QPE_n0 19-04-2004 16:33 Pagina 1 qpe I quaderni di Proposta Educativa numero::002004 Coeducazione QPE_n0 19-04-2004 16:33 Pagina 2 qpe002004::coeducazione 2 qpe002004::coeducazione presentazione presentazione qpe::uno strumento per crescere nel dialogo Gli oltre trentamila capi e editoriale che riteniamo Quali sfide ci attendono Abbiamo perciò chiesto sono presenti domande assistenti ecclesiastici possa aiutare la in futuro? Riusciamo ad un gruppo di capi, e inquietudini che non dell’associazione hanno riflessione e la spesso a predisporre che ringraziamo per la possono essere voglia di confrontarsi, trasmissione di risposte educative disponibilità messa in dimenticate o trascurate; dibattere e approfondire? esperienze. Di fronte alle adeguate attraverso il questa nuova avventura, meritano invece di Pensiamo di sì. Infatti tante possibilità offerte a metodo. Ma lo non di pensare ad una essere comunicate e crediamo che molti capi ciascuno nel quotidiano scautismo ci abitua a nuova rivista del perciò condivise: l’essere desiderano crescere servizio, potrebbe scommettere sulla voglia Comitato Centrale, una in associazione è bello attraverso gli strumenti sembrare inutile un altro di andare oltre il specie di “voce ufficiale” anche per questo. del dialogo, così da strumento; noi invece consueto; così siamo dell’associazione, bensì Nel tempo ci piacerebbe rendere più efficace il stimiamo che vale la tutti abituati ad di inventare uno che la rivista potesse servizio educativo. pena tentare. Abbiamo intraprendere strade e strumento diventare utile strumento Questa constatazione ci la sensazione che se percorsi nuovi con complementare a non solo per noi capi e motiva a presentare un l’associazione vuole creatività per verificare il “Proposta Educativa”, assistenti ecclesiastici nuovo strumento affrontare con sempre cammino fatto, che abbia spazi dell’associazione, ma maggiore attenzione la aprendoci a nuovi maggiori per la anche per altri che se stessa, ma possa orizzonti. Non lo trasmissione di idee e la magari hanno vissuto anche offrire un facciamo per il gusto del “voce dei capi”. l’esperienza scout contributo all’esterno; pedagogiche, nuovo, bensì perché Nelle assemblee oppure che sono tante volte a tutti noi è debba poter godere crediamo nella regionali abbiamo interessati agli capitato di costatare che di strumenti agili generosità del servizio e potuto raccogliere molti approfondimenti gli altri ci guardano con nel necessario stimoli, tante ricchezze pedagogici. È simpatia e sono attenti che possono discernimento che ogni ed esperienze che un’ambizione eccessiva? alle nostre proposte. esprimere un capo attua nella sua spesso non trovano Forse sì o forse no. L’idea ci sembra buona, realtà, attraverso la occasione per essere Siamo fiduciosi che a tutti noi la molteplicità degli valorizzate e diffuse. l’associazione non solo responsabilità di strumenti educativi. Così allo stesso modo abbia molto da dire a costruirla. realtà e le problematiche per dare voce ai capi significativo contributo di idee. Maria Grazia Bellini, Lino Lacagnina, don Alfredo Luberto Presidenti del Comitato Centrale e Assistente Ecclesiastico Generale 3 19-04-2004 16:33 Pagina 4 qpe002004::coeducazione qpe002004::coeducazione 5 caporedattrice: Rosa Calò redazione: Francesco Chiulli, Stefano Garzaro, Anna Perale, Andrea Quaresima progetto grafico e videoimpaginazione: Giovanna Mathis finito di stampare: roma, aprile 2004 tipografia: SO.GRA.RO Società Grafica Romana s.p.a., Via ignazio Pettinengo 39, 00159 Roma cinema libri Coeduc-artando pittura aGeSci: parliamone 38 40 42 44 46 musica Oltre il bivio 34 prospettiva contro campo 30 i dialoghi di QPE Uomini e donne: quale identità Raccontami una storia Ish e Ishshah campo lungo 10 14 24 parola di esperto hanno collaborato a questo numero: Manuela Benni, Marilina Laforgia, Stefano Pinna, Sandro Repaci, Marco Vacca. Si ringrazia Maria Cristina Bertini del Centro Documentazione contatti: www.quadernipe.it immagini: si ringrazia Vittorio Pranzini che ha messo a disposizione le immagini del suo volume “Scautismo in cartolina”, Claudio malerba per le foto dell’articolo di Anna Perale e i fotografi del Campo nazionale E/G 2003. forum 06 08 memoria storica sommario 00/04 fondamenti Superwoman e Wonderman ranno impegno e un pò fatica. Ma c’è qualche approfondimento che non costi tutto ciò? In primo piano è, dunque, il tema della coeducazione e la sua “percezione” in una “normale” comunità capi. Nel campo lungo lo sguardo si fa più ampio e complesso: è lo spazio dei fondamenti, della memoria storica, della parola dell’esperto. Il controcampo apre lo spazio al pensiero divergente. Le prospettive aprono a nuovi orizzonti. Il linguaggio dell’arte, poi, ci dà ottimi spunti di lavoro: è lo spazio degli strumenti. Spunti di riflessione e di vissuto. Per continuare a vivere e a ragionare con gli altri, in comunità capi e con i ragazzi. A tutti un buon lavoro. Rosa Calò editoriale 30 anni di vita insieme. Festeggiarli è un modo per tornare a ridirci le ragioni per cui ci siamo scelti. Per tornare a rinverdire le scommesse e le promesse fatteci. A riprendere più saldi il cammino, incoraggiati dalla convinzione che non abbiamo sbagliato percorso. Celebriamo questi 30 anni dell’Agesci dedicando il numero 0 dei Quaderni di Proposta Educativa alla scelta di fondo che le ha permesso di nascere nel ’74: la coeducazione. Un tema che merita molta attenzione e sul quale abbiamo maturato esperienza e riflessione. In anteprima qui offriamo qualche approfondimento, per riconsiderare con uno sguardo più consapevole una scelta che ci appare ormai scontata. Sono contributi che forse ci coste- Così uguali, così diversi Coeducazione primo piano 4 strumenti QPE_n0 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 6 qpe002004::coeducazione 6 primo piano qpe002004::coeducazione :: editoriale E se il popolo americano fosse chiamato a eleggere un presidente e una presidentessa? E se dal camino del conclave di piazza San Pietro sbucasse una doppia fumata bianca, per annunciare la chiamata contemporanea alla cattedra di Pietro di un papa e di una papessa? Superwoman e Wonderman di Stefano Garzaro I Sarebbe una manna per la voracità dei telegiornali, dei maurizi costanzi, dei quotidiani e periodici che ci regalerebbero cassette e dvd per testimoniare ai nipoti l’era di grandi cambiamenti in cui siamo vissuti. Botte da orbi, invece, tra chi vuol salvare la vera tradizione e tra chi è autorizzato a interpretare il progresso. Anche questo in tv. I Eppure da trent’anni esiste una grande associazione – l’Agesci – che dal tempo della sua fondazione elegge in parallelo una donna e un uomo ai vertici dei suoi organi direttivi. E continua a farlo. I Una prima spiegazione storica è che, essendosi unite due associazioni specializzate nell’educazione a carattere specificamente maschile o femminile, era conseguenza naturale che, almeno nella fase iniziale, si conservassero i geni di entrambe; così infatti avviene nella fusione di partiti o squadre di calcio (gli storici del pallone sanno che la Sampdoria, ad esempio, nacque dalla Sampierdarenese e dall’Andrea Doria, fondendo nome e maglietta). Ma perché mai l’Agesci persiste in questa fase di transizione? I Il fatto è che di transizione non si tratta. Quando l’Agesci nacque dalla schiuma dei mari tempestosi dell’Asci e dell’Agi, il tema della coeducazione suscitò forse il dibattito più accanito. È lecito – ci si chiedeva – dal punto di vista pedagogico mettere assieme ragazzi e ragazze, e farli crescere con i medesimi strumenti educativi? È giusto psicologicamente che i maschietti imparino a danzare e le bimbette a ferrare un mulo? E le tentazioni provocate dalle tempeste ormonali? E come predisporre un ambiente tranquillo perché possa formarsi il carattere e l’identità sessuale? I Ci si scannò con rispetto, passione, competenza e intelligenza. Le posizioni assolutamente intransigenti e stupide editoriale :: primo piano È lecito – ci si chiedeva – dal punto di vista pedagogico mettere assieme ragazzi e ragazze, e farli crescere con i medesimi strumenti educativi? È giusto psicologicamente che i maschietti imparino a danzare e le bimbette a ferrare un mulo? E le tentazioni provocate dalle tempeste ormonali? E come predisporre un ambiente tranquillo perché possa formarsi il carattere e l’identità sessuale? furono trascurabili. Ci fu una parte che, in nome dell’intelligenza, preferì non entrare nella nuova associazione, e che continua con competenza la propria ricerca seguendo altre strade. I Le porte furono lasciate aperte, la sperimentazione sempre stimolata, tant’è che le squadriglie miste in reparto costituirono un osservatorio che richiamò grande attenzione. Non tutte le tradizioni d’origine riuscirono a passare sotto l’arco trionfale della fondazione dell'Agesci; l’Agi fu quella che perse qualcosa in più – c’è ancora chi pensa che il metodo del reparto sia troppo maschile, se non militaresco – ma la partita non è mai stata chiusa e si continua a discutere su ciò che si può recuperare dagli scatoloni del trasloco che stanno ancora imballati in magazzino. Le carte costitutive dell’Agesci tutelano i diritti elettivi del sesso minoritario – non di quello più debole, per cortesia! – che non è detto sia sempre quello femminile. La stampa associativa più attenta insiste nello scrivere bambini e bambine, ragazzi e ragazze, capi e capo (se nel lessico italiano non esiste un serio plurale femminile di “capo”, non è colpa delle redazioni). I Le strutture associative nel tempo vanno sempre riformate, perché questo è nella natura delle cose, ma sarà molto difficile che il “governo dei due” sia messo in seria discussione. Per educare le ragazze e i ragazzi occorrono cervelli e sensibilità differenti, e occorrono entrambi. I Il giorno che il consiglio generale eleggerà il Capo dell’Agesci, uno solo, maschio o femmina che sia, allora sì che la Cnn, la Nippon Hoso Kyokai e l’“Osservatore Romano” manderanno i loro inviati in piazza Pasquali Paoli per vedere che cosa sta accadendo. 7 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 8 qpe002004::coeducazione 8 primo piano qpe002004::coeducazione :: forum Parlando di coeducazione tra capi. Ricordare, discutere, sperare Così uguali, così diversi di Francesco Chiulli I È capitato così, quasi per caso, trovarsi una sera in Zona a parlare di coeducazione. «La coeducazione non è un problema» dice Arnaldo – giovane capo con qualche anno di comunità capi alle spalle – «abbiamo prevalentemente unità miste e anche negli staff ci sono (quasi) sempre un capo e una capo». «Ecco è proprio questo il problema» lo interrompe Adriano che di anni di comunità capi alle spalle ne ha più di 25. «È il non vedere che esiste il problema in chiave educativa. Alla route delle comunità capi del ’97 mi stupì veder dato per scontato che la diarchia non fosse un “problema”. Spesso si è portati a pensare che se non c’è la capo donna non ci sia un vero problema, mentre il problema esiste, eccome. È il rapporto dei ragazzi con il capo del proprio sesso che ne risente, ed è proprio quello che va maggiormente curato». QPE :: Ma insomma, come li ricordate gli anni in cui l’Associazione si “tuffò” nella scelta coeducativa e come ci comportiamo oggi di fronte a questa scelta? Secondo Claudio – che ora fa il responsabile di zona – «la scelta coeducativa dell’epoca era fortemente radicata nel fenomeno sociale di allora (siamo negli anni ’70). Oggi forse si è persa l’attenzione a valorizzare le differenze e a ragionare in termini di come queste tocchino il nostro modo di fare educazione. Anche la diarchia, per tornare a quello che diceva Adriano, spesso è guardata semplicemente come l’essere in due, non come l’essere un uomo e una donna che fanno insieme una proposta educativa». E ancora Adriano aggiunge: «Allora se ne parlava molto, la coeducazione era vista in primo luogo come equilibrio della presenza di capi maschi e femmine, la seconda attenzione era poi quella relativa al che cosa fare insieme, che tipo di attività proporre; ad esempio non tutti i giochi erano buoni per maschi e per femmine. Si ragionava molto su questi argomenti. Dopo un po’ di anni non se ne parlava più perché si dava tutto per assodato…». QPE :: Dunque esistono delle differenze nel fare educazione con ragazzi e con ragazze? Per Antonella – capogruppo – «i problemi dell’educazione sembrano trasversali rispetto al genere sessuale. In fondo, sulle questioni importanti, non mi è mai capitato di trovare problemi profondamente diversi con i ragazzi e forum :: con le ragazze». Al contrario, secondo Emanuela che quest’anno fa il suo anno di tirocinio, «Ci accorgiamo che non è vero che facendo le cose insieme tutto sia uguale tra ragazzi e ragazze. Ci è capitato di recente di proporre al reparto un’attività per la sede; il risultato? Le ragazze a dipingere, i ragazzi col martello a pestare chiodi…». «Resiste ancora – sempre secondo Emanuela – lo stereotipo del maschile e del femminile: c’è in questo senso un’omologazione sia dal punto di vista scout sia dal punto di vista sociale». Per Adriano invece è un problema di quale idea di uomo e di donna abbiamo oggi. Modello “siamo in concorrenza”, modello “l’altro è intoccabile” ed è meglio che non mi avvicini ad esso (pensiamo ai rapporti tra ragazzi e ragazze). «La differenza si riconduce a un dato fisiologico ed estetico. Le diversità sociali permangono ma sono negate». QPE :: Qual’è la consapevolezza pedagogica che avevamo e che è venuta meno, quale il progetto educativo sui ragazzi e le ragazze insieme? «Spesso siamo lontani da questi problemi educativi perché soffocati da altre mille piccole cose del nostro servizio» dice Arnaldo. «Siamo maggiormente impegnati nell’organizzare attività che non nel pensare alla loro ricaduta in termini educativi». «Questo avviene», lo riprende Antonella «perché lo scautismo spesso è pensato e applicato come un metodo che funziona di per sé, ma non è più pensato come un veicolo di contenuti. È qui che va riscoperta la coeducazione come contenuto educativo alla base del nostro progetto. Noi capi oggi rischiamo di non essere “alternativi” a nessun modello sociale (come ci ricorda il Patto Associativo). Come si diceva prima si pensa in termini di pluralità (i capi, i ragazzi, le unità…) e non in termini di differenze (l’uomo e la donna, i ragazzi e le ragazze, il gruppo monosessuale o misto…)». Arnaldo, a questo punto, dice la sua in maniera un po’ provocatoria: «Non si tratta tanto di primo piano stare semplicemente insieme, ma di provare a crescere con un progetto comune. L’educazione come la scoperta di sé attraverso l’incontro con il totalmente diverso (la persona dell’altro sesso). In fondo l’Associazione è partita proprio da questo, dalla necessità di affermare un progetto comune in cui crescere (la proposta unificata), valorizzando le differenze». QPE :: Cosa fare allora concretamente nella vita di unità? E cosa dovrebbe fare l’Associazione? «Secondo me – dice Emanuela – bisogna recuperare un modo di fare scautismo, la manualità, i giochi… le attività che pongano l’accento sulle differenze, per evidenziarle e per ragionarci sopra». Per Adriano «Si tratta di creare contesti che aiutino l’integrazione e che valorizzino la differenza del singolo». Dal punto di vista di Claudio «l’Associazione deve riprendere in mano e stimolare questa riflessione sui contenuti del fare. Alla formazione capi il compito di rilanciare lo stile di fare le cose, di essere capi, di riflettere sulla proposta educativa e sui suoi contenuti più forti. Per gli staff e le comunità capi si tratta invece di ripensare, ragionare sulla portata e sugli effetti delle attività che si vivono con i ragazzi: programmi, progetti che pensano la differenza maschile/femminile, l’attenzione a come ci proponiamo come staff, come capi e come capo». QPE :: Tutti concordano nel dire che c’è un percorso da riprendere, un progetto da ripensare. Questo richiede, a noi tutti (individualmente e come Associazione), lo sforzo di superare una certa cultura del “fare tanto per fare”, per riprendere l’abitudine alla riflessione sull’azione e sulla sua ricaduta in termini educativi. Si tratta infine di recuperare i valori educativi della coeducazione che stanno nel porre un’attenzione particolare a quell’aspetto della vita umana che è l’individuo come essere sessuato nel rapporto con l’altro sesso. 9 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 10 qpe002004::coeducazione 10 campo lungo qpe002004::coeducazione :: fondamenti Non credo esistano testi di natura religiosa, letteraria o filosofica che eguaglino la profondità della Scrittura nel presentare il mistero e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna e contemporaneamente la bellezza delle persone pensate nella loro identità e nel rapporto di reciprocità. Ish e Ishshah di Stefano Pinna I Non siamo certo in presenza di saggi che trattano in maniera sistematica del tema in questione. I Attraverso racconti, poemi, preghiere, oracoli, canti, lettere (generi letterari tutti che esprimono le diverse modalità dell’esistenza degli individui), viene rivelato il mistero dell’uomo e, a un tempo, il mistero stesso di Dio. E, cosa ben più importante, questa rivelazione è ispirata: in essa soffia lo Spirito di Dio a sottolineare l’origine divina dei testi. I La Bibbia, si sa, è una storia di uomini e di donne, di famiglie, di comunità di persone che, guidate da una passione profonda per Dio e per la vita, cercano di vivere in maniera intensa e significativa il proprio tempo e la propria storia. I Non a caso il secondo degli antichi racconti di creazione (Gen 2,4b-3,25), con i quali si apre l’Antico Testamento, rappresenta il tentativo di aiutare il credente (di allora, al tempo del re Davide e di oggi) a orientarsi nella vita quando di fronte alle grandi domande circa il senso della morte e della sofferenza, della gioia e del dolore, dell’amicizia e della fraternità, dell’amore e della famiglia, della storia e del lavoro sembra condannato a non capire. I In maniera semplice si racconta che, all’origine («quando il Signore Dio fece la terra e il cielo», Gen 2,4b), la terra era un grande deserto («nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo», Gen 2,5-6) e allora il Signore pensò all’uomo («allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente», Gen 2,7); quindi decise di piantare un giardino in Eden e di collocarvi in esso l’uomo («e vi collocò l’uomo che aveva plasmato», Gen 2,8). I In seguito predispose per l’adam un giardino fondamenti :: facendo germogliare in esso «ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2,9), garantendo l’acqua «per irrigare il giardino» (Gen 2,10), dopo avergli dato una funzione specifica: «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). I È chiara la prospettiva antropologica racchiusa in questa prima parte del racconto: l’adam è stato collocato da Dio nel giardino della storia, e non nel deserto del caos e del nonsenso, perché in esso eserciti la doppia azione della custodia e del lavoro a indicare sia la responsabilità che gli compete (una sorta di cittadinanza piena) quanto il distacco e il rispetto che deve a ciò che gli è stato donato. I Perché il giardino diventi un paradiso è necessario però che l’adam esca da una condizione di solitudine: «non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» lett. «un aiuto-come-di-fronte-a-lui» (Gen 2,18) e incontra finalmente colei che è «carne dalla mia carne, osso dalle mie ossa» (Gen 2,23a). I In quel momento l’uomo, l’ish, incontra la donna, l’ishshah,(a voler sottolineare il principio della dialogicità coeducativa nella differenza e nella parità) e quando sono finalmente insieme possono esercitare l’azione di custodia, di lavoro del creato, di dialogo e di comunione con le creature e con il Creatore: il tutto (quello descritto dal cap. 3 della Genesi) caratterizzato dalla “differenza nell’ordine” (secondo la prospettiva sapienziale), dove nessuno pretende di prendere il posto dell’altro e dove ognuno può dare il meglio di sé quando si trova al posto stabilito dal Creatore. Che in questo antico racconto vi sia riassunta una preziosa sintesi della visione della vita e della storia che riecheggia continuamente in tutta la Scrittura non deve meravigliare. Lasciando infatti il racconto mitico del libro della Genesi ed campo lungo entrando nella dimensione storica, ritroviamo come protagonisti (anche se con modalità diverse) gli stessi personaggi che l’autore jahvista aveva inserito nella sua antica catechesi. I Nel racconto di liberazione narrato nel libro dell’Esodo (quando per l’appunto inizia l’avventura che avrebbe portato alla realizzazione del “giardino delle delizie” nella storia) tutto inizia quando «un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una figlia di Levi. La donna 11 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 12 qpe002004::coeducazione 12 campo lungo concepì a partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per molti mesi» (Es 2,1-2), per presentare così le origini di Mosè. I La vocazione di Mosè prende l’avvio dentro un’esperienza di famiglia di leviti, associati a un servizio di mediazione; il matrimonio con Zippora successivamente rafforza la consapevolezza della sua condizione di emigrato in terra straniera (cfr. Es 2, 22) e nella lontananza cresce il ricordo della fede dei suoi padri; con Aronne e la sorella Miriam guida la liberazione del suo popolo: insieme al suo popolo, con timpani e danze, cantano poi al Signore «perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere» (Es 15,21). Se è vero, come sostiene il biblista Carlos Mesters, che nel racconto di Genesi 2,4-25 «il Paradiso è – per così dire – il bozzetto del mondo: una tale pianta della costruzione del mondo Dio la consegnò all’uomo, suo impresario, affinché egli, con le proprie mani costruisse la sua felicità», è altrettanto vero che il dono della rivelazione di questo disegno comporta il coinvolgimento e la partecipazione di tutti: un gioco di squadra vissuto nella differenza, nel dialogo e nel rispetto dei ruoli di ciascuno. I Ma si sa che la storia non è un procedere predeterminato e automatico: in essa fallimenti e successi convivono naturalmente, e così il sogno della terra promessa, a lungo perseguito dai patriarchi e da quel gruppo di schiavi guidato da Mosè, sembra compromesso, bloccato: c’è il pericolo che il deserto avanzi inesorabilmente. I Così accade che anche in terra di Moab (a indicare che il giardino della Genesi non ha una precisa localizzazione geografica, ma è posto a qpe002004::coeducazione :: fondamenti oriente) matura la vocazione del custodire e del coltivare: una straniera, Ruth, manifesta l’amore appassionato di Dio per gli uomini, nel voler stare con la suocera Noemi («non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio», (Rut 1,16), nel voler condividere con lei una condizione di povertà e di speranza. I L’incontro con Booz riapre improvvisamente una prospettiva di futuro che ormai sembrava negata: «poi Booz prese Ruth, che divenne sua moglie. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire: essa partorì un figlio… Noemi prese il bambino e se lo pose in grembo e gli fu nutrice. E le vicine dissero: “è nato un figlio a Noemi!”. Essa lo chiamò Obed: egli fu il padre di Iesse, padre di Davide» (Rut 4,13.17). Da Moab a Betlemme, passando per le fatiche di Ruth, Booz e Noemi, la strada del compimento e della salvezza si fa più breve: in Davide, come prima in Abramo, si realizzerà il sogno di una benedizione universale. I Tanta è la naturalezza attraverso la quale il mistero della diversità e della reciproca appartenenza degli uomini e delle donne rivela pienamente il volto del Creatore, che i Profeti nel voler presentare compiutamente le attenzioni di Dio per gli uomini, la sua tenerezza, la sua misericordia mutuano le immagini tratte dall’esperienza familiare, quella cioè di uomini e di donne che generano, educano e formano i propri figli: «A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,3-4). I In una sorta di co-appartenenza fatta di distinzioni e di legami si esprime il mistero di una comunione profonda e creatrice che il fondamenti :: Cantico dei Cantici – il Cantico per eccellenza di cui Rabbi Aqiba dice che «il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato a Israele» – trasforma in poesia, in lode, in preghiera. I Non è un caso poi se il Libro dei Proverbi, nel suo capitolo conclusivo, nel voler presentare le caratteristiche di un mondo pensato come luogo della Sapienza (umana e divina), un mondo in cui il custodire e il coltivare sono contemporaneamente dono di Dio e responsabilità dell’uomo, luogo per eccellenza della coeducazione, presenta la Sapienza (nella sua duplice accezione) con le caratteristiche di una donna, di una madre di famiglia a indicare l’avvenuta fluidificazione della categoria antropologica. I Per raccontare questa volta l’instancabile azione di una umanità che finalmente riesce a “ordinare” il mondo secondo il cuore di Dio, ordine che nasce quando nelle attività umane di dispiega lo spirito di industriosità e di laboriosità («si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani… stende la sua mano alla conocchia e gira il fuso con le dita», Pr 31,13.19) di fiducia reciproca («in lei confida il cuore dell’uomo» Pr 31,17), di accoglienza e di misericordia («apre le sue mani al misero stende la mano al povero», Pr 31,20) di saggezza e di bontà («apre la bocca con saggezza e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà», Pr 31,26) e di custodia e di lavoro («sorveglia l’andamento della sua casa; il pane che mangia non è frutto di pigrizia», Pr 31,27). I Il mondo diventato così casa della sapienza ha acquistato una condizione di trasparenza – di nudità (cfr. Gen 2,25) e di bellezza: le relazioni operose e solidali sono l’espressione del colloquio profondo che unisce gli uomini e le donne fra di loro; il bozzetto descritto all’origine prende forma, su questo colloquio veglia sempre «il Signore Dio che passeggia nel giardino alla brezza del giorno» (Gen 3,8). I Si comprende perché possiamo cantare con le campo lungo parole del salmista «quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme… là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre» (Sl 133,1.3a): dove c’è comunità nella differenza l’albero della vita produce frutti di immortalità e un fiume d’acqua viva rende la città degli uomini un giardino eterno (cfr. Ap 22,1-2). I La dimensione coeducante diventa così la dimora di Dio tra gli uomini. 13 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 14 qpe002004::coeducazione 14 qpe002004::coeducazione campo lungo :: memoria storica Come raccontare la storia della co-educazione in Agesci? Potevo provare a ricostruire un clima storico e culturale, contrappuntato dagli eventi e dalle scelte delle nostre realtà associative. Oppure mettermi alla ricerca di protagonisti e testimoni di una memorabile stagione associativa, dando voce ai loro ricordi e alle loro passioni. Ho preferito percorrere un’altra strada, forse perché è stata la mia strada: provare a raccontare la scelta coeducativa attraverso una prospettiva particolare, sicuramente parziale ma, a mio avviso, davvero significativa. È la prospettiva della reale o presunta mascolinità o femminilità degli universi simbolici ereditati dall’Asci e dall’Agi e dei problemi e delle sfide che pose all’Agesci nei suoi primi anni di vita nella definizione e nella pratica di una proposta metodologica unificata. Raccontami una storia di Anna Perale I L’universo simbolico non è e non è mai stato nella tradizione scout solo uno sfondo in cui collocare l’azione educativa, ma rappresenta lo spazio aperto e libero dell’incontro di persone e di storie in cui anche l’essere maschio e femmina, uomo e donna può essere ricompreso e reinterpretato rispetto alle tre grandi “figure” che caratterizzano l’immaginario scout: • il fanciullo selvaggio, a cavallo tra natura e cultura; • il pioniere di frontiera, chiamato a progettare e costruire nuovi modi e spazi di vita per sé e per la comunità; • il cavaliere errante, cittadino di un mondo che dilata i propri confini e ridefinisce il senso di identità e di appartenenza. memoria storica :: I Può essere interessante, per l’Agesci di oggi, confrontarsi con le domande che trent’anni fa guidarono la ricerca di soluzioni e conoscere i criteri e il metodo che furono seguiti per costruire e offrire a tutti i capi proposte sensate e condivisibili. L’immaginario scout è un immaginario maschile? I Nel 1994, durante un seminario metodologico dell’Agesci, dedicato al tema della coeducazione, a vent’anni di distanza dall’unificazione di AGI e ASCI, il pedagogista Riccardo Massa sollevò un problema: «Uno degli elementi di forza dello scautismo è proprio la costruzione di un grande immaginario pedagogico, che, per la sua nascita, è fortemente legato all’immaginario maschile: nel caso del lupettismo diventa l’immaginario della giungla e prima ancora quello dello scouting. (…) Ma come possono una metodologia e un immaginario pedagogico fortemente impiantati su un modello maschile correggersi e ammorbidirsi su quello femminile? campo lungo C’è spazio per le ragazze nel mondo rude dei pionieri e degli avventurieri ?» I Massa, che evidentemente non dubitava dell’esistenza di un immaginario femminile diverso da quello maschile, auspicava lo studio, nei testi originali delle coccinelle e delle guide, degli elementi introdotti per aiutare «la declinazione al femminile del metodo scout» , allo scopo di evitare l’omologazione delle ragazze al modello maschile o la proposta di scenari neutri, poco suggestivi e ancor meno significativi. I In realtà, a partire dall’unificazione del 1974, si era imposta, per lo scautismo cattolico italiano, la necessità di definire un’unica proposta metodologica ed era stato avviato un attento lavoro di riesame critico dei due patrimoni metodologici originari, comprendendo necessariamente anche gli universi simbolici, le narrazioni proposte come sfondi integratori e le tipologie suggerite come modelli personali. I Ancor prima si era avviato nell’associazione laica del CNGEI un processo spontaneo di trasformazione delle unità omogenee per sesso in unità miste, a partire dalle branche lupetti-pri- 15 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 16 qpe002004::coeducazione 16 campo lungo qpe002004::coeducazione :: memoria storica memoria storica :: campo lungo 17 quello tradizionale, che spaziavano dall’esaltazione della separatezza e della diversità femminile, come unica possibilità di espressione e affermazione del valore delle donne, al modello opposto, che sosteneva la totale uguaglianza delle donne e degli uomini. L’affermazione di uguaglianza non comportava solamente il riconoscimento della pari dignità dei sessi e la conquista di diritti e di opportunità uguali per tutti, ma sosteneva la sostanziale identità degli individui a prescindere dalle differenze sessuali. I Educare all’identità significava proporre le stesse esperienze a ragazzi e ragazze, da vivere rigorosamente insieme, per riconoscersi e sperimentarsi uguali. I Questo fu il modello cui aderirono, di fatto, tutto il CNGEI e le branche esploratori/guide e mule nel 1960-61, per coinvolgere successivamente le compagnie rover e i reparti degli esploratori e delle esploratrici. Nel 1976 l’associazione fece formalmente la scelta della coeducazione e già nel 1979 la totalità delle sezioni applicava la coeducazione in tutte le branche. Dalla separazione alla coeducazione: i paradigmi della differenza e dell’identità I Nei decenni che precedettero la scelta coeducativa, la storia dello scautismo maschile e femminile in Italia era stata la storia di due movimenti paralleli, ispirati alla stessa pedagogia, con una strumentazione metodologica simile e un bagaglio che comprendeva gli stessi valori, ma separati nell’azione educativa. Prevaleva allora un modello sociale che assu- meva l’essere maschio o femmina come condizione biologica naturale, funzionale ai compiti di riproduzione . L’identità individuale doveva iscriversi all’interno dell’identità biologica sessuata, presa a giustificazione di ruoli familiari e sociali complementari per uomini e donne. L’educazione, separata per sesso, doveva preparare i soggetti a svolgere adeguatamente il proprio ruolo maschile o femminile, assumendo il destino biologico come identità e vocazione. I Quando cominciò il cammino comune delle associazioni scout, il rapporto uomo-donna, sia dal punto di vista socio-culturale sia sul piano educativo, stava subendo, non solo in Italia, trasformazioni radicali. I Stavano prendendo corpo modelli alternativi a È possibile estrapolare dalle Direttive AGI di Branca coccinelle del 1954, ristampate nel luglio 1964 e rimaste invariate fino all’unificazione, le ragioni della scelta dell’ambiente del bosco, piuttosto che la ricerca di una storia alternativa ai folletti. Non venne scelto un racconto, dopo qualche tentativo di produzione autonoma di un testo adeguato con le storie di Fiammetta, perché le responsabili della branca non trovarono, nella letteratura per l’infanzia del tempo, una storia a protagonismo femminile pienamente congeniale con la proposta dello scautismo: con una protagonista femminile, caratterizzata, ma non ruolizzata; con una storia di crescita ricca di spirito d’avventura; con una trama non chiusa nella dinamica della casa e dei rapporti familiari, ma ambientata nella natura; orientata all’autonomia e non alla presente e futura dipendenza da qualcuno; in cui la fantasia fosse strumento di conoscenza e di esperienza e non fuga nel sogno e nell’irreale. Venne scelto l’ambiente del bosco, perché - si pensi alle fiabe, da Cappuccetto Rosso ad Hänsel e Gretel, da Biancaneve a Pollicino, da La bella addormentata nel bosco a Fratellino e sorellina, e alla lezione di B. Bettelheim ne Il mondo incantato - simbolo universale dell’ignoto e dell’inesplorato, luogo di prova e di passaggio, attraverso il quale si conquistano forza e consapevolezza, si cresce e si cambia. La psicologia del profondo, in particolare, ha interpretato il bosco come immagine della sessualità femminile, negata, tenuta nascosta e infine rivelata: è il sentiero proibito, eppure irresistibilmente attraente, che devia dalla strada maestra; è il luogo buio, affascinante e misterioso dell’incontro con lo sconosciuto che è dentro di noi e fuori di noi, con chi non è ciò che appare; è esperienza contemporanea, nella contraddittorietà concessa solo ai sogni, di minaccia e di protezione, di rivelazione e di nascondimento, di paura e di salvezza, di morte e di rinascita; è lo spazio interiore, uterino, da cui scaturiscono la creatività e la capacità generativa. Ma il bosco è anche, e soprattutto, un luogo concreto, acces- sibile, vicino, dove la fantasia e l’esperienza possono fondersi senza forzature in un’unica avventura esistenziale; spazio di gioco e di relazioni in cui l’esperienza diretta dell’esplorazione può dare vita e forma simbolica a narrazioni personali e a rielaborazioni collettive. Concretamente, nel mondo del bosco le bambine si chiamavano coccinelle o primule e il percorso di crescita era rappresentato come un viaggio dal prato al bosco alla montagna, alla conquista del mughetto e della genziana, simboli della gioia che nasce dalla condivisione e dal dono. Con questi scarni elementi essenziali ciascuna capo cerchio doveva ambientare e sviluppare le avventure delle sue bambine. QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 18 qpe002004::coeducazione 18 campo lungo «Mowgli rappresenta la condizione infantile di crescita e di dipendenza, di ricerca di sé tra bisogno di sicurezza e bisogno di autonomia. In questa accezione può essere colto con uguale intensità dai bambini come dalle bambine». qpe002004::coeducazione :: memoria storica rover/scolte dell’AGESCI, quando scelsero di non riconoscere un peso particolare alla presunta mascolinità della giungla, dell’avventura nei boschi e della strada, sottolineando, al contrario, l’effetto emancipatore della proposta scout, soprattutto rispetto alle esperienze e ai ruoli tradizionalmente imposti alle ragazze. Ben prima della messa in discussione dei ruoli tradizionali e degli stereotipi maschili e femminili e in netto anticipo sulla scelta coeducativa – si affermava – lo scautismo femminile aveva rappresentato una risposta in controtendenza rispetto alla marginalità, alla passività e all’isolamento che caratterizzavano la condizione delle bambine e delle ragazze. I In una realtà sociale in cui esse contavano poco e non godevano di nessuna attenzione particolare, il gruppo femminile scout aveva offerto un luogo di protagonismo, dove era possibile godere dell’attenzione e delle cure personali delle educatrici, nel ruolo del tutto inusuale di sorelle maggiori e compagne di gioco. I Se l’educazione tradizionale voleva le ragazze tranquille e composte, obbedienti e silenziose, lo scautismo femminile era stato occasione di autoeducazione, di gioco attivo, di assunzione di responsabilità pubbliche e di leadership. I In una realtà in cui, fuori della scuola, lo spazio delle bambine e dei loro giochi era la casa, erano ambienti chiusi e protetti, perché il posto presente e futuro delle donne doveva essere lo spazio domestico, lo scautismo femminile aveva risposto con la vita all’aperto, con l’apertura, materiale e spirituale, di orizzonti nuovi; e aveva offerto una comunità di ragazze come luogo di incontro, di discussione e di gioco. I Era però difficile, tra gli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, sostenere ancora che marginalità, passività e isolamento fossero problemi specifici ed esclusivi delle ragazze e non, piuttosto, di tutta la realtà minorile. Il bambino-oggetto, usato e abusato, non riconosciuto nella sua memoria storica :: dignità di persona, non rispettato nei suoi ritmi e nei suoi bisogni, era la nuova forma della marginalità. La passività si coniugava adesso con l’abuso di televisione, con il restringimento dei tempi di gioco libero e con la scomparsa degli spazi di libera aggregazione. L’isolamento era conseguenza delle trasformazioni della famiglia e della forzata chiusura in casa dei ragazzi, perché la città e la strada, con il traffico, la violenza, l’indifferenza e l’anonimato sociale, erano di fatto nemiche dei più giovani. I Il più concreto correttivo all’eventuale maschilismo dell’immaginario pedagogico doveva essere la condivisione, secondo la regola della fraternità scout, di ogni momento di attività e l’esperienza di relazioni comunitarie del tutto paritarie e non ruolizzanti, alternative ai modelli familiari e di coppia, pur prevedendo, soprattutto per gli adolescenti, alcuni spazi separati per ragazzi e ragazze, ritenuti utili nell’elaborazione dell’identità di genere. Il percorso della branca lupetti/coccinelle dello scautismo cattolico prese, almeno in parte, un’altra direzione, per una diversa valutazione del ruolo giocato dagli sfondi integratori all’interno dei dispositivi metodologici. I L’ambiente fantastico caratterizza ogni attività dei più piccoli, suggerendo trama, personaggi e linguaggio alle avventure di gruppo e al cammino di progressione personale. I Ma, da sempre, gli ambienti fantastici erano due. Baden-Powell, infatti, aveva destinato la giungla di Kipling ai maschi, mentre aveva suggerito per le bambine un racconto sui folletti benefici di Giuliana O. Ewing, ispirato alle saghe nordiche. I Non tutte le associazioni femminili adottarono il racconto della Ewing. Le associazioni femminili italiane, laica e cattolica, seguendo il modello delle Guides de France, preferirono addirittura non ricorrere a un racconto, sostituendolo con un’atmosfera di gioco: il bosco. campo lungo «All’interno di un gioco complesso non esistono solo i modelli forniti dal racconto, ma esistono e hanno un peso fondamentale i modelli reali, forniti dai capi e dai compagni di gioco. L’esperienza e il rapporto personale assumono un peso, come modelli identitari e comportamentali, ben maggiore che i modelli ideali». I Agli inizi degli anni ’70 quest’universo simbolico attraversava una grave crisi. Le risposte ad un questionario, somministrato a 220 Capo Cerchio dell’AGI (circa il 25% delle capo della branca) durante il raduno nazionale del 1970, rivelavano che una buona percentuale delle intervistate considerava superati, perché obsoleti, molti degli strumenti tradizionali del metodo coccinelle, tra cui, in primo luogo, l’atmosfera del bosco e il suo simbolismo, giudicati «astratti, irreali, al di fuori dell’esperienza della bambina, discriminanti, negativamente evasivi dalla realtà». «Nella nostra cultura l’immagine della coccinella è un’immagine di tipo femminile, per alcune caratteristiche che le sono attribuite e che sono tendenzialmente legate allo stereotipo (…) della femminilità: la mitezza, la grazia e la bellezza; il fatto di essere utile (e il mondo femminile è per antonomasia funzionale); la fortuna (la coccinella è considerata un portafortuna e la fortuna è spesso stata considerata una risorsa femminile, altrettanto, se non più, importante e determinante della forza e della ragione)». 19 QPE_n0 19-04-2004 16:34 Pagina 20 qpe002004::coeducazione 20 campo lungo I Se una minoranza rifiutava qualsiasi ricorso al fantastico perché anti-politico o strumento di condizionamento ideologico, le altre capo rifiutavano una modalità consolidata di evocare quel mondo, che riproponeva nello scautismo, come in molte letture scolastiche, uno stereotipo dell’immaginario femminile, deformato da cadute nella leziosità e nel moralismo. Le prime unità miste della branca lupetti/coccinelle dell’AGESCI non scelsero né la giungla né il bosco, ma misero in sperimentazione, in un primo tempo in modo del tutto spontaneo e autonomo, più tardi, tra l’80 e l’83, all’interno di un percorso predisposto e verificato dal livello nazionale, ambienti fantastici alternativi, dal mondo degli gnomi a quello degli Indiani d’America, o ispirati a fonti letterarie come Il piccolo principe. I La ricerca di uno sfondo integratore neutro rispetto alla compresenza di bambini e bambine ed equidistante dalle due tradizioni si concluse, quando ci si accorse che, nei gruppi, si stavano spontaneamente consolidando alcune tendenze: • la grande maggioranza delle unità stava diventando mista; • le unità miste AGESCI, dopo la parentesi sperimentale, preferivano optare per la giungla, come quelle CNGEI, dove le bambine, chiamate lupette, condividevano in tutto e qpe002004::coeducazione :: memoria storica per tutto le avventure del branco, senza rivelare particolari difficoltà di adattamento al gioco , fino ad allora ritenuto “maschile”; • resisteva tuttavia un nucleo qualitativamente significativo di unità femminili, che avevano preferito rimanere monosessuali e chiedevano all’associazione una rilettura e un adeguamento del linguaggio tradizionale del bosco, allo scopo di garantire, anche all’interno della proposta unificata, una risposta scout alla specificità femminile. Resistendo a forti pressioni interne , che spingevano verso l’adozione, anche in AGESCI, della giungla come unico ambiente fantastico, tra il 1983 e il 1986 l’associazione, pur riconoscendo la validità dell’esperienza dei branchi misti, si interrogò sulla questione della specificità femminile, affrontando due nodi nevralgici. • I modelli personali proposti dall’educazione scout e, in particolare, dagli ambienti fantastici, dovevano essere letti come portatori di un’identità sessuata e di valori e comportamenti specifici e/o differenziati o potevano piuttosto essere interpretati come modelli di crescita validi per tutti? • All’interno dei dispositivi metodologici della tradizione maschile e femminile, l’approccio ai significati e l’elaborazione e comunicazione simbolica si realizzavano secondo un’unica modalità di gioco, declinata attraverso linguaggi solo formalmente differenti, o seguivano modalità diverse, congeniali e funzionali a una sostanziale diversità degli immaginari maschile e femminile? L’ambiente fantastico al femminile I Tre anni di lavoro, dedicati alla riflessione critica su queste tematiche, diedero vita a due documenti. Il primo, pubblicato negli atti preparatori del Consiglio generale AGESCI del 1985, si intitolava “Simbolismo e ambiente fantastico” e si proponeva di mettere in evi- memoria storica :: denza affinità e differenze delle tradizioni metodologiche maschile e femminile. Il secondo, dal titolo “Prospettive per il Bosco nelle unità miste”, uscì nel 1986 come documento di riflessione a uso interno del livello nazionale, in vista della decisione definitiva, prevista per il 1987, su quale ambiente fantastico adottare nelle unità miste della fascia d’età otto-undici anni. I Nel periodo precedente la scelta coeducativa, lo scautismo femminile – viene ricordato – non aveva adottato l’ambiente giungla perché il suo protagonista era un maschio. D’accordo con Baden-Powell, non si era ritenuto opportuno proporre alle bambine, come modello di crescita, una figura maschile, per non indurre le future donne a considerare attraente e vincente l’adeguamento ai modelli maschili, piuttosto che la costruzione e l’affermazione positiva della propria femminilità. Soprattutto la bambina alle soglie dell’adolescenza, si sosteneva, ha bisogno di modelli positivi cui guardare e nei quali rispecchiarsi e riconoscersi. I Dopo la scelta coeducativa, occorreva però prendere atto della positività delle esperienze, ormai decennali, dei branchi misti, negando, o almeno ridimensionando, il problema dell’identificazione delle bambine con il personaggio di Mowgli. I Mowgli appartiene ai modelli universali della letteratura pedagogica, come Pinocchio, Alice, il Piccolo principe, e il suo carattere archetipico di eroe fanciullo sottrae di fatto rilevanza alla questione del sesso. I D’altra parte lo scautismo femminile in generale, e quello italiano in particolare, non avevano proposto all’immaginario delle ragazze una narrazione con protagonista una bambina, ma un’atmosfera di gioco, con l’immagine della coccinella che vola nel bosco. Proprio per queste ragioni, la scelta di quest’immagine era stata criticata negli anni ’70 e campo lungo poteva riproporsi ancora come problematica, sia per l’utilizzo nelle unità femminili, sia nell’ipotesi di unità miste che volessero adottare l’ambiente fantastico del bosco. I Si rilevava tuttavia che ciò che rende attraenti e congeniali ai bambini, maschi e femmine, anche al di fuori dell’esperienza scout, il mondo degli cuccioli e la vita dei piccoli insetti, come le formiche, le api, le stesse coccinelle, è la possibilità di riconoscersi e di identificarsi in una dimensione di piccolezza, che è la loro stessa condizione esistenziale. La coccinella che vola dal prato alla montagna, passando attraverso il mistero del bosco, dà forma al desiderio dei bambini di affrontare grandi sfide, trasformando, come nelle fiabe, i limiti personali e gli ostacoli del viaggio in opportunità e risorsa, grazie anche alla forza coesiva del gruppo d’appartenenza e al sostegno di riferimenti adulti, partecipi dello stesso gioco. I Se Mowgli non era più giudicato improponibile al mondo femminile e se non si voleva più considerare la coccinella come un modello esclusivamente “per bambine”, occorreva cercare al di fuori della presunta problematicità dei modelli fantastici eventuali risposte alla specificità dell’immaginario femminile. 21 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 22 qpe002004::coeducazione 22 campo lungo I Si presero in considerazione, allora, le modalità di gioco della tradizione maschile e femminile e, in particolare, la dinamica tra l’esperienza personale e di gruppo e i processi di attribuzione o riconoscimento di significato all’esperienza stessa. I Sono la stessa cosa giocare con una “storia pedagogica” e giocare in un “ambiente educativo”? “Una delle intuizioni di Baden-Powell è il ricorrere al linguaggio fantastico, come mezzo di comunicazione e come strumento di approccio e di interpretazione della realtà. Le culture umane da sempre utilizzano la fantasia come espressione e come comunicazione. In particolare, ci sono due differenti modi (…) di fare poesia: l’epica e la lirica. L’epica narra e celebra la storia di una comunità, la sua identità, i suoi valori e i suoi ideali. Chi legge, chi ascolta si riconosce e si identifica in storia collettiva, ma anche particolare e personale, attraverso l’eroe.” (Dal documento Prospettive per il bosco nelle unità miste) I La lirica, invece, mette in comunicazione il narratore e l’ascoltatore non attraverso una storia, ma attraverso la condivisione, emotiva e intellettuale, di un’esperienza, di un’emozione, di un sentimento che entrambi hanno vis- qpe002004::coeducazione :: memoria storica suto, non importa se in tempi e luoghi diversi. I Questa condivisione assume un valore simbolicamente unitivo, che permette alle esperienze individuali di andare oltre la parzialità, la frammentarietà e la soggettività. I Queste stesse modalità potevano essere riconosciute nel modo tradizionale di giocare la giungla e il bosco. I “Nei branchi si parte dal racconto, prima ascoltato e poi tradotto in gioco” , mentre nei cerchi si gioca e poi, in forma narrativa, si cercano insieme i possibili significati dell’esperienza condivisa. I La prima modalità sembrava la più adatta a garantire l’integrità dei contenuti e il corretto adeguamento dal bambino ai modelli pedagogici, chiamati “tipi morali”, suggeriti dal racconto di Kipling e fatti propri da Baden-Powell per l’educazione maschile. Si trattava di una modalità sostanzialmente catechetica, che, se da una parte garantiva la trasmissione di un contenuto indiscusso e indiscutibile, dall’altra consentiva al bambino l’identificazione con gli eroi di una storia affascinante, prima attraverso l’ascolto del racconto e poi attraverso la traduzione della storia in esperienze concrete di gioco e di vita, in cui operare collegamenti, trovare sintonie, mettere in atto le proprie deduzioni. I Se l’educazione tradizionale delle bambine tendeva, invece, a usare la fantasia come fuga consolatrice da una realtà non entusiasmante, lo scautismo femminile aveva risposto proponendo esperienze inusuali ed entusiasmanti nell’ambiente della natura e della comunità, chiedendo alle bambine stesse di provare a cogliere e comunicare, attraverso l’uso privilegiato dell’intuizione e della riflessione, i possibili significati delle esperienze individuali e delle avventure condivise. Dunque, ciò che caratterizzerebbe e differenzierebbe gli immaginari maschile e femminile non sarebbero tanto dei contenuti e dei modelli per- memoria storica :: sonali predefiniti, ma le modalità stesse con cui si mettono in relazione esperienza e fantasia e si utilizzano gli immaginari, privilegiando da una parte la capacità deduttiva, la logica e l’imitazione riproduttiva, dall’altra la capacità induttiva, l’intuizione e l’invenzione generativa. I Da ciò trarrebbero origine, come afferma Massa dieci anni più tardi, le differenze che toccano «i fondamenti stessi della nostra cultura: se l’abuso della scienza, della tecnica, della tecnologia, la guerra, tutto ciò che può distruggere il mondo hanno a che fare con un immaginario maschile, tutto ciò che salva appartiene invece a quello femminile. Una sensibilità non di tipo razionale, positivistico, materialistico; una dimensione religiosa di mistero e di fantasia; una dimensione di gioco peculiare di uno stile di vita; un’attenzione ai sentimenti oggi recuperata persino nella pedagogia scolastica: tutti questi sono altrettanti elementi che appartengono all’immaginario femminile». I La branca lupetti/coccinelle decise che, se voleva garantire, anche dopo la scelta coeducativa o, meglio, proprio in ragione di essa, spazi e attenzione a ciò che aveva riconosciuto come specificità femminile, doveva operare alcune scelte. • Entrambe le tradizioni, come memoria storica e concreta espressione delle culture maschile e femminile dello scautismo, avrebbero trovato posto, con pari dignità, nella proposta metodologica dell’associazione e l’iter istituzionale di formazione degli educatori avrebbe proposto tutti e due i linguaggi, sottolineandone analogie e specificità. • La compresenza associativa degli ambienti fantastici avrebbe consentito, nel rispetto delle differenze e senza pretese omologanti o di assimilazione del più debole da parte del più forte, un arricchimento reciproco delle esperienze di gioco, mantenendo alto, in particolare, il livello di vigilanza sulla capacità 23 campo lungo «L’epica conduce dal collettivo al personale, la lirica dal personale al collettivo. Per l’epica giocano l’identificazione e la deduzione, per la lirica l’esperienza e l’intuizione». dello scautismo cattolico di rimanere fedele ai fondamenti dell’attivismo educativo, in cui ogni scoperta e attribuzione di senso passa attraverso l’esperienza e il vaglio critico all’interno di un sistema di relazioni. La scelta di avere unità miste o monosessuali e l’adozione della giungla o del bosco furono lasciate all’autonomia decisionale degli educatori. Attualmente, seguendo la tendenza associativa generale, quasi la totalità delle unità lupetti e coccinelle dell’AGESCI è mista. La maggioranza adotta la giungla, ma un certo numero di gruppi misti, piccolo e tuttavia qualitativamente significativo, ha scelto il bosco, riconoscendo e coltivando, come suggeriva Massa e come insegna la psicologia del profondo, «la compresenza di un immaginario maschile e di uno femminile in ciascuno di noi, sia uomo che donna». BIBLIOGRAFIA R. Massa, Saggi critici sullo scautismo, Nuova Fiordaliso, Roma 2001 C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Cortina Milano 1990 B. Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1990 E. Erikson, Gioventù e crisi di identità, Armando, Roma 1974 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 24 qpe002004::coeducazione 24 campo lungo qpe002004::coeducazione :: parola di esperto QPE:: Che cosa si intende per “maschile” e “femminile”? I Vuol dire porre subito una separazione. È ovvio che le cose da un punto fisiologico stiano in questi termini, però le ricerche psicologiche ci dicono che le differenze, in termini di comportamento ecc., riguardano la media, cioè mediamente i maschi sono diversi dalle femmine. Se però si analizzano gli stessi comportamenti tra le donne e tra i maschi, si vede che c’è una variabilità enorme rispetto agli stessi parametri: l’aggressività, la dolcezza, l’ascolto. Uomini e donne: quale identità Colloquio con Paola Bassani a cura di Francesco Chiulli Tratto dall’intervento tenuto dalla dottoressa Paola Bassani (psicoterapeuta, collaboratrice del Gruppo Giovani Coppie del Centro San Fedele di Milano) al Consiglio Nazionale di Pianezza (To) del 14 dicembre 2002. Testo non rivisto dall’autrice. QPE:: le differenze sono solo un problema fisiologico o c’è dell’altro? I Se partiamo dalla differenza tra maschile e femminile, il primo problema che sorge riguarda il quesito se maschio o femmina si nasce o si diventa, se sia sufficiente il sesso con cui si viene al mondo per determinare il destino di una persona oppure se questo destino sia il risultato di una predominanza sociale. I Il dibattito tra “natura” piuttosto che “cultura”, è molto recente, non ha più di settant’anni. Prima la distinzione netta fra maschile e femminile non era affatto precisa: fino alla fine del Settecento la donna era un maschio mancato, il maschile era la misura, il femminile non esisteva, se non in relazione al maschile. Un testo di medicina dell’epoca dice: «Le donne sono in essenza uomini nei quali la mancanza di calore vitale produce la ritenzione all’interno del corpo di strutture che nel maschio sono visibili esternamente». QPE:: E quando si arriva a un’evoluzione di questo pensiero maschiocentrico? I Solo all’inizio dell’Ottocento si inizia a pensare alla donna come a un essere a se stante, dotato di una morfologia e fisiologia in contrasto con quella maschile, e in seguito si passa dall’idea di un unico sesso all’idea che ci parola di esperto :: campo lungo siano due sessi differenti. È nel Novecento che ci si pone la domanda se si nasce maschi o femmine o se lo si diventa. La differenza della vita pubblica, culturale ed economica è data semplicemente dalla diversità degli organi? A tale proposito ci sono due posizioni: a) La posizione del determinismo biologico che imputa alla natura ogni differenza. Questa posizione è sostenuta dai socio-biologi che ritengono che le differenze del corpo e della mente, relativamente alla differenza sessuale, si sono evolute per rispondere alla necessità di un lontano passato, quando gli esseri umani vivevano di caccia e di raccolto. Quel modo di vivere ha sostenuto un processo evolutivo che ha selezionato i geni in modo da rendere le donne più adatte all’allevamento dei figli e alla raccolta dei frutti, e gli uomini più capaci di cacciare e quindi più aggressivi. Questi geni farebbero ancora parte del nostro patrimonio ereditario e determinerebbero differenze nel comportamento sessuale tra uomini e donne; ad esempio, secondo questa teoria, sarebbe naturale per le donne essere monogame perché il loro contributo alla riproduzione è in termini biologici molto più importante rispetto agli uomini che si limitano a produrre numerosi spermatozoi, Solo all’inizio dell’Ottocento si inizia a pensare alla donna come ad un essere a se stante, dotato di una morfologia e fisiologia in contrasto con quella maschile, ed in seguito si passa dall’idea di un unico sesso, all’idea che ci siano due sessi differenti. È nel Novecento che ci si pone la domanda se si nasce maschi o femmine o se lo si diventa. La differenza della vita pubblica, culturale ed economica è data semplicemente dalla diversità degli organi? a basso costo biologico, di conseguenza l’accoppiamento con più donne sarebbe un modo per moltiplicare i propri geni con un numero maggiore di figli. b) La posizione del determinismo sociale ritiene invece che tutto dipende dalle esperienze le quali predefiniscono i cosiddetti “ruoli di genere”. Questa distinzione tra sesso e genere, appartiene alla cultura femminista, 25 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 26 qpe002004::coeducazione 26 campo lungo Più recentemente la ricerca sul funzionamento del cervello nel maschio e nella femmina ha finito con il costatare come, stante le evidenti differenze di funzionamento, l’ambiente psicologico e sociale non è senza influenza sui geni stessi. Quindi, sia i fattori interni, sia le componenti genetiche e ormonali, quanto i fattori esterni (le esperienze), concorrono ai processi di sviluppo dell’identità di genere, vi è una continua interazione tra geni, ormoni, esperienze e apprendimenti qpe002004::coeducazione :: parola di esperto che ritiene il genere, quell’insieme di elementi che definiscono e caratterizzano una sessualità, quindi una identità di genere, quella sensazione e consapevolezza interna, che non è data solo dall’evidenza fisica di essere una donna ma di sentirsi una donna. Il ruolo di genere invece è quello segnato da un punto di vista culturale. Secondo questa posizione l’evidenza biologica rimane muta e indifferente finché non diventano operanti dei sistemi di tipo culturale, del tutto esterni al corpo: sono questi che rendono evidente la differenza. Per questo pensiero è importante capire come si afferma l’identità di genere; il genere viene considerato più una struttura culturale che regola e organizza le relazioni sociali e sessuali tra uomini e donne. Questi studi connettono alla differenza sessuale comportamenti educativi, modi di ragionare e il modo di esercitare il potere. Coloro che si rifanno a questa teoria considerano la nascita quale primo atto determinante in quanto, in quel momento le aspettative, le fantasie, sono diverse in base al fatto che a nascere sia un bambino piuttosto che una bambina. Nel primo caso, si è portati a immaginare che sia forte, resistente, duro, volitivo, ci si aspetta molto presto che faccia dei progetti, che domini i sentimenti, che sia autonomo. Nel secondo caso si usano altri aggettivi come tenera, dolce, ci si aspetta che abbia capacità di ascolto di cura, che sia obbediente. QPE:: E oggi cosa si pensa della causa di tale evoluzione? I Più recentemente la ricerca sul funzionamento del cervello nel maschio e nella femmina ha finito con il costatare come, stante le evidenti differenze di funzionamento, l’ambiente psicologico e sociale non è senza influenza sui geni stessi. Quindi, sia i fattori interni, sia le com- parola di esperto :: ponenti genetiche e ormonali, quanto i fattori esterni (le esperienze), concorrono ai processi di sviluppo dell’identità di genere, vi è una continua interazione tra geni, ormoni, esperienze e apprendimenti. QPE:: Come possiamo ricostruire i passaggi fondamentali della formazione dell’identità? I Possiamo estrapolare alcuni dei concetti psicoanalitici fondamentali, che rappresentano i “luoghi dell’inconscio” corrispondenti alle fasi dello sviluppo psicosessuale infantile, che vengono rivisitati durante l’adolescenza in una sorta di “riepilogo” dell’infanzia. I La sessualità adulta è strettamente legata alle sensazioni, le emozioni e gli affetti che accompagnano lo sviluppo infantile dalla nascita alla pubertà, a cominciare dal primo legame “fusionale” con la madre. Dalla condizione predatoria e onnipotente del primo anno di vita, dominata dal principio del piacere e dal soddisfacimento immediato dei bisogni, l’itinerario che conduce alla sessualità genitale, passa attraverso diverse fasi (orale, anale, fallica) caratterizzata ognuna da pulsioni erotiche concentrate in una zona parziale del corpo. I Il termine “libido” usato da Freud designa l’energia psichica che spinge a soddisfare ogni tipo di pulsione sessuale, rappresenta la spinta interiore insita in ogni forma di desiderio, che coinvolge l’affettività e riguarda tutto ciò che può essere compreso nella parola “amore”. Questa spinta può essere campo lungo rivolta verso se stessi, in modo narcisistico, sia verso un oggetto d’amore: quanto più aumenta la libido centrata su se stessi, tanto più diminuisce quella investita sugli altri. Allo sviluppo sessuale infantile corrisponde un’evoluzione della libido che porta dall’autoerotismo all’amore per l’altro, passando attraverso tre fasi che influenzano non solo la sessualità adulta, ma anche il carattere dell’individuo. I Nella primissima infanzia il bambino immagina di poter essere “tutto”, maschio e femmina, attivo e passivo. Per la comprensione della formazione dell’identità di genere ci fermeremo in particolare sulla terza fase, quella fallica che normalmente si verifica intorno al terzo anno di vita. In questa fase la pulsione erotica parziale si concentra sulla zona genitale, ma quello che distingue la fase fallica dalla fase genitale, che coincide con la pubertà, è l’interesse infantile per l’unico organo sessuale visibile, il pene, la cui presenza o assenza diventa il simbolo della differenza sessuale fra maschio e femmina: una scoperta che segna l’inizio del complesso edipico, che si manifesta nella sua forma più classica con l’innamoramento del bambino per il genitore di sesso opposto. La scoperta della differenza sessuale provoca nel maschio un orgoglio fallico, al quale subentra ben presto un sentimento d’inferiorità nei confronti del padre e 27 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 28 qpe002004::coeducazione 28 campo lungo qpe002004::coeducazione :: parola di esperto del corpo maschile adulto. Nella bambina invece la scoperta della mancanza fallica si accompagnerebbe, secondo Freud, alla fantasia di una castrazione già avvenuta, che provocherebbe, oltre all’invidia del pene, sentimenti di delusione e di rancore nei confronti della madre che ha trasmesso alla figlia la sua stessa mancanza e di amore per il padre che può compensare l’assenza dell’organo fallico con un suo sostituto: un “figlio immaginario” che la bambina fantastica di avere e di donare al padre. L’identità sessuale viene elaborata nella mente, soprattutto attraverso processi inconsci, a partire dall’infanzia per arrivare con la pubertà e l’adolescenza ad una definizione interiore più precisa QPE:: Il famoso complesso di Edipo come agisce nella formazione dell’identità? I Il complesso di Edipo svolge un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità e nell’orientamento del desiderio umano: dalla sua impostazione e dal suo superamento dipende infatti il profilo psicologico, affettivo e sessuale dell’individuo. Con l’avvento del complesso edipico relazione a due con la madre si apre a quella a tre, di cui il padre rappresenta il terzo polo: il bambino sperimenta così sentimenti del tutto nuovi, come l’amore per l’altro, la gelosia, la rivalità, di cui avverte la conflittuale ambivalenza. I Il triangolo padre-madre-figlio rappresenta una strutta psichica universale, da sempre presente in ogni società e cultura, che sopravvive persino alla disgregazione della famiglia, proprio perché riguarda le figure interiorizzate del padre e della madre più che le persone reali. Il complesso di Edipo può essere vissuto nella sua forma positiva, secondo lo schema del mito greco, oppure nella sua forma negativa cioè capovolto: amore per il genitore dello stesso sesso e odio per quello di sesso opposto. Il declino del complesso edipico coincide con l’acquisizione verso i cinque, sei anni del divieto di incesto che impone al parola di esperto :: campo lungo bambino la rimozione dei propri desideri e segna l’inizio del periodo di latenza che verrà bruscamente interrotto dalla pubertà, che insieme alle pulsioni sessuali risveglia il complesso edipico e i suoi conflitti. QPE:: E dopo il complesso di Edipo? Il periodo di latenza segna una fase di arresto dello sviluppo sessuale che ha però importanti effetti psicologici: l’amnesia infantile, dovuta alla rimozione delle pulsioni sessuali infantili, e la desessualizzazione delle relazioni con i genitori (appaiono sentimenti quali il pudore, la riservatezza, la tenerezza), mentre la sublimazione delle pulsioni erotiche indirizza le energie verso altre mete intellettuali. Con l’inizio dell’adolescenza tutti gli elementi delle vita affettiva e sessuale infantile riemergono sulla spinta di nuove pulsioni erotiche: da quelli più primitivi, legati al rapporto materno e all’oralità, a quelli più evoluti, che iniziano con la scoperta della differenza sessuale e della geniatalità, per culminare solitamente nell’identificazione con il genitore dello stesso sesso e nell’amore per quello opposto. QPE:: Che cosa conta dunque nella costruzione dell’identità di genere? I Se è l’anatomia che determina il sesso di una persona, ci appare chiaro che la costruzione di un’identità di genere dipende da COME la differenza sessuale viene vissuta nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso la rappresentazione mentale che ciascuno si fa del proprio corpo e i conflitti legati alla propria percezione fisica, psichica ed emotiva della propria sessualità. L’identità sessuale viene elaborata nella mente, soprattutto attraverso processi inconsci, a partire dall’infanzia per arrivare con la pubertà e l’adolescenza a una definizione interiore più precisa. Il triangolo padre-madre-figlio rappresenta una strutta psichica universale, da sempre presente in ogni società e cultura, che sopravvive persino alla disgregazione della famiglia, proprio perché riguarda le figure interiorizzate del padre e della madre più che le persone reali. Il complesso di Edipo può essere vissuto nella sua forma positiva, secondo lo schema del mito greco, oppure nella sua forma negativa cioè capovolto: amore per il genitore dello stesso sesso e odio per quello di sesso opposto 29 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 30 qpe002004::coeducazione qpe002004::coeducazione 30 contro campo :: i dialoghi di QPE “Occorre… realizzare percorsi educativi di orientamento e promozione delle pari opportunità per bambini e bambine, ragazzi e ragazze, a partire dal riconoscimento che ciascuno e ciascuna di loro deve compiere della propria identità… e concretizzare pienamente la coeducazione prevista dalle leggi fondamentali dei sistemi educativi di Portogallo, Spagna, Francia e Italia” (Teresa Pinto, coordinatrice del progetto pilota sovvenzionato dalla Commissione europea per l’uguaglianza delle opportunità tra uomini e donne) i dialoghi di QPE :: “Le classi miste non assicurano né l’uguaglianza dei sessi né la parità nelle possibilità di riuscire… tra i ragazzi è in aumento un insuccesso scolastico che mal sopportano davanti alle compagne… Bisogna finirla con l’idea che la scuola mista vada bene per tutto: è uno strumento la cui legittimità dipende dall’efficacia… La scuola media è l’anello debole del sistema, dove si concentrano tutte le difficoltà: pubertà, violenze sessuali, insuccessi scolastici…” (Michel Fize, ricercatore e autore del libro “Le trappole della scuola mista”) Oltre il bivio di Marilina Laforgia I «Pur non volendo ridurre il problema della coeducazione all’ambito istituzionale della scuola pubblica, mi pare molto interessante la divergenza di opinioni tra un ente di struttura e risonanza europea e un ricercatore che dà un serio sforzo scientifico e statistico ad alcune perplessità che anche dal mondo della scuola italiana stanno emergendo. Naturalmente, la presa d’atto dell’aleatorietà della scelta della prassi “mista” vien fuori dalla constatazione di un effettivo dislivello (fisiologico, psicologico, emotivo) tra coetanei dei due sessi. Fu Jacques Maritain, già dal 1946, in Educazione al bivio, a porre autorevolmente il problema, indicando proprio nelle classi miste un contesto privilegiato per una prassi educativa che mirava a creare i presupposti di una reciproca conoscenza, che scongiurasse i reciproci “misteri” esistenziali e favorisse un’attenzione più serena a un potenziale partner immerso nella “tempesta endocrina”». Marco Vacca I Nel 1947 Jacques Maritain interviene sul problema della scuola pubblica in Francia, con la stampa riveduta e arricchita, del volume, già apparso nel ’43, dal titolo Education at the Crossroads (L’educazione al bivio). contro campo J. Maritain:: Ecco due dei sette errori dell’educazione d’oggi nel mondo: il sociologismo e il pragmatismo. Contro sociologismo e pragmatismo (così come contro il misconoscimento dei fini, il finalismo falso o parziale, l’intellettualismo, il volontarismo, l’insegnabilità di tutto) l’educazione vera deve insorgere, per poter assumere i compiti “supplementari” imposti da mondo moderno: rieducazione alla moralità – educazione per la libertà. I Abbiamo “chiesto” ai due un diretto confronto. M. Fize:: La parità delle opportunità e la trasmissione dei valori civili fondati sul rispetto e la tolleranza possono considerarsi aspetti di un’educazione per la libertà e di una rieducazione alla moralità e, quindi, fra i compiti supplementari imposti all’educazione dal mondo d’oggi? Consideriamo che sia così. La coeducazione non è certo la via che conduce all’assolvimento di tali compiti. La coeducazione, non solo in Francia, ha assicurato tutt’altro: le aggressioni sessuali contro le ragazze sono in aumento, e il fallimento scolastico dei ragazzi è in crescita (per citare solo alcuni fenomeni). M. Fize:: La classe mista fa male, parola di sociologo. Le classi miste hanno effetti perversi. Varrebbe la pena aprire, magari in via provvisoria e almeno per le medie statali, classi separate facoltative, per il bene degli studenti. J. Maritain:: Non si può chiedere al condizionamento sociale la regola suprema e l’unico modello dell’educazione. Possiamo tornare all’individualismo astratto dei vecchi modelli pedagogici e cancellare il progresso compiuto I Anche Michel Fize, sociologo francese, interviene nel 2003 sul problema della scuola pubblica in Francia con un libro (non ancora tradotto) intitolato Les pieges de la mixitè scolaire (Le trappole della scuola mista) e accende un dibattito che sembra collocare al bivio la coeducazione. 31 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 32 qpe002004::coeducazione 32 contro campo qpe002004::coeducazione :: i dialoghi di QPE «L’educazione moderna è deviata per l’esclusivismo particolaristico su cui vengono impostate le sue teorie e i suoi processi, vale a dire sull’uno o sull’altro aspetto soltanto, dell’uomo, dimentichi che per essere educazione dell’uomo l’educazione dev’essere di tutto l’uomo» Maritain con l’aver avvicinato l’educazione alla vita concreta e penetrata fin dall’inizio di preoccupazioni sociali? La società è una comunità mista, l’educazione deve tener conto di questo per poter promuovere quella sorgente viva che è la coscienza personale da cui sorgono insieme gli ideali e la generosità, il senso della legge e il senso dell’amicizia, il rispetto per gli altri e, al tempo stesso, una indipendenza fermamente radicata nei confronti dell’opinione pubblica. M. Fize:: Non credo che la coeducazione sia un principio pedagogico intangibile. Credo anzi che bisognerebbe farla finita con l’idea che la scuola mista vada bene sempre e per tutto: è uno strumento la cui legittimità dipende dall’efficacia. J. Maritain:: Io credo che bisognerebbe farla finita con l’idea che la scuola vada bene per tutto. La questione non è, forse, la scuola mista e meno che mai la coeducazione come modello pedagogico. È vero che l’obiettivo principale dell’educazione è la formazione dell’uomo, cioè la rettitudine della volontà, il raggiungimento della libertà interiore, il consolidamento di un sano rapporto con la società, ma non si tratta di un obiettivo perseguibile con azione diretta dalla scuola. Alla scuola compete un’azione indiretta quanto necessaria, che si concentra sulla conoscenza e sull’intelligenza, vigilando sullo sviluppo e la rettitudine della ragione speculativa e pratica. È sull’efficacia di tale azione che si dovrebbe discutere. M. Fize:: Discutiamo pure dell’efficacia di tale azione. Gli studi scientifici attestano ormai le differenze di apprendimento fra sessi: i ragazzi hanno una migliore percezione dello spazio e del luogo occupato dagli oggetti, rispetto alle ragazze, le quali invece eccellono nei compiti in cui interviene il linguaggio; forza fisica e velocità stanno dalla parte maschile, mentre la grazia artistica e la flessibilità sono caratteristiche femminili. Queste differenze non giustificano di certo una gerarchizzazione sociale fra uomini e donne, ma l’educazione non può ignorarle. J. Maritain:: Ciò che io chiamo il significato di una scienza o di un’arte coincide con quella specifica verità o bellezza, che esse ci offrono. L’obiettivo dell’educazione consiste nel far sì che la gioventù colga questa verità o questa bellezza mediante il potere naturale e i doni naturali dello spirito e mediante la naturale e intuitiva energia della sua ragione sostenuta da tutto il dinamismo dei sensi, dell’immaginazione e dell’emozione. La condizione pratica di tutto ciò consiste nel cercare di penetrare il i dialoghi di QPE :: più profondamente possibile nelle grandi conquiste della mente umana, più che nel tendere verso un’erudizione frammentaria. Direi che i giovani devono conoscere la musica più per comprendere il significato che per divenire compositori, devono imparare a conoscere la fisica più per comprendere il significato che per divenire fisici. L’educazione scolastica deve conservare il più possibile il carattere necessario di universalità. M. Fize:: Di fatto, in alcuni settori scolastici la mescolanza e la parità fra alunni e alunne è più teorica che reale: l’82,4% degli allievi delle scuole umanistiche sono ragazze, mentre le scuole tecniche e industriali sono frequentate per il 92,4% da ragazzi. Se la coeducazione fosse intoccabile perché le ragazze non si iscrivono mai in meccanica automobilistica, e i ragazzi quasi mai in segretariato d’azienda o in infermieristica? J. Maritain:: È l’effetto di una educazione soffocata da una prematura specializzazione. È l’effetto di un insegnamento impartito per amore delle applicazioni pratiche, più che per amore di conoscenza. La fisica dovrebbe essere insegnata e onorata come arte liberale alla pari della poesia la quale, a sua volta, è essenziale in filosofia come, in certa misura, nello studio delle scienze. Certo, non è proclamando una uguaglianza educativa e facendo vivere fianco a fianco nelle stesse classi maschi e femmine che si perpetra un’educazione universale. Ma neanche prescindendo da questo si combattono gli effetti di cui abbiamo detto. contro campo M. Fize:: Ammettiamo pure che quanto detto sopra sia l’effetto di una pratica pedagogica e culturale che avvalla (se non ripropone) stereotipi sessisti e atteggiamenti segreganti, comportamenti che tendono a incidere negativamente sull’immagine di sé, sul successo scolastico sulle future aspettative di lavoro e di vita sia dei ragazzi sia delle ragazze. Resta vero che è tempo di sfatare alcuni luoghi comuni: scuola mista ed uguaglianza è la confusione semantica per eccellenza; scuola mista e rispetto: non si affermava che i contatti fra ragazzi e ragazze, favorendo la reciproca conoscenza, avrebbero addolcito le relazioni? I fatti smentiscono tutto questo. La maggior parte degli insegnanti, per esempio, denunciano in particolar modo le difficoltà create dai corsi di educazione sessuale nelle classi miste. J. Maritain:: Come nel primo ambiente umano, la famiglia, tanto i conflitti e le difficoltà quanto l’armonia hanno un valore educativo se c’è qualcuno che si cura di esaltarlo. Un ragazzo che ha sperimentato la vita in comune con le sorelle o le compagne, una bambina che ha vissuto in mezzo ai fratelli o ai compagni hanno guadagnato, senza saperlo, un vantaggio morale inestimabile e insostituibile per quanto riguarda le relazioni fra i sessi. Ma la cosa più importante è che crescere in questa prossimità crea nel cuore quel santuario di tenerezza e di serena quiete il cui ricordo è così terribilmente necessario all’uomo. M. Fize:: Ma perché non istituire classi opzionali, miste o separate, valutando poi i risultati? In ogni caso è positivo che il dibattito sia stato aperto; un confronto vivace e, speriamo, allargato, fra teorie e pratiche formative è ciò che serve, forse, per spingere la coeducazione oltre il bivio, lungo la strada che dal principio porta allo sviluppo. 33 QPE_n0 19-04-2004 16:35 Pagina 34 qpe002004::coeducazione qpe002004::coeducazione prospettiva 34 prospettiva Verso la fine degli anni sessanta la cultura che aveva dominato fino a quel momento e che aveva fatto della separazione tra i due sessi uno dei capisaldi più inattaccabili cominciò a essere messa in discussione. I movimenti studenteschi e quelli femministi rivendicavano spazi nuovi per i giovani e in senso più ampio per gli uomini e le donne. aGeSci: parliamone di Sandro Repaci e Manuela Benni IMIE Nazionali I L’AGI e l’ASCI pertanto incominciarono a interrogarsi sul loro essere associazioni che rivolgevano la loro azione educativa a ragazzi e ragazze separatamente. Si aprì così un dibattito a tutti i livelli, anche se l’elaborazione culturale più vivace e “sofferta” si visse ai vertici di entrambe le associazioni e ne furono maggiormente coinvolte le branche, in particolare quella Rover nell’ASCI e quella Scolte nell’AGI. Il dibattito fu lungo e appassionante; nei gruppi si facevano già le prime esperienze con attività che vedevano coinvolti ragazzi e ragazze e qualche giovane capo, compiuto il suo percorso educativo nell’AGI scelse di fare servizio in un branco ASCI. Erano sperimentazioni a volte un po’ azzardate, dettate più dal desiderio di rincorrere una novità culturale che permeava in quel periodo quella parte della società più sensibile alle nuove istanze di cambiamento, che da una riflessione profonda e metodologicamente meditata. Ma importanti e fondamentali sono state anche queste esperienze per lo sviluppo del pensiero futuro, e spesso proprio dalla base sono giunte indicazioni nuove e stimolanti. I I più facilitati furono quei gruppi ASCI e AGI che si trovavano a lavorare negli stessi luoghi (parrocchia) e che avevano più occasioni di confronto. In quel periodo il tema della coeducazione fu il nodo metodologico principale intorno al quale si mosse tutto il processo di fusione ASCI-AGI. Attorno a esso si sono costruiti molteplici percorsi e intese, ma anche dolorose lacerazioni sia all’interno delle due associazioni che, in seguito, a ridosso della nascita dell’AGESCI. I A distanza di trent’anni la coeducazione nella nostra associazione sembra un fatto ormai acquisito. Tranne alcuni convegni (come il forum internazionale sulla coeducazione promosso dall’Ente Educativo Mons. Andrea Ghetti nell’ottobre del 1999) e un po’ di lette- ratura in materia (qualche sporadico articolo fra il ’98 e il 2000 su “Proposta Educativa” e il numero di settembre ottobre ’98 di R/S Servire), poco evidenzia un interesse particolare e una tensione specifica verso questo argomento. Certamente i temi che abbiamo discusso e che ci hanno appassionato in questi ultimi anni non sono stati del tutto distanti da quelli che tempo addietro avevano coinvolto i capi, ma non sempre appare facile coniugare le problematiche affrontate con la coeducazione: a volte, quando parliamo dei ragazzi, li consideriamo come un tutto unico e facciamo difficoltà a vederli nella loro individualità e nella loro diversità. I Non è semplice cercare di capire i motivi di questa “distrazione”. Si potrebbe cercare di dare alcune risposte, non definitive e opina- bili, ma comunque vale sempre la pena provare, se non altro per provocare e per riproporre il problema. Probabilmente dopo gli entusiasmi e la ricerca dei primi tempi che hanno spinto l’Agesci a esplorare nuove strade per poter fondere al meglio le esigenze delle due associazioni “madri” (ricordiamo le sperimentazioni specialmente nella branca L/C) e gli sforzi compiuti per non far prevaricare una metodologia sull’altra, mantenendo il meglio di entrambe le esperienze, ci si è avviati verso la ricerca di un equilibrio che fosse l’espressione di questa nuova associazione. L’urgenza di altre problematiche che si affacciavano nella nostra società, e che con la sensibilità che ha sempre contrassegnato la nostra associazione, hanno catturato l’attenzione di tutti i livelli, ha fatto sì che il 35 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 36 qpe002004::coeducazione 36 qpe002004::coeducazione prospettiva problema della coeducazione fosse momentaneamente accantonato. I Era il tempo delle grandi intuizioni, come la necessità di lavorare per progetti (nei luoghi dove si fa educazione a livello istituzionale, come la scuola, si parla solo da qualche tempo di progetti) la riforma delle strutture, le riflessioni sul metodo, e ormai nella società il rapporto tra ragazzi e ragazze veniva vissuto come un dato acquisito e non più da costruire. In sostanza ci sembra che oggi l’Agesci non abbia un pensiero recente sulla coeducazione, così come invece, per esempio, sulla Progressione personale unitaria sulla quale ha riflettuto a lungo e ha aperto un significativo dibattito. Siamo certi che le certezze che avevamo raggiunto nei primi anni della unificazione ci sono state di aiuto per sviluppare tutto il prospettiva pensiero successivo, ma oggi è tempo di tornare a riflettere su questo argomento alla luce delle mutate situazioni sociali, dei nuovi rapporti che si sono instaurati tra le persone, dei nuovi significati che ci troviamo a dare alle parole stesse. Alcuni passi sono stati fatti, come per esempio la riflessione sulla identità di genere che è appena iniziata e che ci obbliga comunque a un ulteriore approfondimento e una sua estensione a tutti i capi. Non vanno inoltre dimenticati i recenti passaggi metodologici che l’associazione ha fatto: l’educazione all’amore (C.G. 1999) e le riflessioni recenti del convegno Bosco del 2000 e le occasioni che potrebbe offrirci il prossimo convegno Giungla. I Il Progetto nazionale, che pone una nuova attenzione all’interculturalità ci offre una grande opportunità da giocare a proposito di coeducazione. Superate infatti le difficoltà del primo educare insieme ragazzi e ragazze abbattendo i vecchi stereotipi che chiudevano l’educazione in recinti inviolabili, oggi ci troviamo di fronte a stereotipi nuovi che traducono la parola uguaglianza con omologazione, e ancora dobbiamo fare i conti con la presenza di giovani provenienti da paesi diversi, con modelli per noi nuovi che dobbiamo stare attenti a valorizzare e non ad adattare al nostro, tenendo conto che spesso in molte di quelle culture il rapporto uomo-donna è ancora improntato alla separatezza e spesso a una prevaricazione di un sesso sull’altro. Dovremmo probabilmente rileggere la coeducazione come valorizzazione della diversità, diversità che ciascun individuo vive sia dentro che fuori e che si trasforma quindi in un valore da non negare, ma da cogliere appieno e intorno al quale costruire il nostro modo di educare. Dovremmo riscoprire la sessualità come la caratteristica di ciascuno, uomo o donna che sia, e come componente fondamentale in ogni rapporto; dovremmo infine non dimenticarci della “differenza” tra uomo e donna: una differenza non culturale, che pone i due sessi su piani diversi per capacità e importanza e tende ad attribuire ruoli definiti, ma una diversità che ci deriva dalla nostra stessa origine, quando «Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza; …maschio e femmina li creò», dunque con la stessa radice e la stessa dignità, non uguali bensì simili. I Forse il provocare una nuova e profonda riflessione sulla coeducazione, ci porterebbe anche ad approfondire alcune tematiche legate al ruolo degli adulti nell’Agesci, e in quanto uomini e donne, e in quanto persone. Sempre più frequentemente ci troviamo di fronte a situazioni di difficoltà e di disagio tra i capi che vivono problematiche legate a crisi di identità, a instabilità affettiva, a difficoltà (specie tra i più giovani) a trovare una certezza lavorativa e di conseguenza una serenità personale: questo può mettere in seria difficoltà il loro ruolo di capi. Nella nostra associazione è fondamentale la testimonianza dell’adulto che deve aver raggiunto la maturità e l’equilibrio affettivo-relazionale e deve saper correttamente interpretare il suo genere di appartenenza e conoscere e rispettare l’altro. E come non pensare alla diarchia, questa inevitabile conseguenza nella composizione degli staff di unità, che a livello di quadri si è trasformata in testimonianza concreta, e spesso faticosa, di una scelta educativa. Vorremmo concludere con un invito ad avviare una riflessione profonda su questa tematica, che fa ormai parte, a trent’anni dalla sua nascita, del DNA dell’Agesci. Riteniamo che, al di là dei contributi che possono giungere dai vari livelli associativi e da stimoli esterni, il luogo privilegiato per questa riflessione sia la comunità capi e che gli eventi di formazione istituzionale e permanente dovrebbero costantemente stimolare questo approfondimento. 37 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 38 qpe002004::coeducazione 38 qpe002004::coeducazione strumenti strumenti W.A. Mozart da “Il flauto magico” – II atto «Pa pa pa pa pa Papagena! Pa pa pa pa pa Papageno!». Coeduc-artando duc-artando a cura di Andrea Quaresima «L’estetica è la madre dell’etica» J. Brodskij discorso per il Nobel 1987 I È da questo pensiero che fa del gusto individuale la matrice da cui parte ogni scelta di vita e ogni giudizio sostanziale sulle componenti della nostra esistenza – fatta sì di bene e di male ma soprattutto di ciò che noi riteniamo bello e brutto – che chi vi scrive vuole partire in questo piccolo viaggio tra coeducazione e arte. I Il nostro sentire che diventa esperienza e testimonianza, condivisione e progetto, obiettivo e metodo. I Cos’altro è la coeducazione se non il con-dividere, il crescere insieme, il con-tratto di un percorso da seguire, la coproduzione di contenuti? I Uomo e donna, adulto e ragazzo, “capo” e “capa”, diverso e diverso, l’io e il tu, Dio e l’uomo, noi e il nostro ambiente, il particolare e il tutto, sono i soggetti di un abbraccio che crea esistenza, idee, prospettive e progetti ma anche emozioni, sentimenti ed affetti. Chi non ricorda il primo bacio o il primo abbraccio fraterno? Chi non si è commosso di gioia per la prima lettera d’amore ricevuta? Chi non ha trepidato per un grazie atteso? I Taluni dicono che siano i fatti a scandire la nostra esistenza, e forse è vero, ma a ben vedere ciascuno di noi, ormai adulto, riesce meglio a segnare le tappe della propria vita alla luce di quanto ha provato: la gioia del primo successo, l’imbarazzo della prima dichiarazione d’amore, la fatica del primo esame, la paura della prima impresa, il dolore di una perdita. I Senza l’emozione che lega gli avvenimenti alla nostra vita, questi rimarrebbero fatti di cronica cronologica, esperienze che la nostra memoria stenterebbe ad ancorare a sé. I Il nostro servizio di educatori, compendio di metodi e tecniche, privato della nostra gioia e della nostra fatica risulterebbe un mestiere poco attraente perché senza fantasia e trasporto; sarebbe come costruire un tavolo seguendo il libretto delle istruzioni: un prodotto ben fatto, utile, ma sempre un oggetto che non ci dice niente perché non nostro. I nostri ragazzi, invece, quando al campo costruiscono il LORO tavolo, se lo ricorderanno sempre e si dispiaceranno quando verrà il momento di distruggerlo. Dondolerà, il pianale sarà tale solo di nome, le legature si smolleranno presto, si infangherà alla prima pioggia, ma resterà sempre e orgogliosamente il loro tavolo. Il più bello che ci sia. Impareranno sì, col tempo, a costruirlo meglio e più solido, ma quello sgangherato rudimento di falegnameria lo racconteranno ai loro nipoti come la loro S. Pietro. I Anche noi, da grandi, qualcosa del nostro servizio lo racconteremo ai nostri figli, ma – e qui vi voglio – sarà certo che selezioneremo quanto ci ha dato brividi, gioia, magari ansia o paura (tutti ricordiamo ancor tremando, ad esempio, le ore in cui abbiamo atteso insonni il ritorno di una squadriglia dalla missione o i rover dall’hike). I L’arte in questo ci aiuta molto. Ci permette di veicolare quanto facciamo e di sottolinearne i momenti salienti a suggello di un’esperienza che vogliamo rendere indimenticabile. L’arte – questo mondo apparentemente lontano e destinato ai palati di pochi intenditori – è più vicino a noi di quanto sembra e, al di là di accademiche e inutili dimostrazioni, cercheremo qui di farne emergere la valenza, profonda e folgorante, di sublime educatrice. I Le creazioni degli artisti non hanno mai un valore fine a se stesso ma, addirittura trascendendo le intenzioni degli autori, arrivano a noi con i significati che diamo noi loro, siano ammirazione per l’imponenza della Cappella Sistina o le lacrime per il tragico finale di un romanzo che ci fa piangere proprio perché sentiamo un po’ nostro e riusciamo a condividere (trasfigurandole dalla nostra vita) le vicende dei protagonisti. I L’arte quindi ispiratrice e modellatrice di significati e sfumature del nostro mondo emotivo, Musa della nostra esistenza. I La coeducazione è, come abbiamo visto sopra, un sostanziale cammino fatto insieme ad altri verso un nuovo mondo possibile. Un percorso tratteggiato da momenti, soste, simboli, cerimonie, riti, parole, pensieri, sospiri, desideri, speranze, difficoltà, abbandoni, ritrovi, rifugi, lotte, scontri, riappacificazioni, sorprese, conferme, sostegni e interstizi, nascite e morti, accettazioni e rifiuti. Ma è anche, per come la intendiamo noi, avventura, valorizzazione delle differenze, educazione a una affettività matura nella conoscenza di sé e dell’altro, felice connubio di generazioni che camminano insieme; una babele, insomma, di intersezioni vitali. I Intersezioni che per diventare vitali necessitano però di nutrimento e di sostanza nell’esperienza e nel pensiero. Il nostro e quello di chi ci aiuta a pensare o, e qui la magia, a vivere meglio. 39 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 40 qpe002004::coeducazione 40 qpe002004::coeducazione strumenti strumenti W.A. Mozart da “Il flauto magico” – II atto Papageno: «Suona, carillon, suona! Io devo vedere la mia ragazza. Suonate, campanelli, suonate, Portatemi qua la mia ragazza!». musica I Cominciamo con l’arte della musica. La forma d’arte più immediata. Emozione pura perché non richiede codici e conoscenze o allenamenti particolari per essere approcciata: o piace o non piace (il nostro gusto decide). Ognuno di noi, ammettiamolo, ha una colonna sonora della propria vita che ne accende i ricordi nel tempo e che ne sottolinea gli eventi quando questi accadono. I Capita a tutti, e crediamo di non sbagliare, di ricordare fatti e persone al solo ascolto di un brano o una canzone che passa casualmente per radio o provare emozioni al sentire un pezzo che finisce, azzeccatissimo, al nostro orecchio durante un momento di gioia o di tristezza, quasi volesse dirci che non siamo soli in quell’istante e che qualcun altro ha condiviso quel sentimento traducendolo in musica. L’esempio calzante e forse abusato è quello delle canzoni d’amore. Chissà quante – tecnicamente e poeticamente belle o brutte, ma questo alla fine è secondario – hanno accompagnato o tengono ancora per mano i nostri amori. Se a chi vi scrive, nel mezzo del cammino di sua vita, riesce profondamente emozionante l’ascolto di Hotel Supramonte di De Andrè o La canzone delle domande consuete di Guccini, a chiunque di voi che leggete passeranno alla mente brani intensi o, meglio, che voi avete reso intensi in quanto calzanti con la vostra vita. I Così come il vostro rubrichista prova oggi un sentimento di intima comunione universale ascoltando le Sonate per violoncello e pianoforte di Brahms, così chiunque di voi si sente sicuramente ispirato da qualche brano musicale (talvolta per fortuna le parole non sono necessarie) perché gli trasmette emozioni che solo lui, nel suo intimo, conosce. I La musica ha un ruolo importante nelle nostre attività (pure chi scrive ha cantato di quelle magliette fini con i suoi rover e scolte, sperando che prima o poi si trasformassero in scafandri, perché molto amate – fino alle lacrime – da qualche sensibile scolta) e va coltivata con entusiasmo e con attenzione al bello perché il bello veicola esperienze belle. I Ci permettiamo ora di proporvi solo qualche consiglio musicale che può aprirci alcune strade nel mondo emotivo della coeducazione e di facile impatto per i nostri ragazzi non sempre allenati alle sfumature più lievi del mondo musicale (tutti gli esempi qui sotto sono facilmente reperibili perché ancora in catalogo e disponibili in tutti i negozi anche a prezzi scontati). musica musica::amore e affetto 1. Splendida per un Capitolo di Clan o per una veglia è la raccolta Fleurs di F. Battiato. Canzoni d’amore dalle mille sfaccettature in un’interpretazione lineare e suadente. 2. La Nona sinfonia di Beethoven (in particolare il IV movimento con il suo celeberrimo Inno alla gioia) può aiutarci a percepire come una sola l’umanità, con forza, in un crescendo che si fa corale, voci diverse che si fondono e all’unisono diventano un trionfale tutto. 3. I Notturni di Chopin, miniature per pianoforte che nella metafora della notte sottolineano la dolcezza e l’estasi del tempo che si ferma e diventa elegia. 4. Pezzi sparsi: - C’è tempo di I. Fossati (da “Lampo viaggiatore”); - Dentro gli occhi di R. Vecchioni (migliore la versione da “Il grande sogno”); - La cura di F. Battiato (da “L’imboscata”); - La stagione dell’amore di F. Battiato nella bella e raccolta musica::diversità e incontro interpretazione di F. Mannoia (da “LIVE: certe piccole voci”); - Sotto il tiglio di A. Branduardi (da “Alla fiera dell’est”): traduzione in musica di una ballata agli albori della letteratura tedesca. 5. Menzione speciale merita un lavoro pubblicato lo scorso anno per le edizioni “ALPHA - le chants de la terre” da titolo La bella noeva, antologia/selezione di madrigali seicenteschi secondo la tradizione del “raccontar cantando” interpretati dalla calda e bella voce, educata ma non lirica (a immediata comprensione dei testi), di Marco Beasley accompagnato da un’ensemble di strumenti d’epoca. L’amore nella poesia che si fa musica per raccontare la gioia, il dolore, il peso della lontananza, la sacralità del sentimento e la lode a Dio per questo dono. Sicuramente un capolavoro per chi ama la musica tout court. Unica pecca il prezzo di 20 euro: forse qualche centro culturale serio lo ha nella propria discoteca... Anche Monteverdi e Caccini possono entrare a pieno titolo nella nostra vita, più attuali e sublimi che mai. 1. Due lavori summa poetica dell’incontro con l’umanità sola e che soffre sono Anime salve e Non all’amore non al denaro né al cielo di F. De Andrè. Un ascolto per pensare. Staffilate al cuore dei benpensanti, occasione per verificare come la diversità possa farsi musica e insinuarsi nelle nostre rigidità. 2. Qualsiasi disco o pezzo di musica etnica può aiutare a entrare in culture e mondi diversi per conoscerne il sentire e le espressioni. In branca L/C ed E/G questo “esplorar musicando” offre bilioni di spunti per attività e giochi. Un solo esempio. Nell’incontro con il mondo arabo, attuale ma difficile nelle sonorità per i nostri orecchi più propensi alla melodia e all’armonia, un lavoro apprezzabile è la colonna sonora del film Il bagno turco dall’omonimo titolo. Un salto a Istanbul istantaneo e coinvolgente. 41 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 42 qpe002004::coeducazione 42 qpe002004::coeducazione strumenti strumenti W.A. Mozart da “Il flauto magico” – I atto Tamino: «Questo ritratto è un incanto, mai occhio umano ne ha visto uno simile. Sento come quest’immagine divina mi colma il cuore di un’emozione nuova. Si tratta forse d’amore? Sì, sì! È soltanto amore». pittura I Per quanto invece riguarda la pittura, altra forma d’arte di impatto immediato che non necessita di grandi codici interpretativi se non, forse, la collocazione delle opere nel tempo in cui sono state realizzate, il discorso si complica un po’. La pittura rischia facilmente retorica e agiografia, l’osservazione può stancare, l’occhio coglie meno dell’orecchio e passa prima le informazioni al cervello. Cosa che non fa bene quando i soggetti sono emozioni e affetti. Se poi ciascuno nella musica può leggere le proprie ispirazioni, l’immagine pittorica può rappresentare esclusivamente ciò che sente il pittore e quindi il giudizio si fa più immediato. I Si sono scelte tre opere che ad avviso di chi scrive non corrono il rischio di sentimentalismi. Anche perché grandissimi sono gli autori. Abbandoniamoci a loro. pittura pittura:: 1. La sposa ebrea di Rembrandt, un quadro del 1662 e godibile allo Rijksmuseum di Amsterdam nonché reperibile in tutti i cataloghi migliori del pittore. Lavoro “tardivo” (dipinto a 50 anni) tra i più celebri di Rembrandt, rappresenta una coppia in primo piano su sfondo rosso-oro. Un marito con gran garbo tocca il petto della sua sposa che con la propria mano accoglie il gesto del compagno mentre pone l’altra su proprio ventre. A santificare i luoghi della generazione (il grembo) e del nutrimento (il petto). Non v’è traccia di ricerca dell’eccitazione in questa composizione che rappresenta il piacere dell’incontro con solennità e rispetto. I colori caldi – la descrizione della tecnica, modernissima per l’epoca, la lasciamo agli esperti – infondono una sensazione di raccoglimento e tenerezza. «Darei dieci anni della mia vita per poter rimanere dieci giorni davanti a questo quadro con solo una crosta di pane secco da mangiare» scrisse Van Gogh a proposito di quest’opera cogliendone la nutriente e disarmante grandezza. 2. Padre e figlio di Fausto Pirandello, collezione privata. Reperibile nel catalogo dell’autore – figlio di Luigi – edito da Charta nel 1995. È un quadro del 1934. Grandi le dimensioni e viva la raffigurazione di un padre, giovane, che affianca il figlio mentre questi gioca con una palla rossa che nel lavoro rimane sospesa davanti alle due figure. Il padre, appoggiato a un muro con le mani dietro la nuca, si rilassa. Il figlio, rassicurato dal genitore, gioca. C’è silenzio in questo quadro, il silenzio dell’amore che diventa presenza e tacito accordo. Il gioco della palla unisce due generazioni, ciascuna esplicita nel proprio carattere (non si sa se il padre gioca col figlio, ma questo non importa) offrendoci un insieme di equilibri, anche cromatici, che incoraggia. 3. I due fratelli di Pablo Picasso, esposto al Musée Picasso di Parigi (da non confondere con l’altra opera omonima, grande il doppio, gustabile a Basilea). È un lavoro realizzato nel 1906 durante il cosiddetto periodo rosa dell’autore. Un ragazzino porta sulle spalle il fratellino che gli si affida completamente. Il più grande si muove in avanti guardandosi attorno, quasi a dover decidere quale direzione prendere. Una partenza? Un passaggio? Una storia? Colpisce il senso di fiducia del più piccolo che, nella protezione del fratello, si abbandona a lui poggiandogli la testa sulla spalla. Non c’è ansia sul volto del maggiore, ma ricerca. La linearità del tratto, senza orpelli paesaggistici di contorno vuole ribadire la centralità di questo intreccio. Molto scout, diremmo noi. 4. Per chi, infine, volesse continuare a inebriarsi nelle pieghe dell’unione umana, un autore tutto da scoprire è Marc Chagall, in particolare nelle sue opere dedicate agli sposi. Compagni sempre uniti e posti in terra, in cielo, sotto gli alberi, sulle nuvole tra paesaggi rurali, scorci cittadini e simboli della tradizione biblica. Un mondo senza gravità tra fiaba (il desiderio) e mito (l’archetipo). Quadri fatti di simboli che sacralizzano la devozione d’amore per sigillarla nel mondo colorato del nostro presente. Quadri non solo da guardare ma da vivere. 43 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 44 qpe002004::coeducazione 44 qpe002004::coeducazione strumenti strumenti W.A. Mozart da “Il flauto magico” – II atto Sacerdote: «Principe, ancora una volta, non dimenticate la parola d’ordine: silenzio!». libri I Volendo poi spaziare nel mondo letterario, dove è la parola che diventa strumento espressivo dell’animo umano, l’approccio si complica ulteriormente. La parola non è sempre trasparente, spesso dissimula, illude, mente, sottende. Talvolta mercifica. Ci vuole più allenamento per decifrare lo scritto, che necessita del pensiero. I La letteratura, oltre che generare mondi possibili – da confrontare o sovrapporre alla nostra quotidiana realtà – ha il grande merito di suscitare domande. Di senso, di merito, di contenuto. Ci apre nuove “prospettive cognitive”. Ogni libro ci fa più ricchi perché con qualche quesito o dubbio in più cui, eventualmente, dare una risposta. I Se inoltre consideriamo che la scrittura è una sintesi di relazioni (tra scrittore e lettore, tra personaggi, tra mondo creato e il nostro) tanto più il narrato plasmerà la nostra vita. I Coeducazione è relazione, la scrittura anche. I Su amore, affettività, rapporto con l’altro e con le diversità è stato scritto molto in tutti i tempi. Cose belle e cose brutte. Cose importanti e cose banali. Vorremmo qui proporvi solamente alcuni scritti che hanno, per ora, colpito chi scrive e gli hanno permesso di dubitare delle proprie certezze per aprirle a nuovi è più liberi orizzonti. Chissà… se ci rincontreremo ci farete sapere se le sensibilità, nell’arte o grazie a essa, si possono incontrare e nutrirsi insieme. Per coeduc-artare ancora. libri libri:: Tornando indietro fino all’inizio del primo secolo dopo Cristo, sorprendente per bellezza e profondità, è assolutamente da leggere il racconto di Bauci e Filèmone dalle “Metamorfosi” di Ovidio (nell’edizione Bur è l’ultimo racconto del primo volume). Una coppia vive di un amore genuino che si apre al prossimo in tutta la sua semplicità e intimità fino a diventare simbolo eterno per gratitudine degli dei che, toccati da tanta purezza, immortalano – al di là della stessa morte – questo amore trasfigurandolo dalla caducità della natura umana. D’esempio per tutti. Poche pagine per rabbrividire di gioia e capire, finalmente, la perfetta letizia. D’altra epoca, più inquieta ma altrettanto diretta e sincera è una raccolta di sole dieci poesie di W.H. Auden (Adelphi, 5,20 euro) dove il poeta inglese, passando per la sua vita, i suoi incontri e l’imminente secondo conflitto mondiale si rivolge a noi: La verità, vi prego, sull’amore, che si fa tempo, gioia e sofferenza. Educare/educarsi all’amore poi non è cosa facile se non cresciamo nel nostro essere uomini e donne. Lupetti e lupette, esploratori e guide – nella loro avventura scout e nella loro vita – si confrontano continuamente col loro genere scoprendolo mano a mano. Per i più piccoli, un esempio di genere che diventa identità chiara nel confronto con l’altro è il mai abbastanza osannato Pippi Calzelunghe di A. Lindgren (Salani, 7,50 euro): femmina fino in fondo Pippi non rinuncia alle sue calze e alle sue trecce. Sola per destino, mai sola per scelta. Generosa femminilità che diventa miniera inesauribile per migliaia di giochi. L. Pergaud nella sua La guerra dei bottoni (Bur, 5,16 euro) senza giri di parole ricostruisce un mondo di preadolescenti alla scoperta del loro corpo e nel loro un po’ insolente differenziarsi dal mondo adulto povero di belle figure. Avvincente metafora della scoperta di noi e dell’altro; impresa e rischio, strategia, fantasia e pacificazione. Tutti gli ingredienti per attività memorabili. Infine un libro che, invece, ci invita a un incontro con l’altro in maniera disarmante. Edito dalla cooperativa “Una Città” di Forlì (12 euro) La storia dell’altro è – «citiamo dal sottotitolo – “un manuale di storia per le scuole con due narrazioni, due “verità” che corrono parallele nella stessa pagina»: le storie di Israele e Palestina scritte da un folto gruppo di insegnanti e studenti palestinesi e israeliani. Scrittura e lingua scarne, dirette, senza belletti, per raccontarsi insieme nel rispetto delle differenze ma con l’attenzione a conoscere e provare a capire l’altro. Un libro straordinario, attuale, che fa sintesi e che apre il cuore, anche il più ruvido. Forse non facilissimo da trovare subito, ma ordinabile in qualsiasi libreria. Sull’amore adulto, che abbatte convenzioni e convinzioni, status e differenze – oltreché altissima prova letteraria del suo autore, Le affinità elettive di W. Goethe (diverse edizioni, intorno ai 7 euro) è una lettura obbligatoria. Grandissima (e basterebbe per la lettura del libro) la figura di Ottilia, donna semplice, ostinata, rivoluzionaria nel suo coltivare l'amore costi quel che costi. C'è ispirazione per tutti in questo libro. Un Capitolo di clan non avrebbe esordio migliore. Se non vi bastasse, per tornare alle diversità a noi più prossime, Nati due volte del recentemente scomparso grande scrittore G. Pontiggia (Mondadori, vari prezzi) ci accompagna nel mondo dell’handicap attraverso gli occhi di un padre con delicatezza e garbo ma con grande lucidità e ironia. Occhi che diventano i nostri, offuscati da limiti ed inutili pietismi. Collirio per il nostro cuore oltreché altra ottima prova di scrittura. 45 QPE_n0 19-04-2004 16:36 Pagina 46 qpe002004::coeducazione 46 qpe002004::coeducazione strumenti a cura di Marco Vacca Billy Wilder Il cinema ci fa vedere il mondo con occhi nuovi, ce lo mostra popolato di esseri affascinanti mai incontrati prima… il mondo si spalanca davanti a noi. Il cinema ci insegna a compatire (cum-patire). cinema I Il cinema, da par suo, si è poi ispirato tante, tante volte a questi problemi, li ha drammatizzati, sfruttati, riproposti in tanti film, per cui spesso, ci si chiedeva se quei film fossero sintomo o addirittura accelerazione dei comportamenti… I Qui troverete alcuni titoli che potrebbero essere utilizzati per riflettere “insieme” su questi temi e su vicende emblematiche, per cui esercitare il dovere del pensiero divergente, e dire il proprio Sì, il proprio No, il proprio Forse alle vicende e alle dinamiche che di volta in volta le strutturano. cinema::lupetti e coccinelle Gli anni in tasca di Francois Truffaut: un coro di bambini, con il loro retroterra familiare e sociale… Il bambino, veramente, “padre” dell’uomo… «L’infanzia è spesso in pericolo, ma possiede la grazia ed anche la pelle dura… perché, nelle lotte che conducono gli uomini, i bambini sono così spesso dimenticati?»… La strada per il paradiso di Mary Agnes Donoghue: «Non devi scappare davanti alle cose che ti spaventano: se lo fai, avrai sempre paura [...], Ecco, i bambini hanno bisogno di poter contare su elementi che diano speranza dopo l’evento negativo». (Anna Oliviero). Insomma, i bambini dei matrimoni falliti, dei matrimoni da salvare, e che scoprono il corpo, la vita, l’amicizia, i sentimenti, la morte, i “grandi”! I 400 colpi di François Truffaut: (ovvero: fare il diavolo a quattro!) la sequenza della classe per le vie di Parigi e il movimento della macchina da presa, la posizione del letto del piccolo protagonista in casa, la descrizione della mamma prima che appaia nel film, lo spettacolo delle marionette, il colloquio con la psicologa fuori campo, dalla scuola, e da “quella” famiglia, al riformatorio... cinema cinema::esploratori e guide cinema::rover e scolte I ragazzi di Camp Siddons di Norman Tacker: gli adolescenti e le famiglie, il volontariato e una città. Volontariato, ovvero: competenza, collaborazione, moralità, solidarietà per il bene comune, colori e particolare disposizione di una bandiera scout, il nodo che il “capo” non sa fare... Gioventù bruciata di Nicholas Ray: la paternità in Ray è solo di rado un rapporto di sangue. Di solito è l’adozione di un personaggio bisognoso di protezione da parte di un altro che mostra maggiore sicurezza e una identità meglio definita, conquistata a duro prezzo… “quella” famiglia, “quel” figlio? Una proposta: comporre tre gruppi, a ognuno dei quali affidare la disamina della famiglia in un solo personaggio, cioè dei due giovani e della ragazza. L’albero delle pere di Francesca Archibugi: che affronta con grazia il mondo che sembra conoscere meglio: quello degli adolescenti: «càpita che anche le circostanze rendano libero un quattordicenne di mettersi alla prova, di esercitare la sua capacità, di proteggere lui gli adulti… uno sguardo più profondo sulla realtà delle famose famiglie “allargate”…» [...] «io ho vissuto in una famiglia libertaria, mia madre era montessoriana, e non ho ricordi difficili»… Per questo film, inoltre, una riflessione di un critico francese: «Fare vero non più lavorando il verosimile, ma facendo il verosimile con del vero» (Serge Daney). La forza della volontà di Ramon Menendez: un film, come romanzo pedagogico, in cui notare, tra l’altro, la funzione degli esperti in psicometria, e il loro rapporto con il docente e la sua classe. «Non importa che abbiano superato o no quel test… hanno imparato!». Scene di un interno (scolastico), ritenuto l’anticamera del carcere minorile. «A che serve saper contare se non si ha nemmeno un centesimo?». Il miracolo di Edoardo Winspeare: «Il film è anche una storia di tre solitudini, quella di Tonio, figlio di una coppia borghese; di Cinzia, che è così dura per i continui abbandoni della madre; quella di Sarino, il bambino di famiglia povera, amico di Tonio. Taranto è un valore aggiunto, è una delle città più belle e più ferite, inerte e piena di contraddizioni e si vive in una specie d’attesa, l’attesa del “miracolo”…». Elephant di Gus Van Sant: «Guardo i personaggi e coinvolgo il pubblico in questa osservazione. Senza offrire ragioni o risposte. Al cinema siamo abituati a sapere tutto, ma nella vita reale non capiamo mai nulla». «L’incuria dell’emotività o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente, andando a scuola, corre». (Umberto La guerra dei bottoni di Yves Robert: la socializzazione dei ragazzi: in gruppi o in bande? La rivalità tra ragazzi, e tra gruppi o bande. Il gruppo: con o senza un leader adulto? Come giudicare l’istinto della lotta, della rivalità nell’adolescente? Questo film è ancora attuale? strumenti Galimberti). «La nuova individualità che si va affermando, ha la forza per reggere lo spazio di libertà e di solitudine che le è stato concesso? Io credo di no» (Id). Il film racconta la strage di Colombine, atroce gioco da ragazzi che costò la vita a 12 studenti. «Prima i ragazzi seguivano la lezione, flirtavano, mangiavano, facevano fotografie… perché avvengono queste stragi? Non si sa. Non si è mai saputo. Il come è chiaro, il perché è ignoto». (Lietta Tornabuoni). Vito e gli altri di Antonio Capuano: «La violenza subita passivamente nell’età della formazione, sia nell’ambiente abitativo, sia nell’ambiente sociale, sia nell’ambiente scolastico, si ripropone attivamente durante il corso della vita» (Mario Gennari). Prima cosa: chi tiene i soldi deve morire. Seconda cosa: la camorra se non la fai tu, la fanno gli altri. Terza cosa: la televisione è più importante della mamma. E pure la droga. Quarta cosa: quando fai lo scippo non avere paura. Quinta cosa: a me piace la vita che faccio. «Caproni o pecore, il padrone vuole che gli rendiamo ogni bestia in buono stato. Non metterti in testa di impedire al caprone di puzzar di caprone: perderesti il tuo tempo e rischieresti di cadere nella disperazione» (Georges Bernanos). A proposito: far riscrivere o sostituire le 5 “cose”! 47 19-04-2004 16:37 Pagina 48 i quaderni di pe 002004 La decisione da prendere Il Consiglio Generale 1970 sarà impegnato ad esprimere la propria scelta: pro o contro la coeducazione; livelli ai quali realizzarla; eventuale collaborazione con la ASCI a questo scopo; eventuale prima realizzazione di comunità capi miste. Implicazioni pratiche che ne deriverebbero: • responsabilità associativa: si va verso un’associazione unica? Domani le eventuali unità miste saranno ASCI o AGI o un’associazione nuova? • Tempi di attuazione; • Direzione delle unità: mista o monosessuale; • Formazione capi: studio e realizzazione di tempi e luoghi comuni. Mozione del Consiglio Generale AGI del 1969 Piccola bibliogrAGESCI Quaderni AGESCI Identità di genere e metodo scout: la coeducazione Ed. Nuova Fiordaliso, 1994 AGESCI Branca R/S Manuale della Branca Rover e Scolte Nuova Fiordaliso, 2003 R/S Servire n. 4/1998 Coeducazione Proposta Educativa n. 2/2003 Educazione all’amore e coeducazione Quaderni AGESCI Regolamento metodologico Nuova Fiordaliso, 1998 Proposta Educativa n. 8/2001 Educare alla diversità Quaderni AGESCI Patto Associativo Nuova Fiordaliso, 2000 AGESCI Branca L/C Manuale della Branca Lupetti e Coccinelle Nuova Fiordaliso, 2000 AGESCI Branca E/G Manuale della Branca Esploratori e Guide Nuova Fiordaliso, 2001 Per chi volesse approfondire la storia della coeducazione: Estote Parati – Trifoglio 1974/75/76 Atti Consiglio Generale 1974 Scout PE 1975/76 Atti Consiglio Generale 1975 Scout PE 1984 Atti Consiglio Generale 1984 Scout PE 1987 Atti Consiglio Generale 1987 associazione guide e scout cattolici italiani QPE_n0