Direttrice: Annalisa Turel [email protected] Numero 15 - Novembre 2008 www.sconfinare.net COPIA GRATUITA Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione L’editoriale “Noi siamo qui, oggi, per affermare il fatto che l’università è il luogo dove si impara il pensiero critico, dove si cerca di capire quello che ci circonda”. Con queste parole il Magnifico Rettore Peroni ha motivato l’assemblea di Ateneo del 30 ottobre, in Piazzale Europa, convocata per discutere della legge 133 e dei tagli all’università. Il mese che ci siamo lasciati alle spalle, in effetti, è stato carico di eventi importanti, dalla crisi economica alla riforma scolastica, fino alle storiche elezioni americane, che hanno decretato la vittoria di Barack Obama. Un mese impegnativo per chiunque. In questa situazione, Sconfinare ritorna dopo la pausa estiva, per dare ancora una volta voce a tutti gli studenti del Sid. In questo contesto, possiamo fare nostre le parole del Magnifico Rettore: Sconfinare non è, non deve essere, un “giornalino”; esso è piuttosto un tentativo che noi studenti facciamo per capire e interpretare il mondo in cui viviamo. Può essere un punto di vista imperfetto, può essere soggettivo; ma è pur sempre un mezzo per dare voce ai nostri pensieri, per dare vita a confronti costruttivi, per esercitare quel “pensiero critico”, messo ultimamente in serio pericolo, che l’università deve dare come prima cosa. E’ quindi importante, ancora più di prima, che tutti partecipino; tutti coloro i quali hanno qualcosa da dire la devono dire, senza timore. La forza di Sconfinare sono i suoi lettori, perché è da essi che prende linfa e idee ogni numero. E’ un giornale fatto DA studenti PER gli studenti. Certamente poi cerca di diffondersi nel territorio di Gorizia e Nova Gorica, e anche oltre, e in questo aspetto sta avendo un sempre maggiore successo; ma la base su cui poggia è il corpo studentesco. Senza la partecipazione massiccia del Sid nel suo insieme, perde il suo significato. E’ un compito impegnativo, ma ricco di soddisfazioni; ed è sempre più necessario oggi, se non altro come atto di “Resistenza”. Non potremo fare molto contro chi ci vuole togliere la possibilità di studiare, capire e ragionare liberamente, ma è comunque un segno, la cui forza dipende dalla partecipazione di tutti. Per dimostrare al mondo fuori dall’Università che siamo altro rispetto a facinorosi svogliati, come i media hanno descritto gli studenti universitari manifestanti in questi ultimi giorni. Buona lettura! Giovanni Collot [email protected] Obama presidente La vera novità non è il colore della sua pelle Barack Hussein Obama II (Honolulu, 04/08/1961) è, dunque, il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d’America. O, meglio, lo sarà dal 20 gennaio 2009, quando ci sarà la cerimonia di insediamento e riceverà i pieni poteri. Della sua storia, a tratti addirittura messianizzata e che non pochi imbarazzi ha creato allo stesso candidato durante la campagna elettorale (‘A differenza di quanto si dice in giro’, esclamò tra l’altro, ‘non sono nato in una mangiatoia.’), hanno parlato e parleranno in tanti. Così pure della lunghissima campagna elettorale, dello sconfitto McCain, di Biden e della Palin. E se ne parlerà così a lungo che si rischierà di perdere di vista –e forse già si è perso- il dato politico. Che non è il colore della pelle di Obama, o non solo e non principalmente: un afroamericano (tale, in effetti, solo a metà) alla Casa Bianca è certo un fatto di per sé positivo, un segnale di apertura al mondo, magari anche di un certo coraggio. Un fatto non previsto né prevedibile anche solo pochi anni fa, e sarebbe stato un fulmine a ciel sereno anche se fosse arrivato dall’elefantino repubblicano, piuttosto che dall’asinello democratico. Un presidente nero, va aggiunto, non è necessariamente un ottimo presidente. Dato che dalla sua posizione condizionerà pesantemente le S C O N F I N A R E @ M O S TO V N A . F U N ! Mercoledì 5 novembre si è tenuta, come molti di voi sapranno, la grande festa di Sconfinare al Mostovna, a Solkan. Ovviamente, oltreconfine. Giusto per tenere fede al nome. Quello che non ci sembrava per niente ovvio, durante le svariate riunioni della Redazione, era l’affluenza. Infatti, le nostre aspettative si situavano intorno a 100-150 persone. Potete quindi immaginare la sorpresa di chi, della Redazione, stava alla cassa per consegnare i biglietti per la consumazione e, soprattutto, il famigerato timbro (che fa già tendenza), quando si è trovato senza più ricevute disponibili. In effetti, a fine serata si contavano quasi 400 persone, provenienti da molte parti diverse: la maggior parte, naturalmente, dal Sid, ma anche dall’università di Udine, e persino sloveni (con evidenti problemi di traduzione alla cassa). Alcuni sono arrivati a piedi, altri in bicicletta, altri ancora con il servizio navetta del nostro inviato panamense; in ogni caso, mercoledì notte a Solkan si è visto un movimento che è raro, molto raro, vedere in questa zona. Ciò che ci ha spinto ad organizzare, per la prima volta, una festa, è stato un desiderio di “farci conoscere”, di avvicinarci di più alla co- nostre vite negli anni a venire, possiamo sperare in bene, ma certo non possiamo esserne sicuri. Potrebbe rivelarsi un completo incompetente, a dispetto di tutto ciò che abbiamo visto in quresti anni. Quindi, forse sorprendentemente, suggerisco che, a ben vedere, il dato più importante –il dato politico intendo, non certo sociologico o storico o culturale, in quei campi il colore della pelle conta, eccome-, è la novità di questa elezione, e della campagna elettorale che l’ha preceduta. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, la relativa originalità dei due sfidanti principali, Obama e McCain. Uno molto giovane, l’altro molto vecchio, entrambi piuttosto slegati dall’establishment dei loro partiti: Obama per l’età e perché, nonostante amicizie importanti (a cominciare dal ex candidato del 2004, Kerry), ha osato sfidare e battere l’imponente organizzazione Clinton, evitando abilmente di perdere l’appoggio del partito, seducendolo giorno dopo giorno. McCain per il suo carattere spigoloso, per la sua consolidata abitudine a criticare il suo stesso partito e per le sue tendenze quasi liberal, al confronto con gli altri politici della sua area. In secondo luogo, il programma del presidente in pectore, per il quale è stato addirittura additato come ‘socialista’, uno degli insulti più gravi nel Nordamerica. continua a pagina 2 munità degli studenti del Sid e al territorio; in più, ci sembrava un’occasione giusta per raccogliere fondi che sarebbero serviti alle attività future del giornale. Viste come sono andate le cose, non possiamo che essere pieni di gioia ed orgoglio. Infatti, grazie alla massiccia partecipazione siamo riusciti a racimolare, a fine serata, 1100 euro; questo ci permetterà di uscire con una maggiore regolarità. Ma soprattutto, ciò che è successo mercoledì ci ha dimostrato chiaramente che Sconfinare è una realtà importante nella nostra università, con una capacità di mobilitazione notevole. Questo significa che Sconfinare non vuole dire qualcosa solo per noi, ma anche per voi che lo leggete. Questo è molto importante per noi che ci lavoriamo; vogliamo perciò ringraziare tutti coloro che hanno reso mercoledì una serata così bella partecipando alla festa, le due menti della festa, Leonetta ed Edoardo, e tutti coloro che si sono prodigati nell’organizzazione, ma anche i dj che l’hanno animata e i responsabili del Mostovna. Forse il ringraziamento più bello è proprio la copia del giornale che state leggendo, stampata grazie ai proventi della festa. Alla prossima! La Redazione 2 Sconfinare Mondo Novembre 2008 Russia contro Georgia: la guerra del petrolio Tbilisi inciampa sugli gli oleo-gasdotti stesi dall’Occidente Scavando dietro la versione semplificata che ci hanno servito i media occidentali durante la crisi georgiana di quest’estate, si scoprono molte ottime ragioni per solidarizzare con la Russia. Dal progetto di scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca, alle rivoluzioni colorate georgiana e ucraina; dal programma di adesione delle due repubbliche alla Nato allo spettacolare riarmo della Georgia (che in aprile aveva incrementato del 28% il suo bilancio militare): queste dimostrazioni di forza (?) orchestrate dagli Usa si sono trasformate in altrettanti buoni pretesti per l’offensiva russa di quest’estate. È innegabile comunque che, togliendosi questi sassolini dalle scarpe, la Russia abbia in realtà agito in difesa di interessi ben più forti. Energetici, per esempio. Osservando tutta la vicenda dal punto di vista dei rifornimenti di idrocarburi risulta chiaro quale spina nel fianco sia la Georgia per la Russia. Partiamo da lontano. Con accordi più o meno stringenti la Russia si è assicurata buona parte di petrolio e gas estratti in Kazakistan e Turkmenistan. Ciononostante, i due Paesi commerciano anche con altri partner, bypassando la Russia attraverso il Mar Caspio. Trasportate via mare, le materie prime sbarcano presso Baku, in Azerbaijan. Da qui, integrate con le ricche riserve azere, attraversano chilometri di deserto verso ovest. Un vecchio oleodotto (Baku-Novorossijsk, vedi cartina) raggiunge il Mar Nero via Russia. Altre tre condutture passano invece per la Georgia, e su queste ha investito l’Occidente con lo scopo di tagliar fuori il gigante di Putin e Medvedev. Questo è il teatro in cui scoppia la guerra dei cinque giorni, una guerra fatta anche per il petrolio. Il primo atto delle ostilità si consuma… in Turchia. Qui arrivano, dall’Azerbaijan, via Georgia, un tubo di petrolio (Baku-Tbilisi-Ceyhan) e uno di gas (Baku-Tbilisi-Erzurum). I guerriglieri curdi del Pkk hanno la loro roccaforte nella regione turca tagliata dalle condutture: il 5 agosto il Pkk mette fuori uso BTC con un attentato. Le compagnie petrolifere che controllano la linea (Socar e British Petroleum)dirottano immediatamente le forniture nel terzo tubo georgiano, l’oleodotto Baku-Supsa. Il petrolio riesce così a evitare la Turchia e raggiungere le costa del Mar Nero dove si imbarcherà per l’Europa. Intanto, però, la Georgia invade l’Ossezia del Sud. La Russia organizza una risposta rapidissima e l’8 agosto contrattacca: i primi obiettivi colpiti dall’aviazione sono il – già fuori uso – Baku-TbilisiCeyhan, senza gravi danni, e il porto georgiano da cui parte il petrolio arriva- russo di Stati Uniti e Europa dell’Est si sono legati anche paesi, come Francia, Germania e Italia, generalmente più morbidi con l’Orso eurasiatico. Pochi mesi dopo lo strappo tra Bush e MerkelSarkozy al vertice Nato di Bucarest, la guerra pare abbia ricompattato il fronte occidentale; ciò a dimostrazione della to col Baku-Supsa. I rifornimenti all’Occidente lungo la via georgiana sono così strozzati. In attesa che in qualche mese i danni siano riparati, l’unico sbocco per i petrolieri azeri è raggiungere il Mar Nero con il vecchio tubo sovietico, il Baku- Novorossijsk. La Russia torna così quasi - monopolista. L’approccio petrolifero alla crisi di agosto permette anche di comprendere la geometria di alleanze creatasi in Occidente: all’asse tradizionalmente anti- consistenza degli interessi messi in discussione. Anche grazie alla comunanza di vedute, l’Occidente ha potuto quindi celebrare in televisione la sua vittoria di carta. In realtà quella sul piano energetico resta la battaglia più soddisfacente vinta dai russi. Oggi lo scenario è più tranquillo. Mosca si è ritirata dalla Georgia. In Ossezia del Sud, invece, rafforza la presenza dell’esercito e insedia un premier più filorusso del precedente. Manda amba- sciatori nelle Repubbliche separatiste, che ormai considera Stati sovrani suoi vassalli. Gli Stati Uniti cercano di dimenticare lo schiaffo ricevuto. Gli europei hanno imparato che con la Russia, per scaldarsi d’inverno, bisogna fare i conti. Hanno capito che rotte dell’oro nero indipendenti da Mosca sono impraticabili, perché non difendibili. Nabucco, il gasdotto dell’indipendenza energetica dell’Unione europea, resta un sogno irrealizzato. Metafora dell’illusione occidentale che Putin si sarebbe lasciato soffocare è la State Strategic Pipeline Division, una forza militare georgiana addestrata dagli Usa per difendere il tragitto dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, quello bombardato dai russi nel primo giorno di guerra. Quattrocento uomini non sono bastati all’America per proteggere la sua roccaforte caucasica. La Georgia è oggi ridimensionata. Il suo territorio nazionale è ormai violato: l’Ossezia è un cuneo russo a pochi chilometri da Tbilisi e dagli oleodotti; l’Abkazia le toglie una grossa fetta di costa sul Mar Nero, restringendo ancor più il corridoio energetico strategico per l’Europa. La Repubblica del vacillante Saakashvili si è, così, ingarbugliata nella rete di tubi che doveva alimentare le sue velleità di potenza. Francesco Marchesano [email protected] Il cambiamento Obama - segue dalla prima pagina Rimane pur sempre un programma moderato, se visto con ottica europea; ma negli Stati Uniti il suo è un programma interno indubbiamente avanzato, progressista, che propone un timido abbozzo di riforma dello stato sociale, che si dice fuori dalla logica delle lobby, che avanza proposte sorprendenti sulla politica energetica e sulle alternative al petrolio. In terzo luogo, il modo in cui Obama ha vinto. Non solo nei luoghi in cui tradizionalmente un democratico vince, come il Maine, l’Oregon, Washington, New York e gli Stati delle coste in generale, o come in Illinois. Non solo in alcuni degli Stati che solitamente avevano votato un repubblicano, come la Virginia o l’Ohio. Ad un’analisi più precisa emerge un particolare piuttosto interessante: Obama non è stato votato solo dagli elettori democratici; ha sottratto tantissimi voti non tanto (o non soltanto) ai repubblicani, ma in gran parte ai partiti che vanno sotto la voce ‘altri’. Ha ricevuto voti, insomma, da coloro che solitamente non si riconoscono nella bipolarismo americano. Ma, e questo è significativo, ha ricevuto la fiducia della maggioranza dei giovani, nuovi elettori. Basti un esempio, che poi è il più eclatante: il Texas dei Bush ha, com’era prevedibile, votato in maggioranza l’elefantino, ma McCain è passato dal 61%(4.495.797 voti) di Bush 2004 ad un ‘normale’ 55%(4.450.403), mentre Obama ha incrementato il 38%(2.816.501) di Kerry, arrivando al 44%(3.514.788). Un guadagno di ben 698 mila voti e spiccioli, su un totale di circa otto milioni di votanti. Moltissimo, e sorprendente. Sarà capace di meritarli, il primo presidente afroamericano del paese che per decenni ha discriminato quelli come lui? O questo sogno non si rivelerà piuttosto un incubo, e si scoprirà che in realtà Barack Obama è davvero troppo inesperto per governare gli Stati Uniti d’America? Il bello della vita è che per avere certe risposte bisogna prima vivere. Francesco Scatigna [email protected] 2008 Novembre Sconfinare Mondo 3 Una rifondazione democratica dell‘Europa Tre referendum popolari, tre bocciature: Dal “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa”, bocciato nel 2005 da Francia e Olanda, al trattato di Lisbona firmato lo scorso dicembre e respinto nuovamente dagli irlandesi. La crisi attraversata dal vecchio continente non accenna dunque a concludersi, e con il terzo colpo d’arresto è ormai chiaro il clamoroso preoccupante cortocircuito fra le istituzioni europee e il proprio popolo. Credo fermamente che non vi sia nulla da festeggiare di fronte a questa crisi senza precedenti. E’ da troppo tempo che i paesi membri come il mondo intero hanno bisogno di un’Europa forte, autorevole, indipendente: lo scenario di crisi internazionale che si sta disegnando in questi mesi, come i venti di guerra degli otto anni di amministrazione Bush, hanno visto un’Europa totalmente incapace di appoggiare, opporsi, o semplicemente incidere nel panorama mondiale e guadagnarsi il ruolo di guida nello sviluppo della pace, di politiche sociali e ambientali. Ma la colpa di tale arresto non può certo ricadere sugli irlandesi, il cui rifiuto non è stato minimamente indagato dai media nostrani; o su francesi e olandesi, sul cui rifiuto forse bisognava riflettere un pochino di più. Certo, il fatto che l’1 % rappresentato dal popolo irlandese tenga in scacco i 26 parlamenti nazionali che hanno ratificato - o si apprestano a farlo - il trattato (serve l’unanimità dei paesi membri per l’applicazione) pone un serio problema di democrazia all’interno dell’Unione. Ma che questa, alla prova democratica dei referendum popolari (saggiamente evitati ove possibile), sia stata clamorosamente respinta in tempi e luoghi diversi, rappresenta un problema non da poco. Considerando che il rifiuto è stato espresso in maggioranza da giovani, donne, e lavoratori; forse si dovrebbe riflettere su che Europa vogliamo costruire con questo trattato. E che questi sia, in sostanza, una copia di quello che era stato presentato come un grande progetto di Costituzione europea, salvo poi tramutarlo in un tronfio e incomprensibile accordo che, proprio per la sua oscurità, era meglio far approvare in silenzio dai potenti e dai parlamenti… be, questi sono altrettanto gravi problemi di democrazia. Il trattato di Lisbona influenzerà pesantemente le nostre vite, incidendo sugli organi - parlamento europeo e commissione - che oramai producono la gran parte del corpo legislativo che il parlamento nazionale si limita a percepire. Ebbene, in Italia è stato votato all’unanimità in un caldo giorno d’estate, senza che la stragrande maggioranza dei cittadini non solo l’abbia letto, ma sappia almeno di cosa si tratta. Informare, capire, correggere, elaborare un testo convincente e perlomeno leggibile; affidare la sua approvazione ad un referendum comune a tutti i cittadini Europei, magari da svolgersi con le stesse modalità e tempi in tutto il continente… Niente di tutto questo è stato vagliato per uscire dall’impasse dei primi “no”. La scelta è ricaduta sulla via più facile, caratterizzata da un sostanziale deficit di democrazia. Che, tra l’altro, continua ad essere la strada prescelta: Ora aboliamo la regola dell’unanimità, secondo cui ogni riforma deve essere accettata da tutti e 27 i membri, affidiamoci - snaturandolo - al principio di “Europa a due velocità”, e approviamo in fretta e furia questo pasticcio incomprensibile che - parole del commissario UE McCreevy - “difficilmente una persona sana o a posto mentalmente lo leggerebbe dall’inizio alla fine”. Gli Irlandesi, si arrangino: facciamoli rivotare una seconda e una terza volta, magari, finché si decideranno a votare sì. Fortuna che siamo in Europa, l’avamposto democratico dell’intero pianeta. Non credo che Irlandesi, Francesi o Olandesi siano anti - europeisti. Abbiamo un disperato bisogno di un’Europa forte. Di un’Europa, però, che si schieri dalla parte dei cittadini, invece che con le banche e le burocrazie. Di un’Europa che ascriva nel suo DNA il fondamentale requisito di essere “sociale”, che difenda e promuova il welfare state invece di liberalizzare i servizi. Un’Europa che sappia schierarsi all’unanimità e senza tentennamenti contro la guerra, che riannodi i fili perduti per la ricerca di un dialogo volto a risolvere i conflitti che insanguinano il pianeta. Che rifiuti categoricamente l’idea di una sotto- missione alla NATO, che non permetta ai governi di Praga e Varsavia l’installazione di missili e radar statunitensi senza alcuna discussione concertata con i partner europei - e del resto scelta osteggiata dalla maggioranza dei governati -. Abbiamo bisogno di un’Europa che lotti contro la pena di morte, invece di riabilitarla tramite protocolli e articoli del trattato (art 2 paragrafo 2 della CEDU). Di un’Europa che parli di integrazione e accoglienza e non costruisca fortezze, o si appresti a votare la “direttiva della vergogna”, prevedendo la detenzione degli stranieri irregolari fino a 18 mesi prima dell’espulsione. Un’Europa che difenda e promuova le conquiste dei lavoratori del secolo scorso, invece di cancellare con un colpo di spugna la settimana lavorativa di 48 ore e la contrattazione collettiva. Abbiamo bisogno di un’Europa che ritrovi se stessa, la sua identità, rappresentata da qualcosa di più di una moneta comune. Che riparta, utilizzando la democrazia non solo a parole. Che si dia nuove regole per essere più aperta, democratica e trasparente, rivedendo i meccanismi di elezione e di decisione dei suoi organi, in primis il Parlamento. La vitale necessità di una Costituzione, però, deve passare per una ridefinizione dell’idea di Europa che vogliamo costruire, e una vera e propria rifondazione democratica dell’Unione. Matteo Lucatello [email protected] Congo: una crisi in secondo piano In questi giorni, mentre i forti Alisei delle elezioni americane e gli intricati turbini della protesta universitaria soffiano poderosi e portano con sé aria di speranza e voglia di cambiare, è difficile riuscire a sentire la bava di vento che viene da sud, dalla lontana Africa. Laggiù, e precisamente in Congo, si sta compiendo l’ennesimo intricatissimo dramma del continente nero. I ribelli del CNDP (Congrès national pour la défense du peuple), hanno messo in scacco le forze dell’esercito regolare congolese. A guidarli c’è Laurent Nkunda che, fermando i propri uomini non lontano da Goma, capoluogo della regione del Kivu nord, ha decretato un “cessate il fuoco” unilaterale, e chiesto l’apertura di trattative con il governo congolese. Obiettivi delle trattative con il governo congolese dei ribelli del CNDP sarebbero l’annullamento di accordi commerciali con la Cina del valore di 5 miliardi di dollari - che secondo il loro capo avrebbero svenduto le ricchezze naturali del Paesi - e il disarmo dei ribelli Hutu delle Forces Democratiques de Liberation du Rwanda(FDLR), rifugiatisi in Congo al termine del genocidio ruandese del 1994 e fautori di rappresaglie e discriminazioni nei confronti della etnia Tutsi in Kivu, di cui Nkunda si dice difensore. Ma nel frattempo, nonostante la tregua stabilitasi, i soldati dell’esercito regolare congolese in ritirata sono entrati nei villaggi ferendo, violentando ed uccidendo. Anche i due ospedali cittadini di Goma sono stati saccheggiati dai soldati, peggiorando ulteriormente la già grave crisi umanitaria. La gente ha cercato di fuggire come ha potuto verso le frontiere dell’Uganda e del Ruanda, portando con sé a malapena quello che è riuscita ad afferrare, ma il fronte della guerra va dal massiccio del Masisi fino al confine con Ruanda e Uganda ed è in continuo mutamento. Così, molti dei profughi (1 milione e 600 mila) si ritrovano chiusi tra due fuochi. Le ONG e l’ONU hanno sfruttato il cessate il fuoco e cercato di portare aiuto ai profughi, ma molti dei campi sono stati trovati deserti. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha stimato in 2,5 milioni il numero delle persone minacciate da epidemie di colera e di morbillo nella provincia del Nord-Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, mentre Medici senza Frontiere denuncia l’assoluta mancanza di organizzazioni umanitarie nelle zone più colpite dal conflitto. Intanto, ci sono stati degli scontri tra le forze di Nkunda e miliziani Mai-Mai di Rutshuru, una località situata ad appena una sessantina di chilometri a nord di Goma. Questi miliziani non sono altro che gruppi armati senza legami etnici né politici: fanno capo ad anziani della tribù, a signori della guerra o a capi villaggio e, in teoria, si batterebbero per la difesa del proprio territorio ma, in realtà si mettono al servizio del miglior offerente, cambiando continuamente le alleanze. Al fine di trovare una soluzione diplomatica all’ultimo di una lunghissima serie di conflitti a catena che coinvolgono la zona, l’Unione Europea ha inviato in Congo il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, ed il ministro degli esteri britannico David Miliband. Dopo aver visitato Goma per tentare una mediazione impossibile si sono mossi ad aprire trattative diplomatiche con i due paesi coinvolti (Repubblica Democratica del Congo e Ruanda). Il presidente del Congo accusa il Ruanda di essere il principale sostenitore dei ribelli di Nkunda, mentre il governo di Kigali sostiene che le FDLR abbiano il pieno appoggio dell’esercito regolare congolese, mettendo così in pericolo l’integrità territoriale del Ruanda. Il tentativo di Kouchner di porre fine ai massacri della popolazione tramite il dispiegamento di un contingente europeo a sostegno dei pochi caschi blu dell’Onu - finora incapaci di proteggere a pieno la popolazione - si è risolto in un nulla di fatto a causa dell’opposizione del governo Ruandese. In più, all’opposizione del Ruanda si sono aggiunte le perplessità degli europei stessi: David Miliband, infatti, ha sostenuto di essere lì non per discutere di una forza europea, ma della situazione umanitaria. Dello stesso parere è l’Alto rappresentante degli Affari esteri UE, Javier Solana, secondo cui la priorità numero uno dell’Unione Europea è l’ambito umanitario. L’Europa, insomma, non ha intenzione di impantanarsi in certe situazioni. Londra si è comunque resa disponibile a convincere il Ruanda a spingere i ribelli di Nkunda a rispettare gli accordi di pace del gennaio 2008. Ciò mette a nudo la situazione del Ruanda nella regione, dato che il regime di Kagame è sospettato di usare gli estremisti hutu per mettere le mani su un territorio ricco di risorse come il Kivu. Si spera che qualcosa possa essere risolto con il summit di Nairobi a cui parteciperanno i due Stati contendenti più quelli confinanti di Uganda, Burundi e Tanzania, l’Unione Europea e gli USA. Così, mentre la lunga e complessa epopea delle guerre centroafricane prosegue con un nuovo sanguinoso capitolo, l’unico ruolo svolto dalle potenze occidentali in tutta questa storia è quello di osservare da lontano una situazione che hanno contribuito a creare e che, incapaci di comprendere veramente, hanno lasciato, e lasciano, scivolare in secondo piano. Tommaso Ripani [email protected] Sconfinare Politica Nazionale 4 Novembre 2008 Saviano, il potere della sua (e della nostra) parola "Bello il romanzo che hai scritto". Ragazzini salutano Saviano dopo la sua visita a Casal di Principe nel settembre 2007 "Saviano è un simbolo, ma non 'il' simbolo della lotta alla camorra. La lotta alla criminalità, però, la fanno polizia, magistratura, imprenditori che sono in prima linea ma non sulle prime pagine dei giornali. Spero che resti, con la sua immagine contribuisce alla lotta alla camorra, ma il contrasto viene fatto ogni giorno con azioni militari ed indagini. Non vorrei ridurre lo Stato e la sua azione ad una personificazione". Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a Napoli (Campania), 17/10/2008 "Su Saviano sono stato frainteso. Ho voluto fargli un favore. Non è un bene per lui caricargli addosso tutte queste responsabilità, perchè non lo fanno vivere bene, non può essere lui da solo a farsi carico nell'immaginario collettivo della lotta alla criminalità”. MINISTRO DELL’INTERNO, ROBERTO MARONI, A SAINT-VINCENT (VALLE D’AOSTA), 18/10/2008 La mafia, la camorra, prima di uccidere discredita. Prima di spargere sangue, getta fango sul suo nemico. Saviano ha dimostrato quanto forte sia il potere della parola perché con Gomorra ha acceso grossi fari sugli affari che la camorra cerca di tenere nel buio più pesto. Anche i Casalesi conoscono il potere della parola. La usano per dialogare con il loro territorio, con il popolo omertoso e spaventato, per togliere stima e rispetto a chi non ha che un libro per combattere. Per questo, quando l’anno scorso nel 2007 Saviano è tornato nella sua Casal di Principe dopo la pubblicazione di Gomorra, ha trovato saracinesche abbassate e ragazzini strafottenti: «Hai scritto un bel romanzo», tutta fantasia, qui nessuno ti prende sul serio e ti appoggia. Con gesti e parole, poi, la mafia dialoga con i poteri forti, e spesso ottiene risposta. Anche se sicuramente non sono solo merito di Saviano i risultati ottenuti dallo Stato contro la criminalità organizzata in Campania ma pure di poliziotti, carabinieri, magistrati, imprenditori; anche volendo considerare lo scrittore come un parolaio, portabandiera di una lotta idealista alla mafia; comunque le parole del Ministro dell’Interno non sono solo solidarietà alle sue forze dell’ordine; non sono precisazioni utili a proseguire con strumenti migliori la lotta alla criminalità; non sono semplici “puntini sulle i” messi per amor di precisione; né tantomeno hanno l’obiettivo di ridurre il clamore mediatico attorno a un caso delicato che avrebbe bisogno (avreb- be bisogno?) di maggiore silenzio. Sono una presa di distanza grave. Speriamo che i Casalesi non abbiano sentito perché potrebbero interpretare male; potrebbero intuire che per lo Stato perdere “un” simbolo della lotta alla camorra non sarebbe poi così grave, e agire di conseguenza. Speriamo che non abbiano sentito le parole pronunciate dal Ministro a Napoli, perché sicuramente la smentita, sussurrata dalla Valle d’Aosta, non è arrivata alle loro orecchie. Mentre scriviamo la raccolta firme di solidarietà a Saviano promossa da Repubbica, che ha visto l'adesione di sei Nobel, ha superato le 200 mila adesioni. I teatri, le scuole e i cinema italiani sono diventati luoghi di lettura ad alta voce di Gomorra, il presidente Fini ha accettato di invitare lo scrittore alla Camera. Pare che l'Italia dunque non sia un paese insensibile verso chi rischia la vita per denunciare la corruzione diffusa tra cittadini comuni ed élites del potere. Gomorra, si è detto, non è una scoperta dell'autore, molti dei testi si devono ai colleghi di Saviano(raccolti sul sito Nazione Indiana). Lui li ha sintetizzati e ha avuto la fortuna di incontrare la stupida industria culturale che cercando il fenomeno media- tico è stata fregata e ha permesso di mettere in pubblica piazza i nomi di Schiavone e di tutti i casalesi. Evidentemente questo non toglie nulla al valore del libro, e soprattutto al sacrificio che fa un ragazzo di trent'anni, non vivere la sua età. La lotta alla criminalità è in primo luogo schierarsi, è una guerra di trincea, si sta da una parte o dall'altra, e chi sta con gli altri, che si chiami sistema(sistema, cioè ordine e non degenerazione!) o mafia o 'ndrangheta. E adesso? E adesso è sempre la stessa storia, ognuno deve fare la sua: lo Stato batta un colpo, dichiari la sua esistenza, le imprese continuino a denunciare il pizzo e investire in affari puliti, i maestri insegnino il senso dello stato e i genitori educhino al rispetto. Noi faremo la nostra, le rivelazioni di Saviano sono l'urlo di una generazione, è bene che la nostra non dimentichi, quando ci troveremo negli alti posti riservatici da una laurea al SID, da dove veniamo. In questo momento bisogna stare vicini a Roberto Saviano, il suo desiderio di andarsene è offensivo verso un paese europeo, sarebbe vergognoso se questo dovesse accadere: tutti abbiamo visto la faccia di Sandokan, o ci siamo indignati davanti all'intervista a Francesco Schiavone, ma facciamo emigrare l'autore perché non riusciamo a difenderlo, è lo Stato (non solo il Ministero dell’Interno, ma tutti noi nel più profondo senso collettivo) che si arrende. Franderico Naschesano [email protected] [email protected] Veltroni e Di Pietro:la fine dell’“alleanza” Roma, 19 Ottobre: dallo studio Rai di “Che tempo che fa”,il leader del PD Walter Veltroni annuncia pubblicamente la rottura dell’alleanza fra il suo partito e l’IDV dell’ex pm molisano Antonio Di Pietro. I motivi addotti per giustificare questa decisione sono stati le differenze sui modi di affrontare molte delle questioni dell’agenda politica ed il modo con cui il partito di pietrino sta conducendo la sua opposizione al governo, “Distante anni luce dall’alfabeto democratico del centrosinistra”. Lo strappo si è consumato così nel tempo di una breve intervista,cogliendo di sorpresa i vertici dell’Italia dei valori e suscitando stupore e qualche disappunto fra i parlamentari del PD stesso (vedi ad esempio Parisi). La mossa di Veltroni è qualcosa di inedito nella storia della sinistra italiana del dopo tangentopoli:mai era successo infatti che una rottura fra partiti alleati si concretizzasse all’opposizione (finora era sempre accaduto il contrario).Ai motivi già esposti nell’intervista dal leader del centrosinistra per spiegare questa decisione, nuova per una democrazia come quella italiana, ma che probabilmente in altri paesi sarebbe stata quantomeno nell’aria,ne vanno aggiunti alcuni e chiariti altri. È vero per esempio che le opinioni dei due capi su molte questioni di politica erano divergenti, ma sul modo di condurre l’opposizione al governo la differenza era più formale che sostanziale,da Di Pietro a Veltroni il modo di criticare le politiche del governo cambia nei toni,ma non nella sostanza. Bisogna dire che , se l’alleanza è esistita nessuna delle due parti ha mai cercato veramente una mediazione con l’altra che andasse oltre alle dichiarazioni di intenti fatte agli organi d’informazione;la rottura fra i due partiti si è consumata a partire dalla tanto discussa manifestazione chiamata “No Cav Day”,tenutasi l’8 Luglio in Piazza Navona ed organizzata dall’IDV,dopo la quale Veltroni aveva per la prima volta parlato di divorzio fra i due partiti,questa volta facendolo dagli studi di matrix. Da lì in poi l’intesa si è trasformata in coabitazione forzata,e si è deteriorata col passare delle settimane,anche per via della “recidività” di Di Pietro,che nonostante i richiami alla calma degli alleati non ha addolcito i suoi modi di fare opposizione. Va poi detto che la fine dell’alleanza appare come una decisione presa non di concerto con tutte le correnti interne al partito,ma solamente dagli ambienti più vicini al segretario (con ovvie zone di tacito consenso), come dimostrano i non pochi mugugni che la notizia ha sollevato. Questo cambio di rotta mira a dare una scossa, a tentare di ristabilire o forse è meglio dire a tentare di creare quell’ordine che manca all’interno del PD: Veltroni ha pensato di andare avanti da solo per poter dedicarsi esclusivamente a cercare di ricomporre i numerosi dissidi interni al partito, una volta per tutte, senza dovere allo stesso tempo occuparsi di correggere il tiro delle dichiarazioni dell’ormai ex alleato, sempre più accese e distanti dalle sue più controllate affermazioni . La leadership del capo del maggior partito di centrosinistra è infatti da alcuni mesi messa in discussione da vari esponenti del suo partito, e questa mossa mira a cambiare gli equilibri del partito,a ristabilire l’ordine all’interno della compagine democratica, a dargli ,forse, una nuova forma, come dimostra il commento di Rutelli,che all’indomani della frattura ha parlato della necessità di rifondare il partito. Un altro obiettivo che si vuole raggiungere con la rottura è anche quello di guadagnare i voti di coloro che non voterebbero il PD se questo fosse alleato con Di Pietro, e allo stesso tempo la misura punta a sottrarre voti alla stessa Italia dei valori, uscita secondo molti democratici troppo rinforzata dalle urne delle politiche. Qualora il PD si riuscisse a ricompattare e a perseguire un programma coerente, mostrando una sola volontà comune e non cento intenzioni e programmi diversi,allora sicuramente si potrebbe riformare l’alleanza con Di Pietro, visto che l’Italia dei valori nella riunione dei vertici di partito del 22 Ottobre non ha chiuso,anche se avrebbe potuto farlo, le porte ai democratici malgrado l’ex pm di mani pulite. Il banco di prova per la strategia Veltroniana sarà quello delle elezioni europee, ma nel frattempo se si vorrà fare in modo che questa scelta non sia stata un grosso errore strategico per il PD e la sinistra in generale, bisognerà lavorare moltissimo sulla rifondazione del partito, dandogli almeno un minimo di coerenza interna, chiarezza e coesione di programma ma soprattutto creare un partito unico e compatto e non un collage di anime e correnti diverse. Matteo Sulfaro [email protected] Sconfinare 5 Politica Nazionale La chimica legislativa crea molecole di pazzia finanziaria 2008 Novembre 137,133,126 – una miscela che tinge di rosso la cartina tornasole dell’istruzione italiana Lo scorso 29 ottobre, il Senato ha approvato la conversione in legge del d.l. 1 settembre 2008 n.137, presentato dal Presidente del Consiglio Berlusconi e dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Gelmini, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze Tremonti e quello della pubblica amministrazione e innovazione Brunetta. L’urgenza nell’attuazione delle nuove disposizioni in materia di istruzione e università, recita il testo normativo, “si rende necessaria al fine di superare criticità e problematiche operative” del sistema scolastico vigente; in realtà, la proposta di riforma non implica un rinnovamento organico della compagine scolastica attuale (si compone in tutto di 8 articoli) ma si riduce ad un decreto collegato alla legge finanziaria (insomma Tremonti potrebbe essere il padre della creatura). L’articolo che ha scatenato la protesta mediatica di questi giorni è il n.4, ovvero quello che stabilisce la reintroduzione nella scuola primaria, a partire da settembre 2009, di un “maestro unico” che sostituisca l’insegnamento modulare. L’insegnante avrà un orario settimanaVentitrè maggio millenovecentonovantadue. Diciannove luglio millenovecentonovantadue. In cinquantasette giorni, la mafia riuscì a colpire lo Stato, nelle persone di Giovanni Falcone, nominato da appena un giorno nuovo Superprocuratore antimafia a Roma, e di Paolo Borsellino, Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Da quei giorni sono passati sedici anni e poco più, e quindi qualcuno si potrebbe chiedere come proceda la lotta alla mafia, della quale Falcone e Borsellino sono stati protagonisti ma non certo iniziatori, e soprattutto, purtroppo, non le ultime vittime. Un modo originale di rispondere a questa domanda è volgersi in tutt’altra direzione. Il nostro Parlamento, si sa, non brilla per alacrità, ma riesce comunque a produrre una certa quantità di leggi e decreti, il cui impatto, quand’anche sembri dimesso, spesso si rivela travolgente. Ed eccoci, al Senato, al nove ottobre duemilaotto. E’ al voto un decreto legge che ha come obiettivo l’aumento di retribuzione per i magistrati in sedi disagiate. Ma, come spesso succede, il decreto è infarcito di paroline e di articolini che c’entrano come i cavoli a merenda. La norma che ci interessa recita: ‘L'articolo 36 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n.160, come modificato dall'articolo 2 comma 8 della legge 30 luglio 2007 n.111, è abrogato.’ Semplice, no? Mica tanto: significa, sempre che il decreto in questione passi anche alla Camera -il che non è scontato- che la norma varata dal governo Prodi, che vietava ai magistrati inquisiti ma poi assolti –e a cui quindi era concessa una ‘ricostruzione di carriera’- di poter occupare comuque posti di vertice oltre i 75 anni di età, è abrogata; significa le di 24 ore, inferiore a quello attuale, e sarà affiancato dai maestri di religione e inglese. Su richiesta delle famiglie, compatibilmente con le risorse, rimane la possibilità delle 27 o 30 ore (ma non si fa riferimento al tempo pieno come opzione). La reazione esplosiva scatta, però, perché alla 137/08 vengono associate altre due leggi: la legge 6 agosto 2008 n.133 e la legge 24 luglio 2008 n.126, quella che per intenderci ha abolito l’Ici e innescato i tagli ai fondi per l’università. Usando come trampolino di lancio la proposta Gelmini di diminuire il numero degli insegnanti per riformare la scuola, infatti, la 133/08 giustifica una previsione di tagli in personale didattico a tempo determinato pari a 87.341 persone (42.105 nel 2009/2010, 25.560 nel 2010/2011 e 19.676 nel 2011/2012) e in personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliare) pari a 42.500 persone. Il risparmio totale è calcolato intorno ai 5,4 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’università, invece, il problema nasce con due articoli specifici della 133/08: il n.16 e il n. 66. Il primo concede alle università la possibilità di trasformarsi in fondazioni di diritto privato (la delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta e approvata in seconda istanza dai Ministri dell’istruzione e dell’economia). L’art n.66, invece, contiene le direttive finanziarie per la distribuzione dei fondi statali alle università. Secondo le direttive ministeriali, l’Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) sarà ridotto di 63.5 milioni nel 2009, di 190 milioni nel 2010, di 316 milioni nel 2011, di 417 milioni nel 2012 e di 455 milioni a partire dal 2013, per un totale di 1.441.500.000 di euro in 5 anni. Le riduzioni, come precisato nel testo stesso della 133/08, derivano dal blocco del turn over di docenti e ricercatori universitari: ogni ateneo dovrà limitare il numero delle proprie assunzioni al 20% dei pensionamenti dell’anno precedente (indovinello: se l’età media dei ricercatori non ancora di ruolo si avvicina ai 40 anni e ogni anno solo 1 di questi su 5 che vanno in pensione può essere assunto, quanti anni passeranno prima che un laureato del 2008 possa aspirare alla carriera accademica?). I tagli e il fatto che, per legge, le tasse di Lo Stato è miope contro la mafia cioè l’esatto opposto: che quella categoria di magistrati può ora occupare posizioni di vertice; e non ce ne sono tanti, in questa situazione: soprattutto, ce n’è uno solo che si è imposto all’attenzione dei –pochi- media che se ne sono interessati. Questo personaggio si chiama Corrado Carnevale. Ora, bisognerà sottolineare l’importanza di questo nome ai fini della nostra vecchia domanda: in che stato è la situazione dell’antimafia, sedici anni dopo Falcone e Borsellino? E Carnevale è molto, molto importante. Chi è, dunque, e perché si cerca di porlo in pole position per il ruolo di Presidente della Corte Suprema di Cassazione, con una norma ad hoc? Il ruolo è ora occupato da Carbone, che andrà comunque in pensione nel 2010, cosicchè rimarrà per Carnevale una finestra di tre anni (lui, in virtù di questa ‘ricostruzione di carriera’, andrà in pensione nel 2013, a 83 anni), che potrà sfruttare agilmente per essere eletto presidente: è praticamente certo, perché è il primo per anzianità. Ma ancor più interessante non è tanto la norma, ma il personaggio in questione. Il suo soprannome era, ai tempi di Falcone e Borsellino, ‘l’ammazzasentenze’. Cosa faceva? In qualità di presidente della prima sezione della Corte di Cassazione, non faceva altro che essere molto pignolo: nel corso del tempo, ha cassato decine di processi a carico di mafiosi –ma non solo: persino uno contro la Banda della Magliana naufragò per sua decisione-, per via di difetti nella documentazione, come un timbro mancante, una virgola da spostare, una data imprecisa, e così via. Era inoltre nemico dichiarato del pool antimafia: sosteneva che quei magistrati fossero ‘sceriffi’, ‘armi rivolte contro i nemici politici della sinistra di matrice comunista’, e in particolare nutriva un odio profondo nei confronti di Falcone e Borsellino: li definiva ‘due incapaci’, e per lui Falcone era ‘faccia da caciocavallo’; il culmine lo raggiunse dopo la loro morte, quando esclamò: ‘Io i morti li rispetto, ma certi morti no.’ Giudizi confermati poi anche in tribunale. iscrizione non possono superare il 20% dell’Ffo non potranno che svuotare le casse degli atenei italiani ed esporli ad un peggioramento progressivo dei servizi e della qualità di insegnamento. Ma la soluzione alle richieste economiche degli atenei c’è: il comma 5 del suddetto art n.16 recita “I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse o imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90%”. Forse non è poi così irrealistico farsi punzecchiare dall’idea che l’organicità della manovra governativa stia nella ricerca della privatizzazione di un’università in cui panorama decisionale sia appannaggio di pochi finanziatori prevalenti, se non unici. Valeria Carlot [email protected] Sì, perché Carnevale, che alcuni ben vedrebbero al vertice della Suprema Corte, il massimo organo della Magistratura, ha scavalcato la sbarra, passando da giudice ad imputato. Il processo a suo carico, iniziato nel marzo 1993, concluse una sua prima parte con la condanna (giugno 2001) della Corte di Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (pena: sei anni di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici). La Cassazione lo ha poi assolto nell’ottobre 2002 con formula piena, ma tra le polemiche per la dubbia esclusione di alcune testimonianze chiave, inficiate solo dal fatto che erano scaturite da fatti avvenuti in camera di consiglio; fatti che sono generalmente considerati coperti da segreto, ma non così quando al suo interno si consumano dei reati: in tali casi, secondo molti, la loro segretezza dovrebbe venir meno. Questo non è, com’è evidente, il pensiero della Cassazione, che, venute meno tali prove (alcune altre testimonianze, provenienti dall’esterno della camera di consiglio, sono state inspiegabilmente coinvolte nell’annullamento generale), ha assolto Carnevale, liberandolo da ogni accusa. Ora, bisogna distinguere tra legalità e opportunità: legalmente, Carnevale è da considerarsi innocente; ma è forse opportuno non tanto lasciarlo lavorare, cosa che non gli si può negare, ma addirittura adoperarsi positivamente per spingerlo ad occupare il vertice massimo della Magistratura? Ecco chi è Carnevale. A che punto è, dunque, la lotta alla mafia in Italia? E’ pretestuoso accostare quello che sta accadendo in favore dell’ormai ottantenne ‘ammazzasentenze’ ad un giudizio sullo stato attuale dell’Antimafia? Francesco Scatigna [email protected] 6 Sconfinare Università 2008 Novembre La piazza e il rischio del fervore sterile Gli studenti di Trieste contro la 133 Mercoledì 22 ottobre, l’aula Felice Venezian non riesce ad accogliere tutti gli studenti che sono accorsi per l’assemblea. Qualcuno propone di spostarsi in aula magna: un fiume di giovani inonda i corridoi e le scale, e continua a straripare anche nella sala più grande. La soluzione migliore è spostarsi in Piazzale Europa. Finalmente si respira, e si aspetta che casse e microfono siano pronti per diffondere gli interventi degli oratori. L’assemblea è cominciata bene: le migliaia di persone fra studenti, docenti e personale tecnico sembrano testimoniare una preoccupazione diffusa per il futuro dell’Università, di fronte alla legge 133. Il Rettore Peroni chiarisce subito il suo punto di vista: la 133 mette a rischio il regime pubblico della formazione universitaria garantito costituzionalmente. Per concludere invita tutti a “fare apostolato della Costituzione”, facendomi rabbrividire nonostante il clima tiepido. Dopodiché, il testo di legge viene letto e discusso nel corso dell’assemblea. Sbaglia, quindi, chi afferma che gli studenti non sono informati sull’oggetto delle loro proteste. Conclusa la lettura degli articoli contestati, il microfono viene aperto a chi vuole intervenire. A questo punto, inizio a provare un senso di delusione: gli interventi più applauditi sono quelli più infarciti di slogan, quelli che incalzano la protesta senza proporre niente di concreto. Mi aspettavo qualcosa di più da migliaia di studenti universitari. La maggior parte dei discorsi sono vuote parole d’ordine lanciate sull’onda dell’emozione per infervorare la platea (che comunque non dovete immaginare come un’orda scatenata: tutti molto composti nel loro entusiasmo). Appena un ragazzo di Azione universitaria prende il microfono, partono i fischi a smentire quello che è stato affermato precedentemente, cioè che la protesta va oltre i partiti. Lo studente di destra obietta che l’Università italiana è una fonte di enormi sprechi, e che era ora che qualcuno li tagliasse. E dopo che lo stesso batte in ritirata, nessuno che replichi seriamente a ciò che ha detto, semplicemente lo si ignora. E allora gli rispondo io adesso: i problemi dell’Università italiana sono senz’altro numerosi; dagli sprechi burocratici all’assenza di meritocrazia, dalla cattiva gestione finanziaria al mantenimento di corsi privi di studenti. Ma il modo di migliorare le cose non è certo questo taglio pesante dei fondi ad un’istituzione il cui regime pubblico è garantito dalla Costituzione, e che pone le basi della società civile, di oggi ma soprattutto di domani. L’istruzione ha un ruolo troppo delicato nella vita di un Paese per essere trattata con criteri puramente economici, ci vuole molto più impegno per risolvere la situazione. Secondo il Rettore, l’Università di Trieste, perdendo circa 22 milioni di euro nei prossimi 5 anni, rischierà la chiusura, nonostante il bilancio consuntivo del 2007 sia stato concluso in attivo. Purtroppo, nell’Italia di oggi, procedere con vere riforme, che vadano a sanare i meccanismi malati dell’istruzione pubblica, sembra impossibile: meglio un provvedimento drastico e superficiale che scateni il conflitto, da usare come pretesto per screditare il dissenso. Qualche giorno dopo, sabato 25 ottobre, mi reco alla manifestazione degli studenti delle Superiori a cui si è deciso di unire la protesta dell’Università. Guardandomi un po’ intorno in Piazza Goldoni, punto di partenza del corteo, noto subito l’esiguità degli universitari, decimati dalle partenze del weekend: bella prova di impegno e coesione. Ma la sorpresa più amara arriva alla fine, in Piazza Unità: dopo un corteo festoso e tranquillo, che raccoglie addirittura gli applausi della gente che assiste ai margini, la protesta si esaurisce. Degli universitari che hanno guidato il corteo non c’è più traccia, e dopo qualche minuto la piazza si svuota, per lasciare campo libero a qualche camioncino di studenti delle superiori completo di casse che sparano techno a tutto volume ragazzini mezzi nudi che ballano con le orecchie incollate agli amplificatori. C’è anche qualche rappresentante dei centri sociali che cerca di dirigere la protesta verso il molo IV, dove si era svolta l’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), nonostante i sindaci non ci siano più e nonostante non ci sia alcuna autorizzazione. Io credo in questa protesta e nella sua continuazione fino a che il Governo non si deciderà ad eliminare i tagli all’Università, credo nell’utilità delle manifestazioni di piazza per far sentire il dissenso collettivo in maniera efficace; ma ci credo quando, a fare da base, c’è una consapevolezza ragionata degli obiettivi e dei mezzi con cui raggiungerli, e non una generica ed emozionale contrarietà. Altrimenti, i movimenti perdono senso, forza, e si smarriscono per strada: ci si ritrova come sabato scorso, in una piazza semi vuota, a chiedersi “Cosa ci faccio qui?”, e intanto quello per cui si manifestava rimane tale e quale, pian piano viene dimenticato, i media perdono interesse, e tutto va in malora, come sempre. Athena Tomasini [email protected] OMeRO Osservatorio Mediterraneo di Ricerca Operativa Ciao a tutti i lettori di Sconfinare! L’Osservatorio Mediterraneo di Ricerca Operativa (O.Me.R.O.) sta cercando fra i giovani studenti del SID dei collaboratori. In particolare (da ex studentessa SID) mi riferisco alle moltissime tesi e tesine che siamo obbligati a scrivere per alcuni insegnamenti, sarebbe bello se alcuni di voi volessero mettere a disposizione le proprie ricerche su uno spazio internet. OMeRO è un’Associazione Culturale di Geopolitica nata dalla passione di un gruppo di ex studenti del I Master in Geopolitica, organizzato dalla rivista Limes e dalla SIOI nel 2007. L’oggetto principale della nostra indagine sono i rapporti fra i vari stati mediterranei, intendendo con questo non solo i Paesi rivieraschi, ma anche quelli del Mar Nero e del Medioriente. A pochi mesi dalla nostra costituzione abbiamo deciso di dotarci di un blog (http://geopoliticalnotes.wordpress. com) come “finestra” verso il mondo, in cui cerchiamo di cimentarci con brevi pezzi di divulgazione che hanno lo scopo di portare all’attenzione dei let- tori alcuni spunti di riflessione sull’area mediterranea. Il nostro interesse spazia dalle questioni politiche, economiche e sociali, alle tematiche più prettamente culturali, antropologiche e di costume. Il prodotto che ne viene fuori pian piano è un insieme di articoli, mappe, interviste, rassegne stampa e recensioni che possano aiutare chi legge ad approfondire anche per proprio conto gli argomenti che più lo interessano. Ogni due mesi circa è possibile leggere un focus monografico su particolari eventi o tematiche di importanza internazionale. OMeRO propone, fra l’altro, numerosi incontri formativi fra giovani e studiosi, diplomatici ed esponenti militari per meglio facilitare la comprensione della complessa interdipendenza fra Stati, Regioni e Continenti. A questo proposito possiamo rimarcare l’incontro avvenuto con l’Ambasciatore Mistretta (ex ambasciatore in Libano) sulla tematica delle attuali sfide del Libano moderno (SIOI, 4 Luglio scorso). Per avvicinarci ancora di più agli studenti ed alla realtà universitaria italiana, molti dei membri di OMeRO hanno ini- ziato una assidua collaborazione con Meltin’Pot, giovane rivista universitaria online. L’Associazione, a meno di un anno dalla sua nascita, partecipa attivamente ai Focus Groups dell’ Osservatorio per la Sicurezza Nazionale (OSN), presso il Centro Alti Studi per la Difesa, riguardanti argomenti di cruciale importanza quali le Infrastrutture Critiche ed il Terrorismo e Criminalità nelle aree metropolitane. Il “nostro” Mediterraneo è aperto a tutti voi! Saremo infatti felici di ricevere i vostri abstract o le vostre tesine (purchè originali), le recensioni su libri di tematiche inerenti al nostro obiettivo e quant’altro vorrete sottoporci! Se siete interessati a collaborare con noi, ad aderire alle nostre iniziative e per mandarci il vostro materiale, vi invitiamo a scriverci all’indirizzo [email protected]. A presto! Marianna Rapisarda (per la redazione di OMeRO) 2008 Novembre Sconfinare Università 7 A questo decreto seguirà comunDall’inizio dell’anno accademiPositivo il Decreto varato dal Ministro Gelmini, ma attenzione al Progetto di Riforma que in questi giorni il Progetto co proseguono le manifestazioni di Riforma vero e proprio, le di dissenso e di preoccupazione cui linee guida sono comunque per la manovra estiva varata dal stilate già da ora. Si punta sulla governo in agosto e per il proNews d’Ateneo: nuovi corsi, assunzioni bloccate. razionalizzazione dei corsi di getto di riforma dell’università laurea (arrivati a 5.000) e delle che il Ministro Gelmini presenelettive le cariche di rappresentanti degli anche del personale tecnico amministrativo) terà in questi giorni. Ma prima di dedicarmi studenti nella Giunta di Facoltà (sino ad in tutti gli atenei che spendono in stipendi sedi distaccate ed al cambiamento radicale alla riforma ed alle iniziative che sono state ora erano di nomina del Preside). La discus- più del 90% del FFO. Sette ricadranno si- del cursus honorum dei docenti, i cui scatprese anche a Gorizia in questi giorni, cre- sione di questo punto è stata rimandata al curamente in questa categoria e tra essi ti di stipendio non dovranno più essere legado sia importante dare alcune informazioni 19 novembre per mancanza di tempo, ma compare anche il nostro ateneo, insieme a ti all’anzianità ma alla produttività didattica “di servizio” interne al nostro ateneo e alla con ogni probabilità ci troveremo presto ad quello di Cassino, Firenze, Bari, L’Aquila, e di ricerca degli stessi. Ma questo sarà di nostra facoltà. eleggere un rappresentante nella giunta per Pisa, L’Orientale di Napoli; ma ad essi po- certo il punto su cui ci sarà lo scontro più duro con la casta dei baroni accademici. La novità di maggior rilievo è senz’altro Gorizia ed uno per Trieste. trebbero aggiungersi altri 19 atenei. l’elezione del nuovo preside di Facoltà, il Ma passiamo dunque ai perché di questo pe- Riprendendo inoltre il Patto con le Univer- Altro punto controverso su cui la riforma Prof Roberto Scarciglia, docente di Diritto riodo di vacche magre: il decreto 133 del 6 sità firmato dal Ministro Mussi il decreto dovrà fare luce è quello della governance Pubblico Comparato, eletto a grande mag- agosto 2008 e l’imminente riforma del si- destina il 7% del FFO 2009 (circa 500 mi- degli Atenei e della possibilità di trasforgioranza nel mese di ottobre e subentrato stema universitario. lioni) agli atenei virtuosi, le cui performan- marsi in fondazioni di diritto privato. A al Preside Coccopalmerio dal 1 novembre. La convocazione dell’assemblea il 28 otto- ce saranno valutate dal Cnvsu (Comitato riguardo è necessario fornire precise e più Facciamo al neo-preside un in bocca al lupo bre era concepita dai rappresentanti soprat- nazionale di valutazione del sistema univer- stringenti garanzie circa l’influenza che gli e ci aspettiamo che riesca a portare una ven- tutto come un momento di analisi della legge sitario) e dal Civr (Comitato per la valu- eventuali enti privati potrebbero esercitare tata di novità nella nostra Facoltà, portando e delle sue problematiche, grazie all’indi- tazione della ricerca) in base ai parametri sulla didattica e sulla determinazione delle avanti iniziative originali e più adatte ai no- spensabile e puntuale contributo di Marco di ricerca, crediti acquisiti dagli studenti e tasse universitarie. Nessuno inoltre sembra Barelli (rap- numero degli iscritti. In questo modo alcuni aver pensato al fatto che le condizioni ecopresentante al atenei, tra cui non compare il nostro ateneo, nomiche e la cultura amministrativa delle CdF di Lettere si troveranno ad avere addirittura più fondi diverse regioni d’Italia avrà un peso detere Filosofia), per l’anno 2009 (43 milioni in più per Tori- minante sulla vita delle fondazioni, creando in modo da no, 40 per il Politecnico di Milano, 30 per università di serie A e di serie B. poter arriva- Padova, 29 per Bologna – IlSole24ore 7-11- L’assemblea triestina di Piazzale Europa, re in maniera 08). Tra questi non compare Trieste che anzi svoltasi il 29 ottobre in un clima di granpiù cosciente nel periodo 2009-2011 avrà un taglio pari a de libertà, oltre ad aver chiarito molti dubbi all’elaborazio- 1.700 euro circa per studente (elaborazio- a questo e ad altri riguardi, ha approvato il documento elaborato il giorno precedente ne di iniziative ne IlSole24ore, 10 novembre 2008). concrete per Il turn over viene inoltre ridotto dal 20% dall’assemblea di Gorizia, che è stato letto manifestare il al 50%, ma il 60% delle risorse liberate do- di fronte agli astanti da Nastasi.Tutto dundissenso del vrà essere impiegato per assunzioni di ricer- que è ancora in movimento per l’università. nostro cor- catori, in modo tale che per ogni docente in Di certo molto è cambiato dagli inizi di otso di Laurea. pensione si assumano tra i 2 ed i 3 ricerca- tobre ed il Decreto di lunedì va senz’altro La piattafor- tori (si punta a 3.000 ricercatori in più nel nella direzione giusta. Restano però alcuni punti i cui sviluppi sarà importante seguire ma condivisa 2009). dall’assemblea, Sono stanziati inoltre 65 milioni di euro in nella Riforma vera e propria: dalle Fondastri tempi. ed esposta nel documento proposto dai rap- più per le residenze universitarie e 135 zioni Private all’abbattimento dei privilegi Da un punto di vista più prettamente ammi- presentanti ed approvato nella seduta, è sta- milioni per le borse di studio, in modo da del ceto accademico. Come ci insegnano le nistrativo è invece emersa anche quest’an- ta quella di un dissenso nei confronti di un accorciare il gap che ci distanzia dagli altri Scienze Politiche, è importante ora non speno la necessità di utilizzare parte dei fondi provvedimento miope che non curandosi di paesi europei (siamo ultimi in Europa per gnere i riflettori sull’università e continuare studenteschi di facoltà 2009 (20.000 dei una riforma globale del sistema universita- numero di studenti riceventi borse di studio: a vegliare sull’operato di governo ed opposizione in maniera consapevole ed informa70.000 euro del fondo) per la copertura di rio puntava solo a ridurne i costi, e non gli 11% contro l’86% della Gran Bretagna). alcuni corsi previsti per l’anno accademico sprechi, che invece sono tanti e sarebbero Vengono confermati i concorsi già banditi ta, esercitando al meglio la nostra Facoltà 2008-2009. Nello specifico per Gorizia era- restati tali perché nulla si faceva nello spe- anche se le regole cambieranno. Per i ri- di Dissentire. È stato questo anche il senso no a repentaglio i corsi di Spagnolo I e II e cifico contro di essi. Con il taglio drastico cercatori la commissione sarà formata da 2 profondo della giornata di leizoni all’aperdi Arabo II, che senza questi fondi non sa- del Fondo di Funzionamento Ordinario da ordinari (uno nominato ed uno sorteggiato) to, lunedì 10 novembre. Circa 60 studenti rebbero potuti partire. La querelle sui fon- 1441 miliardi per il prossimi anni non si as- ed un associato, nessuno comunque appar- hanno ascoltato interessati le lezioni tenudi studenteschi usati per coprire le attività sicurava affatto una razionalizzazione della tente all’ateneo che bandisce il concorso. tesi in Piazza Sant’Antonio e nella Galleria didattiche si ripete in realtà ogni anno. In spesa: nessuna distinzione era prevista tra Mentre dal 2010 la selezione “è effettuata in Corso Verdi, attirando anche l’attenzione cambio della disponibilità a spendere questi le università virtuose e le altre, tra i docenti sulla base dei titoli e delle pubblicazioni un po’ curiosa dei passanti goriziani. Alle soldi per le suddette attività già program- che fanno ricerca e gli altri…solo un taglio dei candidati, ivi compresa la tesi di dot- splendide lezioni dei professori Tonchia, mate il Consiglio di Facoltà del 5 novem- che avrebbe colpito tutti e che combinato torato, utilizzando parametri riconosciuti Goio, La Mantia, Schulze, Scarciglia, Abenante, Scaini e Palmisano è seguito l’interbre ha però accolto quest’anno la richiesta con il turn over al 20% avrebbe messo a ri- anche in ambito internazionale”. vento del Preside Gabassi che ha focalizzato dei rappresentanti di attivare nel secondo schio tutto il sistema l’importanza della qualità della didattica e semestre di questo stesso anno accademico universitario. Una piccola idea sulle proteste dell’amministrazione, con un occhio anche quattro corsi da 60 ore a contratto, il cui co- Pur restando invariaLa satira, secondo la Corte Costituzionale, è pietra angoai rischi per Gorizia nell’ambito della raziosto sarà coperto da parte dei restanti fondi ta l’entità dei tagli al lare dell’ordine democratico. La sua scomparsa dai mass nalizzazione delle sedi distaccate. studenteschi (circa 12.000 euro). Si tratterà FFO, da allora molte Auspichiamo che altre iniziative continuino di Russo I, Portoghese I, Storia ed Isti- cose sono cambiate. media, dove è simulata dallo sfottò, ne sancisce la latenza tuzioni dell’America Latina e Economia Con il Decreto del voluta proprio per la sua pericolosità, dato che mina l’iden- non per un dissenso fine a se stesso, ma per tenere viva l’attenzione e creare la consapePubblica (o Scienza delle Finanze). È però MIUR pubblicato tità stessa di chi colpisce, smitizzandolo e umanizzandolo: volezza alla base di un eventuale dissenso, da segnalare la protesta avanzata da parte lunedì in gazzetta devastante per chi fa affidamento sul carisma. affinchè, qualunque giudizio esprimeremo del corpo docente (in particolare dai ricer- ufficiale il ministro La satira castigat, ridendo mores; dunque perché non usarsulla riforma che verrà, esso sia argomentacatori) che hanno contestato la richiesta Gelmini ha apportato la per la protesta studentesca, invece di dare un titolo a chi degli studenti ricordando che il SID non è alcune modifiche ai si contesta, riconoscendoglielo per il solo fatto di contestar- to sulla realtà dei fatti. Da leggere: L’università corrotta, di Roberun corso di lingue, che corsi come il cinese, tagli precedentemente lo? Infatti, buggerando il governo riguardo la finanziaria e to Perotti ed. Einaudi; La crisi del potere quando c’erano, andavano deserti e che in varati dal governo. l’opposizione riguardo il cavalcare la protesta studentesca accademico italiano, di Gilberto Capano e un momento di vacche magre non dovreb- Rendendo effettive (di fatto non politica), mostrandosi smaccatamente concordi Giuseppe Tognon ed. Arel-Il Mulino; Come bero essere sprecati fondi per “corsi inutili direttive della financambia la scuola, instant book del Sole24come questi” affidati a contratto a personale ziaria 1998 (rimaste si delegittimerebbe l’autorità perché si incrina il suo ricoore. esterno. Attilio Di Battista lettera morta fino ad noscimento. Se qualcuno dirà per questo che non si cerca il Rappresentante degli Studenti in CdF. Nello stesso CdF del 5 novembre è stata oggi) vengono bloc- dialogo, noi dunque si andrà in piazza a mezzodì a cercarlo [email protected] proposta dal Preside Scarciglia la modifi- cate tutte le assun- con un lanternino in testa. ca del regolamento di Facoltà per rendere zioni (di docenza ma Fabio Raffin, [email protected] Occhi puntati sull’università Sconfinare Scripta Manent 8 Novembre 2008 Rapporto Migrantes 2008 sugli Italiani all’estero Un’amara fotografia della condizione dei giovani italiani Migrazione. Un termine che può assumere differenti sfaccettature a seconda del suffisso che gli si aggiunge. Un termine che in Italia, ormai da molto tempo, viene visto solo nel senso di im-migrazione: in un Paese che ormai ha raggiunto il massimo sviluppo economico, che fa parte del G8, sembra naturale parlare solo di im-migrazione. Ed è infatti ciò che viene fatto normalmente dai media, e dai politici, ed alcuni hanno demonizzato questo fenomeno, facendo della lotta contro di esso un cavallo di battaglia per raggiungere il potere. Ma l’Italia molto spesso dimentica il suo non tanto remoto passato. Soprattutto quel Nord Est dove ora prolifera l’intolleranza verso lo straniero, sia regolare o meno, dove coloro che ora sono ricchi industriali provengono da famiglie contadine, che hanno sperimentato l’altra faccia della migrazione: l’e-migrazione. Il nostro Paese ha infatti una storia di emigrazione lunga 150 anni, verso tutti gli angoli del mondo, dalla Germania, dove venivamo chiamati Gastarbeiter, alla Svizzera, dove eravamo tra i meno voluti; dal Sud America alla costa atlantica degli Stati Uniti; dalle ex colonie Italiane, alla lontana Australia. In questi 150 anni molti nostri connazionali hanno scelto di abbandonare l’Italia in cerca di fortuna all’estero: l’immagine che subito viene in mente è quella stereotipata dei contadini che partono con la valigia chiusa con lo spago verso un futuro ignoto, carichi solo delle proprie speranze, proprio come quelli descritti dal film Nuovomondo. Ma oggi questa immagine non s’addice più agli italiani che decidono di crearsi un futuro all’estero. Dal “Rapporto Italiani nel Mondo 2008” pubblicato dalla Fondazione Migrantes emerge infatti che la maggior parte degli italiani residenti all’estero (il 51%) è costituita da giovani sotto i 35 anni, con un grado di istruzione elevato, che ha deciso di andarsene dall’Italia per poter occupare ruoli di prestigio e di responsabilità che altrimenti non sarebbero stati loro accessibili, e che in generale non ha intenzione di ritornare in patria, in quanto non vede lì delle prospettive soddisfacenti per il proprio futuro. Molti di questi giovani lavorano in ambito scientifico e in particolare nella ricerca, andando così a alimentare il fenomeno della “fuga dei cervelli”. Così molti di coloro che compiono scoperte fondamentali per il progresso e la scienza, ad esempio negli Stati Uniti, sono molto spesso immigrati italiani di prima generazione, che lì hanno trovato i fondi e qualcuno che crede nei loro progetti. Così molti studenti italiani, una volta finiti gli studi universitari optano per fare il proprio dottorato in un Paese straniero, dove questi progetti hanno sovvenzioni sufficienti, e coloro che li portano avanti hanno un sostegno concreto. Leggendo questo rapporto, i cui dati si riferiscono al 2007, mi chiedo come sia possibile che il governo attualmente in carica abbia progettato un taglio considerevole dei fondi alla ricerca e all’università, in un piano quinquennale che supererà il miliardo di euro. Questo infatti, a mio parere, va contro ogni principio basilare dell’economia e del buon senso. Nel momento in cui si fa un investimento nell’educazione, sia essa quella dell’obbligo o quella universitaria, sarebbe una mossa non tanto azzardata preventivare poi lo sfruttamento di tale risorsa a proprio vantaggio. Mi spiego: nel momento in cui lo Stato italiano investe nell’educazione di uno studente dalla prima elementare al quinto anno dell’università, attraverso l’insegnamento, i ser- vizi amministrativi e le sovvenzioni per la scuola dell’obbligo, verrebbe naturale pensare che abbia già pianificato un impiego di questo potenziale. Questo è il pensiero più logico in teoria, ma nella realtà, stando a questo rapporto, non è proprio così. L’Italia non ha interesse ad investire nelle giovani menti che essa stessa ha fatto crescere, e la prova è data proprio da questi tagli. Riducendo ancora di più le già esigue risorse destinate alla ricerca, cercando di trasformare le università pubbliche in un ibrido non ancora ben definito dal punto di vista giuridico, il governo attuale sta svendendo il futuro del paese, facendo sì che la ricaduta dei propri investimenti venga registrata in altri paesi. Dal rapporto Migrantes 2008 emerge anche un altro aspetto fondamentale della gioventù italiana. A differenza di un tem- Palazzo Yacoubian di ‘Ala al-Aswani Ogni romanzo, per definizione, racconta una storia. Oggi siamo sommersi da romanzi di ogni genere e da ogni parte del mondo. È però veramente raro trovare un libro che non si limiti a raccontare una storia, ma che presenti e condensi in sé tutto un Paese, tutta una società, tutta un’epoca. Questo è il caso di Palazzo Yacoubian, primo romanzo del medico egiziano ‘Ala Al-Aswani. In esso si raccontano le vite di diversi abitanti,ricchi e poveri, di questo palazzo nel cuore del Cairo, una volta sfarzoso, oggi decadente. Davanti a noi compaiono l’aristocratico decaduto amante della Francia e delle donne, il figlio del portiere che abita sul tetto e sogna di fare il poliziotto, ma finisce per unirsi ai Fratelli Musulmani, la sua fidanzata, che per lavorare deve sottostare alle “richieste” dei datori di lavoro, l’intellettuale gay, e molti altri personaggi. Al-Aswani è molto abile nel tenere l’attenzione sullo svolgimento dell’azione, alternando le varie storie, accompagnandoci un po’ nelle vite dei protagonisti e poi lasciandoli ad un certo punto, per poi riprenderli dopo alcune pagine. In questo modo, riesce a creare una narrazione corale in cui nulla è ridondante, nulla è fuori posto, e tutto fluisce dalla prima all’ultima pagina. Infatti, la caratteristica del romanzo è quella di essere, potremmo dire, “neorealista”: l’autore non compare, si limita a raccontare e ad ordinare i fatti, lasciando il giudizio su ciò che accade agli stessi personaggi e al lettore, che è chiamato a raccogliere tutti i segni nelle singole storie per capire la società egiziana nel suo complesso. Ma comunque l’intento del “documentarista” è ben chiaro: si tratta di un’accusa violenta alla società egiziana, in preda all’ipocrisia, alla corruzione , al classismo e ad un servilismo interessato. Per l’autore, l’Egitto moderno è governato da una classe dirigente per cui “quello egiziano è il popolo più obbediente che ci sia, perché è fondamentalmente pigro e accondiscendente; non occorrono brogli, l’Egiziano voterà per chi ha il potere in quel momento”. Ma nonostante i politici del libro dicano così, la corruzione c’è, ed è tanta, a tutti i livelli. Per qualunque posto di rilievo occorre pagare, ed è così che i poveri sono senza speranza, e la ricchezza si perpetua nelle mani degli stessi ricchi. Nelle figure di Taha, il povero figlio del portiere, e la sua fidanzata Buthyaina si legge la rassegnazione, il desiderio di uscire da un Paese che non può offrire niente a loro se non umiliazioni. Un Paese claustrofobico, chiuso deliberatamente ad ogni progresso. Ed è in tale situazione po, in cui la maggior parte degli emigrati italiani era impiegata in attività poco qualificate, oggi i giovani italiani all’estero ricoprono ruoli di prestigio o per cui è necessaria una formazione di alto livello. Questo significa che la volontà di imparare, di mettersi alla prova e di realizzarsi non ci manca, anzi. E tutti i giovani che manifestano in questi giorni per un futuro più roseo per le nostre università lo confermano. E allora la domanda sorge spontanea: perché investire centinaia di milioni euro in aziende fallimentari, per salvare non si sa poi bene che cosa, privando le generazioni future, e quindi il tutto Paese, di prospettive allettanti e competitive rispetto ai paesi a noi vicini? Speriamo che qualcuno sia in grado di rispondere, senza contraddirsi subito dopo. Leonetta Pajer [email protected] che la rassegnazione e la povertà si mescolano, e portano giovani come Taha ad avvicinarsi al fondamentalismo islamico, visto come promessa di una vita migliore, ma anche come protesta verso uno Stato, che si proclama laico, che ha fallito. Quindi, questo romanzo ha una forte valenza sociale, anche per il fatto che AlAswani in Egitto è uno degli intellettuali più attivi nella protesta contro la dittatura di Mubarak. Ma oltre a presentare il Cairo del 2002, dà anche a noi, lettori occidentali di regimi cosiddetti “democratici”, motivi di riflessione. Dopotutto, i personaggi sono sì abitanti dell’Egitto contemporaneo, e in quanto tali ben caratterizzati; ma essi sono anche un esempio vivido di tutti i tipi umani. I desideri e i sogni di Taha sono gli stessi sogni e desideri di ogni adolescente, e così sono le sue delusioni e le sue angosce, che lo spingono a trovare riparo tra i Fratelli Musulmani; cerca un nuovo senso nella vita, e questa ricerca si mescola alla rabbia di non essere accettato com’è. Ogni giovane ci si può riconoscere, come si può riconoscere nel desiderio di andarsene di Buthyaina. Poi c’è il vecchio nobile nostalgico, amante delle donne e del vino, simbolo di un edonismo orgoglioso , ma anche della paura di invecchiare; e l’intellettuale gay, alfiere di una minoranza combattuta, ma nonostante ciò orgoglioso e dignitoso nella sua scelta di vita. Si potrebbe continuare così per molto, visto che ogni personaggio racchiude in sé un mondo; ma ciò che veramente conta è che questo dentista del Cairo, strenuo difensore della libertà di parola, è riuscito a creare un gioiello di letteratura, ben calato nella società in cui vive, ma contenente tutto l’universo delle passioni e dei difetti umani. Proprio come solo i grandi libri possono fare. ‘Ala è grande. Giovanni Collot [email protected] “È bello morire per ciò in cui 9 Sconfinare Scripta Manent Novembre 2008 Chi ha paura muore ogni giorno si crede: chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”: la frase di Paolo Borsellino da cui è significativamente tratto il titolo riassume perfettamente la vita di questi 2 grandi magistrati, incrollabilmente onesti e coerenti. Giuseppe Ayala fu il loro più stretto collaboratore, a partire dalla costituzione del superpool all’interno della procura di Palermo fino a rappresentare l’accusa al maxiprocesso contro la mafia di fine anni ‘80. Lo stile scelto da Ayala è quello del racconto, condito da numerosi squarci sulla sua vita privata: questo libro infatti non è solo un doveroso ricordo dei suoi colleghi e amici Falcone e Borsellino, ma anche una maniera per Ayala di rispondere a tutte le malignità che i suoi avversari hanno continuamente insinuato sul suo conto e sulle loro iniziative in generale. Come scrive lui stesso: “Qualcuno ha scritto che, a 15 anni di distanza da quel tremendo 1992, Ayala ha pagato il torto di essere vivo”: questa frase condensa il dolore provato per tutte le umiliazioni che Ayala ha dovuto subire in dignitoso riserbo. D’altronde, i grandi uomini hanno sempre molti nemici. Quando poi si vanno a toccare interessi di enorme portata, è ovvio che il minimo che ci si possa aspettare siano falsità e attacchi continui. Forse Ayala, il miglior erede di quella gran- gine in cui affiora la stanchezza di una vita continuamente in tensione, con la paura di essere uccisi da un momento all’altro, si potrebbe pensare che sia stata una scelta in parte volontaria. Io, francamente, non posso certo biasimarlo. Falcone e Borsellino, per quanto sfiduciati e depressi dalla cappa di ostilità che li copriva, furono più tenaci. Le conseguenze sono note: 23 Maggio e 19 Luglio 1992, l’Italia perde gli avvocati che tutto il mondo ci invidiava (tanto per dare una misura di questa ammirazione, nella scuola della CIA fu eretta una statua a Falcone!). Non ci si può certo illudere che un problema enorme come quello della mafia abbia soluzioni facili. Osservando le cifre e studiandone le cause, ci si può facilmente abbandonare a un cinismo senza speranza riguardo alle possibilità di successo della lotta contro la mafia. Prima di leggere questo libro, non ero certo lontano da un simile pessimismo: ora non posso comunque abbandonare uno sguardo disincantato, però sento il dovere di continuare la lotta, assolutamente giusta, per rendere onore alla memoria di questi grandi uomini. Un libro che vale più di 1000 lezioni di educazione civica e di discorsi ufficiali: se non si vuole perdere la speranza, quasi obbligatorio. Federico Faleschini [email protected] I miei anni con Falcone e Borsellino - di Giuseppe Ayala SICILIA "Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo... Quelle che voi chiamate piaghe... Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: L'Etna, il vulcano, ma è una bellezza naturale... Ma ce ne un'altra grave che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito... La Siccità... la terra brucia e sicca, una brutta cosa... Ma è la natura... e non ci possiamo fare niente... Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo non è la natura ma l'uomo... dov'è? È nella terza di queste piaghe che veramente diffama la Sicilia e in patticolare Palemmo agli occhi del mondo... ehh... lei ha già capito, è inutile che io gli lo dica... mi veggogno a dillo... è il traffico!!! Troppe macchine! è un traffico tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famigghia contro famigghia, troppe macchine!" Così parlava della sua Sicilia lo "zio avvocato", il personaggio uscito dalla penna di Cerami e Benigni per il film Johnny Stecchino. Entro in Sicilia nel modo migliore: sorvolandola. La scorgo in tutto il suo splendore mentre l' Etna comincia a riempire la scena senza sembrare per niente una piaga. Vedo gli stessi orti, frutteti, vigneti solcati dalla lava, che Piovene aveva visto nel suo Viaggio in Italia cinquanta anni fa. Le cose saranno cambiate? de esperienza civile che fu il maxiprocesso a Cosa Nostra, non avrebbe dovuto tacere e tenere gli occhi bassi, se il governo e la classe politica tutta avessero sostenuto lui (e anche Falcone e Borsellino, finché erano in tempo) o gli avessero riconosciuto tutti i meriti che gli spettavano. Il problema è che il supporto che lo Stato diede fu a tratti forte (durante il maxiprocesso vero e proprio, ad esempio), ma discontinuo: è Falcone stesso a dire che “Prima di tutto bisogna non essere soli...”, dopo l’omicidio di un mafioso, uno delle migliaia di omicidi che insanguinavano la Sicilia degli anni ‘80. Soli come Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici e molti altri, che non devono essere dimenticati e che Ayala ricorda dalla prospettiva unica di chi è stato protagonista di quelle vicende. Già alla fine degli anni ‘80, la classe politica italiana cominciò a intuire il disastro imminente di Tangentopoli: non era certamente il clima adatto per permettere di scavare più a fondo in quel mare di omertà e collusioni che avrebbe sicuramente affrettato una fine comunque inevitabile. L’istinto alla sopravvivenza prevalse sulla volontà di squarciare il velo di ipocrisia, quasi impenetrabile, che nascondeva le Conosco la Sicilia attraverso il suo traffico, la piaga delle piaghe. Il traffico che ci porta a Catania e che ci accompagna per tutta la città. Anche l' Etna non ti lascia mai e ti intimidisce. Ti guarda dalla via Etnea, la Broadway del mezzogiorno, con lo sguardo dei Ciclopi che ancora là sotto lavorano alla forgiatura delle saette di Zeus. Catania accoglie il freddo nordico nel suo vortice di colori e voci esagerate a cui presto mi abituo con piacere. Accompagnato dai tre siciliani (ma precisiamolo pure che due di loro, pur essendo immigrati intranazionali, non hanno perso un pizzico di sicilianità!) il mio battesimo avviene con il caffè più entusiasmante di tutta la vita: una crema che è ancora più piacevole non zuccherata. Seguendo i filari di aranci ci muoviamo verso la costa tirrenica, verso il panorama delle isole Eolie. Si deve dare una certa ragione al geografo arabo Idrisi quando scrive che "non esiste terra né paese più bello ed emozionante di Milazzo". Vi si respirano tutti i popoli che in questa cittadina hanno lasciato traccia: greci, romani, arabi e tedeschi. Il castello, con le sue sette cinte murarie di altrettante epoche, domina sul mare; si vedono le Eolie là a sinistra e Capo Milazzo ci abbraccia a destra, con i suoi profumi di erica, mirto e ginestre. Febbraio non ci concede il piacere di un bagno salato. L' acqua è ancora troppo fredda e mossa. Allora mi accontento di riempirmi i polmoni con il vento del sud. Il mare, in controluce, prende il colore del peltro. collusioni con la mafia: un comportamento umanamente comprensibile, certo, ma che ebbe conseguenze di portata incalcolabile. Sarebbe stata forse l’ultima occasione di dimostrarsi classe politica seria e responsabile (sia a sinistra che a destra) e non fu colta. L’amarezza di Ayala nel vedere lo smantellamento della struttura investigativa e processuale faticosamente messa in piedi assieme agli altri magistrati della Commissione Antimafia è grande, tanto più vedendo che a questo di accompagnava l’emarginazione sua e di Falcone e Borsellino, specie da parte dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura. A che gli domandava perché fosse stato l’unico a sopravvivere alla mafia, Ayala rispondeva: “Mi ha salvato l’ENEL”: risposta provocatoria ma non troppo ed indicativa del processo di isolamento ed esclusione che Falcone, Borsellino e Ayala dovettero subire una volta che l’attenzione dei media e soprattutto la protezione delle istituzioni svanirono. Il fatto che Ayala fosse deputato a gestire pratiche irrilevanti non fece scattare la fatale combinazione di cui parlava Della Chiesa: essere personaggi scomodi, pericolosi, e soprattutto essere isolati. Ayala fu “depotenziato”: dalle pa- Ogni numero una regione raccontata dagli occhi di chi l’ha vista per la prima volta Viaggio in Italia A Milazzo si può conoscere chi investe la propria vita nella lotta alla piaga che lo "zio" evita di nominare. Riccardo Orioles fa parte del movimento antimafia da sempre. Comincia negli anni settanta, lavorando nelle radio libere e nei giornali locali. Con Giuseppe Fava, ucciso una sera del 1984, fonda il mensile "I Siciliani", coraggioso e deciso nei toni, si espone a molti rischi. Malgrado le difficoltà, Riccardo continua nel suo importante lavoro di informazione trasparente: pubblica periodicamente la "Catena di San Libero", alla quale vi invito ad iscrivervi per supportare il lavoro di un grande giornalista che della controinformazione in rete ha fatto il suo punto di forza, una persona che ha mantenuto lo spessore delle sue scelte e non si è abbassato agli sfavillii dei grandi media nazionali. Messina è rimasta un vivaio di medici. In prossimità della facoltà di medicina, è tutto un formicaio di camici bianchi. Ho la fortuna di seguire una lezione in questa facoltà, tristemente famosa per aver co- minciato il tango dello scandalo dei quiz di ammissione di due anni fa. Vedo i volti dei raccomandati, gli stessi che giravano in tivù, e penso che i messinesi non potranno più brillare nella professione più classica. Dalla casa in cui passiamo la notte distinguo le luci della costa calabrese e immagino il ponte sullo stretto e i treni che vi sfrecciano sopra e che raggiungono velocemente l' Italia continentale e provo a farmi spiegare da qualcuno quale sarebbe la differenza tra la Sicilia con il ponte e la Sicilia senza. Il giorno successivo, il treno è in orario e non ci sono particolari problemi a raggiungere velocemente l' altra sponda. La sensazione di essere stato in mezzo a gente che mi pare di aver sempre conosciuto accompagnerà per sempre i ricordi della mia prima esperienza siciliana. Il treno saltella e mi concilia il sonno. Alessandro Battiston [email protected] 10 Non deve apprendere nessuna conoscenza con spirito servile. L’ha detto Platone. Nel mio piccolo, io sarei dovuto andare a lezione di Arabo oggi. Però non l’ho fatto. Mi chiamo Rodolfo e sono a Gorizia da cinque anni. Lo direi un periodo lunghetto, anche se un anno ho deciso di giocarmi il jolly Erasmus. Non mi sono ancora ambientato, ma fortunatamente la stabilità non è più una priorità. Da quando mi sono immatricolato per la prima volta sono cambiate così tante cose che ho rinunciato persino a tenerle a mente. Ora, per sapere quanti e quali esami mi mancano faccio affidamento sul mio libretto elettronico. E sbaglio sempre. Il punto, comunque, non è questo. Se scrivo questo articolo, e so che finirà in “stile libero” e non in “università”, è proprio perché non voglio muovere critiche ad alcunché di concreto e di modificabile. Se scrivo parlo di me, ed è perché mi sembra con ciò di riuscire a sfogare un senso di frustrazione e d’umiliazione che spero non mio solamente. Il punto è questo: non sono andato a lezione di Arabo. Avrei voluto andarci, sapete, ma semplicemente non l’ho fatto. Perché da un po’ di tempo, a mio vedere, qualcosa si è inceppato nel senso del grande meccanismo generale, qualcosa si è inceppato ed a volte mi pare che sia quasi un portato biologico, il rifiutare di comprendere perché degli esseri umani di ventitré anni, l’età più vitale, l’età più fertile in un certo senso, debbano essere Capita a volte di vergognarsi moltissimo, per una gaffe, per un errore, per l’atteggiamento di un’altra persona. Io mi sono vergognata moltissimo la prima volta che ho letto il testo della legge 19 febbraio 2004 n.40 “in materia di procreazione medicalmente assistita”. Il 12 e 13 giugno 2005, Radicali, Ds, Sdi, Rifondazione comunista e Associazione Coscioni sono riusciti ad indire un referendum, appoggiato da esponenti della stessa maggioranza come l’on. Fini, che verteva sull’abrogazione di quattro punti cardine della suddetta legge: - lo stop della ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali Secondo le direttive della 40/04 è vietata la produzione di embrioni per scopi scientifici, è vietato l’utilizzo degli oltre 25.000 embrioni congelati e destinati per decorso naturale a deperire in 5 anni dal congelamento (si tratta di embrioni soprannumerari, ovvero prodotti e conservati prima del 2004 per un eventuale secondo impianto). E’ vietata, inoltre, la clonazione terapeutica, ovvero la possibilità di creare cellule geneticamente identiche a quelle di un individuo con Sconfinare Stile Libero Un uomo libero costretti ad imparare. “Imparare”, capite? Ancora. Quando concluderò la laurea specialistica, avrò studiato per diciotto anni della mia vita, se a Dio piacendo sarò in orario, senza essermi perso troppo e stringendo i denti, come tutti. Diciotto anni (so che in questo momento non ci credete e state contando. Però è così. Pazzesco, eh?). E cosa mi sarà rimasto? Probabilmente la mia sola capacità di leggere e scrivere (sulla terza, il “far di conto”, ho già i miei dubbi). Non credo d’essere particolarmente stupido. Però quello che resta di ogni libro, di ogni esame, è un sorso un fondo un residuo, un po’ di cenere, un “non lo so”. Quali sono le clausole dei trattati x e y? Non lo so. Chi si ricorda anche solo i princípi basilari della statistica? Io no di certo. Eppure quello fu l’esame che preparai meglio, sei mesi passati a sudar duro e punteggi pieni ad ogni parziale. Non ci fu nemmeno bisogno dell’orale, ottenni la piena assoluzione con lode sulla fiducia. Ed è come se non avessi mai aperto quei libri. E allora, perché continuare? Onestamente, voglio dire. A volte ho l’impressione che tutto ciò serva ad autoalimentare una struttura. La laurea è richiesta per trovare lavoro, teoricamente. E non sto parlando della laurea triennale, perché quella è lo scherzo più sadico ed inutile che questo sistema ha giocato alla mia generazione. Ogni laureato è prezioso alla società. E non solo in senso ideale. Per ogni laureato ci sono soldi, molti soldi: i soldi dei professori e dei segretari, certo; ma anche delle imprese delle pulizie; dei portinai; delle librerie e delle copisterie; dei padroni di casa; dei baristi; dei locali; anche delle ferrovie, a ben vedere. Avete mai preso un treno di pendolari? Siamo troppi. Viene da chiedersi se non siamo per caso tutti le consenzienti vittime di un’illusione collettiva, di una grande mistificazione, di una presa in giro. Malthus riderebbe di gusto. Diranno che ciò che si acquisisce P r o a b r o gaz io ne del l a l eg ge 4 0 il solo scopo di curarne eventuali patologie (come diabete, infarto, fibrosi cistica, autismo, sclerosi multipla, morbo di Parkinson, alcune forme di cancro, osteoporosi, lesioni del midollo spinale, ictus, sclerosi laterale amiotrofica, Alzheimer). Le stime parlano di 10 milioni di persone curabili con le staminali. L’ipocrisia sta nel fatto che la ricerca condotta su embrioni importati da paesi esteri è perfettamente legale. - norme sui limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistita Per sottoporsi alle tecniche di fecondazione assistita i medici devono aver scoperto con certezza le cause della sterilità (in caso contrario si rimane sterili e senza aiuto medico) e le coppie devono aver seguito qualsiasi altro possibile metodo di guarigione. Le coppie non sterili ma portatrici di handicap genetici non possono accedere alla PMA. Inoltre possono essere fecondati solo 3 ovociti e tutti e 3 devono essere impiantati. Nel caso di fallimento la donna deve sottoporsi a una nuova stimolazione (per produrre altri ovociti che avrebbero potuto esserle estratti durante il primo ciclo) e ad un nuovo impianto triplice. Le cellule, una volta fecondate, devono essere impiantate anche se portatrici di malattie genetiche. Alla donna viene lasciata la possibilità di abortire (una, due o tre volte nello stesso ciclo di impianto) nel caso non voglia portare a termine la gravidanza di un feto malformato. - le norme su finalità, diritti, soggetti coinvolti Secondo le direttive legislative l’embrione, già all’inizio del suo sviluppo (zigote, ovvero cellula singola), gode degli stessi diritti della persona. Il diritto alla salute della madre, dunque, viene subordinato al diritto all’integrità fisica dell’embrione. Questo provvedimento è tutt’ora in contrasto con il diritto Giugno 2008 all’università, o nell’apprendimento in generale, è un modus vivendi. Ed abbiamo imparato benissimo, ed a velocità sconcertante, tutto ciò che occorre, giusto? Giusto. Abbiamo imparato a non avere ragione; a temere ogni esame o ritorsione minacciata, vera o presunta; abbiamo imparato mezzucci e gelosie; ad essere più svelti degli altri oppure ad imitarli; soprattutto abbiamo imparato ad appiattire la nostra stupenda vivacità intellettuale sulla spenta corda d’una cultura sempre identica a sé, che spicca solo per la sua autoreferenzialità. E per questo era già sufficiente un liceo. Ci fossimo fermati lì, avremmo impiegato solo tredici anni. Invece ne bruceremo diciotto, e forse ancora non avremo appreso nulla della vita, e continueremo a sonnecchiare, eterni adolescenti nella nostra bella cameretta, ed Almalaurea ci proporrà nuovi master. Perché non si finisce mai di imparare. Però insomma, eccoci qui. Ci piaccia oppure no. L’inerzia è una cosa meravigliosa. Al quinto anno, teoricamente l’ultimo, con degli esami che hanno il nome di quelli già sostenuti alla triennale, e spesso con i medesimi professori. Almeno nel mio caso. Così torniamo al punto di partenza. Ed avrei voluto andarci a quel corso di Arabo. Sul serio. E’ un ottimo corso, l’insegnante è davvero fantastica, e mi pare un’opportunità da non perdere. Magari alla prossima lezione sarò presente. Però oggi non l’ho fatto. Rodolfo Toé rodolfo.toè@sconfinare.net all’aborto, con il ricorso alla pillola del giorno dopo e con il codice civile italiano che riconosce la titolarità di diritti e doveri solo al momento della nascita. - il divieto di fecondazione eterologa E’ vietato ricorrere a gameti provenienti da individui esterni alla coppia. La legge, pertanto, impedisce di avere un figlio alle coppie in cui uno dei due o entrambi i membri siano sterili. Gli esclusi potrebbero essere persone nate sterili ma anche persone che lo sono diventate a seguito di interventi chirurgici o trattamenti antitumorali, così come i portatori di gravi malattie trasmissibili. Il referendum è risultato nullo perché il quorum (50% più 1) non è stato raggiunto. I votanti sono stati il 25,9% degli aventi diritto; di questi una percentuale tra il 77 e l’88% ha votato per l’abrogazione di tutti e quattro i punti. Perché la richiesta di un referendum abrogativo possa essere reiterata è necessario il decorso di un periodo pari a cinque anni. Ne mancano ancora due. Valeria Carlot [email protected] Sconfinare Stile Libero 2008 Marzo 11 Sul caso Petrella Lettera aperta al presidente Sarkozy Monsieur le Président, per fortuna non sono un parente delle vittime delle Br, né sono venuto a trovarla all’Eliseo per sentire le sue meschine giustificazioni, ma sono un osservatore e il mio disgusto basta a darmi la volontà di prendere il computer e scriverle questa lettera aperta. Il suo atto di rifiutare l’estradizione della ex brigatista Petrella risulta supponente e senza giustificazioni. Innanzitutto, ancora non mi capacito di come la Francia abbia potuto essere nella storia il rifugio di criminali condannati da Tribunali dello Stato italiano: se ancora oggi si discute dell’estradizione di tali persone, vuol dire che vi è stata una protezione da parte della Francia, ignara per lo più di ciò che è stato il terrorismo rosso. A prescindere da queste valutazioni storiche, mi fermo sui fatti ultimi accaduti. Lei rifiuta l’estradizione appellandosi al trattato italo-francese sull’estradizione di terroristi, più in particolare all’articolo che prevede il potere presidenziale di impedire l’estradizione per cause legate al rispetto dei diritti umani. Questo mi scaturisce una doppia riflessione. In primo luogo, il suo atto vela supponenza e superiorità della Francia nei confronti dello Stato italiano. Crede che qui sia il terzo mondo? Crede forse che i diritti umani non siano rispettati ancora oggi in Italia? Forse lei dovrebbe spolverare le sue idee e ricordarsi che l’Italia ha promosso presso le Nazioni Unite la mozione contro la pena di morte. E in fin dei conti, gli stessi ex brigatisti sono trattati con i guanti, visto che il Sig. Sofri ha addirittura trovato lavoro in Biblioteca, nonostante la crisi occupazionale. La clausola del rispetto dei diritti umani è quindi un pretesto o forse un gesto di pretesa superiorità. Quali sono le vere cause allora? Se la Petrella sta davvero male, ci sono fior fiore di primari che possono aiutarla anche in Italia. E se il problema è psicologico, ci son fior fiore di preti in Italia. Il viaggio poi non è così massacrante. In secondo luogo, lei si crede la giustizia in persona. Pretende col suo atto di dare assoluzione ad una persona che assoluzione non ha mai avuto né da Tribunali né dalle famiglie delle vittime. Lei, straniero, mette in discussione la giustizia italiana del suo operato e questo, in un contesto europeo è gravissimo. Il Rubicone è passato da tempo, l’Unione Europea è nata e si è sviluppata in primis grazie ai nostri due paesi. Potremmo mai arrivare ad un’unione politica effi- ciente, se tra uno Stato e l’altro continuano le discriminazioni politiche? Non aggiungo parole per riportare i sentimenti delle vittime. Immagino che queste lo abbiano fatto all’Eliseo meglio di qualsiasi altro. A questo punto però, se la giustizia dei Tribunali non riesce a fare il proprio corso, bisognerà appellarsi ad un altro tipo di giustizia. Se è vero che la Petrella sta male al punto da non poter essere estradata, allora che soffra atrocemente fino alla fine della sua vita, una volta per ogni vittima che ha fatto. Per ogni volta che si è confusa l’ideologia e la violenza. Per ogni volta che un’amnistia tale copre il senso della giustizia. Vive la République et vive l’Italie! Edoardo Buonerba [email protected] 4 novembre Niente da festeggiare Il 4 novembre, per chi non lo sapesse, è il giorno della vittoria. 90 anni fa, l’impero austro-ungarico si arrendeva al regio Esercito Italiano che, “inferiore per numero e per mezzi” e “con fede incrollabile e tenace valore … condusse la guerra ininterrotta ed asprissima per 41 mesi”. Una data storica, non c’è dubbio. Per qualcuno una data da glorificare, come dimostrano gli ingenti investimenti del ministro La Russa (è stato addirittura creato un fondo apposito di 3 milioni di euro per evitare che il Ministero della Difesa dovesse pagare di tasca propria) per le celebrazioni di domani, in pompa magna. Spot televisivi, adunate, manifestazioni dell’Arma in varie città d’Italia, generali nelle scuole a raccontare la grande (e unica) vittoria militare che il nostro Paese può vantare. Una festa che, secondo il ministro, non va misurata “con il centimetro dell’euro, che è la misura di chi non ha altri argomenti per contestare qualcosa che invece sentiamo come doveroso, importante e necessario”, come “uno dei punti fondanti della memoria storica degli italiani”. Anche se un piccola parentesi sull’ennesima bizzarria economica di questo governo (che taglia mostruosamente da una parte, e spende e spande dall’altra senza alcun minimo criterio) non intendo aprire una polemica riguardante gli sprechi. Riguarda proprio il merito dell’iniziativa, o meglio: cosa vogliamo festeggiare. Se si intende fare del 4 novembre una festa patriottica, una festa che esalti una delle pochissime glorie della nostra nazione (certo, la I guerra mondiale potrebbe essere considerata come il compimento del Risorgimento… ma forse toccare questo tasto probabilmente farebbe storcere il naso ai leghisti di governo) bè, credo siamo fuori strada due volte. In primo luogo, per un falso storico: dipingere il nostro Paese come una grande potenza schierata dalla parte del giusto (le democrazie liberali) contro gli odiosi imperi centrali è una incredibile fesseria. L’Italia del tempo non si divideva solamente tra interventisti e non, ma anche tra filo Triplice Intesa e filo Triplice Alleanza; vendendo la propria modesta partecipazione al miglior offerente e muovendosi al margine del lecito (accordi Prinetti – Barrère) . Se poi vogliamo ricordare come l’Italia che ricaccia gli Austriaci sul Piave è la stessa che pochi anni prima riceve una pesantissima sconfitta dall’esercito etiope di Menelik II; e raggiunge Gorizia non certo conducendo una guerra gloriosa ma segnata negativamente dall’inettitudine, l’ignoranza, la crudeltà dei suoi generali che mandano poveri ragazzi italiani al macello…. bè, c’è davvero poco da celebrare. E c’è ben poco da celebrare anche per quello che la prima guerra mondiale è stata, per noi italiani come per i nostri cugini europei. Una “inutile strage”, un massacro senza fine deciso e voluto dai potenti, ma combattuto (come sempre) dalla povera gente, dalla meglio gioventù di questo paese (650 000 morti costò all’Italia la partecipazione alla guerra) che andava a morire al fronte con la minaccia dei plotoni di esecuzione alle spalle. Non c’è nulla di cui andare orgogliosi il 4 novembre. Non vi è nulla da celebrare. Domani è solamente un triste anniversario, il novantesimo anniversario della prima grande carneficina mondiale. Questo non vuol dire che non bisogna ricordare: è storia, e va’ ricordata. Ma io, i nostri generali nelle scuole, proprio non ce li vedo. E non mi faccio ammaliare dai plotoni intonanti davanti al pennone “Il Piave mormorava” – a cui comunque dovrei essere affezionato, considerando come questi bagni la mia città natale. Piuttosto, vorrei vedere un mondo che rinnova ancora il suo accorato e mai seguito appello: “mai più guerre”. Invece dei generali, annuncianti “la vecchia menzogna… Dulce et decorum est pro pratria mori”, ci vedrei le nostre maestre, recitare insieme ai bambini le poesie di Ungaretti, Brecht, Wilson. Le parole di chi la guerra l’ha fatta e l’ha scritta. Il cui messaggio, dopo tanti anni e troppo sangue, è ancora esule in Patria. Matteo Lucatello [email protected] Sconfinare Musica 12 Oppure, se preferite, pigliare fischi per dischi. Ognuno di noi, nella sua collezione, ha le sue pecore nere. Non ne siamo orgogliosi, non lo diciamo a nessuno, cerchiamo di nasconderlo finché possiamo, però capita che ci sbagliamo. A volte anche i maestri fanno le loro cappelle, il loro passo falso. Magari più d’uno. E non so se sono disposto a perdonarli. Io non appartengo alla generazione del mulo, quando voglio musica la devo comprare al negozio, e se un nome nel quale ripongo la massima e incondizionata fiducia (Jimmy Page, per te è fede ragazzo) mi fa sprecare quindici euro per nulla il minimo che posso fare è sparare sulla croce rossa, dopo avere rosicato per bene, e trascinare gli scheletri di ogni grande fuori dall’armadio dei suoi successi. Perché non sarò un genio. Ma almeno, ad essere mediocre, se sbagli non gliene frega niente a nessuno. E poi diciamocelo: non avrò più occasione di prendere a pesci in faccia alcuni dei miei miti, e in ordine alfabetico per di più. Sperando che nessuno se n’abbia a male. Dei Beatles non posso dire nulla. Però se i Fab Four solisti non fossero stati i Fab Four in qualche loro (a quanto pare dimenticata) vita precedente, sarebbero morti di fame. Dell’intera produzione di John Lennon, l’unica canzone sopporta- Non tutti i dischi vengono col buco bile è “Jealous Guy”. Però si sa, tra un bed-in e un altro di tempo per comporre non ne resta molto. E non parliamo di Yoko Ono. Che sia stata il motivo della morte dei Beatles, passi. Ma doveva anche cantare? Bob Dylan. Bei dischi i primi. Non penso che la canzone americana abbia avuto degli autori capaci di eguagliare alcune di quelle liriche (prendete “Desolation Row”, tanto per dirne una, italianizzata poi da De André). Però dei quarant’anni successivi nessuno si ricorda alcunché, tranne forse di “Knockin’ on Heaven’s Door”, e purtroppo credo sia solo perché l’hanno rifatta qualche tempo dopo i Guns. Il che è l’ennesima prova del fatto che il più grande compositore di sempre è l’eroina. Quando ne esci sei artisticamente finito. Di Clapton non parlo. Mi hanno detto che la gente di solito lo sottovaluta perché ha ascoltato troppe poche delle sue canzoni. Forse ha scritto davvero anche dei bei pezzi, il problema è che mi addormento prima di arrivarci. Novembre 2008 I Pink Floyd pure hanno fatto cilecca in almeno un’occasione (e su molte altre ci sarebbe da ridire), con “A Momentary Lapse Of Reason”. Vabbeh, era il primo disco senza Roger Waters, che aveva comandato tutti a bacchetta durante il precedente decennio. E sarà stato anche un fenomeno, ma se date un’occhiata alla sua produzione solista di quegli anni vi accorgerete che anche la sua inventiva era parecchio in difficoltà. Questo, oppure Yoko Ono è andata davvero un po’ troppo oltre. E poi ci sono tutti quei famosissimi gruppi DMG! (Dovevano Morire Giovani!): i Metallica, i Led Zeppelin, gli U2, gli Who, i Cure, i Genesis, i Red Hot Chili Peppers, gli AC/DC … chi più ne ha più ne metta, perché la verità è solo una: chi non muore si sputtana, ed in pochissimi si sottraggono a questa regola generale. Oh, ecco fatto. C’è una soddisfazione particolare nell’infangare un tuo simbolo. Ti fa capire che tutti sbagliano e che quanto più stai in alto tanto più facile sarà prendere la mira e la caduta farà male. E non è poi così sbagliato saperlo: altrimenti rischi di ritrovarti a duettare con Leona Lewis alla cerimonia di chiusura delle olimpiadi, a volte la demenza senile non ha davvero pietà. Rodolfo Toè rodolfo.toè@sconfinare.net Il pianista iraniano Ramin Bahrami a Gorizia “Mi sento portatore di un messaggio universale di pace” Per presentarvi Ramin Bahrami vi direi che è un pianista iraniano. Ma lui dice che non gli piace il pianoforte e che non è iraniano. Preferisce piuttosto definirsi un musicista cosmopolita. Suo padre era per metà iraniano e per metà tedesco, la madre turco-russa. Ramin Bahrami fa parte di quella generazione di Iraniani raccontata da Marjane Satrapi in Persepolis, quella che nasce sotto la monarchia dello Scià Reza Pahlavi, che vive la rivoluzione islamica di Khomeini, che cresce durante la guerra contro Saddam, e che si trova poi di fronte alla difficile scelta di lasciare il proprio paese per poter vedere realizzati i propri sogni. Ho incontrato Bahrami nei camerini del Teatro Verdi di Gorizia, dove ha suonato il 23 ottobre con l’Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia Giulia diretta da Andres Mustonen. Il programma prevedeva il pezzo Oriente Occidente del compositore contemporaneo estone Arvo Pärt, la Sinfonia n. 2 di L. van Beethoven, e il Concerto n. 20 in re min. KV 466 per pianoforte e orchestra di W.A. Mozart, con al pianoforte R. Bahrami. Bahrami nasce a Teheran nel 1976 e all’età di 11 anni lascia l’Iran per l’Italia accompagnato dalla madre, dopo che il padre Paviz, ingegnere sotto lo Scià, viene arrestato con l’accusa di essere un oppositore del regime. Paviz morirà in carcere nel 1991 e il referto ufficiale dirà per infarto, causa di morte diffusa tra i detenuti politici. Bahrami nel frattempo può studiare al Conservatorio G.Verdi di Milano con Piero Rattalino grazie ad una borsa di studio donatagli dalla Italimpianti. Dopo tre anni la borsa di studio viene però interrotta e seguono anni di difficoltà economiche per lui e la madre. Bahrami riesce comunque a diplomarsi nel 1997 e a proseguire i suoi studi, e comincia ad imporsi all’attenzione delle maggiori istituzioni musicali italiane e tedesche grazie alle sue interpretazioni di Bach, compositore per il quale nutre una profonda venerazione. Nel 1998 ottiene la cittadinanza onoraria in seguito al debutto al Teatro Bellini di Catania, e nel 2004 corona infine il suo sogno di gioventù registrando per la casa editrice musicale Decca le Variazioni Goldberg di Bach. Ora sta lavorando ad un progetto con la Gewandhausorchester di Lipsia, patria di. Bach, per eseguire nella stagione 2008/09 tutta l’opera di Bach per pianoforte e orchestra sotto la guida del Maestro Riccardo Chailly. Quando lo incontro, Bahrami è contento di rispondere alle mie domande. Sono curiosa di sapere come sia nata la sua passione per la musica. Inizia a raccontarmi che già a Teheran amava ascoltare il grande violinista ebreo Jascha Heifetz e che, guidato da un vinile di Beethoven, dirigeva un’orchestra immaginaria dall’alto del tavolino del salotto. Dopo la rivoluzione, la musica divenne per lui un rifugio dal dolore della realtà esterna. Negli anni della guerra contro Saddam, egli avvertiva i bombardamenti prima ancora che ne venisse dato l’allarme e, a volte, invece di correre ai rifugi sotterranei, preferiva rimanere in casa ad ascoltare musica classica o a suonare il piano mentre fuori cadevano le bombe. Ricorda in particolare di quando Teheran era bianca sotto la neve e, mentre suonava, aveva visto dalla finestra una casa colpita da una bomba incendiarsi. La musica riusciva così a lenire il dolore e la paura dei momenti più duri. Sempre a Teheran iniziò l’amore di Bahrami per la musica di Bach. Lo scoprì a casa di una amica iraniana dove sentì un disco interpretato da Glenn Gould, celebre interprete bachiano canadese. Lo stesso padre Paviz, in una delle sue ultime lettere dal carcere, lo aveva incoraggiato allo studio di Bach, perché la sua musica lo avrebbe potuto aiutare molto. E Bahrami rivolge un invito ai giovani ad ascoltare più musica classica, e soprattutto Bach, per l’universalità della sua musica, valida in ogni tempo. Gli chiedo se fece fatica ad adattarsi in Italia. Mi dice che no, che fin da subito ha potuto immergersi nella realtà italiana studiando in scuole italiane e circondato da bambini italiani. Proprio per questa sua esperienza è contrario al progetto del governo di creare nelle scuole apposite classi per stranieri, e crede invece che sia molto importante favorire la “polifonia” culturale, che in linguaggio musicale non significa altro che l’incontro armonico di voci diverse. Ramin Bahrami non ha più rivisto il suo paese da quando lo ha lasciato. Vorrebbe ritornare in un Iran democratico pur avendo nostalgia dei tempi della monarchia e dello Scià, a sua detta spesso ingiustamente frainteso in Occidente. Prima di salutarlo voglio ancora sapere se, per la sua storia e il suo vissuto, si considera un musicista politico. Mi risponde che si sente sì un musicista politico, ma solo in quanto portatore di un messaggio universale di pace. Peccato che giovedì 23, al Teatro Verdi di Gorizia, solo in pochi sono venuti ad ascoltare il suo messaggio. Margherita Gianessi [email protected] 2008 Novembre 13 Sconfinare Cinema De Boca Bona Cum grano salis in cucurbita vostra A Roma Un festival alternativo Si è conclusa il 31 ottobre la quinta edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma, con grande partecipazione di pubblico e ovviamente della stampa. Ho provato ad accedere alla struttura dell’Auditorium del Parco della Musica, il luogo con il maggior numero di sale e di proiezioni, quello con i tappeti rossi e la gente urlante ad acclamare attori e attrici ma anche con i prezzi più alti (alcuni film costavano anche 20 euro secondo il programma) Ma non mi è andata bene: la prima volta dopo una fila di un’ora i posti erano già esauriti, la seconda era una proiezione riservata ai soli giornalisti (ho provato a passare come giornalista di Sconfinare, ma come si può immaginare non mi hanno fatto entrare). Un po’ sconsolata dalle esperienze, stavo quasi abbandonando l’idea di godermi qualche buon film, ma poi ho scoperto la Casa del Cinema: un edificio nel parco di Villa Borghese inaugurato a tale uso nel 2005 e che sotto la direzione di Felice Laudario propone rassegne cinematografiche con ingresso gratuito. Nell’ambito del Festival, alla Casa del Cinema sono stati proiettati i film della categoria La Fabbrica dei Progetti, comprendenti cioè le opere prime di alcuni registi. Tra quelli che ho potuto vedere, da segnalare è “Astropia”, film islandese di Gunnar Bjorn Gudmundsson, in cui una giovane donna dell’alta società si ritrova improvvisamente povera e per guadagnarsi da vivere inizia a lavorare in un negozio di fumetti e giochi di ruolo, mondo del quale è completamente ignara. Col tempo imparerà a conoscerlo e nel frattempo a maturare, imparando a guardare oltre le apparenze e nonostante un ex fidanzato intrigante. Vincitore della categoria è risultato “Bird Can’t Fly”, di produzione sudafricana e irlandese, premiato probabilmente per l’intensità dei personaggi e la bravura della protagonista (Barbara Hershey), anche se a tratti è un po’ pesante. Nel film, una donna di nome Melody, dopo la morte improvvisa della figlia, fa ritorno in Sudafrica peri suoi funerali e lì ritrova il suo passato ma anche un nipote di cui non sapeva l’esistenza. Altra iniziativa interessante, sempre alla Casa del Cinema durante il festival è stata la giornata dedicata alla Mosfilm, una casa di produzione sovietica e che ancora oggi, seppur con minore successo, è attiva. Sono stai proiettati 4 film: “L’Impero Scomparso” (2007, l’unico che non ho visto), “Quando Volano le Cicogne” (1957, vincitore del Festival di Cannes, molto bravi gli interpreti), “Cinque Serate”(1978, storia d’amore dopo 18 anni di lontananza) e “The Inner Circle” o “Il Proiezionista” (1991, del regista Andrej Konchalovskij, quest’ultimo molto bello in quanto racconta la storia di un uomo devotissimo a Stalin e alla causa comunista, ma che proprio in nome di essa perde il suo grande amore, e nonostante ciò non rinnega le sue convinzioni. Non ho partecipato quindi al Festival ufficiale, è vero, ma sono soddisfatta di quello che ho visto: ne valeva assolutamente la pena! Lisa Cuccato [email protected] Con la prima ed imprescindibile intenzione di fare una gran mangiata a tema cucurbitaceo, ci siamo affidati alle FS e al bel tempo (decidete voi quale dei due risulti il più affidabile). Meta: Venzone, fantomatica cittadina medievale tra Udine e Tarvisio, che ogni anno al quarto fine settimana d’ottobre ospita tra le settanta e le ottantamila persone con il nostro medesimo obiettivo. La festa della zucca, alla sua diciottesima edizione, nasce nel 1991 su iniziativa d’un manipolo di volonterosi. All’origine solo una scommessa di poche bancarelle e qualche giullare, si è trasformata velocemente in un’importante rievocazione storica e gastronomica, che spinge addirittura qualche Austriaco a calare dalle montagne. Narra una leggenda che nel medioevo la cittadina, importante crocevia tra Germaniche ed Italiche contrade, volesse ornare la propria fama con un nuovo duomo. Purtroppo però, scarseggiando il denaro, l’orafo cui era stata commissionata la sfera d’oro per la cima del campanile dovette “accettare” un terzo del compenso pattuito. Durante la notte, approfittando delle impalcature non ancora rimosse, sostituì l’artefatto con una zucca dipinta. In città nessuno se ne accorse, finché non fu chiaro che l’oro non marcisce, né tantomeno si spappola in terra. La voce – come sempre The Middleman con Natalie Morales, Matt Keeslar Tratto dall’omonima serie a fumetti di Xavier Grillo-Marxuach, the Middleman è una serie televisiva che segue le inverosimili avventure di Wendy, una giovane artista bloccata in un lavoro precario che vive in subaffitto illegale con la sua migliore amica Lacey, una vegetariana militante. La sua routine viene interrotta dall’attacco di un orrendo mutante, dopo il quale Wendy si trova ad essere reclutata da una agenzia dedita a combattere il Male. In segreto, infatti, il modo brulica di alieni, vampiri, scienziati pazzi e mostri assortiti, e qualcuno deve occuparsene. Insieme al suo misterioso capo, noto solo con il titolo ereditario di Middleman, e ad una robotbibliotecaria sorprendentemente acida; Wendy inizia un lungo addestramento sul campo, affrontando le minacce più paradossali: zombie divoratori di trote, gorilla mafiosi, tube maledette, collegiali fantasma, universi paralleli e luchadores assetati di sangue. Sfortunatamente tali avventure continuano solo per 12 puntate, dato che la serie è stata sospesa, ma si tratta comunque di dodici puntate ricolme di pura e sofisticata intelligenza. Gli attori sono abili, i dialoghi frizzanti e talmente pieni di arguzie che spesso mi sono trovato a dover riguardare la stessa scena più volte, avendo perso una battuta mentre ero impegnato a ridere per quella precedente. Malgrado i personaggi siano potenzialmente stereotipati gli autori riescono a rendere ognuno di loro credibile, oltre che godibile. Scaricate illegalmente questa serie, perchè è troppo buona per essere trasmessa in Italia. accade – si sparse e da allora i Venzonesi sono chiamati cogoçârs ( “quelli della zucca” in furlan). Attraversate dunque le spesse mura e passati indenni la riscossione del dazio ci intrufoliamo in un paese senza insegne né lampioni, tempestivamente coperti da uno stuolo di volontari che nella sola mattinata di sabato cercano ogni anno d’invertire il corso del tempo. Addirittura alcuni visitatori vengono solo per assistere ai preparativi! La festa segue un rituale fisso: la premiazione delle zucche più pesante (364 kg!), più lunga e più strana; l’elezione dell’ “Arciduca della Zucca”; un corteo storico, bancarelle e spettacoli vari nei cortili. Ma veniamo al sodo. Il cibo. L’odore di burro ci guida sapientemente alla scoperta delle varie tabernae che per due giorni propongono piatti e dessert a base di zucca. Per puro e disinteressato dovere di cronaca decidiamo di assaggiarli per voi. Quello del corrispondente è uno sporco lavoro, soprattutto unto, ma qualcuno lo deve pur fare. Motivo per cui ci limitiamo a degli gnocchi di zucca con burro e ricotta salata (anche se quelli di Tommaso sono migliori e ci sentiamo in dovere di consigliarli calorosamente) e ad una zuppa d’orzo e zucca servita nel cavo d’una pagnotta. Pane e dolci solo apparentemente alla zucca (siamo dei puristi e pure pignoli) ci trattengono così da esser sorpresi da musicanti con tanto di tamburi, cornamuse e ghironda (vedi wikipedia ^_^). Allettati dalle promesse di una variante a tema del Frico ci imbuchiamo direttamente nella cucina di un ristorante per sorprendere il cuoco con le mani ancora infarinate e rubargli la ricetta. In un gesto d’esemplare altruismo vogliamo portare un po’ d’originalità sulle vostre tavole di scalcagnati studenti (ACCETTIAMO INVITI!). FRICO ALLA ZUCCA DI MAURO Ingredienti: 1 kg di patate tagliate alla julienne; formaggio a dadini; zucca tagliata alla giulién (non siamo mica francesi); 1 cipolla; olio, rosmarino, salvia, sale e pepe. Soffriggere la cipolla ed aggiungere le patate. Dopo quindici minuti unire la zucca. Salare e pepare, insaporire con un trito di rosmarino e salvia e quando le patate sono disfatte mettere il formaggio. Scottare da ambo i lati perché venga ben dorato. Margherita Vismara e Rodolfo Toè [email protected] Luca Nicolai rodolfo.toè@sconfinare.net [email protected] 14 Novembre 2008 Sconfinare Politica Glocale Progetti e programmi di sviluppo per il Polo Universitario Goriziano Dialogo col Presidente del Consorzio per lo Sviluppo del Polo Universitario Con l’uscita del nuovo numero di Sconfinare ci è parso giusto cercare di fare un po’ di luce sulla situazione universitaria a Gorizia. Per fare questo abbiamo scelto di intraprendere una strada, per certi versi rischiosa, quella cioè di andare a porre delle domande a quelle istituzioni che in prima persona scelgono e sviluppano le politiche locali e regionali per migliorare la situazione universitaria di noi studenti. La prima tappa di questo viaggio ci ha posto a confronto con l’Ing. Fornasir Presidente del Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia. Per chi ancora non lo sapesse tale istituzione, di concerto con le altre realtà regionali, si occupa di sviluppare e predisporre tutte quelle scelte che servono al mantenimento e alla crescita della realtà universitaria nel capoluogo isontino (oltre a Cormons). Si evince dunque, come una Regione a statuto speciale quale è il Friuli Venezia Giulia mantenga delle forti connotazioni di autonomia anche nel campo dell’istruzione, ma anche purtroppo anche in questa realtà la “riforma” universitaria proposta dall’attuale governo sembrerebbe avere delle ripercussioni. Infatti se la voluta razionalizzazione non verrà sviluppata in termini di qualità, ma al contrario verrà effettuata solo in chiave di risparmio (il cosiddetto “taglio orizzontale) sarà possibile che per la realtà universitaria goriziana arrivino tempi duri e si sviluppino problematiche reali. Altresì se si scegliesse la via dello sviluppo delle “specialità” sia a livello locale sia a livello accademico Gorizia troverebbe un ruolo forte non solo in ambito regionale ma anche in ambito internazionale. A questo proposito il Presidente ci ha ricordato come si stanno sviluppando con particolare forza due nuovi progetti: da un lato la prospettiva legata al Conference Center ed all’Istituto Ricerche negoziato, dall’altro il trasferimento del corso di Architettura dell’Università di Trieste qui a Gorizia, possibilmente condiviso con l’Ateneo friulano. Tali ipotesi per avere successo devono, sempre citando il Presidente, riuscire a far sistema con le realtà preesistenti nella zona ed in Regione. Ci si riferisce in particolare al corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche e, per quanto riguarda Architettura, alla volontà di insediamento di un “Polo Tecnologico” in collaborazione con Area Science Park. Per quanto riguarda il progetto “Architettura” la scelta è ricaduta su Gorizia in primo luogo perché qui ci sono già a disposizione parte dei circa 12.000 mq di aule e strutture libere, mentre sono incorso di ultimazione o finanziamento investimenti atti a predisporre circa altri 18.000 mq di spazi utili a contenere aule e laboratori universitari; dove, per contro, le strutture e gli spazi oggi utilizzati a Trieste dalla Facoltà di Architettura sono almeno definibili come insufficienti oltre che molto dispendiosi. Inoltre mancando ad Udine un corso in Architettura, gli studenti friulani potrebbero beneficiare della maggior centralità del centro isontino rispetto la città giuliana, evitando nel contempo un ulteriore “doppione” regionale. Parlando di centralità e marginalità l’attenzione si è posta sul ruolo di Gorizia quale punto di cooperazione e collaborazione tra Italia e Slovenia. In quest’ottica la collaborazione tra il Consorzio di parte italiana ed il parigrado di parte slovena (VIRS), già attiva da molti anni, sta ora dando i suoi frutti attraverso il prossimo sviluppo del progetto EuroKampus www. eurokampus.si dove, dopo una prima bocciatura del progetto di un università internazionale da insediare a Gorizia e Nova Gorizia, poi “trasformato” nella EMUNI andata a Pirano (SLO) a conclusione del semestre di presidenza UE da parte della Slovenia, si stanno proponendo nuove collaborazioni quali lo sviluppo di un polo tecnologico in ambito transfrontaliero e anche di una casa dello studente internazionale. Forti sono però ancora le lacune che a più livelli pesano su noi studenti; la principale riguarda indubbiamente la mancanza di un servizio mensa nelle sedi di Via Alviano e di Via Diaz. Stando alle parole del Presidente più volte il Consorzio si è fatto carico di tale problema proponendo una soluzione che unificasse le necessità dei poli di Trieste ed Udine. Essendo in questo senso interlocutori i due ERDiSU, nelle prossime settimane si instaurerà un nuovo tavolo S C O N F I N A R E @ M O S TO V N A . C L I C K di confronto tra il Consorzio e tali enti con la speranza di trovare un soluzione in tempi brevi. Purtroppo anche ad altri livelli si stanno creando piccoli nuovi problemi, in quanto il territorio e le sue istituzione locali non sembrano appoggiare delle concrete misure di integrazione e sviluppo tra società locale e studenti; basti pensare agli ormai famosi “comitati anti schiamazzi”, causa anche della chiusura del noto Fly e alla completa mancanza delle istituzioni e del mondo imprenditoriale locale all’interno dell’Università, soprattutto in Via Alviano. Ci è parso dunque di capire che, al di là delle solite polemiche, si stanno sviluppando dei progetti concreti ma che essi per diversi motivi non riescano a venir completati in quell’ottica di collaborazione in primo luogo tra città ed università, poi tra i due atenei ed ancora tra Italia e Slovenia. Una situazione non proprio favorevole in questo momento di difficoltà per il mondo universitario e non solo. Oggi più che mai, sembra necessario riuscire a superare queste barriere poste su più livelli; per creare politiche di comune intento atte a sviluppare la presenza universitaria a Gorizia. Per questo motivo nel prossimo numero cercheremo di porre queste domande all’attuale Assessore Regionale all’Istruzione. Marco Brandolin [email protected] ...Sconfinare... periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06. Editore e Propietario Assid “Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”. Redazione Andrea Bonetti, Dimitri BrandolinMarco Brandolin, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Valeria Carlot, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Attilio Di Battista, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Margherita Gianessi, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Tom Loèniskar, Matteo Lucatello, Andrea Lucchetta, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna, Giulia Pizzini, Tommaro Ripani, Federica Salvo, Francesco Scatigna, Bojan Starec, Eva Stepancic, Matteo Sulfaro, Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Margherita Visimara, Samuele Zeriali. www.sconfinare.net [email protected] II Sconfinare November 2008 Drzavine uspe ustaviti mafija 23.maj 1992 - 19.julij 1992 V sedeminpetdestih dnevih je mafiji uspelo ubiti bodisi v Rimu komaj imenovanega zastopnika proti mafiji: Giovannija Falcona,bodisi zastopnika javnega tožilstva mesta Palerma: Paola Borsellina.Minilo je šestnajst let,po katerih kdo bi se lahko vprašal kako napreduje vojna proti mafiji,pri kateri Falcone in Borsellino sta se izkazala za glavna junaka,a ne začetnika te iste in žal ne edini dve žrtvi. Naš parlament,kot je pač znano,ni znan za prizadevnost,a vsekakor uspe izdajati precej zakonov in odlokov,katerih posledice so večkrat silovite.9.oktobra 2008 je potekalo v italijanskem senatu glasovanje odloka,ki je predvideval zvišanje plač za sodnike,ki so delovali pri neugodnih sedežih.Kot se pogosto dogaja,odlok se je izkazal za nasičenega z besedicami in členi brez vsakršne zveze.Norma ki nas zanima pravi sledeče:”Člen 36 zakonodajnega odloka 5.aprila 2006 št.160,spremenjen od člena 2 zakona izdanega 30.julija 2007 št.111 je razveljavljen.”Razumljivo ne?Ne dosti.Pomeni,da če odlok pride do Poslanske zbornice(kar ni samo posebej vmevno)norma Prodijeve administracije ,ki je prepovedovala preizkovanim a potem oproščenim sodnikom(katerim je bilo dovoljeno nadaljevanje kariere),ki presegajo 75.leto starosti doseči vodilna mesta, je razveljavljena. Skratka:Ta kategorija sodnikov lahko doseže vodilna mesta.Redki so sodniki v takem stanju,med temi pa je najbolj pritegnil pozornost redkih zainteresiranih medijev sodnik Corrado Carnevale. Osredotočiti se moramo na pomembnost tega imena,da si bomo lahko kasneje odgovorili na na vprašanje:”Kako napreduje vojna proti mafiji,šestnajst let po uboju Falcona in Borsellina?”Carnevale ima ključno vlogo pri odgovoru tega vprašanja. Kdo je Carnevale? Zakaj ga hočejo imenovati za predsednika Vrohovnega Sodišča celo z normo ad hoc? Sedaj predsednik Vrhovnega Sodišča je Carbone,ki se bo upokojil čez dve leti. Carnevale,hvala možnosti nadaljevanja kariere,se bo upokojil komaj leta 2013,pri 83 letih.Se pravi da bo imel 3 leta časa,ki bo lahko izkoristil za doseči predsedstvo.Nedvomno mu bo uspelo,kajti je po starosti prvi na lestvici .Svoj vzdevek je bil,za časa Falcona in Borsellina,”l’ammazzasentenze”s e pravi “morilec sodb”.Kaj je pravzaprav delal? Kot predsednik prve sekcije Vrhovnega Sodiščani delal nič drugega kot biti pikolovski:s časom je zbral celo vrsto pravd proti mafiji,celo proti tako zvani”Banda della Magliana”,zaradi napak pri dokumentaciji npr.ko ni bilo žiga na nekem dokumentu,ko datum je bil napačen itd. Vrh vsega je nasprotoval Protimafijskemu Poolu.Imel je sodnike,ki so delovali znotraj tega za”šerife”ali”orožje proti politikom iz komunistične levice”,vrh vsega je sovražil Falcona in Borsellina.Trdil je namreč,da sta bila nesposobna,Falcona je celo definiral kot”faccia da caciocavallo”se pravi”sirni obraz”.Dosegel je višek ko je zvedel za njihovo smrt,ko je dejal:”Jaz spoštuje mrtve,a ne vse.”To izjavo bo kasneje potrdil tudi pred sodiščem. Da,kajti Carnevale se je iz sodnika preobrazil v obtoženca. Obtožba,ki se je začela marca 1993,se je zaključila junija2001 z obsodbo Prizivnega sodišča iz Palerma,ki je obsodilo Carnevala na 6 let zapora zaradi zunanjega sodelovanja z mafijo.Onemogočili so mu tudi vsakršen dostop do javne službe.Leto kasneje ga je Vrhovno Sodišče oprostilo ampak med polemikami, zaradi izključenja nekaterih prič. Sodišče jih ni sprejelo ,kajti vsebina njihovega pričevanja so bile izjave,ki jih je Carnevale izrekel v Zbornici.Izjave ki jih kdo izreče v Zbornici morajo ostati tajne, a ko se gre za kazniva dejanja ne bi smelo biti tajnosti.Vrhovno Sodišče pa ne razmišlja ravno tako,kajti ko so zmanjkali dokazi(Vrhovno sodišče je črtalo tudi druga pričevanja)so spustili Carnevala. Sedaj je treba razločevati med zakonitostjo in priložnostjo:legalno Carnevale je nedolžen,pravilno je mu dovoliti naj nadaljuje svoje delo.A se vam zdi primerno ga imenovati za predsednika Vrhonega Sodišča? Francesco Scatigna Prevedel: Dimitri Brandolin Demokraticna reustanovitev Evrope Morda bi veljalo razmišljati,kakšno Evropo bi radi zgradili s tako pogodbo.V primeru,da bi Lisbonska pogodba bila le kopija tiste,ki so predstavili kot velik projekt evropske ustave,ki prav zaradi nejasnosti se je zdelo koristnejše odobriti neuradno...beh,ti so enako hudi problemi pomanjkanja deomkracije.Lisbonska pogodba bo vplivala predvsem na evropske organe,se pravi na Evropski Parlament in na Komisijo,katera izdajata večji del zakonodaje,ki državni Parlament enostavno sprejme.Italijanski državljani so soglasno glasovali za Lisbonsko pogodbo ne,da bi jo prebrali in ne da bi vedeli o čem se v njej govori.Nobenemu je prišlo na misel,da bi se izognili negativnih odgovorov , da bi informiral, razumel,popravil,sestavil prepričljiv ali vsaj berljiv tekst.Nobenemu je prišla na misel odobritev pogodbe preko referenduma,ki bi bil skupen za vse evropske države in bi potekal s istimi procedurami, istega dne po vsej celini....Enostavno je prišlo do izbire najlažje poti,ki se konkretizira v deficitu demokracije.Črtajmo torej soglasnost,po kateri vsaka reforma mora biti sprejeta od vseh 27 držav članic.Zaupajmo principu “dvohitrostne Evrope”in odobrimo enkrat za vselej to nerazumljivo zmešnjavo,ki kot je dejal komisar EU McGreevy:”Težko oseba pri zdravi pameti bi prebrala od začetka do konca.” Irci naj si sami pomagajo.Volili bodo še enkrat ali dvakrat,dokler ne bodo glasovali za DA.K sreči živimo v Evropi,ki je zgled demokracije za ves svet. Sicer ne verjamem,da so Irci,Francozi ali Holandci proti Evropi.A vsi nujno potrebujemo močno Evropo,ki je na strani prebivalcev in ne na strani bank ali birokracij,ki si postavi socialnost kot glavno zapoved,ki zagovarja in podpira Welfare in ne liberalizira službe,ki odločno in brez dvomov nastopa proti vojni,ki si prizadeva za dialog kot rešitev vseh sporov,ki se ne podredi NATU,ki prepove Češki in Poljski republiki namestitev Ameriških radarjev ali raket,brez vsakršne razprave z ostalimi evropskimi partnerji.Potrebujemo Evropo,ki se bori proti smrtni kazni,ne da jo znova uvede preko protokolov in členov neke pogodbe (2.člen drugega odstavka CEDU),morala bi govoriti o integraciji in sprejemu,ne izdajati tako zvano “Sramotno direktivo”,ki predvideva za neredne tujce 18 mesecev zapora po katerih sledi izgon. Braniti mora delovne pravice,ki so si jih naši predniki izborili v prejšnjem stoletju ne črtati skupne delovne pogodbe. Skratka,potrebujemo Evropo ki ponovno znajde samo sebe ter lastno istovetnost,ki je kaj več kot skupna valuta,ki se ponovno aktivira,da ne uporabi demokracijo samo kot besedo tja v en dan,da si da nova pravila za večjo odprtost in demokratičnost s tem da obnovi volilne in sklepne mehanizme lastnih ustanov,predvsem parlamenta.Preden odobrimo ustavo pa, je nujno potrebno obnoviti idejo Evrope,ki hočemo sestaviti in postaviti nove temelje za demokracijo v Uniji. Matteo Lucatello Prevedel: Dimitri Brandolin November 2008 Direttrice: Annalisa Turel BREZPLNCA ŠTEVILKA Projekti in programi razvoja goriškega univerzitetnega pola Pogovor s Predsednikom ustanove Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia V novi številki časopisa Sconfinare smo mislili, da bi bilo prav razčistiti kaj se dogaja z univerzo v Gorici. Tako smo si izbrali pot, ki je precej neugodna, oziroma smo se odločili, da bomo vprašali tiste ustanove, ki v prvi osebi izbirajo in razvijajo lokalne in deželne politike s tem, da pobojšajo univerzitetni položaj nas študentov. Prva etapa našega potovanja nas je pripeljala do Ing. Fornasira, Predsednika Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia (Zadruga za razvoj univerzitetnega pola v Gorici). To je ustanova, ki skupaj z drugimi deželnimi realnostimi, se ukvarja z razvojem in izbiro vseh tistih sredstev, ki rabijo v vzdrževanju in rasti univerzitetne realnosti v soškem mestu. Se torej razume, kako Dežela s posebnim statutom kot je Furlanija Julijska Krajina, ohrani široko samoupravo tudi v sklepu poučevanja, čeprav, nažalost, tudi v tem področju bo t.i. «univerzitetna reforma», ki jo podpira sedanja vlada, imela negativne posledice. Kajti, če ne bo racionalizacija pripeljala do kvalitativnih sprememb, temveč bo nasprotno uresničena v sklepu varčevanja, bo morda to pomenilo prihod trdih časov za goriško univerzo, ki bo pripeljalo do razvoja realnih problematik. Če pa bo padla izbira na pot razvoja «specijalizacij» tako na lokalnem kot na akademskem nivoju, bo Gorica prav gotovo lahko pridobila vplivno vlogo ne samo v deželnem okrožju, marveč tudi na mednarodnem nivoju. Prav zaradi tega nas je Predsednik spomnil kako se razvijajo s posebno silo dva nova projekta: na eni strani razvoj conference centra, na drugi pa premestitev univerzitetnega tečaja arhitekture iz tržaške univerze tu v Gorico. Tako, da lahko postaneta ta dva nova projekta uspešna, morata oba soupadati z poprejšnjimi resničnostimi v območju in v Deželi. S tem mislimo na univerzitetni tečaj mednarodnih in diplomatičnih ved in kar se tiče arhitekture pa na voljo razvoja «tehnološkega» pola in na sodelovanja z Area Science Park. Kar se tiče projekta «Arhitektura», izbira je padla na Gorico, v prvem mestu, ker tu so že na razpolagi okoli 12000 mq razredov in prostih stavb, ter so v dokončanju ali pa čakajo finansiranje še drugih 18000 mq prostorov, ki bodo lahko vsebovali razrede in univerzitetne delavnice; po drugi strani, stavbe in prostori, ki jih sedaj uporablja v Trstu fakulteta arhitekture, so precej neprimerni. Vrh tega, ker Videm ne nudi tečaja arhitekture, furlanskim študentom bo lažje slediti tečajem, zaradi boljšega položaja soškega mesta z razliko Trsta. Gorica bo tako lahko imela vlogo središča, saj bo lahko točka sodelovanja med Italijo in Slovenijo. V tem vidiku, sodelovanje med italijansko zadrugo in njenim slovenskim sovrstnikom (VIRS), ki je aktiven že leta, je že dala prve rezultate. To v sklepu razvoja naslednjega projekta EuroKampus www.eurokampus. si, kjer, po prvi odklonitvi projekta zgradbe mednarodne univerzitete, ki je sedaj namenjena Piranu, se predlagajo nova sodelovanja, kot npr. razvoj medmejnega tehnološkega pola in mednarodnih stanovanj za študente. Precej hude so pomankljivosti, ki na več nivojih težijo na nas študente, najvažnješa med katerimi je prav gotovo pomankanje jedilnic v univerzitetnih sedežih ulice Alviano in ulice Diaz. Predsednik zadruge je opomnil, da njegova organizacija je večkrat hotela rešiti problem, s tem da je predlagala rešitev, ki bi lahko združila potrebe tržaškega in videmskega pola. Na tem področju sta odgovorna ERDISU-ja obeh mest, in tako v naslednjih tednih se bo skušalo rešiti problem v kratkem času z organizacijo dogovorov. Nažalost tudi na drugih nivojih so nastali novi manjši problemi. To se dogaja, ker območje in lokalne ustanove ne podpirajo integracijo in razvoj med lokalno družbo in študenti; pomislimo na sedaj že slavne odbore proti ropotanju ponoči, ki so bili vrok zatvore slavnega kluba Fly. Razumeli smo, da končno se razvijajo konkretni projekti, ki nažalost ni mogoče zaključiti, zaradi nesodelovanja med mestom in univerzo, tako kot med univerzama in na širšem nivoju med Italijo in Slovenijo. Dandanes zgleda, da je res potrebno prekositi te ovire, ki so nastale na več nivojih. Prav zaradi tega v naslednji številki bom postavil ta vprašanja sedanjemu deželnemu prisedniku za poučevanje. www.sconfinare.net Demokraticna reustanovitev Evrope Rezultati zadnjih treh ljudskih referendumov so se izkazali za pravi poraz za Evropsko Unijo.Začenši od ”Pogodbe za ustanovitev Evropske ustave”,ki sta jo zavrnili bodisi Francija kot Holandska leta 2005,do Lisbonske pogodbe,ki so države članice podpisale decembra meseca in ki so Irci odklonili.Zgleda,da evropska kriza se ne bo zaključila kmalu.Po tretjem negativnem rezultatu pa postaja jasno,da je prišlo do zaskrbljujočega nesoglasja med evropskimi ustanovami in ljudstvom. Prepričan sem,da ni kaj praznovati pred takšno krizo. Že zdavnaj države članice EU in seveda ves svet,potrebujejo močno,samostojno in verodostojno Evropo.Mednarodna kriza ,skupaj z vojnami osemletne Bushove administracije,so zasačile Evropo popolnoma nepripravljeno podpreti,ugovarjati ali skratka vplivati na svetovni ravni. To ji je onemogočilo doseči vodilno vlogo pri razvoju mirovnih in socialnih politik ter politik za varstvo okolja. Vendarle vzrok evropske krize niso seveda Irci,katerih odklon naši mediji niso poglobili,niti Francozi ali Holandci,o katerem odklonu bi seveda veljalo razmišljati. Seveda dejstvo,da prebivalstvo Irske,ki predstavlja 1%glasov,zablokira pogodbo s pravico veta,potem ko so jo vsi ostali člani odobrili ali bili na tem,nam postavi v ospredje problem pomanjkanja demokracije znotraj Unije. Da so ljudje pri referendumu odklonili pogodbo na različnih krajih in ob različnem času predstavlja resen problem,upoštevajoči tudi dejstva,da tisti,ki so glasovali proti pogodbi so bili večinoma: mladi,ženske in delavci. na strani II Marco Brandolin Prevedel: Samuele Zeriali