Pubblicazione ideata e progettata dal Tavolo provinciale di consultazione
per le tematiche relative allo sviluppo dell’agricoltura (Tavolo Verde):
Confederazione Italiana Agricoltori - Rimini
Federazione Provinciale Coldiretti - Rimini
Unione Interprovinciale Agricoltori - Rimini
Lega Cooperative Provincia di Rimini
Confcooperative Unione Provinciale di Rimini
Comunità Montana Valle del Marecchia - Torriana
Testi realizzati da Angelo Casali
Agronomo, funzionario della Provincia di Rimini fino al 2004,
opera attualmente presso l’Agenzia Regionale per le Erogazioni in Agricoltura (AGREA)
della Regione Emilia - Romagna, come referente per la gestione
delle politiche comunitarie di sviluppo rurale
Si ringraziano, per la collaborazione:
Guido Carli, Stefano Cerni, Patrizia Ruscelli
Provincia di Rimini,
Servizio Agricoltura, Attività Economiche e Servizi alle Imprese
Pubblicazione realizzata con il finanziamento della Regione Emilia Romagna,
Assessorato Agricoltura, nell’ambito della Legge Regionale 28/98.
Progetto e realizzazione grafica
INCOSY - Integrated Communication System
www.incosy.it
© Provincia di Rimini - Tutti i diritti riservati
Sommario
Presentazione
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Nota introduttiva dell’Autore
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PARTE PRIMA • Inquadramento generale
Il contesto generale in cui opera l’azienda agricola
Le tendenze del consumo
Una politica di riqualificazione del settore agricolo
Diversificazione e multifunzionalità: punto di partenza
per una nuova immagine di azienda agricola
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PARTE SECONDA • Trasformazione e vendita diretta
Le problematiche della trasformazione e vendita diretta dei prodotti
• Problematiche generali e di organizzazione
• Progettualità e valutazione delle potenzialità aziendali
• Le problematiche normative
• Le problematiche sanitarie
• Le problematiche fiscali
• Le problematiche commerciali e di prodotto
Schede prodotto
• Le varie tipologie di prodotto adatte alla vendita diretta aziendale
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PARTE TERZA • Cenni all’attività agrituristica
Ulteriori ambiti di esercizio dell’attività agrituristica
Implicazioni normative
Natura agricola del reddito da agriturismo
Aspetti previdenziali
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PARTE QUARTA • Forme di collaborazione con le Pubbliche Amministrazioni pag.
Le forme di collaborazione tra il pubblico e il privato per la manutenzione,
salvaguardia e valorizzazione del territorio
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Contratti e convenzioni con gli agricoltori
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Schede attività
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• Gli enti che possono stipulare i contratti e gli schemi da seguire
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- Fac - simile di domanda di iscrizione albo locale (scheda d’impresa) pag.
- Schema di contratto per l’affidamento dei lavori
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APPENDICE • Decreto Legislativo 228/2001
Il testo del Decreto Legislativo 228/2001
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Presentazione
Il sistema agroalimentare nazionale e, non di meno, quello locale stanno attraversando
un momento cruciale: dai fenomeni devastanti quali “la mucca pazza” e l’influenza aviaria agli orientamenti critici assunti dall’Unione europea in ordine alle risorse da destinare
all’Agricoltura, dalla crisi dei consumi legata alle difficoltà economiche delle famiglie ad
una competitività inquinata dagli OGM e dall’immissione, sui nostri mercati, di prodotti
provenienti da ogni dove, compreso l’est asiatico.
Si consideri poi la precarietà dei raccolti in relazione ai cambiamenti climatici/sistematici, i problemi legati al ricambio generazionale considerata l’età elevata dei conduttori che,
per il 57% ha un’età di sessanta anni e oltre.. e il consumo di suolo da parte dello sviluppo urbanistico che fa perdere non solo terreno agricolo ma anche paesaggio, ovvero uno dei
nostri maggiori elementi di competitività. Su quest’ultimo punto la Provincia di Rimini
cogliendo le opportunità del nuovo PTCP, si è espressa chiaramente con uno stop al saccheggio delle aree paesaggistiche ed a vocazione agricola.
Ma pur non sottovalutando i problemi anzi proprio partendo dall’esigenza del loro contenimento, è pur vero che si intravedono, se ben colte, prospettive legate al sistema agroalimentare, ovvero alla richiesta crescente di qualità, tipicità e, soprattutto, di sicurezza, vale a
dire non solo marchi di qualità ma garanzia sui controlli di filiera.
Non è un caso che, come Provincia, come Assessorato, ci stiamo muovendo in questa
direzione con il sistema delle certificazioni (dalle DOC dei vini alla DOP dell’olio), mediante
i disciplinari, proponendo intese convenzionali con gli Agriturismi, con la garanzia sulla
tracciabilità (vedi Macello), intensificando le azioni per incrementare il paniere dei marchi:
dopo i vini e l’olio, mentre è in lizza la piada (con l’IGP), proprio di questi giorni si sono
svolte le audizioni per l’attribuzione della DOP allo Squacquerone di Romagna ed al
Formaggio di Fossa.
Perché è certo che nella globalizzazione vinceranno: tipicità, genuinità, design, cultura...
requisiti che l’Italia ha, che la Romagna ha, che Rimini ha.
Il madeinrimini, anche in agricoltura, può porsi come “valore aggiunto”... più sostanzialmente con caratteristiche che, oggi, meglio incontrano le esigenze e le aspettative dei consumatori stanziali e non. La sintesi naturalmente felice di mare ed entroterra per gli effetti sulle colture ad alta vocazione di tipicità, non dimeno sul paesaggio ambientale, storico
ed artistico, dà vita ad un nuovo modello di sviluppo da esportare, proprio da Rimini, sia
nel campo dell’alimentazione, sia nella promo-commercializzazione del territorio. È aspirazione ampiamente legittimata dai dati emersi dal primo Osservatorio sull’Evoluzione degli
Stili Alimentari degli Italiani, promosso dall’Assessorato all’Agricoltura-Attività Produttive
della Provincia di Rimini.
Questo per dire che il “potenziale” riminese c’è... e la Provincia ha tutta l’intenzione di
coglierlo, anche, ovviamente, nel nuovo Piano di Sviluppo rurale, all’insegna della qualità e
della tipicità territoriale. Due caratteristiche che si sposano solamente con la valorizzazione (e,
quindi, la salvaguardia) del contesto ambientale e naturale.
Se si considerano le caratteristiche del nostro sistema agricolo provinciale (territorio
frammentato, piccole dimensioni aziendali) e si colgono appieno le tendenze manifestate
dalla CE (diminuzione delle risorse e maggiore efficienza di spesa), veramente la strada, la
prospettiva è nella valorizzazione del territorio, dello stile di vita “romagnolo” e, quindi,
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nelle opportunità introdotte, sulla diversificazione, dal decreto legislativo legge 228/01
“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”. Anche se non ci sfugge l’esigenza di
superare i problemi legati alla parte applicativa riferita alle competenze dei Comuni, a
quelle dell’ASL e agli aspetti fiscali.
E le nuove opportunità riguardano l’assunzione di servizi a tutela dell’ambiente, produzioni di qualità organolettiche legate al territorio ovvero prodotti da fattoria o di filiera corta
(la microfiliera aziendale), metodi originali di lavorazione, vendita diretta in fattoria, oltre
ai prodotti tipici identificati coi marchi, di prodotti che diventano “tipici” perchè realizzati da un soggetto che, insieme al prodotto vende sé stesso, il suo stile, il suo ambiente......
Non è una frase fatta o puramente teorica... ma si tratta di “acculturare” il prodotto. E,
ripeto, noi come Provincia siamo su questa strada.
Abbiamo investito molto e continueremo (nonostante i tagli drastici di bilancio) a farlo
per diffondere la cultura del mangiar sano (attraverso programmi di educazione alimentare nelle scuole di diverso ordine e grado), per orientare ad un consumo consapevole soprattutto un’utenza cittadina ancora lontana dalla percezione di quanta ricchezza e varietà di
prodotti di qualità offra il nostro territorio, per favorire l’integrazione tra utenza balneare
ed entroterra: dal vino all’olio fino ad arrivare ai tartufi ed alle ostriche.
E lo stiamo facendo con iniziative di crescente impatto qualitativo, coerenti e coordinate.
Ne abbiamo dato ampio esempio al MIA (Mostra Mercato Internazionale dell’Alimentazione
ed. 2006) dove l’impatto visivo era pari all’importanza dei contenuti e degli interventi non
da meno sul Vino dove si va articolando “un filone” che da passaggi di vino è arrivato alla
campagna vino/giovani mentre le iniziative sull’olio hanno assunto un carattere organico e
sistematico con la giornata dell’Org..olio, Frantoi aperti, il concorso dell’olio novello di
Montegridolfo... per arrivare al progetto di integrazione del territorio, Un mare di Sapori.
Stiamo cioè riuscendo in un obiettivo che appare paradossale (ma non lo è) ovvero accostare prodotti fin qui considerati di nicchia (e che tali dovranno in gran parte rimanere a
garanzia dei metodi esclusivi di produzione) ad un pubblico, ad un’utenza più vasta possibile.. (vedi iniziative nei Centri Sociali).. perché, prima del prodotto, c’è da vendere, recuperandolo, uno stile di vita. Su questo fronte si possono aprire prospettive del tutto nuove
nelle mense collettive (scuole ma anche strutture ospedaliere, case protette) per l’introduzione, nel menù, di alimenti legati allo stile di vita romagnolo: piada, olio, frutta, formaggi, salumi, verdure, miele, marmellate, ecc.
Il Tavolo Verde ovvero l’organismo formato dai rappresentanti delle Associazioni e del
mondo cooperativo, coordinato dalla Provincia, dovrà sempre più esprimersi in maniera
organica sulle politiche: Piano di Sviluppo Rurale, dec. legs. 228, Piano di Promozione e
Comunicazione, che sappiano ottimizzare le risorse, rendere più efficiente la spesa ed
ampliare il mercato anche innovando il sistema dell’impresa locale.
In questo contesto ci auguriamo che questa pubblicazione costituisca valido strumento
non solo di informazione ma anche di utile operatività.
Mauro Morri
Assessore Agricoltura - Attività Produttive
della Provincia di Rimini
Nota introduttiva dell’Autore
L’Amministrazione Provinciale di Rimini, rispondendo ad una sollecitazione del mondo
agricolo che ha espresso una precisa esigenza di informazione ed aggiornamento su questi temi, mi ha proposto di realizzare un manuale divulgativo che potesse servire da guida
agli agricoltori interessati a diversificare le proprie attività aziendali.
In particolare, prendendo spunto dalle opportunità introdotte dalla “legge di orientamento” del settore agricolo (Decreto legislativo 228/01), si è sentita la necessità di un supporto per quelle aziende agricole che intendono dedicarsi alla vendita diretta dei prodotti e
sviluppare una serie di attività complementari di gestione del territorio e di promozione e
salvaguardia delle vocazioni produttive locali.
I due principali filoni sviluppati, dopo una prima parte introduttiva che descrive l’attuale contesto generale in cui opera l’azienda agricola, trattano delle problematiche relative
• alla trasformazione e vendita diretta dei prodotti
• alle forme di collaborazione tra il pubblico e il privato per la manutenzione, salvaguardia e valorizzazione del territorio.
Un breve riferimento è stato fatto, poi, ai nuovi settori assimilati all’attività agrituristica,
mentre ai processi di tracciabilità si è accennato in relazione alla vendita diretta, nel più
ampio capitolo dedicato alle varie forme di certificazione di qualità e tipicità.
Altri argomenti “chiave” di cui si occupa il D.Lgs. 228/01, come la figura dell’imprenditore agricolo, i contratti agrari e la prelazione, la filiera, i distretti agroalimentari ecc., non
sono stati trattati in questo ambito, essendo già oggetto di ampia bibliografia e necessitando, al limite, di una trattazione specifica legata magari alle diverse normative regionali che
hanno integrato e a volte interpretato, anche in forme molto diverse tra loro, tali materie.
Questo lavoro non può avere quindi la pretesa di essere considerato come una trattazione completa ed esaustiva del D.Lgs. 228/01 ma ne analizza alcune implicazioni pratiche
prospettando, anche “creativamente”, alcune soluzioni applicative in un’ottica di espansione dell’ambito operativo dell’azienda agricola verso alcuni spazi di carattere ambientale, territoriale e, in un certo senso, culturale, che ormai di fatto le competono.
Angelo Casali
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Il contesto generale in cui opera l’azienda agricola
A partire dall'inizio degli anni '90 la spinta verso l'imprenditorializzazione dell'azienda agricola si è un po' affievolita.
È entrato in crisi il sogno di poter applicare diffusamente le dinamiche e le tecniche gestionali del mondo industriale nell'ambito agricolo, davanti al verificarsi ricorrente di crisi di
mercato in tutti i settori produttivi.
L'agricoltore dovrà quindi rassegnarsi a soccombere nell'impari lotta con tutti i soggetti
che, posizionati a monte e a valle delle filiere agroalimentari, gli contendono i già limitatissimi margini di sussistenza?
Il fatto di collocarsi strutturalmente sul mercato in posizioni subalterne di debolezza e non
"di forza", rende l'azienda agricola estremamente fragile. Essa infatti:
• è soggetta all'andamento stagionale ed alle condizioni atmosferiche che influenzano in
modo determinante l'andamento generale delle produzioni e quindi la maggiore o minore disponibilità sul mercato dei prodotti. Ne discende una dinamica dei prezzi che
appiattisce le differenziazioni legate all'aspetto imprenditoriale dell'azienda (quando
l'annata è buona lo è per tutti ed i prezzi scendono, viceversa i prezzi salgono in annate di produzione limitata in cui l'azienda non ha modo di approfittarne);
• può programmare l'immissione dei prodotti sul mercato solo con interventi di medio lungo termine (per poter produrre una nuova varietà di pesche occorrono almeno 3 - 4
anni dall'investimento di partenza, per realizzare una determinata tipologia di vino, partendo dall'impianto dei vigneti ed aggiungendo i tempi di affinamento e invecchiamento possono occorrere dai tre anni in avanti, e via dicendo);
• in molti casi, ha a disposizione uno strettissimo spazio temporale in cui collocare il prodotto (l'ortofrutta ha tempi di conservazione di pochi giorni, il latte di poche ore) e deve
pertanto soggiacere alle condizioni che il mercato detta al momento, senza poter decidere quando collocare il prodotto.
A compensare tale fragilità intervengono in parte le misure di politica agricola (oggi definite a livello prevalentemente europeo) che tendono principalmente a:
• organizzare i mercati (OCM - Organizzazione Comune di Mercato) in modo da evitare
produzioni eccedentarie con conseguente crollo dei prezzi;
• fornire "aiuti diretti" ai produttori agricoli che garantiscono, nel rispetto della normativa ambientale e di alcuni criteri di buona gestione agronomica (Condizionalità), il mantenimento dello stato di coltivazione dei terreni e la conduzione degli allevamenti anche
a fronte di prezzi non remunerativi dettati dalle dinamiche mondiali del mercato;
• attuare misure di "Sviluppo rurale" per migliorare la competitività aziendale, favorire la
permanenza dei giovani nel settore, sviluppare forme di agricoltura compatibili con
l'ambiente, integrare con interventi infrastrutturali le diverse azioni, soprattutto nelle
zone più svantaggiate.
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La domanda posta in precedenza circa la sussistenza dell'azienda agricola, non può però
trovare risposta solo confidando nel sistema dell'intervento pubblico. Il mondo agricolo
deve, da un lato, poter contare su un sistema di aiuti ed incentivi valido ed incisivo, ma
dall'altro deve anche darsi da sé le motivazioni del proprio esistere e svilupparsi, fondandosi su quella che è sempre stata la sua risorsa fondamentale e la sua caratteristica distintiva naturale: una base composta da piccole aziende familiari che sono in grado di assorbire i "colpi bassi" del mercato e riorganizzarsi per cogliere innovazione ed opportunità nel
solco della tradizione.
Se negli anni '70 e '80 le opportunità erano rappresentate da un'intensivizzazione delle
produzioni che venivano spinte ai massimi livelli di rese unitarie, nella corsa ad un uso
massiccio di fertilizzanti, fitofarmaci, mezzi tecnici e risorse energetiche, oggi, superati (e
dimenticati) i traguardi di allora, le parole d'ordine sono "qualità", "tipicità", "difesa e valorizzazione del paesaggio", "sostenibilità ambientale", "sviluppo integrato delle zone rurali".
Negli anni '80 e '90 gli agricoltori hanno dovuto difendersi dalle accuse di avvelenare l'ambiente e di depauperarne le risorse mentre oggi si stanno proiettando a conquistare l'immagine di difensori del gusto e dei sapori antichi, di custodi di un paesaggio rurale, di un
ambiente naturale e di un tessuto sociale che "gli altri" quelli che abitano le città, riscoprono come un paradiso perduto di cui riappropriarsi a qualsiasi prezzo.
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Le tendenze del consumo
Già dalla fine degli anni '80 - inizio anni '90, l'attenzione dei consumatori ha cominciato
a rivolgersi verso tipologie di prodotti alimentari che dessero loro almeno un'immagine di
maggiore genuinità e salubrità, sotto la spinta senz'altro di un aumentato grado di benessere e di consapevolezza in campo alimentare, ma anche dei numerosi e ricorrenti scandali che hanno coinvolto fin dagli anni '70 alcune grandi aziende agroalimentari italiane
assieme ad interi comparti produttivi.
Reali o gonfiati che fossero, questi avvenimenti hanno minato la fiducia dei consumatori
nella grande industria agroalimentare ed hanno spinto l'opinione pubblica a richiedere
garanzie in termini di sicurezza e, contemporaneamente, a disaffezionarsi a quei prodotti
dall'aspetto troppo artificiale, troppo "industriale".
Si è verificata quindi un'evoluzione delle tendenze di consumo che ha fatto emergere dal
mercato fasce di prodotto nuove (è del 1992 la consacrazione ufficiale, sancita da un regolamento comunitario, dell'agricoltura biologica) o precedentemente relegate in ambiti marginali dall'"ubriacatura" consumistica seguita al miracolo economico degli anni '60 (prodotti tipici e tradizionali locali).
L'industria agroalimentare ha subito risposto a questa sfida, archiviando le varie margarine che "sembrano burro" o i formaggini che piacciono perché non sembrano formaggio e
ha cominciato a popolare l'immaginario collettivo di agresti "mulini bianchi" a presidio di
fantastiche "oasi ecologiche", sperdute nella quiete della "valle degli orti" su cui regna
sovrano l'onnipotente "uomo del monte".
Al di là dello scarso contenuto "tecnico" della maggior parte di queste denominazioni "di
fantasia", che spesso corrispondono a semplici operazioni di marketing, la crescita dei consumatori è andata avanti in quel senso e dal pentolone in ebollizione sono venute a galla
nuove tendenze che, tralasciando le loro manifestazioni estreme la cui dinamica si esaurirà nell'arco di tempo effimero delle mode, sembrano connotare comportamenti del consumatore a livello maturo e stabile.
Due elementi distintivi di tali tendenze sono:
• attenzione al processo da cui si origina il prodotto alimentare: sono apprezzati la completezza delle informazioni riportate in etichetta, i marchi che garantiscono l'esistenza di
controlli o l'adesione a sistemi di produzione certificati e le indicazioni relative alla tracciabilità;
• attenzione alla zona di origine del prodotto: è apprezzata la tipicità anche in relazione
a nuove forme di turismo culturale, rurale ed enogastronomico in cui è il consumatore a
spostarsi verso le zone di produzione alla scoperta di nuovi sapori e tradizioni.
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Una politica di riqualificazione del settore agricolo
La stessa politica agricola comunitaria, nazionale e regionale, ha sposato la causa di una
riqualificazione generale del sistema produttivo agricolo e, se da un lato continua a profondere ingenti risorse nel settore degli aiuti diretti e delle OCM (Organizzazione Comune di
Mercato), sta operando una rimodulazione di questi a favore del "secondo pilastro", quello
dello Sviluppo rurale.
In Italia, come tutti sanno, la materia agricola è competenza delle Regioni mentre il
Governo centrale, attraverso il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali (MIPAF), mantiene un ruolo di coordinamento, soprattutto nella gestione dei rapporti con Bruxelles e nell'armonizzazione delle normative locali attraverso direttive di coordinamento generale.
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In questo quadro si inserisce l'emanazione della "legge di orientamento dei mercati" (n.
57/2001) e dei relativi decreti di attuazione di cui in particolare quello per il settore agricolo risponde al nome di Decreto Legislativo 228/2001.
Il decreto si occupa di diverse materie: in particolare della definizione della figura dell'imprenditore agricolo, dell'attività agrituristica, della vendita diretta dei prodotti agricoli da
parte delle aziende produttrici. Inoltre, definisce i concetti di "distretto rurale" e di "distretto agroalimentare di qualità" che le Regioni dovranno applicare nel programmare le loro
politiche di sviluppo, individua forme innovative di collaborazione dell'azienda agricola con
le pubbliche amministrazioni al fine di salvaguardare e valorizzare il territorio, promuove i
processi di tracciabilità finalizzati alla tutela della sicurezza alimentare, oltre a contenere
una serie abbastanza nutrita di specifici provvedimenti di dettaglio per cui si rimanda al
testo integrale del decreto riportato in appendice.
In questa pubblicazione si cercherà di illustrare, con un taglio estremamente pratico, le
diverse opportunità che derivano dall'applicazione di alcuni articoli di questa legge, in termini di diversificazione dell'attività dell'azienda agricola, ed in particolare:
• la vendita diretta dei prodotti agricoli (art. 4);
• i contratti di collaborazione con le amministrazioni locali per la promozione delle vocazioni produttive del territorio, la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali (art. 14, 1° comma);
• i contratti di promozione che prevedano l'impegno ad assicurare la tutela delle risorse
naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale (art.
14, 3° comma);
• le convenzioni che prevedano lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e
manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura e
mantenimento dell'assetto idrogeologico, alla tutela delle vocazioni produttive del territorio (art. 15, 1° comma).
Diversificazione e multifunzionalità: punto di partenza
per una nuova immagine di azienda agricola
Stanti queste premesse, la possibilità per l'azienda agricola di ritrovare slancio e competitività passa attraverso la strada della diversificazione e della multifunzionalità.
• Diversificazione: l'azienda dovrà tendere ad ampliare la propria gamma di prodotti alla
ricerca di segmenti di mercato nuovi; dovrà rendere "prodotto" anche quel surplus di
immagine che le tendenze del mercato le stanno riconoscendo e che, sfruttato adeguatamente, le consentirà di concretizzare un valore aggiunto interessante per le proprie
produzioni.
Alcuni esempi: chi produce ortofrutta può pensare alla possibilità di arrivare alla conservazione, confezionamento e anche ad una prima trasformazione del prodotto come
frutta in piccoli imballaggi con quantitativi "famiglia" pre - pesati, confezioni miste di
piccoli frutti, insalate o verdure pronte (la cosiddetta "quarta gamma"), realizzare conserve, succhi e marmellate, prodotti sott'olio e sott'aceto.
L'azienda viticola deve sicuramente valutare se intraprendere l'attività di vinificazione
in proprio e, se già questa esiste, dovrà valutare i margini per aumentare il livello qualitativo ed estendere la gamma dei prodotti, rivedere il rapporto tra lo sfuso e l'imbottigliato, il marchio aziendale e studiare l'abbinamento con altri prodotti di pregio come
l'olio extravergine d'oliva.
L'azienda zootecnica può valutare la fattibilità di un'attività di caseificio, salumificio o
di vendita diretta delle carni, anche diversificando le tipologie e le razze di animali allevati, per offrire una più ampia gamma di prodotti, nel segno della tipicità.
Anche l'azienda orientata strutturalmente al seminativo e che produce i prodotti di base
più "standardizzati" come cereali, bietola, foraggere, che tradizionalmente si collocano
sul mercato all'ingrosso, potrà ad esempio valutare di diversificare le produzioni di
grano ampliando la gamma delle varietà (teneri fini, di forza, duri) ed inserendo prodotti considerati minori ma oggi molto richiesti in un mercato come quello del biologico (farro, segale, kamut, grano saraceno, legumi secchi ecc.). Potrà inoltre commercializzare un'ampia gamma di prodotti, dalle farine (bianca, integrale, semi-integrale, di
forza ecc.), alla pasta, alle piccole confezioni di semi e legumi, convenzionandosi
magari con mulini o confezionatori artigianali locali.
• Multifunzionalità: oltre all'ormai consolidata attività agrituristica, che rappresenta
l'esempio più importante e diffuso di multifunzionalità per l'azienda agricola (alla quale
può attualmente affiancarsi quella di "fattoria didattica" che sta recentemente prendendo piede in molte realtà), vi sono anche altre possibilità per l'impresa agricola di affacciarsi a diversi ambiti operativi dai quali cogliere opportunità economiche, non solo
come entità produttrice di beni di consumo ma anche come soggetto erogatore di servizi.
La conoscenza del contesto territoriale in cui l'azienda opera e la forte radicazione in
esso sono una risorsa preziosa per tutta la collettività. L'azienda agricola può trasfor-
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mare in possibilità di lavoro tutto ciò, mettendo al servizio delle pubbliche amministrazioni, e quindi delle collettività locali, le proprie potenzialità.
I "contratti di collaborazione con le amministrazioni locali per la promozione delle vocazioni produttive del territorio, la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali" possono concretizzarsi in un rapporto continuativo con i Comuni per la
gestione di visite guidate ai siti di interesse naturalistico, la presenza alle sagre e alle
fiere delle produzioni tipiche locali, delle attività tradizionali, degli usi e costumi legati alla civiltà rurale.
I "contratti di promozione che prevedano l'impegno ad assicurare la tutela delle risorse
naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale"
possono permettere alle amministrazioni locali di affidare ai produttori agricoli la
gestione e manutenzione di aree a verde pubblico, di siti naturalistici, emergenze storiche e architettoniche, zone attrezzate per la sosta, per l'osservazione e lo studio della
fauna, i sentieri ed i percorsi attrezzati, la segnaletica e la tabellazione, le recinzioni di
aree protette, realizzare o conservare le opere di regimazione idraulica, di bonifica, di
consolidamento di versanti instabili, di rimboschimento ecc..
Le "convenzioni che prevedano lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e
manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura
e mantenimento dell'assetto idrogeologico, alla tutela delle vocazioni produttive del territorio" saranno finalizzate a concedere alle aziende agricole l'uso di terreni di proprietà pubblica sui quali realizzare interventi previsti ad esempio dal Piano di sviluppo rurale (interventi selvicolturali, impianti boschivi, conservazione e ripristino degli elementi
naturali del paesaggio agrario, tutela della biodiversità) ed ottenere i relativi aiuti comunitari.
Le problematiche della trasformazione
e vendita diretta dei prodotti
Problematiche generali e di organizzazione
Si deve innanzi tutto tenere in considerazione il fatto che le fasi di trasformazione, confezionamento, intermediazione e commercializzazione del prodotto sono attività lavorative a
tutti gli effetti all'interno del "sistema produttivo aziendale" e come tali, richiedono l'impegno di risorse umane e di capitali.
L'ottica secondo cui l'azienda agricola è ancora abituata a considerare le problematiche
produttive come esclusive o comunque preponderanti, va dunque superata. Il concetto di
produzione deve oggi evolvere (nelle aziende che per posizione, vocazionalità e struttura ne
hanno la possibilità) verso una tipologia di prodotto sempre più "finito", che si affaccia sul
mercato arricchito di tutti quei valori aggiunti legati alla qualità e tipicità che oggi il mercato considera, in alcune fasce di pregio, di sostanziale importanza.
Per realizzare questo, l'azienda deve valutare se, con la vocazione produttiva che possiede,
ha la possibilità di concepire un prodotto più avanzato rispetto a quello su cui si è assestata, impostare un'attività di trasformazione e/o confezionamento, per rivolgersi a fasce di
clienti diverse dai grossisti, come ad esempio i dettaglianti della zona, i ristoratori, i "gruppi d'acquisto", fino ad un discorso di vendita al dettaglio vera e propria, magari con l'allestimento di un punto vendita in azienda o con la creazione di una struttura ambulante.
Individuata la tipologia di prodotto, dovranno essere esaminate le problematiche organizzative, tenendo conto delle risorse ulteriori che l'azienda può mettere in gioco in questa
attività o che può liberare razionalizzando o limitando altre attività meno produttive.
Devono essere quindi considerati i fattori di:
• capacità sia tecniche che relazionali;
• disponibilità di risorse umane da impiegare (giovani in azienda, grado di scolarità, attività già in essere);
• disponibilità di capitali da investire (ristrutturazione, arredamento, impianti e attrezzature per lavorazione, trasformazione e conservazione);
• assetto logistico (ubicazione, locali, accessibilità, visibilità) anche in relazione agli adeguamenti alla normativa sanitaria;
• dimensioni aziendali e capacità produttiva, in relazione all'orientamento prevalente
aziendale.
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Progettualità e valutazione delle potenzialità aziendali
È opportuno, a questo punto, realizzare un progetto di dettaglio che tenga conto di tutti i
fattori in gioco, che ipotizzi il possibile fatturato aziendale realizzabile a fronte dei costi sia
diretti che riflessi dell'operazione.
A questo proposito, si propone di seguito un semplice questionario di "auto - valutazione"
che può essere compilato per una prima analisi di massima delle potenzialità aziendali.
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Attività aziendale di vendita diretta e trasformazione
Questionario di autovalutazione
Prima Sezione • Requisiti Aziendali
1punto/persona
• Persone che lavorano in azienda
Tempo pieno n.____Tempo parziale (___%) n.____
• Familiari che potrebbero ricollocarsi in azienda
in una prospettiva di sviluppo
Tempo pieno n.____Tempo parziale (___%) n.____
• Giovani di età inferiore ai 40 anni Tempo pieno n.____Tempo parziale (___%) n.____
• Tipologia di prodotti con potenziale sbocco di mercato
- Vino
___
punti 1
- Olio extravergine di oliva
___
punti 1
- Ortofrutta fresca
___
punti 1
- Trasformati Ortofrutta
___
punti 1
- Carni fresche
___
punti 1
- Salumi
___
punti 1
- Latticini
___
punti 1
- Miele
___
punti 1
- Farine - Granaglie - Legumi secchi
___
punti 1
- Altri Prodotti
___
punti 1
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Totale punti Prima Sezione_________
Seconda Sezione • Contesto Territoriale
• L’azienda è ubicata entro 10 km dal centro urbano principale
o dalla fascia urbana costiera?
• L’azienda è ubicata nelle adiacenze di un sito di rilevante
interesse storico - testimoniale - ambientale?
• L’azienda è ubicata su una via importante di collegamento?
• L’azienda è ubicata lungo un itinerario turistico,
naturalistico o enogastronomico?
• L’azienda pratica un’attività agrituristica, di fattoria didattica
o ha un Bed&Breakfast annesso?
• Altri fattori di potenziale afflusso di pubblico in azienda
___
punti 1
___
___
punti 3
punti 1
___
punti 1
___
___
punti 2
punti 1
Totale punti Seconda Sezione_________
Totale questionario_________
% Prima Sezione_________ % Seconda Sezione_________
A livello puramente indicativo, si potrà ritenere potenzialmente adatta all'avvio di un'attività di vendita diretta - trasformazione, un'azienda che abbia realizzato almeno 8 punti con
un'incidenza della seconda sezione sul totale di almeno il 25%; tra 7 e 4 punti dovranno
essere considerate attentamente e in modo critico le motivazioni e le scelte di fondo, mentre al di sotto di 4 punti o comunque con zero punti nella seconda sezione, potrebbe essere molto rischioso l'avvio di un simile progetto.
Sempre a titolo puramente orientativo, si propone uno schema semplificato di raffronto
della ipotetica situazione che si stima potrà essere realizzata con l'avvio della nuova attività integrativa (post), con quella dell'azienda al momento iniziale (ante).
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Attività aziendale di vendita diretta e trasformazione
Schema di valutazione economica dell’intervento
Prima Sezione • Situazione di partenza
• PLV o Fatturato annuo aziendale (ante)
Euro _______________________ A
• Costi variabili (carburanti, sementi,
fertilizzanti, fitofarmaci, materiali
di consumo, mangini, medicinali ecc…)
Euro _______________________ B
• Imposte, tasse e contributi
Euro _______________________ C
• Manodopera extrafamiliare
Euro _______________________ D
• Canoni d’affitto
Euro _______________________ E
• Accantonamenti
Euro _______________________ F
Margine Lordo Aziendale (MLA ante) (A-B-C-D-E-F)
Euro _______________________
Unità Lavorative impiegate (ante) n.______ MLA/U.L. (ante) _______________________
Seconda Sezione • Situazione di arrivo
• PLV o Fatturato annuo aziendale (post)
Euro _______________________ A
• Costi variabili (carburanti, sementi,
fertilizzanti, fitofarmaci, materiali
di consumo, mangimi, medicinali ecc…)
Euro _______________________ B
• Imposte, tasse e contributi
Euro _______________________ C
• Manodopera extrafamiliare
Euro _______________________ D
• Canoni d’affitto
Euro _______________________ E
• Accantonamenti
Euro _______________________ F
Margine Lordo Aziendale (MLA post) (A-B-C-D-E-F)
Euro _______________________
Unità Lavorative impiegate (post) n.______ MLA/U.L. (post) _______________________
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In alternativa a tale schema, per le aziende che già ne sono in possesso, potrà essere utilizzato lo schema della "sezione I - imprese" del modello IRAP, che contiene un bilancio
semplificato delle componenti positive e negative della gestione aziendale e che può essere considerato significativamente rappresentativo della realtà economica aziendale.
Le voci corrispondono alle principali categorie economiche di un bilancio semplificato e,
senza avere la pretesa di un'estrema analiticità, possono essere descritte come segue:
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"PLV - Produzione Lorda Vendibile (o in alternativa il fatturato aziendale)": la PLV è costituita dal valore dei prodotti che l'azienda realizza durante l'anno e che sono destinati alla
vendita (indipendentemente dal fatto che siano effettivamente venduti durante l'esercizio
o meno); sono esclusi pertanto quei prodotti destinati ad essere reimpiegati nel ciclo produttivo aziendale come i foraggi per le aziende zootecniche. In tali aziende, inoltre, la produzione della stalla va quantificata come Utile Lordo di Stalla (ULS) corrispondente alla
differenza tra l'inventario finale (incrementato del valore dei capi venduti nel corso dell'anno) e l'inventario iniziale (incrementato del valore dei capi acquistati, sempre nel corso dell'anno).
Attuando un'estrema semplificazione, è possibile assimilare al valore della PLV quello del
fatturato aziendale, desumibile dalle risultanze fiscali.
"Costi Variabili": in questa categoria si riassumono tutti quei costi legati ai singoli processi produttivi, anche se non effettivamente sostenuti nel corso dell'anno, ma comunque
legati ai prodotti il cui valore entra a far parte della PLV; vanno valutati tutti i costi sostenuti per l'acquisto di mezzi tecnici (fitofarmaci, fertilizzanti, mangimi, medicinali veterinari e integratori, carburanti e lubrificanti, energia elettrica, gas e acqua di pertinenza aziendale, materiali vari di consumo), noleggi, contoterzismo ecc.. Si assimilano a questa categoria di costi, per semplificazione, quelle spese generali non strettamente legate alle singole produzioni ma comunque aventi carattere annuale come assistenza tecnica, veterinaria, spese telefoniche, servizi di vario genere come smaltimento rifiuti speciali, fiscale,
quote associative. Anche tale valore può essere desunto dalla contabilità fiscale dell'azienda utilizzando le voci di acquisto in essa indicate.
"Imposte, tasse e contributi": vanno conteggiate tutte le imposte cui è soggetta l'azienda
(IRPEF, IVA, IRAP) e le tasse (rifiuti, tassa di circolazione veicoli aziendali, tasse locali
come occupazione suolo pubblico per vendita ambulante); non vanno dimenticati i contributi consortili (consorzi di bonifica, fitosanitario, grandine, ove presenti) e quelli previdenziali INPS.
"Manodopera extrafamiliare": deve essere conteggiata la spesa effettuata per apporto di
manodopera extrafamiliare, dato che il significato del presente bilancio è quello di calcolare un margine lordo dell'impresa familiare; pertanto rientrano in questo punto le spese
per retribuzioni di manodopera sia fissa che avventizia, facendo attenzione a non conteggiare due volte la quota di imposte e contributi previdenziali che, se attribuita a questo
capitolo non va ovviamente conteggiata sul precedente.
"Canoni d'affitto": su questa voce carichiamo tutti i canoni d'affitto sia di terreni che di fabbricati, non di proprietà, utilizzati per l'attività aziendale, escludendo quindi quelli per
l'abitazione della famiglia, ma inserendo ovviamente i canoni di eventuali locali presi in
affitto per deposito e/o vendita prodotti.
"Accantonamenti": il concetto che sta alla base degli "accantonamenti" consiste nella
necessità di ripartire egualmente su ogni anno alcuni costi che si verificano saltuariamente ma la cui incidenza non può gravare su un unico esercizio.
Per effettuare una stima, anche se grossolana e di larga approssimazione, della voce
"accantonamenti", si dovrebbe fare:
• una sommatoria del prezzo d'acquisto di tutte le dotazioni meccaniche aziendali (trattrici, attrezzi, automezzi, impianti di irrigazione ecc.) e calcolare su tale valore una percentuale dal 6,50 al 10% a seconda che si stimi un tempo medio di durata di tali dotazioni dai 15 ai 10 anni;
• una sommatoria del costo di impianto delle piantagioni arboree (vigneti, oliveti e frutteti) e calcolare su tali costi una percentuale che può andare dall' 1 - 2 % degli oliveti al 3-4% dei vigneti fino al 5-7% dei frutteti;
• una sommatoria del costo dei fabbricati e calcolare su tale valore almeno l'1%.
In più, come accantonamento assicurativo, se già tale voce di costo non è stata inserita nei
costi variabili, si dovrebbe stimare un valore attorno al 4-5% della PLV media annua.
"Margine Lordo Aziendale": sottraendo tutte le voci di costo elencate dalla PLV, otteniamo
un risultato finale che qui chiameremo, anche se impropriamente (prendendo a prestito un
termine che ordinariamente ha un significato un po' diverso), "margine lordo aziendale" e
che corrisponde, in questo caso, alla remunerazione del lavoro della famiglia coltivatrice e
del capitale investito, al lordo del cosiddetto "reddito d'impresa". Il reddito d'impresa, che
potrà agire sul margine lordo aziendale sia in negativo che in positivo, esprimerà nella sua
entità la maggiore o minore abilità imprenditoriale dell'azienda, anche in relazione alle
"rendite di posizione" di cui può godere a causa di un'ubicazione particolarmente favorevole e/o del posizionamento di mercato in una fascia di prodotto più o meno di pregio o di
nicchia.
L'indice che andremo a ricavare alla fine sarà il "margine lordo per unità lavorativa aziendale", che ci darà un valore raffrontabile tra la situazione "ante" e la situazione "post".
Ogni considerazione finale è lasciata a questo punto alla ponderazione di tutti i fattori,
familiari, umani, sociali ecc. che non possono ovviamente entrare in questa trattazione ma
che devono essere visti caso per caso nell'ambito delle realtà in cui la decisione viene
maturata.
Le problematiche normative
Il D.Lgs. 228/01 dispone, all'art. 4, primo comma, che "gli imprenditori agricoli" (così
come definiti al precedente articolo 1) "singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art 8 della legge 29 dicembre 1993 n. 180 possono vendere direttamente al
dettaglio, in tutto il territorio della repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente
dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità".
Il 5° comma del medesimo articolo estende la facoltà di vendita al dettaglio anche ai "prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti
agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa".
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L'imprenditore agricolo ha quindi la facoltà di vendere e trasformare i prodotti agricoli, purché provenienti in misura prevalente dalla propria azienda; vengono comunque fissati dei
limiti massimi alla quota di prodotto di origine extra - aziendale che può essere commercializzata in 80 milioni di Lire (Euro 41.316,55) per le ditte individuali e 2 miliardi di Lire
(Euro 1.032.913,80 ) per le società.
Non vengono applicate pertanto all'imprenditore agricolo le norme generali che disciplinano il commercio di cui al D.Lgs. 114/98 e pertanto non vi è alcun obbligo di iscrizione al
R.E.C. (Registro Esercenti Commercio) né di osservare particolari orari di apertura e chiusura.
È però necessario ottemperare all'obbligo della comunicazione, che va indirizzata al
Sindaco del Comune ove ha sede l'azienda di produzione, per esercitare la vendita in forma
itinerante o anche per chi intenda attuare forme di "commercio elettronico" (forma di commercio che si attua attraverso la rete Internet ed a cui è dedicato successivamente un
apposito capitolo) ed al Sindaco di quello in cui si intende esercitare l'attività di vendita
per chi voglia attuarla in sede fissa, su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico.
La comunicazione deve contenere, oltre alle generalità dell'imprenditore agricolo, gli estremi di iscrizione al registro delle imprese e l'indicazione dell'ubicazione dell'azienda. Nella
comunicazione devono inoltre essere specificati i prodotti di cui si intende effettuare la
vendita e le modalità con cui si intende praticarla; in caso di vendita su aree pubbliche,
dovrà inoltre essere richiesta contestualmente l'assegnazione di un "posteggio".
Il modello di comunicazione, che generalmente ogni Comune mette a disposizione, contiene, oltre a quanto detto sopra, anche una serie di dichiarazioni rientranti nella sfera delle
autocertificazioni e dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese ai sensi del DPR
445/00. Chi effettua la comunicazione deve attestare il possesso dei requisiti di ammissibilità allo svolgimento dell'attività ed in particolare: la non sussistenza di condanne nell'ambito delle frodi in materia alimentare o di sanità, il non superamento dei limiti previsti dal decreto per i ricavi provenienti da prodotti extra - aziendali, il possesso delle autorizzazioni sanitarie (nelle forme previste per le diverse tipologie di prodotto) e delle autorizzazioni regionali (per i prodotti vegetali).
Le problematiche sanitarie
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Le autorizzazioni da ottenere
Fatta eccezione per la coltivazione e la raccolta, le fasi di confezionamento, trasformazione e vendita dei prodotti alimentari sono soggette alla normativa sanitaria che detta l'insieme dei requisiti che permettono di ottenere l'autorizzazione sanitaria comunale (riferimenti di legge: Legge 18 Marzo 1977 n° 63 - Legge 30 Aprile 1962 n° 283 - D.P.R. 26
Marzo 1980 n° 327).
1 Con il primo gennaio 2006 è entrato pienamente in vigore a livello europeo il "Pacchetto Igiene" cioè la serie di regolamenti comunitari destinati a modificare in parte il quadro normativo della sicurezza alimentare. Al Regolamento 178/02, in vigore dal gennaio 2005,
hanno fatto seguito, a completamento del "Pacchetto", i Regolamenti 852/04 (igiene dei prodotti alimentari), 853/04 (alimenti di origine animale), 854/04 (controlli ufficiali), 882/04 e 183/05 (mangimi).
Nel testo si fa però riferimento alla normativa precedente in quanto non risultano ancora definiti e chiariti i criteri di applicazione del
nuovo quadro legislativo.
A questo proposito ogni comune attua un proprio regolamento in materia di igiene e sanità degli alimenti, che prescrive le caratteristiche delle attività connesse con la trasformazione, il confezionamento, la vendita e la somministrazione di cibi e bevande; nell'espletamento delle funzioni autorizzative in materia sanitaria i comuni sono coadiuvati dalle
Aziende USL che attraverso i propri servizi tecnici effettuano le istruttorie ed i controlli.
Prima di inoltrare quindi la comunicazione di "Inizio Attività" al Sindaco, bisogna aver ottenuto l'autorizzazione sanitaria comunale per i locali in cui si effettuano le seguenti tipologie di attività in campo alimentare:
• produzione, preparazione e confezionamento di alimenti e bevande (compresi i piccoli
laboratori annessi agli esercizi di vendita o di somministrazione);
• depositi all'ingrosso di sostanze alimentari;
• depositi al dettaglio in locali ubicati in sede diversa o, comunque, separati dagli esercizi di vendita e destinati al rifornimento di questi ultimi;
• somministrazione di alimenti e bevande;
• vendita delle carni.
Gli esercizi che effettuano esclusivamente la vendita di alimenti e bevande devono ottenere, prima dell'inizio dell'attività, il nulla osta sanitario rilasciato dai servizi competenti, attestante la idoneità igienico sanitaria dei locali e delle attrezzature
Anche le cisterne ed i contenitori adibiti al trasporto delle sostanze alimentari sfuse a
mezzo di veicoli sono soggetti ad autorizzazione sanitaria.
Il libretto di idoneità sanitaria per gli addetti agli esercizi è stato abolito, in Emilia Romagna, con l'applicazione della delibera di G.R. n 342 del 01/03/2004; tale attestazione sarà sostituita da corsi di formazione e aggiornamento in materia di igiene degli alimenti (L.R. 11/2003).
Requisiti dei locali
Per gli esercizi di produzione, trasformazione, confezionamento, deposito, vendita e somministrazione di alimenti e bevande, fatto salvo quanto previsto da altre disposizioni o da
altre norme speciali, e considerando comunque come necessaria l'agibilità e la conformità della destinazione d'uso all'utilizzo previsto, sono generalmente richiesti i seguenti
requisiti:
• accesso dalla pubblica via o da altro luogo pubblico o comunque aperto al pubblico ed
ubicazione a conveniente distanza da cause di insalubrità ed inquinamento;
• assenza di comunicazione diretta con la civile abitazione;
• dotazione di acqua potabile;
• le pareti dei locali destinati alla lavorazione di alimenti o bevande devono essere lisce,
intonacate e tinteggiate, rivestite fino ad una altezza di 2 m dal suolo con materiale
resistente, non tossico, liscio, lavabile, impermeabile e disinfettabile e devono avere
spigoli e angoli arrotondati;
• le pareti dei locali destinati a deposito di alimenti e bevande devono essere lisce, into-
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nacate e tinteggiate. Fino ad altezza di 2 m dal suolo, dovrà essere utilizzata tinta o
altro materiale resistente, non tossico, liscio, lavabile, impermeabile;
• i pavimenti di tutti i locali devono essere a superficie continua, integra, realizzati con
materiale resistente, impermeabile, facilmente lavabile e disinfettabile; i pavimenti dei
laboratori e delle zone di lavorazione devono inoltre avere spigoli e angoli arrotondati;
ove ritenuto necessario i pavimenti devono essere dotati di sistemi di raccolta delle
acque di lavaggio raccordabili in fognatura o di altri sistemi di scarico regolarmente
autorizzati;
• i soffitti e le attrezzature sopraelevate devono essere costruiti e rifiniti in modo da evitare l'accumulo di sporcizia, ridurre la condensa e la formazione di muffe;
• le finestre e le altre aperture devono essere dotate di reti antinsetti facilmente amovibili per la pulizia;
• le porte devono avere superfici lisce e non assorbenti, facilmente pulibili e, se necessario, disinfettabili;
• dotazione di uno o più servizi igienici ad uso esclusivo del personale ed in rapporto al
numero dei dipendenti, non direttamente comunicanti con i locali di lavoro e deposito
e con accesso dall'interno dell'esercizio; il servizio igienico s'intende costituito da un
locale destinato ad accogliere wc o turca e da un vano antiservizio dotato di lavandino
con erogatore d'acqua calda e fredda (azionabile a pedale, fotocellula o con modalità
similari ad uso del personale), distributore di sapone, asciugamani a perdere o ad emissione d'aria, porta a chiusura automatica. Le pareti dei due vani devono essere piastrellate fino ad un'altezza di 2 m; la parete di divisione fra i due vani deve essere a tutta
altezza. Non sono ammesse porte a soffietto o comunque tali da non garantire una completa separazione. Sia il locale wc che l'anti-bagno devono avere superficie minima di
1 m2; devono garantire i normali movimenti delle persone e devono essere separati fisicamente a tutta altezza da altri ambienti;
• dotazione di un locale spogliatoio con superficie minima di 2 m2 da aumentarsi di 1
m2 per ogni addetto oltre al primo. Lo spogliatoio deve garantire i normali movimenti
delle persone, in relazione all'uso e pertanto deve presentare il lato minore non inferiore a 1 m. Lo spogliatoio deve essere attrezzato con armadietti a doppio scomparto, in
numero pari agli addetti, per la custodia degli abiti civili e da lavoro. Detto locale deve
essere posizionato in zona tale da evitare possibili rischi di contaminazione nei locali
di lavorazione; in particolare, non deve essere raggiungibile attraversando il laboratorio;
• presenza di una dispensa o deposito per gli alimenti ad uso esclusivo dell'attività. Tale
dispensa deve essere posizionata in zona tale da evitare possibili rischi di contaminazione nei locali di lavorazione e da assicurare una specifica via di accesso dall'esterno
per lo scarico delle materie prime;
• presenza di un apposito spazio chiuso per il deposito delle attrezzature occorrenti per
la pulizia;
• idonei contenitori in materiale lavabile dotati di coperchio a tenuta, con apertura a
pedale, per la raccolta dei rifiuti e la loro temporanea conservazione in attesa di smaltimento;
• gli impianti, le macchine e gli utensili installati devono rispettare le norme vigenti sui
materiali destinati a venire a contatto con sostanze alimentari e rispondere ai requisiti
previsti in materia di sicurezza; tali impianti, macchinari ed utensili, così come gli arre-
di ed i mobili presenti nell'esercizio, devono garantire facile e completa pulizia;
• in caso di attività con produzione di effluenti gassosi particolari quali fumi, vapori, esalazioni moleste, occorre prevedere idonei sistemi di prevenzione tecnologica ed impianti di ricambio dell'aria secondo le prescrizioni di volta in volta dettate dal Servizio di
Igiene Pubblica e dal Servizio Prevenzione e Salute Ambienti di Lavoro.
Per i locali antibagno, spogliatoio e dispensa soluzioni diverse possono essere ammesse
limitatamente a piccole strutture (piccoli laboratori annessi ad esercizio di vendita e negozi di vendita) a fronte di particolari situazioni logistiche e tecniche.
Deroghe per i prodotti "tradizionali"
Il D.Lgs. 173/98, art. 8, con l'intento di favorire il mantenimento delle tradizioni alimentari italiane, ha istituito gli elenchi regionali dei prodotti tradizionali, per i quali vengono
fissate le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura il cui uso risulta consolidato dal tempo (minimo 25 anni), ed il cui insieme va a costituire l'Elenco nazionale, che
viene pubblicato sulla G.U. entro il 30 luglio di ogni anno.
Sempre al medesimo articolo, al comma 2, viene stabilito che, con decreto del Ministero
della Sanità, di concerto con quello delle Politiche agricole e dell'Industria, e con la
Conferenza Stato - Regioni, sono definite le deroghe riferite ai prodotti tradizionali di cui
sopra, riguardanti l'igiene degli alimenti, consentite dalla regolamentazione comunitaria.
Le deroghe consistono nella possibilità di utilizzare strumenti, recipienti, ambienti di stagionatura ecc. non strettamente in linea con i normali requisiti igienico - sanitari di cui al
punto precedente, ma il cui uso rientra nei canoni del processo tradizionale di lavorazione
del prodotto.
La giustificazione di tali deroghe discende quindi dal fatto che, a seguito di una consolidata tradizione di lavorazione, le metodologie e le tecniche in uso per l'ottenimento di tali
prodotti sono ampiamente collaudate e costituiscono da sole una garanzia di sicurezza alimentare, oltre a risultare determinanti per il conferimento dello specifico carattere di tipicità al prodotto.
Dato che ogni deroga deve comunque rientrare nell'ambito di quanto consentito dalla legislazione comunitaria, non si potrà prescindere comunque dall'applicazione di un serio ed
adeguatamente strutturato sistema di autocontrollo.
Il piano di autocontrollo HACCP
Il Ministero della Sanità, con il D.Lgs. 155/97, ha recepito la Direttiva Comunitaria n. 43
del 1993, che ha di fatto esteso agli operatori del settore alimentare (con l'unica esclusione dei produttori di materie prime, ad esempio le aziende agricole il cui ciclo produttivo si
conclude con la raccolta o con la mungitura) l'obbligo di mettere in atto un sistema di autocontrollo igienico finalizzato a tutelare la salute del consumatore.
La metodologia da adottare, per organizzare il sistema di autocontrollo, è quella che prevede un'analisi svolta secondo il cosiddetto metodo Hazard Analysis Critical Control Point
(HACCP) ossia Analisi dei Rischi - Punti Critici di Controllo.
La vera novità, che di fatto è stata introdotta anche in alcune "aziende agricole", non è
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tanto riscontrabile in termini di prescrizioni strutturali aggiuntive rispetto alla precedente
normativa in vigore, ma in termini di consapevole e "responsabile" gestione dell'elemento
"sicurezza" dell'alimento nei confronti del consumatore.
Il metodo HACCP: in che consiste?
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Il metodo parte dalla ricerca di tutti i pericoli che potrebbero insorgere durante il processo produttivo, effettuata mediante l'analisi del diagramma di flusso e quindi delle singole
fasi produttive.
Ogni fase produttiva dovrà essere sottoposta ad accurata analisi in modo da evidenziare se
durante il suo svolgersi possono manifestarsi dei pericoli (ad es. contaminazioni microbiologiche, rilascio di sostanze chimiche pericolose, contaminazioni particellari) e se esistono misure di controllo che possono essere adottate per ogni singolo pericolo.
Successivamente, in base all'esperienza ed alla documentazione ufficiale, si procederà ad
una selezione dei pericoli banali o con una bassissima possibilità di manifestazione o sviluppo, che quindi non richiedono la messa a punto di procedure in grado di controllarli, e
pericoli che invece per la loro gravità richiedono uno specifico sistema di prevenzione.
È molto importante chiarire che con il termine "critico" (altrimenti traducibile con decisivo, basilare, sostanziale) viene messo in evidenza che tale metodologia ha lo scopo di
attuare solo sistemi di prevenzione sicuramente efficaci (solo il controllo di pochi fattori ha
una sostanziale efficacia per prevenire l'insorgenza di un rischio).
Tale controllo deve avvenire definendo una serie di procedure basate su un'attività di prevenzione organizzata sistematicamente e documentata in ogni sua fase.
Per definire un sistema documentato è indispensabile fissare i limiti dei parametri critici
(ad es. limiti di temperature accettabili, limiti di concentrazione di certe sostanze, limiti
circa la presenza di microrganismi ecc.) da tenere sotto controllo in modo da intervenire
con le azioni correttive solo quando tali parametri vengono superati.
Al fine di poter procedere ad una valutazione oggettiva dei parametri critici, occorre mettere in atto un sistema di monitoraggio dei dati critici da tenere sotto controllo: quando il
monitoraggio indica il superamento dei limiti prefissati, e quindi una "non conformità", si
deve intervenire con le previste azioni correttive, a loro volta procedurate e sottoposte a
valutazione di efficacia.
Il monitoraggio consente di controllare la conformità delle varie operazioni alle condizioni
operative prestabilite; se ad esempio un CCP (controllo di punto critico, o punto di prevenzione) richiede il controllo di un parametro ambientale entro i limiti prefissati, il monitoraggio e quindi la misurazione con adeguata strumentazione, consente una verifica della
rispondenza di tale parametro ai limiti stabiliti.
L'insieme dei vari CCP e delle procedure di prevenzione dei pericoli igienici per il consumatore, inerenti i prodotti alimentari lavorati in azienda, costituisce il "Sistema di
Autocontrollo Igienico" dell'azienda stessa, che dovrà essere descritto nel Manuale
Aziendale di Autocontrollo dell'Igiene.
Un altro elemento importante della metodologia HACCP è la verifica dell'efficacia delle
attività preventive e di controllo al fine di accertare che il meccanismo di autocontrollo
garantisca ragionevolmente in ordine alla sicurezza igienico sanitaria del prodotto.
Le verifiche di efficacia riguardano due differenti livelli:
1 - l'efficacia del controllo sui singoli punti di prevenzione (CCP);
2 - l'efficacia dell'intero sistema.
Il livello di verifica riferito ai CCP, riguarda la verifica periodica del funzionamento del
sistema a livello di singolo punto critico: ad esempio, nel caso in cui sia stato individuato
un "pericolo roditori", un intervento di monitoraggio con esche per roditori che evidenzi l'assenza di infestazione, è la prova che le misure preventive adottate rispetto al pericolo risultano efficaci.
In relazione al livello di verifica sull'intero sistema di autocontrollo, il complessivo buon
funzionamento può essere accertato tramite controlli periodici sul prodotto finito e/o semilavorati (soprattutto di tipo analitico) e/o mediante altre analisi (ad es. tamponi su superfici, impianti, persone ecc.) da cui emerga la conformità alle specifiche igieniche.
Una procedura sistematica di verifiche, sia a livello dei singoli CCP, che a livello dell'intero sistema, implica l'esecuzione di un numero elevato di analisi, misure e verifiche ispettive, tale da risultare insostenibile sotto il profilo organizzativo e finanziario per aziende di
dimensioni modeste e non dotate di laboratorio di analisi interno.
In questi casi sarà messo in atto un meccanismo di verifica semplificato, così ipotizzabile:
1 - attuazione di sistemi di verifica periodica, a valle dei CCP, per accertarsi del buon funzionamento delle misure preventive e del sistema di monitoraggio messo in atto. Sarà
opportuno privilegiare sistemi di controllo visivo e/o con strumenti di facile applicazione;
2 - verifica periodica, da stabilire in funzione del livello di rischio connesso al prodotto,
dell'efficacia complessiva del sistema, con analisi di conformità del prodotto finito alle
specifiche igienico sanitarie.
Occorre ricordare che il sistema di autocontrollo aziendale deve essere riveduto ogni volta
che vengono apportate modifiche al processo di lavorazione che potrebbero influire sugli
aspetti igienici del prodotto. Quindi il sistema stesso, il manuale e tutte le procedure non
costituiscono un insieme statico, ma in continua evoluzione e miglioramento.
Il regime di autocontrollo "semplificato"
L'adozione da parte delle imprese agricole di sistemi di autocontrollo semplificati è prevista dalla delibera della G.R. dell'Emilia - Romagna n. 717 del 28/03/2000; essa si attua
in alcune tipologie di "industrie alimentari", ed in particolare:
a - aziende agricole ove viene unicamente svolta attività di deposito per la vendita all'ingrosso e/o vendita al consumatore finale;
b - depositi di prodotti alimentari, deperibili e non deperibili, ove non vi è alcuna manipolazione di alimenti;
c - esercizi per la vendita al dettaglio e/o somministrazione al consumatore finale, ivi compreso l'agriturismo, con esclusione della grande distribuzione.
L'applicazione dell'autocontrollo con procedura semplificata del sistema HACCP deve essere attuata secondo i seguenti criteri generali:
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- l'individuazione delle fasi di attività;
- la definizione di ciascuna fase delle misure preventive di controllo applicate e gestite
secondo corretta prassi igienica o buone pratiche di lavorazione (GMP*);
- la definizione della natura e frequenza delle verifiche previste sull'efficacia delle misure applicate e di quelle sull'efficienza delle apparecchiature e attrezzature;
- la definizione delle misure da applicare alle non conformità.
La documentazione che l'azienda deve tenere riguarderà:
- il piano aziendale di autocontrollo / descrizione fasi di attività e modalità applicazione
GMP (corretta prassi igienica o buone pratiche di lavorazione);
- a registrazione / documentazione delle verifiche periodiche e i relativi risultati;
- la registrazione delle non conformità riscontrate e delle misure correttive poste in essere.
*Manuale di corretta prassi igienica (GMP): questo documento può essere redatto da parte dei vari settori dell’industria alimentare con la collaborazione delle varie parti interessate (autorità competenti, associazioni di prodotto e dei
consumatori). E’ un documento che potrà essere di orientamento e consultivo per coloro che, appartenendo a quella stessa categoria produttiva, dovranno mettere in atto un sistema di autocontrollo aziendale. Ovviamente si mantiene a livello generico riferendosi ad un processo e prodotto “tipo”. Per avere valenza ufficiale deve essere validato
dal Ministero della Sanità.
Le problematiche fiscali
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IVA e regime speciale
Escludendo il campo delle aziende che operano in regime di esenzione perché non superano i limiti minimi di fatturato previsti dalla legge, le quali peraltro non soddisfano generalmente neppure il requisito dell'iscrizione al registro imprese della CCIAA necessario per
applicare le norme relative alla vendita diretta previste dal decreto legislativo 228/01, la
maggior parte delle aziende agricole applica il cosiddetto "regime speciale" in termini di
IVA, di cui all'art. 34 del DPR 633/72.
Tale regime può essere applicato solo da chi è imprenditore agricolo ai sensi dell'art. 2135
del C.C. limitatamente alla cessione dei prodotti elencati nell'allegato A) - parte prima - al
citato DPR 633/72 e prodotti dall'azienda stessa.
Con l'emanazione del DPR 228/01 e l'applicazione dei relativi mutamenti nella figura dell'imprenditore agricolo e delle facoltà ad esso concesse nell'ambito della vendita diretta,
non sembra mutato sostanzialmente il quadro generale. In sostanza, per quanto riguarda
la cessione di prodotti di altre aziende, qualora essi vengano commercializzati come tali e
non entrino a far parte del ciclo produttivo aziendale "al fine di migliorare la qualità del
prodotto finale" l'IVA che ne consegue deve essere considerata afferente a "operazioni
diverse" e pertanto assoggettata al regime ordinario. Per fare un esempio, l'allevatore di
ovini che produce formaggi ed acquista latte bovino per produrre formaggi misti o per particolari produzioni casearie che ampliano e migliorano la qualità dell'offerta aziendale,
potrà assoggettare il totale delle vendite al regime speciale, mentre qualora acquistasse
formaggi da altri caseifici per offrire nello spaccio aziendale una più ampia gamma di prodotti, dovrebbe assoggettare le vendite di quella parte di prodotto al regime IVA ordinario.
Lo scontrino fiscale
Gli imprenditori agricoli che operano in regime speciale ex art. 34 DPR 633/72, sono esentati, in base all'art. 12, comma 2 della l. 413/91 dall'emissione dello scontrino fiscale nel
caso di vendita al consumatore finale di prodotti elencati nella citata tabella A) di detto
DPR; l'unico adempimento che compete loro è quello di annotare l'ammontare dei corrispettivi giornalieri nell'apposito registro, distinti secondo l'aliquota applicabile, entro il
giorno successivo a quello in cui i corrispettivi si riferiscono. Per la cessione di prodotti in
regime IVA ordinario (cessione di prodotti non compresi nella citata tabella A, cessione di
prodotti extra - aziendali, aziende che optano in toto per il regime IVA ordinario) è necessaria invece l'emissione della certificazione fiscale (scontrino, ricevuta fiscale o fattura).
Permane comunque l'obbligo di emissione della fattura in ogni caso di vendita a soggetti
diversi dal consumatore finale.
IRPEF ed attività connesse
Ai fini dell'imposta sul reddito, le aziende agricole costituite da ditte individuali e società
di persone assoggettano a tassazione l'imponibile derivante dalla rendita catastale dei terreni aziendali.
Ciò vale però, ai sensi del DPR 917/86 art. 29, solo per quelle attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli e zootecnici che rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura, secondo la tecnica che "governa" tale esercizio e che
abbiano per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso.
Si desume da ciò che attività di commercializzazione e trasformazione fortemente specializzate, che vengono portate avanti con personale specifico che non partecipa alla restante attività produttiva aziendale, o anche attività di commercializzazione che non discendono da manipolazione o trasformazione effettuata in azienda, dovrebbero essere considerate attività diverse.
Qualora venga quindi a mancare il nesso diretto con il ciclo normale dell'agricoltura, l'applicazione della normativa fiscale si fa restrittiva e porta a considerare redditi diversi quelli che si realizzano in tali modalità.
Le attività che la legge di orientamento introduce nell'ambito delle possibilità operative
dell'azienda agricola (vendita diretta, trasformazione, contratti con enti pubblici) sono per
lo più svincolate dall'esercizio ordinario dell'attività agricola e pertanto la normativa IRPEF
risulta a tale riguardo obsoleta e non più in linea con il nuovo status dell'imprenditore agricolo.
Se ne deduce che, allo stato attuale, l'azienda agricola possa continuare a ritenersi tale dal
punto di vista giuridico ma, qualora svolga attività che non posseggono il requisito di connessione con l'esercizio normale dell'agricoltura, debba riferirsi, dal punto di vista delle
imposte sui redditi, a regimi fiscali diversi, come ad esempio avviene per le attività agrituristiche o di contoterzismo.
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Le problematiche commerciali e di prodotto
L'organizzazione del punto vendita: il "visual merchandising"
Il punto vendita costituisce il contesto nel quale il cliente decide l'acquisto ed opera la
scelta del tipo di prodotto che desidera acquistare; molto spesso si entra in un negozio
"solo per dare un'occhiata" e si finisce per uscirne carichi di acquisti. L'organizzazione
degli spazi e l'arredo del punto vendita giocano in questo processo un ruolo fondamentale.
Questi aspetti sono considerati dal cosiddetto visual merchandising che consiste nell'insieme delle tecniche di gestione dell'immagine del negozio, capaci di influenzare, facilitare
ed incrementare le vendite.
L'obiettivo fondamentale del visual merchandising è di creare, attraverso un corretto uso
degli strumenti espositivi, strutture, comunicazione ed illuminazione, un ambiente dove il
cliente si trovi totalmente a suo agio e nelle condizioni ideali per prendere decisioni d'acquisto.
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La creazione di un ambiente di vendita di successo si ottiene attraverso:
• razionale gestione degli spazi sul punto vendita;
• corretto posizionamento delle strutture espositive;
• adeguata suddivisione e collocazione delle merci per affinità di destinazione e categoria merceologica;
• appropriata scelta dei colori, dell'illuminazione, della temperatura, delle immagini,
della musica e della comunicazione.
Il corretto utilizzo poi delle tecniche di visual merchandising permetterà di creare anche
con gli stessi prodotti presentazioni sempre diverse. Ciò renderà attrattivo il punto vendita
anche ad un cliente abituale.
L'obiettivo da perseguire: attrarre e indirizzare il cliente
Per raggiungere il risultato di creare un punto di attrazione per il cliente, si dovranno sviluppare i seguenti punti:
a - creare un ambiente accogliente e gradevole attraverso la realizzazione di locali piacevolmente arredati, secondo uno stile rustico ma al tempo stesso ricercato, senza eccedere in suggestioni etniche fuori contesto ma rimanendo il più possibile ancorati all'immagine tradizionale del territorio con sobrietà ed eleganza. L'illuminazione, la climatizzazione, i colori, la diffusione di musica sono tutti fattori da prendere in considerazione per creare un contesto favorevole;
b - comunicare messaggi chiari: i prodotti devono essere descritti nella loro tipicità e deve
essere il più possibile resa esplicita la provenienza (se aziendale o locale ma di aziende vicine o di altre provenienze). Non è consigliabile giocare sull'equivoco, con il
rischio di innescare ritorni negativi in clienti che potrebbero sentirsi ingannati;
c - trasferire emozione al cliente: il fascino della tradizione e della connessione con un'attività svolta in prima persona dal venditore deve essere comunicato con la presenza di
operatori consapevoli e compartecipi dei processi produttivi, capaci di trasmettere la
passione per il lavoro "fatto con cura" e offerto al pubblico con tale consapevolezza;
d - contraddistinguere l'azienda: dare un'immagine dell'azienda che risulti unitariamente
dai prodotti presentati, attraverso uno studio coordinato delle confezioni e dei marchi;
i punti di forza dovranno essere individuati in ciò che rende unica l'azienda produttrice (ubicazione, storia, tradizione produttiva).
Gli stimoli del cliente presso il punto vendita
La visita del cliente presso il punto vendita dovrà essere aiutata attraverso stimoli volti a:
a - facilitare la scelta (corretto posizionamento dei prodotti per rendere leggibile l'offerta);
b - stimolare all'acquisto (dare contenuto emotivo agli aspetti intrinseci del prodotto);
c - favorire acquisti multipli (puntando sugli abbinamenti finalizzati ad un migliore utilizzo dei prodotti: ad es. formaggi - miele);
d - enfatizzare la promozionalità del punto vendita (evidenziare le novità, le offerte e le
opportunità proposte).
Le attese dei consumatori
Tali stimoli devono combinarsi con le attese dei consumatori che oggi possono riassumersi nei seguenti punti:
Libertà
- Circolare facilmente nel punto vendita senza avere interferenze nella propria permanenza e nella volontà di esaminare e raffrontare i prodotti (il personale di vendita non deve
"pressare" il cliente ma essere immediatamente disponibile a richiesta sua per fornire
informazioni sui prodotti).
- Accedere a tutti i prodotti (i percorsi non devono essere strettamente obbligati ma guidare comunque il cliente a prendere visione di tutto quanto esposto, vanno evitati quindi sia i percorsi a labirinto che costringono il cliente a lunghi giri obbligati per spostarsi da un punto all'altro, sia quelli troppo diretti che conducono direttamente all'uscita
o creano punti morti di improbabile accesso.
Chiarezza
- Il cliente deve comprendere facilmente il tipo e le caratteristiche di ogni prodotto con etichettatura chiara e materiale informativo.
- L'organizzazione del negozio deve essere intuitiva e presentare all'inizio i prodotti per i
quali il cliente ha bisogno di più tempo per maturare una scelta ed effettuare i confronti
mentre alla fine del percorso, quando il cliente comincia a sentire l'esigenza di uscire dal
negozio avendo esaurito il tempo a disposizione, possono essere collocati i prodotti più di
base e di uso corrente che possono essere acquistati senza particolare ponderazione,
assieme alle offerte speciali con prezzi promozionali.
- Le famiglie di prodotto devono essere tenute assieme, senza disperdere prodotti omogenei in più punti col rischio di penalizzare quelli meno visibili, a meno che non si voglia far
convergere l'attenzione su particolari assortimenti da lanciare o da esaurire come stock.
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- I prezzi devono essere chiaramente leggibili e confrontabili, esponendo quindi vicino al
prezzo della confezione anche quello unitario del prodotto (al Kg, al Litro); se la clientela è prevalentemente italiana è gradito ancora, a fianco del prezzo in Euro, quello corrispondente in Lire.
Piacere
- Il cliente deve scoprire un'offerta attuale, rinnovata e attrattiva, anche quando si tratta di clientela abituale, attraverso un continuo rinnovamento dell'offerta, pensata in
rapporto ai prodotti di stagione, con la possibilità di degustare sempre cose diverse.
Per progettare un nuovo punto vendita o per modificarne uno esistente, si dovrà partire da
un'accurata analisi dei fattori logistici. L'analisi del punto vendita al fine di ottimizzarne
l'assetto in un'ottica di merchandising, si farà dunque secondo il medesimo approccio che
ha il cliente in negozio: dalla percezione generale alla visione da vicino.
Analisi dei fattori logistici:
1) come si sposta il cliente
Il cliente si sposta in funzione di tendenze naturali e subisce inoltre l'influenza del locale
(scaffalatura lineare e mobili centrali). Occorre quindi:
- osservare e analizzare i flussi dei clienti;
- conoscere le zone strategiche (dove il cliente passa e si ferma).
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2) i punti di riferimento e di orientamento del cliente
I clienti devono visualizzare e comprendere istantaneamente i reparti e la loro collocazione. È necessario far percepire l'organizzazione dei reparti (segnaletica primaria, secondaria, terziaria). Occorre stabilire delle famiglie di prodotti e dei lineari logici. Deve essere
chiara la forma di presentazione (altezza omogenea dei prodotti, aspetto delle confezioni
che ne permetta l'identificazione come gruppo omogeneo).
3) i punti di attrazione del negozio
I clienti avranno voglia di comprare un prodotto se corrisponde al bisogno del momento, se
si trova sul loro passaggio, se si trova là dove lo cercano, se la sua presentazione è attraente; per ottenere ciò occorre:
- rimettere sovente in discussione la disposizione e le tipologie di prodotti (stagionalità
di vendita);
- assicurare una presentazione viva (anche usando supporti espositivi non convenzionali
come oggetti di antiquariato, della tradizione, d'arte).
Come esporre i prodotti
La tecnica di esposizione dei prodotti ha innanzi tutto lo scopo di mettere i prodotti ad evidente disposizione della clientela, guidandola nelle scelte verso le categorie che più interessano gli obiettivi di vendita del gestore del negozio. Occorre quindi:
- presentare efficacemente i prodotti;
- informare il cliente sui prodotti, sull'assortimento, sulla profondità della gamma in
modo da comunicare con immediatezza quali possibilità di scelta gli sono consentite;
- fermare l'attenzione su particolari prodotti e famiglie di prodotti;
- stimolare la curiosità e l'interesse.
L'esposizione non deve essere organizzata a caso: ogni prodotto deve essere collocato in
una posizione coerente con le attese commerciali attinenti al prodotto stesso. Nei supporti espositivi i prodotti saranno quindi disposti secondo un criterio che può ad esempio
rispettare le seguenti linee direttrici:
A livello 1 (degli occhi)
- i prodotti da vendere con priorità
- i prodotti col più alto margine costo/prezzo
Ai livelli 2 e 3 (1,20 - 0,80 m)
- i prodotti specifici (che il cliente cerca esattamente)
- i prodotti di media gamma
A livello 4 (in basso)
- i prodotti base
- i prodotti pesanti e/o voluminosi
Pubblicità e "fidelizzazione" della clientela
L'azienda che ha intrapreso la via della commercializzazione diretta ha una nuova pianta
da coltivare: la propria clientela. Il fatto di appartenere ad un territorio ben preciso e di
intrattenere rapporti con gli abitanti delle città circostanti obbliga l'azienda ad un costante controllo della qualità dei propri prodotti ed al ritorno che ne deriva nei rapporti con i
clienti.
I clienti vanno innanzi tutto cercati attraverso azioni di pubblicizzazione dei propri prodotti che devono trovare i canali giusti e non essere indirizzate casualmente con il rischio di
andare a vuoto; una volta entrati in contatto attraverso un acquisto, una visita nel punto
vendita o una richiesta di informazioni è necessario un costante lavoro di fidelizzazione.
Si indicano di seguito le più comuni forme di pubblicizzazione che possono essere adottate da un'azienda agricola.
Segnaletica stradale
Si tratta di una forma molto efficace per le aziende ubicate lungo importanti strade di collegamento tra centri urbani, presso siti di interesse turistico (parchi, luoghi di culto, siti
archeologici o monumentali) o nelle immediate vicinanze. La segnaletica deve essere
essenziale nei contenuti e di impatto immediato; non occorre scrivere molte cose in piccolo, ma poche in grande, Se il percorso per raggiungere l'azienda dall'arteria principale è un
po' articolato, le indicazioni devono essere chiare, presenti a tutti gli incroci e contraddi-
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stinte da una forma, un colore ed un "logo" sempre uguale. La segnaletica deve essere
curata, mantenuta in efficienza ed in buono stato di manutenzione; non c'è niente di più
scoraggiante, per un potenziale cliente, che una segnaletica fatiscente e in stato di abbandono.
Materiale pubblicitario
I volantini, le brochure, gli autoadesivi che descrivono l'azienda ed i suoi prodotti, sono una
forma molto efficace di diffusione delle informazioni sui prodotti aziendali. Non vanno utilizzati con distribuzioni "a tappeto" ma secondo canali mirati a raggiungere una clientela
selezionata. Possono essere inseriti in appositi espositori e posizionati presso il centro visite del parco naturale, il bar del santuario, l'edicola del borgo storico, presso i negozi cittadini che espongono i prodotti stessi dell'azienda, presso gli alberghi, affittacamere e B&B;
nelle brochure deve essere posta molta cura alla descrizione dell'itinerario da seguire per
raggiungere l'azienda, prestando attenzione a presentarlo come occasione di una gita turistica interessante, un percorso ricco di spunti storici, artistici ed ambientali. La grafica
deve essere sobria ma senza dare l'impressione del "fai da te".
Inserti su pubblicazioni (guide, giornali e riviste)
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Sono forme abbastanza costose di pubblicità e vanno usate con cautela per non spendere
inutilmente soldi; per le aziende che hanno una disponibilità di prodotti legata alla stagionalità può essere utile uno spazio sui quotidiani o sulle riviste settimanali che avvisa, ad
esempio, che è disponibile il vino novello o la nuova produzione di formaggi di fossa ecc.
Le riviste mensili e le guide sono più indicate per pubblicità a carattere non stagionale e
vanno preferiti i cosiddetti inserti redazionali, veri e propri piccoli articoli sull'azienda che
ne descrivono le caratteristiche produttive, il contesto ambientale e la gamma dei prodotti offerti senza sapere troppo di pubblicità; lo stile del testo va ovviamente curato in questo senso. Se l'azienda possiede particolarità interessanti, a qualunque livello, si possono
ricercare occasioni per essere oggetto di veri e propri articoli giornalistici; a tale scopo è
necessario curare le relazioni con la stampa, invitare i giornalisti a degustazioni, visite, soggiorni in azienda. Ciò può essere ovviamente alla portata solo delle aziende di maggiori
dimensioni.
Mezzi radiotelevisivi
Le stazioni radiotelevisive locali offrono un servizio di pubblicità a varie fasce di prezzo,
anche secondo il raggio d'azione dell'emittente e dell'audience di cui viene accreditata.
Difficilmente si riesce a valutare con esattezza le reali potenzialità di diffusione di una
radio o TV locale, specialmente per quelle di natura più circoscritta che non rientrano nei
sondaggi ufficiali.
Per non spendere inutilmente denaro, si consiglia di ricorrere al mezzo radiotelevisivo
impostando un'attività non estemporanea ma investendo in una campagna coordinata,
avendo un'idea molto precisa della fascia di pubblico che si vuole raggiungere e del messaggio che si vuole trasmettere.
I costi di tali campagne sono generalmente abbastanza elevati perché sono costituiti da:
• una quota per l'emittente, variabile secondo il numero di repliche dello spot e della
fascia oraria di programmazione;
• una quota per la realizzazione del prodotto audio/video da trasmettere;
• una quota di intermediazione per l'agenzia concessionaria che "vende" gli spazi pubblicitari dell'emittente.
È meglio, per la produzione dello spot, avvalersi di un'agenzia specializzata piuttosto che
far produrre lo spot dall'emittente stessa, in quanto normalmente il prodotto "artigianale"
è di qualità molto bassa e gli spettatori.... cambiano canale.
Si consiglia inoltre di non farsi prendere dalla vanità di apparire in video o addirittura presentare da soli lo spot; i casi di produttori che sono diventati essi stessi testimonial di successo dei propri prodotti sono difficilmente ripetibili.
Deve essere rivolta molta attenzione alla fascia oraria e all'abbinamento dello spot con la
programmazione, per raggiungere gli ascoltatori più interessati: uno spot di un'azienda
agricola che vende prodotti tipici sarà senz'altro più efficace se trasmesso in concomitanza con un programma di ambiente, itinerari turistici, gastronomia e alimentazione piuttosto che con programmi sportivi, musicali o cartoni animati; a tale proposito il contratto
dovrà prevedere esattamente l'impegno a trasmettere la pubblicità nelle fasce orarie e di
programmazione concordate, e il cliente dovrà prendersi la briga di controllare, magari registrando i programmi nelle fasce stabilite.
“Passaparola”
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È forse, per l'azienda agricola, la forma più economica ed efficace di pubblicizzazione dei
propri prodotti, ma può essere anche, all'opposto, la causa del declino e del fallimento di
un'attività. Spesso il passaparola si sviluppa spontaneamente per opera dei clienti stessi
che ricevono un'impressione positiva dall'acquisto e sentono il bisogno di esternare nella
propria cerchia di amici e parenti la loro scoperta "gastronomica". Il fenomeno del passaparola, allo stesso modo, può però agire anche in senso negativo e gli effetti, in questo
caso, possono essere molto pesanti per l'azienda. Il modo di gestire le relazioni è fondamentale a questo proposito: attraverso gli atteggiamenti degli addetti alla vendita può essere favorito quel senso di appagamento e di "buona riuscita" della spesa che scatena il passaparola: in particolare è molto importante corrispondere e se possibile superare le attese
del cliente, soprattutto nel volgere a vantaggio anche potenziali situazioni negative. Le
eventuali lamentele che dovessero essere presentate da parte di clienti insoddisfatti del
prodotto, possono infatti essere gestite in modo da trasformarsi in opportunità: un prodotto che ritorna indietro perché non correttamente conservato, con un difetto di confezionamento, o semplicemente perché non ha corrisposto alle attese del cliente, può essere un
boomerang assai pericoloso che scatena un passaparola negativo molto deleterio soprattutto nelle cerchie ristrette di clientela (piccole cittadine o paesi). In questi casi, si deve tralasciare di considerare la perdita costituita dal valore del prodotto che viene reso, o comunque contestato dal cliente, e cercare di catturare la sua stima con un'azione che va oltre
le sue aspettative. Sostituire il prodotto con uno di qualità superiore o quantità maggiore,
con le scuse dell'azienda e senza nessun sovrapprezzo, al di là del costo immediato dell'operazione, può senz'altro tradursi in un ritorno di immagine molto efficace che legherà
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il cliente e lo trasformerà in un propagandista convinto dei prodotti acquistati anche verso
amici e conoscenti.
Il passaparola positivo va curato e incoraggiato attraverso alcuni strumenti che risvegliano
il ricordo dell'azienda nei clienti più lontani o saltuari o che invogliano quelli abituali ad
invitare altre persone a fare acquisti presso l'azienda agricola.
È importante a tale scopo mettere in atto alcune semplici azioni. Tornerà molto utile, ad
esempio, curare la formazione di un indirizzario dei propri clienti (nel rispetto della normativa sulla privacy e sul trattamento dei dati personali) mettendo a disposizione dei visitatori dell'azienda un modulo o un "libro dei visitatori" per scrivere le proprie impressioni ed
il proprio indirizzo (anche di posta elettronica), rilasciando il consenso ad essere informati sui prodotti disponibili nelle diverse stagioni, sulle offerte, promozioni ecc.. Deve essere però osservato un certo criterio, soprattutto nell'uso della posta elettronica, per evitare
di sovraccaricare i clienti di messaggi troppo frequenti e quindi fastidiosi. L'invio di e-mail
non richieste è infatti un fenomeno denominato spamming, che può essere anche punito
in base alla normativa vigente in campo informatico, ma che comunque provoca nei destinatari reazioni negative e difensive. Si consiglia di contattare i clienti non più di una volta
ogni bimestre, in relazione alla stagionalità dell'offerta di prodotti aziendali o delle epoche
in cui possono essere prenotati alcuni prodotti.
Un altro importante strumento per incoraggiare il passaparola è quello dei buoni - sconto
od omaggio che i clienti abituali possono distribuire ad altri potenziali nuovi clienti.
Anche la produzione di gadget che possono essere dati in omaggio ai clienti che superano
un certo importo di spesa (magliette, cappellini, portachiavi, adesivi) permette all'immagine e al nome dell'azienda di essere portato in giro anche inconsapevolmente da chi li utilizza. Un tipo di gadget attinente al contenuto dello specifico settore potrebbe essere un
libricino di ricette, una guida ai prodotti tipici, un manualetto per la degustazione (di vini,
olio, formaggi, salumi ecc.), un calendario studiato nell'immagine grafica per ricordare
l'azienda stessa e le stagioni di coltivazione dei vari prodotti o un almanacco delle tradizioni del territorio, come il celebre "Luneri di Smembar" diffuso in tutta la Romagna.
Internet e commercio elettronico
Non può essere più trascurata questa via di presentazione, pubblicizzazione e commercializzazione dei prodotti. Nel settore agricolo non è ancora molto sviluppato l'aspetto commerciale, anche in considerazione della natura del prodotto agroalimentare che presenta
in generale problemi di deperibilità, confezionamento, trasportabilità.
Se da un lato il commercio elettronico legato alla gestione di un sito Internet aziendale non
può ancora garantire elevati volumi d'affari alla singola azienda, esso è però un formidabile canale di pubblicizzazione dei prodotti ed uno strumento di contatto potentissimo a costi
estremamente contenuti. Andando con ordine, si elencheranno i principali concetti dello
strumento "Internet" in relazione alle aziende agricole che intendono proporsi sulla rete.
Connettersi alla rete
L'utilizzatore di un personal computer, una volta acquistata la macchina dotata delle
necessarie periferiche di connessione (modem o scheda di rete secondo i casi) dovrà con-
nettersi alla rete Internet attraverso i fornitori del servizio, registrando i propri dati presso
un cosiddetto provider che gli comunicherà un numero telefonico a cui connettersi assieme ad un nome identificativo e ad una password. La registrazione del proprio accesso potrà
essere fatta tramite il rivenditore stesso o tramite il fornitore del servizio o direttamente
dall'interessato utilizzando una postazione già connessa alla rete, dalla quale effettuare la
registrazione on-line presso il provider prescelto; l'accesso alla rete è normalmente gratuito, mentre i costi di connessione telefonica possono variare fortemente secondo il tipo di
connessione utilizzata. Per le utenze meno esigenti è ancora utilizzabile la connessione
analogica su linea telefonica commutata che costa come una normale telefonata urbana e
nelle fasce orarie serali e festive è molto conveniente.
L'eccessiva lentezza di tali connessioni le sta facendo ormai abbandonare a favore delle
connessioni ADSL, molto più veloci ma che necessitano di una specifica attivazione del
servizio sulla linea telefonica e comportano la stipulazione di un contratto di utenza, che
può prevedere tariffe "a consumo" o "flat" cioè a costo costante.
Con queste ultime può essere mantenuto un collegamento continuo alla rete a costo fisso
e per le utenze che sviluppano diverse ore di connessione al giorno possono essere più convenienti.
Acquisire un dominio
Chi volesse poi iniziare a pensare di costituire una propria presenza sulla rete, dovrà acquisire un "dominio", cioè ritagliarsi il proprio spazio dotato di un indirizzo raggiungibile da
ogni parte del mondo, nel quale inserire i propri contenuti multimediali. Per fare ciò, potrà
scegliere di utilizzare spazio presso un portale che lo offre gratuitamente o scegliere di
acquistare un dominio, registrandone il nome presso l'Autority a ciò preposta ed affittando
dello spazio da chi offre il servizio di hosting ove caricare il proprio materiale. Un dominio
solitamente viene composto scegliendo un nome che richiama la denominazione dell'azienda, a cui viene associato un suffisso (.it, .com, .net, .biz ecc.) corrispondente all'autority
che gestisce quella categoria di indirizzi. Ad esempio, un'azienda agricola che si chiamasse "la fattoria del sole" potrebbe registrare un dominio del genere: "fattoriasole.com". I
domini sono ovviamente unici e pertanto qualora il nome che si è scelto fosse già stato
registrato da qualcun altro occorrerà sceglierne uno diverso o vedere se il proprietario ha
intenzione di venderlo.
Realizzare un sito
Dopo aver acquisito un dominio e affittato dello spazio su cui poter inserire il proprio sito,
si è pronti per partire con la propria presenza sul web. Realizzare un sito può essere un'operazione a diversi livelli di complessità e di spesa, secondo il risultato che si vuole raggiungere. Un sito molto elementare, con pagine "statiche" in cui inserire alcuni testi che descrivono la propria attività e foto di corredo, può essere realizzato anche in casa con qualunque strumento informatico di base (come Word o Powerpoint) o dedicato (Front page). I siti
più professionali, dotati di animazioni e di spazi interattivi (carrello della spesa per il commercio elettronico, form per inserire comunicazioni, forum di discussione ecc.) richiedono
il lavoro di esperti del settore ed il loro sviluppo può diventare anche molto costoso.
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Rendere il sito visibile e "rintracciabile" nella rete: i "portali" e i "motori di ricerca"
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Dopo aver realizzato il sito, la sua presenza sulla rete Internet rischia di passare inosservata a tutti coloro che non ne conoscono già l'esistenza e che non conoscono quindi l'indirizzo esatto da digitare per raggiungerlo. Come fare quindi per essere "trovati" dai potenziali visitatori? A questo scopo, esistono i cosiddetti "motori di ricerca" che sono siti specializzati nel gestire un grandissimo archivio di dati sui siti esistenti sulla rete e che permettono di effettuare ricerche per argomento o per parole chiave, restituendo un elenco di
siti che rispondono ai criteri immessi. Supponiamo ad esempio che un potenziale cliente
di prodotti tipici romagnoli cerchi siti che li pubblicizzano o li vendono. Attraverso un
motore di ricerca digiterebbe la frase "prodotti tipici romagna" ed otterrebbe un elenco di
siti che nei loro contenuti strutturali contengono queste parole; a questo punto comincerebbe a scorrere l'elenco ottenuto e cliccando su uno dei nomi verrebbe indirizzato al
rispettivo sito.
Perché un motore di ricerca possa contenere nel proprio archivio di dati l'indirizzo del
nostro sito, dobbiamo segnalarlo ed effettuare on - line una registrazione inserendo, nell'apposito spazio che ogni motore di ricerca mette a disposizione, i dati più importanti, le
parole - chiave con cui vogliamo essere rintracciati ed ovviamente l'indirizzo del sito (detto
anche URL). Non basta comunque essere presenti in un motore di ricerca per essere rintracciati da molte persone; sarebbe molto importante riuscire a comparire tra le prime pagine dei risultati di una ricerca (un "navigatore" che effettua una ricerca con criteri molto
generici, ottiene quasi sempre diverse decine di pagine di risultati e normalmente accede
ai siti della prima o al massimo della seconda pagina). È molto importante quindi l'indicizzazione del proprio sito nei motori di ricerca e per avere un buon posizionamento vi sono
agenzie specializzate che offrono il servizio a pagamento (affermando di garantire il risultato, ma è meglio verificare), assieme ovviamente alla registrazione su tutti i principali
motori di ricerca.
Altro strumento molto importante sono i cosiddetti "portali" e cioè siti specializzati nel collegare tra loro siti di particolari aree tematiche o nel fornire servizi di informazione, connessione ecc..
Nell'ambito della promozione dei prodotti tipici vi sono diversi portali che "ospitano" produttori di diverse aziende che hanno un proprio sito autonomo collegato ("linkato" in gergo
informatico) o che sfruttano alcune pagine del portale in cui inseriscono i propri contenuti.
Aziende che non intendono realizzare un sito ma vogliono comunque inserirsi nell'ambito
del commercio elettronico, possono utilizzare i siti specializzati nel settore dei prodotti tipici agroalimentari, proponendo ai gestori una selezione dei propri prodotti e gestire tramite
la loro intermediazione gli ordini e le consegne.
Dotare il sito di strumenti di interazione
Chi avesse realizzato un sito che descrive la propria azienda deve dotarlo di un minimo di
strumenti di interazione che permettano al visitatore di contattarlo e richiedere informazioni o ordinare prodotti. È quindi indispensabile associare al sito anche la gestione di una
casella di posta elettronica, cui possano inviare messaggi tutti coloro che, visitando le pagi-
ne, vogliano mandare un messaggio al titolare. Un altro strumento interessante è il cosiddetto "guestbook" o "libro degli ospiti" accedendo al quale un visitatore può lasciare direttamente un messaggio al gestore del sito, mentre un accessorio utile per favorire il passaparola è la funzione "segnala il sito ad un amico" che può essere inserita sulla "home page"
e che può essere utilizzata da chiunque per fare pubblicità al sito visitato nei confronti di
un conoscente. Se si vuole andare su strumenti più sofisticati, possono essere inseriti strumenti di commercio elettronico, che sono però convenienti solo nel caso di siti che ottengono un elevato numero di visite giornaliere ed hanno la possibilità di ammortizzare i costi
di sviluppo del sistema e dei servizi bancari collegati. Nel caso si voglia dotare il sito di
tali funzionalità, si dovrà consentire la piena tracciabilità degli ordini e delle spedizioni e
la massima sicurezza nel pagamento con carta di credito. Per acquisire la fiducia dei
potenziali acquirenti, è inoltre fondamentale mettere a disposizione i messaggi di ritorno
(feedback) di chi ha già fatto acquisti (nell'ipotesi ovviamente che la quasi totalità di essi
sia di tenore positivo).
Funzionalità interattive molto interessanti, che vanno però gestite con competenza, costanza e continuità, sono il "forum di discussione" e la "chat" attraverso le quali è possibile
scambiare anche in tempo reale impressioni, commenti e suggerimenti con i clienti.
Argomenti per un forum possono essere le caratteristiche dei prodotti tipici, l'agricoltura
biologica, la gestione dell'azienda agricola, gli itinerari enogastronomici.
Una sezione di download può essere anche molto gradita ai visitatori, dalla quale si possano scaricare brevi filmati sull'azienda e sulla lavorazione dei prodotti, una galleria fotografica, la mappa per raggiungere l'azienda, i testi delle ricette tipiche e quant'altro, nel
rispetto in ogni caso delle leggi sui diritti d'autore.
La certificazione: i marchi di qualità e tipicità
Per incrementare il valore aggiunto del prodotto che si intende proporre per la vendita
diretta aziendale, si possono seguire diverse strade:
• un percorso autonomo di creazione di un contenuto di qualità e di un'immagine aziendale attraverso una rete di contatti diretti, amplificata dal cosiddetto passaparola;
• un percorso guidato che si basa su metodi e strumenti di controllo della tipicità e della
qualità predefiniti e riconosciuti dalla collettività (certificazioni di qualità di processo,
denominazioni di origine).
Nel primo caso l'imprenditore si rivolge essenzialmente ad una clientela locale, che frequenta l'azienda e ne diviene cliente abituale, instaurando un rapporto di fiducia che si
costruisce nel tempo; non c'è bisogno di esporre il bollino "DOP" sulle confezioni perché il
cliente sa benissimo da dove viene il prodotto, chi lo ha preparato e con quali tecniche. In
questo caso, per l'azienda che riesce a crearsi uno spazio nel proprio contesto ambientale,
sono superflue ulteriori sovrastrutture che produrrebbero solamente un aggravio di costi e
una complicazione degli adempimenti burocratici. Nel secondo caso, dove si ha interesse
o bisogno di raggiungere una clientela occasionale, di passaggio o lontana dalla sede dell'azienda (commercio elettronico, per corrispondenza, tramite intermediari), il possesso di
un marchio di qualità o una certificazione di origine è fondamentale per poter presentare
delle credenziali attendibili al potenziale acquirente.
Il turista che visita un territorio per motivi culturali, ricreativi, sportivi o solo perché in un
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giorno di pioggia è colto dalla curiosità di vedere cosa c'è nell'entroterra della caotica località balneare in cui ha scelto di passare le vacanze, si ferma presso un'azienda agricola perché attratto ad esempio da un pittoresco cartello (scritto magari con qualche errore di ortografia) che pubblicizza prodotti locali.
Egli valuta innanzi tutto soggettivamente la serietà e qualità di ciò che viene offerto, principalmente attraverso le capacità relazionali dei gestori, la cura dell'ambiente, la pulizia ed
il gusto nell'allestimento dei locali, ma può essere aiutato da elementi oggettivi costituiti
dalle certificazioni di qualità che accompagnano i prodotti e che magari gli richiamano
contenuti di cui è già in qualche modo a conoscenza (un certificato di agricoltura biologica, una denominazione di origine controllata, un marchio di qualità conosciuto).
Si ritiene opportuno elencare e descrivere sinteticamente le principali certificazioni del
processo produttivo di qualità e di tipicità che possono accompagnare un prodotto agroalimentare, al fine di orientare il produttore nella selva di sigle spesso dal significato oscuro anche per gli addetti ai lavori.
Certificazioni di tipicità
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DOC (Denominazione di Origine Controllata): riconoscimento di qualità attribuito ai sensi
della legge 164/92 a vini prodotti in zone limitate (di solito di piccole/medie dimensioni),
recanti il loro nome geografico. Di norma il nome del vino segue quello della DOC (ad es.
Colli di Rimini - Rosso) e la disciplina di produzione è rigida. Tali vini sono ammessi al
consumo solo dopo accurate analisi chimiche e sensoriali. Il particolare territorio di origine, precisamente delimitato, conferisce al prodotto stesso specifiche caratteristiche distintive ed il disciplinare di produzione definisce i vitigni, le tecniche colturali, le rese massime di uva per ettaro e di uva in vino assieme alle modalità per il riconoscimento e l'utilizzazione del marchio.
DOCG (Denominazione d'Origine Controllata e Garantita): riconoscimento di particolare
pregio qualitativo attribuito ad alcuni vini DOC di notorietà nazionale ed internazionale.
Questi vini vengono sottoposti a controlli più severi e debbono portare un contrassegno che
dia la garanzia dell'origine, della qualità e che consenta la numerazione delle bottiglie prodotte.
A livello comunitario le categorie di classificazione DOC e DOCG sono denominate
V.Q.P.R.D. (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate).
IGT (Indicazione Geografica Tipica): è un riconoscimento di qualità attribuito ai vini da
tavola caratterizzati da aree di produzione generalmente ampie e con disciplinare produttivo poco restrittivo. L'indicazione può essere accompagnata da altre menzioni, quali quella del vitigno. I vini IGT sono gli omologhi dei francesi "Vin de Pays" e dei tedeschi
"Landwein" e si rifanno, come per le DOC e DOCG, alla Legge 164/92.
La sigla IGT è quindi utile al consumatore per conoscere la zona di produzione del vino: si
tratta in sostanza di vini ottenuti da uve determinate e provenienti da territori ben definiti, anche se non molto ristretti. Tale qualifica, comunque, non obbliga i viticoltori ad apporre altre menzioni sull'etichetta (come, ad esempio, il vitigno di provenienza), né li costringe a vincoli di produzione troppo restrittivi. Nella scala dei valori enologici, insomma, gli
IGT si collocano immediatamente su un livello inferiore ai DOC e DOCG, ma prima dei vini
da tavola generici, anche se rientrano essi stessi nelle categorie dei vini da tavola.
DOP (Denominazione di Origine Protetta): riconoscimento assegnato ai prodotti agricoli
ed alimentari le cui fasi del processo produttivo sono realizzate in un'area geografica delimitata e il cui processo produttivo risulta essere conforme ad un disciplinare di produzione. Queste caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani.
La D.O.P. si riferisce a prodotti agroalimentari diversi dai vini (olio, formaggi, salumi ecc.)
ed è basata su una normativa europea che "protegge" l'utilizzo di denominazioni che si
rifanno ai luoghi di origine dei prodotti ove tali luoghi determinino caratteristiche che
distinguono il prodotto da analoghi prodotti realizzati altrove (ad esempio l'olio extravergine di oliva "Colline di Romagna" DOP possiede caratteristiche organolettiche diverse da
altri oli extravergini di oliva prodotti in altre zone, proprio in forza degli specifici caratteri
dell'ambiente di produzione (clima, terreno, caratteristiche orografiche, vicinanza del
mare, cultivar locali). L'insieme di questi fattori e dei requisiti del prodotto viene definito
in una normativa (disciplinare) che, abbinata ad un sistema di controllo e certificazione,
permette di utilizzare il marchio DOP sulle confezioni.
IGP (Indicazione Geografica Protetta): il termine è relativo al nome di una regione, di un
luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto
agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e
di cui una determinata qualità, la reputazione, o un'altra caratteristica, possa essere attribuita all'origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area geografica determinata. Il legame con il territorio è presente in almeno uno
degli stadi della produzione, della trasformazione o dell'elaborazione del prodotto.
STG (Specialità Tradizionale Garantita): è un marchio di qualità dell'Unione europea che
non fa riferimento ad un'origine ma ha per oggetto quello di valorizzare una composizione
tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale. Il regolamento di riferimento è il "Reg. 92/2082/CE relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli ed
alimentari". Tale denominazione è stata istituita per:
• incoraggiare le diverse produzioni agricole;
• proteggere i nomi dei prodotti contro gli abusi e le imitazioni
• aiutare i consumatori fornendo loro delle informazioni sul carattere specifico dei prodotti.
Questa certificazione nasce con l'obiettivo di tutelare e definire alcune produzioni non
legate al territorio, introducendo così il concetto di "specificità" di un prodotto alimentare,
ovvero "l'elemento o l'insieme di elementi (tra cui la razza alla quale appartengono gli animali) che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria".
La specificità delle produzioni viene conseguentemente ad essere legata alla ricetta o a
particolari metodiche di produzione (o di allevamento), e non alla zona di origine anche se
viene sempre richiesto un requisito di tradizionalità.
Il regolamento ha istituito un albo delle attestazioni di specificità nel quale sono iscritti i
nomi dei prodotti agricoli e alimentari la cui specificità è stata riconosciuta a livello comunitario ai sensi del regolamento stesso. Ogni stato membro gestisce l'Albo nazionale.
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Certificazioni di qualità del processo produttivo e ambientale
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Produzione biologica: consiste nell'applicazione di tecniche colturali e di allevamento che
escludono l'impiego di fertilizzanti, fitofarmaci e farmaci zootecnici di sintesi chimica, nel
tentativo di realizzare prodotti agricoli privi di residui potenzialmente tossici per la salute
umana, di salvaguardare l'ambiente dall'inquinamento e favorire il mantenimento della biodiversità. Dopo la fase "pionieristica" che l'Agricoltura biologica ha attraversato negli anni
Settanta/Ottanta, si è messo a punto dall'inizio degli anni Novanta un sistema europeo che
ha codificato la materia, dandole una specifica connotazione e validità in tutti gli Stati
membri. Ora l'Agricoltura biologica nell'ambito dell'Unione europea parla la stessa lingua.
Questo sistema trae concretizzazione nel Regolamento comunitario n. 2092 del 1991 e
nel Regolamento n. 1804, del 19 luglio 1999, inerente la zootecnia biologica.
La Regione Emilia-Romagna già nel 1993 si è dotata di uno strumento legislativo per disciplinare, in assenza di norme nazionali, le produzioni biologiche. Successivamente, con
l'emanazione del D.Lgs. n. 220/95, si è di fatto determinato, a livello nazionale, un nuovo
quadro normativo in materia di riconoscimento e controllo delle aziende biologiche. Per
rimodulare e riallineare la propria normativa rispetto alla situazione nazionale, la Regione
ha rivisitato la propria legislazione in materia. Ciò ha comportato l'abrogazione della precedente normativa (L.R. n. 36/93) e l'approvazione della vigente legge regionale n. 28 del
1997 "Norme per il settore agroalimentare biologico". Questa legge rappresenta, di fatto,
un riconoscimento al salto culturale del settore: l'Agricoltura biologica non è più un'opzione legata a motivazioni di tipo ideologico, ma diventa una scelta di mercato che gli imprenditori agricoli possono fare valutando la convenienza economica e le possibili prospettive
di sviluppo.
Successiva è l'introduzione delle norme relative alla zootecnia biologica (Deliberazione di
Giunta regionale n. 794 del 2003) che forniscono precise indicazioni agli operatori del settore ed agli organismi di certificazione.
QC - Produzioni Integrate Emilia - Romagna: il marchio "QC - Qualità Controllata" garantisce le produzioni agroalimentari ottenute attraverso metodologie di Produzione integrata,
che rispettano l´ambiente e la salute dell'uomo, attraverso un uso limitato e più razionale
di antiparassitari, fertilizzanti, risorse idriche ed energetiche. È un marchio depositato
dalla Regione Emilia-Romagna il cui utilizzo è concesso a quelle imprese di produzione, di
trasformazione, di commercializzazione che si impegnano a rispettare gli appositi disciplinari di produzione integrata. Quello che distingue la Regione Emilia-Romagna sta nel fatto
che è l´unica ad aver scelto di disciplinare non solo il metodo di coltivazione - tecnica agronomica, difesa fitosanitaria, diserbo, concimazione, irrigazione, ma anche il "post-raccolta", con rigidi controlli, ad esempio, sui metodi di conservazione in magazzino. Organismi
di certificazione accreditati controllano l´applicazione dei disciplinari sulla produzione,
sulla trasformazione, fino alla conservazione e commercializzazione. Si tratta quindi di un
sistema "misto" di autocontrollo e controllo super partes che costituisce un elemento di
garanzia per il consumatore. Infatti, con il marchio QC viene fornita un'ulteriore credenziale alle produzioni agroalimentari, siano esse tipiche o tradizionali o importanti anche solo
per quantità o redditività. Sono prodotti QC numerose varietà di frutta, verdura e cereali
ma anche altre specialità, come le carni o le uova. Ultimo ingresso nel panorama QC sono
le specialità ittiche allevate secondo Disciplinari approvati dalla Regione Emilia-Romagna.
Rintracciabilità aziendale e di filiera (UNI 11020 e 10939) - Reg 178/2002 (CE)
La qualificazione delle produzioni è una parola d'ordine ormai scontata in campo agroalimentare e tutti concordano sulla necessità di portare più sicurezza e genuinità sulla tavola dei consumatori. Oggi la qualità dei prodotti deve unirsi anche alla rintracciabilità degli
stessi, che vuole dire raccontare la storia di ogni prodotto attraverso la certificazione di
tutto il processo produttivo, fornendo al consumatore gli elementi per poter verificare il
luogo di origine del prodotto, il luogo di lavorazione ed i passaggi che ha attraversato per
giungere sulla sua tavola.
Il Reg. CE 178/2002 acquisisce i criteri delle norme UNI 10939/2001, relativa alle filiere agroalimentari ed UNI 11020/2002, relativa ai processi aziendali del settore agroalimentare.
UNI 11020/2002: norma relativa a "Sistemi di Rintracciabilità nelle Aziende
Agroalimentari". Definisce i principi e fornisce delle linee guida per la realizzazione di un
sistema di rintracciabilità interno all'azienda. La rintracciabilità del prodotto all'interno
della singola azienda è un presupposto essenziale per l'efficiente gestione della produzione e per la gestione di eventuali problemi di sicurezza.
Questo sistema è certificabile di per sè, e non può essere tralasciato nel caso della rintracciabilità di Filiera.
UNI 10939/2001: norma relativa a "Sistema di rintracciabilità nella Filiera agroalimentare - Principi generali per la progettazione e l'attuazione". La rintracciabilità di filiera garantisce ai consumatori il controllo relativo alla provenienza, alla produzione e alla distribuzione del prodotto tramite lo sforzo coordinato di più organizzazioni che hanno come obiettivo comune la salvaguardia dell'integrità del prodotto.
La "Filiera" è un insieme definito delle organizzazioni con i relativi flussi materiali che concorrono alla formazione, distribuzione, commercializzazione e fornitura di un prodotto
agroalimentare. La rintracciabilità è la capacità di ricostruire la storia e di seguire l'utilizzo di un prodotto mediante identificazioni documentate (relative ai flussi materiali e agli
operatori di filiera). La certificazione della rintracciabilità di filiera prevede il coinvolgimento di più organizzazioni con un sistema di gestione applicato a un prodotto specifico o a
un suo ingrediente/componente significativo.
La certificazione della rintracciabilità di filiera può essere effettuata in riferimento alla
norma UNI 10939 integrata da una specifica tecnica di prodotto emessa dall'Ente di certificazione. Poiché il sistema coinvolge un insieme coordinato di organizzazioni, assume
importanza la figura del "gestore della Filiera", non necessariamente interno a essa, che
assicura i compiti di coordinamento e verifica del sistema stesso. La base della certificazione della rintracciabilità di filiera è il concetto di garanzia. Il produttore si adopera per
garantire il proprio prodotto, dichiarando e assumendo le proprie responsabilità nella filiera alimentare; la definizione delle modalità operative e del grado di affidabilità, presupposto essenziale di ogni processo di certificazione, costituiscono al tempo stesso guida per il
produttore e garanzia per il consumatore. Certificare la rintracciabilità di filiera è quindi
una risposta alle esigenze del consumatore in termini di trasparenza e di assunzione di
responsabilità. La certificazione di rintracciabilità di filiera diventa così uno strumento
importante per la valorizzazione delle attività svolte in sinergia con altre organizzazioni e
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costituisce inoltre un supporto essenziale per la credibilità della certificazione di prodotto,
soprattutto quando le caratteristiche da valorizzare sono fortemente correlate a un'efficace
gestione di filiera (ad es. Prodotti NON OGM).
Standard autonomi delle associazioni internazionali del commercio agroalimentare
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Le più grandi associazioni di aziende europee che operano nell'ambito della grande distribuzione si sono date degli standard autonomi di qualità in base ai quali selezionano i propri fornitori di prodotti agroalimentari. Per poter vendere i propri prodotti alle grandi catene di distribuzione è necessario quindi raggiungere e farsi certificare lo standard qualitativo richiesto dall'azienda acquirente.
In questo modo ciascuna azienda di distribuzione, soprattutto quando attribuisce il proprio
marchio alla confezione, può assumersi tranquillamente la responsabilità circa le caratteristiche qualitative del prodotto, senza doversi dare uno standard autonomo né mettere in
atto una propria rete di controllo. Le cooperative e i singoli produttori che intrattengono
rapporti con la grande distribuzione devono quindi adeguare le modalità di lavoro a tali
requisiti.
Le aziende che puntano solo sulla vendita diretta presso la propria sede non sono ovviamente interessate a questo tipo di certificazione, ma non appena cercheranno di allargare
il proprio raggio d'azione verso il commercio elettronico o la vendita per corrispondenza o
mediante intermediari dovranno fare i conti con la necessità di fornire ad acquirenti che
non prendono contatto diretto e personale con la realtà aziendale, garanzie oggettive e riconosciute a livello internazionale sulla qualità di ciò che producono.
Si ritiene quindi che la certificazione sia una strada obbligata per un'azienda che intende
affrontare le moderne sfide del mercato e che, almeno in prospettiva, debba essere presa
in considerazione la necessità di attestare nei confronti di una clientela sempre più informata ed esigente, il livello tecnico - qualitativo del prodotto attraverso strumenti oggettivi
ed universalmente riconosciuti.
I principali standard di qualità agroalimentare sono rappresentati dalle seguenti realtà:
EUREPGAP - Good Agriculture Practices: la "Euro Retailer Produce Working Group"
(EUREP) è un'associazione promossa dai più importanti commercianti Europei e costituisce il punto d'incontro tra i commercianti e i produttori agricoli. È nata con lo scopo di stabilire un protocollo comune per la coltivazione di prodotti agricoli, più rispondente alle
moderne esigenze dell'agricoltura sostenibile.
Il risultato di tale lavoro è lo schema per la certificazione delle "Good Agriculture Practices
- GAP" (Buone Pratiche Agricole), denominato EUREPGAP, applicabile agli ortaggi e frutta freschi e alle patate.
Lo schema prevede la certificazione da parte di un organismo indipendente, accreditato
secondo la norma internazionale EN 45011, della corretta applicazione del protocollo,
basato su:
• utilizzo di tecniche riconosciute di lotta integrata;
• adozione di attenzioni specifiche per la protezione ambientale;
• cura degli aspetti igienici nella manipolazione dei prodotti alimentari;
• rispetto dei requisiti generali per la salute e la sicurezza dei lavoratori agricoli;
• rispetto della normativa specifica nel trattamento dei lavoratori.
Lo schema si applica sia agli agricoltori individuali, sia a gruppi di produttori, associati in
cooperative, consorzi o tramite appositi contratti aventi per oggetto la certificazione
EUREPGAP. Ai gruppi di agricoltori è richiesta anche la realizzazione di elementi di
Sistema Qualità documentati, in grado di gestire le relazioni tra i soci produttori.
BRC Global Standard - Food: l'organismo che rappresenta tutti i maggiori commercianti britannici, il "British Retail Consortium" (BRC), ha sviluppato uno standard tecnico per aiutare i commercianti a soddisfare pienamente i loro obblighi legali e a proteggere il consumatore fornendo una base comune per la verifica di tutte le aziende che forniscono i commercianti con prodotti a marchio.
Lo standard, integrato con i più recenti aggiornamenti della legislazione alimentare (quali
ad esempio gli allergeni e la rintracciabilità), richiede:
• l'adozione di un piano HACCP (analisi dei rischi e punti critici di controllo);
• un sistema efficace e documentato di gestione della qualità;
• il controllo dell'ambiente produttivo, del prodotto, dei processi e del personale.
IFS - International Food Standard: lo standard IFS è uno strumento operativo per qualificare i propri fornitori secondo requisiti di qualità, sicurezza e conformità alla normativa sui
prodotti alimentari.
L'Unione Federale delle Associazioni del Commercio Tedesche (BDH) ha emesso lo standard IFS per fornire una base alla GDO tedesca per verificare i fornitori di prodotti alimentari a marchio, al quale ha aderito anche l'associazione francese FDC (Fédération du
Commerce et de la Distribution). Lo standard è stato perciò accettato dalla GDO tedesca e
francese.
L'amministrazione dello schema di certificazione è stata affidata a una delle associazioni
federate di BDH, la HDE Trade Services GmbH (HTS).
Lo standard IFS pone una serie di requisiti relativi a:
• gestione della qualità (include HACCP);
• gestione delle risorse;
• processi produttivi;
• processi di misurazione, analisi e miglioramento.
GFSI - Global Food Safety Iniziative: i commercianti Europei, nord americani e australiani
riuniti nel CIES - Global Food Business Forum (complessivamente rappresentano il 75%
del mercato alimentare globale nel mondo, in termini di commercializzazione) - hanno fondato nel 2000 il GFSI - Global Food Safety Iniziative - con l'intento di creare uno standard
internazionale per la sicurezza dei prodotti alimentari.
Sono stati perciò stabiliti i criteri fondamentali che uno standard deve soddisfare. Gli standard locali e/o nazionali che tengono conto delle peculiarità specifiche dell'area geografica di origine, sono misurati e valutati attraverso questi criteri per garantire uniformità di
approccio e costanza del livello di garanzia.
I criteri base da soddisfare sono:
• sistema di Gestione della Sicurezza Alimentare (Food Safety Management System);
• buone Pratiche Agricole/di Fabbricazione/di Commercializzazione;
• sistema HACCP.
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Altre forme di certificazione di qualità ed ambientale
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UNI EN ISO 9000/2000: è da alcuni anni di grande attualità la certificazione ISO 9000
ma, allo stesso tempo, non sempre è chiaro qual è il reale significato di questa sigla, che
comunque si riferisce ad un sistema di controllo della qualità concepito più per il mondo
della produzione industriale (compresa l'industria agroalimentare, ma di elevate dimensioni) o della grande distribuzione commerciale, che per quello della produzione agricola.
Nel mercato globale odierno è diventato di primaria importanza poter dimostrare in maniera semplice e rapida al potenziale compratore la qualità del prodotto proposto. A tal fine
sono sorte delle organizzazioni internazionali con l'obiettivo di armonizzare i parametri di
riferimento in tutti i Paesi.
L'Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO), con base a Ginevra,
Svizzera, è stata istituita nel 1947 con il compito "di promuovere lo sviluppo mondiale
della standardizzazione e delle attività connesse, al fine di facilitare il commercio di beni
e servizi e di sviluppare la cooperazione di attività intellettuali, scientifiche, tecnologiche
ed economiche". Attualmente sono membri dell'ISO più di 90 organizzazioni nazionali,
incaricate di determinare i criteri di riferimento nei rispettivi Paesi. Il lavoro tecnico
dell'ISO è organizzato in comitati, sotto comitati e gruppi di lavoro.
Il comitato TS 176 sull'Assicurazione di Qualità (QA), elaborando i vari standard o procedure nazionali, ha prodotto nel 1987 degli standard di qualità internazionali: la serie ISO
9000, oggetto poi di una profonda revisione nel 2000. Tutta la normativa ISO riguarda
direttamente la ditta produttrice e solo indirettamente il prodotto. Non è possibile riferirsi
a un bene prodotto secondo norme ISO 9000, ma solo ad un bene prodotto da un'azienda
che opera secondo i requisiti della ISO 9000.
Per ottenere la certificazione ISO un'azienda deve prevedere in genere almeno un paio di
anni di preparazione, di disseminazione del concetto di qualità attraverso l'organizzazione,
una serie di controlli interni per stabilire quali aree del lavoro devono cambiare procedure,
definire quindi i team leader e redigere il Manuale della Qualità. Tutti i dati relativi ad ogni
fase del prodotto devono essere archiviati e disponibili per ogni controllo. Inoltre sono stabilite le procedure di eventuali azioni correttive.
Si procede poi ad un "audit" (controllo) interno per verificare eventuali carenze, poi ad un
"audit" della documentazione con la ditta incaricata della certificazione ed infine, dopo le
eventuali correzioni, si effettua "l'audit" finale per ottenere la certificazione ISO. Una volta
ottenuta la certificazione ISO, sono previste ispezioni periodiche programmate e possono
anche essere effettuate ispezioni senza preavviso da parte dell'ente che ha rilasciato il certificato.
UNI EN ISO 14000/2004: la certificazione ISO 14000 proviene, di fatto, da una precedente norma inglese BS 7750 "Specification for Environmental Management", che ha avuto
un discreto successo mondiale, tuttora usata dalle aziende. La norma BS 7750 risale al
1992 ed è stata rivista nel 1994 (ISO 14001) alla luce dell'entrata in vigore del Reg. CEE
1836/93 (regolamento EMAS). Il Reg. 1836/93 EMAS è stato poi abrogato dal nuovo
EMAS II (Reg. CE 761/2000).
Il trend di adesione alle normative ambientali non è per ora così veloce come per la certificazione ISO 9000, per ovvi motivi. Probabilmente i numeri cresceranno più velocemente quando le aziende cominceranno anche in questa certificazione ad intravedere possibi-
lità di ritorni economici.
Nel futuro, infatti, si accentueranno principi quali:
• chi inquina paga;
• chi è a rischio di inquinamento deve pagare alte assicurazioni;
• chi inquina perde di immagine verso il contesto socio-economico;
• chi ricicla o riduce i consumi, all'opposto, guadagna in immagine e risparmia notevolmente;
• chi si vuole certificare ISO 14001 può accedere a specifici finanziamenti pubblici.
A quel punto la certificazione di fatto decollerà e, come per l'ISO 9000, si innescherà una
sorta di meccanismo a cascata. Il cliente che previene l'impatto ambientale vorrà che
anche i suoi fornitori si comportino allo stesso modo. Il cerchio quindi sarà definitivamente chiuso.
La prima fase per ottenere la certificazione è quella della cosiddetta analisi ambientale iniziale, attraverso cui ci si rende conto di qual è la distanza della propria azienda dall'ottenimento della certificazione e, fondamentale, quali sono gli aspetti ed impatti ambientali
significativi. Dopodiché il meccanismo è il medesimo per la certificazione ISO 9000, inoltre i requisiti della ISO 9001-2000 sono oggi molto più integrabili rispetto alla versione
precedente con i 6 requisiti della 14001:
• redazione della politica ambientale da parte della direzione;
• nomina del responsabile gestione ambientale, che è auspicabile coincida con il responsabile assicurazione qualità;
• redazione del manuale di gestione ambientale e delle procedure, oppure integrazione
nel manuale della qualità (manuale di gestione integrata);
• attuazione della documentazione e conduzione degli audit ambientali;
• riesame da parte della direzione;
• certificazione di terza parte;
• miglioramento continuo e sorveglianza da parte dell'ente terzo.
EMAS: il regolamento volontario EMAS (Environmental Management and Audit Scheme),
emanato con il Regolamento comunitario n. 1836 del 29 giugno 1993, è forse l'espressione più evidente del nuovo indirizzo di politica ambientale che l'Unione europea ha fornito
ai Paesi membri.
L'EMAS rientra tra gli strumenti volontari attivati dall'UE, nell'ambito del V Programma
d'azione a favore dell'ambiente.
Tale programma recepisce quanto affermato nel 1992 durante la Conferenza di Rio de
Janeiro sull'ambiente e lo sviluppo. Scopo prioritario dell'EMAS è contribuire alla realizzazione di uno sviluppo economico sostenibile, ponendo in rilievo il ruolo e le responsabilità
delle imprese. L'obiettivo della norma EMAS è di favorire una riorganizzazione e razionalizzazione della gestione ambientale dell'azienda basata non solo sul rispetto dei limiti
imposti dalle leggi, che rimane comunque un obbligo dovuto, ma su un rapporto nuovo tra
la stessa impresa, le istituzioni e il pubblico.
L'EMAS è divenuto operativo, cioè potenzialmente aperto alla partecipazione delle imprese del settore industriale, dal 10 aprile 1995. Nel 1999, il Consiglio dei Ministri della UE
ha approvato il testo del nuovo Regolamento EMAS. È stato così definito l'EMAS 2000. Il
primo regolamento 1836/93 EMAS è stato quindi abrogato dal nuovo EMAS II (regolamento CE N. 761/2000). Le principali novità dell'EMAS 2000 riguardano l'applicabilità del
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Regolamento anche ai settori non industriali ed, in particolare, ai servizi. Tale estensione
comporta di dover considerare, accanto al concetto di "sito" che rappresentava il punto cardine del vecchio regolamento, anche quello di "organizzazione" per tener conto di situazioni dove non esiste un sito specifico.
Più che di certificazione, si parla di infatti di registrazione dell'organizzazione e l'approccio si differenzia in alcuni punti finali dalla realizzazione di un sistema ISO 14001. Quindi
un'azienda può volontariamente:
• certificarsi ISO solamente 14001;
• registrarsi secondo regolamento EMAS;
• effettuare l'uno e l'altro contemporaneamente o in momenti diversi.
I vantaggi dell'EMAS rispetto alla 14001, si concretizzano solamente in termini di immagine, ovvero:
• la registrazione EMAS compare sulla GUCE (Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee);
• la dichiarazione ambientale deve essere resa nota ad autorità locali.
I vantaggi legati all'ottenimento della certificazione ambientale consistono in:
• miglioramento dell'immagine aziendale (nei confronti del mercato, della collettività,
delle autorità, dei dipendenti ecc.);
• accesso a mercati precedentemente preclusi.
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I vantaggi legati al sistema di gestione ambientale consistono:
• miglioramento delle prestazioni ambientali (minori consumi, ricicli, contenimenti ecc.);
• riduzione delle multe per inquinamento;
• riduzione delle polizze assicurative.
Cenni sull'etichettatura dei prodotti
I prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono essere etichettati ai
sensi del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 e devono riportare le seguenti indicazioni:
a • la denominazione di vendita;
b • l'elenco degli ingredienti;
c • la quantità netta o, nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la
quantità nominale;
d • il termine minimo di conservazione o, nel caso di prodotti molto deperibili dal punto di
vista microbiologico, la data di scadenza;
e • il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del
confezionatore;
f • la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
g • il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico
superiore a 1,2% in volume;
h • una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto;
i • le modalità di conservazione e di utilizzazione, qualora sia necessaria l'adozione di particolari accorgimenti, in funzione della natura del prodotto;
j • le istruzioni per l'uso, dove necessario;
k • il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l'omissione possa indurre in errore
l'acquirente circa l'origine o la provenienza del prodotto. Le indicazioni devono essere
riportate in lingua italiana; è consentito riportarle anche in più lingue. Nel caso di menzioni che non abbiano corrispondenti termini italiani, è consentito riportare le menzioni originarie.
Salvo quanto prescritto da norme specifiche, le indicazioni devono figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti alimentari nel momento in cui questi sono posti in vendita al consumatore.
L'etichettatura, la presentazione e la pubblicità di un prodotto alimentare non devono:
• indurre in errore l'acquirente sulle effettive caratteristiche, qualità, composizione e
luogo di origine;
• evidenziare caratteristiche particolari, quando queste sono comuni a tutti i prodotti alimentari simili.
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SCHEDE PRODOTTO
Le varie tipologie di prodotto adatte alla vendita diretta aziendale
Saranno elencati in questa sezione, attraverso schede prodotto descrittive, alcuni raggruppamenti di prodotti che possono caratterizzare l'offerta dell'azienda agricola in un'ottica di
tipicità e qualità.
Per ogni gruppo di prodotti è stata realizzata una scheda che descrive:
• i caratteri di tipicità per la categoria di prodotti nella Provincia di Rimini o comunque
nell'ambito del territorio limitrofo;
• le caratteristiche della confezione e suggerimenti per la presentazione del prodotto;
• indicazioni sulle caratteristiche del punto vendita, del laboratorio e dell'esposizione;
• descrizione dei principali progetti o eventi collegati alla valorizzazione in ambito locale del gruppo di prodotti;
• suggerimenti pratici (abbinamenti con altri gruppi di prodotti, le modalità di vendita,
prodotti secondari, modalità di degustazione ecc.).
Vino
Le certificazioni di tipicità per le produzioni vitivinicole della Provincia di Rimini
DOC
• “Colli di Rimini”
- Rosso
- Cabernet Sauvignon
- Bianco
- Biancame
- Rebola (anche Passito)
• Sangiovese di Romagna (anche Superiore)
• Trebbiano di Romagna
• Pagadebit di Romagna
IGT
• Sangiovese Rubicone
• Trebbiano Rubicone
La confezione
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Il vino DOC può essere unicamente commercializzato imbottigliato; il formato più classico
è la bottiglia da 0,75 litri con tappo in sughero (i tappi a corona o a vite non sono ammessi dai disciplinari DOC, possono esclusivamente essere utilizzati per i vini da tavola).
L'etichetta può anche essere accompagnata da una seconda etichetta da apporre posteriormente che può contenere indicazioni aggiuntive relative alle caratteristiche del prodotto,
all'azienda produttrice, alle modalità di consumo e degustazione. Le confezioni da 2 e 5
litri possono essere utilizzate per i vini di minor pregio e, nell'ambito della vendita diretta
aziendale, è ancora ammessa la vendita di vino sfuso in damigiane.
Il punto vendita e l'esposizione
Il punto vendita dovrà essere dotato di un accesso diretto dall'esterno, dotato di parcheggio antistante, anche per favorire le operazioni di carico. Se adiacente alla cantina, sarà
molto efficace proporre una visita guidata alle attrezzature ed ai locali ove avviene l'affinamento, con una spiegazione delle fasi di lavorazione del prodotto. L'allestimento del punto
vendita dovrà comprendere idonee scaffalature espositive, un banco di degustazione,
magari con alcuni tavolini e sedie, un banco separato che fungerà da cassa e distribuzione di opuscoli informativi. Il tutto dovrà servire a creare un'immagine di tipicità consona
con l'oggetto della vendita. Sarà quindi gradita l'esposizione di vecchie attrezzature di cantina (botti, torchi) o di foto d'epoca, magari della stessa famiglia produttrice; anche l'esposizione di attestati, diplomi e manifesti di concorsi cui l'azienda ha partecipato possono
contribuire all'immagine. Se l'azienda partecipa a progetti di valorizzazione (strade dei vini,
progetti collettivi territoriali) sarà opportuno esporre il materiale divulgativo, dandogli il
necessario risalto.
Iniziative di valorizzazione della Provincia di Rimini
I Felliniani, progetto che ha visto la partecipazione di produttori ed imbottigliatori della provincia, riservato a vini DOC di qualità e Castel Sismondo, progetto volto alla produzione di
un vino DOC "Colli di Rimini Rosso" con requisiti enologici d'eccellenza. Entrambi questi
progetti prevedono il rispetto di appositi disciplinari di produzione e dei relativi piani di
controllo.
Passaggi di vino: evento volto a promuovere la cultura del buon bere, con passaggi culturali tra arti diverse.
Genuvino: manifestazioni promozionali in alcune discoteche della Romagna per diffondere
la cultura del bere sano e genuino.
Altre manifestazioni di rilievo in provincia di Rimini
Calici di stelle: Santarcangelo di R. e Coriano;
Capodanno del vino: S. Giovanni in Marignano;
Profumo di Sangiovese: Santarcangelo di R.;
Note di vino: S. Clemente;
Innesti: Cattolica.
Suggerimenti pratici
La degustazione nel punto vendita può essere offerta a gruppi organizzati o anche a singoli clienti, meglio se accompagnata da un piccolo assaggio di piadina, bruschetta, salumi.
L'abbinamento del prodotto "vino" con olio extravergine di oliva è sicuramente consigliabile, anche per le degustazioni.
Le confezioni regalo che contengono una selezione di prodotti aziendali possono essere proposte durante tutto l'anno ma specialmente in occasione delle festività. La clientela locale può apprezzare senz'altro la possibilità di consegna a domicilio, mentre per i clienti di
altre città o stranieri è interessante offrire la possibilità di ordinare il prodotto in seguito
da casa via fax, e-mail o anche solo telefonicamente; in questi casi, è bene che il produttore sappia dare indicazioni sui costi di spedizione, sui tempi di consegna e sulle modalità di pagamento.
Per il pagamento in azienda è necessario essere in grado di accettare bancomat e carte di
credito, in alternativa al contante e agli assegni.
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Olio extravergine d'oliva
La certificazione di tipicità per le produzioni oleicole della Provincia di Rimini
DOP "Colline di Romagna" è un olio extravergine di oliva che viene prodotto in provincia di
Rimini ed in alcuni comuni limitrofi della provincia di Forlì - Cesena
Marchi collettivi di associazioni di produttori o frantoiani che rispondono a particolari disciplinari di produzione.
La confezione
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L'olio extravergine di oliva, secondo quanto disposto dal decreto del ministro delle politiche agricole e forestali del 14/11/2003, che dava applicazione ad un regolamento comunitario, potrebbe essere venduto al consumatore finale solo in confezioni chiuse ermeticamente ed etichettate, della capacità massima di 5 litri o al massimo 25 litri per la vendita a collettività. Tale decreto è stato annullato da una sentenza del TAR della Liguria che
ne sospende di fatto l'applicazione su tutto il territorio nazionale; in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato o di una ridefinizione in termini più chiari della normativa
comunitaria, si ritiene comunque di indicare come necessario il confezionamento dell'olio
anche in assenza di uno specifico obbligo di legge. Il consumatore apprezza molto di più
un prodotto così presentato perché dà maggiori garanzie di sicurezza alimentare e con l'etichettatura vi è una precisa garanzia di tracciabilità. Il venditore, dal canto suo, si mette al
riparo da eventuali contestazioni dei clienti che attribuiscono al prodotto difetti qualitativi
originati invece dall'utilizzo di propri recipienti non idonei o non correttamente puliti.
La confezione da litro o da 0,75, se in vetro bianco trasparente, risulta meno idonea alla
conservazione rispetto al vetro scuro ma permette all'acquirente di apprezzare meglio il
colore e la limpidezza dell'olio; si consiglia di abbinare alla bottiglia un contenitore in cartone che la ripari dalla luce. Anche le piccole confezioni da 0,50 possono essere apprezzate, magari in abbinamento ad altri prodotti, così come le bottigliette "mignon" da 0,25
o 0,125 che possono essere gradite dai ristoratori per essere portate in tavola in luogo della
più anonima oliera.
Per la fascia di prodotto "superiore" (realizzata con olive di particolari varietà di pregio e/o
tramite tecniche di coltivazione, raccolta e spremitura particolarmente accurate), può essere più idonea alla valorizzazione dell'immagine una bottiglia di forma particolare, magari
corredata di un cartiglio che descrive le peculiarità del prodotto.
Il punto vendita e l'esposizione
Il punto vendita dovrà essere dotato di un accesso diretto dall'esterno, dotato di parcheggio antistante, anche per favorire le operazioni di carico.
Se adiacente al frantoio sarà molto efficace proporre una visita guidata, con una spiegazione delle fasi di lavorazione del prodotto.
Anche l'azienda olivicola potrà proporre la visita agli oliveti, soprattutto se vanta la presenza di piante secolari o di particolarità biologiche e paesaggistiche.
L'allestimento del punto vendita dovrà comprendere idonee scaffalature espositive, un
banco di degustazione, magari con alcuni tavolini e sedie, un banco separato che fungerà
da cassa e distribuzione di opuscoli informativi. Il tutto dovrà contribuire a creare un'immagine di tipicità consona con l'oggetto della vendita. Sarà quindi gradita l'esposizione di
vecchie attrezzature di oleificio o di foto d'epoca, magari della stessa famiglia produttrice;
anche l'esposizione di attestati, diplomi e manifesti di concorsi cui l'azienda ha partecipato possono contribuire all'immagine.
Se l'azienda partecipa a progetti di valorizzazione (percorsi enogastronomici, progetti collettivi territoriali) sarà opportuno esporre il materiale divulgativo e dargli il necessario risalto.
Iniziative di valorizzazione della Provincia di Rimini
OrgOlio: iniziativa dell'Amministrazione provinciale di Rimini che realizza azioni volte a promuovere il consumo dell'olio extravergine di oliva e ad apprezzare le caratteristiche qualitative della produzione locale.
Domenica in frantoio: iniziativa che raggruppa i frantoi oleari della provincia di Rimini e prevede la possibilità di visitare gli stabilimenti durante la stagione di lavorazione delle olive.
Altre manifestazioni di rilievo in provincia di Rimini
L'olio novello in tavola. L'estratto più gustoso della Storia: manifestazione che si tiene ogni
anno a metà dicembre a Montegridolfo (cui è abbinato il concorso regionale per olio extravergine di oliva "il Novello di Romagna").
Fiera dell'oliva: Coriano e Montefiore.
Suggerimenti pratici
La degustazione nel punto vendita può essere offerta a gruppi organizzati o anche a singoli clienti, meglio se accompagnata da un piccolo assaggio di piadina, bruschetta, salumi e
formaggi.
L'abbinamento dell'olio extravergine di oliva con i vini ed i formaggi è sicuramente consigliabile, anche per le degustazioni.
Le confezioni regalo che contengono una selezione di prodotti aziendali possono essere proposte durante tutto l'anno ma specialmente in occasione delle festività.
La clientela locale può apprezzare senz'altro la possibilità di consegna a domicilio, mentre
per i clienti di altre città o stranieri è interessante offrire la possibilità di ordinare il prodotto in seguito da casa via fax, e-mail o anche solo telefonicamente; in questi casi, è bene
che il produttore sappia dare indicazioni sui costi di spedizione, sui tempi di consegna e
sulle modalità di pagamento.
Per il pagamento in azienda è necessario essere in grado di accettare bancomat e carte di
credito, in alternativa al contante e agli assegni.
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Prodotti caseari
La tipicità delle produzioni casearie della provincia di Rimini
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Denominazioni inserite nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali dell'Emilia Romagna:
Il Fossa di Sogliano al Rubicone (Furmai ad Fosa): viene prodotto anche nella variante locale
delle fosse di Mondaino, è un formaggio pecorino di produzione primaverile (aprile - maggio) che dopo tre mesi di stagionatura viene "infossato" da agosto a novembre/dicembre e
subisce un processo di maturazione particolare in questi ambienti un tempo utilizzati per
la conservazione dei cereali.
Pecorino del Pastore: è senz'altro una strada interessante quella di ripercorrere il corso della
tradizione locale, che già annovera la produzione di formaggi pecorini fin dall'epoca romana, metabolizzando l'innesto di quella cultura sarda che ha permeato l'entroterra riminese
dagli anni '50 - '60 in poi, attraverso un processo di immigrazione che ha interessato tutta
la collina romagnola in quel periodo. La produzione di formaggi ovini è quindi una tradizione antica ripresa da circa mezzo secolo e si esprime in numerose tipologie di prodotto
che hanno assunto una dimensione propria in ambito locale.
Squacquerone di Romagna (Squaquaron): consumato spesso e volentieri insieme alla piadina romagnola. La materia prima è composta da latte vaccino intero crudo, che viene fatto
cagliare. La forma, data la consistenza estremamente molle, è indefinita (da qui il nome)
con peso da 1 a 3 kg , la pasta è molle, tenera e senza crosta, con sapore di latte leggermente acidulo.
La confezione
• I formaggi prodotti dalle aziende locali appartengono a diverse categorie e si presentano con svariate forme, dimensioni e consistenza.
• I formaggi molli (squacquerone) possono essere venduti in confezioni realizzate al
momento ed inserite nelle apposite vaschette monouso trasparenti.
• I formaggi semistagionati o stagionati (pecorini o misti), che si presentano a forma di
"caciotta" con diametro attorno ai 15 cm, possono essere dotati della classica etichetta cartacea rotonda e, in prossimità della vendita, confezionati per brevi periodi con
pellicola trasparente o sottovuoto.
• I formaggi stagionati nelle antiche fosse granarie, presenti, oltre che nelle vicine località di Sogliano al Rubicone (FC) e Talamello (PU), anche in provincia di Rimini
(Mondaino), si presentano con forme estremamente irregolari e difficilmente "etichettabili"; ad essi è abbinabile una confezione più fantasiosa, magari in piccoli canestrini
in vimini, per il formaggio si consiglia un rivestimento in pellicola o sottovuoto.
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
Il punto vendita ed il laboratorio di produzione dei prodotti caseari devono soddisfare i
requisiti igienici specifici trattati nel relativo capitolo di questa pubblicazione. Per quanto
riguarda l'aspetto di presentazione al pubblico è necessario dare al cliente l'immagine di
un totale rispetto della pulizia ed igiene, senza però far assomigliare il punto vendita ad un
ospedale.
Si consiglia di non effettuare visite al pubblico nel laboratorio caseario, ma può essere studiata una parete a vetri che lo divide dal banco di vendita e dalla zona aperta al pubblico
e che permetta di seguire le fasi della lavorazione.
Se interessanti perché ricavati in locali antichi, grotte ecc., possono essere fatti visitare,
con le dovute precauzioni, gli ambienti di stagionatura.
Iniziative di valorizzazione cui possono accedere i formaggi della provincia di Rimini
Le greggi d'oro - Concorso nazionale del formaggio pecorino italiano - Mondaino: si tiene
annualmente in occasione della fiera di Santa Bibiana (fine novembre / inizio dicembre)
durante la quale si procede anche alla "sfossatura" dei formaggi (unico ciclo annuale di stagionatura).
Fiera del Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone (FC) e dell'Ambra di Talamello (PU):
nelle due località "storiche", patria della tecnica di stagionatura nelle fosse granarie, vengono stagionati anche formaggi prodotti nella limitrofa provincia di Rimini.
Suggerimenti pratici
Un punto vendita dovrà poter offrire un'ampia gamma di scelta, anche se poi potrà privilegiare alcuni prodotti "di punta". Nell'ambito dei formaggi ovini si consiglia di puntare su
quelli stagionati ma a stagionatura non troppo spinta.
Per differenziare la gamma può essere interessante proporre alcuni formaggi misti, anche
con latte di allevamenti diversi (caprini e bufalini) oltre che da latte bovino. Se si utilizzerà del latte bovino si sconsiglia di acquistarlo direttamente da altri allevamenti ma da centrali già riconosciute come "primi acquirenti" per evitare i complessi adempimenti burocratici che ne deriverebbero, sostenibili solo su dimensioni aziendali consistenti.
L'abbinamento con olio extravergine di oliva e vini può dare al punto vendita un respiro più
ampio senza aggiungere particolari problemi organizzativi.
La vendita per corrispondenza o e-commerce, può presentare notevoli problemi per questo
tipo di prodotto. Considerando che ovviamente possono essere trattati solo prodotti stagionati a lunga conservabilità, deve essere concordata con lo spedizioniere prescelto la modalità di imballaggio ed i tempi di consegna; le esperienze negative nei confronti del cliente
producono un disastroso effetto di ritorno sulla credibilità dell'azienda.
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Miele e prodotti derivati
La tipicità delle produzioni apistiche della provincia di Rimini
La varietà di ambienti presenti in provincia, sia dal punto di vista geomorfologico che
soprattutto della composizione floristica, permette la produzione di diversi tipi di miele, ad
esclusione ovviamente di quelli più caratteristici della montagna.
La possibilità di effettuare il nomadismo amplia sicuramente la gamma di prodotto.
La presenza di zone boscate fortemente colonizzate dalla Robinia, permette di realizzare
un miele di Acacia abbastanza puro ed abbondante.
La confezione
Il miele può essere confezionato in vetro in contenitori di diverse capacità; si consiglia di
limitare il numero di confezioni da 1Kg a vantaggio di confezioni più piccole.
Il vetro trasparente non colorato permette di apprezzare le diverse tipologie di prodotto, in
base al colore, la densità e la trasparenza o opacità.
Per le confezioni più piccole, è apprezzato il set di 4 o 5 diversi tipi di miele in confezione "regalo", che permette di confrontare i diversi gusti.
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
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Non sempre il produttore di miele è legato ad una vera e propria tradizionale azienda agricola; in questi casi il punto vendita aziendale può essere sostituito da una struttura diversa. Il miele ed i prodotti derivati sono molto adatti alla vendita ambulante, in occasione di
fiere e sagre.
La degustazione è molto semplice e poco onerosa per il produttore, dato che si limita a piccole quantità di prodotto; normalmente è un modo per attirare l'acquirente e renderlo più
propenso all'acquisto, specialmente se si è in grado di proporre diversi tipi di prodotto.
L'esposizione di un'arnia con i relativi componenti ed alcune attrezzature per la lavorazione, destano solitamente molta curiosità.
Iniziative di valorizzazione in provincia di Rimini
Festa del Miele - Montebello di Torriana: si tiene in questa località ogni anno a settembre
e raggruppa molti produttori anche delle vicine province. Lo scopo della manifestazione è
di far scoprire i segreti e le qualità del miele e dei prodotti dell'alveare. Sono abbinati
anche prodotti dell'erboristeria, prodotti tipici locali, artigianato, gastronomia, spettacoli e
giochi per i più piccoli, canti e balli della tradizione romagnola, mostre ed escursioni guidate lungo i sentieri dell'Oasi di protezione della fauna di Torriana - Montebello.
Suggerimenti pratici
Il miele è un prodotto facilmente abbinabile nel punto vendita a tutti gli altri prodotti tipi-
ci locali, senza particolari problemi di esposizione e conservazione; può essere quindi inserito come prodotto complementare presso la maggior parte dei punti vendita aziendali specializzati o polivalenti, arricchendo l'assortimento dei prodotti. Le degustazioni di miele
possono essere abbinate con successo a quelle di formaggi locali o anche effettuate sul
prodotto specifico, purché si disponga di un nutrito assortimento. È molto interessante l'offerta di preparazioni di miele con frutta secca (mandorle, noci, nocciole) o disidratata
(uvetta o altro). Possono avere un certo mercato anche le preparazioni di pappa reale e propoli, magari in particolari formulazioni da erboristeria. Con la cera è possibile realizzare
diversi lavori di artigianato, abbinabili al prodotto miele.
Ortofrutta fresca
La tipicità delle produzioni in provincia di Rimini
Le produzioni orticole riminesi hanno una tradizione molto consolidata ed una forte specializzazione, soprattutto nella zona nord della Provincia. Sui terreni sabbiosi della prima
fascia litoranea, principalmente in ambiente protetto, la melanzana è l'ortaggio più caratteristico. Si produce ancora in questa zona la cv. denominata "Violetta lunga riminese",
assieme alla rucola, al ravanello ed ai liscari, tutti ortaggi che presentano caratteristiche
organolettiche particolari se prodotti su quei tipi di terreno. Notevoli sono poi le produzioni di cetriolo e pomodoro, mentre nella pianura alluvionale immediatamente a ridosso della
fascia costiera e lungo il conoide del Marecchia si producono ortaggi da foglia (lattuga,
sedano, endivie).
La confezione
Per la vendita diretta in azienda è necessario poter presentare il prodotto in imballaggi a
perdere di dimensioni più contenute rispetto a quelli per la vendita all'ingrosso o vendere
al dettaglio il prodotto "a peso" senza confezione.
Alcune tipologie di ortaggio sono vendute tradizionalmente a "mazzetti" (liscari, ravanelli e
rucola). Tali assemblaggi non sono generalmente visti di buon occhio dall'acquirente, perché non è controllabile il peso ed il relativo prezzo; possono essere più convenientemente
sostituiti dalla vaschetta di PET trasparente per alimenti, sulla quale indicare il peso esatto del prodotto.
Il punto vendita e l'esposizione
Data la forte specializzazione delle aziende orticole su pochi prodotti, la vendita diretta
rischia di essere problematica se non viene gestita a livello interaziendale. È infatti necessario disporre di un assortimento adeguato alle esigenze della clientela, rispettando però
ovviamente il concetto di tipicità ed evitando quindi di proporre frutti esotici o comunque
di produzione non locale.
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La soluzione migliore può essere quella di gestire in comune il punto vendita tra più aziende, studiando le idonee formule associative, scegliendo un'ubicazione idonea in zone di
transito o periurbane e richiedendo l'assegnazione della concessione comunale per la vendita su area pubblica.
Suggerimenti pratici
Per l'organizzazione di un punto vendita ci si dovrà dotare di una cella frigorifera adatta
alla conservazione del prodotto al fine di poter mantenere più a lungo in buono stato la
merce offerta.
Dovranno essere pubblicizzate promozioni per l'acquisto di cassette o stock di prodotto,
magari abbinando a tali offerte istruzioni per la produzione casalinga di conserve, marmellate, sottoli e sottaceti.
Il consumatore dovrà essere educato a considerare il fattore stagionalità nel valutare la
gamma dei prodotti offerti, accettando l'idea di non poter avere tutto in tutte le stagioni; a
tale riguardo sarà molto utile esporre nel punto vendita materiale informativo, i calendari
di maturazione dei prodotti, segnalare i prodotti della settimana ecc.. Il ricarico dovrà essere comunque inferiore a quello del negozio al dettaglio cittadino.
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Sarà interessante valutare la possibilità di estendere l'offerta verso i prodotti della cosiddetta quarta gamma; si tratta di preparazioni di verdura e frutta già selezionata, lavata,
tagliata e pronta al consumo, che stanno guadagnando ampie quote di mercato in questi
ultimi anni.
Per una vendita diretta aziendale ciò può essere inizialmente ritenuto inadatto in quanto
non risponde certo ai canoni di un'immagine di tradizione rurale come è intesa nell'immaginario collettivo. L'innovazione in questo campo deve però fare i conti con le tendenze dei
consumi che sono ormai inesorabilmente avviate a privilegiare quei prodotti che consentono un risparmio di tempo, una maggiore conservabilità e standardizzazione del livello qualitativo.
Ortofrutta - Trasformati
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
Le "conserve" più tipiche della Romagna sono: la "Mostarda di Romagna", una sorta di confettura di frutta mista (mele cotogne, pere, prugne, uvetta, mosto d'uva e senape) dal sapore tra il dolce e il piccante, ormai abbastanza difficile da reperire sul mercato, denominata anche Savor. Un'altra preparazione a base di mosto concentrato, denominata Saba o
Sapa risale ad una tradizione molto antica, diffusa in tutta la Romagna.
Questi prodotti sono inclusi nell'elenco regionale delle specialità alimentari tradizionali.
Molto diffuse ma senza una specifica connotazione di tipicità locale sono le confetture, le
salse di pomodoro e le preparazioni sott'aceto e sott'olio (queste ultime possono però beneficiare dell'apporto di tipicità legato all'utilizzo dell'olio extravergine di oliva locale).
La confezione
Per questi tipi di prodotto le confezioni possono essere le più disparate: le preparazioni più
classiche (mostarda o saba) vanno ovviamente presentate con una veste che ne esalti il
contenuto di tipicità e tradizione. Il vasetto in vetro o la boccetta sarà quindi di dimensioni contenute, forma elegante ed etichettatura dallo stile rustico, magari abbinata al cappuccio in tessuto stampato secondo la tradizione romagnola. Un cartiglio con la descrizione della tecnica di lavorazione, degli ingredienti, della storia del prodotto, nonché delle
modalità di degustazione, arricchisce l'insieme.
I prodotti di base, come le passate di pomodoro, difficilmente possono reggere la concorrenza del prodotto industriale. In questo settore, è più produttivo orientarsi verso prodotti
a maggior valore aggiunto, come le salse pronte da condimento, già insaporite con erbe
aromatiche (aglio, scalogno, basilico ecc.).
Per quanto riguarda le confetture e le verdure sott'olio e sott'aceto, per confrontarsi sul
mercato con l'analogo prodotto industriale, si dovrà puntare ad una differenziazione basata sull'utilizzo di frutti o ortaggi minori, di particolari lavorazioni e farciture o di abbinamenti inconsueti. In ogni caso, il differenziale di prezzo nei confronti dell'analogo prodotto industriale, ove esistente, dovrà essere contenuto il più possibile.
Il laboratorio, il punto vendita e l'esposizione
Il laboratorio deve essere realizzato nel rispetto di tutti i requisiti igienico - sanitari del caso
e gestito con particolare riguardo al piano di autocontrollo HACCP; è superfluo infatti sottolineare quanto sia pericolosa, soprattutto nel settore dei prodotti conservati, un'igiene
approssimativa, la mancata sterilizzazione dei contenitori o la contaminazione del contenuto da parte di potenziali agenti patogeni. Per la conservazione nel periodo di maturazione, deve essere disponibile un locale buio e a temperatura il più possibile costante. Per
quanto riguarda l'esposizione devono essere evitate le zone del punto vendita maggiormente esposte alla luce diretta o a sbalzi di temperatura. In generale, non è necessaria la frigoconservazione, ma è preferibile la climatizzazione nel periodo estivo.
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Iniziative di valorizzazione cui possono accedere i prodotti conservati della provincia di Rimini
Sagra del Savor di Montegelli: si svolge ogni anno l'ultima domenica di Settembre. Si innesta su una antichissima festa religiosa: la festa della "Madonna del Rosario" che, da quasi
500 anni, si festeggia a Montegelli, località in provincia di Forlì-Cesena, limitrofa al territorio della provincia di Rimini, tra la valle del Marecchia e quella del Savio. La sagra è una
ghiotta occasione per assaggiare il Savor ed altre preparazioni antiche e particolari come il
Mastlaz, la Saba, la marmellata di pomodori o quella di sambuco.
Suggerimenti pratici
I prodotti di questa scheda possono essere facilmente abbinati con qualunque altro prodotto tipico locale; l'aspetto della confezione deve essere tale da non richiamare analoghi
prodotti di preparazione industriale.
Si consiglia di controllare frequentemente il prodotto esposto, soprattutto riguardo alla
tenuta delle capsule "sottovuoto" ed alle date di scadenza che non devono essere troppo
prossime; a non meno di 8/10 mesi dalla scadenza si consiglia di mettere il prodotto "in
promozione" in modo di eliminare le scorte.
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Carni fresche
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
L'allevamento bovino da carne trova la sua miglior espressione, nel Riminese, con la razza
Romagnola che può anche usufruire della IGP "Vitellone Bianco dell'Appennino centrale".
Anche le carni ovine sono tradizionalmente consumate in Romagna, prevalentemente
l'agnello e l'agnellone maschio "castrato", di razza Appenninica o della ormai più diffusa
razza Sarda.
Per le carni suine, la razza tradizionale "Mora romagnola", oltre che per gli insaccati, è
adatta anche per la produzione di carni fresche, che si distinguono da quelle delle razze
utilizzate nell'allevamento industriale per un maggiore contenuto in grasso e sono quindi
prevalentemente adatte a cotture alla griglia.
La preparazione
La macellazione degli animali è consentita solo presso le strutture autorizzate sotto controllo veterinario. L'attività successiva di sezionamento e vendita delle carni fresche è difficile da gestire in azienda, sia per le problematiche logistiche e autorizzative - igienico
sanitarie che per l'oggettiva difficoltà delle operazioni di sezionamento e preparazione delle
carni che richiedono professionalità specifiche non improvvisabili sul momento. La soluzione migliore potrebbe essere, per l'azienda, quella di convenzionarsi con macellerie locali che possano fornire il servizio di lavorazione delle carni ai clienti. Questi, anche organizzati in gruppi (familiari, condominiali ecc.), a seconda del quantitativo di carne richiesto
da ciascuno (1/4 di vitellone o scottona fornisce, ripartiti nei vari tagli, dagli 80 ai 90 kg
di carni), acquistano l'animale vivo dall'azienda e, dopo la macellazione presso i macelli
autorizzati sottoposti a controllo veterinario ed un adeguato tempo di frollatura delle mezzene in cella frigorifera, potrebbero farlo lavorare presso una struttura adeguata e dotata
dei necessari requisiti igienico - sanitari, assistendo magari alla lavorazione e ritirando poi
i vari tagli confezionati per l'uso familiare.
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
Per quanto detto sopra, non sempre può essere conveniente allestire un punto vendita
aziendale, che deve essere dotato di tutti i requisiti igienico - sanitari di un laboratorio /
negozio di macelleria. L'azienda che volesse praticare la vendita diretta di carni fresche
dovrebbe comunque dotarsi di locali climatizzati con idonei requisiti e destinazione d'uso,
celle frigorifera di buona capienza, banco frigo, banco di taglio ecc..
Si consiglia di puntare sulla soluzione della lavorazione "in convenzione" con centri macellerie specializzate ed eventualmente allestire in azienda solo un locale di vendita di
prodotti confezionati sottovuoto con idoneo banco frigo. La soluzione più conveniente è
comunque quella di vendere a gruppi di clienti (che l'agricoltore può organizzare a seconda delle richieste) l'animale intero per evitare di avere una domanda concentrata su singoli tagli (filetto, fettine, fiorentine) e lasciare invenduti i tagli meno richiesti.
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Gli strumenti di valorizzazione cui possono accedere i produttori di carni della provincia di Rimini
Organizzazione di produttori "ProInCarne": l'Organizzazione Proincarne (Produrre Insieme
Carne) che istituzionalmente si occupa della commercializzazione del prodotto dei suoi
1.300 associati, di cui circa 250 allevatori di Romagnola, ha portato avanti in questi anni
un intenso programma di attività per promuovere e divulgare ad ampio raggio le caratteristiche della razza bovina.
Marchio "QC": l'introduzione del marchio QC (Qualità Controllata), promosso dalla Regione
Emilia-Romagna per alcuni tipi di carne, tra cui quella della Romagnola, ha dato un notevole impulso alla valorizzazione del prodotto. Successivamente, l'ottenimento del riconoscimento europeo "IGP" (Indicazione geografica protetta) per il "Vitellone bianco
dell'Appennino centrale", ha dato ulteriore stimolo alla valorizzazione commerciale della pregiata razza bovina da carne.
Suggerimenti pratici
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Il consumatore può essere indotto all'acquisto delle carni in azienda, non tanto per una
concorrenzialità del prezzo, che può anche esserci, ma soprattutto dalla convinzione di
acquistare un prodotto con caratteristiche qualitative superiori e con garanzia di genuinità. E' importante quindi mettere in mostra i punti di forza dell'allevamento: impiego di alimenti prodotti in azienda senza additivi o promotori della crescita, presenza del ciclo completo - linea vacca/vitello - di razze autoctone, buon grado di benessere degli animali,
rispetto delle norme ambientali, pulizia dei locali e degli spazi di accesso. Se l'azienda
aderisce alla IGP o ai disciplinari QC o alle norme per la zootecnia biologica, si dovrà dare
ampio risalto al materiale informativo ed ai marchi di certificazione. Sarebbero graditi senz'altro al consumatore cartelli informativi sull'utilizzo dei vari tagli forniti dall'animale e
sulle percentuali medie di resa alla macellazione (peso vivo, peso morto, peso dei vari tagli
ottenibili). Può essere interessante sviluppare anche un settore di produzione - vendita di
carni "alternative" (avicunicole) inizialmente complementare agli altri settori ma che
potrebbe acquisire anche una propria specializzazione in ambito aziendale, presentando
un'ampia gamma di prodotti semi-artigianali di elevata qualità.
Salumi e Porchetta
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
L'allevamento suino nel Riminese non ha assunto i caratteri dell'allevamento industriale di
altre zone della regione mentre si conserva ancora una certa tradizione di allevamento
"familiare" legato all'autoconsumo o poco più. Potenziando leggermente queste tipologie di
allevamento, si potrebbe ottenere una produzione aziendale di animali molto adatti alla
produzione di insaccati. La provincia di Rimini non è estremamente vocata, se non in alcune zone interne, alla stagionatura a lungo termine dei prosciutti, per cui si consiglia di
orientare la produzione salumiera sugli insaccati a medio - breve stagionatura; nelle colline più interne della Valconca / Valle del Tavollo o della Valmarecchia, può essere egregiamente stagionata una produzione di salami, salsicce secche, coppa, pancetta, guanciale,
lardo, secondo una tradizione molto antica ereditata anche dalle vicine Marche.
La confezione
L'insaccato non viene normalmente confezionato se commercializzato al punto giusto di
stagionatura; può essere comunque utilizzata la confezione in film plastico sottovuoto per
bloccare al punto desiderato il processo di disidratazione e conservare fuori stagione il prodotto. Normalmente ad ogni pezzo messo in vendita viene applicato il cartiglio o la targhetta metallica o la fascetta con le indicazioni di legge e del produttore.
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Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
Il punto vendita deve poter rendere ragione della qualità del prodotto e pertanto è necessario che sia evidente la connessione con l'attività di allevamento aziendale e con quella
di lavorazione propria (compresa la stagionatura). In particolare i locali di stagionatura
devono poter essere visitati, soprattutto se rivestono caratteristiche architettoniche interessanti.
Suggerimenti pratici
Il salume può essere anche oggetto di preparazioni innovative che si ricollegano alla tradizione ma sviluppano forme nuove di prodotto. Le preparazioni a base di carni suine di razza
Mora romagnola potrebbero conferire un valore aggiunto di tipicità ulteriore. Più difficile
sicuramente, ma non impossibile, il discorso di una produzione di salumi a base di cinghiale, animale ampiamente diffuso ormai anche in provincia di Rimini.
Per produzioni più importanti come ad esempio i prosciutti, si potrebbe "emigrare" di pochi
chilometri per effettuare la stagionatura nelle limitrofe località marchigiane ad alta vocazione, come ad esempio l'area del "Carpegna" (PU).
Gli insaccati con carni non tradizionalmente utilizzate a questi fini (equine - avicole)
potrebbero risultare interessanti, anche se non rivestono certo carattere di tipicità nel
Riminese.
Un discorso a parte: la porchetta
Non può certo essere considerata un salume ma la materia prima comune fa propendere
per inserirla in questa scheda - prodotto. La porchetta è, a tutti gli effetti, un prodotto tipico anche della provincia di Rimini, data la vicinanza con le Marche, da cui deriva nella sua
versione locale; sia la Valconca che la Valmarecchia sono culla di questa produzione che
non si cura dei confini amministrativi e contagia tutto il territorio fino al mare. I cosiddetti "porchettai" sono ancora onnipresenti nei giorni di mercato nei principali centri dell'entroterra e riforniscono anche le principali gastronomie cittadine.
Per le aziende agricole potrebbe essere un'opportunità interessante da abbinare all'allevamento aziendale e potrebbe svilupparsi come commercio itinerante, alla maniera tradizionale, o come fornitura di punti vendita fissi.
Cereali, legumi, farine e prodotti elaborati
(pasta e piadine)
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
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In questo settore non sono ancora state individuate particolari varietà legate alla tradizione locale; trattandosi di coltivazioni annuali, difficilmente potranno essere recuperate in
loco sementi appartenenti alla tradizione agraria del passato.
Si dovrà puntare pertanto su produzioni che, pur realizzate con cultivar attuali, puntino sul
recupero delle tecniche colturali tradizionali, con un limitato uso di fertilizzanti e fitofarmaci, o addirittura sulle tecniche di agricoltura biologica, abbastanza semplici da praticare in questo settore produttivo. I prodotti elaborati (pasta e piadine) rivestono invece un
forte carattere di tipicità, soprattutto in aziende che scelgono di sviluppare un progetto di
completamento della filiera.
La confezione
Le farine di frumento tenero vanno confezionate nel sacchetto da 1Kg, o più convenientemente da 5 Kg, avendo cura di differenziare le varie tipologie (Tipo 0, 00, semi integrale,
integrale) e proponendo anche le varietà speciali "di forza", farina e semola di grano duro,
la farina di farro, di segale, di mais, di grano saraceno, queste ultime in confezioni anche
da 1/2 Kg. I legumi possono essere generalmente confezionati in sacchetto sottovuoto da
0,5 Kg. Tale tipo di confezionamento, benché garantisca una maggiore conservabilità del
prodotto, gli conferisce un aspetto più "industriale"; per la vendita diretta in azienda può
essere più scenografica la presentazione del prodotto allo stato sfuso nei classici sacchi di
juta. Anche per alcuni cereali, come per i legumi, può essere proposta la confezione di
semi, adatti alla preparazione di zuppe (orzo perlato, farro) o la creazione di miscugli, sempre per zuppe vegetali, di legumi e cereali.
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
Esistono ancora nel Riminese antichi mulini a pietra che possono costituire un elemento
di valorizzazione di un prodotto locale di nicchia lavorato con tecniche artigianali. Per la
vendita aziendale è infatti importante differenziare il prodotto da quello industriale, anche
facendo riferimento alla struttura di lavorazione che deve aggiungere contenuti di tipicità
alla filiera. Per i semi (legumi, orzo perlato e farro), le operazioni di selezione, lavorazione
e confezionamento, possono essere anche effettuate a livello aziendale, disponendo di idonea attrezzatura, che può essere anche oggetto di interesse e visita da parte dei clienti.
Suggerimenti pratici: completare la filiera
Le produzioni locali di farine di grano tenero e duro possono entrare in filiere importanti
(pasta di produzione locale, pane, piadina romagnola, pizza), conferendo ad esse un carattere di tipicità che altrimenti sarebbe meno evidente.
Gruppi di aziende agricole potrebbero stipulare accordi anche a carattere collettivo con gli
stabilimenti artigiani locali (pasta fresca, pasta secca, piadina precotta, pane), per realizzare preparati caratterizzati dall'impiego di ingredienti prodotti dalle aziende locali, anche
utilizzabili nel circuito delle attività agrituristiche. La produzione di pasta, fresca o essiccata, può essere comunque svolta anche a livello aziendale, con un completamento ottimale della filiera, abbinando a tale attività di trasformazione anche la produzione di uova
di alta qualità. Anche la produzione di piadina può costituire un interessante sviluppo di
filiera per l'azienda agricola, proponendo una gamma di varianti anche in chiave moderna
(dietetica, integrale, con farine speciali ecc.). In tali casi, si dovrà comunque rispettare
rigorosamente un piano di autocontrollo igienico - sanitario adeguato ed utilizzare attrezzature e tecnologie perfettamente idonee a fornire garanzie di igiene sul prodotto.
Alcuni riferimenti di legge
• Legge n. 580 del 4 Luglio 1967 Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari;
• D.P.R. n. 187 del 9 Febbraio 2001 Regolamento per la revisione della normativa sulla
produzione e commercializzazione di sfarinati e paste alimentari.
Vedere inoltre il capitolo relativo alle problematiche igienico - sanitarie.
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Erbe aromatiche da condimento e per usi salutistici
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
La coltivazione e la raccolta allo stato spontaneo di erbe aromatiche, da condimento e per
usi salutistici è una tradizione di tutte le zone rurali d'Italia. Dato che nel dopoguerra tale
tradizione si è persa un po' ovunque, il prodotto da condimento, aromatico e per usi salutistici viene spesso importato dall'estero. La collina della provincia di Rimini è molto vocata per le coltivazioni di erbe aromatiche e da condimento. Perfino specie considerate come
esclusive delle regioni meridionali, come il peperoncino, l'origano, il timo o il cappero, sviluppano bene anche nel nostro clima (è frequente incontrare piante di cappero allo stato
spontaneo che allignano sulle antiche mura di rocche e castelli).
La confezione
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Per questo tipo di prodotti, la confezione è estremamente importante, sia per il fatto che
l'immagine veicola il contenuto, sia perché comunque le proprietà del prodotto devono
rimanere il più possibile inalterate. Le erbe con funzione salutistica o cosmetica (per infusi, tisane, decotti, maschere ecc.), vendute essiccate, possono essere confezionate in sacchetti sigillati trasparenti con un'etichetta che richiami l'aspetto originale della pianta,
identifichi le specie che compongono il prodotto e dia le indicazioni d'uso, le modalità di
preparazione e le dosi.
Per i prodotti conservati in salamoia, sott'olio o sotto sale, come i capperi o il peperoncino piccante, possono essere usati i classici vasetti in vetro o anche contenitori artigianali
in ceramica tradizionale.
E' importante, comunque, in questo settore, non rendere troppo labile il rapporto di connessione diretta con ciò che si vende e la produzione aziendale, magari a scapito della
varietà del prodotto; è meglio presentare pochi semplici articoli ma prodotti direttamente
che trasformare il negozio aziendale in un'erboristeria piena di prodotti anonimi (si deve
anche tener conto del fatto che sconfinare nell'ambito del prodotto erboristico diventerebbe per l'azienda agricola un'attività diversa che non può essere considerata in connessione con l'agricoltura e comporta l'ottenimento di specifiche autorizzazioni legate al possesso di particolari requisiti).
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
Il laboratorio aziendale, per le aziende che volessero specializzarsi ed effettuare la lavorazione in proprio, deve essere dotato di attrezzature abbastanza specialistiche e rappresenterà sicuramente un'interessante attrattiva per i visitatori.
I prodotti vanno tenuti al riparo dalla luce diretta del sole e da fonti di calore, ed esposti
in bacheche, ordinate per categoria o in base agli effetti salutistici - alimentari per cui vengono proposti.
Le produzioni aromatiche e da condimento possono integrarsi con l'offerta di frutta e verdura fresca e/o conservata.
Le iniziative di valorizzazione cui possono accedere i prodotti della provincia di Rimini
SalusErbe - Saludecio: la festa interamente dedicata al naturale, classico appuntamento di
primavera delle colline riminesi, che si svolge nel borgo di Saludecio solitamente nell'ultimo week-end di aprile
Suggerimenti pratici
• Deve essere assolutamente distinta la categoria delle erbe officinali per uso erboristico
o cosmetico da quella delle erbe aromatiche per uso alimentare - da condimento (anche
se alcune erbe appartengono ad ambedue le categorie). Le coltivazioni per uso erboristico, dopo un tentativo di rilancio effettuato nel Riminese negli anni '80, non hanno
avuto lo sviluppo sperato anche perché erano state concepite per una destinazione
commerciale industriale, nei confronti della quale la concorrenza del prodotto estero è
imbattibile e le problematiche connesse con la lavorazione e la commercializzazione
esulano dall'ambito dell'attività agricola.
• La categoria delle erbe aromatiche fresche per uso alimentare - da condimento può
entrare nell'ambito dell'attività ordinaria dell'azienda orticola ma, a questo livello, la
produzione per il consumo fresco necessita di una forte specializzazione con l'attivazione di un canale commerciale stabile e capace di assorbire regolarmente notevoli quantitativi di prodotto.
• Per differenziare l'offerta del "negozio aziendale", nel caso di aziende non specializzate nel settore, potrebbe essere coltivato un piccolo orto dedicato alle piante aromatiche, orientandosi su quelle che possono essere utilizzate essiccate o conservate con
semplici lavorazioni.
• Per non "sconfinare" nell'ambito erboristico, si consiglia di mantenere la linea di una
produzione orientata all'uso alimentare (anche recuperando specie che tradizionalmente vengono raccolte allo stato spontaneo):
- erbe aromatiche da essiccare: timo, maggiorana, origano, erba cipollina, citronella,
dragoncello;
- prodotti da proporre conservati: cappero, peperoncino piccante;
- prodotti da consumo fresco: basilico, salvia, rosmarino, rucola, strigoli, cime di vitalba, asparago selvatico, "rosole" di papavero ecc..
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Artigianato tipico
La tipicità delle produzioni della provincia di Rimini
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Benché si esuli in questo campo dalla produzione agricola propriamente detta, vi sono
numerosi prodotti di artigianato tipico legati alla tradizione rurale della campagna romagnola, molti dei quali derivano dalla lavorazione di materiali che possono essere comunque
considerati a tutti gli effetti prodotti agricoli.
La lavorazione dei cesti in canna e giunco è legata ad una tradizione molto antica, ormai
difficile da ritrovare viva ma che sarebbe comunque da recuperare anche al fine di diversificare o integrare l'offerta di prodotti aziendali.
Affini sono anche la produzione di ramazze di giunco, di scope e spazzoloni di saggina,
l'impagliatura delle sedie, attività per le quali è necessaria una vera e propria coltivazione
di questi materiali.
La stampa secondo la tradizione romagnola dei tessuti (in particolare tovaglie e tende) è
anch'essa una tradizione molto importante, soprattutto se abbinata a tessuti artigianali realizzati con i materiali della tradizione (lino e canapa).
La Valconca conserva inoltre una tradizione antica di produzione delle ceramiche, molto
fiorente fino a pochi decenni fa ma ormai soggetta ad un brusco declino, che potrebbe trovare nuovi sbocchi e sinergie con l'abbinamento alla produzione agricola tipica locale.
Una tipologia più moderna e meno tradizionale di prodotti è costituita dai lavori in cera
d'api (candele di varia forma anche aromatizzate o arricchite di essenze con funzione repellente per gli insetti).
La confezione
Il prodotto di artigianato tipico può essere utilizzato di per sé come complementare del prodotto agricolo. I cesti tradizionali sono l'ideale contenitore delle confezioni regalo di prodotti tipici, da utilizzare soprattutto in occasione delle festività.
Anche i tessuti stampati e gli oggetti in cera possono costituire un ideale complemento per
le confezioni, mentre i vasi in ceramica possono essere utilizzati per le conserve, l'olio, le
erbe aromatiche.
Il punto vendita, il laboratorio e l'esposizione
I prodotti di artigianato devono integrarsi nel punto vendita con i prodotti agricoli propriamente detti, sia nella loro funzione di contenitori che in quella di arredo, assieme magari
agli antichi attrezzi e strumenti di lavoro della tradizione.
Il laboratorio può essere anche sviluppato come spazio aperto e interattivo, dove il visitatore può accedere per apprendere le tecniche ed esercitarsi sotto la guida dell'artigiano,
magari in veri e propri "corsi" strutturati in cicli di lezioni.
L'esposizione deve essere pienamente integrata con l'offerta dei prodotti agroalimentari
dell'azienda, in modo da creare una forte sinergia promozionale.
Iniziative di valorizzazione cui possono accedere i prodotti di artigianato tipico
della provincia di Rimini
In tutte le manifestazioni locali (fiere e sagre) possono trovare spazio i prodotti dell'artigianato tipico locale, che però subiscono l'affollamento di tali manifestazioni su un livello di
proposta commerciale appiattito e anonimo.
Le produzioni tradizionali "autentiche" dovrebbero godere di spazi appositi e ben caratterizzati in connessione col tema della manifestazione, assieme ai prodotti tipici agroalimentari.
Per fare ciò, sarebbe necessario un lavoro di ricerca da parte degli organizzatori di fiere e
sagre che selezionasse e privilegiasse la partecipazione di quelle realtà in grado di dare un
carattere alla manifestazione, facilitandone l'accesso a condizioni più vantaggiose.
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Ulteriori ambiti di esercizio dell’attività agrituristica
In questa parte saranno riportati sinteticamente alcuni concetti riferiti all’attività agrituristica in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. 228/01; tali definizioni devono comunque
essere armonizzate con le vigenti normative regionali.
I tradizionali ambiti dell'attività agrituristica in Emilia - Romagna sono quelli dell'ospitalità e della ricezione definiti dall'art. 2, primo e secondo comma, della L.R. 26/1994 e successive modificazioni e integrazioni.
"Costituisce, in particolare, attività agrituristica:
a - dare alloggio in appositi locali dell'azienda agricola;
b - ospitare in spazi aperti, purché attrezzati di servizi essenziali nel rispetto delle norme
igienico - sanitarie;
c - somministrare pasti e bevande, ivi comprese quelle a contenuto alcolico e superalcolico, comunque tipici del territorio così come specificato all'art. 6;
d - vendere agli ospiti e al pubblico generi tipici alimentari ed artigianali prodotti dall'azienda, o ricavati, anche attraverso lavorazioni esterne, da materie prime prodotte
nell'azienda;
e - allevare cavalli, a scopi di agriturismo equestre, od allevare altre specie zootecniche ai
fini di richiamo turistico;
f - organizzare attività ricreative, culturali, musicali e sportive finalizzate al trattenimento
degli ospiti".
Il D.Lgs. 228/01, all'articolo 3, raccoglie questa serie di definizioni aggiungendo alcuni
nuovi ambiti di attività che vengono ricompresi nella definizione di attività agrituristica.
Sono quindi da considerarsi attività agrituristiche a tutti gli effetti, ancorché svolte
all'esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell'impresa:
- l'organizzazione di attività ricreative;
- l'organizzazione di attività culturali e didattiche;
- l'organizzazione di attività di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo finalizzate ad una migliore fruizione e conoscenza del territorio;
- la degustazione dei prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita del vino, ai sensi della
legge 27 luglio 1999, n. 268.
Vengono quindi aggiunte, oltre a quelle già definite dalla citata legge regionale del '94, le
"attività didattiche", le attività "escursionistiche" (ancorché svolte all'esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell'impresa) e l'attività di "degustazione, ivi compresa la mescita
del vino".
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Attività didattiche: rientrano in questo ambito quelle nuove tendenze della fruizione del territorio rurale di cui soprattutto le scuole si stanno rendendo protagoniste attraverso il fenomeno delle "fattorie didattiche", la gestione di siti di importanza storico - testimoniale o
anche la conservazione dei cosiddetti musei della civiltà rurale.
Attività escursionistiche: soprattutto in ambiti di alta collina o montagna, o nelle zone umide
o comunque di elevato interesse paesaggistico - ambientale, possono essere gestite dalle
aziende agrituristiche le visite guidate o l'accompagnamento dei visitatori su percorsi
escursionistici, oltre che equestri anche ciclistici o pedonali (la manutenzione di questi
percorsi può inoltre rientrare in quelle convenzioni di cui si dirà alla sezione quarta del
manuale).
Attività di degustazione: è sicuramente necessario abbinare questa attività a quella di vendita diretta dei prodotti aziendali. Pur senza entrare nell'ambito della ristorazione vera e
propria, la degustazione dei prodotti, anche se realizzata con l'esclusiva finalità di accompagnarne la presentazione ai fini della vendita, deve essere ricondotta anch'essa alla disciplina dell'attività agrituristica. Per la degustazione e l'assaggio può essere predisposta una
sala opportunamente arredata, strettamente funzionale all'assaggio dei prodotti agricoli
aziendali ed alla successiva vendita. È consigliabile la massima cura ed attenzione nel
rispetto delle tradizioni e della cultura locale e l'adozione di soluzioni che permettano di
perseguire efficacemente gli obiettivi di funzionalità, decoro e igiene.
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Implicazioni normative
Se da un lato l'ingresso di nuovi settori è importante in quanto vengono ricomprese nell'ambito dell'agriturismo anche alcune attività che prima non avevano collocazione altrove,
ciò deve essere visto anche dal punto di vista degli obblighi che questo allargamento impone e cioè considerando che con il D.Lgs. 228/01 quelle attività che prima venivano gestite in forma indefinita si devono adeguare alla normativa agrituristica. Diventano così obbligatori:
- il requisito di complementarietà e connessione, riferito sia alle tipologie di prodotti
impiegati, sia alla quantità di lavoro dedicata a tali attività;
- l'iscrizione all'elenco provinciale delle aziende agrituristiche;
- il possesso dell'autorizzazione comunale;
- il possesso della qualifica professionale da ottenere attraverso l'apposito iter formativo.
Altro importante punto di riflessione sta nel fatto che viene meno la necessità che le attività si svolgano nell'abitazione dell'imprenditore agricolo ubicata nel fondo, nonché negli
edifici o parti di essi, esistenti nel fondo. Il comma 1 dell'articolo 3, infatti, fa rientrare tra
le attività agrituristiche anche quelle "svolte all'esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell'impresa".
Molto importante è il venir meno del requisito della stagionalità dell'ospitalità. Tale concetto, tuttavia, è stato in qualche modo "mascherato" dal legislatore, che non ha abrogato
l'inciso "dare stagionalmente ospitalità" di cui all'art. 2, comma 2, lettera c) della legge n.
730 del 1985, ma lo ha sostituito con la precisazione di cui all'ultimo inciso dell'art. 3,
comma 1 del D.Lgs. 228, ove si afferma che "la stagionalità dell'ospitalità agrituristica si
intende riferita alla durata del soggiorno dei singoli ospiti".
Conseguentemente l'unico limite temporale all'attività agrituristica è il divieto di ospitare
le medesime persone in forma stabile e permanente.
Natura agricola del reddito da agriturismo
Il D.Lgs. 228/01 ha modificato (art. 1) l'articolo 2135 del Codice civile in cui si definisce
l'imprenditore agricolo (e quindi l'impresa agricola). Nella nuova formulazione, fra le attività proprie dell'imprenditore agricolo vengono esplicitamente indicate quelle "di ricezione
ed ospitalità come definite dalla legge" (cioè l'agriturismo). Viene pertanto definitivamente chiarito che il reddito proveniente dall'attività agrituristica è reddito proprio dell'impresa agricola. Tale affermazione deve tenersi presente, ad esempio, nell'esame dei requisiti
reddituali finalizzati all'accesso ad aiuti o a benefici fiscali. È irrilevante, ai fini della definizione civilistica del reddito da agriturismo, il fatto che fiscalmente tale reddito sia considerato reddito d'impresa, soggetto ad autonoma tassazione rispetto al reddito agrario. È
opportuno precisare che anche prima della emanazione del D.Lgs. 228/01, il reddito da
agriturismo era da considerare, sia pure in via interpretativa, proprio dell'impresa agricola.
Anche la vecchia formulazione dell'articolo 2135 del Codice civile faceva infatti riferimento alle attività connesse, e l'agriturismo (L. 730/85, art. 2) è per definizione attività svolta dall'imprenditore agricolo in rapporto di connessione e complementarità con l'attività
agricola.
Aspetti previdenziali
Il Decreto legislativo in materia di orientamento specifica che possono essere addetti ad
attività agrituristiche, e sono considerati lavoratori agricoli ai fini della disciplina previdenziale, assicurativa e fiscale, i familiari di cui all'articolo 230 bis del codice civile, i lavoratori a tempo indeterminato, determinato e parziale.
Sulla scorta delle disposizioni del D.Lgs. 228/01, l'INPS, dopo oltre due anni, ha fornito
specifici chiarimenti con la circolare 1 dicembre 2003, n. 186 fornendo in particolare i
criteri generali per la qualificazione dell'attività agricola.
Le nuove disposizioni normative rivestono un ruolo importante anche in materia INAIL,
soprattutto con riferimento alle modalità di gestione del rapporto assicurativo su cui
l'Istituto ha dettato specifiche istruzioni.
L'attività agricola e quella connessa. Una delle principali novità nella riformulazione della
definizione di imprenditore agricolo riguarda il rapporto tra attività principale e attività connessa. Il D.Lgs. 228/01 qualifica connesse le attività sempre svolte dallo stesso imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione aventi ad oggetto prodotti ottenuti "prevalentemente" dalla coltivazione
del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali. In sostanza, secondo le istruzioni
INAIL, il concetto della prevalenza va inteso nel senso che le "attività connesse" devono
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avere a oggetto prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali in misura pari o superiore al 50% rispetto ai prodotti acquisiti sul mercato.
Le stesse valutazioni dovranno esse svolte anche quando l'attività connessa è rappresentata dalla fornitura di beni e servizi a favore di terzi; in questo caso l'attività deve essere svolta mediante l'utilizzazione prevalente (vale sempre il raffronto del 50%) di attrezzature o
risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola principale.
Appare evidente che non sarà agevole, sia per gli organi ispettivi sia per gli stessi imprenditori, valutare la prevalenza, dal momento che i fattori che possono incidere nella scelta
sono diversi. Qualora però l'imprenditore valutasse che l'attività connessa in base al concetto di prevalenza possa essere ricondotta all'unitaria gestione agricola, egli potrà richiedere la cessazione delle posizioni assicurative accese con effetto dal 30 giugno 2001 e
continuare il versamento con le ordinarie modalità all'INPS.
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Le forme di collaborazione tra il pubblico
e il privato per la manutenzione, salvaguardia
e valorizzazione del territorio
Gli agricoltori hanno dovuto fronteggiare e stanno ancora fronteggiando una serie di criticità che si sono prodotte nel settore primario negli ultimi decenni. Le più recenti, cui si è
già accennato, sono:
• criticità ambientale, dovuta all'eccessiva pressione dell'attività agricola sugli equilibri
naturali a causa di un intenso uso di fertilizzanti e fitofarmaci, della pratica della monocoltura o di ordinamenti colturali con rotazioni eccessivamente ristrette, di allevamenti fortemente intensivi, del massiccio sfruttamento delle risorse idriche ecc.;
• criticità territoriale, dovuta all'eccessiva specializzazione di alcune aree in cui si è vista
la progressiva eliminazione degli elementi naturali del paesaggio a vantaggio delle
superfici coltivate e, all'opposto, l'abbandono delle aree più marginali, soggette ad un
forte spopolamento, all'abbandono delle opere di regimazione idraulica e delle opere di
gestione delle superfici boscate;
• criticità alimentare, determinata dal venir meno del rapporto di fiducia tra produttori e
consumatori ed anche della coscienza di un rapporto di "dipendenza" di questi ultimi
dai primi.
Il nuovo scenario in cui gli agricoltori agiscono non si configura più come un mondo a
parte. Sono infatti entrati in campo nuovi portatori di interesse: consumatori, ambientalisti, operatori del terzo settore, residenti non agricoli in territori rurali, soggetti pubblici che
detengono competenze istituzionali sempre più vaste nella programmazione e gestione del
territorio. Si tratta, dunque, di rimeditare sul significato di quel complesso di regole, risorse, organizzazioni, relazioni che sono alla base dell'attività agricola e di interrogarsi su
come il mestiere dell'agricoltore possa di nuovo considerarsi utile alla società.
La professione dell'agricoltore è una professione di sintesi, ad un tempo agricola, alimentare, ambientale, paesaggistica, ma espressione anche di una molteplicità di nuovi mestieri. Ciò che oggi consideriamo agricoltura sta ormai debordando dalla vecchia concezione e
delimitando nuovi confini, non più disegnati sul tradizionale binomio agricoltura/produzione, bensì lungo il crinale del binomio agricoltura/sistema industriale - commerciale e agricoltura/territorio.
In tale quadro, manutenzione del territorio e gestione della tutela ambientale possono
finalmente essere considerate a pieno titolo sia come funzioni riconosciute dall'intervento
pubblico all'impresa agricola, sia anche come azioni volte ad aggiungere valore ambientale ad attività produttive di beni e servizi remunerate dal mercato, sia ancora come funzioni complementari nell'ambito di strategie della qualità legata al territorio. È sempre più
larga, infatti, la fascia dei consumatori e dei cittadini che orienta le proprie scelte anche
sulla base di bisogni ed attese culturali ed etiche, andando a premiare i sistemi produttivi che applicano logiche di tutela e valorizzazione dell'ambiente e del paesaggio.
In questa concezione unitaria di sistemi agricoli, orientati al mercato di qualità ed alla
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valorizzazione dell'ambiente, trova più facilmente spazio la possibilità, definita dalla legge
di orientamento e modernizzazione del settore agricolo, per gli agricoltori in convenzione
con l'operatore pubblico di realizzare specifici interventi:
• di sistemazione e manutenzione del territorio;
• di cura e ripristino degli ambienti soggetti a fenomeni di degrado e dissesto;
• di tutela delle vocazioni produttive del territorio.
Contratti e convenzioni con gli agricoltori
La legge di orientamento agricolo ha infatti introdotto fin dal 2001 una normativa che
finalmente riconosce anche all'impresa agricola la capacità di produrre quel mix di beni e
servizi che caratterizza le imprese di tutti i settori economici. Ha previsto inoltre la possibilità di individuare i distretti rurali e agroalimentari di qualità ed ha messo a disposizione dei sistemi locali strumenti amministrativi, come i contratti di promozione e di collaborazione, nonché le convenzioni con gli operatori agricoli, per realizzare la modalità distrettuale.
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Con la stipula di atti negoziali nell'insieme dei territori rurali, le imprese agricole potranno
svolgere meglio la funzione di conservazione e riproduzione dell'equilibrio ecologico. È dall'esercizio di quest'opera continua di manutenzione che dipende la qualità dei territori
rurali, la loro competitività, il successo delle attività che vi si realizzano. Ed è per questo
motivo che i criteri per individuare i distretti in agricoltura non attengono solo alle vocazioni produttive, ai livelli di specializzazione, agli indicatori occupazionali, ma anche al valore estetico e culturale dei paesaggi agrari, sempre più elemento peculiare della biodiversità, alla sicurezza idrogeologica delle colline e delle vallate, al percorso dei fiumi, alla capacità di accumulo degli invasi, al valore ricreativo delle montagne.
Tali innovazioni si sono inizialmente rivelate di difficile applicazione per la mancanza di
coordinamento con le norme previdenziali, assicurative e fiscali. Tale ritardo dovrebbe farci
riflettere se davvero sia un vantaggio per le imprese agricole rimanere in regimi normativi
speciali o convenga piuttosto individuare nuovi strumenti selettivi di sostegno della competitività delle imprese simili a quelli operanti in altri settori. Potrebbe essere più vantaggioso rinunciare all'attuale sistema di "protezione" fiscale e previdenziale in cambio di una
maggiore libertà operativa e di una più vasta gamma di settori di intervento.
Svincolare, ad esempio, il regime fiscale IRPEF delle imprese agricole dall'arcaico sistema
(ormai completamente avulso dalla realtà) dei redditi definiti su base catastale, "dominicali" e "agrari", non si tradurrebbe necessariamente in uno svantaggio per gli imprenditori
del settore: verrebbe innanzitutto a cadere un castello ormai ingestibile di regole complicatissime per distinguere ciò che è agricolo da ciò che non lo è ed inoltre, nelle annate in
cui l'azienda chiude il bilancio con una perdita di gestione, non si dovrebbe comunque
pagare un'imposta su un reddito in realtà mai realizzato.
Una volta risolte queste problematiche, la diversificazione dell'attività delle aziende agricole potrà divenire realtà diffusa ma già fin d'ora le esperienze non mancano. Nel settore
della collaborazione con gli Enti pubblici sono stati infatti già realizzati strumenti che per-
mettono di gestire l'affidamento di lavori o di aree in convenzione alle aziende agricole,
strutturando la procedura nel modo seguente:
• emanazione di una "normativa quadro" generale di carattere regionale (vedere ad esempio la L.R. n 7/2000 della Regione Lombardia e le conseguenti "Disposizioni per il
coinvolgimento delle aziende agricole nella manutenzione del territorio rurale e montano approvate con deliberazione giunta regionale n°15286 del 28.11.2003");
• istituzione di un Albo delle imprese agricole qualificate nell'ambito dei territori delle
Province e delle Comunità montane ed approvazione dei regolamenti locali di gestione;
• predisposizione degli schemi di contratto - convenzione ed affidamento alle aziende
agricole dei lavori e/o delle aree.
Al di là del puro e semplice affidamento di lavori, in competizione con imprese industriali o in sostituzione di queste in quelle realtà marginali ove i costi operativi non sarebbero
sostenibili, le aziende agricole potrebbero essere coinvolte anche in attività di carattere più
promozionale.
I "contratti di promozione che prevedano l'impegno ad assicurare la tutela delle risorse
naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale"
(art. 14, 3° comma del d.l. 228/01) possono essere anche interpretati nella valorizzazione del patrimonio di conoscenze ed esperienze radicate nella tradizione dei luoghi, che
possiedono le aziende agricole. Molti Comuni hanno realizzato i cosiddetti "musei della
civiltà contadina" o hanno restaurato antichi spazi legati a tradizionali modi di vivere della
civiltà rurale come mulini, frantoi, lavatoi, magazzini, ma si trovano nell'impossibilità di
gestire o anche solo di tenere aperti al pubblico questi siti per i costi notevoli di personale. Le aziende agricole potrebbero colmare questi spazi, non solo in chiave archeologica
(quale miglior guida per una visita ad un museo della civiltà rurale di un agricoltore in
carne ed ossa, che magari ha adoperato o visto adoperare da bambino quegli attrezzi che
ora sono esposti?) ma anche in chiave attuale, estendendo il concetto di "fattoria didattica" all'esterno dell'azienda agricola intesa in senso stretto e andando ad investire gli aspetti complessivi della filiera (dal campo di grano, con gli attrezzi per la semina, la trebbiatura, fino al mulino e al pane o, similmente, dall'oliveto, con le operazioni di potatura e di
raccolta, fino al frantoio e all'olio).
Un interessante filone di attività sarebbe quindi, per le aziende agricole dotate dei necessari requisiti, quello della gestione dei siti di interesse storico - testimoniale legati alla tradizione della civiltà rurale.
Ugualmente molti siti di interesse naturalistico (parchi di ville storiche, zone umide, parchi fluviali, arboreti e giardini botanici) potrebbero essere riscoperti, dotati delle necessarie infrastrutture e resi fruibili al pubblico con accessi regolamentati e gestiti dalle aziende agricole locali che sarebbero anche in grado di garantire le necessarie attività di manutenzione.
Nelle "schede attività" che seguono si sono esemplificate alcune possibili attività che le
aziende agricole possono realizzare stipulando accordi con le amministrazioni locali.
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Contratti di collaborazione con le Amministrazioni locali
per la realizzazione di lavori di manutenzione idraulico - forestale
Tipologie di lavori:
• Manutenzione di aree boschive
• Realizzazione o ripristino e manutenzione di piccole opere di regimazione idraulica
(fossi, condotte, collettori, arginature)
• Manutenzione di strade interpoderali, sentieri, percorsi ciclabili, aree di sosta e parcheggio
• Manutenzione di aree verdi urbane e periurbane
Attrezzature da possedere:
• Macchine movimento terra
• Motoseghe e decespugliatori
• Mezzi di trasporto per legname ed operazioni di allestimento assortimenti legnosi,
materiali da costruzione e materiali di risulta
• Attrezzature per sfalci anche su piccole superfici e potature di piante arboree anche di
grandi dimensioni
Personale di cui disporre:
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• Addetti alle macchine movimento terra e mezzi di trasporto
• Operai con capacità di utilizzo di attrezzature meccaniche a mano (motoseghe, tagliaerba, decespugliatori)
Periodi stagionali in cui organizzare il lavoro:
• Estate per le opere di regimazione idraulica
• Primavera – estate per manutenzione sentieri, piste ciclabili, aree di sosta e parcheggio
• Fine inverno per manutenzione aree boschive
Contratti di promozione con le Amministrazioni locali
per la gestione di siti di interesse naturalistico e storico - testimoniale
Tipologie di lavori:
• Custodia (apertura – chiusura) siti e strutture ad uso pubblico (parchi naturali, osservatori fauna selvatica, musei della civiltà rurale)
• Gestione ambientale dei siti (manutenzione delle strutture come recinzioni, centri visite, accessi, percorsi interni, piste ciclabili, contenimento della vegetazione spontanea
e cura degli esemplari arboreo – arbustivi)
• Accompagnamento dei visitatori, sorveglianza e visite guidate
Attrezzature da possedere:
• Attrezzature per sfalci e per contenimento vegetazione spontanea anche su piccole
superfici
• Attrezzature per potature di piante arboree anche di grandi dimensioni e trattamento
dei residui di potatura
• Motoseghe e decespugliatori
• Mezzi di trasporto per legname, materiali da costruzione e materiali di risulta
• Mezzi di trasporto per visitatori ove richiesto dalla natura del sito
Personale e professionalità di cui disporre:
• Operai per lavori su recinzioni, piccole opere in muratura e viabilità
• Addetti ai mezzi di trasporto
• Addetti alle macchine agricole per sfalci, taglio erba e potature
• Personale con competenze tecnico - naturalistiche per accompagnamento visitatori e
visite guidate
Periodi stagionali in cui organizzare il lavoro:
• Prevalentemente da primavera all’autunno, con possibilità di attività invernale (legata
al calendario scolastico) per i siti espositivi al coperto
93
Convenzioni con le Amministrazioni locali per la realizzazione
di interventi su aree di proprietà pubblica in concessione
Tipologie di lavori:
• Imboschimenti e avvio degli impianti con le relative cure colturali
• Coltivazione agraria e conservazione dei terreni di proprietà pubblica in buone condizioni agronomiche e ambientali
• Realizzazione di interventi previsti dalla normativa comunitaria e dai piani regionali di
sviluppo rurale, con accesso ai contributi previsti per le aziende agricole (trasformazione di seminativi in ambienti naturali e seminaturali, conservazione e ripristino degli elementi naturali del paesaggio, forestazione ecc.)
Attrezzature da possedere:
• Ordinaria attrezzatura agricola per gestione impianti arborei
• Attrezzature per sfalcio e trinciatura sia su piccole che su grandi superfici
• Attrezzatura per scavo buche, fossi e scoline
• Attrezzatura per irrigazioni di soccorso
Personale e professionalità di cui disporre:
94
• Addetti alle macchine agricole
• Manovali per trapianti e cure colturali localizzate
Periodi stagionali in cui organizzare il lavoro:
• Inverno per imboschimenti e potature
• Primavera – inizio Estate per cure colturali e sfalci
• Estate per irrigazioni di soccorso e cure colturali localizzate
Collaborazioni con le Amministrazioni locali per attività diverse (promozione delle
tradizioni agroalimentari locali e delle vocazioni produttive del territorio)
Tipologie di lavori:
• Presenza a momenti di promozione delle tradizioni e prodotti locali (fiere, sagre, gemellaggi, visite di gruppi e comitive) con presentazione dei prodotti tipici locali, banchi
vendita e degustazione
• Produzione di prodotti tipici secondo tecniche tradizionali e gestione di antiche strutture di lavorazione (mulini ad acqua, frantoi ecc.) per scopi didattici e di promozione
locale
• Altre attività di conservazione delle vocazioni e delle tradizioni produttive del territorio
a rischio di abbandono
Attrezzature da possedere:
• Materiale per stand espositivi e banchi vendita – frigoconservazione – cucina
• Mezzi di trasporto per le attrezzature e trasporto prodotti anche con cella frigo
• Laboratorio trasformazione
Personale di cui disporre:
• Addetti alla trasformazione, degustazione e vendita
• Addetti al trasporto e montaggio espositori
• Addetti al funzionamento macchinari di lavorazione (mulini, frantoi ecc.)
Periodi stagionali in cui organizzare il lavoro:
• Tutto l’anno ed in particolare in occasione delle principali festività e ricorrenze anche
locali (periodo natalizio, pasquale, festività e sagre patronali)
95
Gli enti che possono stipulare i contratti
e gli schemi da seguire
Tutti gli Enti pubblici possono stipulare queste tipologie di contratto e pertanto le Province,
le Comunità montane e i Comuni sono titolari in primis di queste attività, ma anche gli Enti
- parco o comunque gli Enti di gestione delle aree protette ed i Consorzi di bonifica sono
legittimati ad avvalersi di questo strumento contrattuale. È dall'ottobre 2001 che l'ANBI
(Associazione Nazionale Bonifiche, Irrigazioni e Miglioramenti Fondiari - Associazione dei
Consorzi di bonifica italiani) ha predisposto uno schema di contratto che può essere adattato ai diversi casi che si possono presentare.
Se l'opera che si intende affidare è di una certa complessità tecnica, sarà necessaria la
progettazione vera e propria; se invece il lavoro consiste, ad esempio, nello sfalcio di erbe,
sarà sufficiente una semplice perizia.
Di fronte ad un lavoro di importo significativo si potrà procedere ai pagamenti attraverso
stati di avanzamento, mentre per un lavoro semplice e di importo modesto il pagamento
potrà avvenire a consuntivo.
Se inoltre il lavoro è di importo considerevole si potrà chiedere la cauzione definitiva nella
misura del 10 per cento mentre se l'importo è di lieve entità sarà opportuno rinunciare alla
cauzione.
Infine, se il lavoro, per le modalità di esecuzione, può presentare rischi di danni a terzi, il
Consorzio potrà richiedere la polizza assicurativa; a tale polizza specifica potrà rinunciare
se l'impresa è già in possesso di una polizza a copertura generale dei rischi a terzi; nessuna polizza sarà da richiedere se il rischio dei danni a terzi è insussistente e irrilevante.
Pertanto, è rimesso al prudente apprezzamento dei Consorzi valutare di volta in volta,
secondo la rilevanza tecnica ed economica del lavoro, nonché delle modalità di esecuzione dello stesso, se procedere o meno a progettazione, se richiedere cauzione, polizza assicurativa, se pagare per stati di avanzamento o a consuntivo.
Successivamente vengono riportati una bozza di domanda di iscrizione all'albo locale (a
livello provinciale o di Comunità montana) delle aziende agricole interessate all'effettuazione di lavori ed a stipulare convenzioni con gli enti pubblici territoriali ed alcuni schemi
di contratto o convenzione da adattare ovviamente alle diverse realtà.
97
Fac - simile di domanda di iscrizione Albo locale (scheda d’impresa)
(Artt. 46 e 47 - D.P.R. 28 dicembre 2000 n° 445)
Alla COMUNITA’ MONTANA / PROVINCIA / COMUNE DI _______________
OGGETTO: Domanda di iscrizione all’ Albo delle Imprese Agricole Qualificate per attività
funzionali alla sistemazione e alla manutenzione del territorio. Art. 15 D.Lgs 18.05.2001
n. 228. Contestuale autocertificazione e dichiarazione sostitutiva.
Il sottoscritto ________________________residente in ________________________________
via ________________________________________________tel. n. ______/ ______________
legale rappresentante/titolare/contitolare dell’azienda agricola / società denominata “ ____
_____________________________________________________________________________”.
Iscritta all’anagrafe regionale delle aziende agricole con il Codice Unico Azienda Agricola
(CUAA) : ______________________________________________________________________
chiede
di essere iscritto all’Albo delle imprese agricole qualificate, nelle seguenti categorie:
98
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
lavori agricoli
lavori forestali
lavori di manutenzione della viabilità
lavori di regimazione idraulica e ingegneria naturalistica
gestione di aree pubbliche in concessione
gestione di siti di interesse storico - testimoniale e naturalistico
gestione attività diverse
dal quale la Pubblica Amministrazione intende attingere per la stipula di contratti e convenzioni ai sensi degli artt. 14 e 15 D.Lgs. 18.05.2001 n. 228 o per la concessione temporanea di terreni di proprietà pubblica
dichiara
consapevole che chiunque rilascia dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del Codice
penale e delle leggi speciali in materia, ai sensi e per gli effetti degli articoli 46 e 47 del
D.P.R. n. 445/2000:
• che l’impresa è inserita nell’anagrafe informatizzata delle imprese agricole della
Regione Emilia - Romagna e che il fascicolo aziendale è aggiornato e validato dal CAA
di riferimento;
• che l’impresa è iscritta al registro della CCIAA di __________________________ con
numero (REA) _____________________
• di essere disponibile alla stipula di contratti e convenzioni per l’affidamento di lavori
nelle categorie sopra indicate, nei seguenti periodi: durante tutto l’anno
da________________________________a________________________________________
di essere a conoscenza che per l’effettuazione di tali lavori l’azienda deve essere in
regola con la normativa vigente per quanto riguarda gli aspetti previdenziali, assicurativi e di sicurezza sul lavoro;
• di essere a conoscenza dei limiti annuali (25.000 Euro per imprenditori singoli e
150.000 Euro per imprenditori in forma associata) riferiti al complesso dei lavori svolti nell’anno per Enti pubblici ai sensi del D.Lgs. 228/01 e che pertanto il raggiungimento di tale limite, anche a seguito di lavori effettuati presso diverse amministrazioni, sarà a queste prontamente comunicato.
• di essere a conoscenza che dovrà chiedere, in presenza di variazioni, l’aggiornamento
della propria scheda e richiedere tempestivamente la cancellazione dall’Albo, qualora
vengano a mancare i requisiti minimi tali da non consentire l’esecuzione dei lavori.
• altro_______________________________________________________________________.
99
Fatto a ________________________il ____/____/______
Firma
_________________________
Schema di contratto per l’affidamento dei lavori
OGGETTO: .........................................
Lavori di ..............……………………...........................................................................
Beneficiario..............…………........................Comune.................………......................
PREMESSO :
che l’Ente....................................... è tra l’altro proprietario dei terreni di cui ai mappali
nn.......................................………….....(indicare i mappali oggetto di intervento);
che l’Ente sopracitato ha adottato il Piano di assestamento approvato dall’Ente competente (Comunità montana o Provincia ....................................…......) con atto n...…...
del............……………...;
(oppure)
100
che l’Ente sopracitato ha adottato il progetto di opere di manutenzione (forestale / stradale /ambientale / ecc.) con atto n...……... del......…………………….........;
che l’Ente sopracitato con nota n. ........…........del...........…...... ha inoltrato richiesta alla
Comunità montana ............……...................al fine di beneficiare degli aiuti previsti dalla
Misura ……………………………...................... (specificare titolo progetto, redatto in
data ........……….da...........……………...........);
che con comunicazione n.......…………...del.........…….....................................(estremi
provvedimento concessione finanziamento) è stato concesso contributo per un importo di
Euro..............................……………………………………………..;
che l’art. 15 del D.Lgs. 228/01 al comma 1 prevede che al fine di favorire lo svolgimento
di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico e al fine di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del
territorio, le pubbliche amministrazioni possono stipulare convenzioni con gli imprenditori
agricoli;
che l’art 15 del D.Lgs. 228/01 per le convenzioni di cui al comma 1 definisce che le prestazioni delle pubbliche amministrazioni possono consistere, nel rispetto degli
Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all’agricoltura anche in finanziamenti,
concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Per le
predette finalità le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d’appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a
25.000 Euro nel caso di imprenditori singoli, e 150.000 Euro nel caso di imprenditori in
forma associata;
che per la realizzazione degli interventi in oggetto, l’Ente sopracitato, con ....….. (indicare gli estremi del provvedimento di affidamento).............................ha ritenuto opportuno
avvalersi dell’azienda “denominazione...............………………....…………….........”
che l’azienda ha autocertificato in data.........….. con nota n.........…...il rispetto dei limiti annuali (di 25.000 Euro per imprenditori singoli e di 150.000 Euro per gli imprenditori in forma associata) riferiti al complesso dei lavori svolti nell’anno per Enti pubblici sia
come affidataria di lavori sia come beneficiaria di contributi per interventi realizzati su terreni di proprietà pubblica;
che l’azienda risulta iscritta all’Albo delle imprese agricole qualificate della Comunità montana di.…………...........................al numero...……………………..........alle seguenti
categorie...........................…………………………………......;
Art. 1 - Affidamento lavori
L’Ente ...…………………........... d’ora in poi denominato “Amministrazione”, affida al sig.
…………........................ (d’ora in poi denominato “Affidatario”), quale legale rappresentante dell’impresa ..........................., iscritta alla sezione ...............dell’Albo delle imprese agricole qualificate della Comunità montana di............................................al numero.........e alle categorie ................…........, l’esecuzione dei seguenti lavori: (specificare
puntualmente quali lavori) .................................................................................
...................................................................………………………................................
............................................................................……………………….......................
Tali lavori sono previsti nel progetto..................………………………................. redatto in
data............da........………................., approvato con atto n.......…….del...…................
Tali lavori sono previsti nel provvedimento di affidamento adottato in data ....…………......
101
Con la firma del presente atto l’Affidatario accetta la consegna dei lavori previsti e dichiara di aver preso completa visione dei lavori da eseguirsi nonché di tutte le circostanze che
possono aver influito sulla determinazione del prezzo di contratto.
Art. 2 - Validità del contratto
La validità del presente contratto resta subordinata al rispetto dei limiti annuali (di 25.000
Euro per imprenditori singoli e di 150.000 Euro per gli imprenditori in forma associata)
riferiti al complesso dei lavori svolti in affidamento e in concessione per Enti pubblici nell’anno dall’impresa agricola. In caso di accertato superamento dei limiti annuali sopraccitati il contratto si intende nullo.
Art. 3 - Modalità di esecuzione dei lavori
L’Affidatario si impegna all’esecuzione dei lavori di cui all’art. 1 sulla base delle indicazioni fornite dal responsabile dei lavori individuato nella persona del Responsabile tecnico o
del Direttore dei lavori
I lavori comprendono: (indicare quali lavori) ..……………..........................................
...........................................................................………………………........................
I lavori dovranno iniziare entro il.............., pena decadenza del contratto. Eventuali proroghe all’inizio dei lavori potranno essere concesse dall’Amministrazione solo in base a motivate esigenze non imputabili a negligenza dell’impresa e compatibilmente con la tempistica imposta dalla comunicazione di concessione del contributo.
Art. 4 - Garanzie
(articolo facoltativo per opere di importo fino a 50.000 Euro)
L’impresa è obbligata a costituire una garanzia fideiussoria o a versare una cauzione per
tutelare l’Amministrazione nei confronti di eventuali danni al patrimonio. L’ammontare
della cauzione è fissato in Euro..............…………….......... (comunque non superiore
all’importo contrattuale)
(articolo obbligatorio per opere di importo superiore a 50.000 Euro)
L’impresa è obbligata a costituire una garanzia fideiussoria o a versare una cauzione per
tutelare l’Amministrazione nei confronti di eventuali danni al patrimonio. L’ammontare
della cauzione è fissato in Euro .........……………............(non inferiore al 10% dei lavori
stessi ma comunque non superiore all’importo contrattuale).
Art. 5 -Assicurazioni
(articolo facoltativo solo se l’Amministrazione ritiene che le modalità di esecuzione degli
stessi siano tali da non escludere il rischio di danni a terzi e obbligare l’impresa ad avere
ovvero contrarre polizza assicurativa)
L’impresa gode di polizza generale di copertura di danni a terzi .....…............ (data stipula, numero polizza, estremi compagnia assicuratrice)
102
Art. 6 - Corrispettivo
Il corrispettivo per l’esecuzione dei lavori viene concordemente pattuito in complessivi
Euro …................…......... al netto dell’IVA nel rispetto dei limiti di cui all’art. 15, 3°
comma del D.Lgs. 228/01.
Art. 7 - Prescrizioni
L’Affidatario dovrà eseguire i lavori mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o
risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola. E’ fatto divieto di cessione del presente atto. Il subappalto è vietato per la realizzazione dei lavori. E’ consentito
l’eventuale noleggio di mezzi. Questo dovrà essere subordinato a specifica autorizzazione
del committente e non potrà superare il 20% dell’importo contrattuale. L’Affidatario dovrà
eseguire i lavori nel rispetto di tutte le prescrizioni fatte al progetto dagli enti competenti
e a quelle inerenti l’organizzazione dei lavori con particolare riferimento alla vigente normativa agro-forestale e alle norme di sicurezza dei cantieri.
Art. 8 - Obblighi di informazione
L’Affidatario, con la firma del presente atto, dichiara di essere a conoscenza dei rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro.
Lo stesso Affidatario, si obbliga ad informare di quanto sopra gli eventuali collaboratori
familiari di cui all’art. 230 bis Codice civile, i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, determinato e parziale, che collaborassero alla esecuzione dei lavori.
Art. 9 - Tempi di ultimazione
I lavori dovranno essere portati a termine entro il giorno .........…………………...............
Per ogni giorno di ritardo nella ultimazione dei lavori verrà applicata una penale compresa
fra lo 0,3 e l’1 per mille, da trattenersi sul saldo del compenso previsto.
Nel caso in cui l’impresa non inizi i lavori entro........………......dalla stipula del presente
contratto, l’Amministrazione potrà revocare con effetto immediato lo stesso. Potranno essere concesse proroghe al presente contratto solo in base a motivate esigenze non imputabili a negligenza dell’impresa e compatibilmente con la tempistica imposta dalla comunicazione di concessione del contributo.
Art. 10 - Verifica della regolare esecuzione
La verifica della regolare esecuzione dei lavori è effettuata dal Responsabile tecnico o dal
Direttore dei lavori. Nel caso che i lavori siano finanziati con contributi pubblici, il soggetto erogatore dei fondi potrà effettuare i controlli previsti dalla misura.
Art. 11 - Pagamento e penali
Il pagamento sarà effettuato in una unica soluzione alla conclusione dei lavori previsti, previa verifica della regolare esecuzione degli stessi.
In alternativa, se l’impresa lo richiede, il pagamento potrà essere effettuato secondo le
seguenti due modalità:
• all’inizio dei lavori con erogazione di un acconto fino all’80% dell’importo contrattuale previa presentazione da parte dell’impresa di idonea garanzia fideiussoria ed erogazione del residuo saldo alla conclusione degli stessi, previa verifica della regolare esecuzione dei lavori;
• con erogazione di importi corrispondenti a stati di avanzamento (previo accertamento di avvenuta realizzazione di almeno il 50% dei lavori) rispettivamente del 50% e del
30% e del residuo saldo alla conclusione degli stessi, successivamente alla verifica
della regolare esecuzione dei lavori.
In caso di interruzione dei lavori per forza maggiore o per cause al momento non identificabili, si provvederà alla liquidazione dell’importo risultante dallo stato di avanzamento dei
lavori.
Art. 12 - Oneri fiscali e contrattuali
Tutti gli oneri contrattuali e fiscali ad eccezione dell’IVA, sono a carico del sig.
............……........ Agli effetti fiscali le parti dichiarano che il presente atto è soggetto a
registrazione solo in caso d’uso ai sensi dell’art. 5 comma 2° del D.P.R. 26/4/1986, n. 131
trattandosi di prestazioni soggette ad IVA.
Art. 13 - Controversie
Per tutte le controversie che potessero insorgere fra le parti, qualora non si possa risolverle direttamente, saranno deferite al competente foro.
Letto, accettato e sottoscritto
L’Amministrazione
L’Affidatario
103
Il testo del Decreto Legislativo 228/2001
Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228
“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo,
a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2001
Supplemento Ordinario n. 149
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visti gli articoli 7 e 8 della legge 5 marzo 2001, n. 57;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6
aprile 2001;
Acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, reso il 24 aprile 2001;
Acquisito il parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 maggio 2001;
Sulla proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, delle finanze, del lavoro e della
previdenza sociale, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e del commercio con
l’estero, della sanita’, dell’ambiente, per la funzione pubblica, per gli affari regionali e per
le politiche comunitarie;
Emana
il seguente decreto legislativo:
CAPO I
Soggetti e attivita’
Art. 1.
Imprenditore agricolo
1. L’articolo 2135 del codice civile e’ sostituito dal seguente:
“E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attivita’: coltivazione del fondo,
selvicoltura, allevamento di animali e attivita’ connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le
attivita’ dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del
ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il
bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
107
Si intendono comunque connesse le attivita’, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione
del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonche’ le attivita’ dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attivita’ agricola esercitata, ivi comprese le attivita’ di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalita’ come definite dalla legge”.
2. Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attivita’ di cui all’articolo 2135 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti dei
soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.
Art. 2.
Iscrizione al registro delle imprese
1. L’iscrizione degli imprenditori agricoli, dei coltivatori diretti e delle societa’ semplici
esercenti attivita’ agricola nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 e seguenti del codice civile, oltre alle funzioni di certificazione anagrafica ed a
quelle previste dalle leggi speciali, ha l’efficacia di cui all’articolo 2193 del codice civile.
108
Art. 3.
Attivita’ agrituristiche
1. Rientrano fra le attivita’ agrituristiche di cui alla legge 5 dicembre 1985, n. 730, ancorche’ svolte all’esterno dei beni fondiari nella disponibilita’ dell’impresa, l’organizzazione di
attivita’ ricreative, culturali e didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo finalizzate ad una migliore fruizione e conoscenza del territorio, nonche’ la degustazione dei prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita del vino, ai sensi della legge 27 luglio
1999, n. 268. La stagionalita’ dell’ospitalita’ agrituristica si intende riferita alla durata del
soggiorno dei singoli ospiti.
2. Possono essere addetti ad attivita’ agrituristiche, e sono considerati lavoratori agricoli ai
fini della vigente disciplina previdenziale, assicurativa e fiscale, i familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile, i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, determinato e
parziale.
3. Alle opere ed ai fabbricati destinati ad attivita’ agrituristiche si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, lettera a) ed all’articolo 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10,
nonche’ di cui all’articolo 24, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativamente all’utilizzo di opere provvisionali per l’accessibilita’ ed il superamento delle barriere
architettoniche.
Art. 4.
Esercizio dell’attivita’ di vendita
1. Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui
all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle
rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanita’.
2. La vendita diretta dei prodotti agricoli in forma itinerante e’ soggetta a previa comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione e puo’ essere effettuata
decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.
3. La comunicazione di cui al comma 2, oltre alle indicazioni delle generalita’ del richiedente, dell’iscrizione nel registro delle imprese e degli estremi di ubicazione dell’azienda,
deve contenere la specificazione dei prodotti di cui s’intende praticare la vendita e delle
modalita’ con cui si intende effettuarla, ivi compreso il commercio elettronico.
4. Qualora si intenda esercitare la vendita al dettaglio non in forma itinerante su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico, la comunicazione e’ indirizzata al sindaco del comune in cui si intende esercitare la vendita. Per la vendita al dettaglio su aree pubbliche
mediante l’utilizzo di un posteggio la comunicazione deve contenere la richiesta di assegnazione del posteggio medesimo, ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114.
5. La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attivita’ di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa.
6. Non possono esercitare l’attivita’ di vendita diretta gli imprenditori agricoli, singoli o soci
di societa’ di persone e le persone giuridiche i cui amministratori abbiano riportato, nell’espletamento delle funzioni connesse alla carica ricoperta nella societa’, condanne con
sentenza passata in giudicato, per delitti in materia di igiene e sanita’ o di frode nella preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attivita’.
Il divieto ha efficacia per un periodo di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
7. Alla vendita diretta disciplinata dal presente decreto legislativo continuano a non applicarsi le disposizioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in conformita’ a
quanto stabilito dall’articolo 4, comma 2, lettera d), del medesimo decreto legislativo n.
114 del 1998.
8. Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle
rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a lire 80 milioni per gli imprenditori individuali ovvero a lire 2 miliardi per le societa’, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998.
CAPO II
Contratti agrari, integrita’ aziendale e distretti
Art. 5.
Modifiche alla legge 3 maggio 1982, n. 203
1. Dopo l’articolo 4 della legge 3 maggio 1982, n. 203, e’ inserito il seguente:
“Art. 4-bis (Diritto di prelazione in caso di nuovo affitto). - 1. Il locatore che, alla scadenza prevista dall’articolo 1, ovvero a quella prevista dal primo comma dell’articolo 22 o alla
diversa scadenza pattuita tra le parti, intende concedere in affitto il fondo a terzi, deve
comunicare al conduttore le offerte ricevute, mediante lettera raccomandata con avviso di
ricevimento, almeno novanta giorni prima della scadenza. Le offerte possono avere ad
oggetto anche proposte di affitto definite dal locatore e dai terzi al sensi del terzo comma
109
dell’articolo 23 della legge 11 febbraio 1971, n. 11, come sostituito dal primo comma dell’articolo 45 della presente legge.
2. L’obbligo di cui al comma 1 non ricorre quando il conduttore abbia comunicato che non
intende rinnovare l’affitto e nei casi di cessazione del rapporto di affitto per grave inadempienza o recesso del conduttore ai sensi dell’articolo 5.
3. Il conduttore ha diritto di prelazione se, entro quarantacinque giorni dal ricevimento
della comunicazione di cui al comma 1 e nelle forme ivi previste, offre condizioni uguali a
quelle comunicategli dal locatore.
4. Nel caso in cui il locatore entro i sei mesi successivi alla scadenza del contratto abbia
concesso il fondo in affitto a terzi senza preventivamente comunicare le offerte ricevute
secondo le modalita’ e i termini di cui al comma 1 ovvero a condizioni piu’ favorevoli di
quelle comunicate al conduttore, quest’ultimo conserva il diritto di prelazione da esercitare nelle forme di cui al comma 3 entro il termine di un anno dalla scadenza del contratto
non rinnovato. Per effetto dell’esercizio del diritto di prelazione si instaura un nuovo rapporto di affitto alle medesime condizioni del contratto concluso dal locatore con il terzo.”.
110
Art. 6.
Utilizzazione agricola dei terreni demaniali e patrimoniali indisponibili
1. Le disposizioni recate dalla legge 12 giugno 1962, n. 567, e successive modificazioni,
dalla legge 11 febbraio 1971, n. 11, e successive modificazioni, dalla legge 3 maggio
1982, n. 203, e successive modificazioni, si applicano anche ai terreni demaniali o soggetti al regime dei beni demaniali di qualsiasi natura o del patrimonio indisponibile appartenenti ad enti pubblici, territoriali o non territoriali, ivi compresi i terreni golenali, che
siano oggetto di affitto o di concessione amministrativa.
2. L’ente proprietario puo’ recedere in tutto o in parte dalla concessione o dal contratto di
affitto mediante preavviso non inferiore a sei mesi e pagamento di una indennita’ per le
coltivazioni in corso che vadano perdute nell’ipotesi che il terreno demaniale o equiparato
o facente parte del patrimonio indisponibile debba essere improcrastinabilmente destinato al fine per il quale la demanialita’ o l’indisponibilita’ e’ posta.
3. Sui terreni di cui al comma 1 del presente articolo sono ammessi soltanto i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni concordati tra le parti o quelli eseguiti a seguito del
procedimento di cui all’articolo 16 della legge 3 maggio 1982, n. 203. In quest’ultimo
caso l’autorita’ competente non puo’ emettere parere favorevole se i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni mantengono la loro utilita’ anche dopo la restituzione del terreno
alla sua destinazione istituzionale.
4. Gli enti di cui al comma 1 del presente articolo, alla scadenza della concessione amministrativa o del contratto di affitto, per la concessione e la locazione dei terreni di loro proprieta’ devono adottare procedure di licitazione privata o trattativa privata. A tal fine possono avvalersi della disposizione di cui all’articolo 23, terzo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11, come sostituito dal primo comma dell’articolo 45 della legge 3 maggio
1982, n. 203.
Art. 7.
Prelazione di piu’ confinanti
1. Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto di cui rispettivamente all’arti-
colo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, e successive modificazioni, ed all’articolo 7
della legge 14 agosto 1971, n. 817, nel caso di piu’ soggetti confinanti, si intendono,
quali criteri preferenziali, nell’ordine, la presenza come partecipi nelle rispettive imprese
di coltivatori diretti e imprenditori agricoli a titolo principale di eta’ compresa tra i 18 e i
40 anni o in cooperative di conduzione associata dei terreni, il numero di essi nonche’ il
possesso da parte degli stessi di conoscenze e competenze adeguate ai sensi dell’articolo
8 del regolamento (CE) n. 1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999.
Art. 8.
Conservazione dell’integrita’ dell’azienda agricola
1. Le disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2002, anche alle aziende agricole ubicate in comuni non
montani.
Art. 9.
Soci di societa’ di persone
1. Ai soci delle societa’ di persone esercenti attivita’ agricole, in possesso della qualifica
di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, continuano ad essere
riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie e creditizie stabiliti dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche. I predetti soggetti mantengono la qualifica previdenziale e, ai fini del raggiungimento, da parte
del socio, del fabbisogno lavorativo prescritto, si computa anche l’apporto delle unita’ attive iscritte nel rispettivo nucleo familiare.
Art. 10.
Attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale
1. All’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, e’ aggiunto, in fine, il seguente
comma:
“Le societa’ sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attivita’ agricola, ed inoltre:
a) nel caso di societa’ di persone qualora almeno la meta’ dei soci sia in possesso della
qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale. Per le societa’ in accomandita la percentuale si riferisce ai soci accomandatari;
b) nel caso di societa’ cooperative qualora utilizzino prevalentemente prodotti conferiti dai
soci ed almeno la meta’ dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a
titolo principale;
c) nel caso di societa’ di capitali qualora oltre il 50 per cento del capitale sociale sia sottoscritto da imprenditori agricoli a titolo principale. Tale condizione deve permanere e
comunque essere assicurata anche in caso di circolazione delle quote o azioni. A tal fine
lo statuto puo’ prevedere un diritto di prelazione a favore dei soci che abbiano la qualifica
di imprenditore agricolo a titolo principale, nel caso in cui altro socio avente la stessa qualifica intenda trasferire a terzi a titolo oneroso, in tutto o in parte, le proprie azioni o la propria quota, determinando le modalita’ e i tempi di esercizio di tale diritto. Il socio che
perde la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale e’ tenuto a darne comunicazione all’organo di amministrazione della societa’ entro quindici giorni.”.
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2. Restano ferme le disposizioni di cui al testo unico delle imposte dirette approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
112
Art. 11.
Attenuazione dei vincoli in materia di proprieta’ coltivatrice
1. Il periodo di decadenza dai benefici previsti dalla vigente legislazione in materia di formazione e di arrotondamento di proprieta’ coltivatrice e’ ridotto da dieci a cinque anni.
2. La estinzione anticipata del mutuo o la vendita del fondo acquistato con i suddetti benefici non possono aver luogo prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto.
3. Non incorre nella decadenza dei benefici l’acquirente che, durante il periodo vincolativo di cui ai commi 1 e 2, ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini
entro il secondo grado, che esercitano l’attivita’ di imprenditore agricolo di cui all’articolo
2135 del codice civile, come sostituito dall’articolo 1 del presente decreto. Le disposizioni del presente comma si applicano anche in tutti i casi di alienazione conseguente all’attuazione di politiche comunitarie, nazionali e regionali volte a favorire l’insediamento di
giovani in agricoltura o tendenti a promuovere il prepensionamento nel settore.
4. All’articolo 11 della legge 14 agosto 1971, n. 817, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: “trenta anni” sono sostituite dalle seguenti: “quindici anni”;
b) dopo il terzo comma e’ inserito il seguente:
“Il suddetto vincolo puo’ essere, altresi’, revocato, secondo le modalita’ di cui al precedente comma, nel caso in cui sia mutata la destinazione agricola del fondo per effetto degli
strumenti urbanistici vigenti.”.
5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche agli atti di acquisto posti
in essere in data antecedente di almeno cinque anni la data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 12.
Operazioni fondiarie dell’ISMEA
1. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le risorse finanziarie derivanti dalla gestione finanziaria di cui al titolo II della legge 26 maggio 1965, n.
590, recante interventi degli enti di sviluppo nella formazione della proprieta’ coltivatrice,
sono trasferiti all’ISMEA e destinati alle operazioni fondiarie previste dall’articolo 4,
comma 1, della legge 15 dicembre 1998, n. 441. All’ISMEA non si applicano le disposizioni della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e successive modificazioni e integrazioni.
Art. 13.
Distretti rurali e agroalimentari di qualita’
1. Si definiscono distretti rurali i sistemi produttivi locali di cui all’articolo 36, comma 1,
della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e successive modificazioni, caratterizzati da un’identita’ storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attivita’ agricole e altre
attivita’ locali, nonche’ dalla produzione di beni o servizi di particolare specificita’, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.
2. Si definiscono distretti agroalimentari di qualita’ i sistemi produttivi locali, anche a
carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonche’ da una
o piu’ produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.
3. Le regioni provvedono all’individuazione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari.
CAPO III
Rapporti con le pubbliche amministrazioni
Art. 14.
Contratti di collaborazione con le pubbliche amministrazioni
1. Le pubbliche amministrazioni possono concludere contratti di collaborazione, anche ai
sensi dell’articolo 119 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con gli imprenditori agricoli anche su richiesta delle organizzazioni professionali agricole maggiormente
rappresentative a livello nazionale, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualita’ e delle tradizioni alimentari locali.
2. I contratti di collaborazione sono destinati ad assicurare il sostegno e lo sviluppo dell’imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarita’ dei prodotti tipici, biologici e di qualita’, anche tenendo conto dei distretti agroalimentari, rurali
e ittici.
3. Al fine di assicurare un’adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarita’ delle produzioni di cui al
commi 1 e 2, le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in
materia di aiuti di Stato all’agricoltura, possono concludere contratti di promozione con gli
imprenditori agricoli che si impegnino nell’esercizio dell’attivita’ di impresa ad assicurare
la tutela delle risorse naturali, della biodiversita’, del patrimonio culturale e del paesaggio
agrario e forestale.
Art. 15.
Convenzioni con le pubbliche amministrazioni
1. Al fine di favorire lo svolgimento di attivita’ funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al
mantenimento dell’assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela
delle vocazioni produttive del territorio, le pubbliche amministrazioni possono stipulare
convenzioni con gli imprenditori agricoli.
2. Le convenzioni di cui al comma 1 definiscono le prestazioni delle pubbliche amministrazioni che possono consistere, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di
aiuti di Stato all’agricoltura anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni
tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Per le predette finalita’ le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d’appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50 milioni di lire nel caso di imprenditori singoli, e 300 milioni di lire nel caso di imprenditori in forma associata.
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CAPO IV
Rafforzamento della filiera agroalimentare
Art. 16.
Interventi per il rafforzamento e lo sviluppo delle imprese
gestite direttamente dai produttori agricoli
1. Il regime di aiuti istituito dall’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile
1998, n. 173, e’ finalizzato anche a favorire il riorientamento delle filiere produttive nell’ottica della sicurezza alimentare e della tracciabilita’ degli alimenti e si applica prioritariamente a favore delle imprese gestite direttamente dai produttori agricoli, ivi comprese:
a) le societa’ cooperative agricole e loro consorzi che utilizzano prevalentemente prodotti
conferiti dai soci;
b) le organizzazioni di produttori e loro forme associate riconosciute ai sensi dell’articolo
26 del presente decreto;
c) le societa’ di capitali in cui oltre il 50 per cento del capitale sociale sia sottoscritto da
imprenditori agricoli o dalle societa’ di cui alle lettere a) e b).
114
Art. 17.
Trasferimento di adeguato vantaggio economico ai produttori agricoli
1. Il rispetto del criterio fissato dall’articolo 26, paragrafo 2 del regolamento (CE) n.
1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999, relativamente alla garanzia del trasferimento di un adeguato vantaggio economico ai produttori agricoli nella concessione degli aiuti
da parte dell’Unione europea e dello Stato membro, ove non diversamente stabilito dai
piani di sviluppo rurale di cui al regolamento (CE) n. 1257/99 e dai programmi operativi
regionali di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, e’ assicurato con la dimostrazione, da
parte delle imprese agroalimentari, dell’adempimento degli obblighi derivanti dai contratti stipulati, anche nel rispetto di accordi interprofessionali, con i produttori interessati alla
produzione oggetto degli investimenti beneficiari del sostegno pubblico. Nel caso di imprese cooperative e loro consorzi il rispetto del suddetto criterio e’ assicurato almeno mediante l’utilizzazione prevalente, nelle attivita’ di trasformazione e di commercializzazione, dei
prodotti conferiti da parte dei produttori associati.
2. Le amministrazioni competenti in relazione all’attuazione dell’intervento individuano i
termini e le modalita’ che consentono di soddisfare il criterio di cui al comma 1. Il rispetto di tale criterio costituisce vincolo per la erogazione del sostegno agli investimenti, anche
in relazione alla restituzione del contributo erogato.
3. Al fine di consentire l’effettivo trasferimento del vantaggio economico ai produttori da
parte delle imprese beneficiarie delle provvidenze di cui alla legge 8 agosto 1991, n. 252,
anche ai soggetti che subiscono gli effetti negativi derivanti dall’epidemia di encefalopatia
spongiforme bovina, l’impegno a non cedere o alienare assunto relativamente agli investimenti di cui alla lettera c) dell’allegato C alla circolare del Ministro dell’agricoltura e delle
foreste 1° ottobre 1991, n. 265, si intende a tutti gli effetti assolto purche’ esso sia stato
rispettato per almeno un terzo del periodo inizialmente previsto.
Art. 18.
Promozione dei processi di tracciabilita’
1. Con atto di indirizzo e coordinamento deliberato dal Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’industria,
del commercio e dell’artigianato ed il Ministro della sanita’, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, da adottare entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono definite le modalita’ per la promozione, in tutte le fasi della produzione e della distribuzione, di
un sistema volontario di tracciabilita’ degli alimenti, dei mangimi e degli animali destinati alla produzione alimentare e delle sostanze destinate o atte a far parte di un alimento o
di un mangime in base ai seguenti criteri:
a) favorire la massima adesione al sistema volontario di tracciabilita’ anche attraverso
accordi di filiera;
b) definire un sistema di certificazione atto a garantire la tracciabilita’, promuovendone la
diffusione;
c) definire un piano di controllo allo scopo di assicurare il corretto funzionamento del sistema di tracciabilita’.
2. Le amministrazioni competenti, al fini dell’accesso degli esercenti attivita’ agricola, alimentare o mangimistica ai contributi previsti dall’ordinamento nazionale, assicurano priorita’ alle imprese che assicurano la tracciabilita’, certificata ai sensi dell’atto di indirizzo e
coordinamento.
Art. 19.
Commissione interministeriale per la sicurezza alimentare
1. E’ istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, senza oneri aggiuntivi
a carico del bilancio dello Stato, la Commissione interministeriale per la sicurezza alimentare. La Commissione attua il coordinamento delle attivita’ delle amministrazioni competenti in materia di sicurezza alimentare, ferme restando le competenze delle amministrazioni medesime, e studia i problemi connessi all’istituzione dell’Autorita’ europea per gli
alimenti ed all’individuazione del punto di contatto nazionale con detta Autorita’.
2. La Commissione di cui al comma 1 e’ composta di otto membri, designati, uno ciascuno, dai Ministri delegati per la funzione pubblica e per le politiche comunitarie e, due per
ciascuno, dai Ministri della sanita’, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, delle
politiche agricole e forestali.
3. A conclusione dei propri lavori la Commissione di cui al comma 1 redige una relazione,
anche con riguardo ad eventuali proposte operative in materia di coordinamento delle competenze in materia di sicurezza alimentare e di individuazione del punto di contatto nazionale dell’Autorita’ europea per gli alimenti.
Art. 20.
Istituti della concertazione
1. Nella definizione delle politiche agroalimentari il Governo si avvale del Tavolo agroalimentare istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che e’ convocato con
cadenza almeno trimestrale. Al Tavolo agroalimentare partecipa una delegazione del
Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti di cui all’articolo 4 della legge 30 luglio
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1998, n. 281, composta di tre rappresentanti designati dal Consiglio medesimo.
2. Le modalita’ delle ulteriori attivita’ di concertazione presso il Ministero delle politiche
agricole e forestali sono definite con decreto del Ministro.
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Art. 21.
Norme per la tutela dei territori con produzioni agricole di particolare qualita’ e tipicita’
1. Fermo quanto stabilito dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389, e senza nuovi o maggiori oneri a carico dei rispettivi bilanci, lo Stato, le regioni e gli enti locali tutelano, nell’ambito delle
rispettive competenze:
a) la tipicita’, la qualita’, le caratteristiche alimentari e nutrizionali, nonche’ le tradizioni
rurali di elaborazione dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine controllata (DOC), a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), a denominazione di
origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP) e a indicazione geografica
tutelata (IGT);
b) le aree agricole in cui si ottengono prodotti con tecniche dell’agricoltura biologica ai
sensi del regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991;
c) le zone aventi specifico interesse agrituristico.
2. La tutela di cui al comma 1 e’ realizzata, in particolare, con:
a) la definizione dei criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione
degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, di cui all’articolo 22, comma 3, lettera e), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall’articolo 3 del
decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389, e l’adozione di tutte le misure utili per perseguire gli obiettivi di cui al comma 2 dell’articolo 2 del medesimo decreto legislativo n.
22 del 1997;
b) l’adozione dei piani territoriali di coordinamento di cui all’articolo 15, comma 2, della
legge 8 giugno 1990, n. 142, e l’individuazione delle zone non idonee alla localizzazione
di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti ai sensi dell’articolo 20, comma 1, lettera e), del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, come modificato dall’articolo 3 del
decreto legislativo n. 389 del 1997.
Art. 22.
Sorveglianza rinforzata
1. I vegetali, le sementi, i prodotti antiparassitari di uso agricolo e i prodotti assimilati, i
fertilizzanti, i composti e i materiali di sostegno, che sono composti in tutto o in parte di
organismi geneticamente modificati, sono soggetti ad uno specifico monitoraggio territoriale.
2. I Servizi fitosanitari regionali, nell’ambito delle attivita’ ispettive previste dalle vigenti
normative fitosanitarie sui vegetali e prodotti vegetali, collaborano con le strutture incaricate dell’effettuazione dei controlli sugli organismi geneticamente modificati.
3. Le modalita’ per l’espletamento del monitoraggio, anche al fine di assicurare omogeneita’ di interventi e raccordo operativo con il Servizio fitosanitario centrale del Ministero delle
politiche agricole e forestali, sono stabilite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri della sanita’ e dell’ambiente e d’intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, senza
oneri aggiuntivi a carico dei bilanci dello Stato, delle regioni e delle province.
Art. 23.
Prodotti di montagna
1. Le denominazioni “montagna”, “prodotto di montagna” e simili possono essere utilizzati per i prodotti agricoli e alimentari, soltanto ove questi siano prodotti ed elaborati nelle
aree di montagna come definite dalla normativa comunitaria in applicazione dell’articolo 3
della direttiva n. 75/268 del Consiglio del 28 aprile 1975 e dai programmi di cui al regolamento CE n. 1257/99.
Art. 24.
Indicatori di tempo e temperatura
1. Con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con
i Ministri delle politiche agricole e forestali e della sanita’, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, sono definiti, entro centottanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, i criteri per promuovere l’indicazione in etichetta
delle modalita’ di conservazione dei prodotti agroalimentari in relazione al tempo ed alla
temperatura da riportare all’interno ed all’esterno degli imballaggi preconfezionati di prodotti agroalimentari freschi, refrigerati e surgelati di breve durabilita’.
Art. 25.
Organizzazioni interprofessionali
1. All’articolo 12 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, all’alinea, le parole: “qualsiasi organismo che” sono sostituite dalle
seguenti: “un’associazione costituita ai sensi degli articoli 14 e seguenti del codice civile
e riconosciuta ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n.
361”;
b) al comma 1, la lettera a) e’ sostituita dalla seguente:
“a) raggruppi organizzazioni nazionali di rappresentanza delle attivita’ economiche connesse con la produzione, il commercio e la trasformazione dei prodotti agricoli”;
c) il comma 2 e’ sostituito dai seguenti:
“2. Le organizzazioni possono costituire fondi per il conseguimento dei fini istituzionali,
imporre contributi e regole obbligatorie per tutte le imprese aderenti, in base alla normativa comunitaria ed alle disposizioni previste dal decreto di cui al comma 2-quater. Al fine
dell’imposizione dei contributi e delle regole predette le delibere devono essere adottate
con il voto favorevole di almeno l’85% degli associati interessati al prodotto.
2-bis. Il riconoscimento puo’ essere concesso ad una sola organizzazione interprofessionale per prodotto, che puo’ articolarsi in sezioni regionali o interregionali.
2-ter. Gli accordi conclusi in seno ad una organizzazione interprofessionale non possono
comportare restrizioni della concorrenza ad eccezione di quelli che risultino da una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o da un programma di miglioramento della qualita’ che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta. Gli accordi sono in tali casi adottati all’unanimita’ degli associati interessati al prodotto.
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2-quater. Con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali di concerto con il
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sono
definiti i criteri e le modalita’ per:
a) l’individuazione delle organizzazioni nazionali di cui alla lettera b) del comma 1;
b) il riconoscimento ed i controlli delle organizzazioni interprofessionali;
c) la nomina degli amministratori;
d) la definizione delle condizioni per estendere anche alle imprese non aderenti le regole
approvate ai sensi del comma 2, sempreche’ l’organizzazione interprofessionale dimostri di
controllare almeno il 75 per cento della produzione o della commercializzazione sul territorio nazionale.”.
118
Art. 26.
Organizzazioni di produttori
1. Le organizzazioni di produttori e le loro forme associate hanno lo scopo di:
a) assicurare la programmazione della produzione e l’adeguamento della stessa alla
domanda, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo;
b) concentrare l’offerta e commercializzare la produzione degli associati;
c) ridurre i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione;
d) promuovere pratiche colturali e tecniche di produzione rispettose dell’ambiente e del
benessere degli animali, allo scopo di migliorare la qualita’ delle produzioni e l’igiene degli
alimenti, di tutelare la qualita’ delle acque, dei suoli e del paesaggio e favorire la biodiversita’.
2. Ai fini del riconoscimento, le organizzazioni di produttori e le loro forme associate devono assumere una delle seguenti forme giuridiche societarie:
a) societa’ di capitali aventi per oggetto sociale la commercializzazione dei prodotti agricoli, il cui capitale sociale sia sottoscritto da imprenditori agricoli o da societa’ costituite dai
medesimi soggetti o da societa’ cooperative agricole e loro consorzi;
b) societa’ cooperative agricole e loro consorzi;
c) consorzi con attivita’ esterne di cui all’articolo 2612 e seguenti del codice civile o societa’ consortili di cui all’articolo 2615-ter del codice civile, costituiti da imprenditori agricoli o loro forme societarie.
3. Le regioni riconoscono, ai fini del presente decreto, le organizzazioni di produttori che
ne facciano richiesta a condizione che gli statuti:
a) prevedano l’obbligo per i soci almeno di:
1) applicare in materia di produzione, commercializzazione, tutela ambientale le regole
dettate dall’organizzazione;
2) aderire, per quanto riguarda la produzione oggetto dell’attivita’ delle organizzazioni, ad
una sola di esse;
3) far vendere almeno il 75% della propria produzione direttamente dall’organizzazione;
4) versare contributi finanziari per la realizzazione delle finalita’ istituzionali;
5) mantenere il vincolo associativo per almeno un triennio e, ai fini del recesso, osservare
il preavviso di almeno dodici mesi;
b) contengano disposizioni concernenti:
1) regole atte a garantire ai soci il controllo democratico dell’organizzazione e l’assunzio-
ne autonoma delle decisioni da essa adottate;
2) le sanzioni in caso di inosservanza degli obblighi statutari e, in particolare, di mancato
pagamento dei contributi finanziari o delle regole fissate dalle organizzazioni;
3) le regole contabili e di bilancio necessarie per il funzionamento dell’organizzazione.
4. Le organizzazioni di produttori e le loro forme associate devono, altresi’, rispondere ai
criteri previsti dal presente decreto legislativo ed a tal fine comprovare di rappresentare un
numero minimo di produttori ed un volume minimo di produzione commercializzabile per
il settore o il prodotto per il quale si chiede il riconoscimento, come determinati dall’articolo 27. Esse inoltre devono dimostrare di mettere effettivamente a disposizione dei soci
i mezzi tecnici necessari per lo stoccaggio, il confezionamento, la preparazione, la commercializzazione del prodotto e garantire altresi’ una gestione commerciale, contabile e di
bilancio adeguata alle finalita’ istituzionali.
5. Le regioni determinano, con propri provvedimenti, senza oneri aggiuntivi, le modalita’
per il controllo e per la vigilanza delle organizzazioni di produttori al fine di accertare il
rispetto dei requisiti per il riconoscimento e per la revoca del relativo provvedimento.
6. Spettano al Ministero delle politiche agricole e forestali i compiti di riconoscimento,
controllo, vigilanza e sostegno delle unioni e delle associazioni nazionali dei produttori agricoli, ai sensi dell’articolo 33, comma 3, del decreto 30 luglio 1999, n. 300.
7. Entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo le associazioni di produttori riconosciute ai sensi della legge 20 ottobre 1978, n. 674, adottano delibere di trasformazione in una delle forme giuridiche previste dal presente articolo. Gli aiuti
di avviamento previsti dalla legislazione vigente sono concessi in proporzione alle spese
reali di costituzione e di funzionamento aggiuntive. Nel caso le associazioni non adottino
le predette delibere le regioni dispongono la revoca del riconoscimento. Gli atti e le formalita’ posti in essere ai fini della trasformazione sono assoggettati, in luogo dei relativi tributi, all’imposta sostitutiva determinata nella misura di lire un milione.
Art. 27.
Requisiti delle organizzazioni di produttori
1. Le organizzazioni di produttori devono, ai fini del riconoscimento, rappresentare un
numero minimo di produttori aderenti come determinati in relazione aciascun settore produttivo nell’allegato 1 ed un volume minimo di produzione commercializzabile determinato nel 5 per cento del volume di produzione della regione di riferimento. Il numero minimo di produttori aderenti ed il volume, espresso, per ciascun settore o prodotto, in quantita’ o in valore, sono aggiornati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Le regioni possono ridurre nella misura massima del 50 per
cento detta percentuale, nei seguenti casi:
a) qualora le regioni procedenti al riconoscimento siano individuate nell’obiettivo 1 ai sensi
della normativa comunitaria;
b) qualora l’organizzazione di produttori richiedente il riconoscimento abbia almeno il 50
per cento dei soci ubicati in zone definite svantaggiate ai sensi della normativa comunitaria;
c) qualora la quota prevalente della produzione commercializzata dalla organizzazione di
produttori sia certificata biologica ai sensi della vigente normativa.
119
2. Le regioni possono, inoltre, derogare al numero minimo di produttori indicato nell’allegato 1 se l’organizzazione di produttori commercializza almeno il 50 per cento del volume
di produzione della regione di riferimento. Nel caso in cui l’organizzazione di produttori
chieda il riconoscimento per i vini di qualita’ prodotti in regioni determinate, si considera,
quale soglia minima, il 30 per cento del totale del volume di produzione ed il 30 per cento
dei produttori della zona classificata V.Q.P.R.D.
3. Le regioni possono stabilire limiti superiori a quelli di cui al comma 1.
4. Qualora una organizzazione di produttori sia costituita da soci le cui aziende sono ubicate in piu’ regioni, e’ competente al riconoscimento la regione nel cui territorio e’ stato
realizzato il maggior valore della produzione commercializzata. I relativi accertamenti sono
effettuati dalle regioni interessate su richiesta della regione competente al riconoscimento.
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Art. 28.
Programmi di attivita’ delle organizzazioni di produttori e delle loro forme associate
1. Le organizzazioni di produttori e le loro forme associate costituiscono un fondo di esercizio alimentato dai contributi dei soci e da finanziamenti pubblici per la realizzazione di
programmi di attivita’ che debbono prevedere:
a) azioni rivolte al miglioramento qualitativo dei prodotti, allo sviluppo della loro valorizzazione commerciale, anche attraverso la promozione di accordi interprofessionali, alla loro
promozione presso i consumatori, alla promozione della diffusione di sistemi di certificazione della qualita’ e di tracciabilita’ dei singoli prodotti, alla creazione di linee di prodotti biologici, alla promozione della produzione ottenuta mediante metodi di lotta integrata
o di altri metodi di produzione rispettosi dell’ambiente;
b) misure destinate a promuovere l’utilizzo, da parte dei produttori, di tecniche rispettose
dell’ambiente, nonche’ le risorse umane e tecniche necessarie per l’accertamento dell’osservanza della normativa fitosanitaria vigente;
c) azioni rivolte alla realizzazione e sviluppo di accordi di filiera, o qualsivoglia ulteriore
azione volta al perseguimento delle proprie finalita’.
Art. 29.
Aiuti alle organizzazioni di produttori ed alle loro forme associate
1. Le regioni ed il Ministero delle politiche agricole e forestali possono concedere, rispettivamente, alle organizzazioni di produttori ed alle loro forme associate aiuti di avviamento o di ampliamento delle attivita’, conformemente agli orientamenti comunitari sugli aiuti
di Stato nel settore agricolo.
Art. 30.
Adeguamento delle borse merci
1. Le contrattazioni delle merci e delle derrate di cui alla legge 20 marzo 1913, n. 272,
e successive modificazioni, sono svolte anche attraverso strumenti informatici o per via
telematica.
2. Al fine di rendere uniformi le modalita’ di gestione, di vigilanza e di accesso alle negoziazioni telematiche, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura adottano,
durante un periodo sperimentale di dodici mesi, apposite norme tecniche, in conformita’
a quanto stabilito dal decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato
20 dicembre 2000, idonee a consentire l’accesso alle contrattazioni, anche da postazioni
remote, ad una unica piattaforma telematica.
3. Entro il termine del periodo sperimentale di cui al comma 2, il Ministro delle attivita’
produttive emana un regolamento per il funzionamento del sistema telematico delle borse
merci italiane.
4. Fino all’entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, i risultati in termini di prezzi di riferimento e di quantita’ delle merci e delle derrate negoziate in via telematica sono
oggetto di comunicazione, da parte delle societa’ di gestione, alle Deputazioni delle Borse
merci, nonche’ di pubblicazione nel bollettino ufficiale dei prezzi, edito dalle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura.
5. Dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3 le norme della legge
20 marzo 1913, n. 272, cessano di avere applicazione nei confronti delle contrattazioni
dei prodotti fungibili agricoli, agroindustriali, ittici e tipici.
Art. 31.
Programmazione negoziata
1. Nel documento di programmazione agroalimentare e forestale e nel documento di programmazione economica e finanziaria sono definiti, per il periodo di riferimento, gli obiettivi strategici da conseguire attraverso gli strumenti della programmazione negoziata in
agricoltura.
2. Nell’ambito dei fondi stanziati annualmente dalla legge finanziaria ai sensi della legge
30 giugno 1998, n. 208, e successive modificazioni, il Comitato interministeriale per la
programmazione economica (CIPE) provvede ad individuare una quota da destinare agli
obiettivi di cui al comma 1.
CAPO V
Disposizioni diverse
Art. 32.
Procedure di finanziamento della ricerca
1. Per gli enti del settore di ricerca in agricoltura di cui al decreto legislativo 29 ottobre
1999, n. 454, nell’attesa dell’adozione del relativo decreto ed allo scopo di assicurare l’ordinaria prosecuzione dell’attivita’, il Ministero delle politiche agricole e forestali e’ autorizzato ad erogare acconti sulla base delle previsioni contenute nel decreto di riparto, nonche’ dei contributi assegnati come competenza nel precedente anno.
Art. 33.
Disposizioni per gli organismi pagatori
1. I procedimenti per erogazioni da parte degli Organismi pagatori riconosciuti di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165, come modificato dall’articolo 3
del decreto legislativo 15 giugno 2000, n. 188, sono sospesi riguardo ai beneficiari nei cui
confronti siano pervenute da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finche’ i fatti non siano definitivamente accertati.
121
2. I procedimenti sospesi ai sensi del comma 1 sono riavviati a seguito di presentazione di
idonea garanzia da parte dei beneficiari.
3. Il Comitato preposto all’esercizio delle funzioni di organismo pagatore dell’Agenzia per
le erogazioni in agricoltura (AGEA), di cui al comma 4 dell’articolo 10 del citato decreto
legislativo n. 165 del 1999, come sostituito dall’articolo 9, comma 2, del citato decreto
legislativo n. 188 del 2000, e’ l’organo di gestione per l’esercizio delle funzioni medesime ed opera in regime di autonomia gestionale, negoziale, amministrativa e contabile e
con proprie dotazioni finanziarie e di personale, sulla base di direttive del Ministro delle
politiche agricole e forestali. Le determinazioni del Comitato aventi rilevanza esterna sono
attuate dal presidente dell’AGEA.
4. Il consiglio di amministrazione dell’AGEA, entro quindici giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, sentito il Comitato di cui al comma 3, sottopone ai Ministri
competenti le modifiche alle disposizioni dello statuto, del regolamento di amministrazione e contabilita’ e del regolamento del personale che si rendono necessarie per l’attuazione del citato comma 3, prevedendo in particolare le idonee forme di rappresentanza del
Comitato per lo svolgimento delle funzioni ad esso attribuite.
5. La dotazione finanziaria dell’organismo pagatore dell’AGEA e’ determinata annualmente in sede di approvazione del bilancio preventivo sulla base di direttive del Ministro delle
politiche agricole e forestali.
122
Art. 34.
Garanzie
1. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 8 del decreto del Ministro dell’industria,
del commercio e dell’artigianato 31 maggio 1999, n. 248, l’ambito di applicazione della
garanzia diretta e della cogaranzia di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 4 del medesimo decreto, e’ esteso ai settori agricolo, agroalimentare e della pesca. La garanzia diretta
e la cogaranzia sono concesse nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di aiuti
di Stato sotto forma di garanzia di cui alla comunicazione della Commissione CE 2000/C
71/07.
Art. 35.
Ambito di applicazione
1. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle
province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione.
Art. 36.
Disposizioni finanziarie
1. Agli oneri derivanti dal presente decreto, quantificati complessivamente in lire 83,895
miliardi per l’anno 2001 e in lire 95,895 miliardi a decorrere dal 2002, di cui lire 68,963
miliardi per l’articolo 1, comma 2, lire 7,052 miliardi per l’articolo 3, lire 12 miliardi a
decorrere dal 2002 per l’articolo 8, lire 56 milioni per l’articolo 9, lire 7,824 miliardi per
l’articolo 10, si provvede:
a) per gli anni 2001 e 2002 mediante riduzione dell’autorizzazione di spesa recata dall’articolo 25 della legge 17 maggio 1999, n. 144, come rifinanziata dalla legge 23 dicembre
2000, n. 388;
b) per l’anno 2003 mediante riduzione dell’autorizzazione di spesa recata - ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165 - dalla tabella C della legge 23
dicembre 2000, n. 388.
2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e’ autorizzato ad
apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Allegato 1
(art. 27, comma 1)
Settore
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
Apistico
Avicunicolo
Cerealicolo-oleaginoso
Florovivaistico
Olivicolo
Pataticolo
Sementiero
Sughericolo
Tabacchicolo
Vitivinicolo
Zootecnico
L1 - Produzioni bovine
L2 - Produzioni ovicaprine
L3 - Produzioni suine
L4 - Produzioni lattiero-casearie
Altri settori
Numero di Produttori
50
50
100
50
50
100
100
200
100
100
100
100
100
100
100
50
123
Finito di stampare nel mese di Aprile 2006 presso
Grafiche MDM spa
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Multifunzionalità e diversificazione delle attività dell`azienda agricola