Direttrice: Annalisa Turel
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Numero 15 - Novembre 2008
www.sconfinare.net
COPIA GRATUITA
Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione
L’editoriale
“Noi siamo qui, oggi, per affermare il
fatto che l’università è il luogo dove si
impara il pensiero critico, dove si cerca
di capire quello che ci circonda”. Con
queste parole il Magnifico Rettore Peroni ha motivato l’assemblea di Ateneo del
30 ottobre, in Piazzale Europa, convocata per discutere della legge 133 e dei
tagli all’università. Il mese che ci siamo
lasciati alle spalle, in effetti, è stato carico di eventi importanti, dalla crisi economica alla riforma scolastica, fino alle
storiche elezioni americane, che hanno
decretato la vittoria di Barack Obama.
Un mese impegnativo per chiunque. In
questa situazione, Sconfinare ritorna
dopo la pausa estiva, per dare ancora
una volta voce a tutti gli studenti del
Sid. In questo contesto, possiamo fare
nostre le parole del Magnifico Rettore:
Sconfinare non è, non deve essere, un
“giornalino”; esso è piuttosto un tentativo che noi studenti facciamo per capire
e interpretare il mondo in cui viviamo.
Può essere un punto di vista imperfetto,
può essere soggettivo; ma è pur sempre
un mezzo per dare voce ai nostri pensieri, per dare vita a confronti costruttivi,
per esercitare quel “pensiero critico”,
messo ultimamente in serio pericolo,
che l’università deve dare come prima
cosa. E’ quindi importante, ancora più
di prima, che tutti partecipino; tutti coloro i quali hanno qualcosa da dire la
devono dire, senza timore. La forza di
Sconfinare sono i suoi lettori, perché è
da essi che prende linfa e idee ogni numero. E’ un giornale fatto DA studenti
PER gli studenti. Certamente poi cerca
di diffondersi nel territorio di Gorizia e
Nova Gorica, e anche oltre, e in questo
aspetto sta avendo un sempre maggiore
successo; ma la base su cui poggia è il
corpo studentesco. Senza la partecipazione massiccia del Sid nel suo insieme,
perde il suo significato. E’ un compito
impegnativo, ma ricco di soddisfazioni;
ed è sempre più necessario oggi, se non
altro come atto di “Resistenza”. Non
potremo fare molto contro chi ci vuole
togliere la possibilità di studiare, capire
e ragionare liberamente, ma è comunque un segno, la cui forza dipende dalla
partecipazione di tutti. Per dimostrare
al mondo fuori dall’Università che siamo altro rispetto a facinorosi svogliati,
come i media hanno descritto gli studenti universitari manifestanti in questi
ultimi giorni. Buona lettura!
Giovanni Collot
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Obama presidente
La vera novità non è il colore della sua pelle
Barack Hussein Obama II (Honolulu, 04/08/1961) è, dunque, il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d’America. O, meglio, lo sarà dal 20
gennaio 2009, quando ci sarà la cerimonia di insediamento e riceverà i pieni poteri. Della sua storia, a tratti addirittura
messianizzata e che non pochi imbarazzi
ha creato allo stesso candidato durante
la campagna elettorale (‘A differenza di
quanto si dice in giro’, esclamò tra l’altro, ‘non sono nato in una mangiatoia.’),
hanno parlato e parleranno in tanti. Così
pure della lunghissima campagna elettorale, dello sconfitto McCain, di Biden e
della Palin. E se ne parlerà così a lungo
che si rischierà di perdere di vista –e forse
già si è perso- il dato politico. Che non è
il colore della pelle di Obama, o non solo
e non principalmente: un afroamericano
(tale, in effetti, solo a metà) alla Casa
Bianca è certo un fatto di per sé positivo,
un segnale di apertura al mondo, magari
anche di un certo coraggio. Un fatto non
previsto né prevedibile anche solo pochi
anni fa, e sarebbe stato un fulmine a ciel
sereno anche se fosse arrivato dall’elefantino repubblicano, piuttosto che
dall’asinello democratico. Un presidente
nero, va aggiunto, non è necessariamente
un ottimo presidente. Dato che dalla sua
posizione condizionerà pesantemente le
S C O N F I N A R E @ M O S TO V N A . F U N !
Mercoledì 5 novembre si è tenuta, come molti di voi
sapranno, la grande festa di Sconfinare al Mostovna, a Solkan. Ovviamente, oltreconfine. Giusto per
tenere fede al nome. Quello che non ci sembrava
per niente ovvio, durante le svariate riunioni della
Redazione, era l’affluenza. Infatti, le nostre aspettative si situavano intorno a 100-150 persone. Potete
quindi immaginare la sorpresa di chi, della Redazione, stava alla cassa per consegnare i biglietti per
la consumazione e, soprattutto, il famigerato timbro (che fa già
tendenza), quando si è trovato senza più ricevute disponibili. In
effetti, a fine serata si contavano quasi 400 persone, provenienti
da molte parti diverse: la maggior parte, naturalmente, dal Sid, ma
anche dall’università di Udine, e persino sloveni (con evidenti problemi di traduzione alla cassa). Alcuni sono arrivati a piedi, altri
in bicicletta, altri ancora con il servizio navetta del nostro inviato
panamense; in ogni caso, mercoledì notte a Solkan si è visto un
movimento che è raro, molto raro, vedere in questa zona.
Ciò che ci ha spinto ad organizzare, per la prima volta, una festa, è
stato un desiderio di “farci conoscere”, di avvicinarci di più alla co-
nostre vite negli anni a venire, possiamo
sperare in bene, ma certo non possiamo
esserne sicuri. Potrebbe rivelarsi un completo incompetente, a dispetto di tutto ciò
che abbiamo visto in quresti anni. Quindi, forse sorprendentemente, suggerisco
che, a ben vedere, il dato più importante
–il dato politico intendo, non certo sociologico o storico o culturale, in quei campi
il colore della pelle conta, eccome-, è la
novità di questa elezione, e della campagna elettorale che l’ha preceduta. Ma
andiamo con ordine.
Innanzitutto, la relativa originalità dei
due sfidanti principali, Obama e McCain.
Uno molto giovane, l’altro molto vecchio, entrambi piuttosto slegati dall’establishment dei loro partiti: Obama per
l’età e perché, nonostante amicizie importanti (a cominciare dal ex candidato
del 2004, Kerry), ha osato sfidare e battere l’imponente organizzazione Clinton,
evitando abilmente di perdere l’appoggio
del partito, seducendolo giorno dopo
giorno. McCain per il suo carattere spigoloso, per la sua consolidata abitudine a
criticare il suo stesso partito e per le sue
tendenze quasi liberal, al confronto con
gli altri politici della sua area.
In secondo luogo, il programma del presidente in pectore, per il quale è stato addirittura additato come ‘socialista’, uno
degli insulti più gravi nel Nordamerica.
continua a pagina 2
munità degli studenti del Sid e al territorio;
in più, ci sembrava un’occasione giusta
per raccogliere fondi che sarebbero serviti
alle attività future del giornale. Viste come
sono andate le cose, non possiamo che essere pieni
di gioia ed orgoglio. Infatti, grazie alla massiccia
partecipazione siamo riusciti a racimolare, a fine
serata, 1100 euro; questo ci permetterà di uscire
con una maggiore regolarità. Ma soprattutto, ciò
che è successo mercoledì ci ha dimostrato chiaramente che Sconfinare è una realtà importante nella
nostra università, con una capacità di mobilitazione notevole. Questo significa che Sconfinare non vuole dire qualcosa
solo per noi, ma anche per voi che lo leggete. Questo è molto importante per noi che ci lavoriamo; vogliamo perciò ringraziare tutti coloro che hanno reso mercoledì una serata così bella partecipando alla
festa, le due menti della festa, Leonetta ed Edoardo, e tutti coloro
che si sono prodigati nell’organizzazione, ma anche i dj che l’hanno
animata e i responsabili del Mostovna.
Forse il ringraziamento più bello è proprio la copia del giornale che
state leggendo, stampata grazie ai proventi della festa. Alla prossima!
La Redazione
2
Sconfinare
Mondo
Novembre 2008
Russia contro Georgia: la guerra del petrolio
Tbilisi inciampa sugli gli oleo-gasdotti stesi dall’Occidente
Scavando dietro la versione semplificata
che ci hanno servito i media occidentali
durante la crisi georgiana di quest’estate, si scoprono molte ottime ragioni per
solidarizzare con la Russia. Dal progetto di scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca, alle rivoluzioni colorate
georgiana e ucraina; dal programma di
adesione delle due repubbliche alla Nato allo spettacolare riarmo della Georgia (che
in aprile aveva incrementato
del 28% il suo bilancio militare): queste dimostrazioni
di forza (?) orchestrate dagli Usa si sono trasformate
in altrettanti buoni pretesti per l’offensiva russa di
quest’estate. È innegabile
comunque che, togliendosi
questi sassolini dalle scarpe,
la Russia abbia in realtà agito in difesa di interessi ben
più forti.
Energetici, per esempio. Osservando tutta la vicenda dal
punto di vista dei rifornimenti di idrocarburi risulta
chiaro quale spina nel fianco
sia la Georgia per la Russia.
Partiamo da lontano. Con
accordi più o meno stringenti la Russia si è assicurata buona parte di petrolio e gas estratti in Kazakistan e Turkmenistan. Ciononostante, i due Paesi
commerciano anche con altri partner,
bypassando la Russia attraverso il Mar
Caspio. Trasportate via mare, le materie
prime sbarcano presso Baku, in Azerbaijan. Da qui, integrate con le ricche
riserve azere, attraversano chilometri di
deserto verso ovest. Un vecchio oleodotto (Baku-Novorossijsk, vedi cartina)
raggiunge il Mar Nero via Russia. Altre tre condutture passano invece per la
Georgia, e su queste ha investito l’Occidente con lo scopo di tagliar fuori il
gigante di Putin e Medvedev. Questo è
il teatro in cui scoppia la guerra dei cinque giorni, una guerra fatta anche per il
petrolio.
Il primo atto delle ostilità si consuma…
in Turchia. Qui arrivano, dall’Azerbaijan, via Georgia, un tubo di petrolio
(Baku-Tbilisi-Ceyhan) e uno di gas
(Baku-Tbilisi-Erzurum). I guerriglieri
curdi del Pkk hanno la loro roccaforte
nella regione turca tagliata dalle condutture: il 5 agosto il Pkk mette fuori uso
BTC con un attentato. Le compagnie
petrolifere che controllano la linea (Socar e British Petroleum)dirottano immediatamente le forniture nel terzo tubo
georgiano, l’oleodotto Baku-Supsa. Il
petrolio riesce così a evitare la Turchia e
raggiungere le costa del Mar Nero dove
si imbarcherà per l’Europa. Intanto,
però, la Georgia invade l’Ossezia del
Sud. La Russia organizza una risposta
rapidissima e l’8 agosto contrattacca:
i primi obiettivi colpiti dall’aviazione
sono il – già fuori uso – Baku-TbilisiCeyhan, senza gravi danni, e il porto
georgiano da cui parte il petrolio arriva-
russo di Stati Uniti e Europa dell’Est si
sono legati anche paesi, come Francia,
Germania e Italia, generalmente più
morbidi con l’Orso eurasiatico. Pochi
mesi dopo lo strappo tra Bush e MerkelSarkozy al vertice Nato di Bucarest, la
guerra pare abbia ricompattato il fronte
occidentale; ciò a dimostrazione della
to col Baku-Supsa.
I rifornimenti all’Occidente lungo la
via georgiana sono così strozzati. In attesa che in qualche mese i danni siano
riparati, l’unico sbocco per i petrolieri
azeri è raggiungere il Mar Nero con il
vecchio tubo sovietico, il Baku- Novorossijsk. La Russia torna così quasi
- monopolista.
L’approccio petrolifero alla crisi di agosto permette anche di comprendere la
geometria di alleanze creatasi in Occidente: all’asse tradizionalmente anti-
consistenza degli interessi messi in discussione.
Anche grazie alla comunanza di vedute,
l’Occidente ha potuto quindi celebrare
in televisione la sua vittoria di carta. In
realtà quella sul piano energetico resta
la battaglia più soddisfacente vinta dai
russi.
Oggi lo scenario è più tranquillo. Mosca si è ritirata dalla Georgia. In Ossezia del Sud, invece, rafforza la presenza
dell’esercito e insedia un premier più
filorusso del precedente. Manda amba-
sciatori nelle Repubbliche separatiste,
che ormai considera Stati sovrani suoi
vassalli.
Gli Stati Uniti cercano di dimenticare lo
schiaffo ricevuto. Gli europei hanno imparato che con la Russia, per scaldarsi
d’inverno, bisogna fare i conti. Hanno
capito che rotte dell’oro nero indipendenti da Mosca sono impraticabili, perché non difendibili. Nabucco, il gasdotto
dell’indipendenza energetica
dell’Unione europea, resta
un sogno irrealizzato.
Metafora dell’illusione occidentale che Putin si sarebbe
lasciato soffocare è la State
Strategic Pipeline Division,
una forza militare georgiana
addestrata dagli Usa per difendere il tragitto dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan,
quello bombardato dai russi
nel primo giorno di guerra.
Quattrocento uomini non
sono bastati all’America per
proteggere la sua roccaforte caucasica. La Georgia è
oggi ridimensionata. Il suo
territorio nazionale è ormai
violato: l’Ossezia è un cuneo russo a pochi chilometri da Tbilisi e
dagli oleodotti; l’Abkazia le toglie una
grossa fetta di costa sul Mar Nero, restringendo ancor più il corridoio energetico strategico per l’Europa. La Repubblica del vacillante Saakashvili si
è, così, ingarbugliata nella rete di tubi
che doveva alimentare le sue velleità di
potenza.
Francesco Marchesano
[email protected]
Il cambiamento Obama - segue dalla prima pagina
Rimane pur sempre un programma moderato, se visto con
ottica europea; ma negli Stati Uniti il suo è un programma
interno indubbiamente avanzato, progressista, che propone
un timido abbozzo di riforma dello stato sociale, che si dice
fuori dalla logica delle lobby, che avanza proposte sorprendenti sulla politica energetica e sulle alternative al petrolio.
In terzo luogo, il modo in cui Obama ha vinto. Non solo nei
luoghi in cui tradizionalmente un democratico vince, come
il Maine, l’Oregon, Washington, New York e gli Stati delle coste in generale, o come in Illinois. Non solo in alcuni
degli Stati che solitamente avevano votato un repubblicano,
come la Virginia o l’Ohio. Ad un’analisi più precisa emerge un particolare piuttosto interessante: Obama non è stato
votato solo dagli elettori democratici; ha sottratto tantissimi
voti non tanto (o non soltanto) ai repubblicani, ma in gran
parte ai partiti che vanno sotto la voce ‘altri’. Ha ricevuto
voti, insomma, da coloro che solitamente non si riconoscono
nella bipolarismo americano. Ma, e questo è significativo,
ha ricevuto la fiducia della maggioranza dei giovani, nuovi
elettori.
Basti un esempio, che poi è il più eclatante: il Texas dei
Bush ha, com’era prevedibile, votato in maggioranza l’elefantino, ma McCain è passato dal 61%(4.495.797 voti) di
Bush 2004 ad un ‘normale’ 55%(4.450.403), mentre Obama
ha incrementato il 38%(2.816.501) di Kerry, arrivando al
44%(3.514.788). Un guadagno di ben 698 mila voti e spiccioli, su un totale di circa otto milioni di votanti. Moltissimo, e sorprendente.
Sarà capace di meritarli, il primo presidente afroamericano
del paese che per decenni ha discriminato quelli come lui?
O questo sogno non si rivelerà piuttosto un incubo, e si scoprirà che in realtà Barack Obama è davvero troppo inesperto
per governare gli Stati Uniti d’America?
Il bello della vita è che per avere certe risposte bisogna prima vivere.
Francesco Scatigna
[email protected]
2008 Novembre
Sconfinare
Mondo
3
Una rifondazione democratica dell‘Europa
Tre referendum popolari, tre bocciature:
Dal “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa”, bocciato nel 2005 da
Francia e Olanda, al trattato di Lisbona
firmato lo scorso dicembre e respinto nuovamente dagli irlandesi. La crisi attraversata dal vecchio continente non accenna
dunque a concludersi, e con il terzo colpo
d’arresto è ormai chiaro il clamoroso preoccupante cortocircuito fra le istituzioni
europee e il proprio popolo.
Credo fermamente che non vi sia nulla da
festeggiare di fronte a questa crisi senza
precedenti. E’ da troppo tempo che i paesi membri come il mondo intero hanno
bisogno di un’Europa forte, autorevole,
indipendente: lo scenario di crisi internazionale che si sta disegnando in questi
mesi, come i venti di guerra degli otto
anni di amministrazione Bush, hanno visto
un’Europa totalmente incapace di appoggiare, opporsi, o semplicemente incidere
nel panorama mondiale e guadagnarsi il
ruolo di guida nello sviluppo della pace,
di politiche sociali e ambientali.
Ma la colpa di tale arresto non può certo ricadere sugli irlandesi, il cui rifiuto
non è stato minimamente indagato dai
media nostrani; o su francesi e olandesi,
sul cui rifiuto forse bisognava riflettere un pochino di più. Certo, il fatto che
l’1 % rappresentato dal popolo irlandese
tenga in scacco i 26 parlamenti nazionali che hanno ratificato - o si apprestano
a farlo - il trattato (serve l’unanimità dei
paesi membri per l’applicazione) pone un
serio problema di democrazia all’interno dell’Unione. Ma che questa, alla prova democratica dei referendum popolari
(saggiamente evitati ove possibile), sia
stata clamorosamente respinta in tempi e
luoghi diversi, rappresenta un problema
non da poco. Considerando che il rifiuto
è stato espresso in maggioranza da giovani, donne, e lavoratori; forse si dovrebbe
riflettere su che Europa vogliamo costruire con questo trattato. E che questi sia, in
sostanza, una copia di quello che era stato
presentato come un grande progetto di Costituzione europea, salvo poi tramutarlo in
un tronfio e incomprensibile accordo che,
proprio per la sua oscurità, era meglio far
approvare in silenzio dai potenti e dai parlamenti… be, questi sono altrettanto gravi
problemi di democrazia. Il trattato di Lisbona influenzerà pesantemente le nostre
vite, incidendo sugli organi - parlamento
europeo e commissione - che oramai producono la gran parte del corpo legislativo
che il parlamento nazionale si limita a
percepire. Ebbene, in Italia è stato votato
all’unanimità in un caldo giorno d’estate,
senza che la stragrande maggioranza dei
cittadini non solo l’abbia letto, ma sappia
almeno di cosa si tratta. Informare, capire,
correggere, elaborare un testo convincente
e perlomeno leggibile; affidare la sua approvazione ad un referendum comune a
tutti i cittadini Europei, magari da svolgersi con le stesse modalità e tempi in tutto il
continente… Niente di tutto questo è stato
vagliato per uscire dall’impasse dei primi
“no”. La scelta è ricaduta sulla via più facile, caratterizzata da un sostanziale deficit
di democrazia. Che, tra l’altro, continua ad
essere la strada prescelta: Ora aboliamo la
regola dell’unanimità, secondo cui ogni
riforma deve essere accettata da tutti e 27
i membri, affidiamoci - snaturandolo - al
principio di “Europa a due velocità”, e approviamo in fretta e furia questo pasticcio
incomprensibile che - parole del commissario UE McCreevy - “difficilmente una
persona sana o a posto mentalmente lo
leggerebbe dall’inizio alla fine”. Gli Irlandesi, si arrangino: facciamoli rivotare una
seconda e una terza volta, magari, finché
si decideranno a votare sì. Fortuna che siamo in Europa, l’avamposto democratico
dell’intero pianeta.
Non credo che Irlandesi, Francesi o Olandesi siano anti - europeisti. Abbiamo un
disperato bisogno di un’Europa forte. Di
un’Europa, però, che si schieri dalla parte
dei cittadini, invece che con le banche e
le burocrazie. Di un’Europa che ascriva
nel suo DNA il fondamentale requisito di
essere “sociale”, che difenda e promuova
il welfare state invece di liberalizzare i
servizi. Un’Europa che sappia schierarsi
all’unanimità e senza tentennamenti contro la guerra, che riannodi i fili perduti per
la ricerca di un dialogo volto a risolvere i
conflitti che insanguinano il pianeta. Che
rifiuti categoricamente l’idea di una sotto-
missione alla NATO, che non permetta ai
governi di Praga e Varsavia l’installazione
di missili e radar statunitensi senza alcuna
discussione concertata con i partner europei - e del resto scelta osteggiata dalla
maggioranza dei governati -. Abbiamo
bisogno di un’Europa che lotti contro la
pena di morte, invece di riabilitarla tramite
protocolli e articoli del trattato (art 2 paragrafo 2 della CEDU). Di un’Europa che
parli di integrazione e accoglienza e non
costruisca fortezze, o si appresti a votare
la “direttiva della vergogna”, prevedendo
la detenzione degli stranieri irregolari fino
a 18 mesi prima dell’espulsione. Un’Europa che difenda e promuova le conquiste
dei lavoratori del secolo scorso, invece di
cancellare con un colpo di spugna la settimana lavorativa di 48 ore e la contrattazione collettiva.
Abbiamo bisogno di un’Europa che ritrovi se stessa, la sua identità, rappresentata
da qualcosa di più di una moneta comune.
Che riparta, utilizzando la democrazia non
solo a parole. Che si dia nuove regole per
essere più aperta, democratica e trasparente, rivedendo i meccanismi di elezione e
di decisione dei suoi organi, in primis il
Parlamento. La vitale necessità di una Costituzione, però, deve passare per una ridefinizione dell’idea di Europa che vogliamo
costruire, e una vera e propria rifondazione democratica dell’Unione.
Matteo Lucatello
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Congo: una crisi in secondo piano
In questi giorni, mentre i forti Alisei delle
elezioni americane e gli intricati turbini
della protesta universitaria soffiano poderosi e portano con sé aria di speranza
e voglia di cambiare, è difficile riuscire
a sentire la bava di vento che viene da
sud, dalla lontana Africa. Laggiù, e precisamente in Congo, si sta compiendo
l’ennesimo intricatissimo dramma del
continente nero. I ribelli del CNDP (Congrès national pour la défense du peuple),
hanno messo in scacco le forze dell’esercito regolare congolese. A guidarli c’è
Laurent Nkunda che, fermando i propri
uomini non lontano da Goma, capoluogo
della regione del Kivu nord, ha decretato
un “cessate il fuoco” unilaterale, e chiesto l’apertura di trattative con il governo
congolese. Obiettivi delle trattative con il
governo congolese dei ribelli del CNDP
sarebbero l’annullamento di accordi commerciali con la Cina del valore di 5 miliardi di dollari - che secondo il loro capo
avrebbero svenduto le ricchezze naturali
del Paesi - e il disarmo dei ribelli Hutu
delle Forces Democratiques de Liberation du Rwanda(FDLR), rifugiatisi in
Congo al termine del genocidio ruandese
del 1994 e fautori di rappresaglie e discriminazioni nei confronti della etnia Tutsi
in Kivu, di cui Nkunda si dice difensore.
Ma nel frattempo, nonostante la tregua
stabilitasi, i soldati dell’esercito regolare
congolese in ritirata sono entrati nei villaggi ferendo, violentando ed uccidendo.
Anche i due ospedali cittadini di Goma
sono stati saccheggiati
dai soldati, peggiorando ulteriormente la
già grave crisi umanitaria. La gente ha
cercato di fuggire come ha potuto verso le frontiere dell’Uganda e del Ruanda, portando con sé a malapena quello
che è riuscita ad afferrare, ma il fronte
della guerra va dal massiccio del Masisi fino al confine con Ruanda e Uganda
ed è in continuo mutamento. Così, molti
dei profughi (1 milione e 600 mila) si ritrovano chiusi tra due fuochi. Le ONG e
l’ONU hanno sfruttato il cessate il fuoco
e cercato di portare aiuto ai profughi, ma
molti dei campi sono stati trovati deserti.
L’Organizzazione mondiale della Sanità
ha stimato in 2,5 milioni il numero delle
persone minacciate da epidemie di colera
e di morbillo nella provincia del Nord-Kivu, nell’est della Repubblica Democratica
del Congo, mentre Medici senza Frontiere
denuncia l’assoluta mancanza di organizzazioni umanitarie nelle zone più colpite
dal conflitto. Intanto, ci sono stati degli
scontri tra le forze di Nkunda e miliziani
Mai-Mai di Rutshuru, una località situata
ad appena una sessantina di chilometri a
nord di Goma. Questi miliziani non sono
altro che gruppi armati senza legami etnici né politici: fanno capo ad anziani della
tribù, a signori della guerra o a capi villaggio e, in teoria, si batterebbero per la
difesa del proprio territorio ma, in realtà si
mettono al servizio del miglior offerente,
cambiando continuamente le alleanze.
Al fine di trovare una soluzione diplomatica all’ultimo di una lunghissima serie di
conflitti a catena che coinvolgono la zona,
l’Unione Europea ha inviato in Congo il
ministro degli esteri francese, Bernard
Kouchner, ed il ministro degli esteri britannico David Miliband. Dopo aver visitato Goma per tentare una mediazione
impossibile si sono mossi ad aprire trattative diplomatiche con i due paesi coinvolti (Repubblica Democratica del Congo e
Ruanda). Il presidente del Congo accusa
il Ruanda di essere il principale sostenitore dei ribelli di Nkunda, mentre il governo
di Kigali sostiene che le FDLR abbiano
il pieno appoggio dell’esercito regolare
congolese, mettendo così in pericolo l’integrità territoriale del Ruanda.
Il tentativo di Kouchner di porre fine ai
massacri della popolazione tramite il dispiegamento di un contingente europeo
a sostegno dei pochi caschi blu dell’Onu
- finora incapaci di proteggere a pieno la
popolazione - si è risolto in un nulla di
fatto a causa dell’opposizione del governo Ruandese. In più, all’opposizione del
Ruanda si sono aggiunte le perplessità degli europei stessi: David Miliband, infatti,
ha sostenuto di essere lì non per discutere
di una forza europea, ma della situazione
umanitaria. Dello stesso parere è l’Alto
rappresentante degli Affari esteri UE, Javier Solana, secondo cui la priorità numero uno dell’Unione Europea è l’ambito
umanitario. L’Europa, insomma, non ha
intenzione di impantanarsi in certe situazioni. Londra si è comunque resa disponibile a convincere il Ruanda a spingere i
ribelli di Nkunda a rispettare gli accordi di
pace del gennaio 2008. Ciò mette a nudo
la situazione del Ruanda nella regione,
dato che il regime di Kagame è sospettato
di usare gli estremisti hutu per mettere le
mani su un territorio ricco di risorse come
il Kivu. Si spera che qualcosa possa essere risolto con il summit di Nairobi a cui
parteciperanno i due Stati contendenti più
quelli confinanti di Uganda, Burundi e
Tanzania, l’Unione Europea e gli USA.
Così, mentre la lunga e complessa epopea
delle guerre centroafricane prosegue con
un nuovo sanguinoso capitolo, l’unico
ruolo svolto dalle potenze occidentali in
tutta questa storia è quello di osservare da
lontano una situazione che hanno contribuito a creare e che, incapaci di comprendere veramente, hanno lasciato, e lasciano, scivolare in secondo piano.
Tommaso Ripani
[email protected]
Sconfinare
Politica Nazionale
4
Novembre 2008
Saviano, il potere della sua (e della nostra) parola
"Bello il romanzo che hai scritto".
Ragazzini salutano Saviano dopo la sua visita a Casal
di Principe nel settembre 2007
"Saviano è un simbolo, ma non 'il' simbolo della lotta alla camorra. La lotta
alla criminalità, però, la fanno polizia,
magistratura, imprenditori che sono in
prima linea ma non sulle prime pagine
dei giornali. Spero che resti, con la sua
immagine contribuisce alla lotta alla
camorra, ma il contrasto viene fatto ogni
giorno con azioni militari ed indagini.
Non vorrei ridurre lo Stato e la sua azione ad una personificazione".
Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a Napoli
(Campania), 17/10/2008
"Su Saviano sono stato frainteso. Ho
voluto fargli un favore. Non è un bene
per lui caricargli addosso tutte queste
responsabilità, perchè non lo fanno vivere
bene, non può essere lui da solo a farsi
carico nell'immaginario collettivo della
lotta alla criminalità”.
MINISTRO DELL’INTERNO, ROBERTO MARONI, A
SAINT-VINCENT (VALLE D’AOSTA), 18/10/2008
La mafia, la camorra, prima di uccidere
discredita. Prima di spargere sangue, getta
fango sul suo nemico.
Saviano ha dimostrato quanto forte sia il
potere della parola perché con Gomorra
ha acceso grossi fari sugli affari che la camorra cerca di tenere nel buio più pesto.
Anche i Casalesi conoscono il potere della
parola.
La usano per dialogare con il loro territorio, con il popolo omertoso e spaventato,
per togliere stima
e rispetto a chi non
ha che un libro per
combattere. Per
questo,
quando
l’anno scorso nel
2007 Saviano è
tornato nella sua
Casal di Principe
dopo la pubblicazione di Gomorra,
ha trovato saracinesche abbassate
e ragazzini strafottenti: «Hai scritto
un bel romanzo»,
tutta fantasia, qui
nessuno ti prende sul serio e ti appoggia.
Con gesti e parole, poi, la mafia dialoga
con i poteri forti, e spesso ottiene risposta.
Anche se sicuramente non sono solo merito di Saviano i risultati ottenuti dallo
Stato contro la criminalità organizzata in
Campania ma pure di poliziotti, carabinieri, magistrati, imprenditori; anche volendo
considerare lo scrittore come un parolaio,
portabandiera di una lotta idealista alla
mafia; comunque le parole del Ministro
dell’Interno non sono solo solidarietà alle
sue forze dell’ordine; non sono precisazioni utili a proseguire con strumenti migliori
la lotta alla criminalità; non sono semplici
“puntini sulle i” messi per amor di precisione; né tantomeno hanno l’obiettivo di
ridurre il clamore mediatico attorno a un
caso delicato che avrebbe bisogno (avreb-
be bisogno?) di maggiore silenzio.
Sono una presa di distanza grave. Speriamo che i Casalesi non
abbiano sentito perché potrebbero interpretare male; potrebbero intuire che per
lo Stato perdere “un”
simbolo della lotta
alla camorra non sarebbe poi così grave,
e agire di conseguenza. Speriamo che non
abbiano sentito le parole pronunciate dal
Ministro a Napoli, perché sicuramente la
smentita, sussurrata dalla Valle d’Aosta,
non è arrivata alle loro orecchie.
Mentre scriviamo la raccolta firme di solidarietà a Saviano promossa da Repubbica, che ha visto l'adesione di sei Nobel, ha
superato le 200 mila adesioni. I teatri, le
scuole e i cinema italiani sono diventati
luoghi di lettura ad alta voce di Gomorra,
il presidente Fini ha accettato di invitare
lo scrittore alla Camera. Pare che l'Italia
dunque non sia un paese insensibile verso
chi rischia la vita per denunciare la corruzione diffusa tra cittadini comuni ed élites
del potere.
Gomorra, si è detto, non è una scoperta
dell'autore, molti dei testi si devono ai colleghi di Saviano(raccolti sul sito Nazione
Indiana). Lui li ha sintetizzati e ha avuto
la fortuna di incontrare la stupida industria
culturale che cercando il fenomeno media-
tico è stata fregata e ha permesso di mettere in pubblica piazza i nomi di Schiavone
e di tutti i casalesi.
Evidentemente questo non toglie nulla al
valore del libro, e soprattutto al sacrificio
che fa un ragazzo di trent'anni, non vivere
la sua età. La lotta alla criminalità è in primo luogo schierarsi, è una guerra di trincea, si sta da una parte o dall'altra, e chi sta
con gli altri, che si chiami sistema(sistema,
cioè ordine e non degenerazione!) o mafia
o 'ndrangheta.
E adesso? E adesso è sempre la stessa
storia, ognuno deve fare la sua: lo Stato
batta un colpo, dichiari la sua esistenza, le
imprese continuino a denunciare il pizzo
e investire in affari puliti, i maestri insegnino il senso dello stato e i genitori educhino al rispetto. Noi faremo la nostra, le
rivelazioni di Saviano sono l'urlo di una
generazione, è bene che la nostra non dimentichi, quando ci troveremo negli alti
posti riservatici da una laurea al SID, da
dove veniamo. In questo momento bisogna stare vicini a Roberto Saviano, il suo
desiderio di andarsene è offensivo verso
un paese europeo, sarebbe vergognoso se
questo dovesse accadere: tutti abbiamo
visto la faccia di Sandokan, o ci siamo indignati davanti all'intervista a Francesco
Schiavone, ma facciamo emigrare l'autore perché non riusciamo a difenderlo, è lo
Stato (non solo il Ministero dell’Interno,
ma tutti noi nel più profondo senso collettivo) che si arrende.
Franderico Naschesano
[email protected]
[email protected]
Veltroni e Di Pietro:la fine dell’“alleanza”
Roma, 19 Ottobre: dallo studio Rai di
“Che tempo che fa”,il leader del PD Walter
Veltroni annuncia pubblicamente la rottura dell’alleanza fra il suo partito e l’IDV
dell’ex pm molisano Antonio Di Pietro. I
motivi addotti per giustificare questa decisione sono stati le differenze sui modi di
affrontare molte delle questioni dell’agenda politica ed il modo con cui il partito di
pietrino sta conducendo la sua opposizione al governo, “Distante anni luce dall’alfabeto democratico del centrosinistra”.
Lo strappo si è consumato così nel tempo di una breve intervista,cogliendo di
sorpresa i vertici dell’Italia dei valori e
suscitando stupore e qualche disappunto
fra i parlamentari del PD stesso (vedi ad
esempio Parisi). La mossa di Veltroni è
qualcosa di inedito nella storia della sinistra italiana del dopo tangentopoli:mai
era successo infatti che una rottura fra
partiti alleati si concretizzasse all’opposizione (finora era sempre accaduto il
contrario).Ai motivi già esposti nell’intervista dal leader del centrosinistra per
spiegare questa decisione, nuova per una
democrazia come quella italiana, ma che
probabilmente in altri paesi sarebbe stata
quantomeno nell’aria,ne vanno aggiunti
alcuni e chiariti altri. È vero per esempio che le opinioni dei due capi su molte
questioni di politica erano divergenti, ma
sul modo di condurre l’opposizione al governo la differenza era più formale che
sostanziale,da Di Pietro a Veltroni il modo
di criticare le politiche del governo cambia
nei toni,ma non nella sostanza. Bisogna
dire che , se l’alleanza è esistita nessuna
delle due parti ha mai cercato veramente
una mediazione con l’altra che andasse
oltre alle dichiarazioni di intenti fatte agli
organi d’informazione;la rottura fra i due
partiti si è consumata a partire dalla tanto discussa manifestazione chiamata “No
Cav Day”,tenutasi l’8 Luglio in Piazza
Navona ed organizzata dall’IDV,dopo la
quale Veltroni aveva per la prima volta
parlato di divorzio fra i due partiti,questa
volta facendolo dagli studi di matrix. Da
lì in poi l’intesa si è trasformata in coabitazione forzata,e si è deteriorata col passare delle settimane,anche per via della
“recidività” di Di Pietro,che nonostante i
richiami alla calma degli alleati non ha addolcito i suoi modi di fare opposizione. Va
poi detto che la fine dell’alleanza appare
come una decisione presa non di concerto
con tutte le correnti interne al partito,ma
solamente dagli ambienti più vicini al
segretario (con ovvie zone di tacito consenso), come dimostrano i non pochi mugugni che la notizia ha sollevato. Questo
cambio di rotta mira a dare una scossa, a
tentare di ristabilire o forse è meglio dire
a tentare di creare quell’ordine che manca
all’interno del PD: Veltroni ha pensato di
andare avanti da solo per poter dedicarsi
esclusivamente a cercare di ricomporre
i numerosi dissidi interni al partito, una
volta per tutte, senza dovere allo stesso
tempo occuparsi di correggere il tiro delle
dichiarazioni dell’ormai ex alleato, sempre più accese e distanti dalle sue più controllate affermazioni . La leadership del
capo del maggior partito di centrosinistra
è infatti da alcuni mesi messa in discussione da vari esponenti del suo partito, e
questa mossa mira a cambiare gli equilibri
del partito,a ristabilire l’ordine all’interno
della compagine democratica, a dargli
,forse, una nuova forma, come dimostra
il commento di Rutelli,che all’indomani
della frattura ha parlato della necessità
di rifondare il partito. Un altro obiettivo
che si vuole raggiungere con la rottura è
anche quello di guadagnare i voti di coloro che non voterebbero il PD se questo
fosse alleato con Di Pietro, e allo stesso
tempo la misura punta a sottrarre voti
alla stessa Italia dei valori, uscita secondo molti democratici troppo rinforzata
dalle urne delle politiche. Qualora il PD
si riuscisse a ricompattare e a perseguire
un programma coerente, mostrando una
sola volontà comune e non cento intenzioni e programmi diversi,allora sicuramente si potrebbe riformare l’alleanza
con Di Pietro, visto che l’Italia dei valori nella riunione dei vertici di partito
del 22 Ottobre non ha chiuso,anche se
avrebbe potuto farlo, le porte ai democratici malgrado l’ex pm di mani pulite.
Il banco di prova per la strategia Veltroniana sarà quello delle elezioni europee, ma nel frattempo se si vorrà fare
in modo che questa scelta non sia stata
un grosso errore strategico per il PD e
la sinistra in generale, bisognerà lavorare moltissimo sulla rifondazione del
partito, dandogli almeno un minimo di
coerenza interna, chiarezza e coesione di programma ma soprattutto creare un partito unico e compatto e non
un collage di anime e correnti diverse.
Matteo Sulfaro
[email protected]
Sconfinare
5
Politica Nazionale
La chimica legislativa crea molecole di pazzia finanziaria
2008 Novembre
137,133,126 – una miscela che tinge di rosso la cartina tornasole dell’istruzione italiana
Lo scorso 29 ottobre, il Senato ha approvato la conversione in legge del d.l. 1 settembre 2008 n.137, presentato dal Presidente
del Consiglio Berlusconi e dal Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca Gelmini, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze Tremonti e
quello della pubblica amministrazione e
innovazione Brunetta. L’urgenza nell’attuazione delle nuove disposizioni in materia di istruzione e università, recita il testo
normativo, “si rende necessaria al fine di
superare criticità e problematiche operative” del sistema scolastico vigente; in realtà, la proposta di riforma non implica un
rinnovamento organico della compagine
scolastica attuale (si compone in tutto di 8
articoli) ma si riduce ad un decreto collegato alla legge finanziaria (insomma Tremonti potrebbe essere il padre della creatura).
L’articolo che ha scatenato la protesta
mediatica di questi giorni è il n.4, ovvero quello che stabilisce la reintroduzione
nella scuola primaria, a partire da settembre 2009, di un “maestro unico” che
sostituisca l’insegnamento modulare.
L’insegnante avrà un orario settimanaVentitrè maggio millenovecentonovantadue.
Diciannove luglio millenovecentonovantadue.
In cinquantasette giorni, la mafia riuscì a
colpire lo Stato, nelle persone di Giovanni Falcone, nominato da appena un giorno
nuovo Superprocuratore antimafia a Roma,
e di Paolo Borsellino, Procuratore Aggiunto
presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Da quei giorni sono passati sedici anni e
poco più, e quindi qualcuno si potrebbe
chiedere come proceda la lotta alla mafia,
della quale Falcone e Borsellino sono stati
protagonisti ma non certo iniziatori, e soprattutto, purtroppo, non le ultime vittime.
Un modo originale di rispondere a questa
domanda è volgersi in tutt’altra direzione. Il
nostro Parlamento, si sa, non brilla per alacrità, ma riesce comunque a produrre una
certa quantità di leggi e decreti, il cui impatto, quand’anche sembri dimesso, spesso si
rivela travolgente.
Ed eccoci, al Senato, al nove ottobre duemilaotto. E’ al voto un decreto legge che
ha come obiettivo l’aumento di retribuzione per i magistrati in sedi disagiate. Ma,
come spesso succede, il decreto è infarcito di paroline e di articolini che c’entrano
come i cavoli a merenda. La norma che ci
interessa recita: ‘L'articolo 36 del decreto
legislativo 5 aprile 2006 n.160, come modificato dall'articolo 2 comma 8 della legge
30 luglio 2007 n.111, è abrogato.’ Semplice,
no? Mica tanto: significa, sempre che il decreto in questione passi anche alla Camera
-il che non è scontato- che la norma varata
dal governo Prodi, che vietava ai magistrati
inquisiti ma poi assolti –e a cui quindi era
concessa una ‘ricostruzione di carriera’- di
poter occupare comuque posti di vertice
oltre i 75 anni di età, è abrogata; significa
le di 24 ore, inferiore a quello attuale, e
sarà affiancato dai maestri di religione e
inglese. Su richiesta delle famiglie, compatibilmente con le risorse, rimane la possibilità delle 27 o 30 ore (ma non si fa riferimento al tempo pieno come opzione).
La reazione esplosiva scatta, però, perché
alla 137/08 vengono associate altre due
leggi: la legge 6 agosto 2008 n.133 e la
legge 24 luglio 2008 n.126, quella che
per intenderci ha abolito l’Ici e innescato i tagli ai fondi per l’università. Usando come trampolino di lancio la proposta
Gelmini di diminuire il numero degli insegnanti per riformare la scuola, infatti, la 133/08 giustifica una previsione di
tagli in personale didattico a tempo determinato pari a 87.341 persone (42.105
nel 2009/2010, 25.560 nel 2010/2011
e 19.676 nel 2011/2012) e in personale
ATA (amministrativo, tecnico, ausiliare)
pari a 42.500 persone. Il risparmio totale
è calcolato intorno ai 5,4 miliardi di euro.
Per quanto riguarda l’università, invece, il
problema nasce con due articoli specifici
della 133/08: il n.16 e il n. 66. Il primo
concede alle università la possibilità di
trasformarsi in fondazioni di diritto privato (la delibera di trasformazione è adottata
dal Senato accademico a maggioranza assoluta e approvata in seconda istanza dai
Ministri dell’istruzione e dell’economia).
L’art n.66, invece, contiene le direttive
finanziarie per la distribuzione dei fondi
statali alle università. Secondo le direttive
ministeriali, l’Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) sarà ridotto di 63.5 milioni
nel 2009, di 190 milioni nel 2010, di 316
milioni nel 2011, di 417 milioni nel 2012
e di 455 milioni a partire dal 2013, per un
totale di 1.441.500.000 di euro in 5 anni.
Le riduzioni, come precisato nel testo stesso della 133/08, derivano dal blocco del
turn over di docenti e ricercatori universitari: ogni ateneo dovrà limitare il numero
delle proprie assunzioni al 20% dei pensionamenti dell’anno precedente (indovinello: se l’età media dei ricercatori non ancora di ruolo si avvicina ai 40 anni e ogni
anno solo 1 di questi su 5 che vanno in
pensione può essere assunto, quanti anni
passeranno prima che un laureato del 2008
possa aspirare alla carriera accademica?).
I tagli e il fatto che, per legge, le tasse di
Lo Stato è miope
contro la mafia
cioè l’esatto opposto: che quella categoria
di magistrati può ora occupare posizioni di
vertice; e non ce ne sono tanti, in questa situazione: soprattutto, ce n’è uno solo che si
è imposto all’attenzione dei –pochi- media
che se ne sono interessati. Questo personaggio si chiama Corrado Carnevale.
Ora, bisognerà sottolineare l’importanza
di questo nome ai fini della nostra vecchia domanda: in che stato è la situazione
dell’antimafia, sedici anni dopo Falcone e
Borsellino?
E Carnevale è molto, molto importante. Chi
è, dunque, e perché si cerca di porlo in pole
position per il ruolo di Presidente della Corte Suprema di Cassazione, con una norma
ad hoc? Il ruolo è ora occupato da Carbone,
che andrà comunque in pensione nel 2010,
cosicchè rimarrà per Carnevale una finestra
di tre anni (lui, in virtù di questa ‘ricostruzione di carriera’, andrà in pensione nel 2013,
a 83 anni), che potrà sfruttare agilmente per
essere eletto presidente: è praticamente certo, perché è il primo per anzianità.
Ma ancor più interessante non è tanto la norma, ma il personaggio in questione. Il suo
soprannome era, ai tempi di Falcone e Borsellino, ‘l’ammazzasentenze’. Cosa faceva?
In qualità di presidente della prima sezione
della Corte di Cassazione, non faceva altro
che essere molto pignolo: nel corso del tempo, ha cassato decine di processi a carico di
mafiosi –ma non solo: persino uno contro
la Banda della Magliana naufragò per sua
decisione-, per via di difetti nella documentazione, come un timbro mancante, una virgola da spostare, una data imprecisa, e così
via. Era inoltre nemico dichiarato del pool
antimafia: sosteneva che quei magistrati fossero ‘sceriffi’, ‘armi rivolte contro i nemici
politici della sinistra di matrice comunista’,
e in particolare nutriva un odio profondo nei
confronti di Falcone e Borsellino: li definiva ‘due incapaci’, e per lui Falcone era ‘faccia da caciocavallo’; il culmine lo raggiunse
dopo la loro morte, quando esclamò: ‘Io i
morti li rispetto, ma certi morti no.’ Giudizi
confermati poi anche in tribunale.
iscrizione non possono superare il 20%
dell’Ffo non potranno che svuotare le
casse degli atenei italiani ed esporli ad
un peggioramento progressivo dei servizi e della qualità di insegnamento. Ma la
soluzione alle richieste economiche degli
atenei c’è: il comma 5 del suddetto art
n.16 recita “I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse
o imposte indirette e da diritti dovuti a
qualunque altro titolo e sono interamente
deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di
donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90%”. Forse non
è poi così irrealistico farsi punzecchiare
dall’idea che l’organicità della manovra
governativa stia nella ricerca della privatizzazione di un’università in cui panorama decisionale sia appannaggio di pochi finanziatori prevalenti, se non unici.
Valeria Carlot
[email protected]
Sì, perché Carnevale, che alcuni ben vedrebbero al vertice della Suprema Corte,
il massimo organo della Magistratura, ha
scavalcato la sbarra, passando da giudice ad
imputato. Il processo a suo carico, iniziato
nel marzo 1993, concluse una sua prima
parte con la condanna (giugno 2001) della
Corte di Appello di Palermo per concorso
esterno in associazione mafiosa (pena: sei
anni di reclusione, oltre all’interdizione dai
pubblici uffici). La Cassazione lo ha poi assolto nell’ottobre 2002 con formula piena,
ma tra le polemiche per la dubbia esclusione di alcune testimonianze chiave, inficiate
solo dal fatto che erano scaturite da fatti avvenuti in camera di consiglio; fatti che sono
generalmente considerati coperti da segreto,
ma non così quando al suo interno si consumano dei reati: in tali casi, secondo molti, la
loro segretezza dovrebbe venir meno.
Questo non è, com’è evidente, il pensiero
della Cassazione, che, venute meno tali prove (alcune altre testimonianze, provenienti
dall’esterno della camera di consiglio, sono
state inspiegabilmente coinvolte nell’annullamento generale), ha assolto Carnevale, liberandolo da ogni accusa.
Ora, bisogna distinguere tra legalità e opportunità: legalmente, Carnevale è da considerarsi innocente; ma è forse opportuno
non tanto lasciarlo lavorare, cosa che non
gli si può negare, ma addirittura adoperarsi
positivamente per spingerlo ad occupare il
vertice massimo della Magistratura?
Ecco chi è Carnevale. A che punto è, dunque, la lotta alla mafia in Italia? E’ pretestuoso accostare quello che sta accadendo
in favore dell’ormai ottantenne ‘ammazzasentenze’ ad un giudizio sullo stato attuale
dell’Antimafia?
Francesco Scatigna
[email protected]
6
Sconfinare
Università
2008 Novembre
La piazza e il rischio del fervore sterile
Gli studenti di Trieste contro la 133
Mercoledì 22 ottobre, l’aula Felice Venezian non riesce ad accogliere tutti gli
studenti che sono accorsi per l’assemblea. Qualcuno propone di spostarsi in
aula magna: un fiume di giovani inonda
i corridoi e le scale, e continua a straripare anche nella sala più grande. La
soluzione migliore è spostarsi in Piazzale Europa. Finalmente si respira, e
si aspetta che casse e microfono siano
pronti per diffondere gli interventi degli
oratori. L’assemblea è cominciata bene:
le migliaia di persone fra studenti, docenti e personale tecnico sembrano testimoniare una preoccupazione diffusa
per il futuro dell’Università, di fronte
alla legge 133. Il Rettore Peroni chiarisce subito il suo punto di vista: la 133
mette a rischio il regime pubblico della
formazione universitaria garantito costituzionalmente. Per concludere invita
tutti a “fare apostolato della Costituzione”, facendomi rabbrividire nonostante
il clima tiepido. Dopodiché, il testo di
legge viene letto e discusso nel corso
dell’assemblea. Sbaglia, quindi, chi afferma che gli studenti non sono informati sull’oggetto delle loro proteste. Conclusa la lettura degli articoli contestati,
il microfono viene aperto a chi vuole intervenire. A questo punto, inizio a provare un senso di delusione: gli interventi
più applauditi sono quelli più infarciti di
slogan, quelli che incalzano la protesta
senza proporre niente di concreto. Mi
aspettavo qualcosa di più da migliaia di
studenti universitari. La maggior parte
dei discorsi sono vuote parole d’ordine
lanciate sull’onda dell’emozione per infervorare la platea (che comunque non
dovete immaginare come un’orda scatenata: tutti molto composti nel loro entusiasmo). Appena un ragazzo di Azione universitaria prende il microfono,
partono i fischi a smentire quello che è
stato affermato precedentemente, cioè
che la protesta va oltre i partiti. Lo studente di destra obietta che l’Università
italiana è una fonte di enormi sprechi, e
che era ora che qualcuno li tagliasse. E
dopo che lo stesso batte in ritirata, nessuno che replichi seriamente a ciò che
ha detto, semplicemente lo si ignora. E
allora gli rispondo io adesso: i problemi
dell’Università italiana sono senz’altro numerosi; dagli sprechi burocratici
all’assenza di meritocrazia, dalla cattiva gestione finanziaria al mantenimento
di corsi privi di studenti. Ma il modo di
migliorare le cose non è certo questo taglio pesante dei fondi ad un’istituzione
il cui regime pubblico è garantito dalla
Costituzione, e che pone le basi della
società civile, di oggi ma soprattutto di
domani. L’istruzione ha un ruolo troppo
delicato nella vita di un Paese per essere trattata con criteri puramente economici, ci vuole molto più impegno per
risolvere la situazione. Secondo il Rettore, l’Università di Trieste, perdendo
circa 22 milioni di euro nei prossimi 5
anni, rischierà la chiusura, nonostante
il bilancio consuntivo del 2007 sia stato
concluso in attivo. Purtroppo, nell’Italia di oggi, procedere con vere riforme,
che vadano a sanare i meccanismi malati dell’istruzione pubblica, sembra
impossibile: meglio un provvedimento drastico e superficiale che scateni
il conflitto, da usare come pretesto per
screditare il dissenso.
Qualche giorno dopo, sabato 25 ottobre, mi reco alla manifestazione degli
studenti delle Superiori a cui si è deciso di unire la protesta dell’Università.
Guardandomi un po’ intorno in Piazza
Goldoni, punto di partenza del corteo,
noto subito l’esiguità degli universitari,
decimati dalle partenze del weekend:
bella prova di impegno e coesione. Ma
la sorpresa più amara arriva alla fine, in
Piazza Unità: dopo un corteo festoso e
tranquillo, che raccoglie addirittura gli
applausi della gente che assiste ai margini, la protesta si esaurisce. Degli universitari che hanno guidato il corteo non
c’è più traccia, e dopo qualche minuto
la piazza si svuota, per lasciare campo
libero a qualche camioncino di studenti delle superiori completo di casse che
sparano techno a tutto volume ragazzini
mezzi nudi che ballano con le orecchie incollate agli amplificatori. C’è
anche qualche rappresentante dei
centri sociali che cerca di dirigere la
protesta verso il molo IV, dove si era
svolta l’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani),
nonostante i sindaci non ci siano più
e nonostante non ci sia alcuna autorizzazione.
Io credo in questa protesta e nella
sua continuazione fino a che il Governo non si deciderà ad eliminare
i tagli all’Università, credo nell’utilità delle manifestazioni di piazza per
far sentire il dissenso collettivo in maniera efficace; ma ci credo quando, a
fare da base, c’è una consapevolezza
ragionata degli obiettivi e dei mezzi
con cui raggiungerli, e non una generica
ed emozionale contrarietà. Altrimenti, i movimenti perdono senso, forza, e
si smarriscono per strada: ci si ritrova
come sabato scorso, in una piazza semi
vuota, a chiedersi “Cosa ci faccio qui?”,
e intanto quello per cui si manifestava
rimane tale e quale, pian piano viene dimenticato, i media perdono interesse, e
tutto va in malora, come sempre.
Athena Tomasini
[email protected]
OMeRO
Osservatorio Mediterraneo di Ricerca Operativa
Ciao a tutti i lettori di Sconfinare!
L’Osservatorio Mediterraneo di Ricerca Operativa (O.Me.R.O.) sta cercando
fra i giovani studenti del SID dei collaboratori. In particolare (da ex studentessa SID) mi riferisco alle moltissime
tesi e tesine che siamo obbligati a scrivere per alcuni insegnamenti, sarebbe
bello se alcuni di voi volessero mettere
a disposizione le proprie ricerche su
uno spazio internet.
OMeRO è un’Associazione Culturale
di Geopolitica nata dalla passione di
un gruppo di ex studenti del I Master
in Geopolitica, organizzato dalla rivista Limes e dalla SIOI nel 2007.
L’oggetto principale della nostra indagine sono i rapporti fra i vari stati mediterranei, intendendo con questo non
solo i Paesi rivieraschi, ma anche quelli del Mar Nero e del Medioriente.
A pochi mesi dalla nostra costituzione
abbiamo deciso di dotarci di un blog
(http://geopoliticalnotes.wordpress.
com) come “finestra” verso il mondo,
in cui cerchiamo di cimentarci con brevi pezzi di divulgazione che hanno lo
scopo di portare all’attenzione dei let-
tori alcuni spunti di riflessione sull’area
mediterranea. Il nostro interesse spazia
dalle questioni politiche, economiche e
sociali, alle tematiche più prettamente
culturali, antropologiche e di costume. Il
prodotto che ne viene fuori pian piano è
un insieme di articoli, mappe, interviste,
rassegne stampa e recensioni che possano aiutare chi legge ad approfondire anche per proprio conto gli argomenti che
più lo interessano. Ogni due mesi circa è
possibile leggere un focus monografico
su particolari eventi o tematiche di importanza internazionale.
OMeRO propone, fra l’altro, numerosi
incontri formativi fra giovani e studiosi, diplomatici ed esponenti militari per
meglio facilitare la comprensione della
complessa interdipendenza fra Stati, Regioni e Continenti. A questo proposito
possiamo rimarcare l’incontro avvenuto
con l’Ambasciatore Mistretta (ex ambasciatore in Libano) sulla tematica delle
attuali sfide del Libano moderno (SIOI,
4 Luglio scorso).
Per avvicinarci ancora di più agli studenti ed alla realtà universitaria italiana,
molti dei membri di OMeRO hanno ini-
ziato una assidua collaborazione con
Meltin’Pot, giovane rivista universitaria online.
L’Associazione, a meno di un anno
dalla sua nascita, partecipa attivamente ai Focus Groups dell’ Osservatorio per la Sicurezza Nazionale
(OSN), presso il Centro Alti Studi
per la Difesa, riguardanti argomenti
di cruciale importanza quali le Infrastrutture Critiche ed il Terrorismo e
Criminalità nelle aree metropolitane.
Il “nostro” Mediterraneo è aperto a
tutti voi! Saremo infatti felici di ricevere i vostri abstract o le vostre tesine (purchè originali), le recensioni
su libri di tematiche inerenti al nostro
obiettivo e quant’altro vorrete sottoporci!
Se siete interessati a collaborare con
noi, ad aderire alle nostre iniziative
e per mandarci il vostro materiale,
vi invitiamo a scriverci all’indirizzo
[email protected].
A presto!
Marianna Rapisarda
(per la redazione di OMeRO)
2008 Novembre
Sconfinare
Università
7
A questo decreto seguirà comunDall’inizio dell’anno accademiPositivo il Decreto varato dal Ministro Gelmini, ma attenzione al Progetto di Riforma
que in questi giorni il Progetto
co proseguono le manifestazioni
di Riforma vero e proprio, le
di dissenso e di preoccupazione
cui linee guida sono comunque
per la manovra estiva varata dal
stilate già da ora. Si punta sulla
governo in agosto e per il proNews d’Ateneo: nuovi corsi, assunzioni bloccate.
razionalizzazione dei corsi di
getto di riforma dell’università
laurea (arrivati a 5.000) e delle
che il Ministro Gelmini presenelettive le cariche di rappresentanti degli anche del personale tecnico amministrativo)
terà in questi giorni. Ma prima di dedicarmi studenti nella Giunta di Facoltà (sino ad in tutti gli atenei che spendono in stipendi sedi distaccate ed al cambiamento radicale
alla riforma ed alle iniziative che sono state ora erano di nomina del Preside). La discus- più del 90% del FFO. Sette ricadranno si- del cursus honorum dei docenti, i cui scatprese anche a Gorizia in questi giorni, cre- sione di questo punto è stata rimandata al curamente in questa categoria e tra essi ti di stipendio non dovranno più essere legado sia importante dare alcune informazioni 19 novembre per mancanza di tempo, ma compare anche il nostro ateneo, insieme a ti all’anzianità ma alla produttività didattica
“di servizio” interne al nostro ateneo e alla con ogni probabilità ci troveremo presto ad quello di Cassino, Firenze, Bari, L’Aquila, e di ricerca degli stessi. Ma questo sarà di
nostra facoltà.
eleggere un rappresentante nella giunta per Pisa, L’Orientale di Napoli; ma ad essi po- certo il punto su cui ci sarà lo scontro più
duro con la casta dei baroni accademici.
La novità di maggior rilievo è senz’altro Gorizia ed uno per Trieste.
trebbero aggiungersi altri 19 atenei.
l’elezione del nuovo preside di Facoltà, il Ma passiamo dunque ai perché di questo pe- Riprendendo inoltre il Patto con le Univer- Altro punto controverso su cui la riforma
Prof Roberto Scarciglia, docente di Diritto riodo di vacche magre: il decreto 133 del 6 sità firmato dal Ministro Mussi il decreto dovrà fare luce è quello della governance
Pubblico Comparato, eletto a grande mag- agosto 2008 e l’imminente riforma del si- destina il 7% del FFO 2009 (circa 500 mi- degli Atenei e della possibilità di trasforgioranza nel mese di ottobre e subentrato stema universitario.
lioni) agli atenei virtuosi, le cui performan- marsi in fondazioni di diritto privato. A
al Preside Coccopalmerio dal 1 novembre. La convocazione dell’assemblea il 28 otto- ce saranno valutate dal Cnvsu (Comitato riguardo è necessario fornire precise e più
Facciamo al neo-preside un in bocca al lupo bre era concepita dai rappresentanti soprat- nazionale di valutazione del sistema univer- stringenti garanzie circa l’influenza che gli
e ci aspettiamo che riesca a portare una ven- tutto come un momento di analisi della legge sitario) e dal Civr (Comitato per la valu- eventuali enti privati potrebbero esercitare
tata di novità nella nostra Facoltà, portando e delle sue problematiche, grazie all’indi- tazione della ricerca) in base ai parametri sulla didattica e sulla determinazione delle
avanti iniziative originali e più adatte ai no- spensabile e puntuale contributo di Marco di ricerca, crediti acquisiti dagli studenti e tasse universitarie. Nessuno inoltre sembra
Barelli
(rap- numero degli iscritti. In questo modo alcuni aver pensato al fatto che le condizioni ecopresentante al atenei, tra cui non compare il nostro ateneo, nomiche e la cultura amministrativa delle
CdF di Lettere si troveranno ad avere addirittura più fondi diverse regioni d’Italia avrà un peso detere
Filosofia), per l’anno 2009 (43 milioni in più per Tori- minante sulla vita delle fondazioni, creando
in modo da no, 40 per il Politecnico di Milano, 30 per università di serie A e di serie B.
poter
arriva- Padova, 29 per Bologna – IlSole24ore 7-11- L’assemblea triestina di Piazzale Europa,
re in maniera 08). Tra questi non compare Trieste che anzi svoltasi il 29 ottobre in un clima di granpiù cosciente nel periodo 2009-2011 avrà un taglio pari a de libertà, oltre ad aver chiarito molti dubbi
all’elaborazio- 1.700 euro circa per studente (elaborazio- a questo e ad altri riguardi, ha approvato il
documento elaborato il giorno precedente
ne di iniziative ne IlSole24ore, 10 novembre 2008).
concrete
per Il turn over viene inoltre ridotto dal 20% dall’assemblea di Gorizia, che è stato letto
manifestare il al 50%, ma il 60% delle risorse liberate do- di fronte agli astanti da Nastasi.Tutto dundissenso
del vrà essere impiegato per assunzioni di ricer- que è ancora in movimento per l’università.
nostro
cor- catori, in modo tale che per ogni docente in Di certo molto è cambiato dagli inizi di otso di Laurea. pensione si assumano tra i 2 ed i 3 ricerca- tobre ed il Decreto di lunedì va senz’altro
La piattafor- tori (si punta a 3.000 ricercatori in più nel nella direzione giusta. Restano però alcuni
punti i cui sviluppi sarà importante seguire
ma condivisa 2009).
dall’assemblea, Sono stanziati inoltre 65 milioni di euro in nella Riforma vera e propria: dalle Fondastri tempi.
ed esposta nel documento proposto dai rap- più per le residenze universitarie e 135 zioni Private all’abbattimento dei privilegi
Da un punto di vista più prettamente ammi- presentanti ed approvato nella seduta, è sta- milioni per le borse di studio, in modo da del ceto accademico. Come ci insegnano le
nistrativo è invece emersa anche quest’an- ta quella di un dissenso nei confronti di un accorciare il gap che ci distanzia dagli altri Scienze Politiche, è importante ora non speno la necessità di utilizzare parte dei fondi provvedimento miope che non curandosi di paesi europei (siamo ultimi in Europa per gnere i riflettori sull’università e continuare
studenteschi di facoltà 2009 (20.000 dei una riforma globale del sistema universita- numero di studenti riceventi borse di studio: a vegliare sull’operato di governo ed opposizione in maniera consapevole ed informa70.000 euro del fondo) per la copertura di rio puntava solo a ridurne i costi, e non gli 11% contro l’86% della Gran Bretagna).
alcuni corsi previsti per l’anno accademico sprechi, che invece sono tanti e sarebbero Vengono confermati i concorsi già banditi ta, esercitando al meglio la nostra Facoltà
2008-2009. Nello specifico per Gorizia era- restati tali perché nulla si faceva nello spe- anche se le regole cambieranno. Per i ri- di Dissentire. È stato questo anche il senso
no a repentaglio i corsi di Spagnolo I e II e cifico contro di essi. Con il taglio drastico cercatori la commissione sarà formata da 2 profondo della giornata di leizoni all’aperdi Arabo II, che senza questi fondi non sa- del Fondo di Funzionamento Ordinario da ordinari (uno nominato ed uno sorteggiato) to, lunedì 10 novembre. Circa 60 studenti
rebbero potuti partire. La querelle sui fon- 1441 miliardi per il prossimi anni non si as- ed un associato, nessuno comunque appar- hanno ascoltato interessati le lezioni tenudi studenteschi usati per coprire le attività sicurava affatto una razionalizzazione della tente all’ateneo che bandisce il concorso. tesi in Piazza Sant’Antonio e nella Galleria
didattiche si ripete in realtà ogni anno. In spesa: nessuna distinzione era prevista tra Mentre dal 2010 la selezione “è effettuata in Corso Verdi, attirando anche l’attenzione
cambio della disponibilità a spendere questi le università virtuose e le altre, tra i docenti sulla base dei titoli e delle pubblicazioni un po’ curiosa dei passanti goriziani. Alle
soldi per le suddette attività già program- che fanno ricerca e gli altri…solo un taglio dei candidati, ivi compresa la tesi di dot- splendide lezioni dei professori Tonchia,
mate il Consiglio di Facoltà del 5 novem- che avrebbe colpito tutti e che combinato torato, utilizzando parametri riconosciuti Goio, La Mantia, Schulze, Scarciglia, Abenante, Scaini e Palmisano è seguito l’interbre ha però accolto quest’anno la richiesta con il turn over al 20% avrebbe messo a ri- anche in ambito internazionale”.
vento del Preside Gabassi che ha focalizzato
dei rappresentanti di attivare nel secondo schio tutto il sistema
l’importanza della qualità della didattica e
semestre di questo stesso anno accademico universitario.
Una piccola idea sulle proteste
dell’amministrazione, con un occhio anche
quattro corsi da 60 ore a contratto, il cui co- Pur restando invariaLa satira, secondo la Corte Costituzionale, è pietra angoai rischi per Gorizia nell’ambito della raziosto sarà coperto da parte dei restanti fondi ta l’entità dei tagli al
lare dell’ordine democratico. La sua scomparsa dai mass
nalizzazione delle sedi distaccate.
studenteschi (circa 12.000 euro). Si tratterà FFO, da allora molte
Auspichiamo che altre iniziative continuino
di Russo I, Portoghese I, Storia ed Isti- cose sono cambiate. media, dove è simulata dallo sfottò, ne sancisce la latenza
tuzioni dell’America Latina e Economia Con il Decreto del voluta proprio per la sua pericolosità, dato che mina l’iden- non per un dissenso fine a se stesso, ma per
tenere viva l’attenzione e creare la consapePubblica (o Scienza delle Finanze). È però MIUR
pubblicato tità stessa di chi colpisce, smitizzandolo e umanizzandolo:
volezza alla base di un eventuale dissenso,
da segnalare la protesta avanzata da parte lunedì in gazzetta devastante per chi fa affidamento sul carisma.
affinchè, qualunque giudizio esprimeremo
del corpo docente (in particolare dai ricer- ufficiale il ministro La satira castigat, ridendo mores; dunque perché non usarsulla riforma che verrà, esso sia argomentacatori) che hanno contestato la richiesta Gelmini ha apportato la per la protesta studentesca, invece di dare un titolo a chi
degli studenti ricordando che il SID non è alcune modifiche ai si contesta, riconoscendoglielo per il solo fatto di contestar- to sulla realtà dei fatti.
Da leggere: L’università corrotta, di Roberun corso di lingue, che corsi come il cinese, tagli precedentemente lo? Infatti, buggerando il governo riguardo la finanziaria e
to Perotti ed. Einaudi; La crisi del potere
quando c’erano, andavano deserti e che in varati dal governo.
l’opposizione riguardo il cavalcare la protesta studentesca
accademico italiano, di Gilberto Capano e
un momento di vacche magre non dovreb- Rendendo effettive
(di fatto non politica), mostrandosi smaccatamente concordi Giuseppe Tognon ed. Arel-Il Mulino; Come
bero essere sprecati fondi per “corsi inutili direttive della financambia la scuola, instant book del Sole24come questi” affidati a contratto a personale ziaria 1998 (rimaste si delegittimerebbe l’autorità perché si incrina il suo ricoore.
esterno.
Attilio Di Battista
lettera morta fino ad noscimento. Se qualcuno dirà per questo che non si cerca il
Rappresentante degli Studenti in CdF.
Nello stesso CdF del 5 novembre è stata oggi) vengono bloc- dialogo, noi dunque si andrà in piazza a mezzodì a cercarlo
[email protected]
proposta dal Preside Scarciglia la modifi- cate tutte le assun- con un lanternino in testa.
ca del regolamento di Facoltà per rendere zioni (di docenza ma
Fabio Raffin, [email protected]
Occhi puntati sull’università
Sconfinare
Scripta Manent
8
Novembre 2008
Rapporto Migrantes 2008 sugli Italiani all’estero
Un’amara fotografia della condizione dei giovani italiani
Migrazione. Un termine che può assumere differenti sfaccettature a seconda del
suffisso che gli si aggiunge. Un termine
che in Italia, ormai da molto tempo, viene
visto solo nel senso di im-migrazione: in
un Paese che ormai ha raggiunto il massimo sviluppo economico, che fa parte
del G8, sembra naturale parlare solo di
im-migrazione. Ed è infatti ciò che viene
fatto normalmente dai media, e dai politici, ed alcuni hanno demonizzato questo
fenomeno, facendo della lotta contro di
esso un cavallo di battaglia per raggiungere il potere.
Ma l’Italia molto spesso dimentica il suo
non tanto remoto passato. Soprattutto
quel Nord Est dove ora prolifera l’intolleranza verso lo straniero, sia regolare o
meno, dove coloro che ora sono ricchi industriali provengono da famiglie contadine, che hanno sperimentato l’altra faccia
della migrazione: l’e-migrazione.
Il nostro Paese ha infatti una storia di emigrazione lunga 150 anni, verso tutti gli
angoli del mondo, dalla Germania, dove
venivamo chiamati Gastarbeiter, alla
Svizzera, dove eravamo tra i meno voluti;
dal Sud America alla costa atlantica degli Stati Uniti; dalle ex colonie Italiane,
alla lontana Australia. In questi 150 anni
molti nostri connazionali hanno scelto di
abbandonare l’Italia in cerca di fortuna
all’estero: l’immagine che subito viene
in mente è quella stereotipata dei contadini che partono con la valigia chiusa con
lo spago verso un futuro ignoto, carichi
solo delle proprie speranze, proprio come
quelli descritti dal film Nuovomondo. Ma
oggi questa immagine non s’addice più
agli italiani che decidono di crearsi un futuro all’estero.
Dal “Rapporto Italiani nel Mondo 2008”
pubblicato dalla Fondazione Migrantes
emerge infatti che la maggior parte degli
italiani residenti all’estero (il 51%) è costituita da giovani sotto i 35 anni, con un
grado di istruzione elevato, che ha deciso
di andarsene dall’Italia per poter occupare ruoli di prestigio e di responsabilità che
altrimenti non sarebbero stati loro accessibili, e che in generale non ha intenzione
di ritornare in patria, in quanto non vede lì
delle prospettive soddisfacenti per il proprio futuro. Molti di questi giovani lavorano in ambito scientifico e in particolare
nella ricerca, andando così a alimentare il
fenomeno della “fuga dei cervelli”. Così
molti di coloro che compiono scoperte
fondamentali per il progresso e la scienza, ad esempio negli Stati Uniti, sono
molto spesso immigrati italiani di prima
generazione, che lì hanno trovato i fondi e qualcuno che crede nei loro progetti.
Così molti studenti italiani, una volta finiti gli studi universitari optano per fare
il proprio dottorato in un Paese straniero,
dove questi progetti hanno sovvenzioni
sufficienti, e coloro che li portano avanti
hanno un sostegno concreto.
Leggendo questo rapporto, i cui dati si
riferiscono al 2007, mi chiedo come sia
possibile che il governo attualmente in carica abbia progettato un taglio considerevole dei fondi alla ricerca e all’università,
in un piano quinquennale che supererà il
miliardo di euro.
Questo infatti, a mio parere, va contro
ogni principio basilare dell’economia e
del buon senso. Nel momento in cui si fa
un investimento nell’educazione, sia essa
quella dell’obbligo o quella universitaria,
sarebbe una mossa non tanto azzardata
preventivare poi lo sfruttamento di tale
risorsa a proprio vantaggio. Mi spiego:
nel momento in cui lo Stato italiano investe nell’educazione di uno studente dalla
prima elementare al quinto anno dell’università, attraverso l’insegnamento, i ser-
vizi amministrativi e le sovvenzioni per
la scuola dell’obbligo, verrebbe naturale
pensare che abbia già pianificato un impiego di questo potenziale. Questo è il
pensiero più logico in teoria, ma nella realtà, stando a questo rapporto, non è proprio così. L’Italia non ha interesse ad investire nelle giovani menti che essa stessa
ha fatto crescere, e la prova è data proprio
da questi tagli. Riducendo ancora di più
le già esigue risorse destinate alla ricerca,
cercando di trasformare le università pubbliche in un ibrido non ancora ben definito dal punto di vista giuridico, il governo
attuale sta svendendo il futuro del paese,
facendo sì che la ricaduta dei propri investimenti venga registrata in altri paesi.
Dal rapporto Migrantes 2008 emerge anche un altro aspetto fondamentale della
gioventù italiana. A differenza di un tem-
Palazzo Yacoubian
di ‘Ala al-Aswani
Ogni romanzo, per definizione, racconta
una storia. Oggi siamo sommersi da romanzi di ogni genere e da ogni parte del
mondo. È però veramente raro trovare un
libro che non si limiti a raccontare una storia, ma che presenti e condensi in sé tutto
un Paese, tutta una società, tutta un’epoca. Questo è il caso di Palazzo Yacoubian, primo romanzo del medico egiziano
‘Ala Al-Aswani. In esso si raccontano le
vite di diversi abitanti,ricchi e poveri, di
questo palazzo nel cuore del Cairo, una
volta sfarzoso, oggi decadente. Davanti
a noi compaiono l’aristocratico decaduto
amante della Francia e delle donne, il figlio del portiere che abita sul tetto e sogna
di fare il poliziotto, ma finisce per unirsi
ai Fratelli Musulmani, la sua fidanzata,
che per lavorare deve sottostare alle “richieste” dei datori di lavoro, l’intellettuale
gay, e molti altri personaggi. Al-Aswani
è molto abile nel tenere l’attenzione sullo svolgimento dell’azione, alternando
le varie storie, accompagnandoci un po’
nelle vite dei protagonisti e poi lasciandoli ad un certo punto, per poi riprenderli
dopo alcune pagine. In questo modo, riesce a creare una narrazione corale in cui
nulla è ridondante, nulla è fuori posto, e
tutto fluisce dalla prima all’ultima pagina. Infatti, la caratteristica del romanzo è
quella di essere, potremmo dire, “neorealista”: l’autore non compare, si limita a
raccontare e ad ordinare i fatti, lasciando
il giudizio su ciò che accade agli stessi
personaggi e al lettore, che è chiamato a
raccogliere tutti i segni nelle singole storie per capire la società egiziana nel suo
complesso. Ma comunque l’intento del
“documentarista” è ben chiaro: si tratta di
un’accusa violenta alla società egiziana,
in preda all’ipocrisia, alla corruzione , al
classismo e ad un servilismo interessato.
Per l’autore, l’Egitto moderno è governato da una classe dirigente per cui “quello
egiziano è il popolo più obbediente che ci
sia, perché è fondamentalmente pigro e
accondiscendente; non occorrono brogli,
l’Egiziano voterà per chi ha il potere in
quel momento”. Ma nonostante i politici
del libro dicano così, la corruzione c’è, ed
è tanta, a tutti i livelli. Per qualunque posto di rilievo occorre pagare, ed è così che
i poveri sono senza speranza, e la ricchezza si perpetua nelle mani degli stessi ricchi. Nelle figure di Taha, il povero figlio
del portiere, e la sua fidanzata Buthyaina
si legge la rassegnazione, il desiderio di
uscire da un Paese che non può offrire
niente a loro se non umiliazioni. Un Paese claustrofobico, chiuso deliberatamente
ad ogni progresso. Ed è in tale situazione
po, in cui la maggior parte degli emigrati
italiani era impiegata in attività poco qualificate, oggi i giovani italiani all’estero
ricoprono ruoli di prestigio o per cui è
necessaria una formazione di alto livello.
Questo significa che la volontà di imparare, di mettersi alla prova e di realizzarsi
non ci manca, anzi. E tutti i giovani che
manifestano in questi giorni per un futuro
più roseo per le nostre università lo confermano. E allora la domanda sorge spontanea: perché investire centinaia di milioni euro in aziende fallimentari, per salvare
non si sa poi bene che cosa, privando le
generazioni future, e quindi il tutto Paese,
di prospettive allettanti e competitive rispetto ai paesi a noi vicini? Speriamo che
qualcuno sia in grado di rispondere, senza
contraddirsi subito dopo.
Leonetta Pajer
[email protected]
che la rassegnazione e la povertà si mescolano, e portano giovani come Taha ad
avvicinarsi al fondamentalismo islamico,
visto come promessa di una vita migliore,
ma anche come protesta verso uno Stato,
che si proclama laico, che ha fallito.
Quindi, questo romanzo ha una forte valenza sociale, anche per il fatto che AlAswani in Egitto è uno degli intellettuali
più attivi nella protesta contro la dittatura
di Mubarak. Ma oltre a presentare il Cairo
del 2002, dà anche a noi, lettori occidentali di regimi cosiddetti “democratici”,
motivi di riflessione. Dopotutto, i personaggi sono sì abitanti dell’Egitto contemporaneo, e in quanto tali ben caratterizzati; ma essi sono anche un esempio vivido
di tutti i tipi umani. I desideri e i sogni
di Taha sono gli stessi sogni e desideri di
ogni adolescente, e così sono le sue delusioni e le sue angosce, che lo spingono
a trovare riparo tra i Fratelli Musulmani;
cerca un nuovo senso nella vita, e questa
ricerca si mescola alla rabbia di non essere accettato com’è. Ogni giovane ci si
può riconoscere, come si può riconoscere nel desiderio di andarsene di Buthyaina. Poi c’è il vecchio nobile nostalgico,
amante delle donne e del vino, simbolo di
un edonismo orgoglioso , ma anche della
paura di invecchiare; e l’intellettuale gay,
alfiere di una minoranza combattuta, ma
nonostante ciò orgoglioso e dignitoso nella sua scelta di vita. Si potrebbe continuare così per molto, visto che ogni personaggio racchiude in sé un mondo; ma ciò
che veramente conta è che questo dentista
del Cairo, strenuo difensore della libertà
di parola, è riuscito a creare un gioiello
di letteratura, ben calato nella società in
cui vive, ma contenente tutto l’universo
delle passioni e dei difetti umani. Proprio
come solo i grandi libri possono fare. ‘Ala
è grande.
Giovanni Collot
[email protected]
“È bello morire per ciò in cui
9
Sconfinare
Scripta Manent
Novembre 2008
Chi ha paura muore ogni giorno
si crede: chi ha paura muore
ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”: la
frase di Paolo Borsellino da
cui è significativamente tratto
il titolo riassume perfettamente la vita di
questi 2 grandi magistrati, incrollabilmente
onesti e coerenti.
Giuseppe Ayala fu il loro più stretto collaboratore, a partire dalla costituzione del
superpool all’interno della procura di Palermo fino a rappresentare l’accusa al maxiprocesso contro la mafia di fine anni ‘80.
Lo stile scelto da Ayala è quello del racconto, condito da numerosi squarci sulla
sua vita privata: questo libro infatti non è
solo un doveroso ricordo dei suoi colleghi
e amici Falcone e Borsellino, ma anche una
maniera per Ayala di rispondere a tutte le
malignità che i suoi avversari hanno continuamente insinuato sul suo conto e sulle
loro iniziative in generale. Come scrive lui
stesso: “Qualcuno ha scritto che, a 15 anni
di distanza da quel tremendo 1992, Ayala
ha pagato il torto di essere vivo”: questa
frase condensa il dolore provato per tutte le
umiliazioni che Ayala ha dovuto subire in
dignitoso riserbo.
D’altronde, i grandi uomini hanno sempre
molti nemici. Quando poi si vanno a toccare interessi di enorme portata, è ovvio che
il minimo che ci si possa aspettare siano
falsità e attacchi continui.
Forse Ayala, il miglior erede di quella gran-
gine in cui affiora la stanchezza di una vita continuamente
in tensione, con la paura di
essere uccisi da un momento
all’altro, si potrebbe pensare
che sia stata una scelta in parte volontaria. Io, francamente, non posso
certo biasimarlo.
Falcone e Borsellino, per quanto sfiduciati
e depressi dalla cappa di ostilità che li copriva, furono più tenaci. Le conseguenze
sono note: 23 Maggio e 19 Luglio 1992,
l’Italia perde gli avvocati che tutto il mondo ci invidiava (tanto per dare una misura
di questa ammirazione, nella scuola della
CIA fu eretta una statua a Falcone!).
Non ci si può certo illudere che un problema enorme come quello della mafia abbia soluzioni facili. Osservando le cifre e
studiandone le cause, ci si può facilmente
abbandonare a un cinismo senza speranza
riguardo alle possibilità di successo della
lotta contro la mafia. Prima di leggere questo libro, non ero certo lontano da un simile
pessimismo: ora non posso comunque abbandonare uno sguardo disincantato, però
sento il dovere di continuare la lotta, assolutamente giusta, per rendere onore alla
memoria di questi grandi uomini.
Un libro che vale più di 1000 lezioni di
educazione civica e di discorsi ufficiali:
se non si vuole perdere la speranza, quasi
obbligatorio.
Federico Faleschini
[email protected]
I miei anni con Falcone e Borsellino - di Giuseppe Ayala
SICILIA
"Nel mondo siamo conosciuti anche per
qualcosa di negativo...
Quelle che voi chiamate piaghe... Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: L'Etna,
il vulcano, ma è una bellezza naturale...
Ma ce ne un'altra grave che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito... La
Siccità... la terra brucia e sicca, una brutta
cosa... Ma è la natura... e non ci possiamo
fare niente...
Ma dove possiamo fare e non facciamo,
perché in buona sostanza, purtroppo non è
la natura ma l'uomo... dov'è? È nella terza
di queste piaghe che veramente diffama la
Sicilia e in patticolare Palemmo agli occhi del mondo... ehh... lei ha già capito,
è inutile che io gli lo dica... mi veggogno
a dillo... è il traffico!!! Troppe macchine!
è un traffico tentacolare, vorticoso, che ci
impedisce di vivere e ci fa nemici famigghia contro famigghia, troppe macchine!"
Così parlava della sua Sicilia lo "zio avvocato", il personaggio uscito dalla penna di Cerami e Benigni per il film Johnny
Stecchino.
Entro in Sicilia nel modo migliore: sorvolandola. La scorgo in tutto il suo splendore
mentre l' Etna comincia a riempire la scena senza sembrare per niente una piaga.
Vedo gli stessi orti, frutteti, vigneti solcati dalla lava, che Piovene aveva visto nel
suo Viaggio in Italia cinquanta anni fa. Le
cose saranno cambiate?
de esperienza civile che fu il maxiprocesso
a Cosa Nostra, non avrebbe dovuto tacere
e tenere gli occhi bassi, se il governo e la
classe politica tutta avessero sostenuto lui
(e anche Falcone e Borsellino, finché erano
in tempo) o gli avessero riconosciuto tutti i meriti che gli spettavano. Il problema
è che il supporto che lo Stato diede fu a
tratti forte (durante il maxiprocesso vero
e proprio, ad esempio), ma discontinuo: è
Falcone stesso a dire che “Prima di tutto
bisogna non essere soli...”, dopo l’omicidio di un mafioso, uno delle migliaia di
omicidi che insanguinavano la Sicilia degli anni ‘80. Soli come Dalla Chiesa, Ninni
Cassarà, Rocco Chinnici e molti altri, che
non devono essere dimenticati e che Ayala
ricorda dalla prospettiva unica di chi è stato protagonista di quelle vicende.
Già alla fine degli anni ‘80, la classe politica italiana cominciò a intuire il disastro
imminente di Tangentopoli: non era certamente il clima adatto per permettere di
scavare più a fondo in quel mare di omertà e collusioni che avrebbe sicuramente
affrettato una fine comunque inevitabile.
L’istinto alla sopravvivenza prevalse sulla
volontà di squarciare il velo di ipocrisia,
quasi impenetrabile, che nascondeva le
Conosco la Sicilia attraverso il suo traffico, la piaga delle piaghe. Il traffico che ci
porta a Catania e che ci accompagna per
tutta la città. Anche l' Etna non ti lascia
mai e ti intimidisce. Ti guarda dalla via
Etnea, la Broadway del mezzogiorno, con
lo sguardo dei Ciclopi che ancora là sotto lavorano alla forgiatura delle saette di
Zeus. Catania accoglie il freddo nordico
nel suo vortice di colori e voci esagerate a
cui presto mi abituo con piacere. Accompagnato dai tre siciliani (ma precisiamolo
pure che due di loro, pur essendo immigrati intranazionali, non hanno perso un
pizzico di sicilianità!) il mio battesimo
avviene con il caffè più entusiasmante di
tutta la vita: una crema che è ancora più
piacevole non zuccherata.
Seguendo i filari di aranci ci muoviamo
verso la costa tirrenica, verso il panorama
delle isole Eolie.
Si deve dare una certa ragione al geografo
arabo Idrisi quando scrive che "non esiste
terra né paese più bello ed emozionante di
Milazzo". Vi si respirano tutti i popoli che
in questa cittadina hanno lasciato traccia:
greci, romani, arabi e tedeschi. Il castello,
con le sue sette cinte murarie di altrettante
epoche, domina sul mare; si vedono le Eolie là a sinistra e Capo Milazzo ci abbraccia a destra, con i suoi profumi di erica,
mirto e ginestre. Febbraio non ci concede
il piacere di un bagno salato. L' acqua è
ancora troppo fredda e mossa. Allora mi
accontento di riempirmi i polmoni con il
vento del sud. Il mare, in controluce, prende il colore del peltro.
collusioni con la mafia: un comportamento
umanamente comprensibile, certo, ma che
ebbe conseguenze di portata incalcolabile.
Sarebbe stata forse l’ultima occasione di
dimostrarsi classe politica seria e responsabile (sia a sinistra che a destra) e non
fu colta. L’amarezza di Ayala nel vedere
lo smantellamento della struttura investigativa e processuale faticosamente messa
in piedi assieme agli altri magistrati della
Commissione Antimafia è grande, tanto
più vedendo che a questo di accompagnava l’emarginazione sua e di Falcone e
Borsellino, specie da parte dei membri del
Consiglio Superiore della Magistratura.
A che gli domandava perché fosse stato
l’unico a sopravvivere alla mafia, Ayala rispondeva: “Mi ha salvato l’ENEL”:
risposta provocatoria ma non troppo ed
indicativa del processo di isolamento ed
esclusione che Falcone, Borsellino e Ayala
dovettero subire una volta che l’attenzione
dei media e soprattutto la protezione delle istituzioni svanirono. Il fatto che Ayala
fosse deputato a gestire pratiche irrilevanti
non fece scattare la fatale combinazione di
cui parlava Della Chiesa: essere personaggi scomodi, pericolosi, e soprattutto essere
isolati. Ayala fu “depotenziato”: dalle pa-
Ogni numero
una regione
raccontata dagli
occhi di chi l’ha
vista per la
prima volta
Viaggio
in Italia
A Milazzo si può conoscere chi investe
la propria vita nella lotta alla piaga che lo
"zio" evita di nominare. Riccardo Orioles
fa parte del movimento antimafia da sempre. Comincia negli anni settanta, lavorando nelle radio libere e nei giornali locali. Con Giuseppe Fava, ucciso una sera
del 1984, fonda il mensile "I Siciliani",
coraggioso e deciso nei toni, si espone a
molti rischi. Malgrado le difficoltà, Riccardo continua nel suo importante lavoro
di informazione trasparente: pubblica periodicamente la "Catena di San Libero",
alla quale vi invito ad iscrivervi per supportare il lavoro di un grande giornalista
che della controinformazione in rete ha
fatto il suo punto di forza, una persona che
ha mantenuto lo spessore delle sue scelte
e non si è abbassato agli sfavillii dei grandi media nazionali.
Messina è rimasta un vivaio di medici.
In prossimità della facoltà di medicina, è
tutto un formicaio di camici bianchi. Ho
la fortuna di seguire una lezione in questa
facoltà, tristemente famosa per aver co-
minciato il tango dello scandalo dei quiz
di ammissione di due anni fa. Vedo i volti
dei raccomandati, gli stessi che giravano
in tivù, e penso che i messinesi non potranno più brillare nella professione più
classica.
Dalla casa in cui passiamo la notte distinguo le luci della costa calabrese e immagino il ponte sullo stretto e i treni che vi
sfrecciano sopra e che raggiungono velocemente l' Italia continentale e provo a
farmi spiegare da qualcuno quale sarebbe
la differenza tra la Sicilia con il ponte e la
Sicilia senza.
Il giorno successivo, il treno è in orario
e non ci sono particolari problemi a raggiungere velocemente l' altra sponda.
La sensazione di essere stato in mezzo a
gente che mi pare di aver sempre conosciuto accompagnerà per sempre i ricordi
della mia prima esperienza siciliana. Il
treno saltella e mi concilia il sonno.
Alessandro Battiston
[email protected]
10
Non deve apprendere nessuna conoscenza con spirito servile. L’ha detto
Platone.
Nel mio piccolo, io sarei dovuto andare
a lezione di Arabo oggi. Però non l’ho
fatto.
Mi chiamo Rodolfo e sono a Gorizia da
cinque anni. Lo direi un periodo lunghetto, anche se un anno ho deciso di
giocarmi il jolly Erasmus. Non mi sono
ancora ambientato, ma fortunatamente
la stabilità non è più una priorità. Da
quando mi sono immatricolato per la
prima volta sono cambiate così tante
cose che ho rinunciato persino a tenerle
a mente. Ora, per sapere quanti e quali
esami mi mancano faccio affidamento
sul mio libretto elettronico. E sbaglio
sempre.
Il punto, comunque, non è questo. Se
scrivo questo articolo, e so che finirà in
“stile libero” e non in “università”, è proprio perché non voglio muovere critiche
ad alcunché di concreto e di modificabile. Se scrivo parlo di me, ed è perché
mi sembra con ciò di riuscire a sfogare
un senso di frustrazione e d’umiliazione
che spero non mio solamente.
Il punto è questo: non sono andato a lezione di Arabo. Avrei voluto andarci, sapete, ma semplicemente non l’ho fatto.
Perché da un po’ di tempo, a mio vedere, qualcosa si è inceppato nel senso del
grande meccanismo generale, qualcosa
si è inceppato ed a volte mi pare che sia
quasi un portato biologico, il rifiutare di
comprendere perché degli esseri umani
di ventitré anni, l’età più vitale, l’età più
fertile in un certo senso, debbano essere
Capita a volte di vergognarsi moltissimo, per una gaffe, per un errore, per
l’atteggiamento di un’altra persona. Io
mi sono vergognata moltissimo la prima
volta che ho letto il testo della legge 19
febbraio 2004 n.40 “in materia di procreazione medicalmente assistita”.
Il 12 e 13 giugno 2005, Radicali, Ds, Sdi,
Rifondazione comunista e Associazione
Coscioni sono riusciti ad indire un referendum, appoggiato da esponenti della
stessa maggioranza come l’on. Fini, che
verteva sull’abrogazione di quattro punti cardine della suddetta legge:
- lo stop della ricerca scientifica sulle
cellule staminali embrionali
Secondo le direttive della 40/04 è vietata la produzione di embrioni per scopi
scientifici, è vietato l’utilizzo degli oltre
25.000 embrioni congelati e destinati
per decorso naturale a deperire in 5 anni
dal congelamento (si tratta di embrioni
soprannumerari, ovvero prodotti e conservati prima del 2004 per un eventuale
secondo impianto). E’ vietata, inoltre, la
clonazione terapeutica, ovvero la possibilità di creare cellule geneticamente
identiche a quelle di un individuo con
Sconfinare
Stile Libero
Un uomo libero
costretti ad imparare.
“Imparare”, capite? Ancora. Quando
concluderò la laurea specialistica, avrò
studiato per diciotto anni della mia vita,
se a Dio piacendo sarò in orario, senza
essermi perso troppo e stringendo i denti, come tutti. Diciotto anni (so che in
questo momento non ci credete e state
contando. Però è così. Pazzesco, eh?).
E cosa mi sarà rimasto? Probabilmente
la mia sola capacità di leggere e scrivere (sulla terza, il “far di conto”, ho già i
miei dubbi). Non credo d’essere particolarmente stupido. Però quello che resta
di ogni libro, di ogni esame, è un sorso
un fondo un residuo, un po’ di cenere,
un “non lo so”. Quali sono le clausole
dei trattati x e y? Non lo so. Chi si ricorda anche solo i princípi basilari della
statistica? Io no di certo. Eppure quello
fu l’esame che preparai meglio, sei mesi
passati a sudar duro e punteggi pieni ad
ogni parziale. Non ci fu nemmeno bisogno dell’orale, ottenni la piena assoluzione con lode sulla fiducia. Ed è come
se non avessi mai aperto quei libri.
E allora, perché continuare? Onestamente, voglio dire.
A volte ho l’impressione che tutto ciò
serva ad autoalimentare una struttura.
La laurea è richiesta per trovare lavoro,
teoricamente. E non sto parlando della laurea triennale, perché quella è lo
scherzo più sadico ed inutile che questo
sistema ha giocato alla mia generazione.
Ogni laureato è prezioso alla società. E
non solo in senso ideale. Per ogni laureato ci sono soldi, molti soldi: i soldi
dei professori e dei segretari, certo; ma
anche delle imprese delle pulizie; dei
portinai; delle librerie e delle copisterie;
dei padroni di casa; dei baristi; dei locali; anche delle ferrovie, a ben vedere.
Avete mai preso un treno di pendolari?
Siamo troppi. Viene da chiedersi se non
siamo per caso tutti le consenzienti vittime di un’illusione collettiva, di una
grande mistificazione, di una presa in
giro. Malthus riderebbe di gusto.
Diranno che ciò che si acquisisce
P r o a b r o gaz io ne
del l a l eg ge 4 0
il solo scopo di curarne eventuali patologie (come diabete, infarto, fibrosi cistica, autismo, sclerosi multipla, morbo
di Parkinson, alcune forme di cancro,
osteoporosi, lesioni del midollo spinale,
ictus, sclerosi laterale amiotrofica, Alzheimer). Le stime parlano di 10 milioni di persone curabili con le staminali.
L’ipocrisia sta nel fatto che la ricerca
condotta su embrioni importati da paesi
esteri è perfettamente legale.
- norme sui limiti all’accesso alla
procreazione medicalmente assistita
Per sottoporsi alle tecniche di fecondazione assistita i medici devono aver
scoperto con certezza le cause della sterilità (in caso contrario si rimane sterili
e senza aiuto medico) e le coppie devono aver seguito qualsiasi altro possibile
metodo di guarigione. Le coppie non
sterili ma portatrici di handicap genetici
non possono accedere alla PMA. Inoltre
possono essere fecondati solo 3 ovociti
e tutti e 3 devono essere impiantati. Nel
caso di fallimento la donna deve sottoporsi a una nuova stimolazione (per produrre altri ovociti che avrebbero potuto
esserle estratti durante il primo ciclo) e
ad un nuovo impianto triplice. Le cellule, una volta fecondate, devono essere
impiantate anche se portatrici di malattie genetiche. Alla donna viene lasciata
la possibilità di abortire (una, due o tre
volte nello stesso ciclo di impianto) nel
caso non voglia portare a termine la gravidanza di un feto malformato.
- le norme su finalità, diritti, soggetti
coinvolti
Secondo le direttive legislative l’embrione, già all’inizio del suo sviluppo
(zigote, ovvero cellula singola), gode
degli stessi diritti della persona. Il diritto alla salute della madre, dunque, viene
subordinato al diritto all’integrità fisica
dell’embrione. Questo provvedimento è tutt’ora in contrasto con il diritto
Giugno 2008
all’università, o nell’apprendimento in
generale, è un modus vivendi. Ed abbiamo imparato benissimo, ed a velocità
sconcertante, tutto ciò che occorre, giusto? Giusto. Abbiamo imparato a non
avere ragione; a temere ogni esame o
ritorsione minacciata, vera o presunta;
abbiamo imparato mezzucci e gelosie;
ad essere più svelti degli altri oppure ad
imitarli; soprattutto abbiamo imparato
ad appiattire la nostra stupenda vivacità intellettuale sulla spenta corda d’una
cultura sempre identica a sé, che spicca
solo per la sua autoreferenzialità.
E per questo era già sufficiente un liceo.
Ci fossimo fermati lì, avremmo impiegato solo tredici anni. Invece ne bruceremo diciotto, e forse ancora non avremo
appreso nulla della vita, e continueremo
a sonnecchiare, eterni adolescenti nella
nostra bella cameretta, ed Almalaurea ci
proporrà nuovi master. Perché non si finisce mai di imparare.
Però insomma, eccoci qui. Ci piaccia
oppure no. L’inerzia è una cosa meravigliosa. Al quinto anno, teoricamente
l’ultimo, con degli esami che hanno il
nome di quelli già sostenuti alla triennale, e spesso con i medesimi professori.
Almeno nel mio caso.
Così torniamo al punto di partenza. Ed
avrei voluto andarci a quel corso di Arabo. Sul serio. E’ un ottimo corso, l’insegnante è davvero fantastica, e mi pare
un’opportunità da non perdere. Magari alla prossima lezione sarò presente.
Però oggi non l’ho fatto.
Rodolfo Toé
rodolfo.toè@sconfinare.net
all’aborto, con il ricorso alla pillola del
giorno dopo e con il codice civile italiano che riconosce la titolarità di diritti e
doveri solo al momento della nascita.
- il divieto di fecondazione eterologa
E’ vietato ricorrere a gameti provenienti
da individui esterni alla coppia. La legge, pertanto, impedisce di avere un figlio alle coppie in cui uno dei due o entrambi i membri siano sterili. Gli esclusi
potrebbero essere persone nate sterili
ma anche persone che lo sono diventate
a seguito di interventi chirurgici o trattamenti antitumorali, così come i portatori
di gravi malattie trasmissibili.
Il referendum è risultato nullo perché
il quorum (50% più 1) non è stato raggiunto. I votanti sono stati il 25,9% degli
aventi diritto; di questi una percentuale
tra il 77 e l’88% ha votato per l’abrogazione di tutti e quattro i punti. Perché
la richiesta di un referendum abrogativo
possa essere reiterata è necessario il decorso di un periodo pari a cinque anni.
Ne mancano ancora due.
Valeria Carlot
[email protected]
Sconfinare
Stile Libero
2008 Marzo
11
Sul caso Petrella
Lettera aperta al presidente Sarkozy
Monsieur le Président,
per fortuna non sono un parente delle
vittime delle Br, né sono venuto a trovarla all’Eliseo per sentire le sue meschine
giustificazioni, ma sono un osservatore
e il mio disgusto basta a darmi la volontà di prendere il computer e scriverle
questa lettera aperta.
Il suo atto di rifiutare l’estradizione della
ex brigatista Petrella risulta supponente
e senza giustificazioni. Innanzitutto, ancora non mi capacito di come la Francia
abbia potuto essere nella storia il rifugio di criminali condannati da Tribunali
dello Stato italiano: se ancora oggi si
discute dell’estradizione di tali persone,
vuol dire che vi è stata una protezione
da parte della Francia, ignara per lo più
di ciò che è stato il terrorismo rosso. A
prescindere da queste valutazioni storiche, mi fermo sui fatti ultimi accaduti.
Lei rifiuta l’estradizione appellandosi al
trattato italo-francese sull’estradizione
di terroristi, più in particolare all’articolo che prevede il potere presidenziale di
impedire l’estradizione per cause legate
al rispetto dei diritti umani. Questo mi
scaturisce una doppia riflessione.
In primo luogo, il suo atto vela supponenza e superiorità della Francia nei
confronti dello Stato italiano. Crede che
qui sia il terzo mondo? Crede forse che
i diritti umani non siano rispettati ancora oggi in Italia? Forse lei dovrebbe
spolverare le sue idee e ricordarsi che
l’Italia ha promosso presso le Nazioni
Unite la mozione contro la pena di morte. E in fin dei conti, gli stessi ex brigatisti sono trattati con i guanti, visto che
il Sig. Sofri ha addirittura trovato lavoro
in Biblioteca, nonostante la crisi occupazionale. La clausola del rispetto dei
diritti umani è quindi un pretesto o forse un gesto di pretesa superiorità. Quali
sono le vere cause allora? Se la Petrella
sta davvero male, ci sono fior fiore di
primari che possono aiutarla anche in
Italia. E se il problema è psicologico, ci
son fior fiore di preti in Italia. Il viaggio
poi non è così massacrante.
In secondo luogo, lei si crede la giustizia
in persona. Pretende col suo atto di dare
assoluzione ad una persona che assoluzione non ha mai avuto né da Tribunali
né dalle famiglie delle vittime. Lei, straniero, mette in discussione la giustizia
italiana del suo operato e questo, in un
contesto europeo è gravissimo. Il Rubicone è passato da tempo, l’Unione Europea è nata e si è sviluppata in primis
grazie ai nostri due paesi. Potremmo
mai arrivare ad un’unione politica effi-
ciente, se tra uno Stato e l’altro continuano le discriminazioni
politiche?
Non aggiungo parole per riportare i sentimenti delle vittime.
Immagino che queste lo abbiano fatto all’Eliseo meglio di
qualsiasi altro. A questo punto però, se la giustizia dei Tribunali non riesce a fare il proprio corso, bisognerà appellarsi ad
un altro tipo di giustizia. Se è vero che la Petrella sta male al
punto da non poter essere estradata, allora che soffra atrocemente fino alla fine della sua vita, una volta per ogni vittima
che ha fatto. Per ogni volta che si è confusa l’ideologia e la
violenza. Per ogni volta che un’amnistia tale copre il senso
della giustizia.
Vive la République et vive l’Italie!
Edoardo Buonerba
[email protected]
4 novembre
Niente da festeggiare
Il 4 novembre, per chi non lo sapesse, è il giorno della
vittoria. 90 anni fa, l’impero austro-ungarico si arrendeva
al regio Esercito Italiano che, “inferiore per numero e per
mezzi” e “con fede incrollabile e tenace valore … condusse la guerra ininterrotta ed asprissima per 41 mesi”.
Una data storica, non c’è dubbio. Per
qualcuno una data da glorificare, come
dimostrano gli ingenti investimenti del
ministro La Russa (è stato addirittura
creato un fondo apposito di 3 milioni di
euro per evitare che il Ministero della
Difesa dovesse pagare di tasca propria)
per le celebrazioni di domani, in pompa
magna. Spot televisivi, adunate, manifestazioni dell’Arma in varie città d’Italia, generali nelle scuole a raccontare la
grande (e unica) vittoria militare che il
nostro Paese può vantare. Una festa che,
secondo il ministro, non va misurata
“con il centimetro dell’euro, che è la misura di chi non ha altri argomenti per contestare qualcosa
che invece sentiamo come doveroso, importante e necessario”, come “uno dei punti fondanti della memoria storica degli italiani”.
Anche se un piccola parentesi sull’ennesima bizzarria economica di questo governo (che taglia mostruosamente da
una parte, e spende e spande dall’altra senza alcun minimo
criterio) non intendo aprire una polemica riguardante gli
sprechi. Riguarda proprio il merito dell’iniziativa, o meglio: cosa vogliamo festeggiare.
Se si intende fare del 4 novembre una festa patriottica,
una festa che esalti una delle pochissime glorie della nostra nazione (certo, la I guerra mondiale potrebbe essere
considerata come il compimento del Risorgimento… ma
forse toccare questo tasto probabilmente farebbe storcere
il naso ai leghisti di governo) bè, credo siamo fuori strada
due volte. In primo luogo, per un falso storico: dipingere il
nostro Paese come una grande potenza schierata dalla parte del giusto (le democrazie liberali) contro gli odiosi imperi centrali è una incredibile fesseria. L’Italia del tempo
non si divideva solamente tra interventisti e non, ma anche
tra filo Triplice Intesa e filo Triplice Alleanza; vendendo la
propria modesta partecipazione al miglior offerente e muovendosi al margine del lecito (accordi Prinetti – Barrère)
. Se poi vogliamo ricordare come l’Italia che ricaccia gli
Austriaci sul Piave è la stessa che pochi anni prima riceve
una pesantissima sconfitta dall’esercito
etiope di Menelik II; e raggiunge Gorizia non certo conducendo una guerra gloriosa ma segnata negativamente
dall’inettitudine, l’ignoranza, la crudeltà dei suoi generali che mandano poveri ragazzi italiani al macello…. bè, c’è
davvero poco da celebrare.
E c’è ben poco da celebrare anche per
quello che la prima guerra mondiale è
stata, per noi italiani come per i nostri
cugini europei. Una “inutile strage”, un
massacro senza fine deciso e voluto dai
potenti, ma combattuto (come sempre)
dalla povera gente, dalla meglio gioventù di questo paese (650 000 morti costò all’Italia la partecipazione alla guerra) che andava a morire al fronte con la
minaccia dei plotoni di esecuzione alle spalle.
Non c’è nulla di cui andare orgogliosi il 4 novembre. Non
vi è nulla da celebrare. Domani è solamente un triste anniversario, il novantesimo anniversario della prima grande
carneficina mondiale. Questo non vuol dire che non bisogna
ricordare: è storia, e va’ ricordata. Ma io, i nostri generali
nelle scuole, proprio non ce li vedo. E non mi faccio ammaliare dai plotoni intonanti davanti al pennone “Il Piave
mormorava” – a cui comunque dovrei essere affezionato,
considerando come questi bagni la mia città natale. Piuttosto, vorrei vedere un mondo che rinnova ancora il suo
accorato e mai seguito appello: “mai più guerre”. Invece
dei generali, annuncianti “la vecchia menzogna… Dulce et
decorum est pro pratria mori”, ci vedrei le nostre maestre,
recitare insieme ai bambini le poesie di Ungaretti, Brecht,
Wilson. Le parole di chi la guerra l’ha fatta e l’ha scritta. Il
cui messaggio, dopo tanti anni e troppo sangue, è ancora
esule in Patria.
Matteo Lucatello
[email protected]
Sconfinare
Musica
12
Oppure, se preferite, pigliare fischi per
dischi.
Ognuno di noi, nella sua collezione, ha le
sue pecore nere. Non ne siamo orgogliosi, non lo diciamo a nessuno, cerchiamo
di nasconderlo finché possiamo, però
capita che ci sbagliamo. A volte anche
i maestri fanno le loro cappelle, il loro
passo falso. Magari più d’uno. E non
so se sono disposto a perdonarli. Io non
appartengo alla generazione del mulo,
quando voglio musica la devo comprare
al negozio, e se un nome nel quale ripongo la massima e incondizionata fiducia
(Jimmy Page, per te è fede ragazzo) mi
fa sprecare quindici euro per nulla il minimo che posso fare è sparare sulla croce rossa, dopo avere rosicato per bene,
e trascinare gli scheletri di ogni grande
fuori dall’armadio dei suoi successi.
Perché non sarò un genio. Ma almeno,
ad essere mediocre, se sbagli non gliene
frega niente a nessuno. E poi diciamocelo: non avrò più occasione di prendere
a pesci in faccia alcuni dei miei miti, e
in ordine alfabetico per di più. Sperando
che nessuno se n’abbia a male.
Dei Beatles non posso dire nulla. Però
se i Fab Four solisti non fossero stati i
Fab Four in qualche loro (a quanto pare
dimenticata) vita precedente, sarebbero
morti di fame. Dell’intera produzione di
John Lennon, l’unica canzone sopporta-
Non tutti i dischi
vengono col buco
bile è “Jealous Guy”. Però si sa, tra un
bed-in e un altro di tempo per comporre
non ne resta molto. E non parliamo di
Yoko Ono. Che sia stata il motivo della
morte dei Beatles, passi. Ma doveva anche cantare?
Bob Dylan. Bei dischi i primi. Non penso che la canzone americana abbia avuto
degli autori capaci di eguagliare alcune
di quelle liriche (prendete “Desolation
Row”, tanto per dirne una, italianizzata
poi da De André). Però dei quarant’anni
successivi nessuno si ricorda alcunché,
tranne forse di “Knockin’ on Heaven’s
Door”, e purtroppo credo sia solo perché l’hanno rifatta qualche tempo dopo i
Guns. Il che è l’ennesima prova del fatto
che il più grande compositore di sempre
è l’eroina. Quando ne esci sei artisticamente finito.
Di Clapton non parlo. Mi hanno detto
che la gente di solito lo sottovaluta perché ha ascoltato troppe poche delle sue
canzoni. Forse ha scritto davvero anche
dei bei pezzi, il problema è che mi addormento prima di arrivarci.
Novembre 2008
I Pink Floyd pure hanno fatto cilecca in
almeno un’occasione (e su molte altre ci
sarebbe da ridire), con “A Momentary
Lapse Of Reason”. Vabbeh, era il primo
disco senza Roger Waters, che aveva comandato tutti a bacchetta durante il precedente decennio. E sarà stato anche un
fenomeno, ma se date un’occhiata alla
sua produzione solista di quegli anni vi
accorgerete che anche la sua inventiva
era parecchio in difficoltà. Questo, oppure Yoko Ono è andata davvero un po’
troppo oltre.
E poi ci sono tutti quei famosissimi gruppi DMG! (Dovevano Morire Giovani!):
i Metallica, i Led Zeppelin, gli U2, gli
Who, i Cure, i Genesis, i Red Hot Chili
Peppers, gli AC/DC … chi più ne ha più
ne metta, perché la verità è solo una: chi
non muore si sputtana, ed in pochissimi
si sottraggono a questa regola generale.
Oh, ecco fatto. C’è una soddisfazione
particolare nell’infangare un tuo simbolo. Ti fa capire che tutti sbagliano e
che quanto più stai in alto tanto più facile sarà prendere la mira e la caduta farà
male. E non è poi così sbagliato saperlo:
altrimenti rischi di ritrovarti a duettare
con Leona Lewis alla cerimonia di chiusura delle olimpiadi, a volte la demenza
senile non ha davvero pietà.
Rodolfo Toè
rodolfo.toè@sconfinare.net
Il pianista iraniano Ramin Bahrami a Gorizia
“Mi sento portatore di un messaggio universale di pace”
Per presentarvi Ramin Bahrami vi direi che è un pianista iraniano. Ma lui
dice che non gli piace il pianoforte e
che non è iraniano. Preferisce piuttosto
definirsi un musicista cosmopolita. Suo
padre era per metà iraniano e per metà
tedesco, la madre turco-russa. Ramin
Bahrami fa parte di quella generazione
di Iraniani raccontata da Marjane Satrapi in Persepolis, quella che nasce sotto
la monarchia dello Scià Reza Pahlavi, che vive la rivoluzione islamica di
Khomeini, che cresce durante la guerra contro Saddam, e che si trova poi di
fronte alla difficile scelta di lasciare il
proprio paese per poter vedere realizzati i propri sogni. Ho incontrato Bahrami
nei camerini del Teatro Verdi di Gorizia, dove ha suonato il 23 ottobre con
l’Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia
Giulia diretta da Andres Mustonen. Il
programma prevedeva il pezzo Oriente
Occidente del compositore contemporaneo estone Arvo Pärt, la Sinfonia n.
2 di L. van Beethoven, e il Concerto n.
20 in re min. KV 466 per pianoforte e
orchestra di W.A. Mozart, con al pianoforte R. Bahrami.
Bahrami nasce a Teheran nel 1976 e
all’età di 11 anni lascia l’Iran per l’Italia
accompagnato dalla madre, dopo che il
padre Paviz, ingegnere sotto lo Scià,
viene arrestato con l’accusa di essere un
oppositore del regime. Paviz morirà in
carcere nel 1991 e il referto ufficiale dirà
per infarto, causa di morte diffusa tra i
detenuti politici. Bahrami nel frattempo
può studiare al Conservatorio G.Verdi di
Milano con Piero Rattalino grazie ad una
borsa di studio donatagli dalla Italimpianti. Dopo tre anni la borsa di studio
viene però interrotta e seguono anni di
difficoltà economiche per lui e la madre.
Bahrami riesce comunque a diplomarsi
nel 1997 e a proseguire i suoi studi, e
comincia ad imporsi all’attenzione delle
maggiori istituzioni musicali italiane e
tedesche grazie alle sue interpretazioni
di Bach, compositore per il quale nutre
una profonda venerazione. Nel 1998 ottiene la cittadinanza onoraria in seguito
al debutto al Teatro Bellini di Catania,
e nel 2004 corona infine il suo sogno di
gioventù registrando per la casa editrice
musicale Decca le Variazioni Goldberg
di Bach. Ora sta lavorando ad un progetto con la Gewandhausorchester di Lipsia, patria di. Bach, per eseguire nella
stagione 2008/09 tutta l’opera di Bach
per pianoforte e orchestra sotto la guida
del Maestro Riccardo Chailly.
Quando lo incontro, Bahrami è contento
di rispondere alle mie domande. Sono
curiosa di sapere come sia nata la sua
passione per la musica. Inizia a raccontarmi che già a Teheran amava ascoltare
il grande violinista ebreo Jascha Heifetz
e che, guidato da un vinile di Beethoven, dirigeva un’orchestra immaginaria
dall’alto del tavolino del salotto. Dopo
la rivoluzione, la musica divenne per lui
un rifugio dal dolore della realtà esterna.
Negli anni della guerra contro Saddam,
egli avvertiva i bombardamenti prima
ancora che ne venisse dato l’allarme e, a
volte, invece di correre ai rifugi sotterranei, preferiva rimanere in casa ad ascoltare musica classica o a suonare il piano
mentre fuori cadevano le bombe. Ricorda in particolare di quando Teheran era
bianca sotto la neve e, mentre suonava,
aveva visto dalla finestra una casa colpita da una bomba incendiarsi. La musica
riusciva così a lenire il dolore e la paura
dei momenti più duri. Sempre a Teheran
iniziò l’amore di Bahrami per la musica
di Bach. Lo scoprì a casa di una amica
iraniana dove sentì un disco interpretato
da Glenn Gould, celebre interprete bachiano canadese. Lo stesso padre Paviz,
in una delle sue ultime lettere dal carcere, lo aveva incoraggiato allo studio di
Bach, perché la sua musica lo avrebbe
potuto aiutare molto. E Bahrami rivolge un invito ai giovani ad ascoltare più
musica classica, e soprattutto Bach, per
l’universalità della sua musica, valida in
ogni tempo.
Gli chiedo se fece fatica ad adattarsi in
Italia. Mi dice che no, che fin da subito
ha potuto immergersi nella realtà italiana studiando in scuole italiane e circondato da bambini italiani. Proprio per
questa sua esperienza è contrario al progetto del governo di creare nelle scuole
apposite classi per stranieri, e crede invece che sia molto importante favorire
la “polifonia” culturale, che in linguaggio musicale non significa altro che l’incontro armonico di voci diverse. Ramin
Bahrami non ha più rivisto il suo paese
da quando lo ha lasciato. Vorrebbe ritornare in un Iran democratico pur avendo
nostalgia dei tempi della monarchia e
dello Scià, a sua detta spesso ingiustamente frainteso in Occidente. Prima di
salutarlo voglio ancora sapere se, per la
sua storia e il suo vissuto, si considera
un musicista politico. Mi risponde che
si sente sì un musicista politico, ma solo
in quanto portatore di un messaggio universale di pace. Peccato che giovedì 23,
al Teatro Verdi di Gorizia, solo in pochi
sono venuti ad ascoltare il suo messaggio.
Margherita Gianessi
[email protected]
2008 Novembre
13
Sconfinare
Cinema
De Boca Bona
Cum grano salis
in cucurbita vostra
A Roma
Un festival alternativo
Si è conclusa il 31 ottobre la quinta edizione del Festival Internazionale del
Cinema di Roma, con grande partecipazione di pubblico e ovviamente della stampa. Ho provato ad accedere alla
struttura dell’Auditorium del Parco della
Musica, il luogo con il maggior numero
di sale e di proiezioni, quello con i tappeti rossi e la gente urlante ad acclamare attori e attrici ma anche con i prezzi
più alti (alcuni film costavano anche 20
euro secondo il programma) Ma non mi
è andata bene: la prima volta dopo una
fila di un’ora i posti erano già esauriti,
la seconda era una proiezione riservata
ai soli giornalisti (ho provato a passare
come giornalista di Sconfinare, ma come
si può immaginare non mi hanno fatto
entrare). Un po’ sconsolata dalle esperienze, stavo quasi abbandonando l’idea
di godermi qualche buon film, ma poi ho
scoperto la Casa del Cinema: un edificio
nel parco di Villa Borghese inaugurato a
tale uso nel 2005 e che sotto la direzione di Felice Laudario propone rassegne
cinematografiche con ingresso gratuito.
Nell’ambito del Festival, alla Casa del
Cinema sono stati proiettati i film della
categoria La Fabbrica dei Progetti, comprendenti cioè le opere prime di alcuni
registi. Tra quelli che ho potuto vedere,
da segnalare è “Astropia”, film islandese di Gunnar Bjorn Gudmundsson, in
cui una giovane donna dell’alta società
si ritrova improvvisamente povera e per
guadagnarsi da vivere inizia a lavorare
in un negozio di fumetti e giochi di ruolo, mondo del quale è completamente
ignara. Col tempo imparerà a conoscerlo
e nel frattempo a maturare, imparando a
guardare oltre le apparenze e nonostante un ex fidanzato intrigante. Vincitore
della categoria è risultato “Bird Can’t
Fly”, di produzione sudafricana e irlandese, premiato probabilmente per l’intensità dei personaggi e la bravura della
protagonista (Barbara Hershey), anche
se a tratti è un po’ pesante. Nel film, una
donna di nome Melody, dopo la morte
improvvisa della figlia, fa ritorno in Sudafrica peri suoi funerali e lì ritrova il
suo passato ma anche un nipote di cui
non sapeva l’esistenza. Altra iniziativa
interessante, sempre alla Casa del Cinema durante il festival è stata la giornata dedicata alla Mosfilm, una casa di
produzione sovietica e che ancora oggi,
seppur con minore successo, è attiva.
Sono stai proiettati 4 film: “L’Impero
Scomparso” (2007, l’unico che non ho
visto), “Quando Volano le Cicogne”
(1957, vincitore del Festival di Cannes, molto bravi gli interpreti), “Cinque Serate”(1978, storia d’amore dopo
18 anni di lontananza) e “The Inner
Circle” o “Il Proiezionista” (1991, del
regista Andrej Konchalovskij, quest’ultimo molto bello in quanto racconta la
storia di un uomo devotissimo a Stalin e
alla causa comunista, ma che proprio in
nome di essa perde il suo grande amore,
e nonostante ciò non rinnega le sue convinzioni. Non ho partecipato quindi al
Festival ufficiale, è vero, ma sono soddisfatta di quello che ho visto: ne valeva
assolutamente la pena!
Lisa Cuccato
[email protected]
Con la prima ed imprescindibile intenzione di fare una gran mangiata a tema
cucurbitaceo, ci siamo affidati alle FS e
al bel tempo (decidete voi quale dei due
risulti il più affidabile). Meta: Venzone,
fantomatica cittadina medievale tra Udine e Tarvisio, che ogni anno al quarto fine
settimana d’ottobre ospita tra le settanta e
le ottantamila persone con il nostro medesimo obiettivo.
La festa della zucca, alla sua diciottesima edizione, nasce
nel 1991 su iniziativa d’un manipolo di volonterosi.
All’origine solo una
scommessa di poche
bancarelle e qualche
giullare, si è trasformata velocemente
in un’importante rievocazione storica
e gastronomica, che
spinge
addirittura
qualche Austriaco a
calare dalle montagne.
Narra una leggenda che nel medioevo la
cittadina, importante crocevia tra Germaniche ed Italiche contrade, volesse ornare la propria fama con un nuovo duomo.
Purtroppo però, scarseggiando il denaro,
l’orafo cui era stata commissionata la sfera d’oro per la cima del campanile dovette
“accettare” un terzo del compenso pattuito. Durante la notte, approfittando delle
impalcature non ancora rimosse, sostituì
l’artefatto con una zucca dipinta. In città
nessuno se ne accorse, finché non fu chiaro che l’oro non marcisce, né tantomeno si
spappola in terra. La voce – come sempre
The Middleman
con Natalie Morales, Matt Keeslar
Tratto dall’omonima serie a fumetti di
Xavier Grillo-Marxuach, the Middleman è una serie televisiva che segue le
inverosimili avventure di Wendy, una
giovane artista bloccata in un lavoro
precario che vive in subaffitto illegale
con la sua migliore amica Lacey, una vegetariana militante. La sua routine viene
interrotta dall’attacco di un orrendo mutante, dopo il quale Wendy si trova ad
essere reclutata da una agenzia dedita
a combattere il Male. In segreto, infatti,
il modo brulica di alieni, vampiri, scienziati pazzi e mostri assortiti, e qualcuno deve occuparsene. Insieme al suo
misterioso capo, noto solo con il titolo
ereditario di Middleman, e ad una robotbibliotecaria sorprendentemente acida;
Wendy inizia un lungo addestramento
sul campo, affrontando le minacce più
paradossali: zombie divoratori di trote,
gorilla mafiosi, tube maledette, collegiali
fantasma, universi paralleli e luchadores
assetati di sangue. Sfortunatamente tali
avventure continuano solo per 12 puntate, dato che la serie è stata sospesa, ma
si tratta comunque di dodici puntate ricolme di pura e sofisticata intelligenza.
Gli attori sono abili, i dialoghi frizzanti
e talmente pieni di arguzie che spesso mi
sono trovato a dover riguardare la stessa
scena più volte, avendo perso una battuta
mentre ero impegnato a ridere per quella
precedente. Malgrado i personaggi siano
potenzialmente stereotipati gli autori riescono a rendere ognuno di loro credibile,
oltre che godibile. Scaricate illegalmente
questa serie, perchè è troppo buona per
essere trasmessa in Italia.
accade – si sparse e da allora i Venzonesi sono chiamati cogoçârs ( “quelli della
zucca” in furlan).
Attraversate dunque le spesse mura e passati indenni la riscossione del dazio ci intrufoliamo in un paese senza insegne né
lampioni, tempestivamente coperti da uno
stuolo di volontari che nella sola mattinata di sabato cercano ogni anno d’invertire
il corso del tempo. Addirittura alcuni visitatori vengono solo per assistere ai preparativi!
La festa segue un rituale fisso: la premiazione delle zucche
più pesante (364 kg!),
più lunga e più strana;
l’elezione dell’ “Arciduca della Zucca”; un
corteo storico, bancarelle e spettacoli vari
nei cortili.
Ma veniamo al sodo. Il
cibo. L’odore di burro
ci guida sapientemente alla scoperta delle
varie tabernae che per
due giorni propongono piatti e dessert a
base di zucca. Per puro e disinteressato
dovere di cronaca decidiamo di assaggiarli per voi. Quello del corrispondente
è uno sporco lavoro, soprattutto unto, ma
qualcuno lo deve pur fare. Motivo per cui
ci limitiamo a degli gnocchi di zucca con
burro e ricotta salata (anche se quelli di
Tommaso sono migliori e ci sentiamo in
dovere di consigliarli calorosamente) e ad
una zuppa d’orzo e zucca servita nel cavo
d’una pagnotta. Pane e dolci solo apparentemente alla zucca (siamo dei puristi e
pure pignoli) ci trattengono così da esser
sorpresi da musicanti con tanto di tamburi, cornamuse e ghironda (vedi wikipedia ^_^). Allettati dalle promesse di una
variante a tema del Frico ci imbuchiamo
direttamente nella cucina di un ristorante per sorprendere il cuoco con le mani
ancora infarinate e rubargli la ricetta. In
un gesto d’esemplare altruismo vogliamo
portare un po’ d’originalità sulle vostre tavole di scalcagnati studenti (ACCETTIAMO INVITI!).
FRICO ALLA ZUCCA DI MAURO
Ingredienti: 1 kg di patate tagliate alla
julienne; formaggio a dadini; zucca tagliata alla giulién (non siamo mica francesi); 1 cipolla; olio, rosmarino, salvia,
sale e pepe.
Soffriggere la cipolla ed aggiungere le
patate. Dopo quindici minuti unire la
zucca. Salare e pepare, insaporire con
un trito di rosmarino e salvia e quando
le patate sono disfatte mettere il formaggio. Scottare da ambo i lati perché
venga ben dorato.
Margherita Vismara e Rodolfo Toè
[email protected]
Luca Nicolai
rodolfo.toè@sconfinare.net
[email protected]
14
Novembre 2008
Sconfinare
Politica Glocale
Progetti e programmi di sviluppo
per il Polo Universitario Goriziano
Dialogo col Presidente del Consorzio per lo Sviluppo del Polo Universitario
Con l’uscita del nuovo numero di Sconfinare ci è parso giusto cercare di fare un
po’ di luce sulla situazione universitaria
a Gorizia. Per fare questo abbiamo scelto
di intraprendere una strada, per certi versi rischiosa, quella cioè di andare a porre
delle domande a quelle istituzioni che in
prima persona scelgono e sviluppano le
politiche locali e regionali per migliorare
la situazione universitaria di noi studenti.
La prima tappa di questo viaggio ci ha
posto a confronto con l’Ing. Fornasir
Presidente del Consorzio per lo sviluppo
del Polo Universitario di Gorizia. Per chi
ancora non lo sapesse tale istituzione, di
concerto con le altre realtà regionali, si
occupa di sviluppare e predisporre tutte
quelle scelte che servono al mantenimento e alla crescita della realtà universitaria nel capoluogo isontino (oltre a Cormons).
Si evince dunque, come una Regione a
statuto speciale quale è il Friuli Venezia
Giulia mantenga delle forti connotazioni
di autonomia anche nel campo dell’istruzione, ma anche purtroppo anche in questa realtà la “riforma” universitaria proposta dall’attuale governo sembrerebbe
avere delle ripercussioni. Infatti se la
voluta razionalizzazione non verrà sviluppata in termini di qualità, ma al contrario verrà effettuata solo in chiave di
risparmio (il cosiddetto “taglio orizzontale) sarà possibile che per la realtà universitaria goriziana arrivino tempi duri e
si sviluppino problematiche reali. Altresì
se si scegliesse la via dello sviluppo delle
“specialità” sia a livello locale sia a livello accademico Gorizia troverebbe un ruolo forte non solo in ambito regionale ma
anche in ambito internazionale.
A questo proposito il Presidente ci ha ricordato come si stanno sviluppando con
particolare forza due nuovi progetti: da
un lato la prospettiva legata al Conference Center ed all’Istituto Ricerche negoziato, dall’altro il trasferimento del corso
di Architettura dell’Università di Trieste
qui a Gorizia, possibilmente condiviso
con l’Ateneo friulano.
Tali ipotesi per avere successo devono,
sempre citando il Presidente, riuscire a
far sistema con le realtà preesistenti nella
zona ed in Regione.
Ci si riferisce in particolare al corso di
Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche e, per quanto riguarda Architettura, alla volontà di insediamento di un
“Polo Tecnologico” in collaborazione
con Area Science Park.
Per quanto riguarda il progetto “Architettura” la scelta è ricaduta su Gorizia in primo luogo perché qui ci sono già a disposizione parte dei circa 12.000 mq di aule
e strutture libere, mentre sono incorso di
ultimazione o finanziamento investimenti atti a predisporre circa altri 18.000 mq
di spazi utili a contenere aule e laboratori
universitari; dove, per contro, le strutture
e gli spazi oggi utilizzati a Trieste dalla
Facoltà di Architettura sono almeno definibili come insufficienti oltre che molto
dispendiosi. Inoltre mancando ad Udine
un corso in Architettura, gli studenti friulani potrebbero beneficiare della maggior
centralità del centro isontino rispetto la
città giuliana, evitando nel contempo un
ulteriore “doppione” regionale.
Parlando di centralità e marginalità l’attenzione si è posta sul ruolo di Gorizia
quale punto di cooperazione e collaborazione tra Italia e Slovenia. In quest’ottica
la collaborazione tra il Consorzio di parte
italiana ed il parigrado di parte slovena
(VIRS), già attiva da molti anni, sta ora
dando i suoi frutti attraverso il prossimo
sviluppo del progetto EuroKampus www.
eurokampus.si dove, dopo una prima bocciatura del progetto di un università internazionale da insediare a Gorizia e Nova
Gorizia, poi “trasformato” nella EMUNI
andata a Pirano (SLO) a conclusione del
semestre di presidenza UE da parte della Slovenia, si stanno proponendo nuove
collaborazioni quali lo sviluppo di un
polo tecnologico in ambito transfrontaliero e anche di una casa dello studente
internazionale.
Forti sono però ancora le lacune che a più
livelli pesano su noi studenti; la principale riguarda indubbiamente la mancanza di
un servizio mensa nelle sedi di Via Alviano e di Via Diaz.
Stando alle parole del Presidente più volte il Consorzio si è fatto carico di tale
problema proponendo una soluzione che
unificasse le necessità dei poli di Trieste
ed Udine. Essendo in questo senso interlocutori i due ERDiSU, nelle prossime
settimane si instaurerà un nuovo tavolo
S C O N F I N A R E @ M O S TO V N A . C L I C K
di confronto tra il Consorzio e tali enti
con la speranza di trovare un soluzione in
tempi brevi.
Purtroppo anche ad altri livelli si stanno
creando piccoli nuovi problemi, in quanto
il territorio e le sue istituzione locali non
sembrano appoggiare delle concrete misure di integrazione e sviluppo tra società
locale e studenti; basti pensare agli ormai
famosi “comitati anti schiamazzi”, causa
anche della chiusura del noto Fly e alla
completa mancanza delle istituzioni e del
mondo imprenditoriale locale all’interno
dell’Università, soprattutto in Via Alviano.
Ci è parso dunque di capire che, al di là
delle solite polemiche, si stanno sviluppando dei progetti concreti ma che essi
per diversi motivi non riescano a venir
completati in quell’ottica di collaborazione in primo luogo tra città ed università,
poi tra i due atenei ed ancora tra Italia e
Slovenia. Una situazione non proprio favorevole in questo momento di difficoltà
per il mondo universitario e non solo.
Oggi più che mai, sembra necessario riuscire a superare queste barriere poste su
più livelli; per creare politiche di comune
intento atte a sviluppare la presenza universitaria a Gorizia. Per questo motivo
nel prossimo numero cercheremo di porre queste domande all’attuale Assessore
Regionale all’Istruzione.
Marco Brandolin
[email protected]
...Sconfinare...
periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia
in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06.
Editore e Propietario
Assid
“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.
Redazione
Andrea Bonetti, Dimitri BrandolinMarco Brandolin, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Valeria Carlot, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Attilio Di
Battista, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi,
Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Margherita Gianessi, Francesco
Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Tom Loèniskar, Matteo Lucatello, Andrea Lucchetta, Francesco Marchesano, Mattia
Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Massimo Pieretti, Diego Pinna,
Giulia Pizzini, Tommaro Ripani, Federica Salvo, Francesco Scatigna, Bojan
Starec, Eva Stepancic, Matteo Sulfaro, Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Margherita Visimara, Samuele Zeriali.
www.sconfinare.net
[email protected]
II
Sconfinare
November 2008
Drzavine uspe ustaviti mafija
23.maj 1992 - 19.julij 1992
V sedeminpetdestih dnevih
je mafiji uspelo ubiti bodisi v
Rimu komaj imenovanega zastopnika proti mafiji: Giovannija Falcona,bodisi zastopnika
javnega tožilstva mesta Palerma: Paola Borsellina.Minilo je
šestnajst let,po katerih kdo bi
se lahko vprašal kako napreduje vojna proti mafiji,pri kateri
Falcone in Borsellino sta se
izkazala za glavna junaka,a ne začetnika
te iste in žal ne edini dve žrtvi.
Naš parlament,kot je pač znano,ni znan
za prizadevnost,a vsekakor uspe izdajati precej zakonov in odlokov,katerih
posledice so večkrat silovite.9.oktobra
2008 je potekalo v italijanskem senatu glasovanje odloka,ki je predvideval
zvišanje plač za sodnike,ki so delovali
pri neugodnih sedežih.Kot se pogosto
dogaja,odlok se je izkazal za nasičenega
z besedicami in členi brez vsakršne
zveze.Norma ki nas zanima pravi
sledeče:”Člen 36 zakonodajnega odloka 5.aprila 2006 št.160,spremenjen od
člena 2 zakona izdanega 30.julija 2007
št.111 je razveljavljen.”Razumljivo
ne?Ne dosti.Pomeni,da če odlok pride do
Poslanske zbornice(kar ni samo posebej
vmevno)norma Prodijeve administracije ,ki je prepovedovala preizkovanim a
potem oproščenim sodnikom(katerim je
bilo dovoljeno nadaljevanje kariere),ki
presegajo 75.leto starosti doseči vodilna mesta, je razveljavljena. Skratka:Ta
kategorija sodnikov lahko doseže vodilna mesta.Redki so sodniki v takem
stanju,med temi pa je najbolj pritegnil
pozornost redkih zainteresiranih medijev sodnik Corrado Carnevale.
Osredotočiti se moramo na pomembnost
tega imena,da si bomo lahko kasneje odgovorili na na vprašanje:”Kako napreduje vojna proti mafiji,šestnajst let po
uboju Falcona in Borsellina?”Carnevale
ima ključno vlogo pri odgovoru tega
vprašanja.
Kdo je Carnevale? Zakaj ga hočejo
imenovati za predsednika Vrohovnega Sodišča celo z normo ad hoc? Sedaj predsednik Vrhovnega Sodišča je
Carbone,ki se bo upokojil čez dve leti.
Carnevale,hvala možnosti nadaljevanja kariere,se bo upokojil komaj leta
2013,pri 83 letih.Se pravi da bo imel
3 leta časa,ki bo lahko izkoristil za
doseči predsedstvo.Nedvomno mu bo
uspelo,kajti je po starosti prvi na lestvici .Svoj vzdevek je bil,za časa Falcona
in
Borsellina,”l’ammazzasentenze”s
e pravi “morilec sodb”.Kaj je pravzaprav delal? Kot predsednik prve sekcije
Vrhovnega Sodiščani delal nič drugega
kot biti pikolovski:s časom je zbral celo
vrsto pravd proti mafiji,celo proti tako
zvani”Banda della Magliana”,zaradi
napak pri dokumentaciji npr.ko ni bilo
žiga na nekem dokumentu,ko datum
je bil napačen itd. Vrh vsega je nasprotoval Protimafijskemu Poolu.Imel
je sodnike,ki so delovali znotraj tega
za”šerife”ali”orožje proti politikom
iz komunistične levice”,vrh vsega je
sovražil Falcona in Borsellina.Trdil je
namreč,da sta bila nesposobna,Falcona
je celo definiral kot”faccia da
caciocavallo”se pravi”sirni obraz”.Dosegel je višek ko je zvedel za njihovo
smrt,ko je dejal:”Jaz spoštuje mrtve,a
ne vse.”To izjavo bo kasneje
potrdil tudi pred sodiščem.
Da,kajti Carnevale se je iz sodnika preobrazil v obtoženca.
Obtožba,ki se je začela marca 1993,se je zaključila junija2001 z obsodbo Prizivnega
sodišča iz Palerma,ki je obsodilo Carnevala na 6 let zapora
zaradi zunanjega sodelovanja
z mafijo.Onemogočili so mu
tudi vsakršen dostop do javne službe.Leto kasneje ga je Vrhovno
Sodišče oprostilo ampak med polemikami, zaradi izključenja nekaterih prič.
Sodišče jih ni sprejelo ,kajti vsebina
njihovega pričevanja so bile izjave,ki jih
je Carnevale izrekel v Zbornici.Izjave ki
jih kdo izreče v Zbornici morajo ostati
tajne, a ko se gre za kazniva dejanja ne
bi smelo biti tajnosti.Vrhovno Sodišče
pa ne razmišlja ravno tako,kajti ko so
zmanjkali dokazi(Vrhovno sodišče je
črtalo tudi druga pričevanja)so spustili
Carnevala.
Sedaj je treba razločevati med zakonitostjo in priložnostjo:legalno Carnevale je nedolžen,pravilno je mu dovoliti
naj nadaljuje svoje delo.A se vam zdi
primerno ga imenovati za predsednika
Vrhonega Sodišča?
Francesco Scatigna
Prevedel: Dimitri Brandolin
Demokraticna reustanovitev Evrope
Morda bi veljalo razmišljati,kakšno Evropo bi radi zgradili s tako pogodbo.V
primeru,da bi Lisbonska pogodba bila le kopija tiste,ki so predstavili kot velik
projekt evropske ustave,ki prav zaradi nejasnosti se je zdelo koristnejše odobriti neuradno...beh,ti so enako hudi problemi pomanjkanja deomkracije.Lisbonska
pogodba bo vplivala predvsem na evropske organe,se pravi na Evropski Parlament in na Komisijo,katera izdajata večji del zakonodaje,ki državni Parlament
enostavno sprejme.Italijanski državljani so soglasno glasovali za Lisbonsko pogodbo ne,da bi jo prebrali in ne da bi vedeli o čem
se v njej govori.Nobenemu je prišlo na misel,da bi
se izognili negativnih odgovorov , da bi informiral,
razumel,popravil,sestavil prepričljiv ali vsaj berljiv
tekst.Nobenemu je prišla na misel odobritev pogodbe
preko referenduma,ki bi bil skupen za vse evropske
države in bi potekal s istimi procedurami, istega dne
po vsej celini....Enostavno je prišlo do izbire najlažje
poti,ki se konkretizira v deficitu demokracije.Črtajmo
torej soglasnost,po kateri vsaka reforma mora biti
sprejeta od vseh 27 držav članic.Zaupajmo principu
“dvohitrostne Evrope”in odobrimo enkrat za vselej to
nerazumljivo zmešnjavo,ki kot je dejal komisar EU
McGreevy:”Težko oseba pri zdravi pameti bi prebrala
od začetka do konca.” Irci naj si sami pomagajo.Volili
bodo še enkrat ali dvakrat,dokler ne bodo glasovali za
DA.K sreči živimo v Evropi,ki je zgled demokracije
za ves svet.
Sicer ne verjamem,da so Irci,Francozi ali Holandci
proti Evropi.A vsi nujno potrebujemo močno Evropo,ki je na strani prebivalcev
in ne na strani bank ali birokracij,ki si postavi socialnost kot glavno zapoved,ki
zagovarja in podpira Welfare in ne liberalizira službe,ki odločno in brez dvomov
nastopa proti vojni,ki si prizadeva za dialog kot rešitev vseh sporov,ki se ne podredi NATU,ki prepove Češki in Poljski republiki namestitev Ameriških radarjev ali
raket,brez vsakršne razprave z ostalimi evropskimi partnerji.Potrebujemo Evropo,ki
se bori proti smrtni kazni,ne da jo znova uvede preko protokolov in členov neke
pogodbe (2.člen drugega odstavka CEDU),morala
bi govoriti o integraciji in sprejemu,ne izdajati tako
zvano “Sramotno direktivo”,ki predvideva za neredne tujce 18 mesecev zapora po katerih sledi izgon.
Braniti mora delovne pravice,ki so si jih naši predniki
izborili v prejšnjem stoletju ne črtati skupne delovne
pogodbe.
Skratka,potrebujemo Evropo ki ponovno znajde
samo sebe ter lastno istovetnost,ki je kaj več kot
skupna valuta,ki se ponovno aktivira,da ne uporabi
demokracijo samo kot besedo tja v en dan,da si da
nova pravila za večjo odprtost in demokratičnost s
tem da obnovi volilne in sklepne mehanizme lastnih ustanov,predvsem parlamenta.Preden odobrimo
ustavo pa, je nujno potrebno obnoviti idejo Evrope,ki
hočemo sestaviti in postaviti nove temelje za demokracijo v Uniji.
Matteo Lucatello
Prevedel: Dimitri Brandolin
November 2008
Direttrice: Annalisa Turel
BREZPLNCA ŠTEVILKA
Projekti in programi razvoja
goriškega univerzitetnega pola
Pogovor s Predsednikom ustanove Consorzio per lo sviluppo del Polo Universitario di Gorizia
V novi številki časopisa
Sconfinare smo mislili, da
bi bilo prav razčistiti kaj se
dogaja z univerzo v Gorici.
Tako smo si izbrali pot, ki
je precej neugodna, oziroma smo se odločili, da bomo
vprašali tiste ustanove, ki v
prvi osebi izbirajo in razvijajo lokalne in deželne politike s tem, da pobojšajo
univerzitetni položaj nas
študentov.
Prva etapa našega potovanja
nas je pripeljala do Ing. Fornasira, Predsednika Consorzio per lo sviluppo del Polo
Universitario di Gorizia (Zadruga za razvoj univerzitetnega pola v Gorici). To je ustanova, ki skupaj z
drugimi deželnimi realnostimi, se ukvarja z razvojem
in izbiro vseh tistih sredstev, ki rabijo v vzdrževanju
in rasti univerzitetne realnosti v soškem mestu.
Se torej razume, kako Dežela s posebnim statutom
kot je Furlanija Julijska Krajina, ohrani široko samoupravo tudi v sklepu poučevanja, čeprav, nažalost, tudi
v tem področju bo t.i. «univerzitetna reforma», ki jo
podpira sedanja vlada, imela negativne posledice. Kajti, če ne bo racionalizacija pripeljala do kvalitativnih
sprememb, temveč bo nasprotno uresničena v sklepu
varčevanja, bo morda to pomenilo prihod trdih časov
za goriško univerzo, ki bo pripeljalo do razvoja realnih problematik. Če pa bo padla izbira na pot razvoja
«specijalizacij» tako na lokalnem kot na akademskem
nivoju, bo Gorica prav gotovo lahko pridobila vplivno vlogo ne samo v deželnem okrožju, marveč tudi na
mednarodnem nivoju.
Prav zaradi tega nas je Predsednik spomnil kako se
razvijajo s posebno silo dva nova projekta: na eni strani razvoj conference centra, na drugi pa premestitev
univerzitetnega tečaja arhitekture iz tržaške univerze
tu v Gorico. Tako, da lahko postaneta ta dva nova
projekta uspešna, morata oba soupadati z poprejšnjimi
resničnostimi v
območju in v
Deželi. S tem
mislimo na univerzitetni tečaj
mednarodnih in
diplomatičnih
ved in kar se tiče
arhitekture pa
na voljo razvoja
«tehnološkega»
pola in na sodelovanja z Area
Science Park.
Kar se tiče projekta «Arhitektura», izbira je padla na
Gorico, v prvem mestu, ker
tu so že na razpolagi okoli
12000 mq razredov in prostih
stavb, ter so v dokončanju
ali pa čakajo finansiranje še
drugih 18000 mq prostorov,
ki bodo lahko vsebovali razrede in univerzitetne delavnice; po drugi strani, stavbe in prostori, ki jih sedaj
uporablja v Trstu fakulteta
arhitekture, so precej neprimerni. Vrh tega, ker Videm
ne nudi tečaja arhitekture,
furlanskim študentom bo
lažje slediti tečajem, zaradi boljšega položaja soškega
mesta z razliko Trsta.
Gorica bo tako lahko imela vlogo središča, saj bo
lahko točka sodelovanja med Italijo in Slovenijo. V
tem vidiku, sodelovanje med italijansko zadrugo in
njenim slovenskim sovrstnikom (VIRS), ki je aktiven
že leta, je že dala prve rezultate. To v sklepu razvoja
naslednjega projekta EuroKampus www.eurokampus.
si, kjer, po prvi odklonitvi projekta zgradbe mednarodne univerzitete, ki je sedaj namenjena Piranu, se
predlagajo nova sodelovanja, kot npr. razvoj medmejnega tehnološkega pola in mednarodnih stanovanj za
študente.
Precej hude so pomankljivosti, ki na več nivojih težijo
na nas študente, najvažnješa med katerimi je prav gotovo pomankanje jedilnic v univerzitetnih sedežih ulice Alviano in ulice Diaz. Predsednik zadruge je opomnil, da njegova organizacija je večkrat hotela rešiti
problem, s tem da je predlagala rešitev, ki bi lahko
združila potrebe tržaškega in videmskega pola. Na tem
področju sta odgovorna ERDISU-ja obeh mest, in tako
v naslednjih tednih se bo skušalo rešiti problem v kratkem času z organizacijo dogovorov. Nažalost tudi na
drugih nivojih so nastali novi manjši problemi. To se
dogaja, ker območje in lokalne ustanove ne podpirajo
integracijo in razvoj med lokalno družbo in študenti;
pomislimo na sedaj že slavne odbore proti ropotanju
ponoči, ki so bili vrok zatvore slavnega kluba Fly.
Razumeli smo, da končno se razvijajo konkretni
projekti, ki nažalost ni mogoče zaključiti, zaradi nesodelovanja med mestom in univerzo, tako kot med
univerzama in na širšem nivoju med Italijo in Slovenijo. Dandanes zgleda, da je res potrebno prekositi te
ovire, ki so nastale na več nivojih. Prav zaradi tega v
naslednji številki bom postavil ta vprašanja sedanjemu
deželnemu prisedniku za poučevanje.
www.sconfinare.net
Demokraticna
reustanovitev
Evrope
Rezultati zadnjih treh ljudskih referendumov so se
izkazali za pravi poraz za Evropsko Unijo.Začenši od
”Pogodbe za ustanovitev Evropske ustave”,ki sta jo
zavrnili bodisi Francija kot Holandska leta 2005,do
Lisbonske pogodbe,ki so države članice podpisale
decembra meseca in ki so Irci odklonili.Zgleda,da
evropska kriza se ne bo zaključila kmalu.Po tretjem
negativnem rezultatu pa postaja jasno,da je prišlo do
zaskrbljujočega nesoglasja med evropskimi ustanovami in ljudstvom.
Prepričan sem,da ni kaj praznovati pred takšno krizo. Že zdavnaj države članice EU in seveda ves
svet,potrebujejo močno,samostojno in verodostojno
Evropo.Mednarodna kriza ,skupaj z vojnami osemletne Bushove administracije,so zasačile Evropo popolnoma nepripravljeno podpreti,ugovarjati ali skratka
vplivati na svetovni ravni.
To ji je onemogočilo doseči vodilno vlogo pri razvoju
mirovnih in socialnih politik ter politik za varstvo
okolja.
Vendarle vzrok evropske krize niso seveda Irci,katerih
odklon naši mediji niso poglobili,niti Francozi
ali Holandci,o katerem odklonu bi seveda veljalo
razmišljati.
Seveda dejstvo,da prebivalstvo Irske,ki predstavlja
1%glasov,zablokira pogodbo s pravico veta,potem
ko so jo vsi ostali člani odobrili ali bili na tem,nam
postavi v ospredje problem pomanjkanja demokracije
znotraj Unije. Da so ljudje pri referendumu odklonili pogodbo na različnih krajih in ob različnem času
predstavlja resen problem,upoštevajoči tudi dejstva,da
tisti,ki so glasovali proti pogodbi so bili večinoma:
mladi,ženske in delavci.
na strani II
Marco Brandolin
Prevedel: Samuele Zeriali
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Obama presidente