Arcidiocesi Lucca
13 e 14 Giugno 2005
Convegno diocesano
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INTRODUZIONE
Il 13 e 14 giugno si è tenuto il Convegno diocesano della nostra Chiesa. Posto a metà del primo itinerario biennale si proponeva di tentare una verifica su come l'itinerario era stato accolto e seguito nelle comunità e nello stesso tempo voleva iniziare l'attenzione sugli elementi che sono accentuati nel secondo anno dell'itinerario.
Il convegno è iniziato con una lectio divina sul discepolo nel vangelo di Giovanni (testo di lettura del prossimo anno pastorale). Poi, dopo una introduzione i gruppi hanno lavorato alla verifica.
Nella seconda serata l'introduzione ai lavori di gruppo ha iniziato una riflessione sulla figura
del discepolo perché nei gruppi si facesse anzitutto una testimonianza personale del proprio discepolato e si individuassero alcune esigenze e/o attenzioni che possono essere affrontate nelle Zone
pastorali.
I gruppi sono stati organizzati a livello di Zona perché questo è il soggetto che sarà sempre
più protagonista di una elaborazione pastorale a servizio di tutte le comunità presenti nel territorio
zonale. Il livello zonale ha portato a una conoscenza più diretta delle persone, ha permesso di trovare una maggiore sintonia che sarà di aiuto al lavoro comune che seguirà.
Il secondo anno dell'itinerario
puntualizza alcuni elementi. Mentre nel primo anno il soggetto era la comunità, l'attenzione
ora si sposta sul discepolo. L'eucaristia nel giorno del Signore, sorgente della vita comunitaria è da
considerare anche come orientamento del cammino del discepolo. L'anno passato l'arcivescovo ha
incontrato i giovani nelle zone, nel prossimo incontrerà le famiglie; il libro della parola di Dio per
l'anno della comunità era gli Atti degli apostoli, il vangelo di Giovanni sarà il libro per l'anno del discepolo.
Il 12 luglio, festa di san Paolino, l'arcivescovo ha consegnato pubblicamente il libretto in cui
sviluppa la sua riflessione e dà indicazioni per l'anno pastorale 2005-2006.
Il prossimo appuntamento
Per favorire un cammino comune e per sostenere la formazione di quanti sono impegnati nel servizio pastorale, viene organizzato un convegno articolato in modo nuovo.
Domenica 18 settembre, nella chiesa cattedrale sarà l'inizio con la consegna dell'itinerario a tutti i
fedeli e con la relazione base del convegno. La seconda sera gli operatori pastorali si troveranno a
lavorare in ambienti diversi e divisi secondo gli ambiti dove sono impegnati. Il convegno ha il suo
punto di arrivo nelle zone pastorali dove, il 23, saranno decise insieme le linee concrete da seguire
nelle zone.
Il presente sussidio
Riporta il materiale del Convegno nell'ordine in cui è stato ripresentato, per seguire lo sviluppo del
tema così come era stato pensato. È un primo materiale offerto per l'approfondimento.
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IL DISCEPOLO NEL IV VANGELO
Lectio Divina della dott. ssa Marinella Perroni
1. ALCUNE PREMESSE
1. In questi anni, infinite volte sono stata invitata a parlare della presenza e del ruolo delle donne,
in particolare evidentemente delle discepole di Gesù, nelle Scritture. Fino al punto che già molte
volte ho denunciato un certo disagio di fronte al fatto che si sia creato una sorta di automatismo
pericoloso per il quale le donne devo parlare di donne. Mi sembrava una pericolosa ghettizzazione e avrei tanto voluto essere chiamata a parlare di altro e soprattutto sentire esegeti e teologi
maschi parlare di donne nella Scritture ebraico-cristiane come un tema che ha ormai trovato pieno diritto di cittadinanza nella teologia biblica perché le chiese hanno ormai saputo cogliere le
indicazioni dello Spirito presenti nella grande trasformazione sociale del mondo contemporaneo. Il vostro invito poteva dunque essere l’occasione per uscire da questa coazione a ripetere
che mi impone troppo spesso di parlare di donne (a parte l’anno dell’eucaristia in cui, necessariamente, tutti mi hanno chiesto solo e unicamente un caleidoscopio di riflessioni tutte solo e
unicamente sull’eucaristia!).
2. La seconda premessa riguarda il vincolo tematico che mi è stato posto e cioè “Il discepolo in
Giovanni”. A parte l’essermi rallegrata della correttezza della proposta – perché non c’è dubbio
che la visione del discepolato è profondamente diversa tra i diversi evangelisti e, poiché essa costituisce un elemento portante a mio avviso della visione teologica di ciascun agiografo, non ci
si può appiattire nella stilizzazione del profilo del discepolo evangelico senza rischiare la stereotipizzazione e quindi la banalizzazione. Ora, proprio rispetto al IV vangelo, non è assolutamente possibile parlare di discepolato senza fare i conti con la questione del ruolo decisivo delle
discepole.
3. Non è mai possibile una lettura della Scrittura neutrale, perché lo Spirito che la anima ma soprattutto lo Spirito che anima le chiese e i credenti nel loro impegno di fedeltà a Gesù Cristo non
può essere neutrale, ma è fortemente legato al discernimento spirituale di ciò che oggi lo Spirito
dice alle chiese. Credo cioè che sia doveroso interpellare l’evangelo perché giudichi e al contempo orienti, guidi e al contempo sostenga, la concreta vita di fede delle nostre chiese. Io non
conosco da vicino, evidentemente, la vostra chiesa di Lucca, ma vedo da vicino alcuni tratti e alcune tendenze della chiesa italiana ed è rispetto ad una in particolare che, mi sembra, la visione
giovannea del discepolato possa aiutarci in modo tutto particolare. Uno dei molteplici aspetti
che delineano il profilo proprio del discepolato secondo Giovanni e sul quale l’evangelista insiste con acribia tutta particolare, infatti, è il rapporto tra fede e miracoli. Un problema, questo,
che l’evangelista percepisce in tutto il suo spessore come problema che ha accompagnato la vicenda del Gesù terreno e che continua però a ripresentarsi ad ogni generazione di credenti. Perché è un problema che attiene inevitabilmente al rapporto con il divino e perché è un problema
che qualsiasi responsabile di comunità -cristiana e non- deve saper affrontare e gestire perché attiene anche all’autoconsapevolezza ecclesiale nonché alla cosiddetta “politica della fede”.
4. Nella ridefinizione del fenomeno religioso nel mondo occidentale contemporaneo, cioè post-razionalista ma, soprattutto, post-democratico, che tende cioè a chiudersi in conventicole ristrette
-lo sappiamo bene- l’elemento del miracolo sta acquisendo una portata enorme. E rappresenta, a
mio avviso, un discrimen sul quale le chiese non possono non sentirsi appellate a un discernimento.
5. Da qui, allora, la scelta del brano giovanneo del dialogo di Gesù con Marta (o di Marta con
Gesù, se preferite).
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 Per riuscire a cogliere l’importanza dell’episodio della confessione di Marta, con il quale Giovanni chiude il cosiddetto “libro dei segni” e che fa da chiave di volta all’intera composizione
evangelica è necessario intrecciare insieme due fili che determinano l’ordito teologico del IV
vangelo: La questione dei miracoli e il protagonismo delle discepole. In Marta, infatti, l’intreccio tra questi due fili arriva a un punto di arrivo decisivo.
2. IL RAPPORTO FEDE-MIRACOLI NEL IV VANGELO COME FONDAMENTO DEL DISCEPOLATO
Prima di tutto, quindi, la questione dei miracoli, è per il quarto evangelista una questione teologica cruciale. Anche per definire il discepolato cristiano. Perché?
Il quarto evangelista che, fin dalle prime battute insiste così apertamente sull’origine divina di
Gesù, che presenta il Messia come colui che in modo assolutamente sovrano va verso la sua esaltazione, oppure che, per dirla con il linguaggio tecnico, spinge su una visione cristologica “alta”, il quarto
evangelista sa molto bene quale è il rischio sotteso a tale tendenza: cosa sta a fondamento della fede?
La “divinità di Gesù” sta nelle sue qualità straordinarie o, in altri termini, come valutare le qualità
straordinarie di Gesù? Che significa poi in fondo dire: che cosa rende la divinità di Gesù specifica rispetto ad altre forme di religioso o di divino che da sempre e per sempre percorreranno la vicenda
umana. Mi sembra questa la questione cruciale anche per il particolare momento che la storia della
fede in Gesù sta attraversando oggi.
Forse, se Giovanni, si fosse trovato davanti quella che oggi, con tanta leggerezza e superficialità viene esaltata come la “rivincita del sacro” si sarebbe sentito quanto mai impegnato a invitare a una
rigorosa purificazione della fede in Gesù dai rischi di confondersi in una qualsiasi espressione della
credenza nel sacro.
Non a caso, dunque, il quarto vangelo di apre con l’autorivelazione di Gesù (2,1-22) che, fin
dalle prime battute, chiede una decisiva “torsione” dell’atteggiamento, delle aspettative, delle pretese.
Infatti, dopo le prime testimonianze, che collegano Gesù alle attese anticotestamnetarie, la
sua manifestazione comincia attraverso una precisa quanto difficile chiarificazione dell’atteggiamento discepolare nei confronti dei suoi miracoli. Essi vanno capiti solo e unicamente come "segni"
della sua gloria. Può sembrare paradossale, ma in una cultura come la nostra, così attenta ad ogni
tipo di comunicazione semiotica, a volte sembra sfuggire proprio l’importanza di tale prospettiva
nella comprensione della fede.
Il miracolo di Cana, la trasformazione dell’acqua in vino, nel momento in cui viene ridotto a
fatto magico, perde il suo decisivo valore di simbolo che intende definire e imporre alla fede in
Gesù una precisa impronta. Esso simboleggia infatti il passaggio a una nuova economia salvifica:
non è più l’acqua che purifica, come per le usanze giudaiche, ma la fede in Gesù. E’ lui, per dirla
con i sinottici, il vino nuovo che non può essere messo in otri vecchi perché li fa scoppiare. Una
persona cioè, Gesù, si è posto come chiave ermeneutica della tradizione religiosa precedente e come
chiave di volta del suo radicale rinnovamento: la promessa profetica dell’eschaton è ormai pienamente realizzata nella figura di quel Gesù che l’evangelista intende presentare nel suo evangelo.
v. 4: Il riferimento all’"ora" scandisce e accompagna tutto lo svolgimento del vangelo: cfr.
2,4; 7,6; 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1. Qui e nel momento della morte (cfr. 19,26), cioè
all’inizio e al compimento della sua "ora", Gesù apostrofa sua madre con il termine "donna"
che non indica lontananza, ma piuttosto riconoscimento della partecipazione di Maria alla
missione di suo figlio. Non è da escludere quindi un’implicazione ecclesiologica.
v. 6: L’abbondanza del vino rimanda all’abbondanza dei doni messianici.
E’ un fatto quanto mai eloquente poi che, dopo il miracolo di Cana l’evangelista ci dice che
solo i discepoli credono in lui, mentre non si dice nulla di tutti gli altri. Comincia, fin dalle prime
battute del quarto vangelo, la progressiva sottrazione dei discepoli all’identificazione con il mondo.
E questa sottrazione avviene proprio a partire dalla comprensione del miracolo come segno.
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Sempre come introduzione alla rivelazione di Gesù, Giovanni, diversamente dai sinottici,
pone all’inizio dell’attività di Gesù, l’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio. Anche questo è un "segno". La purificazione del Tempio rappresenta l’inizio di una nuova economia religiosa,
centrata ormai solo sulla persona stessa di Gesù: è lui il nuovo santuario e la fede in lui è il nuovo
culto.
v. 20: Per gli israeliti solo nel Tempio di Gerusalemme, dimora di Dio, poteva aver luogo il
vero culto.
v. 21: E’ significativo che Giovanni riferisce a Gesù il termine "corpo" solo qui e nel momento in cui questa profezia si avvera, cioè alla deposizione dalla croce (cfr. 19,38) e alla
scoperta del sepolcro vuoto (cfr. 20,12).
L'evangelista annota –questa volta in modo esplicito- che solo i discepoli saranno in grado di
capire tutto questo, e soltanto dopo la risurrezione.
Fin dalle prime battute del vangelo, dunque, il discepolato si gioca sulla comprensione dei
miracoli e in rapporto alla risurrezione. Se i miracoli sono segni e se la risurrezione è segno. Potremmo brevemente dire che la fede e quindi il discepolato si gioca per Giovanni tutto sul rapporto
strettamente personale tra il discepolo e il maestro e che questo rapporto è possibile solo e unicamente accettando la dimensione semiotica della fede.
[Concentrazione sulla persona storica di Gesù della qualità tutta giudaica della fede: Dio entra nella
storia e la storia non ha più soltanto valore in sé, ma acquista il valore di significante].
In un momento chiave, poi, proprio per la sottrazione dei discepoli alla folla e al mondo, cioè
prima del discorso del pane di vita (“Volete andarvene anche voi…”) le parole di Gesù sonano come
un monito estremamente chiaro: “Voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati …. Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio …. Questa
è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” [6,16-26].
[Il discorso potrebbe continuare: cfr. 12,37ss]
3. LE DISCEPOLE E LA TEOLOGIA DEL IV VANGELO
Non a caso mi sembra importante dire “le discepole e la teologia del quarto vangelo e non “le
discepole nella teologia del quarto vangelo”. Ci troviamo di fronte infatti non a un argomento, a un
tema, a un oggetto di interesse del quarto evangelista, ma piuttosto a un protagonismo letterario e a una
soggettualità teologica. Ben diversamente che nell'opera lucana, nel quarto vangelo le donne sono figure di spicco della vita comunitaria per quanto concerne sia l'elaborazione della fede sia la prassi dell'evangelizzazione. E rimandano perciò ad un modello ecclesiologico fondamentalmente inclusivo.
L'incontro e il dialogo di Gesù con la Samaritana (4,1-26) e la successiva descrizione del ruolo
di questa donna nella missione in Samaria (4,27-42); il dialogo con Marta che culmina nella confessione cristologica e prepara alla rivelazione della dottrina della risurrezione (11,17-27); la protofania
pasquale a Maria di Magdala (20,1.11-18) e, infine, la variante giovannea dell'unzione di Betania
(12,1-8): quasi tutte incentrate su una rivelazione cristologica, queste narrazioni che vedono per protagoniste le donne concordano nell'attribuire ad esse un carattere di marcata soggettualità. L'incontro tra
le donne e Gesù è sempre strutturato intorno a un serrato andamento interlocutorio e comporta sempre
un accentuato protagonismo. Tre donne, la Samaritana, Marta e Maria di Magdala, intervengono positivamente e dialetticamente nello sviluppo di decisive rivelazioni dottrinali da parte di Gesù e contribuiscono al passaggio da una fede-conoscenza incerta e imprecisa alla piena rivelazione dei misteri di
Dio; della quarta, Maria di Betania, Gesù stesso prende le difese in una contesa riguardo al discepolato.
Né si può ritenere che per l'evangelista questa soggettualità delle diverse protagoniste riguardi unicamente l'ambito interiore della fede individuale e non rimandi piuttosto esplicitamente ad una fattiva
soggettualità ecclesiale.
In particolare, nel dialogo tra Gesù e Marta sono gli interventi della donna a creare le condizioni per il progressivo sviluppo dall'inadeguatezza della formulazione di fede alla pienezza della rivela5
zione di Gesù come «la risurrezione e la vita» (v25), rivelazione suggellata, poi, dall'ultimo e decisivo
«segno», quello della risurrezione di Lazzaro.
Giovanni non riporta l'episodio della confessione di Pietro a Cesarea di Filippo (Mc 8,27-30 e
par). Per lui la fiducia di Pietro costituisce, sì, il punto di aggregazione di fronte al rischio di defezione
dei discepoli dopo lo scandaloso discorso sul pane di vita (6,67ss). A Marta, però, egli fa pronunciare
una confessione del tutto simile a quella che in Mt 16,16-20 costituisce il fondamento della proclamazione del vangelo del primato.
4. LA DISCEPOLA MARTA E IL RAPPORTO FEDE-MIRACOLI
Tornando all’episodio delle nozze di Cana, Maria incarna l’ambivalenza dell’atteggiamento
discepolare di fronte alla forza e alla capacità taumaturgica di Gesù. Al centro del racconto non c’è
tanto l’ammiccante interecessione di Maria, ma piuttosto il rapporto ambivalente di Gesù stesso nei
confronti dei miracoli e la preoccupazione teologica dell’evangelista di insinuare, all’interno stesso
delle narrazioni degli episodi miracolosi, i criteri per una valutazione prudente e teologicamente
ponderata della potenza taumaturgica del profeta nazareno.
Uno dei momenti culminanti della narrazione evangelica di Giovanni è invece rappresentato
dalla testimonianza della risurrezione resa da Marta di Betania (11,21-27). Si tratta di uno degli episodi evangelici maggiormente conosciuti e studiati. Ci basta soltanto una considerazione. La più solenne delle confessioni di fede del quarto vangelo che, nella strategia letteraria dell’evangelista Giovanni porta a compimento il libro dei segni ha per oggetto la risurrezione, cioè il segno per eccellenza.
Il punto di partenza di Marta è un convincimento religioso: la credenza nella risurrezione dei
morti sarà infatti il preambolo necessario, anche se non sufficiente, per accogliere la rivelazione di
Gesù e per tradurla in un’affermazione di fede cristologica. All’assicurazione da parte di Gesù sul
futuro di risurrezione che aspetta il fratello morto, Marta risponde “so che risorgerà nella risurrezione all’ultimo giorno”. E’ questa, cioè, la condizione previa per la rivelazione dell’identità tra Gesù e
la vita eterna e per la solenne confessione di fede: “Io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio, quello che deve venire nel mondo”.
Il fatto però assolutamente decisivo è che di questa confessione il miracolo della risurrezione
di Lazzaro non rappresenta invece né il fondamento né l’argomento ma, significativamente se si tiene conto della teologia giovannea, soltanto il corollario.
Da questo punto di vista, per capire l’importanza decisiva della confessione di Marta all’interno della teologia del quarto evangelista, bisogna agganciare l’episodio di Betania sia a ciò che lo
prepara, sia a ciò di cui esso stesso è preparazione. Innanzi tutto, allora, bisogna mettere a confronto le due figure con cui Giovanni apre e chiude il cosiddetto “libro dei segni”, cioè la prima parte
del suo vangelo. Mettere quindi a fuoco il ruolo di quella “madre” che Gesù chiama “donna” (2, 4)
e il ruolo di quella donna che Giovanni presenta come colei a cui Gesù voleva molto bene, insieme
a sua sorella e a suo fratello Lazzaro (11,5).
La prima, la madre di Gesù, compare lo abbiamo visto nel racconto delle nozze di Cana con
cui l’evangelista inizia la presentazione della prima rivelazione di Gesù, quella al mondo, che è il
tema portante del “libro dei segni”, cioè dei cc. 2-12, e che trova proprio nella questione del rapporto tra fede e miracoli una dominante significativa. La seconda invece chiude, insieme a sua sorella
Maria, il libro dei segni.
Queste due donne rappresentano dunque, l’una, Maria di Nazaret, l’esplicitazione, l’altra,
Marta di Betania, la risoluzione del problema del rapporto tra fede e miracoli. Rispetto alla forza
taumaturgica di Gesù e al valore effettivo da riconoscere ai suoi miracoli, la pretesa della madre di
Gesù, che non a caso viene espressa all’inizio della sua attività pubblica, lascia intravedere il carattere ambivalente del miracolo rispetto alla messianicità di Gesù e la necessità teologica dell’evangelista di far passare il significato dei miracoli dal livello dei fatti a quello dei segni attraverso il riferimento all’”ora” di Gesù, cioè alla morte. Solo se si accetta la logica dei segni, la crocifissione può
essere capita, come fa Giovanni, come glorificazione e esaltazione.
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Se l’atteggiamento di Maria a Cana incarna dunque la difficoltà, e per questo potrebbe
rappresentare il modo tutto giovanneo di alludere a quel conflitto tra Gesù e la sua famiglia o i suoi
concittadini che i sinottici invece esplicitano, Marta mostra piuttosto che questa difficoltà può
trovare una soluzione. Soltanto, però, nell’accettazione della logica del segno. Una logica che
impone che i gesti taumaturgici di Gesù vadano collocati e valutati non prima della, cioè a
prescindere dalla, confessione di fede, ma soltanto dopo di essa. E’ la fede che determina la
comprensione della potenza taumaturgica del profeta di Nazaret per quello che deve essere,
evitando cioè che si attribuisca ad essa valore in sé e riconoscendone invece la sua qualità di segno.
Il problema è scottante, soprattutto per la seconda generazione cristiana e, in modo tutto particolare,
di fronte all’insorgenza di tendenze gnosticizzanti. Come conferma anche il fato che per Giovanni, a
differenza che per le tradizioni utilizzate dai sinottici, i Dodici non ricevono il potere taumaturgico.
La confessione di Marta, d’altra parte, trova il suo pieno significato anche in rapporto a ciò
di cui rappresenta una chiara preparazione. Nel quarto vangelo, il racconto della protofania pasquale
a Maria di Magdala del cap. 20 trova nel dialogo tra Gesù e Marta il suo diretto antecedente letterario nonché il suo vincolante presupposto teologico. Lega i due episodi il filo rosso della elaborazione teologica della fede nella risurrezione, cioè il nucleo identitario del cristianesimo nascente. Il fatto poi che le protagoniste di entrambi i racconti siano due discepole non è, a mio avviso, per nulla
casuale, se si tiene conto -come abbiamo già detto- che, nel quarto vangelo, a ogni tornante decisivo
per il progressivo sviluppo della rivelazione cristologica troviamo un personaggio femminile.
5. CONCLUSIONE
Sappiamo tutti che, al cap. 13 del suo vangelo Giovanni compie una precisa operazione narrativa e teologica. La rivelazione di Gesù al mondo è finita a Betania perché la pretesa da parte di
Gesù di declinare la fede non più secondo la logica delle prescrizioni, ma secondo la logica dei segni si chiude con il complotto per farlo morire, dopo l’ultimo grande segno, quello delle risurrezione di Lazzaro. Un complotto la cui legittimità si fonda sulla significativa ed eloquente profezia di
Caifa. La logica dei segni apre infatti la fede a tutt’altre dimensioni di totalità e al contempo di libertà che sarebbe lungo qui sviluppare. Con il cap. 13 la rivelazione di Gesù è prende ormai la forma testamentaria ai discepoli e diventa la dichiarazione del manifesto fondativo della comunità cristiana. Avremmo, certo, potuto concentrarci su questi capitoli per scorgere il profilo del discepolo
nel quarti vangelo.
Mi sembra, però, che tutto quello che segue può rischiare di essere recepito come un intimistica e sentimentale caricatura del profilo del discepolo giovanneo se non si parte da molto prima. E
cioè dalla logica di sottrazione progressiva dal mondo a cui la rivelazione di Gesù impone di cedere.
Marta, alla fine del libro dei segni, interroga ogni discepolo di Gesù, ma anche ogni chiesa cristiana.
Perché impone di domandarsi quanto la fede, quanto la politica religiosa, quanto la vita comunitaria
siano abbiano davvero vissuto la prima e fondamentale purificazione: quella dal mondo. Non è vero
che “il mondo” si oppone alla religiosità. Anzi, “il mondo” la chiede e la promuove. A un patto, però. Che la religiosità si capisca dentro il mondo. “Credere” per Gesù ha significato altro: la sottrazione della religione stessa alla logica mondana.
Paradossalmente, soprattutto oggi, i miracoli sono un grande affare proprio per il mondo.
Sapranno le chiese testimoniare, come Marta, che una sola è “l’opera di Dio”, credere in colui che
egli ha mandato”?
“Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”.
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INTRODUZIONE ALLA VERIFICA
don Alberto Brugioni
Importanza della Verifica
Questa relazione serve a far memoria del nostro cammino di Chiesa Diocesana e ad introdurre i lavori di verifica che verranno fatti stasera.
Il nostro Progetto P. e l’Itinerario sono caratterizzati da un ampio respiro che si attua nel
tempo, non hanno la pretesa di individuare, in modo dettagliato, tutte le iniziative e i programmi
specifici, ma indicano alcune linee di fondo che guidino la "conversione pastorale", la quale per
realizzarsi ha bisogno ovviamente di un congruo periodo di tempo. Di conseguenza, sono indispensabili un'intelligente orientamento alla "sperimentazione" ed una costante disponibilità alla "verifica". Per ciò ritengo che sia essenziale maturare una propensione alla "verifica", come capacità di
fare tesoro di quanto il Signore ci aiuterà a comprendere e di correggere quanto risulterà carente o
non rispondente alle finalità scelte, operando, con opportune metodologie e con spirito di correzione
fraterna, le varie valutazioni.
Una volta che, attenti alla storia e alla situazione in cui si vive, la nostra Chiesa Diocesana,
le Zone e le varie Comunità si sono dati degli obbiettivi, dei suggerimenti, delle modalità, è necessario verificare il cammino fatto sia perché non rimanga solo intenzione scritta, sia per ritrovare
sempre il “sentire” comune e l’operare insieme.
Il nostro verificare non ha la pretesa della “scientificità”; perché implica sempre l’Opera
dello Spirito che agisce in, con e oltre noi, ma nemmeno dobbiamo trascurare che oltre la sua
straordinaria azione c’è sempre anche il nostro “povero” fare di cui Cristo si serve per rendere bella
la sua Chiesa.
Mettersi in verifica vuol dire confrontarsi con ciò che è stato formulato nell’Itinerario che un
anno fa ci chiedeva di saper pensare insieme, di essere capaci di discernimento e di concretizzarlo
nelle nostre realtà Zonali e Comunitarie.
- Per verificare occorre ricordare gli obbiettivi presenti nell’itinerario, gli atteggiamenti, lo stile e
i contenuti .
- Occorre ricordare le proposte, i suggerimenti, le modalità con cui l’itinerario intende essere
portato avanti
- Vogliamo valutare i risultati: riusciti o no e perché
- Il tutto per guardare in avanti alla seconda fase dell’itinerario; è ciò che faremo domani.
1. DAL SINODO DIOCESANO AL PROGETTO PASTORALE SCANSIONATO IN ITINERARI BIENNALI
Quando nel Convegno di Giugno del 2004 la Chiesa di Lucca si è data un Progetto per i prossimi
anni, lo ha fatto a ripartire dal Sinodo, per guardare al futuro. Nel redigere tale Progetto, sono stati
tenuti presenti il contenuto sinodale e l’esperienza di sinodalità fatta in quegli anni; sono state riprese le scelte pastorali di fondo per portarle progressivamente ad attuazione. I nostri Vescovi, dopo
averci convocato e riascoltato, hanno voluto riproporre il contenuto del Sinodo rileggendolo e sintetizzandolo con la modalità: Contemplare, Annunciare e Testimoniare. Per ciascuna di queste dimensioni ci hanno dato l’impegno, il punto focale ed il traguardo da perseguire: “per la vita e la
pace del mondo”.
Le realtà concrete in cui ci muoviamo e ci collochiamo, dentro le quali contempliamo, annunziamo
e testimoniamo non sono linee, ma ORIZZONTI a trecentosessanta gradi:
- c’è l’orizzonte della società in cui viviamo;
- quello della Chiesa diocesana e universale;
- la vita delle nostre Zone e delle Comunità dove sperimentiamo fede, impegno e missione.
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Affinché il Progetto non sia il frutto di un pensare e non rimanga solo un documento scritto è
stato scansionato in itinerari biennali con obbiettivi intermedi, adatti a farci crescere insieme come
popolo di Dio, Chiesa in cammino che è in Lucca. Tale crescita e maturazione avvengono grazie ad
un pregare e lavorare insieme, nel confronto e nella comunione. Solo così ci si converte, grazie a
delle accentuazioni e a degli atteggiamenti che derivano dalla modalità del nostro essere e dagli stili
di vita.
1 .1 – Il primo Itinerario biennale 2004 –2006
“Contemplare il Volto Santo del Signore per la vita e la pace del mondo”
(per verificare i fatti e le iniziative)
In questo primo biennio pastorale 2004-2006, la nostra Diocesi ha centrato il suo itinerario
pastorale su: “Contemplare”. Siamo stati invitati tutti a “incontrare e contemplare il Risorto presente nell’Eucaristia e nella celebrazione Eucaristica domenicale; nell’oggi della Parola; nel quotidiano
della vita della Chiesa e della storia umana; camminando insieme ai giovani” ( Itinerario, n.2).
In questo primo anno del nostro cammino, l’accento è stato posto sulla “comunità”; l’anno
prossimo sarà sul “ discepolo ”. Abbiamo intrapreso“dunque, il nostro cammino ecclesiale tenendo
fisso lo sguardo su Cristo Signore: è la dimensione contemplativa della vita cristiana!” (Itinerario,
n.4).
Il Progetto Pastorale e l’Itinerario sono stati consegnati: il 12 luglio, nella Festa di S. Paolino;
la Domenica 5 settembre, in una convocazione Diocesana a tutti gli Operatori Pastorali.
Il Convegno dei Catechisti di settembre riprese e approfondì l’Itinerario raccordandolo alla dimensione catechistica con il tema: “A partire dall’Eucaristia: la Comunità, il tempo e il creato” ;
Nel settembre e nell’ottobre in ognuna delle undici Zone Pastorali, con un’assemblea per gli Operatori Pastorali si è preso atto e approfondito sia il Progetto che l’Itinerario.
Da questo momento in poi l’itinerario è stato affidato alle Zone, alle Unità Pastorali e alle Parrocchie, dove ognuno ha cercato di concretizzare anima e atteggiamenti dell’itinerario.
La Diocesi ha continuato a sussidiare l’Itinerario con ben sei sussidi così intitolati:
- Per iniziare il Cammino.
- Invito alla lettura degli Atti.
- Gli atti del Convegno dei Catechisti, citato sopra
“A partire dall’Eucaristia: la Comunità, il tempo e il creato”.
- Avvento – Natale 2004.
- Quaresima - Pasqua.
- Tempo pasquale.
Potremmo domandarci: - Come si è venuti a conoscenza del Progetto e Itinerario nelle
parrocchie/unità p. e nella Zona? Come ci si è lavorato sopra e quali indicazioni sono state accolte
e/o rielaborate per la propria condizione?
1.2 - Importanza del decentramento e delle ZONE PASTORALI
Il Progetto Pastorale e gli Itinerari, anche se buoni, non ottengono risultati di per sé, nemmeno con le migliori strutture: c’è bisogno di anima, e l’anima sono le persone, i sacerdoti, i religiosi e
i laici che lavorano insieme per il Regno di Dio. L’anima dell’apostolato non è il piano pastorale,
ma l’apostolo. Sono le persone, gli operatori pastorali … tutti mossi da fede e dallo Spirito Santo.
E’ dell’altra settimana (venerdì 10 giugno) che il Consiglio Presbiterale ha iniziato a riflettere e confrontarsi sul valore e sulla vita delle Zone Pastorali.
Possiamo ben dire che se la Parrocchia o l’Unità Pastorale sono la Chiesa in mezzo alle case
della gente, la Zona Pastorale è il luogo dove la Chiesa si rapporta ad un territorio che ha caratteristiche assai omogenee dal punto di vista culturale, sociale, umano, economico.
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“E’…necessario che a livello di zone pastorali - anche delle unità pastorali e delle stesse comunità
parrocchiali - mentre ci si sintonizza con le ‘proposte’ diocesane, si metta a frutto la propria creatività per una più coerente incarnazione del Vangelo sul territorio e dell’annunzio del Regno di Dio
alla nostra gente” (Itinerario, n. 6).
“La zona pastorale offre la possibilità di lavorare nella logica dello scambio dei doni: ogni iniziativa può essere pensata e organizzata per tutte le comunità e le altre realtà ecclesiali (associazioni, movimenti, gruppi…) esistenti nel territorio, favorendo la comunione nelle e tra le unità pastorali” ( idem n. 11).
Come è rilevato nel Sinodo e ribadito nell'Itinerario, per l'omogeneità della situazione e l'esigenza di un indirizzo unitario, la Zona Pastorale è il vero strumento di comunione e di collaborazione tra le comunità presenti nel territorio, per la loro vita e la loro missione (cfr. LS, 208; Itinerario,
n.11). Pertanto, è nella Zona Pastorale che innanzitutto si devono concordare gli indirizzi e le attività comuni. Quindi non solo le piccole e medie parrocchie, ma anche le più grandi, sono coinvolte in
un processo di conversione pastorale (cfr. Le unità pastorali, 6.10.1999, p.1; Sussidio pastorale n.
1/2004-2005).
Al n.12 dell’ Itinerario venivano fatte queste proposte, a livello zonale:
- convocazione dei consigli pastorali (in loro mancanza, di commissioni pastorali
formate da rappresentanti delle parrocchie) nel mese di settembre: per determinare le linee generali di attuazione dell’itinerario diocesano, le celebrazioni e le iniziative comuni;
- incontri formativi degli operatori pastorali sull’itinerario diocesano;
- qualificazione del servizio degli organismi di comunione nella zona, nelle unità pastorali e
nelle parrocchie;
- collaborazione tra settori pastorali: sia per un accompagnamento dei vari itinerari di fede
come pure per la sussidiazione comune in sostegno alle parrocchie;
- individuare luoghi (monasteri, comunità religiose, case di spiritualità…), dove poter vivere
in silenzio, la contemplazione, la preghiera a livello personale e comunitario;
- promuovere ‘Centri zonali di formazione biblico-teologica’;
- dare respiro e spazio a gesti e scelte ispirate al Vangelo e alla radicalità delle beatitudini in
riferimento ai poveri della nostra società: immigrati, anziani soli, famiglie in difficoltà;
- riflessione e interventi sui problemi emergenti della “città degli uomini”, in un determinato
territorio, concordati a livello Zonale; allo stesso modo per quel che riguarda il dialogo ecumenico e interreligioso”.
Potremmo domandarci: - In che modo la nostra Zona ha cominciato a muoversi in questa prospettiva? Quali aspetti positivi si sono riscontrati e quali problemi sono sorti?
1.3 – Un terzo punto da verificare è la Pastorale Giovanile che ha mosso i primi Passi
La nostra Chiesa, mentre contempla il Volto del Signore Risorto, è stata chiamata a convertirsi al tempo dei giovani e ad accompagnare i giovani stessi a realizzare l’incontro vitale con Cristo.
Per questi motivi ci siamo messi in cammino ed abbiamo aperto il cuore alla Parola. Gli educatori
( genitori, sacerdoti, insegnanti, …) cercano di fare come Gesù con i discepoli di Emmaus mettendosi accanto, ascoltano, camminano, capiscono, illuminano, condividono fino a fare insieme Eucaristia, per inviare a loro volta i giovani…
La nostra Chiesa è stata chiamata dalla parola e dall’esempio del Vescovo Italo a farsi accanto
ai giovani, senza pregiudizi, per essere disposti “a perdere tempo”, stabilendo e moltiplicando relazioni con i giovani.
Con la Santa Croce del 2004 sono state affidate a tutti “le linee di progetto di pastorale giovanile”: documento di facile approccio, destinato ai giovani e insieme alle Comunità, ai loro accompagnatori e agli educatori. La metodologia risulta immediata, s’ispira al brano dei discepoli di Em10
maus e intende aiutare i giovani ad incontrare Gesù Cristo, e aiutare gli educatori “a farsi prossimo”
dei giovani. C’è una parola per tutti, stimolante e provocante:
“Tocca a te Comunità offrire ai giovani veri accompagnatori…
“ Tocca a te: accompagnatore, educatore, …”, metterti accanto agli adolescenti e ai giovani
Vi si tratteggia il volto della Comunità come dovrebbe essere: una Comunità che sa cambiare,
che sa convertirsi, proprio perché nutrita del Pane di Vita
Vi si tratteggiano lo stile e gli atteggiamenti dell’Educatore che deve essere un amico, un
compagno di viaggio e un profeta ….
Ai giovani s’infonde il coraggio di condividere, raccontare la loro esperienza di Cristo e di divenire a loro volta dei testimoni del Risorto.
Potremmo domandarci: - Come è stata accolta nella Parrocchia, la visita del Vescovo e cosa
l’ha seguita a livello zonale per una pastorale dei giovani?
2 – CONTEMPLARE IL VOLTO SANTO
Domandiamoci ora, passando dalla verifica dei fatti e delle iniziative a quella dei contenuti, degli
atteggiamenti e delle modalità che sono l’anima dell’Itinerario:
2.1 - Cos’è Contemplazione?
La prima tappa dell’Itinerario è contemplare! Parola che ci impressiona come “santità”. Forse, ci siamo detti: perché partire da così in alto? E forse, scoraggiati, abbiamo lasciato perdere. Ma
sia nel Progetto che nell’Itinerario, Contemplare non è astratto, non è un punto di arrivo e chi sa se
mai ci arriveremo, non è il frutto di un lungo cammino ascetico, fatto per pochissimi chiamati alle
“alte vette”.
“La contemplazione cristiana non rinvia a esperienze estatiche o prodigiose, ma è interamente tesa al volto di Cristo: volto che non è visibile fisicamente ma può essere cercato, trovato e incontrato nelle Scritture che parlano di Lui e nei volti degli uomini, soprattutto i più poveri e sofferenti”
(Progetto, n.22).
Contemplare è, secondo la proposta fatta quest’anno, punto di partenza e deve essere coniugata con Eucaristia. Inoltre, la Contemplazione deve essere vista rovesciata, dice, infatti, l’Itinerario al
n.4: “Contemplazione è, ad un tempo, ‘essere visti ’, contemplati da Dio e ‘vedere’ il Dio Trinità,
contemplare il Dio Trinità. Sì, noi siamo visti, cioè costantemente vegliati, custoditi, portati, nutriti
da Dio, dall’Amore Trinitario…A noi è fatto dono dell’amore del Padre, il quale si compiace nel Figlio e si dona nello Spirito; a noi è concesso, in Gesù, di ‘vedere’ Dio. ‘Chi ha visto me ha visto il
Padre’(Gv. 14,9); a noi è riservato di avvicinarci a Dio, nello Spirito e contemplarlo ‘non da stranieri ’ ma da ospiti e familiari” (Gb. 19,27).
Potremmo domandarci: - Come è stata compresa e cosa ha suscitato l’espressione “contemplare il Volto Santo di Cristo”?
2.2 – L’Itinerario che abbiamo iniziato è per la vita e la pace del mondo: e ci invita ad
essere dei contemplativi per le strade del mondo
“L’umanità è caduta in una frustrazione esistenziale e cioè in un abissale sentimento d’insignificanza della vita, intimamente connesso ad un senso di vuoto interiore”, dice Victor Franckl.
Tutti, più o meno, percepiamo questo fluire del tempo senza senso. Ci raggiungono, dal di dentro e
dal di fuori, una molteplicità d’interrogativi riguardo al senso della vita. Noi, uomini e donne, contemplativi del Crocifisso Risorto, abbiamo questa meravigliosa risposta, ma spesso non riusciamo
ad incrociare le domande, ad intercettarle pur essendo esplosa questa domanda di vita e di pace.
I nostri Vescovi nel Progetto Pastorale ci hanno detto: “La causa di Gesù è chiarissima …
far nascere vita, ‘piena e abbondante ’ per tutti là dove c’è morte… Chi vuole la vita, si pone come
11
Gesù al servizio della vita…”. Ciò richiede “disponibilità”, “capacità di decentramento sugli altri,
facendosi attenti ai loro bisogni e alle loro richieste”. Si pone in primo piano l’esigenza di “dare la
vita”. Secondo le parole di Gesù: “possiede… la vita chi la sa donare, chi la butta per amore”.
Per essere uomini e donne di vita e di pace dobbiamo essere capaci di contemplare la realtà
“Il mistero silenzioso dell’Eucaristia ci colloca al centro del dolore del mondo, lì dove le sofferenze nascoste, sottili ma laceranti del nostro quotidiano che segnano oggi il cuore della nostra
gente, fanno eco al grido di liberazione degli oppressi, delle vittime della guerra, della fame, della
sete e dell’ingiustizia. Saremo donne e uomini eucaristici se condivideremo la nostra vita con ‘i piccoli ’ del mondo, per i quali Gesù in modo specialissimo ha spezzato il suo corpo e versato il suo
sangue” (Progetto, n.22).
“La comunità cristiana, nella realtà quotidiana, rende conto della propria speranza e incontra
‘ l’ uomo ’ , ‘ il prossimo ’ , non superficialmente e dall’esterno: non muovendosi verso gli altri per
quello che esteriormente hanno di appetibile, ma per quello che sono nel loro più intimo, più invisibile, anche quando il volto è sfigurato e deforme; divulga ovunque rispetto, comprensione, fiducia e
valorizza gli esclusi” ( Itinerario, n.9).
La Contemplazione fa guardare la realtà del mondo con l’occhio critico e vede la realtà con
gli occhi di Dio ( cfr. Brunini).
Occorre essere contemplativi per le strade del mondo ( cfr. Maritain), capaci di stupirsi, di ricucire e rammendare il tessuto delle relazioni sia con gli altri che con Dio. I Cristiani contemplativi
sono uomini e donne capaci di ascolto, di dialogo, di vigilanza e di coscienza del limite, sempre con
amorevolezza e creatività.
“ Gli uomini e la donne del terzo millennio incontrando la Chiesa che ogni domenica celebra
gioiosamente il mistero da cui attinge tutta la sua vita, possono incontrare lo stesso Cristo Risorto”(
Dies Domini di Giovanni Paolo II, n.87).
Potremmo domandarci: In quale modo le proposte dell’Itinerario assunte dalla Zona, dalle
Unità pastorali e parrocchie hanno raggiunto e accolto la vita della gente? In che modo le comunità
hanno partecipato alle questioni sorte sul territorio?
2.3 - Contemplare il Risorto nella Parola di Dio e nella preghiera
“Contemplare Cristo significa guardare, leggere e interpretare la vita con gli occhi di Dio,
nella luce dello Spirito santo, alla luce e nella luce delle Scritture. Occorre che lo sguardo del cuore
sia abitato dalla Parola di Dio e sia in sintonia con l'Evangelo” ( Progetto, n.23).
La Liturgia della Parola è la prima mensa a cui accostarsi, di cui nutrirsi, che bisogna vedere, ascoltare, contemplare. E’ nella Liturgia, in special modo nell’Eucaristia e nei sacramenti, che la Parola
acquista il massimo significato. A Dio che parla si deve una risposta di fede: ascoltando, obbedendo, adorando “in spirito e verità”. Una fede debole o affievolita si alimenta all’ascolto della Parola
di Dio. “La fede nasce e cresce dall’ascolto della Parola di Dio”( Rm).
“La liturgia, ed eminentemente la liturgia eucaristica domenicale, è il luogo per eccellenza dell'ascolto, il luogo in cui la contemplazione, la proclamazione della fede nel Risorto e l’impegno di testimonianza trovano il loro fondamento e la loro possibilità” ( Progetto, n.24).
Per contemplare Dio nella sua Parola non solo è importante, ma necessario fermarsi nel corso della
settimana ad incontri di ascolto biblico. Sono la condizione per capire il segno eucaristico e per gustarne il sapore spirituale. Diceva S. Ignazio d’Antiochia: “ Io mi rifugio nel Vangelo come nella
carne di Gesù Cristo”. S. Girolamo aggiungeva: “ Penso che il corpo di Gesù è anche il suo Vangelo”.
“E’ scelta fondante della nostra Chiesa sottolineare la centralità dell’ascolto della Parola nell’esperienza pastorale delle nostre comunità; la Parola proclamata nella celebrazione eucaristica, così
come la Parola ascoltata nella preghiera quotidiana; la Parola come fondamento di ogni itinerario
12
catechistico, così come occasione di discernimento dei ‘segni dei tempi ’. Per questo è necessario
che le nostre comunità si offrano come luoghi di educazione alla contemplazione” ( Itinerario, n.8).
Una Comunità contemplativa è una comunità che prega ed educa alla preghiera. A pregare
s’impara pregando. Insieme all’Eucaristia e alla Parola che sono esperienze eccellenti di contemplazione si devono poter sperimentare tempi di adorazione, di silenzio, d’incontro, di meditazione, veglie notturne e luoghi di spiritualità.
Dice l’Itinerario al n.8 “Per questo è necessario che le nostre comunità si offrano come luoghi
di educazione alla contemplazione. Tutti abbiamo bisogno urgente della Parola accolta nel respiro della preghiera, quindi di silenzio e di interiorità, per respirare ‘Verità’ dal ‘Mistero’
che la realtà, la storia umana e la vita quotidiana, si portano dentro. Solo in questo spazio di
contemplazione le voci che oggi più che mai ci inquietano possono essere lette ed interpretate.
Nel silenzio dell’interiorità, illuminata dalla Parola di Dio accolta in preghiera, la voce dello
Spirito diventa il riferimento normativo della nostra esistenza e di ogni relazione, perché sia
autenticata dalla e nella Verità.
Questo impegno formativo, di un costante ascolto in preghiera della Parola di Dio, non è una
delle “attività” da accostare ad altre nella vita della comunità ecclesiale, ma l’esperienza “prima” da cui le altre derivano. Per questo vi sono invitati tutti i fedeli, e in particolare, tutti gli
operatori pastorali”.
Si sottolinea l’urgenza del silenzio, condizione indispensabile per un’esperienza di preghiera e di
contemplazione. Ed è per trovare questo silenzio che occorre valorizzare i monasteri e le Chiese che
qualche volta devono essere aperte anche durante la notte …
Potremmo domandarci: - Da cosa si è compreso che la lettura della Parola di Dio ( in particolare
degli Atti) è elemento fondamentale della vita della comunità? La comunità come vive l’ascolto della Parola?
2.4 – Una Comunità a misura di Eucaristia
La Contemplazione deve essere coniugata con Eucaristia.
“Contemplare Cristo significa saperlo riconoscere ovunque Egli si manifesti, ma soprattutto
nel Sacramento vivo del suo corpo e del suo sangue; nella celebrazione dell’Eucaristia, in particolare la liturgia eucaristica, dove contemplare è nello stesso tempo ascoltare e fare comunione.
Centro e cuore della contemplazione cristiana è il Risorto che incontriamo nell’Eucaristia: la
Chiesa vive del Cristo eucaristico, da lui è nutrita, da lui è illuminata” (Progetto, n.22).
Se ripensiamo il Contemplare con queste modalità, domandiamoci se e come ha incontrato la
nostra vita, e, se ne è stata fatta l’esperienza, se e come può essere fatta.
Per capire di più la Contemplazione posso aggiungere che:
Contemplare è “vedere” inteso come “sperimentare nella fede”. La Contemplazione è forma
ordinaria della vita della fede, della speranza e della carità, alla portata di tutti.
Contemplare è vedere il Crocifisso con una visione che non lascia indifferenti ( cfr. Lc 23,48).
La Contemplazione appartiene di per sé ad ogni battezzato, appartiene a colui che partecipa
all’Eucaristia e ne esce trasfigurato.
La Contemplazione è di chi legge e ascolta nel cuore la Parola, ed è da essa trasformato.
La Contemplazione fa scoprire la propria miseria e il proprio peccato, mettendo la comunità e
ciascuno in essa, sempre in cammino di conversione.
Il cristiano contemplativo crede la Chiesa e ogni comunità come assemblea non costituita da
mano d’uomo ( cfr. Brunini).
Contemplare, nella celebrazione Eucaristica, è sperimentarvi i segni della presenza del Risorto:
- il segno dell’Assemblea radunata nel suo Nome;
- il segno della Parola che svela il Progetto di Dio;
- il segno dell’Eucaristia in cui la Comunità si offre al Padre con il Figlio, per fare comunione
con Dio e con i fratelli nella Chiesa.
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Potremmo domandarci: - Come è preparata, vissuta e sentita l’Eucaristia domenicale?
In quale modo si esprime il legame tra Eucaristia e vita della comunità?
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SINTESI DEI LAVORI DI GRUPPO
I gruppi hanno fatto una verifica di come nelle comunità si è seguito l'itinerario indicato dall'arcivescovo.
1. Si è preso coscienza che la verifica di un cammino pastorale e di crescita nella fede delle Comunità fatta sia a livello Zonale che di Unità P. è di per sé utile. Meglio ancora se tale verifica non si fa
solo qui al Convegno, ma viene impostata anche precedentemente negli organismi di partecipazione: Consiglio Pastorale Zonale (CPZ) e Consiglio Pastorale Parrocchiale e di Unità Pastorale
(CPU/CPP).
2. A riguardo dell’accoglienza del Progetto e dell’Itinerario
si può dire che in tutte le Zone c’è stato messo l’impegno nella fase iniziale di Settembre - Ottobre 2004 a far conoscere e diffondere l’Itinerario, ma si sono riscontrate delle difficoltà là dove
gli Organismi dei CPZ e CPU/CPP sono assenti o inadeguati. Si coglie perciò la necessità di riformulare, motivare e riorganizzare gli strumenti di partecipazione ad ogni livello.
Il CPZ avrà il compito di promuovere e sensibilizzare la Zona facendola sentire unita in rapporto al territorio. L’itinerario in alcuni casi è rimasto sconosciuto o solo in mano a pochi. L’incompletezza del CPZ per mancanza di quelli Parrocchiali rendono il suo servizio limitato insufficiente
e parziale.
3. La Zona Pastorale
Ecco perché, ieri sera, in tutti i gruppi, molto della verifica si è concentrato sulla Zona Pastorale. Personalmente credo che sia merito dei Vicari Zonali, del loro coinvolgimento in uno stile di
lavoro che fanno quando si riuniscono come Vicari Zonali con il Vescovo, sia perché sono tutti
membri del Consiglio Presbiterale, che si sta valorizzando la Zona Pastorale, intesa come strumento
della Chiesa Diocesana sparsa sul territorio. Va inoltre dato atto anche ai laici che hanno coinvolto
accanto a loro, con i quali abbiamo preparato il Convegno e la verifica.
Molto materiale della verifica fatta nelle 11 Zone si è concentrato sul servizio zonale.
Lo sintetizzo così:
- Occorre crescere nelle motivazioni del fare Zona P. come luogo sociale, geografico, economico …
- Zona intesa come luogo fisico per incontrarsi all’interno del quale stanno le Parrocchie non
isolate tra loro, luogo per pensare ed elaborare itinerari concretizzando o adattando quello
diocesano, ai fini di un cambiamento di mentalità.
- Zona intesa non solo come luogo di formazione comunitaria e di comune ascolto e studio
della Parola di Dio, ma anche come luogo di ascolto delle problematiche del mondo di oggi.
- Zona intesa come laboratorio dei sacerdoti con i laici e luogo di un pensare insieme.
- La Zona è utile per supportare la vita delle UP e delle Comunità. Purtroppo a volte si riscontra che ancora tutto e troppo è fatto a livello parrocchiale con pretesa di autosufficienza. La
Zona ha il compito di far sentire ogni comunità bisognosa dell’altra.
- La Zona è utile per qualificare i laici nello studio della Bibbia e per la comune attenzione
alle nuove povertà.
4. La Pastorale Giovanile e le Iniziative condivise.
Il sentire comune e un condividere insieme è stato sperimentato nella maggior parte delle
Zone grazie alla visita del Vescovo ai Giovani. Date le difficoltà di ogni singola parrocchia nel rapportarsi ai giovani, questa occasione è stata utile per mettere insieme sacerdoti ed educatori che in
molti casi nemmeno si conoscevano. Ha favorito la continuazione di Commissioni Giovanili zonali
che necessitano di un sacerdote fisso e incaricato per la promozione della Pastorale Giovanile zonale e animo iniziative e incontri comuni per i giovani in collegamento con il Centro Diocesano.
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Alcuni hanno considerato positivo il metodo della visita fatta di incontri di preghiera, di festa
e di coinvolgimento delle associazioni di volontariato. A livello di città (Lucca e Viareggio) tale
metodo non è risultato positivo per la mancanza di coinvolgimento delle singole Parrocchie. Tutti
però hanno capito che bisogna andare incontro ai giovani e che l’esperienza zonale giovanile fatta
ora non va fatta cadere ma deve rimanere uno degli impegni prioritari di ogni zona Pastorale.
Questa esperienza insegna che di fronte ad alcune emergenze pastorali, non può essere più la
singola Parrocchia o UP ad affrontarle, ma insieme si può. L’orizzonte ora va allargato passando dai
giovani alle famiglie, dalla formazione zonale stabile per gli operatori pastorali e per i laici alle modalità con cui insieme affrontare le nuove povertà.
5. Segni di maturazione e atteggiamenti ancora da acquisire.
Il contemplare ha favorito una maggiore attenzione alla celebrazione della Parola di Dio e all’Eucaristia. Si va prendendo sempre più coscienza che il momento contemplativo è importante prima di ogni opera; perciò fermarsi, fare silenzio, confrontarsi con la Parola di Dio, adorare, celebrare, sono la vera anima del fare pastorale.
Nell’esperienza delle Comunità anche a livello di Zona è e sarà importante alternare momenti
comuni di preghiera a momenti comuni di studio della Parola di Dio, a tempi e luoghi di silenzio e
di adorazione. Occorre dare ai cristiani dei riferimenti precisi dove trovano l’alternarsi della preghiera, dalla lectio divina, alla liturgia delle ore, dai tempi di silenzio a quelli delle veglie, anche
notturne.
Nonostante tutte le proposte diocesane sullo studio della Parola di Dio si ha l’impressione che
questa Parola non sia ancora ritenuta così importante per la vita di fede e per leggere la vita con gli
occhi di Dio.
Sono stati fatti tentativi per fare dell’Eucaristia il centro e il culmine della vita cristiana e della
Comunità, ma spesso manca ancora tale coscienza e una sufficiente preparazione liturgica.
Occorre insistere ed impegnarsi di più sull’Eucaristia Domenicale che ad un tempo fa la Chiesa e fa il discepolo.
(sintesi a cura di d. Alberto Brugioni)
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I DISCEPOLI CONTEMPLANO IL VOLTO SANTO DEL SIGNORE
PER LA VITA E LA PACE NEL MONDO
Introduzione ai lavori di gruppo della seconda sera, di don Mauro Lucchesi
INTRODUZIONE
La specificità della fede cristiana, diceva ieri sera la prof Perrone, è un cammino di sottrazione al mondo per passare da una religiosità miracolistica alla fede; le parole del brano di Giovanni lo
esprimevano come un passaggio da: "credo che risorgerà alla fine dei tempi" a "tu sei la risurrezione
e la vita". La relatrice ha attualizzato questo cammino di discepolato in riferimento a una religiosità
oggi rinascente che spesso si ferma al miracolistico.
Io vorrei parlare del discepolo individuando un altro passaggio che lo caratterizza: da una dimensione moralistica e volontaristica della vita cristiana a una vita di discepolato; in termini di attualità è la pretesa di ridurre la fede a dato culturale.
L'itinerario che stimo vivendo in questo biennio pone al centro la domenica e l'eucaristia domenicale come sorgente che forma, plasma vitalizza e caratterizza la vita della comunità e di ogni
discepolo.
Cerchiamo dunque di vedere come l'evento fondante che è l'eucaristia nel giorno del Signore
origina una comunità nuova (prima parte) e come segna il discepolato dei cristiani (seconda parte)
1. UNA COMUNITÀ FONDATA SULL'EUCARISTIA
1.1. IL TEMPO PASQUALE È IL NOSTRO TEMPO
"Duemila anni fa, il cristianesimo conquistò il mondo con la gioia della Pasqua, la resurrezione. Tale gioia era soprattutto una risposta alla domanda e all'angoscia di sempre dell'umanità riguardo al dualismo della vita, fatta di gioia e di mortalità. Solo comprendendo questo fatto potremo
apprezzare la grande importanza che i primi cristiani attribuivano a ciò che altrimenti potrebbe sembrare un dettaglio privo di conseguenze nei racconti evangelici della risurrezione: Cristo è risorto il
primo giorno della settimana, il giorno dopo il sabato.
Il cristianesimo è cominciato con una nuova esperienza del tempo che cessa, con la resurrezione, di essere legato inseparabilmente alla morte: O morte, dove'è il tuo pungolo? O inferno, dov'è
la tua vittoria? (1 Cor 15,55). Questa nuova esperienza è al cuore stesso del cristianesimo e costituisce il fuoco che arde nel suo seno"1.
La prima comunità dei discepoli si forma nell'incontro con il Risorto e si dissolve laddove non
è accettato e vissuto in modo consapevole questo mistero; ne è un esempio l'episodio di Emmaus. I
due discepoli dopo il riconoscimento di Gesù si recano a Gerusalemme e trovano riuniti gli undici e
gli altri i quali dicevano: "davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Lc 24,33-34). Questa confessione di fede nel Risorto ricompone la comunità dei discepoli e implica un movimento di
comunione tra essi: forma la chiesa.
La chiesa, frutto della resurrezione che ha donato lo Spirito e unito i discepoli in assemblea è
luogo dove le energie della resurrezione che si stanno diffondendo, è il segno visibile che mostra l'inizio del tempo ultimo perché "quel che non è di questo mondo è già nel mondo, conferendogli un
significato e un valore nuovi…lo Spirito santo dimora già veramente nella chiesa. Ed è questo a costituire il mistero ecclesiologico"2.
La resurrezione di Cristo è l'evento unico che dà significato a tutto ciò che lo precede e a tutto
ciò che segue, che conferisce verità ad ogni essere e ad ogni cosa. Il Risorto che appare sconosciuto,
1
2
SCHMEMANN A., Celebrare nella gioia, Edizioni Qiqajon, Bose 1998, pp.12-13.
FLOROVSKIJ G., Cristo, lo Spirito, la chiesa, Edizioni Qiqajon, Bose 1997, p. 136
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scambiato per fantasma, che fa ardere il cuore quando parla ai discepoli di Emmaus, che si fa riconoscere da Maria per come la chiama, che invita i discepoli a toccare il suo corpo, e divide con loro
il cibo è il mistero reale e presente di una trasfigurazione reale della creazione, della materia.
"Il fondamento su cui Dio nel suo disegno ha stabilito tutte le cose è la potenza nascosta della
resurrezione; disegno che rivela il dono di Vita dal suo sorgere originario fino al suo compimento
mediante la croce vivificante; disegno pienamente realizzato, una volta per tutte, in quell'umanità
assunta dal Figlio e associata in lui alla Trinità"3.
La chiesa, prende coscienza di essere comunità che partecipa alla resurrezione, scopre la sua
identità di organismo umano-divino; essa vive il tempo terreno ed eterno perché, tutte le membra di
questo corpo partecipano, nello Spirito santo, alla vita eterna e questo legame al Cristo nello Spirito
Santo forma un'unica comunione; per questo nella preghiera eucaristica si ricordano il vescovo espressione della comunione nella chiesa terrena - e i santi.
È dall'incontro con il Risorto e sotto la guida dello Spirito che lui dona loro che i cristiani possono vedere il mondo come lo vede Dio (questo è uno dei significati della contemplazione che propone l'Itinerario). Infatti, nell'Eucaristia essi sperimentano per primi su di sé che la Chiesa è l'inizio
della trasfigurazione del mondo (il pane e il vino diventano corpo e sangue) e dell'umanità costituita
come comunità di unici.
C'è dunque un profondo legame tra pasqua, domenica, eucaristia e comunità. Alla domanda:
Che cos'è l'eucaristia? dobbiamo rispondere: È la pasqua nella sua forma rituale. A chi chiede: Cos'è
il giorno del Signore? Rispondiamo: è la pasqua settimanale e la festa originaria del cristianesimo.
Ignazio di Antiochia a chi gli chiedeva: chi sono i cristiani? Rispondeva: quelli che vivono secondo
la domenica. A lui fa eco un teologo contemporaneo che si chiede: Cosa è la chiesa? E risponde:
grazie all'eucaristia, è un laboratorio di risurrezione. (Clement)
1. 2. LEGAME TRA EVANGELIZZAZIONE E DOMENICA
L'eucaristia è il luogo in cui la fede trova la sua eloquenza, la sua celebrazione e diventa così
la prima forma di evangelizzazione. Il vero soggetto dell'evangelizzazione è il Signore risorto; Egli,
nella liturgia è presente e parla, opera, agisce in modo efficace e, attraverso lo Spirito Santo, attua
una vera sinergia con l'assemblea.
E' nella liturgia che la chiesa accoglie le parole da annunciare al mondo, è nella liturgia che lo
Spirito trasforma per la missione, è nella liturgia che si riconosce l'opera di Dio nella chiesa.4 Nello
stesso tempo c'è anche un movimento di ritorno:
"L'evangelizzazione dei primi secoli cristiani ha generato la domenica e le ha consegnato il
suo senso originario di festa primordiale della resurrezione e il fenomeno sociologico più originale,
caratteristico e duraturo: l'assemblea dei credenti. L'evangelizzazione dei secoli V-IX ha generato
intorno alla domenica e all'eucaristia prima le chiese battesimali, ha saputo conquistare lo spazio degli uomini edificando chiese e ha saputo ritmare il tempo degli uomini con le domeniche, le feste, le
campane, le ore canoniche.
L'evangelizzazione partita nel cuore del medioevo ha cominciato a prendere coscienza della
cura dovuta all'individuo, soprattutto quando l'imprenditorialità borghese allargava gli spazi di economia, assistenza e cultura nei secoli XII-XIV. Allora la domenica e il precetto domenicale, che
escludeva anche le opere servili voleva obbligare singoli e societas christianorum a esprimere mediante un disciplinato uso della domenica la propria appartenenza alla chiesa.
Un'ulteriore ondata di evangelizzazione smosse la cattolicità dopo la bufera protestante.
Quando il concilio di Trento cominciò a dare i suoi frutti verso il 1600 inoltrato e fino al secolo
scorso, la domenica fece propri e istituzionalizzò tutti i caratteri di cui la dotò il medioevo. Vi aggiunse, di suo, la caratteristica della dottrina pomeridiana legata al vespro".5
3
CLEMENT O., Anacronache, Edizioni Iaca Book 1992, Milano, p. 69.
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, Roma n. 48.
5
PIAZZI D., Vivere il giorno del Signore, in Settimana 2005/19 p. 9.
4
18
Nella nuova stagione di evangelizzazione post conciliare la domenica è legata in modo stretto
con la nuova evangelizzazione essa dovrà esser vissuta in modo tale da essere una manifestazione
visibile di cosa è la chiesa e la buon notizia che annuncia.
1. 3. L' EUCARISTIA FA LA COMUNITÀ A IMMAGINE DELLA TRINITÀ
I credenti sono battezzati nello Spirito nel nome della santa Trinità per formare un solo corpo
(cf 1 Cor 12,13). Quando la chiesa celebra l'"eucaristia, diviene "quel che è", corpo di Cristo (1 Cor
10,17). Tramite il battesimo e la cresima, infatti i membri di Cristo sono unti dallo Spirito, innestati
in Cristo. Ma nell'eucaristia l'evento pasquale si fa chiesa. La chiesa diviene quel che è chiamata ad
essere nel battesimo e nella cresima. Nella comunione con il corpo e il sangue di Cristo i fedeli crescono in questa divinizzazione misteriosa che opera la loro dimora nel Figlio e nel Padre, mediante
lo Spirito.
Così, da una parte la chiesa celebra l'eucaristia come espressione in questo tempo della liturgia celeste. Ma, d'altra parte, l'eucaristia edifica la chiesa, nel senso che, per suo tramite, lo Spirito
di Cristo risuscitato plasma la chiesa in corpo di Cristo. Perciò l'eucaristia è davvero il sacramento
della chiesa, sia come sacramento del dono totale che il Signore fa di se stesso ai suoi, sia come manifestazione e crescita del corpo di Cristo, la chiesa".6
"Questo mistero di più persone costituisce la novità della comunione trinitaria comunicata agli
uomini, nella chiesa, tramite l'eucaristia… perciò la chiesa trova il proprio modello, la propria origine e il proprio compimento nel mistero del Dio uno in tre persone. Anzi, l'eucaristia così compresa,
alla luce del mistero trinitario, costituisce il criterio del funzionamento della vita ecclesiale nella su
totalità. Gli elementi istituzionali altro non devono essere che un riflesso visibile della realtà del mistero".7
1. 4. UNA COMUNITÀ A MISURA DI EUCARISTIA
Quando delle persone si ritrovano lo fanno in nome di un interesse o di un valore comune.
Quando i cristiani la domenica si ritrovano, dichiarano di essere convocati e di stare insieme nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nessuna ragione che parta da noi, che parta dalla
storia, è quella in nome della quale stiamo insieme per l'eucaristia. Il convenire nello stesso luogo
manifesta l'origine e l'identità profonda della comunità e nello stesso tempo diventa segno profetico
per l'umanità: in un mondo frammentato, uomini e donne che non si conoscono si riuniscono e si riconoscono fratelli. Ma la comunità riunita non è una fuga dal mondo, anzi, costituisce un annuncio
missionario, perché mostra a tutti la sorgente della vita.
Ed è nella comunità riunita dal Signore che si alimenta nasce il noi ecclesiale. Qui non è ammessa contrapposizione ed estraneità. Qui diventa insopportabile l'autosufficienza e l'indifferenza
anche per le necessità pastorali.
Nella celebrazione domenicale dell'eucaristia la comunità esprime se stessa nella molteplice
ricchezza dei suoi doni che si rendono presenti in maniera sinfonica. I ministeri che si esercitano
nella liturgia devono essere espressione di una più diffusa ministerialità comunitaria. Soffermiamoci
un momento a pensare al consiglio pastorale, non può funzionare se serve solo per "dare una mano
al prete" o per una questione di democrazia, ma è una questione di corresponsabilità e di comunione
dei doni perché come la liturgia eucaristica prevede che l'assemblea sia articolata in diversi ministeri così anche per la vita comunitaria. L'assemblea eucaristica manifesta ciò che la chiesa è e mostra
il modello sul quale organizzare la comunità.
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COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA
ROMANA E LA CHIESA ORTODOSSA, Il mistero della chiesa e dell'eucaristia alla luce del mistero della Trinità,
I,4 in Enchiridion Oecumenicum I, Edizioni Dehoniane, Bologna 1986 n. 2187
7
Ivi, II,1 in EO, 2190
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1. 5. UN'URGENZA: FARE PASTORALE A LIVELLO DI ZONA
L’itinerario 2004-2006 ci porta a riscoprire che l’Eucaristia forma la Chiesa come corpo di
Cristo. Questa comunione deve essere espressa anche nelle strutture e nelle forme della vita ecclesiale. La dimensione comunionale si condivide nella nostra chiesa locale a diversi livelli: a livello di
diocesi (Consiglio Episcopale, Pastorale e Presbiterale e anche a livello di Zona. È su questo che
vorrei attirare la vostra attenzione. La Zona è luogo della pastorale d’insieme, dove la diversità delle
varie comunità è apprezzabile come ricchezza;
Il sinodo ce ne ricordava il fondamento comunionale: «Le strutture della Chiesa, in quanto comunità eucaristica, anche se segnate dalla fragilità umana, sono al servizio della comunione e di una
dinamica ed armonica composizione delle diversità nell’unità e dell’unità nelle diversità. Le strutture sono perciò anche luogo di esercizio della corresponsabilità» (LS, 199) «Considerate in rapporto
all’Eucaristia, le diverse istituzioni, e le stesse strutture di comunione, devono essere comprese e
sono chiamate a funzionare in un rapporto di interdipendenza reciproca. Questo comporta la valorizzazione di ogni strumento e momento di partecipazione, da quello apparentemente più insignificante al più essenziale» (LS, 200).
Quando si parla di comunità di solito pensiamo alla parrocchia, ma la situazione attuale ci
spinge a considerare le parrocchie nel loro insieme su un territorio omogeneo che è la zona pastorale.
C'è anzitutto da considerare un aspetto umano: Le zone pastorali sono «grandi aree geografiche sufficientemente omogenee per vissuto socio-economico» (Libro Sinodale, 208). Si fa dunque
riferimento alla vita quotidiana, ad intrecci relazionali, ad un tessuto umano condiviso, a luoghi, a
strutture che persone concrete esprimono in un determinato ambiente. È comune esperienza constatare che la vita delle persone non si svolge più solo all’interno della frazione dove si abita, ma ha
una estensione più ampia e fa riferimento a servizi distribuiti in un territorio più ampio; anche a livello civile, i comuni - non le frazioni - sono il termine minimo di unità territoriale.
Se guardiamo al rapporto tra parrocchia e territorio vediamo che, mentre un tempo era il territorio che apparteneva alla parrocchia perché tutta la vita si svolgeva all'ombra del campanile - la nascita in casa, la scuola, il lavoro, la malattia, la morte, la festa - oggi non è più il territorio che
appartiene alla parrocchia ma è la parrocchia che appartiene al territorio più ampio dove la gente organizza la sua vita.
Se ci poniamo nella prospettiva pastorale l’esperienza ci fa costatare che nessuna
parrocchia/unità pastorale è autosufficiente nel rispondere alle esigenze dell’evangelizzazione; è
solo mettendo insieme le ricchezze e le forme pastorali della zona che viene offerta a tutti una esperienza di vita cristiana più completa.
Sempre da un punto pastorale vediamo che l'esperienza cristiana non si svolge più nel solo riferimento alla propria parrocchia, ma ha riferimenti più ampi.
Inoltre non va dimenticata la situazione del clero sia per quanto riguarda la condizione personale, il numero, l’età e la presenza sul territorio della diocesi; è un dato, quest’ultimo, che ha bisogno di attento discernimento e di feconda corresponsabilità poiché su 257 preti, 106 hanno superato
i 75 anni; 40 hanno tra 65 e 74 anni, per cui abbiamo che 146 preti su 257 hanno più di 65 anni.
Solo 9 sotto i 34 anni; 31 tra 35-44; 28 tra 45-54 e tra 55-64 sono 43.
Un lavoro comunionale in Zona richiede di assumere uno stile nuovo; bisogna superare una
mentalità del tipo: “far qualcosa insieme”, come se il livello zonale consistesse nell’aggiungere delle iniziative alla vita parrocchiale. La Zona non è una sovrastruttura che complica l’azione pastorale
o che tende ad impedire la necessaria peculiarità delle parrocchie/unità pastorale ma è l'angolatura
di insieme da cui guardare le singole comunità per meglio farle vivere
Gli atteggiamenti di conversione pastorale richiesti potrebbero essere espressi come segue:
- uscire dalla propria autosufficienza sia personale che pastorale; siamo chiamati a condividere la sollecitudine per le persone e le situazioni di tutto il territorio;
- considerare la zona come spazio culturale, dove la comunità vive articolandosi in tante realtà
culturali, sociali, civili e religiose (parrocchie/unità p., monasteri, conventi, centri di
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carità…) che conservano il loro valore e la loro vita ma che sono sempre da considerare nel
loro insieme;
- passare da una formazione a settori separati a un percorso formativo volto a sollecitare la
partecipazione sinfonica degli animatori pastorali alla vita della Zona;
- valorizzare la diversità di elementi e di forme di vita cristiana,
- ripensare la distribuzione più corretta delle risorse, dei ministeri (a cominciare dal prete, ma
non solo) esercitando la corresponsabilità tra comunità grandi e piccole…
In tale prospettiva le diversità appaiono una ricchezza a disposizione di tutti (es. si invoca l'uniformità di comportamenti tra parrocchie ma non è forse una mortificazione della pluralità di forme di vita cristiana?). Il metodo di lavoro più adatto è quello del “laboratorio” che tiene presenti le
esigenze del territorio, le risorse presenti e permette una “riscrittura” originale e creativa dell’itinerario diocesano. Il frutto è lo scambio dei doni dove la ricchezza di ciascuno è bene di tutti.
In sintesi mi pare si debba cambiare l'ottica: passare dal movimento che va dalla parrocchia
alla zona a quello che va dalla zona alla parrocchia.
2. IL DISCEPOLO A PARTIRE DALL'EUCARISTIA
2.1. I DISCEPOLI DEL RISORTO SENZA LA DOMENICA NON POSSONO VIVERE
Dove risiede, da dove procede la forza dei discepoli per seguire il Signore? Dall'eucaristia
perché essa è offerta della vita in sacrificio a Dio e fonte di comunione con tutto il mondo. L'Eucaristia è infatti il luogo del metabolismo divino-umano da cui attingiamo la vita al di là della morte,
luogo di frantumazione di ogni muro tra uomini, luogo di comunione più forte delle nostre comunicazioni. Lasciarsi plasmare dall'evento dell'eucaristica significa rinarrare agli uomini il mistero di
Gesù che muore e risorge.
Accostarsi all'eucaristia significa accostarsi all'amore di Dio che si comunica agli uomini raggiungendoli nella loro disobbedienza. È nell'eucaristia infatti che Dio accoglie il peccato del mondo,
il suo mistero di morte, il male, la colpa e tutto risana, tutto perdona. È qui che si vive la pasqua. Un
vescovo ortodosso bulgaro, nel tempo del regime comunista, davanti alla domanda sulla vita della
sua Chiesa perseguitata rispondeva: "noi celebriamo l'eucaristia, la sola forma pubblica possibile
della nostra fede. Ma l'altare, la santa eucaristia sono la scuola spirituale, la cattedra dell'evangelo,
la memoria del martirio, il luogo di comunione della chiesa e l'annuncio della comunione tra gli uomini".
2. 2. 1. Esperienza primordiale: l'incontro con il Risorto
Qual è il legame tra discepolo ed Eucaristia? Nel linguaggio comune si esprime con espressioni del tipo: "andare alla Messa, prender la Messa, perder la Messa, l'obbligo di andare alla
Messa…" non sono frasi ingenue, dicono come è sentita l'Eucaristia. Per molto tempo è stato insegnato l'obbligo della Messa domenicale come una parte del comandamento "ricordati di santificare
le feste" come se la legge mosaica potesse contenere ciò che la compie e la supera. Bisogna piuttosto rovesciare questo modo di intendere: non è il cristiano che include nei suoi doveri la Messa ma è
l'Eucaristia che forma il cristiano. In termini semplicistici e a mo' di slogan si potrebbe dire non:
sono cristiano e per questo vado alla Messa, ma: vado alla Messa, per questo sono cristiano. L'eucaristia non è un'opera del cristiano, è il cristiano ad essere un'opera - o meglio - un capolavoro dell'Eucaristia.
Seguiamo ora il ritmo della celebrazione eucaristica per cogliervi alcuni aspetti che sono di riferimento alla vita del discepolo, facciamo un tentativo di cammino mistagogico.
Uscire di casa e incamminarsi verso la chiesa è già la risposta ad una convocazione del Risorto: la domenica i discepoli hanno un appuntamento e per questo raggiungono lo stesso luogo.
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Qui avviene l'incontro con il Risorto: è un momento della storia della salvezza che si realizza
in loro perché la liturgia compie ciò che celebra. Una mentalità che porta ad andare alla Messa all'orario più comodo è decisamente fuorviante, perché non si sceglie l'orario più comodo secondo le
proprie esigenze ma si va alla convocazione fissata per la comunità e la domenica si organizza a
partire da lì. Dobbiamo affermare con forza che l'esperienza fondamentale del cristiano è questo incontro, per scoprire al fondo stesso del proprio inferno il volto di Dio devastato e risorto, sfigurato e
trasfigurato che ci accoglie, ci libera e ci restituisce alla vita. Non seguiamo un maestro che insegna
norme di vita, ma viviamo uniti al Vivente e per questo viviamo come lui.
È da questo incontro che il cristiano ripensa, purifica, illumina e modifica i valori (cf. l'insegnamento di Paolo VI in Evangelii Nuntiandi)
Sarebbe importante domandarsi se questa centralità dell'incontro col Risorto è al centro dei
nostri cammini di vita cristiana.
2. 2. 2. Trovarsi in assemblea
Giungendo alla chiesa il discepolo scopre di non essere solo: nell'essere comunità-chiesa egli
coglie che la sua fede non è un fatto individualistico. Non si può esser cristiani senza la Chiesa.
L'appartenenza alla comunità è fondata sul comunicare al corpo di Cristo e questo fonda le relazioni
nuove tra i discepoli, come chiede l'invocazione allo Spirito nella preghiera eucaristica (II e III):
"noi che mangiamo un solo pane formiamo un solo corpo".
La salvezza che il cristianesimo annuncia non è un intimistico star bene con se stessi ma è una
realtà destinata a tutti, collocata dentro la storia, inserita in una dimensione comunitaria.
Se l'espressione "corpo di Cristo" è così forte da indicare il risorto e la sua comunità, noi partecipando all'Eucaristia siamo sempre più accresciuti nell'appartenenza al corpo di Cristo… e lo
Spirito che ha dato i suoi doni per la edificazione di quel corpo la arricchisce con la partecipazione
di tutti. Quando nelle nostre comunità manca chi svolge i servizi indispensabili è un gran brutto segno. Come comprenderlo? Mancanza dell'azione dello Spirito o incapacità di vedere e accogliere
responsabilmente i suoi doni?
Vorrei anche richiamare l'attenzione su un fatto assai comune. Nelle nostre parrocchie ci sono
sempre diverse Messa domenicali, ma la duplicazione della celebrazione eucaristica non esprime
l'unità della comunità come corpo, non mostra l'Eucaristia come evento ecclesiale, perché sposta
l'accento sulla partecipazione individuale. Se all'inizio del cristianesimo la nuova comunità prese
nome dal convenire dei cristiani in uno stesso luogo, col tempo si è passati dall'andare all'assemblea all'andare in chiesa riducendo l'Eucaristia a una realtà a se stante, a un rito da compiere, un
precetto senza più riferimento alla comunità. Questo approccio ha avuto come risultato il passare da
"assemblea domenicale di convocati" a individui che devono assolvere un obbligo e il precetto non
prevede l'assemblea! Questa impostazione arriva ai nostri giorni e solo recentemente si è abbandonata la proposta di un giorno alternativo della settimana per chi non poteva partecipare la domenica.8
Potremmo verificare se i nostri cammini di discepolato hanno un riferimento forte alla vita comunitaria e in che modo si fa esperire che l'Eucaristia è l'evento primario della comunità.
2. 3. I DISCEPOLI SONO CUSTODITI DALLA PAROLA DI DIO
2. 3. 1. L'ascolto genera i discepoli
Ascoltare-aderire-seguire; questo dinamismo tipico del discepolato nel nostro contesto culturale non è apprezzato in modo chiaro; l'uomo contemporaneo si percepisce non a partire da una parola-persona che gli si avvicina ma dal proprio bisogno interiore; nell'esperienza religiosa non è più
dalla religione che egli accoglie una fede e una morale; è il singolo che chiede alla religione ciò di
cui ha bisogno. Tutto è misurato dalla capacità di condurre alla realizzazione di sé. Anche l'editoria
religiosa cristiana si è adattata e pubblica testi del tipo: non farti del male, il cielo comincia in te… è
un invito al fai da te.
8
Cf. FALSINI R., Assemblea eucaristica domenicale, in Settimana, 2005/7 p. 1
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Anche il termine spiritualità, assai diffuso, spesso è contrapposto alla fede: molti si dicono in
ricerca spirituale ma non credenti in Cristo Gesù: la fede implica adesione, assunzione di rischio, rinuncia, condivisione; questo spirituale invece è pervasivo, vago e individuale. L'atteggiamento davanti alle proposte religiose è quello di chi sceglie il prodotto che maggiormente gli serve, non di riceverla. Star seduti o in piedi ad ascoltare la parola di Dio fa sperimentare che la fede nasce dall'ascolto.
2. 3. 2. L'ascolto liturgico della parola
Nelle eucarestie solenni all'inizio della celebrazione si porta l'evangelario attraverso l'assemblea e lo si pone sull'altare; l'evangelario sull'altare è una epifania del mistero di Cristo: la Parola di
Dio trova il suo compimento nel vero culto reso dal Cristo che si dona al Padre sulla croce e di cui
l'altare è simbolo. Questo gesto iniziale è la chiave interpretativa di ciò che la chiesa celebra.
Gli antichi padri interpretavano la Liturgia allo stesso modo con cui interpretavano la Scrittura: come vedevano nell'antico testamento le prefigurazioni del mistero di Cristo; guardando alla liturgia vedevano che antico e nuovo testamento erano prefigurazioni di quanto la Liturgia opera.
Nella Liturgia quindi continua la storia di salvezza, la comunità è protagonista di ciò che la Prola
annuncia. La ricchezza di questo evento della Parola che si compie dovrebbe caratterizzare sia l'omelia che la catechesi; è quel che si chiama comunemente mistagogia e per trovarne un esempio recente basta leggere l'omelia di Benedetto XVI nel giorno del suo inizio del servizio pastorale. Infatti
per quel che riguarda l'Eucaristia, non basta spiegare i riti, ma bisogna passare dal significato dei riti
al dono che portano alla vita.
Ma il discepolo ha un modo di mettersi di fronte alla parola di Dio, un modo che esprime il
suo essere in relazione dal Maestro, il pendere dalle sue labbra. Ogni anno il vescovo indica un libro della Scrittura da leggere, l'ottica del discepolo è quella di farsi ascoltatore (io sono il destinatario, la Parola è il soggetto che mi si rivolge) per capire qualcosa di sé, lasciarsi cambiare da quella
parola, obbedirla come segno di amore. C'è anche un modo che porta meno frutto: leggerla come si
sta davanti a un libro oggetto di studio; in questo modo finisce che io sono il soggetto e il libro l'oggetto che studio.
Ciascuno può ripensare il suo modo di ascolto la Parola del Signore.
2. 3. 3. La Parola corregge l'immagine di Dio
Contro la concezione che pesa sull'inconscio cristiano di un Dio che sovrasta la storia - in cui
tutto, di conseguenza, diventa un gioco di marionette - e di un Dio che ha bisogno della sofferenza
del Figlio per riconciliarsi con gli uomini, l'Eucaristia in quanto memoriale della pasqua ci fa conoscere - attraverso la Parola e i gesti - un Dio che rischia, che entra in un dramma di amore, che si
coinvolge realmente nella storia degli uomini e nella storicità di ciascuno e che si rivela compiutamente nella croce e resurrezione. Non è l'autore del male, bensì il ferito dal male, il crocifisso dal
male; è il Dio che va in cerca dell'uomo e lo raggiunge facendosi come l'uomo, abitante della morte.
Ma questo Dio crocifisso su tutto il male del mondo, proprio perché è Dio non cessa di vincere la morte e l'inferno e di offrirci lo Spirito in modo che la vita del discepolo diventa un cammino
di resurrezione. Infatti se Dio, in Cristo, è entrato negli inferi, in Cristo tutto è nuovo; l'eucaristia è
una potenza di trasfigurazione che fa dell'inferno una chiesa e fa circolare la gloria di Dio: la parola
lo annuncia, il sacramento lo compie.
È da questa esperienza - parola e sacramento - che possiamo avere la vera conoscenza di Dio
e superare l'immagine che ci siamo fatta di un Dio geloso dell'uomo, prepotente, che esige sacrifici,
che punisce, che mette alla prova. Tuttavia, quante volte sentiamo espressioni che manifestano questa visione: "che ho fatto di male per meritare questo?"… "perché Dio mi ha andato questa croce?"
e ci sono predicatori che attribuiscono a Dio le loro fobie minacciando di punizioni imminenti da
dover trattenere lottando contro l'ira di Dio. Prendiamo atto che c'è stata una cristianità che ha pensato Dio contro l'uomo e per tutta risposta si è avuto un umanesimo che ha pensato l'uomo contro
Dio.
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La liturgia della parola si conclude con la preghiera universale. L'assemblea si fa intercessione
per l'umanità, portiamo tutti gli uomini in un solidarietà realissima. Questo plasma l'identità del discepolo a farsi intercessore nel movimento che sale dall'umanità a Dio e nel movimento che da Dio
va verso all'umanità.
2. 4. I DISCEPOLI FANNO UN CAMMINO DI CONTEMPLAZIONE
2. 4. 1. La comunione al corpo di Cristo dona lo Spirito: contemplare
Il corpo del Risorto è un corpo ricolmo di Spirito: non è possibile scomporlo in un quaggiù e
in un lassù. Il corpo di Gesù Risorto è corpo di comunione che tutto ingloba ed un corpo che fa parte del tessuto della storia e dell'eternità, è umano e divino. Per la comunione al corpo risorto di Cristo nel proprio corpo conosciamo il mondo dal di dentro, "per liberare la sua celebrazione, la danza
che costituisce l'essere delle cose" (Clement).
È superato quel dualismo che caratterizza una certa impostazione di vita cristiana: cielo e terra, corpo e anima, tempo ed eternità…l'eternità è Dio, non è dopo è ora…
Noi abbiamo una conoscenza delle cose secondo una ragione decaduta la quale separa, contrappone oppure confonde. La conoscenza nella comunione col Risorto, e quindi secondo lo Spirito,
integra la razionalità e il cuore; cessa di fare il mondo oggetto della bramosia e percepisce ogni essere e ogni cosa come un miracolo. Questa conoscenza consiste nel vedere la gloria di Dio nascosta
nelle cose, è una conoscenza verticale, simbolica, spirituale. È una conoscenza che insegna a esorcizzare la tentazione totalitaria della tecnica reclamando il rispetto della persona e della natura. Il
punto di riferimento in questo cammino è la comunione dei santi e l'occhio illuminato dallo Spirito
Santo. La preghiera, di conseguenza, diventa l'arte delle arti e la scienza delle scienze che apre alla
verità.
Questa conoscenza è contemplazione, perché permette di vedere il mondo attraverso il centro
focale di tutto che è la morte e resurrezione del Cristo. Questa visione unitaria - e non cronologica è la vera comprensione di tutto.
La conoscenza-contemplazione non mira ad altro che a conformare al Cristo l'esistenza personale ed ecclesiale. Contemplare non è fuggire o evadere la compagnia degli uomini ma discernere
negli eventi della storia e nella propria persona la presenza del Cristo. Essa ha come frutto, la dilatazione del cuore fino alla compassione per tutto.
La contemplazione cristiana diviene anche capacità di giudizio e di sguardo critico sulla storia; non a caso Giovanni, testimone della crocifissione è divenuto nella tradizione il teologo, il contemplativo e l'autore dell'apocalisse, un testo che sa volgere uno sguardo penetrante sul totalitarismo
dell'impero romano per leggere la storia con gli occhi di Dio. Questa contemplazione nasce dall'ascolto orante: nella fede cristiana il primo organo per vedere è l'orecchio.
2. 4. 2. L'ascesi
Cristiani non si nasce, si diventa (Tertulliano). Questo divenire è lo spazio in cui si inserisce
l'ascesi. È l'allenamento, l'esercitazione per giungere alla misura di Cristo. Paolo ammette: "quando
ero bambino, parlavo e pensavo da bambino ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato" (1 Cor 13,11) e giungerà a testimoniare "non sono io che vive, ma è Cristo che vive in me".
C'è una fatica, una costanza, una esercitazione che non possono essere evitate ed è bene ricordarlo
nel tempo del mito della spontaneità che contrappone esercizio e autenticità.
È l'ascesi che forma l'uomo interiore, un esercizio di tensione e di abbandono alla grazia per
strappare la pelle morta e aprire la strada a Cristo; una disciplina che permette al Verbo di sprigionarsi, di disincagliare al fondo di sé la sorgente delle acque vive e di far risplendere in sé l'immagine offuscata di Dio, è il cammino che restituisce alla somiglianza con Lui in un processo di unificazione della personalità tra mente e cuore e anche nel rapporto con Dio
La vita cristiana richiede anche una vigilanza su di sé perché, innestato con il battesimo e alimentato con l'eucaristia al corpo del Risorto il discepolo riceve l'energia della resurrezione nella
profondità della sua esistenza corporale, mentre la sua coscienza vaga nell'idolatria.
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2. 5. PER LA VITA E LA PACE DEL MONDO
I cristiani dopo aver partecipato all'Eucaristia tornano a casa, vivono in quel mondo oscillante
tra angoscia e stupore, perché se da una parte è vero che la luce illumina ogni uomo che viene in
questo mondo, è anche vero che noi dimoriamo nelle tenebre; la bellezza e l'amore esistono, ma la
separazione e la morte finiscono sempre per trionfare e noi ci portiamo dentro l'odio verso gli altri,
verso se stessi e la rivolta. La storia trasporta alla rinfusa le musiche più sublimi e le grida dimenticate dei popoli assassinati. Allora finisce che cerchiamo dei nemici da denunciare, degli schiavi da
torturare: per strappare da noi l'angoscia dandole il non-volto dell'altro, per sentirci almeno per un
istante, onnipotenti, dèi. La morte abita in fondo all'uomo, fonte di angoscia e di fascino nel contempo; ossessione segreta rimossa e trasformata in paura e tormento.
Il cristiano però, avendo incontrato il Risorto nell'eucaristia, sa che non siamo soli nella prigione illuminata del mondo, che la luce si è fatta Parola, e la Parola si è fatta carne, e la carne è entrata nella morte e nell'inferno, e li ha vinti perché carne di Dio.
Il Risorto strappa al nulla l'umanità e sostituisce nell'intimo dei suoi discepoli l'angoscia con
la fiducia, la morte con lo Spirito vivificante. Solo questa forza della resurrezione permette di condividere la sofferenza degli altri. Il discepolo allora sta nella storia non contrapponendosi né facendo un mondo a parte; affronta la modernità non mettendosi ai margini ma standoci dentro, non facendo appello a un Dio confinato nella sacralità ma attraverso il Dio venuto nel cuore stesso delle
nostre tenebre, nel cuore stesso della profanazione dell'uomo.
Nelle vicende ordinarie, quella del discepolo, è una presenza radiosa che non è solo azione ma
anche vera e propria trasformazione. La sua presenza opera una lacerazione delle tenebre.
Nella loro condizione di minoranza i cristiani sono nella storia a pieno inserimento ma ci stanno radicati nell'eterno e quindi come una presenza profetica in grado di generare speranza. Non
sono profeti di sventura - questo lo fanno quanti riducono la fede a moralismo - ma scrutatori per
vedere dove e come si afferma il regno di Dio, assomigliano ai gufi che vedono anche nel buio; non
hanno nemici, ma sono compagni di viaggio di tutti; hanno a cuore l'umanità e i suoi problemi
quanto Dio stesso che in Gesù ne ha compassione; sono segni della resurrezione.
Con il loro servizio e l'impegno gratuito affermano che non tutto è oggetto di scambio. Possono anche assumersi delle responsabilità collaborando alla costruzione di un'etica per richiamare il
senso delle cose; sono in grado di rispondere al nichilismo mostrando che il male non sfocia nel
nulla ma nell'amore; smitizzano lo Stato assicurando una laicità autentica. Entrano in dialogo con le
culture e con tutti gli umanesimi e a tutti ricordano che l'uomo non può portare a compimento la sua
umanità se non unendosi a Dio, quel Dio che si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio.
Come si comprende, non si tratta di un impegno volontaristico ma di una fecondazione della
storia.
I discepoli si fermano sulle vie dove il volto dell'uomo è sfigurato e se ne fanno carico perché
nell'Eucaristia hanno celebrato il memoriale del Signore e Maestro nel momento più luminoso della
sua bellezza quando “non avendo apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” mostra sul suo
volto la sola bellezza che non sia effimera, la bellezza che si identifica con l’amore fedele sino alla
fine.
I discepoli stanno immersi nelle vicende umane come collaboratori del Dio creatore per far
emergere il volto dell'uomo nella sua bellezza, quella che Dio stesso ha ammirato all'atto della creazione e che per il mondo è vita e pace, perché la bellezza (è la trasparenza dello Spirito santo) crea
comunione.
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IL LAVORO DEI GRUPPI
Le domande chiedevano di indicare - a partire dall'esperienza personale - le esigenze del discepolo
e di indicare come accoglierle e rispondervi nella Zona pastorale
ZONA URBANA
Esigenza: scoprire la fede da cui nasce tutto il resto.
Proposta: priorità della Parola di Dio come sorgente della fede e curare il rapporto fede-vita
Esigenza: trovare mediazioni e mediatori per la fede
Proposta: curare la formazione delle comunità come mediatrici, ma anche di operatori in questo
senso.
Esigenza: una pastorale per le famiglie in cui si impara ad essere discepoli
Proposta: itinerari per le famiglie e affrontare il problema delle famiglie irregolari
Esigenza: superare un certo pelagianesimo: la vita cristiana, il discepolato è un dono
Proposta: mettere al centro il Maestro.
ZONA DI VIAREGGIO
• A livello personale è fondante l'incontro con la parola di Dio e delle persone che accompagnino
(la diocesi può formare gli accompagnatori)
• A livello zonale: un luogo di preghiera settimanale per tutti e incontri periodici per la zona.
• Il cammino del discepolato deve esser capace di leggere i problemi del mondo di oggi e confrontarsi con essi perché lì incontriamo il Cristo Risorto. Inoltre questo cammino dovrebbe sviluppare la dimensione comunitaria e a livello personale insegnare l'ascesi e la perseveranza.
ZONA SUBURBANA I
• Si riconferma l'importanza e la centralità dell'ascolto della parola di Dio: lectio divina
• Convocazione a settembre del CPZ o assemblea di zona come momento e luogo di progettazone
di un itinerario comune sul discepolato con 2-3 tappe a livello zonale nei momenti forti.
• Avere un luogo settimanale per il sacramento della riconciliazione
• Vicinanza ai poveri del territorio come segno di incontro del Risorto; coordinamento dei gruppi
caritas a livello zonale.
• Maggior coinvolgimento dei giovani nelle attività sia parrocchiali che zonali.
ZONA SUBURBANA II
La riscoperta dell'eucaristia è essenziale nella vita di ogni discepolo: E. vissuta nel'unità, nella
comunità come unità. Va riscoperta per percepire la presenza di Dio in ogni essere e in ogni cosa; è
da qui che si forma la comunità. Riscoprirla come momento che ci consente di stare nella modernità
per scoprirvi i segni del regno di Dio.
Affidarsi alla Scrittura è l'altra esperienza ineludibile per divenire discepoli.
Il discepolo ha bisogno di formazione; deve sempre più capire i gesti liturgici e il senso della
Scrittura. È necessario formare cristiani adulti nella fede in grado di esser missionari nella propria
comunità e zona. La diocesi deve prevedere la formazione di animatori di comunità.
ZONA SUBURBANA III
C'è difficoltà a scoprire la bellezza dell'eucaristia; c'è anche l'esigenza di farla scoprire ad altri
soprattutto per mostrare ciò che essa comunica.
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Manca una visione che ci fa sentire famiglia di Dio e che permetta di esprimerlo con i gesti
nella partecipazione. È necessario valorizzare il silenzio prima della celebrazione per introdurre il
clima adatto alla celebrazione.
È difficile capire il mondo in cui viviamo con i nostri strumenti, ci vorrebbe altro.
Sintesi: alcune parole chiave: eucaristia e zona pastorale; ascolto Parola di Dio; formazione
più approfondita; testimonianza concreta in atti; avere aiuti a livello di modalità di preghiera.
ZONA DI MORIANO
Le esigenze emerse
• Preghiera:l'esperienza della preghiera è fondamentale e rischia di venire a mancare per questo è
necessario creare momenti, scuole, e insegnare forme di preghiera.
• Fraternita': per creare la comunità; nella zona creare occasioni per conoscersi e ri-conoscersi.
• Formazione: necessità di un luogo che sappia creare momenti di confronto e crescita.
• guida spirituale: Chi aiuta il discepolo nel suo cammino? È richiesto un rapporto più personale
e personalizzato con i preti; la catechesi è standardizzata e questo può creare difficoltà nel singolo.
• Riconciliazione: recupero del sacramento, anche con una maggior disponibilità dei preti.
ZONA DI SEGNOMIGNO-VILLABASILICA-VALLERIANA
Il metodo di raccontarsi è da riprendere anche nelle comunità per conoscersi, per entrare sempre più in relazione, per fare comunione.
Proposta: al livello zonale: approfondire il tema dell'Eucaristia per riscoprire sempre l'incontro
con il Risorto perché sia motivo di gioia e di unità. L'e. è la sorgente che forma il discepolo, lo rinnova, lo rigenera, lo trasforma per questo deve esser esperienza forte per la comunità. Per questo
l'Eucaristia deve esser liberata da devozionalismi, banalizzazioni, sentimentalismi. Creare una rete
zonale per aiutare a riscoprire il giorno del Signore.
ZONA DI VALFREDDANA
Centralità del CPZ quanto meno nella gestione della pastorale giovanile e della formazione del
discepolo. Le parrocchie devono mettere a disposizione della e zona le peculiarità loro proprie in
modo da indirizzare in esse quanto la zona ritiene utile valorizzare.
La formazione del discepolo permetterà di essere un cittadino cristiano e creativo nelle realtà
umane. Importante è spendere tempo e confrontarsi con la parola di Dio per fare sintesi tra fede e
vita.
ZONA DI CAMAIORE-MASSAROSA
• Esigenze che trovano nell'Eucaristia una risposta: partire dall'more di Dio e non volontarismo e
moralismo; avere una partecipazione più matura alla celebrazione; cogliere il legame fede-vita
per una vita affidata alla fede. Esser discepoli come condizione che accomuna tutti.
• Necessità zonali: incontri di condivisione dei cammini e delle varie esperienze (catechisti, g. liturgici; giovani..;); incontri di formazione e centro di formazione teologico-biblica zonale
• Il discepolo: tre passaggi per maturare l'esser discepoli: forte legame alla persona di Gesù (intellettuale, affettiva, spirituale); contemplando e amando Gesù, avere come riferimenti i 10 comandamenti nella luce delle beatitudini; obbedienza alle cose richieste per stare nella realtà storica
alla luce della 'compassione' di Cristo.
ZONA DI VAL DI SERCHIO
E' emersa la necessità di una maggiore conoscenza della parola di Dio, non solo la conoscenza
delle "regole e adempimenti", ma una riscoperta della fonte che muove i nostri gesti di cristiani,
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come ad es. andare alla messa. Riscoprire l'amore e la misericordia di Dio, attenzione all'ascolto
della parola di Dio.
Si sente il bisogno di una formazione cristiana più completa: ascolto e studio della parola, di testimonianze cristiane storiche (santi) e contemporanee. cercare di riscoprire una fonte che poi possa
muovere la vera conversione anche nella vita di tutti i giorni, con l'aiuto dello Spirito santo.
Contemplare nella vita reale e calarsi nel territorio della zona. La domanda che abbiamo il dovere di porci è: quali sono i frutti di quello che diciamo di essere (cristiani)?
L'ascolto della parola di Dio non deve essere passivo ma in comunione con gli altri, ascoltare
col cuore oltre che con le orecchie.
La dimensione comunitaria è necessaria per il discepolato, e la zona può diventare un'occasione
di un cammino diverso e più profondo.
Proposte per il prossimo anno a livello zonale (da settembre 2005/giugno 2006):
1- corso sul vangelo di Giovanni
2- corso di formazione per i catechisti
3- percorso con e per i giovani
Fare degli itinerari comuni nella zona; è vista come un'opportunità per un cammino più approfondito. Vorremmo creare un percorso di discepolato che riesca a soddisfare le esigenze di approfondimento della fede cristiana (che nel futuro possa portare a una maturazione anche concreta
come ad es. la creazione di un centro di ascolto., una casa famiglia...)
ZONA DELLA GARFAGNANA.
Di fronte alla presentazione di un discepolo del Signore che senza domenica non può vivere, è
custodito dalla Parola di Dio, fa un cammino di contemplazione per la vita e la pace del mondo, è
subito emersa la domanda: “Ma allora che cosa siamo stati fin’ora?”.
È necessaria una profonda conversione personale e comunitaria perché questa figura di discepolo possa diventare presente e visibile nelle nostre comunità. Una via per questo proposito è il far
sì che esista la possibilità per ogni comunità di una celebrazione eucaristica dignitosa, eliminando
ogni tipo di frettolosità e approssimazione. Ma questa figura di discepolo deve essere conosciuta, o
almeno riscoperta, dalle nostre comunità e allora sarebbe auspicabile la presenza di sussidi da utilizzare durante il prossimo anno pastorale per concretizzare un cammino di appropriazione di questo
modello per poi confrontarsi con esso in una verifica al termine dell’anno.
Nella nostra zona è ancora non rinnovato il Consiglio Pastorale Zonale e quindi per le attività
del prossimo anno questa è la assoluta priorità. Viene proposto quindi che i componenti il Consiglio
partecipino ad un corso di formazione che li educhi alla collaborazione e al confronto con realtà del
territorio e a vedere nella zona pastorale un vero punto di riferimento per la vita cristiana personale
e comunitaria
È emersa inoltre la necessità di una revisione della pastorale nell’ambito della preparazione catechistica all’iniziazione cristiana e tutti si sono ritrovati d’accordo nel vedere la formazione delle
giovani coppie come esigenza primaria in questo ambito. Le giovani coppie che si preparano al matrimonio, ma anche, e soprattutto, quelle che desiderano il battesimo per i propri figli e poi il proseguimento della loro iniziazione cristiana.
Altro punto fondamentale emerso è la necessità di laici che si mettano a servizio delle loro comunità per assicurare una convocazione liturgica tutte le domeniche, anche in assenza di un sacerdote. Me per questo è necessaria una formazione culturale e teologica, e un’educazione al servizio
che al momento non si vede presente nelle nostre comunità, abituate da secoli a vedere tutte le attività pastorali concentrate nella figura del prete.
Infine è stata espressa la delusione per la ripetitività degli argomenti e che trattiamo in questi
convegni, adesso sarebbe il momento di agire senza più aggirare i problemi con le parole; è necessario un atto di coraggio che presenti alle nostre comunità un progetto concreto, un insieme di strategie, con cui confrontarsi per andare avanti.
(sintesi a cura di d. Mauro Lucchesi)
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CONCLUSIONI DELL'ARCIVESCOVO
Prendendo la parola alla fine del Convegno, come sintesi delle vari momenti più che vera e
propria conclusione, l’arcivescovo Italo ha disegnato a grandi linee quello che sarà il nucleo ed il
cuore dell’Itinerario pastorale del prossimo anno che ha come punto di riferimento il "discepolo",.
Ripartendo dal verbo "contemplare" si è detto certo che questa parola ha favorito la comprensione
del dono di "essere visti da Dio", cioè che "le nostre comunità hanno preso coscienza dell’essere
contemplate da Dio". Dalla gratitudine per questo si apre un cammino verso la contemplazione del
"Dio Trinità" ripercorrendo il cammino fatto in quest’anno dalle parrocchie che "si sono aperte all’ascolto e alla conoscenza della Parola di Dio, hanno vissuto l’amore di Dio nell’Eucaristia riconoscendo il volto del Signore nei volti più sfigurati dei fratelli". Prendendo spunto dalla verifica della
prima sera il vescovo ha fatto notare che già questo esercizio, di guardare la vita "con gli occhi di
Dio" ci fa già essere profezia della Chiesa perché "ci permette di scoprire raccontare l’opera di Dio
in mezzo a noi". Senza allontanarci dal realismo la verifica ha permesso di cogliere anche i segni
che nella storia indicano la presenza e l’azione di Dio e ciò "ci fa sentire, come discepoli, che siamo chiamati per vocazione e missione ad essere lievito, luce e sale del mondo".
Siamo i discepoli del Risorto
Da questo convegno è poi scaturita una indicazione di orizzonte, quasi una "parola d’ordine":
"Passare da una comunità cristiana generica ad una comunità che si riconosce ed è riconosciuta
come comunità di discepoli del Risorto". È questo il cammino che la Chiesa di Lucca ha davanti a
sé in questo anno, con una nota di riconoscimento del discepolo chiara e visibile: "Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Il luogo concreto di questo
amore è l’Assemblea Eucaristica domenicale, nella quale il discepolo impara e vive le "quattro perseveranze" espresse dal libro degli Atti degli Apostoli: l’ascolto della Parola, la frazione del pane
(l’Eucaristia), la vita fraterna e la preghiera.
Mettendo sempre più a fuoco il nucleo dell’itinerario per il prossimo anno ha indicato che "i
discepoli sono chiamati a vivere la propria vocazione e missione a partire dalla celebrazione eucaristica domenicale e a riappropriarsi della domenica come Giorno del Signore, con tutto ciò che questo comporta". Riproponendo il tema del recente Congresso Eucaristico ha ricordato che "senza la
Domenica (cioè il giorno in cui la Comunità vive più strettamente con il suo Signore) non possiamo
vivere". Sono questi i punti dell’itinerario del prossimo anno che continua ad avere, come già
espresso, il tema della contemplazione affidata però ai discepoli chiamati a compiere anche un’esame di coscienza per verificare la condizione del percorso. "I membri della Comunità che contempla
il Risorto sono chiamati a crescere come discepoli del Risorto. Infatti essere discepolo è un ricevere
la condizione-discepolo: questo significa che a poco a poco assume i contorni del discepolo, riceve
la condizione del discepolo come grazia". Allora l’imitazione di Cristo diventa un "prendere i contorni di Cristo" e questo è il cammino che il vescovo Italo affida alla Chiesa di Lucca, che in qualche modo è già "istruita" su questo "contorno del Signore" che è la croce. Ma prendere i contorni
del Maestro significa anche "imparare l’arte della vita interiore, ovvero l’arte dell’ascolto della Parola del Maestro che trova il suo compimento sull’altare, nell’Eucaristia" e per questo, in continuità
con il cammino già in corso nelle parrocchie e nelle comunità ha ribadito la centralità dell’ascolto
della Parola di Dio sia proclamata nella celebrazione Eucaristica come ascoltata nella preghiera
quotidiana, e che diventa fondamento di ogni itinerario catechistico e strumento per il discernimento
dei segni dei tempi. Per questo, il vescovo propone come testo guida per il prossimo anno pastorale
il Vangelo di Giovanni, che è il vangelo del discepolo ed in questa proposta ha ribadito quanto la
nostra Chiesa debba sentirsi custodita dalla Parola di Dio.
Crescere nella vigilanza e nell’ascesi.
In questo itinerario il discepolo si scopre allora come colui che è presente a se stesso, che è
"vigilante" al proprio lavoro, al proprio ministero, agli altri, agli eventi… non si chiude in atteggia29
menti individualistici ma si apre alle dimensioni sociali e civili, sapendo che l’evangelo è la buona
notizia per tutto il mondo. Crescere nella vigilanza, ha proseguito il vescovo, comporta anche una
crescita nell’ascesi attraverso l’assunzione e l’esercizio di stili di vita più poveri ed essenziali ed il
farsi guidare da "padri nello Spirito". Infatti il discepolo è colui che sa che lungo i sentieri della vita
non si può camminare da soli: tutti abbiamo bisogno di una guida, di un"padre ed un testimone nella
fede" che indichi la meta di ogni cammino. Ed in questo itinerario la "paternità" spirituale si mette
al servizio della vocazione cristiana.
In questo contesto il vescovo ha espresso la volontà per un rinnovato impegno nella pastorale
delle vocazioni frutto della collaborazione della comunità e di un accompagnamento personalizzato
verso i più giovani.
I discepoli del Risorto a servizio della Comunione
La grande sfida che attende la nostra Chiesa è quella di "fare della Chiesa la casa e la scuola
della comunione" attraverso la promozione di una spiritualità di comunione che deve vedere sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, consacrati e consacrate, fedeli laici coinvolti e partecipi. In particolare si è rivolto ai presbiteri invitandoli a ricondurre il loro ministero alla essenzialità e soprattutto
a donare il sevizio della "riconciliazione".
In questo ambito comunionale il vescovo ha accennato alla necessità, dettata anche dalle situazioni pastorali della diocesi, di aprire una nuova riflessione sui "ministeri" al servizio della zona
pastorale,
Oltre alla condizione del discepolo l'attenzione dal vescovo si è fermata sulla zona pastorale
laboratorio e spazio per la vita di comunione, diviene luogo per la formazione unitaria dei presbiteri, diaconi, religiosi e laici; essa è luogo di raccolta per le informazioni dei bisogni presenti sul territorio; luogo di riconciliazione tra le diverse componenti del popolo di Dio. Infine la zona come luogo di formazione per i catechisti, per gli educatori dei giovani, per gli animatori e guide della Comunità. Con la scelta di valorizzare la zona pastorale s’impone – ha sottolineato il vescovo Italo - la
scelta di "riformare, motivare e riorganizzare gli strumenti di comunione e partecipazione, in particolare il Consiglio Pastorale Zonale, espressione di una ministerialità che scaturisce dall’Eucaristia"
.
La Visita Incontro con le famiglie
Come conclusione il vescovo ha indicato anche una iniziativa del prossimo anno: l'incontro
con le famiglie a livello di zona pastorale, per annunciare che la famiglia è la buona notizia per la
nostra società, anche ai nostri giorni. Che caratteristiche assume questa visita? Cosa si prefigge?
Conoscere le coppie di fidanzati più da vicino; condividere con gli sposi le gioie e le fatiche del loro
matrimonio; mettersi in ascolto dei figli; vivere e sperimentare "itinerari pastorali familiari"
I prossimi appuntamenti
Quanto emerso nel convegno diventerà patrimonio dell’Itinerario pastorale che sarà consegnato alla Chiesa lucchese per San Paolino; inoltre, a settembre si terrà un convegno di tutti gli operatori pastorali articolato a livello di diocesi e di zona.
(sintesi a cura di d. Lucio Malanca)
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i discepoli contemplano il volto santo del signore