10475/07 Tortora, Malc.qxd 12-04-2007 12:12 Pagina 1 instant book collana diretta da Simonetta Lux coordinata da Domenico Scudero Partiture A10 218 0875 inizio-fine.qxd 21-05-2007 10:54 Pagina 2 Arte e formazione Supplemento al periodico l u x f l u x proto-type arte contemporanea w w w. l u x f l u x . n e t Simonetta Lux direttore [email protected] Pietro Barcellona direttore responsabile Domenico Scudero Coordinamento editoriale Patrizia Mania Caporedattore Lucrezia Cippitelli Elisabetta Cristallini Fabrizio Lemme Augusto Pieroni Domenico Scudero redazione [email protected] MLAC www.mlac.it supervisione del progetto Ines Paolucci Daniele Statera [email protected] progetto grafico malc www.malc.it impaginazione ARACNE EDITRICE S.R.L. editore Via R. Garofalo, 133 a-b 00173 Roma www.aracneeditrice.it per conto di L.H.O.O.K Via Reggio Emilia, 52 00198 Roma - Tel. 0649910365 Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 632 del 21/11/02 Supplemento al n. 16-17-18 isbn 88-548-0875-X I edizione: novembre 2006 10475/07 Tortora, Malc.qxd 12-04-2007 12:12 Pagina 3 Daniela Tortora Mauro Bortolotti la creazione musicale nei territori di confine fra le arti 10475/07 Tortora, Malc.qxd 12-04-2007 12:12 Pagina 4 Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Università di Roma “La Sapienza” Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Università di Roma “La Sapienza” Archivio storico della musica contemporanea/MLAC Corso di laurea in Scienze storico-artistiche della Facoltà di Scienze Umanistiche, Università di Roma “La Sapienza” Associazione per la musica contemporanea “Nuova Consonanza” Assessorato alla Cultura del Comune di Narni Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 1 Indice - Luca Bortolotti, Ispirazione e traspirazione - Daniela Tortora, Laudatio (“O poeta è um fingidor”) 5 9 Parte Prima - Saggi - Paolo Emilio Carapezza, I bei colloqui 18 - Daniela Tortora, Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti 21 - Paolo Rotili, Gesto e narrazione nella musica per archi 58 - Francesco Rimoli, 46 Suoni nelle parole, parole nei suoni. Mauro Bortolotti e il testo in musica - Alessandro Mastropietro, E tu?: un (non-)teatro musicale ‘novissimo’ nel contesto romano degli anni Sessanta - Daniela Tortora, Intorno a John Berryman: LetturAzione 80 96 - Salvatore Enrico Failla, 113 Esoterismo di timpani e fiati per Giordano Bruno da Mauro Bortolotti Parte Seconda - Testimonianze - Guido Baggiani, Mauro Bortolotti fra i margini indefiniti dei due secoli - Mario Bertoncini, A Mauro - Bruno Cagli, Per troppo amore terreno: Tornando a casa ubriaco, Nei boulevards dove il poeta porta 126 134 135 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 6 - Antonio Capaccio In ascolto 136 - Patrizia Cerroni, Bortolotti/Cerroni, due amici onesti e coraggiosi 151 - Simonetta Lux, C'est ici que l'on prend le bateau (o: la dis-cronica) 153 - Cristina Cimagalli, Mauro Bortolotti maestro e allievo, un’intervista 155 - Aldo Clementi 162 - Massimo Coen, a Mauro Bortolotti 163 - Alfredo Giuliani, Caro Mauro 167 - Daniele Lombardi, Caro Mauro 170 - Luca Lombardi, W i poeti! Per Mauro Bortolotti 173 - Ennio Morricone 176 - Piero Mottola, Per Mauro Bortolotti: memoria ed esperienza di un’opera a quattro mani incompiuta 177 - Maria Chiara Pavone, Non solo musica: un incontro speciale 185 - Elio Pecora, A Mauro nel suo ottantesimo anno 190 - Achille Perilli, Ricordi lontani di un’amicizia 191 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 7 - Attilio Pierelli, Caro amico, maestro Mauro Bortolotti 193 - Giovanni Pizzo, 195 L’amico del suono. Rappresentazione scenico-musicale in un’ouverture, tre movimenti e un’intervista in quattro domande - Boris Porena, Un augurio coetaneo (quasi) a Mauro Bortolotti 204 Parte Terza - Scritti di Mauro Bortolotti (1981-2003) Testo cantato/ Testo parlato 208 Brevi note intorno alla salute dei teatri 210 Sulla scuola sperimentale di composizione e… d’altro 214 Paesaggi intravisti 218 A proposito di ‘modernità’ non sovvenzionata… 222 Musica e poesia 224 Tributo per il maestro 228 Parte Quarta - Archivio fotografico 232 Parte Quinta - Apparati Biografia 248 Catalogo delle opere (1953-2006) Indice cronologico delle opere Indice alfabetico delle opere 253 271 274 Bibliografia Discografia Indice dei nomi 277 281 284 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 8 Al caro Mauro buonissimo lettore di poesie e altro (per non parlare della musica) Alfredo Giuliani, 2003 Non cambia vita la poesia Forma di bugia che include il vero Arte del dire sghembo innominando Ritmo del premonire Alfredo Giuliani, 2004 Il sacrificio della patria nostra è consumato Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, 1798 In peggio precipitano i tempi Giacomo Leopardi, VI Canto, Bruto minore, 1821 L’arte vera è messa in concorrenza con i sottoprodotti culturali […] la confusione è arrivata al colmo Roberto Rossellini a Palmiro Togliatti, 1.III.1961 L’indagine sulla evitabilità ha carattere meramente eventuale, ponendosi solo se è accertata la prevedibilità; per escludere l’evitabilità, si richiede che l’evento risulti inevitabile in ogni momento a partire dal momento in cui lo si può considerare prevedibile. Il rimprovero consiste, appunto, nel non aver evitato un evento prevedibile; per cui, se l’evento prevedibile non è mai stato evitabile, l’evento non può essere addebitato all’agente. Estratto dalla sentenza sul disastro del Vajont del 17.XII.1969, depositata al Tribunale dell’Aquila il 20.IV.1970 a Simonetta B., in memoriam Roma, 29.X.2006 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 5 Ispirazione e traspirazione Luca Bortolotti Romantico per indole e per predilezioni artistiche, papà, non senza una punta di civetteria, si compiaceva spesso di citare la famosa frase attribuita (fra gli altri) a Hindemith, vigorosamente anti-romantica, secondo la quale il “genio” sarebbe assai più frutto di (metaforica) traspirazione che di ispirazione. In questa citazione era da cogliere da parte sua una sorta di intenzione programmatica, un progetto poietico e didattico imperniato sulla fede nell’applicazione metodica e nel setaccio evolutivo che ne deriva, nonché nei sicuri benefici del magistero tecnico sulla qualità artistica. Ma nella predilezione che papà aveva per quel dictum icastico era racchiusa, assieme a un’espressione di insofferenza ai luoghi comuni, anche un bisogno di controllo e perfino di ribellione rispetto a certi “pericolosi” dettami della propria natura. In effetti, la sua attività creativa (ma direi più in generale la sua personalità, assai meno trasparente di quel che potesse apparire) è stata sempre attraversata da una sotterranea e nutriente conflittualità tra gli atteggiamenti di fondo e le concrete prassi operative, che corrispondeva, volendo schematizzare in una formula, a una faticosa concordanza tra l’approccio all’arte e quello alla vita, traducendosi in una costante controversia tra rigore e approssimazione, tra severità e disincanto, tra profondità e leggerezza, tra ordine e caos. L’immagine più pubblica di papà insisteva, così, su una certa ostentazione di basso profilo genuinamente auto-ironico e garbatamente smagato, come pure su un’attitudine alla sdrammatizzazione costantemente sorretta dal suo caratteristico sense of humor. “Non mi piace la musica mia, figuriamoci quella degli altri”, rispose una volta, senza nessuna supponenza e sin quasi con candore, a un collega che gli chiedeva un giudizio dopo un concerto in cui erano state eseguite molte opere nuove. Ma al lato opposto, e più privato, di tanta rilassatezza demitizzante si situavano il rovello incessante e la lenta macerazione, l’ardua responsabilità e persino la sofferenza della creazione, la gioia silenziosa della soluzione giusta lungamente inseguita e faticosamente raggiunta, che accompagnavano ogni nuovo cimento, dilatandone i tempi (soprattutto nella fase progettuale e del primo sviluppo), alimentan- 5 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 6 LUCA BORTOLOTTI do l’ansia della pagina bianca e, pressoché dopo ogni prima esecuzione, innescando un processo sovente interminabile di revisione e riscrittura. In questa dinamica tormentata, penso che papà recasse i segni incancellabili della sua formazione di giovane provinciale che da Narni aveva deciso di fare il musicista, proveniente da una famiglia modesta che non aveva alcun legame con l’arte. Fu così che egli s’iscrisse nell’immediato dopoguerra al conservatorio di Santa Cecilia, forte di un bagaglio psicologico in cui coesistevano contraddittoriamente ma propulsivamente certezze e insicurezze, e nella convinzione di avere intrapreso un cammino che vantava i crismi della scelta moralmente giusta. Il sentimento dell’indispensabile emancipazione dalla “provincia”, in quanto categoria culturale che implicava a ogni livello arretratezza, sordità nei confronti del nuovo, immutabilità degli ordini costituiti, condusse mio padre, come tanti altri musicisti e artisti della sua generazione, a percepire l’opzione in favore dell’avanguardia, prima ancora che come un’opportunità estetica, poetica o politica, come un imperativo etico. Egli intese e visse l’anelito alla ricerca dell’inesplorato, la curiosità e la fiducia nei confronti del nuovo, la fede nella naturalità dei processi di cambiamento e progresso, in quanto valori assoluti, collocati nell’ordine del trascendentale: una sorta di aspetto distintivo del genere umano al suo grado più nobile, oltreché qualificativo della fisiologia e del senso ultimo dell’attività artistica nel novero dell’agire umano. Di qui - da questo sentimento di dovere categorico, che implica una discriminante ardua, liberamente intrapresa, solitaria e non revocabile - discendeva tutto il resto, seppure in via necessariamente subordinata. Che ciò, secondo il punto di vista che io posso esprimere oggi, implicasse una larga sopravvalutazione dei compiti dell’arte e delle responsabilità dell’artista e dell’intellettuale, lungo una linea di pensiero che procedeva da La missione del dotto di Fichte alle Lettere sull’educazione estetica di Schiller sino al modello gramsciano e all’estetica di Adorno, risulta in questa sede di ben poco interesse. Non starò dunque a insistere su quanto vi fosse di mitografia storicistica, in chiave sia ideologica sia filosofica, in quest’atteggiamento, che presupponeva, va da sé, una determinata visione del mondo, dell’uomo, della storia e dell’arte. Conseguentemente, eviterò anche di diffondermi nell’analisi del totem del progresso e della sua funzione catartica, e su come esso si sia irraggiato nella società occidentale tra il XIX e il XX secolo, orientandone in termini decisivi gli sviluppi nella politica e nella cultura in tutti i suoi aspetti. 6 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 7 ISPIRAZIONE E TRASPIRAZIONE Voglio ancora esimermi qui dal delicato esercizio del giudizio intorno alle concretizzazioni di tale impostazione generale, ossia intorno alle opere in cui essa si è effettivamente tradotta nel corso del Novecento, per quanto mi sembri necessario dal punto di vista critico chiedersi in modo non partigiano se e in che misura musicisti del talento di Domenico Guaccero, Franco Evangelisti, Aldo Clementi, Egisto Macchi, Fausto Razzi, Francesco Pennisi, Guido Baggiani, oltreché Mauro Bortolotti, per limitarsi a pochi esempi in area romana, abbiano eventualmente sacrificato parte delle loro potenzialità creative sull’altare dell’avanguardia. Si tratta di un discorso complicato, che intreccia in più punti e in più modi la storia del secolo scorso, e che di sicuro non può essere affrontato armati di pregiudizi manichei: lo spirito dell’avanguardia ha molto dato e molto tolto, imprimendo comunque il suo sigillo inconfondibile sull’opera di autori che proprio grazie ad esso hanno saputo trovare la propria strada, nella vita non meno che nell’arte. Quel che è certo è che per papà, che aveva forgiato i suoi arnesi del mestiere alla dura officina petrassiana, l’incontro con la dodecafonia e soprattutto con Schoenberg, nell’Italia appena uscita dalle chiusure del fascismo e dai disastri della guerra, abbia rappresentato lo scatto evolutivo cardinale, in grado di delineare la propria traiettoria di cammino individuale. Com’è ben noto, l’altro scatto decisivo, ma essendosi già compiuta la scelta di campo essenziale e dunque già percorsa la parte più dura del cammino, si sarebbe verificato negli anni Sessanta nella cittadina tedesca di Darmstadt, a contatto con coetanei di altri paesi europei che sembravano essere più avanti di tutti e avere le idee molto più chiare sulla musica del futuro (sebbene molti di loro non avessero mai sentito parlare di Malipiero, Dallapiccola e Petrassi). Sta di fatto che, metabolizzato ogni shock, al marchio di garanzia dell’avanguardia (etico, politico e da ultimo artistico) Mauro non ha mai pensato di dovere, o potere, sottrarre la propria fiducia, soprattutto sotto il profilo teorico, e magari - in particolare nel periodo estremo della sua parabola creativa, la quale non ha mai conosciuto stasi né fasi di pura inerzia - razzolando un po’ diversamente da come predicava. La più parte della musica scritta da papà negli ultimi dieci-quindici anni, in effetti, testimonia un nuovo, e credo molto felice, interrogarsi sul rapporto con la tradizione, sui fondamenti tecnici del comporre, sulla necessità di ritrovare la logica connessione tra le ragioni della poetica e quelle dell’espressione, di pensare lo stile in quanto veicolo di una ricerca idiomatica e pur tuttavia accessibile 7 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 8 LUCA BORTOLOTTI intersoggettivamente. Questioni che peraltro, a ripensarci ora, mi sembra che abbiano positivamente innervato i suoi brani migliori anche nei momenti di maggiore sperimentalismo e adesione alle scelte estetiche delle avanguardie post-dodecafoniche, donando loro il bene di un energia creativa in costante movimento, di una ricerca interiore che quasi mai s’è inchinata ai dogmi effimeri delle voghe artistiche, di quel soffio vitale che il seme del dubbio e l’ansia della decisione sono in grado di donare alle opere d’arte. Ho amato molte composizioni di papà, anche di quelle più sperimentali, e mi è sempre piaciuto vederlo chino, sino agli ultimi giorni, sui suoi mucchi disordinati di carta da musica, a scrivere note sul pentagramma, schizzare appunti semi-indecifrabili, congegnare soluzioni grafiche fuori dall’ordinario. Ma nel mio sentimento privato la prima immagine di lui resterà sempre quella in cui suona e canta al pianoforte - libero, felice, commosso l’Improvviso in La bemolle dell’op. 90 di Schubert, l’ultimo movimento della Fantasia di Schumann, la Mazurka in do diesis minore op. 33 di Chopin e ancora la sera prima che un’emorragia cerebrale lo sottraesse alla vita l’Andante della sonata Pastorale di Ludwig van Beethoven. Roma, 18.X.2008 8 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 9 Laudatio (“O poeta è um fingidor”) Daniela Tortora Le suggestioni della parola hanno attraversato tutte le stagioni della vita di Mauro Bortolotti. Parole come cristalli trasparenti che il tempo non è riuscito a opacizzare e che intatte affiorano oggi, come ieri e l’altro ieri e l’altro ieri ancora, grazie a una memoria prodigiosa (brutale, la definisce il legittimo detentore). Chiunque abbia avuto occasione di intrecciare qualche discorso con il maestro Mauro non potrà non serbarne un ricordo particolare: le conversazioni, anche le più amene e disimpegnate, hanno sempre incontrato le loro stazioni fatte di parole, sciorinature di citazioni provenienti dai libri (tutti i libri dell’interminabile “biblioteca di Babele”, direbbe Borges), dalle innumerevoli poesie, dagli infiniti versi, dalle lettere, dai libretti per musica, finanche dalle riviste e dai quotidiani… Parole pronunciate con attenzione, con devozione, non di rado con fare incerto o interrogativo, quasi a scavare tra i sedimenti del tempo e forse un tantino anche per mettere alla prova le conoscenze dell’interlocutore di turno, e le sue biasimevoli lacune. Era dunque un destino che ci trovassimo in questa circostanza a intrecciare nuove collane di parole, a tentare con la parola detta (e con le certamente innumerevoli ‘non dette’) di accostarci, sia pure con disordinato candore fanciullesco, alle tante belle cose che il maestro Mauro ha fatto, ha amato, ha vissuto nei suoi ottant’anni di musica. Ché non ci si fraintenda: Bortolotti non è stato un maestro di parole (malgrado il suo eloquio amabile rimanga tuttora estremamente attraente), ma un maestro di musica, nel senso più autentico del termine. Che vuol dire maestro di musica? Con fare eccessivamente disinvolto si dà del maestro a tutti coloro che hanno conquistato diplomi e attestati nelle nostre scuole di musica… e certamente Bortolotti i cosiddetti titoli li possiede tutti (la sua formazione accademica, ineccepibile, rimane una garanzia ‘petrassiana’ di antidilettantismo), tant’è che gli viene riconosciuta una posizione di tutto rispetto negli annali della scuola di composizione italiana (si pensi ai tanti, musicisti compositori direttori e, perché no, musicologi, che si sono formati ai suoi insegnamenti e ne hanno tratto 9 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 10 DANIELA TORTORA uno sprone imperituro all’esercizio del proprio mestiere).1 Ci troviamo stavolta a parlare di una cosa non facile (e il rischio di pronunciare delle ovvietà – ahimè, è sempre in agguato), che ha a che fare con l’identità stessa del maestro Bortolotti e con il legame con l’arte che la sua persona esibisce. L’impressione che con gli anni si è via via tramutata in convincimento è che il maestro sia ‘fatto’ di musica, che la sua sostanza riesca in qualche modo ad assomigliare, proprio nella sua volatile impronunciabilità, ai numeri ai suoni agli astri che abitano la sua esperienza quotidiana. Non è una semplice conoscenza delle cose musicali, quella cui s’intende alludere, ma piuttosto un ‘fare’ musicale della propria esistenza; è quel bisogno costante di richiamarsi ad altro da sé (e alla musica, nella fattispecie) per spiegare il proprio mondo, le proprie idiosincrasie, le proprie scelte. Non ha mai molto senso chiedere agli artisti di spiegare le proprie opere (è esperienza comune, tra quanti si occupano di musica del nostro tempo, che se ne cavi in genere assai poco); quel che è certo, è che Bortolotti per dirti di sé ti dice (ti legge, ti suona e ascolta con te) i Lieder di Schubert e di Schumann, i madrigali di Gesualdo, di Monteverdi, la musica da camera di Mozart, Beethoven, Brahms, i preludi di Franck e le sonate per organo di Hindemith, i concerti di Petrassi e, tra tutti, l’ottavo, “il meraviglioso”… Per un attento cultore della parola (quale il maestro ci appare da sempre) non era facile trovare le parole giuste, le locuzioni azzeccate, le frasi semplici vere non banali. Abbiamo cercato a lungo un titolo per questo libro che potesse suggerire una qualche verità e contribuire ad accrescere la vitalità [e la curiosità] del lettore (e qui ci soccorre il Leopardi citato dall’amico fraterno di Mauro, Alfredo Giuliani):2 non c’è stato verso di sottrarre i pensieri dall’insistente accostamento del musicista a un’immagine di leggerezza, di levità, a qualcosa di aereo, di sfuggente, di inafferrabile (I pesci di vento s’intitola, per l’appunto, una piccola composizione degli anni Novanta nata su un verso estemporaneissimo, 1 2 Ci fa piacere ricordare i nomi di alcuni allievi di Mauro Bortolotti nei Conservatori di Frosinone (19781981) e di Roma (1981-1993): Antonio, Cristiano ed Eugenio Becherucci, Massimo Bianchini, Stefano Bracci, Stefano Castelvecchi, Cristina Cimagalli, Enrico Cocco, Fabrizio De Rossi Re, Carlo Donadio, Patrizio Esposito, Leonardo Gensini, Lucio Gregoretti, Alessandro Molinari, Federico Landini, Eduardo Natoli, Paolo Pachini, Rossella Paolantoni, Franco Piperno, Giorgio Proietti, Marcello Puxeddu, Francesco Rimoli, Milica Rogulja, Lucia Ronchetti, Paolo Rotili, Fausto Sebastiani, Alfredo Santoloci, Daniela Tortora, Andrea Totò, Alessandro Triantafillou, Andrea Verrengia, Edoardo Volpi Kellermann, Giacomo Zumpano. Cfr. ALFREDO GIULIANI in I novissimi. Poesie per gli anni ’60 […], Milano, Rusconi, 1961, p. XIII. 10 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 11 LAUDATIO (“O POETA È UM FINGIDOR”) dettato al telefono dall’amico Alfredo). Le riflessioni vagabonde di questi mesi hanno ripercorso quasi inevitabilmente il Kundera dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, il romanzo di culto che negli anni Ottanta compariva per la prima volta in traduzione italiana e conquistava così intere generazioni di lettori, insegnando a noi tutti l’indicibile “pesantezza del vivere”3 dell’anacronistica Tereza, di Tomás e del cane-figlio Karenin (La leggerezza e la pesantezza è proprio il titolo del capitolo introduttivo, il capitolo più concettuale di tutto il romanzo, con le tante citazioni da Nietzsche, Parmenide, Gesù Cristo e perfino dal Beethoven dell’ultimo movimento dell’ultimo quartetto, con i due motivi concepiti sulla locuzione “Es muss sein”).Tuttavia ci ha soccorso maggiormente la rilettura della prima delle postume Lezioni americane di Italo Calvino, la più sorprendente e mirabile di tutte, la prima appunto, ove sono riposte cose davvero simili all’opera del maestro: la lightness di Ovidio e di Lucrezio, ma anche di Guido Cavalcanti, di Boccaccio e di Dante (con il felice sonetto dedicato all’amico-maestro, “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io”), della Emily Dickinson dell’”Ed io sono una rosa!”, di Shakespeare e della polverina magica per gli amanti notturni del Sogno, di Cyrano de Bergerac, di Kafka e dell’amatissimo Leopardi, “perché il [suo] miracolo […] è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare”.4 Ma per Calvino la leggerezza va a braccetto “con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”5 e questo invita a riflettere: la leggerezza che qui vogliamo raccontare assomiglia veramente a quella cantata da Calvino? Al di là degli incantamenti, dei ripensamenti, al di là delle esasperazioni del non-finito (o dell’in-definito), dell’eterno andirivieni del tutto, si situa, crediamo, un sistema imprescindibile nella poetica di Bortolotti, quell’esigenza precisa e determinata proprio alla maniera di Calvino, che si traduce in una presa diretta e costante sul reale, uno ‘stare in ascolto’ senza sosta al fine di registrare con attenzione tutti i passi del nostro tempo e il divenire degli abiti sociali e culturali del mondo a tutti noi circostante: grazie a questo sofisticato apparecchio sismografico il comporre musica si fa volontà (politica) di esserci ed esercizio costante di libertà. La locuzione compare in ITALO CALVINO , Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, p. 9. 4 Ivi, p. 26. 5 Ivi, p. 17. 3 11 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 12 DANIELA TORTORA Alla fin fine nulla ci è parso più convincente e fascinoso per allacciare discorsi memorie e affetti del verso “O poeta è um fingidor” di Fernando Pessoa, che, tra l’altro, incornicia una rara composizione strumentale del maestro rimasta sino ad oggi poco o nient’affatto eseguita: chi è “o poeta” e se la finzione sopravanzi o meno il vero poco conta, se non nella misura in cui con saggezza e con ironia il maestro continua a ricordarci insieme al Falstaff verdiano che A quali musiche e a quali musicisti viene spontaneo di accostare l’opera di Mauro Bortolotti? Quali i suoi beniamini, i suoi idoli, le sue inclinazioni e le sue trasgressioni musicali? Quali le impudicizie, armoniche e non, amate e ricercate finanche nel grembo della letteratura più antica, quella sorprendente dei primi secoli cristiani e del Rinascimento più luminoso? Nonostante le ammirate arditezze armoniche di Schumann e di Franck, la concettosità sensuale del contrappunto ha conquistato sin dagli anni giovanili una posizione di assoluto privilegio nella fucina compositiva di Bortolotti e consegnato così suggestioni antiche a tutte le sue musiche. Libri e partiture si aprono e si leggono continuamente a casa Bortolotti; di musiche accarezzate al pianoforte ve n’è dunque un’infinità… a noi torna in mente Du bist die Ruh, il piccolo Lied di Schubert sospeso e assorto nella sua semplicità senza peso, quasi fosse una lettera proveniente dagli dei lontani e sconosciuti batt. 8-11 12 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 13 LAUDATIO (“O POETA È UM FINGIDOR”) Alcuni anni or sono avevamo intrapreso il lavoro di ricostruzione della vicenda musicale e artistica di Mauro Bortolotti, convinti come siamo della ricchezza della sua esperienza, situata non di rado al centro degli accadimenti della musica del nostro tempo. Le conversazioni col maestro, dipanatesi lungo l’intero arco del 2006, hanno giovato alla ricostruzione di un tracciato almeno in parte noto a tutti gli affezionati frequentatori del circolo bortolottiano, e confermato il convincimento che questo artista non abbia mancato gli appuntamenti cruciali con la storia della musica d’avanguardia italiana del secondo Novecento (gli studi musicali accademici e il diploma di composizione con Petrassi; i corsi estivi a Darmstadt; l’’iniziazione’ elettronica prima a Milano, presso il Centro di fonologia della RAI, e poi con Pietro Grossi a Firenze e a Pisa; la fondazione di “Nuova Consonanza” con Evangelisti e gli altri musicisti del gruppo romano e la partecipazione alle iniziative musicali nel centro Sud dell’Italia; le riviste e l’impegno nel Sindacato Musicisti Italiani, prima e durante gli anni del decentramento culturale e musicale; l’insegnamento nei corsi di Nuova didattica della composizione, oggi Composizione sperimentale, etc.). Pur sentendoci in obbligo di enumerare ancora una volta tutte le imprese del Nostro (cfr. la sezione Apparati in calce al volume), non possiamo fare a meno di raccontare il senso di inadeguatezza che la nostra disciplina e i suoi strumenti di ricerca standard hanno rivelato in questa circostanza, insinuando dubbi legittimi nei confronti di un regime di fissazione delle cose incapace (forse) di cogliere l’altrove ove l’anima dell’artista (e il suo segreto) abitano davvero. La grossa mole delle opere prodotte, come scrive l’amico Salvatore Enrico Failla, “la sua produzione è qualitativamente lodevole e quantitativamente notevole”, attendeva da tempo un’attenta disamina. La raccolta dei manoscritti (e delle più rare stampe), la sistemazione delle carte e degli abbozzi relativi a ciascuna opera, la collazione di tutti i testi definitivi (incluse le innumerevoli copie anastatiche), l’individuazione dei testi poetici e delle rispettive fonti edite e non, la redazione dell’incerta bibliografia e dell’inesistente a tutt’oggi discografia, ivi incluso l’elenco di tutte le registrazioni sopravvissute: il compimento di buona parte di queste operazioni che il libro documenta è uno dei risultati importanti che sentiamo di aver raggiunto. La redazione, pur perfettibile, del catalogo delle opere del maestro (1953-2006) costituisce certamente il vanto maggiore di questa iniziativa: scorrerne le decine di titoli, sia pure velocemente, aiuta a riflettere sulle tappe salienti nella produzione di questo artista, sul suo amore per la voce, sempre, per la parola (si badi alla ricercata eleganza delle intitolazioni), 13 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 14 DANIELA TORTORA per gli strumenti (e per lo strumento singolo, tanti i soli di questo catalogo), sui rimandi a distanza tra opere ed epoche differenti, sui cicli compositivi allacciati alla lirica ora dell’uno ora dell’altro poeta, sui disegni sui circoli e sulle ellissi che la natura ritornante, non-finita-una-volta-per-sempre, di molte composizioni (della stragrande maggioranza delle composizioni) è in grado di generare e continuerà a generare, sulla fatale attrazione nei confronti dell’azione e della scena che, insinuatasi già agli inizi degli anni Settanta, finisce col diventare soverchiante in tempi recenti (e lo confermano i progetti in fieri sui testi degli amici Bruno Cagli ed Elio Pecora), ove albergano quelle che altrove chiamavamo Ultime possibilità per un teatro musicale e d’arte: …Questa umidità, l’acqua calcarea e Variazioni sul grido s’inseriscono a pieno titolo nell’ambito dei recenti sodalizi artistici di Mauro Bortolotti – nati, come sono, dall’interazione tra la ricerca musicale del maestro e gli esiti attuali della pittura di Antonio Capaccio, l’uno, e gli esperimenti visuo-emozionali di Piero Mottola, l’altro – e disegnano entrambi, sebbene con prospettive differenti, le estreme propaggini di una ricercata utopica possibilità di relazione fra le arti. Musica e pittura si avviano così sulla base di congegni emozionali profondi, di un sentire complice e affine, di un vissuto artistico incerto e inquieto, a sfidare insieme la precarietà dell’esistere all’interno dei margini della modernità e a scandire i tempi della lettura del mondo negli spazi interstiziali di giunzione tra le arti. Al sistema delle relazioni emozione/colore, variamente distribuito nei circoli disegnati da Mottola, si aggiungeva già in Astratto 2 (2002), dello stesso autore, un analogo congegno di articolazione dei suoni-rumori divenuto poi “il percorso emozionale di partenza” per Variazioni sul grido di Bortolotti, un insieme già plasmato di suono-colore per un’operazione di combinazione intertestuale tra la matrice visuo-sonora di Mottola e alcuni materiali confezionati in precedenza dal compositore (i nastri realizzati nel corso degli incontri-lezione con Pietro Grossi a Firenze nel ‘70, Ein feste Burg per organo del 2002). L’amore condiviso per la scrittura di Thomas Bernhard di Bortolotti e Capaccio genera quel progetto di azione teatrale che ha già alle spalle un paio d’anni di vita e cui va riferito il frammento in sé compiuto di …questa umidità, l’acqua calcarea. Il nucleo generatore del progetto risiede in un collage di frammenti tratti da alcune opere di Bernhard (in particolare Il loden, Ave Virgilio, L’imitatore di voci, Ungenach), tutti legati senza alcun vincolo di necessità a quel senso/nonsenso del vivere, a quella disperata sfiducia nelle sorti di un’umanità senza speranza che costituisce la parte più significativa e feroce della poetica del letterato austriaco.6 6 DANIELA TORTORA Ultime possibilità per un teatro musicale e d’arte , in SIMONETTA LUX , DOMENICO SCUDERO Incantesimi. Scene di arte e poesia a Bomarzo. IV Edizione Castello Palazzo Bosco. Azioni dell’Arte, in preparazione. 14 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 15 LAUDATIO (“O POETA È UM FINGIDOR”) Questo libro, concepito agli inizi dell’anno, vede finalmente la luce nei dintorni del 26 novembre 2006, giorno dell’ottantesimo genetliaco di Mauro Bortolotti. Dobbiamo un ringraziamento speciale agli amici studiosi ai quali è stata affidata la cura della parte saggistica del volume (Paolo Emilio Carapezza, Cristina Cimagalli, Salvatore Enrico Failla, Alessandro Mastropietro, Francesco Rimoli e Paolo Rotili); agli artisti, poeti musicisti pittori, che hanno accompagnato da vicino le tante imprese musicali e non di Bortolotti e che qui hanno voluto, in molti casi d’intesa col maestro, darne testimonianza con progetti già realizzati o in fieri (Guido Baggiani, Mario Bertoncini, Bruno Cagli, Antonio Capaccio, Patrizia Cerroni, Aldo Clementi, Massimo Coen, Alfredo Giuliani, Daniele Lombardi, Luca Lombardi, Ennio Morricone, Piero Mottola, Maria Chiara Pavone, Elio Pecora, Achille Perilli, Attilio Pierelli, Giovanni Pizzo, Boris Porena); alla insostituibile Francesca Romana Bongarzoni, giovane laureanda affezionatasi in questi mesi alle cose del maestro e curatrice, almeno in parte, del riordino del suo archivio privato; a Massimiliano Acerra e Lorena Canulli, curatori del progetto grafico del volume; a tutto lo staff del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (la direttrice Simonetta Lux, il curatore Domenico Scudero, le studentesse che hanno svolto il loro tirocinio presso l’Archivio storico della musica contemporanea), ove il progetto di ricerca ha preso forma, incontrando favore e sostegno lungo l’intero periodo di lavorazione. Questo libro, che nasce in forma di musica reservata per Mauro Bortolotti, è dedicato anche a tutti coloro che sanno e che gli sono stati vicini. 26.VIII.2006 15 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 16 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 17 PARTE PRIMA Saggi Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 18 I bei colloqui Paolo Emilio Carapezza Un saggio ampio e illuminante di Daniela Tortora su Mauro Bortolotti ha per epigrafe poche righe di Paul Éluard, poeta da lui prediletto, che si concludono con queste parole: “la poesia è il linguaggio che canta”.1 Non c’è miglior definizione della musica di Bortolotti. Logica è infatti la sua costituzione: discorsiva, linguistica; note e accordi invece che fonemi (o assieme ad essi), ma sempre linguistica la loro concatenazione, la grammatica e la sintassi: dai suoi esordi, più di cinquant’anni fa, fino ad oggi. E se minor successo sin’oggi ha avuto, rispetto ai compositori romani suoi contemporanei, non è certo per minor valore, ma proprio per questa costituzione logica, netta, profonda e costante, della sua musica. Negli anni Cinquanta e Sessanta, negli anni ruggenti della neoavanguardia, la costituzione logica della musica era infatti tabù: si stravedeva per Webern, perché lo si straudiva, riducendolo a mera costruzione, scambiando il mezzo per il fine, e dimenticando di cogliere “un romanzo in un sospiro”; non ci si accorgeva che per lui “la costruzione nello spazio sonoro, così rigorosa e perfetta, non è che il mezzo per la sublimazione del logos, verbo e parola musicale”.2 Quella dei compositori trentenni era allora a Roma una costellazione di fulgide stelle: ma Evangelisti e Clementi, che tendevano alla costruzione weberniana ed alla spazialità materica varesiana, hanno sempre privilegiato il rapporto della musica con la pittura; Guàccero, mercuriale argento vivo, sfuggiva ad ogni schema; Macchi cercava la teatralità immediata. La musica di Pennisi è sempre stata anfibia tra poesia e pittura. Solo Bortolotti ha sempre privilegiato nella sua musica il rapporto con la poesia: aperto alla sperimentazione, tendeva tuttavia sin da allora alla pura vocalità, naturalis (della voce umana) e artificiata (delle voci strumentali), ma senza mai eccessi di gestualità corporea, come invece in Bussotti. Per questo io stesso ho trascurato Bortolotti, come – fino agli anni Settanta – fraintendevo Webern. Ma oggi ne faccio ammenda. Cfr. DANIELA TORTORA, Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti,“Avanguardia”,VII, 2002, n. 19, pp. 5174, qui trascritto alle pp. 21-45. 2 PAOLO EMILIO C ARAPEZZA, Macrocosmo – Micrologo, in Comporre arcano: Webern e Varèse poli della musica moderna, a cura di Antonino Fiorenza, Palermo, Sellerio, 1985, pp. 20-33: 26. 1 18 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 19 I BEI COLLOQUI Coerente con la costituzione della sua musica, predilige quindi la voce umana: e nessuno meglio di lui ha fatto tesoro di quella, meravigliosa e versatile, di Michiko Hirayama (a parte Scelsi, ma per differenti ragioni). E tra gli strumenti, d’altro canto, predilige quelli ad arco, quasi parlanti, i più simili alle voci umane; viceversa Evangelisti e Clementi, come Varèse, per le loro costruzioni o ‘corporificazioni’ sonore preferiscono fiati e percussioni. Se in Contre 2 (1965) i cinque strumenti (clarinetto, trombone, pianoforte, violino e violbasso) cercano, come sempre in Bortolotti, di parlare, la voce di Michiko gioca e s’adegua ad essi con vocalizzi: trascende così il vocabolario, per ridursi alla sua essenza vocale e logica, ma non rinuncia del tutto a rare determinazioni di parole, che ravvivano scintillanti il gioco e riattizzano sempre più l’interesse di chi ascolta. In Transparencias (1968) gli archi parlanti traspaiono attraverso il clavicembalo dalle ali di farfalla. Il melos, contrappuntistico ma più spesso monodico, è il parametro sonoro privilegiato, più ancora che il timbro, in Bortolotti, che concilia gran forza espressiva con la massima delicatezza. Nella sua musica il moto ritmico non è mai fine, ma sempre tende, come a suoi scopi, all’espressione ed alla rappresentazione. Se dapprima i tabù della neoavanguardia darmstadtiana inibivano il pieno dispiegamento delle sue facoltà musicali discorsive, quando quelli cadono sempre meglio la sua musica tende poi a parlare, a cantare: si veda come ormai nel Recitativo obbligato (1986) il clarinetto conversi dialogante con i cinque archi, gridando, piangendo, litigando, ridendo con loro, e correndo talvolta a nascondersi quasi per meditare. Ma apodittica di questa liberazione è la tensione stilistica musicale interna al ciclo delle 4 poesie di Paul Éluard, per soprano e sei strumenti [ma due nella versione originaria]; le prime due (Sur les pentes inferieures e il frammento da Nous sommes) furono intonate da Bortolotti nell’aprile del 1959, la terza (il frammento da Egolios) nel 1970 e la quarta (En Chili) nel 1978: da un lato il timido puntillismo dodecafonico sulla prima coppia, dall’altro il disinvolto ricamo del trasognato aggirarsi della voce d’usignuolo, mentre “gli strumenti […] aspirano a farsi parola”, sui versi d’Egolios, e “la scrittura, e vocale e strumentale, […] ormai disinibita e disinvoltamente accidentata ed omogenea”, con “grande libertà e varietà di movenze” su En Chili.3 Nel “Cher nocturne” degli Appunti per un trio (1972) sull’alternanza, ora di gelidi cristalli ora di morbidi velluti, del pianoforte, fluiscono le voci di 3 TORTORA, Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti cit., pp. 62-63. 19 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 20 PAOLO EMILIO CARAPEZZA clarinetto e violoncello, dapprima lunghe e calde, poi tremolanti e fievoli e flebili e sospiranti, infine di nuovo lunghe e cantanti. Quanto mai delicata e suggestiva è la descrizione delle Foglie (1980) d’un meraviglioso albero sonoro: tra i rami frondosi della chitarra, del pianoforte e delle percussioni, il flauto rende accenti umani. Nella Fanfara–Scherzo e Ricercare (1989) il dialogo tra violoncello e pianoforte è ora serrato e appassionato, ora languido e malinconico, ora deciso e ben articolato, ora carezzevole e danzante; poi cessa e timido riprende, ma subito acquista coraggio e concitate s’alzano le voci; infine domande e risposte, e delizioso corteggiarsi. Ma vorrei infine aggirarmi tra i cinguettíi di flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello e per sempre rimanere Ai margini frastagliati (1993) del giardino delle delizie di Mauro Bortolotti. Palermo, 8 Settembre 2006 20 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 21 Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti* Daniela Tortora Se richiedessi a dieci persone prese a caso per la via chi sia un poeta, esse risponderebbero: “È un tale che fa dei versi”. Non ne ho fatta l’esperienza, ma ne sono certo. Mentre in Grecia, per esempio, sono stato presentato come poeta a dei contadini analfabeti e costoro rispondevano: “Ah, sì, un cantore!” Perché, fin dai tempi più remoti, la poesia è il linguaggio che canta... Paul Éluard Mi è parso utile in questa circostanza partire da una prima (sia pure parziale, provvisoria) sistemazione del catalogo delle composizioni del musicista,1 allo scopo di avviare una riflessione non effimera sulle scelte e sugli indirizzi perseguiti nel corso degli oltre cinquant’anni di attività dal compositore umbro (Mauro Bortolotti è nato a Narni nel 1926, ma vive e lavora a Roma sin dagli anni Cinquanta). Nel convincimento ultimo che, a dispetto delle innumerevoli occasioni concertistiche e delle non poche (ma spesso tardive) edizioni a stampa e discografiche delle sue musiche, sfugga ai più la vastità della sua produzione e stenti ancora oggi ad ottenere il doveroso riconoscimento storico ed artistico la stragrande maggioranza delle sue opere. La successione dei lavori (oltre un centinaio di titoli) segue una cadenza regolare, si dipana nel tempo senza soste o lunghi intervalli, dando vita così ad un continuum di esperienze non di rado ripercorse a distanza di alcuni anni, segnato da periodici ritorni, da richiami al passato, al già fatto * Questo scritto nasce alcuni anni or sono in forma di omaggio per Mauro Bortolotti, mio maestro di composizione presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, ed è dedicato ai suoi settant’ anni festeggiati nel novembre del ‘96. Molte cose sono accadute nel frattempo, in primis la nascita dei miei ultimi figli Stella Ivos e Maria, tant’è che con mio grande rammarico ho dovuto rinviare la stesura definitiva del saggio a suo tempo annunciato. L’omaggio e l’affetto sono quelli di allora. E l’attesa prolungata spero proprio che abbia giovato alla elaborazione delle idee, più di quanto non abbia tolto in freschezza e in sorpresa alla messa a punto dei contenuti. Lo scritto compare in “Avanguardia”,VII, 2002, n. 19, pp. 51-74. 1 Cfr. il catalogo delle opere del compositore - con l’indicazione dei titoli, degli organici, dei dedicatari, delle case editrici (per i lavori pubblicati), dei luoghi, delle date e degli interpreti delle prime esecuzioni – nella sezione Apparati, alle pp. 253-270. 21 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 22 DANIELA TORTORA (un dato ricorrente nella produzione del musicista è la ripresa in vesti nuove di composizioni precedenti, in genere per circostanze o commissioni particolari, ma sempre - io credo - per ragioni legate alla natura dei brani stessi quali veri e propri oggetti di affezione).2 Vanno segnalate senz’altro la varietà e la ricchezza degli organici di volta in volta impiegati dal musicista: alla pervadente dimensione cameristica corrisponde una singolare mutevolezza delle soluzioni timbriche sperimentate, sia strumentali sia vocali, con i diletti archi non di rado sostenuti dal pianoforte e dai fiati (il flauto, i clarinetti, gli ottoni, il sax); più rare appaiono le composizioni per strumento solo (ancora il pianoforte, il flauto, l’oboe, la chitarra, le percussioni); raccolte infine ai margini del catalogo le composizioni per grande orchestra (si vedano le opere degli anni 1955-1961 e le più recenti Sinfonia “Est animum” della metà degli anni Ottanta e, del decennio successivo, Grandes misterios habitam (1992) e la revisione del Contre 2 (Contre encore...,1994) degli anni Sessanta). Si intravedono in tal modo i sentieri lungo i quali si è snodata l’esperienza compositiva del maestro e, poco più in là, alcune costanti all’interno di un percorso di ricerca delineatosi in sintonia con la sua formazione musicale, consolidatasi nel corso del lungo apprendistato presso il Conservatorio di Santa Cecilia,3 e con la sua visione impegnata del vivere, della cultura e dell’arte quale risultante di un’educazione al sociale cresciuta in famiglia e nutritasi poi alla ‘scuola’ del “Politecnico” di Elio Vittorini.Vale la pena di insistere sui tratti, per cosi dire, genetici della produzione di Bortolotti, per quanto noti, arcinoti essi siano nella cerchia degli amici e degli estimatori della sua musica, perché ad essi ed alla loro particolare combinazione va riferita una certa anomalia o alterità di fisionomia del compositore nel paesaggio circostante, ove l’attaccamento alla storia, il culto delle proprie radici musicali e culturali si coniugano non di rado con un gesto di Nel corso di alcune conversazioni col maestro ci siamo intrattenuti sul significato di queste rielaborazioni per cercare di coglierne il senso e insieme per fissarne una qualche possibile classificazione terminologica (trascrizioni, nuove versioni, revisioni). In un buon numero di casi si tratta di passaggi importanti, legami tessuti sul filo della memoria ed elaborati mediante processi compositivi di tipo espansivo (molto spesso gli organici si ampliano, le durate si dilatano), punti di richiamo all’interno di un percorso segnato dall’ “insopprimibile ricerca di una verità interiore” e in ultima analisi da quella “precipua concezione ‘affettiva’ del senso musicale” che cosi bene ha descritto Paolo Rotili nelle sue note al concerto monografico barese dedicato alla musica di Bortolotti nel ‘96 (PAOLO ROTILI, s. t., in programma di sala del concerto dell’ associazione musicale “Il Coretto”, Bari, Aula Magna dell’ Ateneo, 15 aprile 1996). 3 Cfr. la Biografia, pp. 248-252. 2 22 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 23 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI graffiante provocazione e di eversivo stravolgimento del reale. L’accumulo di esperienze formative ed informative negli anni dell’immediato dopoguerra sino alla fine degli anni Sessanta, e ancora oltre, è stato cosi commentato dal musicista: Nella mia musica sono presenti, con ugual forza, due componenti non sempre separate e separabili: l’una di ricerca, che nasce dall’esigenza di essere pienamente nell’ oggi, nei problemi del nostro tempo; l’altra di impegno sociale e politico, che è totale, ma rifiuta di essere didascalica e ‘a programma’ (e questa scelta sento di doverla, in parte, al peso che ebbe su di me Elio Vittorini ed “il Politecnico” negli anni della mia formazione culturale). Per quel che riguarda il momento della ricerca all’interno del linguaggio musicale, ci fu la scelta, in conservatorio, di seguire il corso di composizione di Goffredo Petrassi. Una scelta che, in quegli anni di lenta ripresa della vita culturale (si era nel lontano 1954), dopo il vuoto della guerra, fu decisiva e volle significare necessità di informazione, bisogno di confronto con quanto era accaduto ed andava rapidamente accadendo in Europa. Da questo avvio ed, in particolare, dalla conoscenza della Dodecafonia, dei capolavori della scuola viennese, e delle ragioni storiche che ne avevano determinato la nascita, presero l’avvio le mie prime esperienze di compositore. Sarà poi importante l’esperienza di rottura dei Ferienkurse di Darmstadt per un più radicale e cosciente processo di rinnovamento: che allora cominciò a significare anche superamento della dodecafonia e una nuova sperimentazione sul suono, il cui fatto più evidente (anche se non il più importante), dopo il grafismo, la gestualità, l’alea, ecc., fu l’avvicinamento all’elettronica e, più tardi, alla computer music. Posso dire che tutte queste esperienze furono da me assorbite e vissute in modo autonomo e dialettico; se vogliamo come ulteriore e necessario ampliamento di un vocabolario da usare laddove se ne intravedesse il bisogno, senza considerarle acquisizioni rassicuranti e defInitive. Ciò perché in me era ed è presente se non una carica di sospetto (sfiducia), certo una sorta di distacco verso tutto ciò che tende ad imporsi (ad essere imposto?) come più valido ed attuale di..., come moda, o che tenda ad ideologizzarsi. Attrazione e rifiuto, entusiasmo e dubbio, timore per la (facile) soluzione, innovativa o passatista, che non venga da un maturato convincimento.4 Tra le relazioni elettive che il catalogo esibisce in ogni sua parte - forse la relazione elettiva - si situa quella tra poesia e musica, tra testo verbale, letterario, poetico [e non] e la ricerca/invenzione musicale. È un dato segnalato più volte dall’autore ed affiorante già ad un semplice riscontro quantitativo: oltre un terzo della musica di Bortolotti è musica vocale, 4 MAURO BORTOLOTTI, in programma di sala della Stagione di “Nuova Consonanza”, Roma-Viterbo 1981. 23 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 24 DANIELA TORTORA musica pensata per la voce, con la voce e nella stragrande maggioranza dei casi concepita su testo poetico (ma va detto che la parola poetica, nelle sue molteplici suggestioni, informa di sé anche molte partiture strumentali del musicista). Un’affezione lontana lega nel corso del tempo Bortolotti alla poesia e lo spinge a nutrirsi con accanimento dei tanti nomi della cultura letteraria internazionale, recuperati già in età giovanile mediante l’acquisto sistematico di riviste, libri e libriccini, alle volte pregiate e ormai introvabili edizioni, altre volte traduzioni più o meno affidabili, sprovviste delle cure filologiche prestate dai moderni traduttori. Ma nutrimento comunque, scuola di vita e di espressione e alla fin fine costante, ancestrale, mai smarrito punto di riferimento. Bortolotti ha scritto poche cose su di sé, sul senso del suo mestiere e sulle sue composizioni, ma su questo aspetto della sua produzione si è intrattenuto più volte, donandoci così una bellissima testimonianza e insieme una preziosa chiave interpretativa della sua opera vocale: Sin dagli anni del Conservatorio, ma anche molto prima (brevi ma dimenticate liriche di Wright, Sinisgalli o Whitman), la scelta del testo da musicare minuziosa, rileggendo decine di poesie, felice di approfondire contatti con poeti che già in partenza mi interessavano - costituiva motivo di scavo puntiglioso...dovevo assolutamente capire lo spirito del testo, penetrare all’interno del clima espressivo che la poesia riusciva a creare per poi partire verso soluzioni che nel corso degli anni sono state le più varie [...].5 E ancora, solo un paio d’anni più tardi: [...] Che cosa è infatti il mio attaccamento di sempre alla poesia (per es. Eliot, Scotellaro, Éluard, Cummings e, successivamente, Giuliani, Marziale, Berryman, Sanguineti...), se non un modo di superare processi linguistici altrimenti congelati? Il contatto con un testo mi libera invitandomi a cercare, a centrare il nucleo espressivo, il punto di massima tensione della poesia o di un verso, o di un frammento... e in questo rapporto si realizza la ‘distrazione’ e il distacco da vincoli, da pre-condizionamenti sia di mestiere sia interni alla cultura musicale (che si va ‘ritrovando’ e ‘riassumendo’ nell’esercizio di questo ‘sistema di libertà’).6 MAURO BORTOLOTTI, Testo cantato/Testo parlato..., in Poesia in pubblico/ Parole per musica. Atti degli Incontri Internazionali di Poesia 1979-1980, a cura di Massimo Bacigalupo e Carola De Mari, Genova, Liguria Libri, 1981, pp. 162- 163:162, qui trascritto alle pp. 208-209. 6 ID., in programma di sala della stagione di “Nuova Consonanza” cit. 5 24 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 25 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI È dunque la poesia l’elemento cardine dell’agire compositivo, l’elemento altro in grado di dare un fondamento di autenticità al proprio mestiere, al proprio linguaggio ben codificato, affrancandolo dai vincoli e dalla sclerosi della costruzione musicale; è dunque la poesia espressione di una tensione tutta interiore e al tempo stesso veicolo di comunicazione col reale: se è vero che “il mondo scappa da tutte le parti e volerlo fissare in una qualche forma dà perlopiù risultati meschini”, la poesia, essa sola, riesce alle volte a partecipare quel “disagio” e quella “confusione che si sono insinuati fra i criteri di lettura del mondo”7 e così a sottrarre certezze, a mettere in crisi i linguaggi, in ultima analisi a ridare senso ai singoli tentativi di scrittura musicale. La misura di questo esercizio, il significato di questa liberazione variano da esperienza a esperienza e riguardano in maniera altrettanto consistente i lavori di taglio squisitamente teatrale o allusivamente teatrale (ma non esiste forse una dimensione/suggestione teatrale in ogni gesto poetico-musicale, laddove voce e parola s’identificano con un soggetto, sia pure fittizio, che parla, che declama, che canta?). La frequentazione assidua di alcuni poeti rientra, per certi versi, nella riflessione precedente sulle costanti e sui temi ritornanti nell’opera di Bortolotti.Tra questi Paul Éluard occupa certamente un posto speciale, sia perché più volte accostato (dal giovanile poemetto sui versi de La dernière nuit ai due Lieder per coro misto e orchestra degli anni Sessanta),8 sia perché - soprattutto perché - con le 4 Poesie di Paul Éluard, quattro liriche per voce, clarinetto e violoncello, si assiste al trascorrere di alcune tappe cruciali nell’itinerario artistico del musicista, distribuite peraltro in un arco temporale assai vasto (1959-1978): dalla entusiastica adesione alla lezione dodecafonica degli anni successivi al diploma in composizione, sino alle più recenti sperimentazioni fonico-timbriche su voci e strumenti alla ricerca di nuove intese e di nuovi equilibri. L’incontro con Éluard è di natura essenzialmente politica e l’identificazione avviene su un terreno elettivamente politico. A Éluard Bortolotti arriva per via diretta (è del ‘58 l’acquisto datato di un importante volume antologico curato da Franco Fortini con le liriche in lingua originale a fronte delle traduzioni in italiano), ma anche attraverso la lettura sistematica dei 7 8 Alfredo Giuliani cit. in ID., Testo cantato/ Testo parlato... cit., p. 162. Non è stato possibile rintracciare il manoscritto della Dernière nuit, lavoro concepito sui versi dell’omonimo poemetto eluardiano pubblicato in traduzione italiana, a suo tempo, sulle pagine dell’”Avanti!”; i due Lieder, rispettivamente C’est l’arbre de la liberté (dedicato a Petrassi) e Toute sa vie non sono mai stati eseguiti. 25 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 26 DANIELA TORTORA fascicoli del “Politecnico”, ove poesia arte e cultura italiana e internazionale circolano e si diffondono agganciate in maniera speciale alla discussione sui temi del giorno inerenti al reale, al sociale. È infatti del ‘46 un’intervista a Éluard, curata da Fortini, ove in successione serrata vengono enunciati i fondamenti della sua visione poetica del mondo. L’esordio, tutt’altro che cauto, è da subito centrato sulle possibili letture della sua poesia: tocca così al poeta suggerire, sull’ onda di quanto alcuni critici hanno più volte sostenuto, una relazione “immediata e diretta” con i suoi versi poiché “la poesia non è sacra”. Seguono altre affermazioni, altrettanto categoriche e tutte appartenenti ad una medesima costellazione concettuale, percorsa quasi in forma di decalogo nel corso dell’intervista di Fortini: “la poesia non è eterna”, dal momento che essa non avrà più ragione d’essere quando “la capacità poetica di ogni uomo sarà liberata”; “ogni vera poesia resiste all’indagine”, vale a dire che permane un fondo oscuro e impenetrabile dei versi a dispetto della già citata immediatezza e di ogni acribia filologica; se è vero che “è la sensibilità che forma il sentimento, l’intelligenza e la ragione”, se è vero, come confessa Éluard, che “la poesia è fatta con il [mio] sonno, con i [miei] risvegli, con la [mia] stanchezza [...]”, si può intendere che “la scoperta continua della realtà è il compito rivoluzionario della poesia”; “la poesia è azione” e questo potenziale “valore rivoluzionario” sta tutto nella capacità del poeta di resistere alle circostanze negative del vivere, di fare opposizione, di essere contro: La poesia non è una specie di ritmo sacro; essa deve ad ogni costo diventare comune, banale. Le più grandi meraviglie poetiche potrebbero entrare a far parte del linguaggio comune, perché la trasformazione del mondo non può venire che da uno sviluppo della immaginazione dei più. L’immaginazione modifica il mondo. Ma lo sviluppo di quella è legato alla trasformazione sociale.9 Su questi concetti si fonda in maniera attenta e circostanziata l’indagine attorno alla poesia di Éluard condotta da Fortini nell’introduzione al volume di poesie pubblicato in Italia nel ‘55: Éluard - egli ribadisce - è il poeta della resistenza, “esponente della poesia della pienezza vitale”, della poesia come “strumento di conoscenza” e patrimonio comune a tutti gli uomini (“la poesia è rivoluzionaria: la necessità storica e il meraviglioso della fantasia sono per essa una sola e medesima cosa”).10 Pur seguendo un percorso 9 10 FRANCO FORTINI, Éluard - la poesia non è sacra, “Il Politecnico”, I, maggio 1946, n. 29, p. 38. ID., Introduzione, in PAUL ÉLUARD, Poesie con l’aggiunta di alcuni scritti di poetica,Torino, Einaudi, 1955, pp.17-63:19 e passim. 26 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 27 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI individuale fatto di personali inclinazioni ed autonome acquisizioni (con Marcel Duchamp, “i movimenti iniziano con una formazione di gruppo e finiscono con la disseminazione delle personalità”),11 l’esperienza poetica di Éluard ha la sua matrice storica e concettuale nel surrealismo (quel “vero realismo”, cui faceva riferimento il poeta stesso nell’intervista poc’anzi citata), riconoscibile già sul finire degli anni Dieci del Novecento in “un vasto repertorio di attività e di motivi […], punto d’arrivo d’una cultura avanguardistica”, divenuta “una specie di tradizione antitradizionalista attraverso una collettivizzazione delle idee”.12 Quello che mi preme sottolineare in questa circostanza e che costituisce il nucleo solido, mai negato, dell’adesione di Éluard al surrealismo, è il vincolo necessario l’auspicio indispensabile, aggiunge Ivos Margoni nella sua esegesi bretoniana che lega il pensiero surrealista alla rivoluzione sociale e culturale e che dovrebbe mettere in guardia dall’allineare il surrealismo ai tanti movimenti artistici del primo Novecento (con Maurice Blanchot, “il surrealismo non fu né un sistema, né una scuola, né un movimento artistico e letterario, ma una pura pratica d’esistenza, una pratica d’insieme che recava il suo proprio sapere, [...] un sapere che era innanzitutto un contro-sapere, la negazione di una cultura di classe, anche letteraria”).13 L’adesione al mondo lirico di Éluard, a quel suo ‘sentire politico’ che ha la matrice nell’indissolubile legame esistente tra pensiero surrealista e rivoluzione sociale, ha informato di sé l’intera poetica giovanile di Bortolotti (ma la valenza di tale assunto è sicuramente di segno più vasto ed appartiene più in generale a tutta la allora nascente - il riferimento è agli anni Cinquanta - cultura [musicale] d’avanguardia in Italia).Tuttavia essa non è solo un dato di superficie, un riconoscersi immediato e istintivo quasi il ritrovamento delle proprie vere radici culturali: il fondamento utopico del surrealismo, largamente condiviso, risiede nel progetto che affida all’arte il compito tutt’altro che lieve di farsi pensiero e, una volta dismessi gli abiti formali giudicati permanenti, di offrire una visione del mondo in grado di determinare una radicale trasformazione sociale e culturale della realtà. Ma c’è dell’altro. Al di là della temperie avanguardistica “i surrealisti hanno sperimentato con accanimento un Cit. in IVOS MARGONI, Introduzione a un’ antologia delle Opere di André Breton, in André Breton e il surrealismo, a cura di Ivos Margoni, Milano, Mondadori, 1976, pp. 1-120: 4. 12 Ivi, pp. 3, 4. 13 MAURICE BLANCHOT, L’écriture automatique, l’ inspiration, “Nouvelle Revue française”, marzo 1953, cit. in MARGONI, Introduzione cit., p.6. 11 27 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 28 DANIELA TORTORA esercizio che non si astennero mai dal denominare ‘poetico’” mediante un’operazione “di ripensamento dei caratteri e delle funzioni dell’estetica” ed un profondo sconvolgimento semantico del termine stesso poesia;14 in altre parole, non è possibile cogliere sino in fondo il senso della rivoluzione surrealista senza riconoscere il legame che congiunge il linguaggio poetico con la messa in discussione dell’operazione stessa della lettura della poesia: dal momento che “non tende né alla forma né all’opera ma a un ‘aldilà della letteratura e dell’arte’ e poiché la poesia è definita come ‘una potenza emancipatrice e annunciatrice’”,15 un poema surrealista non è poesia nel senso comune e condiviso del termine (come afferma Julien Gracq, per i surrealisti “la poesia non è infatti creazione, bensì disvelamento, rottura d’una crosta d’opacità”).16 Le questioni poste in discussione, rapprese attorno al nodo del rinnovamento dell’esercizio poetico e filtrate attraverso la preziosa ‘scuola’ del “Politecnico”, furono determinanti nell’indirizzare Bortolotti verso le poetiche surrealiste e, nella fattispecie, verso la poesia di Éluard. Innanzitutto ai fini della definizione di quella identità dell’artista, e del mestiere del musicista, cui Bortolotti ha da sempre allineato la propria condotta: intendo dire che la posizione del maestro non mi è parsa mai rinunciataria - egli non ha mai volutamente declinato le proprie responsabilità di compositore -; ostinatamente si è riconosciuta e offerta come tale, ponendo di volta in volta problemi di linguaggio e di scrittura in una forma interrogativa, certo, disincantata, non di rado lacerata, ma mai negandosi la possibilità di esistere e di sfiorare il senso ultimo delle cose. L’incontro con la poesia, la sistematica ricerca di un contatto con il mondo extra-sonoro, con l’extra-musicale ha finito per ancorare la musica di Bortolotti al reale; ha contribuito a caricarne il profilo di quella particolare umanità del comporre cui forse la sola sostanza musicale, così volatile e caduca, non le avrebbe concesso di pervenire; infine, le ha dato il conforto di sentirsi parte di un progetto più vasto ed ambizioso, risultante dalla sommatoria dei tanti, pure infinitesimi, gesti dotati della medesima carica eversiva. La mia indagine sulle 4 Poesie di Paul Éluard parte dunque da questo assunto, dalla tensione che precocemente la produzione compositiva di Bortolotti esibisce verso l’altro da sé, verso le suggestioni e le implicazioni molteplici della poesia surreaIista 14 15 16 Ivi, p. 6. Ivi, pp. 6-7. JULIEN GRACQ, André Breton, quelques aspects de l’écrivain, Paris, Corti, 1948, cit. in MARGONI, Introduzione cit., p. 7. 28 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 29 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI di Éluard, a sua volta altro da sé per scelta ideologica, cosicché da questa equazione di ‘alterità’ (poesia e musica come disvelamento di un aldilà rispetto alla letteratura e all’arte) nasce il senso di una lettura diversa, la necessità di rivedere le modalità di accostamento e di fruizione della poesia come gesto non convenzionale e rivoluzionario. Una piccola riflessione merita innanzitutto l’intitolazione di queste quattro liriche: la partitura a stampa recita 4 Poesie di Paul Éluard e afferma così una relazione diretta e immediata, direi sostanziale, con la materia poetica originaria al punto da catturare all’interno del titolo dell’opera non gli incipit delle liriche scelte (questi compaiono, poco oltre, nella ripartizione interna dei singoli brani, rispettivamente Sur les pentes inférieures, da “Nous Sommes” (frammento), da “Egolios”(frammenti), En Chili), bensì il nome stesso del poeta, pronunciando così senza alcuna reticenza una vera e propria dichiarazione di appartenenza. Le prime due liriche sono entrambe dell’aprile 1959 ed appaiono realmente gemelle o, per meglio dire, complementari l’una dell’altra.17 Il carattere di effettiva omogeneità stilistica risiede non soltanto nell’impianto cameristico (la voce accompagnata dal clarinetto e dal cello) e nel codice seriale impiegato, ma anche nell’estrema chiarezza e rarefazione del disegno complessivo (vi si intravede ancora una tappa nel ricco capitolo della ricezione weberniana nel secondo dopoguerra).18 Es. 1 17 Le due composizioni furono eseguite nel maggio del ‘59, presso l’American Academy of Rome, nel corso di un concerto organizzato in collaborazione con la sezione italiana della SIMC (Società Internazionale per la Musica Contemporanea). 18 Cfr. GIANMARIO BORIO, L’immagine “seriale” di Webern, in L’esperienza musicale. Teoria e storia della ricezione, a cura di Gianmario Borio e Michela Garda,Torino, EDT, 1989, pp.185-203. 29 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 30 DANIELA TORTORA Mauro Bortolotti, Sur les pentes inférieures, p.1 C’è un’intenzione di tipo figurale nella disposizione dei segni, nella distribuzione degli aggregati e nel dosaggio delle simmetrie, che tenta in sostanza di dare trasparenza alla pagina scritta, di non soffocare le singole frasi circolanti liberamente tra gli strumenti e la voce, di non ispessire il tessuto sonoro della composizione quanto piuttosto di diradarlo per lasciarlo risuonare e svanire congiuntamente all’analoga dissoluzione del suono, ora nel disfacimento in pianissimo (con le tre ppp) dell’una, ora nel sostenuto “crescendo molto” dell’altra. L’intenzione a me pare sostanzialmente la stessa: una volta centrato il nucleo concettuale del poema, se ne affida l’intonazione ad un andamento musicale essenziale e lineare, volutamente in disparte e frammentario, sprovvisto di alcunché di tematico, salvo le ricorrenze della serie ed una certa insistenza su talune soluzioni ritmiche (la figura puntata, i gruppi irregolari di tre e cinque suoni, l’andamento in levare delle singole frasi). La condotta contrappuntistica, la disposizione squisitamente orizzontale delle parti allineano il trattamento degli strumenti alla scrittura vocale (non v’è traccia di alcun modulo di accompagnamento, semmai talvolta si nota la semplice punteggiatura della linea vocale); d’altro canto, il profilo della 30 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 31 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI melodia - il riferimento è alla parte vocale - pare risuonare negli interventi liminari degli strumenti, incontrarvi nient’altro che un luogo di risonanza, e così eludere sistematicamente qualsiasi contrapposizione. Il trattamento sillabico della voce è un altro elemento di continuità tra le due liriche: nel Sur les pentes inférieures si assiste ad una caduta verso il basso (come interpretare altrimenti il continuo scivolare dall’acuto al grave che accomuna l’intervallistica adottata dalla voce a quella degli strumenti, mentre le rare figure ascendenti appaiono come soluzioni un po’ di maniera destinate a dare maggiore slancio alla caduta?), cosicché la tinta pervadente l’intera composizione è scura e cupa, appena lacerata da qualche fugace bagliore nella regione acuta; la solerte animazione che spicca nel frammento da “Nous sommes” (si vedano l’indicazione agogica “Quasi vivo”, accompagnata da quella metronomica della croma a 108, la distribuzione dei crescendo e l’incedere frequente del “forte” e del “fortissimo”) si manifesta perlopiù all’interno dell’ambito prescelto sin dall’inizio della composizione, senza scarti particolari di registro. Insisto tuttavia nel dire che la disposizione del musicista è la medesima e si riflette, tra l’altro, nel differente aggiustamento testuale operato in questa circostanza. Il musicista legge le poesie con la sua musica (quasi un dirle altrimenti): nell’un caso, opta per un’adozione integrale del testo, dal momento che quel nucleo di opacità e di pesantezza terrestre è diffuso ovunque nei versi della lirica originale e si precisa proprio mediante l’aggiungersi insistito delle immagini;19 nell’altro, penetra nel cuore della poesia e vi si identifica al punto da spingerlo ad un eloquio in prima persona (chi è il poeta? e chi è il musico? l’intera pagina iniziale della composizione indugia a lungo nella incerta pronuncia del “Je” sino al caricatissimo “crescendo assai” conclusivo), sostituendo il “Je vois” al “Tu vois” di Éluard e intonando i pochi versi che compendiano il clima ardente ed emozionato dell’intero poème: Je vois des hommes vrais Sensibles bons utiles Rejeter un fardeau Plus mince que la mort Et dormir de joie Au bruit du soleil.20 “Aussi bas que le silence/ D’un mort planté dans la terre/ Rien que ténèbres en tête// Aussi monotone et sourd/ Que l’automne dans la mare! Couverte de honte mate! Le poison veuf de sa fleur/ Et de ses bêtes dorées/ Crache sa nuit sur les hommes.” (Sur les pentes inférieures da Poésie et verité (1942), in ÉLUARD, Poesie cit., pp. 346-347). 20 Nous sommes da Chanson complète (1939), ivi, pp. 278-28l. 19 31 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 32 DANIELA TORTORA Un intervallo di undici anni trascorre tra le due liriche citate e la terza, da “Egolios” (frammenti), datata 1970 e dedicata “a Leda”, la moglie del compositore. Un intervallo pieno di eventi e colmo di musica, anche vocale - direi soprattutto vocale, dal momento che le composizioni per voce [e strumenti] di Bortolotti costituiscono le tappe essenziali per comprendere alcuni importanti mutamenti di indirizzo della sua musica. Sono rispettivamente del 1963 e del 1964 i due Studi per E. E. Cummings n. l e n. 2, nati in successione contigua dall’esaltante incontro con Cummings e con il suo impiego spregiudicatamente ‘aperto’ della scrittura poetica, anche negli aspetti puramente grafici di segno/figura (soltanto il primo dei due Studi è per voce di soprano e cinque esecutori, mentre il secondo è una composizione per undici strumenti), e del 1965 il Contre 2, vocalizzo per soprano e cinque strumenti ove Bortolotti preferisce optare per la parola [poetica] assente e declinare un vasto campionario di suoni e fonemi (in un certo senso lo Studio n. l può essere considerato uno stadio transitorio, un passaggio preparatorio verso il Contre), nato non dalle suggetioni della parola poetica bensì dalla straordinaria versatilità esecutiva dell’interprete, la cantante giapponese Michiko Hirayama, attorno alla quale il brano prese forma.21 Circa una decina di anni più tardi, grosso modo a metà strada tra la terza e la quarta lirica di Éluard, si situa Sine nomine ove la voce femminile, corteggiata da flauto, trombone, violoncello e alcune percussioni, diviene a sua volta percussione per farsi inghiottire (o per inghiottire [?]) la restante compagine strumentale. C’è un senso accorato del tempo in Egolios, del tempo come memoria e del tempo come prefigurazione, come istante dell’oggi in continuo divenire; c’è quel senso della pienezza vitale diffuso tra le cose, negli spazi interni e a ridosso delle creature del mondo, così come nella mancanza che ne è il rovescio -, nell’ assenza di colori e di sentimenti (quel “point insensible”, privato di qualsivoglia segreto, di cui ci dice Éluard). La folla dei verbi coniugati al futuro (“tu dormiras”, “tu seras”, “tu prendras”), è cadenzata dai periodici ritorni dell’incipit testuale della lirica, quel “entends 21 Bortolotti ricorda di aver chiesto sul finire degli anni Sessanta ad Alfredo Giuliani un aiuto per la revisione della parte testuale del Contre 2, revisione peraltro poi non realizzata (cfr. MAURO BORTOLOTTI, Musica e poesia, in Chi l’avrebbe detto. Arte, poesia e letteratura per Alfredo Giuliani, a cura di Corrado Bologna, Paola Montefoschi e Massimo Vetta, Milano, Feltrinelli, 1994, pp.57-60:58. Più di recente il musicista ha ripercorso la genesi del Contre 2 nel corso di un incontro internazionale di studi sulla vocalità, cfr. MAURO BORTOLOTTI, Correvano gli anni Cinquanta: le ricordanze, le collaborazioni, in Voce come soffio, voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, a cura di Daniela Tortora, in corso di stampa. 32 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 33 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI encore la voix”, cosi evocativo e solo nella distribuzione dei versi (1//2//1//2 e cosi via), a sua volta interrotto dall’inserimento di profonde cesure (gli asterischi che separano i tre blocchi successivi della lirica mi appaiono come segni del trascorrere del tempo e rispondere al bisogno di spaziare/allontanare, anche sulla pagina scritta, i pensieri e le immagini). Il musicista aderisce alla sostanza poetica di Egolios; sovrappone alle tensioni linguistiche e versificatorie del poème le proprie esigenze attuali e vi ritaglia se stesso, il suo vissuto, la sua idea di una lettura/rilettura che dia senso alla musica proprio attraverso un’operazione di lacerazione del testo originario. Così il verso si spezza, la parola s’interrompe, il senso comincia a girare a vuoto su se stesso negli spazi senza tempo della pagina musicale: la poesia viene riscritta e assume una forma nuova, più agile, ma soprattutto mirata alla contemplazione del tempo, un tempo innamorato e perduto. Mi pare significativo porre a confronto le due versioni del poème, quella originaria (ove sottolineo i frammenti estrapolati) e quella ri-scritta da Bortolotti all’interno della sua lirica per voce clarinetto e violoncello: Éluard Éluard-Bortolotti J’entends encore la voix J’entends encore la voix C’est là que tu aimeras Toujours toujours toujours C’est là que tu aimeras Toujours toujours toujours Avoue tu n’ avrais pas prévu cette minute Qui va t’ éterniser Tu ne parviendras plus à t’échapper tu rêves Pense donc si tu peux à un temps sans amour Et la forêt sera ton ombre J’entends encore [les étoiles] Explique si tu peux pourquoi c’est ce visage Et non un autre qui s’ arrête devant toi sommeil Jusqu’au point insensible Tu ne dormiras plus qu’en un autre les étoiles *** J’entends encore la voix Jusqu’à l’ absence sojuhaitée de tout secret. Tu seras comme un fou [...] Comme un fossé dans le désert Aime aime Et tu te sentiras devenir comme un chêne J’entends encore la voix 33 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 34 DANIELA TORTORA Et la forêt sera ton ombre Les oiseaux les étoiles se poseront sur la tête Tu ne dormiras plus qu’ en un autre sommeil Et des yeux sans sommeil veilleront dans les ... Tu seras comme un fou à l’ idée du bonheur Tu prendras dans tes bras les branches du soleil *** J’entends maintenant la voix Tout ce qu’elle n’a par dit Tout ce que je n’ai pu supposer soupçonner J’ entends autour de mai la ronde du silence Tu seras comme un fou à l’ idée du malheur Comme un fossé dans le désert Comme un malade abandonné Parce qu’ il a trop espéré Il t’arrivera peut-être d’ être comme un mort Vivant tu connaîtras la digestion des vers Jusqu’au point insensible Jusqu’a absence souhaitée de tout secret.22 Una piccola legenda posta a piè di pagina segnala le novità della scrittura sia per ciò che concerne la voce (in particolare, l’impiego del parlato e della Sprechstimme), sia per quanto riguarda gli strumenti, ivi inclusa la voce (l’impiego dei quarti di tono, dei suoni distorti, etc.). La scrittura musicale di questo brano appartiene ad una stagione assai distante rispetto a quella dei due precedenti: a partire dall’indicazione iniziale “Libero a piacere”, e abolite definitivamente le barre di misura e qualsivoglia frazione in cima al rigo, i grappoli di suoni e segni vari si dispongono sulla pagina avvinghiati alle parole 22 La parte conclusiva del poema è in prosa: “il avait jusque-là vécu sans méchanceté. Il devint méchant. Quand il avait envie de pleurer, et il avait presque toujours envie de pleurer, il se sentait le premier venu, ridicule et absurde, lui qui était le dernier venu au chagrin motivé. Alors, il accablait ceux qui l’aimaient de colères et de perfidies. Il ne voulait pas être le moins aimé. Les hautes allées verdoyantes, ensoleillées, s’ étant à jamais évanouies, il lui fallut passer par des couloirs noirs et gluants.” (Égolios da Poèmes politiques (1948), in ÉLUARD, Poesie cit., pp.452-457:454,456). 34 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 35 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI in una maniera particolarissima e le parole non sono solo le indicazioni consuete a ridosso delle parti strumentali (“arco”,“pizz.”,“oltre pont.”, “(armonici) veloci e leggeri”,“soffia senza suono”), ma anche le tracce più o meno riconoscibili della lirica di Éluard lungo il bordo inferiore della parte vocale, all’interno del pentagramma riservato alla voce (sezionato in fonemi) e ancora nei righi rispettivi del clarinetto e del violoncello (si veda la parola “toujours” e l’intero verso “j’entends encore la voix”). Le parole diventano poi esse sole i suoni che articolano la composizione in quegli spazi, inclusi tra le barre tratteggiate sulla pagina scritta, ove si ha l’impressione di una voluta sospensione della scansione temporale: non vi è più nulla che possa misurare il tempo; il tempo si fa capace di girare su se stesso, di retrocedere con i lemmi (finanche le sillabe) divenuti meri relitti contemplativi (es. 2). Più in generale, l’impressione che si ricava da questa lirica così suggestiva è che gli strumenti siano volutamente relegati in disparte: messi da parte gli abiti tradizionali del mero sostegno/accompagnamento, e così pure quelli dell’andamento dialogante, gli strumenti qui aspirano a farsi parola, a dire parole o tracce di parole e a non disturbare il clima assorto dell’insieme, suggerito essenzialmente dalla voce. Se si esclude il disegno iniziale (la figura del clarinetto richiama alla mente le tante analoghe della lirica precedente), cui rinvia il grumo armonico che inaugura la terza pagina, la scrittura strumentale nella restante parte del brano risulta completamente polverizzata, ridotta a pura larva di sé (qualche soffio senza suono, un suono distorto, un accenno di tremolo, una sussurrata catena di armonici), con il parziale/totale azzeramento dell’idioma strumentale in quelle isole di sole parole che interrompono di tanto in tanto il flusso dell’ esercizio canoro sino al raggiungimento della chiusa, annunciata sotto voce “a tre”, sulle parole ben note dell’ incipit testuale. Es. 2 Mauro Bortolotti, da “Egolios” (frammenti), p. 2 35 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 36 DANIELA TORTORA Nel ‘78 i fatti del Cile, la morte di Allende e l’avvento della dittatura di Pinochet si imprimono nel lavoro del musicista e determinano la genesi di En Chili, la quarta e ultima delle liriche appartenenti al ciclo eluardiano. La carica protestataria, l’intento civile, la volontà di schierarsi a fianco del popolo cileno si traducono in un gesto energico e conclusivo: il ciclo delle 4 Poesie, rimasto aperto sino a quel momento, giunge così a compimento con questa lirica intrisa di passione politica. E l’omaggio stavolta si fa duplice, rivolto com’è alla vena più autentica della poesia eluardiana (l’affermazione di una nuova estetica per una effettiva liberazione dei popoli) e al Cile, sostituito alla Spagna del testo originario,23 cantata anch’essa a suo tempo per l’insostenibile sopravvivenza del regime fascista di Franco. Alla concetrazione e alla forza del testo poetico, qui utilizzato nella sua interezza, corrisponde una scrittura, e vocale e strumentale, reduce da tante esperienze e divenuta ormai disinibita e disinvoltamente accidentata ed omogenea: voci e strumenti sono una cosa sola, un cantare/suonare all’unisono che ben s’addice al rafforzamento dell’idea rivoluzionaria che sta al centro di questa lirica (quel grido insanguinato alla libertà che tingerà di purezza il vino dei popoli) e ne agita il groviglio inestricabile di suoni e parole. C’è un po’ di tutto ciò che è trascorso nelle liriche precedenti; c’è una grande libertà/varietà di movenze finalmente restituita agli strumenti accanto alla voce (violoncello e clarinetto aprono la composizione), c’è una particolare idea di forza, di lotta, di opposizione che s’incarna in un elemento graficamente nuovo rispetto alle Poesie precedenti: mi riferisco alle fasce nere orizzontali che alludono alla lunga tenuta dei singoli suoni (talvolta dei tremoli) e si situano in ciascuno dei tre pentagrammi ad indicare il tessuto compatto di cui è fatta questa musica, le sue trame spesse resistenti tenaci nella sofferenza e nella lotta per la libertà. Nel 1994 Bortolotti partecipa con un suo breve testo, intitolato Musica e poesia, ai festeggiamenti letterari organizzati per i sessant’anni di Alfredo Giuliani: la pubblicazione di un volume antologico costituisce l’occasione per il musicista di ripercorrere le tappe del proprio sodalizio artistico col poeta, dagli albori di una conoscenza avviatasi a Roma alla metà degli anni 23 ”S’il y a en Espagne un arbre teint de sang/ C’est l’ arbre de la liberté// S’il y a en Espagne une bouche bavarde/ Elle parle de liberté!// S’il y a en Espagne un verre de vin pur/ C’est le peuple qui le boira.” (En Espagne da Poèmes politiques, ivi, pp. 462-463). 36 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 37 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI Cinquanta - grazie alla mediazione dell’amico comune Franco Evangelisti-,24 sino alla elaborazione delle più recenti opere nate dalle suggestioni della sua scrittura poetica. Alle ragioni di un sentire comune, di una vicinanza ideologica e culturale, va aggiunto il fascino intenso esercitato dai suoi lavori e così commentato dal compositore: Via via che approfondivo il contatto con la poesia di Giuliani cresceva l’ammirazione per la lucida ironia con cui violentava la sintassi, e la sapienza con cui superava passati movimenti neocrepuscolari senza nostalgie, anzi, con la fredda determinazione e senza rinunciare al ritmo e alla musicalità del verso.25 Da questa annotazione si dipana la rassegna delle composizioni nate sui testi del poeta romano: Resurrezione dopo la pioggia (1966), per voce di tenore e pianoforte; “E tu?” nondramma in un atto e due intermezzi (anche parlati) senza finale (1970), un breve lavoro teatrale costruito su di un collage di testi vari di Giuliani (le brevi citazioni da Mallarmé e da Porta, presenti nella versione originaria, sono state poi eliminate); L’attesa ... Il professor PI (1980) per voce e nastro magnetico su frammenti tratti dal Professor PI ossia il fenomeno non è un fatto; Arioso per la scena III (1984), per basso e quartetto d’archi su Invetticoglia, “un testo difficilissimo per la violenta operazione sulla parola”; infine I pesci di vento (1991), uno “scherzo franco-ispano [...] di debussiana memoria” per voce femminile, flauto e pianoforte.26 L’interesse nei confronti delle musiche su testi di Giuliani è nato in forma di corollario attorno alle questioni emerse dalla lettura delle 4 Poesie di Paul Éluard e si giustifica in questa circostanza per un doppio ordine di ragioni: l’uno, eminentemente concettuale, sollecitato dalla chiusa stessa dello scritto-omaggio a Giuliani e riguardante la pubblicazione de I novissimi a cura del poeta, il testo-manifesto della nuova poesia italiana degli anni Sessanta, così importante per tutte le arti d’avanguardia nel nostro paese; l’altro, inerente alle prove citate e agli sviluppi circostanti della relazione poesia e musica nell’opera di Bortolotti. L’ipotesi di lavoro, sulla quale io credo sarà La relazione di amicizia e di arte tra Giuliani ed Evangelisti è stata felicemente ripercorsa dal poeta in una sua memoria per Franco Nonnis, pittore e amico di entrambi e più in generale di tutta la comunità romana dei musicisti d’avanguardia (cfr. ALFREDO GIULIANI, Per l’amico Franco; che gli altri, ossia tutti voi, lo scoprano, in Franco Nonnis pittore scenografo, a cura di Enrica Torelli Landini, Roma, Semar, 1991, pp. 7-8, anche in DANIELA TORTORA, Nuova Consonanza 1989-1994, Lucca, LIM, 1994, pp. 74-75). 25 BORTOLOTTI, Musica e poesia cit., pp. 57-58. 26 Ivi, p. 60. 24 37 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 38 DANIELA TORTORA necessario interrogarsi ancora in futuro, risiede nel convincimento attuale che l’incontro con la poesia di Giuliani abbia determinato, al termine di una lunga gestazione adiacente alle Poesie di Éluard, un particolare affinamento della sensibilità poetico-letteraria del musicista ed un graduale spostamento della scrittura verso le regioni contigue del teatro - di un teatro appena intravisto, appena immaginato, prefigurato -, dell’azione/personificazione della voce alla ricerca di quell’“in più” [...] che è nella poesia e che solo la musica e il canto sono in grado di far emergere”,27 stavolta attraverso un gesto di tipo retorico oltre che musicale. L’introduzione che Giuliani redige nel ‘61 per il volume antologico sui “novissimi” (i testi e le dichiarazioni di poetica sono di Elio Pagliarani, Antonio Porta, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, e Giuliani stesso) s’inaugura con una citazione leopardiana e fa leva da subito su due concetti essenziali, quello di verità e quello di contemporaneità della poesia: Scopo della “vera contemporanea poesia”, annotò Leopardi nel 1829, è di accrescere la vitalità; e, dopo questa osservazione disarmante, aggiungeva che a quei tempi raramente la poesia era capace di tanto. Noi, che non siamo classicisti e nemmeno crepuscolari, abbiamo della vitalità un concetto linguistico che cercheremo di spiegare. Senza dubbio, in ogni epoca la poesia non può essere “vera” se non è “contemporanea”; e se ci domandiamo: - a che cosa? - la risposta è una sola: al nostro sentimento della realtà, ovvero alla lingua che la realtà parla in noi con i suoi segni inconciliabili. Quell’accrescimento verrà da una apertura, da uno choc, che ci metta a portata di mano un accadere in cui possiamo ritrovarci.28 La necessità storica di un effettivo rinnovamento della poesia (al di là delle tendenze meramente contenutistiche tanto diffuse nella tradizione novecentesca italiana) si è coniugata con un insopprimibile desiderio di conoscenza, di lettura delle cose e del mondo: “Suppongo sia chiara in noi una vocazione a conoscere, leggibile in ciò che scriviamo e non presunta in ciò che proclamiamo di voler scrivere. Pensiamo che parlando di noi o d’ altro o di niente (de dreit nien), la poesia debba aprirci un varco: nel rispecchiare la realtà rispondere al nostro bisogno di attraversare lo specchio”.29 Il che equivale a tornare ad affermare i postulati di partenza, definendo in maniera puntuale i compiti e i mezzi della poesia [moderna]: Ibid. ALFREDO GIULIANI, in I novissimi. Poesie per gli anni ‘60 […], a cura di Alfredo Giuliani, Milano, Rusconi, 1961 (Torino, Enaudi, 20033, pp. 15-32), pp. XIII-XXXII: XIII. 29 Ivi, p. XIV. 27 28 38 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 39 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI [...] Ma la poesia esprime con tutta se stessa un modo di pensare e di sentire. Perché ci siamo tanto preoccupati del lessico, della sintassi, del metro e via dicendo? Perché se conveniamo che, in quanto “contemporanea”, la poesia agisce direttamente sulla vitalità del lettore, allora ciò che conta in primo luogo è la sua efficacia linguistica. Ciò che la poesia fa è precisamente il suo “contenuto”: se, poniamo, fa sospirare o annoia, la sua verità è, definitivamente, il sospiro o il tedio del lettore. E nei periodi di crisi il modo di fare coincide quasi interamente col significato.30 La consapevolezza di un’antica vis mitologica della poesia si scontra con la definitiva mercificazione della lingua nel mondo moderno e la messa a punto delle tecniche della cultura di massa: dal momento che non pare più proponibile né l’antico linguaggio contemplativo, né quello “argomentante” proprio della lirica italiana dal Leopardi in poi, la poesia contemporanea adotta “la discontinuità del processo immaginativo, l’asintattismo, la violenza operata sui segni [...]”,31 in virtù di un gesto che non ha bisogno di dirsi d’avanguardia, ma semplicemente si pone al centro di una precarietà più generale dell’esistere (la citazione è stavolta da Sanguineti). Su due aspetti della produzione dei “novissimi” si intrattiene ancora Giuliani e mi sembra qui opportuno segnalarli per la ricaduta che hanno avuto sulle questioni di ordine musicale:“una reale ‘riduzione dell’io’, quale produttore di significati, e una corrispondente versificazione priva di edonismo, libera da quella ambizione rituale che è propria della ormai degradata versificazione sillabica e dei suoi moderni camuffamenti” (la relazione esistente tra contenuto apparente e orientamento metrico abbracciato va al di là del dato scontato di superficie, poiché “il tono non solo fa la musica del discorso, ma ne determina l’operatività, il significato e così la riduzione dell’io dipende più dalla fantasia linguistica che dalla scelta ideologica”).32 Il tutto nella convinzione che l’effetto (lo scopo) della poesia - così si affermava in forma di memento nelle note introduttive di questa prefazione con il richiamo alla efficace espressione leopardiana - sia l’ accrescimento della vitalità nel lettore: Una poesia è vitale quando ci spinge oltre i propri inevitabili limiti, quando cioè le cose che hanno ispirato le sue parole ci inducono il senso di altre cose e di altre parole, provocando il nostro intervento; si deve poter profittare di una poesia come di un incontro un po’ fuori dell’ ordinario.33 30 31 32 33 Ivi, pp. XIV-XV. Ivi, pp. XVII-XVIII. Ivi, p. XIX Ibid. 39 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 40 DANIELA TORTORA Già sul finire degli anni Sessanta con “E tu?” nondramma in un atto e due intermezzi [...] Bortolotti si accosta alle problematiche del teatro musicale e lo fa a partire da testi vari di Giuliani (e altri autori); nel 1980, quasi dieci anni dopo, con L’attesa... Il Professor PI manifesta ancora una vaga inclinazione scenica, accanto a un pronunciato intento satirico - sono affermazioni dell’autore -, nella ricercata contrapposizione tra due differenti registri stilistici (la voce e il nastro magnetico) e nell’adozione, per ciò che riguarda la parte vocale, di un collage di fossili operistici, ora semplici parodie ora vere e proprie citazioni (dal recitativo settecentesco all’accenno verdiano), il tutto a partire dalla esilarante saga del Professor Pl ossia il fenomeno non è un fatto, una serie di cinque brevi testi del 1962.34 Con Invetticoglia del brevissimo ciclo Chi l’avrebbe detto (1964), sopravvissuto nella memoria del musicista per quasi vent’anni, lo spostamento verso una certa idea di teatro, almeno prefigurato, sembra non conoscere più alcuna incertezza e così la musica divenire il solo gesto capace di articolare, di districare la selva dell’improbabile turpiloquio, parole inesistenti, sia pure assonanti ed allusive, l’artificio necessario per accedere a quel mondo surreale (nel senso di iperreale, di più reale del reale), così felicemente disegnato dalla lirica di Giuliani. Sino al compimento di Arioso per la scena III: Invetticoglia sgrondone leucocitibondo, pellimbuto di farcime, la tua ficalessa sbagioca e tricchigna tuttadelicatura la minghiottona: ohi sottilezze cacumini torcilocchi presticerebrazioni, che ti strangosci palpando mollicume, arcipicchiando la voraciocca passitona, la tua dolcetta che allucchera divanissimamente il pruggiculo; cagoscia vizzosaggini il bàrlatro grattoso: la tua merlosa irabondaggine e vita 35 La declamazione del testo è affidata stavolta ad una voce di basso; la scrittura per voce e strumenti è tornata composta, ordinata in genere tra le barre di misura, pur con frequenti cambi della frazione in cima al rigo, oppure all’interno di più vaste campiture aperte 34 35 Cfr. ID., Povera Juliet e altre poesie, Milano, Feltrinelli, 1965, pp. 41-48. Ivi, p. 93. 40 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 41 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI Es. 3 Mauro Bortolotti, Arioso per la scena III, pp. 6-7 41 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 42 DANIELA TORTORA È possibile effettuare una segmentazione (riscrittura) del testo sulla base delle indicazioni agogiche e dei cambi di metro presenti nella partitura, che danno luogo ad un’articolazione dell’ Arioso in episodi successivi, allacciati da precisi vincoli di accento e di intonazione: Violento (sgradevole. Ironico) 6/8 9/8 - 6/8 6/8 Lento 4/4 Poco mosso sgrondone leucoci (i)ti leucocitibondo pellimbu (u) to di farcime la tua ua ficale s ssa calessa Sbagio m sbagio gioca etricchi tricchigna tuttadelicatura 6/8 Mosso 3/4 (parlato) Veloce Lento Mosso 4/4 Lento come barcarola 6/8 6/4 4/4 la minghiottona ghiottona ohi ohi sottilezze lezze cacumini torcilocchi presticerebrazioni [pre bra pre] che ti strangosci ngosci osci osci palpando mollicume mollicume palpando mollicume a arcipicchia (a) ndo la voraciocca passitona la tua dolcetta dolce (m) dolcetta che allucche allucchera divanissimamente divanissimamente 3/4 il pruggicu il pruggiculo cagoscia oscia vizzosaggini cagoscia vizzosaggini cagoscia il barlatro gr (r) grattoso la tua tua merlosa merlo oss merlo sa Deciso (in 2) 6/8 Calmo irabonda irabo (i )bonda irabonda aggg gi ira gini irabondaggini e vita e vi (i) irabo e vita I lemmi e i sintagmi (musicali) impiegati dalla voce e dagli archi appartengono a un idioma riconoscibile e collaudato, non esente persino da alcune palesi citazioni (valga per tutte l’accenno straussiano nel ritmo ternario di valzer a p. 29 della partitura a stampa).36 C’è un’intenzione scoperta di gioco e di 36 MAURO BORTOLOTTI, Arioso per la Scena III, per basso e quartetto d’archi, testo di Alfredo Giuliani, Roma, Edipan, 1985, n. ed. EP 7241. 42 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 43 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI finzione nella seriosità ricercata dello stile vocale, non di rado raccolto e meditabondo, oppure concitato ed ansioso; analogamente la parte degli archi è costruita attorno ad alcuni elementi ritornanti (i ruvidi accordi presi di tacco dell’incipit bartokiano, un vasto campionario di suoni-rumore - suoni distorti tremoli gettati glissati pizzicati -, l’esile melopea di terze (o seste) insistente ora sulle quartine di semicrome ora sulle meno agili quartine di crome), che conferiscono almeno a tratti un taglio tradizionale alla costruzione musicale, fatta di riprese, cesure, giustapposizioni di elementi a carattere contrastante. Per certi versi a me pare qui di assistere ad una inversione di ruoli tra la musica e la poesia, ovvero ad una lettura bizzarra e provocatoria operata/prefigurata in anticipo sui tempi di elaborazione, da parte del testo poetico, della pagina musicale, ove la distribuzione dell’idioma prescelto si fa esplosiva proprio a causa della sovraimpressione della lezione poetica. Nel frontespizio della partitura a stampa si legge non a caso quanto segue: il lavoro che per le difficoltà del testo particolarissimo nasce da una scommessa fatta con me stesso, chiede agli esecutori, ed al cantante in primis, una particolare attenzione al significato/suono della parola ed una notevole libertà inventiva nella interpretazione del testo musicale, tutt’altro che definitivo! È chiaro, perciò, che il parlato, i glissati, i tanti effetti di falsetto e umoristici vanno ben oltre le tante - e tuttavia insufficienti - indicazioni agogiche.37 ed è questo un modo per sottolineare la necessità di un coinvolgimento dell’interprete che dia alla partitura il senso di una cosa viva mediante l’aggiustamento sistematico del margine di ‘non finitezza’ contemplato dal compositore. Alcuni anni prima Bortolotti e Giuliani avevano partecipato ad una manifestazione promossa dal Comune di Genova e intitolata “Poesia in pubblico/ parole per musica”, nel corso della quale ai due artisti era toccato un esperimento di lettura /esecuzione estemporanea di propri testi e di altro genere di invenzioni poetico/musicali, da combinarsi in maniera perlopiù improvvisata. La riconquista di una dimensione orale, in grado di vivificare pratiche e legami ormai logorati, costituiva forse il passaggio obbligato per un sodalizio artistico così duraturo e multiforme: “è a questo punto [...] che abbiamo pensato all’improvvisazione; che ci siamo detti come la ricerca di possibili nuovi equilibri poteva passare per la fase dell’incontro - anche casuale, non accademico, non congelato in notazioni 37 Ibid., cit. anche in BORTOLOTTI, Musica e poesia cit., p. 59. 43 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 44 DANIELA TORTORA varie – tra il poeta che legge i propri versi ed il compositore che improvvisa liberamente”.38 D’altro canto è bene ricordare che la relazione con la parola poetica impregna di sé altre forme di espressione, tant’è che sempre nel 1984, l’anno dell’Arioso, nasce Musica per una scena - ancora una scena ed un teatro immaginario -, un trio per due violini e viola ove nel groviglio delle parti strumentali si nasconde il ricordo di uno dei testi più amati di Giuliani, Povera Juliet, tratto dalle Poesie di teatro del 1963: Al di là dei testi da me musicati, la poesia di Giuliani (e più in generale del Gruppo 63), oltre a un’inevitabile influenza per così dire culturale nel senso più ampio del termine - in quanto nata all’interno di ricerche analoghe a quelle compiute negli stessi anni da noi musicisti - mi ha offerto spesso motivi di suggestione anche per composizioni puramente strumentali, nelle quali risulta egualmente chiara l’allusione ad atmosfere suggerite dalla sua opera: parlo, tra l’altro, della Musica per una scena per trio d’archi, a lui dedicata, in cui come dicevo nelle poche righe di presentazione scritte per la copertina del disco:“...è ancora adombrata la figura di Juliet”.39 La tacita assenza in superficie, la mancanza di una traccia scritta, il raccogliersi della lezione poetica ai margini del ‘musicabile’, o comunque in zone meno usuali della composizione su testo poetico, alla ricerca di un contatto nuovo vivificato rigenerato, pare il tratto comune alle ultime esperienze segnalate e, a mio giudizio, un elemento importante per la comprensione dell’allargamento delle possibili evoluzioni cui è andata soggetta la relazione poesia/musica nel corso dell’attività più recente del compositore: le suggestioni offerte dalla multiforme poesia di Giuliani, unitamente all’allentamento dei vincoli e dei veti dettati dall’appartenenza ad una determinata scuola compositiva, hanno fatto sì che la dedizione giovanile, nata sull’onda della mera fascinazione poetica, divenisse col tempo un ambito consistente di ricerca linguistica e, unitamente, un luogo di ritrovamento di sé, della propria individualità, nonché di incontro con gli altri, poeti scrittori artisti ascoltatori accomunati, tutti, da una 38 39 ID., Testo cantato/Testo parlato cit., p. 162. ID., Musica e poesia cit., p. 59. La presentazione di Musica per una scena, inclusa nelle note di copertina dell’incisione discografica con l’esecuzione a cura del Trio di Como, recita in realtà nella seguente maniera interrogativa: “Il presente lavoro […], del 1984, nella sua varietà di atteggiamenti - cadenze, recitativi, brevi momenti di canto accompagnati da ampi arpeggi, accordi isolati e momenti di violenza sonora - oltre che come tentativo di dare vita e senso formale ad un materiale sonoro vario, potrebbe essere letto (da ciò il titolo!) come studio per una scena, come volontà di parafrasare una mutevole, seppure sintetica, situazione teatrale. Il finale “lento e sospiroso”, assai pausato - tra l’altro una autocitazione da un suo precedente lavoro - potrebbe, forse, adombrare la ‘dolce Ofelia’ o la ‘povera Juliet’?”. (ID., in note di copertina del disco PAN PRC S20-47 stereo, Edipan, 1987). 44 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 45 POESIA E MUSICA NELL’OPERA DI MAURO BORTOLOTTI medesima attrazione per la parola scritta, pensata o intonata. Nel saggio di esordio del suo volume antologico dedicato alla relazione tra poesia e musica Nino Pirrotta si soffermava sulla questione della musica al tempo di Dante e sulle evidenze musicali che la produzione dantesca esibisce; in particolare, nel riferirsi alla canzone dantesca e alla complessità concettuale che le è propria, sosteneva autocitandosi che “la profondità e l’intensità di pensieri e sentimenti affidati da Dante alla canzone, ancor prima che egli ne teorizzasse nel Convivio i vari livelli di interpretazione, favoriscono come alternativa all’esecuzione cantata non soltanto una recitazione parlata, ma il più puro e più spirituale di tutti i suoni, quello di una recitazione mentale da parte di un lettore ammirato e pensoso”.40 Mi piace allora constatare come in un’epoca ove definitivamente consumata appare la mitica unità di verso poetico e canto (mito e non finzione retorica, come suggerisce Pirrotta, nel “riconoscervi il ricordo trasfigurato di avvenimenti remoti o l’esaltazione fantasiosa di essenziali processi di natura”),41 dopo secoli di periodiche conciliazioni e di sciagurate fratture, poesia e musica siano riuscite a ritrovare un luogo d’incontro, divenendo l’una la possibile (forse l’unica) lettura dell’altra, ed il musicista quel “lettore ammirato e pensoso” in grado di dare voce alla propria “recitazione mentale”.42 È questo il senso che mi è parso di poter attribuire innanzitutto alle liriche per Éluard di Mauro Bortolotti e così a buona parte della sua produzione vocale: l’idea di comporre/ricomporre il destino delle poesie, divenute poi frammenti, cercando negli spazi rimasti nascosti, negli intervalli perduti, mediante la ricostruzione di alcuni minuti passaggi, di alcune locuzioni, di alcune singole parole, la pulsazione vera fondante del gesto poetico stesso. Questa musica per poesia che incontra le ragioni della propria esistenza non all’interno di rigide metodiche compositive, bensì nel farsi strumento di una possibile ricezione poetica alla ricerca del ‘non dicibile’, delle regioni solo prefigurate dalla parola, assegna le 4 Poesie di Paul Éluard e le più riuscite prove vocali del compositore ad una immaginaria ‘terza pratica’,43 annunciata in più d’una composizione del dopoguerra e forse non ancora del tutto estinta allo scadere del secondo millennio. NINO PIRROTTA, Poesia e musica, in Poesia e musica e altri saggi, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 1-11: 6-7 (il corsivo è mio). Ivi, p. 2. 42 Ibid. 43 La locuzione, di monteverdiana memoria, è stata coniata da Giovanni Morelli in riferimento alla produzione di Luigi Nono e al suggestivo intersecarsi di parola e suono nella sua produzione degli anni Ottanta (cfr. GIOVANNI MORELLI, Terza pratica: Nono e la relazione compositiva memoria/oblio, in Nono, a cura di Enzo Restagno,Torino, EDT, 1987, pp. 227-235). 40 41 45 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 46 Suoni nelle parole, parole nei suoni. Mauro Bortolotti e il testo in musica Francesco Rimoli 1. Una passione lontana Fin dalla Cantata per tenore e orchestra del 1955, basata su un testo di T. S. Eliot, Mauro Bortolotti ha scelto di fare del rapporto con la parola e con il testo una delle sue cifre stilistiche peculiari, seguendo un percorso che approda alle opere più recenti, da La vallée incommensurable per soprano, clarinetto e viola, del 2004, a Ou le silence, per voce recitante e orchestra, del 2006, passando per numerose altre opere, come le Quattro poesie di Paul Éluard per voce e strumenti, composte tra il 1959 e il 1978, i Cinque epigrammi di Marziale, per ottetto vocale, del 1979, e Nell’impoetico mondo, per soprano e strumenti, su testi di Sanguineti, scritto nel 1989. Parola cantata o recitata, ma spezzata, vocalizzata, frantumata talvolta fino all’irriconoscibilità, ovvero blandita, prolungata, vezzeggiata quasi dai suoni, comunque esaltata nel suo senso linguistico e nella sua emotività comunicativa. Ma, sempre, nella ricerca costante di una fusione fra le diverse dimensioni dell’espressione verbale: quella più strettamente fonetica, che si assimila più immediatamente all’esito musicale, in una possibile simbiosi con le voci strumentali; e quella semantica, che evoca significati nascosti, memorie di eventi, personali o collettivi, e, infine, di altre parole. Perché l’uso di un testo, in apparenza comodo ausilio per il compositore, costituisce invece una sfida in più: ché la parola detta tende assai facilmente a imporsi sulla musica, a ridurla a semplice sfondo, o, all’opposto, a nascondersi tra i suoni, a esserne emarginata, a perdere identità. E il compito dell’autore si fa dunque più arduo, nel perseguire un più incerto equilibrio, in un’alchimia delicata di pesi, rinvii, richiami, suggestioni, di suono e di senso: giacché la parola in musica, secondo una tradizione che affonda le sue radici in Palestrina e Monteverdi, o nei madrigalismi di Gesualdo, non può essere soltanto suono o soltanto logos, ma deve trovare una sintesi tra le due dimensioni, deve riuscire a essere qualcosa di più e, forse, di diverso. Qui sta l’abilità del compositore, 46 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 47 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA nell’estrarre dalla fusione di testo e musica non una mera sovrapposizione, una facile addizione di fattori semantici, ma una dimensione ‘altra’, in uno svelamento di ulteriori e celati esiti espressivi. E proprio sotto questo aspetto, Bortolotti ha saputo cogliere mirabilmente la necessità di questo provare, di un’inesausta e appassionata ricerca del senso profondo di un legame tra parola e suono, degli intimi riflessi che reciprocamente avvolgono l’espressione musicale e quella verbale, in ogni sua forma. Perché, in oltre cinquant’anni di attività, Bortolotti ha usato della parola in ogni sua forma: dalla poesia (di Alfredo Giuliani, cui il compositore è legato da una lunga amicizia, ma anche di Éluard, Scotellaro, Berryman, Cummings, Mallarmé, Sanguineti, Pecora, Rilke, Maraini, Penna, solo per dirne alcuni), al testo di prosa (di Leopardi, Mann, Moles), fino a estratti di decisioni giudiziarie (un estratto dalla sentenza sul disastro del Vajont in Grazie per essere venuti! Carnaval per trio e lettore, del 1970). E, come apparirà meglio oltre, ciò sembra rispondere a un’esigenza radicata e costante dell’autore, che trova nel confronto con il testo, di qualunque genere, un momento di fertile suggestione, un impulso a rinnovare, ogni volta, quell’esperienza creativa di simbiosi tra parola e suono che può rappresentare uno degli esiti più ambiti per chi scrive musica. E il rapporto con il testo non avrebbe potuto essere occasionale: pur avendo un ricco catalogo di composizioni esclusivamente strumentali, scritte per gli organici più disparati, dal piccolo ensemble da camera alla grande orchestra, Bortolotti pare trovare nel procedere semantico di un testo verbale una congenialità profonda al proprio comporre: un’affinità discorsiva, anzitutto, liberamente espressiva e felicemente immune da quegli ingabbiamenti strutturalistici che hanno caratterizzato tanta musica del secondo Novecento, fatta dell’inflessibile ma grigia coerenza di meccanismi inesorabili. Non è infatti un caso che, anche nella scelta dei testi, emerga una concezione del rapporto tra parola e musica che avvicina, proprio secondo la lezione di Abraham Moles puntualmente ripresa e inserita nell’opera musicale, le due forme espressive nel medium della poesia: “in effetti, la poesia è ai confini tra la parola e il canto, e il suo campo d’azione viene definito da una dialettica d’opposizione tra forma e significato” (in Grazie per essere venuti!, 1970). Ma la parola, che è testo nella sua valenza anzitutto semantica, si innerva nel contesto della composizione talora in forma dialettica, separandosi dal profilo musicale, e ad esso contrapponendosi come percorso di lettura/ recitazione (è il caso del lavoro appena citato, o di altri più recenti, come Ou le silence, del 2004), 47 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 48 FRANCESCO RIMOLI ovvero fondendosi in una percezione sinestetica di più stretta impronta lirico-espressiva (come, tra molti, in Grandes misterios habitam, per soprano e orchestra, del 1992, o nel più intimista La vallée incommensurable, del 2004), e assume così la sua dimensione più concretamente e compiutamente pragmatica, non celata, ma evidenziata dal tessuto musicale in cui si discioglie.Talvolta, Bortolotti ricorre ad ambedue le forme nel medesimo contesto, alternando passi recitati ad altri cantati (è il caso del Monologo di Goethe, per soprano, voce recitante e dieci strumenti, del 1994, o della Nuvola in calzoni, per voce recitante, soprano e sette strumenti, episodio da Io, Majakovskij, melologo scritto da più autori, dello stesso anno): tanta affezione per l’uso della parola svela dunque qualcosa in più dell’autore, e merita un più attento esame. 2. Uno strumento, tanti strumenti Perché un testo fatto di parole consente, certo, di disporre di un’ulteriore, complessa gamma di sfumature espressive, ma impone anche di affrontare la sfida di cui si è detto: se si tratta di poesia o di prosa, c’è anzitutto la scelta dell’autore, con cui il musicista instaura un rapporto estremamente sottile, un dialogo profondo, fatto di affinità e di attrazione, ma anche, talora, di qualche timore reverenziale. Quando poi il testo non è di origine letteraria, la scommessa è ancora maggiore: la provocazione dell’estraniazione, infatti, non regge, se il compositore non riesce a dare un senso complessivo all’opera, ossia se ciò che è diverso resta tale. Ma nel procedere di Bortolotti un tale pericolo è sempre scongiurato, alla luce di un innato senso della misura, dell’equilibrio complessivo della composizione: così, in Grazie per essere venuti!, anche negli accostamenti più coraggiosi (l’estratto dalla sentenza sul disastro del Vajont), il gioco del recitato (o meglio, in questo caso, del letto, “molto freddamente” secondo la didascalia) evita ogni ingenuità, ogni pesantezza, e il trascolorare del testo da una prosa romantica (le due lettere di Leopardi), al passo di un semiologo da leggere con tono “scientifico” (la già citata pagina dell’Analisi delle strutture del messaggio poetico di Moles),1 al conclusivo inserimento dell’algido linguaggio giudiziario, crea un progressivo senso di alienazione, 1 Cfr. ABRAHAM MOLES, Analisi delle strutture del messaggio poetico ai differenti livelli di sensibilità. L’aspetto informazionale dei problemi di una poetica, “Il Verri”, aprile 1964, n. 14, pp. 3-21. 48 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 49 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA dal Sé e dalla dimensione poetica dell’esistenza, che costruisce un percorso coerente, in cui lo stesso inserto ‘estraneo’ del passo della sentenza, preparando l’amaro sberleffo che conclude e dà titolo all’opera, detto “vivacemente” dal lettore, dà infine la misura di un’altra delle dimensioni care a Bortolotti e al suo stile espressivo, quella dell’ironia. E qui un’altra considerazione si lega a quelle che precedono: ancora una volta, l’uso di un testo ben scelto permette, spesso, di chiarire contenuti che sono già presenti, ma in forma più velata, nelle intenzioni e, a volte, nello stesso tessuto musicale del compositore. L’ironia, nel suo senso più alto, è infatti spesso presente nelle composizioni strumentali di Bortolotti: un esempio per tutti nel piccolo ma prezioso Ragtime, scritto in diverse versioni tra il 1984 e il 1985. Ma, ancora una volta, l’uso del testo consente all’autore di esprimere tale dimensione con maggior profondità, sfruttando i molti piani semantici del riferimento letterario, del potenziale evocativo di sonorità raffinate, strumentali o anche soltanto vocali: così i già citati Cinque epigrammi di Marziale, per ottetto vocale, denotano un sentire ironico inteso come una personale Entzauberung, come un ‘disincanto’ della realtà, che tuttavia non scivola mai nel cinismo, rimanendo piuttosto alle soglie della razionalità, dell’intelletto, senza negare una profonda passione (e com-passione, in senso etimologico) verso il destino dell’esistenza umana. E all’ironia si aggiunge, talvolta, la dissacrante e provocatoria funzione dello scurrile, del richiamo a un erotismo sfacciato, quasi goliardico: così un mordace e impudico testo di Alfredo Giuliani anima l’Arioso per la scena III, per basso e quartetto d’archi, scritto nel 1984, con espliciti riferimenti a una sessualità istintiva e vorace, e con un gioco continuo di raffinate elaborazioni verbali su parole normalmente ritenute triviali, che ben riesce a fondere i livelli del colto e del volgare, in maniera sperimentale ma assai concreta. Operazione poetica riuscita, che Bortolotti abilmente utilizza per un pezzo “violento (sgradevole, ironico)” (secondo la didascalia iniziale), tutto svolto sulla falsariga di un’aggressività autoironica, a tratti caricaturale, ma perfettamente amalgamata con lo spirito sottile del testo, e con l’eco non sopita di uno sperimentalismo già consapevolmente lontano, ma mai abbandonato nel suo senso più profondo, nella sua ansia di ricerca. Ansia che resta comunque alla base del comporre dell’autore: l’esperienza dell’avanguardia, dal periodo di Darmstadt alle innovazioni degli anni Sessanta, dalle collaborazioni con il CNUCE di Pisa alla fondazione di “Nuova Consonanza”, costituisce la cifra essenziale di un procedere 49 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 50 FRANCESCO RIMOLI compositivo che, pur alieno dagli eccessi matematizzanti di un rigido strutturalismo, persegue sempre una via di ricerca nell’impiego del materiale sonoro, nell’esplorazione delle possibilità anche estreme del potenziale strumentale e vocale, talvolta nell’esasperazione (anche grafica) del segno espressivo. L’impronta di quella fase, di un periodo tanto ricco di suggestioni e stimoli, quanto destinato a rappresentare un momento di esaltante benché obsolescente eccessività sia nella storia personale dell’autore sia in quella dell’avanguardia italiana, resta però, nella produzione successiva di Bortolotti, e ancora nei suoi lavori più recenti, come qualcosa in più di una memoria; piuttosto, ne segna l’intima natura, ne anima tuttora il sentire e lo stile. Accantonata cioè la sperimentazione che si fa sperimentalismo, il compositore recupera un più lirico inclinarsi alla meditazione, con una libertà linguistica che fa tesoro di quelle esperienze di ricerca, ma rammemora anche la profonda conoscenza del repertorio classico, e, per quanto riguarda la vocalità, della lezione del melodramma, del Lied romantico e, talvolta, addirittura del contrappunto rinascimentale.Tale ampiezza di mezzi serve dunque a tessere trame sonore che non sono mai fondate su una sola dimensione strutturale: l’alternarsi di una vocalità varia, dal canto, basato su cellule ritmicomelodiche che rinviano ad altre cellule armoniche nel tessuto strumentale, al parlato, allo Sprechgesang, all’agìto gestuale (che introduce anche, auspicando la massima complicità dell’esecutore, un minimo di coreografia nell’esecuzione), il ventaglio espressivo risulta estremamente vario. Ciò consente a Bortolotti, limitandoci alle composizioni su testo, un’aderenza estrema non tanto (non solo) alle intenzioni proprie dell’autore del testo – ché non è soltanto questa la volontà del compositore – ma a quel punto di incontro, a quell’idem sentire che il compositore sa di aver raggiunto, dopo lungo cercare, con quel testo e quell’autore. Non è casuale, ovviamente, che proprio certi testi siano stati scelti, che proprio certi versi aprano la composizione: così, Nell’impoetico mondo, scritto nel 1989, per soprano e strumenti, usa parole di Edoardo Sanguineti che diventano anche di Mauro Bortolotti (“Sono con te, poeta/ Nell’impoetico mondo/ muore, poeta assassinato, muore la nostra preistoria”, e, più avanti, “sono con te, nel cuore e nelle viscere, che mi ritorni come fratello infelice”), il quale le riveste di suoni che ne accompagnano egregiamente la trattenuta e dolorosa apparizione (un trombone con sordina, in ppp, che disegna un lentissimo cromatismo 50 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 51 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA discendente, specularmente inverso al movimento, ugualmente lento e cromatico ascendente, affidato alla voce del soprano): Es. 1 Mauro Bortolotti, Nell’impoetico mondo, pp. 1-2 è ancora la ricerca di una piena fusione, musicale e spirituale, con il poeta, tramite un testo fatto di parole, un logos comune che ne media l’unione. 3. Da molte lingue, in un solo linguaggio E dunque, un altro profilo da considerare è l’impiego di un linguaggio fatto anzitutto di musica, ma anche di numerosi idiomi: dal latino dei Cinque epigrammi, al francese di Éluard, al portoghese di Pessoa (Grandes misterios habitam, del 1992, per soprano e orchestra), all’inglese di Berryman (Room 231: Something Black, per soprano e quartetto d’archi, del 1980), fino, ovviamente, all’italiano dei poeti già menzionati, e addirittura al vernacolo ternano (Trittico, su testi di Giuseppe Manini, per baritono e quattro strumenti, scritto nel 2005), con una scelta che è omaggio alle proprie radici, ma anche ulteriore dimostrazione della versatilità di un autore che ha sempre operato senza pregiudizi, e nel superamento di ogni convenzionalismo. 51 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 52 FRANCESCO RIMOLI Ciò che piuttosto sembra interessare a Bortolotti è, oltre al significato semantico del testo, l’esplorazione della ricchezza fonetica delle diverse lingue, cui la tessitura musicale aderisce in modo attento, cercando sempre di evidenziare, quasi ricordando la saussuriana distinzione tra parole e langue, l’intima valenza evocativa del primo termine, di ciascuna parola pensata, detta, cantata, recitata, o semplicemente ricordata, accanto al più ampio e razionale fluire del discorso, della sintassi verbale e musicale. E qui, ancora, l’esperienza dell’avanguardia storica ha lasciato in eredità al compositore umbro una padronanza di stilemi espressivi assolutamente consistente e preziosa, che gli consente di cogliere ambedue le dimensioni, parola e discorso, tramite un tessuto sonoro in cui il vocabolo verbale e quello strumentale si embricano reciprocamente, ciascuno svelando dell’altro implicazioni e potenzialità che, altrimenti, sarebbero rimaste celate; non mera somma di segni, dunque, ma qualcosa di nuovo, che si genera dalla fusione delle due dimensioni espressive, sia in senso sincronico (il singolo evento sonoro, la nota, il fonema, l’accordo, talora il rumore o il gesto espressivo), sia diacronico (il discorso, musicale e poetico). E proprio per quest’ultima dimensione, quella discorsiva, si rivela appieno l’intima coerenza dello stile complessivo di Bortolotti, rispetto alla sua sensibilità e alle sue intenzioni: svincolato, come detto, dalle costrittive gabbie di troppo angusti strutturalismi, l’autore può modulare l’intero suo procedere secondo un piano duttile, sempre cangiante, in un caleidoscopio di suggestioni, ispirato, nell’ambito della produzione che qui ci interessa, dal rapporto costante con il testo, come da una propria, interiore costruzione di senso, e con una coerenza garantita, sul piano musicale, dall’impiego di cellule armoniche omogenee e strutturanti, nuclei accordali portanti che, comunque, rendono la composizione solida e coesa. A tale versatilità concorre anche la varietà degli organici strumentali utilizzati: dallo strumento solo, in funzione di interlocutore (L’alba scivolando, per baritono e pianoforte, su testi di N. Cossu, del 1972; I carry, per voce e chitarra, su testi di E. E. Cummings, del 1977; le Due poesie di Pasolini, del 1981, ancora per baritono e pianoforte, solo per citare alcuni esempi), al piccolo ensemble cameristico (i già citati Room 231: Something black, e Arioso per la scena III, o Da Carlotta a Weimar: monologo di Goethe, per voce recitante, soprano e dieci strumenti, su testi di Th. Mann, scritto nel 1995), all’orchestra, come nel recente Ou le silence, su testi di Rilke, scritto nel 2006 (di cui si dirà oltre), senza escludere il possibile intervento di un nastro magnetico con suoni 52 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 53 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA sintetizzati (L’attesa…Il professor PI, su testi di Alfredo Giuliani, del 1980) o di un computer (Mottetto, del 1971, frutto della collaborazione con il CNUCE di Pisa).Tanta ricchezza di scelte rende ragione di uno spirito di ricerca inesausto, di una reale capacità di rimettere in continua discussione il proprio stile, di una maestria ‘artigianale’ tutt’altro che comune: in un contesto nel quale, per consapevole (e realistica) scelta, non ci sono punti di riferimento obbligati, né tanto meno esclusivi. La lezione originaria di Petrassi, certo, ispira le prime composizioni; l’esperienza di Darmstadt, o della prima fase di “Nuova Consonanza”, vissuta con preziosi compagni di avventura ormai scomparsi, come Franco Evangelisti o Domenico Guaccero, altrettanto, anima la spinta alla sperimentazione, il coraggio di giocare con gli strumenti, con le voci, e anche con i testi, esplorandone (e talora esasperandone) le possibilità; ma l’equilibrio della maturità è raggiunto mediante una complessa alchimia di fattori espressivi e di stile, che si sostanzia, oltre che nell’uso dei mezzi citati, anche in un lirismo profondo, ancora una volta del tutto alieno dalle involuzioni semplicistiche di un neoromanticismo à la page, e piuttosto praticato nel suo significato più intimo, in una Stimmung che recupera il senso esistenziale di una temperie e di una sensibilità romantiche, che mai scadono in facili imitazioni formali, né tanto meno in ammiccanti e tranquillizzanti ricette new age, totalmente estranee alla formazione e alla cultura di Bortolotti, orientato piuttosto verso esiti postespressionisti. Il che non significa però una forma di snobismo: in realtà, il complesso stile del compositore umbro tende piuttosto a fondere, sia nella scelta del linguaggio musicale, sia in quella dei testi, dimensioni apparentemente diverse, non disdegnando affatto di impiegare, accanto ai modi della cultura ‘alta’, anche elementi di un sentire più ‘popolare’, pensati come aspetto del vivere concreto, quotidiano, e della pragmaticità (talora della prosaicità) dell’esistenza. Così, il latino non è quello aulico, ma quello di Marziale, degli epigrammi, graffiante e concreto, ancorato all’immediatezza dei rapporti umani (“Mentitur qui te vitiosum, Zoile, dicit: non vitiosus homo es, Zoile, sed vitium”:2 episodio particolarmente felice sul piano musicale, giocato su un vocalizzo continuo e rapido, ancora una volta “con ironia”, e con sottili sfumature di intonazione per quarti di tono, lasciate alla scelta degli esecutori); 2 MARCO VALERIO MARZIALE, Epigrammaton libri, lib.XI, Ep.XCII (Epigrammi, a cura di G. Norcio,Torino, UTET, 1991, p. 732). 53 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 54 FRANCESCO RIMOLI Es. 2 Mauro Bortolotti, 5 Epigrammi di Marziale, p. 9 così, ancora, all’intenso lirismo e all’impegno civile dei testi di Sanguineti (“Questa tua vecchia Italia è una tetra rovina/ se è ignara già del suo passato”),3 si affianca la scelta della poesia vernacolare, misurata anch’essa su contenuti di impegno civile, ma altresì di schietta quotidianità, o infine la 3 EDOARDO SANGUINETI, Le ceneri di Pasolini (1979), in ID., Stracciafoglio. Poesie 1977-79, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 117-120. 54 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 55 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA già citata, sublime oscenità del testo di Giuliani, in un continuum linguistico che consente di percorrere le più diverse sfumature della comunicazione. 4. Ora, da allora E l’urgenza di comunicare, di esprimere contenuti determina, talvolta, anche la scelta della lingua: così, nel già citato Ou le silence, studio per le Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke, scritto nel 2004 per voce e quattro strumenti, e rielaborato nel 2006 in una versione orchestrale, Bortolotti opta per un testo recitato (sebbene sia in corso di elaborazione una versione con una parte affidata al soprano) e per una traduzione italiana del medesimo (quella, egregia, di Franco Rella), quasi a voler rendere con la massima immediatezza l’intensa, struggente e talora lacerante pienezza espressiva della poesia di Rilke, che fa dell’enigmatico splendore degli angeli una metafora del mistero tremendo della morte (“Se pur gridassi, chi m’udrebbe dalle gerarchie degli angeli?/ E se uno mi stringesse d’improvviso al cuore, soccomberei per la sua troppo forte presenza./ Perché nulla è il bello, se non l’emergenza del tremendo/ Ognuno degli angeli è tremendo”).4 E la densità del testo si fa densità del suono, in una tessitura che, nella versione orchestrale, costruisce pagine di profonda inquietudine, di notevole complessità cromatica, e di estrema flessibilità strutturale. E quest’opera, che ben esprime il grado di raffinatezza della più recente produzione dell’autore, evidenzia ancora una volta l’intimo legame che si costruisce, nello stile di Bortolotti, tra testo verbale e contesto musicale. Le Elegie del poeta praghese sono infatti l’occasione per una commossa e attonita meditazione sulla morte, sul senso dell’esistenza, del Dasein, di un ‘esser-ci’ che, anticipando l’accezione heideggeriana, è un esser-gettati nel mondo (“Sì, le primavere ebbero bisogno di te/ Di te cercava qualche stella, ché tu ti mettessi sulle sue tracce.Tutto questo era un compito. Ma tu, tu lo potesti reggere?”),5 al mondo concreto aperti, ma in un anelito profondo verso una dimensione di trascendenza che, pure, non rinneghi un sentimento di ineffabile nostalgia per la natura terrena del vivere dinanzi all’invocazione dell’Angelo che al vivere sottrae (“Oh, anche la primavera capirebbe – lì non c’è luogo che non abbia il tono RAINER M. RILKE, Duineser Elegien (1912-1922), trad. it. Elegie duinesi, a cura di Franco Rella, Milano, Rizzoli, 2004 (il passo cit. proviene dalla Elegia I, vv. 1ss., p. 43). 5 Ivi, vv. 26ss., p. 45. 4 55 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 56 FRANCESCO RIMOLI dell’annunciazione. Non solo i mattini d’estate, non solo dopo il tardo temporale il respiro della trasparenza, non solo l’approssimarsi del sonno e d’un presentimento, la sera… ma le notti! Ma le alte notti d’estate, le notti, e le stelle, le stelle che curan la terra. Oh, essere morti una volta, e saperle interminate tutte le stelle: allora come, come dimenticarle!”).6 Dunque, un desiderare l’indesiderabile, e insieme uno sciogliersi dal desiderio stesso, un temere il volo terribile dell’angelo e pure invocarlo (“Ogni angelo è tremendo. E tuttavia, ahimè, v’invoco uccelli quasi mortali dell’anima, sapendo di voi”):7 Bortolotti sa afferrare il senso di angoscia che promana dal testo, immedesimandovi la propria voce in una continua trascolorazione di timbri, in un’ansia ritmica che muta di misura quasi a ogni battuta, che trova un breve momento di distensione (non di stasi) solo per accogliere una mesta coscienza di sé (“Gli angeli no, gli uomini no, e i sagaci/ animali lo notano già quanto noi inadeguati/ siam qui di casa nel mondo già interpretato”):8 ma gran parte del brano si svolge in un clima di incontenibile tensione, perfettamente accordata col testo, nel contrasto tra una figurazione ritmico-melodica di estrema mobilità e una dinamica sovente compressa, trattenuta in una gamma dal p al ppp, che ancora una volta muove dal suggerimento del poeta, puntualmente recepito (“E mi trattengo così, e inghiotto l’appello di oscuri singulti”)9 e tradotto in qualcosa di altro, di ulteriore, dal contesto sonoro (es. 3). È questo un esempio significativo dello stile attuale del compositore, il punto (provvisorio) d’approdo di una scrittura che si è andata sempre più raffinando nel corso di questi decenni: il legame con il testo e con il suo autore, la ricerca di una sintonia con il medesimo che mai si riduce a una pedissequa lettura dei contenuti verbali, di una dimensione semantica che produce, nella sintesi dei linguaggi, un frutto nuovo e diverso, che dà senso all’intero agire creativo. Il tutto in un confronto e un amalgama di sensibilità sempre sostenuti da una perizia musicale che opera secondo stilemi in fondo legati, ma nel senso più alto, alla temperie romantica, alla volontà di seguire le mutevoli forme di quella Stimmung che è in continuo divenire, con un’estrema libertà di opzioni, e senza alcun vincolo che non sia quello di una pur rigorosa coerenza interna, rinvenuta in una 6 7 8 9 Ivi, Elegia VII, vv. 10 ss., p. 79. Ivi, Elegia II, vv. 1 ss., p. 49. Ivi, Elegia I, vv. 10 ss., p. 43. Ibidem, vv. 8-9. 56 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 57 SUONI NELLE PAROLE, PAROLE NEI SUONI. MAURO BORTOLOTTI E IL TESTO IN MUSICA complessa logica discorsiva, in una narrazione continua che accomuna il linguaggio musicale a quello verbale, nella costante e proficua ricerca di un difficile equilibrio, di una soluzione delle lacerazioni interiori dell’esistere, e che trova, nell’intenso legame che unisce la parola dell’uomo al suono della natura, la vibrazione più profonda dell’essere, e del fare, di un artista. Es. 3 Mauro Bortolotti, Ou le silence, ms., p. 4 57 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 58 Gesto e narrazione nella musica per archi Paolo Rotili 0. Alcune questioni di metodo Per orientarsi nel variegato panorama della musica strumentale del secondo Novecento, una vera e propria ‘esplosione’ di tendenze, idealità, ricerche e tecniche compositive, lo studioso di analisi musicale ha spesso assunto la prospettiva della mera descrizione della tecnica compositiva impiegata nel testo scritto. Anche oggi nell’analisi troviamo spesso una sorta di accantonamento della reale semiosi musicale del brano a favore di un’indagine che ricostruisca le procedure di scrittura, i dati più facilmente individuabili, per poi risalire alle motivazioni poetiche dell’autore, al suo orizzonte culturale. Il senso musicale delle composizioni, il valore estetico, è spesso cercato nella effettiva coerenza interna al testo, nel rapporto tra progetto e realizzazione, nella fiducia che il testo non ‘parli’ che del testo stesso, veicolo delle sue implicazioni poetiche generali, e che non sia quasi pertinente esplicitarne le valenze espressive. Il come-è-fatto o anche il come-è-pensato spesso è considerato sinonimo del cosa-significa. E il benfatto giustifica il valore dell’opera. Una sorta di oggettivismo descrittivo, quasi il salvifico ancoraggio in un panorama estremamente variegato e il pendant teorico di una certa indifferenza rispetto agli esiti percettivi dell’opera da parte degli stessi compositori. Negli anni del dopoguerra, ma anche oggi di fronte alla produzione di molti autori, nell’analisi sembra(va) più importante individuare la tecnica, che rimanda al contesto culturale e poetico, che non il singolo risultato estetico. Lasciato sullo sfondo, dato per scontato. Di qui un certo imbarazzo nell’analizzare le opere di Mauro Bortolotti: tutto questo in lui non è centrale. La sua scrittura sfugge ad esplicitazioni meccaniche, alla regolarità delle procedure, all’omogeneità degli elementi. Non si può ridurre a tavole di campi armonici prestabiliti o di sequenze ritmiche, tradurre in vettori formali funzionali alla costruzione della macroforma.Vi troviamo più una coerenza generale, statistica, ma localmente la sua musica sfugge a tentativi di riduzione ad unum. È un modo di scrivere 58 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 59 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI affine alle metodiche del periodo atonale della Scuola di Vienna o al Petrassi maturo, non a caso suo maestro (pensiamo a composizioni come Estri), non tanto per gli esiti espressivi, quanto per il voluto grado di imponderatezza del comporre, quasi di segreto legame tra scrittura mezzi e materiali usati - ed esiti espressivi. Ciò che accade nelle sue composizioni va dunque descritto, portato ad evidenza, facendo del tradizionale bagaglio analitico tardo-novecentesco solo uno dei possibili strumenti conoscitivi, e non senza il rischio di indebite letture. Dalle composizioni dei tardi anni Cinquanta in poi, infatti, in lui ritroviamo dell’avanguardia più i materiali sonori che le procedure, più l’ambito espressivo che il pensiero musicale; più che il preteso oggettivismo del comporre chiuso in un orizzonte di coerenza scritturale, nelle composizioni di Bortolotti troviamo l’altro cui la scrittura si relaziona. Per prima cosa troviamo il suono. Non il suono inudito/inaudito, ma il suono secondo le sue capacità evocative, semanticamente espressive. Un aspetto importante nel suo pensiero musicale è, infatti, una costante attenzione al dato percettivo in quanto portatore di contenuti espressivi. Non un improbabile vocabolario musicale, quanto la consapevolezza, direi antica, che un ritmo, un intervallo, un registro non sono meri dati tecnici, ma, grazie alla loro natura acustica, ai riflessi psicoacustici in noi e al senso che hanno acquisito nel tempo, sono entità capaci di sostanziare lo stesso contenuto espressivo del brano. In questo senso la sua musica è raramente sperimentale, di ricerca del suono per il suono, quanto piuttosto ‘accoglie’, filtra e seleziona in se ciò che la ricerca è andata via via sperimentando. E questo suono spazia dal rumore alla nota intonata, in texture complesse o in linee definite. Un cluster nel registro grave è dunque semanticamente opposto a esili melodie di armonici nei sovracuti; diventa significativo il contenuto più o meno inarmonico di un accordo, il bruitismo strumentale opposto alle frequenze determinate, l’estrema variabilità di timbro che si può produrre con l’archetto e la tastiera di un violino - suoni aspri o dolcissimi, vitrei o soffocati. Allora il suono in lui non è mai suono, ma sempre gesto. Il suono che il tempo articola in gesto.Tempo dilatato all’estremo o rappreso in concitati momenti, un tempo rigido nell’articolazione o “quasi improvvisando”, dal metro definito o scandito in secondi, spaziale: un tempo fortemente interiore, capace nella sua estrema elasticità di governare il flusso della coscienza. Perché di questo si tratta: il brano per Bortolotti si compone seguendo un indefinito processo interiore che si concretizza, di volta in 59 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 60 PAOLO ROTILI volta, in un dover essere nell’atto stesso del comporre. Quasi una improvvisazione che si attualizza in veste stabile nel testo. La sua è, dunque, una sostanza interamente narrativa del comporre, pendant di una sostanza temporale del percepire. Un mettere in discussione ogni volta il proprio io alla ricerca di un senso possibile, di una magia irripetibile. La scrittura dei suoi pezzi testimonia dunque maggiormente questo anelito che non se stessa. Pochi elementi stabili (soprattutto prevalenti scelte armoniche e gesti minuti), dai quali partire per variarli o negarli, sfuggendo alla retorica della scrittura, alle procedure meccaniche, ma inventando localmente, quasi sempre ‘da sinistra a destra’, valutando e soppesando il singolo particolare nell’economia del discorso che si va costruendo. Di qui un forte senso tematico nelle sue composizioni e una visione della forma come possibile concrezione di una ‘avventura’ espressiva. Una forma dei brani sempre diversa, ogni volta da individuare, ma che rifugge la grande dimensione, la vettorialità delle trasformazioni tematiche, mentre privilegia l’andamento episodico, il contrasto, il reticolo dei ritorni e dei rimandi, in un sorvegliato, interiore, ‘pudore’ antiretorico. Valutando a posteriori il percorso di Mauro Bortolotti possiamo anche individuare una sorta di suo personale ‘vocabolario’ di gesti prediletti: immobili campiture spesso agli estremi dei registri (ho sempre avuto la sensazione di una metafora corporeo/spirituale – le viscere e le stelle nell’uso del contrasto estremamente grave/sovracuto); piccoli gesti, quasi cellule, nelle quali l’insistenza su poche note sembra la metafora di un lirico parlato interiorizzato; ostinati di ribattuti irregolari, come accenno di un incerto incedere, di una attesa sempre posticipata; frammenti di poche note nei registri acuti, come ultimo, nostalgico retaggio di canto. Un modo rischioso e faticoso di comporre, rifiutando la tendenza all’artigianato di mestiere e che nella sua produzione ha comportato il ricorso molto spesso a testi letterari o a suggestioni altre che la musica. Se, infatti, nelle composizioni di Bortolotti la scrittura ci parla del suono, della sua sostanza espressiva, il suono ci parla di altro da sé. In questo senso la musica di Mauro Bortolotti, senza ‘suonare il piffero della rivoluzione’, è una musica di impegno. Le sue opere più ‘politiche’ (Contre 2 o Studio dal vero [...] sulla strage di Brescia), la sua costante e raffinata frequentazione dei testi poetici (da Rilke a Éluard, da Giuliani a Sanguineti a Cummings e Berryman, da Michelangelo a Pessoa, solo per citarne alcuni), dei quali privilegia le metafore della condizione umana (dalle tragedie esistenziali alle speranze metafisiche, anche con episodiche 60 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 61 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI scorribande di divertita ironia per il lazzo erotico), il costante riferimento a suggestioni extramusicali anche nella musica strumentale, testimoniano il rifiuto di qualsiasi dimensione estetizzante del fare musica, ma piuttosto la personale visione di curiosità e partecipazione dell’artista all’avventura umana. Il suo impegno esistenziale di testimonianza. 1. Le composizioni per orchestra d’archi Allora è evidente che l’aver delimitato questo scritto alle composizioni per archi è utile solo a una mera divisione del lavoro: in se stesso l’uso o meno di un organico – di una timbrica - non costituisce la sostanza del pensiero musicale di Bortolotti. Ma se è vero che ogni pezzo risponde ad esigenze compositive diverse, ha esiti espressivi irripetibili, è anche vero che in lui il mezzo, con la sua tavolozza o le sue proprietà articolatorie, permette di comporre specifiche texture, mondi espressivi altrimenti indicibili. Mauro Bortolotti ha scritto i suoi tre lavori per orchestra d’archi in un tempo relativamente breve (dal ‘68 al ‘72), grazie al rapporto con i Solisti Veneti di Claudio Scimone, allora molto attivi nella musica contemporanea, e con i Solisti Aquilani di Vittorio Antonellini. Anni nei quali è abbondantemente conclusa l’esperienza del rigore strutturale e in parte anche quella aleatoria e si sperimenta anche in Italia nel campo elettroacustico (ricordo qui l’esperienza fatta da Bortolotti con Pietro Grossi). Sono anni di riconsiderazione e di selezione, in cui le varie istanze - coerenza, improvvisazione, polilinguismo, ricerca timbrica - trovano una sintesi nella scrittura (pensiamo alla fondamentale e bellissima Sinfonia di Luciano Berio o alla dialettica scrittura/ work in progress nelle opere dell’ultimo Maderna). Una fase di delimitazione dell’esperienza aleatoria senza perderne la dimensione poliedrica, espressivamente e stilisticamente poliforme. E Transparencias per clavicembalo e archi (1968), Links per violino, contrabbasso e archi (1969) ed E tuttavia… concatenazioni per archi (1972), costituiscono un corpus di opere inserito perfettamente in quella temperie artistica e culturale. La dialettica scritto/improvvisato tipica dell’opera aperta vi è presente in vari aspetti: nella cadenza per clavicembalo di Transparencias per moduli combinabili, nei grafismi conclusivi di Links, nel ‘grumo’ violento della pagina ultima di E tuttavia. Ma è soprattutto nell’articolazione temporale, sia locale, nei singoli gesti, sia generale, con la presenza o meno della griglia metrica, alternata a una scrittura in secondi, che si evidenzia e si sostanzia 61 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 62 PAOLO ROTILI un pensiero che fa della dialettica definito/indeterminato il centro della concezione formale. Oltre alla dimensione temporale, anche i materiali sonori rimandano alla varietà tipica di quegli anni: bruitismo (colpi dell’archetto e delle mani su vari punti di risonanza degli strumenti), estrema variabilità della timbrica, – molteplici modi d’attacco e della produzione del suono, totale cromatico, ricchezza quartitonale. Ma tutta questa ampia tavolozza e questa apertura articolatoria si sostanziano poi in piccoli gesti ritmici, cellule melodiche, in un tematismo, cioè, che ridotto agli estremi, individua situazioni espressive differenti, talvolta in rapporto oppositivo. E in questo scrivere per gesti minuti, assemblati spesso in texture complesse, si pone il problema di come il tematismo in lui si relazioni alla forma. Abbiamo accennato per Bortolotti a una dimensione per episodi della forma, alla mancanza di vettori macro-formali dominati da calcoli processuali. E se vengono a mancare procedure esplicite di individuazione e sviluppo degli elementi micro-formali, allora il rovello compositivo è in realtà risolto ogni volta in modo diverso, ponendosi di volta in volta il problema di come collegare episodi differenti. La dimensione della macro-forma diviene così uno dei luoghi di maggiore interesse per l’indagine analitica, dal momento che in essa si invera il pensiero musicale di Bortolotti. 2. Transparencias, per clavicembalo e archi (1968) Il brano è stato dedicato ai Solisti Veneti che lo hanno eseguito per la prima volta nel ‘68 al teatro Eliseo di Roma con Mariolina De Robertis al clavicembalo. È una composizione per solista ed ensemble, ove il ruolo concertante del clavicembalo è pensato in modo assolutamente anomalo. A questo strumento, infatti, è dedicata un’ampia cadenza che interviene al termine del brano e che può essere eseguita anche da sola, in assenza degli archi; per il resto il clavicembalo tace o s’inserisce nei vari episodi con pochissimi gesti, soprattutto percussivi, per modificare timbricamente gli attacchi degli archi. Perché questa scelta? Se guardiamo l’intero brano ci accorgiamo che è costruito per episodi connotati da gesti ben definiti, assegnati rigidamente a precise sezioni strumentali. L’ensemble d’archi è pensato, infatti, non tanto come una compagine compatta, ma piuttosto come un insieme suddiviso in gruppi timbricamente omogenei (tre gruppi: i 6 violini, le 2 62 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:26 Pagina 63 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI viole, i 2 violoncelli con il contrabbasso), che articolano un discorso complessivamente concertante (In questo contesto il clavicembalo non rappresenta che una di queste situazioni concertanti). Significativo è il fatto che i gruppi siano omogenei e individuino sempre un preciso registro. Questo definisce una gradazione coloristica all’interno dell’ensemble stesso, una densità differente - dal molto scuro degli archi gravi al vitreo perlaceo degli armonici dei violini -, che è funzionale al gioco compositivo evocato dal titolo del brano. Bortolotti crea, cioè, differenti texture timbriche, delle filigrane o molto opache o del tutto trasparenti, che oppone o sovrappone in differenti modi. Suoni complessi a registri differenziati. È un gioco essenzialmente timbrico, che ricorda la scrittura tipica dei gruppi e quella per fasce di memoria elettronica. Ma la natura di queste ‘fasce’ è fortemente connotata gestualmente. Il timbro è imbricato con differenti articolazioni ritmiche che contribuiscono a dare a queste texture un differente grado di maggiore o minore individuazione gestuale. Il grave opaco è sempre abbinato al suono lento e continuo; gli armonici dei violini a una concitata e irregolare disposizione. Nel registro centrale troviamo l’articolazione ritmica definita in ritmi ripetuti, affidata alle viole. Queste diverse campiture realizzano dunque una diversa gradazione del gesto musicale, dallo sfondo alla figura, quest’ultima intesa il più delle volte come passo solistico di bravura. E se gli archi gravi sono i più opachi, per il loro registro e la quasi assente articolazione - i violini ne sono l’etereo pendant acuto e le viole il momento di maggiore concitazione gestuale -, il clavicembalo è il più ‘trasparente’ per l’estrema variabilità figurale della sua cadenza e per il suo esile timbro. Di qui, crediamo, il suo vero senso di strumento solistico: non tanto una preminenza dovuta alla costante e dominante presenza durante tutto il brano, quanto piuttosto il ‘luogo’, tra i vari luoghi nei quali si articola il discorso, nel quale è maggiore l’individuazione e la variabilità gestuale. La composizione è un percorso di vari episodi, piuttosto scolpiti nei loro tratti, giustapposti tendenzialmente in modo parattattico, nel quale gli ambiti di registro e l’articolazione ritmica giocano il ruolo fondamentale di differenziazione delle texture.Vi possiamo individuare sette episodi, che sono del resto segnalati dai cambi dinamici, collegati da più o meno brevi situazioni di passaggio. Il primo, “Lento (libero)”, è tutto giocato su una fascia molto grave (violoncelli e contrabbasso), dal suono corposo, viscerale, ‘solcato’ da quattro violente e secche strappate di tutti gli altri strumenti, eseguite nel 63 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 64 PAOLO ROTILI registro medio-acuto. Un’opposizione violenta tra suono tenuto e suono secco, tra continuità discorsiva e ‘disturbo’ divergente. Estremi gestuali che, presentati all’inizio, assumono la funzione di paradigma tematico di tutta la composizione: Es. 1 Mauro Bortolotti, Transparencias, p. 1 un episodio di sostanziale immobilità vivificato da piccole oscillazioni o da movimenti melodici di seconda (maggiore e minore), di terza minore e di tritono, intorno ad alcune altezze, spesso raggiunte attraverso lenti portamenti; un libero contrappunto (anche armonicamente abbiamo una 64 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 65 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI dominanza degli stessi intervalli), realizzato dai tre archi gravi, con una scrittura proporzionale, capace di fissare un suono globale fermo, ma continuamente mobile al suo interno, dalla forte connotazione corporea, grasso, ricco di battimenti. In questa prima parte è l’intensità che svolge un ruolo processuale: se le strappate dal ff iniziale decrescono al mp, la fascia grave dal mp iniziale procede verso il piano possibile e, tra la terza e la quarta strappata, ricresce sino al forte, per arrivare al ff con il quale bruscamente si interrompe l’episodio. Questo contribuisce a sottolineare la natura ‘viscerale’ dell’episodio. A p. 4 della partitura abbiamo la prima transizione da un episodio all’altro: sul repentino scomparire dei gravi, come d’incanto si palesano gli armonici tremolanti alla punta dei violini, immobili, con una lunga corona. È anche questo un effetto di forte contrasto, cifra di tutta la composizione (es. 2). Dall’immobilità dei violini parte il secondo episodio (“Più mosso”), caratterizzato all’inizio da una estrema variabilità di articolazione dinamica, dosata tra il pp e il mp. Gruppetti in velocità, pizzicati, piccoli interventi percussivi, note tenute, il tutto scritto per il gruppo dei sei violini in modo fitto e regolato all’inizio da un metro in ottavi. Il carattere globale è quasi di compatto florilegio, di brulicante ed eterogenea ornamentazione. L’elemento di ‘disturbo’ è qui rappresentato dalle due viole, che realizzano ampi glissandi da eseguirsi liberamente. L’episodio si sviluppa diminuendo la variabilità gestuale a favore dei veloci gruppetti in un metro a campo aperto. Progressivamente, ma rapidamente, voce per voce e senza sincronia, il gesto rapido si raggela in immobili note acute. La variabilità della texture si riduce a favore, di nuovo, dell’immobilità della fascia di suoni tenuti, ma questa volta progressivamente procedendo dal registro acuto a quello grave. Da notare che il profilo melodico e la natura intervallare dei gruppetti in velocità, sempre più accelerati, ricalca quello degli archi gravi del primo episodio: cambiamenti continui di direzione, costituiti da intervalli piccoli che progressivamente si ampliano, in una libera imitazione. Una sorta di tecnica della diminuzione, gestita in modo assolutamente non meccanico. Anche i colpi percussivi, sparsi nel tessuto melodico, sembrano essere una riduzione delle strappate iniziali. È come se ci fosse una contrazione temporale dei gesti del primo episodio che cambia profondamente la loro natura. Il terzo episodio (“Meno”), di sole sette battute, rende trasparenti i gesti sin qui enunciati, li isola in un gioco di brevi giustapposizioni tra gruppi timbricamente omogenei. Questo apre senza soluzione di continuità al quarto momento (“Libero, con violenza”), quello centrale di tutto il pezzo, 65 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 66 PAOLO ROTILI con la preminenza delle due viole che articolano, spesso per bicordi di settima ribattuti, il totale cromatico su tre ottave, praticamente polarizzato. La fascia si tramuta dunque in duetto virtuosistico, nel quale le viole si alternano con gruppetti irregolari di semicrome e biscrome o con strettissimi trilli in crescendo. E gli interventi secchi,‘disturbanti’ e percussivi, sono affidati ai violini, mentre il clavicembalo orna il frenetico incedere delle viole. Il vettore formale di questo episodio è dato dalla riduzione progressiva delle note intonate (del campo armonico polarizzato) dalle viole, sino ad arrivare al semplice gesto del ribattuto. Nella quinta parte appare in tutta la sua evidenza il gioco di sovrapposizioni per gruppi strumentali di gesti ben individuati. È un momento emblematico della scrittura per gruppi e di ricapitolazione delle figure più caratteristiche sinora ascoltate e che prelude alla cadenza del clavicembalo. Es. 2 Mauro Bortolotti, Transparencias, p. 4 66 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 67 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI La sesta sezione (es. 3) è data per l’appunto dalla cadenza per clavicembalo solo, scritta in modo tipico per l’epoca, vale a dire suddivisa in segmenti da montare liberamente.1 È il luogo di maggiore eterogeneità gestuale: vi ritroviamo momenti del già udito, ma anche frammenti liberamente improvvisati o, al limite, citazioni. Al termine della cadenza Transparencias si conclude con una chiara coda, liquidazione degli elementi già uditi, nella quale per l’ultima volta riappare la fascia ai tre archi gravi, cui vengono sovrapposti gli eterei armonici dei violini e i rapidi glissandi delle viole. Es. 3 Mauro Bortolotti, Transparencias: Cadenza per il clavicembalo Dall’analisi descrittiva del percorso compositivo di Transparencias emerge che i due elementi tematici iniziali, il suono continuo e il suono puntiforme, attraverso variazioni della velocità dell’articolazione e del registro, assumono differenti connotazioni espressive nel corso dell’opera. 1 “Il montaggio dei singoli momenti è libero; eventuali possibili ripetizioni dovranno variare registrazione, velocità e insomma, modificare i modi di lettura. La registrazione indicativa: l’esecutore è libero di modificarla a piacere. Tra i vari “momenti” la pausa (salvo le corone) deve essere brevissima. La cadenza, se inserita in Transparencias dovrà essere ‘montata’ in modo da non superare i 90”” (MAURO BORTOLOTTI, Transparencias, Milano, Suvini Zerboni, 1968, n. ed. S. 6900 Z.). 67 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 68 PAOLO ROTILI Dall’etereo al viscerale, dall’esibita irruenza all’immobile contemplazione: siamo nel solco della variazione in sviluppo tipica della linea che collega Beethoven a Schönberg (gli autori della tradizione più amati da Bortolotti). In Transparencias i processi della variazione tematica assumono valore di opposizione, di radicalizzazione verso gli estremi, nascondendo all’interno del brano i processi stessi di derivazione. La variazione in Transparencias non è, infatti, il mezzo che regola il senso narrativo del brano, non gestisce la temporalità della composizione, realizzata qui al contrario mediante opposizioni di ‘pannelli’ gestuali. Piuttosto interviene come procedimento di selezione e individuazione dei successivi gesti, di volta in volta da ‘ricomporre’ in modo, appunto, parattattico. I gesti tematici, cioè, una volta espressi vengono ridotti a materiale su cui operare ulteriori trasformazioni e i cui legami con la matrice gestuale possono essere i più disparati. 3. Links, divertimento per violino, contrabbasso e archi (1969) Scritto l’anno dopo, sempre per i Solisti Veneti che lo eseguirono per la prima volta nel corso del XXXII festival della Biennale di Venezia, anche Links è un lavoro concertante. Ma il rapporto tra i due solisti e l’ensemble è qui risolto in modo assai diverso. Nella auto-presentazione della composizione Bortolotti scrive: “[…] vuole essere un tentativo di verificare le possibilità auto-organizzative di un materiale consegnato pressoché per intero al solo I violino ed al contrabbasso. Gli altri esecutori interverranno in taluni punti più o meno prestabiliti o – se riterranno di doverlo fare e se il direttore lo crederà opportuno – potranno tentare di ‘collegarsi’, di entrare in gioco, di divenirne elemento costruttivo (o negativo), in qualsiasi momento con qualsiasi fatto sonoro o ritmico”. In realtà i materiali sonori e ritmici sono indicati in modo preciso attraverso tutta una serie di simboli grafici e la libertà temporale degli interventi è guidata in modo abbastanza puntuale all’interno di campi più o meno ampi di scelta. Rimane tuttavia il dato della sostanziale diversità tra la scrittura per i solisti – tradizionale, puntuale in tutte le sue dimensioni, di grande virtuosismo e forza sonora – e quella per l’ensemble – aperta, grafica, di amplificazione o contrasto dei gesti solistici. Siamo dunque all’interno della dialettica determinato/indeterminato, che in questo caso viene coniugata con il rapporto concertante solo/tutti. È 68 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 69 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI un’impostazione più radicale rispetto a quella del brano precedente, che anche qui individua un modo originale di concepire il rapporto con i due soli: due importanti linee cui si collega (Links, appunto), in relazione metaforicamente possibile o meno, il resto dell’ensemble. Proseguendo nella sua presentazione Bortolotti ci dice qualcosa di importante anche sulla sua concezione musicale: “Il lavoro quindi – che rifiuta un materiale o, meglio, un tipo di elaborazione certo logorata, se non fossilizzata, di esso – tenta un’operazione che potremmo definire di ‘autogestione’, in cui gli esecutori diventano elemento determinante ai fini di una non eliminabile – anche se oggi non più ben chiara – resa finale”. Pur nella momentanea sfiducia – o come intellettuale controprova di rottura - verso una scelta compositiva soggettiva (sappiamo che Bortolotti non rinuncerà più a fissare per iscritto, a scegliere, fatto che fa di Links un’esperienza-limite nella sua produzione), ciò che viene evidenziato in questo passo è che, comunque, tramite le scelte del compositore o dell’esecutore, anche in un orizzonte di momentanea confusione o sospensione di tale volontà soggettiva, vada sempre ricercata una non eliminabile “resa finale”. Il risultato percettivo, al di là dei mezzi per raggiungerlo, deve essere l’obiettivo finale del fare musica. Anche nel suo pezzo più radicale Bortolotti non abbandona il desiderio di offrire un’opera che colga la possibilità di senso all’ascolto, la possibilità di sfondare il misterioso limite tra ciò che è riuscito (significativo) e ciò che non riesce ad esserlo, al di là della tecnica compositiva con cui è stato elaborato. Questo è uno dei nodi della poetica di Bortolotti: la sfiducia che l’adozione di una tecnica, di un orizzonte ideologico della scrittura, possa garantire di per sé la bontà del risultato artistico. Per lui è la ricerca espressiva il motore delle scelte artistiche. La tecnica, piuttosto, è il risultato che noi rintracciamo a posteriori di questa ricerca (perdendone di vista forse, nell’esplicitarla, il senso profondo).Vi è dunque una imponderatezza, un piano del ‘non detto’ o un ‘dire’ attraverso la musica, incommensurabile al linguaggio verbale. In fondo è una posizione idealistica, che lo ha reso sostanzialmente estraneo al dibattito più acceso della neoavanguardia del dopoguerra, ma che gli ha permesso di trovarsi naturalmente a proprio agio nella produzione musicale degli anni Ottanta. Links comporta una successione di 20 numeri, ma la sua articolazione formale risponde sostanzialmente al gioco di relazioni tra i soli e il tutti, così che i venti numeri possono essere raggruppati in sezioni più ampie. Tutto il materiale tematico è presente nelle prime due battute (sorta di 69 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 70 PAOLO ROTILI numero zero): suono breve, suono tenuto, suono intonato definito, suono intonato a piacere, bicordi, armonici, pizzicati, suono percussivo/rumoristico (le molteplici possibilità dell’archetto e delle mani nei vari luoghi dello strumento), glissandi, scrittura metrica e in secondi. È un inizio irruento del tutti, che gestualmente trasforma la dominanza ritmica in suono tenuto. Dalla complessa texture iniziale, da quell’unico gesto, discendono poi tutte le varie figure della composizione Es. 4 Mauro Bortolotti, Links, p. 1 I numeri da 1 a 11 della partitura rappresentano la prima parte del pezzo. Vi sono selettivamente individuati e sviluppati gli elementi gestuali desunti dalla prima pagina. La scrittura procede secondo giochi di imitazione e/o di contrasto tra i soli e il tutti. Ed è proprio rintracciando questa sorta di 70 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 71 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI ‘teatro’ concertante, che possiamo suddividerla in tre sezioni: dapprima è il violino a innescare ‘reazioni’ nell’ensemble, poi il contrabbasso, infine i due strumenti insieme. Se guardiamo bene l’articolazione di queste tre sezioni, ci accorgiamo che ciascuna è suddivisibile a sua volta in tre momenti, dalle differenti vettorialità narrative: ad arco nella prima sezione, ad aprirsi nella seconda, ad arco di nuovo nella terza. In un brano così ‘aperto’ sono dunque la distribuzione strumentale e le dinamiche dei contrasti e delle similitudini a gestire la forma in maniera ternaria. Il numero 12 è la prima delle due “Ricerche”. Con questo termine Bortolotti intitola le due improvvisazioni, punti di massima apertura del brano, ove gli esecutori giocano un ruolo sostanziale, intervenendo al termine di ciascuna delle due parti in cui si articola l’intero pezzo. Il numero 14 della partitura, “Trio (calmo assai) languoroso”, è una sorta di sorpresa formale, di angolo di deviazione dalla logica generale del pezzo.Viene abbandonata, infatti, l’impostazione del materiale tematico affidato ai due solisti, cui si contrappone quello aperto dato al tutti, per creare una situazione nella quale i solisti dei gruppi intonano, solitari, una pagina ove tutto è rallentato, i gesti sono dilatati nel “calmo assai”, dando così all’episodio un forte carattere melodico e introspettivo. Dal numero 14 al 17 assistiamo a una riproposizione della distribuzione concertante dell’inizio, una sorta di ripresa del gioco dialogico con gli stessi elementi gestuali variati, sebbene contratta nel tempo. I numeri 18 e 19 costituiscono la seconda “Ricerca”. Se la prima era gestita da piccoli eventi definiti nelle loro caratteristiche gestuali, ma in campo temporale aperto (solo una durata generale per tutta la “Ricerca”), qui assistiamo a una sorta di ribaltamento: i tempi della gestualità sono precisamente definiti in secondi, ma i gesti sono da individuarsi secondo le suggestioni pittografiche della pagina (es. 5). Sono le pagine più ‘aperte’ mai scritte da Bortolotti, ma che a ben guardare, in una interpretazione vicina alla sua poetica, non sono che un modo meno definito di giocare con il gesto, un’altra possibilità formale, forse la più radicale, eppure perfettamente inserita negli equilibri tematico-narrativi della composizione. Anche in Links, dunque, l’estrema varietà gestuale – dal rumore alla nota intonata – è gestita sia con ritorni tematici, sia secondo un disegno formale generale molto preciso che tende a saturare le possibili combinatorie strumentali e di scrittura tra soli ed ensemble. Riassumendo: tutti tematico, scritto (0); violino concertante-cadenza (1-5); contrabbasso 71 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 72 PAOLO ROTILI concertante (6-8); violino e contrabbasso concertanti (9-11); “Ricerca 1” tutti tematico, improvvisato, (12); collegamento (13); trio (14-15); violino concertante (15); contrabbasso concertante-cadenza (16-17); “Ricerca 2”, tutti, libero, improvvisato (18-19); tutti (coda), rumoristico, scritto (20). Es. 5 Mauro Bortolotti, Links, p. 18 4. E tuttavia… concatenazioni per archi (1972) La composizione rappresenta un momento centrale nella produzione di Bortolotti. Insieme al coevo Cher nocturne, appunti per un trio, E tuttavia… nasce con una forte motivazione interiore, pessimistica, di grande sfiducia, in un periodo difficile della sua vita. Proprio grazie al desiderio di oggettivazione artistica di questo stato d’animo, interiore e culturale, risulta essere - forse allora all’insaputa del suo autore - la personale strada 72 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 73 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI di semplificazione della scrittura, di allontanamento dalla temperie ideologica della neoavanguardia degli anni precedenti a favore di una maggiore autenticità del fare arte. L’approdo a una visione che definiremmo neo-espressionista del comporre, nella quale il valore artistico è cercato e misurato dall’autore nel grado di rispondenza tra esigenze interiori ed esiti percettivi.2 In questo ricostruito rapporto di senso tra l’io e il suono, troviamo nella scrittura di Bortolotti alcuni elementi che assumono un’importanza fondamentale: il ruolo della ripetizione, per una esplicita visione tematica e narrativa del comporre, e la funzione delle scelte intervallari regolative di tutto l’impianto gestuale. Come vedremo, infatti, è la scelta di determinati intervalli a regolare tutte le linee e le sovrapposizioni armoniche, dando alla composizione un colore definito, una forte compattezza espressiva. Presentato per la prima volta dai Solisti Aquilani all’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) di Roma, E tuttavia… è pensato come un tema con variazioni (tante quante le lettere dell’alfabeto, dalla A alla Z). Uno schema formale, però, molto generale e piuttosto esterno al percorso narrativo del pezzo. Più che altro un ‘controllo’ compositivo che non una reale articolazione in sezioni separate. Le variazioni, infatti, non contengono elementi disgiuntivi e si collegano tra loro senza soluzione di continuità. Piuttosto è privilegiato un procedere per progressive, lentissime individuazioni gestuali non corrispondenti alle singole variazioni.Tutto ciò porta a distruggere, nella percezione, il senso stesso del tradizionale schema compositivo. Sia il tema sia le variazioni sono scritti in modo proporzionale, in un campo aperto corrispondente a una linea di fincatura della partitura della durata di 30” circa. La semplificazione della scrittura si evidenzia sin dal tema: una singola nota al terzo violino (Do5), tenuta a lungo. Ad articolarla solo un arco di intensità e il passaggio dal suono immobile al tremolato e all’oscillato. Un altro micro-elemento tematico è la sintesi timbrica tra il 2 “E tuttavia… è titolo aperto che vuole indicare – in un momento di riflessioni, forse non solo personali – che il lavoro può (e può anche non) essere un compromesso, che porta avanti o indica un discorso congelato, impossibile; e, da tutt’altra angolazione, che contiene informazioni fatiche per un tentativo di contatto fra più interlocutori o che, per la sua ridondanza, con la sua insistenza, mette in crisi il sistema di attese (‘a rose is a rose is a rose is a rose’) generando utili interrogativi; e, ancora, può indicare che è finito e tuttavia inservibile perché, come osserva A. Moles a proposito della poesia,‘non può fare il lavoro di una scavatrice’, oppure che serve perché, come grida H. Michaux, si può costruire ‘una città con degli stracci’” (MAURO BORTOLOTTI, programma di sala stagione “Nuova Consonanza”, Roma-Viterbo 1981). 73 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 74 PAOLO ROTILI violino e l’armonico del violoncello. Dunque, eventi minuti: suono tenuto, mutevolezza timbrica, suono oscillato Es. 6 Mauro Bortolotti, E tuttavia..., p. 1 Rispetto alle composizioni che abbiamo già illustrato, si tratta di un altro modo di concepire il tematismo. Se in Transparencias è ben scolpito e articolato in blocchi e in Links è concepito come un gesto complesso su cui operare selettivamente per progressiva enucleazione degli elementi (un procedimento analogo a quello sottrattivo di Berio), in E tuttavia… abbiamo una sorta di grado zero, di limite quasi afasico, dal quale procedere per accumulo e differenziazione. E questo processo è tutto giocato sull’imponderatezza del tempo. Una delle scommesse della 74 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 75 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI composizione è infatti il sistema delle attese, confermate o negate, poste al limite della soglia percettiva verso un evento e il suo seguito. È come se Bortolotti ci volesse dire che siamo a un punto-limite della articolazione discorsiva, dove il sistema della ripetizione e dell’attesa annulla quasi qualsiasi temporalità, qualsiasi volontà espressiva, e tuttavia…Non è un caso che il pezzo sia praticamente tutto scritto in campo aperto, quasi senza alcuna articolazione metrica: sta al direttore ‘sentire’ il momento giusto per il ‘giusto’ attacco; sta all’esecutore articolare in modo espressivamente efficace il suo gesto sonoro. In questo ritroviamo il residuo della dialettica tra scritto e aleatorio tipico delle composizioni precedenti. Per il resto, essa è tutta puntualmente scritta. Nel brano la gestualità è regolata da precise scelte intervallari (sia armoniche sia melodiche), che tendono a saturare il totale cromatico. Questo ci pare suddiviso in gruppi di note contigue (all’inizio Do, Do#, Re, Mi – Fa, Sol, Lab, La, gruppi a specchio), da scegliersi liberamente secondo gli intervalli che nascono dalle permutazioni delle stesse: le seconde maggiori e minori; le terze maggiori e minori; la quarta (la distanza tra i due gruppi) e il suo rivolto. Le sequenze di note non saturano sempre il totale cromatico e la scelta delle stesse non segue un ordine preciso, ma sembra ‘spuntare’ quelle già ascoltate. Abbiamo dunque una tecnica di moltiplicazione per campi di altezze, organizzate secondo strutture intervallari ricorrenti, delle quali è difficile, forse inutile, ricostruire il percorso. Inutile perché l’interesse di Bortolotti non è tanto rivolto alla coerenza permutativa in sé, quanto alle risultanze sonore che tali scelte comportano per i diversi gesti. Per la loro valenza di maggiore o minore tensione armonica. L’abbondante uso dei quarti di tono crediamo derivi più dal gioco tematico di distorsione frequenziale della prima nota, che da giochi permutativi più complessi: dato un insieme di note, spesso esse sono ‘distorte’ nella frequenza, quasi fosse un’oscillazione all’interno del gruppo, sebbene poi, nel computo generale delle note, esse ‘afferiscano’ concettualmente all’insieme temperato. La presenza di un Mi calante, cioè, non deriva da insiemi specifici dominati dai quarti di tono, quanto dal mutamento del grado di tensione di quel Mi relativamente all’insieme delle note prescelte. In questo modo di gestire le altezze - libertà locale delle permutazioni e libertà di distorsione della frequenza - vediamo come la scrittura di Bortolotti risponda più a un metodo operativo, di libere scelte locali finalizzate alla ricerca espressiva, che ad un progetto complessivo precedentemente definito a cui attenersi. E questo modo di lavorare mediante le possibilità di scelta all’interno di un campo 75 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 76 PAOLO ROTILI armonico circoscritto, in ogni brano da re-inventare e che può dare esiti espressivi diversissimi, ci dice tutta la sostanza narrativa del suo comporre. E tuttavia… è dunque, per tutte queste riflessioni, un brano organicistico, nel quale la semplicità iniziale è, come si direbbe in biologia, totipotente, capace di differenziarsi in diverse strutture tramite processi di definizione e accumulo. Nel tema tali processi sono subito visibili. Alla nota iniziale si sovrappongono il cello e il secondo violino, trasformando il suono singolo in fascia. ‘Rispondono’ il violino e la viola con identiche distribuzioni intervallari: sembra quasi una imitazione alla quarta variata, mascherata dall’assenza di gestualità.Tutta una serie di piccole variazioni trasforma i minuti gesti iniziali. L’oscillato diventa portato o anche nota calante. Nella prima variazione sarà il glissando di terze al secondo violino (in un ambito di seconde), nella seconda il glissando di doppie seconde (in ambito di terze), alle due viole. Più in là diventa il glissando di terze e quarte sempre alle viole. L’elemento di contrasto, il pizzicato del contrabbasso, riappare nella terza variazione ai violoncelli, e, sempre al contrabbasso, diventa una insistente ripercussione (ma con il legno!) del Fa# grave. Nella variazione G, si trasformerà nei colpi con l’arco sulla cassa e, in H, in ritmi di note ribattute, questa volta coordinate metricamente. Sempre in H e al contrabbasso, ci pare interessante come il Sib sia la nota di ritorno (appunto il ribattuto) di brevi archi melodici, mutando la fissità della ripetizione in gestualità lirica. Es. 7 Mauro Bortolotti, E tuttavia..., p. 5 76 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 77 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI Il processo di differenziazione ha un suo primo punto di arrivo in I, nell’individuazione della linea ascendente del quarto violino. Che questo sia un punto di arrivo momentaneo ci sembra sottolineato, oltre che dalla definizione della variabilità gestuale, anche dal processo di progressiva ‘occupazione’ dei registri estremi: dal Fa iniziale i violini procedono sino al Re# sovracuto, quasi come se le fasce armoniche in questa prima parte realizzassero una sorta di scala ascendente spezzata. Da qui in poi il tessuto connettivo del suono continuo si fa meno invadente, viene interrotto o si tramuta in brevi gesti. Le figure che erano state enunciate prendono corpo in un gioco di ritorni e contrasti. La parte centrale del pezzo ci sembra incorniciata dalle variazioni L e P, non a caso i due episodi dove viene meno il gioco del flusso concatenante a favore di una scrittura a blocchi, di gesti omogenei distribuiti a tutti gli strumenti: in L e M è il ribattuto trasformato in terzine, come levare di una nota tenuta (uno stralunato valzer ?), a guidare il discorso e in P ritroviamo il ribattuto stesso in suono percussivo distribuito al tutti. Dopo P, in assoluta continuità con il resto del brano, ancora fasce, piccole melodie, note isolate o a coppie, accordi ribattuti, armonici sovracuti e suoni oltre il ponticello. Pizzicando, tremolando, con il legno, con sordina…una polifonia discreta di piani sonori che conducono il pezzo sino al finale. Anche qui, in questo gioco piuttosto libero di concatenazioni, ci sembra che sia ancora il registro ad assumere il ruolo di vettore formale. Dopo l’acutissimo frammento melodico con gli armonici di Q, sostenuto ancora dal brulichio dei colpi di P, è il contrabbasso che stabilisce un percorso discendente per tutte le seguenti variazioni, dal Sol3 sino alla scordatura del Mi grave in W. Percorso simmetricamente opposto a quello seguito dagli archi acuti nella prima parte. W,Y e Z sono le variazioni finali nelle quali ‘esplodono’ le tensioni sinora sedate, si fanno maggiori ed evidenti le situazioni di contrasto sino ad ora evitate accuratamente. Non è una ricapitolazione, una coda, ma l’estremizzazione del già udito, scritta per texture omogenee, complessive, con gesti che coinvolgono l’intera compagine e che, messi a contatto parattattico, ne esaltano le differenze. W e Y sono dominate dal timbro degli armonici in pp. Dal tessuto vitreo emerge un frammento melodico isocrono di sei note che poco a poco viene dato in imitazione, a varie 77 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 78 PAOLO ROTILI altezze, a tutti gli strumenti. Ogni strumento che si inserisce ripete la melodia ad libitum, creando un tessuto di rituale immobilità. Da notare che il frammento ‘completa’ l’incipit di Q del contrabbasso e si basa sul gioco di terze minori e maggiori e di quinta, intervalli, come abbiamo visto, regolativi di tutte le figure del pezzo. È quasi come se al termine del brano si affermasse l’unico vero gesto melodico compiuto. Di per sé semplice e ‘nudo’, quasi un arpeggio di una triade ambiguamente in bilico tra l’identità maggiore e aumentata, ma reso complesso dalla proliferazione in tutti gli strumenti. A questo immobile ed etereo sound si contrappone Z, scritto in f, a grandi accordi, con una densità armonica a 22 parti reali nella totalità dei registri della compagine. Come fossero delle fasce contratte e sature, gestualmente significative. Segue un momento improvvisativo in fff, grumo violento, tutto nel tessuto centrale, punto di maggiore fisicità del brano, quasi lo scaricarsi di una tensione. A concludere, il rapido ritorno della melodia, nascosta nel tessuto complessivo come prima, possibilmente ancora più acuta, a svanire: quasi fosse l’immagine (sonora) di una nostalgia. Es. 8 78 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 79 GESTO E NARRAZIONE NELLA MUSICA PER ARCHI Mauro Bortolotti, E tuttavia..., p. 12 E tuttavia… è dunque un pezzo in cui si fa esplicito e conseguente il pensiero narrativo-tematico di Bortolotti a partire da nuclei armonici e gestuali continuamente variati. Un pensiero e una modalità compositiva che non l’abbandonerà più. Se qui è posto al limite delle possibilità percettive, in un sistema di attese molto dilatate (potrebbe essere visto come un grande “Adagio”, venato di pessimismo), nei lavori successivi sarà comunque il metodo che lo guiderà ad esiti molto diversi, recuperando la serenità e l’ironia. 79 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 80 E tu?: un (non-)teatro musicale ‘novissimo’ nel contesto romano degli anni Sessanta* Alessandro Mastropietro Nella formulazione – teorica e pratica – di un ‘nuovo teatro musicale’ che non fosse epigonalmente operistico (ovvero, che non perpetuasse quelle strutture di e quelle relazioni tra componenti drammaturgiche che si avvertivano stanche ed esaurite della loro vitalità sociale e linguistica), gli esponenti delle neo-avanguardie musicali attivi in area romana sono stati, nel periodo di più intenso e dinamico cimento attorno al problema (1961-1973),1 assai allergici a una risoluzione tradizionalmente ‘librettistica’ del binomio testo-musica. Di più: si sono rivelati, nella media, allergici ad un testo tout-court, ovvero all’inclusione della componente testuale – e ancor più della parola cantata – nei loro progetti, sfuggendo così alla radice (nonostante la loro spiccata tendenza a un confronto e a un lavoro ‘intermediali’, fin dalla genesi dell’opera, con artisti di altre forme d’espressione) il classico rapporto compositore-letterato finalizzato alla stesura di un testo librettistico. Porto alcuni esempi: Aldo Clementi concepisce Collage (1961),2 assieme al pittore Achille Perilli, escludendovi ogni elemento umano – sulla scena a muoversi sono luci, immagini, manichini o sculture semoventi – e relegando la parola cantata a ruolo di papier-collée in un nastro magnetico; stesso valore oggettuale, di componente de-umanizzata, ha la parola – su nastro o dal vivo, mai cantata – in Die Schachtel (1962) di Franco * Il presente saggio è una rielaborazione di ALESSANDRO MASTROPIETRO, Poesia – teatro musicale – elettronica: due apporti di area romana intorno al 1970, in Poetronics - al confine tra suono, parola, tecnologia, a cura di Anna Maria Giancarli e Anna Di Vincenzo, L’Aquila, Itinerari Armonici, 2004, pp. 44-56, testo a sua volta filiato dal capitolo 5.2, Due tangenze con la poesia ‘novissima’, in ID., Nuovo teatro musicale a Roma e Palermo: 1961-1973, tesi di dottorato, Università “La Sapienza” di Roma / Università di Palermo, a.a. 2003-2004, pp. 293-304. A questo lavoro nella sua interezza si rimanda idealmente per uno studio del contesto romano, italiano e internazionale attorno al problema di un ‘nuovo teatro musicale’, salvo i rinvii specifici che verranno di volta in volta segnalati. 1 Cfr. MASTROPIETRO, Nuovo teatro musicale a Roma e Palermo: 1961-1973 cit. 2 DANIELA TORTORA, “Collage” di Aldo Clementi e “L’esperienza moderna”, “Studi musicali”, XXXII, 2003, n. 1; anche in SIMONETTA LUX – DANIELA TORTORA, Collage 1961. Un’azione dell’arte di Achille Perilli e Aldo Clementi, Roma, Gangemi, 2005, ove compare un estratto della tesi cit. alla nota n. 1, ALESSANDRO MASTROPIETRO, Drammaturgia – Testo – Intertesto: intorno a Collage di Aldo Clementi, pp. 218-235. 80 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 81 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA Evangelisti,3 pensata e realizzata insieme a Franco Nonnis. Altri, pur non rifiutando la presenza organica di un testo tra le componenti di rilievo della drammaturgia, lo organizzano secondo procedimenti e forme nontradizionali: Domenico Guaccero, in Scene del potere (1964-68) come in Rappresentazione et esercizio (1968) come in Novità assoluta (1972),4 si costruisce in prima persona un testo di montaggio che, attraverso logiche ora ‘documentarie’ ora ‘a tema’, problematizza la classica funzionalità – discorsiva e narrativa – del libretto. Stesso atteggiamento nel Bussotti della Passion selon Sade (1965, materiale fonetico proprio, un sonetto di Louise Labé, e solo allusioni a Sade)5 o nel Macchi di A(lter)A(ction),6 la cui selezione testuale – curata con Mario Diacono, Sergio Tau e Franco Valobra – è centrata su Antonin Artaud.7 Un testo ‘cosificato’ è anche quello – recitato – del conferenziere della Sylvia Simplex (1972) di Francesco Pennisi: testo surrealmente ironico, destinato a scorrere in parallelo alla musica senza implicare costitutivamente con essa alcun legame forte di senso e organizzazione, tanto che la partitura può includere due numeri cantati su tutt’altri testi – poetici, di Nemi D’Agostino – dall’analoga tematica avifaunesca. Sospettosi verso soluzioni drammaturgiche di stampo narrativo lineare GIORDANO FERRARI, “Die Schachtel” di Franco Evangelisti: tra suono e immagine, un’avanguardia del teatro musicale degli anni Sessanta, “Musica/Realtà”, XVII, marzo 1996, n. 49, pp. 72-86; GIORDANO FERRARI, Les débuts du théâtre musical d’avant-garde en Italie: Franco Evangelisti: Die Schachtel, Paris, L’Harmattan, 2000, pp. 175-218. 4 ALESSANDRO MASTROPIETRO, L’interno/esterno della voce: su Scene del potere di Domenico Guaccero, in Voce come soffio,Voce come gesto, Roma, Università “La Sapienza”, 9-10 giugno 2003, atti del convegno a cura di Daniela Tortora, in preparazione; ID., Dagli Esercizi all’Esercizio: il teatro musicale di D. Guaccero tra gesto e rito, relazione il sabato 18 ottobre 2003 presso il Conservatorio di Musica di S. Cecilia di Roma, nell’ambito del X Convegno Annuale della Società Italiana di Musicologia, ined.; ID., Ancora una “scena del potere”: Novità assoluta (1972), Domenico Guaccero teoria e prassi dell’avanguardia, Roma, Università “La Sapienza”, 3-4 dicembre 2004, atti del convegno a cura di Daniela Tortora, in preparazione. 5 MARIO BORTOLOTTO, Le cinque tentazioni di Bussotti, in Fase seconda,Torino, Einaudi, 1969, pp. 201-226; GIUSEPPINA LA FACE, Teatro, eros e segno nell’opera di Sylvano Bussotti, “Rivista Italiana di Musicologia”, IX, 1974, pp. 250-268. 6 DANIELA TORTORA, A(lter) A(ction): un tentativo di teatro musicale d’avanguardia, “Il Saggiatore Musicale”, II, 1998, pp. 327-344; Egisto Macchi, a cura di Daniela Tortora, “Archivio Musiche del XX secolo”, Palermo, CIMS – Nuova Consonanza, 1996 (in particolare DANIELA TORTORA, Saggio critico: Le idee di teatro e l’esperienza drammatica, pp. 40-54). 7 Il rapporto tra Macchi e Antonino Titone per la composizione di Anno Domini (1962) è solo apparentemente analogo a quello tra musicista e librettista: anche qui, e ancor più nel progetto interrotto per Parabola, il montaggio del testo porta a una generale delinearizzazione dei rapporti, e ad un’integrazione endemica di parola e suono. Cfr. Egisto Macchi cit., pp. 40-47 e ALESSANDRO MASTROPIETRO, Anno Domini di Egisto Macchi e Antonino Titone: un teatro integrale, “Drammaturgia musicale”, in corso di pubblicazione. 3 81 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 82 ALESSANDRO MASTROPIETRO (considerate contrassegni della ‘vecchia’ opera lirica) e, di qui, verso qualsiasi implicazione con la sfera del letterario, questi compositori sono invece assai pronti all’utilizzo delle tecnologie elettroacustiche nei loro lavori di teatro musicale. Il mezzo elettronico, con le sue possibilità – legate a quel momento tecnologico e linguistico – di trasformazione del suono, segmentazione/ricomposizione su nastro, distribuzione nello spazio, è senz’altro un elemento importante per ‘complessificare’ la struttura drammaturgico-sonora di una pièce, e per sperimentare nuove soluzioni compositive entro il teatro musicale; ma è anche un prezioso alleato nel trattamento sperimentale della voce e della parola, e perciò nella rigenerazione non-lineare dei nessi testuali. Clementi, Evangelisti, Guaccero, Macchi, utilizzano tutti – nei lavori citati – il mezzo elettronico, con una rilevanza e un peso ragguardevoli nell’economia dei mezzi sonori previsti; l’assenza dell’elettronica in Bussotti è invece conseguente alla centralità della presenza corporea – anche quella della voce – nel suo teatro e nella sua musica tutta. Nel panorama tratteggiato, sembra dunque non aver posto una collaborazione tra la composita (ma ambientalmente solidale) neoavanguardia musicale di area romana, e la tendenza poetico-letteraria che, negli anni del suo sorgere, ha rivestito un analogo ruolo di sperimentazione linguistica: il gruppo dei ‘Novissimi’, e poi il Gruppo ‘63. Eppure, alle due realtà non erano mancate occasioni e spazi di contatto: il Gruppo ‘63 si costituì come tale entro le “Settimane Internazionali Nuova Musica” di Palermo,8 ovvero l’importantissimo festival di musica contemporanea che vedeva in prima fila – organizzatori e/o autori – i musicisti menzionati;9 gli scrittori erano inoltre editi perlopiù da Feltrinelli, Per la precisione, il Gruppo ‘63 si diede questo nome nell’ambito della IV Settimana (appunto 1963), nel corso di un incontro organizzato da Feltrinelli su indicazione di Francesco Agnello, una delle menti organizzative del festival; la serata del 3 ottobre ‘63 fu, in particolare, dedicata a lavori di teatro di esponenti del gruppo (fra gli altri: Giorgio Manganelli, Iperipotesi; Elio Pagliarani, Lezione di fisica; Alfredo Giuliani, Povera Juliet; Nanni Balestrini, Imitazione; Edoardo Sanguineti, K), con la regia di Luigi Gozzi per il Centro Teatrale di Bologna e di Ken Dewey per l’ACT (ovvero ACtionTheatre) di Roma; Giuliani ricorda – anche se non è segnalata nel programma di sala – la partecipazione di Frederic Rzewski alle performance messe in scena da Dewey. Il Gruppo ‘63 si ritrovò a Palermo anche in occasione della successiva Settimana (la V, 1965), offrendo letture di poesia, un incontro sul romanzo sperimentale e una serata di rappresentazioni di teatro di prosa (autori: Germano Lombardi, Enrico Filippini, Gaetano Testa) con la regia di Carlo Quartucci, le musiche di scena di Vittorio Gelmetti e la presenza di attori allora emergenti nel contesto romano: Cosimo Cinieri, Leo De Berardinis, Claudio Remondi. 9 Sulle “Settimane” di Palermo e altro, il testo documentario di riferimento è ora Visione che si ebbe nel cielo di Palermo. Le Settimane Internazionali Nuova Musica 1960-1968, a cura di Floriana Tessitore, Roma, Cidim-Amic / Nuova Eri, 2003. 8 82 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 83 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA la cui libreria in via del Babuino a Roma rappresentava un punto di ritrovo e, spesso, di esecuzione musicale per gli stessi compositori o di azioni meno codificabili di performance-happening.10 Ma proprio la cornice dell’happening, in cui la coincidenza di valore estetico dell’atto e flagranza del fatto rende il rapporto tra le componenti espressive meno impegnativo, unita alla vocazione anti-librettistica e intermediale del ‘nuovo teatro musicale’, ha inibito in quegli anni lo sviluppo di regolari collaborazioni – e soprattutto di un progetto forte e duplicemente intenzionato di ‘teatro musicale’ – tra i fronti letterario e musicale della neo-avanguardia di area romana. La presenza di due lavori di teatro musicale, nati in quell’ambiente romano (-palermitano) attorno al 1970, e sostanziati prevalentemente dai testi poetici di due esponenti del Gruppo ‘63 (Edoardo Sanguineti e Alfredo Giuliani), corregge tale panorama in maniera significativa, ma anche prevedibile, e non solo per le contiguità storiche segnalate: la struttura di un testo poetico è, per vocazione, sferica, multidimensionale, plurilineare, reticolare; incline alle relazioni paradigmatiche piuttosto che sintagmatiche, essa realizza in sé quella natura complessa, non unilineare, che le neoavanguardie non intendevano riconoscere nella struttura narrativa e nella monofocalità spaziale dell’opera lirica. La rappresentazione complessa del reale, messa in atto dalla sperimentazione linguistico-poetica dei ‘Novissimi’ e da Sanguineti in particolare con una chiarezza di forme crescente nel tempo, ha intrigato – accanto a Berio, Luca Lombardi, Razzi e moltissimi altri – anche Vittorio Gelmetti e Mauro Bortolotti, senza che questi rinunciassero alla chance del montaggio testuale (plurivoco o no, dettato da circostanze o scientemente perseguito). Il montaggio, per Vittorio Gelmetti (Milano, 1926 – Firenze, 1992), più che una chance è un vero e proprio principio compositivo totalizzante in La descrittione del gran paese:11 pioniere della ricerca musicale elettronica, Cfr. ALESSANDRO MASTROPIETRO, La nuova musica a Roma 1950-1975, “Sonus. Materiali per la musica moderna e comtemporanea”, in preparazione; il capitolo 2, Interdisciplinarietà delle neo-avanguardie negli anni Sessanta: ‘oltre’ gli statuti tradizionali delle arti, in MASTROPIETRO, Nuovo teatro musicale a Roma e Palermo: 1961-1973 cit. 11 Su Gelmetti, e in particolare sul lavoro qui trattato, cfr. ibidem; inoltre [Intervista sul teatro musicale con] Vittorio Gelmetti, in PAOLA MAURIZI, Quattordici interviste sul “nuovo teatro musicale” in Italia, Perugia, Morlacchi, 2004, pp. 49-55; VITTORIO GELMETTI, Nostalgia d’Europa, a cura di Francesco Moscardelli, Udine, Le parole gelate, 1984. Per la ricezione critica di La descrittione del gran paese, si può leggere GIOACCHINO LANZA TOMASI, La Sesta Settimana di Palermo. Il teatro musicale, “Lo Spettatore Musicale”, gennaio 1969, pp. 8-9. 10 83 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 84 ALESSANDRO MASTROPIETRO iniziata intorno al 1960 sotto il segno di un costruttivismo e di una predeterminazione integrali, Gelmetti si orienta – all’altezza della metà del decennio – verso soluzioni metalinguistiche, che prevedono il riuso di materiali musicali già confezionati, e riconoscibili in quanto tali. Musica al quadrato, dunque, o meglio - secondo una definizione di Gelmetti – ‘musica di musica’, che mette a frutto la capacità di semanticità riflessa (propria e relazionale) di quei materiali, oggettualizzati e virgolettati, quand’anche appartengano all’arsenale di sonorità della Neue Musik. La prassi si avvicina perciò a quella del montaggio-missaggio dei materiali concreti sul supporto del nastro magnetico; il fine è invece quello di “evidenziare in maniera lampante le potenzialità espressive” e insieme la “banalità” di quei materiali, e di proporre così una versione della cageana fine dell’opera d’arte in quanto sistema strutturato e intenzionato di segni, i cui corto-circuiti in Gelmetti generano senso solo nel fruitore e fuori dal controllo compositivo. La descrittione del gran paese segue l’impianto drammaturgico collagistico sin dalla sua presentazione come progetto, su un numero del 1967 della rivista interdisciplinare “Marcatré”:12 gli strati di materiali previsti – e disposti sulle pagine della rivista in sovrapposizione verticale, sono quattro, due testuali, uno musicale (con materiali dal vivo o su nastro) e uno visivo, consistente in cartelloni-pop preparati da Baruchello e proiettabili sul fondo della scena. Gli strati testuali sono a loro volta frutto di montaggi da testi di Sanguineti, in particolare da Tramdeutung (che Gelmetti avrebbe poi realizzato in forma teatral-musicale nel 1967), una pièce in cui quattro attori recitano i testi disposti sui leggii come fossero componenti di un quartetto d’archi. Il confondersi delle fonti che riguardano poi le realizzazioni di La descrittione del gran paese (Palermo 1968,VI Settimana Internazionale Nuova Musica, con una regia minimale – auspicata dallo stesso Gelmetti – di Carlo Quartucci; Oslo e Città del Messico, ambedue negli anni Ottanta) non cambia, anzi corrobora, la natura di ‘collage di collage’ della pièce: i cambiamenti dei montaggi testuali pubblicati nel libretto – riportato sul n. 8 di “Collage”13 – dell’esecuzione palermitana, l’indeterminazione delle parti “Marcatre”, luglio 1967, nn. 30-33, pp. 36-41. Di rilievo, in quel numero quadruplo, la pubblicazione di materiali per ben sei progetti di teatro musicale, tra i quali Scene del potere di Guaccero – anch’esso di là da essere messo in scena integralmente – e A(lter) A(ction) di Macchi. 13 “Collage”, n. 8, dicembre 1968, comprende alle pp. 89-122 una sezione, curata da Gioacchino Lanza Tomasi, che funge da presentazione della VI Settimana Internazionale Nuova Musica. In essa trovano posto una presentazione autografa di Gelmetti a La descrittione del gran paese (pp. 107-108), e una riproduzione parziale – e male incolonnata – del libretto-copione (pp. 110-111) già pubblicato in “Marcatré”. 12 84 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 85 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA staccate per gli strumenti sopravvissute (ogni strumento ha caselle – vuote o determinate – di materiali da eseguire), la non-congruità della registrazione dell’esecuzione di Oslo con le fonti visionate, l’aggiunta documentata per l’esecuzione di Palermo di un film di montaggio realizzato da Magdalo Mussio, confermano – al di là di qualsiasi indifferenza dell’autore a una trasmissione codificata del testo – la componibilità sempre nuova della pièce a partire dai suoi elementi stratigrafici. Il montaggio è perciò in Gelmetti tanto un principio generalizzato, e fatto agire in una prospettiva essenzialmente de-costruttiva (piuttosto che costruttiva e proliferativa, come in Collage di Clementi-Perilli), quanto – nello specifico della relazione tra componenti testuale e musicale – una soluzione rivelatrice di una persistente esigenza di fuga dal libretto-come-sistema-chiuso: i testi sanguinetiani non vengono, in La descrittione del gran paese, neanche intonati, ma scomposti-ricomposti su nastro e dal vivo da recitanti, sfuggendo perciò a una sintesi con il canto che garantisce la permanente apertura delle combinazioni realizzative. Se il saccheggio collagistico dei testi aveva, in Gelmetti, una necessità decostruttiva e una sponda strutturale nel montaggio del nastro magnetico, la multi-testualità che Mauro Bortolotti tesse in E tu? muove da territori più ‘privati’, ma per questo anche più motivati e radicati in una drammaturgia personale. Che è, allo stato, anche virtuale, dato che – pur datando il progetto 1970-71 – nessuna delle versioni abbozzate, e in due casi terminate (almeno nella forma dell’abbozzo continuativo), ha trovato la strada delle scene. Ad emergerne, finora, solo un Estratto: piuttosto che una sezione del lavoro complessivo (come ingannevolmente consiglia il titolo),14 esso ne è invece un compendio,15 una sintesi risolta nell’organico della sola voce più un set di percussioni assortito in pelli (bongos, tumbas, 3 toms), metalli (3 piatti sospesi, 5 campanacci, 5 campane tubolari intonate tra il Sib2 e il Mib3), tamburello basco, woob-blocks e glass-chimes. Ad libitum, in una delle fonti musicali, è indicata la presenza di un nastro magnetico, il cui materiale fonico e poetico deve consistere nella “scena per soprano e percuss[ioni]”, intestazione delle fonti A e B. Il brano è stato eseguito dai solisti di “Nuove Forme Sonore” nel 1971: Michiko Hirayama (voce) e Michele Jannaccone (percussioni). 15 La selezione e l’ordine dei testi musicati nelle fonti più complete (nell’elenco che segue, le fonti C, E e G) vengono nell’Estratto riformulati in modo più o meno consistente, ri-creando una sequenza a partire da una rete (un asse paradigmatico) di testi poetici: sembra proiettarsi su questa rete il vero sistema di senso dei testi, legati tra loro da relazioni forti (cfr. oltre, le opposizioni psicologiche tra i testi di Giuliani e Mallarmé) che possono assumere diversificate forme sintagmatiche-sequenziali. 14 85 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 86 ALESSANDRO MASTROPIETRO recitazione di una poesia giapponese, da scegliersi liberamente: è un omaggio alla straordinaria vocalist per la quale Bortolotti ha concepito il lavoro (Michiko Hirayama), ma anche un’estensione della costellazione di riferimenti poetici che imbastisce la drammaturgia dell’intero lavoro. Qui, come altrove in Bortolotti, la lettura, l’eco interiore e il gesto potenziale di alcuni testi poetici fungono da catalizzatori del pensiero sonoro, per […] superare processi linguistici altrimenti congelati […] Il contatto con un testo mi libera invitandomi a cercare, a centrare il nucleo espressivo, il punto di massima tensione della poesia o di un verso, o di un frammento… e in questo rapporto si realizza la “distrazione” e il distacco da vincoli, da precondizionamenti sia di mestiere sia interni alla cultura musicale […].16 La parola poetica, la maglia acustica del suo dirsi, è così un filtro per scardinare e fluidificare ogni rigidità nelle strutture pre-compositive, per animarle con gli scarti e le turbolenze della materia sonora: la lettura, l’affiorare delle trame ritmico-fonetiche della forma poetica, è un punto di partenza immancabile nella genesi dei numerosi lavori vocali di Bortolotti,17 non per ‘sancire’ e ‘chiudere’ quella forma, ma per consentirne un’epifania e permetterle di reagire con la forma pre-compositiva del materiale. Dalla lettura alla “LetturAzione”18 (ovvero alla scaturigine di un nucleo attorno al quale un teatro del dire la parola poetica può prendere a coagularsi), il passo può essere breve, e può dipendere da un quid in più di gestualità che la parola racchiuda. Tra i molti corpus poetici che Bortolotti, sin dai suoi studi con Petrassi, ha percorso compositivamente, quello di Alfredo Giuliani lo ha interessato a partire dagli anni Sessanta (Resurrezione dopo la pioggia, per tenore e pianoforte) fino ad anni recenti:19 MAURO BORTOLOTTI, s.t., in programma di sala della stagione pubblica di Nuova Consonanza 1981, concerto monografico a lui dedicato 26.X.1981, Roma, Auditorium della RAI del Foro Italico. Cfr. il Catalogo delle opere (1953-2006), pp. 253-270. 18 È un conio di Bortolotti, apparso nel titolo di Berryman: LetturAzione del 1981. 19 La conoscenza tra Giuliani e Bortolotti risale ad anni ancor precedenti, grazie al tramite di Franco Evangelisti. Sulla presenza dei testi di Giuliani nelle opere del compositore, cfr. MAURO BORTOLOTTI, Musica e poesia, in Chi l’avrebbe detto. Arte, poesia e letteratura per Alfredo Giuliani, a cura di C. Bologna, P. Montefoschi e M.Vetta, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 57-60, qui trascritto alle pp. 224-227. Dal catalogo delle opere del maestro emerge un totale di quattro ricorrenze di testi di Giuliani da parte di Bortolotti, accanto a E tu?: Resurrezione dopo la pioggia, per tenore e pianoforte, 1966; L’attesa… Il professor PI, per voce e nastro magnetico, 1980; Arioso per la Scena III, per basso e quartetto d’archi, 1984; I pesci di vento, per soprano, flauto e pianoforte,1991. 16 17 86 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 87 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA Nelle mie poesie […] il disordine della vita, né scansato né posto fra parentesi, anzi presupposto di ogni discorso, non è assunto quale indice di un atteggiamento semantico, non è preso esistenzialmente for granted. Lo schizomorfismo diventa una logica del pensare corretto, poiché le cose importano meno della coscienza che le forma penetrandone la struttura […] Perciò il discorso tende a manifestarsi in forma di pensieri non concettuali, ma “gestuali” […].20 È questa gestualità, disegnata in un moto dapprima dialogico, poi nuovamente intro-verso, che Bortolotti deve aver colto in un verso di Prosa, in Povera Juliet e altre poesie: “E tu? Me lo ripeto sempre”. Da qui, molteplici testi poetici han preso ad aggregarsi in un progetto di teatro musicale che ha conservato, nelle tante versioni abbozzate e mai del tutto rifinite – eccetto il citato Estratto –, lo pseudo-disordine logico del modello. Intorno al nucleo di Giuliani, si sono disposti mobilmente testi di Mallarmé, Porta, Sanguineti:21 una costellazione disegnata non solo su criteri di contrasto (formale: prosa vs. verso; psicologico: il profilo della “povera Juliet”22 contro l’amore immaginato, eppure luminoso, di Mallarmé) ma, in fondo, di tratteggio di un’ideale – parziale – personale – parnaso, nel quale a dialogare, teatralmente, siano parole musico-poetiche in reciproca complessa relazione.23 L’affollarsi intricato delle fonti, nell’unica cartellina che le conserva (assieme ad altri progetti per altre LetturAzioni, una delle quali su Pasolini), presso l’archivio privato dell’autore, impone un loro inventario: Fonti testuali: 1) 2 fogli dattiloscritti (con aggiunte a penna rossa), solo il primo dei quali riguarda il testo di E tu? (il resto riguardando il brano L’attesa per voce e nastro, ancora da Giuliani). La selezione testuale, corrispondente – se si ALFREDO GIULIANI, Introduzione (1961), in I Novissimi. Poesie per gli anni ‘60, a cura di Alfredo Giuliani, Torino, Einaudi, 19722, pp. 15-32: 24. 21 La versione ultima della composizione impiega i soli testi di Giuliani. 22 Ricordo che Povera Juliet, lavoro di teatro-poesia, fu rappresentato nel corso della IV Settimana di Nuova Musica di Palermo (1963), appuntamento abituale per la neo-avanguardia musicale romana, con la regia di Ken Dewey per l’ACT di Roma. La realizzazione, alla quale Bortolotti tuttavia non ebbe occasione di assistere, è ricordata dall’autore come innovativa – nella sua povertà – sotto l’aspetto della messa in scena. 23 La costellazione poetica ordita da Bortolotti riconosce la similare posizione culturale dei ‘Novissimi’ (comprendendovi Nanni Balestrini, dedicatario di Prosa) rispetto a quella delle neo-avangardie ‘nuovoconsonanti’, e di stimolo di quella poesia persino per l’invenzione strumentale. Cfr. BORTOLOTTI, Musica e poesia cit., ove il compositore cita la sua Musica per una scena per trio d’archi (dedicata proprio a Giuliani), nella quale “è ancora adombrata la figura della povera Juliet”. 20 87 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 88 ALESSANDRO MASTROPIETRO prescinde dall’assenza, qui, dei frammenti da Mallarmé – all’ordine esatto alla fonte musicale B, è compiuta entro testi pubblicati da Giuliani in La povera Juliet e altre poesie: Prosa e Il professor Pi esperisce la logica metasessuale. 2) 3 fogli (il terzo tagliato, il secondo barrato e riscritto sul verso, con prosecuzione sul terzo) di montaggio testuale, disposto su tre colonne corrispondenti ai testi intonati da soprano, tenore e lettore. In testa, è indicata – ma non riportata – la presenza di un “testo di Mallarmé (tenore) e poi di Porta (coro e parlato)”. Ciò che segue, riflette l’organizzazione in “un atto e due Intermezzi” cui allude Bortolotti stesso, laddove il main text è ancora montato dalle citate poesie di Giuliani (ma con linee versuali non presenti o cambiate di posto nella fonte 1), mentre gli Intermezzi – pertinenza esclusiva del lettore – attingono a Protocolli di Sanguineti. Fonti musicali: A) Lucido dell’Estratto per voce e percussione, 5 fogli. L’intestazione è sulla seconda pagina (numerata 1), essendo stata aggiunta – in un secondo tempo – una Introduzione su una pagina non numerata. I testi sono quelli della fonte 1, ma il lungo passo da recitare (ff. 3-4) non è quello di Giuliani da Il professor Pi, bensì è tratto da Lirica di Porta, pubblicata in Cara. Poesie 1965-1968, Milano, Feltrinelli, 1969. B) Cianografia del precedente, con la sostituzione del testo di Porta con quello di Giuliani mediante due strisce dattiloscritte incollate. C) Fascicolo di 6 bifoli, con 23 pagine scritte a matita (21 di partitura numerate). Il frontespizio recita E tu? nondramma in grigio; seguono alcuni appunti, anche sugli eventi scenici (agiscono all’inizio dei mimi), quindi la partitura (nella forma della partitura-scheletro sintetica), per S.,T., lettore, cl., vl., mand., cr., vc. (o cb.) e perc. La materia testuale è assai simile alla fonte 2, ma con rilevanti spostamenti d’ordine. D) Abbozzo parziale (terna di bifoli), espanso nelle forme e nei tempi rispetto a C, soprattutto mediante l’aggiunta di una sezione iniziale a 2 voci (che passerà poi in A ad una sola voce) e l’espansione dell’organico a 3 voci (2 soprani e tenore), fl., cl., cr., 2 vl., vla, vc. e perc. La veste è ancora quella della partitura-scheletro, con le parti vocali scritte per esteso e quelle strumentali ora complete ora abbozzate, ma fornite di interventi più sostanziosi rispetto a C (nell’Introduzione, dapprima figure rapide e sfuggenti; poi una marcetta trasfigurata all’acuto, su poche altezze; infine un Corale). Negli schizzi, sempre più sommari e infine interrotti appena dopo l’inizio vero e proprio sul triplo Sol acuto del soprano, s’infila l’indicazione per una “Danza di mesta felicità” (ancora un riferimento alla “povera Juliet”?). E) Abbozzo completo (4 bifoli più foglio aggiunto, coincidente con la p. 1 sostitutiva di quella originaria barrata, 15 pp. numerate), riscrittura e precisazione della fonte D, con alcune variazioni d’organico strumentale e di scelte compositive. Ciò che qui si precisa, è senz’altro il profilo delle linee 88 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 89 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA vocali, che rimarrà sostanzialmente invariato in F e nell’Estratto (fonti A e B). L’Introduzione di D è cambiata di posto (spostata in avanti), sono aggiunte altre linee di testo assenti in D (appunti marginali indicano i nomi del poeta John Berryman, di Kant, di Pasolini) ed è già compiuta la scelta di Giuliani al posto di Porta (vedi fonti 1/2 e A/B). Pochissime, ed assai semplici, le indicazioni di movimento sulla scena. F) Due bifoli, a parte (numerazione alfabetica) contenenti due stesure del rondel Si tu veux di Mallarmé. In ambedue, ad esser notato per esteso è il melos del tenore (nel primo bifolio, in due versioni, la seconda delle quali passata nel bifolio successivo e laddove – nelle altre fonti, anche al soprano – vengono citati frammenti di Mallarmé), con accenni-appunti per strumenti e coro. G) Abbozzo-partitura completo, 51 pp., organico di 6 vl., 2 vle, 2 vc., cb., fl., cl., cr., tr., trb., clav. e perc., più i solisti vocali e i mimi-danzatori. Si tratta della fonte più corposa, nella quale inserti rilevanti sono assegnati allo strumentale: figure, apparse accennate in altre fonti (lame accordali; frammenti omoritmici su intervalli di 2a; esplosione furiosa verso la conclusione), vengono qui sviluppate in veri pannelli, non limitati alla sola fase introduttiva, come in D. Le parti vocali seguono quelle delle altre fonti e la materia testuale della fonte 2, comprendendovi pure la “poesia giapponese” su nastro e uno spazio grafico romboidale, nel quale le voci pescano fonemi e parole su cui improvvisare in ‘parlato’. Specifico anche il dettaglio nei movimenti scenici: un ‘rito d’ingresso’, e la sua ambientazione scenica, è descritto nei minimi particolari.24 Non del tutto chiaro è se si tratti di una partitura definita in ogni sua parte, o ancora una partiturascheletro più avanzata nella definizione dello strumentale: l’autore, che prevedeva interventi comunque discontinui degli strumenti sulle voci, non ha sciolto il dubbio, pur propendendo per la sostanziale completezza della partitura. 24 Sul frontespizio: “2 poltrone di legno eleganti / 1 tavolo piccolissimo (con tazzine?) / 3 cappelli neri (grande tesa) da uomo / una persona fa monotonamente la stessa cosa”. Pagina successiva: “CoroSolisti e Mimi-Danzatori – Scena | immobili – con spostamenti a 4 a 4 o di gruppo a 3 a 3 / Con maschere da agitare e capovolgere (di figure o no?) / così da mutare espressione continuamente (Poi maschere moderne, fredde, assenti) / Poco a poco i danzatori cominciano a vibrare impercettibilmente / ma con continuità, seguono i coristi che dondolano e cominciano / a declamare versi / opp. inizia il solista (Mallarmé) lento, poi movimento c.s. durante canto solistico / Finiti canto e declamato (con solo corno o trombone o violoncello) attacca il trio d’archi / mentre i danzatori-mimi passeggiano disinvolti”. Quest’ultima fase corrisponde all’avvio della partitura G, che principia proprio con un trio d’archi; le precedenti presenze musicali sono invece quelle indicate nella fonte testuale 2 (coro, tenore solista sul testo di Mallarmé), le cui corrispondenti fonti musicali sono – se presenti – riportate separatamente (vedi fonte F). Il seguito di questa partitura non riporta indicazioni sceniche significative come quella d’apertura, se non istruzioni per movimento e stilizzate danze dei mimi, in corrispondenza degli “Intermezzi”: dunque, il canto tende a inibire quelle componenti visive, che invece si riattivano quando la parola viene recitata. 89 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 90 ALESSANDRO MASTROPIETRO Necessaria, questa notizia filologica può divenire inutile se volta solo ad una stemmatica (molto ardua, peraltro) delle fonti.25 Meglio trarne altre conclusioni: - anzitutto, la centralità in E tu? dell’intonazione vocale, del trasmutarsi della parola poetica in parola intonata (canto o parlato che sia, con i gradi intermedi). La veste di tutte le fonti, assai simile a quella di una partiturascheletro, denota infatti la genesi primaria, inventiva più che cronologica, delle linee vocali.26 È rivelatore il fatto che, quand’anche mutino le altezze o le distribuzioni delle linee tra le voci (l’Estratto condensa, in uno, tre percorsi vocali, tendenti però più ad avvicendarsi in dissolvenza incrociata, che a sovrapporsi), i profili restano pressoché immutati, e possono precisarsi prima degli elementi strumentali, ricombinabili o liofilizzabili (nell’Estratto) nel set delle percussioni. Al cospetto delle voci, gli interventi strumentali si dispongono a corteggio, a complemento, a riverberazione capricciosa e inquieta: insomma, essi hanno un ruolo preciso – ma imprescindibile da quelle – di libera dinamizzazione contrappuntistica degli eventi, da concretizzare interpretando sul momento gli spazi di libertà lasciati da una grafia stenografica. - la costruzione, appunto, della linea vocale.Valgono tanto i profili, quanto un attraversamento turbolento, irregolare, della materia sonora; quando anche delle altezze, non considerati i glissati e i mutevoli modi/timbri vocali (che sono però essenziali nella ‘presenza vocale’ per Bortolotti), venissero finalmente calcolate le sole posizioni sui 12 gradi cromatici, si scoprirebbe una tendenza – ma non una norma formalizzabile – prima di tutto alla copertura dell’intero compasso registrico, poi all’appoggio su alcuni segmenti/gradi nevralgici dell’estensione vocale, e solo in ultima analisi (e previa apertura della finestra analitica fino all’estremo possibile della frase musicale) del totale cromatico. Porto quale campione analitico un ampio momento dall’Estratto (es. 1): Arduo, anzi impossibile, è collocare la stesura dell’Estratto (e della fonte testuale 1, che vi si riferisce, ma che potrebbe essere stata stilata molti anni più tardi ‘a consuntivo’, e non come preparazione) in relazione alle versioni ‘ampie’ della partitura. Quanto a quest’ultime, si propende per l’ordine predisposto (C-G), con una relazione forte tra la fonte testuale 2 e quella musicale G. 26 La supremazia della linea vocale, e il suo risolversi in una sorta di ‘abbozzo continuativo’, non ha le stesse finalità estetiche e costruttive rivestite nell’opera dell’Ottocento: per l’operista, l’esigenza era il controllo dei tempi drammatici di una narrazione grosso modo teleologica, direzionata, in funzione della quale stilava dapprima l’abbozzo continuativo delle parti vocali, e poi una partitura-scheletro ove le parti erano riportate in vista dell’orchestrazione; in Bortolotti, invece, l’esigenza è quella di una strutturazione lirica, e non narrativa. 25 90 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 91 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA Es. 1 Mauro Bortolotti, Estratto da “E tu?”, ms. esso coincide con una delle fasi più movimentate e de-costruttive del brano, dove – dopo la sua zona iniziale – il già frastagliato melos viene interrotto ad libitum da eruzioni di parlato/percussioni, quasi una gara nervosa tra voce e strumentista, sull’espressione ‘di onde disritmiche’. Si tratta di un sipario, e insieme di un contrappeso oppositivo, al disegno lirico di “Cette rose…”, da Mallarmé, una frase (ultima parte del doppio rigo più in alto, da leggersi un rigo per volta in successione, mentre la percussione prosegue inerzialmente il treno d’impulsi in basso) quasi interamente vocalizzata su altezze definite, con un minuscolo inserto di Sprechgesang sulla parola “silence”, un solo glissando in chiusura e una sola acciaccatura intermedia a scomporre l’assorto dispiegamento del melos. L’ambito di questa frase (una nona, Fa3-Sol4) non è dei più divaricati, nella media dei comportamenti del brano; ma il contenimento – relativo! – dell’ambito è scelto per contrasto con il turbinare del parlato/percussioni, 91 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 92 ALESSANDRO MASTROPIETRO la cui parola infatti, ripresentandosi in forma vocalizzata a metà del terzo sistema (indicazione agogica “Veloce”), stira capricciosamente il proprio ambito dal Re3 ai Do5 e Re5 di metà del quarto sistema. La frase di “Cette rose…” presenta degli appoggi evidenti sul Mib4 (significativamente associata a sillabe con consonanti rotative: “ro[-se]”, “ver[-ser]”, “[pi-]re”; sicché l’appoggio è anche timbrico-fonetico), e secondariamente sul Si3 (anche stavolta con appoggio fonetico, sulla sibilante dura: “Cet[-te]”, “[ver]ser”) e sul Fa3 (unica bilabiale esplosiva, “pi-[re]”). Il totale cromatico è quasi interamente coperto, a partire da una stringa centrale tra il La3 e il Mib4; alcune classi d’altezze suffissate in basso (Fa3), altre affissate in alto (Fa#-Sol4), cosicché le uniche altezze escluse sono toccate nel corso della frase successiva. Quest’ultima, più che appoggi, si organizza su dei formulari evidenti (la discesa verso il Reb3, nel corso del terzo sistema, sulle sillabe in “…sritmiche”; la sequenza discendente Sol4-Mi4-Fa#3, all’inizio del quarto sistema), che vengono sublimati in microappoggi al ritorno dell’espressione “Cette rose…”, fine quarto sistema.27 Invece che mezzo di controllo, l’informazione d’altezza è dunque, nella voce, luogo di formazione del ‘gesto’ melodico-verbale. Ne deriva l’indefinizione delle durate, dovendosi queste adattare in corpore vocis al gesto vocale, mentre certa mensuralità più dettagliata si rintraccia nel disegno degli arabeschi lirici che Bortolotti sviluppa da Dallapiccola (es. 2).28 - la struttura bi-valente, a raggiera e multilineare, dell’ordito testuale.Voglio dire che il nucleo del montaggio rimane quell’E tu? che, in ogni versione, balugina nelle voci dopo la metà del brano, e viene suggellato solo con l’aggiunta finale di Me lo ripeto sempre. Rispetto al nucleo, la corolla degli elementi testuali si dispone in relazioni di contiguità autoriale (le altre linee da Prosa, in italiano o in francese, o da altri componimenti di Giuliani), o di similarità/opposizione linguistica, tematica, stilistica (il francese del luminoso, visionario rondel di Mallarmé; l’articolarsi, quasi in forma concertata con voce solista, della “logica metasessuale” nel “professor PI”; la familiareonirica prosa di Sanguineti; l’anafora, da filastrocca, in Lirica di Porta).29 La 27 In tutto ciò, il ruolo della percussione tende a essere quello della rifrazione (o al più della accelerazione) dei gesti vocali, oppure della formazione di uno sfondo di treno d’impulsi, neutrale rispetto all’arcuarsi della voce. 28 Tra questi, ve n’è uno (nell’Introduzione dell’Estratto) che si espande gradualmente a partire dalle altezze La3-Do4-Do#4, fino al gesto che lo chiude; l’emergere di una scrittura lirica, contrastata da una scrittura gestuale, è un’altra costante della condotta vocale. 29 “nell’incrociare le piume / nel partorire / nell’aprire il lontano / nel percepire le tre rive / nel parlare / 92 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 93 E TU?: UN (NON-)TEATRO MUSICALE ‘NOVISSIMO’ NEL CONTESTO ROMANO DEGLI ANNI SESSANTA Es. 2 Mauro Bortolotti, Estratto da “E tu?”, ms. partitura tocca i piani orbitali concentrici occupati da ciascun testo, in misura e ordine più o meno vincolante rispetto alla loro nuclearità: così, nella raggiera dei testi, più stabile risulta il nucleo da Giuliani, verso il quale non casualmente il discorso viene risucchiato alla fine; gli altri elementi testuali, invece, appaiono, scompaiono, cambiano di posto, emergono a brandelli.30 Non uni-lineare, la trama testuale è però orientata, dotata di gravitazione; e difatti anche gli elementi scenici – nella versione G, il ‘rito d’apertura’ e le poche indicazioni descritte alla nota n. 24 – si diradano verso la fine, salvo il gesto obbligato dell’uscita della voce principale “cantando in pppp”. - conseguente, l’indicazione di nondramma [in grigio]. Scorre, sottotraccia, un dramma allusivo, una complessa mappa di fatti/precetti situata in una psiche da ricostruire per ipotetica induzione. Non emerge, però, questo nell’accostare le tazze / nell’indicare i luoghi / nel chiedere castrami” etc. Il frammento di Porta, poi sostituito da quello di Giuliani, nella sua conversione in ‘prosa’ (recitato, invece che cantato), continua ad assolvere nell’Estratto quella che, nelle altre fonti, era la funzione di “intermezzo” (ugualmente recitato, non cantato) dei passi da Sanguineti. Esso è inoltre interrotto dal canto di uno dei frammenti da Mallarmé. 30 Ad esempio: del rondel di Mallarmé, interamente intonato in F, appaiono poi nell’Estratto solo tre frammenti: nell’ordine “Si tu veux nous nous aimerons /Avec tes lèvres sans le dire” (vv. 1-2, p. 0); “Cette rose ne l’interromps/ Qu’à verser un silence pire” (vv. 3-4, p. 2); “Le scintillement du sourire”, (v. 5, p. 3). I frammenti, come segnalato nella nota precedente, rompono la continuità degli altri frammenti testuali, spostando il discorso su un altro piano parallelo; in altre fonti, invece, sono posizionati in un più ortodosso rispetto dell’avvicendamento dei piani. 93 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 94 ALESSANDRO MASTROPIETRO (non)dramma, da un’azione, semmai da una lettura(azione), che nelle impennate, liriche o timbriche o gestuali, della voce trova l’unica chance di articolare il metaforico ‘grigio’ – fatto d’assenza, freddezza, iteratività – d’azione scenica che la avvolge.31 Gli elementi scenici che, nelle fonti, sono chiamati in causa, non hanno perciò un peso multimediale di rilievo strutturale come in La descrittione del gran paese: più che allusivi o astratti, sono elementi neutri, esportati dalla medietà della resa teatrale del quotidiano, un trovarobato realistico senza realismo; o sono pure forme d’espressione, ma prive d’ogni vero contenuto rappresentativo. In ambedue i casi, sono una figura dell’orbitare secondo libere traiettorie attorno a un centro di gravitazione testuale-psicologica, momenti di un percorso molteplice che si stacca da e torna a quel nucleo con un andamento centripeto, laddove la multimedialità e la stratigrafia collagistica di La descrittione del gran paese era figura – e metafora – di un viaggio centrifugo entro un universo omogeneo e sferico quale quello di Sanguineti. Montaggio dei testi poetici, accenni di drammaturgia scenica, sono insomma tutti proiezione di quel verso nucleare, di quel moto gestuale che chiama in causa una presenza dialogica, ma la riperimetra subito nel cono d’esperienza dell’io. La voce è ciò che disegna le nervature portanti di questo non-dramma, lo strumentale – piuttosto che le scarne indicazioni sceniche – il suo umbratile scenario. 31 Ho già notato, nella fonte G, l’inibizione delle già scarne azioni in scena (azioni ‘di grado zero’, come l’oscillare, il camminare disinvoltamente…) quando, dopo il rito d’apertura, il canto si ispessisce. 94 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 95 Mauro Bortolotti, Estratto da “E tu?”, ms., p.1 95 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 96 Intorno a John Berryman: LetturAzione* Daniela Tortora […] all the black same I dance my blue head off! John Berryman, King David Dances Altrove ho già insistito sul senso speciale che la parola poetica (nelle sue molteplici accezioni) ha giocato nell’itinerario artistico di Mauro Bortolotti.1 Una devozione antica e ininterrotta lega l’esercizio compositivo dell’artista umbro alla poesia, ne sostanzia la copiosa produzione di opere (dagli anni Cinquanta sino alle più recenti creazioni del nuovo millennio), anche di quelle meno scopertamente assegnabili a questo sostanzioso versante del suo lavoro, ne traduce in segni più o meno facilmente decifrabili un percorso parallelo di letture, di incontri, di meditazioni, certamente più vasto e centrifugo di quanto l’ordinato succedersi delle sue composizioni possa lasciar intendere. La parola poetica, o letteraria che dir si voglia, si fa compagna di un lungo viaggio iniziato da subito negli anni giovanili, grazie alla precocissima frequentazione dei grandi poeti americani,2 dei surrealisti francesi, dei ‘novissimi’ italiani, e trasformatosi poi in un inarrestabile vagare alla ricerca delle regioni più oscure e inesplorate del reale e delle sue infinite costellazioni dicibili. La parola poetica è vocazione/volontà di canto (con Éluard,“[…] fin dai tempi più remoti, la poesia è il linguaggio che canta”) ed è una parola che letta, riletta, ancora risuonante degli echi delle tante letture sedimentatesi nella memoria, si lascia frantumare, scomporre, manipolare, riscrivere, sino a conquistare una novella epifania [sonora] grazie al gesto rigenerante riservatole dalla musica. D’altro canto, è la parola poetica a nutrire le fondamenta del pensiero musicale * Una prima versione di questo testo è apparsa nelle note al programma di sala dello spettacolo nel 2003 (Goethe Institut-Rom, 15-16.XI.2003) e, successivamente, in “Luxflux proto-type arte contemporanea”, II, 2004, n. 4-5-6, pp. 161-167. 1 Cfr. DANIELA TORTORA, Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti,“Avanguardia”,VII, 2002, n. 19, pp. 5174, qui riprodotto alle pp. 21-45. 2 L’attenzione per la poesia americana è confermata nel dopoguerra dalle letture orientate dal “Politecnico” di Vittorini, cfr., ad esempio, ELIO VITTORINI, Breve storia della letteratura americana, “Il Politecnico”, I, maggio 1946, n. 29, pp. 5-9 (a seguire nei numeri successivi). 96 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 97 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE di Bortolotti, ad accenderne i luoghi più infuocati, a illuminarne il senso ora di gioco, ora di memoria, ora di distanza o di vuoto delle sue musiche, a divenire parafrasando Berryman - “il suo trastullo”, il suo “sogno”, la sua “quiete”; a raccogliersi in superficie o a ritrarsi nelle profondità del tessuto musicale, più che mai viva, sottratta com’è a esistenze e universi palpitanti e diversi. Non posso fare a meno di citare ancora una volta le parole del compositore, dettate poco più di vent’anni fa per le note del programma di sala di un concerto monografico a lui dedicato da “Nuova Consonanza”: Che cosa è infatti il mio attaccamento di sempre alla poesia (per es. Eliot, Scotellaro, Éluard, Cummings e, successivamente, Giuliani, Marziale, Berryman, Sanguineti …) se non un modo di superare processi linguistici altrimenti congelati? Il contatto con un testo mi libera invitandomi a cercare, a centrare il nucleo espressivo, il punto di massima tensione della poesia o di un verso, o di un frammento… e in questo rapporto si realizza la “distrazione” e il distacco da vincoli, da pre-condizionamenti sia di mestiere sia interni alla cultura musicale che si va ‘ritrovando’ e ‘riassumendo’ nell’esercizio di questo ‘sistema di libertà’.3 Come nasce (da dove proviene) la vocazione teatrale di Mauro Bortolotti? È un’inclinazione lieve, insinuatasi poco a poco nel suo lavoro, appena pronunciata eppure già intravista tra le righe della sua produzione vocale degli anni Sessanta-Settanta (penso, in particolar modo, alle opere nate sui testi di Alfredo Giuliani, Povera Juliet e Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto),4 ove nella dilettosa/concettosa prosa musicale si aprivano a sorpresa squarci dotati di una speciale intenzione declamatoria e insieme gestuale. È la parola poetica stessa a custodirne in fondo tutti i segreti e le ragioni - è nel dire la parola che risulta possibile un fare la parola – ed è l’accostamento cauto al teatro a divenire l’unica forma vera, possibile di apertura della scrittura musicale che Bortolotti possa concedersi in questa fase della sua esperienza musicale. L’incontro con la poesia di John Berryman (1914-1971) è di quelli esaltanti, rapinosi e non risolvibili nei termini dettati dai codici ormai un po’ infiacchiti dell’avanguardia nei tardi anni Settanta: l’innamoramento è subitaneo, ma MAURO BORTOLOTTI, programma di sala del concerto monografico, stagione di “Nuova Consonanza”, Roma-Viterbo, 1981. 4 E tu? nondramma […] (1970) per soprano, tenore, mimo e orchestra da camera utilizza la “poesia di teatro” Povera Juliet (1963); L’attesa… Il professor PI (1980), per voce e nastro magnetico, un frammento da Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto. Entrambi i testi sono contenuti in ALFREDO GIULIANI, Povera Juliet e altre poesie, Milano, Feltrinelli, 1965, rispettivamente alle pp. 51-66 e 41-48. 3 97 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 98 DANIELA TORTORA l’approccio graduale progressivo insistito. Qualcosa attrae fatalmente Bortolotti nel vortice della poesia del non-facile artista americano: ora lo sguardo allucinato che perfora la materia delle cose per metterne a nudo la sostanza; ora il turbinio soverchiante del reale che finisce per colmare di sé una lirica possente, sofferta, eticamente turbata, ma consapevole del proprio ruolo ineludibile nel mondo contemporaneo (un anonimo recensore del “Times Literary Supplement” scriveva come Berryman “sviluppi uno stile espressivo da quella inarticolatezza che l’affascinava e che appartiene al nostro tempo” un’inarticolatezza che “parla per coloro che vedono i mostri [Guai ai gelidi mostri, ammonirà Luigi Nono negli anni Ottanta] impadronirsi del mondo e non hanno trovato un linguaggio coerente per esprimere il loro orrore”.5 Bortolotti prende nota con cura dei suggerimenti interpretativi dell’americanista Sergio Perosa e li evidenzia dando l’opportunità al musicologo di ricostruire, attraverso la parola dell’ermeneuta selezionata dal musicista, una sorta di decalogo [personalizzato] di iniziazione ai Canti di Berryman e alle sue importanti conquiste, così determinanti ai fini delle successive imprese compositive del Nostro: […] egli [Berryman] definisce il sogno come “un panorama dell’intera vita mentale”, scomponibile in molteplici (o addirittura infinite) strutture. […] Come parlano il linguaggio del negro e del blues, così questi canti parlano il linguaggio “altro” del sogno e dell’allucinazione, dell’inconscio e dell’io dislocato non solo razzialmente, ma psicologicamente. […] il linguaggio è gravato di intenzioni parodistiche e umoristiche, predilige la battuta di spirito o la boutade magari apparentemente incoerente Dentro c’è perciò di tutto – dai tormenti individuali agli eventi più angosciosi dell’epoca, dall’assassinio di J. F. Kennedy al Vietnam, dai processi in Russia alle atomiche – ma rifranto, non organizzato, nella ripetizione seriale dei canti. È dunque poesia dell’io che ingloba e rispecchia la vita del tempo e l’alienazione della società, di cui quella dell’individuo è riflesso. In tal senso ci si discosta violentemente (e comprensibilmente) dai due modelli iniziali di Wordsworth e di Whitman, dalla loro poesia dell’io […] Berryman mostra costantemente, assieme ai risultati raggiunti, gli strumenti usati, i mezzi di cui si serve. Quella del Berryman maturo è una forma e un esempio di grande poesia postmoderna […] e di un recupero alla poesia della pienezza emotiva e vitale dell’io. 5 La recensione è citata in SERGIO PEROSA, Itinerario della poesia di Berryman, in JOHN BERRYMAN, Canti onirici e altre poesie ,Torino, Einaudi, 1978, pp.V-XLIX: XXXIX. 98 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 99 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE Al centro dell’ispirazione di Berryman sta forse il fascino di essere o diventare poeta; e così al centro della sua poesia egli trova l’io. Ma questo io scopre e fa muovere un mondo del contingente, di vita vissuta, qui, ora, nella sua confusione e nella sua caducità, che affiora e ribolle […] Il poeta forse più libresco del secondo Novecento si arrende alla vita, esalta il reale più caotico e tumultuoso6 Le travolgenti suggestioni oniriche (e musicali) – chissà, forse, musicali proprio perché oniriche - attinte alla poesia di Berryman danno vita a una sorta di ciclo compositivo avviatosi sul finire degli anni Settanta con il Quartetto per archi (Preludio a Berryman) (1978, ma edito per i tipi della Edipan nel 1985) e proseguito poi, a qualche anno di distanza, con Room 231: Something black (1981- rev. 2003, anch’esso edito nella sua prima versione dalla Edipan) per voce di soprano e quartetto d’archi e infine con l’inevitabile approdo scenico del Berryman: LetturAzione (1981) per soprano, basso, attori, lettori, danzatrice, gruppo strumentale, nastro magnetico. Il ciclo è in realtà un percorso aperto, nient’affatto concluso, che consente l’espansione dei materiali attinti all’infinito campionario di umanità di cui si forgia la poesia berrymaniana: se la scrittura per archi, volutamente aperta nelle tante agilissime figurazioni che ne increspano la pasta sonora complessiva, ben si addice a rendere omaggio alla inconsistenza e alla pesantezza del vivere celebrate dal poeta americano, Es. 1 6 Ivi, pp. XXVII-XLVII; le sottolineature sono di Bortolotti. 99 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 100 DANIELA TORTORA Mauro Bortolotti, Quartetto (Preludio a Berryman), p.1 la voce e il canto (il bisogno di/ la libertà di) irrompono accanto agli archi (è ancora un quartetto l’altra voce cui è affidato il Berryman più oscuro) nel lavoro successivo, Room 231 […], ora in maniera delicata e dolcissima (“quasi parlato”, “morendo”, “solo fiato”), ora in modi orrorosi e inquietanti proprio per l’intonazione perduta e per la vaghezza del parlato (le parole si affollano sulle righe del pentagramma per trascolorare poi nei suoni, anch’essi non di rado indefiniti, e viceversa) Es. 2 100 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 101 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE Mauro Bortolotti, Room 231: something black, ms., p. 2 Bortolotti elude nel ‘78 - l’anno del Preludio a Berryman - la scelta testuale, non predilige alcun testo, bensì la parola assente semplicemente evocata dal nome, non poco ingombrante per la verità, del poeta appena scoperto e già inseguito; non può tuttavia fare a meno di aggiungere la sua parola/voce a quella volutamente sottratta del poeta celebrato nell’intitolazione del brano, per rivolgersi così ai suoi futuri interlocutori, interpreti o ascoltatori che dir si voglia: Il musicista sa che la sua arte vive di una doppia vita: l’una, segnata dallo scandirsi di un tempo “oggettivo”, misurato dall’incorruttibile metronomo, deve, però, coesistere con l’altra data dal fluire libero di un tempo “interiore”, mutevole come lo stesso scorrere della vita, misterioso come ogni “doppio”, inquietante come sa il filosofo ed ogni uomo cosciente di sé. Per questo lavoro ho evitato – tranne che per brevi tratti – un tempo scandito dalla battuta, preferendo una notazione propozionale, libera; ma dovrà essere cura degli esecutori cercare e seguire il tempo di ognuno, e insieme di tutti, ogni volta diverso, ogni volta il più vero. Sento allora di dover dare un consiglio preciso per l’esecuzione: ciascuno dovrà leggere in partitura per poter individuare, percepire le attese, le esitazioni improvvise, le repentine tensioni, proprie ed altrui, così da realizzare infine, senz’altro vincolo che quello reciproco, di un comune sentire, un procedere che sia parte vera dell’uomo, sofferta e vibrante misura del suo istinto vitale.7 7 MAURO BORTOLOTTI, Quartetto (Preludio a Berryman), Roma, Edipan, 1985. 101 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 102 DANIELA TORTORA Poco dopo, nel Tiuit (1979) per violoncello il compositore farà scivolare parole e frasi sbocconcellate di E. E. Cummings tra le maglie allentatesi delle strutture sonore affidate all’arco solo e alla sua misteriosa voce (e a quella della sua interprete, tacitamente omaggiata/anagrammata nell’intitolazione del pezzo, Francis Marie Uitti).8 Sarà poi nuovamente l’abbraccio degli archi – forse di schönberghiana memoria (ricordo la comparsa della voce negli ultimi due movimenti del Quartetto op. 10, con l’intonazione delle due liriche di Stefan George - a serrarsi attorno alla voce fattasi vera, persona viva in carne e ossa, nella desolata Room 231: [the forth week] Something black, ancora da Berryman. Banale sarebbe limitarsi alla constatazione della speciale musicalità del verso berrymaniano, rimarcarne la natura tuttasonora di canto non di rado in-traducibile che affonda le radici nel blues e nello slang neroamericano; altrettanto vano segnalare l’indole dialogico-discorsiva di quel verso – talking verse, si dirà - che lascia spazio all’eloquio del poeta e dei suoi molteplici doppi; inutile, se si volesse scorgere in tutto ciò la ragione essenziale dell’andare al di là del semplicemente poetabile e musicabile: tutto questo potrà assumere un senso soltanto qualora si riuscisse ad ascoltare le inaudite tensioni gestuali insite nella parola poetica di Berryman, quello sconfinare verso il canto/gesto, il canto/danza della parola stessa che le consentirà di sentirsi a suo agio all’interno di un manufatto disomogeneo e composito quale quello realizzato da Bortolotti con LetturAzione (“Abbiamo suonato per voi, e voi non avete danzato: abbiamo pianto per voi, e non vi siete uniti al lamento. On parle toujours de “l’art religieux”. L’art est religieux. […]”, dirà Berryman nell’epigrafe alle Delusions, etc.,9 la raccolta cui appartiene il Beethoven Triumphant, vero e proprio cuore pulsante dell’intero lavoro scenico del maestro umbro). Al groviglio delle citazioni testuali, tratte perlopiù dai Dream Songs e dalle Delusions (con innesti minimi da Mallarmé, Eliot, Robins Freeman), Bortolotti intende dare una forma in qualche modo narrativa, vale a dire Tra le carte del compositore si conserva copia di una lettera del 18.IV.2005 al M° Marco Lombardi, alla quale è allegata la seguente breve nota sulla composizione Tiuit: “Il lavoro, per il tipo di scrittura usato, può considerarsi come una complessa improvvisazione suonata, parlata (se l’esecutore è disponibile) e aperta all’inserimento di zone umoristiche – qui con l’impiego di un secondo arco, particolarmente allentato nei crini, affinché possa abbracciare tre corde per ottenere una ampia, indistinta, fascia sonora. L’assenza, per la gran parte del lavoro, di battute e la possibilità di scelta del rigo e dell’iter da seguire, devono coinvolgere l’esecutore curioso nella ricerca della forma-durata globale della composizione” (archivio privato Bortolotti, datt. inedito). 9 BERRYMAN, Canti onirici e altre poesie cit. 8 102 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 103 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE trasformarle in un itinerario di lettura (musicale) sovrapposto agli originali e aperto, sì, alle varie sollecitazioni delle infinite messinscena possibili, ma dotato di senso proprio nella definizione delle sue interne stazioni, così annunciate in un antico abbozzo del lavoro: 1) l’amore, la donna, la vita; 2) Beethoven Triumphant; 3) il padre, la morte. Vale la pena a questo punto di ricordare le parole dettate dal poeta per introdurre a suo tempo il lettore americano alla prima edizione della raccolta prediletta da Bortolotti: Il poema […], qualunque sia la vasta gamma di personaggi, è essenzialmente su di un personaggio immaginario (non il poeta, non io) chiamato Enrico, un bianco americano sulla mezza età truccato talvolta da menestrello negro, che ha subito una perdita irreversibile e parla di sé talvolta in prima persona, talvolta in terza, talvolta perfino in seconda persona; ha un amico, mai nominato, che gli si rivolge chimandolo Signor Ossa e varianti del nome.10 L’irruzione prepotente del reale (il “corpo della signora Broscia prima che muoia alla lussuria”, il mondo pieno “di donne che s’abboffano”, le “cosce musicali”, la vecchiaia risparmiata, “una pallottola sul portico di cemento”, la “tomba di questo orribile banchiere che all’alba in Florida si fece saltare le cervella”) crea un varco tra le trame artificiose del linguaggio poetico e finisce per infrangerne i fondali di cartapesta e per mettere in scena l’io individuale travolto dall’eccedente mostruosità dilagante nel mondo. E così l’evento lontano e incomprensibile (il suicidio del padre), che aveva segnato in nuce l’esistenza (e con essa il destino) del poeta morto anch’esso suicida nel ‘71, diviene ad un tempo prefigurazione e attesa del gesto (dell’unico gesto) risolutivo possibile. Nel citato abbozzo le tre parti segnalate, dotate ciascuna di una precisa indicazione di durata, vengono organizzate in unità discrete contrassegnate ciascuna da una lettera differente e dal vario succedersi degli interventi dei cantanti, dei lettori e della danzatrice: I = 14’VIDEO L’amore la Donna la vita A) B) C) 10 Nastro il Basso + piano e viol. […] Lettore “Tu nella casa di pietra” Ibidem. 103 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 104 DANIELA TORTORA D) E) F) G) H) Entra la Danzatrice I) L) Video M) N) O) P) Q) Nastro Lettore “Desiderai” Soprano “…” Lettori “Amarla non l’amo…” il Basso “Concedimi tu insonne…/ … alla lussuria” Lettore “Astronomie… il tuo coro” continua nastro Lettore + violino 4’ “Sirena mallarmeiana” Lettore “Rimpinzato” Frammenti 5 (4’) Lettore “E si riapre/ che delira…” nel silenzio Soprano Something con quartetto o con chitarra Lettore “Cominciò col turbinio…” + video “… all’una e trenta (+ pianoforte) … svanì” Danza (+ pianoforte) II [= 8’] Beethoven Triumphant + nastri con citazioni beethoveniane III = 14’ Il Padre – la Morte A) B) C) D) E) F) G) H) I) L) M) Accordo tenutissimo/ mus. in fff Soprano… acuto Lettore “Mia madre ha il tuo fucile” Basso “Se tu vieux” Mallarmé + pianoforte Lettore “Se la vita è un sandwich….” + lettrice Lettori (duo) “Anche lo amo…” + video Nastro + Lettore “La lapide è storta …” Quartetto (Preludio a Berryman) Lettore “La fortuna gli diede di conoscere…” Soprano “Something black” + quartetto Lettori “Il suo dono declinò…” + nastro in crescendo (ironico) Basso “Concedimi…” + danzatrice (come al 2) Soprano “I carry” + Quartetto Tra le carte che il compositore custodisce esistono almeno altre due versioni del medesimo tracciato del lavoro: in entrambi i casi la soluzione grafica adottata prevede sulla sinistra del foglio il succedersi dei riferimenti testuali con accanto annotazioni inerenti alle luci, alla postura degli interpreti, alle azioni, ivi inclusa la danza, e sulla destra, ben evidenziata, la 104 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 105 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE parte musicale dello spettacolo (ovvero l’impiego delle voci, del canto, del nastro, degli strumenti) con i frequenti autoimprestiti (I carry, Frammenti 5, da Éluard, Mottetto, Quartetto [ma “Preludio a Berryman”], Stanza 231), montati qui in relazione allo scorrere delle citazioni testuali pronunciate (o intonate). Una di queste due stesure mi appare significativamente arretrata rispetto all’altra (ed anche rispetto a quella trascritta poc’anzi) per l’aggiunta di altri riferimenti testuali e poetici (“Mallarmé”, “Vietnam”) e per la presenza di citazioni musicali da un brano per “viol.[ino] solo”, non meglio identificato e dal “Contre 2” (fig. p. 112) La versione più completa di questo copione prevede la trascrizione integrale dei testi letti e intonati, così come sono stati prelevati dai Canti originali e giustapposti dal compositore, con l’aggiunta delle didascalie sceniche e, nel riquadro laterale, degli appunti perlopiù manoscritti (tutto il resto è dattiloscritto), inerenti al piano sonoro-musicale, nonché scenicovisivo dello spettacolo (luci, danza, video, etc.): ➝ Voce Basso sua luce [ms.] Berryman: Letture Parte NASTRO indi Basso: Concedimi, o Tu insonne….. (passeggiando) 1/2 luce [ms.] pag. 35. Tu nella casa di pietra dove il sicomoro Più di me ti vede, dove l’erba della fortuna Più spesso ti allevia il piede nudo… Proprio ora passi con soave moto… con qual Dolce pensiero ohimè per me, sperduto e dolorante? pag. 31. DESIDERAI,TUTTI I MITI GIORNI di metà marzo Quest’anno speciale, che il tuo biondo buonanimo (Signora), ammettesse… Me nella tua storia, a primavera. Un osso sbiancato dal sole. Viandanti rispettosi vi passano al largo, riarsi. PAUSA NASTRO TACE [ms.] Sopr. inizia “I carry” 3’/4’ luce sul soprano [ms.] pag. 87. (Allegro) 105 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 106 DANIELA TORTORA Amarla non l’ama ma il pensiero che dedica a quella giovane lancerebbe un prodotto nazionale, con tanto di campagna alla TV e scritte in cielo, punti di vendita a Bonn e Tokio, davvero si sappia che nove parole non sono state scambiate fra lei ed Enrico Concedimi, o Tu Insonne, un’esperienza personale del corpo della signora Broscia prima che muoia alla lussuria! LUCE[ms.] AZIONE / TAVOLA!... lunga pausa pag. 41 Astronomie e gerghi per trovarti, cara, Stella, soffio dell’arte, magistrato, coscienza! ……. Un lampo di luce, un intuito: io sono il timoroso Veicolo del tuo cadmio fulgore… Il tuo coro NASTRO busto Beethoven ? luce su [ms.] pag. 43. Abbronzato da giovane; prese la tonsura; su un verso Lavorò per anni; e poi quell’amabile concubina … C’era anche Laura e 317 sonetti… 1/2 luce attori [ms.] (canta il Basso con ironia) DANZA – inizia [...] al grave [ms.] PAUSA con musiche beethoveniane per lettura Beethoven Trionfante VIA NASTRO [ms.] INIZIA VIOLINO 6’ pag. 47. poi la danza Sirena mallarmeana capovolta – radicata! Sfida l’alta forcella, i due bracci in cima s’impiumano il violino [ms.] Verso le nubi, appena sotto si rigonfia il tronco… Guardala Ricca di foglie e rami!... verde-mondo… libera D’esser lei: solida-sottile-grigio-scura scorza, Una pelle sul suo più serio pensiero: vagare… NASTRO – 30” [ms.] pag. 63. All. [ms.] Rimpinzato il corpo sodo e voluttuoso / di pollo alla paprika Mi lancia due occhiate Svenendo d’interesse, contraccambiai la brama e solo la presenza del marito ed altri quattro mi tenne dal saltarle addosso o prostrarmi ai suoi piedini ed esclamare “Sei il più bel pezzo di fica dopo anni di notte su cui Enrico abbagliato, 106 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 107 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE abbia posato gli occhi, splendore” Signor Ossa: pieno è il mondo di donne che s’abboffano. Frammenti 5, archi pag. 39/ n. 39 in SILENZIO [ms.] LEGGE Dopo i Frammenti 5 [ms.] E si riapre fremente la vecchia ferita? Dovrò Ancora curare i miei giorni agli occhi d’una donna Sentendo sfuggire la notte inquieta e bendata? Torcermi in sciocca estasi? Ripetere saluti banali finché una Lagna quotidiana fa squillare una promessa? Piegarmi a far l’accolito, Che ero mio padrone? Deve scorrere splendente il mio sangue, Puerile, con me gelato e ottenebrato? Allentarsi il polso? Vedo che è così, deve, vedo tremante Che la grazia del suo passo scattante via da me Mi incatena dove ora mi fermo con sorriso di pena: Ne più d’orgoglio mi vesto o della febbre mi spoglio, Fino al furore quando a letto ci si infila, Provando la calentura per il cervello che delira. pag. 49. Cominciò col turbinio, cieco, irrequieto oh, sempre – La marea era entrata verso la porta occidentale Ed io seguivo la marea… finché Mi arrestò una voce – corpo e volontà E paniere, capovolto e versato, si spezzò il nervo teso E tutto il tempo non giunto s’oscurò… Alle nove e trenta giovedì sera, nel 1940, febbraio… Una ragazza enigmatica sorridente svanì. Éluard: Sop. [ms.] UGO (?) [ms.] DANZA a lungo con pianof. e Azioni pag. 189 Congelato in questo bar irlandese, auguro ai miei amori ogni bene, idem agli estranei e a tutti i suoi amici, sette o giù di lì/ perdono ai nemici, specie due, gli si imballa il cuore, a tanta magnanimità, può essere che sia così? RIPRENDE Frammenti 5 [ms.] -Signor Ossa, ma è fuor di sé. Ha visto uno stregone? Sembra in vena da testamento e ultime volontà. Se ne va? (Esce – Azioni minime Riprende Lettura Beethoven nastro [ms.] III 14’ + video [ms.] pag. 149. Il tuo volto incombe dal tavolo. Suicidio. La tua forza travolse come un torrente verso la fine di angoscia e ira – 107 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 108 DANIELA TORTORA Battezzata all’inizio Sylvia Plath hai cambiato il nome… figliato… oltrepassato… Finché il forno ti parve il luogo adatto. Accordo tenutiss. la musica in FFF. (p improvv… canto…) pag. 75. Mia madre ha il suo fucile. (fucile/fucile) Sop. I Carry [ms.] Un uomo solo, con la mente stravolta e artigli d’orso, si squarciò al tocco del grilletto, caro mio. Non doveva farlo, ma immagino, sorella, che non si sentisse troppo bene – che si sentisse non proprio se non peggio come noi…? Ora – dimmi, amor mio, se ti ricordi la luce di colomba dopo l’alba sull’isola ed il resto – ecco la storia, Jack: favellò per quarant’anni, a sufficienza, sparò e si piegò in due – e, bellezza, di schisto [sic!] là ce n’era ben poco (un po’). PAUSA – Suono – pag. 145. VIETNAM: Enrico rabbrividì: una guerra non guerra il nemico non il nostro nemico ma il loro chiunque siano… all’oscuro/ ogni giorno (ripetere) uccidevamo vietnamiti con cifre disgustose sbandierate in prima pagina, che, amore guardo ad occhi sbarrati……………….. Basso [...] [ms.] pag. 91. Se la vita è un sandwich di fazzoletti in pudore di morte mi ricongiungo a mio padre che tanto tempo fa osò (osò/osò, segue) lasciarmi. Una pallottola sul portico di cemento… Stramazzato su un’isola, accanto al mio ginocchio. -Lei è uno strazio, signor Ossa, eccole questo fazzoletto, ora metta il piede sinistro vicino al destro mio, spalla a spalla… sotto braccio… canticchi un po’, signor Ossa. Non vidi nessuno venire, e allora ci andai io. Buio [ms.] pag. 137. Anche lo amo: a me non ha nuociuto/ Per aver continuato 40 anni, ora tocco la sua disperazione, ma non nuotò al largo con me o mio fratello come minacciava – possente nuotatore, di prendere con sé uno di noi a fargli compagnia nella sconfitta sublime, raggelando (raggelando etc.) Non so decifrare la sua mente sconvolta, così forte e distrutta. Ci ho sempre provato. Io… io cerco di perdonarlo: 108 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 109 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE il cui frenetico passaggio, quando non ce la fece a vivere un minuto di più, quel mattino d’estate lasciò Enrico a continuare a vivere. Qui DANZA MOTTETTO pag. 203 La lapide è storta, senza fiori, all’imbrunire con furore sto sulla tomba di mio padre/ spesso, spesso prima d’ora in atroce pellegrinaggio son dovuto venire/ a uno che visitarmi non può, che strappò la pagina: ci ritorno ancora, e sputo sulla tomba di questo orribile banchiere che all’alba in Florida si fece saltare le cervella oh, quando, quando, ahimè, verrà l’indifferenza, gemo e deliro, vorrei grattare fino ad arrivare sotto l’erba, alla cella e con l’ascia spaccare la cassa, ah, per vedere come se la passa, ottenuto lo scopo, il padre mio…… MUSICA Quartetto [ms.] pag. 153. La fortuna gli diede di conoscere i migliori,/ nel suo tempo i re dell’espressione, a voce e a mano – l’irlandese, il bardo condannato… Il sottile banchiere e il pazzoide – e l’amico saggio… Ma aggiungo il bostoniano aspro, grandioso e addolorato. Stanza 231: Sop. [ms.] pag. 173 [...] Il suo dono declinò. Non sapeva più scrivere. Sta’ zitto allora, finché non riprende. Abbiamo la sanzione di Goethe: oziare quando non si presenta nessun tema O uno che non si possa degnamente trattare: mi rifaccio alla sua alta parola. Odio la sua razza, però tranne Hölderlin e Kleist, entrambi stretti al petto d’Enrico: un suicida e un pazzo……… Kafka vecchio amico. NASTRO [...] [ms.] Enrico, insetto mostruoso, si stese sulla macchina della colonia penale Senza un rammarico. Era tutto un rammarico, ingoiando il proprio stesso vomito Deludendo la gente, piantando tutti in asso Nelle foreste dell’animo. 109 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 110 DANIELA TORTORA : Sei uno strazio signor Ossa. Basso: Concedimi… il corpo della signora Broscia. (frammento) Sopr. I carry (frammento) Patrizia Cerroni si muove come al N.° 2. Il quartetto “un balzato generale” LUCI sempre più deboli Attori rovesciano la tavola-musica sempre più ffff.11 È utile sottolineare che Bortolotti intitola questo abbozzo di sceneggiatura Berryman: Letture, dando così rilievo (ma lo farà anche nell’intitolazione più generale del lavoro) alla scelta dei testi e al relativo montaggio che ha governato la messa a punto di questo progetto di teatro musicale: la varietà e il disordine dei caratteri impiegati (i caratteri dattiloscritti, i tanti segni manoscritti – penna, pennarello, matita – e di formato variabile, le cancellature), lungi dal costituire un’attraente materia per raffinati (quanto improbabili) esercizi filologici, aiutano a ricostruire la genesi del lavoro e a decifrare le priorità segnalate poco sopra nel corso di questo scritto. I pezzi già nati trovano così la loro naturale collocazione, pensati già in origine quali oggetti da ricomporre all’interno di un più vasto mosaico (di un long poem, alla maniera berrymaniana), parti di un tutto continuamente in via di definizione (o di riscrittura, se si preferisce) e di fatto ineliminabili, nati per esistere laddove sin dal principio erano stati dati – senza saperlo – come possibili esistenti. Lo spettacolo, pensato per due cantanti (un soprano, Joan Logue, e un baritono, Ugo Proietti), attori, lettori, una danzatrice (la ‘danzatrice scalza’ Patrizia Cerroni), un gruppo strumentale (il Quartetto Nuova Musica) e un nastro magnetico, è andato in scena per la prima volta al teatro Spaziozero di Roma nell’aprile del 1981. Nel novembre 2003, per le cure dell’associazione “MusicaExperimento” nell’ambito del “Progetto Musica” di quell’anno, si è assistito presso l’Auditorium del Goethe Institut-Rom a una nuova versione di Berryman: LetturAzione, una libera rivisitazione del progetto originario affidata alle cure del regista Pablo Taddei in collaborazione con l’autore.12 I fogli 1-4 (datt. e mmss.), qui trascritti, sono custoditi presso l’archivio privato del compositore. Questo l’elenco degli interpreti della versione del 2003: Keiko Morikawa, soprano; Maurizio Leoni, baritono; Anna Cianca, attrice; Michele Pisicchio, attore; Quartetto “Paul Klee”; Pablo Maximo Taddei, regia (cfr. il programma di sala dello spettacolo cit., Roma, Auditorium del Goethe Institut-Rom, 1516.XI.2003). 11 12 110 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 111 INTORNO A JOHN BERRYMAN: LETTURAZIONE Gli interpreti prescelti (due attori, un soprano, un baritono, un quartetto d’archi con pianoforte [ad libitum]) hanno consentito un’essenzializzazione dell’evento teatrale, riconsegnato stavolta totalmente al gesto dell’attore e al suono della voce/delle voci, degli archi, del pianoforte [io narrante/Bortolotti], del nastro magnetico. Alle ricercate oscurità del testo il regista ha tentato di far fronte mediante una estroflessione dei motivi/cardine dello spettacolo e la ricostruzione sul filo della memoria di determinati scenari esistenziali (il rapporto con la donna-coscienza infelice del maschio e con il non-io, il rapporto edipico col padre e l’elaborazione mancata della perdita, la morte del personaggio), puntando sulla valorizzazione dell’anima del testo/scena, una storia/non storia di impianto epico-narrativo più che drammatico. La dimensione onirica fa del lavoro “la rappresentazione di un ‘depensamento’” – sono parole del regista - e giustifica l’irruzione di immagini estreme, poiché il sogno è estremo e tutto acquista, nel sogno, un’analoga intensa significazione. I calcoli geometrici che hanno aiutato a suo tempo il progetto a prendere forma (mi riferisco ai vari abbozzi redatti in vista della realizzazione dello spettacolo commissionato nell’81) sono stati riassorbiti all’interno di un continuum che ripropone le scelte testuali originarie, così come il succedersi delle parti musicali perlopiù di antico conio: Concedimi, o Tu Insonne (basso, violoncello); Tu nella casa di pietra (soprano, violino); La Primavera fiorita nel cuore dell’Inverno [trascr. parziale dalla Cantata per voce e orchestra su testo di Eliot]; Quartetto (Preludio a Berryman); Room 231: Something black (soprano, quartetto d’archi). 111 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 112 Mauro Bortolotti, Berryman: LetturAzione, bozza del progetto ms., p. 1 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 113 Esoterismo di timpani e fiati per Giordano Bruno da Mauro Bortolotti Salvatore Enrico Failla Ho conosciuto Mauro Bortolotti alcuni anni fa a Latina in occasione di un concerto organizzato da Latina Musica Oggi. Bortolotti nel suo ruolo di compositore, io in quello di musicologo (forse presentatore di una o di alcune sue opere, non ricordo), scambiammo diverse, non troppe, parole, presente Francesco Pennisi anch’egli invitato alla manifestazione. Destarono in me profonda impressione la sua modestia, la inconsueta cultura, l’amore sincero per la musica. E ancor di più la sua dedizione al Novecento, all’Avanguardia, non solo perché avevamo in comune queste utopie ma soprattutto perché ne discutemmo come se l’avessimo fatto ogni giorno per anni e, invece, ci eravamo conosciuti da pochi minuti. Poi si tacque. Io andai al centro della sala a parlare non so di cosa, non so di che, quindi entrarono gli esecutori, si ascoltò la musica e quando tutto fu compiuto mi guardai intorno e non vidi più il mio interlocutore dell’inizio. Era andato via. Peccato. Mi sarei intrattenuto con lui ancora un poco alla fine, forse per commentare o per scambiarci i numeri di telefono. Adesso sono felice di ritornare a questo artista per parlare di un suo recente componimento. Le note da lui vergate, il tratto, il semplicismo eclettico, lo sconfinare a caso ogni volta che gli va di scegliere uno dei tanti vicoli in cui si imbatte mi riportano alla memoria almeno certi sensi delle sue parole e dei suoi silenzi di Latina. La sua capacità di elaborare, di trasformare qualsiasi cosa in musica da suonare o di cui parlare è ora nelle mie mani, è diventata una partitura, un omaggio Dovuto a G. BRUNO Nolano. Devo confessare che anch’io, come tutti, credo, al primo impatto, ho pensato alla presenza di Bruno in un brano musicale, l’astratto per eccellenza, ad una sorta di bizzarra licenza poetica dell’autore sostenuta da un esoterico disegno che appare proprio all’inizio della seconda pagina della partitura fra le misure sei e sette. Ma poi, ripassando nella mente i pochi ma non sbiaditi minuti di conversazione a Latina col suffragio delle chiare e scandite note manoscritte e per questo rivelatrici, senza svianti interventi informatici, capisco che la ricorrenza quattro volte centenaria della morte sul rogo 113 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 114 SALVATORE ENRICO FAILLA (16 febbraio 1600) nella romana piazza di Campo dei Fiori (Bortolotti ha realizzato il pezzo fra il 1999 ed il 2000) sancita dal Tribunale del Santo Uffizio per l’eretico Giordano Bruno può essere il movente vero o, forse, il solo, meglio il più importante della stesura di questo pezzo. C’è, anzitutto, la volontà di riscattare, di rivalutare, l’eresia bruniana, di renderla, cioè, attuale ed apprezzabile e, in particolare, comparabile con l’ingiusta condanna che gli sprovveduti detrattori delle nuove consonanze non più dissonanze, al grido di “abbasso la musica degenerata”, avevano relegato nelle zone inaccessibli all’apprezzamento culturale. Certo la lettura di Luigi Firpo (Il processo di Giordano Bruno, 1949), il grande storico torinese nato nel 1915, servita a Bortolotti per saziare la sua inestinguibile fame di cultura, va considerata stimolo per la costruzione di questo brano, ma il problema fondamentale rimane: l’idea del poema sinfonico, vecchio quanto si vuole, grottesco e scontato fino all’inverosimile ma sempre in agguato dietro le penne di tutti i compositori, si fa strada in questo Bortolotti maturo, maestro di strumenti ma anche e soprattutto di voci. Qui niente voci. Forse “in futuro, la presenza di un sensibile recitante”, sostiene l’autore.1 Ma la dedica non riguarda solo Giordano Bruno, anche il timpanista ed i fiatisti dell’Orchestra Regionale del Lazio. Certo aveva bisogno di fidarsi di esecutori molto in gamba. Ma mi accorgo di celiare. Ritorno nel seminato, Giordano Bruno è il protagonista, con le sue eresie, le sue teorie, le sue coraggiose e aggressive rampogne, le sue liti con i tribunali ecclesiastici, Giordano Bruno è il nuovo corso, è Nuova Consonanza (della quale Bortolotti è stato cofondatore e presidente), è 1 “Il lavoro nasce, in una stesura minima, nel 1999 da esigenze sintetizzate in una doppia dedica: a Giordano Bruno di cui allora si avvicinava il 400° anniversario della morte, e ai fiati e al timpanista di quegli anni dell’Orchestra Regionale del Lazio. Ma la composizione, proprio per le due dediche, esigeva una maggiore ampiezza e attenzione primaria, per così dire, al parametro timbrico (ma anche contrappuntistico) permessi dal variegato ensemble. Così come, in specie dopo le ulteriori letture – Firpo,Yates, Anna Foa – e approfondimenti vari su Giordano Bruno che ne mettevano in rilievo l’ampiezza degli interessi, la lucidità e la modernità del pensiero, occorreva rivedere alcune soluzioni. Come il rapporto musica/vissuto evitando descrittivismi ed esteriorità, per penetrare, per quanto possibile, oltre il dramma con discrezione e distacco, privilegiando, quindi, le mezze tinte dei flauti e dei legni, usando gli ottoni spesso con sordine varie, in contrasto con la prepotente presenza e personalità del timpano solista. Il tutto giocato su una scelta di intervalli ricorrenti – sia orizzontali che verticali – spesso al limite del totale cromatico. Il lavoro è però da considerare “in progress” e non si esclude, per il futuro, la presenza di un sensibile recitante” (MAURO BORTOLOTTI cit. in LANDA KETOFF, s. t., in programma di sala per la prima esecuzione assoluta di Composizione 2002 per dodici strumenti a fiato e timpani [ma Dovuto a G. Bruno Nolano] di Mauro Bortolotti, Orchestra di Roma e del Lazio-Fondazione Ottavio Ziino, Narni e Roma, 2002; cfr. inoltre ETTORE ZOCARO, s. t., in programma di sala per Composizione per 12 strumenti a fiato e timpani di Mauro Bortolotti, Fondazione Orchestra del Lazio, Narni, Latina, Roma, 2000). 114 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 115 ESOTERISMO DI TIMPANI E FIATI PER GIORDANO BRUNO DA MAURO BORTOLOTTI Avanguardia, alea, coraggio, rinnovamento, Giordano Bruno è la voce grave dei timpani (il componimento è scritto per timpani e 12 fiati); e i fiati sono il perbenismo, il tradizionalismo, l’accademismo, la stasi, la paura, l’obbedienza riverente, il super-io, il morso e le briglie. Leggermente clownesco questo ricorso a Sigmund Freud, questo chiamare in causa il terzo incomodo della terna psicanalitica? Può darsi, ma solo perché clownesco è l’atteggiamento dei detrattori della Nuova Musica. Una sorta di contraltare di Don Pirlimplin di Maderna? No. Perché? Il flauto in Maderna è protagonista in alto e i timpani per Bortolotti sono protagonisti in basso. Ma è solo una questione di altezze. Maderna dà sfogo alla sua inventiva affidando la parte di protagonista ad uno strumento in un radiodramma ma la sua contestazione, presente tuttavia, soccombe incapsulata nello spesso involucro della creatività. Qui c’è forse di più. Bortolotti evidenzia la voce grave e non totalmente determinata (pur nell’alveo del membrafonismo a suono determinato, quello tipico da pelle, da membrana con armoniche disordinate, grottesche, circensi) di un narratore, di un cronista (l’Oratorio in carne ed ossa non è qui chiamato a fornire chiari riferimenti neoclassici?) e dunque si muove sicuro su un percorso disprezzato, condannato ma ripesca, ritorna, ripercorre quanto si vuol contrapporre e, in tal modo, la pagina macchiata di note di inchiostro e non di toner del musicista di Narni si contrappone a sé stessa. Ma vorrei ritornare al disegno posto fra le misure sei e sette del quale nessuno, compreso l’autore, che io sappia, ha mai parlato e che invece chi scrive, presuntuosamente forse, vuole analizzare, solo per curiosità, sperando che qualche idea, scrivendone, pensandone, possa balzargli alla mente. Si tratta di una criptica circonferenza di ascendenza vagamente massonica che lascia pensare alle fatiche filosofiche dei ricercatori della pietra filosofale, della verità con la certezza di non trovarla mai. Forse una sfida: l’arte che io Mauro Bortolotti perseguo può essere nota solo a me e, se pur te la spiegassi, infinitamente gravoso sarebbe il tuo lavoro psichico perché tu possa afferrarne non certo i significati (che non ci sono) ma i nessi, le logiche, i gangli, le strutture. O il contrario: perché, ascoltatore sprovveduto, ti ostini ad ignorarmi e a condannarmi al rogo dell’incomprensibile quando un piccolo disegnino di pochi centimetri sarebbe sufficiente a spiegarti quello che tu, nel migliore dei casi, credi sia un arcano? Uno scasso (così lo definiscono i tipografi) rettangolare svuotato dei pentagrammi ospita una circonferenza di circa settanta millimetri di diametro nella quale sono inscritti due quadrati sfasati, in 115 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 116 SALVATORE ENRICO FAILLA Mauro Bortolotti, Dovuto a G. Bruno Nolano, ms., p. 2 116 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 117 ESOTERISMO DI TIMPANI E FIATI PER GIORDANO BRUNO DA MAURO BORTOLOTTI modo che uno abbia i propri angoli a destra e a sinistra del cerchio inscrivente e l’altro copra un immaginario schema di punti cardinali in posizione romboidale.Tutto questo rende l’immagine ambigua: per un verso statica e per un altro in movimento con un più che preciso ricorso a siti tipicamente massonici, come [oriente, occidente, settentrione e meridione] suffragati, tra l’altro, dai nomi dei quattro elementi fondamentali del mondo, acqua, aria, terra, fuoco, nonché da termini gergali in latino, Siccitas, Caliditas, Frigititas (che, suppongo, sia Frigiditas), Humanitas, e ancora Summa remissa, Combinatio possibilis, Combinatio impossibilis, Contraria poste su binari che collegano in diagonale i due quadrati, sugli angoli o sul percorso della circonferenza. Indecifrabile un’altra frase o un’altra parola che comincia con Simboli […]. Alcuni piccoli e schematici schizzi accompagnano le parole dei quattro elementi della natura. Il quattro domina incontrastato. Un beffardo ricorrere al jolly ineliminabile della musica di consumo? La quadratura? Il Classicimo? La beat generation? Baluardo invalicabile dei musicisti dilettanti o dei professionisti del dogma romantico e conservatoriale, la quadratura è uno dei metri di giudizio determinante per giudicare la predisposizione a musicare di un marmocchio neofita come di un preparatissimo partecipante ad un concorso internazionale di interpretazione. E Bortolotti ne ha di esperienza in tutti i campi (studi di composizione con Goffredo Petrassi, di pianoforte, di organo, Darmstadt, CNUCE con Pietro Grossi, docenza a Santa Cecilia, direzione artistica dell’Orchestra Regionale del Lazio, un ricco corpus di composizioni di tutti i generi) per affrontare una polemica sotterranea ma certo molto più valida dello stucchevole trombonismo delle grandi star che, mentre predicano un radicale rinnovamento delle arti e della cultura, si fanno in cento perché tutto non cambi mai. Ma ci sono artisti come Bortolotti che non hanno mai abbandonato il credo avanguardistico, anche oggi quando sarebbe facile e conveniente perseguire gli andazzi del più becero consumismo. È nell’organico la stranezza, l’originalità di questo pezzo? Anche, ma fatte le dovute considerazioni. La scrittura relativa alle caldaie adoperate si distacca notevolmente dalla maniera di condurre i dodici aerofoni che completano il costrutto. Si nota una precisa vocazione a dar vita ad una doppia invenzione, di tipo barocco, però preoccupata di distanziare i due ambiti strutturalmente e stilisticamente, certo facendo salvi l’unità formale del componimento e la maniera di Bortolotti. La parte timpanistica subisce un andamento di genere essenzialmente sincronico. Certo brevi 117 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 118 SALVATORE ENRICO FAILLA passaggi bicordali, utilizzati a scopo timbrico ma non solo: ben si prestano ad un gioco ritmico di natura cadenzale ma cadenzale in itinere, senza velleità di conclusioni neanche di passaggio. Ma l’impressione preponderante è quella della cantabilità. Una cantabilità decisamente seriale con qualche licenza ed una serialità difficoltosa, irta, distribuita su tutto il componimento. Ho contato, in tutto, ma non assumo responsabilità su questo punto, ventuno suoni diversi nella parte dei timpani che, superando la barriera antiseriale delle ripetizioni, vanno a costituire un totale cromatico completo da re a do diesis, più otto suoni in sequenza cromatica da re a la e poi un salto intervallare di seconda maggiore sul si che però, considerando il glissando della misura centocinquantaquattro, che tocca il si bemolle, potrebbe portare questa seconda serie a nove suoni. I fiati sono dodici, cioè il canonico quintetto (flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno) raddoppiato più due tromboni. Clarinetti e corni sono rispettivamente in si bemolle e in fa. Qui la serie passim è ancora presente ma continuamente tormentata, interrotta, ripresa, arbitrariamente modificata. Sembrerebbe prendere a modello, come dicevo, l’invenzionismo bachiano ma frequentemente viene risucchiata in un baratro di voluta ed intelligente banalità di tipo formale ma a volte a carico dell’intensità, assottigliandosi e a tratti sparendo o lasciando a rappresentarne le connotazioni pochi soffi, svuotate circostanze sonore, perché i timpani possano filtrare tranquillamente evitando però, ed è molto difficile farlo, la pomposità che spesso questi strumenti assumono anche in presenza di ripieni sinfonici di ampio spessore. Si infrangono dunque molti dei tipici rigori canonici di decenni di musica europea sempre dignitosamente emersi dai pantani di un consumismo avvilente e sempre altrettanto puniti dallo snervante immobilismo di un target ogni giorno più largo, più ignorante, più schiavo dei mercanti di turno; ma si infrangono a ragion veduta per la vocazione di Bortolotti a far musica diversa, svincolata dal passato, liberata dal presente, volontariamente ignara del futuro e tuttavia in atto capace di rendere giustizia al prima, all’ora e al dopo su un piano di perfetta uguaglianza, formale dico, che fa tesoro del più piccolo processo avvenuto, del minimo quasi impercettibile suggerimento in un coacervo di bellezza grafica che fa del senso ottico il vero mezzo di assimilazione del prodotto. È dunque musica che non si suona? Tutt’altro si suona e si ascolta e non solo con l’organo uditivo ma anche con gli occhi. 118 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 119 ESOTERISMO DI TIMPANI E FIATI PER GIORDANO BRUNO DA MAURO BORTOLOTTI Rarefazioni, corali scarnificati, i grandi jolly della musica occidentale del Novecento, qui sono cunicoli, grotte, canali di collegamento, stalattiti, stalagmiti, ragnatele complicate che invitano ad escursioni speleologiche fortemente rischiose, che costringono a percorsi su orli di baratri, tuttavia assicurati e sorretti da una razionalità fine e predisposta a dichiararsi collante di un discorso omogeneo e temerariamente sicuro. Quasi tutti gli strumenti vi si cimentano ma, soprattutto, i flauti sfarfalleggiano, affrontano figurazioni intense che anneriscono di più il pentagramma e questa condensazione pittorica rende tali suoni non solo vicinissimi ma conduttori di rapidità, di energia, di flussi magnetici la cui velocità, probabilmente a bella posta, non è precisata dall’autore. È da considerare imitazione, fugato, ripetitivismo, Leitmotiv, il vezzo di periodizzare e di rendere circolante in dimensione polifonica i disegni contratti o rarefatti che la mano di Bortolotti si porta dietro quasi inconsapevolmente? È Bortolotti solo un tramite passivo fra la musica vigente nel suo momento biografico ed il foglio sul quale scrive? Questa considerazione sarebbe una deminutio? No di certo. Piuttosto un’amplificatio. Cosa è apprezzabile in un artista più del suo annientarsi per donarsi completamente alla causa di un’arte che, se adoperata, subirebbe, comunque, alterazioni di incerta validità? Altro elemento di sicura efficacia strutturale è costituito dalla fitta trama di acciaccature, anche doppie e triple, nei timpani, nei fiati, che confezionano un manufatto di temi-ombra che, più che dar forza e accenti ai suoni reali cercano affannosamente il bandolo di una matassa sottintesa, compatta virtualmente all’inizio del componimento e poi via via contrapponendosi ad esso anche mutuandone certi connotati e incidendo invasivamente su quello che convenzionalmente è definibile un guscio ritmico concluso sebbene aperto ad innumerevoli considerazioni. Il ritmo in questo componimento sembra essere imaginificamente assente. In apparenza si propone sisificamente. Ma è mera e mirabile illusione. Si ha paura, nel senso che il Maestro potrebbe temere quanto suppongo, che i timpani, strumenti che hanno trovato nella dimesione ritmica la loro ragion d’essere, possano essere, in qualche modo, violentati da un eccesso di specificazione metrica imposto dagli altri strumenti. Le caldaie devono restare libere di ‘cantare’, di ‘recitare’, di imporre i loro argomenti, che sono soprattutto fatti di rapidità, di lentezze, di brevi e di lunghe. Così come i flauti, già alla seconda misura, i compagni aerofoni fuggono al rintronar leggiadro o punitivo delle pelli gravi e gravissime. Ma il ritmo non potrebbe non esserci e anzi le lezioni di Stravinskij (assunta in negativo), di Varèse, di Webern, di Petrassi (del quale Bortolotti, si diceva prima, è stato 119 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 120 SALVATORE ENRICO FAILLA allievo di composizione) emergono dal lungo e proficuo tirocinio del compositore di Narni. La presenza delle pulsioni si avverte di più proprio quando queste ultime si spogliano delle loro più grossolane precisazioni e lasciano all’arbitrio dell’esecutore, direi anche dell’ascoltatore, tutte quelle microstrutture che le rendono impalpabili e, ad un tempo, irresistibili e trascinanti. È l’improvvisazione, anzi è l’alea. Il Giordano Bruno di Mauro Bortolotti è un componimento aleatorio, come d’altronde tutta la musica del mondo anche se in maniere diverse, ma appare come se regolato da norme invalicabili e non assoggettabili ad un trattamento aleatorio. In realtà la vera e prevaricante libertà di questo brano risiede nel ritmo, in quello affrontato e reso dai timpani, imitato dai fiati e, in particolare, affidato, di nascosto, ad un apparato di appoggiature (anche questo già chiamato in causa) geniale ed avvincente. Chi ascolta o legge questo pezzo può rimanere deluso se non si accorge di questa libertà che l’autore gli concede. Il contrario invece lo lascia attonito ed allibito. I timpani di Bortolotti glissano continuamente. Il cromatismo a gradini non soddisfa il Maestro ma soprattutto egli vuole che il portamento, l’accompagnare un suono su un altro attraversando tutti quelli che vi stanno in mezzo, il far cantare le pelli, il navigare su flutti continui, tutto questo gli permetta di cantare, e ha dimostrato di saperlo fare molto bene in molte sue opere, e di ambiguizzare, come si diceva, il ritmo. È un suono particolare quello dei timpani, specie quello dei timpani che glissano, cioè che attraversano una buona porzione della gamma a seguito di un solo colpo di mazzuolo. L’operatore, cioè, il compositore è solo il primo motore della vibrazione, poi quest’ultima procede autonomamente, si fa strada da sola: fa come un neonato, un cucciolo che a poco a poco, dopo aver abbandonato chi lo ha generato, si mette a deambulare, a nuotare, a volare da solo, talvolta ritornando alle origini oppure avanzando temerariamente spinto dalla curiosità di indagare, di scoprire, di alimentarsi fino a coprire l’intero arco della sua vita che, se anche breve, come nel caso del glissato del timpano, è pur sempre un’esperienza che arricchisce chi la compie, chi la causa e chi la segue. Ritornando a Giordano Bruno e compiendo un atto forse azzardato ma, nei fatti, necessario di omaggio nei confronti di una tradizione apparentemente sopita che si suole collocare nel postromanticismo, cioè quella strana consuetudine di sottomettere l’astrattismo della musica al concretismo della parola in assenza di questa, si è portati a riconoscere a Bortolotti anche il merito di aver rispolverato e decongestionato il mai defunto poema sinfonico, assunto nei suoi meriti più congeniali al mondo 120 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 121 ESOTERISMO DI TIMPANI E FIATI PER GIORDANO BRUNO DA MAURO BORTOLOTTI dei suoni, degli strumenti (meglio), imprigionandolo per mezzo della sua formale purezza, cioè eliminandone il residuo contenutistico con la sua stessa esaltazione. Se ne accennava prima ma… repetita iuvant. Non è certo questo l’ultimo componimento firmato da Mauro Bortolotti. La sua produzione è qualitativamente lodevole e quantitativamente notevole. A contare le opere di un compositore si finisce sempre col fare brutta figura. Posso, però, affermare con sicurezza che il catalogo in mio possesso, redatto e gentilmente fornitomi da Daniela Tortora,2 che ha inizio da Preludio, Ricercare e Finale del 1953 per flauto, clarinetto, tromba, corno e fagotto, è molto nutrito e contiene numeri datati anche 2006 e con una costanza cronologica invidiabile, senza flessioni e senza cadute. Una ragionata, sebbene breve, lettura almeno di zone specifiche del corpus bortolottiano credo sarà utile soprattutto a me per far sì che possa tirar fuori dalla mia mente qualche altra delle mille cose che non sono riuscito a scrivere sulla figura di questo compositore. Forse altre ripetizioni, forse la riproposta di argomenti già trattati ma che possono essere stati affrontati con involontaria superficialità o comunque che possono, al confronto con i loro prodromi, acquisire maggiori chiarezze. In oltre cinquant’anni di composizioni si possono trarre considerazioni e giudizi che permettono di far luce sulle predilezioni, le urgenze, le preferenze del compositore, in ordine, soprattutto, alla scelta degli organici ed alla conseguente maturità acquisita e manifestata palesemente o repressa per motivi che, se assunti come inoppugnabili giustificazioni, diverrebbero decisamente veri e propri processi alle intenzioni ma che, se pensati come tirocini celati e dunque oggetti di processi evolutivi veri e propri, sebbene non manifesti perché serbati per particolari occasioni, assumono connotazioni apprezzabili sebbene opinabili ma non troppo. Citare in questa sede i titoli degli innumerevoli manufatti musicali di Bortolotti sarebbe certamente fatica improba e poco utile ai fini del mio discorso. Preferisco adoperare considerazioni generali. Strumenti a fiato in tutte le loro accezioni e voci umane, specie soprano, tenore, baritono, anche se la generica indicazione voce in certe composizioni potrebbe sottintendere altri registri, che comprende anche la dimensione recitante e quella corale, sono il pane quotidiano della musica bortolottiana. L’organo vocale, il canto attanaglia l’interesse creativo di Bortolotti ed è secondo, nel suo corpus, soltanto a legni ed ottoni manipolati nelle più svariate combinazioni. È il fiato, dunque, il respiro che alita continuamente sul suo mondo di musicista ed è un soffiare, un atto 2 Cfr. il Catalogo delle opere (1953-2006), pp. 253-270. 121 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 122 SALVATORE ENRICO FAILLA creativo di ascendenza soprannaturale che fa uso certamente di parole, di lemmi, di concretismi linguistici ma in un modo particolare. Il melange che scaturisce dalla commistione soffio-parola sembra vanificare quest’ultima o di fatto, realmente, pone in atto un meccanismo di eliminazione, nel senso che la forza dell’alitare sovrasta, come entità prevaricante ma non invasiva, l’effimera leggerezza delle sillabe facendole franare sotto il peso di una musica elegante, di una mise musicale capace di attirare completamente l’attenzione dell’ascoltatore. Non così si più dire per i timpani, quasi assenti fino a questo brano in tutto il prodotto bortolottiano. Idiofoni, altri membranofoni a suono determinato e a suono indeterminato circolano con più che sufficiente frequenza fra le opere del musicista ma i timpani e i timpani come solisti… La fusione di fiati, al termine di un percorso tirocinante molto lungo e costante, e di timpani, espressione della verginità organologica, almeno pratica, di Bortolotti, qui si incontrano per scontrarsi. Ritornano a questo punto tutti i fili di questo discorso rimasti penzolanti dalle matasse della legittima curiosità del lettore e mia. I timpani cantano e cantano le ragioni della nuova musica, i fiati ostacolano, come possono, questo canto: il poema sinfonico riesplode nelle mani di un musicista che pensa di non avere a che fare col suo recente passato o forse desidera che questo avvenga ma che, egli volente o nolente, si verifica con travolgente efficacia, evidente solo a chi è capace di rinvenirla. Potrei concludere su questo punto il mio breve scritto: mi sembra questo un bel finale ad effetto ma non resisto alla tentazione di affrontare un altro piccolo argomento. Piccolo se si vuole, come io voglio, che tale sia ma enorme se lo si vuol vedere con una buona lente di ingrandimento. Io, per capirmi con me stesso, l’ho intitolato stratificazione e lo adopero spesso nei miei scritti, nei miei interventi e durante le mie lezioni applicandolo agli argomenti più disparati. Qui acquista un significato particolare. Attenzione! Non va confuso con polifonia, armonia, poliritmia, anche se con questi contesti ha molto a che vedere. Più che una teoria è un consiglio. Un suggerimento che somministro a coloro che ritengo non ascoltino la musica, qualsiasi musica, come dovrebbe essere ascoltata. Bisogna allenarsi a stratificare bene. Anche una semplice canzonetta va ascoltata non come un involucro informe che colpisce il nostro organo uditivo, in questo modo nessuna distinzione è possibile fra una fuga di Johann Sebastian Bach, una sinfonia di Mahler e un motivetto da balera. Anche una canzonetta, dicevo, è costituita almeno da due elementi: il canto e l’accompagnamento. Bene. Questi due elementi vanno distinti, stratificati, come vanno stratificate le voci di una fuga e le sezioni che contribuiscono a formare un intero discorso 122 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 123 ESOTERISMO DI TIMPANI E FIATI PER GIORDANO BRUNO DA MAURO BORTOLOTTI sinfonico. Insomma il cervello deve continuamente disgiungere e congiungere per poter veramente apprezzare quanto proviene dall’ascolto di un brano musicale. In questo lavoro di Bortolotti dedicato a Giordano Bruno, almeno leggendone la partitura o suonando la stessa con l’aiuto di un pianoforte, disgiungere è molto più facile di congiungere. C’è come una incompatibilità tra fiati e timpani che tradisce la concezione di fondo dell’autore. E qui mi piacerebbe conoscere l’opinione di Mauro. Mauro Bortolotti, Dovuto a G. Bruno Nolano, ms., p. 1 123 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 124 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 125 PARTE SECONDA Testimonianze Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 126 Mauro Bortolotti fra i margini indefiniti dei due secoli Guido Baggiani Parlare dell’opera e del percorso creativo di Mauro Bortolotti significa riferirsi a una stagione della musica contemporanea che ha avuto le sue radici a Roma, pur estendendo la sua rete di connessioni, di contatti e di significati ben al di là dei confini italiani. Come è noto, Bortolotti è stato uno dei padri fondatori di “Nuova Consonanza”, l’associazione romana per la musica contemporanea al cui interno agirono le varie tendenze di un pensiero musicale polivalente, a volte omologato alle linee-guida di una certa fase storico-musicale, a volte divergente e indisciplinato. Ciò che resta costante in tutta l’opera di Bortolotti è una sorta di sguardo sul mondo, sempre allusivo più che affermativo, dove detto e non detto si accavallano senza cristallizzarsi nelle maglie di una grammatica codificata in modo teorico-imperativo.. Troviamo già in una delle partiture di più antica datazione come Studio per E. E. Cummings per 11 esecutori del 1964, quell’accostarsi al mondo indefinito, e pur reale, che spesso caratterizza l’espressività del poeta americano, ove le parole rinviano a se stesse ma anche ad altro da sé. Saltando di citazione in citazione, menzionerei questo passaggio di Vladimir Jankélévitch, “Solo il geometra, scriveva Alain, non dice che quello che dice. Il poeta non–dice–quello–che-dice, dice-quello-che-non-dice, a volte più, a volte meno”.1 È così che fin da un’opera giovanile come lo Studio per E. E. Cummings vediamo apparire figure evanescenti che, pur nella loro secchezza, diventano espressive nel gioco sottile dei rimandi dall’una all’altra affidato agli undici strumenti dell’insieme, senza tuttavia configurarsi mai come una Gestalt assoluta, affermativa e non sospesa. Un’influenza della scuola di Vienna potremmo ritrovarla nel profilo delle figure-non figure, sempre proposte nell’ambito di intervalli estesi al massimo grado.Tecnica che appare connessa a un percorso darmstadtiano che il compositore reiterò più volte nel corso della sua gioventù. 1 VLADIMIR JANKÉLÉVITCH, Ironie, Saint-Amand-Montrond (Cher), Flammarion, 1982, p. 47. 126 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 127 MAURO BORTOLOTTI FRA I MARGINI INDEFINITI DEI DUE SECOLI Assolutamente significativa nella produzione di Mauro Bortolotti è la dedizione nei confronti della musica da camera. Quella ‘camera’ che forse oggi non esiste più, in un mondo dedito alla sacralizzazione dell’evento come espressione prevalente del vivere su questa terra. Differentemente:: la musica da camera era, e forse ancora sarà, il luogo di un’espressione esistenziale, a volte del singolo a volte del collettivo. I due aspetti hanno un’affermazione ben precisa sul piano del linguaggio e dei suoi strumenti tecnici: dalla codificazione di un fraseggio segmentato e percepibile nei suoi tasselli melodici, alla definizione di un’onda complessa e variabile nella sua densità e nella sua distribuzione. Nell’ambito della produzione cameristica di Bortolotti troviamo tutti i passaggi. A partire dalla fine degli anni Cinquanta le Poesie di Paul Éluard per soprano, clarinetto e cello (poi trascritte per altri complessi strumentali), sembrano mettere in evidenza il primo aspetto: quello indirizzato verso un’espressione individuale sostenuta da un ampio campo armonico, dove ogni linea scarna, vocale o strumentale, è caratterizzata da una cellula di grande estensione intervallare secondo un fraseggio che rimanda a influenze weberniane. Troviamo un quadro diverso in altre partiture da camera, come ad esempio il trio per clarinetto, fagotto e pianoforte, Parentesis (1968), scritto negli stessi anni.Tutta la partitura sarà allora un’alternanza di moto ondoso e di tempo lento, quasi mimando quella successione definita Frizzu/Lassu nelle musiche dei Balcani. Parentesis rappresenta bene una condizione della musica del secondo Novecento europeo, là dove la predominanza gerarchica del giuoco delle altezze cede il passo a una predominanza significativa del giuoco dei tempi. Non sarà la successione melodica a prevalere, ma l’organizzazione di una massa sonora affidata all’intera compagine strumentale attraverso permutazioni e sfasamenti temporali che nel complesso costituiscono l’addensarsi o lo sciogliersi di una nuvola sonora. Ancora una volta sarà l’organizzazione del parametro delle durate a definire il senso e l’impatto degli avvenimenti sonori. Non tutte le musiche di Bortolotti sembrano privilegiare una dialettica esplicita, connotata da un iter consequenziale; in questo breve lavoro da camera sarà proprio l’intenzionale dialettica degli opposti a definire un tragitto segmentato e significativo. Lento, veloce, sincrono, asincrono: fasi ricorsive, ognuna caratterizzata da una propria durata (es. 1). 127 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 128 GUIDO BAGGIANI Es. 1 Mauro Bortolotti, Parentesis, p. 1 Troviamo in una partitura del 1972, E tuttavia… per 11 archi solisti (il sottotitolo è, per l’appunto, concatenazioni per archi), il consolidarsi di una poetica bortolottiana che, già dal titolo, sembra mettere in evidenza un codice di incertezze, di condizioni doppie non contrapposte, ma conviventi in un unicum polivalente. Sarà il suono, nel suo intero, il 128 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 129 MAURO BORTOLOTTI FRA I MARGINI INDEFINITI DEI DUE SECOLI protagonista assoluto: non espressione di margini individuali, non espressione di gerarchie dialettiche, ma sottile elaborazione nel tempo di spessori armonici, a volte lisci a volte pulsati (per adoperare un termine bouleziano), ma sempre legati ad una omofonia polivalente di fasce sottilmente sovrapposte. E in ciò troviamo una forte parentela, una forte adesione all’esperienza creativa di un intero secolo e oltre (es. 2). Come scrive Renzo Cresti nella sua introduzione all’Enciclopedia italiana dei compositori contemporanei, “il mondo dei suoni è un ES, l’essere nascosto dell’essere che appare, l’inconscio della ragione, l’utopia del reale. Questa interpretazione è assai vicina alla psicologia […] che intende il mondo naturale dei suoni come Esso, come una persona che vive una vita diversa dalla nostra, come un pensiero in terza persona, quel che Rimbaud definisce: Je est un autre”.2 Es. 2 2 RENZO CRESTI, Enciclopedia italiana dei compositori contemporanei, Introduzione, I, Napoli, Pagano, 1999, p. XIII. 129 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 130 GUIDO BAGGIANI Mauro Bortolotti, E tuttavia..., p. 9 La musica della seconda metà del secolo scorso appare segmentata in un’infinità di stili, in un’infinità di connotazioni possibili differenti, spesso sintetizzate in etichette ben precise: opera aperta, strutturalismo, minimalismo, spettralismo e altro. Se pure il pensiero artistico, filosofico e scientifico richiede la necessaria adesione ad un principio-guida, non sempre la definizione ossessiva di questo percorso porta lontano. La definizione del “penser la musique aujourd’hui”,3 quando diventa estrema, può spostare l’attenzione dal significato al significante e questo percorso a ritroso genera un vuoto. L’idolatria per lo strumento compositivo può opacizzare quella voce della coscienza che, in termini hegeliani, pone l’uomo a contatto con l’universale. La musica ha bisogno di una teoria, ma anche del suo contrario. Petrassi fu maestro di Bortolotti. E pur al di là delle naturali ovvie differenze che come sempre intercorrono fra allievo e maestro, possiamo segnalare alcune coincidenze. Anche in Petrassi troviamo sempre appunto un’adesione piena al flusso del pensiero dei propri tempi. Ma non troveremo mai, nell’arco compositivo del grande compositore, un’adesione piena ad ogni eventuale 3 La citazione impiega la celebre intitolazione del testo di PIERRE BOULEZ, Penser la musique aujourd’hui, Ginevra, Gonthier, 1971, trad. it.Torino, Einaudi, 1979. 130 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 131 MAURO BORTOLOTTI FRA I MARGINI INDEFINITI DEI DUE SECOLI cristallizzazione teorica del modus operandi. Petrassi in ogni fase del suo percorso esprime la sua ‘empiria illuminata’, quel suo mettere le mani in pasta nel suo tempo, restando lontano da ogni rigida cristallizzazione teorica: un cammino di esperienze, ma non di certezze. Così anche Bortolotti mette le mani in pasta nel linguaggio del suo tempo: non materia precostituita, ma linguaggio da elaborare, da ‘vivere’ al fine di far emergere una condizione espressiva non definita, “e tuttavia…” Nelle opere bortolottiane troviamo un fatto singolare: moltissime sono le dediche ad altri compositori, compagni di viaggio o amici. Dediche che testimoniano l’ampia rete di condivisioni di esperienze e di appartenenze nell’ambito di una società, di una cultura di cui oggi si parla spesso prendendone le distanze, ma che pure rappresenta ciò che è proprio nel suo ineludibile valore metaforico del ‘suono’. Suono che nel suo iter non propone un discorso, ma evoca il profilo di un mondo. Nel catalogo delle opere di Mauro Bortolotti troviamo musiche dedicate a Luigi Nono, Giacinto Scelsi, Ennio Morricone, Goffredo Petrassi. Tra tutte, la dedica più significativa è quella della partitura “Est Animum”, destinata a Domenico Guaccero nell’anno della sua scomparsa. (1984). L’organico della composizione, in ossequio alla solennità del momento, prevede la grande orchestra, con archi, fiati e percussioni a largo raggio. Il concerto previsto comprendeva altri lavori dei più stretti amici di Guaccero, tra gli altri anche Egisto Macchi che insieme a Bortolotti aveva rappresentato uno dei pilastri della vita musicale romana legata a “Nuova Consonanza”. Il concerto fu poi inaspettatamente cancellato per imprevisti dell’ultimo momento e mai più riproposto. Alla poetica del compositore rimane perlopiù estranea un’appariscente connotazione della forma, sia sul piano della micro che della macrostruttura. In “Est animum” sentiamo però apparire sotto pelle un’organizzazione strutturale che, se rimane velata, non esibita, è pur sempre presente. Quando parliamo di forma, com’è ovvio, alludiamo a criteri di ‘crescita’ o ‘decrescita’ di ogni fenomeno musicale, così come pure al grado di ricorsività di ogni aspetto sonoro in una spirale asimmetrica. Ripassando rapidamente la struttura generale troveremo all’inizio il simbolico, denso impulso percussivo (di timpani ed altro), affiancato da una fascia acuta di legni concentrata su intervalli minimi, quasi il richiamo ad un’evocazione rituale. Una fascia diversa ma analoga sarà affidata agli archi, che progressivamente si segmentano in un andamento sempre più movimentato: dopo il culmine del movimento (batt. 55), di nuovo la stessa 131 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 132 GUIDO BAGGIANI materia, una fascia sonora, occuperà il campo, questa volta in una maggiore estensione intervallare, affidata di nuovo agli archi e poi segmentata con altri timbri.. Qui, come nella fase precedente, le durate lunghe sono affidate a valori metrici sempre diversi in nome di una nonomoritmia; ma anche questa regola verrà poi elusa, i valori metrici saranno omologati col progressivo costituirsi di una trama pulsante fino al raggiungimento di un acme di movimento che impegna tutti gli archi, i legni e i timpani (batt. 95) Mancano gli ottoni, ma non è un caso. Saranno loro a riprendere il Es. 3 Mauro Bortolotti, Sinfonia “Est animum”, ms., p. 17 132 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 133 MAURO BORTOLOTTI FRA I MARGINI INDEFINITI DEI DUE SECOLI discorso, contaminandosi progressivamente con gli altri strumenti in una spirale continua di micro-differenze nei vari piani della composizione:: là dove i vari frammenti si trasformano, crescono, poi scompaiono, poi riappaiono… Anche nella poetica di Bortolotti dunque ritroviamo quella definizione di ‘rizoma’ a suo tempo formulata da Gilles Deleuze: “Rizoma è una radice che si espande non secondo un precostituito atteggiamento formale […] Ma a seconda degli innumerevoli fattori che la determinano”.4 L’oggi (la musica di Bortolotti, e non solo “Est animum”, è connessa saldamente a questa controversa esperienza esistenziale, è legata a più fili a “Ieri, Oggi e Domani”) non consente alla nostra musica la definizione di un’organizzazione dai connotati prevedibili, quindi direzionali. Ciò non significa che siamo vincolati a un cammino entropico, significa solo che la nostra espressione dovrà sempre sfidare equamente ‘il caso e la necessità’, sempre rivolgendosi al limite sottile fra l’uno e l’altra, “e tuttavia…” 4 GILLES DELEUZE, Rizoma, Parma-Lucca, Pratiche editrice, 1977, pp. 30sgg. 133 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 134 A Mauro Mario Bertoncini Contali ‘st’anni! Fà cquesta fatica: Quant’è cche cce ‘nvitavi pe’ ccreanza1 E nnoi a pparlà2 dd’una smaniaccia antica, De ‘na vecchia e ‘na nova conzonanza? Ce davi da maggnà – pprima la panza! – Poi parlamio dell’Arte,3 d’un’amica, … E ttutto in d’un ciafrujjo4 de speranza, de tiggna5 e un affannasse da formica.6 Bè: dajje e ddajje,7 le parole ar vento Cacciorno8 via er malocchio e ll’artri danni. Ccusì cchi9 sta llassù, ner firmamento, Te possi stroligà10 mmale e mmalanni; Tanto che a ffuria de vive’ ccontento, Stai ‘n pasce,11 scrivi e ccampi artri cent’anni! 4 ottobre 2006 ci invitavi per gentilezza frequentativo: “mentre noi parlavamo”, ecc. Ambiguo ed ambivalente; l’allusione alla ben nota associazione romana di musica contemporanea è evidente, ma la “smaniaccia antica” si riferisce a ben altre passioni; antiche, e pur sempre rinnovate … 3 altra espressione ambivalente: il Mestiere, la Professione (ma anche l’Arte, naturalmente) 4 ciafruglio, confusione 5 ostinazione 6 un affaccendarsi proprio delle formiche 7 dajje e ddajje: a forza di, ecc. 8 scacciarono 9 il Signore 10 allontanare (“affatturare”; la “stroliga” nel Lazio è la fattucchiera, la strega) 11 pace 1 2 134 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 135 Per troppo amore terreno* Bruno Cagli * BRUNO C AGLI, Per troppo amore terreno, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1981, pp. 63, 65. 135 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 136 In ascolto Antonio Capaccio come se non fosse mai cominciato, o non potendo ancora finire Se facessi l’albergatore, solo camere sott’acqua vorrei; là dentro, tutto uno sciaguattio, e iridati colpi di coda in mezzo alle alghe sognanti.1 , avendo tutto dimenticato, venendo ad un punto forse prima già incontrato, ma che mostra l’apparenza di un nuovo inizio, verso qualcosa di non conosciuto Ci sono possibilità, per me, certamente, ma sotto quale pietra stanno?2 allora, attraverso un lungo dialogo, mai interrotto, ma spesso protetto, celato, sotto un arco grande di vuoto, fossero settimane o mesi, come se si potesse disporre di un tempo quasi infinito, A star fermi, le cose arrivano3 , le stesse frasi, forse, la stessa situazione, lo stesso tempo immobile, forse Esistono forme della conoscenza, della tecnica, che sono per il dominio. Il pensiero, servo di un pauroso principio d’identità, cerca in ciò che è già stato pensato ciò che ancora non lo è. Il pensiero: guerra di conquista. Le nuove strategie del dominio e del terrore non hanno soltanto la faccia brutta della violenza o della distruzione, ma anche quella più accattivante ed effervescente dello spettacolo tecnologico. 1 2 3 HENRI MICHAUX, Ecuador (1968), trad. it. a cura di Guido Neri, Roma,Theoria, 1987, p. 1. FRANZ KAFKA, Diari, a cura di Ervino Pocar, Milano, Mondadori,1972, p. 424. GOTTFRIED BENN, Pietra, verso, flauto (1979), a cura di Gilberto Forti, Milano, Adelphi, 1990, p. 89. 136 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 137 IN ASCOLTO I potenti mezzi della propaganda e della persuasione raccontano di un mondo che accudisce, protegge e salva. Siamo chiamati a partecipare, a condividere, e, in un attimo, sembra che tutto ci sia dato e che tutto sia posseduto e messo in memoria, per sempre. Siamo così nell’implacabile situazione di ricevere, ricevere sempre, non più da Dio o dalla natura, ma da un dispositivo tecnico di scambio generalizzato, e di gratificazione generale. Tutto ci è virtualmente donato, e noi abbiamo diritto a tutto, per amore o per forza. Siamo nella situazione di schiavi cui sia stata lasciata la vita, legati da un debito inestinguibile.4 È un abbraccio di morte, che quanto più appare generoso, tanto più diviene strumento di coercizione delle coscienze. : perdendo tempo - come gli spiccioli dalla saccoccia bucata - lentamente, a volte dimenticando, ogni volta, la volta successiva. Essere contemporaneamente dappertutto. - non avere più luogo, e non avere più tempo. Il demone della sparizione viaggia sull’alta velocità -. Come tanti piccoli insetti sopra un unico pasto. Cibo moschicida. Il pranzo dura un momento. La fine è istantanea. Nella traiettoria di un attimo, si dissipa ogni storia, precipita e scompare la lunga durata che forma e traghetta ogni esperienza. Perso gli appunti, scordato i disegni, eccetera. - per quale motivo aveva voluto incontrarmi, ora? Il minimalismo delle coscienze si specchia già nel trucco dell’avanguardia: intento apodittico, assertività, riduzionismo. A seguire, il gioco della trasgressione/provocazione che maschera il reale asservimento dell’arte - cosiddetta - ai modelli più conformistici di compatibilità dei linguaggi. 4 JEAN BAUDRILLARD, Power Inferno (2002), trad. it. a cura di Alessandro Serra, Milano, Cortina, 2003, p. 68. 137 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 138 ANTONIO CAPACCIO La cifra più vera e preziosa di un’arte – la maestria – diviene improponibile per i tempi moderni della produzione e del consumo , brilla e sparisce, come stella morente. nella libreria, dove sono ammonticchiati moltissimi libri, cercando Ma lascia invece che il resto accada L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso, che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili, e non solo quelle che cadono nell’ambito di ciò che ci si attende. L’inatteso e l’inaudito appartengono a questo mondo. Solo allora la vita è completa.5 una forma non protettiva del linguaggio. Non mira a costruire dominio sul mondo, sulla natura o sugli altri uomini, ma invece ci muove verso l’accettazione della nostra più vera incertezza, della nostra umana debolezza, diviene una condizione fertile di apertura verso l’altro. Misura che libera da certezza. Libertà che accoglie. Una sorta d’impregnazione. Non esercita nessun potere. - ad eccezione del diritto di mettere in questione se stessi smantella, destituisce, - come dire, ora, su ciò che sempre sfugge e che inseguo solo per questo, perché fugge? Ecco, solo la provvisoria certezza di avere ancora mancato la presa ma c’è qualcosa che dura , pensiero che fa spazio. Il vento arriva a gran velocità sui miei capelli, li scompiglia, poi riparte a gran velocità e mi lascia sul ponte. Di nuovo si avventa contro la 5 C ARL GUSTAV JUNG, Ricordi, sogni, riflessioni, Milano, Rizzoli, 1978, p. 416. 138 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 139 IN ASCOLTO mia testa, riparte di gran carriera, e lo sa Dio quando incontrerà ancora una fronte e di chi potrebbe essere quella fronte e che cosa verrebbe da dire allora paragonando le nostre due fronti.6 Accettazione del rischio e dell’errore. - qualcosa che non può essere mostrato, che non riusciamo neanche a pensare. Lingua che non si parla. Luce che s’inabissa. Cielo senza nuvole né stelle. Che non riusciamo a pensare. Aprire all’altro. , pensiero disarmato in briciole, frantumi. Piccole tracce. Quello che resta del grande affresco. L’oggetto principale del nostro interesse essendo qualcosa di cui parlavamo lungamente. - così avremmo dovuto incontrarci di nuovo. Ancora, dopo tanto parlare, ancora, non avendo detto l’essenziale. Ciascuno vuol vivere, nessuno essere morto, tutto il resto sono fandonie.7 Differire, rimandare, perdere tempo come potendo disporne a volontà. Cedere alla distrazione Imprevista, forse, semplice cosa, che non riusciamo a pensare, a definire, ma pure qualcosa che accade. Tutto quello che esiste, tutto quello di cui mi ricordo, tutto quello che i miei pensieri più confusi toccano, tutto mi sembra essere qualcosa. Anche la mia propria gravezza, l’ottusità abituale del mio cervello mi appare qualcosa; sento in me e intorno a me un gioco contrastante, 6 7 MICHAUX, Ecuador cit., p.11. THOMAS BERNHARD, Cemento (1982), trad. it. a cura di Claudio Groff, Milano, SE, 1990, p. 82. 139 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 140 ANTONIO CAPACCIO affascinante e addirittura infinito, e non c’è alcuna tra le materie contrapposte in cui io non mi possa trasfondere. Mi sembra allora che il mio corpo consista di pure cifre che mi dischiudano ogni cosa. O che noi potremmo entrare in una nuova, presaga relazione con tutta l’esistenza se cominciassimo a pensare col cuore. Ma se questo incantesimo singolare mi lascia, io non ne so dire niente; allora non saprei descrivere con parole ragionevoli in che consistesse questa armonia che pervadeva me e il mondo intero e come mi si sia fatta palese più di quanto potrei precisare i moti interni dei miei visceri o gli ingorghi del mio sangue.8 infinitamente semplice, ma di una semplicità che può essere colta solo nella privazione. La stella non rischiara, ma ad ogni occhio rivolto verso di essa, invia il suo raggio.9 , per ogni volta che qualcosa si fa attendere, a ogni nuovo punto interrogativo, ad ogni nuovo silenzio. fa spazio. E non si ha più nulla e nessuno, e si va per il mondo con una valigia e una cassa di libri, in fondo senza curiosità. Che vita è questa, in fondo, senza casa, senza oggetti ereditati, senza cani.10 dovendo testimoniare, in questo tempo, Lascia che accada. nel tutto precario, nel niente d’incorruttibile, nell’incertezza del proprio sé. HUGO VON HOFMANNSTHAL, Una lettera (Una lettera di Lord Chandos) (1902), in L’ignoto che appare, trad. it. a cura di Leone Traverso, Milano, Adelphi, 1991, pp. 143-144. 9 MICHAUX, Ecuador cit., p. 82. 10 RAINER MARIA RILKE, I quaderni di Malte Laurids Brigge, (1910) trad. it. a cura di Giorgio Zampa, Milano, Adelphi, 1992, p. 19. 8 140 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 141 IN ASCOLTO che io sia qualcosa,…proprio di questo io dubito.: c’è soltanto qualcosa che mi passa attraverso.11 Interroga il resto, Quando mi sono innalzato anche di un piccolo gradino, quando mi sento in una sia pure molto problematica sicurezza, mi distendo e aspetto finché il negativo – non già mi segua salendo – ma mi tiri giù dal piccolo gradino. ‘E quindi un istinto di difesa quello che non tollera che si formi il più piccolo agio durevole e, per esempio, frantuma il letto nuziale ancor prima che sia rizzato.12 per ogni domanda nessuna risposta. Inquietudine Mi metto la giacca, mi tolgo la giacca, mi metto i calzoni, mi metto la giacca, mi tolgo i calzoni, mi metto i calzoni, mi metto il cappotto, mi metto le scarpe, mi tolgo il cappotto, mi tolgo le scarpe, mi tolgo la giacca, mi tolgo i calzoni ecc.13 niente: il niente ora in attesa Scaverò un grande cunicolo regolare in direzione del rumore14 protendersi, Che cosa è, in fondo? Un leggero sibilo, udibile soltanto a lunghi intervalli, un nulla al quale non dirò che ci si possa abituare, no, non ci si potrebbe abituare, ma senza prendere per il momento alcuna misura di difesa lo si potrebbe osservare per qualche tempo, stando cioè in ascolto ogni due ore e registrando pazientemente il risultato anziché, come faccio io, strisciare con l’orecchio lungo le pareti e scavare la terra ogni qualvolta sento il rumore, non già per trovare BENN, Pietra, verso, flauto cit., p.169. KAFKA, Diari cit., p. 619. 13 THOMAS BERNHARD, Ungenach (1968), trad. it. a cura di Eugenio Bernardi,Torino,Einaudi, 1993, p. 62. 14 FRANZ KAFKA, La tana, trad. it. a cura di Ervino Pocar, Milano, Mondadori, 1970, p. 482. 11 12 141 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 142 ANTONIO CAPACCIO qualcosa, ma per fare qualcosa che corrisponde all’inquietudine interna. 15 non altrove, non laggiù, né più presto, né troppo tardi, né in un altro momento , ora, non dover esibire certezze, non dover difendere Talvolta mi pare che il rumore sia cessato, tanto è vero che fa lunge pause, talvolta il sibilo mi sfugge perché troppo forte mi pulsa il sangue nelle orecchie, e allora due pause si uniscono e per un poco ho l’impressione che il sibilo sia cessato per sempre. Allora non continuo ad ascoltare, balzo in piedi, tutta la vita subisce un rivolgimento, è come si aprisse la fonte della quale sgorga il silenzio nella tana. 16 rumori Il rumore pare aumentato d’intensità, non di molto beninteso, si tratta sempre di minime differenze, ma un poco più forte è, l’orecchio lo nota chiaramente. E questo intensificarsi sembra un avvicinamento e, ancor più chiaramente di quanto non si senta la maggior intensità,si vede, per così dire, il passo col quale il rumore si avvicina. 17 In ascolto Molto mi dà da pensare la qualità del rumore: sibilo o fischio? A che punto eravamo dianzi? Il sibilo si era attenuato? No, era aumentato.19 Pure, di ciò di cui parlavamo lungamente, di cui, sembrava, non sapevamo quasi nulla. O forse nulla del tutto. 15 16 17 18 19 Ibid. Ivi, p. 484. Ibid. Ivi, p. 487 Ibid. 142 18 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 143 IN ASCOLTO Attraverso la camera infuriano scampanellando tram elettrici. Automobili mi passano sopra. Una porta sbatte nel chiudersi. Da qualche parte un vetro cade tintinnando, sento ridere i frammenti più grandi, le schegge piccole ridacchiano. Poi, improvvisamente, un rumore cupo, soffocato, dall’altra parte, nell’interno della casa. Qualcuno sale le scale. Continua, continua senza fermarsi. ‘E là, a lungo là, passa oltre. Una ragazza strilla: Ah, tais-toi, je ne veux plus. Il tram entra eccitato, corre via, via sopra ogni cosa. Qualcuno chiama. Gente che corre, ci sorpassa. Abbaia un cane. Che sollievo: un cane.20 musica A un certo punto – si era in primavera, Pasqua era vicina – è salita sul treno una processione di penitenti che avevano fatto un pellegrinaggio in ginocchio. Erano tutti esaltati e cantavano con voci bellissime, molto forti. Il treno vibrava di questi canti.21 Poco schiamazzano i cani, poco i bambini, pochi ridono.22 Un po’ di canto sotto di me, qualche porta sbattuta nel corridoio e tutto è perduto.23 Ciascuno preso singolarmente è un virtuoso del proprio strumento, tutti insieme un’insopportabile cacofonia.24 Ci ostiniamo a pensare. Non mi è facile spiegarmi. Sebbene io parli spesso di sofferenza, ho anche una quantità di piccoli godimenti.25 Discrezione, misura, i suoni delle macchine da via Gregorio VII, la luce del tardo mattino, il suo disarmo, il mio 20 21 22 23 24 25 RILKE, I quaderni di Malte Laurids Brigge cit., p.10. SAUL STEINBERG (con ALDO BUZZI), Riflessi e ombre, Milano, Adelphi, 2000, p. 31. MICHAUX, Ecuador cit., p. 25. KAFKA, Diari cit., p. 624. BERNHARD, Cemento cit., p. 84. MICHAUX, Ecuador cit., p.119. 143 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 144 ANTONIO CAPACCIO Ciascuno per suo conto, Spesso non ci accorgiamo che dobbiamo strapparci semplicemente, con tutta la forza, da un momento all’altro, dal punto su cui siamo tenacemente incollati, per poter continuare ad esistere.26 guardando all’altro. Profitta solo ai pittori il primo contatto con l’estraneo.27 Che la vita è un orrore, Lei ha ragione, il posto dell’uomo non è nel mucchio dei rifiuti, ma farne addirittura la perla dl creato – nella classe delle orchidee, mettersi in testa una cosa simile è stato forse troppo. Perciò: “ vivere nel buio”, fare nel buio quello che possiamo. 28 una fortuna, immeritata e inattesa. Ché il mio indefinibile sentimento di felicità eromperà in me piuttosto da un lontano, solitario fuoco di pastori che alla vista del cielo stellato; piuttosto allo stridere di un ultimo grillo, vicino alla morte, quando già il vento d’autunno incalza nuvole invernali sui campi deserti, che al maestoso rombo dell’organo. E io mi paragono talvolta nel pensiero a quel Crasso, l’oratore, di cui si racconta che s’era tanto oltremisura affezionato a una murena domestica, a un pesce della sua piscina, ottuso, muto, dagli occhi rossi, da finire la favola della città; e quando una volta in senato Domizio gli rinfacciava d’aver versato lacrime sulla morte di questo pesce e però voleva spacciarlo per mezzo matto, gli rispose Crasso : “ Allora per la morte del mio pesce io ho fatto quello che tu non hai fatto né per la morte della tua prima moglie né per quella della tua seconda moglie”. In non so quante volte questo Crasso con la sua murena mi torna alla memoria come un’immagine di me stesso, gettatami traverso l’abisso dei secoli. Ma non per la risposta ch’egli diede a Domizio. Tale risposta ritorse il riso sull’avversario, onde la cosa fu risolta in facezia. Ma a 26 27 28 BERNHARD, Cemento cit., p. 47. MICHAUX, Ecuador cit., p. 22. BENN, Pietra, verso, flauto cit., p. 194. 144 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 145 IN ASCOLTO me importa la cosa, la cosa che sarebbe rimasta la stessa anche se Domizio avesse pianto per le sue mogli lacrime di sangue del dolore più sincero. Ché gli sarebbe pur sempre di fronte Crasso, con le sue lacrime per la sua murena. E di questa figura, il cui ridicolo, la cui spregevolezza saltano tanto agli occhi nel mezzo di un senato dominatore del mondo in consiglio sulle cose più alte, di questa figura un qualcosa d’indicibile mi costringe a pensare in una guisa che mi appare perfettamente folle nel momento ch’io tento d’esprimerla con parole. L’immagine di questo Crasso è talora a notte nel mio cervello, come una scheggia, intorno a cui tutto suppura, pulsa e ribolle. ‘E allora come s’io stesso prendessi a fermentare, buttassi bolle, ribollissi e sfavillassi. E il tutto è una specie di pensare febbrile, ma pensare in una materia più immediata, più fluida, più ardente delle parole. Sono ugualmente vortici, ma tali che non sembrano condurre nel vuoto, come i vortici del linguaggio, ma in qualche modo in me steso e nel più profondo grembo della pace.29 Che nessuno si merita niente. O forse, quando guarda dalla finestra di casa, Lei riesce a immedesimarsi in un Dio che ha creato cose soavi come le piante e gli alberi? Topi, peste, rumore, disperazione – si, - ma i fiori?30 Abbiamo creduto di aver ereditato qualcosa, e pensato che qualcosa avremmo dovuto restituire poi. Abbiamo vissuto qualcosa di diverso da ciò che eravamo, scritto qualcosa di diverso da ciò che pensavamo, pensato qualcosa di diverso da ciò che ci aspettavamo, e ciò che rimane è qualcosa di diverso da ciò che avevamo in mente.31 29 30 31 HOFMANNSTHAL, Una lettera (La lettera di Lord Chandos) cit., pp.145-146. BENN, Pietra, verso, flauto cit., p.170. Ivi, p. 91. 145 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 146 ANTONIO CAPACCIO L’intellettuale, il sorcio. Il mimetismo mi è sempre sembrato una delle tante trappole per dotti.32 Uno scrittore formidabile: Vedendo l’angolo nel quale, quando eravamo bambini, avevamo tenuto un cane, fui costretto a pensare che almeno avrei potuto tenermi un cane. Ma da quando sono diventato adulto ho sempre odiato i cani. E chi si sarebbe occupato dell’eventuale cane, che aspetto avrebbe dovuto avere il cane, che razza di cane avrebbe dovuto essere? Insomma avrei dovuto, proprio solo per via di questo eventuale cane, prendermi in casa una persona che provvedesse al cane, e io non sopporto alcuna persona, né un cane né una persona, sopporto. Avrei già da tempo una persona in casa, se sopportassi un’eventuale persona, ma non ne sopporto nessuna, e naturalmente non sopporto neppure nessun cane. Non sono arrivato al cane, mi dicevo, e non arriverò al cane, creperò, ma al cane non arriverò.33 radicalità e leggerezza. La gente ama gli animali perché non è nemmeno capace di amare se stessa. Quelli più profondamente meschini tengono i cani e si fanno tiranneggiare da questi cani e infine rovinare. Pongono il cane al primo e supremo posto della loro ipocrisia in fin dei conti pericolosissima.34 Preferirebbero salvare dalla ghigliottina il proprio cane, anziché Voltaire.35 , ridevamo. La cosiddetta zoofilia ha già provocato molti guai, tali che, se ci pensassimo davvero con la maggior intensità possibile, dovremmo essere istantaneamente annientati dallo spavento. Non è così assurdo 32 33 34 35 MICHAUX, Ecuador cit., p. 21. BERNHARD, Cemento cit., pp. 43, 44. Ibid. Ibid. 146 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 147 IN ASCOLTO come potrebbe sembrare a prima vista se dico che il mondo deve le sue più terribili guerre alla cosiddetta zoofilia dei suoi reggitori. È un fatto ben documentato e su cui bisognerebbe una volta tanto avere le idee chiare. Questa gente, politici, dittatori, sono dominati da un cane e per questo precipitano milioni di uomini nella sventura e nella rovina, loro amano un cane e ordiscono una guerra mondiale in cui milioni di persone vengono uccise a causa di quell’unico cane. Si pensi solo per un momento a quale aspetto avrebbe il mondo se questa cosiddetta zoofilia venisse ridotta almeno una volta di una qualche ridicola percentuale a favore della filantropia, che naturalmente è anch’essa una cosiddetta.36 ognuno deve incarnarsi. Ciascuno di noi ha un giorno, più o meno triste, più o meno lontano, in cui deve infine accettare di essere un uomo.37 niente da contare , una solitudine essenziale. Non è l’evidenza la cifra dell’artista. : la custodia di un piccolo segreto Anni, La gente cerca gli irrequieti, chi rende nervoso, gli incostanti, quelli che cambiano ad ogni momento e per lo più radicalmente ad ogni momento.38 avendo di nuovo dimenticato l’essenziale, 36 37 38 Ibid. JEAN ANOUILH, Antigone, trad. it. a cura di Andrea Rodighiero,Venezia, Marsilio, 2000. BERNHARD, Cemento cit., p. 75. 147 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 148 ANTONIO CAPACCIO - volevo parlarti, ma ora mi accorgo che forse non ho più niente da dire Spesso non ci accorgiamo che dobbiamo strapparci semplicemente, con tutta la forza, da un momento all’altro, dal punto su cui siamo tenacemente incollati, per poter continuare ad esistere.39 Da capo. (agosto 2006) : negli ultimi anni, con Mauro, abbiamo creato diverse opere di collaborazione, diverse occasioni d’incontro e di lavoro. Prima, per alcuni decenni, ci siamo osservati, studiati, dalla distanza, da più vicino. Nel giugno/luglio del 2003 si è tenuta a Perugia - presso il CERP/Centro Espositivo della Rocca Paolina - una mia mostra antologica, per la cura di Ettore Sordini -. L’esposizione era accompagnata da una installazione sonora di Mauro, sulle musiche di Transparencias (1968). Nei primi mesi dello stesso anno avevamo prodotto un primo video visuomusicale, con immagini, animazioni e musiche originali dal titolo …questa umidità, l’acqua calcarea. Il riferimento era ad una pagina di Thomas Bernhard – dal libro Ungenach - . É stata la prima traccia di un più ampio lavoro che abbiamo pensato intorno all’opera del grande scrittore austriaco. Una traccia che tuttavia abbiamo considerato anche come opera del tutto autonoma. Per questo video Mauro ha realizzato musiche originali, elaborando registrazioni prodotte negli anni Settanta presso il CNUCE di Pisa. Avremmo dovuto presentare questo video in occasione del festival di Canale Cardello, nel luglio del 2003, ma problemi tecnici ed organizzativi ne hanno permesso una proiezione soltanto parziale. Il video è stato riproposto invece nel marzo dell’anno successivo, a palazzo Orsini di Bomarzo, - nell’ambito del festival “Incantesimi – azioni dell’arte” IV, a cura di Simonetta Lux ed Elisabetta Cristallini - e poi nuovamente presso il Liceo Tasso di Roma (aprile 2004) in occasione di un mio incontro con gli studenti - per la cura di Fabrizio Fringuelli -. Tra il 2005 e il 2006 abbiamo realizzato un secondo video con immagini e animazioni originali, scegliendo, per musica, E tuttavia... (1972). Anche questo secondo video deve essere considerato un’opera autonoma. Esso è stato proiettato una prima volta, nell’aprile del 2006, nell’ambito di un incontro di Mauro con gli studenti del Liceo Tasso di Roma - per la cura di Fabrizio Fringuelli e mia - . 39 Ivi, p. 47. 148 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 149 IN ASCOLTO Entrambi questi due primi lavori sono andati a comporre, insieme a molto altro materiale musicale e visivo, lo spettacolo …questa umidità, l’acqua calcarea che abbiamo presentato in teatro a Torino, nel 2006. Lo spettacolo - prodotto da BRECCE per l’arte contemporanea, con il coordinamento di Claudia Rozio - si è tenuto presso il teatro della Cavallerizza Reale – Manica Lunga -, le sere dei giorni 26 e 27 maggio. Il testo era composto da frammenti di scrittura di Bernhard - tratti da numerose opere, tra le quali Ave Virgilio, trad. it. a cura di Anna Maria Carpi, Parma, Guanda, 1991, L’imitatore di voci, trad. it. a cura di Eugenio Bernardi, Milano, Adelphi, 1987, Ungenach (1968), trad. it. a cura di Eugenio Bernardi, Torino, Einaudi,1993, Conversazioni di Thomas Bernhard, trad. it. a cura di Elisabetta Niccolini, Parma, Guanda, 1989, Il nipote di Wittgenstein, trad. it. a cura di Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1989, La partita a carte, trad. it. a cura di Magda Olivetti,Torino, Einaudi, 1983, Il soccombente, trad. it. a cura di Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1985 - scelti e montati da Mauro e me. Alla sequenza di musiche e immagini registrate - che seguiva tutto lo spettacolo, della durata di circa un’ora e dieci - corrispondeva una parte dal vivo, che ha avuto come interpreti, per le musiche di Mauro, il soprano Maria Chiara Pavone e i percussionisti Antonio Caggiano e Gianluca Ruggeri, mentre i testi di Bernhard erano affidati alla lettura dell’attore Antonio Locorriere. Mie la scena, nera e nuda, e la regia. Questo spettacolo può essere riproposto in una forma complessiva, ma da esso possono anche essere estratti numerosi frammenti che possiedono ciascuno una loro piena autonomia espressiva. Dunque essi possono essere presentati singolarmente, o è anche possibile pensare a un diverso montaggio di più elementi. Questa potenzialità non è un riflesso d’incertezza, ma, al contrario, testimonia di una salda chiarezza ideativa che Mauro ed io pensiamo di aver raggiunto insieme. Ci aiuta anche, in questo caso, l’aver agganciato il nostro fare ad un corpo poetico e di pensiero talmente robusto e strutturato – come è la scrittura di Bernhard - da permetterci sperimentazioni ed aperture nuove senza il timore di veder disperso od offuscato il senso più vero che vogliamo comunicare. L’orlo coesivo essenziale - fra Mauro e me - sta sicuramente in un comune intento morale che vogliamo tentare di sostenere nel nostro lavoro. La semplicità con cui ci troviamo intorno ad un comune sentire, ad uno sguardo sulle cose del mondo, può rendere possibili molte imprese creative. Mentre scrivo, posso dire abbiamo almeno altri due progetti che vogliamo realizzare insieme. Uno è un lavoro su testi di Noam Chomsky, l’altro è un’originale versione - alla nostra maniera - dell’Antigone di Jean Anouilh. 149 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 150 ANTONIO CAPACCIO Antonio Capaccio, bozzetti per ...questa umidità, l’acqua calcarea, 2005-2006 150 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 151 Bortolotti/Cerroni, due amici onesti e coraggiosi Patrizia Cerroni Ho incontrato Mauro negli anni Settanta, quando ricopriva il ruolo di professore di Storia della musica presso l’ Accademia Nazionale di Danza di Roma. Il mio corso era formato esclusivamente da me e quindi ricevevo lezioni individuali dai professori delle varie materie: una condizione di assoluto privilegio. L’ambiente dell’Accademia era allora terribile, massacrante e ‘antiartistico’ (con la sola eccezione delle lezioni dei maestri ospiti, un nome tra tutti quello di Jean Maurice Cebron, divenuto poi mio amico e amico di Bortolotti); l’approccio del maestro all’insegnamento era invece di tutt’altra natura: le sue lezioni erano assolutamente antiaccademiche e segnate da una continua discussione sul senso e sul valore dell’arte.Tra Mauro e me nacque subito una grande intesa umana e intellettuale, in un amichevole confronto sui temi dell’arte e sui procedimenti creativi (già allora avevo chiara dentro di me l’idea goethiana dell’arte, e dunque della danza, come scavo nel mistero delle cose, della vita). Mi colpì subito il suo amore per il silenzio nella musica e per l’immobilità nel movimento, elementi che divennero profondamente miei e il cui grande valore continuo ancora oggi a scoprire e a meditare. Pochi anni dopo, nel ‘74, quando fondai la mia compagnia “I Danzatori Scalzi”, coreografai due brani già esistenti di Mauro: Mottetto del ‘71, una delle sue prime esperienze elettroniche, realizzato nello studio fiorentino di Pietro Grossi e interpretato, tra l’altro, dalla voce di Michiko Hirayama, sul quale creai un mio assolo U.H.F! (Usque H… F…!), ove tirai fuori l’elemento più ironico e dinamico della musica; ed E tuttavia...concatenazioni per archi, una composizione per archi scritta per “I Solisti Veneti” nel ‘72, sulla quale creai un brano di gruppo con 6 danzatrici fatto di movimenti astratti e lineari e intense immobilità. La musica di Mauro è stata per me molto stimolante, soprattutto sul piano intellettuale, nella ricerca verso un’essenzialità minimalista. Molto più creativo e monumentale fu il lavoro svolto insieme a lui per il mio spettacolo C’est ici que l’on prend le bateau (su una poesia visiva di Ungaretti del 1914), commissionatomi nel 1979 dal governo dell’India attraverso l’I.C.C.R (Indian Council for Cultural Relations) per una splendida tournée che toccò ben 14 città di quel paese. Lo spettacolo fu replicato poi in importanti teatri in Italia, Germania e in Austria. In questo caso fu Mauro a comporre le 151 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 152 PATRIZIA CERRONI musiche sulle coreografie che creavo man mano all’interno di un unico spettacolo unitario, che si è rivelato essere uno dei più imponenti, cosmici di tutta la mia produzione, nato per vera ispirazione mistica durante un mio lungo viaggio di sei mesi in India nel 1978, l’anno che precedette la realizzazione del lavoro e il tour (uno spettacolo dedicato all’India e ai grandi temi dello spiritualismo e del misticismo cosmico). Il sodalizio tra la danza e la musica fu eccezionale, ricchissimo di soluzioni sorprendenti e potentemente mistiche, grazie ad un lavoro quotidiano durato mesi e condotto insieme su ogni singolo momento coreografico e musicale. Nella prima parte, su una coreografia in cui i 9 danzatori sospesi nella loro totale indipendenza spazio/temporale percorrevano traiettorie autonome come in un movimento di astri, il supporto musicale era di sola musica elettronica (sul nastro il maestro interveniva poi col sintetizzatore dal vivo, sperimentando ogni sera nuove soluzioni timbriche). Nella seconda parte più gestuale e calda la musica era fatta di improvvisazioni al pianoforte dal vivo, sempre realizzate da Mauro. L’India ci onorò di un successo strepitoso. Ricordo un articolo che sottolineava… l’armonia nella disarmonia. C’è poi una lunga serie di mie coreografie sulle musiche di Cage, Berio, Nehaus etc.Tutte le musiche contemporanee che ho utilizzato nella mia trentennale attività di coreografa hanno contribuito all’approfondimento di questa mia propensione verso l’essenzialità minimalista, meno hanno influito sulla mia proiezione in una dimensione più spirituale del processo artistico. Soltanto il rapporto con Giacinto Scelsi è stato provvidenziale per me in tal senso: la danza è musica, mi diceva Giacinto, insegnandomi così, da pensatore-artista qual era, a capire l’identità dell’artista creatore e a inseguire l’autenticità trascendentale del messaggio divino di cui siamo portatori. Dopo C’est ici, malgrado l’enorme successo, non ci sono state altre collaborazioni altrettanto grandiose e significative con Mauro, salvo la mia partecipazione ad alcune performance improvvisative collettive al Beat ‘72 e allo spettacolo LetturAzione dedicato a John Berryman al teatro Spaziozero di Testaccio nell’81.Va detto che con l’avvento degli anni Ottanta si assistette a Roma, e più in generale in Italia, alla progressiva dispersione di quel clima incandescente che aveva segnato i decenni precedenti e alla perdita di quello spirito aggregante fra le arti che aveva costituito il motore di tante ricerche intercodice svolte sino all’ultimo scorcio degli anni Settanta. Credo comunque che nel nostro sodalizio di artisti Mauro mi abbia donato il suo coraggio e la sua onestà intellettuale e che io abbia donato a lui la mia vitale ed irrequieta carica creativa. 152 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 153 C’est ici que l’on prend le bateau (o: la dis-cronica)* Simonetta Lux Questa coreografia nasce da una lettera d’amore: arriva a Patrizia in India e tra altre immagini contiene come messaggio di ritorno la poesia visiva circolare scritta da Giuseppe Ungaretti nel 1914 a Parigi. Il tema del viaggio e del ritorno, dopo un distacco di quasi un anno dall’Occidente in crisi e da un rifiuto di creatività che aveva specchiato la disgregazione del sempre cercato rapporto/identità tra arte e vita, ancora in India prende la forma di un movimento (che poi troviamo all’inizio di questa danza): far entrare energia dall’esterno, farla passare attraverso il corpo, inseguirla. Il viaggio diventa racconto del viaggio attraverso la danza: e la danza è attraversamento. Imperativo è: al vuoto involucro – immaginato come mondo a sé – far sentire le accadenti e precarie relazioni dell’anima con i mondi esterni; attraverso l’involucro corporeo far passare – come energia – il sentito; ricomporre la separazione nella forma del movimento. La forma – come l’energia che la genera – è continuamente interrotta. La ricomposizione nel moto - così come i passaggi del viaggio coreografico – è reale e nello stesso tempo simbolica. La ricomposizione dell’unità tra io e mondo, negli individui appare possibile ma aleatoria; tra individui e individui appare sempre contraddetta, incerta, frammentaria, avviene nella distrazione e per tangenze. Non c’è storia ma trame: la non sincronicità, lo sfasamento, la non permanenza le tessono. La nascita e il tempo. La danza non è: inizia nel tempo, può non essere, accompagnerebbe nella vita. Un suono, all’inizio si offre, viene lentamente accolto nei corpi. Gli individui si animano, si fanno attraversare dalle fasce sonore, mentre i corpi si scindono, il tronco abbandona le gambe, il braccio si avvolge – ruotando – a spirale staccandosi – portato fuori dall’energia dalla spalla, la testa pesa sulla terra mentre il piede sale verso l’alto. La caduta di energia: parti dell’involucro corporeo si afflosciano, tensione al silenzio. * In “Tendrils… e i miei sogni risuonano delle sue melodie…”/ i danzatori scalzi le nouveau ballet de cour/ “C’est ici que l’on prend le bateau”, programma di sala, Roma, teatro Eliseo, 10-16 ottobre 1980. 153 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 154 SIMONETTA LUX Coinvolgimento contemporaneo degli individui, attraversamento simultaneo dei corpi, passano con slancio. Lo spazio. Escono. Se il tempo è segnato dalle durate e dalle cadute di energia e dalle distratte ricomposizioni di soggetto e soggetti, lo spazio è il vuoto (o un silenzio) attraversato da uno slancio diagonale senza inizio e senza fine, penetrato da un avvitamento a spirale, occupato da corpi a figura che rovesciano intorno il suono energia che li ha attraversati. Lo spazio è un frammento della danza. La fluttuazione (caduta dell’involucro). Il duo “rosso”, nella seconda parte, sul tema del rapporto (partendo da due figure fisse e svuotate si risolve con la saldatura delle due unità nelle quali circola uno stesso senso) introduce al tema della fluttuazione. La ricerca reale e simbolica della ricomposizione delle seppur precarie relazioni tra io e mondo, tra diversi individui, che della prima parte è l’improbabile messaggio, si sospende ormai dall’avvenimento che porta fin dove è possibile all’estremo il processo di scomposizione corporea e di contraddizione del moto naturale e meccanico. Le gambe si dimenticano, il tronco è sospeso, il movimento esce dalle vibrazioni in alto tra le dita. Dimenticare il corpo, sentire tutto e il viaggio inizia. Conclude l’attesa che tutta l’opera trasmette: continuare. Programma di sala dello spettacolo, Roma, 1980 154 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 155 Mauro Bortolotti maestro e allievo, un’intervista Cristina Cimagalli La cupola di San Pietro biancheggia, imponente, sopra i tetti di via Gregorio VII; ma il cielo su cui si staglia è ancora più bianco, quasi calcinato, in questo affocato pomeriggio romano di luglio. La casa di Mauro Bortolotti si difende contro la calura opponendole vetri chiusi e tapparelle abbassate. Mentre mi inoltro nella penombra del salone, il maestro si affaccenda ad alzare un poco gli avvolgibili e avviare il ventilatore. Mi invita ad accomodarmi su una poltrona: “Quando è venuto qui Petrassi per la prima volta, ha scelto questa poltrona e vi si è piazzato subito”. “Quale onore!”, scherzo io, sedendomi. Mauro si sistema in una poltrona gemella di fronte a me, ma non vi starà troppo a lungo durante questa intervista. Ogni pretesto è buono per scattare in piedi con energia da ventenne: ora va a controllare il caffè sul fuoco, ora si avvicina al ventilatore per orientarlo meglio, ora – udito il lontano borbottio della macchinetta – si slancia di nuovo verso la cucina per ritornare con le tazzine fumanti su un vassoio, ora si dirige verso l’imponente libreria che tappezza un’intera parete del salone per cercare qualcosa da mostrarmi. “Sai qual è uno degli insegnamenti più preziosi che ho appreso dai miei studi con te?” esordisco. “I continui stimoli culturali che ci proponevi. Non sai quanti libri ho comprato su tuo suggerimento...”. “Sì, l’ho sempre fatto. Chiedevo sempre agli allievi: che film hai visto? Che libro hai letto? Talvolta ho quasi costretto qualcuno a leggere, perché sono convinto che tutto può accrescere la sensibilità creativa dell’allievo: se vuoi fare il compositore, devi voler conoscere il mondo in tutti i suoi aspetti, perché ciò si riverserà nei tuoi lavori. Io continuo a leggere molto, anche in questi anni. Ora sto leggendo Thomas Bernhard, scrittore e filosofo di un pessimismo terribile,” e ridacchia con aria sorniona, “ma mi interesso anche della poesia italiana moderna. Hai letto qualcosa della Rosselli?”. “No” devo ammettere. “Ha esordito con La libellula. È stata una strana poetessa dalla multiformazione, o multi-informazione”, da quando lo conosco questi giochi di parole gli sono sempre stati cari, “con un italiano stranissimo, francesizzante. Molto, molto brava. Ha fatto una fine davvero triste: si è 155 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 156 CRISTINA CIMAGALLI suicidata. Poi continuano ad attirarmi Caproni, Giuliani, Eliot...”. Annuisco. “E conosci Edoardo Cacciatore?”. Di nuovo devo dire “No”, imbarazzata. “È un poeta molto interessante, che cerca anche di recuperare la rima”. “Lo vedi? Vengo qui e imparo ancora qualcosa di nuovo da te: sei sempre il Maestro... E Petrassi, il tuo maestro, com’era da questo punto di vista?”. “Anche Petrassi a volte usciva dal puro insegnamento musicale. Aveva conosciuto la generazione dei Montale, Ungaretti, Sinisgalli, ma era anche molto curioso del cinema: era l’epoca del neorealismo. Però non è presunzione dire che io avevo già molti interessi culturali ancor prima di studiare con lui. Già a Narni eravamo un gruppo di amici interessati a tutte le forme del sapere. Certo, non eravamo i...” cerca la parola, con quel suo solito modo di fare fintamente svagato “come si chiamano quelli di Schumann?”. “I Davidsbündler” suggerisco. “Sì, ecco. Non eravamo i Davidsbündler, però ci interessavamo a tutto; cosicché quando arrivai a Roma non ci furono fratture. Ero un provinciale”, il suo tono autoironico si fa ancor più divertito, quasi compiaciuto di ciò che sta per dire, “mi presero in Conservatorio nella classe di pianoforte di Caporali perché c’era la guerra, e gli allievi erano pochi...”. Improvvisamente la voce di Bortolotti diventa più seria, con un suono quasi orgoglioso: “In quegli anni mi compravo tutta la produzione dei poeti dello Specchio (dove trovassi i soldi non lo so...); quando venne qui a casa Elio Pecora, guardando la mia libreria si meravigliò: ‘Ma tu hai tutte le mie prime edizioni!’. Mi abbonai anche al Politecnico di Vittorini: guarda”. Si alza di nuovo, va alla libreria e ne trae un volume in cui ha rilegato la sua collezione completa della rivista. Il primo numero è datato 1945: tocco quelle pagine un po’ fragili e ingiallite come fossero una reliquia. “Con Petrassi studiai molti anni dopo, dal ‘52-’53, dopo i diplomi di pianoforte e di organo” riprende. “Quindi era un interesse mio, non dettato da lui. Certo, con lui si parlava di pittura, di cultura in generale, non solo di musica. Ma anche con Antonio Ferdinandi, con cui avevo studiato Armonia e Contrappunto, alla fine delle lezioni, di pomeriggio, si cominciava a girare per librerie, o tra le bancarelle di libri di Fontanella Borghese...”. I suoi occhi sorridono nel ricordo. L’argomento della poesia lo appassiona proprio: “Eliot mi è sempre piaciuto. Presentai a Petrassi una mia cantata su testo di Eliot, in una bella 156 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 157 MAURO BORTOLOTTI MAESTRO E ALLIEVO, UN’INTERVISTA traduzione italiana”. Ne canticchia l’incipit: “La primavera fiorita nel... nel... dell’inverno”: non rammenta la parola. Si ferma, si alza in piedi, mani in tasca, sguardo al soffitto come a cercare nel passato; poi riprende, saltando la parola che seguita a sfuggirgli, e prosegue a cantare per parecchie battute. Io rimango allibita dalla vivacità della sua memoria: mi domando con sgomento se io potrei mai ricordare una mia composizione dopo cinquant’anni... “Era un linguaggio musicale ‘dallapiccolino’” commenta con tono scanzonato e sempre tanta autoironia: “amavo molto Dallapiccola”. Intanto si accosta di nuovo alla libreria, e con sicurezza ne estrae un fascicoletto. “Ecco, guarda”, e mi mostra un programma del saggio 1955 della classe di Petrassi, in cui l’allievo del IX anno Mauro Bortolotti dirigeva una propria cantata per tenore e orchestra da camera. “Questa cantata ebbe poi un’altra esecuzione a Napoli, diretta da Massimo Pradella”, butta lì con un pizzico di civetteria. “Però in quegli anni si era già avviata Darmstadt...” cerco di stimolarlo, “Petrassi non vi guidò in quella direzione”. Il volto di Mauro mostra con chiarezza che questo argomento lo mette un poco a disagio: “Il problema non era del singolo insegnante, ma delle istituzioni. La cultura era stata bloccata dal fascismo: non si parlava di ‘arte degenerata’, come in Germania, ma comunque non arrivavano più libri, certi compositori non esistevano proprio. Hindemith, Bartók, Schönberg stavano in America, qui non se ne sapeva nulla; per gli insegnanti di composizione dell’epoca di Petrassi era quasi impossibile essere aggiornati”. Non insisto e cambio argomento. “E dal punto di vista dei rapporti umani tra maestro e allievi, com’era Petrassi?”. “Sai, quelli erano anni diversi: non era la tua e nemmeno la mia generazione. Con Petrassi c’era ancora molto il rigore della scuola: gli allievi nutrivano per lui un grande rispetto, anche formale; e lui lo gradiva. Questo non toglie che in qualche momento anche lui si lasciasse andare: quando si parlava di qualcuno in modo critico la sua frase favorita era: ‘Un po’ di sano pettegolezzo non guasta’. Uscivamo spesso insieme dal Conservatorio lui, io e Domenico [Guaccero]: si andava insieme per un buon tratto, chiacchierando, poi si tagliava per piazza Augusto Imperatore...”. Di nuovo, a questi ricordi, il suo volto si increspa in un sorriso. “E tu com’eri, come sei come insegnante?”. Ride: “Questo lo potete dire solo voi. Io mi sentivo responsabile per voi, 157 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 158 CRISTINA CIMAGALLI ero convinto che fosse necessario condurvi a possedere il mestiere con serietà, con rigore”. “Beh, dalla tua scuola è uscito un bel plotoncino di compositori”. “Sì, un bel numero. Ma anche di storici della musica...” prosegue, ammiccando. “Trovi caratteristiche in comune tra il tuo modo di insegnare e quello del tuo maestro?”. “Nella cura della forma, nella consequenzialità del pensiero musicale, nell’attenzione alla sua crescita, al suo divenire un arco teso: in questo sono stato davvero allievo di Petrassi. Però mi preoccupavo anche che il linguaggio fosse aggiornato; a differenza di Petrassi, volevo che si tentasse di utilizzare la totalità del cromatismo. Ma non imponevo. Non imponevo un tipo di linguaggio, forse anche in reazione ai ‘donatonini’; anche se, ovviamente, mi dava fastidio il linguaggio facile, melodizzante”. “Il fil rouge che lega i tuoi allievi è proprio la libertà di usare linguaggi diversi?”. “Davvero molto diversi.Vedi: noi, per lunghi anni, non potevamo che fare quello che ci veniva dalla scuola; voi del corso di Nuova Didattica della Composizione, invece, fin dai primi anni di studio, accanto al corale bachiano o alla piccola forma contrappuntistica, che era sempre un piacere fare, siete stati subito indirizzati alla libera composizione. E così avete beneficiato della libertà che viene dalla conoscenza, dalla cultura.Vi siete impadroniti assai presto di tutto ciò che si era sviluppato dagli anni ‘60 in poi: la musica elettronica, l’improvvisazione, il polilinguismo fra musica jazz, musica di consumo e musica colta... Ognuno dei miei allievi ha preso la sua strada: siete tutti sfuggiti dalle mani del maestro... Per noi fu più difficile. Solo dopo il diploma io, Clementi, Porena, Guaccero e altri ce ne andammo a Darmstadt: inizialmente fu terrificante...”. “Venivate dal mondo di Petrassi, che era radicalmente diverso”. “Sì. Ma Petrassi stesso ci aiutò per poter andare allo Studio di Fonologia di Milano, da Maderna e Berio. Io e Guaccero, sempre dopo il diploma, ci andammo e potemmo prendere visione di queste nuove macchine per fare musica, per fare suoni. Poi frequentai Grossi a Firenze e, quando questi passò a Pisa e gli misero a disposizione un gigantesco computer, lo seguii anche a Pisa. A mia volta ho sempre consigliato agli allievi di studiare anche musica elettronica: li mandavo nella classe di Branchi, e poi in quella di Bianchini”. Improvvisamente sentiamo un canto provenire da fuori della finestra. Usciamo sul balcone: un gruppo di adolescenti, con vistosi fazzoletti gialli al 158 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 159 MAURO BORTOLOTTI MAESTRO E ALLIEVO, UN’INTERVISTA collo, si allontana ordinatamente da piazza San Pietro intonando canti religiosi. Un bel contrasto con ciò di cui stavamo parlando... “Siamo tornati nel Medioevo: ecco le confraternite della tua Umbria”, lo provoco un po’. “Eh già, in alcune cose non è cambiato niente”. Aspettiamo che i ragazzi, sotto l’occhio vigile dei loro accompagnatori, si allontanino lungo via Gregorio VII. Rientriamo. “Siamo arrivati al cuore del discorso: il tuo metodo, le direttrici principali della tua didattica”. “Insegnare la composizione... Mica si può insegnare a comporre in senso creativo: il maestro può solo offrire alcune regole, ma la creatività uno ce la deve avere di suo. Innanzitutto la buona condotta degli strumenti: conoscere la carica sonora di ogni strumento e valutare l’equilibrio complessivo dell’ensemble. Sono cose elementari, che chi è nato per fare il compositore deve sentire anche al di fuori dell’insegnamento del maestro; però, vedi, non è facile sentire i rapporti. Il pittore lo vede, il rapporto tra i colori: si rende subito conto se un verde è troppo tenero o troppo intenso, e può cambiarlo. Noi no. Noi dobbiamo intuire, non abbiamo la possibilità di constatarlo immediatamente, come il pittore. Poi vengono i problemi formali. Anche la forma più classica non è una cosa prefissata: con gli stessi temi di sonata o lo stesso soggetto di fuga ogni allievo tirerà fuori risultati differenti. Lo sviluppo della forma-sonata, ad esempio, può essere di mille tipi: Adorno diceva che è la rappresentazione dell’antagonismo sociale tipico della società borghese, del mondo del commercio...”. “Quindi il tuo rapporto con la forma...”. “Il mio rapporto con la forma è dubitativo. La forma è quanto mai sfuggente: non sai se l’episodio che vuoi aggiungere, le battute che ti sembrano mancare siano necessarie veramente o no, se con esse raggiungi un equilibrio o diventi retorico. La forma è dentro di te: lì va cercata”. “E la forma nella libera composizione?”. “C’è stato un periodo in cui Schönberg parlava di totale libertà, di una variazione continua...” “Variazione in sviluppo” mi inserisco. “Variazione in sviluppo,” ripete “per cui magari alla fine resta ben poco del punto di partenza”. “E tu questo lo accettavi come insegnante?”. “Sì, se la composizione procedeva con estrema naturalezza, se cresceva 159 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 160 CRISTINA CIMAGALLI con le giuste proporzioni. Nel correggere i vostri lavori mi ricordo di aver fatto tante volte osservazioni sulla necessità di sviluppare il discorso musicale: mi ha sempre dato fastidio la composizioncella di tre o quattro minuti, che se la cava con poco.Vi facevo sentire la necessità di mettere a punto l’avvio della composizione e poi di ampliare gli elementi, in modo che essa prendesse corpo con logica, come un organismo che cresce. Mi divertiva molto”, e noto che Mauro si diverte tuttora nel raccontarlo, “mettere a posto i vostri lavori, quando riuscivo a sentire che un elemento era poco presente e aveva bisogno di essere sviluppato. ‘È importante che questo inciso, questo intervallo tu lo faccia crescere’, vi dicevo, ‘perché sarà lui a far crescere la forma’. A qualcuno ricordo di aver letteralmente smontato il pezzo e averglielo rifatto: e a volte usciva fuori qualcosa che andava al di là delle capacità di un allievo di terzo o quarto anno... Ma questo non lo scrivere” soggiunge con un sorriso malizioso. Riprende, continuando a ridacchiare: “Lavoravo così non solo per mio piacere, ma per far capire all’allievo che bisogna badare ai minimi particolari: lo sentivo come un’esigenza irrinunciabile. Insistevo anche sul fatto che bisogna essere molto accurati nella scelta di un testo e delle voci che lo devono eseguire: il testo deve sempre essere stimolante”. “Mi ricordo che su questo ci davi davvero tanti suggerimenti: i miei scaffali dei libri di poesia e di teatro si sono molto arricchiti in quegli anni. E siamo ritornati così al discorso iniziale degli stimoli culturali. Ricordo anche la tua attenzione sempre viva per la giusta sillabazione, nel mettere in musica un testo”. “Questa e tante altre sono cose che sembrano elementari, ma non lo sono: non bisogna mai dimenticarle. Se l’allievo viene da strumenti come il contrabbasso, o la chitarra, che non hanno la vastità di programma del pianoforte, purtroppo si sente. Io dicevo che si capiva subito chi ha suonato le Invenzioni a due voci, o anche le graziose Sonatine di Clementi, e chi non ha avuto questa fortuna. Occorreva colmare questi vuoti. Queste sono le preoccupazioni che l’insegnante deve avere, insistendo anche sull’inciso, sul temino, sulla ricchezza del gioco armonico. Quando poi si fanno composizioni dodecafoniche o, meglio, liberamente atonali, lì i limiti sono altri; ma ci si deve sempre basare sulle scelte iniziali (gli elementi musicali impiegati, il testo se c’è) per svilupparle con consequenzialità, seguendo anche le esigenze personali, spirituali, legate però sempre all’attualità storica e stilistica. Essere legati al momento storico in cui vivi è importante”. 160 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 161 MAURO BORTOLOTTI MAESTRO E ALLIEVO, UN’INTERVISTA “Ci sono altre priorità fondamentali nella tua opera di insegnante?”. “L’ultima, ma non meno importante, è la ricerca espressiva. Questa espressione che per lungo tempo abbiamo sfuggito, abbiamo pudicamente messo da parte, ma che poi esiste, deve esistere e va recuperata. Ma anch’essa va contemperata con l’equilibrio tra il linguaggio adottato e gli strumenti che hai a disposizione. La ricerca espressiva è legata al materiale che usi, sia materiale linguistico che strumentale: tutte queste cose devono in qualche modo essere unite tra di loro”. “Dunque, i capisaldi del tuo insegnamento sono la consapevolezza sonora degli strumenti, il senso della forma e la ricerca espressiva?”. “Sì, ma sono tutti collegati: la ricerca della forma è condizionata anche da quella che è la prima fase del lavoro, cioè la scelta del linguaggio. Poi però la costruzione della forma vive una sua vita autonoma, va per leggi sue proprie che la scuola crede di insegnare ma non insegna del tutto: il problema della forma è sostanzialmente un problema di equilibrio, di rapporti. Gli elementi da cui si parte, dal canto loro, possono essere di varia natura: un accordo, una serie di suoni, anche un tema, o le quintine donatoniane. Ma è importante la figura, la riconoscibilità di qualcosa: nelle mie composizioni la figura che circola continuamente è spesso un accordo di cinque o sei suoni. Senti l’attacco di Rilke”.Va al pianoforte e, di nuovo a memoria, mi fa sentire l’inizio del suo Ou le silence, su testo di Rainer Maria Rilke, facendomi notare man mano la presenza di questo accordo nelle sue trasformazioni. “Alla faccia dell’Ottocento, quando...”. “Si sapeva già quello che si doveva fare” completo io. “Si sapeva già quello che si doveva fare: ora ognuno deve cercarsi la sua strada...”. Stiamo entrambi in piedi, e notiamo che si è fatta ormai sera. Mi congedo, sia pure con rammarico. “Aspetta...” e Bortolotti, come folgorato da un’improvvisa ispirazione, dall’ingresso torna rapidamente indietro nel salone, di nuovo verso la libreria. “Eccolo!” e mi mostra il testo di Eliot che musicò per la sua cantata e del quale prima non riusciva a ricordare tutte le parole. “La primavera fiorita nel cuore dell’inverno / è la sola stagione che in questo posto non muta...”. La sua voce, un po’ arrochita dal lungo parlare, declama con convinzione tutta la splendida poesia e subito dopo ne accenna la sua versione musicale. Ci salutiamo con un abbraccio affettuoso. Mentre scendo le scale la sua musica mi risuona ancora nelle orecchie. 161 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 162 Aldo Clementi ottobre 2006 162 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 163 a Mauro Bortolotti Massimo Coen Quel suono là sulla collina mi parla del sorriso antico – del sole sulle mani – del canto del gallo e della notte di quella intelligenza così pura di quel ridere sano che s’impiglia nel pensiero. Le parole cadono sugli ulivi e ritorna la farina nella madia a cantare quei suoni che piacciono ai colombi mentre saltellano sul selciato antico quel sorriso che sa le lacrime e la luce mi saluta amico col suono che va via piano piano, piano. Mirella Thau Coen, Come dire grazie per tante cose, ottobre 1985 Conosco Mauro da cinquant’anni… cinquant’anni di amicizia e di musica! C’è un pezzo giovanile di Mauro degli anni Sessanta, un pezzo pensato per la voce della Michiko e intitolato Contre 2. Da lì, proprio da quel lavoro dal titolo emblematico parte il discorso di Mauro, di Domenico [Guaccero] e di tutti gli altri ‘romani’. L’avanguardia romana ha avuto una sua storia che si può sintetizzare nel titolo Contre:1 una posizione nei confronti del 1 “Pur convinto dell’inutilità della protesta su carta, tela o pellicola, il lavoro vuol essere in questi anni così assurdi ugualmente una estrema denuncia e, appunto, una protesta… Il testo è dato dall’emergere di parole, o frammenti di esse, anche in varie lingue; guerre, mafia, diktaturen… benedica, spring, noir, to-a-mic, u-en-wall (ciò che resta di Buckenwald) insieme a ricordi di poesie ecc. Poi CONTRE, la protesta, il rifiuto.Gli strumenti vengono trattati come pura fonte sonora. La voce sfrutta in modo totale la varia gamma delle possibilità di Michiko Hirayama” (MAURO BORTOLOTTI, programma stagione “Nuova Consonanza”, Roma-Viterbo, 1981) 163 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 164 MASSIMO COEN mondo di contestazione totale, una concezione della vita e dell’arte come protesta totale, sociale politica culturale. Per capire la musica dei ‘romani’ (e non solo), è necessario partire dal dato sociale e politico (dal solo discorso culturale non ci si riesce ad arrivare…) Poi c’è stato il ‘68, il ‘77, le stagioni varie della contestazione a Roma, il quartiere Appio-latino ove ci si conosceva, ci si incontrava, si discuteva, si litigava… Io ero più giovane, ma ero curioso, attento e più tardi, parecchio tempo dopo, ho cominciato anch’io – nel ‘79 – a scrivere musica… Quando il linguaggio trasgressivo e rivoluzionario degli anni Cinquanta-Sessanta è stato ripreso dai compositori più giovani, dai musicisti delle generazioni successive a quella di Franco [Evangelisti], di Domenico, di Mauro, si è infiacchito, si è fatto assai più fragile proprio perché veniva a mancare quella carica di fondo, quella spinta forte di ordine sociale e politico, ancor prima che culturale… Mauro ha poi dalla sua una visione delle cose che viene da Narni, dal paese natio. Il suo legame con Narni è qualcosa di poetico, di meraviglioso… Mauro è un rivoluzionario buono, non un rivoluzionario sanguinario, non il graffiante Domenico, né tanto meno l’imprevedibile, polemico Franco, tant’è che i ‘romani’ non si amalgamavano affatto, litigavano in continuazione e su tutto nel clima di contestazione capillare che li circondava. L’interesse di Mauro per l’elettronica costituiva poi una vicenda un po’ a sé nel contesto romano di quegli anni (lui seguiva a Firenze Pietro Grossi), tra l’altro un interesse autentico cresciuto in un’epoca non sospetta. Il mio accostamento alla musica contemporanea è maturato gradualmente e in tempi successivi agli anni di studio in Conservatorio, ove l’apprendistato musicale risultava totalmente sganciato dalla contemporaneità. Grazie alle avanguardie pittoriche ho avuto l’opportunità di conoscere la ‘modernità’, anche in campo musicale e di farne una parte essenziale del mio percorso di interprete e di musicista (la musica del passato è dentro di noi e non è possibile non tenerne conto). Ho avuto occasione di ‘suonare’ quadri, mostre, esposizioni, di leggere la pittura attraverso la musica e gli occhi degli altri spettatori-ascoltatori; ho sempre cercato di aderire al segno, di seguire con attenzione e con scrupolo il decorso dei segni, senza improvvisare a caso. Con questo spirito mi sono accostato a suo tempo ai Frammenti 5 per quartetto d’archi di Mauro,2 composizione amata ed eseguita in contesti assai vari, 2 “Il lavoro è stato scritto per quattro archi – aventi ciascuno varie possibilità – ai quali potranno 164 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 165 A MAURO BORTOLOTTI Mauro Bortolotti, Frammenti 5, p. 4 aggiungersi da uno a quattro archi o fiati. L’inclusione di uno o più strumenti limiterà, ma solo parzialmente, le possibilità dell’arco (o degli archi) a cui è accoppiato. Infatti anche l’esecuzione a otto lascia ad ogni strumento una notevole libertà di scelta: del rigo, della frequenza (ove manchi la testa della nota o dove essa si trovi tra parentesi), della intensità, della dinamica e del modo di produrre il suono. Inoltre il lavoro, basato su cinque “frammenti” – A/ B/x/ C/ D – può, o meglio “deve” ripetersi, evitando lo schema seguito nelle precedenti esecuzioni: ciò affinché tutti gli elementi concorrano al continuo e totale rinnovarsi della forma” (ID., Frammenti 5, Milano, Ricordi, n. ed. 131425). 165 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 166 MASSIMO COEN tra l’altro nel corso della storica mostra “Suono e segno” tenutasi presso il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza” : nella cadenza di p. 4 (qui riprodotta alla p. 165) il segno di Mauro esplode (altrove la scrittura è più tradizionale, anche se la molteplicità dei pentagrammi per ciascuno strumento genera una continua metamorfosi esecutiva del pezzo), non conosce eguali, il segno è soltanto suo: è senz’altro una delle pagine più suggestive di tutta l’opera del musicista di Narni nella ricerca di una relazione profonda (e altra) tra la musica e il tratto segnico, di provenienza pittorica. Mi piace ricordare che nell’autunno del ‘92, con il mio gruppo “I Solisti di Roma”, organizzavo a Roma presso il teatro Politecnico la “II Rassegna interpreti compositori “. Le suggestive performance di Giancarlo Schiaffini, Luigi Cinque, Daniele Lombardi, Massimo Coen e Antonello Neri venivano introdotte nel programma di sala stampato per la circostanza dalle seguenti note di Mauro e Luca Bortolotti: … E questo mi pare sia anche un ritrovare antichi fili parzialmente recisi dalla “Nuova Musica”, un modo per riallacciarsi ad una tradizione antica, che sottilmente ricollega colui che fa musica, ad ogni livello, all’originale artigianale concetto di “mestiere dei suoni”: quella dell’esecutore-improvvisatore-autore, in cui confluisce un gusto sensibilizzato dalla molteplicità dei ruoli assunti, dalla segmentazione del punto di vista, dalla capacità, sempre auspicabile, in musica come dappertutto, di calarsi senza fratture, né sufficienza, né pudori nei panni di tutti coloro che legittimano e donano importanza all’esistenza di un’arte…3 3 MAURO e LUCA BORTOLOTTI, s. t., in I Solisti di Roma “II Rassegna Interpreti Compositori”, programma di sala, Roma, teatro Politecnico, 2-9 novembre 1992, [p. 4]. 166 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 167 Caro Mauro Alfredo Giuliani Il più mite (ma non imbelle), il più discreto e riservato dei miei amici musici. E tra costoro il più sottile e spregiudicato intenditore delle poesie che venivo scrivendo dagli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, e che continuo a scrivere quando posso. Ancora oggi mi stupisco della libertà e coerenza con cui – dai tempi di Povera Juliet e Il tautofono – ti sei fervidamente assuefatto agli scarrocciamenti, alle deviazioni e deformazioni delle forme verbali sintattiche metriche dei miei versi, per far emergere dalla musica delle parole altra musica, non estranea, di suoni e voci drammatiche. La prima delle mie poesie che attirò la tua voglia di immedesimarla in una idea vocale e strumentale è Resurrezione dopo la pioggia del ‘52 o del ‘53. La metrica di questo breve testo (otto versi) si muove con leggerezza e intensità mettendo in atto l’antico principio costruttivo dei lirici greci, l’equivalenza ritmica tra gruppi sintattici semplici, di ampiezza e numero di accenti differenti all’interno di un verso. Il testo è il racconto di un’epifania: un attimo che sparisce e ci lascia tutti attoniti. In quei pochi versi echeggiano epoche, si affacciano simboli reali e fantasie. La cosa buffa è che non ho avuto mai l’occasione di ascoltare la tua versione in musica: ma stando a quanto ne dici nel bel saggio Musica e poesia – che mi dedicasti nel 1994 – prendo per buonissima la dichiarazione di aver musicato Resurrezione dopo la pioggia “dando alla voce del tenore un andamento cantabile quasi recitativo, e al pianoforte scarne linee contrappuntistiche sostenute da lievi accordi”. Dunque, grande delicatezza di trattamento. Ma tu già respiravi l’aria dello sperimentalismo che circolava (o turbinava) da noi, e ovunque fossero movimenti creativi, in tutte le arti. Mi piaceva pensare che una volta tanto eravamo noi scrittori ad aver dato una scossa ai compositori. Naturalmente, il prototipo degli incontri riusciti tra una poesia scritta per sé stessa e un musico che ne trascrive in suoni le sensazioni ed emozioni provate nel leggerla, è il celebratissimo Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy. Omaggio trasfigurante e inaudito al Fauno di Mallarmé! Che sogna, pensa, ardentemente desidera, suona il 167 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 168 ALFREDO GIULIANI flauto (già, anche lui è musico), rapisce ed è rapito dalle ninfe, e poi chissà. Il titolo di Mallarmé è L’après-midi d’un faune. Debussy vi aggiunge il Preludio. L’anno della prima esecuzione: il 1894! Ma quella è l’avanguardia dell’impressionismo musicale. Noi, negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, siamo stati la postavanguardia di tutte le mutazioni estetiche consumate in più di mezzo secolo. Ciò vuol solo dire che così va la storia e se ti trovi con tante straordinarie mutazioni alle spalle devi elaborarle esteticamente e criticamente. La tua scoperta del collage quale tecnica di composizione, intorno alla metà del Sessanta, ti dette nuovi stimoli e convinzione. Ora gli stralci, i frammenti strappati dalle poesie che ti colpivano li facevi tranquillamente a pezzi, spesso in minuzzoli di vocalizzi, “glissati e sopracuti”; operazioni audaci a cui contribuiva la bravissima e impavida Michiko Hirayama, dotata di una vocalità impressionante; oppure potevi improvvisamente distenderli con toni pacati in un campo sonoro quasi ammutolito, che poi riattizzato di colpo si manifestava in una citazione esatta e spaesata. Insomma: il canto drammatico e la recitazione. È così che si presentano all’ascoltatore (eventualmente anche spettatore) le due partiture miste (musica e poesia) a cui hai lavorato nel 1969-’70 e poi nel 1980, usando a tuo piacimento brani delle mie poesie, che nel tessuto linguistico-sonoro svolgevano la funzione (a me pare) di ‘apparizioni’ problematiche di un discorso frantumato. Le ho ascoltate e riascoltate, una dopo l’altra, e m’ha sorpreso la continuità che le accomuna, nonostante i dieci anni di distanza tra le composizioni. Quella del ‘70 - “E tu?” nondranna in un atto e due intermezzi parlati – prende spunto dalla poesia intitolata scherzosamente Prosa dedicata a Balestrini perché costruita interamente col metodo del collage, montaggio di constatazioni di fatti disparati, affermazioni personali; c’è perfino il sostegno di un filosofo ( “di fatto le teorie deduttive sono sistemi ipotetici”), che hai incluso nel parlato. Il titolo E tu? è preso dalla conclusione: “E tu? me lo ripeto sempre”. Ci sono forse tracce di altre poesie; c’è una citazione da Il tautofono, uscito in volume nel ‘69 (“la nostra piccola atmosfera soffre di un accumulo di onde disritmiche e ci perturba/ più del barrito degli elefanti”). E c’è soprattutto la comparsa di un personaggio che non viene nominato, e tu esponi in alcuni passaggi sulla scena col suo linguaggio di fenomenologo strettamente husserliano. Chi è costui? È il protagonista del poemetto filosofico burlesco Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto, scritto nel 1962 e incluso nella raccolta 168 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 169 CARO MAURO Povera Juliet (Feltrinelli 1965), che ho già ricordato più sopra come una delle tue fonti. Per capire Il professor PI è necessario conoscere Husserl? Aiuta, o dovrebbe aiutare il lettore-critico, ma non è affatto necessario. La materia concettuale del poemetto è rigorosamente ricavata dal capolavoro postumo di Husserl Esperienza e giudizio (la versione italiana è del 1960). Ma vi sono alcuni sostrati (per esempio il classico della tradizione cinese Libro dei Mutamenti), nutrimento di fantasie e ragionamenti del professor PI quale comune essere umano. C’è nell’operetta una tramatura narrativa. E ciò la rende comprensibile. Perfino le tue predilette distorsioni sonore e gli spezzettamenti di parole si prendono qualche tregua. Insomma: la coraggiosa inserzione di brani dell’innominato professore mette una certa calma nella sofferenza della ‘voce’. La grande sorpresa arriva con la partitura del 1980. L’attesa, per voce e nastro elettronico (“che accompagna commenta sottolinea”), interamente intessuta soltanto di brani del professor PI, il cui nome è annunciato subito in apertura, quando squilla la voce di Michiko: IL PROFESSOR PI, come una chiamata d’attenzione agli uditori. Ascoltando in successione le due partiture si coglie il senso drammatico dell’insieme, si legge tra gli accorati stridii del canto il tormento esplicativo husserliano del buffo professore. Le sue parole, spaesate ma non disperse, vengono sospinte da ventate sonore che vorrebbero lacerare il loro discorso logico-amoroso. Ma eccolo lì, il povero PI sempre in attesa della “sconosciuta conosciutezza” e beffato dalla “prensione anticipante”. Le due partiture costituiscono un dittico e mi piacerebbe che tu le riprendessi in un cd, allegandovi un fascicoletto con tutte le citazioni dei brani usati. La musica fa sempre scena, la poesia è sempre musica di parole che raccontano. Tanti e affettuosi auguri. 169 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 170 Daniele Lombardi Caro Mauro, tutto è cominciato nel 1972, quando fui chiamato a fare il servizio militare. Fui destinato a Cesano di Roma e questa fu per me l’occasione per un’intensa frequentazione romana che mi permise di entrare in contatto con te e con alcuni compositori che in quel momento m’interessavano particolarmente. Ricordo le accese conversazioni con Franco Evangelisti, che possedeva una bellissima collezione di vasi Gallet, con Paolo Renosto, dall’acuta intelligenza di fiorentino trapiantato, e con Domenico Guaccero, l’inconfondibile voce ‘radiofonica’, con il quale sentivo una particolare affinità che ci portò a realizzare insieme vari concerti, ma anche con Egisto Macchi, generoso, volitivo, positivo. Ebbi la fortuna di incontrare Goffredo Petrassi e di conoscere la sua umanissima saggezza; frequentai Giacinto Scelsi, il quale a volte mi telefonava a Firenze, invitandomi ad andare a trovarlo nei giorni successivi e ciò accadeva sempre nel pomeriggio dopo le 17. Francesco Pennisi, Marcello Panni, Aldo Clementi, Fausto Razzi, il mio omonimo Luca Lombardi, Alessandro Sbordoni ed altri sono state le persone a me più vicine negli anni successivi; infine Bruno Nicolai, con il quale un’amicizia via via sempre più profonda ci portò a oceaniche conversazioni che divennero progetti editoriali, fino alla sua scomparsa, prematura come purtroppo quella di alcuni altri di questa lista. Quando poco più che ventenne li frequentavo, sentivo che nel loro percorso vi era qualche cosa di enormemente formativo, di più stimolante rispetto a quanto vivevo a Firenze, mentre non avevo ancora rapporti frequenti con i musicisti milanesi. Fin da quei tempi ho avuto il piacere di considerare te uno dei più cari amici di questa cerchia, in parte inscrivibile nell’ambito di “Nuova Consonanza”; un’amicizia che ho sempre sentito ricambiata da parte tua con un calorosissimo affetto. Nell’ammirare il tuo lavoro mi ha sempre molto colpito un aspetto caratteristico che riscontro in tante tue composizioni: il modo di sintetizzare idee musicali con la sicurezza di un gesto, quasi fosse stato già compiuto. Idee che possono essere ascoltate e analizzate nella loro sintesi immediata, con una sensazione di freschezza e di movimento tali che mi pare di poter ravvisare nella tua musica due elementi essenziali: l’attenzione all’improvvisazione, come ricerca di nuovi 170 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 171 CARO MAURO suoni, ma anche come gesto risolutivo, estemporaneo, e il tuo amore per la danza, che forse è la ragione del primo. Questo secondo elemento in qualche modo mi ha sempre fatto pensare che tu avessi un interesse che ti avvicinava a Domenico Guaccero. Questa concezione musicale indica un comportamento nei confronti delle scelte linguistiche che non si vincola a sistemi, a particolari diktat o procedimenti avanguardistici, che in quegli anni erano ancora molto sentiti, perché in fondo Darmstadt non era tanto lontana, e alcuni dei compositori romani non si facevano spaventare da poche ore di treno. Ho in mente un tuo articolo di quegli anni uscito su “Paese Sera”, dove ti occupavi degli aspetti musicali del futurismo, prendendo in esame il volume Arte dei Rumori di Russolo, quando ancora non era facile che un compositore s’introducesse in quegli argomenti. Questo tuo interesse per il futurismo e l’uso del rumore coincidevano con un momento nel quale anch’io mi stavo occupando di indagare gli aspetti musicali di questa avanguardia, e la cosa destò in me molta curiosità. Venendo alla tua musica, nel brano pianistico Pour le Piano, trovai un formidabile catalogo di situazioni pianistiche, testimonianza della tua conoscenza profonda della tastiera; gli eventi sono posti come struttura mobile, una sorta di labirinto di diversi percorsi. Negli anni Ottanta, quando ti ho chiesto se potevi indicarmi un itinerario esecutivo sintetico che ne facesse un brano breve, ma di grandi contrasti fonici, lo hai puntualmente fatto subito, e spero prima o poi di poter eseguire questa versione di Pour le Piano in concerto, e così pure il breve Carillon, perché fino ad ora ho suonato soltanto nel 1982 il Gran Duo per pianoforte a quattro mani, al Festival Pontino, nella Abbazia di Fossanova. Quando alla fine degli anni Settanta mi accinsi a progettare To Gather Together #10, a Collective piano composition, tra i 57 autori che mi inviarono una composizione sei stato il ventunesimo, con Sulla scia dell’ispirazione (1980), un brano che riportava questo titolo nascosto dentro la notazione ideografica che avevo proposto nella lettera di invito. To Gather Together #10 era una specie di composizione mail-art, alla quale avevo invitato compositori, performer, poeti visivi sonori e verbali, artisti visivi: uno spaccato della creatività in varie discipline che riportava tutti al comune denominatore di scrivere un brano per pianoforte secondo la notazione ideografica che avevo progettato per una interazione tastiera-cordiera. Il piccolo brano che mi scrivesti mette a fuoco molto bene la tua 171 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 172 DANIELE LOMBARDI intuizione fugace che si fa scrittura soltanto per fermare l’estemporaneità della fisicità del suono, secondo un interesse verso l’energia creativa che l’improvvisazione non consente di codificare se non nella memoria. Una contrapposizione tra la staticità del segno nella sua visualità e lo svanire del suono nel suo immediato apparire, un altro modo di vivere l’attimo secondo quello che nel titolo è descritto come “scia dell’ispirazione”. Affidando l’energia creativa a quest’automatismo la tua musica, anche in questo piccolo frammento, vive di una sua freschezza e mostra una sicura consapevolezza del gesto che si rivela cosi efficacemente sintesi poetica, lungi da architettate costruzioni, confermando una fiducia assoluta nel potere semantico della configurazione sonora. Un affettuoso buon compleanno! Firenze, settembre 2006 Mauro Bortolotti, Sulla scia dell’ispirazione, in To Gather Together, a cura di Daniele Lombardi, Milano, Multhipla, 1982 172 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 173 W i poeti! per Mauro Bortolotti Luca Lombardi In fondo Mauro Bortolotti ha ‘solo’ vent’anni (circa) più di me, ma quando mi affacciavo alla scena musicale romana (a metà degli anni Sessanta), era, non dico un vecchio (non lo è ora, figurarsi allora), ma uno dei compositori di riferimento, insieme, naturalmente a Evangelisti, Guaccero e altri ‘nuovi consonanti’, con cui entrai in contatto in quegli anni. Con Guaccero ebbi un sodalizio musicale, che portò alla – breve – esistenza di un nostro gruppo di musica elettronica viva, l’ensemble “Musica ex machina” (del quale faceva parte anche Alvin Curran). Di Evangelisti ricordo alcuni incontri in cui si affrontavano questioni di estetica e poetica musicale (mi è rimasta impressa, per esempio, una sua lunga e tortuosa perorazione della ‘armosonìa’, che, confesso, ancora oggi non so che cosa sia...). Con Mauro – se la memoria non mi inganna – non abbiamo mai avuto vere discussioni di carattere musicale: siamo amici e basta. Non che tra amici non si debba discutere, anzi, ma chissà, forse rimandiamo queste discussioni ad altri tempi, magari a quando saremo vecchi. Adesso urgono altre faccende, non parole, se possibile, ma fatti. E Mauro è uomo del fare, che si tratti di comporre o di organizzare: è una persona sempre in movimento. Se dicessi che è una persona ‘concreta’, nel senso di un attivismo pragmatico, gli farei torto: Mauro è un poeta, e come potrebbe un poeta essere ‘concreto’? Può essere concreto un animo gentile che insegue i fantasmi e le nuvole? Naturalmente – e per fortuna – no. Ma non tragga in inganno l’aggettivo gentile (che peraltro sicuramente si attaglia a Mauro): un compositore (per non parlare di un organizzatore) deve essere anche ostinato, caparbio, ‘incazzoso’, se mi è permesso questo neo-volgarismo. E Mauro è anche questo. Inoltre, Mauro ha il senso della misura, cosa che risulta chiara anche dall’esame del suo catalogo, in cui predominano le composizioni per piccolo organico, composizioni cesellate, eleganti e raffinate, piene di allusioni e di colti sottintesi. Non c’è certo bisogno di scomodare Chopin, per sottolineare che limitarsi a pochi 173 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 174 LUCA LOMBARDI strumenti, o anche, come nel caso del grande polonese, al solo pianoforte, non è un limite, anzi! Gran parte del valore di un compositore sta sicuramente anche nell’individuare la sua più autentica dimensione, e un pezzo riuscito per tre strumenti – come per fare un solissimo esempio tra i tanti, i suoi Appunti per un Trio – pesa molto di più di una composizione per soli, coro e grande orchestra che non abbia una reale ragione d’essere. Ma non posso escludere che ci sia tutta una produzione bortolottiana per grandi organici che io non conosco, e del resto quante occasioni ci dà il nostro avaro mondo della musica contemporanea di ascoltare la musica di Mauro, come quella di tanti altri di noi? Ma non tocchiamo qui queste note dolenti, rimaniamo alle belle note di Mauro. Mentre scrivo queste righe di saluto, omaggio e augurio a un caro collega, ascolto e riascolto un cd, registrato una decina di anni fa dagli amici del Logos Ensemble, che raccoglie musiche scritte in un lasso di tempo di più di trent’anni (dagli anni Sessanta agli anni Novanta) e che mi sembra un bello spaccato del paesaggio musicale di Mauro. Una composizione che prediligo sono i già citati Appunti per un Trio (Cher nocturne), una composizione del 1972 di una malinconica bellezza – una bellezza discreta, decantata e distillata, sombre, notturna appunto. Ma mi intriga anche Fanfara-Scherzo e Ricercare, nella cui prima parte (prima del ricercare) emerge l’aspetto ironico di Mauro, contenuto forse già nella scelta del titolo di sapore neoclassico (e in neoclassiche movenze, che Mauro sembra citare con divertimento). Ma l’ultima parte è attraversata – ohibò – da un vero e proprio ed espressivo ‘tema’ di cinque note (mi, fa, la bemolle, fa, mi), quasi – nuovamente ohibò – sostakoviano, che conferma una vena malinconica di Mauro, sorprendente solo per chi lo conosce superficialmente. La nota introduttiva al cd su cui sono contenuti questi e altri bei pezzi di Mauro, è di Erasmo Valente,1 un altro amico che dagli anni Sessanta (e in realtà già da un paio di decenni prima) accompagna con attenzione e 1 “Est animum”: è il titolo di una felice composizione di Mauro Bortolotti. Ci torna alla mente in occasione di questo cd contenente altre pagine del nostro compositore. Un titolo semplice, ma subito ricco di sorprese, raffinato, prezioso, e un po’ misterioso. Occorre risalire non all’est di esse, ma alla forma sincopata dell’est di edere: bruciare, consumare. Ed ecco che nelle due parole, apparentemente semplici, si aprono problemi linguistici. C’è qualcosa che fa bruciare l’anima: l’amore, la vita, la musica. In Bortolotti, tutto questo insieme (la vita, la musica, la dedizione, l’impegno) est animum. Diremmo che nelle due parole (la composizione è dedicata alla memoria di Domenico Guaccero) ci sia una summa della vicenda artistica di Bortolotti, della sua musica, ‘semplice’ all’apparenza, poi così 174 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 175 W I POETI! PER MAURO BORTOLOTTI inesausta passione le vicende della musica contemporanea e che continua a essere un punto di riferimento per il lavoro di tutti noi. Mi piace chiudere questo saluto al nostro valente Mauro, con un saluto altrettanto affettuoso a questo nostro comune amico e sodale. 7.IX.2006 Programma di sala della II “Settimana Internazionale Nuova Musica” (Palermo, 1961) sorprendentemente ricca di significati umani e poetici, legata all’esigenza di non scostarsi mai dalle motivazioni profonde del suo essere musica del nostro tempo: scavata nell’anima, portata alla luce con tutte le implicazioni e ‘complicazioni’ delle più nuove esperienze conquistate con la consapevolezza – e fierezza – di una luminosa, feconda autonomia. La rigorosa ricerca di Mauro Bortolotti, del resto, ha spesso, nelle indicazioni dinamiche della sua musica, il richiamo ad un ‘liberamente’ che non può non coinvolgere anche noi, ‘liberi’ ascoltatori. Si senta nella Fanfara-scherzo e Ricercare o nei Tre movimenti per flauto e pianoforte come il ‘divertimento’ sia poi ‘bruciato’ all’interno da un costante pathos che intensamente avvolge l’ansia virtuosistica ad una urgenza espressiva: quasi il segno (e la partecipazione) di un dramma vissuto in epoche remote o in tempi futuri. Del pari avvertiamo in Foglie, il battito di un palpito vitale, pulsante al di là del velario di suoni, con una voglia di canto, nella quale ‘bruciano’ i suoni più alti e quelli più fondi, che rapprendono in grumi accordali il dramma della nostra vita: un dramma che culmina negli Appunti per un trio (Cher nocturne) e nelle Tre Poesie di Paul Éluard, in cui l’estraniamento dell’uomo nel mondo di oggi trova nei suoni di Bortolotti il fiammeggiare anche di una consolazione: la musica restituisce qualcosa che la vita aveva perduto; anche un sospiro palpitante nella preziosa trama sonora, che consuma nei rimbalzi tra toni di trenodia e dionisiaci, protesi ad un quid che muore e continuamente rinasce: la musica, che è tanto più nostra e nuova, oggi, quanto più – come accade in Bortolotti – est animum” (ERASMO VALENTE, s. t., booklet del disco con musiche di Mauro Bortolotti, Edipan, 1997, PAN CD 3061). 175 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 176 Ennio Morricone Conosco Mauro da più di cinquant’anni. Eravamo studenti di Composizione nella classe di Goffredo Petrassi e frequentavamo contemporaneamente alcune classi complementari. Ricordo che durante le lezioni di Letteratura poetica e drammatica (prof.ssa Fasano), Mauro era in continua polemica con l’insegnante. Mi è sempre rimasto in mente il suo comportamento severo e rigoroso, con prese di posizione ‘forti’ contro alcune affermazioni della professoressa. Nella classe di Petrassi non ci incontravamo mai. Penso che ormai da diversi anni (tanti) è diventato un compositore, apprezzato da tutti, che ha vissuto da protagonista l’avanguardia e i vari passaggi di ‘assestamento’ che hanno fatto seguito a quel periodo, componendo opere che ho sempre apprezzato per il loro equilibrio, il loro valore musicale e morale, le invenzioni e le tecniche usate. Oggi, ottantenne e quasi coetaneo, affiorano i ricordi che hanno radici profonde nell’esperienza petrassiana e nei vari passaggi che a quella sono succeduti, conducendo Mauro come compositore, studioso, docente di Composizione, Presidente di “Nuova Consonanza” a livelli altissimi. La sua attività di compositore e didatta è stata apprezzata da tutto il mondo musicale contemporaneo e da chi l’ha conosciuto. Per quanto riguarda me, pur non incontrandoci troppo spesso, ogni nostro ritrovarci è sempre stato improntato a espressioni di stima e affetto sinceri. Auguri, Mauro, e tanti anni ancora a vivere di Suoni! 176 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 177 Per Mauro Bortolotti: memoria ed esperienza di un'opera a quattro mani incompiuta Piero Mottola Il mio primo incontro con il compositore Mauro Bortolotti avvenne agli inizi del 1995 presso il Centro Studi Jartrakor di Roma. In un pomeriggio invernale, in compagnia di altri eventualisti (tra i quali Giovanni Di Stefano)1, Sergio Lombardo, tra un caffè e l’altro e intense discussioni con Bortolotti, fece ascoltare il mio primo stimolo acustico Paura > Gioia e Gioia > Paura, che gli avevo portato come esempio di un possibile risultato compositivo a partire da esperimenti su campioni di rumori e su loro proprietà estetiche ed emotive. Lombardo, che precedentemente aveva lanciato l’idea di visualizzare il contenuto sonoro pensando a stimoli analoghi a quelli concepiti per lo specchio tachistoscopico, fece partire il nastro della durata di tre minuti da un registratore posto nella sua camera da letto. Fu ascoltato con attenzione, e nella versione più ‘ambientale’ possibile data la distanza della fonte sonora. In quel momento ci si aspettava da Bortolotti (forse) un parere, un’indicazione, delle critiche nei miei riguardi. Tuttavia la discussione, allora, proseguì su altri argomenti. Dopo aver costruito il video-esperimento migliorare peggiorare, il mio interesse si era orientato già agli inizi del 1994 verso l’elaborazione di uno “stimolo acustico evocativo sperimentalmente costruito”:2 rumori figurativi combinati secondo un percorso emozionale da una situazione fortemente negativa ad una risoluzione di un conflitto, e viceversa. Su invito di Simonetta Lux, all’interno del festival di arte e poesia “Incantesimi” a Bomarzo, ambedue gli stimoli furono esposti e sottoposti a diversi passanti all’interno di una stanza vuota a piazza Duomo n. 11. Ogni soggetto veniva invitato a leggere attentamente la seguente istruzione: “ascolterai una sequenza di stimoli sonori; il tuo compito alla fine sarà quello di descrivere una storia che illustri dettagliatamente ciò che secondo te è accaduto”. 1 2 Tra il 1994 ed il 1996 fu per me molto importante la vicinanza teorica e metodologica di Giovanni di Stefano, proprio per lo studio sulle possibilità di costruzione di uno stimolo acustico eventualista. PIERO MOTTOLA, Uno stimolo acustico emotivamente evocativo costruito sperimentalmente, “Rivista di Psicologia dell’Arte”, Roma, 1995. 177 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 178 PIERO MOTTOLA Il libro Storie è il risultato di trenta interpretazioni dello stimolo A9 Paura > Gioia.3 Non ci fu Bortolotti ad ascoltare i miei brani acustici.Tuttavia con lui ascoltai subito fuori la sala sperimentale, in silenzio, una serie di poesie declamate da diversi poeti da un palchetto. Qualche anno dopo decisi di invitare Mauro Bortolotti presso il mio studio in via Filippo Turati per fargli ascoltare una nuova composizione, Articolazione emozionale 1, e in particolar modo una ricerca allora appena avviata sull’analisi degli spettri acustici e sui loro contenuti estetici, cromatici ed emozionali. In quell’occasione Bortolotti mi parlò di Stravinskij, spiegandomi che per lui la musica era un semplice montaggio di mattoni e che nel comporre bisognava vietarsi di esprimere la propria interiorità. Poi continuò citando più volte Goffredo Petrassi, il suo maestro, poi Schönberg e la dodecafonia e il limite derivante dal costringere la musica in regole molto restrittive. Quindi, pensando di nuovo a Petrassi, mi parlò di un qualcosa… che doveva necessariamente intervenire per rilanciare, far rivivere le regole. Tuttavia rimase incuriosito dai miei studi sugli spettri acustici e dalla composizione Articolazione emozionale 1, che nasceva considerando i valori di relazione della mia prima mappa (fig. 1) sulle Distanze emozionali.4 Continuò poi illustrandomi le sue esperienze degli anni ’70 con Pietro Grossi presso l’Università di Pisa, del suo enorme computer e del tempo necessario per la costruzione di suoni astratti, sintetici. Nella mia presentazione-esecuzione di Articolazione emozionale 1 presso la sala conferenze del MACRO nel 1999 Paola Ferraris fece un intervento recitando un vecchio testo scritto su di me da Sergio Lombardo, Marta Olivetti Belardinelli, parlando di un esperimento che andavo in quei giorni illustrando a un suo studente laureando sulla saturazione dello stimolo acustico nel tempo, e Mauro Bortolotti, riflettendo sulla opportunità (o meno) di diplomare un nuovo compositore senza avergli mai spiegato per anni i fondamenti della musica. La mia memoria del primo incontro a Jartrakor mi portò successivamente a chiedere a Sergio Lombardo e a Mauro Bortolotti di scrivere un testo PIERO MOTTOLA, Storie - interpretazione di stimoli sonori, a cura del Museo Laboratorio delle Arti Contemporanee dell’Università della Tuscia di Viterbo (edizione limitata),Viterbo, 1995-96. Cfr. SIMONETTA LUX - MIRIAM MIROLLA, Incantesimi-scene d’arte e poesia a Bomarzo, a cura del Museo Laboratorio delle Arti Contemporanee Università della Tuscia di Viterbo,Viterbo,1996; ENRICA TORELLI LANDINI, in Incantesimi - scene d’arte e poesia a Bomarzo cit. 4 Cfr. PIERO MOTTOLA, Coinvolgimento emozionale nella percezione di stimoli acustici, Università di Roma La Sapienza, Roma, edizioni Kappa, 1988. 3 178 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 179 PER MAURO BORTOLOTTI: MEMORIA ED ESPERIENZA DI UN'OPERA A QUATTRO MANI INCOMPIUTA fig.1 Piero Mottola, Distanze Emozionali, 1998 introduttivo per il mio primo disco, Percorsi emozionali 1995/2001.5 Lombardo scriveva: “[…] il rumore di una moto che corre seguito da un rumore di un incidente stradale suggerirebbe a molti ascoltatori che la moto si è schiantata contro un altro veicolo. Ma il rumore di una moto che corre seguito dal ruggito di un leone potrebbe far pensare che il motociclista fosse un cacciatore, oppure che un leone fuggito dallo zoo si fosse presentato sull’autostrada di fronte al motociclista, oppure che il motociclista fosse andato a vedere un documentario sui leoni, etc. Il 5 PIERO MOTTOLA, Percorsi emozionali 1995/2001, compact disc, edizione MUSPAC L’Aquila, SSSSHT! Roma, 2002. 179 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 180 PIERO MOTTOLA secondo stimolo sarebbe allora più eventualista del primo, perché scatenerebbe almeno tre diverse interpretazioni, mentre il primo ne scatenerebbe solo una”. Bortolotti scriveva: “[…] Credo che confrontare la varietà o la validità delle risposte di fronte al medesimo stimolo – pioggia, frenata, bacio – possa essere di grande interesse per una psicologia dell’ascolto e comportamentale. Certo ci si può chiedere quanto tali risultati, oltre ciò che si è detto, si possano tradurre in termini (ammesso che li si volesse) formali, estetici, specie mancando in alcuni casi una preparazione specifica, musicale. Ma è evidente che qui altre sono le finalità; è altrettanto evidente che, grazie all’esperienza personale di natura essenzialmente artistica, Mottola non può non aspirare al raggiungimento di risultati estetici, formali.Tra l’altro, essendomi io spesso incontrato con Piero durante le sue esperienze, ho avuto l’occasione di apprezzare i risultati del suo lavoro nella loro globalità fino ad augurarmi una futura collaborazione”. Dopo la mia esecuzione di Astratto 2 (fig. 2) nell’ambito del “Progetto Musica 2002”, invitato dall’associazione “Musica Experimento” diretta dal compositore fig. 2 Piero Mottola, Astratto 2, per rumori, sei diffusori, dieci emozioni, 2002 Enrico Cocco,6 inizia a partire dai primi mesi del 2003 l’assidua frequentazione compositiva con Mauro Bortolotti presso il mio studio di Piazza Camerino. Bortolotti ascolta con attenzione il risultato estetico di Astratto 2 e il metodo costruttivo impiegato a partire dalla mappa a 10 emozioni. Dopo vari ascolti di un brano necessariamente astratto e privo di riferimenti citazionisti, Mauro mi propone qualche variazione, al fine di esaltare 6 Musica e Arte: La Scrittura del Suono, Astratto 2, Azione sonora di Piero Mottola, Pietralata Centro Urbano, a cura dell’associazione “Musica Experimento”, 22 novembre 2002. 180 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 181 PER MAURO BORTOLOTTI: MEMORIA ED ESPERIENZA DI UN'OPERA A QUATTRO MANI INCOMPIUTA e reiterare alcuni elementi altrimenti troppo isolati, il grido seppure astratto. Poi, di rinforzare alcuni crescendo con il rombo di una moto. Registriamo quello della moto del suo amico Biagio Minnucci ad Anguillara nel giardino della casa di Simonetta Lux, una Moto Guzzi modello EW. Il rombo del motore si fonde, si ripete, si esalta in varie e differenti combinazioni con il grido. Da Astratto 2, composto da me in totale assenza di espressività, si arriva a una composizione a carattere espressivo, drammatico, quasi di denuncia, tanto che Mauro propone di dedicarla a uno dei troppi e sanguinosi massacri del Medio Oriente. Si perde di vista il mio sistema compositivo, che d’altronde non potrebbe che svilupparsi autonomamente secondo le sue logiche interne elaborate nell’autocorrelatore a partire dal 1999.7 Nei successivi incontri Bortolotti porta con sé varie sue opere importanti: in particolare, una straordinaria esecuzione di Simmetrie da parte del duo Severino Gazzelloni / Bruno Canino alla Biennale di Venezia, credo nel 1965; brani di una composizione elettronica, realizzata con la collaborazione di Pietro Grossi, Mottetto, e poi Ein feste Burg, composizione per due organi eseguita nella Basilica di San Giovanni nel 2002. Si decide di inserire alcuni brani elettronici dal Mottetto e di intensificare il dramma finale del grido, già miscelato con il rombo della moto, incuneandovi alcuni inserti con forti attacchi degli organi. Lavoriamo alla composizione per circa quattro mesi con momenti di forte e intenso interesse. Depositiamo presso la Siae Variazioni sul grido versione A per solo nastro (2003), autori Bortolotti e Mottola (fig. 3). Successivamente Bortolotti decide di inserire anche alcuni strumenti. Il fig. 3 Mauro Bortolotti, Piero Mottola, Variazioni sul grido A, nastro magnetico digitale, 2003 7 PATRIZIA FERRI, Il colore delle emozioni, “La Repubblica. Musica”, n. 325, Roma , 25 aprile 1999. Cfr. PIERO MOTTOLA, Autocorrelatore 1.0 Generatore automatico di composizioni emozionali acustiche e cromatiche, “Titolo”, Perugia, 2006. 181 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 182 PIERO MOTTOLA violoncellista Bernardino Penazzi si rifiuta di eseguire la parte, in quanto opera già molto intensa e chiusa, insomma non bisognosa di un intervento strumentale. È il gruppo “Aleanova”, diretto da Alessandro Sbordoni, a improvvisare e interpretare la partitura scritta da Bortolotti per essere combinata con il brano elettronico da noi precedentemente realizzato. Tuttavia l’esecuzione nel corso della serata inaugurale del 40° festival di “Nuova Consonanza” da parte dei componenti del gruppo “Aleanova” è tale, nell’accentuare l’esuberanza strumentale del brano, da annientare totalmente la presenza del nastro nel quale avevamo organizzato ed esaltato alcuni effetti speciali.8 Alessandro Sbordoni, dopo una mirabile prova che vedeva lo scrivente alla regia del suono per la parte elettronica, tra l’altro alla presenza di Daniele Lombardi, Bernadino Penazzi ed Elio Martusciello, chiede di far gestire il volume e l’equalizzazione del suono a Giovanni Guaccero, componente e musicista elettronico del gruppo, pena il ritiro dell’opera. Raccogliamo notevoli applausi nonostante il risultato pesantemente alterato. Si decide allora di farne un disco, registrando l’esecuzione strumentale. Presso la sala di registrazione di Igor Fiorini, componente di “Aleanova”, si ripete la stessa ‘battaglia’ tra strumentisti e compositori, almeno per quanto mi riguarda, tanto da farmi venire alla mente ciò che Edgar Varèse scriveva a proposito degli esecutori nel manifesto della “Lega Internazionale dei Compositori”: Il compositore è, tra i creatori contemporanei, il solo cui è negato un contatto con il pubblico. Una volta che il suo lavoro è compiuto, egli viene messo da parte e fa la sua comparsa l’interprete, non per cercare di capire la composizione, ma per giudicarla con impertinenza. Se non vi trova traccia delle convenzioni a cui è abituato, la esclude dal proprio repertorio denunciandola come incoerente e incomprensibile.9 In occasione della mostra collettiva presso il Palazzo Orsini a Bomarzo nel 2004, curata da Simonetta Lux ed Elisabetta Cristallini, nella sezione “Azioni sull’arte”, facciamo ascoltare la versione per solo nastro, Variazioni sul grido versione A per 10 emozioni, rumori, moto Guzzi EW.10 Per il comunicato stampa illustro le modalità di costruzione del lavoro sonoro, MAURO BORTOLOTTI, PIERO MOTTOLA, Variazioni sul grido B, per dieci emozioni, rumori, motore di moto, sintesi ed ensemble strumentale, Gruppo Aleanova, 40° Festival Nuova Consonanza, American Academy, Roma, 2003. 9 EDGAR VARÈSE, Il suono organizzato, Milano, Edizioni Ricordi/Unicopli, 1985, p. 40. 10 Cfr. SIMONETTA LUX – DOMENICO SCUDERO, Incantesimi. Scene di arte e poesia a Bomarzo. IV Edizione Castello Palazzo Bosco. Azioni dell’arte, in preparazione. 8 182 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 183 PER MAURO BORTOLOTTI: MEMORIA ED ESPERIENZA DI UN'OPERA A QUATTRO MANI INCOMPIUTA definendo e differenziando le competenze: Il “Modello di relazione a dieci emozioni”, elaborato da Piero Mottola a partire dal 1997 è un sistema che permette di costruire un alto numero di articolazioni emozionali a diversi livelli utilizzando rumori figurativi e astratti, colori, nonché di costruire aggregazioni timbriche inusitate, enigmatiche e coinvolgenti. Astratto 2, costruito nel 2002 da Piero Mottola, è stato organizzato secondo il seguente percorso emozionale: sei emozioni negative identiche crescono nel tempo aumentando progressivamente il valore di distanza. La prima delle sei emozioni che raggiunge il massimo contrasto fa nascere una identica emozione. Nel momento in cui tutte e sei le emozioni hanno prodotto dei rafforzamenti della loro identità, non avendo più possibilità di moltiplicarsi iniziano una decrescita fino al minimo contrasto emozionale, laddove inizia un nuovo rafforzamento dell’identità positiva, progressiva e per tutte e sei le relazioni. La regola esaurisce autonomamente lo sviluppo con un addensamento di stimoli emozionali indefiniti. L’articolazione emozionale ha considerato i rumori emozionali meno riconoscibili del campionario, modificati in ampiezza, sovrapposizioni, eseguiti al contrario, con riverberazioni, fino al limite della riconoscibilità. Questo lavoro costituisce l’inizio di una ricerca sperimentale per la costruzione di strutture acustiche evocative, non referenziali. Per Variazioni sul grido A, Astratto 2 diventa il percorso emozionale di partenza. Le logiche compositive di questo brano, non convenzionali dal punto di vista della composizione musicale contemporanea e dell’approccio del musicista nel comporre musica, hanno stimolato in Mauro Bortolotti l’interesse a modificarne il risultato secondo metodi e impostazioni tipiche della ricerca musicale di avanguardia. Il grido diventa il tema che, variato secondo schemi imprevedibili, si sviluppa investendo tutta la composizione definendone la forma, il carattere, seguendo ed integrandosi nei movimenti emozionali di Astratto 2. Mauro Bortolotti ha pensato l’intervento strumentale, ha introdotto parti di sue opere storiche. A un grido campionato, comune e anonimo, subentra su indicazione di Mauro Bortolotti quello del soprano Keiko Morikawa. Registriamo presso il mio studio di via Aleardo Aleardi diverse grida della cantante nell’estate del 2005. Di nuovo la versione per solo nastro diventa il motivo dominante su cui la voce del soprano e un clarinetto seguono a tratti improvvisando le indicazioni di una nuova partitura per voce e strumento scritta da Mauro Bortolotti in occasione della presentazione del lavoro al Goethe Institut di Roma, nell’ambito di “Progetto Musica 2005”, a cura dell’associazione “Musica Verticale”.11 L’esecuzione alquanto estraniante del Goethe Institut apre la strada ad 11 Il filo conduttore del XXVII festival di “Musica Verticale” è stato il rapporto tra arti visive, danza, poesia e musica. Il 15 dicembre 2004, alle ore 21.00, presso l’Auditorium del Goethe Institut-Rom Mauro Bortolotti e Piero Mottola hanno presentato Variazioni sul grido, versione C per soprano, sassofono e nastro magnetico. 183 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 184 PIERO MOTTOLA altri incontri di lavoro, nel corso dei quali Mauro Bortolotti pensa di elaborare ulteriormente le urla della cantante, di trasformarne il timbro, insomma di contenere l’improvvisazione casuale del grido. Successivamente ritorna con una serie di oggetti strumentali, legni, sonagli, etc. e addirittura un giorno con delle semplici matite rinforza il solido e già denso nastro della prima versione elettronica con ritmi, introduzioni, attacchi tendenzialmente improvvisati e nati dall’ascolto in tempo reale del nastro. Intanto agli inizi del 2005 Simonetta Lux propone la pubblicazione di un compact disc che documenti tutta la ricerca e i risultati acustici con una edizione a cura del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della “Sapienza”. Mauro Bortolotti propone di incontrarci ancora per terminare il lavoro. Ci vediamo, lo riascoltiamo e lo ritocchiamo per l’ennesima volta.Verso la metà di agosto del 2006, in una simpatica e cordiale discussione telefonica, il maestro lamenta la necessità (l’urgenza) di terminare il lavoro intrapreso. Non sono sicuro che ci sarà una conclusione dell’opera iniziata alcuni anni or sono.Tuttavia rimane in me l’emozione di un’esperienza conoscitiva e formativa condotta insieme a Mauro Bortolotti, compositore d’avanguardia estremo. 184 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 185 Non solo musica: un incontro speciale Maria Chiara Pavone Quando al ritorno dalle vacanze l’amica Daniela Tortora mi ha chiamato, chiedendomi una testimonianza scritta per Mauro, ho subito provato una grande gioia: mi veniva offerta la possibilità di dare forma e voce alla storia di un incontro, di un’ amicizia iniziata esattamente vent’anni or sono, e che mi ha accompagnata quindi fin dagli esordi della mia vita romana. Amicizia che si è via via modificata e arricchita in un intreccio sempre più stretto e intimo tra collaborazione professionale e vicende personali, delle quali è sempre stata testimone affettuosa. Mi è quindi pressoché impossibile parlare di Mauro senza raccontarmi almeno un po’ e fare qualche riferimento alla mia vita privata. Ero da poco arrivata a Roma da Palermo, la mia città, dopo una non breve permanenza in Germania, che aveva già svelato il taglio particolare dei miei interessi musicali, non scontato per una giovane studentessa di canto italiana, quando conobbi Luca, figlio di Mauro. Con lui avrei condiviso i successivi dieci anni della mia vita in uno strettissimo rapporto che ha lasciato in me un’impronta indelebile e profonda, grazie anche alla particolare atmosfera di cultura vera e vissuta che si respirava a casa Bortolotti. Per tradizione familiare ero stata abituata a considerare ‘cultura’ le conoscenze scolastiche e obbligatorie derivanti dalla frequentazione del liceo classico, la portata reale delle quali non ero stata allora in grado di comprendere se non in minima parte. Il nozionismo e il gusto della citazione fine a se stessa, riferiti peraltro a un mondo classico tanto ’imprescindibile’ per la nostra formazione, quanto aulico e distante, sembravano essere intorno a me l’unico frutto rimasto di tali studi, non avendo tra l’altro mai incontrato insegnanti particolarmente ispirati o illuminanti. A casa Bortolotti l’amore per la cultura, che si manifestava sotto varie forme, padre e figlio diversissimi tra loro, era comunque tangibile e sicuramente autentico e lontano da qualsivoglia forma di mondanità o interesse per ‘l’evento’ fine a se stesso. In Mauro traspariva quello stesso giovanile entusiasmo per la scoperta del pensiero ‘alto’ che doveva averlo spinto a coltivarsi e a lasciare la sua amata Narni, per diventare un protagonista dell’avanguardia artistica romana a partire dagli anni ’60. 185 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 186 MARIA CHIARA PAVONE I suoi libri, presenti oltreché nelle numerose librerie su ogni superficie libera dello studio-salotto (l’ordine non è il suo forte), mi sembravano davvero essere - e rappresentano tutt’ oggi per Mauro - vivi interlocutori e compagni di strada, continue fonti di ispirazione, come le partiture e i quadri che in questi anni hanno via via affollato sempre più numerosi le pareti dell’appartamento, ognuno con la sua storia frutto di incontri particolari e personali. Erano parte integrante di questa atmosfera i suoi contatti con gli amici poeti, nomi che spesso mi erano allora in buona parte sconosciuti, e che pian piano, anche se solo attraverso le parole scritte, ho anch’io imparato a conoscere. Le sue lezioni di composizione suoi allievi erano durante quegli anni la stessa Daniela Tortora, Lucio Gregoretti, Lucia Ronchetti e Fabrizio De Rossi Re, Enrico Cocco e Paolo Rotili, Fausto Sebastiani, Paolo Pachini, Francesco Rimoli e Cristina Cimagalli - erano inviti continui a conoscere e penetrare il mondo dell’arte nella sua totalità, dall’analisi delle musiche del presente o del passato alla discussione sul film visto al cinema la sera precedente. Non che io abbia mai integralmente assistito a tali lezioni, anche se incontravo spesso i ragazzi a casa sua, dove naturalmente trascorrevo molto del mio tempo.Tuttavia del suo impegno didattico, del suo rapporto con gli allievi Mauro parlava sempre con l’entusiasmo che un vero maestro prova quando ha occasione di comunicare le cose che ama, riscoprendole e spesso rivisitandole. Molto amata doveva essere per esempio la scena dell’arrivo della Messaggera, nell’ Orfeo di Monteverdi, di cui un pomeriggio spiegò non so più a chi, suonandola al pianoforte e cantandola con la sua voce un po’ roca, la grande modernità di linguaggio. Inizialmente io non ero ancora diplomata, e approfittavo quindi di Mauro anche per farmi accompagnare al pianoforte in quei brani che erano oggetto dei miei studi, dal Panofka a Caro nome. Molti dei miei spartiti d’opera sono suoi regali di quel periodo, come un volume di liriche di Tosti, che ci tenne a farmi conoscere. In seguito, tante in vent’anni le occasioni per un presente, ho ricevuto specialmente opere di poesia, cui mi sembra si sia accostato sempre di più col passare del tempo. A questo proposito mi viene in mente lo stupore, ammirato e insieme divertito, di una cara amica che mi ha accompagnato da Mauro nel periodo in cui stava scrivendo, ancora pochi mesi fa, un brano per voce recitante e orchestra, su testo di Rilke, commissione dell’Orchestra Regionale del Lazio. Essendo in quel momento del tutto concentrato sulla sua composizione, cominciò a leggerci i versi cui si stava ispirando, interpretandoli con tale verità da 186 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 187 NON SOLO MUSICA: UN INCONTRO SPECIALE riuscire a farli apparire sotto una nuova luce anche a me che li avevo letti da poco, come svelandomene il senso più profondo. Ma vorrei tornare brevemente a quei primi anni della nostra amicizia per ricordare ancora le frequenti letture degli amati Lieder all’insegna innanzitutto del piacere di fare musica insieme, Hausmusik di solito a nostro esclusivo uso e consumo, anche se Mauro ogni tanto mi chiedeva di cantare quando aveva degli ospiti, e Luca e io eravamo in casa. Questo mi appariva allora come un momento di condivisione più paritario, grazie alla mia conoscenza del tedesco, agli studi approfonditi e recenti, e al mio grande trasporto per questo genere musicale. Così una sera, con divertimento ed emozione, ci buttammo nell’esecuzione di alcuni Lieder di Schumann, ospite Paul Badura Skoda, nonostante la voce fredda e un notevole senso di sazietà derivante dalla lauta cena preparata dalla zia Paola, sapiente maestra di ‘manfrigoli’ e manicaretti narnesi, e da Simonetta, celebre per il suo ciambellone. È in questa atmosfera che è nata la nostra collaborazione professionale, ed è naturalmente merito e ’colpa’ di Mauro che io mi sia ritrovata a essere considerata una specialista di musica contemporanea… Non so più se il suo primo pezzo che ho studiato sia stato il Sine nomine, eseguito alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel cui ideale scenario ebbero luogo alcune stagioni di “Nuova Consonanza”, o le Poesie di Éluard, destinate a diventare il mio cavallo di battaglia. So che ricordo con estrema freschezza l’iniziale senso d’impotenza, per non dire di sgomento provato quando, messa di fronte a quelle pagine piene di segni ‘altri’ e sconosciuti, mi venne chiesto di riuscire a decifrarli e interpretarli davanti al pubblico. Anche se sono davvero passati tanti anni, e un certo linguaggio dovrebbe essere divenuto più consueto al nostro ascolto, riscontro lo stesso tipo di risposta quando a mia volta provo a sottoporre partiture contemporanee ai miei allievi del conservatorio. Ciò che rende innanzitutto capaci di effettuare il ‘salto’ non è tanto il talento musicale, certo poi indispensabile per affrontare lo studio di musiche così difficili, quanto la curiosità, il desiderio di confrontarsi con altro, la capacità di essere aperti e di non giudicare, e per me questo atteggiamento, volendomi anche attribuire qualche merito, fu comunque naturalmente facilitato dal fatto che a propormi tale impegno fosse proprio il compositore, e Mauro in particolare. La qualità della mia formazione culturale mi rendeva inizialmente difficile accettare a priori qualcosa che fosse così al di fuori della tradizione; a un certo punto dovetti rendermi 187 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 188 MARIA CHIARA PAVONE conto del fatto che tra noi quello più giovane, aperto e libero fosse proprio lui. Fu per me un momento importante. Penso che ancora oggi quello che colpisce di più chi ha modo di incontrare Mauro per la prima volta sia proprio questo suo animo naturalmente fanciullo e anticonformista, col quale ho tuttora modo di confrontarmi spesso su un terreno per me nuovo e assai più impervio di qualunque partitura: quello dell’educazione di una bimbetta assai monella, a cui il destino ha tolto il padre, ma ha regalato un ‘nonno’, il nonno Mauro per l’appunto, che con immenso affetto e tenerezza ci è costantemente vicino in questa nuova avventura… ma torniamo per adesso alla musica. All’inizio il problema era il solfeggio… quando incontravo dei gruppi di nove o undici note, magari a cavallo di battute diverse, pretendevo di suddividerli esattamente, e che si combinassero poi alla perfezione con gli eventuali altri gruppi irregolari scritti per i restanti strumenti. E che fosse il compositore stesso a spiegarmi che il risultato di tale scrittura dovesse essere non un mero quanto complicato calcolo matematico, ma un senso di mobilità, di nervosa irrequietezza, di voluta irregolarità e insicurezza, non soddisfaceva la mia ricerca di precisione. Continuavo allora a chiedegli: “Ho capito, ma mi fai sentire comunque come solfeggi questo passaggio?”. E sotto sotto gliene volevo quasi per aver scritto qualcosa che non fosse poi eseguibile alla lettera… (succede comunque ogni tanto di arrabbiarsi con i compositori, e a volte davvero a ragione!) Quando oggi mi ritrovo fra le mani una (vecchia?) partitura di Mauro che ancora non mi sia capitato di eseguire, come si è verificato con L’attesa e con il Contre 2 per questa stagione 2006 di “Nuova Consonanza”, mi basta ormai uno sguardo per capire quale sia il senso di quelle frasi spezzate, delle volatine che si dissolvono in ghirigori ascendenti, della violenza sottesa all’intersecarsi di segni neri e spessi, che negli anni si è comunque via via addolcita, della nostalgia evocatrice di certe notine tra parentesi, buttate lì come echi accidentali; ne leggo come fosse evidente il passaggio fluido e continuo dall’ ironia alla poesia e viceversa. Questo è al tempo stesso il frutto del mio percorso attraverso la sua musica, di quella ricerca di significati non sempre immediati che mi ha obbligata a dare un senso, il ‘mio’ senso, ai numerosi brani bortolottiani che ho avuto la ventura di eseguire in questi anni. Certa ormai che la mia lettura risulti in ogni caso affine e aderente alla poetica e allo spirito profondo di quelle pagine, siano quelle forti e impegnate degli anni giovanili, o quelle più morbide e intime della maturità. E questo è per me un grande risultato. In questi giorni sto studiando il 188 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 189 NON SOLO MUSICA: UN INCONTRO SPECIALE Contre 2. Stamattina, aprendone la partitura, ho scoperto due fogli improvvisamente percorsi da arabeschi gialli, tracciati dalla piccola Marta in un momento di mia fatale distrazione…Riguardandoli, mi sembra che si integrino a meraviglia con i segni ondeggianti della partitura che ho sotto gli occhi, richieste di colori e di emozioni. Credo proprio che a lui piaceranno. Mauro Bortolotti, Contre 2, pp. 41-42. 189 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 190 A Mauro nel suo ottantesimo anno Elio Pecora La voce del silenzio, il tramestio delle foglie nell’ombra, l’ansimo, il grido, il motivo accennato dove il mondo si svela: così l’antico sapiente recando pesi udiva parlare l’anima: così prosegui nei giorni cauto e arrischiato - ragione estrema di un sogno. 190 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 191 Ricordi lontani di un'amicizia Achille Perilli Negli anni passati, e il mio ricordo risale lontano, auspice Goffredo Petrassi, mi ritrovai nella sua casa per incontrarmi con un gruppo di giovani suoi allievi.Voleva il maestro che noi giovani, provenienti da arti diverse, ci incontrassimo per scambiare esperienze e idee in quell’inizio del nostro lavoro. In quegli anni, e parlo di una Roma vivace e curiosa, ci scambiammo conoscenze e modi di lavorare, che nascevano da una comune volontà di uscire da quel clima stantio e provinciale quale era stato quello italiano sino ad allora, per immergerci nella nuova avanguardia che stava nascendo in Europa, e in campo musicale e nelle arti figurative. Per me il terreno di scambio diventò il gruppo di “Nuova Consonanza”, del quale feci parte pur non essendo musicista, per volontà di Franco Evangelisti. Fui immerso quindi in un mondo diverso, frequentando amicizie ed esperienze di quell’insieme di musicisti che mi svelarono la conoscenza di quanto avveniva nel mondo della musica. Il mio sapere, in questo campo, aveva avuto un inizio con quello che avveniva nell’ambito del jazz, soprattutto con la “New Orleans Jazz Band”, della quale ero divenuto allora amico, collaborando persino con i miei compagni di pittura al loro primo concerto a Roma. Da allora, ogni giovedì ed ogni sabato, mi vedevano scatenato nella danza al suono della band, nel locale dove suonavano. Ricordo un uomo che in quegli anni fece da tramite, con le sue conoscenze, tra quella musica e l’avanguardia musicale. Era Mario Olivieri, proprietario di una collezione di dischi, sicuramente la più straordinaria a Roma in questi due campi. Debbo confessare che il passaggio dall’uno all’altro mondo mi fu perfettamente congeniale, e mi introdussi con agilità in quella avanguardia che da Darmstadt si divulgava in tutta Europa, dalla Germania di Stockhausen alla Francia di Boulez, per arrivare in Italia, a quel gruppo animato da Franco Evangelisti, che con il nome di “Nuova Consonanza” diffuse in quegli anni difficili la musica d’avanguardia in Italia. Furono anni felici di scambi tra le arti, di concerti, di dibattiti, di litigi, e soprattutto di amicizia tra quanti allora facevamo parte del gruppo. Con molti di loro ebbi occasione di lavorare anche alle mie esperienze teatrali, soprattutto quando costituimmo il gruppo ALTRO. 191 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 192 ACHILLE PERILLI Debbo riconoscere, con rammarico, di non aver fatto mai, in quegli anni, un lavoro in collaborazione con Mauro Bortolotti, allora attivo come me nel campo delle esperienze teatrali. Questa non fu una mia scelta, che al contrario amavo molto le composizioni di Mauro e che seguivo nei suoi svolgimenti creativi, ritrovandomi spesso in quel clima che avevamo contribuito a costruire in partenza. Oggi, sulla soglia degli ottant’anni, mi piace ricordare il lungo sodalizio che ho avuto con lui, la duratura comprensione della sua musica e la lunga frequentazione con il suo lavoro di sperimentatore, non solo in campo musicale, ma anche e soprattutto con la sua passione per la danza sperimentale. Sono sicuro che la sua curiosità nel campo creativo musicale è rimasta intatta, vivace e soprattutto poetica, quale mi si rivelò nei nostri felici anni della gioventù: vivacità poetica e creatività nel mio lavoro quanto nel suo. Orvieto, 18 agosto 2006 192 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 193 Attilio Pierelli Caro amico, Maestro Mauro Bortolotti, Come promesso dopo l’esecuzione del tuo pezzo all’incontro “Incantesimi” [Bomarzo, 2004], eccomi diligente a mantenere l’impegno di scriverti due righe sul mio rapporto con la musica. Debbo confessare che la mia cultura musicale è modestissima, si limita all’apprendimento del solfeggio imparato e dimenticato all’epoca dei miei anni verdi. Posso però dire di amare la musica, ma in modo istintivo, secondo le emozioni che ne ricevo scelgo gli autori.Tutto qui. Senonché mi è capitato, non so come sia avvenuto, di fare lo scultore e questo vizio ancor non m’abbandona. Quando avevo lo studio sotto la casa di via Revere, nel locale vi erano un certo numero di opere in acciaio inox speculare. Quando avevo tempo per andare a lavorare in quel locale avevo come adesso l’abitudine di cantare, canticchiare e fare anche qualche acuto: per fortuna non ne è rimasta traccia. Però mi ricordo che le superfici delle lastre entravano in vibrazione, mi rispondevano. Una volta provai ad appoggiare un vibratore per massaggi muscolari sopra una grande superficie: il risultato mi colpì piacevolmente. Conoscevo Vito Annicchiarico, tecnico del suono, e gli proposi di realizzare una attrezzatura per ottenere dei suoni dalle sculture. Nacque così la prima Sonarinox. Negli anni ’60 vi erano alcuni artisti che realizzavano oggetti sonori, ora non ricordo molti nomi, ma a Parigi vi era Nicola Schöffer che produceva opere di questo tipo. A Roma vi fu una mostra alla galleria dell’Obelisco, alla quale anch’io esposi una o due opere sonore.Tu conosci meglio di me la situazione musicale di quegli anni e conosci anche Michiko Hirayama, che al tempo incontravo spesso e che debbo ringraziare per avermi fatto conoscere tutti, dico tutti i musicisti contemporanei che vivevano o passavano a Roma. Sempre nel mio studio di via Revere venne eseguito il primo concerto di scultura con appunto Michiko, [Sylvano] Bussotti e Vittorio Gelmetti. Il secondo concerto per sculture venne poi eseguito in via Lucrezio Caro, o via Belsiana (?), in uno scantinato adibito a manifestazioni d’arte, con gli stessi esecutori. Nel 1966 venni invitato a Spoleto durante il Festival, dal maestro Giancarlo Menotti: il concerto venne eseguito verso 193 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 194 ATTILIO PIERELLI mezzogiorno al teatro Caio Melisso, e ripetuto in piazza la sera stessa. Nel 1967, se non sbaglio, ci conoscemmo in occasione dell’annuale incontro di “Nuova Consonanza”. La direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna mi chiese di portare la Sonarinox che venne posta all’ingresso della Galleria stessa quale tratto d’unione fra la musica e la scultura. Poi la Bucarelli volle acquistare l’opera che rimase lì esposta per dodici anni. Lungo lo scorrere del tempo l’idea di assistere alla evoluzione delle premesse di quegli anni non mi ha mai abbandonato. Nella mia immaginazione c’è sempre presente il desiderio che la musica classica divenga musica moderna, ma per fare questo è necessario costruire nuovi strumenti, apparecchi sempre più sofisticati. È una meta che si potrà raggiungere, credo, come dimostra l’esempio del risultato ottenuto con la mia scultura, attraverso la quale sono entrato nel mondo delle quattro dimensioni: così come era avvenuto nel ‘400 ad opera di artisti i quali, con una superficie bidimensionale, operarono il miracolo di esplorare quella terza dimensione sulla quale molti artisti oggi operano. A me importa che la musica contemporanea riesca a far sì che un concerto sia adatto a modificarsi a seconda dell’ambiente in cui è eseguito, così da assumerne le più segrete espressioni estetiche. Come ti sarai reso conto quando ci siamo salutati a Bomarzo, ero molto eccitato perché la tua musica ha risposto a quanto ho appena scritto, tramite l’apocalittica grandiosa forza che hai impresso alla tua opera: così come la scultura diventa luogo, il luogo scultura, il luogo diventò musica e la musica luogo. Profondamente grato di queste emozioni spero di rivederti presto. Con affetto Roma, 18.IV.2004 194 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 195 L'amico del suono. Rappresentazione scenico-musicale in un'ouverture, tre movimenti e un'intervista in quattro domande Attore principale: Mauro Bortolotti, compositore Comprimario: Giovanni Pizzo, pittore geometrico-operazionale Giovanni Pizzo Ouverture Mauro per me non è uno sconosciuto, l’ho visto spesso nei luoghi deputati della musica, so che è uno dei fondatori di “Nuova Consonanza” e che ha insegnato nei Conservatori di Frosinone e di Santa Cecilia. Si è sempre interessato alla pittura, frequentando le gallerie d’arte di via del Babuino, di via Margutta, di via Vittoria e della Salita di via San Sebastianello (la Cassapanca, la Fontanella, la Medusa, la Numero, la Nuova Pesa, la Primo Piano, la Salita e la San Marco), oggi purtroppo scomparse. È sempre indaffarato a comporre nuovi lavori, a seguire i concerti e gli eventi culturali che lo interessano e parte del suo tempo lo dedica alla lettura, a incontrare e parlare con i suoi ex-allievi, ormai tutti colleghi illustri. Di certo è un personaggio importante nel panorama della musica contemporanea, tanto che il suo ingresso nelle varie sale da concerto è sempre salutato da un’infiorata di sorrisi, alcuni veri, altri di convenienza com’è naturale. Primo movimento: L’incontro Nota scenografica: Il MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”), con i suoi duali e sovrapposti luoghi espositivi leggermente ellittici, le loro ricorsività binate di luci continue, la sala dei rinfreschi, la terrazza emiciclica e le doppie scale che si rincorrono. I locali del MLAC sono gremiti di tante persone e di altrettanti schermi invasi dal dinamismo di immagini cromatiche, astratte e non. Diamo uno sguardo: Nel video in un interno, schematico nelle sue linee geometriche, una donna bella nel suo reggiseno nero tiene fra le dita una sigaretta che non 195 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 196 GIOVANNI PIZZO porta mai alla bocca.Tutto è fermo tranne il leggerissimo tremore che si avverte nelle dita della giovane che stringono la sigaretta; questa si consuma con una lentezza esasperante, poi la cicca cade a terra, la donna si gira e va via in un tempo fortemente rallentato. In una proiezione, nell’angolo fra due pareti ed il pavimento, c’è una giovane seduta su una sedia con le gambe accavallate; poi il paradosso: le gambe in successione binaria iniziano a moltiplicarsi da due diventano quattro, poi sei, poi otto poi dieci, poi il busto ed il viso della donna scompaiono dietro quell’ammasso ingombrante e pesante di arti sovrapposti. Su un grande schermo passano teorie di camion saturi di colori diversi che sul davanti hanno degli occhi dipinti, pieni di stupore. Gli automezzi procedono in calettature temporali, ora rallentate ed ora accelerate, su una strada disordinata di Bombay.Talvolta la videocamera, posizionata nel mezzo del grande viale, riprende l’andare contrapposto degli automezzi con un effetto dinamico inatteso, enfatizzato dalle diversificate successioni o progressioni temporali nella dinamica dei due inversi flussi dei camion. Sul viale ci sono degli uomini sdraiati che dormono, i veicoli non li investono, ma paradossalmente li spingono in avanti con una delicatezza che sorprende. In un televisore passa il dramma della morte di un uomo per incidente automobilistico. Garze imbevute d’olio ricompongono in modo sintetico ed essenziale le sequenze temporali dei luoghi testimoni della morte: la strada dell’incidente con la macchina accartocciata, la sala operatoria e la corsia di un ospedale. Da queste bende, immerse in un contenitore trasparente colmo d’acqua, si staccano in continuazione delle bollicine bianche che lievitano verso l’alto per poi sparire riassorbite dalla superficie del liquido. Le garze scoprono sempre più la loro orditura, e il dramma si compie nell’immobilità assoluta, quando dalle bende non si staccano più le vescicole bianche. Simonetta Lux, infaticabile curatrice e animatrice delle mostre del MLAC, mi presenta Mauro che, ancor prima della stretta di mano, mi accoglie con il suo sorriso buono e accattivante, in contrasto bianco/nero con il cappello floscio e a larghe tese che, indebitamente, copre la sua capigliatura argentata, inanellata di riccioli impertinenti. Secondo movimento: Il riscontro sul filo della logica Nota scenografica: È l’inizio dell’estate torrida, tutto è fermo nel calore che arrostisce gli sparuti arbusti nei campi. Lo studio di Formello è così pieno di tele, cartoni e 196 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 197 L'AMICO DEL SUONO quant’altro, che a stento si riesce a vedere qualche lacerto della tessitura dei blocchetti di tufo dei muri. Gli occhi curiosi di Mauro e del compositore Fausto Razzi seguono i percorsi delle mie immagini geometrico-astratte che vanno dal bianco/nero degli anni ’60 fino all’attuale policromatismo. I camminamenti delle immagini geometriche si strutturano in processualità combinatorie, in visualizzazioni operazionali di equazioni e in orditure di insiemi successivi e progressivi. Dice Mauro: “Ma guarda! Ritrovo gli stessi percorsi fatti dalle note nei miei lavori degli anni ’60”. Risponde Razzi: “Si! Cambia solo il contesto da visivo a sonoro, ma gli organigrammi seriali sono gli stessi”. Ed io: “L’artista, sia esso pittore o compositore, può prendere in prestito le procedure da altre discipline, riproponendole nel suo specifico contesto come valore metalinguistico”. Simonetta Lux: “Le immagini, siano esse pittoriche e/o musicali, oggettivano nelle loro specificità uguali percorsi logici e procedure condivise”. Seguono dei: “Sì, sì è vero, ci sembra proprio così!”. Poi si va nello studio accanto al mio a vedere i quadri operazionali della pittrice Lucia Di Luciano. Terzo movimento: La frequentazione Nota scenografica: In primo piano si succedono, brevi flash temporali, i luoghi deputati dove vengono eseguiti i lavori di Mauro: l’Auditorium dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in via della Conciliazione, il Goethe Institut-Rom, le Accademie tedesca e svizzera, il Palazzo Orsini a Bomarzo, il Nuovo Auditorium – Parco della Musica. Spesso ho seguito i concerti di Mauro, sempre caratterizzati dalla sperimentazione di nuovi linguaggi musicali. Mauro si serve del gioco dei suoni e della ricchezza dell’orchestra come di strumenti che gli permettono di entrare all’interno di un testo o di una poesia. Per scoprirne e svelarne qualcosa di non detto o di non esplicito. L’intervento timbrico e sonoro di Mauro nei testi è un valore aggiunto di completezza, mai di snaturamento, di parcellizzazione o di disunità concettuale con gli stessi. Quando si chiede al compositore il perché della sua operazione 197 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 198 GIOVANNI PIZZO suono/testo, lui suole rispondere: “il valore della musica è il non detto di un testo poetico…” Mauro rivisita musicalmente opere di scrittori e poeti quali Marziale, Michelangelo Buonarroti, Paul Éluard, E. E. Cummings, John Berryman, Rainer Maria Rilke, ma anche di Pier Paolo Pasolini, di Edoardo Sanguineti e con continuità di Alfredo Giuliani. Ma la sperimentazione di Mauro va oltre, coinvolgendo e integrando con il suo apporto musicale anche opere di arte visiva, interessandosi ai lavori dei pittori Antonio Capaccio e Piero Mottola. Lungo lo snodarsi visivo di tramature segniche che invadono in successioni verticali lo spazio, anche le note tessono i loro algoritmi musicali, rafforzando nei segni la ritmicità e la resa di una spazialità più esplicita. Le creazioni di Mauro Bortolotti vanno assumendo sempre più le sembianze di vere e proprie rappresentazioni scenico-musicali, dove la musica scava il gesto all’interno della narrazione. L’intervista Nota scenografica: Esterno: un cielo di metà luglio nero di nuvole temporalesche. Interno: l’appartamento-studio di Mauro inverosimilmente ingombro di quadri alle pareti e in ogni dove di spartiti, libri, riviste, foglietti vari… a stento si riesce a far posto alle coppette per un gelato. Prima domanda: Si avverte che i vari settori delle arti stanno perdendo le loro specificità, qual è il tuo parere? Mauro Bortolotti: “La vera arte, la grande arte non può mai perdere la sua specificità, perché di essa vive. Il compositore che ha una sua estesa e profonda cultura musicale, venendo dallo studio, per esempio, delle fughe di Bach, delle sonate per pianoforte o dei quartetti di Beethoven, come può perdere per strada il patrimonio di conoscenze della sua formazione? Naturalmente la musica ha sempre subito delle mutazioni, in linea con i cambiamenti socio-culturali che si sono succeduti nel corso del tempo. Anche il modo di suonare ha subito notevoli cambiamenti. Da tempo si percuotono le casse armoniche degli archi, si suona oltre il ponticello, anche usando il legno dell’archetto, così come si pizzicano le corde del pianoforte, si percuotono le chiavi del clarinetto e dei legni in genere. E tutto ciò non per fare scandalo con facilità, ma per un vero e proprio arricchimento che si porta all’interno della musica e per un processo di 198 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 199 L'AMICO DEL SUONO ampliamento delle possibilità di produzione dei suoni. Agli esecutori si impongono nuove responsabilità quando si chiede loro di abbandonare il leggio per muoversi intorno al pubblico, magari recitando versi o, nel caso di una esecutrice disponibile, di accennare passi di danza, convincendosi tutti che il fine resta la musica con, in più, la volontà, il desiderio di inserimento nella scena, nel teatro. La musica non è assoluta e immobile: è un organismo vivente che – come le altre arti e le scienze e tutto – è in continua evoluzione e da sempre ha accolto al suo interno nuove sperimentazioni linguistiche come ulteriore scoperta del mondo e di se stesso da parte dell’uomo-artista. Resta fatto essenziale e irrinunciabile che tali contributi nascano da esigenze profonde, espressive, sociali, etiche”. Seconda domanda: Secondo te, quale posto occupa la musica nei sistemi macro-informativi di oggi? Mauro Bortolotti: “Qui la musica, e la contemporanea in particolare, è la grande esclusa.Vorrei citare un vecchio “Fotogramma” di Aldo Lastella (“la Repubblica”,15.XI.2002), nel quale, recensendo un concerto diretto da Pierre Boulez svoltosi due giorni prima all’Auditorium Pio di Roma, si esordiva così: “La musica, nei nostri tempi, vive una situazione paradossale; amatissima e debordante nelle sue forme popolari e commerciali, è in realtà la più negletta e misconosciuta fra le arti contemporanee”. Dopo aver notato come artisti, letterati e cineasti (quali Burri e Bacon, Calvino, Carter, Fellini o Fassbinder) siano ormai entrati nell’immaginario collettivo, nota come i nomi e le opere di compositori moderni restino invece chiusi all’interno di una cerchia di appassionati, e la loro musica sia in generale sentita nella percezione collettiva come oscura, cervellotica e noiosa. Inspiegabilmente, sembrava dire Lastella, a fronte dello straordinario impatto che in quel concerto avevano avuto proprio brani difficili e complessi di Berio e dello stesso Boulez. Una annotazione personale: ricordo le espressioni del pubblico ufficiale alla inaugurazione del nuovo Auditorium – parco della Musica dopo l’ascolto del Sacre di Stravinskij. Gli illustri presenti, in gran parte personaggi del mondo politico ed economico, apparivano come smarriti, interdetti per l’incontro con il Sacre, che con ogni probabilità (spero di sbagliarmi) non avevano mai ascoltato prima, nonostante la fama dell’autore e la grandezza della composizione; avrebbero certamente preferito Il lago dei cigni o Lo Schiaccianoci di Caikovskij! I sistemi di informazione si rivolgono massicciamente, e prestano 199 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 200 GIOVANNI PIZZO attenzione solo, alla cosiddetta musica leggera, alle canzonette, ai cantautori e simili, insomma al disimpegno, a ciò che possiede, che propone, un solo senso di lettura, anche quando usa argomenti come la fame nel mondo, la democrazia, la libertà… La massa dei giovani viene edotta solo a ciò che possiede un solo senso di lettura, anche quando si considera impegnata, e in tale ambito e dietro tale solerzia ci sono grossissimi interessi commerciali. S’induce nei giovani il desiderio del facile, dell’ovvio, spesso del volgare allo scopo di sollecitarli a comprare i dischi, i nastri e i video: così il mercato va a gonfie vele, pur con qualche dichiarata flessione, vera o presunta. Per la nostra musica non vedo via di soluzione, finché i mezzi di informazione non cambieranno rotta. Non si tratta di una preoccupazione che riguarda il dato estetico, di gusto, ammesso che possa essere recuperato in qualche misura. La cultura condivisa e di massa non poteva che essere cavalcata dal sistema della comunicazione e dell’informazione, in quanto sistema basato su un concetto di cultura di consumo e sull’accoglimento di un pubblico dato e non formato, i cui limiti culturali hanno rappresentato la base da conquistare ad un prodotto corrispondente a tali limiti, secondo la regola imprenditoriale di accontentare ad ogni costo ‘il cliente’, il futuro consumatore”. Giovanni Pizzo: “Insomma anche la televisione che da decenni si è inserita nel gioco dello spettacolo, e che avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere sia i compositori sia i pittori, ha relegato la nostra arte e la nostra musica ai margini estremi del sistema informativo”. Terza domanda: Secondo te in che rapporto quantità/qualità sono con la musica le diverse discipline artistiche, oggi che tutti i mezzi possono essere usati e tutti i sensi sollecitati illimitatamente? Mauro Bortolotti: “In un mondo che si va sempre più globalizzando e dove le problematiche di culture emergenti occupano il centro della scena, la musica ha già fatto e dovrà fare nuove scelte. È infatti impensabile che i musicisti non vivano o subiscano le sollecitazioni che provengono dai grandi mutamenti, non solo sociali e inerenti alla comunicazione, ma scientifici, politici e culturali. D’altronde, anche nella musica del recente passato c’è stato un processo di inclusione in essa di elementi eterogenei, usati tuttavia come fatti sonori: ad esempio, il ticchettio della macchina da scrivere, i colpi di revolver, i sibili dei fischietti, gli apparecchi radio e i mezzi percussivi più diversi. Anche l’elettronica è entrata nella musica 200 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 201 L'AMICO DEL SUONO quale processo creativo, di arricchimento e integrazione dei processi tradizionali del fare musicale. È ormai prassi corrente l’inserimento del video, la video-proiezione di immagini in movimento e talvolta di vere e proprie installazioni. Tutto ciò avviene simultaneamente in America e in Europa, nel secondo dopoguerra, anche con il modificarsi della scrittura musicale, che vuole adeguarsi e che perde la sua precisione e corrispondenza esecutiva, diventando un elemento di suggestione che lascia all’interprete la libertà di essere tradotta in un’opera continuamente rinnovata. Le partiture divengono vere e proprie opere visuali autonome, alcune delle quali sono oggi esibite in musei d’arte contemporanea (ad esempio, alcune pagine del mio lavoro Links sono state esposte al MoMA di New York). Anche nel ‘600 l’opera in musica, già spettacolo composito, vuole divertire e meravigliare non con la sola inventiva musicale, ma con la ricchezza dei costumi, la presenza delle masse, la scenografia. Nel Pomo d’Oro di Marcantonio Cesti, opera di corte rappresentata a Vienna nel 1648, l’architetto Burnacini non economizza nel creare scene spesso di un realismo estremo, nell’imitare terremoti e cataclismi tali da impressionare la distinta platea di aristocratici che solo con tali effetti, assai più che con la musica, si lasciava coinvolgere. Non era dunque la musica l’elemento principale, bensì le invenzioni degli architetti-scenografi, che avevano la capacità di impressionare il pubblico attraverso il meraviglioso scenico. Questo può considerarsi oggi l’equivalente degli spettacoli rock, pop, techno, etc., ove luci stroboscopiche, nebbie, profumi e decibel, nonché azioni sulla scena come nella recente performance di Madonna, contribuiscono alla resa estetica totale dello spettacolo. Occorre dire che tali pratiche del ‘meraviglioso’ nella musica di intrattenimento di oggi si avvalgono spesso di motivi – o di vere e proprie copie – di opere realizzate da artisti, vitalizzandole però a scopo scandalistico e di shock sul pubblico giovanile e sulla massa, svuotandole dell’originario spirito critico. Penso alla crocifissione di Madonna, proiettata durante il concerto, copiata dall’artista Sükran Moral, che per prima ha creato una crocifissione femminile: tema inedito quello della donna in croce nella iconografia storica che qui la Moral usa con finalità ben diverse rispetto a quelle del puro e semplice intrattenimento. La provocazione e il sensazionalismo sono la deformazione utilitaristica e spettacolare dell’opera d’arte, e rappresentano l’uso deviato della ricerca sia artistica sia musicale. D’altronde, il polilinguismo e la ricerca artistica inter-campo nascono nell’arte e nella musica dell’avanguardia storica e 201 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 202 GIOVANNI PIZZO delle neoavanguardie del secondo dopoguerra.Tale ricerca è ininterrotta e continua attualmente con finalità di conoscenza e di sollecitazione dell’immaginario critico dell’uomo contemporaneo, ed è soggetta alle accennate strumentalizzazioni spettacolari consumistiche. A Torino con l’artista Antonio Capaccio, e lavorando su una ampia scelta di testi di Thomas Bernhard – uno dei maggiori scrittori austriaci del secondo Novecento – e mie musiche, abbiamo realizzato un’opera in cui si danno simultaneamente esecuzione dal vivo, videoproiezione, canto e parole, per un’opera che restituisce i complessi coinvolgimenti del pensiero attuale. Con l’idea di giungere a un prodotto condiviso nei mezzi e nella percezione, ed equilibrato nelle varie componenti dell’arte, abbiamo lavorato intensamente per circa due anni”. Quarta domanda: Cosa prevedi per la musica, data l’attuale diffusa spettacolarizzazione dell’arte? Mauro Bortolotti: “Lo spettacolare è un elemento costitutivo della modernità. Quando parliamo di spettacolarizzazione, ci riferiamo in verità al processo negativo (prefigurato da Adorno prima e da Debord poi, nel 1967), ormai purtroppo pienamente attuato, di trasformazione delle istituzioni culturali e dei luoghi della comunicazione in complessi economici e ideologici, volti a imporsi mediante una spettacolarità a sensazione, come luoghi privilegiati del consumo e dell’intrattenimento. Dell’apparente apertura alle masse sinora escluse dal gioco della cultura e della fruizione, va sempre considerato il carattere strumentale e il sottofondo economico, nonché l’assenza di finalità liberatorie e critiche, finalità queste ultime notoriamente estranee al consenso ricercato dall’industria della cultura, cioè dalla spettacolarizzazione dell’arte. Perdita definitiva di quelle finalità formative e critiche, dovremmo continuare a chiederci? La ricerca minimale ed epidermica, e quella volta alla profonda e dura riflessione della condizione umana, saranno sempre due cose diverse e lontane. Certo i modi di lettura e di ascolto sono molteplici e i generi musicali tanti quanti sono i fruitori. Ma quei due modi sopra enunciati della creazione e della proposta musicale non potranno mai essere equiparati. La presunta perdita dei confini e lo sbriciolamento delle diversità sono una proclamazione interessata. In questa epoca di relativismo culturale non possono significare l’universale incapacità di usare i mezzi a disposizione della poesia, del suono, del colore e di ogni altro mezzo dell’arte conoscibile nella storia e nelle pratiche pure sempre presenti nel mondo contemporaneo. 202 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 203 L'AMICO DEL SUONO Assistiamo a una caduta del senso etico e religioso della vita e della creatività umana. C’è da chiedersi sempre: cui prodest? A chi giova tutto ciò? Alla leggerezza e alla amichevole complicità con cui anche personaggi in vista e genitori colti accompagnano i figli ai concerti rock, spettacolari e meravigliosi, corrisponde - c’è da chiedersi – una analoga preoccupazione educativa al fine di colmare i vuoti di esperienza e di sapere, che certo in quella accattivante spettacolarizzazione non possono, non devono essere presenti?” Ultima nota scenografica. Nel cielo su via Gregorio VII il nero delle nubi lascia intravedere sprazzi informali di azzurro sbiadito. Con stima Formello, agosto 2006 Giovanni Pizzo, opera-collage dedicata alle Variazioni sul grido di Mauro Bortolotti e Piero Mottola, 2004 203 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 204 Un augurio coetaneo (quasi) a Mauro Bortolotti Boris Porena I prati, i boschi intorno a Jugenheim (Darmstadt), Franco Evangelisti e le ragazze, poi i big, Stockhausen, Boulez, per noi soprattutto Nono e la folla di giovani compositori (tra cui appunto noi) assetati (chi più chi meno) di Neue Musik… Ricordi, Mauro? E prima ancora, la classe di Petrassi, che ci ha aperto gli occhi, le orecchie e il cervello al ‘nuovo’, cui tu sei rimasto fedele fino ad oggi, mentre per me l’idea stessa del ‘nuovo’ è andata impallidendo fino a confondersi con uno ‘ieri’ senza contorni. Non siamo mai stati assidui l’uno dell’altro, neppure nei lunghi anni di insegnamento della “Nuova didattica della composizione” al Conservatorio di Santa Cecilia, ma poi ci si incontrava sempre volentieri, io soprattutto ammiravo in te la serietà del musicista impegnato in territori a me estranei, eppure sempre disposto a stemperare questo impegno in un’ironia intelligente e bonaria che gli toglieva ogni pesantezza. Ancora molti anni di lavoro e di scoperta del ‘sempre nuovo’ ti augura il tuo amico Cantalupo, 3.X.2006 204 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 205 Programma di sala del 1 festival di “Nuova Consonanza” (Roma, 1963), progetto grafico di Franco Nonnis 205 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 206 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 207 PARTE TERZA Scritti di Mauro Bortolotti (1981-2003) Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 208 Testo cantato/Testo parlato* Fin dagli anni del conservatorio, ma anche molto prima (brevi, non dimenticate liriche da Wright, Sinisgalli o Whitman) la scelta del testo da musicare – minuziosa, rileggendo decine di poesie, felice di approfondire contatti con poeti che già in partenza mi interessavano – costituiva motivo di scavo puntiglioso… dovevo assolutamente capire lo spirito del testo, penetrare all’interno del clima espressivo che la poesia riusciva a creare per poi partire verso soluzioni che nel corso degli anni sono state le più varie ed hanno sottolineato sviluppi ed aperture culturali, crisi o impegni sociali. Inutile dire che del testo non mi sono mai preoccupato di rendere il suono o l’elemento semantico più esplicito; né mi sono posto dei problemi circa la comprensibilità immediata del testo cantato (che è tutt’altra cosa dal testo letto o recitato!), la cui comunicabilità avviene per vie ben diverse… mi sono preoccupato, invece, della tensione generale e del modo più adeguato di renderla nella sua totalità, arrivando anche in molti lavori a frantumare la parola nelle sue componenti fino a sfruttare i singoli fonemi e usando tutta la gamma di possibilità dell’organo vocale, unendolo a strumenti o al nastro magnetico. Poeti diversissimi mi hanno interessato, per ragioni anche contrastanti: da Éluard a Scotellaro, Cummings, Berryman recentemente e Alfredo Giuliani… Giuliani che scrive cose che possono valere bene anche per il musicista: “Ormai il disagio e la confusione si sono insinuati fra i criteri di lettura. Il mondo scappa da tutte le parti e volerlo fissare in una qualche forma dà perlopiù risultati meschini”. Insieme a lui si è discusso a lungo sui possibili rapporti fra testo e musica, oggi. Abbiamo analizzato questo aspetto della storia della musica che da momenti di grandi certezze quali quelli del madrigale – presto d’altronde soffocato da abusi e giochetti di ogni genere – dell’opera (con le sue tante, scaltrissime, convenzioni), della liederistica romantica, è giunto sino a noi: ormai rapporto logorato e perennemente in cerca di una epifania, frantumato in tante ricerche quanti sono i compositori attratti dalla parola… * In Poesia in pubblico. Parole per musica. Atti degli Incontri Internazionali di Poesia 1979-1980, a cura di Massimo Bacigalupo e Carola De Mari, Genova, Liguria Libri, 1981, pp. 162-163. 208 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 209 TESTO CANTATO/ TESTO PARLATO È a questo punto, e dopo risultati di tante collaborazioni che partono dal 1970, che abbiamo pensato all’improvvisazione; che ci siamo detti come la ricerca di possibili nuovi equilibri poteva passare per la fase dell’incontro – anche casuale, non accademico, non congelato in notazioni varie – tra il poeta che legge i propri versi ed il compositore che improvvisa liberamente. Su tali considerazioni è nato questo esperimento di Genova, se si vuole a livello elementare, come prima ipotesi di lavoro… pensiamo così che sia possibile proporre una forma nuova, o se si vuole recuperare in modo nuovo una pratica, del resto assai antica, di ‘intrattenimento’, capace di ricongiungere intenzionalmente i due momenti autonomi della parola e della musica. 209 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 210 MAURO BORTOLOTTI Brevi note intorno alla salute dei teatri* Queste annotazioni, anche se affrettate e non rigorosamente organiche, nascono da una mia presenza quasi decennale nel Consiglio d’Amministrazione dell’Opera di Roma e da un interesse per il teatro non superficiale. Non sono considerazioni ottimistiche, tutt’altro! I perché spero risultino chiari da ciò che segue, pur nella consapevolezza che solo ulteriori interventi potranno offrire un’analisi esaustiva dell’argomento. La sopravvivenza dei teatri d’opera, sia pure a livello museologico, in questi ultimi anni, a mio parere, è stata messa più volte in discussione. Sempre più spesso abbiamo dovuto leggere articoli dai vistosi titoli: “Lirica: dieci anni di inadempienze dei governi”, “Polemica dopo l’incriminazione dei direttori degli enti”, “La vera imputata è una legge che non si può applicare”, “Dimissioni in blocco. La Fenice non ha più organi direzionali”. E si potrebbe continuare per molto… Questi titoli evidenziano una situazione legislativa caotica, pur tuttavia esterna o collaterale al vero problema che è un altro e riguarda la validità sul piano sociale e culturale dei teatri d’opera; validità che ha subìto forti critiche, ha vissuto momenti di crisi drammatici, è passata attraverso esperienze e interrogativi ancora non risolti. Il primo di essi dovrebbe essere: quale è oggi la funzione del teatro d’opera in una situazione totalmente mutata, rispetto al secolo passato, per ciò che riguarda il mercato, l’offerta di cultura, di informazione, di svago? La risposta, meno ovvia di quanto possa sembrare, diviene più complessa se si aggiungono i seguenti altri interrogativi: quali nuovi criteri adottare? Per quale pubblico svolgere questa funzione? È ancora possibile rispondere che la funzione è solo quella di rappresentare opere? Che il pubblico è solo quello degli abbonati (che diminuiscono per la naturale… selezione), dei critici, degli appassionati del ‘bel canto’, delle belle signore (oh, i deliziosi commenti delle poltrone vicine!)? Certamente no. Ai pubblici nuovi, alla loro formazione attraverso canali ben studiati e certamente in modi non pietistici, si pensa molto poco e con scarsi risultati. Come poco o nulla si fa per una produzione nuova (che non piace agli abbonati!) da scoprire, commissionare, favorire nei modi più ampi e adeguati, perché il teatro non * In “1985 la musica”, I, 1985, n. 5, pp. 5-6. 210 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 211 BREVI NOTE INTORNO ALLA SALUTE DEI TEATRI diventi sempre più museo, ma sia anche portatore del nuovo, luogo di discussioni non solo per ciò che riguarda le voci, le orchestre, le scenografie che è, poi, un vecchio, utilissimo modo di fare critica a tempo perso (Schönberg direbbe ‘al rabarbaro’), malvezzo che riguarda anche il rito del concerto al punto che la composizione non sembra più dell’autore ma proprietà, creatura del direttore, del pianista, ecc. ecc.V’è da sottolineare a proposito di una programmazione più aperta, che essa è resa indispensabile, obbligata direi, dal fatto che diversamente dai musei, in ogni città numerosi e rigorosamente divisi in specializzazioni (Egizi, Greci, Barocchi, Moderni, Contemporanei ecc.), di teatri d’opera ve n’è uno soltanto, perlopiù ristagnante nella solita produzione-tipo, tale da non consentire aggiornamenti, confronti, ma, anzi, da addormentare coscienze e sensibilità. Se i costi non fossero assurdi si potrebbe e si dovrebbe chiedere la creazione di più teatri altamente specializzati per l’opera, ad esempio, del Sei-Settecento, dell’Ottocento e moderna, contemporanea e sperimentale. Quale esempio di civiltà e consapevolezza, se accadesse! Ma potrà mai accadere in Italia? Forse dividendo equamente i finanziamenti? Ma cosa si può dividere in una economia al collasso, eternamente in deficit, con interessi passivi folli?! Cosa si può dividere se la maggior parte dei teatri a fine mese si chiede se dare priorità agli stipendi o all’Iva, all’Enpals, alla Siae? La cosa di cui abbondano i teatri è lo spazio: perché, allora, non aprire tanta disponibilità, anche di apparecchiature, alla città? Perché non permettere ad altre Istituzioni concertistiche, ai Conservatori, all’attività musicale privata in genere, di usare e l’uno e le altre, così da divenire un vero centro di attività e cultura musicale? Anche perché un teatro che ampliasse il proprio raggio di azione con molteplici attività (almeno nei periodi di silenzio o nei vuoti settimanali) obbligherebbe l’abbonato ad aggiornarsi, a rieducarsi, a vedere oltre l’assurdo meccanismo dello starsystem che impone il cantante/matador del momento, magari rubato, conteso agli altri teatri a suon di milioni. E sappiamo bene quanto questa mentalità, che poco o nulla ha a che vedere con la musica, abbia cittadinanza a Milano come a Parigi o a Roma e quali violente reazioni sappia scatenare la malattia di una Caballé o di un Pavarotti, quando dopo febbrili attese vengono sostituiti all’ultimo momento da pur ottimi cantanti. Questo non è amore per l’opera è feticismo bell’e buono, ricerca del mito esattamente come accade per i tifosi del calcio! Proprio a proposito di uno di questi non infrequenti casi di sostituzione, così 211 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 212 MAURO BORTOLOTTI scriveva Zurletti nel 1982, a proposito della malattia della Caballé che le impedì di interpretare Anna Bolena: “sarebbe ora di riflettere una volta per tutte su questo balletto di divine che alla Scala ha preso il posto della musica. Ma possibile che nessuno della direzione scaligera abbia avuto il coraggio di affrontare la situazione spiegando che ammalarsi è possibile, che è possibile essere sostituiti anche quando si è divine?”. E Pestalozza aggiunge di suo: “L’aggressività della protesta…fa pensare ai meccanismi aggressivi di un criterio generale che ritorna a collegare reclamisticamente la musica alla presenza del divo, del divo cantante, del divo direttore, del divo orchestra. Dunque dell’Anna Bolena, ieri sera, non interessava niente a nessuno… Bisogna cambiare il sistema, e non ripescando dal passato”. Dunque rivoluzioni capaci di mettere in crisi sovrintendenze, direzioni artistiche e di far nascere all’interno dei Consigli d’Amministrazione prese di posizione violente alla ricerca del responsabile ecc. Ma a proposito dei Consigli di Amministrazione molto ci sarebbe da dire: organismi dall’aspetto abnorme, i cui membri dovrebbero sapere di tutto (perché di tutto dovrebbero essere corresponsabili): dal leggere complicati bilanci, al conoscere problemi giuridico-amministrativi, essere dotti in questioni sindacali e sociali e, naturalmente, essere coscienti della differenza tra Lo schiavo di sua moglie e la Lulu, oltre ovviamente a conoscere i costi delle scarpine da punta e dei tutù per poter raffrontare i prezzi… Certo i costi di gestione sono altissimi, incidono in maniera pesante sui bilanci e non è qui il caso di calcolare (anche perché facilmente verificabile) il numero delle maestranze di ogni teatro e valutarne l’effettiva indispensabilità. È anche vero però che nulla o assai poco si è fatto e si fa tuttora per economizzare: per esempio sulle scenografie, stabilendo un regime di scambi tra i vari teatri, grazie al quale riciclarne alcune ad ogni stagione, ovviamente accordandosi in primo luogo sulla programmazione, quindi sulle misure medie dell’apparato scenografico perché possa essere trasferito da uno spazio scenico all’altro senza grandi difficoltà. Così come appare ancora oggi impossibile (a causa anche di un pubblico che tutto ti impone) creare compagnie di canto stabili, o semistabili, che, assicurando il rispetto del testo, magari senza follie vocali o interpretative, potrebbero permettere, in un clima di relativa tranquillità, il raggiungimento del triplice obbiettivo del risparmio, della scoperta e del lancio di giovani talenti, cantanti o direttori che siano, e di un ben maggior numero di messe in scena nel corso di una stagione. Per fare ciò 212 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 213 BREVI NOTE INTORNO ALLA SALUTE DEI TEATRI occorrerebbe estrema chiarezza di idee, capacità e forza polemica tali da sfidare le mille impopolarità cui si è soggetti nel mondo della lirica; indifferenza o perlomeno non dipendenza verso le critiche del giorno dopo, tanto attese quanto inutili, o forse utili soltanto per i finanziamenti ministeriali! Quanto sopra potrà essere possibile solo quando con estrema chiarezza si sarà spiegato da quali motivazioni e considerazioni globali, in una parola da quale nuova politica culturale, di autentico rinnovamento, il teatro intende ripartire: una politica che sia consapevole dell’antistorico, dispendioso e improduttivo antagonismo esistente tra i teatri d’opera, causa non ultima dei molti mali che li affliggono. Ricordo di aver parlato senza perifrasi, e ovviamente in un momento di grave difficoltà economica, in Consiglio di Amministrazione, di una ipotetica possibilità di dare delle opere senza costumi né scene, in forma oratoriale, come: protesta per finanziamenti tardivi o insufficienti; volontà di economizzare; dimostrazione estrema di attaccamento verso il teatro. Bene, credo di essere stato preso per un incolto plebeo disinformato sulle tante esigenze di un teatro d’opera, sull’importanza degli elementi extramusicali che contribuiscono a formare uno spettacolo composito quale è appunto l’Opera; per tacere della presunta offesa che così facendo si sarebbe recata al prestigio che distingue queste istituzioni. L’opera è fatto culturale in cui sono in ballo mezzi economici notevoli, ma è anche momento di intrattenimento e di mondanità e vanità varie: bisogna fare una scelta, se si vuole annullare (oh, solo in parte!) quanto di esteriore e di elitario sopravvive al suo interno. Eliminare la sensazione, per il comune cittadino tutt’oggi viva, che si entri nel Tempio Eterno dell’Arte: sensazione che stucchi, velluti e livree, avallano frenando l’intervento di un più ampio pubblico. Cinema e televisione sono i mezzi autentici del nostro tempo, con essi il teatro d’opera deve fare i conti. La soluzione non sta, però, nell’affidare al regista cinematografico il compito di procurare pubblico per la sua sopravvivenza; sta, invece, nelle scelte di fondo che sono poi quelle sollecitate dagli interrogativi iniziali, ai quali occorre rispondere con urgenza e consapevolezza. 213 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 214 Sulla scuola sperimentale di composizione… e d’altro* Che intorno alla Scuola Sperimentale di Composizione (già Nuova Didattica della Composizione), pur tra tanti consensi, vi siano disinformazione se non resistenze e ostilità, è fatto che appare incontrovertibile, come sanno i neodiplomati in attesa di incarico e come appare da tanti piccoli segnali agli stessi titolari di cattedra. Questo anche se da più parti, in occasione di indagini ministeriali, si sono avute relazioni sulla sua validità e attualità e, addirittura, sulla necessità che la didattica tradizionale della composizione si adegui ad essa, pena il suo declassamento sul piano culturale unicamente a momento formativo di insegnanti di armonia e contrappunto. Come tali diversi giudizi possano convivere è spiegabile solo se si tiene conto degli incredibili dislivelli culturali (nel senso vero della parola), dei timori, dei luoghi comuni sulle funzioni della musica (distensive, digestive?) esistenti all’interno dei Conservatori, per cui sette anni passati tra armonia, contrappunto e fuga, romanze senza parole (per non parlare del corso superiore), nonché ricalchi vari del passato remoto, vengono considerati forse insufficienti a formare un compositore… Ah! Dunque è vero? La Scuola Sperimentale di Composizione forma compositori senza solide basi, con scarsa conoscenza del passato? È vero, invece, il contrario: proprio il rispetto per la storia e quello per gli allievi, ha fatto sì che si capovolgessero i vecchi criteri di insegnamento, le vecchie metodologie: non l’inizio degli studi partendo dall’armonia setteottocentesca fino a quella tardo romantica, per poi tornare secoli indietro – ad un linguaggio prearmonico –, cominciando lo studio del contrappunto a due parti, nota contro nota; ma l’immediato avvio con il contrappunto rigoroso dal quale, con l’aumentare delle parti e attraverso le varie specie, dedurre – come è stato attraverso secoli di sofferto sviluppo, di ben note polemiche – tutte le considerazioni armonicoverticali che renderanno palesi l’avvento dell’armonia e della tonalità moderne, nonché delle forme da esse generate. Da queste brevi premesse dovrebbe essere chiaro come non deve più * In “Il mondo della musica. Rassegna internazionale di vita musicale – Concerti – Opera - Balletto”, XXVI, 1988, n. 25, pp. 13-14. 214 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 215 SULLA SCUOLA SPERIMENTALE DI COMPOSIZIONE… E D'ALTRO essere un corso di composizione, o, quanto meno, in cosa deve differenziarsi dai programmi edizione 1930. Intanto si dovrebbe partire dalla convinzione che fare il compositore, oggi più che mai, vuol dire porsi in una posizione di consapevolezza del perché dei mutamenti, delle rivoluzioni accadute nella cultura e quindi nella musica del nostro secolo; rendersi conto che con tali complessi mutamenti dobbiamo fare i conti. Convincersi che il passato è alle spalle; che va conosciuto e studiato, ovviamente, ma non per ricrearlo (nostalgie di paradisi perduti a parte!): forse per prenderne ciò che ognuno di noi ritiene utile per il proprio sviluppo; ma soprattutto per poter constatare di ogni autore, di ogni composizione (fuga bachiana, sonata beethoveniana, quartetto brahmsiano) i momenti della trasgressione quale scatto fantastico, di qualità; come superamento dei limiti imposti dal proprio tempo che, così, vengono rimessi in discussione). Dunque, come si diceva, una visione non immobile, non feticistica, ma rigorosamente storicistica della musica e del suo divenire. Ma, anche, la presa di coscienza che la figura del compositore, dell’artista e dell’arte è mutata profondamente in una società che tutto ‘consuma’, che non si pone interrogativi più o meno inquietanti, che evita scelte qualitative in favore dell’ovvio. Quanto sopra detto illustra chiaramente in quale misura si siano modificati i rapporti tra allievo e maestro, nonché il tipo di problematica in discussione nella Scuola Sperimentale, che si articola in nove anni di studio, suddivisi in un quinquennio normale ed in un quadriennio superiore. Cosa importante è che rispetto al corso tradizionale si giova di una ammissione ‘aperta’ (anche se con tendenze a ‘chiudere’ di nuovo), di una disponibilità felicemente anomala, tale da superare i limiti di età vigenti; limiti che si possono comprendere per lo studio di molti strumenti, ma che non hanno ragione di essere per la composizione. Ma è nel programma che sta la vera innovazione, per il suo procedere su due direttrici: lo studio dei linguaggi storicizzati, da un lato (e su questo punto credo di essere stato chiaro all’inizio), e, dall’altro, la pratica viva della composizione, la lenta ricerca e conoscenza di se stessi attraverso il fare, senza paure e remore. Punto nodale del problema, momento essenziale da approfondire in base alle tante e più varie esperienze, credo sia proprio la ricerca di un equilibrio tra il momento dell’attualità (momento libero e creativo) e quello di un’adeguata conoscenza del passato (momento ‘imposto’ anche se indispensabile) della disciplina compositiva. A oltre 215 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 216 MAURO BORTOLOTTI quindici anni dall’istituzione del corso, ritengo possano trarsi delle conclusioni in proposito, anche se va data come premessa innegabile che gli allievi siano soprattutto interessati all’oggi, alle nuove tecniche e ricerche, che vivono, nella maggioranza dei casi, in modo attivissimo, come esigenza insopprimibile. Meno interessati ad approfondire il passato (oggi tra l’altro pressoché escluso dagli interessi anche dei ben aggiornati compositori televisivi e cinematografici), si chiedono, e ci chiedono, quanto quel corpus imponente che sono le leggi del contrappunto, dell’armonia, delle forme, sia indispensabile – in specie se date in modo così ripetitivo e ridotte perlopiù a semplicistici ‘ricettari’ - per il giovane compositore già con salde convinzioni, cultura ecc.; o quanto invece sia limitativo, condizionante, di fronte all’urgenza di una libera scelta. Ma a questo punto v’è da precisare, per comprendere meglio il perché di tali interrogativi, che gli iscritti alla Scuola Sperimentale di Composizione hanno una età media di 20-24 anni, nella maggior parte una preparazione universitaria, e interessi vari che li rendono consapevoli (ah, questa cultura, così diffusa!), che oggi ogni compositore tende a crearsi una propria grammatica, un proprio modus operandi le cui componenti, del vissuto, dell’alea, della tecnologia ecc., si sovrappongono con ironia, con rabbia, sempre lucidamente, vanificando ogni tentativo di sistematizzazione a priori. In una situazione così ricca e complessa – e perciò didatticamente difficile – non è proprio il caso di irrigidirsi, ma è invece necessario discutere, e far comprendere che passato e presente sono uniti oggi come non mai, non foss’altro che per rifiutarsi a vicenda. Che quello della conoscenza è solo il primo stadio di quel rifiuto (anche totale) che si raggiunge attraverso superamenti e difficoltà varie; e, ancora, che rivivere le esperienze vissute dal suono, le tappe che lo hanno portato a saturare grammatiche e codici, fino ad arrivare alla negazione di se stesso, dell’opera, evita false vittorie e – perché no? – crisi ingiustificate e false sconfitte. Scrive Boulez: “credo che l’opera non sia valida quando la tecnica non è abbastanza flessibile e diventa una preoccupazione tale da nascondere le considerazioni estetiche”; e più avanti: “l’invenzione senza disciplina è sovente un’invenzione insulsa”. Disciplina, tecnica: in una parola, rigore. Per coloro che vedono il dilettantismo nel fare odierno, mentre sono proprio loro i dilettanti dell’accademia, una bella lezione di serietà e moralità. Naturalmente il corso prevede, oltre la composizione, altre discipline per una completa preparazione dell’allievo: lettura di partitura, che lo accompagna sino al diploma, e Storia della musica – ormai articolata in un 216 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 217 SULLA SCUOLA SPERIMENTALE DI COMPOSIZIONE… E D'ALTRO quinquennio – con la quale si condivide uno dei momenti importanti del corso: l’analisi. È evidente che un corso il cui fine è la formazione di compositori aggiornati e consapevoli (ma è pensabile un medico non al corrente delle ultime conquiste della scienza medica?), che giustifica la propria ragion d’essere con la conoscenza non superficiale dei lavori del nostro tempo, non può non puntare molto sul momento dell’analisi, sulla capacità di smontare in ogni sua parte qualsiasi lavoro significativo di una particolare corrente estetica, per comprenderne meglio gli elementi grammaticali e sintattici, l’intima coerenza, anche dove – soprattutto dove – il linguaggio usato può con difficoltà ricondursi a codici noti. Ciò accade non certo quando si analizza Schönberg o Webern, ma quando ci si trova in presenza di lavori degli anni Sessanta, in cui alea, polilinguismi, zone di improvvisazione e grafismi vari rendono difficile la comprensione, l’uscita dal labirinto… Questo ci viene richiesto con urgenza, a questo dobbiamo rispondere, e non per volontà anticonformista, ma perché i programmi di esame prevedono, oltre a complesse prove scritte, la presentazione e discussione di almeno cinque lavori personali articolati e diversificati negli organici, nei linguaggi usati; il diploma vuole, d’obbligo, che due delle cinque (o più) composizioni siano per orchestra. Queste – sia pure in modo poco organico per le tante considerazioni extra-didattiche – le linee generali, il programma di massima, di un corso di cui si è ampiamente sperimentata la validità.Va chiarito che quanto detto nasce da esperienze di una classe con caratteristiche, lineamenti, esigenze sue proprie, determinate, e in qualche modo condizionate, dagli allievi. Da ciò la possibile differenza di metodo da classe a classe. Certo la scatto qualitativo avvenuto negli studi della composizione è notevole: può non essere il toccasana, il meglio in assoluto, ma i risultati sono in attivo: i giovani che escono dalla Scuola Sperimentale di Composizione sono diplomati che non hanno bisogno di colmare paurosi vuoti di conoscenza, correndo da questo o quel compositore aggiornato. Ciò non vuol dire che siano annullati i tanti dubbi, la necessità di rimettere continuamente in discussione la nostra responsabilità di insegnanti di composizione; come pure, di fare un discorso sulle strutture – oggi paurosamente assenti, per indifferenza della classe dirigente – che dovrebbero assorbire i nuovi diplomati. Ma questo è un discorso diverso e complesso, che non può intaccare l’esistenza della Scuola Sperimentale di Composizione. Un discorso che dovrà essere fatto a parte, quanto prima. 217 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 218 Paesaggi intravisti* Mauro Bortolotti e Walter Branchi Il luogo del fare musicale ha sempre subito nei secoli mutamenti più o meno profondi; e anche oggi possiamo individuare situazioni operative del comporre sostanzialmente diverse dal passato anche prossimo. Quando l’universo sonoro del compositore è rappresentato essenzialmente dagli strumenti dell’orchestra, questi si trova ad avere a che fare con generatori di suono che ben conosce e di cui può prevedere quasi interamente gli effetti e i risultati che poi trascrive simbolicamente sulla carta. Il musicista, in questo caso, fa riferimento ad una situazione musicale che si è via via trasformata dinamicamente nel tempo e che oggi trova una più che sperimentata codificazione. Allo stesso modo egli può fare affidamento su una serie di passaggi – esecutore, pubblico, sala da concerto e organizzazioni musicali in genere – che gli assicurano la concretizzazione dell’opera indipendentemente da lui stesso. Egli può comporre il suo lavoro in qualsiasi luogo, non specificatamente adibito a tale scopo, come la propria casa, il proprio studio ecc. Il pianoforte può divenire strumento di verifica essenziale anche se ovviamente non potrà rendere le smaglianti sfumature di una abile orchestrazione o di un inusuale amalgama strumentale. Una volta consegnata la partitura all’esecutore, il compositore cessa, per così dire di operare sulla sua creazione, mentre il luogo del lavoro si trasferisce nella privatezza dello studio dell’esecutore che dovrà tradurre i segni grafici in suoni e più avanti ancora esprimere la composizione e se stesso attraverso il suo strumento. È poi nella sala da concerto e quindi nel rapporto con il pubblico che l’intero processo del fare musicale viene a completarsi. Quando il musicista accoglie e indaga le possibilità offerte dagli strumenti elettronici, inevitabilmente trasforma il suo ambiente mentale e sonoro. Gli ‘oggetti musicali’ a sua disposizione esulano quasi totalmente dalle esperienze sonore precedenti, essi devono essere prima di tutto scoperti e compresi nelle loro modalità di funzionamento per poter essere * Note di copertina, in Paesaggi intravisti, disco Edipan, PAN PRC S20-33 stereo. 218 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 219 PAESAGGI INTRAVISTI efficacemente impiegati. E non solo. Il compositore dovrà imparare a modellare e ricavare da una sorta di continuum sonoro i suoni e solo quelli che meglio soddisferanno le sue esigenze espressive. Egli può lavorare e progettare la sua opera in qualsiasi luogo, ma sarà obbligato a recarsi in un luogo stabilito dove poter porre mano agli strumenti che gli occorrono per la realizzazione della sua composizione. Qui non è indispensabile la presenza e la funzione mediatrice dell’esecutore, perché è il compositore medesimo che segue il proprio lavoro in prima persona fino al momento ultimo della realizzazione. In effetti, nella maggior parte dei casi, la concretizzazione sonora non avviene solo ad uno stadio finale, ma è un vero e proprio montaggio e assemblaggio di parti che si vengono via via formando fino al completamento del tutto. È appunto il nastro magnetico che diviene il supporto fisicamente immutabile – ma non per questo uguale a se stesso nell’esperienza dell’ascolto – che concentra la doppia funzione di memoria e rappresentazione. Con l’avvento dell’elaboratore il luogo di lavoro del compositore subisce un ulteriore cambiamento. Come si sa, l’elaboratore è un mezzo non specificatamente musicale in quanto non presenta caratteristiche di strumento predeterminato – come pure lo erano le apparecchiature dello studio di musica elettronica – ma esegue soltanto ciò per cui è programmato. In altre parole, se il compositore vuole ottenere dei suoni da un computer, dovrà prima programmarlo adeguatamente fornendo tutta quella serie di istruzioni adatte a far sì che il suono desiderato possa essere generato. Ciò significa che, se prima si partiva da una globalità sonora da cui poter ricavare delle particolarità, ora, con l’uso dell’elaboratore, diviene possibile simulare direttamente la particolarità sonora. Si crea in questo modo un atteggiamento compositivo profondamente diverso da quelli precedenti: è il capovolgimento del rapporto compositore-strumento che rappresenta l’aspetto più particolare di questo modo di comporre. Il compositore deve in pratica fornire in precedenza ogni dato necessario alla definizione del suono e del suo comportamento nel tempo. Comunque, esiste oggi la possibilità, tramite tecnologie adeguate, di interagire ‘manualmente’ o meglio analogicamente, sull’elaboratore, riproponendo così il rapporto che il compositore ha con lo strumento tradizionale. Evidentemente, nel corso della realizzazione della composizione egli potrà apportare tutte le 219 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 220 MAURO BORTOLOTTI E WALTER BRANCHI modifiche che ritiene opportune per una migliore estrinsecazione del suo scopo artistico. Paradossalmente, ad una sempre più minuziosa descrizione dei suoni e del loro susseguirsi nel tempo, corrisponde uno strumento ed un luogo del tutto generalizzato: un grosso calcolatore a disposizione di un centro di calcolo, quasi sempre indifferente che si tratti di suoni o del comportamento di comete. Si è detto un grosso elaboratore, intendendo con questo la sua potenza e velocità, perché tale deve essere un elaboratore impiegato per produrre suoni dato che per un secondo di suono esso deve eseguire circa trentamila operazioni, ma la tecnologia odierna ha concentrato potenza e velocità in piccole dimensioni e l’accoppiamento di personal computer con sintetizzatori digitali normalmente in commercio può costituire la base per un discreto avvio verso questo genere di musica. E ancora l’ambiente di lavoro si trasforma, ritornando alla privatezza dello studio questa volta personale, ma aprendo le finestre su una fitta rete di interconnessioni rappresentate dalla telematica che permette al compositore di attingere o a banche-dati o di usufruire delle prestazioni di grandi sistemi di elaborazione. Si vengono ad allargare allora non soltanto le procedure operative del comporre, ma anche quelle del partecipare musicale che può prevedere riti d’ascolto estremamente diversi da quelli che siamo culturalmente abituati a seguire. Paesaggi intravisti impiega tecnicamente per la sua realizzazione le diverse procedure legate ai luoghi di lavoro sopradescritti, mentre il tramite sono le immagini delle diverse attività umane e dei loro ambienti. Paesaggi intravisti, composta espressamente per la mostra “Il luogo del lavoro”, elabora materiale elettronico – generato sia in modo tradizionale che attraverso il computer – e concreto (rumori di macchine, di aerei, brusio di cantieri ecc.). L’opera si articola in un unico arco di tempo pur nell’intenzione di illustrare quattro momenti ognuno dei quali evidenzi particolari aspetti del lavoro e degli ambienti nei quali, attraverso i secoli, esso si è svolto. Inizialmente, dunque, il lavoro nei campi, negli ampi spazi illimitati, a cielo aperto, o in mare per soddisfare l’esigenza primaria della sopravvivenza: la natura asservita, ma anche subita; ritmi e canti che accompagnano sempre e ovunque il lavoro, spesso solitario, dell’uomo. Poi la macchina come sua estensione fisica e quale potenziamento delle 220 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 221 PAESAGGI INTRAVISTI sue possibilità e capacità creative. Il cantiere, il lavoro comune e organizzato delle fabbriche, delle officine: tante voci qui, che a differenza della prima parte, danno vita ad uno sfondo sonoro ricco e articolato. I mezzi di comunicazione avvicinano gli uomini tra loro: treni, aerei, navi, offrono materiale musicale al compositore mentre modificano totalmente l’ambiente sonoro in cui l’uomo vive e lavora. Ma anche la scuola, il fanciullo che conosce e apprende; telescriventi, radio, notizie velocemente trasmesse. I viaggi, la conoscenza di altre terre grazie alla macchina e alla scienza dell’uomo. Infine, il futuro. Comunicazioni interplanetarie, l’elettronica, la conquista dello spazio, il calcolatore come mezzo in grado di concretizzare e di essere estensione diretta del pensiero umano. Mauro Bortolotti-Walter Branchi, Paesaggi intravisti, copertina del disco Edipan, PAN PRC S20-33 stereo 221 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 222 A proposito di “modernità” non sovvenzionata…* “Roma è cauta e prudente […], mi è sembrato che questa città avesse il problema della modernità, determinato soprattutto dal peso della chiesa, ancora evidente e ingombrante. Così ho pensato che toccasse a noi ringraziarla per l’ospitalità aiutandola in questa direzione. Così abbiamo portato a Roma Xenakis, Boulez, la danza francese moderna, il cinema, Bartók”. Queste le pesanti dichiarazioni che furono rilasciate il 2.IV.1991 al “Messaggero” dal Direttore dell’Accademia di Francia prof. J. M. Drot e alle quali chi scrive rispose (“Paese Sera”, 2.VI.1991), ricordando che Roma – grazie a “Nuova Consonanza” e non solo ad essa – aveva da sempre, per statuto, offerto alla città autori contemporanei; quelli citati e tanti, tanti altri, e questo già venti, trenta anni fa quando questi compositori erano solo giovanissime promesse, sconosciute ai più. Se Roma oggi “è cauta e prudente”, se qualcosa è cambiato in questi anni, se la sensazione è che non vi sia capacità di rinnovarsi da parte di molte istituzioni, né di conservare i passati livelli di interesse, tutto ciò per una volta non va addebitato alla chiesa troppo presente a Roma, prof. Drot!, la colpa è dello Stato che secondo la Costituzione dovrebbe promuovere la cultura e l’arte attraverso il suo ministero competente, che tale non è perché non in grado di fare scelte oculate, autorevoli e di respiro ampio per superare provincialismi e porci a livelli internazionali. La critica severa va a questi funzionari ministeriali che assegnano contributi non a chi promuove cultura attraverso una programmazione aperta, ricca di stimoli e problematiche ma che, al contrario, premiano l’ovvio, ciò che si conosce ovvero che loro conoscono! Di questa situazione è esemplare il caos culturale del teatro dell’Opera che tutto macina, che nella sua programmazione passa dai cantautori a Rossini, attraverso l’operetta, il jazz, i grandi solisti, e chi più ne ha, più ne metta… Ma visto che il parametro ‘presenze/ biglietti venduti’ è quello che fa testo, e visto che così programmando il teatro è sempre (?) pieno, cosa si vuole di più?... E, invece, cosa accade a programmazioni troppo colte e ricche di novità? Sono disertate dal pubblico (dal grosso pubblico) perciò vanno punite con tagli, spesso mortali, alle sovvenzioni.Vanno di fatto colpevolizzate, mentre * In “1985 la musica. Rivista di musica contemporanea”, luglio 1992, n. 21, p. 47. 222 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 223 A PROPOSITO DI “MODERNITÀ” NON SOVVENZIONATA… dovrebbero, semmai, esserlo le altre per il danno che recano alla cultura, al pubblico ignaro e pago della bassa operazione che si compie su di lui. Sembra un invito ad adeguarsi in basso, a svilire programmazioni, per ottenere un piccolo riconoscimento. Urge ribaltare l’attuale criterio di giudizio che penalizza chi sente l’esigenza di informare e formare il pubblico (ovviamente quello che vuole essere informato e chi considera ciò un suo diritto); danneggiare chi procede su questa strada, riducendo o annullando sovvenzioni già esigue in partenza – mentre non si economizza su traviate, su vivaldiane, su associazioni la cui utilità e funzione non è ben chiara a nessuno –, significa anche stravolgere ogni metro di giudizio, distorcere la vita musicale, ‘farci aiutare’ dalle Accademie che generosamente ospitiamo e – incredibile a dirsi – sovvenzioniamo. Ma così facendo e puntando su motivazioni patriottardo-economiche, che nascondono solo odio verso ciò che non si è in grado di capire, si racimolano un pugno di milioni che non salvano l’economia italiana anche perché, come in un campo boario, qualcuno che sa gridare di più riesce, lui, ad ottenere gli aumenti alla faccia del penalizzato. Riuscirà il nuovo ministro, signora Boniver, a mettere ordine nel suo Ministero, all’interno della Commissione Centrale di Musica? 223 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 224 Musica e poesia* Fu verso la metà degli anni Cinquanta che grazie a un comune carissimo amico, il compositore Franco Evangelisti, ci incontrammo con Alfredo Giuliani. Erano gli anni difficili del lungo dopoguerra; in ogni genere di attività si tentava di riprendere quota, e noi, non proprio giovanissimi e con alle spalle scelte ‘temerarie’, e comunque scarsamente pratiche, ormai irrimediabilmente prese, cercavamo di trovare la giusta direzione da dare al nostro lavoro in una situazione in continua ebollizione. Si ricostruivano ponti, quartieri, città. Si ricollegavano luoghi vicini, per anni divenuti quasi irrangiungibili (Narni-Roma, via Orte, km. 99, in 3-4 ore su carri bestiame); e si ricostruiva nelle sfere della cultura. Intanto riconquistando il tempo perduto per colpa dell’autarchia che aveva impedito il libero scambio non solo delle idee, ma anche degli strumenti della cultura. Aperti nuovamente i mercati con l’estero si divoravano libri, riviste, si ascoltava la nuova musica, si andavano a vedere le ultime novità teatrali che finalmente giungevano sui nostri palcoscenici. Si discuteva di politica e del modo di organizzare la cultura, lo spettacolo. Capimmo presto, proprio sulla scia di una riconquistata libertà di discussione e di associazione, che occorreva assumersi responsabilità organizzative e che l’autogestione poteva essere il mezzo per non restare schiacciati dalle vecchie istituzioni (teatrali, editoriali, concertistiche) che si riappropriavano dei ruoli di governo per gestirli alla vecchia maniera: con sovvenzioni male amministrate, con ampi spazi dedicati alle grandi e rassicuranti figure di un passato più o meno remoto, con arte e mondanità appaiate e con scarse o nulle considerazioni verso il nuovo, le produzioni dei giovani. In questo clima, e da queste e altre considerazioni, sarebbero nate, attraverso più o meno lunghe gestazioni, “Nuova Consonanza” e le “Settimane Nuova Musica” di Palermo (1960-61) per la musica contemporanea, il Gruppo ’63, tanti spazi autogestiti di sperimentazione teatrale, i primi cineclub nelle grandi città. Non ricordo di choc al nostro incontro: abbastanza schivi tutti e due non * In Chi l’avrebbe detto. Arte, poesia e letteratura per Alfredo Giuliani, a cura di Corrado Bologna, Paola Montefoschi e Massimo Vetta, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 57-60. 224 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 225 MUSICA E POESIA dovemmo certo reciprocamente impressionarci né per l’aspetto esterno (che so: occhio invasato, puzzo di zolfo, aspetto bohémien), né per la conoscenza dei rispettivi lavori (ancora piuttosto limitati quantitativamente e scarsamente diffusi), se si escludono alcune poesie che Evangelisti mi aveva fatto leggere e che mi avevano colpito per i tanti elementi innovativi. Via via che approfondivo il contatto con la poesia di Giuliani cresceva l’ammirazione per la lucida ironia con cui violentava la sintassi, e la sapienza con cui superava passati movimenti neocrepuscolari senza nostalgie, anzi, con fredda determinazione e senza rinunciare al ritmo e alla musicalità del verso. Fu questa caratteristica, oltre al significato simbolico che vi lessi, a farmi scegliere, come prima poesia di Alfredo da musicare Resurrezione dopo la pioggia, che resi dando alla voce del tenore un andamento cantabile quasi recitativo, e al pianoforte scarne linee contrappuntistiche sostenute da lievi accordi. Successivamente ricordo di essere andato a trovarlo nel suo ufficio nei pressi di piazza Regina Margherita, per proporgli una collaborazione che sapevo complicata da realizzarsi: fargli rivedere Contre 2, un mio lavoro per soprano e strumenti, caratterizzato da toni di accesa protesta sociale (eravamo nel 1965), del cui testo, da me organizzato, non ero soddisfatto. Si trattava di un collage di citazioni in varie lingue, di parole in libertà per me ricche di significati, nonché di vocalizzi, glissati e sopracuti pensati per la bravissima Michiko Hirayama. Avrei desiderato un suo intervento ordinatore ma Alfredo, con garbo, mi fece comprendere le difficoltà di mettere le mani sopra qualcosa di già compiuto, comunque di preesistente e pensato da un unico autore. Al contrario, mi consigliava di non toccare nulla di ciò che era nato di getto, sulla spinta dell’esigenza del momento: e così feci. Attingendo ancora da Povera Juliet e dall’ultimo suo volume allora uscito, Il tautofono, nel 1969-1970 iniziai un breve lavoro teatrale, che intitolai E tu? nondramma in un atto e due intermezzi parlati, senza finale. Il titolo era tratto dall’ultimo verso di Prosa, una poesia dedicata da Giuliani a Balestrini: “…E tu? Me lo ripeto sempre”, verso con il quale si concludeva il lavoro costruito secondo la tecnica del collage, come un montaggio accurato di momenti estratti da varie poesie di Giuliani. Nella prima versione per esigenze di climax e per accentuare l’effetto di contrasto avevo inserito una breve citazione di Mallarmé e alcuni versi di Porta che in seguito decisi di eliminare nella versione definitiva. Al di là dei testi da me musicati, la poesia di Giuliani (e più in generale del 225 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 226 MAURO BORTOLOTTI Gruppo ’63), oltre a un’inevitabile influenza per così dire culturale nel senso più ampio del termine – in quanto nata all’interno di ricerche analoghe a quelle compiute negli stessi anni da noi musicisti –, mi ha offerto spesso motivi di suggestione anche per composizioni puramente strumentali, nelle quali risulta egualmente chiara l’allusione ad atmosfere suggerite dalla sua opera: parlo, tra l’altro, della Musica per una scena per trio d’archi, a lui dedicata, in cui come dicevo nelle poche righe di presentazione scritte per la copertina del disco: “[…] è ancora adombrata la figura di Juliet”. Credo non gli spiaccia se ricordo di un tentativo di lettura di alcuni suoi testi commentato da mie improvvisazioni alla tromba e al pianoforte, che ci divertì moltissimo e per il quale ricevemmo, nel 1980, un invito a partecipare agli incontri di “Poesia per musica” organizzati dal Comune di Genova. Giuliani lesse alcune sue poesie che io ‘commentai’, sonorizzandole in vario modo; contestualmente si ascoltò anche un estratto da E tu? per voce e percussione, registrato su nastro. Pure al 1980 risale L’attesa, per voce e nastro, il cui testo deriva da una scelta di alcuni momenti del lavoro di Alfredo Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto. In esso la voce veniva impiegata su due diversi e contrapposti registri stilistici, allo scopo di creare una netta differenziazione del clima drammaturgico. Come già avevo sottolineato allora nelle note del programma di sala, la commistione di abusati elementi linguistici del passato ma anche del presente, un accenno verdiano sulla parola Lebensmoment – punto culminante di tutto il testo -, il recitativo settecentesco, e su tutto un nastro elettronico che accompagna, commenta e sottolinea, servivano a evidenziare l’intenzione fortemente ironica che è alla base della composizione. Nel 1984 misi in musica Invetticoglia, per basso e quartetto d’archi, un testo difficilissimo per la violenta operazione sulla parola, che mi fece scrivere a commento del brano, sulla copertina della partitura, “Il lavoro, che per le difficoltà del testo particolarissimo nasce da una scommessa fatta con me stesso, chiede agli esecutori, e al cantante in primis, una particolare attenzione al significato/suono della parola e una notevole libertà inventiva nella interpretazione del testo musicale, tutt’altro che definitivo!...” Inutile dire che non mi sono mai preoccupato di rendere il suono né l’elemento semantico più esplicito del verso, né mi sono posto troppi problemi circa la comprensibilità immediata del testo cantato (che è tutt’altra cosa dal testo letto o recitato, come dovrebbe essere evidente), la cui comunicabilità avviene per vie ben diverse. Mi sono preoccupato, invece, della tensione generale e del modo più 226 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 227 MUSICA E POESIA adeguato di renderla nella sua totalità, arrivando anche in molti lavori a frantumare la parola nelle sue componenti sino a sfruttare, com’era ed è prassi diffusa, i singoli fonemi. Con Giuliani d’altronde, si discusse a lungo, durante l’esperienza della lettura-improvvisazione, sui possibili rapporti tra testo e musica, oggi: rapporto che dal madrigale, e prima ancora dall’Ars Nova, attraverso l’opera lirica e la liederistica romantica, è giunto sino a noi. Un rapporto ormai logorato e perennemente in cerca di una nuova epifania, frantumato in tante ricerche quanti sono i compositori attratti dalla parola… Infine nel 1991 – per ora ultima nostra collaborazione – a una mia richiesta di un breve testo che contenesse in qualche modo un riferimento alla natura (il brano doveva essere eseguito in un’occasione particolare: un festival che si teneva ad Amelia, in Umbria, il cui direttore artistico era Renato Nicolini), Alfredo mi offrì (per telefono!) una poesia inedita, I pesci di vento, per lui piuttosto insolita nella sua brevità epigrammatica, che musicai per soprano, flauto e pianoforte, aggiungendo a mo’ di sottotitolo Scherzo franco-ispano, in omaggio ai vari Le vent dans la plaine, o Ce qu’a vu le vent d’ouest, di debussiana memoria. Mi piace sottolineare che con questo breve lavoro ho recuperato un tipo di vocalità più distesa e divertita, che ho cercato di trasmettere anche ai due strumenti, dando loro ampie e veloci scale esagonali e brevi citazioni di chiara derivazione francese. In più di trent’anni un percorso per molti versi parallelo, perché comuni, pur nella diversità degli specifici, erano le ricerche e le finalità dell’operazione creativa. Operazione che, come scriveva lo stesso Giuliani, “[…] ci ha condotto nel mezzo dei movimenti di punta che agitano la letteratura, in altri paesi, ha reso possibili nuovi svolgimenti, convincendo ognuno di noi che era venuto il momento di affrontare altri generi letterari (il romanzo, il teatro)… Ci ha avvicinati più organicamente al linguaggio della musica e della pittura” (dall’introduzione al volume a cura dello stesso Giuliani, I Novissimi,Torino, Einaudi, 1965). Ciò che può ben valere anche per i musicisti, solo che si pensi ai grafismi delle nostre partiture, all’impiego della parola parlata, al gesto, ai tanti polilinguismi che hanno caratterizzato quei decenni: sintomo di una insoddisfazione ma anche di un’esigenza di infrangere barriere e limiti fra le varie arti. Mi auguro che dalle mie frequenti intrusioni/manipolazioni nelle sue poesie Alfredo non si sia sentito tradito. Sarei lieto, invece, se fossi riuscito a scoprire una qualche zona remota, a rendere un ‘in più’ di ciò che è nella sua poesia, che solo la musica e il canto sono in grado di far emergere. 227 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 228 Tributo per il maestro* All’incirca vent’anni prima della scomparsa di Goffredo Petrassi (Roma, 3.III.2003) Mauro Bortolotti, in qualità di presidente di “Nuova Consonanza”, firmava le seguenti note al programma di sala del XX festival del sodalizio romano, tra l’altro il festival d’esordio del suo nuovo mandato, dedicato all’ anziano maestro della scuola di composizione. Ci piace introdurre così il testo poi redatto nel 2003 in forma di compianto e al quale idealmente esso si congiunge: “Il segno più evidente dell’attualità di Nuova Consonanza, del rigore delle sue proposte, dell’unicità del ruolo che è venuta conquistandosi a Roma ed in Italia, è dimostrato dal fatto che a ventiquattro anni dalla sua nascita nessun’altra istituzione ha saputo sostituirsi ad essa, alla sua funzione di portatrice del nuovo in musica, sotto qualsiasi forma, tecnica e linguaggio si presentasse, senza pregiudizi di scuola e di latitudine. Nessun altro gruppo o * In Testimonianze per Goffredo Petrassi, Milano, Suvini Zerboni, 2003, pp.11-12. In data 22.II.2003, a pochi giorni dalla scomparsa del maestro, Bortolotti scriveva la seguente lettera a Corrado Augias, per la rubrica di corrispondenze con i lettori del quotidiano “la Repubblica”, solo parzialmente poi pubblicata: “Caro Augias, una rapida considerazione sull’Auditorium romano, rivolta a un aspetto apparentemente secondario. A Parigi, la Sala Messiaen. A Lione, la Sala Varèse. A Madrid, la Sala De Falla… A Roma, quando si decide (ma da chi e con quale procedura?) di intitolare la Sala Grande del nuovo Auditorium, si pensa (veramente con poca fantasia) a Santa Cecilia, alla quale nella città eterna è già affidata la protezione dell’Accademia omonima, dell’Orchestra omonima, del Conservatorio omonimo (ciò che peraltro fornisce l’opportunità di creare simpatici giochi di parole, del tipo: per la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia, l’Orchestra di Santa Cecilia eseguirà presso la Sala Santa Cecilia etc.). Senza voler fare polemica ad ogni costo, ritengo che in questa circostanza si poteva (e aggiungo: ancora si potrebbe) rendere omaggio a un grande musicista come Goffredo Petrassi, maestro di tanti compositori italiani e di un’infinità di altri venuti da ogni parte del mondo. Petrassi è senz’altro tra i maggiori compositori del secolo appena trascorso, autore di un corpus imponente di opere strumentali e vocali, che ha il suo apice negli otto Concerti per Orchestra (forse il punto più alto del nostro Novecento musicale): un ciclo che, in un crescendo costante di perfezionamento e scavo, culmina nell’VIII, che definirei “il Meraviglioso” per le sorprese dell’orchestrazione, l’originalità della forma, la libertà della fantasia. Petrassi compirà 100 anni nel 2004. Non ci sono dubbi ch’egli meriterebbe i massimi riconoscimenti che lo stato italiano può tributare alle personalità che hanno onorato il paese (e ciò costituirebbe anche un segno di considerazione nei confronti della musica, così negletta nella sua componente contemporanea colta). Ma Petrassi meriterebbe che in particolare Roma, la città dov’è sempre vissuto, si ricordasse imperituramente di lui, dedicandogli la maggiore sala da concerto di quella che infine è diventata una delle grandi realtà musicali d’Europa: il nuovo Auditorium di Renzo Piano.” Com’è noto, l’appello di Bortolotti è rimasto inascoltato. Soltanto nell’ottobre del 2004, in concomitanza con le celebrazioni ceciliane del centenario della nascita del compositore, la sala piccola del nuovo Auditorium, la sala da settecento posti, è stata intitolata a Goffredo Petrassi.. 228 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 229 TRIBUTO PER IL MAESTRO ente si è dimostrato in grado, alla distanza, di garantire – in un panorama dinamico, articolato e spesso di difficile controllo critico qual è quello della musica contemporanea – né la sua capacità di offrire spazi a giovani esecutori, direttori e compositori (anche quelli particolarmente ‘difficili’, tali da non offrire alcuna garanzia di pubblico, di mondanità o altro), né la sua capacità di ampie e approfondite analisi e accorte sintesi sugli avvenimenti musicali e culturali più recenti. A non voler andare troppo indietro è sufficiente citare il festival “Franco Evangelisti”, quello sulle “Giovani generazioni”, quello ultimo sulla “Vocalità contemporanea”: tutte tappe essenziali nel processo di chiarificazione e messa a punto della musica di questi ultimi anni. È proseguendo su questa linea che Nuova Consonanza dedica il suo XX festival a Goffredo Petrassi: per festeggiarne l’ottantesimo compleanno e quale doveroso riconoscimento dell’importanza e attualità della sua arte. Un’arte in continua evoluzione, nata da accorte scelte artistiche, da continui contatti e scambi con altre esperienze culturali – figurative, letterarie etc. – così vive in quegli anni. Non solo, quindi, un grande avvenimento celebrativo ma, soprattutto, uno studio su Petrassi ed il suo tempo, sui musicisti che lo hanno interessato negli anni della sua formazione (Casella, Hindemith, Stravinskij, etc.) e su quelli a lui contemporanei (Dallapiccola, Salviucci, Scelsi, etc.); infine su Petrassi e la sua lunga attività didattica, con l’influenza che egli ha avuto sui musicisti italiani e stranieri (Jeney, Davies, Villa Rojo, Durkó) che alla sua scuola (Conservatorio e Perfezionamento) si sono formati numerosissimi, purtroppo non tutti presenti in questa occasione, divenendo elementi altamente qualificati e propositivi nei rispettivi paesi. Certo i musicisti romani, e non solo quelli che hanno frequentato i suoi corsi, sono stati particolarmente favoriti dalla presenza del maestro a Roma; ciò giustifica la loro massiccia partecipazione in questo XX Festival. È, forse, l’occasione per tentare una indagine storico-critica sulla musica del dopoguerra a Roma, sulla giovane scuola romana che certamente è partita sotto il segno di Petrassi. Un segno ancor oggi netto e deciso, un punto di riferimento validissimo per noi tutti, ci auguriamo ancora per lungo tempo”. “J’aime la règle que modifie l’inspiration, mais je préfère l’inspiration que modifie la règle”: mi ricordo di questa citazione, limpido aforisma che Petrassi ci offrì a mo’ di conclusione durante una discussione fattasi troppo accesa, e forse troppo involuta, nella sua classe di composizione. Posso testimoniare che il messaggio presentò una forza tale, per gli interrogativi che apriva, da intercettare e sin quasi inibire il pur animato contraddittorio. 229 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 230 MAURO BORTOLOTTI Ne parlo, perché in una delle frequenti passeggiate che in questi anni eravamo soliti fare con Goffredo a Piazza del Popolo (e che sono sempre state per me una gioia e un privilegio speciale), la citazione, a più di quarant’anni di distanza, fece nuovamente la sua apparizione, certo inattesa ma ancora piena di tutti i suoi significati e della sua problematicità. Evidentemente per il compositore Petrassi, non meno che per il didatta, l’assunzione di responsabilità era stata totale (né avrei mai pensato il contrario) ed era ancora vivissima. Petrassi, da seguace convinto della ragione illuministica, controllava sino in fondo il mestiere e imponeva il rigore del più alto artigianato. Ma al contempo ti lasciava – in quanto somma della tua cultura e delle tue conoscenze, del tuo gusto e della tua sensibilità – la scelta ultima, e con essa i dubbi, la certezza di non avere certezze, e quindi la necessità di creare, di scavare per catturare il momento di verità. Quella verità che l’opera ti illude di aver trovato, ma che in fin dei conti vale solo per quel singolo manufatto, dopo di che declina, si sfibra, decade a formula: e allora devi riprendere la ricerca, perché, per dirla con Pessoa, “todo passo è uma cruz”. Pur consapevole della logica evolutiva storica all’interno della quale si situava il processo pancromatico, Petrassi rifiutava, nella sua visione del fare musica, ogni procedura meccanica alla quale attribuire un ruolo di garante del risultato estetico finale. Da ciò derivava un certo fastidio, in specie in ragione delle nostre crescenti richieste di usarla, verso la dodecafonia che tanto ci incuriosiva e stimolava. Erano gli anni Cinquanta. Petrassi aveva composto le mordaci Invenzioni per pianoforte, Noche oscura per coro misto e orchestra, il Terzo concerto per orchestra (ampiamente dodecafonico), tutti con impiego di intervalli sommamente vicini al totale cromatico, talché le nostre richieste potevano apparire particolarmente naturali e legittime. Ma il Maestro aveva in odio la faciloneria e le scorciatoie, e insisteva perché si raggiungesse la maturità stilistica attraverso la piena padronanza delle tecniche e il vero controllo del suono, quale unica garanzia di serietà e onestà intellettuale, e come definitiva rinuncia al dilettantismo. Anche per questo aspetto del suo insegnamento, della cui importanza attraverso gli anni abbiamo potuto assumere piena coscienza, tutti noi allievi, indistintamente, gli siamo stati e gli saremo eternamente grati. 230 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 231 Programma di sala della 1 “Settimana Internazionale Nuova Musica” (Palermo, 1960), progetto grafico di Franco Nonnis Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 232 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 233 PARTE QUARTA Archivio fotografico Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 234 1 2 Foto n. 1 - Mauro Bortolotti con gli amici di Narni, Alvaro Stanco e Gastone Franceschini Foto n. 2 - Mauro Bortolotti, Mario Bertoncini, Domenico Guaccero, Fausto Razzi nella classe di Goffredo Petrassi (Conservatorio di Santa Cecilia, 1954-1956) 234 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 235 3 4 Foto n. 3 - Aldo Clementi, Charlotte Salm, Franco Evangelisti, Mauro Bortolotti, Boris Porena, Domenico Guaccero (Darmstadt, 1957) Foto n. 4 - Lorna Salzman, Domenico Guaccero, Eric Salzman, Mauro Bortolotti, Boris Porena, Camillo Togni (Darmstadt, 1957) 235 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 236 5 6 Foto n. 5 - Eric Salzman, Mauro Bortolotti, Domenico Guaccero di ritorno da Darmstadt (1957) Foto n. 6 - Simonetta, Mauro e Luca Bortolotti 236 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 237 7 8 Foto n. 7 - Jesus Villa Rojo, Mauro Bortolotti, Francesco Pennisi, Guido Baggiani, Daniele Paris, Francesco Carraro, Mario Bortolotto Foto n. 8 - Franco Evangelisti, Mauro Bortolotti, Benno Amman, Walter Branchi, Michiko Hirayama, Richard Trythall, Jesus Villa Rojo 237 Bortolotti.qxd 9 238 14-11-2006 10:27 Pagina 238 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 239 10 11 Foto n. 9/10/11 - Mauro Bortolotti 239 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 240 12 a 12 b Foto n. 12 a - Mauro Bortolotti con la la moglie Leda, Roma, 26-5-1955 Foto n. 12 b - La moglie Leda (al centro), con le sorelle Luciana e Paola, a Narni 240 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 241 13 14 Foto n. 13 - Mauro Bortolotti e Patrizia Cerroni nel 1980 Foto n. 14 - Mauro Bortolotti, Domenico Guaccero, Paolo Renosto, Daniele Lombardi (festival Pontino 1982) 241 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 242 15 16 Foto n. 15 - Mauro Bortolotti nel suo studio Foto n. 16 - Mauro Bortolotti e Goffredo Petrassi al bar Canova di piazza del Popolo a Roma 242 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 243 17 Foto n. 17 - Mauro Bortolotti e Goffredo Petrassi a piazza del Popolo a Roma 243 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 242 18 19 Foto n. 18 - Mauro Bortolotti, Maria Chiara Pavone, Goffredo Petrassi Foto n. 19 - Mauro Bortolotti con Simonetta Lux, 2000 242 Bortolotti.qxd 22-10-2008 19:36 Pagina 243 20 21 Foto n. 20 - Mauro Bortolotti al pianoforte nella casa romana, 2004 Foto n. 21 - Mauro Bortolotti con gli amici di Narni, Ugo Proietti, Alvaro Stanco, Brunetto Boscherini, 2003 243 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 246 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 247 PARTE QUINTA Apparati Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 248 Biografia 1926 Nasce a Narni, in Umbria, il 26 novembre. 1943-1944 Inizia la frequenza del Conservatorio di Santa Cecilia nella classe di pianoforte di Rodolfo Caporali, musicista di scuola caselliana, ottimo didatta, pianista e maestro illuminato. 1945-1949 Intraprende lo studio della composizione nella classe di armonia e contrappunto di Antonio Ferdinandi, uomo di cultura e di grande impegno (cattolico e comunista), eccellente contrappuntista, attento alle varie esperienze della modernità. Scrive il brano giovanile Duo in unum, alcune liriche per voce e pianoforte su testi di Hughes, Wright, Whitman, Sinisgalli, e una breve Sonata per violino e pianoforte. Nel 1948 si diploma in pianoforte: si distingue per l’esecuzione, accanto al III Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, del II Concerto di Malipiero. Lo studio del pianoforte rimarrà una costante della sua vita. 1950-1956 Si iscrive alla scuola di organo di Ferdinando Germani allo scopo di approfondire lo studio della musica di Bach e di Franck. Conosce nella classe di Germani Franco Evangelisti e padre Antonio Sartori, direttore del coro della Chiesa di Santa Maria della Vallicella (dopo il conseguimento del diploma di organo, nel ’52, Bortolotti è organista della Chiesa Nuova per alcune celebrazioni ufficiali). Conosce Domenico Guaccero, al quale lo unisce il comune impegno politico e sociale, e ottiene, insieme all’amico e grazie all’interessamento di Ferdinandi, l’iscrizione alla classe di Goffredo Petrassi (ne fanno parte, tra gli altri, Aldo Clementi, Ennio Morricone, Boris Porena). Segue con grande interesse le lezioni di estetica di Luigi Ronga, anche presso l’Istituto di Storia della musica della facoltà di Lettere dell’Università di Roma “La Sapienza”. Consegue nel 1956 il diploma di composizione. Scrive il quintetto per fiati Preludio, Ricercare e Finale (1953), ancora ineseguito, il Concerto (1955-1956) per orchestra e la Cantata (1955) su testo di T. S. Eliot (confluirà nei 5 Epigrammi di Marziale del ’79 un vecchio madrigale degli anni di studio con Petrassi); le musiche di scena per Il Candelaio di Giordano Bruno, allestito presso il teatro Comunale di Narni dal regista (anche poeta) Giuseppe Manini. 1957-1958 Nel ’57 compie il primo viaggio a Darmstadt per i Ferienkurse di quell’anno insieme a Guaccero, al compositore americano Eric Salzman e alla moglie Lorna (a Darmstadt in quell’anno incontra anche Aldo Clementi, Franco Evangelisti, Boris Porena e la moglie Ida, tutti provenienti da Roma). Sempre nel ‘57 è a Milano insieme a Guaccero per visitare il neonato Centro di fonologia della RAI grazie a una lettera di presentazione di Petrassi (incontra Marino Zuccheri, Bruno 248 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 249 BIOGRAFIA Maderna e Luciano Berio). Entra a far parte del Sindacato Musicisti Italiani. Nel 1957 sposa Leda Gentile, italo-argentina, studentessa presso l’Università per stranieri di Perugia; dalle nozze nasceranno i figli Simonetta (1958) e Luca (1963). 1959-1965 Sono gli anni della rivista “Ordini. Studi sulla nuova musica” (1959), della nascita dell’associazione per la musica contemporanea “Nuova Consonanza”, ad opera di Franco Evangelisti, Mario Bertoncini, Mauro Bortolotti, Antonio De Blasio, Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Daniele Paris, delle “Settimane Internazionali Nuova Musica” di Palermo (1960-1968). Grazie all’amicizia con Franco Evangelisti conosce il pittore Franco Nonnis e il poeta Alfredo Giuliani; frequenta i compositori americani, ospiti a Roma dell’American Academy (Larry Austin, John Eaton, John Heineman, Richard Trythall). Scrive le prime tre delle 4 Poesie di Paul Éluard (le prime due vengono eseguite da Magda László, dedicataria delle liriche, presso l’American Academy di Roma), gli Studi (1960) per clarinetto, corno e viola dedicati a Luigi Nono e gli Episodi concertanti (1961) per orchestra, eseguiti a Palermo rispettivamente negli incontri del ’60 e del ’61. Con l’esecuzione dei Tre movimenti (1960-61) per flauto e pianoforte presso il Conservatorio “Cherubini” di Firenze, nell’ambito della rassegna “Vita musicale contemporanea”, si avvia la conoscenza con Pietro Grossi e l’esperienza elettronica presso lo studio S2FM, dapprima all’interno del Conservatorio, poi presso il CNUCE dell’Università di Pisa. Negli anni 1963-65 si svolgono a Roma, presso il teatro delle Arti, i primi tre festival di “Nuova Consonanza”: nel corso del primo, nel 1963, si ascoltano, tra l’altro, le sue Due poesie per Cummings [ma Studio per E. E. Cummings n. 1]. 1966-1969 È consigliere dell’associazione “Nuova Consonanza” insieme a Vittorio Consoli (presidente), Franco Evangelisti, Paolo Renosto, Giacinto Scelsi, al quale è legato da amicizia sin dai primi anni Sessanta. Nel ’68 partecipa per l’ultima volta ai Ferienkurse di Darmstadt; conosce Adam Kaczy?ski, Marek Mietelski e il gruppo polacco MW2. Nel 1967-68 ottiene la nomina per l’insegnamento delle materie musicali presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma in sostituzione di Nicola Costarella, musicista e critico musicale. Ottiene successivamente il passaggio alla cattedra di Storia della musica, lasciata da Luigi Colacicchi per raggiunti limiti d’età, incarico che manterrà sino al 1978. Scrive Simmetrie (1965), eseguito a Venezia dal duo Gazzelloni/Canino, Contre 2 (1965), vocalizzo per soprano e strumenti, pensato per la voce sperimentale della cantante giapponese Michiko Hirayama e dedicato alla moglie Leda, Transparencias (1968) per clavicembalo e archi, Pour le piano (1969) e Links (1969), divertimento per archi dedicato ai “Solisti Veneti”. Realizza a Firenze, presso lo studio di Grossi S2FM, la sua prima composizione elettronica, Studio 1 (1968). 1970-1975 Negli anni Settanta collabora con l’ente radiofonico della RAI per la programmazione degli ascolti musicali del terzo canale e della filodiffusione. Nel 1973 scompare prematuramente la moglie Leda, per la quale scriverà Sine nomine (1974) per voce e strumenti. 249 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 250 BIOGRAFIA Inizia la collaborazione con la ballerina e coreografa Patrizia Cerroni, sua ex-allieva presso l’Accademia di Danza di Roma. Alcuni suoi lavori, già realizzati, vengono utilizzati per le coreografie della Cerroni e della sua compagnia “I danzatori scalzi”, fondata nel ’74. Conosce a casa della Cerroni la storica e critica dell’arte Simonetta Lux. Scrive Grazie per essere venuti! Carnaval per Klavietrio e lettore (1970), E tu? nondramma su testi di Alfredo Giuliani (1970-‘71), la sua prima esperienza teatrale, E tuttavia… concatenazioni per archi (1972), eseguito a Roma nella stagione 1972 dell’Istituzione Universitaria dei Concerti, Appunti per un trio “Cher nocturne” (1972), composizione vincitrice della medaglia d’oro al concorso “A. Casella” di Napoli dello stesso anno e ivi eseguita per i concerti dell’Accademia musicale napoletana, Studio dal vero: BS 28.V.74., ispirato alla strage di Brescia ed eseguito a L’Aquila dall’Officina aquilana diretta da Gianluigi Gelmetti, ai quali il lavoro è dedicato. Realizza a Firenze la sua seconda composizione elettronica, Mottetto (1971). 1976-1980 Entra a far parte del Consiglio di amministrazione del teatro dell’Opera di Roma. Lascia nel 1978 l’Accademia di danza in quanto vincitore della cattedra per l’insegnamento della Nuova Didattica della Composizione (oggi Composizione sperimentale) presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Nel 1980 muore a Roma Franco Evangelisti. Scrive I carry (1977) per voce e chitarra su testo di E. E. Cummings, Hommages Dommages (1978), rondò per Klaviertrio, dedicato a Simonetta Lux, Tiuit (1979) per violoncello solo (poi anche in versione scenica per cello, contrabbasso e attrice-danzatrice) e la serie dei pezzi dedicati alla poesia di John Berryman: Quartetto d’archi (Preludio a Berryman) (197879), anche nella versione per trio d’archi), Room 231: Something black (1980), poi confluiti nello spettacolo Berryman: LetturAzione, realizzato a Roma nel 1981 presso il teatro Spaziozero, L’attesa…Il professor PI (1980) su testi di Alfredo Giuliani per voce e nastro magnetico. Realizza le musiche per lo spettacolo C’est ici que l’on prend le bateau di Patrizia Cerroni e partecipa insieme ai “Danzatori scalzi” e alla Cerroni stessa ad una lunga tournée in India e poi in Europa (e in Italia). 1981-1985 Ottiene il trasferimento a Roma presso il Conservatorio di Santa Cecilia a partire dall’a.a. 1981-1982. Entra a far parte del comitato di redazione della rivista “1985. La Musica” della casa editrice Edipan di Roma, fondata da Bruno Nicolai e diretta dal pianista compositore Daniele Lombardi. Nel 1984 scompare a Roma il caro amico Domenico Guaccero. Nel triennio 1983-1985 viene eletto presidente di “Nuova Consonanza” (del Consiglio di amministrazione dell’associazione fanno parte Egisto Macchi, Carlo Marinelli, Ennio Morricone, Alessandro Sbordoni) e realizza così i festival Petrassi, già impostato dal suo predecessore, Guaccero, omaggio al musicista scomparso nell’aprile ‘84, e la retrospettiva sugli anni Sessanta intitolata “Musica-gesto-parola-azione”. Scrive Due poesie di Pasolini (1981) per baritono e pianoforte che esegue all’Idroscalo di Ostia, insieme a Mario Poce, per commemorare il poeta assassinato, Musica per una scena (1984) per trio d’archi e Arioso per la scena III (1984) per basso e quartetto d’archi, lavori entrambi nati dalle suggestioni della poesia di Giuliani, il primo dei quali dedicato all’amico poeta, la Sinfonia “Est animum” (1985) per orchestra dedicata a Domenico Guaccero, 250 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 251 BIOGRAFIA sinfonia rimasta poi ineseguita malgrado l’inserimento nel programma della stagione concertistica della RAI di quell’anno. 1986-1990 Scrive diverse composizioni cameristiche (anche per strumento solo) e Nell’impoetico mondo (1989), sulla poesia Le ceneri di Pasolini di Edoardo Sanguineti, per soprano e sei strumenti. Grazie a una commissione di Eugenio Battisti, realizza con Walter Branchi Paesaggi intravisti, composizione elettronica per la manifestazione “Il luogo del lavoro”, XVII Triennale di Milano (1987). 1991-1995 Lascia la cattedra di composizione nell’ottobre del 1993 per raggiunti limiti d’età. Assume nel 1995 la direzione artistica dell’Orchestra regionale di Roma e del Lazio (ora Fondazione “Ottavio Ziino”), incarico che manterrà sino al 2000. Ottiene nel 1991-92 una commissione da parte dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per la composizione di un lavoro per voce e orchestra, Grandes misterios habitam, su versi di Fernando Pessoa, poi eseguito nel corso della stagione sinfonica di quell’anno. Nel biennio 1995-96 è nuovamente presidente di “Nuova Consonanza” (del Consiglio direttivo fanno parte Ada Gentile, Luca Lombardi, Michele Lomuto, Enrico Marocchini). Scrive I pesci di vento (1991), su versi dettati al telefono da Giuliani, per soprano, flauto e pianoforte, i Sonetti licenziosi (1992) su versi di Dacia Maraini per soprano e sei strumenti, Se un altro giorno saluto (1994) su un testo inedito di Elio Pecora per coro di voci bianche, diverse composizioni per strumento solo e per gruppo strumentale (Ai margini frastagliati (1993) e “Della guerra, del mistero, delle stelle” (1995)), i due melologhi La nuvola in calzoni da Io Majakovskij (1994) e il Monologo di Goethe da Carlotta a Weimar (1994). 1996-2000 Nel 2000 lascia la direzione artistica dell’Orchestra di Roma e del Lazio. Scrive O poeta è um fingidor (1998-99), una terna di composizioni cameristiche ispirate a una lirica di Fernando Pessoa, Cadenze, quasi un concerto per flauto e orchestra (1999) e Composizione per timpani e fiati, nel quarto centenario della morte di Giordano Bruno su commissione dell’Orchestra regionale di Roma e del Lazio. 2001-2005 Collabora con gli artisti Antonio Capaccio e Piero Mottola: realizza per la manifestazione “Incantesimi. Azioni dell’arte”, curata nella primavera 2004 da Simonetta Lux ed Elisabetta Cristallini presso il palazzo Orsini di Bomarzo (Viterbo), Variazioni sul grido con Mottola e …questa umidità l’acqua calcarea con Capaccio. Avvia la composizione di lavori scenici su testi degli amici poeti Bruno Cagli ed Elio Pecora. Scrive La vallée incommensurable su versi di Giacinto Scelsi per soprano, clarinetto basso e viola, eseguita nel corso del festival Scelsi 2005. 2006Nell’aprile 2006 a Roma, nell’ambito della stagione dei concerti dell’Orchestra regionale di Roma e del Lazio, si ascolta in prima esecuzione assoluta la composizione per voce 251 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 252 BIOGRAFIA recitante e orchestra Ou le silence, versione ampliata della composizione omonima del 2004, sulle elegie duinesi di Rainer M. Rilke. Nel maggio 2006 a Torino, nell’ambito della manifestazione “Brecce.Teatro d’arte”, viene rappresentato in prima esecuzione assoluta il lavoro ...questa umidità, l'acqua calcarea. Frammenti da Thomas Bernhard su immagini di Antonio Capaccio, per voce recitante, soprano, percussioni e nastro magnetico. Francesco Guadagnuolo, opera pittorica su Links di Mauro Bortolotti dalla collezione “Segno Suono Luce”, 1997 (originale a colori) 252 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 253 Catalogo delle opere (1953-2006) Il catalogo delle opere di Mauro Bortolotti è stato compilato sulla base dei materiali custoditi presso l’archivio privato del musicista (partiture manoscritte e a stampa, programmi di sala, locandine, recensioni, note di copertina dei dischi e dei cd) e delle edizioni a stampa cedute dalle case editrici Edipan (Roma), Ricordi e Suvini Zerboni (Milano) all’Archivio storico della musica contemporanea di Roma (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”). Le composizioni sono state ordinate tenendo conto del genere di appartenenza (cfr. i paragrafi del catalogo: 1. Teatro per musica, 2. Coro (con o senza strumenti), 3. Voce e orchestra, 4. Voce e strumenti, 5. Orchestra, 6. Musica per strumenti, 7. Musica elettronica (con e senza voci e/o strumenti)) e, nell’ambito di ciascun genere, in successione cronologica. Al catalogo per generi fa seguito un indice cronologico, ove ciascun lavoro è segnalato semplicemente con il titolo, l’anno di composizione e l’organico, e un indice alfabetico di tutte le opere. Per ciascuna composizione sono stati riportati: il titolo (e l’eventuale sottotitolo), l’anno di composizione, l’organico, l’autore del testo letterario, il titolo e i dati bibliografici della fonte utilizzata (nel caso delle opere vocali), la dedica (ove presente), la casa editrice (nel caso delle opere stampate), i dati riguardanti la prima esecuzione assoluta del lavoro (città, rassegna, luogo, data, interpreti). Per ciò che concerne le opere vocali ci si è limitati a indicare i riferimenti bibliografici dei testi effettivamente ‘lavorati’ dal musicista (viceversa, sono stati omessi tali riferimenti in mancanza di una fonte bibliografica precisa) e, qualunque ne fosse la provenienza, omettendo di volta in volta di indicare l’impiego di un frammento o del testo nella sua interezza. Ove non diversamente segnalato, s’intende che il testo è di libera invenzione; nel caso delle trascrizioni di opere vocali di altri autori, si omettono i riferimenti bibliografici relativi al testo impiegato nella fonte trascritta e rimasto fedele all’originale. Va infine ricordato che buona parte delle opere di Bortolotti ha subìto nel corso degli anni aggiustamenti, revisioni, a volte anche radicali mutamenti di struttura e di organico: si è cercato di dare conto di tutte queste varianti (perlomeno di quelle compiute a tutt’oggi), che vanno dalla semplice trascrizione, alla revisione e alla nuova versione, in corrispondenza della prima comparsa di ciascun lavoro (s’intende dire, nell’ambito del genere originario di appartenenza), con la sola eccezione dei rari casi ove le novità della versione successiva hanno determinato un nuovo percorso nella storia dell’opera stessa (nuove edizioni, particolari commissioni ed esecuzioni, etc.) 253 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 254 (1953-2006) Abbreviazioni ar. att. B. Bar. cb. chit. cl. cl.b. clav. co. comp. el. cor. cr. danz. dir. esec./esecc. fg. fis. fl. gr. strum. lett. ms. na. magn. 254 arpa attore/attrice Basso Baritono contrabbasso chitarra clarinetto in Sib clarinetto basso clavicembalo coro composizione elettronica coreografa corno in Fa danzatrice direttore esecutore/i fagotto fisarmonica flauto gruppo strumentale lettore/lettrice manoscritto nastro magnetico ob. orch. org. ott. perc. pf. quart. rev. S. sax strum./strumm. T. timp. tr. trascr. trb. v./vv. vc. vers. v. rec. vl. vla oboe orchestra organo ottavino percussioni pianoforte quartetto d’archi revisione Soprano sassofono strumento/i Tenore timp. tromba in Do trascrizione trombone voce/i violoncello versione voce recitante violino viola Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 255 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) 1. Teatro per musica E tu? nondramma in un atto, su testi di Alfredo Giuliani in un prologo, due intermezzi (anche parlati), senza finale [ma E tu? Scena in grigio (pp) (Materiale poetico di Giuliani)] (19701971) incompiuto S.,T., mimo, orch. da camera ALFREDO GIULIANI, Povera Juliet e altre poesie: Povera Juliet, Milano, Feltrinelli, 1965; ID., Il Tautofono, Milano, Feltrinelli, 19691 Estratto da “E tu?”, nondramma in un atto, scena per soprano e percussioni (materiale poetico di S. Mallarmé, A. Giuliani e A. Porta) (1970-71) v., perc. STÉPHANE MALLARMÉ, ALFREDO GIULIANI, ANTONIO PORTA “a Michiko Hirayama” Roma, “V Rassegna di musica moderna e contemporanea”, teatro Beat 72, 12.V.1975 (Michiko Hirayama, Michele Iannaccone) Berryman: LetturAzione (1981) S., B., att., lett., danz., gr. strum., na. magn. JOHN BERRYMAN, Canti onirici e altre poesie, trad. it. a cura di Sergio Perosa,Torino, Einaudi, 1978 Roma, teatro Spaziozero, 3.IV.1981 (Joan Logue, Ugo Proietti, Patrizia Cerroni, Mauro Bortolotti, Quartetto Nuova Musica) Aucassin et Nicolette, cantafavola del XII secolo (1983-1984) 2 vv., co. di voci bianche, 3 tr., trb., perc. s.a., Aucassin et Nicolette, trad. it. a cura di Mariantonia Liborio,Torino, Einaudi, 1976 Terni, Istituto Musicale “Briccialdi”, 8.VI.1984 La nuvola in calzoni da Io Majakovskij, melologo futurista in cinque episodi su testi di V. Majakowskij, musiche di Bortolotti, Ada Gentile, Michelangelo Lupone, Lamberto Macchi, Enrico Marocchini (1994) v. rec., S., ob., cl., sax, pf., perc., vl., vc. VLADIMIR MAJAKOWSKIJ, testi a cura di Bruno Grieco e Georges De Canino Roma, XXXI festival di “Nuova Consonanza”, Acquario Romano, 19.XI.1994 (Roberto Herlitzka, Maria Chiara Pavone, Gruppo strumentale Telejon, dir. Enrico Marocchini) Monologo di Goethe da Carlotta a Weimar (1994) v. rec., S., lO strumm. THOMAS MANN, Carlotta a Weimar, trad. it. a cura di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Mondadori, 1955 Edipan, n. ed. EP 8521 1 Nella prima versione del lavoro erano stati inseriti, accanto ai testi di Giuliani, due frammenti rispettivamente di S. Mallarmé e di A. Porta. 255 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 256 (1953-2006) Roma, “Nuova Musica Italiana XI”, Acquario Romano, 20.X.1995 (Alessandro Rossi, Maria Chiara Pavone, Gruppo strumentale di Roma, dir.Vittorio Bonolis) …questa umidità, l’acqua calcarea. Frammenti per Thomas Bernhard (2004, 2006 [vers. ampliata]) musiche di Bortolotti, immagini di Antonio Capaccio na. magn. (I vers.); v. rec., S., perc., na. magn. THOMAS BERNHARD, Ave Virgilio, trad. it. a cura di Anna Maria Carpi, Parma, Guanda, 1991, L’imitatore di voci, trad. it. a cura di Eugenio Bernardi, Milano, Adelphi, 1987, Ungenach (1968), trad. it. a cura di Eugenio Bernardi,Torino, Einaudi,1993, Conversazioni di Thomas Bernhard, trad. it. a cura di Elisabetta Niccolini, Parma, Guanda, 1989, Il nipote di Wittgenstein, trad. it. a cura di Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1989, La partita a carte, trad. it. a cura di Magda Olivetti,Torino, Einaudi, 1983, Il soccombente, trad. it. a cura di Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1985 Bomarzo, “Incantesimi. Azioni sull’arte”, palazzo Orsini, 20.III.2004 (I vers.) Torino, “Brecce. Per l’arte contemporanea”, teatro della Cavallerizza, Manica Lunga, 26.V.2006 (Antonio Locorriere, Maria Chiara Pavone, Antonio Caggiano, Gianluca Ruggeri) 2. Coro (con o senza strumenti) C’est l’arbre de la liberté, Toute sa vie, due Lieder per coro misto e orchestra (1962-1964) co. misto, orch. PAUL ÉLUARD, Poesie (con l’aggiunta di alcuni scritti di poetica): En Espagne, La dernière nuit, trad. it. a cura di Franco Fortini,Torino, Einaudi, 1955 “a Goffredo Petrassi” (I Lied) 5 balletti da Gastoldi [trascr.] (1973) co., perc., archi Reggio Emilia, teatro Municipale, 8.XII.1973 (I Solisti Aquilani, Ottetto vocale italiano, dir. Vittorio Antonellini) 5 Epigrammi di Marziale, per ottetto vocale (1979)2 8 vv.; 5 vv.; 5 vv., 4 cl. MARZIALE, Nil lascivus, Arctoa de gente, Heredes, Mentitur, Intactas, in Epigrammi, Parma, Guanda, 1962 BMG Roma, “RomaEuropa festival 1991”, Accademia di Ungheria [ma Sala dello Stenditoio al Complesso del San Michele],17.VI.1991 (Novo Parnaso e Quartetto “Claravoce”, dir. Vittorio Bonolis) 2 Nella versione per 5 voci l’epigramma Arctoa de gente è il penultimo, con il titolo Flava magis (ultimo verso dell’epigramma). La partitura presenta il motto iniziale “O tu! Cara scienzia mia, musica”. 256 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 257 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) Se un altro giorno saluto (1994) co. di voci bianche ELIO PECORA, Se un altro giorno saluto, ms. inedito “a Bruna Liguori Valenti e al suo Coro Aureliano” Edipan, n. ed. EP 8504 Roma, teatro dei Satiri, 1994 (Coro Aureliano, dir. Bruna Liguori Valenti) 3. Voce e orchestra Cantata (1954-1955) T., orch. da camera THOMAS S. ELIOT, Four Quartets: Little Gidding, trad. it. a cura di R. La Capria e T. Giglio, Siena, Edizioni Ali, 1944 Roma, Saggio della Scuola di composizione di Goffredo Petrassi, Sala accademica di Santa Cecilia, 26.V.1955 (Herbert Handt, orchestra del Conservatorio, dir. Daniele Paris) Contre encore…vocalizzo per soprano e orchestra (1994 [nuova vers. di Contre 2]) S., orch. Ricordi, n. ed. 137196 Grandes misterios habitam. Omaggio a Pessoa (1992) S., orch.; S., orch. da camera (trascr.) FERNANDO PESSOA, Poesias: Cancioneiro, Lisboa, Atica, 1942, trad. it. Una sola moltitudine, a cura di A.Tabucchi, I, Milano, Adelphi, 1979 Edipan, n. ed. EP 101 Roma, Stagione Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Auditorium di via della Conciliazione, 31.V.1992 (Luisa Castellani, orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dir. Roberto Abbado) Ou le silence. Studio per le Elegie Duinesi (R. M. Rilke) per voce recitante, [soprano] e orchestra (2004 [I vers., v. rec., 4 strumm.], 2006 [II vers.]) v. rec., orch. (II ver.) RAINER MARIA RILKE, Elegie duinesi I, II,VII, trad. it. a cura di Franco Rella, Milano, Rizzoli, 2001 Roma, Stagione concertistica dell’Orchestra di Roma e del Lazio, Nuovo Auditorium – Parco della Musica, 30.IV.2006 (Rossana Piano, Orchestra di Roma e del Lazio, dir. Lü Jia) 4. Voce e strumenti Tre poesie di Rocco Scotellaro (1957, 1990 [trascr. di Desiderio e Due eroi]) v., cl., pf.; Desiderio e Due Eroi (trascr. per v., fl., cl. pf.) ROCCO SCOTELLARO, È fatto giorno: Desiderio, Due eroi, O Fons Bandusiae, Milano, Mondadori, 1956 “a Carlo Levi” 257 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 258 (1953-2006) Roma, RAI, 1958 (Luisa Ferrero) Roma, 10.III.1991 (trascr. 1990) (Maria Chiara Pavone, Gruppo Collage, dir. Cristina Cimagalli) Breve cantata sacra (da “La Passione secondo San Matteo”), per basso, viola, violoncello e pianoforte (1957) B., vla, vc., pf. EMILIO TADINI, La Passione secondo San Matteo (poemetto), “Il Politecnico. Rivista di cultura contemporanea”, II (edizione mensile), settembre 1947, n. 36, pp. 15-18 Edipan, 1987, n. ed. EP 7685 Roma, Sala Borromini, 26.II.1958 (Ugo Proietti, Osvaldo Pedercini, Paolo Leonori, Mauro Bortolotti) 4 Poesie di Paul Éluard, per soprano, clarinetto e cello: Sur les pentes inférieures (1959), da “Nous sommes” (frammento) (1959), da “Égolios” (frammenti) (1970), En chili (1978) (19841988 [trascr.]) S., cl., vc. (I, trascr. per v., fl., chit., vl., pf.; III, trascr. per v., fl., cl.b., chit., pf., vl., vc.) PAUL ÉLUARD, Poesie (con l’aggiunta di alcuni scritti di poetica): Nous sommes, Sur les pentes inférieures, Égolios, En Espagne, trad. it. a cura di Franco Fortini,Torino, Einaudi, 1955 “a Magda László” (I), (II); “a Leda” (III) Edipan, 1983, n. ed. EP 612 Roma, festival SIMC, American Academy of Rome, 14.V.1959 [I, II] (Magda László, Alberto Fusco, A. Bartolozzi) Latina, festival Pontino, 1988 (Joan Logue, Logos Ensemble) Studio per E. E. Cummings n. 1 (1962 – 1963) S., 5 esecc. (fl., cl., 3 perc.) E. E. CUMMINGS, Poesie, Milano, Lerici, 1963 Roma, I Festival di “Nuova Consonanza”, teatro delle Arti, 28.V.1963 (Sylvia Brigham, K. Kraber, William O. Smith, M. Dorizzotti, E. Catania, dir. Daniele Paris) Contre 2, vocalizzo per soprano [ma voce] e strumenti (1965-67,1994 [Contre encore…, trascr. e rev. per soprano e orchestra]) S., 5 strumm. (cl., vl., trb., cb., pf.) “a mia moglie” (I vers.) Ricordi, n. ed. 131889, 137196 Roma, Accademia Filarmonica Romana, 28.VI.1965 (Michiko Hirayama, William O Smith, Massimo Coen, John Heineman, Franco Petracchi, John Eaton, dir. Daniele Paris) Resurrezione dopo la pioggia (1966) T., pf. ALFREDO GIULIANI, Povera Juliet e altre poesie: Resurrezione dopo la pioggia, Milano, Feltrinelli,1965 Grazie per essere venuti! Carnaval per trio e lettore (1970) v. rec., vl., vc., pf. 258 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 259 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) GIACOMO LEOPARDI, Lettera ai Sigg. compilatori della Biblioteca Italiana in risposta a quella di Mad. La Baronessa di Staël Holstein ai medesimi, Recanati, 18.VII.1816; ID., A Pietro Giordani, a Milano, Recanati 30.IV.1817 (in FRANCESCO DE SANCTIS, Saggi e scritti critici e vari, Milano, Barion, 1937); ABRAHAM MOLES, Analisi delle strutture del messaggio poetico ai differenti livelli di sensibilità. L’aspetto informazionale dei problemi di una poetica, “Il Verri”, aprile 1964, n. 14, pp. 3-21; estratto dalla sentenza sul disastro del Vajont del 17.XII.1969, depositata al Tribunale dell’Aquila il 20.IV.1970 Ricordi, n. ed. 131880 Roma, teatro Ateneo, 21.XII.1970 (Andrea Giordana, Massimo Coen, Guido Mascellini, Antonello Neri) L’alba scivolando (1972) Bar., pf. NUNZIO COSSU, L’alba scivolando, ms. inedito Sine nomine, per soprano e strumenti (1974) v., 4 strumm. (fl., vc., trb., perc.) “Scritto per Nuove Forme Sonore 1974” Roma, teatro Beat 72, 22.XII.1974 (Nuove Forme Sonore) I carry (7.II.1977) v., chit. E. E. CUMMINGS, Poesie, Milano, Lerici, 1963 Roma, teatro Beat 72, 27.III.1977 (Joan Logue con chitarra) Room 231: Something black (1980, 2003 [rev.]) S., quart. JOHN BERRYMAN, Canti onirici e altre poesie: Room 231: the fourth week, trad. it. a cura di Sergio Perosa,Torino, Einaudi, 1978 Edipan, n. ed. EP 7686 Roma,Villa Medici, 18.VI.1980 (Michiko Hirayama, I Solisti di Roma) Due poesie di Pasolini (1980) Bar., pf. PIER PAOLO PASOLINI, Poesia in forma di rosa: Nuova poesia in forma di rosa, Cosa fate, Milano, Garzanti, 1964 Ostia, 1981 (Mario Poce, Mauro Bortolotti) Cantata n. 3 (1981-1982) v. rec., gr. strum. ARNOLD SCHÖNBERG, Manuale d’armonia: Introduzione, trad. it. a cura di Giacomo Manzoni, Milano, il Saggiatore, 1963 Terni, Istituto Musicale “Briccialdi“, 25.V.1982 (allievi dell’Istituto, dir. Mauro Bortolotti) 259 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 260 (1953-2006) Arioso per la Scena III, per basso e quartetto d’archi (1984) B., quart. ALFREDO GIULIANI, Povera Juliet e altre poesie: Invetticoglia, Milano, Feltrinelli, 1965 Edipan, 1985, n. ed. EP 7241 Roma, teatro Ghione, 10.XII.1984 (Ugo Proietti, Gruppo Musica 900) Nell’impoetico mondo, per soprano e strumenti, testo di E. Sanguineti (1989) S., 6 strumm. (cl., cr., trb., vl., vc., cb.) EDOARDO SANGUINETI, Stracciafoglio (poesie 1977-79): Le ceneri di Pasolini, Milano, Feltrinelli, 1980 Edipan, 1990, n. ed. EP 7895 Roma, XXV11 Festival di “Nuova Consonanza”, Auditorium del Foro Italico della RAI, 22.II.1990 (Jana Mrazova, M. Dionette, M. Costanzi, G. Bonolis, M.Vaffier, S. Genovese, dir. Vittorio Bonolis) I pesci di vento. Scherzo franco-ispano (1991, 1992 [trascr.]) S., fl., pf. ALFREDO GIULIANI, Ebbrezza di placamenti: Minimali [frammento],3 Lecce, Piero Manni, 1993 Amelia, 4.V.1991 (Maria Chiara Pavone, Annalisa Spadolini, Stephen Kramer) Sonetti licenziosi, per soprano, viola e strumenti (1992, 2000 [nuova vers.]) S., 6 strumm. (fl., cl., cr., pf., vla, vc.) DACIA MARAINI, dimenticato di dimenticare: ti terrò, Se avesse, Rotolando fra acidi,Torino, Einaudi, 1982 BMG Arcavacata di Rende (Cosenza), Università della Calabria, 4.XII.1992 (Barbara Lazotti, Gruppo Musica d’Oggi, dir. Luigi Lanzillotta) J. Brahms, Gestillte Sehnsucht op. 91 n.1 [trascr.] (1992) v., fl., ob., cl., chit., pf., vl., vla, vc. Norwich, festival Norwich, 14.X.1992 (Sara Stowe, Logos Ensemble) I. Stravinskij, Pastorale [trascr.] (1992) v., fl., ob., cl., chit., pf., vl., vla, vc. Norwich, festival Norwich, 14.X.1992 (Sara Stowe, Logos Ensemble) Scena VII. Cocktail per Michiko (estratti da contenitori vari) (1993) v., pf. 3 La prima versione di questo frammento fu dettata al telefono dal poeta al compositore (Bortolotti conserva ancora l’appunto manoscritto, con la seguente disposizione dei versi: “I pesci di vento,/ snelli branchi,/ traversano ancora l’erba del pendio/ e si perdono agili sul fondo”). Alcuni anni dopo Giuliani ha inserito il frammento nella raccolta edita nel ’93 nella forma seguente: “I pesci di vento snelli branchi/ ancora traversano l’erba del pendio/ si perdono agili sul fondo”. 260 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 261 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) “a Michiko” Roma, “Concerto per e con Michiko Hirayama”, Istituto Giapponese di Cultura, 17.VI.1993 (Michiko Hirayama) S’un casto amor (1995) S., pf. MICHELANGELO, Rime: S’un casto amor, Bari, Laterza, 1967 Stoccarda, settembre 1995 (Ilaria Galgani, Stephen Kramer) Due poesie di M. Marshall: Schatten, Ein Spiel (1995) v., pf. MICHAEL MARSHALL VON BIEBERSTEIN, Nuovi testi di poesia. Dediche italiane e altri versi: Schatten, Ein Spiel, a cura di Maria Mannos e Ariodante Mariani, Biblioteca Cominiana, 1991 Roma, XXXII festival di „Nuova Consonanza“, Accademia Tedesca Villa Massimo, 29.X.1995 (Maria Chiara Pavone, Mauro Bortolotti) Ghirlanda per Penna (1997) Bar., fl., vl., vla, vc. SANDRO PENNA, Poesie: Lavoro di pescatori, se trasalisce, Com’era l’onda, Milano, Garzanti, 1995 Roma, “Sandro Penna poeta a Roma”, Palazzo delle Esposizioni, 16.V.1997 (Gianpaolo Fiocchi, Guido Sasso, Giorgio Sasso, Fabrizio De Melis, Luca Peverini) Il Museo di Delphi (1997) v., pf. ELSA DE GIORGI “alla sempre divina sempre Elsa con amore“ Roma, libreria Bibli, 1997 (Maria Chiara Pavone, Mauro Bortolotti) Due poesie di Angela Chermaddi (2003) v., cl., vc. ANGELA CHERMADDI, Per cominciare il giorno: e l’anima trema ancora, e trema la mia gioia, Roma, Fermenti, 1999 Collestatte (Terni), Chiesa di San Liberatore, 28.VI. 2003 (Maria Chiara Pavone, Guido Arbonelli, Giacomo Menna) Trittico sonoro. Omaggio a Giuseppe Manini (2005) Bar., cl.b., tr., vc., pf. GIUSEPPE MANINI, Italia mia, benché ‘l parlar sia ‘ndarno: Amicizia, Scherzo, Un pezzo de’ storia, Terni, Nuovo teatro edizioni, 1980 Narni (Terni), teatro Comunale, 19.III.2005 (Roberto Abbondanza, ensemble In Canto, dir. Fabio Maestri) La vallée incommensurable (2004-2005) S., cl.b., vla 261 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 262 (1953-2006) GIACINTO SCELSI, L’archipel nocturne (1954): La vallée incommensurabile; La conscience aiguë (1955): Cette nuit, Roma – Venezia, le parole gelate, 1988 Roma, festival Scelsi, Goethe Institut-Rom,13.XII.2005 (Keiko Morikawa, Massimo Munari, Gabriele Croci) Ou le silence. Studio per le Elegie Duinesi (R. M. Rilke) (2004, 2006 [II vers.]) v. rec., 4 esecc. (fl. cl., vcl., pf.) RAINER MARIA RILKE, Elegie duinesi I, II,VII, trad. it. a cura di Franco Rella, Milano, Rizzoli, 2001 Roma, “Concerto per i sessant’anni di Agostino Ziino”, Auditorium dell’Università di Roma Tor Vergata, 8.XI.2004 (Rossana Piano, Gruppo “Musica d’oggi”: Anna de Luca, Franco Ferranti, Michele Chiapperino, Antonello Maio, dir. Fausto Anzelmo) 5. Orchestra Concerto per Orchestra (1956) orch. Roma, Saggio della Scuola di composizione di Goffredo Petrassi, Sala accademica di Santa Cecilia, 19.V.1956 (Orchestra del Conservatorio, dir. Daniele Paris) Episodi concertanti (1960-1961) orch. Palermo, II Settimana Internazionale Nuova Musica, Sala Scarlatti del Conservatorio “V. Bellini”, 24.V.1961 (Orchestra sinfonica siciliana, dir. Daniele Paris) Studio dal vero: BS. 28.V.74 (1974,1975 [trascr. e rev.]) 15 strumm.; pf. solista, orch. da camera “a Gianluigi Gelmetti e all’Officina dell’Aquila” L’Aquila, Auditorium Castello, 19.III.1975 (L’Officina dell’Aquila, dir. Gianluigi Gelmetti) Sinfonia “Est Animum”, per orchestra (1984-1985) orch. “A Domenico Guaccero” Cadenze, quasi un concerto per flauto e orchestra (1999, 2004 [rev.]) fl., orch. Edipan, n. ed. EP 8621 Sanremo, teatro dell’Opera del Casinò Municipale, 16.III.2000 (Mario Ancillotti, dir. Angelo Campori) 6. Musica per strumenti Preludio, Ricercare e Finale (1953) fl., cl., tr., cr., fg. 262 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 263 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) Studi, per clarinetto, viola e corno (1960) cl., cr., vla “a Luigi Nono” Suvini Zerboni, 1964, n. ed. s. 6264 z. Palermo, I Settimana Internazionale Nuova Musica,Villa Igea, 14.V.1960 (Giacomo Gandini, Domenico Ceccarossi, Osvaldo Remedi) Tre movimenti, per flauto e pianoforte (1960-1961) fl., pf. Edipan, 1989, n. ed. EP 7893 Firenze, “Vita musicale contemporanea”, Conservatorio “Luigi Cherubini”, 17.III.1961 (Mario Gordigiani, Paolo Renosto) Frammenti 5 [ma Aleatorio I, prima vers.], quartetto per archi (con la possibilità di aggiungere da 1 a 4 archi o fiati) (1961-1966 [vers. definitiva]) quart. (con la possibilità di aggiungere da 1 a 4 archi o fiati) Ricordi, 1968, n. ed.131425 Roma, “La Nuova Musica in Italia”, teatro Ateneo, 31.III.1964 (Quartetto Nuova Musica) Studio per E. E. Cummings n. 2, per undici esecutori (1964) 11 esecc. (ob., cl. (anche piccolo), cl.b., sax contralto, cr., vla, vc., cb., perc.(3 esecc.: block, tam tam, piatto sospeso, wood block, bongos, tamburo, tom tom, xilomarimba) Suvini Zerboni, 1964, n. ed. s. 6303 z. Venezia, XXVII festival della Biennale, teatro La Fenice, 14.IX.1964 (Gruppo strumentale da camera per la musica contemporanea italiana, dir. Bruno Nicolai) Simmetrie (1965,1966 [trascr. e rev.]) fl. (anche ott. e fl. in Sol), pf.; fl. (anche in Sol) Ricordi Venezia, XXVIII festival della Biennale, teatro La Fenice, 12.IX.1965 (Severino Gazzelloni, Bruno Canino) Combinazioni libere, improvvisazione per viola e pianoforte (1965) vla, pf. Ricordi, 1968, n. ed. 131426 “a Aldo e Gabriella Bennici” Firenze, “Vita musicale contemporanea”, Conservatorio “Luigi Cherubini”, 30.XI.1965 (duo Bennici - Barsotti) Tre tempi, introduzione, musique de nuit e toccata (1966) cl.b., perc. “a Bill” Madrid, Real Musical Istituto Aleman, 1975 (Jesus Villa Rojo, J. Anraja) 263 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 264 (1953-2006) Parentesis, trio per clarinetto, fagotto e pianoforte (1967) cl., fg., pf. Suvini Zerboni, 1970, n. ed. s. 6926 z. Madrid, 1967 (Gruppo Koan, dir. Arturo Tamayo) Parentesis para cinco (1968,1975 [trascr.]) cl., fg., vl., vc., cb. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, stagione di “Nuova Consonanza”, 17.VI.1968 (Claudio Taddei, Fernando Fadini, Massimo Coen, Luigi Lanzillotta, Giuseppe Viri, dir. Romolo Grano) Transparencias, per archi e clavicembalo (1968) clav., archi Suvini Zerboni, 1970, n. ed. S. 6900 Z. “per Claudio Scimone e i Solisti Veneti” Roma, Istituzione Universitaria dei Concerti, teatro Eliseo, 10.XII.1968 (I Solisti Veneti, dir. Claudio Scimone) Cadenza per Transparencias, per clavicembalo (1968) clav. Suvini Zerboni, 1970, n. ed. S. 6957 Z. “a Mariolina de Robertis” Roma, American Academy of Rome, 26.XI.1974 (Mariolina de Robertis) Pour le piano (1969) pf. Suvini Zerboni, 1971, n. ed. s. 7049 z. “a Brunetto ed Emilia Boscherini” (“Mosso”, p. 4); “a Th. W. Adorno (in memoriam)” (p. 7); “a Mario Bortolotto” (p. 11) Firenze, Graduate School of Fine Arts, 21.V.1975 (Stefano Ragni) Links, divertimento (1969, 1971 [nuova vers.]) vl., cb., archi Edipan, n. ed. EP 7286 “ai Solisti Veneti” Venezia, XXX11 festival della Biennale, teatro La Fenice, 9.IX.1969 (I Solisti Veneti, dir. Claudio Scimone) Quattro momenti (1970) fg., pf. Napoli, Accademia Musicale Napoletana, Conservatorio di musica “S. Pietro a Majella”, 28.IV.1973 (duo Adriano Sabbatici - Graziella Altieri) Alcune variazioni... (1971) fl., 8 strumm. (cl., cr., fg., trb., 2 vl., vc., cb.) 264 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 265 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) Appunti per un trio “Cher nocturne” (1972) cl., vc., pf. (oppure varie combinazioni di strumenti affini) Edipan, n. ed. EP 7564 Napoli, Accademia Musicale Napoletana, Conservatorio “S. Pietro a Majella”, 13.XI.1972 (I Nuovi Cameristi) E tuttavia... concatenazioni per archi (1972) 11 archi; orch. di archi Edipan, 1984, n. ed. EP 7121 Roma, Istituzione Universitaria dei Concerti, 11.XI.1972 (I solisti aquilani, dir.Vittorio Antonellini) A In Ran (1974) fl. dolce, pf. “ad Alberto Devoto” Buenos Aires, Conserv. National de Musica, 29.VI.1974 (Alberto Devoto, Dora Castro) “Echi” per trombone e percussione (1976) trb., perc. Roma, American Academy of Rome, 7.XII.1976 (Giancarlo Schiaffini, Michele Iannaccone) hommages, dommages; rondò per trio (1978) vl., vc., pf. “a Simonetta Lux” Ricordi, 1979, n. ed. 132961 Roma, festival di “Nuova Consonanza”, Palazzo delle Esposizioni, 9.XI.1978 (Massimo Coen, Frances Marie Uitti, Mauro Bortolotti) Quartetto (Preludio a Berryman), per archi (1978,1979 [trascr.]) quart.; trio d’archi (2 vl., vla) Edipan, 1985, n. ed. EP 7107, 7678 Roma, Sala accademica di Santa Cecilia, 26.X.1978 (Quartetto Nuova Musica) Roma, 11.VI.1984 (Gruppo Musica Novecento: B. Novelli, L. Astori, Michele Sicolo) Tiuit, per violoncello (1979, 2005 [Nuit Tune, vers. scenica])4 vc.; vc., cb., att.-danz. (II vers.) Edipan, 1988, n. ed. EP 7093 Roma, stagione di “Nuova Consonanza”, Auditorium del Foro Italico della RAI, 26.X.1981 (Luigi Lanzillotta) Serenata, per chitarra (1979) chit. 4 La versione teatrale, intitolata Nuit Tune, è stata composta nel settembre 2005 per Adam Kaczynski e l’ensemble MW2 di Cracovia. 265 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 266 (1953-2006) Edipan, 1986, n. ed. EP 7287 Latina, 5.IX.1981 (Eugenio Becherucci) …and Scherzo (1980) vl. Edipan, n. ed. EP 7204 Roma, teatro Centrale, 23.XI.1981 (Massimo Coen) Foglie, per quattro esecutori (1980) 4 esecc. (fl., chit., perc., pf.) Edipan, 1987, n. ed. EP 7103 Latina, 31.X.1986 (Logos Ensemble) Gran Duo da concerto, per pianoforte a quattro mani (1980) pf. a 4 mani Edipan, 1987, n. ed. EP 7593 Perugia, Galleria Nazionale Umbra, 6.III.1975 (Duo Prodigo-Ragni) Sulla scia dell’ispirazione (1980) pf. To Gather Together. A Collective Piano Composition 1978-1981, a cura di Daniele Lombardi, Milano, Edizione Multhipla, 1982 Amsterdam, “Tentoonstelling ’60 ’80 attitudes/concept/images”, Stedelijk Museum, 3.IV.1982 (Daniele Lombardi) Poema per arpa “Omaggio a Tarkovskij” (1982) ar. “a Claudia Antonelli” BMG Madrid, Radio Spagnola, 15.XI.1983 (Claudia Antonelli) Ragtime (1984-1985 [trascr. e rev.]) fl., cl., pf., perc., 2 vl., vla, vc.; pf., quart. Edipan, n. ed. EP 7606 Roma, Nuova Consonanza, 31.X.1985 (Gruppo Musica d’Oggi) Musica per una scena, per trio d’archi (1984) trio di archi (2 vl., vla) “per Alfredo Giuliani” Edipan, 1984, n. ed. EP 7100 Roma, Nuovi Spazi Musicali, Castel Sant’Angelo, 8.V.1984 (Trio di Como) Per il L.I.M. (1985) 5 strumm. (cl., pf., perc., vl., vc.) Malaga, Conserv. Superior de Musica, 2.XII.1986 (Gruppo L.I.M.) 266 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 267 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) Il luogo dell’incontro (1985-1990 [trascr. e rev.]) sax; sax, pf. Roma, Nuovi Spazi Musicali, 14.VI.1989 (Federico Mondelci) Recitativo obbligato (1986) cl., 5 archi (2 vl., vla, vc., cb.) “per Ciro Scarponi” Edipan, 1986, n. ed. EP 7285 Roma, XXIII festival di “Nuova Consonanza”, Auditorium del Foro Italico della RAI, 15.XI.1986 (Ciro Scarponi, Gruppo Musica d’Oggi, dir. Fabio Maestri) Cadenza (fantasia) per Ciro da Recitativo obbligato (1987) cl. Foggia, 19.XI.1990 (Ciro Scarponi) L’homme armé (1988) cl.b., cb. Fanfara (scherzo) e Ricercare (1988-1989) vc., pf. Edipan, n. ed. 7894 Roma,Teatro dell’Orologio,10.IV.1989 (Paolo Capasso, Cristiano Becherucci) Dizem? Esquecem - Não dizem? Fatal (1989) fl., perc. Roma, 1991(Enrico Casularo, Roberto Capacci) Homage to India, per ottetto di fiati e contrabbasso (1989) 2 cl., 2 ob., 2 cr., 2 fg., cb. Edipan, 1989, n. ed. EP 7833 Roma, Cooperativa La Musica, Sala 1 della RAI, 30.XI.1989 (Ottetto Italiano di fiati, dir. Enrico Marocchini) Hostia de assombro a alma, notturno per otto fiati (1990) fl., ob., cl., cr., 2 tr., 2 trb. Roma, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”, 21.IX.1990 (New Winds Ensemble, dir. Patrizio Esposito) Bacco adoro et amo (tema e variazioni da un balletto di Gastoldi) (1990) 4 cl. Penna in Teverina, 7.X.1990 Omaggio. Dedicato a Burri (1990) perc. Roma, Sala Baldini, 13.XII.1990 (Roberto Capacci) O limiar onde hesitam (1991) fl.basso e fl. in sol “a Edda Silvestri” 267 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 268 (1953-2006) Anzio (Roma), “Anzio festival 1991”, 17.VIII.1991 (Edda Silvestri) R. Schumann: Vogel als Prophet da Waldszenen op. 82 [trascr.] (1991) 11 fiati (fl., 2 ob., cl., 2 fg., cr., 2 tr., 2 trb.) Roma, Auditorium del Foro Italico della RAI, 13.X.1989 (New Winds Ensemble, dir. Patrizio Esposito) Oboe sommerso, oboe emerso, oboe... (1991-1992 [Duo in capriccio, rev.]) ob.; ob., chit. Roma, Concerto per il 70° compleanno di Massimo Pradella, Acquario Romano, 11.XII.1994 (Paolo di Cioccio) Ai margini frastagliati (1993) 6 strumm. (fl., cl., chit., pf., vl., vc.) Edipan, n. ed. EP 8463 Roma, Sala A della RAI, 22.XI.1993 (Logos Ensemble) Canzon e Finale (1993) fl. “per Egisto” Roma, XXX festival di “Nuova Consonanza”, 8.XI.1993 (Lauren Weiss) Della guerra, del mistero, delle stelle (1995, 1998 [rev.]) 6 strumm. (fl., cl., pf., vl., vla, vc.); 6 strumm., na magn.(II vers.); quart., pf. (trascr.) Edipan, n. ed. EP 8562 Roma, Acquario Romano, 5.X.1995 (Ex Novo Ensemble, dir. Claudio Ambrosini) Carillon per Carlo (1996-1997) pf. “a Carlo Marinelli” Luogo dell’ incontro n. 3 (1997) sax, trb. Torino, “Settembre musica”, teatro Piccolo Regio, 18.IX.1997 (Federico Mondelci, Michele Lomuto) L’ impervia, pervia, via (Studio di media difficoltà per chitarra) (1998) chit. in Musica Incerta. Un’introduzione alla musica contemporanea per chitarra, a cura di Arturo Tallini, Bologna, UT Orpheus Edizioni, 2000, pp. 4-9 “ad Arturo Tallini” Sassari, festival “Spaziomusica 2000”, 5.XII.2000 (Arturo Tallini) Sinfonietta para viola e conjunto de Câmara [ma O poeta è um fingidor] (1998-1999) vla, 8 strumm. Lisbona, XXIII Encontros Música Contemporânea, Grande Auditorio Gulbenkian, 5.V.1999 (Maurizio Barbetti, Officina Musical, dir. Álvaro Salazar) 268 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 269 CATALOGO DELLE OPERE (1953-2006) Estratto da O poeta è um fingidor, fantasia per viola sola (1998-1999) vla “per Maurizio” Porto, Esmae, 29.V.1998 (Maurizio Barbetti) Variazioni su O poeta è um fingidor (1999) vl., vla, vc., pf. Composizione per 12 strumenti a fiato e timpani (1999-2000; 2002 [Composizione 2002, ma Dovuto a G. Bruno Nolano, nuova vers.]) timp.,12 strumenti a fiato “a Giordano Bruno” Narni (Terni), teatro Comunale, 24.II.2000 (Kerl Leister, dir. C. Melles) Narni, teatro sociale, stagione dell’Orchestra Regionale di Roma e del Lazio, 26.X.2002 (orchestra di Roma e del Lazio, dir. Luc Baghdassarian) Preludio “Elegia” per corno (sax contralto, clarinetto, ecc.) (2001, 2002 [vers. definitiva]) cr. (sax oppure cl.), archi (quartetto) Roma, “Omaggio a Francesco Pennisi”, Accademia Filarmonica Romana, 7.VII.2001 (Gruppo Musica d’Oggi, dir. Fausto Anzelmo) Come un messaggio (2001) cl., clav. (o pf.) “a Paola Bernardi” Roma, Biblioteca Casanatense, 21.V.2001 (Paolo Ravaglia, Monica Lonero) Geometrie sonore: lignes, carré, romboides (2001) fis. “a Claudio Jacomucci” Pechino, “La seconda rassegna di musica italiana”, Conservatorio di musica di Pechino, 18.III.2003 (Corrado Rojac) Ein Feste Burg ist unser Mr. Bach (2002) 2 org. Roma, XXX Festival di Nuova Consonanza, S. Giovanni in Laterano, 9.XI.2002 (Luca Salvatori, Giandomenico Piermarini) Divertimento suite (2003) ar., piccolo gr. strum. Roma, Accademia Filarmonica Romana, 17.XI.2003 (Antonella Ciccozzi, i Solisti della Filarmonica, dir. Fabio Maestri) Per Ennio (Morricone) (2003) vc. Roma, Auditorium dell’Università di Tor Vergata, 19.XI.2003 (Michele Chiapperino) Improvvisi lirici, improvvisando per un percussionista (2005) perc. 269 Bortolotti.qxd 14-11-2006 CATALOGO DELLE OPERE 10:27 Pagina 270 (1953-2006) Bergamo, Chiostro del Seminarino [ma Comune di Ameno, Fondazione Calderara], 12.IX.2005 (Riccardo Balbinutti) Scherzo (Dialogo) Augurale per Franco Oppo (2005) perc., pf. Cagliari, festival “Spaziomusica 2005” (Andrea Bini, F. Deriu) 7. Musica elettronica (con e senza voci e/o strumenti) Composizione elettronica 1 [ma Studio 1] (1968) na. magn. (Studio S2FM di Pietro Grossi) Firenze, 4 audizioni di musica elettronica, Conservatorio “Luigi Cherubini”, Circolo l’Incontro, 30.V.[1968] Mottetto (1971) na. magn. (realizzato al CNUCE di Pisa) Roma, “Ricerche sul synthesizer”, Istituto Italolatinoamericano, 30.XII.1972 (Guido De Amicis) L’attesa... Il professor P1 (1980, 1986) v., na. magn. ALFREDO GIULIANI, in Povera Juliet e altre poesie: Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto, Milano, Feltrinelli, 1965 Roma, Auditorium del Foro Italico della RAI, 1981 (Michiko Hirayama) C’est ici que l’on prend le bateau (1980) comp. el. per un balletto (con improvvisazioni al pianoforte dal vivo) Nuova Delhi (India), Kamani Auditorium, 24.II.1980 (I danzatori scalzi, cor. Patrizia Cerroni, Mauro Bortolotti) Roma, teatro Eliseo, 10-16.X.1980 [I esecuzione italiana] Birgitta here and there. Fantasia per voce di soprano e nastro magnetico su “Birgitta on flask walk” (1982) v., na. magn. [v. rec. Robin Freeman] ROBIN FREEMAN, Birgitta on flask walk, datt. inedito Roma (Joan Logue) Paesaggi intravisti (1987) comp. el. (in collaborazione con Walter Branchi) Milano, XVII Triennale, “Il luogo del lavoro”, 1987 Variazioni sul grido, studi sui percorsi emozionali di Piero Mottola (2003-) na. magn.; na. magn., gr. strum.: fl., cl., pf., fis., cb. Roma, XL festival di “Nuova Consonanza”, American Academy of Rome – Villa Aurelia, ottobre 2003 (ensemble Alianova, dir. Alessandro Sbordoni, na. magn.) Bomarzo (Viterbo),“Incantesimi. Azioni sull’arte”, palazzo Orsini, 20.III.2004 (I vers.) 270 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 271 Indice cronologico delle opere Preludio, Ricercare e Finale (1953) fl., cl., tr., cr., fg. Cantata (1955),T., orch. Concerto per Orchestra (1956), orch. Tre poesie di Rocco Scotellaro (1957, 1991 [nuova vers. di Desiderio e Due eroi]), v., cl., pf. Breve cantata sacra (da “La Passione secondo San Matteo”) (1957), B., vla, vc., pf. 4 Poesie di Paul Éluard (1959-1978 [ma 1984-1988]), S., cl. vc. Studi (1960), cl., cr., vla Tre movimenti (1960-1961), fl., pf. Episodi concertanti (1961), orch. Frammenti 5 (1961-1966), quart. C’est l’arbre de la liberté, Toute sa vie (1962-1964), co., orch. Studio per E. E. Cummings n. 1 (1962-1963), S., fl., cl., perc. Studio per E. E. Cummings n. 2 (1964), 11 esecc. Simmetrie (1965-1966), fl. (ott.), pf. Combinazioni libere (1965), vla, pf. Contre 2 (1965-67, 1994 [Contre ancore…]), S., cl., trb., pf., vl., cb. Tre tempi (1966), cl. perc. Resurrezione dopo la pioggia (1966),T., pf. Parentesis (1967), cl., fg., pf. Parentesis para cinco (1968,1975), cl., fg., vl., vc., cb. Composizione elettronica 1[ma Studio 1] (1968), na. magn. Transparencias (1968), clav., archi Cadenza per Transparencias (1968), clav. Pour le piano (1969), pf. Links (1969-1971), vl., cb., archi Quattro momenti (1970), fg., pf. Grazie per essere venuti! Carnaval per trio e lettore (1970), v. rec., vl. vc., pf. E tu? nondramma in un prologo, due intermezzi (anche parlati), senza finale (1970), S.,T., mimo, orch. da camera Alcune variazioni... (1971), fl., cl., cr., fg., trb., 2 vl., vc., cb. Mottetto (1971), comp. el. L’alba scivolando (1972), Bar., pf. Appunti per un trio “Cher nocturne” (1972), cl., vc., pf. 5 balletti da Gastoldi (1973), co., perc., archi E tuttavia... concatenazioni per archi (1973,1996), 11 archi Gran Duo da concerto (1974-1975 [ma 1980]), pf. a 4 mani A In Ran (1974), fl. dolce, pf. Sine nomine (1974), v., fl., trb., perc., vc. Studio dal vero: BS. 28.V.74 (1974-1975), 15 strumm. Per trombone e percussione (1976), trb., perc. I carry (1977), v., chit. 271 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 272 INDICE CRONOLOGICO DELLE OPERE hommages, dommages (1978), vl., vc., pf. Quartetto (Preludio a Berryman) (1978-1979), quart. Tiuit (1979, 2005 [Nuit Tune]), vc. 5 epigrammi di Marziale (1979), 8 vv. Serenata (1979), chit. Room 231: Something black (1980), S., quart. L’attesa... Il professor P1 (1980), v., na. magn. …and Scherzo (1980), vl. C’est ici que l’on prend le bateau (1980), comp. el. per un balletto Foglie (1980), fl., chit., pf. perc. Sulla scia dell’ispirazione (1980), pf. Berryman: LetturAzione (1981), S., Bar., att., lett., danz., gr. strum., na. magn. Due poesie di Pasolini (1981), Bar., pf. Cantata n. 3, v. rec., gr. strum. (1981-1982) Birgitta on flask walk [ma Birgitta here and there] (1982), na magn. Poema per arpa “Omaggio a Tarkovskij” (1982), ar. Aucassin et Nicolette (1983-1984), 2 vv., co., 3 tr., 1 trb., perc. Musica per una scena (1984), 2 vl. vla Arioso per la Scena III (1984), B., quart. Ragtime (1984,1985 [trascr. e rev.]), fl., cl., pf., perc., 2 vl., vla, vc. Sinfonia “Est Animum” (1985), orch. Per il L.I.M. (1985), cl., pf., perc., vl., vc. Il luogo dell’incontro (1985,1990 [trascr. e rev.]), sax Recitativo obbligato (1986), cl., 2 vl., vla, vc., cb. Cadenza (fantasia) per Ciro da Recitativo obbligato (1986), cl. Paesaggi intravisti (1987), comp. el. L’homme armé (1988), cl. B., cb. Fanfara-scherzo e Ricercare (1989), vc., pf. Dizem? Esquecem - Nao dizem? Fatal (1989), fl., perc. Homage to India (1989), 8 fiati, cb. Nell’impoetico mondo (1989), S., cl., cr., trb., vl., vc., cb. Hostia de assombro a alma (1990), fl., ob., cl., cr., 2 tr., 2 trb. Bacco adoro et amo (tema e variazioni da Gastoldi) (1990), 4 cl. Omaggio. Dedicato a Burri (1990), perc. I pesci di vento (1991), S., fl. pf. O limiar onde hesitam (1991), fl. R. Schumann: Vogel als Prophet da Waldszenen op.82 [trascr.] (1991), fl., 2 ob., cl. 2 fg., cr., 2 tr., 2 trb. Oboe sommerso, oboe emerso, oboe... (1991,1992[rev.]), ob. Grandes misterios habitam. Omaggio a Pessoa (1992), S., orch. Sonetti licenziosi (1992), S., fl., cl., cr., pf., vla, vc. J. Brahms, Gestillte Sehnsucht op. 91 n.1 [trascr.] (1992) I. Stravinskij, Pastorale [trascr.] (1992) Ai margini frastagliati (1993), fl., cl., chit., pf., vl., vc. Canzon e Finale per Egisto (1993), fl. 272 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 273 INDICE CRONOLOGICO DELLE OPERE Scena VII. Cocktail per Michiko (estratti da contenitori vari) (1993), v. pf. Se un altro giorno saluto (1994), co. La nuvola in calzoni da Io Majakovskj (1994), v. rec., S., ob., cl., sax, pf., perc., vl. vc. “Della guerra, del mistero, delle stelle” (1995), fl., cl., pf., vl. vla, vc. Monologo di Goethe da Carlotta a Weimar (1994), v. rec., S., 10 strumm. S’un casto amor (1995), S., pf. Due poesie di M. Marshall: Schatten, Ein Spiel (1995), v., pf. Carillon per Carlo (1996-97), pf. Ghirlanda per Penna (1997), Bar., quart. Il Museo di Delphi (1997), v., pf. Luogo dell’ incontro n. 3 (1997), sax, trb. L’ impervia, pervia, via (1998), chit. O poeta è um fingidor (1998-99), vla, 8 strumm. Estratto da O poeta è um fingidor (1998-99), vla Variazioni su O poeta è um fingidor (1999), vl., vla, vc., pf. Cadenze, quasi un concerto (1999), fl., orch. Nuova composizione per 12 fiati e timpani (1999-2000; 2002 [Dovuto a G. Bruno Nolano]), 12 fiati, timp. Preludio (2001), cr., archi Come un messaggio (2001), cl., clav. (o pf.) Geometrie sonore: lignes, carré, romboides (2001), fis. Ein Feste Burg ist unser Mr. Bach (2002), 2 org. Divertimento suite (2003), ar., gr. strum. Due poesie di Angela Chermaddi (2003), v., cl. vc. Per Ennio (Morricone) (2003), vc. Variazioni sul grido (2003-), na. magn.; strumm., na. magn. …questa umidità, l’acqua calcarea. Frammenti per Thomas Bernhard (2004-2006), S., v. rec., perc., na. magn. Improvvisi lirici (2005), perc. Trittico sonoro. Omaggio a Giuseppe Manini (2005), Bar., cl.b., tr., vc. pf. La vallée incommensurable (2004-2005), S., cl.b., vla Scherzo (Dialogo) augurale per Franco Oppo (2005), perc., pf. Ou le silence (2004-2006), v. rec., orch. 273 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 274 Indice alfabetico delle opere 4 Poesie di Paul Éluard (1959-1978 [ma 1984-1988]) 5 balletti da Gastoldi (1973) 5 epigrammi di Marziale (1979) Ai margini frastagliati (1993) A In Ran (1974) Alcune variazioni... (1971) …and Scherzo (1980) Appunti per un trio “Cher nocturne” (1972) Arioso per la Scena III (1984) Aucassin et Nicolette (1983-1984) Bacco adoro et amo (tema e variazioni da Gastoldi) (1990) Berryman: LetturAzione (1981) Birgitta on flask walk [ma Birgitta here and there] (1982) Breve cantata sacra (da “La Passione secondo San Matteo”) (1957) Cadenza (fantasia) per Ciro da Recitativo obbligato (1986) Cadenza per Transparencias (1968) Cadenze, quasi un concerto (1999) Cantata (1955) Cantata n. 3, v. rec., gr. strum Canzon e Finale per Egisto (1993) Carillon per Carlo (1996-97) C’est ici que l’on prend le bateau (1980) C’est l’arbre de la liberté, Toute sa vie (1962-1964) Combinazioni libere (1965) Come un messaggio (2001) Composizione elettronica 1[ma Studio 1] (1968) Concerto per Orchestra (1956) Contre 2 (1965-67, 1994 [Contre ancore…]) Della guerra, del mistero, delle stelle (1995) Divertimento suite (2003) Dizem? Esquecem - Nao dizem? Fatal (1989) Due poesie di Angela Chermaddi (2003) Due poesie di M. Marshall: Schatten, Ein Spiel (1995) Due poesie di Pasolini (1981) E tu? nondramma in un prologo, due intermezzi (anche parlati), senza epilogo (1970) E tuttavia... concatenazioni per archi (1973,1996) Ein Feste Burg ist unser Mr. Bach (2002) Episodi concertanti (1961) Estratto da O poeta è um fingidor (1998-99) Fanfara-scherzo e Ricercare (1989) Foglie (1980) 274 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 275 INDICE ALFABETICO DELLE OPERE Frammenti 5 (1961-1966) Geometrie sonore: lignes, carré, romboides (2001) Ghirlanda per Penna (1997) Gran Duo da concerto (1974-1975 [ma 1980]) Grandes misterios habitam. Omaggio a Pessoa (1992) Grazie per essere venuti! Carnaval per Trio e lettore (1970) Homage to India (1989) hommages, dommages (1978) Hostia de assombro a alma (1990) I carry (1977) I pesci di vento (1991) I. Stravinskij, Pastorale [trascr.] (1992) Il luogo dell’incontro (1985,1990 [trascr. e rev.]) Il Museo di Delphi (1997) Improvvisi lirici (2005) J. Brahms, Gestillte Sehnsucht op. 91 n.1 [trascr.] (1992) L’alba scivolando (1972) La nuvola in calzoni da Io Majakovski (1994) L’attesa... Il professor P1 (1980) La vallée incommensurable (2004-2005) L’ impervia, pervia, via (1998) L’homme armé (1988) Links,(1969-1971) Luogo dell’ incontro n. 3 (1997) Monologo di Goethe da Carlotta a Weimar (1994) Mottetto (1971) Musica per una scena (1984) Nell’impoetico mondo (1989) Nuova composizione per 12 fiati e timpani (1999-2000; 2002 [Dovuto a G. Bruno Nolano]) O limiar onde hesitam (1991) O poeta è um fingidor (1998-99) Oboe sommerso, oboe emerso, oboe... (1991,1992[rev.]) Omaggio. Dedicato a Burri (1990) Ou le silence (2004-2006) Paesaggi intravisti (1987) Parentesis (1967) Parentesis para cinco (1968,1975) Per Ennio (Morricone) (2003) Per il L.I.M. (1985) Per trombone e percussione (1976) Poema per arpa “Omaggio a Tarkovskij” (1982) Pour le piano (1969) Preludio (2001) Preludio, Ricercare e Finale (1953) 275 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 276 INDICE ALFABETICO DELLE OPERE Quartetto (Preludio a Berryman) (1978-1979) Quattro momenti (1970) …questa umidità, l’acqua calcarea. Frammenti per Thomas Bernhard (2004-2006) R. Schumann: Vogel als Prophet da Waldszenen op.82 [trascr.] (1991) Ragtime (1984,1985 [trascr. e rev.]) Recitativo obbligato (1986) Resurrezione dopo la pioggia (1966) Room 231: Something black (1980) Scena VII. Cocktail per Michiko (estratti da contenitori vari) (1993) Scherzo (Dialogo) augurale per Franco Oppo (2005) Se un altro giorno saluto (1994) Serenata (1979) Simmetrie (1965-1966) Sine nomine (1974) Sinfonia “Est Animum” (1985) Sonetti licenziosi (1992) Studi (1960) Studio dal vero: BS. 28.V.74 (1974-1975) Studio per E. E. Cummings n. 1 (1962-1963) Studio per E. E. Cummings n. 2 (1964) Sulla scia dell’ispirazione (1980) S’un casto amor (1995) Tiuit (1979, 2005 [Nuit Tune]) Transparencias (1968) Tre movimenti (1960-1961) Tre poesie di Rocco Scotellaro (1957, 1991) Tre tempi (1966) Trittico sonoro. Omaggio a Giuseppe Manini (2005) Variazioni sul grido (2003-) Variazioni su O poeta è um fingidor (1999) 276 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 277 Bibliografia Scritti di Mauro Bortolotti La liberazione culturale,“Cronache umbre”, II, novembre 1974, n. 13, pp. 13-14 Programmazione delle attività culturali nella VIII circoscrizione. Progetto 1976-77 del Centro 8 – Centro culturale polivalente, 21.X.1976, datt. inedito Musica perché. Una valutazione sull’indagine, “Terni Provincia”, III, febbraio 1977, n. 6, p. 13 Musica e riforma della Quadriennale, “Paese sera”, 31.VII.1977 L’arte dei rumori di Luigi Russolo. Testimonianze e studi sul futurismo [recensione], “Paese sera”, 26.III.1978 Il seminario al S. Francesco d’Assisi, 18.V.1980, datt. inedito s. t., in programma di sala della stagione pubblica di “Nuova Consonanza”, Roma – Viterbo, 1981 Testo parlato/ testo cantato, in Poesia in pubblico. Parole per musica. Atti degli Incontri Internazionali di Poesia 1979-1980, a cura di Massimo Bacigalupo e Carola De Mari, Liguria Libri, Genova, 1981, pp. 162-163 Brevi note intorno alla salute dei teatri, “1985 la musica”, I, 1985, n. 5, pp. 5-6 La nuova didattica della composizione,“1985 la musica”, I, 1985, n. 6, pp. 39-40 Sulla scuola di composizione e … d’altro, “Il mondo della musica. Rassegna internazionale di vita musicale – Concerti – Opera - Balletto”, XXVI, 1988, n. 25, pp. 13-14 M. B. – WALTER BRANCHI, Paesaggi intravisti, note di copertina al disco omonimo, Roma, Edipan, s.d. [ma 1989], PAN PRC S20-33 stereo *** [s. t.], in DANIELA TORTORA, Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), Lucca, LIM, 1990, pp. 173-174 A proposito di “modernità” non sovvenzionata… “1985 la musica. Rivista di musica contemporanea”, luglio 1992, n. 21, p. 47 Musica e poesia, in Chi l’avrebbe detto. Arte, poesia e letteratura per Alfredo Giuliani, a cura di Corrado Bologna, Paola Montefoschi e Massimo Vetta, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 57-60 s. t., in PIERO MOTTOLA, Percorsi emozionali 1995/2001, CD ssssht! Musspac, Roma, 2002 277 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 278 BIBLIOGRAFIA Tributo per il maestro, in Testimonianze per Goffredo Petrassi, Milano, Suvini Zerboni, 2003, pp.11-12 Aspettiamo per vedere se la musica è cambiata, in Arte e cultura negli anni Novanta. Dalla fine del Muro all’11 settembre, “I Quaderni della Quadriennale”, nuova serie/ 2, a cura di Ilaria Della Torre e Manuela Esposito, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2004, pp. 125-130 Correvano gli anni Cinquanta: le ricordanze, le collaborazioni, in Voce come soffio, voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, a cura di Daniela Tortora, in corso di stampa Scritti su Mauro Bortolotti 1. Voci enciclopediche s. a., in Enciclopedia della musica, I, Milano, Ricordi, 1963 s. a., in La Musica. Parte seconda. Dizionario, I,Torino, UTET, 1968 CLAUDIO ANNIBALDI, in The new Grove Dictionary of Music and Musicians, III, ed. by Stanley Sadie, London, Macmillan, 1980 s. a., in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti. Le Biografie, I,Torino, UTET, 1985 STEFANO LEONI, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, IV, edited by Stanley Sadie, London, Macmillan, 20012 2. Recensioni, interviste, programmi di sala, note ai dischi (e ai CD) GIANFRANCO ZACCARO, Profilo di giovani musicisti: Mauro Bortolotti, “Avanti!”, 8.III.1962 A. M. BONISCONTI, “Contre 2” di Mauro Bortolotti, “Il Veltro”, XI, 1967, pp. 320-323 STEFANO RAGNI, Incontro con Bortolotti, “La Nazione. Umbria”, 21.XII.1974 BERENICE, Cosa vogliono i lavoratori della musica. Intervista col maestro Mauro Bortolotti, “Paese Sera”, 8.II.1976 SIMONETTA LUX, C’est ici que l’on prend le bateau (o: la dis-cronica), programma di sala, teatro Eliseo, Roma, 1980 D.V. [ma DINO VILLATICO], Gruppo di strumenti con voci recitanti e piano pizzicato. A Spaziozero musica d’avanguardia […], “la Repubblica”, 7.IV.1981 278 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 279 BIBLIOGRAFIA ERASMO VALENTE, Nuova Consonanza a Frosinone. Mauro Bortolotti: la ricerca musicale come dramma e poesia, “L’Unità”, 1.XI.1981 ID., Gli archi di Mauro Bortolotti, booklet, Edipan, Roma, 1986, disco PAN PRC S20-38 stereo ID., Mauro Bortolotti e le preziose parentesi del compositore d’oggi, “L’Unità”, 7.I.1986 ID., Bortolotti, trent’anni di ricerca. Il concerto, “L’Unità”, 22.XII.1989 GUIDO BARBIERI, Bortolotti dà suono alle inquietudini di Pessoa. Concerto a S. Cecilia ispirato ai versi del celebre scrittore portoghese, “Il Messaggero”, 2.VI.1992 AUGUSTO ROCA, Bortolotti più Pessoa, melismi mediterranei, “il Manifesto”, 4.VI.1992 ERASMO VALENTE, Il suono d’una poesia. A Santa Cecilia una composizione di Bortolotti, “l’Unità”, 6.VI.1992 MICHELANGELO ZURLETTI, Mettendo in musica la poesia di Pessoa. A S. Cecilia Roberto Abbado ha diretto una novità di Mauro Bortolotti, “la Repubblica”, 2.VI.1992 PAOLO ROTILI, s.t., in programma di sala del concerto dell’ associazione musicale “Il Coretto”, Bari, Aula Magna dell’ Ateneo, 15 aprile 1996 N.S. [indecifrabile], Bortolotti, da Petrassi a “Nuova Consonanza”. Incontro col compositore al “Coretto”, “Gazzetta del Mezzogiorno”, 17.IV.1996 FIORELLA SASSANELLI, ‘Nuovi linguaggi in musica per ricercare il bel suono’. Intervista al compositore ternano Mauro Bortolotti, “Puglia”, 25.IV.1996 ERASMO VALENTE – FRANCESCO RIMOLI, s. t., in Mauro Bortolotti, booklet, Edipan, Roma, 1997, PAN CD 3061 ETTORE ZOCARO, programma di sala per Nuova composizione per 12 strumenti a fiato e timpani di Mauro Bortolotti, Fondazione Orchestra del Lazio, Narni, Latina, Roma, 2000 LANDA KETOFF, programma di sala per la prima esecuzione assoluta di Composizione 2002 per dodici strumenti a fiato e timpani di Mauro Bortolotti, Orchestra di Roma e del LazioFondazione Ottavio Ziino, Narni e Roma, 2002 3. Studi e ricerche DANIELA TORTORA, Poesia e musica nell’opera di Mauro Bortolotti, “Avanguardia”,VII, 2002, n. 19, pp. 51-74 279 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 280 BIBLIOGRAFIA ALESSANDRO MASTROPIETRO, Due tangenze con la poesia ‘novissima’, in ID., Nuovo teatro musicale a Roma e Palermo: 1961-1973, tesi di dottorato, Università di Roma “La Sapienza” / Università di Palermo, a.a. 2003-04, pp. 293-304 ID., Poesia – teatro musicale – elettronica: due apporti di area romana intorno al 1970, in Poetronics - al confine tra suono, parola, tecnologia, a cura di Anna Maria Giancarli e Anna Di Vincenzo, L’Aquila, Itinerari Armonici, 2004, pp. 44-56 DANIELA TORTORA, Intorno a Berryman: LetturAzione di Mauro Bortolotti, “Luxflux proto-type arte contemporanea”, II, 2004, n. 4-5-6, pp. 161-167 EAD., Ultime ipotesi per un teatro musicale e d’arte, in SIMONETTA LUX – DOMENICO SCUDERO, Incantesimi. Scene di arte e poesia a Bomarzo. IV Edizione. Castello Palazzo Bosco. Azioni dell’arte, in preparazione 280 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 281 Discografia La discografia che segue include tutti i dischi e i cd editi, contenenti musiche di Mauro Bortolotti; accoglie inoltre l’elenco delle musiche del maestro registrate e riversate su cd, e quello delle registrazioni su nastro ordinate sino ad oggi. Per ciò che concerne questi due ultimi elenchi sono state riportate tutte le indicazioni presenti sui cd e sui nastri custoditi presso l’archivio privato Bortolotti. Dischi Sine Nomine – Nuove Forme Sonore: musiche per voce, flauto, trombone, violoncello, percussione Esecutori: Michiko Hirayama, A.B. Zimmer, Giancarlo Schiaffini, Frances Marie Uitti, Michele Iannaccone Registrato nello studio Junior di Roma nel Luglio del 1974 Distribuito da Dischi Ricordi S.p.A. Roma, Ed. Curci, stereo SPL915 Gli archi di Mauro Bortolotti (Links, Tiuit, E tuttavia…, Quartetto per archi “Preludio a Berryman”) Esecutori: Gruppo Musica d’Oggi, dir. Daniele Paris; I Solisti di Roma Roma, Edipan, 1986, PAN PRC S20-38 stereo Trio di Como: musiche di Ivan Fedele, Mauro Bortolotti (Musica per una scena), Giuseppe Colardo, Fausto Razzi, Ruggero Lolini Esecutori:Trio di Como (2 vl, vla) Roma, Edipan, 1987, PAN PRC S20-47 stereo MAURO BORTOLOTTI – WALTER BRANCHI, Paesaggi intravisti, composizione elettronica realizzata per la XVII Triennale di Milano: “Il luogo del lavoro” Roma, Edipan, 1989, PAN PRC S20-33 stereo CD Mauro Bortolotti: musiche di Mauro Bortolotti (Recitativo obbligato, Tre movimenti, Foglie, Fanfara-Scherzo e Ricercare, Tre poesie di Paul Éluard, Appunti per un trio (Cher nocturne), Ai margini frastagliati) Esecutori: Maria Chiara Pavone, Logos Ensemble Roma, Edipan, 1997, PAN CD 3061 281 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 282 DISCOGRAFIA Gran Duo – tra Ottocento e Novecento: musiche per pianoforte a 4 mani di Franco Faccio, Mauro Bortolotti (Gran Duo da concerto), Giancarlo Simonacci, Fabio Borgazzi Esecutori: Gabriella Morelli, Giancarlo Simonacci (pf. a 4 mani) Roma, Domani Musica Edizioni musicali, DMCD 20002 s. t., musiche di G. Pernaiachi, M. Lupone, M. Bortolotti (Dizem? Esquecem. Não dizem? Fatal): B. Porena, J. Fresno, S. Montori. E. Casularo, E. Capacci, eseguite da Enrico Casularo (flauto) e Roberto Capacci (percussioni) Roma, Pentaphon, Silver Classic 1991, CDS052 Divertimento suite, registrazione del 17.XI.2003 (Roma, Accademia Filarmonica Romana, I Solisti della Filarmonica, dir. Fabio Maestri) cd ined. Bortolotti – Mottola, Il grido (versione 2004), registrazione del 1.VIII.2004 cd ined. Scherzo (Dialogo) augurale, registrazione del 17.XII.2005 (Cagliari, festival “Spazio Musica”, duo Andrea Bini, F. Deriu) cd ined. Preludio, registrazione del 7.VII.2001 (Roma, “Omaggio a Francesco Pennisi”, Gruppo Musica d’Oggi, dir. Fausto Anzelmo) cd ined. Come un messaggio, registrazione del 21.V.2001 (Roma, Biblioteca Casanatense, “Per Paola Bernardi”, duo Paolo Ravaglia, Monica Lonero) cd ined. Come un messaggio, registrazione del 16.V.2003 (G. Arbonelli, P. Subrizi) cd ined. Per Ennio (Morricone), registrazione del 19.XI.2003 (Roma, Auditorium della Facoltà di Lettere e Filosofia di Tor Vergata, “Compositori romani per Ennio”, Michele Chiapperino) cd ined. Nastri 1. 2. 3. 4. 282 Studio dal vero BS 22.V.1974 Simmetrie L’attesa (base nastro, 15’, 1990) E tuttavia…(dir. Daniele Paris, 26.X.1981) Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 283 DISCOGRAFIA 5. 6. 6.* 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30 31. 32. Due poesie di Cummings; Tre poesie di Éluard (copia mono, 1980) La cognizione del dolore (da Gadda) (musiche di scena) La cognizione del dolore (da Gadda) (mostra, 7’) L’attesa (base nastro, 7’) Combinazioni libere; Due poesie di Cummings Birgitta (base nastro, 4’32”, 5.XI.1982) Pratica I (composizione elettronica, Firenze 1969) Movimenti (Gazzelloni / Canino) Simmetrie (festival di Venezia, Gazzelloni / Canino) E tu? (Hirayama/Iannaccone) Tre poesie di Paul Éluard Simmetrie (Gazzelloni, Canino); Transparencias (I Solisti Veneti); Tre movimenti (Martinotti, Renosto); Due poesie di Cummings (Brigham) LetturAzione (1981) Mottetto (CNUCE di Pisa) Transparencias Danza della fogna (da Gadda) Links (registrazione RAI) Contre 2 (confezione rigida) Per [Leda] Lojodice (1971) Paréntesis para cinco; L’alba scivolando; Frammenti 5 (Roma, 23.XI.1969, 3 versioni) Sine nomine 2 E tuttavia…(I Solisti aquilani) L’attesa (I vers. con canto, 1980) Combinazioni libere [?] E tuttavia…(dir. Angelo Faja) Cummings I e II (studio per viola, clarinetto e corno) Contre 2 (Michiko Hirayama, Musica d’Oggi, dir. Daniele Paris, 3.II.1983) E tuttavia… (Musica d’Oggi, dir. Daniele Paris, 3.II.1983) composizioni varie (India, Giappone, Campania) 283 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 284 Indice dei nomi Legenda: d (rinvia ai nomi nelle didascalie) n (rinvia ai nomi in nota) Abbado, Roberto: 257, 279 Abbondanza, Roberto: 261 Acerra, Massimiliano: 15 Adorno,Theodor W.: 159, 202, 264 Agnello, Francesco: 83n Allende Gossens, Salvador: 36 Altieri, Gabriella: 264 Ambrosini, Claudio: 268 Amman, Benno: 237d Ancillotti, Mario: 262 Annibaldi, Claudio: 278 Annicchiarico,Vito: 193 Anouilh, Jean: 147n, 150 Anraja, J.: 263 Antonelli, Claudia: 266 Antonellini,Vittorio: 61, 256, 265 Anzelmo, Fausto: 262, 269, 282 Arbonelli, Guido: 261, 282 Artaud, Antonin: 82 Astori, L.: 265 Austin, Larry: 249 Bacigalupo, Massimo: 24n, 208n, 277 Bach, Johann Sebastian: 123, 198, 248, 269, 273, 274 Bacon, Francis: 199 Badura Skoda, Paul: 187 Baghdassarian, Luc: 269 Baggiani, Guido: 15, 126, 237d Balbinutti, Riccardo: 269 Balestrini, Nanni: 38, 88n, 168, 225 Barbetti, Maurizio: 268, 269 Barbieri, Guido: 279 Barsotti: 263 Bartók, Bela: 157, 222 Bartolozzi, A.: 258 Battisti, Eugenio: 251 Baudrillard, Jean: 137n Becherucci, Cristiano: 10n, 267 Becherucci, Eugenio: 10n, 266 Becherucci, Massimo: 10n Beethoven, Ludwig van: 10, 11, 68, 103, 104, 105, 107, 108,198, 248 Benn, Gottfried: 137, 141n, 144n, 145n Bennici, Aldo: 263 Bennici, Gabriella: 263 Berenice: 278 284 Berio, Luciano: 61, 74, 84,152, 158,199, 249 Bernardi, Eugenio: 141n, 149, 256 Bernardi, Paola: 269, 282 Bernhard,Thomas: 14, 139n, 141n, 144n, 146n, 147, 148,149,155, 202, 251, 256, 273, 276 Berryman, John: 24, 47, 51, 60, 96d, 97, 98, 99, 99n, 100, 103, 103n, 105, 106, 111, 112, 152, 198, 208, 250, 255, 259, 265, 272, 274, 276, 281 Bertoncini, Mario: 15, 134, 249 Bianchini, Massimo: 10n, 158 Biggi, Gastone: 236d Bini, Andrea: 270, 282 Blanchot, Maurice: 27, 27n Boccaccio, Giovanni: 11 Bologna, Corrado: 32n, 224n, 277 Bongarzoni, Francesca Romana: 15 Bonisconti, Anna Maria: 278 Boniver, Margherita: 223 Bonolis, Gabriele: 260 Bonolis,Vittorio: 256, 260 Borgazzi, Fabio: 282 Borges, Jorge Luis: 9 Borio, Gianmario: 29n Bortolotti, Luca: 166, 166n, 185, 187, 236, 249 Bortolotti, Mauro: 9, 10, 10n 12, 13, 14, 15, 18, 19, 20, 21, 21n, 22, 22n, 23, 23n, 24, 24n, 25, 27, 28, 29, 32, 32n, 33, 36, 37, 37n, 40, 43, 43n, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 52, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 67n, 68, 69, 71, 72, 73, 73n, 75, 79, 80d, 84, 86, 87, 87n, 88, 88n, 89 91, 96d, 98, 98n, 99, 100n, 102, 102n, 104, 111, 112, 113, 114, 114n, 115, 116d, 117, 119, 120, 121, 123, 126, 127, 130, 133, 151, 155, 163, 163n, 164, 165d, 166, 166n, 172d, 173, 174, 174n, 177, 178, 179, 180, 181, 181d, 182, 182n, 183, 183n, 184,185, 187, 188, 189d, 192, 193, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 203d, 204, 207, 218, 228, 234d, 235d, 236d, 237d, 238d, 239d, 240d, 241d, 242d, 243d, 244d,245d, 248, 249, 252d, 253, 255, 256, 258, 259, 260, 261, 265, 270, 277, 278, 279, 280, 281, 282 Bortolotti, Paola: 187 Bortolotti, Simonetta: 8, 236, 249 Bortolotto, Mario: 82n, 237d, 264 Boscherini, Brunetto: 264 Boscherini Emilia: 264 Boulez, Pierre: 130n, 191, 199, 204, 216, 222 Bracci, Stefano: 10n Brahms, Johannes :10, 260, 272, 275 Branchi, Walter: 158, 218, 237d, 251, 270, 277, 281 Breton, André: 27n, 28n Brigham, Sylvia: 258, 283 Bruno, Giordano: 113, 114, 114n, 115, 116d, 120, 123, 248, 251, 269, 273, 275 Bucarelli, Palma: 194 Burnacini: 201 Burri, Alberto:199, 272, 275 Bussotti, Sylvano: 18, 82n, 83,193 Buzzi, Aldo: 143n Caballé, Montserrat: 211, 212 Cacciatore, Edoardo: 156 Cage, John: 152 Caggiano, Antonio: 149, 256 Cagli, Bruno: 14, 15, 135, 251 Ciaikovskij, Pëtr: 199 Calvino, Italo: 11, 11n, 199 Campori, Angelo: 262 Canino, Bruno: 181, 249, 263, 283 Canulli, Lorena: 15 Capacci, Roberto: 267, 282 Capaccio, Antonio: 14, 15, 136, 150d, 198, 202, 251, 256 Capasso, Paolo: 267 Caporali, Rodolfo: 156, 248 Caproni,Vittorio: 156 Carapezza, Paolo Emilio: 15, 18, 18n Carpi, Anna Maria: 149, 256 Carraio, Francesco: 237d Carter, Elliot: 199 Casella, Alfredo: 228, 250 Castellani, Luisa: 257 Castelvecchi, Stefano: 10n Castro, Dora: 265 Casularo, Enrico: 267, 282 Catania, E.: 258 Cavalcanti, Guido: 11 Cebron, Jean Maurice: 151 Ceccarossi, Domenico: 263 Cerroni, Patrizia: 15, 111, 151, 241d, 249, 250, 255, 270 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 285 INDICE DEI NOMI Cesti, Marcantonio: 201 Chermaddi, Angela: 261, 273, 274 Chiapperino, Michele: 262, 269, 282 Chomsky, Noam Avram: 150 Chopin, Fryderyk: 173 Cianca, Anna: 112n Ciccozzi, Antonella: 269 Cimagalli, Cristina: 10n, 15, 155,186, 258 Cinieri, Cosimo: 83n Cinque, Luigi: 166 Clementi, Aldo: 15, 18, 19, 81, 81n, 83, 86, 158,162, 235d, 236d, 248 Clementi, Muzio: 160 Cocco, Enrico: 10n,180,186 Coen, Massimo: 15, 163, 166, 258, 259, 264, 266 Colacicchi, Luigi: 249 Colardo, Giuseppe: 281 Colorni, Renata: 149, 256 Consoli,Vittorio: 249 Corelli, Simone: 178n Cossu, Nunzio: 52, 259 Costanzi, M.: 259 Costarella, Nicola: 249 Cresti, Renzo: 129, 129n Cristallini, Elisabetta: 148,182, 251 Croci, Gabriele: 262 Cummings, Edward Estlin: 24, 32, 47, 52, 60, 98, 103, 126,198, 208, 249, 250, 258, 259, 263, 271, 276, 283 Curran, Alvin: 173 Cyrano de Bergerac: 11 D’Agostino, Nemi: 82 Dallapiccola, Luigi: 93, 157, 229 Dante Alighieri: 11, 45 Davies, Peter Maxwell: 229 De Amicis, Guido: 270 De Bernardinis, Leo: 83n De Blasio, Antonio: 249 Debord, Guy: 202 Debussy, Claude: 167, 168 De Canino, Georges: 255 De Giorgi, Elsa: 261 Deleuze, Gilles: 133 Della Torre, Ilaria: 278 De Luca, Anna: 262 De Mari, Carola: 24n, 208n, 277 De Melis, Fabrizio: 261 Deriu, F.: 270, 282 De Robertis, Mariolina: 62, 264 De Rossi Re, Fabrizio: 10n, 186 De Sanctis, Francesco: 259 Devoto, Alberto: 265 Dewey, Ken, 83n, 88n Diacono, Mario: 82 Di Cioccio, Paolo: 268 Dickinson, Emily: 11 Di Luciano, Lucia: 197 Dionette, M.: 259 Di Stefano, Giovanni: 177 Di Vincenzo, Anna: 81n, 280 Donadio, Carlo: 10n Dorizzotti, M.: 258 Drot, J. M.: 222 Duchamp, Marcel: 27 Durkó, Zsolt : 229 Eaton, John: 249, 258 Eliot,Thomas S.: 24, 46, 98, 103, 112, 156, 161, 248, 257 Éluard, Paul:18, 21, 24, 25, 26, 26n, 27, 28, 29, 30d, 31, 32, 33, 34n, 35, 45, 46, 47, 51, 59, 97, 98, 106, 127,156, 175n, 198, 208, 256, 258, 271, 274, 283 Esposito, Manuela: 278 Esposito, Patrizio: 10n, 267, 268 Evangelisti, Franco: 13, 18, 19, 37, 37n, 53, 82, 82n, 83n,164, 170, 173, 191, 204, 224, 225, 228, 235d, 236d, 237d, 248, 249, 250 Faccio, Franco: 282 Fadini, Fernando: 264 Failla, Salvatore Enrico: 13, 15, 113 Faja, Angelo: 283 Fasano, : 176 Fassbinder, Rainer: 199 Fedele, Ivan: 281 Fellini, Federico: 199 Ferdinandi, Antonio: 156, 248 Ferranti, Franco: 262 Ferrari, Giordano: 82n Ferraris, Paola: 178 Ferrero, Luisa: 258 Ferri, Patrizia: 181 Fiancarli, Anna Maria: 81n Filippini, Enrico: 83n Fiocchi, Gianpaolo: 261 Fiorenza, Antonino, 18n Fiorini, Igor: 182 Firpo, Luigi: 114, 114n Foa, Anna, 114n Forti, Gilberto: 137 Fortini, Franco: 25, 26, 26n, 256, 258 Foscolo, Ugo: 8 Franck, César-Auguste: 10, 12, 248 Franceschini, Gastone, 234d Franco, Francisco: 36 Freeman, Robin: 103, 270 Fresno, J.: 282 Freud Sigmund: 115 Fringuelli, Fabrizio: 148, 149 Fusco, Alberto: 258 Gadda, Carlo Emilio: 283 Galgani, Ilaria: 261 Gandini, Giacomo: 263 Garda, Michela: 29n Gastoldi, Giovanni Giacomo: 256, 267, 271, 274 Gazzelloni, Severino: 181, 249, 263, 283 Gelmetti, Gianluigi: 250, 262 Gelmetti,Vittorio: 83n, 84, 84n, 85, 85n, 193 Genovese, S.: 260 Gensini, Leonardo: 10n Gentile, Ada: 251, 255 Gentile, Leda: 249 George, Stefan: 103 Germani, Ferdinando: 248 Gesualdo, Carlo principe di Venosa: 10, 46 Gesù Cristo: 11 Fiancarli, Anna Maria: 280 Giglio,T.: 257 Giordana, Andrea: 259 Giordani, Pietro: 259 Giuliani, Alfredo: 8, 10, 10n, 15, 24, 25n, 32n, 36, 37, 37n, 38, 38n, 39, 40, 43, 43n, 44, 47, 48, 53, 59, 84, 86, 87, 87n, 88, 88n, 89, 90, 94,98n, 167, 198, 208, 224, 224n, 225, 226, 227, 249, 250, 251, 255, 255n, 258, 259, 260, 266, 270, 277 Goethe, Wolfgang: 48, 52, 110, 251, 255, 273, 274 Gordigiani, Mario: 263 Gracq, Giulien: 28, 28n Grano, Romolo: 264 Gregoretti, Lucio: 10n, 186 Grieco, Bruno Groff, Claudio: 139n Grossi, Pietro: 13, 14, 61, 117, 151, 158,164, 178, 181, 249, 270 Guadagnuolo, Francesco: 252d Guaccero, Domenico: 18, 53, 82, 82n, 83, 131,157, 158, 163, 164, 170, 171, 173, 175n, 234d, 235d, 236d, 241d, 248, 249, 250, 262 Guaccero, Giovanni: 182 Handt, Herbert: 257 Heineman, John: 249, 258 Herlitzka, Roberto: 255 Hindemith, Paul: 10, 157, 228 Hirayama, Michiko: 19, 32, 86n, 87, 151, 163, 163n,168, 193, 225, 237d, 249, 255, 258, 259, 260, 261, 270, 272, 276, 278, 280, 281, 283 Hofmannsthal, Hugo von: 140n, 145n 285 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 286 INDICE DEI NOMI Hölderlin, Johann Christian Friedrich: 110 Hughes, James Langston: 248 Husserl, Edmund: 169 Iannaccone, Michele: 86n, 255, 265, 281, 283 Jacomucci, Claudio: 269 Jankelevitch;Vladimir: 126, 126n Jeney, Zoltán: 229 Jung, Carl Gustav: 138n Kaczyìski, Adam: 249, 265 Kafka, Franz: 11, 110, 137n, 141n, 143n Kennedy, John Fitzgerald: 99 Ketoff, Landa: 114n, 279 Kleist,Heinrich von: 110 Kraber, K: 258 Kramer, Stephen: 260, 261 Kundera, Milan: 10 Labé, Louise: 82 La Capria, Raffaele: 257 La Face, Giuseppina, 82n Landini, Federico: 10n Lanza Tomasi, Gioacchino: 84n, 85n Lanzillotta, Luigi: 260, 264, 265 Lastella, Aldo: 199 László, Magda: 249, 258 Lazotti, Barbara: 260 Leister, Kerl: 269 Leoni, Maurizio: 112 Leoni, Stefano: 278 Leonori, Paolo: 258 Leopardi, Giacomo: 8, 10, 11, 38, 47, 48, 259 Levi, Carlo: 257 Liborio, Mariantonia: 255 Liguori Valenti, Bruna: 257 Locorriere, Antonio: 149, 256 Logue, Joan: 111, 255, 258, 259, 270 Lojodice, Leda: 283 Lolini, Ruggero: 281 Lombardi, Daniele: 15, 166, 170, 172d, 182,241d, 250, 266 Lombardi, Germano: 83n Lombardi, Luca: 15, 84, 170, 173, 251 Lombardi, Marco: 103n Lombardo, Sergio: 177, 178 Lomuto, Michele: 251, 268 Lonero, Monica: 269, 282 Lü Jia: 257 Lucrezio: 11 Lupone, Michelangelo: 255, 282 Lux, Simonetta: 14, 15, 148, 153, 178, 181,182, 182n, 184,196, 197, 250, 251, 265, 280 Macchi, Egisto: 18, 82,82n, 83, 286 83n,131,170, 249, 250, 268, 278 Macchi, Lamberto: 255 Maderna, Bruno: 61, 115, 158, 249 Madonna: 201 Maestri, Fabio: 261, 269, 282 Mahler, Gustav: 123 Maio, Antonello: 262 Majakovskij,Vladimir: 48, 251, 255, 273, 275 Malipiero, Gian Francesco: 248 Mallarmé, Stéphane: 37, 47, 86, 88, 89, 90, 92, 94, 94n,103, 106, 167, 168, 225, 255, 255n Manini, Giuseppe: 51, 248, 261, 273, 276 Mann,Thomas: 47, 52, 255 Mannos, Maria: 261 Manzoni, Giacomo: 259 Maraini, Dacia: 47, 251, 260 Mariani, Ariodante: 261 Marshall, Michael von Bieberstein: 261, 273, 274 Margoni, Ivos: 27, 27n Marinelli, Carlo: 250, 268 Marocchini, Enrico: 251, 255, 267 Marta: 189, 245d Martinotti: 283 Martusciello, Elio: 182 Marziale, Marco Valerio: 24, 46, 49, 53, 53n, 98, 198, 256, 272 Mascellini, Guido: 259 Mastropietro, Alessandro: 15, 81, 81n, 82n, 83n, 84n, 280 Mazzucchetti, Lavinia: 255 Melles, C.: 269 Menna, Giacomo: 261 Menotti, Giancarlo: 193 Michelangelo Buonarroti: 60,198, 261 Michaux, Henri: 73n, 136n, 139n, 140n, 143n, 144n, 146n Mietelski, Marek: 249 Minnucci, Biagio: 181 Mirolla, Miriam: 178 Moles, Abraham: 47, 48, 48n, 73n, 259 Molinari, Alessandro: 10n Mondelci, Federico: 267, 268 Montale, Eugenio: 156 Montefoschi, Paola: 32, 87n, 224n, 277 Monteverdi, Claudio: 10, 46, 186 Montori, S.: 282 Moral, Sükran: 201 Morelli, Gabriella: 282 Morelli, Giovanni: 45 Morikawa, Keiko: 112n, 183, 262 Morricone, Ennio: 15, 131, 176, 248, 250, 269, 273, 275, 282 Moscardelli, Francesco: 84n Mottola, Piero: 14, 15, 177,177n, 178n, 179d, 179n, 180,180d, 180n, 183, 183n, 198, 203d, 251, 270, 278, 282 Mozart, Wolfgang Amadeus: 10 Mrazova, Jana: 260 Munari, Massimo: 262 Mussio, Magdalo: 86 Natoli, Eduardo: 10n Nehaus: 152 Neri, Antonello: 166, 259 Neri, Guido: 136 Nicolai, Bruno: 170, 250, 263 Nicolini, Renato: 227 Nietzsche, Friedrich Wilhelm: 11 Nonnis, Franco: 37n, 82, 205d, 231d, 249 Nono, Luigi: 45, 99, 131, 204, 249, 263 Novelli, B.: 265 Olivetti, Magda: 149, 256 Olivetti Belardinelli, Marta: 178 Olivieri, Mario: 191 Oppo, Franco: 270, 273, 276 Ovidio: 11 Pachini, Paolo: 10n, 186 Pagliarani, Elio: 38 Palestrina, Pierluigi da: 46 Panni, Marcello: 170 Panofka, Heinrich: 186 Paolantoni, Rossella: 10n Paris, Daniele: 249, 257, 258, 262, 281, 283 Parmenide: 11 Pasolini, Pier Paolo: 52, 88,198, 250, 251, 259, 272, 274 Pavarotti, Luciano: 211 Pavone, Maria Chiara: 15,149,185, 244d, 255, 256, 258, 260, 261, 281 Pecora, Elio: 14, 15, 47, 156, 190, 251, 257 Pedercini, Osvaldo: 258 Penazzi, Bernardino: 182 Penna, Sandro: 47, 261, 273, 275 Pennisi, Francesco: 18, 82,113, 170, 237d, 269, 282 Perilli, Achille: 15, 81n, 86191 Pernaiachi, Gianfranco: 282 Perosa, Sergio: 99, 99n, 255, 259 Pessoa, Fernando: 12, 51, 60, 229, 251, 257, 272, 275, 279 Pestalozza, Luigi: 212 Petracchi, Franco: 258 Petrassi, Goffredo: 10, 13, 23, 25n, Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 287 INDICE DEI NOMI 59, 87, 117, 119, 130, 131,155, 156, 157, 170, 176, 178, 191, 204, 228, 228n, 229, 230, 234d, 242d, 243s,244d, 248, 256, 257, 262, 278, 279 Peverini, Luca: 261 Piano, Rossana: 257, 262 Piccolini, Elisabetta: 149, 256 Pierelli, Attilio: 15, 193 Piermarini, Giandomenico: 269 Pinochet Ugarte, Augusto: 36 Piperno, Franco: 10n Pisicchio, Michele: 112n Pirrotta, Nino: 45, 45n Pizzo, Giovanni: 15, 195, 200, 203d Pocar, Ervino: 137n, 141n Poce, Mario: 250, 259 Porena, Boris: 15, 204, 158, 235d, 248, 282 Porena, Ida: 248 Porta, Antonio: 37, 38, 88, 89, 94, 225, 255, 255n Pradella, Massimo: 157, 268 Prodigo: 266 Proietti, Giorgio: 10n Proietti, Ugo: 111, 255, 258, 260 Puxeddu, Marcello: 10n Quartucci, Carlo: 83n, 85 Ragni, Stefano: 264, 266, 278 Ravaglia, Paolo: 269, 282 Razzi, Fausto: 84, 170, 197, 281 Refice, Licinio: 250 Rella, Franco: 55, 55n, 257, 262 Remedi, Osvaldo: 263 Remondi, Claudio: 83n Renosto, Paolo: 170, 241d, 249, 263, 283 Rilke, Rainer Maria: 47, 52, 55, 140n, 143n,161,198, 251, 257, 262 Rimbaud, Jean-Nicolas-Arthur: 129 Rimoli, Francesco: 10n, 15, 186, 279 Roca, Augusto: 279 Rodighiera, Andrea: 147n Rogulja, Milica: 10n Rojac, Corrado: 269 Ronchetti, Lucia: 10n, 186 Ronga, Luigi: 248 Rosselli, Amelia: 155 Rossellini, Roberto: 8 Rossi, Alessandro: 256 Rossini, Gioachino: 222 Rotili, Paolo: 10n, 15, 22n, 58, 186, 279 Rozio, Claudio: 149 Ruggeri, Gianluca: 149, 256 Russo, Guido: 138n Russolo, Luigi: 277 Rzewski, Frederic: 83n Sabbatici, Adriano: 264 Sade, Donatien-Alphonse-Francois: 199 Sadie, Stanley: 278 Salazar, Álvaro: 268 Salm, Charlotte, 235d Salvatori, Luca: 269 Salviucci, Giovanni: 228 Salzman, Eric: 235d, 236d, 248 Salzman, Lorna: 235d, 248 Sanguineti, Edoardo: 24, 38, 39, 46, 47, 50, 54, 54n, 60, 84, 89, 95, 98, 198, 251, 260 Santoloci, Alfredo: 10n Sartori, Antonio: 248 Sassanelli, Fiorella: 279 Sasso, Giorgio: 261 Sasso, Guido: 261 Sbordoni, Alessandro: 170, 182, 250, 270 Scarponi, Ciro: 267 Scelsi, Giacinto: 19, 131, 152, 170, 228, 249, 251, 262 Schiaffini, Giancarlo: 166, 265, 281 Scimone, Claudio: 264 Schöffer, Nicola: 193 Schönberg, Arnold: 68, 157, 158, 178, 211, 217, 259 Schubert, Franz: 10, 12 Schumann, Robert: 10, 12, 156, 187, 268, 272, 276 Scimone, Claudio: 61 Scotellaro, Rocco: 24, 47, 98, 208, 257, 281 Scudero, Domenico: 14, 15, 182n, 280 Sebastiani, Fausto: 10n, 186 Serra, Alessandro: 137n Shakespeare, William: 11 Sicolo, Michele: 265 Silvestri, Edda: 267, 268 Simonacci, Giancarlo: 282 Sinisgalli, Leonardo: 24, 156, 208, 248 Smith, William O.: 258 Sordini, Ettore: 148 Spadolini, Annalisa: 260 Staël, Madame de: 259 Stanco, Alvaro: 234 Steinberg, Saul: 143n Stockhausen, Karlheinz: 191, 204 Stowe, Sara: 260 Stravinskij, Igor: 119, 178, 199, 228, 260, 272, 275 Subrizi, P.: 282 Tabucchi, Antonio: 257 Taddei, Claudio: 264 Taddei, Pablo Maximo: 112, 112n Tadini, Emilio: 258 Tallini, Arturo: 268 Tarkovskij, Andrej: 266, 272 Tau, Sergio: 82 Testa, Gaetano: 83n Tessitore, Floriana: 83n Thau Coen, Mirella: 163 Togliatti, Palmiro: 8 Togni, Camillo: 235d Torelli Landini, Enrica: 37n, 178n Tortora, Daniela: 9, 10n, 18, 18n, 21, 81n, 82n121, 185, 186, 277, 278, 279, 280 Tosti, Francesco Paolo:186 Totò, Andrea:10n Traverso, Leone: 140 Triantafillou, Alessandro: 10n Trythall, Richard: 237d, 249 Uitti, Frances Marie: 103, 265, 281 Ungaretti, Giuseppe: 151, 153, 156 Vaffier, M.: 260 Valente, Erasmo: 174, 175n, 279 Valobra, Franco: 82 Varèse, Edgar. 19, 119, 182 Verrengia, Andrea: 10n Vetta, Massimo: 32, 88n, 224n, 277 Villa Rojo, Jesus: 229, 237d, 263 Villatico, Dino: 279 Viri, Giuseppe: 264 Vittorini, Elio: 22, 23, 97n Volpi Kellermann, Edoardo:10n Webern, Anton: 18, 29n, 119, 217 Weiss, Lauren: 268 Whitman, Walt: 24, 99, 208, 248 Wordsworth, William: 99 Wright, Richard: 24, 208, 248 Yates, Frances Amelia: 114 287 Bortolotti.qxd 14-11-2006 10:27 Pagina 288 Francesco Guadagnuolo, Ritratto di Mauro Bortolotti, 2006 (originale a colori) Prova 15-11-2006 12:31 Pagina 2 Prova 15-11-2006 12:31 Pagina 2 Prova 15-11-2006 14:48 Pagina 5 AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su www.aracneeditrice.it 0875 inizio-fine.qxd 21-05-2007 11:28 Pagina 6 Finito di stampare nel mese di gennaio del dalla «Ermes. 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