 sono
invece stati trattati con il solo CBT e 27 con la sospensione graduale associata a
CBT. Tutti e tre gli interventi hanno riportato significative riduzioni nella quantità
(90%) e frequenza (80%) nell’uso del BDZ; il 63% dei pazienti ha sospeso
completamente il farmaco nell’arco di una media di 7 settimane, i restanti
hanno comunque ridotto il farmaco in modo clinicamente significativo.
Entrambi i trattamenti con CBT hanno prodotto i migliori risultati nel processo di
interruzione del farmaco, tuttavia quello combinato è risultato migliore per
l’85% dei pazienti, contro il 54 % trattati con CBT ed il 48% con la sospensione
29
progressiva. Questi risultati sono stati mantenuti anche nel follow-up a 12 mesi,
ma i miglioramenti relativi al sonno sono stati registrati solo dopo questo
periodo in assenza di BDZ. È infatti importante informare il paziente che
potrebbe intercorrere un tempo discreto tra la sospensione del farmaco e un
sonno finalmente ristoratore.
Talvolta la CBT viene associata ai trattamenti farmacologici per potenziarne gli
effetti. A tal proposito, si riporta un recente lavoro (Manber et Al., 2008) che
analizza una condizione molto frequente nella pratica clinica: depressione
associata ad insonnia. I soggetti coinvolti nello studio erano tutti affetti dal
disturbo depressivo maggiore (MDD) in cui, come molto spesso capita,
l’insonnia non era più un suo sintomo ma era diventato un disturbo
indipendente e concomitante al disturbo depressivo originale. Pertanto
l’insonnia ostacolava e nascondeva gli effetti della risposta al trattamento
antidepressivo. Gli Autori hanno dunque deciso di accostare, accanto al
trattamento farmacologico dell’insonnia associata a depressione, anche
quello cognitivo-comportamentale. I soggetti sono stati assegnati a due
condizioni sperimentali: escitalopram (EsCIT) più sette sedute individuali di CBT
vs EsCIT più CTRL (una CBT comprensiva di solo un’educazione sul sonno e di
un’igiene del sonno per creare un campione di controllo). La CBT relativa alla
prima condizione consisteva invece di educazione sul sonno, restrizione del
sonno, controllo dello stimolo e terapia cognitiva. La prima condizione
(EsCIT+CBT) ha prodotto una remissione della depressione nel 61.5% dei pazienti
rispetto alla seconda condizione (EsCIT+CTRL) che riportava il 33% di remissioni.
Il trattamento EsCIT+CBT è stato inoltre associato al miglioramento dell’insonnia
(misurata attraverso actigrafi, diari del sonno e ISI) per il 50% dei pazienti contro
il 7.7% in cura con EsCIT+CTRL. Questi risultati dimostrano l’efficacia della CBT
per la cura del disturbo depressivo maggiore associato ad insonnia.
Terapia cognitiva
Questo tipo di terapia si rivolge soprattutto a quei pazienti affetti da insonnia
primaria, in particolare dovuta a false convinzioni riguardo il proprio sonno,
paradoxical insonnia, e a quei meccanismi, come l’iperarousal cognitivo, che
rinforzano il disturbo come nell’insonnia psicofisiologica. In quest’ultimo caso, è
stato già presentato come eventi stressanti possano costituire le cause
dell’insonnia: talvolta il disturbo del sonno si risolve con l’attenuazione
30
dell’agente stressante o con l’adattamento a questo da parte del paziente.
Tuttavia, le risposte individuali alle iniziali difficoltà del sonno, principalmente i
comportamenti e le idee del soggetto, possono determinare la comparsa o
meno di un disturbo cronico. L’insonnia ha maggiori probabilità di persistere nel
tempo se una persona interpreta questo disturbo come un segno di pericolo di
perdita di controllo e inizia a monitorare la carenza di sonno e a preoccuparsi
delle
sua
conseguenze.
Questi
tipi
di
reazione
cognitiva
(per
es.,
preoccupazione, aspettative irrealistiche, valutazioni errate) possono assumere
il carattere disfunzionale e alimentare il circolo vizioso dell’insonnia persistente,
delle alterazioni emotive e delle ulteriori turbe del sonno (Fig. 3.1).
Figura 3.1 Circolo vizioso dell’insonnia persistente
La
terapia
cognitiva
si
basa
sull’assunto
che
emozioni
negative,
comportamenti maladattivi e sintomi fisiologici associati a disturbi psicologici
sono per lo più l’effetto di cognizioni disfunzionali. Di conseguenza, una
persona va incontro ad ansia o a depressione non a causa degli avvenimenti
esterni o del mondo circostante, ma in seguito alla propria percezione e
interpretazione di tali eventi. Analogamente, un individuo può presentare
disturbi del sonno causati da eventi realmente stressanti, ma queste difficoltà
31
sono effettivamente esacerbate dal concetto personale dell’insonnia e delle
sue conseguenze. Pertanto, l’obiettivo della terapia non consiste nel negare la
presenza di disturbi del sonno, o minimizzare il loro impatto sulla vita di una
persona, piuttosto si tratta di guidare il paziente nel considerare l’insonnia e le
sue conseguenze da una prospettiva più realistica e razionale. Inoltre, poiché
spesso i pazienti si considerano vittime dell’insonnia, uno scopo importante
della terapia è rinforzare la loro sensazione di poter dominare e gestire le
difficoltà legate al sonno e le loro conseguenze.
La terapia cognitiva è un intervento psicoeducativo strutturato che si basa su
un’ampia
varietà
di
procedimenti,
come
rivalutazione,
riattribuzione,
ridimensionamento, deviazione dell’attenzione ed esame delle ipotesi. Il punto
cruciale consiste nell’illustrare come l’interpretazione/giudizio personale di una
determinata situazione possa modulare il tipo di reazione emotiva a tale
situazione. Psicologo e paziente collaborano attivamente per cogliere la
relazione fra pensieri, emozioni e comportamenti.
La terapia comincia nell’individuare i pensieri disfunzionali del paziente
riguardo il sonno. Molte persone non hanno consapevolezza di tali pensieri e
della loro influenza sullo sviluppo di emozioni ansiose e disforiche. Dopodiché si
passa ad incoraggiare il paziente a considerare i sui concetti semplicemente
come una delle molte interpretazioni possibili, anziché una verità assoluta. Per
reinquadrare le cognizioni maladattive possono essere utilizzate le tecniche di
ristrutturazione
cognitiva
sopracitate
(rivalutazione,
riattribuzione,
ridimensionamento, deviazione dell’attenzione ed esame delle ipotesi).
Nella pratica, inizialmente si informa il paziente circa le esigenze soggettive
relative alla quantità di sonno: secondo un’opinione largamente diffusa sono
necessarie otto ore di sonno per sentirsi ristorati e operare adeguatamente
durante il giorno. Esistono differenze individuali nella necessità di sonno e la
“falsa credenza” di dover raggiungere un certo numero di ore “socialmente
determinato” potrebbe aumentare l’ansia nei riguardi del proprio sonno
incrementandone i disturbi. Bisogna quindi riportare il paziente ad aspettative
realistiche. Il secondo passo consiste nel rivedere le attribuzioni delle cause
dell’insonnia: vi è una tendenza naturale a imputare i disturbi del sonno a fattori
esterni (per es., squilibri biochimici, dolore, invecchiamento). Questo rafforza la
convinzione che non si possa migliorare il sonno e che il paziente si senta una
32
vittima impotente. Egli va quindi incoraggiato ad esercitare un controllo sul
proprio sonno attraverso le tecniche descritte nei paragrafi precedenti, come il
controllo dello stimolo, restrizione del sonno e igiene del sonno. Terzo punto
della terapia consiste nell’invitare il paziente a non imputare i problemi diurni
alla mancanza di sonno: sebbene l’insonnia comporti molti disagi diurni,
potrebbero esserci anche altre preoccupazioni (per es., salute, famiglia) che
influenzano l’umore del paziente e che riducono le sue energie. Alcuni pazienti
sono assillati dalla convinzione che l’insonnia possa comportare delle
conseguenze gravi sulla salute o sull’aspetto fisico, altri ancora vedono
l’insonnia come un indice della totale perdita di controllo sulla loro vita. In
queste situazioni è necessario invitare il paziente a non drammatizzare
eccessivamente la scarsità di sonno notturno. Vi sono altre persone che
vedono le loro attività sociali, professionali e familiari condizionate dalla
quantità e dalla durata del sonno. In questo caso si chiede al paziente di non
attribuire al sonno più valore di quanto effettivamente meriti e di intraprendere
le normali attività quotidiane senza proibizioni. A tal proposito è utile spronare il
paziente a portare avanti le proprie abitudini e attività quotidiane anche dopo
una notte non ristoratrice e sviluppare una certa tolleranza nei confronti della
perdita di sonno. Ultimo consiglio è di non ricercare il sonno forzatamente
poiché questo alimenta l’iperarousal cognitivo.
Queste raccomandazioni pratiche e dirette possono essere sufficienti, in alcuni
casi, per modificare le convinzioni e gli atteggiamenti del paziente nei confronti
del sonno e dell’insonnia; tuttavia sono pochissimi i pazienti che necessitano di
tutti i consigli sopracitati e quindi il clinico dovrà valutare quali sono gli ambiti su
cui intervenire, riassunti qui di seguito:
•
Mantenere le aspettative del paziente su un piano realistico
•
Rivedere le attribuzioni delle cause del paziente
•
Non imputare tutti i problemi diurni alla mancanza di sonno
•
Non drammatizzare eccessivamente la scarsità di sonno notturno
•
Non enfatizzare l’importanza del sonno
•
Sviluppare una certa tolleranza verso gli effetti della perdita di sonno
•
Non cercare mai di dormire forzatamente
La letteratura è ricca di pubblicazioni dedicate a questo tipo di intervento
terapeutico (tra gli altri, Morin ed Espie, 2004; Harvey et Al., 2005). La più
33
recente di queste, a nostra conoscenza, è uno studio (Harvey et Al., 2007) che
mostra una possibile conduzione della terapia cognitiva divisa in tre fasi. La
prima comporta la formulazione del caso, che consiste nell’individuare la
versione specifica dei modelli cognitivi del paziente: uno relativo ad una tipica
e recente notte insonne, ed uno di una tipica e recente giornata, successiva
ad un sonno non ristoratore. Nella seconda fase, i processi di mantenimento
dell’insonnia vengono invertiti seguendo 5 interventi:
1. Intervento per ridurre preoccupazioni e ruminazioni: si valuta la presenza
di pensieri preoccupanti che possono ostacolare il sonno come “se non
mi addormento subito, domani sarà un disastro!”. Inoltre si cerca di
cambiare le strategie inutili, se presenti, per allontanare questi pensieri
disturbanti.
2. Intervento per ridurre bias attenzionali e per controllare la minacce al
sonno: questo tipo di approccio è volto ad attenuare o smettere tutte
quelle attenzioni e controlli (p.es. all’orologio, ai segni della fatica
accusati o alle difficoltà di concentrazione commesse durante la
giornata), che il paziente è solito rivolgere mentre è coricato a letto,
impedendo quindi l’addormentamento.
3. Intervento per ridurre convinzioni inutili riguardo il sonno: si identificano
durante il corso della terapia le convinzioni inutili sul sonno, si escogitano
degli approcci terapeutici specifici, per verificare la loro validità ed
utilità, e si prova la validità delle nuove credenze. Un esempio: un
paziente organizza con estrema attenzione la sua giornata per
conservare la proprie risorse energetiche, poiché è convinto che queste
si esauriscano con il corso della giornata e che l’unico modo, per
generare queste energie, sia dormire o riposare. Contrariamente a
questo tipo di convinzione, il suo umore e le sue risorse vengono
migliorati con “l’uso” dell’energia stessa: “usufruire delle proprie forze”
diventa sinonimo di “generare energia”; questa diventa una strategia
per gestire la stanchezza diurna.
4. Intervento per ridurre l’alterata percezione del sonno: molte persone
frequentemente
sovrastimano
il
tempo
che
impiegano
per
addormentarsi e sottostimano il loro tempo totale di sonno. Per tal
ragione, è utile mostrare loro i tracciati actigrafici confrontandoli con i
34
loro diari del sonno, per ridurre l’alterata percezione del sonno e l’ansia
collegata ad un riposo notturno non ristoratore.
5. Intervento per ridurre l’uso di “comportamenti di salvezza”: con tali
atteggiamenti ci si riferisce ad azioni palesi o celate, che vengono
adottate per evitare delle conseguenze temute. Esempio: una persona
cancella un appuntamento di lavoro, perché non si sente in grado di
sostenerlo per via della stanchezza che accusa in seguito ad una notte
non ristoratrice. Il problema conseguente, sorge la notte successiva,
quando il paziente alimenterà una notte insonne a causa dell’ansia
emersa dall’inadempienza al suo dovere professionale. Questo tipo di
intervento è volto all’individuazione di tal genere di meccanismi ed alla
loro inversione.
Gli scopi della terza ed ultima fase sono il consolidamento dei benefici ottenuti
con la terapia e la prevenzione delle ricadute.
Gli Autori hanno ottenuto risultati significativi, mantenuti anche nel follow-up a
12 mesi, relativi al SOL e WASO diminuiti e al TST incrementato. Si è inoltre
rivelata una significativa riduzione della sonnolenza e stanchezza diurna dalla
condizione pre-trattamento al post-trattamento, e protrattasi anch’essa nel
follow-up; ma soprattutto è stata dimostrata l’efficacia dei propositi degli
interventi previsti dalla terapia cognitiva.
La terapia cognitivo-comportamentale e la terapia cognitiva convergono su
un punto: entrambe ricercano le false convinzioni riguardo il sonno. La
differenza consta nel metodo con il quale tali credenze vengono affrontate: la
prima ricorre ad una educazione sul sonno, fornendo quindi informazioni
riguardo ai ritmi circadiani sonno-veglia, influenza dell’età, etc.; la seconda
invece le affronta attraverso una “ristrutturazione cognitiva”.
Terapia multicomponenziale
I “Practice parameters for the psychological and behavioural treatment of
insomnia” dell’American Academy of Sleep Medicine Report includono questo
nuovo trattamento non farmacologico per la cura dell’insonnia cronica
(Morgenthaler et Al., 2006). La terapia multicomponenziale prevede, in un
unico approccio terapeutico, l’utilizzo di più terapie comportamentali con
l’esclusione di quella cognitiva. Inoltre le impostazioni dei singoli trattamenti
35
vengono modificate rispetto alle procedure originali; questo per renderli più
adattabili alle esigenze dei pazienti (per la maggior parte anziani) e di
conseguenza più utilizzabili: si preferisce investire, da parte del paziente, sulla
compliance al trattamento, vista come incisiva nella determinazione del
risultato.
In letteratura sono presenti, a nostra conoscenza, tre studi relativi alla terapia
multicomponenziale.
Il primo studio risale al 2000 (Lichstein et Al., 2000). Questo è nato dalla
considerazione che in letteratura (Morin et Al., 1999) si sia troppo spesso
discussa e studiata, rispetto all’insonnia secondaria, l’insonnia primaria e le
relative modalità di trattamento psicologico. Tale discriminazione scaturisce
dalla convinzione che l’insonnia secondaria non possa essere trattata
attraverso
le
terapie
psico-comportamentali.
Gli
Autori,
Lichstein
e
collaboratori, hanno proposto dunque un approccio terapeutico composto
dai più rappresentativi trattamenti comportamentali per l’insonnia primaria, per
la cura dell’insonnia secondaria dovuta a cause mediche (MSI) o psichiatriche
(PSI): il controllo dello stimolo e il rilassamento progressivo.
I soggetti sono stati assegnati in modo randomizzato al gruppo che avrebbe
ricevuto il trattamento -controllo dello stimolo e rilassamento- o al gruppo di
controllo non trattato. La valutazione autosomministrata condotta nella fase di
pre-trattamento, nel post-trattamento e a 3 mesi di follow-up ha mostrato
come i pazienti abbiano significativamente beneficiato della terapia,
migliorando i parametri relativi al WASO, SE e SQ.
Il secondo studio (Edinger e Sampson, 2003) emerge dalla revisione in
letteratura di precedenti studi cognitivo-comportamentali, che sembrano
dimostrare esiti positivi, nonostante siano stati somministrati via telefono o
attraverso “self-help treatment”. L’obbiettivo di tale studio è proprio l’ideazione
di un terapia cognitivo-comportamentale abbreviata (ACBT) che sia adeguata
ad affrontare i vari problemi di insonnia nelle condizioni di cure primarie.
I soggetti, affetti da insonnia primaria, sono stati distribuiti in modo randomizzato
a 2 condizioni: al gruppo di controllo, a cui sono state somministrate solo le
principali raccomandazioni dell’igiene del sonno (SHC) o al gruppo a cui è
stato assegnato il trattamento ACBT. Questo consisteva nella raccolta della
storia del sonno del paziente, in una educazione del sonno (spiegazione dei
36
ritmi circadiani del sonno, di come il sonno possa influenzare il funzionamento
diurno,
gli
effetti
dell’età
sul
sonno,
etc.)
ed
infine
in
un
regime
comportamentale costituito, a sua volta, dalla combinazione di 2 trattamenti
non farmacologici: controllo dello stimolo e restrizione del sonno; durata dei
trattamenti 2 settimane, seguita da un follow-up a 3 mesi.
La maggior parte dei pazienti ACBT hanno riportato alla fine del trattamento,
rispetto alla condizione iniziale di base, miglioramenti della SE pari all’83%, così
come riduzioni del 52% nella WASO e del 50% nella SOL. Inoltre i pazienti hanno
ottenuto gradualmente un sonno maggiore di 6 ore per notte e decrementi
fino a livelli normali nell’Insomnia Symptom Questionnaire (ISQ).
Questi dati hanno permesso di evidenziare la buona efficacia del trattamento
multicomponenziale a breve durata, disegnato specificatamente per le
condizioni di cure primarie. In particolare tale approccio supera gli effetti
positivi della SH, che tuttavia risultava deprivata di molte delle sue regole e
concentrata solo su quelle ritenute fondamentali.
Il terzo studio è quello di Waters e collaboratori (2003). Lo studio è scaturito dal
desiderio di confrontare una cura farmacologica e l’efficacia di un approccio
comprensivo di più trattamenti non farmacologici nella cura dell’insonnia
cronica. Lo studio si compone di 2 fasi.
Prima fase: i soggetti, sofferenti di insonnia cronica, sono stati assegnati in modo
randomizzato a quattro condizioni sperimentali. Una di queste era costituita da
due trattamenti, rilassamento progressivo muscolare (PMR) e distrazione
cognitiva (CD), che vengono di solito impiegati per ridurre l’arousal fisiologico
all’inizio del sonno. Il secondo approccio era costituito dalla restrizione del
sonno (SR) e dal controllo dello stimolo (SC), che vengono invece considerati
promotori di un sonno continuativo attraverso la regolazione dei sistemi
omeostatici e circadiani del sonno. Procedendo in questo modo si volevano
minare le due condizioni che più facilmente determinano l’insonnia. Al terzo
gruppo è stata assegnata la sola igiene del sonno (SH) come condizione di
controllo ed infine il quarto gruppo è stato trattato farmacologicamente. È
stato impiegato come farmaco il “flurazepam”, un ipnotico benzodiazepinico,
che viene utilizzato per facilitare l’addormentamento e il mantenimento del
sonno. Per quanto riguarda invece la distrazione cognitiva qui impiegata, non
37
è una tecnica validata, e consta nell’immaginare le vicende e i personaggi di
una storia, letta prima di spegnere le luci.
I soggetti hanno seguito i trattamenti per due settimane, alla fine dei quali sono
stati confrontati i risultati tra i due approcci comportamentali, tra il gruppo SH e
tra il gruppo trattato farmacologicamente.
Seconda fase: le successive due settimane (quinta e sesta settimana dello
studio, contando le prime due di pre-trattamento) è stato assegnato ai
soggetti, che nella prima fase avevano ricevuto gli approcci comportamentali,
l’intero pacchetto terapeutico composto dai 4 trattamenti (PMR, CD, SR, SC)
più la SH, considerata come componente base di qualsiasi trattamento per
l’insonnia. Il gruppo che nella prima fase aveva ricevuto la SH, ha proseguito
con la stessa terapia anche nella seconda. Alla fine dei trattamenti è seguito il
confronto tra questi 2 gruppi. Il gruppo trattato farmacologicamente nella
prima fase, non è stato più considerato nella seconda.
I risultati evidenziano come nella prima fase la cura farmacologica abbia
diminuito i tempi di addormentamento durante il trattamento, dimostrandosi
molto più efficace nell’ottenere dei progressi a breve termine rispetto agli altri
trattamenti PMR/CD, SR/SC e SH. Per quanto riguarda i trattamenti cognitivocomportamentali, dimostratesi più efficaci a lungo termine, non sono state
dimostrate significative differenze tra i due approcci, PMR/CD vs SR/SC, relative
alla capacità di addormentarsi e di mantenere un sonno continuativo, che
tuttavia hanno riportato dei miglioramenti significativi. Per la seconda fase, il
pacchetto terapeutico, che includeva PMR, CD, SR, SC e SH, si è rivelato più
efficace della sola SH, la quale si è dimostrata tuttavia più efficace di quanto ci
si aspettasse e di quanto si sia rilevato nella prima fase. Questo non significa
che gli altri trattamenti comportamentali siano efficaci quanto la SH, piuttosto
la presenza di un gruppo di controllo, non trattato, avrebbe potuto fornire una
differenza più significativa rispetto agli altri trattamenti comportamentali.
A fronte dei risultati ottenuti, gli Autori hanno concluso che la terapia
farmacologica risulta maggiormente indicata per la cura di un’insonnia
transitoria; per quanto riguarda invece l’insonnia cronica, sono consigliati
prevalentemente i trattamenti non farmacologici.
38
Trattamento self-help
Questo tipo intervento è nato dall’esigenza di voler raggiungere il maggior
numero di persone insonni: tale trattamento si è dimostrato essere una valida
alternativa all’approccio terapeutico guidato dal clinico. In letteratura (Morin
et Al., 2005) si riportano vari studi effettuati per osservare la responsività a tali
trattamenti che sembrano aver riportato risultati soddisfacenti. Nonostante ne
esistano varie versioni, le componenti principali della maggior parte dei
trattamenti self-help includono: materiale educativo riguardo il sonno,
l’insonnia e le regole per una buona igiene del sonno, raccomandazioni
comportamentali
sulla
pianificazione
del
sonno,
rilassamento,
metodi
psicologici per cambiare le credenze e le attitudini sul sonno.
Uno studio paradigmatico, relativo a tale forma di intervento, è quello di Morin
e dei suoi collaboratori (2005): l’intento era quello di valutare l’efficacia di un
trattamento
comportamentale
minimo
per
la
cura
dell’insonnia,
somministrandolo ad un campione della popolazione che soddisfacesse tutti i
criteri diagnostici per l’insonnia (sia ti tipo primario che secondario) secondo il
DSM-IV e l’ICD-10.
L’intervento consisteva di 6 libretti psicoeducazionali, spediti settimanalmente
per 6 settimane, ognuno contenente una terapia differente per l’insonnia.
Ciascun libretto, costituito da una quindicina di pagine, riportava le procedure
comportamentali, il loro fine e alcuni casi per fornire degli esempi concreti. In
particolare ciascun libretto riguardava:
1. Le informazioni di base relative al sonno, all’insonnia e all’approccio selfhelp.
2. Strategie di pianificazione per il sonno (controllo dello stimolo e
restrizione del sonno).
3. Informazioni riguardo i rischi e i benefici relativi agli ausili, come i farmaci,
per la conciliazione del sonno e linee guida opzionali per ridurre il loro
consumo tra i fruitori cronici.
4. Linee guida psicologiche per cambiare false credenze e attività
riguardo il sonno e sonnolenza.
5. Le principali regole del sonno sui fattori che possono impedire (p.es.:
caffeina) o promuovere (p.es.: l’esercizio fisico) il sonno.
39
6. Prevenzione di ricadute e mantenimento dei risultati positivi ottenuti.
I pazienti vennero istruiti a leggere attentamente il materiale del trattamento e
ad attenersi alle procedure raccomandate. Fu inoltre chiesto loro di compilare
quotidianamente il diario del sonno, incluso in ogni libretto, per accertarsi che
fosse rispettata la restrizione del sonno. Un numero telefonico gratuito era stato
reso disponibile ai partecipanti che necessitassero di ulteriori informazioni o
chiarimenti
nel
comprendere
ed
implementare
correttamente
le
raccomandazioni terapeutiche.
L’intervento prevedeva 2 settimane per la raccolta delle misure pretrattamento: compilazione del diario del sonno e di un pacchetto di
questionari, comprensivi di ISI, PSQI, BDI-II STAI-State. Tale procedura fu anche
richiesta per le 2 settimane successive alla fine del trattamento per la
valutazione post-trattamento; seguì il follow-up 6 mesi dopo.
I risultati dimostrarono che l’intervento comportamentale self-help sortì un
effetto positivo nell’alleviare i sintomi dell’insonnia. Inoltre i cambiamenti furono
mantenuti anche nei sei mesi del follow-up, suggerendo che tale approccio
potesse produrre dei miglioramenti duraturi. I pazienti, che seguirono tale
procedura, migliorarono su tutti i principali parametri del sonno, inclusa la
qualità del sonno (SQ). In particolare, la media del sonno aumentò di 21 minuti,
il tempo di veglia dopo l’addormentamento scese a 20 minuti ed infine
l’efficienza di sonno raggiunse un incremento pari al 4%. Tali risultati indicano
che, sebbene il trattamento si sia dimostrato efficace, è necessario l’intervento
guidato di un terapeuta al fine di ottenere dei miglioramenti più consistenti da
un punto di vista clinico. Gli Autori aggiungono che probabilmente la media
potrebbe esser stata inficiata dalla presenza dei pazienti affetti da insonnia
secondaria, per i quali il trattamento potrebbe non esser stato sufficiente.
40
CONTRIBUTO SPERIMENTALE
Obiettivi
Finalità primaria della presente ricerca è stata il valutare l’efficacia della
tecniche di restrizione del sonno e igiene del sonno nel trattamento
dell’insonnia primaria.
A tale valutazione è stata associata una analisi di aspetti comportamentali,
personologici e relativi al tono dell’umore, finalizzata a studiare possibili
correlazioni con parametri del sonno.
Il primo obiettivo è stato perseguito attraverso la misurazione di variabili
oggettive ottenute mediante tracciato actigrafico, efficienza del sonno (SE),
tempo totale di sonno (TST), tempo trascorso a letto (TIB e l’attività motoria
notturna e variabili soggettive ottenute dalla compilazione del questionario di
autovalutazione Short Form (SF-36) sulla qualità della vita.
Secondariamente si è voluto evidenziare l’eventuale superiorità, in termini di
beneficio terapeutico, di una tecnica rispetto all’altra.
Infine si è cercato di correlare l’efficienza del sonno con variabili cliniche
ottenute dalla compilazione di scale auto ed eterovalutate sui disturbi
dell’umore, sulla qualità di vita e sulla personalità al fine di evidenziare
eventuali fattori predittivi alla risposta sul miglioramento del sonno.
Si è scelto di valutare queste due tecniche non farmacologiche alla luce di
alcune considerazioni emerse dalla pratica clinica. Innanzi tutto la apparente
conoscenza, da parte dei pazienti, di implicite regole notturne e diurne di
“buona condotta” seguite però da una loro scarsa implementazione nel
quotidiano. Secondariamente l’evidenza, e talora il riferito, dopo alcune notti
di deprivazione di sonno autoindotta, dovuta ad esigenze lavorative o sociali,
di una maggiore facilità all’addormentamento e una migliore qualità del
sonno.
Questa osservazione è in linea con alcuni dati in Letteratura già discussi, che
partono dal presupposto che il tempo trascorso a letto nel tentativo di
addormentarsi, possa essere uno degli elementi che perpetuano l’insonnia. È
infatti su tale premessa che si basa il trattamento di restrizione del sonno.
Sono stati inseriti nello studio pazienti ambulatoriali consecutivi afferenti al
Centro di Medicina del Sonno presso l’ASO San Giovanni Battista in Torino
nell’arco di due anni, con diagnosi di insonnia primaria che non desideravano
41
terapie farmacologiche, nei confronti delle quali le stesse si erano rivelate
inefficaci e pazienti disassuefatti da trattamento con benziodiazepine.
Sotto è riportato schematicamente il disegno dello studio:
1. DIVISIONE DEL CAMPIONE IN 2 SOTTOGRUPPI BILANCIATI PER ETÀ, SCOLARITÀ E SESSO.
DIAGNOSI GRUPPO A (RESTRIZIONE DEL SONNO): 10 INSONNIA
PSICOFISIOLOGICA
DIAGNOSI GRUPPO B (IGIENE DEL SONNO): 8 INSONNIA PSICOFISIOLOGICA + 2
INSONNIA IDIOPATICA
2. VALUTAZIONE DELL’EVENTUALE EFFICACIA DELLE TECNICHE DI RESTRIZIONE DEL SONNO E
IGIENE NEL MIGLIORAMENTO DELL’INSONNIA:
T-TEST PER CAMPIONI APPAIATI SU VARIABILI ACTIGRAFICHE (OGGETTIVE) E SF-36
(SOGGETTIVE):
A PRE VS A POST
B PRE VS B POST
3. COMPARAZIONE DELLE DUE TECNICHE
T-TEST PER CAMPIONI APPAIATI SU VARIABILI ACTIGRAFICHE E SF-36
A POST VS B POST
4. CORRELAZIONE TRA SLEEP EFFICIENCY (SE) E ALTRE VARIABILI CLINICHE IN CONDIZIONI
BASALI AL FINE DI VALUTARE SE ESISTONO FATTORI PREDITTIVI ALLA RISPOSTA SUL
MIGLIORAMENTO DEL SONNO (CORRELAZIONE DI PEARSON TRA SE E VARIABILI
CLINICHE)
Materiali e metodi
Sono stati reclutati 28 pazienti affetti da insonnia primaria (paradoxical
insomnia, insonnia idiopatica e insonnia psicofisiologica) definita da uno
specialista neurologo secondo i criteri del DSM-IV TR e dell’ ICSD mediante
esame clinico e colloquio.
Sono stati esclusi pazienti affetti da Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno
(OSAS), Movimenti periodici degli arti (PLM), Sindrome delle Gambe Senza
Riposo (RLS), valutati clinicamente o, quando possibile, mediante registrazione
polisonnografica o poligrafica.
Sono stati, parimenti esclusi pazienti affetti da insonnia dovuta a cause
psichiatriche, con deterioramento cognitivo stimato mediante colloquio e
somministrazione del Mini Mental State Examination (MMSE
≤26),
coloro che
facevano uso regolare di alcool e abuso di caffeina, in trattamento
42
farmacologico in atto (interferenti con il sonno, antidepressivi) o in trattamenti
psicoterapeutici.
15 soggetti affetti da insonnia primaria sono stai inseriti nel gruppo trattamento
con restrizione del sonno (SRT) e 13 nel gruppo trattamento con igiene del
sonno (SH).
La restrizione del sonno è una tecnica che consiste nel far coincidere il tempo
trascorso a letto con la quantità di sonno che un soggetto soggettivamente
percepisce. Tale metodica crea uno stato di lieve-media deprivazione di sonno
che promuove un più rapido addormentamento, un sonno più efficiente ed
una minore variabilità internotte.
L’inserimento nel gruppo di igiene del sonno prevedeva il fornire regole
alimentari e di stile di vita e indicazioni ambientali con l’obiettivo di rendere i
soggetti consapevoli di pratiche ed abitudini relative alla propria salute.
Di seguito sono elencate le regole suggerite ai pazienti.
1. La stanza in cui si dorme non dovrebbe ospitare altro che l’essenziale per
dormire (è da sconsigliare la collocazione nella camera da letto di televisore,
computer, scrivanie per evitare di stabilire legami tra attività non rilassanti e
l’ambiente in cui si deve invece stabilire una condizione di relax che favorisca
l’inizio ed il mantenimento del sonno notturno
2. La stanza in cui si dorme deve essere sufficientemente buia, silenziosa e di
temperatura adeguata (evitare eccesso di caldo o di freddo)
3. Evitare di assumere, in particolare nelle ore serali, bevande a base di caffeina
e simili (caffe’, té, coca-cola, cioccolata)
4. Evitare di assumere nelle ore serali o, peggio, a scopo ipnoinducente,
bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici)
5. Evitare pasti serali ipercalorici o comunque abbondanti e ad alto contenuto di
proteine (carne, pesce).
6. Evitare il fumo di tabacco nelle ore serali
7. Evitare sonnellini diurni, eccetto un breve sonnellino dopo pranzo (in
particolare sonnellini dopo cena e nella fascia oraria prima di coricarsi)
8. Evitare, nelle ore prima di coricarsi, l’esercizio fisico di medio-alta intensità (per
es. palestra). L’esercizio fisico e’ invece auspicabile nel tardo pomeriggio
43
9. Il bagno caldo serale non dovrebbe essere fatto nell’immediatezza di coricarsi
ma a distanza di 1-2 ore
10. Evitare, nelle ore prima di coricarsi, di impegnarsi in attività che risultano
particolarmente coinvolgenti sul piano mentale e/o emotivo (studio, lavoro al
computer, video-giochi etc…) almeno 1 ora e mezza prima di andare a
dormire
11. Cercare di coricarsi la sera e alzarsi al mattino in orari regolari e costanti e
quanto più possibile consoni alla propria tendenza naturale al sonno e
coricarsi soltanto quando si avverte il sonno
12. Appena coricati spegnere la luce
13. Evitare di leggere o guardare la tv a letto
14. Darsi un tempo limite per l’addormentamento: se non ci si è addormentati in
20 minuti è
conveniente alzarsi e rilassarsi in una altra stanza aspettando di
avvertire sonno
15. Non protrarre eccessivamente il tempo trascorso a letto di notte, anticipando
l’ora di coricarsi e/o posticipando l’ora di alzarsi al mattino
Il protocollo prevedeva, per tutti i pazienti, 6 fasi :
•
Fase 1: consegna del diario del sonno + valutazione actigrafica (vedi
oltre) per le 2 settimane precedenti l’inizio del trattamento e consegna
delle seguenti scale e questionari etero ed auto-somministrati (più oltre
descritti):
-Beck Depression Scale (BDI)
-Hamilton ansia
-MADRS
-State-Trait Anxiety Inventory (STAI)
-MMPI
-SF-36
-ESS Epworth Sleepiness scale
-Morningness/eveningness Scale
Le suddette scale valutavano aspetti relativi al tono dell’umore, all’insonnia e
sonnolenza, alla personalità e qualità della vita.
44
•
Fase 2: (dopo 2 settimane) prelievo ematico al fine di dosare il cortisolo
prima dell’inizio del trattamento, ritiro scale cliniche, actigrafo e diario
del sonno
•
Fase 3: inserimento dei soggetti in uno dei 2 gruppi di trattamento
(durata 8 settembre) e implementazione della tecnica
•
Fase 4: (dopo 2 settimane) prelievo ematico al fine di dosare il cortisolo
alla
fine
del
trattamento,
risomministrazione
delle
scale
precedentemente elencate ad esclusione dell’MMPI, consegna del
diario del sonno + valutazione actigrafica per 1 settimana
•
Fase 5:Ritiro diario del sonno + actigrafo e colloquio conclusivo
•
Fase 6: Follow up clinico a 6 mesi
Gruppo-trattamento con restrizione
Calcolo del tempo da trascorrere a letto (TIB) sulla media delle 2 settimane
registrate base-line mediante actigrafo (mai < 5 H)
Definizione dell’ora del risveglio sulla base delle esigenze lavorative e sociali e
calcolo, a scalare, dell’ora di addormentamento.
Previsto incremento settimanale di 15-20 minuti
Durante le 8 settimane di trattamento, calcolo della media della SE degli ultimi
5 giorni:
A. se la media della SE≥ è
90% si
è anticipato di 15-20 minuti l’ora di
addormentamento
B. se la media della SE è ≤ 80% si è diminuito il TIB (comunque non prima di 10
giorni dall’inizio del trattamento)
C. se la media della SE è ≤ 90% e ≥ 80% Il TIB è rimasto invariato
La SE e gli eventuali incrementi sono stati valutati a cadenza settimanale dopo
l’analisi del diario del sonno.
Ai pazienti è stato richiesto di inviare via fax i diari del sonno compilati al
termine delle settimane di trattamento a cui seguiva un contatto telefonico da
parte del terapeuta.
45
Gruppo-trattamento con igiene del sonno
Spiegazione e fornitura elenco delle regole di igiene del sonno.
Verifica dell’implementazione delle regole di igiene del sonno e monitoraggio
dell’andamento sintomatologico ogni fine settimana mediante contatto
telefonico dopo l’invio via fax dei diari del sonno compilati.
Il protocollo di restrizione è stato tratto, con delle minime variazioni, da quello
inizialmente proposto da Spielman e colleghi nel 1987 che per primi definirono
e formalizzarono la tecnica. Ai pazienti è stato richiesto di recarsi in ambulatorio
per colloquio clinico informativi circa la tecnica, il ritiro dell’actigrafo e il
prelievo del cortisolo e la consegna delle scale da compilare. Una visita di
controllo era richiesta a metà trattamento (1 mese) e la successiva al termine
del trattamento (2 mesi) occasione in cui era riconsegnato l’actigrafo,
effettuato il prelievo di controllo e riconsegnate le scale cliniche. Dopo 1
settimana ai soggetti era chiesto di tornare per la restituzione dell’apparecchio
e la conclusione della terapia. A tutti i pazienti è stato rilasciato il foglio
informativo e fatto firmare il consenso informato.
Il protocollo è stato approvato dal Comitato Etico dell’ASO San Giovanni
Battista - Molinette di Torino in data 18/07/2006.
Strumenti
L’actigrafia è una tecnica di valutazione del sonno che si avvale di un
dispositivo, simile ad uno orologio, che rileva e registra semplicemente i
movimenti dell’arto su cui viene indossato (polso, caviglia) rispetto al tempo
permettendo di identificare le fasi di riposo da quelle di attività. L’actigrafia è
stata proposta come una procedura di valutazione alternativa al metodo della
PSG.
Anche
se
la
polisonnografia
offre
un’estesa
informazione
sul
comportamento del sonno e la fisiologia del sonno, essa è molto costosa e può
talvolta essere troppo invasiva e non necessaria nei casi in cui l’attenzione è
posta sulla quantificazione del sonno, della veglia o d’entrambi (Sivertsen et Al.,
2006).
46
L’actigrafia non è una misura del sonno così come è comunemente definito e
non misura l’esperienza soggettiva del sonno, come invece fanno le descrizioni
sul sonno e i questionari. Tra quest’ultimi e l’actigrafia sono emerse alcune
discordanze. Per esempio, l’actigrafo generalmente sottostima la latenza del
sonno perché molti soggetti sono inattivi, ma svegli, mentre sono distesi a letto
in attesa di prender sonno, oppure dopo i risvegli dal sonno: il presupposto è
che il paziente stia dormendo quando il tracciato actigrafico, emerso dalla
registrazione, non registra i movimenti dell’arto su cui è stato indossato il
dispositivo. Per tale ragione, l’actigrafo è utilizzato molto spesso unitamente ad
altri metodi, come il diario del sonno, che accerta determinate condizioni:
tempo a luci spente, tempo a letto, tempo fuori dal letto, i tempi in cui lo
strumento è stato rimosso e i tempi in cui il paziente può esser stato seduto
fermo per un lungo periodo (come lo star seduto in auto o al cinema).
Similmente può accadere che le descrizioni del sonno da parte del paziente
sovrastimino il tempo di sonno comparato con i referti actigrafici oppure che i
pazienti insonni sottostimino frequentemente il TST nei loro resoconti. Per quanto
concerne le ulteriori discrepanze tra le misure actigrafiche e quelle ottenute
con altri metodi di valutazione del sonno, un recente studio di Sivertsen et Al.
(2006) esamina la sensibilità, specificità e precisione per la rilevazione del
pattern sonno-veglia, a confronto con la polisonnografia, in un campione
caratterizzato da adulti (età media 60.5, DS 4.5) trattati per insonnia primaria
cronica. Da questo emerge come il tempo totale di sonno e l’efficienza di
sonno siano sovrastimate dall’actigrafo, rispetto a quanto invece riporta la PSG.
Questa sovrastima si riduce, appunto, con l’utilizzo del diario del sonno.
L’actigrafia è molto utile nella valutazione dei pazienti di cui si sospetta la
sindrome del sonno anticipato (ASPS), la sindrome del sonno ritardato (DSPS),
47
“disturbo del sonno legato ai turni di lavoro”, disturbo del ritmo circadiano, che
include la sindrome da cambiamento del fuso orario (jet-lag) e il disturbo del
pattern sonno-veglia non di 24 ore.
L’actigrafia, pertanto descrive il “pattern del sonno” (definito come modello
circadiano del sonno e della veglia nell’arco delle 24 ore) e la presenza e
l’assenza di WASO; come la PSG e i diari del sonno, è stata usata sia come
strumento diagnostico che di screening, sia come misura quantitativa.
In definitiva, il suo uso potenziale come misura oggettiva del pattern sonnoveglia è utile in associazione ai resoconti soggettivi dei pazienti e quando la
PSG non risulta possibile (Buysse et Al., 2006), come per i pazienti che non
possono essere trasportati in ospedale, nei quali il monitoraggio tradizionale del
sonno può risultare difficile da ottenere e/o interpretare.
Il diario del sonno, completato tipicamente al risveglio, permette un resoconto
soggettivo giornaliero del sonno e delle sue alterazioni, fornendo una stima
della qualità della notte precedente. Attraverso questo metodo di indagine è
possibile ottenere alcuni parametri quali la frequenza e la durata totale dei
risvegli (tempo di veglia dopo l’addormentamento, Wake after Sleep Onset,
WASO), la qualità del sonno (Sleep Quality, SQ), l’efficienza di sonno (Sleep
Efficiency, SE), la latenza di sonno (Sleep-Onset Latency, SOL), il tempo a letto
(Time in Bed, TIB) ed il tempo totale di sonno (Total Sleep Time, TST).
Attraverso il diario è inoltre possibile raccogliere informazioni sull’uso di farmaci
(o di altre sostanze stimolanti), sui comportamenti giornalieri, come i sonnellini e
il consumo di alcool e caffeina. Le medie per ogni variabile vengono
normalmente effettuate sulla base di una o due settimane di raccolta dati.
Nonostante siano stati pubblicati numerosi diari del sonno, non ne esiste un
formato standard.
Il diario del sonno fornisce informazioni più precise e dettagliate, rispetto ai
rapporti retrospettivi dei pazienti, sulla severità e variabilità dei disturbi
quantitativi del sonno, sulla programmazione del sonno, sul pattern sonnoveglia e pare sia, inoltre, meno soggetto a bias. Le informazioni ottenute
attraverso tale strumento vengono impiegate per stabilire una diagnosi
generale
di
insonnia
e
per
escludere
disturbi
del
ritmo
circadiano.
Comparazioni tra il diario del sonno e la polisonnografia possono esser utili per
identificare
errori
soggettivi-oggettivi
48
spesso
attinenti
alla
“Paradoxical
Insomnia”. Considerate come misure quantitative, le stime dei parametri del
sonno, ottenuti con tali diari, producono un valido e attendibile indice dei
sintomi dell’insonnia anche se non riflettono valori assoluti che invece si
otterrebbero con la PSG: a confronto con i dati polisonnografici, gli individui
con insonnia tendono a sovrastimare SOL e WASO e per contro sottostimare il
TST. Tuttavia, l’utilizzo del diario del sonno, per una serie di notti consecutive (in
genere una settimana, ma talvolta persino 3 per cogliere certi parametri
significativi come la WASO), consente di registrare la variabilità di sonno che
spesso caratterizza le notti di un paziente affetto da insonnia cronica.
Il Mini Mental State Examination (MMSE), di M.F. Folstein at al. (1975) è uno
screening neuropsicologico ad ampio spettro atto a valutare le globali funzioni
intellettive e a rilevare eventuali deficit di memoria, di orientamento spaziotemporale, di calcolo, di attenzione, di rievocazione e di prassia costruttiva. È
stato utilizzato per escludere eventuali pazienti con deterioramento cognitivo e
pertanto presumibilmente poco attendibili (punteggio al di sotto del cut-off
patologico di 26). Il punteggio massimo ottenibile è di 30.
La Hamilton Anxiety Scale (Hamilton, 1959) è una scala eterosomministrata
composta da 14 item ognuno di essi rappresenta un cluster nel quale sono
raggruppati diversi sintomi (da 2 a 8 ) associati tra loro o per loro natura o
perché l’esperienza clinica ha dimostrato che sono tra loro correlati. I sintomi
che compongono ciascun item sono indicati nel testo della scala. Per quanto
riguarda il punteggio, ogni item è valutato su di una scala a 5 punti (“assente”,
“lieve”, “moderato”, “grave”, “molto grave”).
Il punteggio della scala potrà variare da 0 a 56. Un punteggio totale intorno a
18 deve essere considerato patologico.
Montgomery-Asperg Depression Rating Scale MADRS (Montgomery e Asberg,
1979) è un questionario diagnostico eterosomministrato (compilato dal clinico a
seguito di colloquio clinico) a 10 item utilizzato per misurare la severità di
episodi depressive in pazienti con disturbi dell’umore.
La versione originale della BDI Beck Depression Inventory fu introdotta da Beck,
e collaboratori nel 1961.
È una breve
scala autosomministrata (richiede circa 10 minuti per la
compilazione)
formato
da
21
aree
49
d’indagine,
che
corrispondono
rispettivamente ai 21 item che misurano le supposte manifestazioni della
depressione. Gli aspetti indagati dal test sono: tristezza, pessimismo, senso di
fallimento, insoddisfazione, senso di colpa, aspettativa di punizione, delusione
verso sé stessi, autoaccusa, idee suicide, pianto, irritabilità, indecisione, dubbio,
ritiro sociale, svalutazione della propria immagine corporea, calo dell’efficienza
lavorativa, disturbo del sonno, faticabilità, calo dell’appetito, calo ponderale,
preoccupazioni somatiche, calo della libido. Il paziente ha la possibilità di
scegliere tra quattro risposte alternative secondo gradi di gravità crescente. Lo
scopo del test è quello di misurare l’intensità della depressione esperita dal
paziente con particolare riferimento all’ultima settimana. Il calcolo del
punteggio richiede l’esecuzione di una semplice addizione, in quanto non è
necessaria la standardizzazione dei valori grezzi.
La Scala STAI State-Trait Anxiety Inventory (Spielberger et al 1970, 1983) è una
scala autosomministrata per la valutazione dell’ansia di stato (un’interruzione
temporanea del continuum emozionale, che si esprime attraverso una
sensazione soggettiva di tensione ed è associata all’attivazione del sistema
nervoso autonomo) e di tratto (considerata una caratteristica relativamente
stabile della personalità).
Le due scale sono composte da 20 item ciascuna. Il punteggio totale è
compreso tra 20 e 80 con un valore soglia predittivo di sintomatologia ansiosa
posto a 40. Secondo un criterio scalare è possibile definire inoltre il livello di gtà:
dravia 40 a 50 forma lieve, da 50 a 60 moderata, > di 60 grave.
La Epworth Sleepiness Scale ESS (Johns, 1991) è stata messa a punto allo scopo
di misurare il livello generale di sonnolenza diurna, come strumento rapido ed
economico di screening per identificare coloro che hanno problemi diurni di
sonnolenza da approfondire, eventualmente, con il MSLT.
È una scala di autovalutazione composta da 8 item che prendono in
considerazione varie situazioni della vita quotidiana che sappiamo avere un
diverso effetto soporifero, per ognuna delle quali il soggetto deve stabilire in
che misura tendano a farlo appisolare o addormentare.
Ogni item è valutato su di una scala a 4 punti, da 0 = non mi appisolerei mai, a
3 = alta probabilità di appisolarsi. Le proprietà psicometriche dello strumento
50
sono risultate assai buone, compresa una discreta sensibilità al cambiamento
per effetto del trattamento.
Lo Short Form Health Survey SF-36 (Apolone e Mosconei, 1998) è un questionario
sullo stato di salute del paziente che è caratterizzato dalla brevità
(mediamente il soggetto impiega non più di 10 minuti per la sua compilazione)
e dalla precisione (lo strumento è valido e riproducibile). E' stato sviluppato a
partire dagli anni 80 negli Stati Uniti d'America come questionario generico,
multi-dimensionale articolato attraverso 36 domande che permettono di
assemblare 8 differenti scale. Le 36 domande si riferiscono concettualmente a
8 domini di salute: AF-attività fisica (10 domande), RP-limitazioni di ruolo dovute
alla salute fisica (4 domande) e RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo
(3 domande), BP-dolore fisico (2 domande), GH-percezione dello stato di
salute generale (5 domande), VT-vitalità (4 domande), SF-attività sociali (2
domande), MH- salute mentale (5 domande) e una singola domanda sul
cambiamento nello stato di salute. Il questionario SF-36 può essere autocompilato o può essere oggetto di una intervista sia telefonica sia faccia-afaccia. Tutte le domande dell'SF-36, tranne una, si riferiscono ad un periodo di
quattro settimane precedenti la compilazione del questionario. La validità delle
8 scale dell'SF-36 è stata largamente studiata in gruppi noti di pazienti. Gli studi
di validazione hanno inoltre dimostrato che l'SF-36 ha capacità discriminanti nei
confronti di popolazioni con problemi psichiatrici o problemi fisici e di
discriminare tra gruppi di popolazioni con condizioni mediche severe da gruppi
di popolazioni moderatamente malate o sane.
Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Hathaway e Mc Kinley,
1948) nasce sul finire degli anni Trenta in una clinica psichiatrica universitaria del
Minnesota a opera di Starke R. Hathaway (PhD) e di J. Charnley McKinley (MD)
come strumento per la diagnosi psicopatologica e, più in generale, per
valutare caratteristiche di personalità, sia patologiche che normali, in
popolazione cliniche. Poichè consente una valutazione ad ampio spettro dei
disturbi, esso viene frequentemente usato come test di routine che completa i
colloqui diagnostici; è, inoltre, impiegato, somministrandolo prima-dopo, per
documentare gli effetti di un trattamento psicologico o psichiatrico. Il fatto di
studiare caratteristiche sia normali che patologiche di personalità ne ha
51
allargato l'uso a molti ambiti, da quello peritale a quello della selezione del
personale.
L'obiettivo dichiarato dei due ideatori era quello di avere una lista
sufficientemente ampia di voci attraverso cui identificare e diagnosticare un
po' tutte le malattie mentali.
L’MMPI utilizza 566 (o meno nelle versioni ridotte) item a risposte dicotomiche:
Vero contro Falso.
Il sistema di definizioni delle voci nello MMPI, test per nulla fattorializzato ma
fondato solo su una convinzione di costrutto, è piuttosto vario e complesso.
I punti di riferimento indicati dagli editori delle versioni italiane sono
attualmente: sei Scale di validità, dieci Scale di base, dodici Scale
supplementari e quindici Scale di contenuto.
La Morningness/eveningness Scale (Horne e Ostberg, 1976) è una scala auto
somministrata finalizzata a determinare la tipologia circadiana ovvero per
stabilire se una persona possiede il maggior livello di vigilanza durante le ore
diurne o serali.
Dosaggio cortisolo. Nell’ottica di capire se l’insonnia è una conseguenza o una
causa di patologie mediche associate, una prima indicazione viene data nel
rapporto tra insonnia e sistema ormonale. Entrano in gioco i ritmi circadiani
scanditi dall’alternarsi del periodo di luce e buio che accompagnano il sonno:
un sonno adeguato è sincronizzato con un ritmo circadiano equilibrato. Il
funzionamento della ciclicità si sovrappone all’andamento dei livelli ematici di
alcuni ormoni; per esempio il cortisolo è minimo nelle prime ore di sonno e ha
un picco dalle 4 alle 6 del mattino; una variazione che, per esempio, non si
verifica durante il riposino pomeridiano o comunque nel sonno diurno.
52
Risultati
Dei 28 pazienti reclutati, 5 pazienti (4 inseriti nel trattamento restrizione, 1 inserito
nel trattamento igiene del sonno) non hanno concluso i trattamenti. In linea
con i dati in letteratura (Spielman et Al., 1987) i soggetti in restrizione del sonno
hanno riportato come motivazione alla sospensione, la rigidità della tecnica, la
stanchezza riportata al risveglio mattutino soprattutto nelle prime 2 settimane di
trattamento e la difficoltà nell‘occupare il tempo nelle ore precedenti il
coricamento a letto e successive al risveglio. La scarsa costanza nel seguire le
regole è stata invece la motivazione nel gruppo igiene del sonno.
3 casi, inoltre, sono stati esclusi dall’analisi statistica per l’elevato numero di dati
mancanti con particolare riferimento al rifiuto verso il prelievo per il dosaggio
del cortisolo e alla mancata compilazione di numerose scale cliniche.
L’analisi statistica è stata effettuata mediante software SPSS.
Di seguito la descrittiva del campione
SESSO
Valid maschio
Frequency
Percent
Valid
Percent
9
45.0
45.0
11
55.0
55.0
20
100.0
100.0
femmina
Total
Cumulative
Percent
45.0
100.0
ETÀ
età soggetto
anni di
istruzione
Valid
N
20
Minimum
27
Maximum
78
Mean
50.35
Std. Deviation
14.076
20
5
17
11.55
3.531
20
53
Total
20
100.0
100.0
DIAGNOSI
Valid
Insonnia
psicofisiologica
Frequency Percent
Valid
Percent
18
90.0
90.0
Insonnia
idiopatica
2
10.0
10.0
Total
20
100.0
100.0
Cumulative
Percent
90.0
100.0
CRONOTIPO
Valid
mattutino
mattutino
moderato
neutro
serale
moderato
Total
Frequency
Percent
Valid
Percent
2
10.0
10.0
5
25.0
25.0
7
35.0
35.0
6
30.0
30.0
20
100.0
100.0
Frequency
Percent
Valid
Percent
10
50.0
50.0
10
50.0
50.0
20
100.0
100.0
Cumulative
Percent
10.0
35.0
70.0
100.0
TRATTAMENTO
Valid
assenza
presenza
Total
Cumulative
Percent
50.0
100.0
COMORBIDITÀ
Valid
assenza
presenza
Total
Frequency
Percent
Valid
Percent
7
35.0
35.0
13
65.0
65.0
20
100.0
100.0
54
Cumulative
Percent
35.0
100.0
Valid
assenza
presenza
Total
Frequency
Percent
Valid
Percent
10
50.0
50.0
10
50.0
50.0
20
100.0
100.0
ASSUNZIONE FARMACI
55
Cumulative
Percent
50.0
100.0
T-TEST
1. Al fine di bilanciare il campione è stato effettuato il T-test per campioni
appaiati sui due gruppi nel pre-trattamento. Non si sono evidenziate
differenza statisticamente significative per ciò che riguarda le variabili
actigrafiche e di qualità di vita.
2. L’eventuale efficacia delle tecniche di restrizione del sonno e igiene nel
miglioramento dell’insonnia è stata stimata mediante il T-Test per campioni
appaiati su variabili actigrafiche (oggettive) e SF-36 (soggettive).
È stata, pertanto, valutata la differenza di prestazioni ottenuta sulle suddette
variabili prima e dopo il trattamento in ciascuno dei due gruppi.
Le variabili considerate sono state 4 variabili oggettive di derivazione
actigrafica:
•
Valore medio actigrafia 1= tempo totale di letto (TIB)
•
Valore medio actigrafia 2= tempo totale di sonno (TST)
•
Valore medio actigrafia 3= attività motoria (WASO)
•
Valore medio actigrafia 4= efficienza di sonno (SE)
e 7 variabili relative alle sottoscale dell’SF-36:
•
Attività fisica
•
Ruolo e salute fisica
•
Dolore fisico
•
Salute in generale
•
Vitalità
•
Attività sociali
•
Salute mentale
56
Risultati A pre vs A post
Paired Samples Test
Paired Differences
Std. Deviation
Std. Error
Mean
34.700
44.237
13.989
3.055
66.345
2.481
9
.035
-13.900
51.013
16.132
-50.392
22.592
-.862
9
.411
10.500
13.721
4.339
.684
20.316
2.420
9
.039
-10.096
9.054
2.863
-16.572
-3.619
-3.526
9
.006
.55556
3.00463
1.00154
-1.75400
2.86512
.555
8
.594
-1.66667
12.50000
4.16667
-11.27502
7.94168
-.400
8
.700
-7.77778
12.01850
4.00617
-17.01602
1.46046
-1.941
8
.088
-8.33333
9.68246
3.22749
-15.77593
-.89074
-2.582
8
.033
-6.11111
6.97217
2.32406
-11.47039
-.75183
-2.630
8
.030
-1.11111
10.00868
3.33623
-8.80446
6.58224
-.333
8
.748
1.77778
8.51143
2.83714
-4.76469
8.32024
.627
8
.548
Mean
Pair 1
Pair 2
Pair 3
Pair 4
Pair 5
Pair 6
Pair 7
Pair 8
Pair 9
Pair
10
Pair
11
valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 1
valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 2
valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 3
valore medio actigrafia 4 valore medio actigrafia 4
attività fisica - attività fisica
post
ruolo e salute fisica ruolo e salute fisica post
dolore fisico - dolore
fisico post
salute in generale - salute
in generale post
vitalità - vitalità post
attività sociali - attività
sociali post
salute mentale - salute
mentale post
95% Confidence
Interval of the
Difference
Upper
Lower
t
df
Sig. (2-tailed)
I risultati evidenziano una differenza statisticamente significativa (efficacia
significativamente migliore) nel gruppo restrizione del sonno, nel post
trattamento, per quanto riguarda il tempo trascorso a letto e l’attività motoria,
che diminuiscono, e l’efficienza di sonno, che aumenta (↓TIB, ↓ TIB, SE). Per ciò
che riguarda le scale di qualità della vita, aumenta la percezione di una
migliore salute in generale e della vitalità.
A= restrizione di sonno
57
Risultati B pre vs B post
Paired Samples Test
Paired Differences
Std. Deviation
Std. Error
Mean
1.300
38.210
12.083
-26.034
28.634
.108
9
.917
-3.400
32.063
10.139
-26.337
19.537
-.335
9
.745
4.500
9.204
2.911
-2.084
11.084
1.546
9
.157
-2.800
5.371
1.698
-6.642
1.042
-1.649
9
.134
-15.00000
29.26175
9.75392
-37.49257
7.49257
-1.538
8
.163
-.55556
18.44662
6.14887
-14.73488
13.62377
-.090
8
.930
-14.44444
10.44164
3.48055
-22.47060
-6.41829
-4.150
8
.003
-18.88889
14.31297
4.77099
-29.89081
-7.88697
-3.959
8
.004
Mean
Pair 1
Pair 2
Pair 3
Pair 4
Pair 5
Pair 6
Pair 7
Pair 8
Pair 9
Pair
10
Pair
11
valore medio actigrafia 1 valore medio actigrafia 1
valore medio actigrafia 2 valore medio actigrafia 2
valore medio actigrafia 3 valore medio actigrafia 3
valore medio actigrafia 4 valore medio actigrafia 4
attività fisica - attività fisica
post
ruolo e salute fisica ruolo e salute fisica post
dolore fisico - dolore
fisico post
salute in generale - salute
in generale post
vitalità - vitalità post
attività sociali - attività
sociali post
salute mentale - salute
mentale post
95% Confidence
Interval of the
Difference
Lower
Upper
t
df
Sig. (2-tailed)
-11.66667
9.68246
3.22749
-19.10926
-4.22407
-3.615
8
.007
-12.27778
17.86601
5.95534
-26.01081
1.45526
-2.062
8
.073
-12.55556
12.65021
4.21674
-22.27937
-2.83174
-2.978
8
.018
Nel gruppo trattamento con igiene del sonno non si evidenziano, nel post
trattamento, significative variazioni sulle variabili oggettive mentre all’SF-36
aumentano i punteggi alle sottoscale relative al concetto di salute in generale,
al dolore fisico e alla percezione di vitalità e salute mentale.
B = igiene del sonno
3. È stato poi effettuato il T-Test sui due gruppi nel dopo trattamento al fine di
verificare se una delle due tecniche risultasse significativamente migliore
dell’altra.
58
Risultati A post vs B post
Independent Samples Test
Levene's Test for
Equality of Variances
F
valore medio actigrafia 1
valore medio actigrafia 2
valore medio actigrafia 3
valore medio actigrafia 4
attività fisica post
ruolo e salute fisica post
dolore fisico post
salute in generale post
vitalità post
attività sociali post
salute mentale post
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
Equal variances
assumed
Equal variances
not assumed
9.586
1.709
2.904
Sig.
.006
.208
.106
16.117
.001
4.096
.060
.173
.683
.478
.025
.483
.084
1.078
.499
.876
.497
.776
.315
t-test for Equality of Means
Sig. (2-tailed)
-3.109
18
.006
-60.400
19.429
-101.219
-19.581
-3.109
12.447
.009
-60.400
19.429
-102.564
-18.236
-.567
18
.578
-10.300
18.163
-48.458
27.858
-.567
13.436
.580
-10.300
18.163
-49.409
28.809
-2.411
18
.027
-7.800
3.235
-14.597
-1.003
-2.411
14.617
.030
-7.800
3.235
-14.711
-.889
3.812
18
.001
8.396
2.202
3.769
13.022
3.812
9.611
.004
8.396
2.202
3.462
13.329
.956
16
.353
6.11111
6.39492
-7.44552
19.66775
.956
10.157
.361
6.11111
6.39492
-8.10792
20.33014
.037
16
.971
.55556
15.13315
-31.52530
32.63641
.037
15.809
.971
.55556
15.13315
-31.55678
32.66789
.108
16
.916
1.11111
10.33393
-20.79584
23.01807
.108
15.864
.916
1.11111
10.33393
-20.81108
23.03330
.445
16
.662
3.33333
7.49485
-12.55505
19.22171
.445
15.983
.662
3.33333
7.49485
-12.55645
19.22312
1.478
16
.159
10.00000
6.76433
-4.33974
24.33974
1.478
15.821
.159
10.00000
6.76433
-4.35291
24.35291
.027
16
.978
.27778
10.13984
-21.21772
21.77328
.027
15.951
.978
.27778
10.13984
-21.22304
21.77860
-.547
16
.592
-4.55556
8.33130
-22.21711
13.10600
-.547
13.572
.593
-4.55556
8.33130
-22.47736
13.36625
t
df
Std. Error
Difference
95% Confidence
Interval of the
Difference
Lower
Upper
Mean
Difference
L’analisi dei dati evidenzia una efficienza di sonno migliore nel gruppo
sottoposto a restrizione di sonno e un maggior tempo trascorso a letto nel
gruppo sottoposto a igiene.
CORRELAZIONI
Successivamente è stata effettuata una correlazione tra la Sleep Efficiency (SE)
e le sottoscale di qualità di vita in condizioni basali al fine di valutare se esistono
fattori predittivi alla risposta sul miglioramento del sonno (Correlazione di
Pearson tra SE e variabili cliniche).
Di seguito i risultati significativi:
59
Variabile Dipendente: SE (sleep efficiency)
Variabile Indipendente: valore medio actigrafia 2 = TST
A un minor tempo trascorso a letto correla una maggiore efficienza di sonno
(↓TST ↑ SE, Sig .035)
60
Variabile dipendente: SE (sleep efficiency)
Variabile indipendente: valore medio actigrafia 3 = WASO
A una maggiora attività motoria in sonno correla una maggiore efficienza di
sonno (↑attività motoria ↑SE, Sig .000)
61
Variabile dipendente: SE (sleep efficiency)
Variabile indipendente: valore medio actigrafia 4 = SE
A una minor efficienza di sonno iniziale correla una maggior efficienza di sonno
finale(↓ SE ↑SE, Sig .000)
RIASSUMENDO
L’analisi dei dati ha permesso di evidenziare una efficacia significativamente
migliore della restrizione del sonno vs igiene valutate attraverso alcuni
parametri oggettivi (TST, WASO e SE).
Entrambi i trattamenti sono efficaci valutati attraverso alcuni parametri
soggettivi (“salute in generale” e “vitalità” sono comuni ad entrambi, “dolore
fisico” e “salute mentale” si presentano con punteggio più alto nel solo gruppo
dell’igiene del sonno).
Minor iniziale SE e TST e WASO più elevata possono essere predittivi di un
maggiore miglioramento in termini di efficienza di sonno nel post trattamento.
Nel gruppo sottoposto a restrizione di sonno è possibile evidenziare un alto
tasso di rifiuti al trattamento e di drop out. I pazienti sottoposti al trattamento
riferivano come maggiore difficoltà l’occupare il tempo serale che precedeva
62
l’orario in cui coricarsi e, in misura minore, la gestione dei risvegli mattutini
precoci associate alla stanchezza e alla sonnolenza diurna prevalenti nelle
prime due settimane. Inoltre, risultava controintuitivo per i pazienti che fosse
loro suggerito di trascorrere inizialmente meno tempo a letto quando la
contromisura più comune all’insonnia è il cercare di perpetuare il più possibile
le ore a letto nel tentativo di prendere sonno.
Parimenti, è stato possibile evidenziare un livello di rifiuti al prelievo ematico tale
da non consentire di effettuare alcuna operazione statistica sui pochi dati
raccolti.
63
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’elevata diffusione, l’impiego delle risorse sociosanitarie e l’impatto sulla
qualità della vita rendono l’insonnia “una malattia meritevole di primaria
attenzione” (Terzano et Al., 2005). Molto spesso essa risulta essere l’effetto della
mancata osservanza di quelle regole di una buona igiene del sonno, suggerita
anche solo dal buon senso comune. Si è dimostrato, infatti, come abitudini
scorrette possano con il tempo cronicizzare in un disturbo del sonno. Tuttavia,
grazie alla straordinaria capacità del nostro organismo di regolarsi in relazione
ai nostri cambiamenti comportamentali, è possibile ristabilire i propri ritmi
circadiani e conseguentemente una condizione fisiologica normale, spesso
alterata in una diagnosi di insonnia.
Il trattamento elettivo è solitamente quello farmacologico poiché tale disturbo
rientra in ambito medico e spesso le risorse sanitarie (tempo e personale) non
consentono un approccio psico-comportamentale. Inoltre, i pazienti stessi sono
ancora per lo più ancorati all’approccio farmacologico; sono rari coloro che
preferisco
e/o
richiedono
un
trattamento
psicoterapeutico.
I
farmaci
ipnoinducenti come le benzodiazepine risultano particolarmente utili per il
trattamento
dell’insonnia
acuta
o
a
breve
termine,
conseguente
a
cambiamenti ambientali o al “jet lag”, non sono invece consigliati per il
trattamento dell’insonnia cronica; tuttavia può esser indicato un breve ciclo di
farmaci durante l’intervento iniziale, al fine di spezzare il circolo della
mancanza di sonno e della sofferenza emotiva.
Negli anni è stata ampiamente dimostrata l’efficacia dei trattamenti non
farmacologici per la cura dell’insonnia sia primaria che secondaria. Tali
approcci sono inoltre indicati per le persone resistenti al trattamento
farmacologico e utili nel processo di sospensione dal farmaco nei casi di
dipendenza psico-fisiologica. Possono inoltre esser impiegati con ottimi risultati
in associazione al farmaco: è infatti piuttosto frequente nella pratica clinica
che i pazienti siano dapprima sottoposti a trattamento farmacologico da parte
dei medici e, successivamente, siano inviati a psicologi per una terapia
comportamentale (Morin e Espie, 2004). Tuttavia in questa situazione può
accadere che i farmaci indeboliscano gli sforzi del paziente per modificare i
pattern comportamentali mal adattivi e le cognizioni disfunzionali. Di
conseguenza, il fatto che il paziente attribuisca i benefici terapeutici iniziali al
64
solo farmaco, senza l’integrazione delle capacità di autogestione, può
ostacolare i risultati a lungo termine e rendere più difficoltoso il processo di
sospensione del farmaco. Pertanto, se il paziente è sottoposto a trattamento
combinato, è particolarmente importante assicurargli una certa assistenza, per
rendere i progressi conseguiti con la terapia, risultati da attribuire ai suoi sforzi e
ai cambiamenti del suo comportamento, oltre che all’azione del farmaco.
Il vantaggio dei trattamenti non farmacologici, che includono aspetti sia
educativi che riabilitativi, consta nel proposito di cambiare quelle convinzioni e
quegli atteggiamenti del paziente che, da soli o insieme ad alcune abitudini
comportamentali,
causano
e
perpetuano
i
fattori
multidimensionali
dell’insonnia.
Complessivamente i trattamenti non farmacologici prevedono quattro principi,
sui quali si fonda la loro efficacia:
1. Facilitano e migliorano il sonno curando i disturbi e le situazioni che
interferiscono con il sonno, come la deflessione timica, il dolore fisico,
l’iperarousal, gli eccessivi episodi di sonno diurno.
2. Insegnano all’individuo a dormire per mezzo di determinati meccanismi
di condizionamento.
3. Migliorano il sonno favorendo i meccanismi centrali di mantenimento e
induzione del sonno ed il ritmo sonno-veglia.
4. Mitigano le conseguenze dell’insonnia riducendo le preoccupazioni
eccessive correlate al sonno.
Tuttavia queste terapie non sono esenti da svantaggi: i progressi sono molto
difficoltosi da raggiungere e rispetto al trattamento farmacologico spesso
richiedono più tempo e maggiori accessi alle strutture ospedaliere o presso gli
specialisti che li hanno proposti. Il sostegno psicologico è sempre necessario
per incoraggiare e monitorare il paziente durante il trattamento. Come si è
visto per la restrizione del sonno, la presenza di un clinico può costituire un
riferimento molto importante per il paziente, che talvolta percepisce la terapia
troppo difficoltosa da affrontare, necessario a condurre fino alla risoluzione del
disturbo. Questo intervento richiede perciò delle risorse sanitarie ulteriori ma i
disagi sostenuti sembrano condurre a risultati più duraturi e risolutivi rispetto
all’uso di farmaci. In questo senso potrebbe esser utile un confronto tra costi e
65
benefici nel tempo e il rischio di ricadute delle terapie non farmacologiche
contro quelle farmacologiche.
Nel
nostro studio abbiamo evidenziato come alcuni trattamenti non
farmacologici dell’insonnia (restrizione e igiene del sonno) siano variamente
efficaci nel migliorare alcuni parametri legati al sonno. Mentre la restrizione
incrementava alcuni parametri quantitativi e qualitativi del sonno, l’igiene
migliorava solo parametri soggettivi ma in misura maggiore rispetto alla
restrizione.
Gli studi in Letteratura circa l’efficacia della restrizione e dell’igiene del sonno
sono controversi: una meta-analisi di Morin, Culbert e Schwartz del 1994 rileva
come la tecnica della restrizione del sonno abbia la più alta percentuale di
riduzione di WASO e SL rispetto alle altre tecniche non farmacologiche;
Friedman e colleghi nel 1999 non evidenziano una superiorità della restrizione
rispetto all’igiene mentre Spielman e collaboratori nel 1987 già dimostrarono
l’efficacia della restrizione del sonno in un gruppo di 35 soggetti.
I nostri risultati sembrano confermare un miglioramento della sensazione di
benessere soggettivo nei pazienti sottoposti a igiene rispetto all’altro gruppotrattamento, elemento rilevato anche in uno studio di Hoch e colleghi del 2001.
Egli evidenzia come, in soggetti sani che seguivano le regole di igiene del
sonno, ci fosse un maggior riferito benessere durante il giorno, rispetto ai
soggetti in restrizione dove, per contro, si rilevava una maggior continuità e
profondità del sonno. Ciò significa che, a fronte di un trattamento quale le
restrizione, che potrebbe migliorare oggettivamente la qualità e la quantità di
sonno, un trattamento di igiene del sonno potrebbe risultare migliore per i
pazienti data la loro miglior tolleranza alle semplici regole comportamentali e
alimentari rispetto alle rigide regole della restrizione; essi pertanto fanno seguire
alla implementazione delle prime, una migliore percezione della qualità di vita.
In aggiunta a ciò, in accordo con i dati in Letteratura, il nostro studio evidenzia
una correlazione tra condizioni iniziale del sonno e risposta al trattamento: una
minore SE e TST iniziali e una WASO più elevata possono essere predittivi di un
maggiore miglioramento in termini di efficienza di sonno.
Quasi tutti gli autori analizzati hanno anch’essi evidenziato una correlazione tra
peggiori condizioni di sonno iniziale e miglior beneficio al termine del
trattamento. Per citarne alcuni, Spielman (1987) segnala importante sonno
66
deteriorato pre trattamento e maggior miglioramento al follow up, Riedel
(2001) maggior TIB e WASO al baseline e maggior SE al post trattamento.
In conclusione possiamo affermare che entrambe le tecniche sono efficaci nel
miglioramento del sonno: la restrizione parrebbe superiore nel migliorare i
parametri oggettivi del sonno mentre l’igiene incrementerebbe la sensazione
soggettiva di benessere.
È inoltre possibile affermare che peggiori sono le condizioni iniziali del soggetto,
maggiori sono le sue possibilità di miglioramento dopo i trattamenti.
Alcune considerazioni che impongono una certa cautela nell’interpretazione
dei dati.
Il modesto numero di pazienti reclutati non consente ampie generalizzazioni ed
elaborazioni statistiche diverse.
Inoltre, non è ancora concluso un follow up su tutti i pazienti. 5 (4 in restrizione e
1 in igiene del sonno) dei 20 pazienti che hanno concluso il trattamento,
contattati a distanza di 6 mesi riferiscono soggettivamente un mantenimento
del beneficio ottenuto ma non sono state effettuate registrazioni actigrafiche.
Infine, i dati riportati durante il trattamento sono basati su self-report da parte
dei pazienti con il rischio di sovra o sottostima delle condizioni riferite. Peraltro, a
nostra conoscenza, tutti gli studi in letteratura si sono appoggiati a self-report
dei pazienti anche perché una maggiore obiettività in questo ambito
probabilmente
coinciderebbe
con
una
maggiore
intrusività
e
con
un’alterazione del comportamento e delle abitudini tipiche del soggetto.
Nell’ottica dell’ampliamento del campione, sarebbe opportuno valutare
eventuali differenza emerse in sottogruppi di pazienti ovvero diverse risposte al
trattamento nelle differenti diagnosi all’interno del gruppo delle insonnie
primarie.
67
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RINGRAZIAMENTI
Questa sezione rischia di diventare un elenco di nomi senza significato. Non
credo riuscirei a nominare tutte le persone che mi hanno affiancato lungo
questo cammino, in questi anni. Compagni di studio e di ricerca, alleati nel
lavoro assistenziale quotidiano, tecnici, medici, specializzandi, infermieri, “capi”.
Non li elencherò tutti, anche se sono e restano i miei compagni di viaggio.
Ritengo doveroso però citare qualcuno.
Un ringraziamento particolare va ad Alessandro Cicolin, amico, professionista e
“capo” del Centro di Medicina del Sonno con il quale ho condiviso la nascita
del Centro e la sua crescita professionale ed umana e anche qualche sana
incomprensione risolta alla luce del buon senso e della voglia di lavorare
insieme.
Al prof. Roberto Mutani, per avermi chiesto, ormai 9 o più anni fa, di seguirlo
nella sua migrazione verso l’Ospedale Molinette e verso la nascita del Centro
del Sonno; ha permesso e favorito la mia formazione all’interno della struttura
da lui diretta.
Ringrazio il prof. Pasquale Montagna, coordinatore del Dottorato che mi ha
consentito di lavorare “a distanza” concedendomi libertà organizzativa e
scientifica pur sotto costante monitoraggio e supervisione e il dott. Giuseppe
Plazzi per il suo tutoraggio.
Grazie al personale del Centro, tutto. “I vecchi”, che hanno percorso strade
differenti, “i nuovi” che si sono da poco appassionati agli enigmi del sonno e lo
“zoccolo duro”, quelli che lavorano giorno dopo giorno, con dedizione e
professionalità tra le mille difficoltà organizzative, logistiche e burocratiche.
Non ultimi, ringrazio i pazienti, che hanno, di fatto, consentito la realizzazione di
questo lavoro, anche quelli che, per varie vicissitudini non hanno concluso il
loro percorso terapeutico.
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