Abc News del 27.02.2012 Il caso del giorno Il Caso del giorno Il riporto delle perdite nelle fusioni o scissioni di società in consolidato A cura di Alessandro Borghese Nell’ipotesi di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, le perdite fiscali pregresse realizzate dalla società incorporante possono essere utilizzate soltanto per compensare eventuali redditi imponibili realizzati dalla stessa società risultante dalla fusione, senza la possibilità di compensare tali risultati negativi con redditi imponibili propri delle altre società che hanno optato per il regime del consolidato fiscale nazionale, ovvero eserciteranno, successivamente, la relativa opzione (R.M. 9 aprile 2008, n. 139/E). In altri termini, le perdite fiscali prodotte dall’incorporante, sia nei periodi d’imposta precedenti a quello di efficacia della fusione che nella frazione temporale di retrodatazione, non possono essere incluse nel regime del consolidato nazionale, che continua in capo alla società risultante dalla suddetta operazione straordinaria di aggregazione. Quest’ultima potrà, pertanto, utilizzare le suddette perdite soltanto per compensare l’eventuale reddito imponibile della stessa conseguito nell’esercizio di efficacia della fusione. Conseguentemente, l’eventuale risultato negativo che dovesse emergere non potrà concorrere alla determinazione del reddito complessivo del consolidato, rimanendo utilizzabile soltanto dalla società risultante dalla fusione, in compensazione con i propri redditi imponibili dei successivi periodi d’imposta. Alla luce dell’incompleto dettato normativo formulato dal D.P.R. n. 917/1986, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto opportuno fornire alcuni chiarimenti in merito alla disciplina di limitazione della riportabilità delle perdite maturate da società partecipanti ad operazioni di fusione o scissione, nell’ambito del medesimo consolidato fiscale nazionale (C.M. 9 marzo 2010, n. 9/E). Le uniche 1 disposizioni utili a dirimere la fattispecie sono, infatti, contenute nell’art. 12, co. 1, lett. a) e b), del D.M. 9 giugno 2004 (provvedimento attuativo dell’istituto del consolidato fiscale nazionale), che stabilisce l’operatività delle limitazioni di cui agli art. 172, co. 7, e 173, co. 10, del Tuir. Il medesimo Decreto, al precedente art. 11, prevede altresì che le operazioni straordinarie in esame non determinano l’interruzione della tassazione di gruppo, la cui univocità e continuità è conferita dalla consolidante, indipendentemente dalla sopravvenuta entrata ovvero fuoriuscita di altre società: con l’effetto che la cessazione del regime si ha esclusivamente in caso di decadenza, anche in epoche diverse, di tutte le opzioni esercitate. Premesso ciò, in presenza di fusioni e scissioni che non interrompono l’imposizione di gruppo, l’Amministrazione Finanziaria riconosce l’illimitata riportabilità delle perdite maturate in pendenza del consolidato fiscale nazionale, escludendo, inoltre, l’operatività dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in quanto non è configurabile una manovra elusiva, diretta a conseguire la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali tra i soggetti coinvolti. Tali considerazioni devono ritenersi applicabili anche alle ipotesi di scissione (totale o parziale) della consolidata senza modifica della compagine sociale rilevante ai fini della tassazione di gruppo (art. 11, co. 4, del D.M. 9 giugno 2004, e R.M. 30 marzo 2007, n. 65/E), ovvero di scissione parziale della consolidante che non modifica gli originari effetti derivanti dall’esercizio dell’opzione: le perdite della scissa, già assegnate alla tassazione di gruppo, non possono formare oggetto di trasferimento alla beneficiaria, e continuano ad essere utilizzate dalla fiscal unit. Conseguentemente, le perdite realizzate nel corso del periodo di validità del consolidato fiscale nazionale non sono soggette all’applicazione del c.d. test di vitalità (ricavi e proventi caratteristici conseguiti e spese sostenute per prestazioni di lavoro subordinato, superiori al 40,00% delle media dei due precedenti esercizi), né alla limitazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio – ovvero, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’art. 2501-quater c.c. – ridotto dei conferimenti e versamenti dei precedenti ventiquattro mesi. Qualora dovesse emergere una perdita residua da consolidato, è ammesso il riporto a nuovo, ed il corrispondente utilizzo in compensazione con redditi imponibili futuri, anche se generati da imprese successivamente entrate a far parte della tassazione di gruppo. L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate si fonda sul presupposto che, a seguito dell’operazione di fusione e scissione, le società partecipanti non conseguono un beneficio addizionale, in quanto trattasi di perdite prodotte da imprese appartenenti ad un gruppo fiscale, nel corso del periodo di validità dell’opzione, e dunque già compensabili – automaticamente ed integralmente – con i redditi imponibili realizzati da altri componenti del consolidato nazionale, indipendentemente dal perfezionamento di operazioni di fusione e scissione. Pertanto, fino a quando permane l’imposizione consolidata, non è sostenibile il mutamento della libera utilizzazione delle perdite prodotte in costanza della tassazione di gruppo, per effetto di un’operazione straordinaria, se questa non ha determinato l’interruzione del 2 regime opzionale. Fermo restando il potere di sindacato dell’Amministrazione Finanziaria di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in presenza di fusioni e scissioni strumentalmente realizzate in prossimità della cessazione del consolidato fiscale nazionale, ovvero da società successivamente uscite dall’area della tassazione di gruppo. Rimangono, invece, soggette all’ordinario regime di limitazione della riportabilità (artt. 172, co. 7, e 173, co. 10, del Tuir) le perdite maturate in periodi d’imposta anteriori a quello di ingresso nella tassazione di gruppo, ovvero conseguite da una società non inclusa nel consolidato, come nel caso in cui la consolidata sia beneficiaria della scissione di una società non appartenente alla fiscal unit. L’art. 118, co. 2, del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce, infatti, che tali perdite possono essere utilizzate esclusivamente dalla società che le ha prodotte, in compensazione con i propri redditi. L’ABC News Trasferimento d’azienda: le disposizioni nazionali, seppure corrette dal DL n. 1/2012, sono illegittime per i trasferimenti posti in essere prima dell’operatività delle nuove disposizioni A cura della redazione “La Lente sul Fisco” A fronte della possibile promozione di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia in relazione alla previsione del realizzo automatico del presupposto d’imposta in caso di trasferimento delle sede dell’azienda all’estero, il governo tecnico, a pochi giorni da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea sull’argomento, ha introdotto con l’articolo 91 del DL n. 1/2012 l’adeguamento dell’articolo 166 del TUIR ai principi fondamentali dell’Unione Europea. Le modifiche apportate alla previgente disciplina, però, lasciano spazio ad alcune ipotesi di illegittimità. Secondo quanto previsto dalla vecchia formulazione dell’articolo 166 TUIR il trasferimento all’estero dell’azienda – che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi – costituisce realizzo al valore normale (articolo 9 TUIR) dei componendi dell’azienda o del complesso aziendale di proprietà del soggetto trasferito non confluiti in una stabile organizzazione in Italia. La “presunta” illegittimità delle disposizioni concernenti il trasferimento d’azienda all’estero contenute nell’articolo 166 TUIR, di fatto, è stata confermata dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rilasciata nella causa C-371/10 National Grid Indus BV il giorno 29.11.2011. Con la citata pronuncia, riassuntivamente, i Giudici della Corte Europea hanno sancito i 3 seguenti principi: l'imposizione di una exit tax da parte dello Stato di provenienza è legittima; tuttavia la riscossione dell'imposta deve essere differita al momento in cui la società emigrata realizzerà o non realizzerà la plusvalenza (questo momento, in particolare, coincide con la "cessione" dell'elemento patrimoniale – o la sua eliminazione dal processo produttivo – senza tener conto delle forme di realizzo indiretto quali ammortamenti e svalutazioni); lo Stato di provenienza non è tenuto a computare in diminuzione dall'imponibile le minusvalenze realizzate (meglio, "maturate") successivamente al trasferimento; l'articolo 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 26 maggio 2008, 2008/55/Ce è sufficiente a consentire allo Stato membro di provenienza di ottenere dalla competente autorità dello Stato membro ospitante informazioni relative al realizzo o al mancato realizzo degli elementi dell'attivo di una società che abbia trasferito la propria sede amministrativa effettiva in quest'ultimo Stato membro, nei limiti in cui esse siano necessarie al fine di consentire allo Stato membro di provenienza di riscuotere un credito fiscale originato al momento di tale trasferimento di sede. Alla luce della pronuncia dei Giudici dell’Unione del 29.11.2011 rilasciata nella causa C-371/10 il governo tecnico, con l’articolo 91 del DL n. 1/2012 ha previsto un’ipotesi di sospensione della tassazione in caso di trasferimento d’azienda all’estero. Nel dettaglio, l’articolo 91 del DL n. 1/2012 prevede l’introduzione a partire dal 25.01.2012 del comma 2 quater e 2 quinques all’articolo 166 TUIR, i quali stabiliscono quanto segue: comma 2 quater: soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all'Unione europea ovvero in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo a partire dalle operazioni effettuate dal 25.01.2012; comma 2 quinques: con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono individuati i particolari applicativi della nuova disciplina. Tale disposizione, evidenziamo, è contraria al principio statuito nella causa C‑371/10, in quanto la nostra norma interna (art. 166 del TUIR), per il passato, continua ad essere incompatibile con le 4 disposizioni comunitarie. Il giudice nazionale, quindi, dovrà disapplicare la norma nazionale confliggente per i trasferimenti antecedenti la data del 25.01.2012. Il limite dei 1000 Euro troverà applicazione anche per le prestazioni a sostegno del reddito Come già commentato su queste colonne, al fine di “favorire la modernizzazione e l’efficienza degli strumenti di pagamento, riducendo i costi finanziari e amministrativi derivanti dalla gestione del denaro contante, il legislatore (art. 12, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha previsto il divieto per le pubbliche amministrazioni di effettuare pagamenti con denaro contante per un importo superiore a 1.000 euro a partire dal 7 marzo 2012 (termine differito al 1° maggio per opera del DL sulle semplificazioni fiscali). Ne consegue che, per i pagamenti di qualsiasi emolumento e a chiunque destinato di importo superiore a 1.000 euro netti, le Pubbliche Amministrazioni dovranno utilizzare esclusivamente “strumenti di pagamento elettronici disponibili presso il sistema bancario o postale, ivi comprese le carte di pagamento prepagate e le carte di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. A tale proposito l’INPS (messaggio del 23 febbraio 2012), a ridosso del termine del 7 marzo 2012, ha precisato che, la normativa in commento troverà applicazione anche alle prestazioni a sostegno del reddito che, come noto, sono caratterizzate da elementi peculiari quali la temporaneità della durata della prestazione stessa, nonché l’imprevedibilità dell’evento che genera lo stesso pagamento. Pertanto, al fine di evitare che i legittimi beneficiari possano subire ritardi o disguidi nella corresponsione delle somme ad essi spettanti, soprattutto con riferimento ai pagamenti già acquisiti dall’Istituto con la modalità del bonifico domiciliato per cassa presso l’ufficio postale (come da scelta del richiedente), l’Istituto rende noto che è stato raggiunto un accordo operativo con Poste Italiane che si è impegnata a dar corso ai pagamenti concomitanti con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, con le seguenti modalità: se il beneficiario è già titolare di un rapporto di conto corrente postale o libretto postale nominativo ordinario o INPS Card, potrà richiedere, direttamente allo sportello, il contestuale versamento dell’intero importo spettante sul rapporto di conto in essere; 5 se il beneficiario non è titolare di alcun rapporto di conto corrente o libretto postale nominativo ordinario o INPS CARD, l’addetto allo sportello postale proporrà – previa sottoscrizione di appositi moduli – sia l’apertura di un libretto postale nominativo ordinario che la richiesta di accreditamento della somma in pagamento. In tali casi: qualora il beneficiario accetti una delle modalità per la riscossione del bonifico prospettate da Poste Italiane, e sottoscriva il modulo di richiesta di accredito, l’Ufficio Postale, al quale è demandata la custodia dell’importo spettante al beneficiario, procederà contestualmente all’accredito in suo favore; qualora il beneficiario non aderisca ad alcuna delle modalità di pagamento prospettate da Poste Italiane – reso edotto della circostanza che l’Ufficio Postale non può disporre, in altro modo, l’accredito dell’importo – Poste Italiane provvederà immediatamente al riaccredito attraverso la procedura in uso senza attendere i 40 giorni previsti in convenzione. Conseguentemente, in tale ultima ipotesi, nel caso in cui il beneficiario preferisca, per esempio, l’accredito su c/c bancario o carta di pagamento bancaria, l’interessato dovrà recarsi alla sede Inps competente per dare comunicazione dell’IBAN. La Sede, una volta in possesso della nuova modalità di pagamento in linea con la nuova disposizione di legge e del riaccredito del pagamento in contanti non finalizzato, provvederà alla remissione del pagamento. A tale proposito, l’INPS fa presente che è disponibile la procedura “Gestione Riaccrediti” che effettua la ri-emissione assegni per le prestazioni di disoccupazione, mobilità e CIG pagamenti diretti. Occorre in ogni caso acquisire le coordinate bancarie nella domanda di prestazione. La procedura Gestione Riaccrediti in ogni caso consente di variare le modalità di pagamento qualora la domanda di prestazione non sia più modificabile (domanda definita). Per le altre prestazioni potranno essere utilizzate le funzionalità di gestione riaccrediti presenti nelle relative procedure secondo le consuete modalità. Con riguardo alla necessità che i diretti beneficiari delle prestazioni a sostegno del reddito si presentino allo sportello postale, viene operata una distinzione tra: i pagamenti “sotto soglia 1.000 euro”, per i quali è previsto che il Direttore della Sede possa autorizzare il pagamento della prestazione a persona delegata dal legittimo prenditore; 6 i pagamenti “sopra soglia 1.000 euro”, con riferimento ai quali l’apertura del rapporto e l’accredito su libretto è possibile solo se si presenta presso l’ufficio postale un soggetto in possesso di procura notarile, generale o speciale, ovvero del provvedimento del Giudice, in caso di minori, inabilitati, interdetti e beneficiari di amministrazione di sostegno. Ciò posto ed illustrate le varie modalità con cui si provvederà ad informare direttamente gli interessati delle nuove modalità di pagamento (invio di sms, telefonate da parte del Contact Center, invio di apposite comunicazioni), l’INPS passa ad occuparsi dei pagamenti a regime, cui si dovrà dare corso a fronte della presentazione di nuove domande di prestazioni a sostegno del reddito, dopo il 7 marzo 2012 ( termine differito al 1° maggio ad opera del DL semplificazioni fiscali). Al riguardo, si fa presente che è in corso l’aggiornamento di tutta la modulistica (con l’integrazione, nel campo “modalità di pagamento”, della voce “accredito sul conto corrente bancario o postale, libretto postale, INPS Card o carte di pagamento dotate di IBAN”), nonché l’adeguamento di tutte le procedure di gestione. La nuova modulistica, non appena disponibile, sarà pubblicata sul sito www.inps.it, nella sezione “Modulistica On Line”. Piano di rateazione a La crisi che negli ultimi anni sta attanagliando il sistema economico rate crescenti anche per i nuovi tributi nazionale (e non solo) investe inevitabilmente anche un'ampia iscritti a ruolo categoria di contribuenti che, incontrando sempre maggiori difficoltà nell'ottemperare con regolarità agli obblighi fiscali, finisce, di frequente, con l'essere destinataria di cartelle di pagamento cui segue uno stato di morosità. Per venire in contro al contribuente che si trova in una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, è prevista la possibilità di poter richiedere all’ente della riscossione, una rateazione di detti importi. Al riguardo, si precisa che, la dilazione delle somme iscritte a ruolo rappresenta un istituto “premiale” che permette, in presenza di determinati presupposti, la ripartizione in rate delle somme richieste in pagamento. Tuttavia, preso atto della perdurante congiuntura economica sfavorevole e considerata, anche, la stretta creditizia che caratterizza l’operatività dei soggetti economici, molti contribuenti si sono trovati in difficoltà nell’onorare la rateazione dei ruoli ottenuta dall’ente riscossore ( Equitalia). A tale riguardo, il Legislatore (Manovra Monti, così detto decreto Salva Italia) è intervenuto in sostegno di quei contribuenti in difficoltà ad 7 onorare il pagamento dei tributi iscritti a ruolo prevedendo: la proroga della rateazione in corso ( art. 10 comma 13 bis dl 201/2011); un nuovo piano di rateazione a rate variabili crescenti ( art. 10 la proroga della rateazione caratterizzate dalla decadenza ( art. comma 13 bis dl 201/2011); 10 comma 13 ter dl 201/2011); Il Decreto sulle semplificazioni fiscali approvato il 24 febbraio introdurre la possibilità di chiedere la rateazione dei ruoli a rata crescente, in tutti i casi e non solo nelle ipotesi di richiesta di ulteriori differimenti ( art. 10 comma 13 bis dl 201/2011). Vale a dire che il contribuente che riceve una cartella esattoriale potrà, quindi: a seconda dell’entità del tributo iscritto a ruolo, chiedere la formulazione di un piano di rateazione formato da un numero massimo di 72 rate; usufruire di un piano di rientro caratterizzato da rate variabili crescenti per ciascun anno. Ciò permetterebbe, al debitore in crisi di liquidità, di usufruire del differimento del debito residuo con una graduazione che tenga conto di prospettive congiunturali e finanziarie migliori, con evidenti benefici nella tesoreria dello stesso. Tuttavia, in assenza di una richiesta specifica di riformulazione del piano a rate crescenti, si applicheranno gli interessi con un piano di ammortamento a scalare (rate costanti, in cui la quota capitale cresce e la quota interessi decresce in relazione alla durata della rateazione). A tale proposito si precisa che, gli algoritmi di calcolo che determinano il numero di rate concedibili al contribuente (determinabile anche utilizzando il sito internet dell'Agente della riscossione) sono strettamente correlati all'entità del debito residuo ed alla natura giuridica del debitore stesso. L'Ace sbarca nel Nel modello Consolidato Nazionale e Mondiale 2012, tra le altre consolidato nazionale e mondiale novità, è stata aggiunta una sezione relativa all’ACE, ovvero l’agevolazione riconosciuta per i soggetti IRES sugli aumenti del patrimonio societario. L’articolo 1 del DL n. 201/2011 convertito con modifiche con la legge n. 214/2011, infatti, ha previsto l’introduzione, sin dal periodo d’imposta 2011, di un’agevolazione per i soggetti IRES (anche se è prevista la definizione di una agevolazione equivalente per il reddito d’impresa delle persone 8 fisiche), che consiste in una deduzione sul reddito di impresa pari al tre per cento (fino al periodo di imposta in corso al 2013) degli incrementi di capitale proprio. Tale agevolazione, come noto, è molto simile alla Dual Income Tax del D.Lgs. n. 466/97: la ratio di entrambi gli istituti, infatti, consiste nell’agevolare gli incrementi patrimoniali e rendere “fiscalmente neutra” la scelta di finanziamento (tra capitale e debito) da parte degli operatori economici. In ogni caso le due agevolazioni, se confrontate, presentano una notevole differenza: la Dual Income Tax si limitava ad agevolare gli incrementi l’ACE si calcola, ogni anno, su tutte le variazioni in patrimoniali al patrimonio netto contabile della società; aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. L’ACE presenta il vantaggio di un calcolo progressivo nel tempo, per cui non solo il rendimento nozionale dell’incremento del capitale proprio genera ogni anno il risparmio (per i primi tre anni del 3%), ma il risparmio si incrementa con la corresponsione di nuovo capitale proprio. Ai fini ACE il capitale proprio di partenza per la determinazione dell’incremento successivo è il dato del bilancio al 31.12.2010, quindi in ogni successivo esercizio si opererà il confronto sempre con il patrimonio netto 2010. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate 31 gennaio 2012, invece, è stato approvato il modello “Consolidato nazionale e mondiale 2012” ai fini della dichiarazione dei soggetti ammessi alla tassazione di gruppo di imprese controllate residenti nonché dei soggetti ammessi alla determinazione dell'unica base imponibile per il gruppo di imprese non residenti. Gli articoli da 117 a 142 del Tuir, prevedono, per il gruppo di imprese: la determinazione consolidante di in un capo reddito alla società complessivo o ente globale (consolidato nazionale); di un'unica base imponibile (consolidato mondiale), su opzione facoltativa delle società partecipanti. Per quanto concerne, nel dettaglio, l’ACE, nel quadro NX è stata introdotta la nuova sezione XII in cui dovranno essere indicati 9 i dati relativi all’agevolazione introdotto dal DL n. 201/2011. Evidenziamo, inoltre, che l’eccedenza del rendimento nozionale rispetto al reddito complessivo netto dichiarato nel periodo d'imposta può essere computata in aumento dell'importo Ace deducibile dal reddito dei periodi d'imposta successivi. Nella sezione in esame deve essere indicato l'importo della deduzione ACE trasferito da ciascuna società aderente al consolidato ai fini della determinazione del reddito complessivo del gruppo, già indicato nel quadro GN, rigo GN22 dell'Unico 2012 SC di ciascuna società consolidata. Le deduzioni esposte nella presente sezione devono essere riportate nel quadro CN, rigo CN4, colonna 2. Il Quadro MX,relativo al consolidato mondiale, nella sezione V, rigo MX24, viene accolta la nuova deduzione Ace. Nel rigo si indica l'importo della deduzione trasferito, che, successivamente, va riportato nel quadro CN, rigo CN4, colonna 2. Tra le altre novità contenute nel nuovo modello CNM ricordiamo, brevemente le seguenti: frontespizio. Nel rigo “tipo di dichiarazione” è stata aggiunta una casella, che deve essere barrata dai soggetti che presentano una dichiarazione integrativa al fine di modificare la richiesta originaria di rimborso dell'eccedenza d'imposta esclusivamente per la scelta della compensazione. Quadro NF. Nella sezione I, è stata inserita la casella 4 da utilizzare sia da parte della società o ente consolidante sia dalle società consolidate. Le istruzioni precisano che la casella va barrata nel caso di perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione; Quadro NE. Il quadro riguarda i crediti d'imposta per redditi prodotti all'estero con riferimento a ciascun soggetto partecipante al consolidato. Quadro CN. Come sono stati modificati i quadri NF e NX, anche il presente quadro ha subito delle variazioni. In sostanza, i righi CN3 e CN4, ora accolgono, rispettivamente, le perdite computabili in misura limitata e piena e la deduzione Ace. Quadro CS. Completamente modificati i righi da CS1 a CS6, dove si indicano le perdite non compensate o non utilizzate in misura limitata o piena. 10 L’art. 19, commi 6 e ss. del DL 201/2011 convertito ha previsto che le Attività scudate: attività finanziarie rimpatriate ancora in regime di riservatezza a proroga al 16 maggio 2012 seguito dell’adesione ad uno degli scudi fiscali approvati negli scorsi anni sono soggette a un’imposta di bollo speciale annuale pari: all’1% per il 2012; all’1,35% per il 2013; allo 0,4% per gli anni successivi. Inoltre, per il solo anno 2012, è stata istituita anche un’imposta straordinaria dell’1% per le attività finanziarie oggetto di emersione che, alla data del 6 dicembre 2011, sono state in tutto o in parte prelevate dal rapporto di deposito, amministrazione o gestione acceso per effetto della procedura di emersione ovvero, comunque dismesse. L’imposta di bollo speciale è determinata con riferimento al valore delle attività ancora segretate al 31 dicembre dell’anno precedente. Per il solo versamento relativo al periodo d’imposta 2011, tuttavia, il valore delle attività segretate è quello al 6 dicembre 2011. L’imposta è calcolata sull’ammontare delle somme e sul valore di mercato delle attività finanziarie alla data di riferimento e, in mancanza del valore di mercato, sulla base del valore nominale ovvero quello di rimborso di tali attività. L’imposta è determinata al netto dell’eventuale imposta di bollo proporzionale pagata ai sensi del comma 2-ter dell’art. 13 della Tariffa, parte prima, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642, e successive modificazioni. Con riferimento al nuovo bollo sulle attività finanziarie scudate, gli intermediari finanziari avrebbero dovuto: trattenere l'imposta dalle attività rimpatriate, ovvero ricevono effettuare il relativo versamento, secondo le disposizioni provvista dallo stesso contribuente; contenute nel DLgs. 241/97. entro il 16 febbraio di ciascun anno con riferimento al valore delle attività segretate al 31 dicembre dell'anno precedente. Come già commentato su queste colonne, con un comunicato stampa diffuso nella sera del 15.2.2012, il Ministero dell'Economia e delle finanze aveva reso nota la proroga del termine per il versamento delle nuove imposte (di bollo annuale e straordinaria) sulle attività finanziarie rimpatriate e ancora segretate in applicazione delle diverse edizioni dello scudo fiscale. Nel medesimo provvedimento, il MEF 11 annunciava che la proroga del termine del 16 febbraio sarebbe stata accompagnata da una "clausola di salvaguardia" a tutela: dei contribuenti che, comunque, non avrebbero versato entro l’originaria scadenza; dei contribuenti che hanno ugualmente pagato, ma hanno errato i conteggi. Tuttavia, sulla nuova scadenza, in definitiva, il comunicato non aveva scoperto le carte sebbene, l'intenzione dell'amministrazione poteva sembrare quella di un differimento tecnico. Notizia dell’ultimissima ora, in base al DDL sulle semplificazioni fiscali è stabilita la proroga al 16 maggio per il pagamento delle predette imposte per chi, appunto, ha aderito allo scudo fiscale. Formazione continua: Con l’informativa n. 19 il Consiglio Nazionale dei Dottori aperta la consultazione Commercialisti ed Esperti Contabili ha annunciato l’apertura di sulla revisione dei una consultazione su un documento di bozza che segna la regolamenti riforma della formazione continua obbligatoria. Con il documento pubblicato dal CNDCEC, in buona sostanza, il Consiglio Nazionale ha dettato la linea delle riforma che andranno a investire il regolamento sulla FPC e le linee guida per la redazione del regolamento FPC degli Ordini Territoriali. La consultazione, secondo quanto annunciato dal CNDCEC si concluderà il prossimo 31.07.2012 e gli interessati potranno inviare i propri contributi attraverso il sito www.commercialisti.it e la casella di posta elettronica [email protected]. Con il documento in commento, il CNDCEC stabilisce che la formazione professionale continua si realizza mediante le seguenti attività formative: partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività di formazione a distanza, inclusi nei programmi formativi degli Ordini territoriali di cui all'art. 29, co. 1, lett. m), del d.lgs. 139/2005; svolgimento di altre attività formative particolari, individuate dal Regolamento per la formazione professionale continua degli Ordini territoriali; partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio 12 Nazionale, realizzati in Italia o all'estero dagli organismi internazionali ai quali lo stesso aderisce ovvero dagli organismi rappresentativi della professione in altri Paesi, con i quali il Consiglio Nazionale intrattiene rapporti; partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio Nazionale, organizzati da soggetti italiani al di fuori dei confini o oltre il limite delle acque territoriali della Repubblica italiana; partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari nonché svolgimento di attività di formazione a distanza, direttamente accreditati dal Consiglio Nazionale, organizzati da autorità amministrazioni centrali dello Stato in collaborazione con il Consiglio Nazionale, ovunque si svolgano nel territorio nazionale; partecipazione ad attività di studio ed aggiornamento autocertificabili, da svolgersi attraverso la partecipazione ad eventi formativi, quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari, anche attraverso attività di formazione a distanza e strumenti multimediali. Il CNDCEC, inoltre, precisa che il periodo di formazione: è triennale; i trienni sono fissi a decorrere dal 1° gennaio 2008 e ciascun anno formativo comincia il 1° gennaio e termina il 31 dicembre. Per l’assolvimento dell’obbligo, in ciascun triennio vanno acquisiti 120 crediti formativi (CFP), di cui 90 mediante attività verificabili e i rimanenti con attività di studio e aggiornamento autocertificabili, con un minimo di 20 per anno, di cui 3 aventi derivanti da attività relative a ordinamento, deontologia, tariffe e organizzazione dello studio professionale. Inoltre, tramite le attività di formazione a distanza che utilizzano tecnologie d’identificazione biometrica, gli iscritti possono acquisire crediti senza limiti; senza tali tecnologie d’identificazione, non si possono superare i 10 crediti annuali. Per i nuovi iscritti, chi passa dall’Elenco speciale all’Albo e chi cessa dalla professionale, condizione l’obbligo di non formativo esercente l’attività decorre dall’anno successivo a quello d’iscrizione, passaggio o cessazione. 13 La tassa annuale per la numerazione e bollatura dei libri e registri Entro il 16 marzo 2012 sociali di cui all'art. 23, nota 3, Tariffa, D.P.R. 26.10.1972, n. 641 versamento della tassa annuale per la (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative) concerne le vidimazione dei libri società di capitali e deve essere versata entro il 16 marzo 2012. sociali I SOGGETTI Chi deve versare la tassa annuale Chi NON deve versare la tassa di vidimazione dei libri sociali annuale di vidimazione dei libri 2012 sociali 2012 S.p.a.; società cooperative e di mutua S.r.l.; assicurazione; S.a.p.a.; società di capitali dichiarate fallite; società consortili a responsabilità limitata; aziende speciali e consorzi tra enti territoriali ex L. 8.6.1990, n. 142; società in liquidazione ordinaria; società sottoposte a procedure concorsuali. Sul punto, si precisa che, la società che dopo aver effettuato il versamento della tassa annuale trasferisce la propria sede sociale in una circoscrizione territoriale di competenza di un altro ufficio dell’Agenzia delle versamento; Entrate è esonerata il trasferimento, infatti, dall’effettuare non impone un altro una nuova vidimazione dei libri sociali. La tassa è dovuta in forma forfettaria, ossia fissa a prescindere dal numero dei libri o registri e delle relative pagine utilizzati nel corso dell'anno solare; si riferisce, quindi, a tutte le formalità di numerazione e bollature effettuate nell’anno solare di riferimento, incluse quelle poste in essere prima del pagamento della tassa in argomento. E’ deducibile ai fini Ires, e Irap. Le modalità di versamento della tassa di concessione governativa si differenziano per le società che si trovano nel primo anno di attività, rispetto a quelle che si trovano in un anno di attività successivo al primo. I SOGGETTI Società primo anno di attività Società anno di attività successivo al primo La tassa annuale deve essere corrisposta: prima della presentazione della dichiarazione di inizio attività (Modello AA7/9); mediante bollettino di c/c postale n. 6007, intestato all'Ufficio delle Entrate- Centro Operativo di La tassa annuale deve essere versata: entro il 16 marzo 2012; in via telematica con il Mod. F24, indicando nella Sezione "Erario" il codice tributo 7085 - Tassa annuale vidimazione libri sociali 14 Pescara Le società che fanno richiesta di vidimazione successiva al 16.03.2012 sono obbligate ad esibire al Registro delle imprese o al notaio la fotocopia del Mod. F24 che attesta l’avvenuto pagamento della tassa annuale. Diversamente, se la richiesta viene fatta prima del 16.03.2012 la prova del pagamento non può essere fornita in quanto non è ancora decorso il termine per effettuarlo (R.M. 20.11.2000, n. 170/E). Tuttavia, in tale ipotesi potrebbe essere richiesta la copia del modello F.24 che attesta il pagamento della tassa annuale per il 2011. La tassa annuale può essere compensata con eventuali crediti IRES o IRAP o con un eventuale credito IVA risultante al 31.12.2011 mediante compilazione dell’apposito modello F24 che deve essere presentato anche nel caso in cui il saldo sia pari a zero. I caso di omesso o tardivo versamento della tassa annuale sui libri e registri sociali, si applica la sanzione amministrativa dal 100% al 200% della stessa tassa, con un minimo di euro 103 (art. 9, D.P.R. 641/1972). Plusvalenze derivanti dalla cessione di una pertinenza dell’immobile: i chiarimenti del Notariato Con lo studio CNN n. 45-2011/T il Consiglio Nazionale del Notariato ha fornito alcune precisazioni in relazione a particolari ipotesi di cessione di immobili. Secondo quanto previsto dall’articolo 67 comma 1 del TUIR, infatti, sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni. Sono esclusi dalla realizzazione di una plusvalenza gli immobili acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione; Ciò detto, con lo studio in commento, il CNN ha chiarito una particolare ipotesi di applicazione dell’articolo 67 TUIR, consistente nella cessione di uno scantinato pertinenziale. 15 Ci si è domandati se la cessione infraquinquennale di uno scantinato pertinenziale, posta in essere disgiuntamente dall’immobile principale, integri o meno l’ipotesi di intassabilità di cui all’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir. Al riguardo, il CNN evidenzia che l’art. 817, primo comma, del Codice civile definisce pertinenze “le cose destinate in modo durevole a servizio od ornamento di un’altra cosa”. Nella definizione menzionata, il termine “pertinenza” sta ad indicare, pertanto, una relazione durevole di utilità tra una cosa principale ed una cosa secondaria (o accessoria); relazione che deriva dalla volontà del proprietario (o dal titolare di altro diritto reale di godimento) della cosa principale. E’ richiesto evidentemente che il collegamento pertinenziale si sostanzi in un rapporto di connessione che deve essere necessariamente stabile e duraturo; con esclusione, quindi, di ogni collegamento occasionale e temporaneo. Si segnala altresì che il successivo art. 818, primo comma, del Codice civile dispone che gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale si estendono alla cosa accessoria, salvo che la legge non disponga diversamente. Si sottolinea, inoltre, che ai sensi dell’art. 10, comma 3-bis del Tuir costituiscono pertinenze le cose immobili di cui all’art. 817 del Codice civile, classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo, destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole al servizio delle unità immobiliari adibite ad abitazione principale delle persone fisiche. Nell’intenzione di coordinare i principi civilistici generali con le norme tributarie, si ribadisce che tra le fattispecie escluse dall’imposizione sui redditi, l’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir contempla la cessione onerosa infraquinquennale di unità immobiliari urbane adibite ad abitazione principale per la maggior parte del quinquennio trascorso tra l’acquisto o costruzione e la rivendita delle medesime. Considerato, tuttavia, che nel disposto di cui al citato art. 67 non è contenuta una definizione di “unità immobiliare urbana”, si ritiene che, nell’ambito del Testo unico delle imposte sui redditi, tale nozione possa essere validamente desunta dal disposto di cui all’art. 36, il quale, dopo aver stabilito, al primo comma, che il reddito dei fabbricati è costituito dal reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana, precisa, al secondo comma, che per “unità immobiliari urbane” si intendono i fabbricati e le altre costruzioni stabili o le loro porzioni suscettibili di reddito autonomo. Il secondo 16 periodo del medesimo comma chiarisce, inoltre, che si considerino parti integranti dell’“unità immobiliare urbana” anche le areeoccupate dalle costruzioni nonché le pertinenze. Si precisa che queste ultime, secondo una larga interpretazione, sarebbero costituite dagli accessori e dalle dipendenze della costruzione; laddove per “dipendenze” occorre intendere quegli accessori speciali che potrebbero anche avere una funzione propria se non fossero puramente destinati al servizio dei fabbricati. Riferendo le considerazioni svolte alla fattispecie in esame, si ritiene che la circostanza per cui la cessione nel quinquennio dello scantinato pertinenziale sia posta in essere non contestualmente alla cessione immobile abitativo - così rispondendo, evidentemente, a ragioni di opportunità per il proprietario (o titolare del diritto reale di godimento) - non possa ritenersi inficiante del collegamento pertinenziale sussistente tra i due beni fino al momento della cessione medesima. Considerato inoltre che il vincolo pertinenziale deve essere valutato in concreto – ossia in ragione dell’utilizzazione economica del bene principale - ne consegue che, seppur il suo trasferimento sia avvenuto separatamente dal bene di cui costituiva pertinenza, lo scantinato del caso che ci occupa, in quanto “pertinenziale” e, dunque, al servizio dell’immobile adibito ad abitazione “principale” presumibilmente fino al momento della cessione, abbia, sino a tale momento, contribuito a realizzare un’utilità ai fini dell’uso (abitativo) del bene principale e che, pertanto, abbia rappresentato, fino alla sua alienazione, parte integrante dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. In ragione di quanto esposto, fermo restando che la durata del vincolo pertinenziale debba necessariamente essersi protratta per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o costruzione e la cessione, il CNN ritiene di escludere che la cessione infraquinquennale di una pertinenza da ricomprendersi, come dianzi descritto, nella nozione di principale”, “unità seppur immobiliare avvenuta adibita separatamente ad dal abitazione fabbricato principale, determini plusvalenza tassabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir. Sent. Cass. n. 29587 del 29.12.2011: l’accordo raggiunto Pillole di mediante lo strumento conciliativo è impugnabile? giurisprudenza 17 Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 29587 del 29.12.2011 l’accertamento con adesione, dal momento in cui la definizione si è perfezionata con il versamento delle somme dovute, esclude la possibilità, per il contribuente, di proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, ha versato in eccesso. Sul punto, la sentenza ha ricordato che in base all’articolo 2, comma 3 (per le imposte sui redditi e l’Iva), e all’articolo 3, comma 4 (per le altre imposte indirette, come l’Invim), del Dlgs 218/1997, “l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio” (fatto salvo, limitatamente alle imposte sui redditi e all’Iva, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice da parte dell’ufficio nelle ipotesi indicate nel comma 4 dell’articolo 2). Da tale disciplina normativa si ricava chiaramente che, da parte del contribuente, il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai rimesso in discussione e non possono, quindi, essere formulate istanze di rimborso afferenti l’annualità e/o l’imposta definita (cfr Cassazione nn. 20732/2010 e 18962/2005). La ratio delle disposizioni in esame deve, infatti, essere individuata, da una parte, nel contemperamento dell’interesse pubblico, e dall’altra, di quello privato a vedere definita e certa la propria posizione. L’accertamento con adesione si connota, appunto, come istituto per la composizione della pretesa accertata o accertabile dall’ufficio in contraddittorio con il contribuente, funzionale alla certezza della situazione giuridica – di per sé incerta – attraverso il reciproco riconoscimento della nuova determinazione reddituale, eseguita dall’ufficio finanziario. Sicché, in ultima analisi, quando il contribuente adempie con il pagamento, non è permesso un ripensamento su quanto versato, dovendosi ritenere erroneo il contrario convincimento al riguardo manifestato dal giudice di appello nella sentenza gravata. Tanto più che il ricorso non poteva essere proposto (articolo 3, comma 4, Dlgs 218/1997), neppure indirettamente con l’artifizio della contestazione sul mancato rimborso, e, se proposto, doveva essere dichiarato inammissibile (articolo 27, Dlgs 546/1992). ------------§----------Ord. Cass. n. 1972 del 10.02.2012: è valida la rettifica operata dall’ufficio in caso di vendita di case sottocosto? Secondo quanto stabilito dall’Ordinanza della Cassazione n. 1972 del 10.02.2012 è legittimo l’accertamento induttivo in materia di Iva avente a oggetto la contestazione di operazioni di natura 18 immobiliare sulla base dell’incongruenza tra i ricavi contabilizzati e quelli ritraibili dalle effettive condizione di esercizio della specifica attività, in presenza di elementi presuntivi che, se considerati nel loro complesso, appaiono idonei a sostenere la pretesa tributaria. Con l’ordinanza in commento, i giudici di Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente, reo di aver venduto degli immobili per un valore ben al di sotto del prezzo di mercato, considerando, altresì, la presenza di ulteriori elementi gravi e concordanti tali da legittimare l’utilizzo da parte dell’ufficio accertatore del metodo induttivo previsto all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 (ai fini delle imposte dirette) e all’articolo 54 del Dpr 633/1972 (ai fini dell’imposta sul valore aggiunto). Nella motivazione, la Suprema corte ripercorre l’operato dei giudici di merito osservando che il contribuente, in entrambi i gradi di giudizio, non aveva contestato l’applicazione o l’interpretazione di norme di legge, bensì la valutazione degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria circa l’affermata inattendibilità dei corrispettivi risultanti dagli atti di vendita, ossia “il forte scostamento rispetto alle risultanze dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, l’esiguità dell’utile contabile dell’intera operazione … rispetto ai rilevanti costi contabilizzati …, la ricostruzione comparativa degli importi mutuati dai compratori rispetto ai costi finali d’acquisto (comprensivi di oneri fiscali, notarili, di mediazione, etc)”. Considerati gli elementi di fatto, certamente non contestabili dal contribuente, i giudici di legittimità hanno convalidato l’operato della Ctr sul presupposto che è valido l’operato dell’ufficio che procede alla rettifica della dichiarazione qualora “vi siano condotte non economicamente giustificate quali l’antieconomicità di comportamenti imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo (cfr. Cass. n. 26635/08) e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza (Cass. n. 13915/09, Cass. n. 26635/08, n. 10649/01)”. Pertanto, è legittima la rettifica dei ricavi contabilizzati e dichiarati dal contribuente qualora questi non dimostri in maniera ragionevole lo scostamento tra tali valori e quelli desumibili dalla banca dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi), che costituisce una rilevante e attendibile fonte d’informazioni relative al mercato immobiliare nazionale, il tutto in presenza d’incongruenze intrinseche (prezzi/mq) ed estrinseche (mutui). ------------§----------Sent. Cass. n. 4956 del 08.02.2012: per l’applicazione della misura cautelare è necessario verificare che il profitto del reato sia confluito effettivamente nella disponibilità della 19 persona indagata? Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 4956 del 08.02.2012 è legittima la confisca per equivalente sui beni dell’imprenditore, anche cointestati, per un ammontare pari all’Iva evasa dalla società. La vicenda riguarda un imprenditore indagato per il reato di omesso versamento dell’Iva di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, al quale erano stati prima sequestrati e poi confiscati libretti di risparmio, titoli, azioni, fondi, beni mobili e immobili, anche cointestati con la società di cui era responsabile, per un importo pari all’imposta non versata all’erario. In prima istanza, il giudice aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo, ma la successiva impugnazione è stata accolta dal tribunale del riesame che ha disposto l’adozione della misura cautelare, motivando che il profitto del reato era rappresentato dall’ammontare dell’Iva evasa, per cui, non potendosi procedere al sequestro in forma specifica, occorreva procedere al sequestro di beni di valore corrispondente all’imposta che erano nella sua disponibilità, compresi quelli della società di cui era rappresentante legale. L’ordinanza è stata impugnata in Cassazione. Il ricorrente denuncia violazione degli articoli 321 del codice di procedura civile e 240 del codice penale, sia per mancanza del presupposto per procedere al sequestro finalizzato alla confisca “diretta” sia per inosservanza del principio in base al quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non può essere mai superiore al profitto derivato dal reato. La Cassazione ha respinto il ricorso del contribuente, nella considerazione che l’ordinanza impugnata è scevra da qualsivoglia vizio procedimentale o motivazionale. In tal modo, nel confermare la misura sui beni dell’imprenditore intestati e cointestati, ad avviso della Cassazione, nei casi in cui il profitto consiste nel denaro (come nell’evasione dell’Iva), appare difficile sostenere di subordinare l’operatività del sequestro alla verifica che il profitto del reato sia confluito effettivamente nella disponibilità dell’indagato (Cassazione 32797/2002) proprio per la ragione che, trattandosi di sequestro per equivalente, tale necessità deve ritenersi superata. In altri termini, nel caso dell’articolo 322-ter del codice penale, la confisca per equivalente non presuppone la dimostrazione del nesso pertinenziale tra reato e somme confiscate (o sequestrate) e, inoltre, viene meno la necessità di verificare, preliminarmente, se il bene sia entrato o meno nel patrimonio dell’indagato per tentarne il recupero. Sono, infatti, assoggettabili alla confisca beni nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato. Il tribunale ha pienamente rispettato il principio della non eccedenza 20 della misura rispetto al profitto del reato, essendosi imposto la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto, come in sede di confisca (Cassazione, sentenze 2101/2009, 2110/2009, 41731/2010 e 1893/2012). Tale valutazione, infatti, che può essere effettuata sulla base di criteri presuntivi che tengano conto degli elementi emersi dalle indagini, suscettibili di ulteriore analisi in sede di merito, non si sottrae al sindacato di legittimità per contraddittorietà o manifesta illogicità: profili che non ricorrono nel caso di specie. ------------§----------Ord. Cass. n. 4947 del 08.02.2012: l’acquisto della merce fa nascere sempre il diritto alla deduzione dell’IVA? Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 4947 del 08.02.2012 l’acquisto della merce non fa nascere il diritto alla deduzione dell'Iva se, dalle carenze strutturali e commerciali del fornitore, emerge che le operazioni sono inesistenti. Le fatture emesse da società cartiere sono prive del valore riconosciuto ai documenti regolari e di conseguenza non possono trovare valido ingresso nella contabilità Iva. In tal caso, è legittimo il sequestro preventivo anche se i pagamenti sono tracciabili. Nel caso in esame la legale rappresentante di una Srl, indagata del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000), ha impugnato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip, per circa 372mila euro. La donna, che si era avvalsa di fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti nelle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2006 e 2007 al fine di evadere l’Iva e le imposte sui redditi, si è vista rigettare il ricorso anche dal tribunale in sede di riesame e, poi, dalla Corte di cassazione, nonostante la stessa imputata ritenesse di aver dimostrato l’effettiva esistenza delle transazioni commerciali sia attraverso la documentazione relativa ai pagamenti (tutti tracciabili, in quanto effettuati a mezzo bonifico bancario o assegno non trasferibile) sia mediante l’affermazione che le ditte fornitrici, che avevano emesso le fatture, avevano poi regolarmente consegnato la merce. Tali argomentazioni non hanno convinto i giudici di legittimità che, confermando l’ordinanza del Tribunale, hanno affermato che “il provvedimento impugnato può superare indenne il vaglio di legittimità cui è stato sottoposto, avendo i giudici del riesame compiutamente svolto il loro ruolo di garanzia in ossequio a quanto loro imposto dalla legge”. ------------§----------- 21 Sent. Cass. n. 2419 del 20.02.2012: per l’esonero contributivo dei rimborsi chilometrici basta una scheda mensile? Secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 2419 del 20.02.2012 l’onere probatorio del datore di lavoro che invoca l’esclusione dall’imponibile contributivo delle erogazioni corrisposte ai dipendenti a titolo di rimborsi chilometrici, è assolto documentando tali somme con l’indicazione del mese di riferimento, dei chilometri percorsi nel mese, del tipo di automezzo usato dal dipendente e dell’importo corrisposto a rimborso del costo chilometrico sulla base della tariffa ACI. I giudici di legittimità fanno osservare che, nell’ambito dell’evoluzione della disciplina della retribuzione imponibile ai fini contributivi, il legislatore ha sempre previsto l’esclusione dei rimborsi spese se documentati a “piè di lista“ ai sensi dell’art. 12 della L. n. 153/1969 e documentati relativamente al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, a norma delle modifiche introdotte dal DLgs. n. 314/1997. In questo quadro, secondo la Suprema Corte, non si evince in alcun modo la volontà del legislatore di richiedere, ai fini di un’esclusione dei rimborsi chilometrici dalla base imponibile e all’assolvimento dell’onere probatorio del datore di lavoro, una documentazione estremamente analitica e specifica recante, con esauriente scheda mensile per ciascun dipendente, l’analitica indicazione dei viaggi giornalmente compiuti, delle località di partenza e di destinazione, con specificazione dei clienti visitati e riepilogo giornaliero dei chilometri percorsi. Quindi, per la Corte di Cassazione, una sentenza di merito fondata su tali specifici ed analitici adempimenti documentali non si è evidentemente informata alle predette disposizioni che regolamentano la materia e va, pertanto, cassata. ------------§----------Sent. Cass. n. 2496/2012: quali sono gli elementi fondanti per la verifica del rapporto di associazione? Con sentenza n. 2496/2012, la Cassazione ha affermato che uno degli elementi fondanti per la verifica della genuinità del rapporto di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.)è la partecipazione del soggetto anche alle perdite della società. Altre indicazioni devono arrivare dal controllo della gestione d'impresa da parte dell'associato e dal rendiconto periodico dell'associante. Nel caso in questione, all'associato era riconosciuta una partecipazione agli utili dell'impresa ma solo in cambio di una prestazione standardizzata, 22 nell'ambito della quale i presunti soci erano tenuti a rispettare gli orari di apertura e chiusura dei negozi e la pulizia dei locali, il tutto sotto il controllo dell'associante, che aveva l'insindacabile facoltà di non rinnovare il contratto allo scadere prefissato. Copyright©La Lente sul Fisco 23