Abc News
del 27.02.2012
Il caso del giorno
Il Caso del giorno
Il riporto delle perdite nelle fusioni o scissioni di società in consolidato
A cura di Alessandro Borghese
Nell’ipotesi di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, le perdite fiscali pregresse
realizzate dalla società incorporante possono essere utilizzate soltanto per compensare
eventuali redditi imponibili realizzati dalla stessa società risultante dalla fusione, senza la
possibilità di compensare tali risultati negativi con redditi imponibili propri delle altre
società che hanno optato per il regime del consolidato fiscale nazionale, ovvero
eserciteranno, successivamente, la relativa opzione (R.M. 9 aprile 2008, n. 139/E).
In altri termini, le perdite fiscali prodotte dall’incorporante, sia nei periodi d’imposta
precedenti
a quello
di
efficacia della fusione che nella frazione temporale di
retrodatazione, non possono essere incluse nel regime del consolidato nazionale, che
continua in capo alla società risultante dalla suddetta operazione straordinaria di aggregazione.
Quest’ultima potrà, pertanto, utilizzare le suddette perdite soltanto per compensare l’eventuale reddito
imponibile della stessa conseguito nell’esercizio di efficacia della fusione. Conseguentemente,
l’eventuale risultato negativo che dovesse emergere non potrà concorrere alla determinazione del
reddito complessivo del consolidato, rimanendo utilizzabile soltanto dalla società risultante dalla
fusione, in compensazione con i propri redditi imponibili dei successivi periodi d’imposta.
Alla luce dell’incompleto dettato normativo formulato dal D.P.R. n. 917/1986, l’Agenzia delle Entrate
ha ritenuto opportuno fornire alcuni chiarimenti in merito alla disciplina di limitazione della
riportabilità delle perdite maturate da società partecipanti ad operazioni di fusione o scissione,
nell’ambito del medesimo consolidato fiscale nazionale (C.M. 9 marzo 2010, n. 9/E). Le uniche
1
disposizioni utili a dirimere la fattispecie sono, infatti, contenute nell’art. 12, co. 1, lett. a)
e b), del D.M. 9 giugno 2004 (provvedimento attuativo dell’istituto del consolidato fiscale nazionale),
che stabilisce l’operatività delle limitazioni di cui agli art. 172, co. 7, e 173, co. 10, del Tuir.
Il medesimo Decreto, al precedente art. 11, prevede altresì che le operazioni straordinarie in esame
non determinano l’interruzione della tassazione di gruppo, la cui univocità e continuità è conferita dalla
consolidante, indipendentemente dalla sopravvenuta entrata ovvero fuoriuscita di altre società: con
l’effetto che la cessazione del regime si ha esclusivamente in caso di decadenza, anche in epoche
diverse, di tutte le opzioni esercitate.
Premesso ciò, in presenza di fusioni e scissioni che non interrompono l’imposizione di
gruppo, l’Amministrazione Finanziaria riconosce l’illimitata riportabilità delle perdite
maturate in pendenza del consolidato fiscale nazionale, escludendo, inoltre, l’operatività
dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in quanto non è configurabile una manovra elusiva,
diretta a conseguire la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali tra i soggetti
coinvolti.
Tali considerazioni devono ritenersi applicabili anche alle ipotesi di scissione (totale o
parziale) della consolidata senza modifica della compagine sociale rilevante ai fini della
tassazione di gruppo (art. 11, co. 4, del D.M. 9 giugno 2004, e R.M. 30 marzo 2007, n. 65/E),
ovvero di scissione parziale della consolidante che non modifica gli originari effetti
derivanti dall’esercizio dell’opzione: le perdite della scissa, già assegnate alla tassazione di gruppo,
non possono formare oggetto di trasferimento alla beneficiaria, e continuano ad essere utilizzate dalla
fiscal unit. Conseguentemente, le perdite realizzate nel corso del periodo di validità del
consolidato fiscale nazionale non sono soggette all’applicazione del c.d. test di vitalità
(ricavi e proventi caratteristici conseguiti e spese sostenute per prestazioni di lavoro subordinato,
superiori al 40,00% delle media dei due precedenti esercizi), né alla limitazione del patrimonio netto
risultante dall’ultimo bilancio – ovvero, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi
dell’art. 2501-quater c.c. – ridotto dei conferimenti e versamenti dei precedenti ventiquattro mesi.
Qualora dovesse emergere una perdita residua da consolidato, è ammesso il riporto a
nuovo, ed il corrispondente utilizzo in compensazione con redditi imponibili futuri, anche
se generati da imprese successivamente entrate a far parte della tassazione di gruppo.
L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate si fonda sul presupposto che, a seguito
dell’operazione di fusione e scissione, le società partecipanti non conseguono un beneficio
addizionale, in quanto trattasi di perdite prodotte da imprese appartenenti ad un gruppo fiscale, nel
corso del periodo di validità dell’opzione, e dunque già compensabili – automaticamente ed
integralmente – con i redditi imponibili realizzati da altri componenti del consolidato
nazionale, indipendentemente dal perfezionamento di operazioni di fusione e scissione.
Pertanto, fino a quando permane l’imposizione consolidata, non è sostenibile il mutamento
della libera utilizzazione delle perdite prodotte in costanza della tassazione di gruppo, per
effetto di un’operazione straordinaria, se questa non ha determinato l’interruzione del
2
regime opzionale.
Fermo restando il potere di sindacato dell’Amministrazione Finanziaria di cui
all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in presenza di fusioni e scissioni strumentalmente realizzate in
prossimità della cessazione del consolidato fiscale nazionale, ovvero da società successivamente uscite
dall’area della tassazione di gruppo.
Rimangono, invece, soggette all’ordinario regime di limitazione della riportabilità (artt. 172,
co. 7, e 173, co. 10, del Tuir) le perdite maturate in periodi d’imposta anteriori a quello di
ingresso nella tassazione di gruppo, ovvero conseguite da una società non inclusa nel
consolidato, come nel caso in cui la consolidata sia beneficiaria della scissione di una società non
appartenente alla fiscal unit. L’art. 118, co. 2, del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce, infatti, che tali perdite
possono essere utilizzate esclusivamente dalla società che le ha prodotte, in compensazione con i propri
redditi.
L’ABC News
Trasferimento
d’azienda: le
disposizioni nazionali,
seppure corrette dal DL
n. 1/2012, sono
illegittime per i
trasferimenti posti in
essere prima
dell’operatività delle
nuove disposizioni
A cura della redazione “La Lente sul Fisco”
A
fronte
della
possibile
promozione
di
una
procedura
d’infrazione nei confronti dell’Italia in relazione alla previsione del
realizzo automatico del presupposto d’imposta in caso di
trasferimento delle sede dell’azienda all’estero, il governo
tecnico, a pochi giorni da una pronuncia della Corte di Giustizia
Europea sull’argomento, ha introdotto con l’articolo 91 del DL
n. 1/2012 l’adeguamento dell’articolo 166 del TUIR ai principi
fondamentali dell’Unione Europea. Le modifiche apportate alla
previgente disciplina, però, lasciano spazio ad alcune ipotesi di
illegittimità.
Secondo quanto previsto dalla vecchia formulazione dell’articolo 166
TUIR il trasferimento all’estero dell’azienda – che comporti la
perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi –
costituisce realizzo al valore normale (articolo 9 TUIR) dei
componendi
dell’azienda o
del
complesso
aziendale di
proprietà del soggetto trasferito non confluiti in una stabile
organizzazione in Italia.
La
“presunta”
illegittimità
delle
disposizioni
concernenti
il
trasferimento d’azienda all’estero contenute nell’articolo 166 TUIR, di
fatto, è stata confermata dalla pronuncia della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea rilasciata nella causa C-371/10 National
Grid Indus BV il giorno 29.11.2011. Con la citata pronuncia,
riassuntivamente, i Giudici della Corte Europea hanno sancito i
3
seguenti principi:
 l'imposizione di una exit tax da parte dello Stato di
provenienza è legittima;
 tuttavia la riscossione dell'imposta deve essere differita
al momento in cui la società emigrata realizzerà o non
realizzerà la plusvalenza (questo momento, in particolare,
coincide con la "cessione" dell'elemento patrimoniale – o la sua
eliminazione dal processo produttivo – senza tener conto delle
forme di realizzo indiretto quali ammortamenti e svalutazioni);
 lo Stato di provenienza non è tenuto a computare in
diminuzione dall'imponibile le minusvalenze realizzate
(meglio, "maturate") successivamente al trasferimento;
 l'articolo 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 26 maggio 2008,
2008/55/Ce è sufficiente a consentire allo Stato membro
di provenienza di ottenere dalla competente autorità
dello Stato membro ospitante informazioni relative al
realizzo o al mancato realizzo degli elementi dell'attivo
di una società che abbia trasferito la propria sede
amministrativa effettiva in quest'ultimo Stato membro,
nei limiti in cui esse siano necessarie al fine di consentire allo
Stato membro di provenienza di riscuotere un credito fiscale
originato al momento di tale trasferimento di sede.
Alla luce della pronuncia dei Giudici dell’Unione del 29.11.2011
rilasciata nella causa C-371/10 il governo tecnico, con l’articolo 91
del DL n. 1/2012 ha previsto un’ipotesi di sospensione della
tassazione in caso di trasferimento d’azienda all’estero. Nel
dettaglio, l’articolo 91 del DL n. 1/2012 prevede l’introduzione a partire
dal 25.01.2012 del comma 2 quater e 2 quinques all’articolo
166 TUIR, i quali stabiliscono quanto segue:
 comma 2 quater: soggetti che trasferiscono la residenza, ai
fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all'Unione
europea ovvero in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio
economico europeo possono richiedere la sospensione
degli effetti del realizzo a partire dalle operazioni
effettuate dal 25.01.2012;
 comma 2 quinques: con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze sono individuati i particolari applicativi della
nuova disciplina.
Tale disposizione, evidenziamo, è contraria al principio statuito nella
causa C‑371/10, in quanto la nostra norma interna (art. 166 del
TUIR), per il passato, continua ad essere incompatibile con le
4
disposizioni comunitarie. Il giudice nazionale, quindi, dovrà
disapplicare la norma nazionale confliggente per i trasferimenti
antecedenti la data del 25.01.2012.
Il limite dei 1000 Euro
troverà applicazione
anche per le
prestazioni a sostegno
del reddito
Come già commentato su queste colonne, al fine di “favorire la
modernizzazione e l’efficienza degli strumenti di pagamento,
riducendo i costi finanziari e amministrativi derivanti dalla gestione del
denaro contante, il legislatore (art. 12, comma 2, del decreto-legge
6 dicembre 2011 n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214) ha previsto il divieto per le pubbliche
amministrazioni di effettuare pagamenti con denaro contante
per un importo superiore a 1.000 euro a partire dal 7 marzo
2012 (termine differito al 1° maggio per opera del DL sulle
semplificazioni fiscali). Ne consegue che,
per i pagamenti di
qualsiasi emolumento e a chiunque destinato di importo superiore a
1.000 euro netti, le Pubbliche Amministrazioni dovranno utilizzare
esclusivamente “strumenti di pagamento elettronici disponibili presso il
sistema bancario o postale, ivi comprese le carte di pagamento
prepagate e le carte di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,
n. 122”.
A tale proposito l’INPS (messaggio del 23 febbraio 2012), a
ridosso del termine del 7 marzo 2012, ha precisato che, la
normativa in commento troverà applicazione anche alle
prestazioni a sostegno del reddito che, come noto, sono
caratterizzate da elementi peculiari quali la temporaneità della durata
della prestazione stessa, nonché l’imprevedibilità dell’evento che
genera lo stesso pagamento. Pertanto, al fine di evitare che i legittimi
beneficiari possano subire ritardi o disguidi nella corresponsione delle
somme ad essi spettanti, soprattutto con riferimento ai pagamenti già
acquisiti dall’Istituto con la modalità del bonifico domiciliato per cassa
presso l’ufficio postale (come da scelta del richiedente), l’Istituto rende
noto che è stato raggiunto un accordo operativo con Poste
Italiane che si è impegnata a dar corso ai pagamenti
concomitanti con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni,
con le seguenti modalità:

se il beneficiario è già titolare di un rapporto di conto
corrente postale o libretto postale nominativo ordinario
o INPS Card, potrà richiedere, direttamente allo sportello, il
contestuale versamento dell’intero importo spettante sul
rapporto di conto in essere;
5

se il beneficiario non è titolare di alcun rapporto di
conto corrente o libretto postale nominativo ordinario
o INPS CARD, l’addetto allo sportello postale proporrà –
previa sottoscrizione di appositi moduli – sia l’apertura di un
libretto postale nominativo ordinario che la richiesta di
accreditamento della somma in pagamento. In tali casi:
qualora il beneficiario accetti una delle modalità per la
riscossione del bonifico prospettate da Poste Italiane, e
sottoscriva il modulo di richiesta di accredito, l’Ufficio Postale,
al quale è demandata la custodia dell’importo spettante al
beneficiario, procederà contestualmente all’accredito in suo
favore; qualora il beneficiario non aderisca ad alcuna delle
modalità di pagamento prospettate da Poste Italiane – reso
edotto della circostanza che l’Ufficio Postale non può disporre,
in altro modo, l’accredito dell’importo – Poste Italiane
provvederà
immediatamente
al riaccredito
attraverso
la
procedura in uso senza attendere i 40 giorni previsti in
convenzione. Conseguentemente, in tale ultima ipotesi, nel
caso in cui il beneficiario preferisca, per esempio, l’accredito su
c/c bancario o carta di pagamento bancaria, l’interessato dovrà
recarsi alla sede Inps competente per dare comunicazione
dell’IBAN. La Sede, una volta in possesso della nuova modalità
di pagamento in linea con la nuova disposizione di legge e del
riaccredito
del
pagamento
in
contanti
non
finalizzato,
provvederà alla remissione del pagamento. A tale proposito,
l’INPS fa presente che è disponibile la procedura “Gestione
Riaccrediti” che effettua la ri-emissione assegni per le
prestazioni di disoccupazione, mobilità e CIG pagamenti diretti.
Occorre in ogni caso acquisire le coordinate bancarie nella
domanda di prestazione. La procedura Gestione Riaccrediti in
ogni caso consente di variare le modalità di pagamento
qualora la domanda di prestazione non sia più modificabile
(domanda definita). Per le altre prestazioni potranno essere
utilizzate le funzionalità di gestione riaccrediti presenti nelle
relative procedure secondo le consuete modalità.
Con riguardo alla necessità che i diretti beneficiari delle prestazioni a
sostegno del reddito si presentino allo sportello postale, viene operata
una distinzione tra:

i pagamenti “sotto soglia 1.000 euro”, per i quali è
previsto che il Direttore della Sede possa autorizzare il
pagamento della prestazione a persona delegata dal legittimo
prenditore;
6

i pagamenti “sopra soglia 1.000 euro”, con riferimento ai
quali l’apertura del rapporto e l’accredito su libretto è possibile
solo se si presenta presso l’ufficio postale un soggetto in
possesso di procura notarile, generale o speciale, ovvero del
provvedimento del Giudice, in caso di minori, inabilitati,
interdetti e beneficiari di amministrazione di sostegno.
Ciò posto ed illustrate le varie modalità con cui si provvederà ad
informare direttamente gli interessati delle nuove modalità di
pagamento (invio di sms, telefonate da parte del Contact Center, invio
di apposite comunicazioni), l’INPS passa ad occuparsi dei pagamenti a
regime, cui si dovrà dare corso a fronte della presentazione di nuove
domande di prestazioni a sostegno del reddito, dopo il 7 marzo 2012 (
termine differito al 1° maggio ad opera del DL semplificazioni fiscali).
Al riguardo, si fa presente che è in corso l’aggiornamento di tutta la
modulistica (con l’integrazione, nel campo “modalità di pagamento”,
della voce “accredito sul conto corrente bancario o postale, libretto
postale, INPS Card o carte di pagamento dotate di IBAN”), nonché
l’adeguamento di tutte le procedure di gestione. La nuova modulistica,
non appena disponibile, sarà pubblicata sul sito www.inps.it, nella
sezione “Modulistica On Line”.
Piano di rateazione a La crisi che negli ultimi anni sta attanagliando il sistema economico
rate crescenti anche
per i nuovi tributi nazionale (e non solo) investe inevitabilmente anche un'ampia
iscritti a ruolo categoria di contribuenti che, incontrando sempre maggiori difficoltà
nell'ottemperare con regolarità agli obblighi fiscali, finisce, di
frequente, con l'essere destinataria di cartelle di pagamento cui segue
uno stato di morosità. Per venire in contro al contribuente che si
trova in una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, è
prevista la possibilità di poter richiedere all’ente della
riscossione, una rateazione di detti importi. Al riguardo, si
precisa che, la dilazione delle somme iscritte a ruolo rappresenta un
istituto “premiale” che permette, in presenza di determinati
presupposti, la ripartizione in rate delle somme richieste in pagamento.
Tuttavia, preso atto della perdurante congiuntura economica
sfavorevole e considerata, anche, la stretta creditizia che caratterizza
l’operatività dei soggetti economici, molti contribuenti si sono trovati in
difficoltà nell’onorare la rateazione dei ruoli ottenuta dall’ente
riscossore ( Equitalia).
A tale riguardo, il Legislatore (Manovra Monti, così detto decreto Salva
Italia) è intervenuto in sostegno di quei contribuenti in difficoltà ad
7
onorare il pagamento dei tributi iscritti a ruolo prevedendo:

la proroga della rateazione in corso ( art. 10 comma 13 bis dl
201/2011);

un nuovo piano di rateazione a rate variabili crescenti ( art. 10

la proroga della rateazione caratterizzate dalla decadenza ( art.
comma 13 bis dl 201/2011);
10 comma 13 ter dl 201/2011);
Il Decreto sulle semplificazioni fiscali approvato il 24 febbraio
introdurre la possibilità di chiedere la rateazione dei ruoli a
rata crescente, in tutti i casi e non solo nelle ipotesi di
richiesta di ulteriori differimenti ( art. 10 comma 13 bis dl
201/2011). Vale a dire che il contribuente che riceve una
cartella esattoriale potrà, quindi:

a seconda dell’entità del tributo iscritto a ruolo, chiedere la
formulazione di un piano di rateazione formato da un
numero massimo di 72 rate;

usufruire di un piano di rientro caratterizzato da rate
variabili crescenti per ciascun anno. Ciò permetterebbe,
al debitore in crisi di liquidità, di usufruire del differimento del
debito residuo
con una graduazione che tenga conto di
prospettive congiunturali e finanziarie migliori, con evidenti
benefici nella tesoreria dello stesso.
Tuttavia, in assenza di una richiesta specifica di riformulazione
del piano a rate crescenti, si applicheranno gli interessi con un
piano di ammortamento a scalare (rate costanti, in cui la quota
capitale cresce e la quota interessi decresce in relazione alla durata
della rateazione). A tale proposito si precisa che, gli algoritmi di calcolo
che determinano il numero di rate concedibili al contribuente
(determinabile anche utilizzando il sito internet dell'Agente della
riscossione) sono strettamente correlati all'entità del debito residuo ed
alla natura giuridica del debitore stesso.
L'Ace sbarca nel Nel modello Consolidato Nazionale e Mondiale 2012, tra le altre
consolidato nazionale e
mondiale novità, è stata aggiunta una sezione relativa all’ACE, ovvero
l’agevolazione riconosciuta per i soggetti IRES sugli aumenti
del patrimonio societario.
L’articolo 1 del DL n. 201/2011
convertito con modifiche con la legge n. 214/2011, infatti, ha previsto
l’introduzione, sin dal periodo d’imposta 2011, di un’agevolazione
per i soggetti IRES (anche se è prevista la definizione di una
agevolazione equivalente per il reddito d’impresa delle persone
8
fisiche), che consiste in una deduzione sul reddito di impresa
pari al tre per cento (fino al periodo di imposta in corso al 2013)
degli incrementi di capitale proprio. Tale agevolazione, come
noto, è molto simile alla Dual Income Tax del D.Lgs. n. 466/97: la
ratio di entrambi gli istituti, infatti, consiste nell’agevolare gli
incrementi patrimoniali e rendere “fiscalmente neutra” la
scelta di finanziamento (tra capitale e debito) da parte degli
operatori economici. In ogni caso le due agevolazioni, se
confrontate, presentano una notevole differenza:

la Dual Income Tax si limitava ad agevolare gli incrementi

l’ACE si calcola, ogni anno, su tutte le variazioni in
patrimoniali al patrimonio netto contabile della società;
aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente
alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre
2010.
L’ACE presenta il vantaggio di un calcolo progressivo nel tempo,
per cui non solo il rendimento nozionale dell’incremento del capitale
proprio genera ogni anno il risparmio (per i primi tre anni del 3%),
ma il risparmio si incrementa con la corresponsione di nuovo
capitale proprio. Ai fini ACE il capitale proprio di partenza per la
determinazione dell’incremento successivo è il dato del
bilancio al 31.12.2010, quindi in ogni successivo esercizio si
opererà il confronto sempre con il patrimonio netto 2010.
Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate 31
gennaio 2012, invece, è stato approvato il modello “Consolidato
nazionale e mondiale 2012” ai fini della dichiarazione dei soggetti
ammessi alla tassazione di gruppo di imprese controllate
residenti nonché dei soggetti ammessi alla determinazione
dell'unica base imponibile per il gruppo di imprese non
residenti.
Gli articoli da 117 a 142 del Tuir, prevedono, per il gruppo di
imprese:

la
determinazione
consolidante
di
in
un
capo
reddito
alla
società
complessivo
o
ente
globale
(consolidato nazionale);

di un'unica base imponibile (consolidato mondiale), su
opzione facoltativa delle società partecipanti.
Per quanto concerne, nel dettaglio, l’ACE, nel quadro NX è stata
introdotta la nuova sezione XII in cui dovranno essere indicati
9
i dati relativi all’agevolazione introdotto dal DL n. 201/2011.
Evidenziamo, inoltre, che l’eccedenza del rendimento nozionale
rispetto al reddito complessivo netto dichiarato nel periodo d'imposta
può essere computata in aumento dell'importo Ace deducibile
dal reddito dei periodi d'imposta successivi. Nella sezione in
esame deve essere indicato l'importo della deduzione ACE
trasferito da ciascuna società aderente al consolidato ai fini
della determinazione del reddito complessivo del gruppo, già
indicato nel quadro GN, rigo GN22 dell'Unico 2012 SC di ciascuna
società consolidata.
Le deduzioni esposte nella presente sezione devono essere riportate
nel quadro CN, rigo CN4, colonna 2.
Il Quadro MX,relativo al consolidato mondiale, nella sezione V, rigo
MX24, viene accolta la nuova deduzione Ace. Nel rigo si indica
l'importo della deduzione trasferito, che, successivamente, va
riportato nel quadro CN, rigo CN4, colonna 2.
Tra le altre novità contenute nel nuovo modello CNM ricordiamo,
brevemente le seguenti:

frontespizio. Nel rigo “tipo di dichiarazione” è stata aggiunta
una casella, che deve essere barrata dai soggetti che
presentano una dichiarazione integrativa al fine di modificare
la richiesta originaria di rimborso dell'eccedenza d'imposta
esclusivamente per la scelta della compensazione.

Quadro NF. Nella sezione I, è stata inserita la casella 4 da
utilizzare sia da parte della società o ente consolidante sia
dalle società consolidate. Le istruzioni precisano che la casella
va barrata nel caso di perdite realizzate nei primi tre periodi
d'imposta dalla data di costituzione;

Quadro NE. Il quadro riguarda i crediti d'imposta per redditi
prodotti
all'estero
con
riferimento
a
ciascun
soggetto
partecipante al consolidato.

Quadro CN. Come sono stati modificati i quadri NF e NX,
anche il presente quadro ha subito delle variazioni. In
sostanza, i righi CN3 e CN4, ora accolgono, rispettivamente, le
perdite computabili in misura limitata e piena e la deduzione
Ace.

Quadro CS. Completamente modificati i righi da CS1 a CS6,
dove si indicano le perdite non compensate o non utilizzate in
misura limitata o piena.
10
L’art. 19, commi 6 e ss. del DL 201/2011 convertito ha previsto che le
Attività scudate:
attività finanziarie rimpatriate ancora in regime di riservatezza a
proroga al 16 maggio
2012 seguito dell’adesione ad uno degli scudi fiscali approvati negli scorsi
anni sono soggette a un’imposta di bollo speciale annuale pari:
 all’1% per il 2012;
 all’1,35% per il 2013;
 allo 0,4% per gli anni successivi.
Inoltre, per il solo anno 2012, è stata istituita anche un’imposta
straordinaria dell’1% per le attività finanziarie oggetto di emersione
che, alla data del 6 dicembre 2011, sono state in tutto o in parte
prelevate dal rapporto di deposito, amministrazione o gestione acceso
per effetto della procedura di emersione ovvero, comunque dismesse.
L’imposta di bollo speciale è determinata con riferimento al valore
delle attività ancora segretate al 31 dicembre dell’anno precedente.
Per il solo versamento relativo al periodo d’imposta 2011, tuttavia, il
valore delle attività segretate è quello al 6 dicembre 2011.
L’imposta è calcolata sull’ammontare delle somme e sul valore di
mercato delle attività finanziarie alla data di riferimento e, in
mancanza del valore di mercato, sulla base del valore nominale ovvero
quello di rimborso di tali attività.
L’imposta è determinata al netto dell’eventuale imposta di bollo
proporzionale pagata ai sensi del comma 2-ter dell’art. 13 della Tariffa,
parte prima, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642, e successive
modificazioni.
Con riferimento al nuovo bollo sulle attività finanziarie scudate, gli
intermediari finanziari avrebbero dovuto:

trattenere l'imposta dalle attività rimpatriate, ovvero ricevono

effettuare il relativo versamento, secondo le disposizioni
provvista dallo stesso contribuente;
contenute nel DLgs. 241/97. entro il 16 febbraio di ciascun
anno con riferimento al valore delle attività segretate al 31
dicembre dell'anno precedente.
Come già commentato su queste colonne, con un comunicato stampa
diffuso nella sera del 15.2.2012, il Ministero dell'Economia e delle
finanze aveva reso nota la proroga del termine per il versamento delle
nuove imposte (di bollo annuale e straordinaria) sulle attività
finanziarie rimpatriate e ancora segretate in applicazione delle diverse
edizioni dello scudo fiscale. Nel medesimo provvedimento, il MEF
11
annunciava che la proroga del termine del 16 febbraio sarebbe stata
accompagnata da una "clausola di salvaguardia" a tutela:

dei contribuenti che, comunque, non avrebbero versato entro
l’originaria scadenza;

dei contribuenti che hanno ugualmente pagato, ma hanno
errato i conteggi.
Tuttavia, sulla nuova scadenza, in definitiva, il comunicato non aveva
scoperto le carte sebbene, l'intenzione dell'amministrazione poteva
sembrare quella di un differimento tecnico. Notizia dell’ultimissima ora,
in base al DDL sulle semplificazioni fiscali è stabilita la
proroga al 16 maggio per il pagamento delle predette imposte
per chi, appunto, ha aderito allo scudo fiscale.
Formazione continua: Con l’informativa n. 19 il Consiglio Nazionale dei Dottori
aperta la consultazione Commercialisti ed Esperti Contabili ha annunciato l’apertura di
sulla revisione dei
una consultazione su un documento di bozza che segna la
regolamenti
riforma della formazione continua obbligatoria. Con il
documento pubblicato dal CNDCEC, in buona sostanza, il Consiglio
Nazionale ha dettato la linea delle riforma che andranno a
investire il regolamento sulla FPC e le linee guida per la
redazione del regolamento FPC degli Ordini Territoriali. La
consultazione, secondo quanto annunciato dal CNDCEC si concluderà
il prossimo 31.07.2012 e gli interessati potranno inviare i
propri contributi attraverso il sito www.commercialisti.it e la
casella
di
posta
elettronica
[email protected].
Con il documento in commento, il CNDCEC stabilisce che la
formazione professionale continua si realizza mediante le
seguenti attività formative:

partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari,
corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività
di formazione a distanza, inclusi nei programmi formativi degli
Ordini territoriali di cui all'art. 29, co. 1, lett. m), del d.lgs.
139/2005;

svolgimento di altre attività formative particolari, individuate
dal Regolamento per la formazione professionale continua
degli Ordini territoriali;

partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari,
corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività
di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio
12
Nazionale, realizzati in Italia o all'estero dagli organismi
internazionali ai quali lo stesso aderisce ovvero dagli organismi
rappresentativi della professione in altri Paesi, con i quali il
Consiglio Nazionale intrattiene rapporti;

partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari,
corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività
di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio
Nazionale, organizzati da soggetti italiani al di fuori dei confini
o oltre il limite delle acque territoriali della Repubblica italiana;

partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari,
corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività
di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio
Nazionale, organizzati da autorità amministrazioni centrali dello
Stato in collaborazione con il Consiglio Nazionale, ovunque si
svolgano nel territorio nazionale;

partecipazione
ad
attività
di
studio
ed
aggiornamento
autocertificabili, da svolgersi attraverso la partecipazione ad
eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed
eventi similari, anche attraverso attività di formazione a
distanza e strumenti multimediali.
Il CNDCEC, inoltre, precisa che il periodo di formazione:

è triennale;

i trienni sono fissi a decorrere dal 1° gennaio 2008 e
ciascun anno formativo comincia il 1° gennaio e
termina il 31 dicembre.
Per l’assolvimento dell’obbligo, in ciascun triennio vanno acquisiti
120 crediti formativi (CFP), di cui 90 mediante attività
verificabili
e
i
rimanenti
con
attività
di
studio
e
aggiornamento autocertificabili, con un minimo di 20 per anno,
di cui 3 aventi derivanti da attività relative a ordinamento,
deontologia,
tariffe
e
organizzazione
dello
studio
professionale. Inoltre, tramite le attività di formazione a distanza che
utilizzano tecnologie d’identificazione biometrica, gli iscritti possono
acquisire crediti senza limiti; senza tali tecnologie d’identificazione,
non si possono superare i 10 crediti annuali.
Per i nuovi iscritti, chi passa dall’Elenco speciale all’Albo e chi
cessa
dalla
professionale,
condizione
l’obbligo
di
non
formativo
esercente
l’attività
decorre
dall’anno
successivo a quello d’iscrizione, passaggio o cessazione.
13
La tassa annuale per la numerazione e bollatura dei libri e registri
Entro il 16 marzo 2012
sociali di cui all'art. 23, nota 3, Tariffa, D.P.R. 26.10.1972, n. 641
versamento della tassa
annuale per la (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative) concerne le
vidimazione dei libri società di capitali e deve essere versata entro il 16 marzo 2012.
sociali
I SOGGETTI
Chi deve versare la tassa annuale Chi NON deve versare la tassa
di vidimazione dei libri sociali annuale di vidimazione dei libri
2012
sociali 2012
 S.p.a.;
 società cooperative e di mutua
 S.r.l.;
assicurazione;
 S.a.p.a.;
 società di capitali dichiarate fallite;
 società consortili a responsabilità
limitata;
 aziende speciali e consorzi tra enti
territoriali ex L. 8.6.1990, n. 142;
 società in liquidazione ordinaria;
 società sottoposte a procedure
concorsuali.
Sul punto, si precisa che, la società che dopo aver effettuato il
versamento della tassa annuale trasferisce la propria sede sociale in
una circoscrizione territoriale di competenza di un altro ufficio
dell’Agenzia
delle
versamento;
Entrate è esonerata
il trasferimento,
infatti,
dall’effettuare
non impone
un altro
una
nuova
vidimazione dei libri sociali.
La tassa è dovuta in forma forfettaria, ossia fissa a prescindere
dal numero dei libri o registri e delle relative pagine utilizzati nel corso
dell'anno solare; si riferisce, quindi, a tutte le formalità di numerazione
e bollature effettuate nell’anno solare di riferimento, incluse quelle
poste in essere prima del pagamento della tassa in argomento. E’
deducibile ai fini Ires, e Irap.
Le modalità di versamento della tassa di concessione governativa si
differenziano per le società che si trovano nel primo anno di
attività, rispetto a quelle che si trovano in un anno di attività
successivo al primo.
I SOGGETTI
Società primo anno di attività
Società
anno
di
attività
successivo al primo
La tassa annuale deve essere
corrisposta:
 prima della presentazione della
dichiarazione di inizio attività
(Modello AA7/9);
 mediante bollettino di c/c postale
n. 6007, intestato all'Ufficio delle
Entrate- Centro Operativo di
La tassa annuale deve essere
versata:
 entro il 16 marzo 2012;
 in via telematica con il Mod. F24,
indicando nella Sezione "Erario" il
codice tributo 7085 - Tassa
annuale vidimazione libri sociali
14
Pescara
Le società che fanno richiesta di vidimazione successiva al 16.03.2012
sono obbligate ad esibire al Registro delle imprese o al notaio la
fotocopia del Mod. F24 che attesta l’avvenuto pagamento della tassa
annuale. Diversamente, se la richiesta viene fatta prima del
16.03.2012 la prova del pagamento non può essere fornita in quanto
non è ancora decorso il termine per effettuarlo (R.M. 20.11.2000, n.
170/E). Tuttavia, in tale ipotesi potrebbe essere richiesta la copia del
modello F.24 che attesta il pagamento della tassa annuale per il 2011.
La tassa annuale può essere compensata con eventuali crediti IRES o
IRAP o con un eventuale credito IVA risultante al 31.12.2011 mediante
compilazione dell’apposito modello F24 che deve essere presentato
anche nel caso in cui il saldo sia pari a zero.
I caso di omesso o tardivo versamento della tassa annuale sui libri e
registri sociali, si applica la sanzione amministrativa dal 100% al 200%
della stessa tassa, con un minimo di euro 103 (art. 9, D.P.R.
641/1972).
Plusvalenze derivanti
dalla cessione di una
pertinenza
dell’immobile: i
chiarimenti del
Notariato
Con lo studio CNN n. 45-2011/T
il Consiglio Nazionale del
Notariato ha fornito alcune precisazioni in relazione a particolari
ipotesi di cessione di immobili.
Secondo
quanto
previsto
dall’articolo 67 comma 1 del TUIR, infatti, sono redditi diversi se
non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono
conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese
commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita
semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente
le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di
beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni.
Sono esclusi dalla realizzazione di una plusvalenza gli immobili acquisiti
per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte
del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono
state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari,
nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a
titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo
gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione;
Ciò detto, con lo studio in commento, il CNN ha chiarito una
particolare ipotesi di applicazione dell’articolo 67 TUIR, consistente
nella cessione di uno scantinato pertinenziale.
15
Ci si è domandati se la cessione infraquinquennale di uno
scantinato pertinenziale, posta in essere disgiuntamente
dall’immobile
principale,
integri
o
meno
l’ipotesi
di
intassabilità di cui all’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir. Al
riguardo, il CNN evidenzia che l’art. 817, primo comma, del Codice
civile definisce pertinenze “le cose destinate in modo durevole a
servizio od ornamento di un’altra cosa”. Nella definizione menzionata,
il termine “pertinenza” sta ad indicare, pertanto, una relazione
durevole di utilità tra una cosa principale ed una cosa
secondaria (o accessoria); relazione che deriva dalla volontà del
proprietario (o dal titolare di altro diritto reale di godimento) della cosa
principale.
E’ richiesto evidentemente che il collegamento pertinenziale si
sostanzi in un rapporto di connessione che deve essere
necessariamente stabile e duraturo; con esclusione, quindi, di
ogni collegamento occasionale e temporaneo. Si segnala altresì
che il successivo art. 818, primo comma, del Codice civile dispone che
gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale si
estendono alla cosa accessoria, salvo che la legge non
disponga diversamente. Si sottolinea, inoltre, che ai sensi dell’art.
10, comma 3-bis del Tuir costituiscono pertinenze le cose
immobili di cui all’art. 817 del Codice civile, classificate o
classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo,
destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole al
servizio
delle
unità
immobiliari
adibite
ad
abitazione
principale delle persone fisiche. Nell’intenzione di coordinare i
principi civilistici generali con le norme tributarie, si ribadisce che tra
le fattispecie escluse dall’imposizione sui redditi, l’art. 67,
comma 1, lettera b) del Tuir contempla la cessione onerosa
infraquinquennale di unità immobiliari urbane adibite ad
abitazione principale per la maggior parte del quinquennio
trascorso tra l’acquisto o costruzione e la rivendita delle
medesime. Considerato, tuttavia, che nel disposto di cui al citato art.
67 non è contenuta una definizione di “unità immobiliare urbana”, si
ritiene che, nell’ambito del Testo unico delle imposte sui
redditi, tale nozione possa essere validamente desunta dal
disposto di cui all’art. 36, il quale, dopo aver stabilito, al primo
comma, che il reddito dei fabbricati è costituito dal reddito
medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare
urbana, precisa, al secondo comma, che per “unità immobiliari
urbane” si intendono i fabbricati e le altre costruzioni stabili o le
loro porzioni suscettibili di reddito autonomo. Il secondo
16
periodo del medesimo comma chiarisce, inoltre, che si considerino
parti integranti dell’“unità immobiliare urbana” anche le
areeoccupate dalle costruzioni nonché le pertinenze. Si precisa
che queste ultime, secondo una larga interpretazione, sarebbero
costituite dagli accessori e dalle dipendenze della costruzione;
laddove per “dipendenze” occorre intendere quegli accessori
speciali che potrebbero anche avere una funzione propria se
non fossero puramente destinati al servizio dei fabbricati.
Riferendo le considerazioni svolte alla fattispecie in esame, si ritiene
che la circostanza per cui la cessione nel quinquennio dello
scantinato
pertinenziale
sia
posta
in
essere
non
contestualmente alla cessione immobile abitativo - così
rispondendo,
evidentemente,
a
ragioni
di
opportunità
per
il
proprietario (o titolare del diritto reale di godimento) - non possa
ritenersi inficiante del collegamento pertinenziale sussistente
tra i due beni fino al momento della cessione medesima.
Considerato inoltre che il vincolo pertinenziale deve essere
valutato in concreto – ossia in ragione dell’utilizzazione economica
del bene principale - ne consegue che, seppur il suo trasferimento
sia avvenuto separatamente dal bene di cui costituiva pertinenza, lo
scantinato del caso che ci occupa, in quanto “pertinenziale” e,
dunque, al servizio dell’immobile adibito ad abitazione
“principale” presumibilmente fino al momento della cessione, abbia,
sino a tale momento, contribuito a realizzare un’utilità ai fini
dell’uso (abitativo) del bene principale e che, pertanto, abbia
rappresentato,
fino
alla
sua
alienazione,
parte integrante
dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del
cedente o dei suoi familiari.
In ragione di quanto esposto, fermo restando che la durata del vincolo
pertinenziale debba necessariamente essersi protratta per la maggior
parte del periodo intercorso tra l’acquisto o costruzione e la cessione, il
CNN ritiene di escludere che la cessione infraquinquennale di
una pertinenza da ricomprendersi, come dianzi descritto, nella
nozione
di
principale”,
“unità
seppur
immobiliare
avvenuta
adibita
separatamente
ad
dal
abitazione
fabbricato
principale, determini plusvalenza tassabile ai sensi dell’art. 67,
comma 1, lettera b) del Tuir.
Sent. Cass. n. 29587 del 29.12.2011: l’accordo raggiunto
Pillole di mediante lo strumento conciliativo è impugnabile?
giurisprudenza
17
Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 29587
del 29.12.2011 l’accertamento con adesione, dal momento in
cui la definizione si è perfezionata con il versamento delle
somme dovute, esclude la possibilità, per il contribuente, di
proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, ha
versato in eccesso.
Sul punto, la sentenza ha ricordato che in base all’articolo 2, comma 3
(per le imposte sui redditi e l’Iva), e all’articolo 3, comma 4 (per le
altre
imposte
indirette,
come
l’Invim),
del
Dlgs
218/1997,
“l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad
impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio”
(fatto salvo, limitatamente alle imposte sui redditi e all’Iva, l’esercizio
dell’ulteriore azione accertatrice da parte dell’ufficio nelle ipotesi
indicate nel comma 4 dell’articolo 2).
Da tale disciplina normativa si ricava chiaramente che, da parte del
contribuente, il reddito definito con adesione non può successivamente
essere mai rimesso in discussione e non possono, quindi, essere
formulate istanze di rimborso afferenti l’annualità e/o l’imposta definita
(cfr Cassazione nn. 20732/2010 e 18962/2005). La ratio delle
disposizioni in esame deve, infatti, essere individuata, da una parte,
nel contemperamento dell’interesse pubblico, e dall’altra, di quello
privato a vedere definita e certa la propria posizione. L’accertamento
con adesione si connota, appunto, come istituto per la composizione
della pretesa accertata o accertabile dall’ufficio in contraddittorio con il
contribuente, funzionale alla certezza della situazione giuridica – di per
sé incerta – attraverso il reciproco riconoscimento della nuova
determinazione reddituale, eseguita dall’ufficio finanziario. Sicché, in
ultima analisi, quando il contribuente adempie con il pagamento, non
è permesso un ripensamento su quanto versato, dovendosi ritenere
erroneo il contrario convincimento al riguardo manifestato dal giudice
di appello nella sentenza gravata. Tanto più che il ricorso non poteva
essere proposto (articolo 3, comma 4, Dlgs 218/1997), neppure
indirettamente con l’artifizio della contestazione sul mancato rimborso,
e, se proposto, doveva essere dichiarato inammissibile (articolo 27,
Dlgs 546/1992).
------------§----------Ord. Cass. n. 1972 del 10.02.2012: è valida la rettifica operata
dall’ufficio in caso di vendita di case sottocosto?
Secondo quanto stabilito dall’Ordinanza della Cassazione n. 1972 del
10.02.2012 è legittimo l’accertamento induttivo in materia di
Iva avente a oggetto la contestazione di operazioni di natura
18
immobiliare
sulla
base
dell’incongruenza
tra
i
ricavi
contabilizzati e quelli ritraibili dalle effettive condizione di
esercizio della specifica attività, in presenza di elementi
presuntivi che, se considerati nel loro complesso, appaiono
idonei a sostenere la pretesa tributaria.
Con l’ordinanza in commento, i giudici di Cassazione hanno dichiarato
inammissibile il ricorso del contribuente, reo di aver venduto
degli immobili per un valore ben al di sotto del prezzo di mercato,
considerando, altresì, la presenza di ulteriori elementi gravi e
concordanti tali da legittimare l’utilizzo da parte dell’ufficio accertatore
del metodo induttivo previsto all’articolo 39, comma 1, lettera d), del
Dpr 600/1973 (ai fini delle imposte dirette) e all’articolo 54 del Dpr
633/1972 (ai fini dell’imposta sul valore aggiunto). Nella motivazione,
la Suprema corte ripercorre l’operato dei giudici di merito osservando
che il contribuente, in entrambi i gradi di giudizio, non aveva
contestato l’applicazione o l’interpretazione di norme di legge, bensì la
valutazione degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria circa
l’affermata inattendibilità dei corrispettivi risultanti dagli atti di vendita,
ossia “il forte scostamento rispetto alle risultanze dell’Osservatorio del
Mercato Immobiliare, l’esiguità dell’utile contabile dell’intera
operazione … rispetto ai rilevanti costi contabilizzati …, la ricostruzione
comparativa degli importi mutuati dai compratori rispetto ai costi finali
d’acquisto (comprensivi di oneri fiscali, notarili, di mediazione, etc)”.
Considerati gli elementi di fatto, certamente non contestabili dal
contribuente, i giudici di legittimità hanno convalidato l’operato della
Ctr sul presupposto che è valido l’operato dell’ufficio che procede alla
rettifica
della
dichiarazione
qualora
“vi
siano
condotte
non
economicamente giustificate quali l’antieconomicità di comportamenti
imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo (cfr.
Cass. n. 26635/08) e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza
(Cass. n. 13915/09, Cass. n. 26635/08, n. 10649/01)”. Pertanto, è
legittima la rettifica dei ricavi contabilizzati e dichiarati dal contribuente
qualora questi non dimostri in maniera ragionevole lo scostamento tra
tali valori e quelli desumibili dalla banca dati dell’Osservatorio del
mercato immobiliare (Omi), che costituisce una rilevante e attendibile
fonte d’informazioni relative al mercato immobiliare nazionale, il tutto
in presenza d’incongruenze intrinseche (prezzi/mq) ed estrinseche
(mutui).
------------§----------Sent. Cass. n. 4956 del 08.02.2012: per l’applicazione della
misura cautelare è necessario verificare che il profitto del
reato sia confluito effettivamente nella disponibilità della
19
persona indagata?
Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 4956 del
08.02.2012 è legittima la confisca per equivalente sui beni
dell’imprenditore, anche cointestati, per un ammontare pari
all’Iva evasa dalla società. La vicenda riguarda un imprenditore
indagato per il reato di omesso versamento dell’Iva di cui all’articolo
10-ter del Dlgs 74/2000, al quale erano stati prima sequestrati e poi
confiscati libretti di risparmio, titoli, azioni, fondi, beni mobili e
immobili, anche cointestati con la società di cui era responsabile, per
un importo pari all’imposta non versata all’erario. In prima istanza, il
giudice aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo, ma la
successiva impugnazione è stata accolta dal tribunale del riesame che
ha disposto l’adozione della misura cautelare, motivando che il profitto
del reato era rappresentato dall’ammontare dell’Iva evasa, per cui,
non potendosi procedere al sequestro in forma specifica, occorreva
procedere al sequestro di beni di valore corrispondente all’imposta che
erano nella sua disponibilità, compresi quelli della società di cui era
rappresentante legale. L’ordinanza è stata impugnata in Cassazione. Il
ricorrente denuncia violazione degli articoli 321 del codice di procedura
civile e 240 del codice penale, sia per mancanza del presupposto per
procedere al sequestro finalizzato alla confisca “diretta” sia per
inosservanza del principio in base al quale il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente non può essere mai superiore
al profitto derivato dal reato.
La
Cassazione
ha
respinto
il
ricorso
del
contribuente,
nella
considerazione che l’ordinanza impugnata è scevra da qualsivoglia
vizio procedimentale o motivazionale. In tal modo, nel confermare la
misura sui beni dell’imprenditore intestati e cointestati, ad avviso della
Cassazione, nei casi in cui il profitto consiste nel denaro (come
nell’evasione dell’Iva), appare difficile sostenere di subordinare
l’operatività del sequestro alla verifica che il profitto del reato sia
confluito effettivamente nella disponibilità dell’indagato (Cassazione
32797/2002) proprio per la ragione che, trattandosi di sequestro per
equivalente, tale necessità deve ritenersi superata. In altri termini, nel
caso dell’articolo 322-ter del codice penale, la confisca per equivalente
non presuppone la dimostrazione del nesso pertinenziale tra reato e
somme confiscate (o sequestrate) e, inoltre, viene meno la necessità
di verificare, preliminarmente, se il bene sia entrato o meno nel
patrimonio dell’indagato per tentarne il recupero. Sono, infatti,
assoggettabili alla confisca beni nella disponibilità dell’indagato per un
valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato.
Il tribunale ha pienamente rispettato il principio della non eccedenza
20
della misura rispetto al profitto del reato, essendosi imposto la
valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del
profitto, come in sede di confisca (Cassazione, sentenze 2101/2009,
2110/2009, 41731/2010 e 1893/2012). Tale valutazione, infatti, che
può essere effettuata sulla base di criteri presuntivi che tengano conto
degli elementi emersi dalle indagini, suscettibili di ulteriore analisi in
sede di merito, non si sottrae al sindacato di legittimità per
contraddittorietà o manifesta illogicità: profili che non ricorrono nel
caso di specie.
------------§----------Ord. Cass. n. 4947 del 08.02.2012: l’acquisto della merce fa
nascere sempre il diritto alla deduzione dell’IVA?
Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 4947 del
08.02.2012 l’acquisto della merce non fa nascere il diritto alla
deduzione dell'Iva se, dalle carenze strutturali e commerciali
del fornitore, emerge che le operazioni sono inesistenti. Le
fatture emesse da società cartiere sono prive del valore riconosciuto ai
documenti regolari e di conseguenza non possono trovare valido
ingresso nella contabilità Iva. In tal caso, è legittimo il sequestro
preventivo anche se i pagamenti sono tracciabili. Nel caso in esame la
legale rappresentante di una Srl, indagata del reato di dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000), ha impugnato il decreto di
sequestro preventivo emesso dal Gip, per circa 372mila euro. La
donna, che si era avvalsa di fatture soggettivamente e oggettivamente
inesistenti nelle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2006 e 2007
al fine di evadere l’Iva e le imposte sui redditi, si è vista rigettare il
ricorso anche dal tribunale in sede di riesame e, poi, dalla Corte di
cassazione, nonostante la stessa imputata ritenesse di aver dimostrato
l’effettiva esistenza delle transazioni commerciali sia attraverso la
documentazione relativa ai pagamenti (tutti tracciabili, in quanto
effettuati a mezzo bonifico bancario o assegno non trasferibile) sia
mediante l’affermazione che le ditte fornitrici, che avevano emesso le
fatture, avevano poi regolarmente consegnato la merce. Tali
argomentazioni non hanno convinto i giudici di legittimità che,
confermando l’ordinanza del Tribunale, hanno affermato che “il
provvedimento impugnato può superare indenne il vaglio di legittimità
cui è stato sottoposto, avendo i giudici del riesame compiutamente
svolto il loro ruolo di garanzia in ossequio a quanto loro imposto dalla
legge”.
------------§-----------
21
Sent. Cass. n. 2419 del 20.02.2012: per l’esonero contributivo
dei rimborsi chilometrici basta una scheda mensile?
Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 2419 del
20.02.2012 l’onere probatorio del datore di lavoro che invoca
l’esclusione
dall’imponibile
contributivo
delle
erogazioni
corrisposte ai dipendenti a titolo di rimborsi chilometrici, è
assolto documentando tali somme con l’indicazione del mese
di riferimento, dei chilometri percorsi nel mese, del tipo di
automezzo usato dal dipendente e dell’importo corrisposto a
rimborso del costo chilometrico sulla base della tariffa ACI.
I giudici di legittimità fanno osservare che, nell’ambito dell’evoluzione
della disciplina della retribuzione imponibile ai fini contributivi, il
legislatore ha sempre previsto l’esclusione dei rimborsi spese se
documentati a “piè di lista“ ai sensi dell’art. 12 della L. n. 153/1969 e
documentati relativamente al vitto, all’alloggio, al viaggio e al
trasporto, a norma delle modifiche introdotte dal DLgs. n. 314/1997.
In questo quadro, secondo la Suprema Corte, non si evince in alcun
modo la volontà del legislatore di richiedere, ai fini di un’esclusione dei
rimborsi chilometrici dalla base imponibile e all’assolvimento dell’onere
probatorio del datore di lavoro, una documentazione estremamente
analitica e specifica recante, con esauriente scheda mensile per
ciascun dipendente, l’analitica indicazione dei viaggi giornalmente
compiuti, delle località di partenza e di destinazione, con specificazione
dei clienti visitati e riepilogo giornaliero dei chilometri percorsi. Quindi,
per la Corte di Cassazione, una sentenza di merito fondata su tali
specifici ed analitici adempimenti documentali non si è evidentemente
informata alle predette disposizioni che regolamentano la materia e
va, pertanto, cassata.
------------§----------Sent. Cass. n. 2496/2012:
quali sono gli elementi fondanti
per la verifica del rapporto di associazione?
Con sentenza n. 2496/2012, la Cassazione ha affermato che uno
degli elementi fondanti per la verifica della genuinità del
rapporto di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.)è la
partecipazione del soggetto anche alle perdite della società.
Altre indicazioni devono arrivare dal controllo della gestione d'impresa
da parte dell'associato e dal rendiconto periodico dell'associante. Nel
caso in questione, all'associato era riconosciuta una partecipazione agli
utili dell'impresa ma solo in cambio di una prestazione standardizzata,
22
nell'ambito della quale i presunti soci erano tenuti a rispettare gli orari
di apertura e chiusura dei negozi e la pulizia dei locali, il tutto sotto il
controllo dell'associante, che aveva l'insindacabile facoltà di non
rinnovare il contratto allo scadere prefissato.
Copyright©La Lente sul Fisco
23
Scarica

Il caso del giorno - La lente sul fisco