LA NOSTRA STORIA
1944: come 183 lavoratori della Pirelli
divennero “schiavi di Hitler”
Un convegno e una mostra sul lavoro e la deportazione nella seconda guerra
mondiale a cura dell’Anpi di Pratocentenaro.
Teresa Garofalo
uel venerdì 23 novembre c’era sciopero ma
“Q
da due giorni io e altri due eravamo ai magazzini Pirelli di Balsamo dove facevo il magazziniere. Lì non hanno fatto sciopero. Siamo rientrati poi alla Pirelli Bicocca. Verso mezzogiorno prendo la mia borsa con dentro un po’ di mangiare e
con gli altri mi avvio verso l’uscita perché la mensa era fuori dalla portineria, sul viale Sarca. Mi ricordo ancora che vicino alla portineria c’era una
grossa buca fatta da una bomba. Eravamo lì tranquilli e vedo che vengono dietro dai cancelli le Ss
e i fascisti. Vengono dentro, mi sento puntare il
mitra addosso. Entrano nel cortile dei camion e ci
caricano su. Eravamo in tanti. Ci hanno portati
via così, con la nostra tuta da lavoro”.
Così racconta nella sua testimonianza Pietro
Lampugnani, uno dei 183 lavoratori della Pirelli
rastrellati all'interno della fabbrica quel tragico
23 novembre 1944. Addossati ai muri e malmenati, gli uomini furono a forza fatti salire sui camion e condotti al carcere di San Vittore. A cinque giorni dall’arresto 156 di loro partirono dallo scalo Farini di Milano, 3 riuscirono a evadere
dai vagoni piombati durante il viaggio verso la
Germania, 153 finirono ad essere immatricolati
in vari campi di lavoro tedeschi.
“Io e altri della Pirelli - continua Lampugnani siamo arrivati prima al campo di smistamento di
Erfurt, dove ci hanno dato una specie di libretto di
lavoro e poi siamo partiti subito per Kahla. Quelli
che sono morti nel campo di lavoro di Kahla, sono
morti tutti di fame”. Nelle gallerie di Kahla, in
Turingia, dove si costruivano i caccia Messerschmitt 262, una delle armi segrete dei nazisti,
con Lampugnani giunsero altri 24 compagni, 8 di
loro non tornarono più a casa. Utilizzati come mano d'opera schiavizzata nelle fabbriche del Reich i
lavoratori della Pirelli arrestati nella retata del
23 novembre furono dunque destinati non a
Mauthausen o ad altri campi di concentramento,
ma ai Kl, veri e propri lager camuffati da campi di
lavoro, di cui la Germania era costellata. Lo sforzo bellico tedesco, ormai è acclarato, è stato reso
possibile dall’impiego via via sempre più ampio di
braccia straniere strappate ai territori occupati.
Dal 1942 alla fine del conflitto, tuttavia, il sistema
concentrazionario asservito all’economia di guer-
ra del Terzo Reich si ampliò enormemente e varie
ne furono le cause. In primo luogo le altissime
perdite subite dalla Wehrmacht sul fronte orientale rendevano necessario un numero sempre
maggiore di soldati e questo costringeva i dirigenti nazionalsocialisti a sottrarre alle attività produttive sempre più manodopera che doveva essere perciò rimpiazzata. I bombardamenti alleati,
poi, sempre più intensi e massicci, distruggendo
intere città, arrecavano danni enormi alle fabbriche e alla produzione bellica del paese, che di armi aveva grande necessità.
Nel 1944, ormai allo stremo, la Germania aveva
individuato nella produzione dei caccia il modo
per risollevare le sorti del conflitto. Occorreva però ricostruire nel più breve tempo possibile le officine distrutte e trasferire le produzioni industriali in luoghi più sicuri, in gallerie sotterranei ad
esempio. Per questo serviva tanta manodopera
qualificata, che i tedeschi reclutavano nei paesi
sottomessi. Quanti sono stati gli italiani impiegati forzatamente nella produzione bellica, nell’industria e nell’agricoltura della Germania di Hitler è ancora da verificare, certamente tantissimi,
un esercito di lavoratori coatti le cui dolorose vicende non sono molto dissimili da quelle subite
dai deportati nei campi di concentramento. Una
storia complessa ancora tutta da indagare questa degli “schiavi di Hitler”, tema dell’interessante convegno “Arbeit Macht Frei - Lavoro e deportazione nella seconda guerra mondiale”, tenutosi presso la Biblioteca Dergano Bovisa di
via Baldinucci lo scorso 23 novembre. Organizzato da Inge Rasmussen, presidente dell’Anpi
Pratocentenaro, il convegno ha richiamato un
vasto pubblico attratto dalla rilevanza dell’argomento e dalla personalità dei relatori, storici e
studiosi di grande competenza come Antonio
Barberini del Centro Filippo Buonarroti, Giuseppe Valota dell’Aned di Sesto San Giovanni,
Valter Merazzi del Centro Schiavi di Hitler e
della stessa Inge Rasmussen. Le relazioni, che
hanno rivelato un aspetto della dittatura fascista e nazista ai più del tutto sconosciuto, efficacemente supportate da un’ampia mostra sull'argomento, sono state molto apprezzate da un
pubblico interessato e partecipe.
Ciao, Nicoletta, amica e compagna
di tante battaglie
Nicoletta Delfino, è morta a 59 anni stroncata da un tumore fulminante.
Michele Michelino ([email protected])
o conosciuto Nicoletta nei primi anni ’70
H
quando, ancora giovanissima, lottava per i
diritti dei lavoratori e dei popoli oppressi.
Erano gli anni dello Statuto dei Lavoratori, ma
anche gli anni delle stragi fasciste e reazionarie: Piazza Fontana (17 morti e 88 feriti); strage di Brescia (piazza della Loggia, 8 morti);
bomba sul treno Italicus a Bologna (12 morti).
Ci vedevamo spesso nei cortei e manifestavamo
per gli stessi ideali di libertà e solidarietà.
Siamo diventati grandi e Nicoletta non ha mai
tradito i suoi ideali. Mi capitava spesso di incontrarla alle manifestazioni e quando, nel
1997 da Sesto San Giovanni sono venuto ad
abitare nelle case della Cooperativa in via Val
di Ledro, abbiamo ripreso a frequentarci. Ci vedevamo alle iniziative degli operai della Breda
contro l’amianto a Sesto, nella sede dell’Anpi
“Sezione Martiri Niguardesi” a Niguarda o ci
fermavamo, per strada, a raccontarci i nostri
problemi e a scambiarci idee, progetti, opinioni.
Nicoletta era molto conosciuta a Niguarda.
Una donna altruista che aveva sempre una parola di conforto, che trovava sempre un minuto
per aiutare chi aveva bisogno - bambini o anziani - come sanno bene le mamme della scuola di via Cesari. La conoscevano bene anche i
lavoratori del “binario 21” della stazione centrale di Milano rimasti sulla torre per mesi per
difendere il posto di lavoro: Nicoletta era sempre là, ogni volta che poteva, a portare di persona la sua solidarietà.
Lo scorso agosto, al ritorno da un viaggio in
Palestina (faceva parte di una delegazione
italiana che aveva portato solidarietà e medicinali al martoriato popolo palestinese),
ha accusato disturbi ed è stata curata per
infezione intestinale con antibiotici e corti-
sone, mentre il tumore che l’avrebbe uccisa
la divorava indisturbato.
Il 27 ottobre scorso Nicoletta stava già male, ma non ha voluto mancare alla manifestazione in solidarietà al popolo cubano indetta dall’Anpi e da Italia Cuba: in corteo,
insieme ancora una volta, con altre migliaia
di persone, a condividere gli ideali e le lotte
di una vita intera.
Nicoletta è stata una donna combattiva, una
compagna che ha sempre lottato in prima fila
per gli interessi degli sfruttati, nelle lotte in
fabbrica, sostenitrice della causa palestinese,
militante antifascista dell’Anpi di Niguarda e
del Comitato per la Difesa della Salute nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Sesto S.
Giovanni. Anche quando lavorava a Torino, alla Fiat, non ha mai chinato la testa davanti al
padrone e alle ingiustizie. In prima fila nelle
battaglie in fabbrica, comunista, ha sempre lottato pagando di persona per la sua militanza.
Espulsa negli anni ‘80 dalla Fiat e trasferitasi
a Milano, è stata poi costretta a fare lavori precari. La sua scomparsa ha provocato uno strappo profondo nella vita di tutti coloro che hanno
conosciuto il suo calore, la sua generosità e la
sua determinazione nel lottare contro le ingiustizie. In un mondo che ci vuole egoisti, preoccupati solo per i nostri piccoli, o grandi, problemi; in un mondo che ci spinge a vivere soli, senza accorgerci di chi ci sta vicino e ha i nostri
stessi problemi, dove la solidarietà e la generosità sono spesso parole vuote, persone come
Nicoletta restituiscono a queste parole il loro
vero e concreto significato e sono un esempio da
tenerci stretto, come la generosità e il calore
che ci lascia il suo esempio. Ciao Nicoletta, amica e compagna di tante battaglie.
Silvana Scaravelli
in mostra al Teatro della Cooperativa
Esposto anche un dipinto sui martiri di Piazzale Loreto, tra cui i niguardesi
Vitale Vertemati e Libero Temolo. L’evento sarà dedicato ad Alberto Codevilla.
Angelo Longhi ([email protected])
Ricordi di guerra
“Un sommergibile, una ragazza e una tradotta militare nel mio destino.”
Dante Pasi
ra lo posso dire: il destino è spesso segnato. Mi
O
ricordo quanto successe nel novembre del 1942.
Ero appena uscito dal corso di sommergibilista a
Pola nell’attuale Croazia che allora era parte dell’Italia. Vengo trasferito a Fiume. Dopo alcuni giorni
ricevo l’ordine di presentarmi al porto a bordo del
sommmergibile “Onice” alle ore 24 precise. Essendo
l’ultima serata, pensai, a terra, con alcuni marinai
brindammo e giù grandi bevute di vino rosso. Insomma, m’imbarcai e mi presentai al comandante e
dissi: “Matricola 58592, ho fatto il corso di idrofonista, sono a disposizione.” In pratica facevo servizio al
telegrafo di bordo sulla torretta. Il comandante dava
gli ordini e io trasmettevo ai miei compagni alle
macchine tramite il telegrafo: pari avanti mezza, pari avanti tutta, timone a driitta o altro.
Un giorno, nel porto di Trapani, incontrai una ragazza, poi rivelatasi essere una prostituta, che mi regalò una blenorragia. Così fui ricoverato per quasi un
mese. Il dottore che mi curava mi dimise dicendomi
che era inguaribile, per cui secondo lui avevo sì e no
dieci anni di vita. Al mio rientro in porto l’Onice non
c’era più:era partito in missione.Ebbi l’ordine di rag-
ONA NOVE 18
giungerlo via terra, mediante una tradotta militare,
a Napoli, dove avrei potuto ritornare a bordo.
Alla stazione vidi che la tradotta che dovevo prendere era formata da carri bestiame con la paglia e
da tre vagoni di terza classe. Decisi di sistemarmi
nel terzo vagone vicino ai carri per le truppe, ma
a Palermo, quando si imbarcarono parecchi giovani ufficiali freschi di nomina, fui costretto a trasferirmi in uno dei carri bestiame. Qui mi distesi a
terra con lo zaino come guanciale e mi addormentai. Fui svegliato da un tremendo boato. Il treno
era andato a sbattere contro un grosso locomotore che trasportava materiale bellico. Quando scesi dal vagone vidi la strage. Contai 27 ufficiali distesi a terra morti e le tre vetture di terza classe
completamente distrutte.
Dopo molte ore altri treni tradotta vennero a
raccogliere noi superstiti e finalmente arrivai a
Napoli, dove, precipitatomi alla caserma del porto, seppi che l’Onice era stato silurato all’ingresso del porto di Cagliari da un sottomarino inglese, e non si era salvato nessuno. Ora lo posso dire: il destino è spesso segnato.
ilvana Scaravelli, nota pittrice niguardese, dal 10
S
al 17 dicembre terrà al Teatro della Cooperativa
una mostra dei propri dipinti, che lei ha voluto dedicare ad Alberto Codevilla, compianto presidente
dell’Anpi di Niguarda, recentemente scomparso.
Una delle tele più importanti della mostra è ispirata
all’eccidio di 15 milanesi avvenuto per mano fascista
in Piazzale Loreto: il 10 agosto 1944 un plotone della legione Muti, comandato dal capitano Pasquale
Cardella, fucila i Quindici, scelti tra i detenuti nel
carcere di San Vittore. L’ordine è impartito dal capitano della Gestapo Theodor Saevecke e girato, per la
parte operativa, al colonnello Pollini della Guardia
nazionale repubblicana. Al momento di portare i
Quindici sul luogo della fucilazione, alle 430 del mattino, furono loro distribuite delle tute da operai per
far credere che li avrebbero trasferiti a lavorare per
la Todt. Sul libro matricola del carcere c’è infatti l’annotazione “Partiti per Bergamo”, città normalmente
stazione di passaggio per i campi di lavoro e di sterminio in Germania. I nazisti dispongono che i corpi
martoriati restino esposti per l’intera giornata. Da
piazzale Loreto passavano i tram bianchi che scendevano, stracolmi di viaggiatori, dai paesi della
Brianza. I tram furono fermati dalle Brigate Nere e
i lavoratori furono costretti a scendere e a sfilare davanti a quel povero mucchio di cadaveri, guardati a
vista dai fascisti armati fino ai denti, pronti ad arrestare chi avesse tentato di protestare o che solo avesse osato compiere un atto di pietà. Appena si diffonde la notizia dell’eccidio, gli operai di alcune fabbriche milanesi fermano il lavoro.Alla Pirelli i lavoratori innalzano un grande cartello con la scritta “Temolo”.Tra i Quindici martiri di piazzale Loreto ricordiamo infatti, oltre al niguardese Vitale Vertemati, il responsabile milanese del Partito d’Azione ing. Umberto Fogagnolo,l’operaio della Pirelli Libero Temolo.
Il 15 dicembre alle ore 18, l’Anpi di Niguarda e
Silvana Scaravelli invitano i niguardesi a incontrare
i figli di Temolo e Fogagnolo che saranno presenti
presso il Teatro della Cooperativa. Per ricordare insieme a loro quei fatti che per alcuni sono forse ormai lontani ma che per noi sono importanti da ricordare. Perché è proprio in periodi avvilenti come questo che è importante sapere che “l’Italia è una cosa
seria costruita e difesa da generazioni che vi hanno
creduto sino alla fine. E ci pare impossibile che siano
esistiti uomini e donne per cui l’Italia era un ideale
che valeva la vita, e per cui ‘viva l’Italia’ furono le ultime parole.” (Aldo Cazzullo).
Anziani, attenti ai truffatori! Non fate entrare sconosciuti in casa vostra.
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