MODELLO DI FORMAZIONE ........................................................................................................................................ 1
Presentazione ...................................................................................................................................................................... 1
Le politiche europee per l’occupazione .............................................................................................................................. 2
Le linee direttive............................................................................................................................................................. 2
I tassi di occupazione...................................................................................................................................................... 3
L’occupazione delle donne. ............................................................................................................................................ 5
L’occupazione degli anziani ........................................................................................................................................... 5
La situazione nazionale....................................................................................................................................................... 5
Il mercato del lavoro....................................................................................................................................................... 5
I numeri del mercato del lavoro...................................................................................................................................... 7
La situazione regionale ....................................................................................................................................................... 8
I numeri del mercato del lavoro...................................................................................................................................... 8
Comparazione dell’andamento del M.d.L. Nazionale e Regionale nel 2003................................................................ 10
Occupati dipendenti .................................................................................................................................................. 11
Occupati indipendenti............................................................................................................................................... 11
Occupati totali........................................................................................................................................................... 11
La situazione occupazionale distinta per genere........................................................................................................... 11
La disoccupazione di lunga durata................................................................................................................................ 11
Forme contrattuali atipiche ........................................................................................................................................... 12
Part-time e terziarizzazione .......................................................................................................................................... 12
Comparazione dei numeri (Emilia Romagna e Italia)....................................................................................................... 14
L’occupazione .............................................................................................................................................................. 14
la disoccupazione.......................................................................................................................................................... 15
Comparazione dei numeri con l’UE ................................................................................................................................. 15
L’occupazione .............................................................................................................................................................. 15
La disoccupazione ........................................................................................................................................................ 16
I Cambiamenti del Mercato del lavoro ............................................................................................................................. 16
La riforma del mercato del lavoro .................................................................................................................................... 18
La qualificazione dei sistemi di formazione ..................................................................................................................... 19
MODELLO DI FORMAZIONE
Demografia e sviluppo delle politiche educative/istruzione/formazione professionale e del
lavoro. (sviluppo dei contenuti necessari per la costruzione del relativo percorso di formazione per
operatori della Pubblica Amministrazione inseriti nei sistemi di istruzione e formazione
professionale e nello sviluppo delle politiche attive del lavoro)
Presentazione
Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad una forte ripresa dell’economia mondiale, oggi, però,
dobbiamo notare un rallentamento di questa espansione, per cui il 2005 presenterà una crescita, se
crescita ci sarà, molto più lenta del previsto.
I fattori che determinano questo rallentamento possono essere considerati nel forte aumento del
prezzo del petrolio, ad una stagnazione delle economie asiatiche e statunitense e anche
all’inasprimento della guerra in Iraq, alle discussioni e alle votazioni per la Costituzione europea,
alle aspettative non realizzate pienamente con l’avvento del mercato unico e dell’euro.
Gli Stati Uniti dopo una evoluzione più che positiva nel periodo 1993-2002 con una crescita
complessiva del 32,8%, sta ora mostrando segnali di cedimento, in particolare si assiste ad un
ridimensionamento della produzione industriale e degli investimenti.
L’area dell’euro ha accusato il rallentamento americano più di quanto si potesse pensare, infatti
l’occupazione non è più in crescita, la produzione industriale è rallentata notevolmente e il prodotto
interno lordo (pil) è praticamente stazionario (+0,1%).
In Giappone, causa un forte rallentamento del commercio internazionale, persiste una crisi
economica e finanziaria; non accenna a fermarsi il processo di deflazione e si assiste ad un processo
di sofferenza del sistema bancario. L’economia giapponese è in recessione.
1
Le politiche europee per l’occupazione
Le linee direttive
Da diverso tempo l’UE dedica molta attenzione alle politiche del lavoro, è infatti nel 1997 nel corso
del vertice di Lussemburgo che è stata lanciata una Strategia Europea per l’Occupazione (SEO),
poi successivamente nel corso degli anni riadattata alle nuove esigenze comunitarie, con l’obiettivo
di arginare il problema della disoccupazione che presentava dati molto allarmanti: + di 17 milioni di
disoccupati con una forte preponderanza di donne, giovani, anziani e persone con svantaggi
specifici.
Nel marzo del 2000 si è svolto il Consiglio straordinario di Lisbona dove è stato deciso la
transizione inderogabile verso una economia basata sulla conoscenza.
In Portogallo, infatti, la Ue ha preso una decisione storica: trasformare il Vecchio Continente
nell'«economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo» (citiamo
testualmente dalle Conclusioni del vertice).
L’obiettivo è quello di raggiungere un progetto politico e strategico che vede nella creazione di una
economia basata sulla “conoscenza” ed il “sapere” la sua struttura portante che può svilupparsi solo
attraverso l’innovazione delle politiche del lavoro.
A Lisbona è stata individuata una lista di punti deboli che toccano il mondo del lavoro di tutti gli
Stati membri: il livello eccessivo della disoccupazione e, in particolare, della disoccupazione di
lunga durata (la metà dei senza lavoro in Europa non ha un impiego da più di un anno);
l’insufficienza della partecipazione femminile al mercato del lavoro; il cattivo funzionamento del
mercato stesso, ossia un rapporto inefficace tra domanda e offerta di manodopera; l’invecchiamento
della popolazione; il permanere di forti squilibri regionali.
Emerge in modo lampante il ruolo di una economia competitiva, dinamica e capace di investire
sulla intelligenza e sul sapere, ma soprattutto si ribadisce la necessità di ottimizzare il modello
sociale europeo attraverso una migliore qualificazione dei sistemi di istruzione e di formazione.
Le conclusioni del Consiglio di Lisbona si concentrano su quattro settori fondamentali:
1. migliorare la capacità di inserimento professionale;
2. qualificare maggiormente l’istruzione e la formazione permanente (lungo tutto l’arco della
vita);
3. aumentare l’occupazione nei servizi;
4. promuovere la parità di opportunità sotto tutti gli aspetti.
“Il Consiglio europeo negli “orientamenti per l’occupazione” ha indicato la piena occupazione
come uno degli obiettivi generali della politica occupazionale e sociale dell’Unione europea. Esso
ha imposto agli Stati membri il raggiungimento dell’obiettivo strategico che consiste nel fare
dell’Unione l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di
realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore
coesione sociale.
Per il raggiungimento di questi obiettivi è necessario che gli Stati membri approntino strategie
macro economiche, riforme strutturali che promuovano mercati del lavoro adattabili e flessibili,
innovati e competitivi con uno Stato sociale attivo capace di promuovere lo sviluppo delle risorse
umane, la partecipazione, l’integrazione e la solidarietà.
Le sfide fondamentali stabilite nel processo di Lussemburgo sono:
- Preparare la transizione verso una economia basata sulla conoscenza;
- Approfittare dei vantaggi offerti dalle nuove tecnologie;
- Investire sulle persone combattendo l’emarginazione e promovendo le pari opportunità.
Le indicazioni della Commissione europea per il raggiungimento della piena occupazione sono
definite nelle linee guida che riguardano l’adozione di obiettivi orizzontali che, insieme ai
tradizionali quattro pilastri, costituiscono la strategia globale europea.
Obiettivi orizzontali:
- Migliorare le opportunità occupazionali fissando obiettivi nazionali per l’aumento del tasso
di occupazione allo scopo di contribuire al raggiungimento, entro il 2010 di un tasso di
2
occupazione complessivo del 70% e un tasso di occupazione femminile del 60% (come
obiettivi intermedi nel 2005 67% il complessivo e 57% quello femminile) tenendo conto,
anche, di migliorare la qualità dei posti di lavoro;
- Elaborare strategie globali e coerenti in tema di apprendimento lungo tutto l’arco della vita,
al fine di aiutare gli individui ad acquisire e ad aggiornare le loro capacità professionali per
fare fronte ai cambiamenti economici e sociali nell’intero ciclo della loro esistenza;
- Collaborazione con le parti sociali per un monitoraggio continuo della strategia per
l’occupazione;
- Approntare politiche nazionali per l’occupazione tenendo debitamente conto dei quattro
pilastri fondamentali (Occupabilità, Imprenditorialità, Adattabilità, Solidarietà).
I quattro pilastri chiave:
- 1 Occupabilità – facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro:
- 2 Imprenditorialità – creare le condizioni per la nascita e lo sviluppo delle imprese;
- 3 Adattabilità – preparare gli individui e le imprese ai cambiamenti della società;
- 4 Pari opportunità –migliorare l’accesso e la partecipazione delle donne al mercato del
lavoro.
I tassi di occupazione
Le situazioni occupazionali relative ai singoli paesi sono ancora diverse, ma il tasso di occupazione
complessivo dell’UE è di soli 3 punti percentuali inferiore all’obiettivo del 67% fissato per il 2005,
mentre al tasso di occupazione femminile mancano poco più di 2 punti percentuali per raggiungere
l’obiettivo del 57% entro il 2005.
Il tasso per i lavoratori anziani è aumentato di quasi un punto percentuale dal 2000, ma rimane
comunque a 11 punti percentuali dall’obiettivo del 50% da raggiungere entro il 2010.
In definitiva tra il 2000 e il 2001 il tasso complessivo di occupazione è aumentato dello 0,6%,
quello delle donne dello 0,9% e quello degli anziani dello 0,8%.
I paesi che presentano i risultati migliori, con tassi di occupazione superiori al 70%, sono
Danimarca, Olanda, Svezia e Inghilterra, mentre i paesi che presentano i tassi più bassi sono ancora
Italia, Spagna e Grecia. (vedi tab. 1)
Tabella 1:Tassi di occupazione in Europa
Tassi di occupazione nel 2001
In
Donne Lavoratori
generale
anziani in
generale
Austria
68,4
60,1
28,6
Belgio
59,9
50,5
24,1
Germania 65,8
58,8
37,7
Danimarca 76,2
72,0
58,0
Spagna
56,3
41,9
38,9
Finlandia 68,1
65,4
45,7
Francia
63,1
56,1
31,0
Grecia
55,4
40,9
38,0
Irlanda
65,7
55,0
46,8
Italia
54,8
41,1
28,0
Lussemb. 62,9
50,9
24,4
Olanda
74,1
65,2
39,6
Portogallo 68,9
61,1
50,3
Svezia
70,9
69,4
64,9
Inghilterra 71,7
65,1
52,3
EU-15
63,9
54,9
38,5
Crescita % rispetto al 1997
Lavoratrici Lavoratori In
Donne Lavoratori
anziane
anziani
generale
anziani in
generale
17,9
40,0
0,6
1,5
0,1
14,3
34,4
3,0
4,0
2,0
29,5
46,1
2,1
3,5
0,4
49,8
65,5
1,3
2,9
6,3
21,8
57,4
8,1
8,3
5,4
44,8
46,7
4,8
5,1
10,0
26,7
35,4
3,6
3,7
1,9
22,5
55,0
0,3
1,6
2,9
28,8
64,7
8,2
9,1
6,5
16,2
40,4
3,6
4,7
0,1
14,0
34,8
3,0
5,6
0,5
28,0
51,1
6,1
7,8
7,8
40,6
61,6
4,9
5,0
3,0
62,2
67,7
3,6
3,8
4,7
43,1
61,7
1,7
1,9
4,0
28,8
48,6
3,4
4,3
2,2
Fonte: Eurostat, Indagine sulle forze di lavoro (dati trimestrali sulle forze di lavoro – QLFD)
3
Nel 2004, l'occupazione nell'Europa a 25 è aumentata solo dello 0,3% e nel 2005 arriverà appena al
+0,8%. Resta stabile, intorno al 9%, il livello di disoccupazione.
Il tasso di occupazione in Europa è del 63,9%, ancora distante quindi dal 70% fissato dagli obiettivi
di Lisbona. Un traguardo che, ammette la Commissione, diventa un vero e proprio 'miraggio’. Per
raggiungere l'obiettivo, infatti, l'occupazione dovrebbe crescere mediamente tra l'1,3% e l'1,6% ogni
anno fino al 2010. Vale a dire circa 10 volte di più della crescita di quest'anno. Almeno un quarto
degli Stati membri rischiano di non raggiungere la meta.
Diminuisce il tasso di disoccupazione in Europa, l'Italia con cinque regioni fuori media.
L'indagine Eurostat sulla Disoccupazione nella UE e nei Paesi dell'Europa centrale candidati
all'adesione (indica tassi di disoccupazione regionali compresi tra l'1,2% e il 33,3% nella UE nel
2001. Simile lo scarto tra Paesi dell'Europa centrale e la UE: dal 2,0% al 32,8%.
Il tasso più basso è quello registrato nella regione di Utrecht nei Paesi-Bassi 1,2%; mentre quello
più alto, del 33,3% è registrato nella regione della Réunion in Francia.
I tassi di disoccupazione regionali sono comunque diminuiti tra l'aprile 2000 e l'aprile 2001 in più
dell'80% delle 209 regioni dell'Unione Europea.Sulle 209 regioni della UE osservate, nell'aprile
2001 ben53, di cui circa un terzo nel Regno Unito registrano un tasso di disoccupazione inferiore o
uguale al 3,8%, pari alla metà della media UE:Soltanto Grecia, Spagna e Francia non presentano
nessuna Regione con un tasso di disoccupazione inferiore o uguale alla metà della media
dell'Unione Europea, e nemmeno la Danimarca che costituisce una sola regione.
All'estremo opposto sono 16 le regioni che presentano un tasso di disoccupazione superiore o
uguale al 15,2%, cioè il doppio della media europea: 5 regioni in Italia, 4 in Francia (Dipartimenti
d'Oltre mare), 3 in Germania e Spagna e una in Grecia.
La disoccupazione giovanile, nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, sempre secondo le stime di
Eurostat a febbraio 2005 in Europa erano senza lavoro complessivamente 12,8 milioni di persone
nella zona Euro e 19,1 milioni nell'Ue-25. Nello stesso mese il tasso di senza lavoro tra i giovani di
meno di 25 anni si e' attestato a 18,5% nella zona Euro e al 18,8% nell'Unione europea (rispetto al
18,0% e al 18,8% del febbraio 2004), con i livelli più bassi in Danimarca (7,4% a gennaio) e in
Olanda (7,4% a dicembre 2004) e quelli piu' elevati in Polonia (37,6%), Slovacchia (28,8%), Grecia
(26,3% a settembre 2004) e in Italia (24,0% a dicembre 2004).
Il mercato del lavoro europeo presenta la caratteristica della femminilizzazione, essendo le donne
le principali beneficiarie della crescita occupazionale.
Tuttavia il loro tasso di occupazione del 54,9% rimane ostinatamente inferiore a quello degli uomini
di circa il 19%.
Infine la partecipazione al mercato del lavoro dei lavoratori anziani (aventi più di 55 anni) registra
un dato molto basso (38,5%).
La Commissione Europea nel Memorandum sull’Istruzione e la Formazione Permanente sottolinea
come nel panorama del M.d.L. europeo in rapida e continua trasformazione, l’accelerazione dei
mutamenti tecnologici ed organizzativi, associati agli effetti demografici, deve assumere un ruolo
centrale e fondamentale la Formazione continua e raccomanda la sua estensione lungo tutto l’arco
della vita attiva. Formazione continua a sostegno delle imprese, particolarmente le PMI, per essere
preparate alle sfide del mercato e per avere maggiore competitività sviluppando strategie per
realizzare organizzazioni moderne e flessibili, a favore dei lavoratori occupati per attività formative
di qualificazione e/o riqualificazione professionale al fine di garantire loro un’occupazione sicura,
ma anche al servizio dei disoccupati di lunga durata, in quanto lunghi periodi di disoccupazione
rendono via via più difficile il rientro nel M.d.L. e il bagaglio delle capacità professionali diventa
obsoleto con il passare del tempo nello stato di disoccupazione. Il rischio per queste persone,
uomini e donne, è quello dell’emarginazione sociale e professionale.
4
L’occupazione delle donne.
E’ opportuna la considerazione che nel Summit di Stoccolma del marzo 2001, il Consiglio Europeo
ha indicato alcuni importanti obiettivi per affrontare la crescita dell’occupazione. I paesi membri
dovrebbero, entro il 2005, conseguire un tasso di occupazione del 57% per le donne e del 67% per il
totale della popolazione in età da lavoro. Inoltre, per la popolazione della classe di età fra i 55 e i 64
anni, l’obiettivo fissato a Stoccolma è un tasso di occupazione del 50% da conseguirsi entro il
2010.
Il tasso di occupazione medio dell’Unione Europea nel 2003 è del 69,3% (era il 61% nel 1998)
mentre quello femminile è oltre 14 punti percentuali inferiore (55,0% contro il 51,2% nel 1998).
Si tratta, dunque, nella media europea di una distanza rispetto agli obiettivi del 2% per le donne e
del pieno raggiungimento per uomini e donne.
L’occupazione degli anziani
Per quanto riguarda il tasso di occupazione degli anziani (fra i 55 e i 64 anni), il tasso medio
dell’Unione Europea è del 40,2% (9,87 punti di distanza dall’obiettivo 2010), con valori
differenziati che vanno da circa 30% in Belgio, Lussemburgo, Italia, Francia ed Austria (20 punti di
distanza dall’obiettivo) fino a livelli superiori al 50% (e quindi già in regola con il 2010) per Svezia,
Danimarca, Portogallo e Regno Unito.
La situazione nazionale
Il mercato del lavoro
Alla luce di quanto esposto dalla Commissione europea è doveroso evidenziare che lo scenario
italiano del M.d.L. presenta delle difficoltà in quanto rileva un tasso di occupazione che è ancorato
al 53,5% (libro bianco sul mercato del lavoro in Italia) con un ritardo notevole rispetto a tutti gli
altri paesi europei. In Italia, si può individuare la debolezza dello sviluppo del lavoro nel
mezzogiorno, che dista dagli attuali livelli medi dell’UE di oltre venti punti percentuali sia sul totale
che sulla componente femminile. L’obiettivo europeo, come precedentemente evidenziato, è quello
di avvicinare un tasso di occupazione attorno al 70% nel 2010, per cui appare evidente che le
caratteristiche del nostro M.d.L. abbiano ancora tanta strada da percorrere prima di raggiungere
questo obiettivo. Infatti la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata, la concentrazione della
disoccupazione nel Mezzogiorno e la scarsa occupazione dei soggetti svantaggiati (donne,
disoccupati di lunga durata in particolare quella anziana) stanno ad indicare punti di criticità
strutturale della nostra economia che, se non affrontati possono rappresentare una limitazione di
competitività all’interno della Comunità. L’Italia è il paese europeo che presenta il più basso tasso
di occupazione, specialmente femminile, il più alto livello di disoccupazione di lunga durata e il più
marcato divario territoriale, per cui le raccomandazioni dell’Unione Europea rivolte all’Italia si
sono soffermate sulla difficile situazione in cui versa il M.d.L. e sulla ormai insufficienza delle
politiche adottate, consigliando l’adozione di interventi in grado di modificare sostanzialmente e
positivamente la situazione; infatti il tasso di occupazione italiano rimane sempre di 10 punti
percentuali al di sotto della media europea ed è il più basso fra tutti i paesi dell’UE. Le grandi sfide
sono quelle legate:
- allo sviluppo occupazionale del mezzogiorno mettendo a disposizione risorse per gli investimenti
e per l’allargamento delle attività produttive e di servizi;
- alla necessità di legare l’aumento occupazionale con un miglioramento della qualità del lavoro,
infatti la scarsa qualità del lavoro in Italia è insita nei differenziali occupazionali, ma soprattutto
nell’ampia fascia di lavoro sommerso, irregolare e clandestino che contribuisce a creare condizioni
di esclusione sociale e di sotto utilizzo delle risorse umane;
- alla capacità di governare il cambiamento, ovvero ridisegnare un sistema di politiche del lavoro
che non si focalizzino più sul singolo posto di lavoro ma sull’occupabilità e sull’efficienza
dell’incontro tra domanda e offerta. In prospettiva un numero crescente di persone, nel corso della
5
propria vita, cambierà lavoro, per cui vivere di lavori vuol dire organizzare un sistema più
sofisticato e coerente di tutele e sostegni verso la singola persona;
- alla esigenza di una maggiore efficienza ed efficacia del collocamento e dei servizi per l’impiego
al fine di gestire meglio e con maggiore professionalità l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Ma il vero, grande investimento, per convivere con il lavoro che “cambia” e con le grandi e
dinamiche innovazioni (la tecnologia, l’organizzazione del lavoro, il mercato, ecc.), è la
FORMAZIONE. In particolare la formazione continua e permanente va promossa e incentivata,
perché lavorare e studiare si alterneranno nella vita delle persone come eventi normali e non più
eccezionali. La Commissione Europea nel Libro Bianco “Crescita, competitività ed occupazione”
di J. Delors stabilisce che non è possibile prevedere politiche di sviluppo occupazionale
prescindendo dagli interventi sulle risorse umane che si configurano come attività di formazione
adeguate alle evoluzioni del mondo produttivo, per cui la Formazione rappresenta una, se non la più
importante, politica attiva che può dare dinamicità e sostegno strutturale al M.d.L.. La formazione
deve quindi “accompagnare il lavoratore lungo tutto l’arco della sua vita lavorativa”.
Pur trovandoci di fronte ad un miglioramento dei dati relativi all’occupazione negli ultimi anni, non
ci è permesso di sottovalutare il peso che la disoccupazione continua ad avere in Italia; infatti si
tratta di una disoccupazione non congiunturale in quanto riguarda una percentuale altissima di
disoccupati di lunga durata, giovani e oltre cinquantenni le cui difficoltà a trovare un impiego o a
ricollocarsi sono di natura prettamente strutturale, tra le quali ha un peso preponderante
l’inadeguatezza delle competenze possedute rispetto alle esigenze del mercato del lavoro.
Questo rappresenta il problema più rilevante e più difficile a portare a soluzione e per il quale gli
strumenti delle politiche per il lavoro stentano a funzionare.
I lavoratori privi di una qualificazione professionale sufficiente per inserirsi nelle dinamiche del
mercato del lavoro sono quelli che rimangono più a lungo senza lavoro e sono quelli che
maggiormente si trovano in una situazione di precarietà, per cui sono indispensabili avviare misure
di accompagnamento all’inserimento lavorativo personalizzate che siano in grado di rispondere con
maggiore efficienza non solo ai soggetti a forte rischio di emarginazione, ma più in generale ai
bisogni delle imprese e dei lavoratori.
E’ a questo proposito che è stata avviata la riforma al decentramento dei servizi per l’impiego con il
duplice obiettivo di creare servizi “vicini” ai bacini d’azione e di disegnare nuove funzioni a
supporto degli utenti.
Il Decreto n. 469/97 ha conferito alle regioni e agli EE.LL. funzioni e compiti relativi al
collocamento e alle politiche attive del lavoro, riservando allo Stato un ruolo generale di indirizzo,
controllo e promozione.
Per sostenere questa riforma sono state previste e realizzate “azioni di sistema” sia a livello
decentrato che centralizzato, per l’obiettivo 3 di FSE di un Programma operativo nazionale che ha
previsto un intero Asse (A) alle azioni di sistema per gli SPI, e per l’obiettivo 1 di una misura
specifica (II.1).
L’obiettivo di questi interventi è stato quello di un potenziamento qualitativo dei servizi da erogare
coerente con gli riorientamenti degli interventi sul mercato del lavoro verso misure attive volte
principalmente a fare incontrare domanda ed offerta di lavoro e a prevenire la disoccupazione dei
diversi segmenti di forza lavoro.
Per assolvere efficacemente ai nuovi compiti, i servizi per l’impiego riformati sono stati configurati
come agenzie “multifunzione”, in grado di offrire consulenze di orientamento, preselezione, di fare
incontrare domanda ed offerta di lavoro a livello locale e di progettare percorsi di inserimento
personalizzati.
Purtroppo nella realizzazione di questa riforma si sono riscontrate delle difficoltà quali la
disomogeneità dei percorsi tra regione e regione, problemi organizzativi, logistici e di gestione delle
risorse, nonché la competenza professionale delle risorse umane, per le quali, in passato, sono state
programmate attività formative che hanno inciso poco perché troppo generiche, o troppo brevi e
sporadiche, mentre, invece, necessitano di interventi specifici e tarati sui nuovi compiti.
6
Da questo quadro si evidenzia la necessità di un ulteriore miglioramento al fine di approntare, come
individuato nel Patto per l’Italia (Intesa per la competitività e l’inclusione sociale) un moderno ed
efficiente sistema di servizi pubblici e privati tra loro collegati da un sistema informativo per il
Lavoro (Rete dei Servizi al Lavoro) i cui obiettivi sono quelli di:
- Riordino delle regole del collocamento attraverso il rafforzamento dell’anagrafe del
lavoratore, definizione dello stato di disoccupazione, dei modi per acquisirlo e per perderlo,
e dei connessi diritti e doveri (colloquio di orientamento e proposta di formazione o di
lavoro entro tempi certi). Queste misure sono contenute in un decreto legislativo all’esame
del Parlamento;
- Diffusione dei servizi privati e privato-sociali, che potranno svolgere a determinate
condizioni tutte le tipologie di servizio al mercato del lavoro (incontro tra domanda e
offerta, selezione, formazione, ricollocazione, lavoro interinale ecc.) (disegno di legge 848);
- Attivazione della Rete Servizi al Lavoro, inclusa una “borsa” continua al lavoro, collegando
Ministero al Lavoro e delle Politiche Sociali, enti previdenziali e servizi all’impiego nel
territorio (pubblici, privati e privato-sociale) al fine di produrre una banca dati dei lavoratori
attivi ed in cerca di lavoro.
I numeri del mercato del lavoro
L’andamento del mercato del lavoro in Italia, ha visto un aumento occupazionale nel 2003 rispetto
al 2002 di 225 mila unità pari ad una variazione positiva di poco superiore all’1%, un incremento
delle forze lavoro di 157 mila persone ovvero un aumento dello 0,6% e una diminuzione di 67 mila
persone che cercano lavoro pari ad un decremento –3,1%.
Migliaia di unità
Forze lavoro
Occupati
In cerca di occupazione
2002
23.993
21.829
2.163
2003
24.150
22.054
2.096
Variazioni percentuali
0,6
1,1
-3,1
Fonte: elaborazione propria su dati Istat
Questo ha provocato effetti positivi, anche se minimi, nei confronti del tasso di attività che è passato
dal 61% del 2002 al 61,4% del 2003 e del tasso di occupazione che è passato dal 55,4% del 2002 al
56% del 2003, registrando quindi una diminuzione del tasso di disoccupazione che scende dal 9%
all’8,7%.
Valori
Maschi e femmine
Maschi
Femmine
percentuali
anno
Tasso Tasso di Tasso di Tasso Tasso di Tasso di Tasso Tasso di Tasso di
occupaz. disoccup.
occupaz. disoccup. di
occupaz. disoccup. di
di
attività
attività
attività
2002
61,0
55,4
9,0
74,0
68,8
7,0
47,9
42,0
12,2
2003
61,4
56,0
8,7
74,4
69,3
6,8
48,3
42,7
11,6
Fonte: elaborazione propria su dati Istat – tassi calcolati su popolazione 15-64 anni
Relativamente alle dinamiche settoriali si registra, nel 2002 rispetto al 2003, in agricoltura una
perdita di 21 mila unità (-1,9%), nell’industria un aumento occupazionale di 88 mila unità (+1,3%)
e nei servizi un aumento della domanda di lavoro con 158 mila nuovi occupati (+1,1%).
L’aumento dell’occupazione è sostanzialmente derivato dai lavoratori dipendenti con 197 mila
nuovi assunti (+1,2%) così determinato: nei servizi 136 mila nuovi posti di lavoro (+1,4%),
nell’industria 71 mila nuovi assunti (+1,3%) sopperendo ad una significativa flessione in agricoltura
di 10 lavoratori in meno (-2,2), così come i lavoratori indipendenti che pur avendo avuto un
aumento di 28 mila unità (0,5%) vedono un forte calo in agricoltura con 11 mila posti di lavoro in
meno (-1,7%). E’ inoltre doveroso sottolineare che il terziario tra il 2002 e 2003 ha avuto un amento
meno significativo degli anni precedenti.
7
Migliaia di unità
Occupati dipendenti
Agricoltura
industria
Altre attività
Occupati indipendenti
Agricoltura
Industria
Altre attività
Occupati totali
Agricoltura
Industria
Altre attività
2002
2003
15.849
462
5.394
9.993
5.980
634
1.537
3.809
21.829
1.096
6.931
13.802
16.046
452
5.465
10.129
6.008
623
1.554
3.831
22.054
1.075
7.019
13.960
Variazioni
migliaia
197
-10
71
136
28
-11
17
22
225
-21
88
158
Variazioni
percentuali
1,2
-2,2
1,3
1,4
0,5
-1,7
1,1
0,6
1,0
-1,9
1,3
1,1
Fonte: elaborazione propria su dati Istat
La situazione regionale
I numeri del mercato del lavoro
Dal rapporto 2004 del mercato del lavoro della Regione Emilia Romagna si evince che il numero
degli occupati nella Regione è cresciuto nel 2003 di 27 mila unità, un incremento dell’1,5% rispetto
al 2002.
Nell’ultimo biennio l’aumento dell’occupazione è stato maggiore che in quello precedente ed è
stato anche superiore a quello nazionale. L’aumento occupazionale è stato sostenuto da un forte
incremento dell’offerta di lavoro della popolazione (+ 23 mila unità delle forze lavoro rispetto al
2002), a questo risultato ha influito la componente immigrati, ma soprattutto l’aumento del tasso di
attività delle donne che rispetto al 2002 è aumentato dell’1,4% pari a 19 mila unità di forze lavoro.
L’occupazione femminile è aumentata ugualmente di 19 mila unità per cui il tasso di
disoccupazione delle donne è rimasto quasi inalterato passando dal 4,6% al 4,5%, mentre quello dei
maschi si è ridotto dal 2,3% all’1,9%.
Valori
Maschi e femmine
Maschi
Femmine
percentuali
anno
Tasso Tasso di Tasso di Tasso Tasso di Tasso di Tasso Tasso di Tasso di
occupaz. disoccup.
occupaz. disoccup. di
occupaz. disoccup. di
di
attività
attività
attività
2002
69,7
67,4
3,3
77,6
75,7
2,3
61,7
58,9
4,6
2003
70,4
68,3
3,1
77,7
76,2
1,9
63,1
60,2
4,5
Fonte: elaborazione propria su dati Istat – tassi calcolati su popolazione 15-64 anni
Le persone in cerca di occupazione sono risultate nel 2003 pari a 58 mila presentando una riduzione
di 4 mila unità (-6,5%), rilevata esclusivamente tra i maschi; infatti i disoccupati si sono ridotti da
25 mila a 21 mila, mentre fra le donne il numero delle disoccupate è rimasto invariato. I 27 mila
occupati in più sono distribuiti 8 mila tra i maschi e 19 mila tra le donne.
8
Resta sempre elevato il gap occupazionale a favore dei lavoratori maschi nei confronti della
componente femminile che è del 14,6%.
Il tasso di disoccupazione maschile è molto contenuto infatti si attesta sull’1,9%, mentre quello
femminile è più preoccupante (4,5%).
La situazione occupazionale della Regione Emilia Romagna è abbastanza buona e fa ben sperare in
quanto i valori che si riscontrano sono quasi nella media degli obiettivi imposti dalla Commissione
europea per il 2010 sia in generale che per la componente femminile.
Maschi e femmine
Maschi
Femmine
Valori
in
migliaia
anno
occupati Persone Forze di occupati Persone Forze di occupati Persone Forze di
in cerca lavoro
in cerca lavoro
in cerca lavoro
di
di
di
lavoro
lavoro
lavoro
2002
1.822
62
1.884
1.037
25
1.062
785
38
823
2003
1.849
58
1.907
1.045
21
1.066
804
38
842
Fonte: elaborazione propria su dati Istat
Le dinamiche settoriali hanno visto nel 2003 una riduzione dell’occupazione agricola di 5 mila
unità, un aumento di 16 mila occupati nel settore industriale e 16 mila posti di lavoro in più nel
terziario.
Gli occupati dipendenti vedono un aumento di 16 mila posti di lavoro (1,2%) dovuto all’aumento
dell’industria che registra 12 mila occupati in più (2,4%) e del terziario con un aumento di 6 mila
posti di lavoro (0,8%), mentre nell’agricoltura si registrano 2 mila posti di lavoro (6,1%).
Anche tra gli indipendenti si registra un aumento occupazionale di 11 mila unità (2,0%) sempre
grazie al settore industriale con 4 mila posti di lavoro in più (2,8%) e al terziario che vede un
aumento di 10 mila posti di lavoro (3,0%) e una sostanziale diminuzione nell’agricoltura di 3 mila
unità (-4,6%).
Migliaia di unità
2002
2003
Occupati dipendenti
Agricoltura
industria
Terziario
Occupati indipendenti
Agricoltura
Industria
Terziario
Occupati totali
Agricoltura
Industria
Terziario
1.284
33
506
745
538
65
142
331
1.822
98
648
1.076
1.300
31
518
751
549
62
146
341
1.849
93
664
1.092
Variazioni
migliaia
16
-2
12
6
11
-3
4
10
27
-5
16
16
Variazioni
percentuali
1,2
-6,1
2,4
0,8
2,0
-4,6
2,8
3,0
1,5
-5,1
1,5
1,5
Elaborazionie propria sui dati Istat
Facendo una comparazione degli indicatori di mercato del lavoro fra le province della Regione
Emilia Romagna si evidenzia che le province di Piacenza e Rimini sono caratterizzate da
percentuali del tasso di attività e del tasso di occupazione più bassi della media regionale.
Reggio Emilia è l’unica provincia che ha già raggiunto l’obiettivo del 70% dell’occupazione in
generale e quello femminile del 60% insieme alle altre province tranne Ferrara, Piacenza, Ravenna
e Rimini che sono ancora al di sotto del tetto previsto dalla Commissione Europea per il 2010.
9
Il tasso di occupazione maschile è in tutte le province molto al di sopra di quello femminile tanto da
raggiungere anche 20 punti in percentuale.
Il tasso di disoccupazione in generale è piuttosto contenuto in quanto non supera, tranne che a
Ravenna, il 4%, quello maschile si attesta a percentuali molto più bassi, mentre quello femminile,
anche se in continua discesa, da qualche preoccupazione, specialmente nelle province di Ferrara e
Ravenna tanto da attestarsi rispettivamente al 6,2% e al 7,1%.
Province
Bologna
Ferrara
Forlì-Cesena
Modena
Parma
Piacenza
Ravenna
Reggio Emilia
Rimini
Maschi e Femmine
Tasso Tasso Tasso Tasso
di
di
di
di
attività occup. disocc. attività
69,5
67,9
2,3
74,9
70,6
67,9
3,9
79,0
72,2
69,9
3,1
79,5
72,2
69,9
3,1
79,5
71,5
69,2
3,1
78,5
65,7
64,0
2,5
74,0
71,0
67,8
4,4
79,1
72,7
70,8
2,6
79,0
65,6
63,2
3,7
77,3
Maschi
Femmine
Tasso Tasso Tasso Tasso Tasso
di
di
di
di
di
occup. disocc. attività occup. disocc.
73,7
1,6
64,0
62,1
3,1
77,3
2,0
62,3
58,4
6,2
78,1
1,7
64,9
61,7
4,7
78,1
1,7
64,7
61,5
4,9
77,0
1,9
64,5
61,4
4,6
72,7
1,7
57,3
55,2
3,6
77,2
2,3
62,9
58,4
7,1
77,4
2,0
66,2
64,0
3,5
74,9
3,1
53,4
51,0
4,4
Elaborazioni su dati Istat – popolazione età 15-64 anni
Comparazione dell’andamento del M.d.L. Nazionale e Regionale nel 2003
Dai dati statistici emerge che l’occupazione regionale presenta una crescita dell’1,5% che è
superiore alla media nazionale (+1,1%) ma che non deve essere giudicato un risultato modesto, al
contrario deve essere giudicato un risultato notevole tenendo conto della forte perdita di occupati
nell’agricoltura compensata da una straordinaria crescita dei dipendenti dell’industria.
La riduzione della disoccupazione assume una tendenza positiva di molto superiore a quella della
media nazionale.
Variazioni percentuali
Forze lavoro
Occupati
In cerca di occupazione
Italia
0,6
1,1
-3,1
Emilia Romagna
1,2
1,5
-6,5
Elaborazioni su dati Istat
Inoltre la situazione emiliano romagnola presenta una dinamica positiva del M.d.L. più accentuata
rispetto a quella nazionale, basti confrontare il valore percentuale dei tassi di disoccupazione per
evidenziare il netto divario e constatare che nella nostra regione il dato medio di disoccupazione è
meno della metà del dato medio nazionale: il 3,1% contro l’8,7%.
Valori percentuali
Tasso di disoccupazione
Tasso di attività
Tasso di occupazione
Italia
8,7
61,4
56,0
Emilia Romagna
3,1
70,4
68,3
Elaborazioni su dati Istat
L’andamento dell’occupazione dipendente e indipendente del 2003 presenta un sostanziale
equilibrio dei dati nazionali e regionali, nel settore industriale il trend positivo emiliano romagnolo
è abbastanza vicino a quello nazionale (+1,5% contro l’1,3%), nel settore agricolo, invece, i dati
10
nazionali presentano una perdita più limitata (-1,9%) rispetto a quelli regionali che evidenziano una
perdita occupazionale più consistente(-5,1%).
Variazioni percentuali
Occupati dipendenti
agricoltura
industria
Terziario
Occupati indipendenti
agricoltura
industria
Terziario
Occupati totali
agricoltura
industria
Terziario
Italia
1,2
-2,2
1,3
1,4
0,5
-1,7
1,1
0,6
1,0
-1,9
1,3
1,1
Emilia Romagna
1,2
-6,1
2,4
0,8
2,0
-4,6
2,8
3,0
1,5
-5,1
1,5
1,5
Elaborazioni su dati Istat
La situazione occupazionale distinta per genere
In questi ultimi anni nella Regione Emilia Romagna l’andamento congiunturale ha mostrato una
asimmetria tra l’evoluzione dell’occupazione maschile e quella dell’occupazione femminile, sempre
a favore della seconda.
L’occupazione femminile è cresciuta maggiormente sostenuta anche da un forte aumento dei tassi
di attività. Il tasso di disoccupazione delle lavoratrici, 4,5, resta comunque di quasi tre volte
superiore di quello dei maschi (1,9%).
Se si procede ad un confronto dell’andamento congiunturale dell’anno 2003 dei dati relativi ai tassi
di attività, di occupazione e di disoccupazione dell’Emilia Romagna con quelli Nazionali si
evidenzia un andamento nettamente favorevole di quelli regionali. Infatti il tasso di attività
femminile in Emilia Romagna è nettamente più elevato rispetto alla media nazionale, 63,1% contro
il 48,3, mentre quello maschile pur essendo superiore è abbastanza contenuto, 77,7% contro il
74,4%.
Il tasso di occupazione femminile regionale è molto più elevato rispetto alla media nazionale,
60,2% contro il 42,7%, mentre per la componente maschile il divario a favore della nostra regione è
più contenuto ma comunque significativo, 76,2% contro il 569,3 %. Ed infine il tasso di
disoccupazione vede i dati statistici nettamente favorevoli all’Emilia Romagna sia per la
componente femminile (4,5% contro il 11,6%) che per quella maschile (1,9% contro l’6,8%).
Valori
percentuali
Emilia Romagna
Italia
Tasso di
attività
63,1
48,3
Femmine
Tasso di
occuup.
60,2
42,7
Tasso di
disoccup.
4,5
11,6
Tasso di
attività
77,7
74,4
Maschi
Tasso di
occuup.
76,2
69,3
Tasso di
disoccup.
1,9
6,8
Elaborazioni su dati Istat
La disoccupazione di lunga durata
Lunghi periodi di disoccupazione rendono più difficile il rientro nel Mercato del Lavoro in quanto il
patrimonio delle capacità acquisite con il passare del tempo nello stato di disoccupazione diventa
obsoleto e in molti casi spingono il disoccupato perfino ad abbandonare ogni tentativo di trovare
lavoro. Diventa quindi importante esaminare non soltanto le dimensioni ma anche la durata della
disoccupazione. Sotto questo aspetto la situazione del Mercato del Lavoro in Emilia Romagna è
migliore rispetto alla media nazionale infatti la disoccupazione di lunga durata è pari al 24,7% del
totale dei disoccupati, mentre l’Italia, che è tradizionalmente un paese in cui la disoccupazione di
11
lunga durata è piuttosto grave, presenta una situazione che si attesta al 59,1%% del totale dei
disoccupati. Ancora più grave si presenta la situazione femminile, in quanto in Emilia Romagna la
disoccupazione di lunga durata si attesta al 26,3% e in Italia al 59,4%.
Forme contrattuali atipiche
Molto significativo, nella nostra regione, è la forte accelerazione registrata nel processo di
transizione da lavoro in forme contrattuali atipiche (predominanti negli avviamenti) verso forme di
lavoro standard (a tempo pieno e a tempo indeterminato) che costituisce una peculiarità del nostro
mercato del lavoro, notevolmente diverso dal modello nazionale.
Nel 2003 si è registrato un raggiungimento di oltre il 50% in un anno di trasformazioni di contratti
atipici in contratti di lavoro standard.
I lavoratori atipici sono attualmente stimati oltre al 15% del totale degli occupati.
I maschi sono circa il 32% degli atipici le femmine il 68% degli atipici, per cui si evidenzia una
forte connotazione di genere.
All’interno del lavoro atipico la categoria più ampia è quella del part-time dipendente, a tempo
indeterminato o a termine con una forte prevalenza femminile.
Part-time e terziarizzazione
Quanto fin qui è emerso permette di puntualizzare rispetto a correnti interpretazioni circa le cause
del livello e della dinamica del tasso di attività femminile.
Come si è sottolineato, l’Emilia-Romagna è una Regione ad elevati e crescenti tassi di attività e di
occupazione delle donne, una Regione, quindi, per questo profilo più simile ai paesi del NordEuropa che ai paesi mediterranei.
La ragione di questi elevati e crescenti tassi di attività femminili viene posta nel fatto che in
l’Emilia-Romagna è più diffuso il part-time e la terziarizzazione del sistema produttivo.
Una simile considerazione è del tutto legittima alla luce di due fatti: si osserva in primo luogo una
correlazione positiva tra tassi di attività femminili e part-time ed, in secondo luogo, una
correlazione positiva anche tra part-time e terziarizzazione.
Come si può dedurre, il grado di significatività della correlazione non è molto elevato in nessuno
dei due casi. Ed infatti un modello generale così semplice in realtà non esiste. E’ interessante
comunque notare che tra le maggiori eccezioni alla “regola” secondo cui il tasso di attività
femminile sarebbe più elevato se è elevata la terziarizzazione ed il part-time femminile si trovano
proprio i casi del Nord-Est e dell’Emilia Romagna.
La spiegazione dei risultati raggiunti in Regione sul grado di partecipazione delle donne, dunque,
non può certo essere affidata all’idea della terziarizzazione e del part-time, che proprio qui non tiene
per nulla. Essa potrebbe essere considerata un’ipotesi attendibile nei casi, nell’ordine decrescente
del tasso di attività, del Regno Unito, della Francia, del Belgio e Lussemburgo, in Italia del NordOvest e della Grecia.
Nel caso dell’Emilia Romagna a maggior ragione, si deve probabilmente considerare ben più
rilevante l’elevata intensità di lavoro che caratterizza il modello di sviluppo.
Quest’ultima considerazione è rilevante e impegnativa per il Governo del Mercato del lavoro, per le
politiche attive del lavoro e per i livelli di Governance che presuppongono partecipazione non solo
al Mercato del Lavoro ma alla stessa definizione delle politiche di sviluppo sociale ed economico.
Per le donne è una grande opportunità.
In Emilia-Romagna gli obiettivi di Stoccolma 2005 sono a portata di mano. Abbiamo però anche
visto che essi sono stati quasi raggiunti all’apice di un periodo di otto anni di continua crescita per
la pressione esercitata dalla domanda di lavoro su un’offerta che, nella sua componente maschile, ha
in pratica esaurito tutte le riserve, per cui la domanda è in qualche modo “debordata” sulla
componente femminile. Ciò appare strettamente legato ad un modello di crescita ad alta intensità di
lavoro che ha privilegiato le classi centrali d’età, da cui tra l’altro anche la distanza che rimane
notevole rispetto agli obiettivi di Stoccolma 2010 per la forza lavoro 55-64 anni.
12
Un’altra caratteristica non positiva di questo modello di sviluppo è il fatto che esso si prospetta
piuttosto instabile, come sembra indicato dal ritorno dei tassi di crescita del PIL . Si aggiunga che,
proprio per questa ragione e per gli effetti avuti dalla pressione della domanda di lavoro sull’offerta,
l’ipotetica inversione del ciclo rischia di penalizzare proprio la componente femminile dal lato della
riduzione dei tassi di occupazione e di aumento dei tassi di disoccupazione.
In questa situazione potrebbe astrattamente proporsi una politica (un complesso di politiche) volte a
favorire il “cambiamento del modello di sviluppo” verso il sostegno dei suoi tassi di crescita della
produttività: un modello di sviluppo a minore intensità di impiego del lavoro (maggiore
esternalizzazione fuori regione di attività produttive a basso valore aggiunto, maggiori investimenti
in macchine, attrezzature e organizzativi volti a ridurre il coefficiente di manodopera nei processi
produttivi, ecc.). Ciò allo scopo di stabilizzare la crescita e rendere meno stringente il vincolo
dell’offerta di lavoro.
Si deve osservare, tuttavia, che se anche una simile operazione potesse realizzarsi e raggiungere i
risultati sperati è probabile che non servirebbe a consolidare quanto ottenuto riguardo la situazione
delle donne nel mercato del lavoro.
Potrebbe sempre astrattamente stabilizzare di più la loro occupazione, ma al prezzo di una riduzione
dei loro tassi di attività. Si avrebbero probabilmente tassi di disoccupazione più bassi ma anche tassi
di attività più bassi. A meno che si riuscisse a cambiare l’intero modello economico e sociale.
Cambiare il modello di sviluppo è, però, operazione non solo lunga e probabilmente non alla
portata
di politiche contingenti, ma anche complessa in quanto non si devono trascurare i vincoli di
coerenza interna dei modelli tra le loro varie componenti. Per quanto meno “radicale” (ma più
realistico), sembra piuttosto necessario scontare ed accettare alcuni difetti del modello di sviluppo
attuale cercando di attenuarli.
In una prospettiva di aumento dei tassi di disoccupazione delle donne, possono essere utili politiche
attive del lavoro finalizzate a fare in modo che non aumenti troppo la disoccupazione di lunga
durata, con sostegno alla diffusione del part-time per esempio ma sempre in modo che non diventi
un “ghetto”.
Questo suggerimento viene in qualche modo ulteriormente rafforzato se si considera che ulteriori
caratteristiche proprie del modello di sviluppo della regione appaiono socialmente favorevoli (pur
con alcune ombre) anche dal lato della distribuzione dei redditi.
E’ di interesse, da questo punto di vista, valutare i rapporti tra le retribuzioni medie delle donne e
quelle degli uomini calcolati sulla base dei dati INPS. Salvo pochissime eccezioni, le donne
ricevono retribuzioni più basse, in qualche caso sensibilmente più basse degli uomini. La
retribuzione media femminile è pari al 79,8% di quella maschile tanto in Italia quanto in EmiliaRomagna, ad indicare la probabile esistenza di linee di segregazione occupazionale.
Le differenze maggiori si riscontrano nelle branche nelle quali le attività di lavoro sono molto
diversificate: in generale tutte quelle impiegatizie e, tra gli operai, in quelle terziarie. E’ questa
osservazione che porta a ritenere probabile che in tali situazioni si configurino vere e proprie forme
di segregazione occupazionale che opera a svantaggio delle lavoratrici.
Queste indicazioni collimano con quelle evidenziate dal recente Rapporto curato dal Ministero del
Lavoro e dal comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro su I differenziali salariali per
sesso inItalia (Roma, aprile 2001).
Questa struttura retributiva deve essere ora considerata nella prospettiva dei recenti andamenti
nazionali. Benché i dati di andamento siano, come si è detto, in forte ritardo, può essere messo in
luce come alcune tendenze indichino una maggiore tenuta dei livelli retributivi reali al livello
regionale.
Ciò non sorprende. Nel momento in cui al livello nazionale aumenta la parte delle retribuzioni
contrattate individualmente (o non contrattate per nulla), e questo è correlato con una perdita di
potere d’acquisto dei salari nei momenti di accelerazione dell’inflazione, la struttura dei salari della
13
regione regge meglio a causa dei suoi minori divari per livelli professionali e per dimensioni delle
imprese.
Il modello ad elevato impiego di lavoro si vede all’opera anche in Emilia-Romagna.
Di nuovo vi è, tuttavia, il corollario sfavorevole per le donne. A maggior ragione, quindi, sembra
valere l’indicazione che potrebbe essere così sintetizzata: politiche attive del lavoro femminili per
sostenerne il livello di occupazione con una specifica attenzione però ad evitare o ridurre (almeno
non aumentare) gli esistenti fenomeni di segregazione.
Comparazione dei numeri (Emilia Romagna e Italia)
L’occupazione
Comparando i tassi di occupazione dell’Emilia Romagna con quelli nazionali si evince che i valori i
regionali sono migliori rispetto a quelli italiani.
Emilia Romagna: maschi 76,2; femmine 60,2; totale 68,3
Italia: maschi 69,3; femmine 42,7; totale 56,0
tasso di occupazione
valori percentuali
tassi di occupazione per genere in Emilia
Romagna e Italia - valori medi annui del 2003
100
80
60
emilia romagna
40
italia
20
0
maschi
femmine
totale
genere
Fonte: elaborazione su dati Istat
Rispetto ai parametri fissati nella Strategia Europea per l’occupazione la regione Emilia Romagna
ha raggiunto gli obiettivi relativi al 2005 e si trova a meno di 2 punti rispetto a quelli del 2010,
quindi una situazione di vero ottimismo anche per la componente femminile.
L’Italia invece è ancora distante dal raggiungimento degli obiettivi sia quelli del 2005 che quelli del
2010 con particolare preoccupazione per la componente femminile il cui divario è di quasi 20 punti
in percentuale.
14
la disoccupazione
Comparando i tassi di disoccupazione dell’Emilia Romagna con quelli nazionali si evince che i
valori i regionali sono nettamente migliori rispetto a quelli italiani.
Emilia Romagna: maschi 1,9; femmine 4,5; totale 3,1
Italia: maschi 6,8; femmine 11,6; totale 8,7
tasso di
disoccupazione valori percentuali
tassi di disoccupazione per genere in Emilia
Romagna e Italia
15
10
emilia romagna
italia
5
0
maschi
femmine
totale
genere
Comparazione dei numeri con l’UE
L’occupazione
Come si può constatare la Regione Emilia Romagna presenta tassi in linea con gli obiettivi di
Lisbona e addirittura superiori alla media europea, mentre i dati nazionali sono ancora al di sotto.
tassi di occupazione valori percentuali
comparazione tassi di occupazione
100
80
maschi
60
femmine
40
totale
20
0
emilia
romagna
italia
media UE
25
ob. UE di
Lisbona
territori
15
La disoccupazione
Come è possibile notare dal grafico la Regione Emilia Romagna presenta una situazione della
disoccupazione decisamente migliore di quella nazionale e della media europea.
tassi disoccupazione valori percentuali
comparazione tassi di disoccupazione
14
12
10
8
6
4
2
0
maschi
femmine
totale
emilia romagna
italia
media UE 25
territori
I Cambiamenti del Mercato del lavoro
E’ in atto da tempo in Italia un difficile percorso di “modernizzazione” delle politiche per il lavoro
mediante la revisione delle regole che governano l’intervento pubblico e l’azione dei privati e nel
decentramento di poteri dallo Stato alle Regioni (Bassanini L. 59/97).
Sul fronte delle politiche per il lavoro si possono segnalare gli obiettivi fortemente innovativi
raggiunti con il “patto per il lavoro” (24 settembre 1996) quali la riduzione progressive delle
politiche passive per il lavoro (indennità di disoccupazione, indennità di mobilità, indennità di cassa
integrazione, pre-pensionamenti), privilegiando invece politiche di tipo promozionale
(valorizzazione dei servizi per l’impiego e della formazione professionale).
Gli effetti di questa strategia sono già visibili con l’approvazione da parte del parlamento della
Legge. 196/97 “Norme in materia di promozione dell’occupazione”, nella quale si delineano
strategie di medio termine quali:
- Apertura ai privati dell’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro, con la
conseguente caduta del monopolio pubblico del collocamento;
- La flessibilità del lavoro (norme sul lavoro interinale, sul lavoro a tempo determinato, sulla
incentivazione del part-time e della rimodulazione degli orari di lavoro);
- Riordino del sistema di formazione professionale che prevede il potenziamento
dell’apprendistato, dei CFL, della formazione superiore e della formazione continua;
- L’avvio di interventi di emergenza per l’occupazione, soprattutto giovanile (borse di lavoro
e lavori di pubblica utilità).
Per quanto concerne il decentramento si persegue una profonda modifica dell’assetto istituzionale
ed organizzativo dell’intervento pubblico, al fine di sanare la frattura istituzionale con la
separazione delle competenze relative alla formazione professionale da quelle relative al
collocamento. Infatti la L. 59/97 riunifica i diversi poteri presso la Regione, valorizza il ruolo di
gestione degli EE.LL. e affida allo Stato compiti di regolazione, indirizzo, programmazione e
valutazione.
Il D.L. 469/97 è il decreto legislativo di attuazione della L. 59/97 che disciplina il conferimento alle
Regioni e agli EE.LL. di funzioni e compiti in materia di M.d.L.. Ne consegue che le Regioni e gli
EE.LL. acquisiscono funzioni e compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro;
fissa i criteri cui devono attenersi le leggi regionali per trasferire compiti e funzioni alle province;
definisce gli organi di governo (commissione regionale tripartita permanente con funzioni
concertative e competenze trasferite dalla commissione regionale per l’impiego – comitato di
coordinamento interistituzionale regionale con il compito di garantire l’integrazione tra le politiche
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attive del lavoro, servizi per l’impiego e politiche formative); da indicazioni per la realizzazione di
strutture denominate “Centri per l’impiego” distribuiti sul territorio regionale sulla base di bacini
provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti e destinati ad offrire servizi per il lavoro
(collocamento, informazione e orientamento, incrocio domanda-offerta ecc.); propone la
costruzione di una struttura regionale (Agenzia lavoro) dotata di autonomia gestionale per esercitare
in modo qualificato funzioni di assistenza tecnica alla rete dei servizi al lavoro e programmazione e
ogettazione delle politiche del lavoro, garantendo anche funzioni di Osservatorio del M.d.L..
Restano escluse dal decentramento di poteri le funzioni e i compiti riconducibili alle materie di
previdenza sociale, eccedenze di personale temporanee e strutturali, vigilanza in materia di lavoro e
cooperazione.
Le regioni, quindi, acquisiscono nuovi poteri in materia di collocamento ed avviamento al lavoro,
che aggiunti a quelli già acquisiti in passato (formazione professionale, osservatorio del M.d.L. ed
orientamento professionale) costituiscono un ampio ed organico quadro di competenze in materia di
M.d.L.
In questo contesto un ruolo di rilievo è stato assunto dalle parti sociali; infatti le organizzazioni dei
datori di lavoro e dei lavoratori attraverso la politica della concertazione hanno significativamente
contribuito alla “modernizzazione” del M.d.L.
La situazione attuale del sistema mercato del lavoro italiano, nonostante gli interventi innovativi
approntati, è una situazione di continue trasformazioni e di preoccupazioni, in quanto il lavoro è il
cardine su cui si impernia la vita della grande maggioranza delle donne e degli uomini, perché il
lavoro non è solo fonte di reddito ma è soprattutto il fondamento dell’identità sociale degli
individui.
I cambiamenti in corso sui luoghi e sui mercati del lavoro si mostrano ogni giorno più imponenti.
Al posto dell’impiego fisso sempre più di frequente si trovano forme di lavoro “flessibile” o, per
meglio dire, “a pezzi”: ovunque a ogni ora del giorno e in qualsiasi giorno dell’anno, ci sono
infatti “spezzoni” di lavoro e c’è gente che lavora. Le tante e troppe novità nel mondo del lavoro
destano apprensioni a malapena attutite dalle speranze che una New Economy sia alle porte. Ma il
lavoro non si trasforma perchè siamo passati dall’industria ai servizi o dalla società industriale
alla società post-industriale, tant’è che tutte le novità, produzione snella e just-in-time, telelavoro
e interinale, outsourcing e outplacement, atipici e call center, sono scaturite dal nuovo modello di
produzione e di consumo su cui si impernia l’industria. Il lavoro si trasforma perchè stiamo
passando dal fordismo al post-fordismo. E’ questa la transizione che, dagli anni Ottanta, ci sta
portando da un mondo di lavoro al plurale a un universo di lavori al singolare1.
Siamo di fronte ad una svolta nello sviluppo di nuove pratiche di lavoro: l’evoluzione del M.d.L. e
delle forme di impiego, le nuove organizzazioni di lavoro e di identità lavorative hanno portato a
cambiare la natura della prestazione e quindi la qualità del lavoro stesso.
Notiamo, oggi, come i luoghi di lavoro hanno ridotto la loro dimensione e come si è diversificata la
loro dislocazione, per cui crescono in numero i luoghi di lavoro e calano le dimensioni delle sedi.
Gli orari di lavoro si “distorcono”. Se il nucleo del lavoro è ancora a tempo indeterminato e segue
orari scadenzati secondo una regolazione del tempo di lavoro contrattata, al di là della tendenza
ormai ideologizzata a descrivere l’organizzazione del tempo di lavoro e del lavoro secondo gli
schemi del lavoro “a tempo”e perciò flessibile, vi sono sempre più persone che lavorano in ore
insolite per esigenze che possono essere anche familiari, personali e di opportunità. L’ andamento
del calendario a volte si complica, ma soprattutto si personalizza. Comunque non si può non
sottolineare il fatto che la distribuzione del lavoro corrisponde sempre, almeno finora, alla
distribuzione del lavoro e alla divisione del lavoro propria dell’organizzazione capitalistica del
lavoro con un “occhio” alla competitività e l’altro al costo del lavoro. C’è, inoltre, un susseguirsi di
imprese che nascono e altre che muoiono; in sostanza assistiamo ad una “ipercrescita nunerica” di
piccole e piccolissime imprese che nascono ma molte di queste hanno un ciclo breve di vita, o
perchè cedono l’attività, o perchè si associano o si fondono con una frequenza elevatissima
1
Aris Acornero, “Pezzi di lavoro”, Bologna 2001
17
.Assistiamo a cambiamenti della struttura dei Mercati del Lavoro, ovvero una forte accentuazione
della segmentazione che va verso fenomeni di atomizzazione e fenomeni di esclusione.
Cresce la selettività della domanda sia per quanto riguarda gli ingressi lavorativi e i prolungamenti
dei periodi di prova, sia per quanto riguarda la qualità delle prestazioni richieste. Paradigmatico, al
proposito, sta diventando il lavoro interinale.
C’è maggiore selettività dell’offerta dovuta a cause oggettive (innalzamento dell’istruzione e
aumento dei redditi) e a cause soggettive (riluttanza alla mobilità geografica, al pendolarismo e una
maggiore attenzione alla qualità del lavoro).
Oggi la tendenza è quella di rafforzare le professionalità attraverso la formazione che viene
proiettata in una dimensione “permanente”: l’impegno formativo incentiva, soprattutto nelle sue
forme di open learning, un miglioramento della qualità del lavoro e della vita lavorativa e, da parte
imprenditoriale, la possibilità di poter far leva sulla flessibilità professionale del lavoro
(policompetenze e competenze “trasversali”) ed implementare quindi la competitività dell’Azienda
attraverso la qualità delle risorse umane che garantisce la qualità del prodotto.
In sostanza sta mutando la natura della prestazione che sta sempre più assumendo la caratteristica
della responsabilità professionale; la qualità e la competitività del lavoro richiede una
implementazione continua delle competenze e delle conoscenze professionali, meno esecutività e
più autonomia in un ambito, però di coesione e di cooperazione e soprattutto polivalenza. Nelle
organizazioni, quindi il lavoro prima esecutivo si avvicina al management, generando una qualche
sofferenza nell’area dei quadri intermedi.
Accanto a ciò la divisione internazionale del lavoro si radicalizza sempre più. Nelle aree “di
importazione”2 dei paesi terzi la dilatazione del tempo di lavoro e la fatica dell’uomo sono evidenti
e dimostrate con forti implicazioni nella qualità della vita sociale e nella vita delle persone.
Mutano i termini della prestazione e quindi del rapporto di lavoro in quanto il lavoro tende ad essere
meno subordinato (crescita dell’autonomia di esecuzione) e meno durevole (aumento dei contratti a
tempo determinato e diminuzione dei contratti a tempo indeterminato), aumenta di conseguenza
l’altra faccia della flessibilità del lavoro.
Quello che più preoccupa è la constatazione che non tutti i contratti possono essere a tempo pieno e
la durata a tempo che comporta al lavoratore discontinuità di impiego e dipendenza dalle
reiterazioni, può essere paventata come una “precarizzazione” dei rapporti di lavoro. Purtuttavia se
l’elevata quota di assunzioni a termine sembra configurare una nuova modalità di ingresso si
conferma la forte e incontrollata selettività della domanda.
Il modello di sviluppo capitalistico profila, per il lavoro, un orizzonte complesso con molte nicchie
sociali ed economiche che stanno implodendo. Tra queste assai complesse risultano essere l’analisi
del lavoro ed il futuro stesso dell’organizzazione del lavoro e della sua distribuzione. Si profilano
nuove articolazioni e nuove diversificazioni degli impieghi che comportano nuovi modi di lavorare:
lavorare sempre più in rete e con flessibilità mentale per meglio rispondere ad una maggiore
autonomia nel lavoro dipendente, alla crescita di nuovi lavoratori autonomi o para-autonomi3, per
cui i termini delle prestazioni sono più variabili e meno garantite anche perché la crescita di
autonomia e di flessibilità comporta maggiori responsabilità e rischi per l’autoimprenditorialità e
l’autoimprenditività nella ricerca di lavoro.
La riforma del mercato del lavoro
Il decreto legislativo Dlgs 297, del 10/9/2003 entrato in vigore il 24/10/2003 è il decreto attuativo
della legge delega n. 30 del 14/2/2003 (legge Biagi) in materia di occupazione e mercato del lavoro.
La riforma ha l’intendimento di aumentare il numero delle persone che lavorano con un contratto di
lavoro regolare, infatti l’Italia è uno tra i paesi europei ad avere il più basso tasso di occupazione
regolare e il più alto numero di lavoratori in nero.
2
3
Naomi Klein, “No logo”, Milano 2001
Andrea Fumagalli, Sergio Bologna e altri, Il lavoro autonomo di seconda generazione, Milano, Feltrinelli, 1997
18
In particolare la legge di riforma mira ad aumentare l’occupazione giovanile nel mezzogiorno, delle
donne e degli anziani.
Questi obiettivi si realizzano con un mercato del lavoro trasparente ed efficacemente regolamentato
al fine di facilitare l’incontro tra domanda e offerta attraverso la creazione di un sistema di servizi
pubblici e privati che agiscono in rete tra di loro.
Lo scopo, quindi, della riforma è quello di promuovere un lavoro regolare e non precario e di
fornire tutele effettive.
Con la riforma si è cercato di adottare meccanismi più efficienti per governare la domanda e
l’offerta di lavoro; infatti prima della riforma con il passaggio dal monopolio pubblico degli uffici
di collocamento ai servizi per l’impiego solo il 4% dei rapporti di lavoro venivano regolamentati.
Nel dicembre 2002 con il Dlgs 297, è stata riformata la funzione pubblica dei servizi per l'impiego.
Sono finiti il libretto di lavoro e le vecchie procedure burocratiche di autorizzazione per fare posto
all'anagrafe del lavoratore. La conoscenza immediata della posizione di ciascuno rispetto al lavoro è
la condizione necessaria per poter erogare tempestivi servizi di orientamento per chi cerca lavoro e
per indirizzare le attività di formazione secondo gli effettivi bisogni dei cittadini e delle imprese.
Con la riforma, a determinate condizioni, è consentito anche agli operatori privati di erogare tutti i
servizi per l’impiego attraverso la costituzione di agenzie per il lavoro, in modo gratuito per i
lavoratori e onerosi solo per le imprese.
Per favorire la collaborazione tra gli operatori pubblici e quelli privati sono previste misure
specifiche per il sostegno di soggetti svantaggiati.
Anche i Comuni, i Sindacati ed enti bilaterali (lavoratori-imprenditori) sono abilitati a svolgere
servizi al lavoro; inoltre Scuole e Università possono collocare i propri allievi nel mercato del
lavoro attraverso l'attività di mediazione e sviluppando le relazioni con le attività produttive del
territorio.
Operatori pubblici e privati saranno presto collegati tra di loro attraverso un sistema informatico
nella borsa continua nazionale del lavoro che consentirà, in un mercato del lavoro non più solo
italiano ma anche europeo, di far incontrare agevolmente domanda e offerta di lavoro.
La qualificazione dei sistemi di formazione
Per molto tempo l’Italia ha registrato livelli di istruzione e di qualificazione della popolazione
piuttosto distanti da quelli dei paesi economicamente e industrialmente avanzati.
Oggi questo gap si è notevolmente ridotto grazie ad un massiccio processo di scolarizzazione di
massa che ha portato ad elevare sensibilmente la percentuale dei livelli di istruzione della
popolazione.
Il tasso di passaggio alle scuole secondarie superiori oggi supera il 95%, così pure aumenta il
numero di coloro che raggiungono un diploma di scuola secondaria superiore che nel 2003 si è
attestato quasi all’80%% del valore medio dei giovani 18-20enni.
L’offerta di formazione professionale è cresciuta notevolmente e con i recenti provvedimenti
legislativi (obbligo formativo, riqualificazione del sistema professionale art. 17 legge 196/97) si è
pure qualificata assumendo un ruolo essenziale per la preparazione dei giovani al mondo del lavoro.
Dai dati, però, di una recente indagine dell’OCSE condotta nell’area dei paesi industriali si
evidenzia che, nonostante il basso numero di alunni per docente (un insegnante ogni 10 alunni
contro la media OCSE di 1 su 15) soltanto il 40% della popolazione adulta italiana ha un diploma di
scuola secondaria superiore, contro il 61% della Francia e l’84% della Germania.
I tassi di dispersione universitaria sono in Italia tra i più alti di Europa, negli ultimi 40 anni su quasi
10 milioni di giovani che si sono iscritti all’università soltanto poco meno di 3 milioni hanno
raggiunto la laurea.
Questi dati dimostrano come dispersioni e inefficienze allontanino sempre più il mondo
dell’istruzione da quello del lavoro.
L’Italia è oggi l’unico paese tra i grandi paesi industrializzati ad avere la maggior parte dei
lavoratori che hanno completato solo la scuola dell’obbligo.
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La necessità è quella di valorizzare il capitale umano del paese e il suo patrimonio culturale e
scientifico attraverso una elevazione di qualità e di innovazione dei sistemi di istruzione e di
formazione.
L’istruzione italiana ha bisogno di interventi rapidi e precisi per la realizzazione di politiche di
investimento che favoriscano un aumento della scolarizzazione, che migliorino la qualificazione
professionale di giovani ed adulti e che aiutino l’affermarsi delle risorse umane impegnate nella
ricerca.
Con il riordino dei cicli scolastici il Ministero della P.I. intende cercare di contribuire a sviluppare
un sistema moderno, competitivo ed innovativo di istruzione e formazione.
Le scuole, in realtà, già avevano attivato sperimentazioni e innovazioni didattiche ancor prima del
rinnovamento legislativo, per cui il percorso di riforma porta a valore esigenze educative avvertite
da tempo.
La riforma riprende esperienze e sperimentazioni avviate negli anni come l’innovazione dei
contenuti didattici dei nuovi programmi della scuola media del 1979, dei nuovi programmi delle
elementari del 1985, della sperimentazione Brocca per le scuole secondarie superiori del 1990 e dei
nuovi orientamenti della materna del 1991.
Il nuovo sistema di educativo e di istruzione si articola:
9 Nella scuola dell’infanzia, facoltativa, ma in via di generalizzazione, dai 3 ai 6 anni;
9 Nel ciclo primario, scuola di base, obbligatoria dai 6 ai 13 anni;
9 Nel ciclo secondario, scuola secondaria, dai 13 ai 18 anni, obbligatoria fino a 15 anni.
Il sistema educativo di formazione si realizza attraverso la piena attuazione del riordino della
formazione professionale e dell’apprendistato della Legge n. 196 del 1997 e degli articoli 141 e 143
del Decreto legislativo n. 112 del 1998.
All’obbligo di istruzione, che inizia al sesto e termina al quindicesimo anno di età, segue un obbligo
di frequenza di attività formative che termina al diciottesimo anno di età.
L’art. 68 nell’introdurre tale obbligo, prevede una piena integrazione tra scuola, formazione
professionale e apprendistato.
L’art. 17 persegue l’ambizioso obiettivo di riformare il sistema di formazione professionale,
modificando punti importanti della legge-quadro in materia, risalente al 1978 (legge 21 dicembre
1978, n. 845).Le nuove norme dovrebbero consentire al sistema di formazione professionale, anche
grazie all’integrazione col sistema scolastico, di meglio rispondere alla crescente domanda di
professionalità proveniente dal mercato del lavoro e di colmare le lacune che lo separano dai più
avanzati modelli europei; in particolare dovrebbero risultare potenziate le seguenti tre aree:
9 formazione professionale in alternanza, cioè le attività formative connesse ai contratti di
formazione e lavoro ed all’apprendistato;
9 la formazione professionale continua, intesa come opportunità, assicurata in ogni fase della vita
lavorativa, di qualificazione, di aggiornamento o di riqualificazione;
9 La formazione professionale superiore, concepita come occasione di professionalizzazione
specifica per diplomati e laureati.
Alcune indicazioni riguardano il funzionamento del sistema, attualmente "ingessato" da norme
inadeguate rispetto alle esigenze di duttilità e flessibilità degli interventi formativi. In proposito
viene posta in rilievo la disciplina dell’affidamento delle attività a soggetti pubblici e non pubblici,
tema che evoca immediatamente la necessità di predisporre forme di accreditamento e certificazione
dei soggetti che si candidano alla gestione delle attività. Altrettanto importante appare la
semplificazione delle procedure, mediante una maggiore attenzione al risultato. Nè possono essere
dimenticati gli interventi volti a sostenere la riorganizzazione degli enti di formazione
professionale, la trasformazione delle strutture di base (i centri) e la mobilità (interna o esterna al
settore) degli operatori. L’attenzione viene poi richiamata sulla certificazione delle competenze
acquisite al termine delle attività di formazione professionale. La costruzione di un sistema di
certificazione è infatti passo fondamentale per il dialogo con il sistema scolastico, anche mediante il
riconoscimento di crediti utili per il rientro nella scuola secondaria superiore. In prospettiva tale
20
sistema potrebbe peraltro consentire anche l’accreditamento, a fini formativi, di specifiche
competenze acquisite sul lavoro. La legge delinea inoltre i tratti dell’intervento a sostegno della
formazione continua (o forse sarebbe meglio dire per la creazione di un sistema di formazione
continua). Ingenti risorse vengono destinate a tale scopo (si tratta di circa 700/800 miliardi annui
derivanti dal contributo dello 0,30% versato dalle imprese) e fatte confluire in uno o più Fondi
nazionali (comunemente chiamati fondi interprofessionali), articolati regionalmente e
territorialmente, aventi configurazione giuridica di tipo privatistico. I Fondi finanzieranno attività di
formazione professionale rivolte a lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, lavoratori in
mobilità, lavoratori disoccupati per i quali l’attività formativa è propedeutica all’assunzione; tali
attività dovranno essere previste nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra
le parti sociali.
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MODELLO DI FORMAZIONE