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22 GIUGNO 2013 - Anno XLVII - Suppl. al n. 6188
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23
Notizie, documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realtà religiose
22 GIUGNO 2013
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il dire e il fare
Marinella Correggia
I
e autostradale a tiro di marmitte:
se ne possono ricavare perfino fibra tessile (artigiani nepalesi del
commercio equo fabbricano asciugamani nient’affatto pungenti!), fibra per carta e un colore naturale
verdegrigio per tessuti.
Poi, lontano dall’asfalto e fuori
delle città, c’è un mare verde di ortica da ringraziare. È nutriente: in
Kenya è utilizzata come integratore alimentare minerale e vitaminico nelle scuole.
Anche nei nostri climi è presente
tutto l’anno, senza soluzioni di
continuità. Si lessa nella minestra, si aggiunge nei risotti, ci
si fa la pasta e un gusto di gelato, o molto più semplicemente
una tisana rimineralizzante e dal sapore dolce. Alle feste dell’ortica spiegano come è possibile utilizzare per mesi il frutto
delle raccolte: si fanno essiccare interi gambi all’ombra,
sbriciolando poi le foglie e conservandole ben stipate in vasetti di vetro.
Ci si fa un condimento aromatico, lasciando a macerare nell’aceto l’ortica secca insieme a foglie di lavanda e salvia, sempre essiccate. Antonio si è perfino inventato la “centrifuga manuale di ortica”: si mettono a bagno per qualche ora in 2 litri
di acqua fredda 15 piante di ortica; spremendo le foglie (che
non pungeranno più) ne vien fuori un’acqua ricca di ferro. È ingrediente per saponi e shampoo.
Il paradigma dell’ortica è a ben vedere quello di tutte le erbe
spontanee, che non sono di nessuno e quindi sono di tutti.
Bene comune da proteggere e al quale ricorrere. l
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Primo piano
IL PARADIGMA DELL’ORTICA
l principale paladino dell’ortica
in Italia è forse Antonio D’Andrea. Egli ha fondato, molti anni
or sono, il piccolo ma nobile “Movimento degli uomini e dei ragazzi
casalinghi” partendo da un presupposto: i maschi hanno fallito in
politica. Meglio che tornino a casa
lasciando il posto alle donne.
O, quantomeno, condividano davvero il lavoro domestico con le
compagne di vita. Antonio è fra gli
animatori dell’associazione “Vivere con cura” che ogni anno propone a Capracotta una settimana
di eventi e formazione sulle mille virtù e mille usi di una pianta
altamente simbolica: l’ortica, ostica solo per gli incauti, abbondante tutto l’anno in molti luoghi. «Con poca fatica, l'ortica
sarebbe utile; la si trascura, diventa nociva. Allora la si uccide.
Quanti uomini somigliano all'ortica!»: Victor Hugo, I miserabili.
Per questo possiamo parlare del “paradigma dell’ortica”.
È la regina umile delle piante spontanee, commestibili e
spesso medicamentose, una miniera di risorse vitali fin dalla
preistoria. Mensa d’emergenza e farmacia dei poveri. Si calcola che sulla Terra le piante non coltivate commestibili siano
tuttora 80mila; solo 5mila sono effettivamente usate.
Si chiama fitoalimurgia la branca di studi che si occupa dell'alimentazione con piante spontanee.
Gratuita e versatile, ubiqua e spartana, l’ortica ricresce fino a
otto volte in un anno dopo il taglio, se non viene sterminata
da diserbanti o continuamente rasata dai tagliaerba. Eppure
a lasciarla vivere si potrebbe utilizzare perfino quella urbana
Anno XLVII
Suppl. al n. 6188
RIFORME,
MERITO E METODO
Renato Balduzzi*
2
ROMA, A TESTA ALTA
VERSO SFIDE FUTURE
Vittorio Sammarco
I
precedenti delle riforme costituzionali non sono incoraggianti. In particolare, non sembra che l'attenzione al cosiddetto
“metodo” delle riforme costituzionali,
nel senso di andare ad individuare
procedure e organismi derogatori rispetto alle disposizioni dell'art. 138,
abbia portato fortuna, dalla Commissione Bozzi degli anni Ottanta alla
Commissione De Mita-Iotti della prima metà degli anni Novanta, dal successivo Comitato Speroni alla Commissione D'Alema della seconda
metà del medesimo decennio.
Per contro, sempre nello stesso
arco temporale, con le procedure
dell'art. 138 sono state fatte revisioni costituzionali anche importanti (semestre bianco, disciplina dei
reati ministeriali, procedimenti di
concessione di amnistia e indulto,
forma di governo regionale e all'autonomia statutaria, voto degli
italiani all'estero, Titolo V, ...
(continua a pag. 3)
Marino Sindaco
4
Presidenzialismo
QUESTA RIFORMA
NON S’HA DA FARE
Michele Di Schiena
10
Salone di Torino
MILITARI IN MISSIONE DI...
PROPAGANDA
Giacomo Riello
Maurizio Mazzetto BASE DAL MOLIN. RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE. MA LA CHIESA
DOV’È? pag. 6 • Sandro Franchini REPLICA AL “CORRIERE”. COLPI DI CODA DI UNA CHIESA
CHE NON SCALDA pag. 8 • Cristina Mattiello L’IMMIGRAZIONE RIFIUTATA pag. 9 • Marina
Boscaino FUORI CLASSE. ESAMI DI STATO pag. 11 • Rete europea Chiese e Libertà
AUSTERITÀ E DISUGUAGLIANZE. «LE POLITICHE EUROPEE VIOLANO I VALORI DELLA
NOSTRA FEDE» pag. 12 • La madre di un ragazzo gay CHIESA E OMOSESSUALI. FIGLI DI DIO
O FRUTTI DEL DEMONIO? pag. 14 • Marinella Correggia IL DIRE E IL FARE. IL PARADIGMA
DELL’ORTICA pag. 16
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IN ITALIA
Marino sindaco
Roma, a testa alta
verso sfide future
VITTORIO SAMMARCO*
E
ra nell’aria, alla vigilia. Si è
confermato il risultato del
primo turno e nonostante il
forte calo di affluenza alle urne,
Ignazio Marino è il nuovo sindaco di
Roma. Un alieno? Un irregolare?
Non credo. Non ci sono irregolari
per chi fa politica per il semplice fatto che non si capisce quale (in alternativa) sia la regola. Se è quella che vede la cura della cosa pubblica come affare privato, ebbene, penso che sia
questa “l’irregolarità” che andrebbe
combattuta con forza. E su questo il
chirurgo prestato (?) alla politica, offre serie garanzie di resistenza.
Vinta la competizione elettorale,
le grandi sfide su cui si dovrà impegnare il nuovo primo cittadino penso
siano soprattutto tre. Potrà vincerle,
però, se a differenza del suo predecessore sarà circondato da una squadra di
persone competenti e oneste. Non
esiste “un uomo solo al comando”: soprattutto in una città come Roma, si
lavora insieme, con un gruppo di assessori, di consiglieri, di funzionari capaci di fare la propria parte ascoltando e ragionando da collettivo, e non
da solisti che cantano in proprio.
Prima sfida: far recuperare il senso
di cittadinanza ad una popolazione romana ferita e umiliata da cinque anni di cattiva amministrazione. Umiliata perché la questione Parentopoli
(brutto neologismo coniato sulla
scia di tangentopoli per identificare il
potere diffuso di amici e parenti nei
gangli vitali della città) è stata come
aver detto, in modo sfacciato, che le
aziende strategiche a Roma (energia,
pulizia, trasporti) possono tranquilla-
* Giornalista, ex direttore di “Segno sette”
e di “Cristiano sociali news”
2
mente essere amministrate da dirigenti di basso livello perché tanto ai romani “nun gliene po’ frega’ de meno”.
Non è così, ma i più invece di contestare con il voto, trovando alla fine
non distinguibile l’offerta politica,
si sono astenuti dando sfogo a quel cinismo romano da luogo comune (e
che Sorrentino ha mirabilmente riprodotto nel suo film “La Grande
Bellezza”), e che nell’opinione pubblica produce più danni contro Roma di
qualsiasi invasione di lanzichenecchi. Ora, se il primo cittadino riuscirà quantomeno ad invertire la
tendenza, a far sentire un po’ di orgoglio di essere romani, bene, avrà fatto buona parte del suo compito.
Seconda sfida, più complicata: riuscire a dare corpo alla collaborazione intrecciata tra diversi livelli di
amministrazione. Chi vive a Roma sa
quanto siano importanti i collegamenti proiettati all’esterno, con il
resto della provincia e a volte con le
altre città, e quelli all’interno con i singoli Municipi e all’interno di essi
con i quartieri. Roma, si sa, è cresciuta nel tempo a strati e a progetti che
non l’hanno pensata nell’insieme. A
macchia di leopardo, con zone più felici (in viabilità, struttura urbanistica
e paesaggistica) e zone molto meno
vivibili. Forse cinque anni non basteranno a darle una rete capace di
mettere in razionale collegamento
le zone e le persone che in esse vi abitano, ma le basi si possono gettare.
Non è più solo una questione di
trasporti e di mobilità, ma di pensare le infrastrutture e le reti come il sistema arterioso di un organismo
unico, che non approfondisce ed
esalta separazioni e barriere, ma
punta a superarle senza forzare la
Adista
mano, e neppure senza troppa accondiscendenza. Per questo sarà importante una fattiva e continua collaborazione con i cosiddetti minisindaci (i presidenti di Municipio). Che,
tra l’altro, con quest’ultima elezione
hanno un’età media notevolmente
più giovane, e che invece il precedente sindaco aveva volutamente emarginato. La nuova Città Metropolitana, e il riassetto complessivo di
compiti e funzioni, impone un radicale ripensamento di strategie.
Terza sfida, quella sociale: le povertà e non solo delle categorie di persone a più basso reddito, si sono acuite in questi ultimi anni. Si veda il
Rapporto Caritas. Il welfare di una
città come Roma non può passare solo attraverso il trasferimento di sussidi monetari – fondamentale, ci
mancherebbe – ma deve essere accompagnato da un uso intelligente di
risorse che vanno dalle strutture sanitarie, a quelle residenziali, dall’assistenza sociale all’investimento sulla
valorizzazione di quella risorsa
umana che è costituita da gruppi e associazioni di volontariato che già lavorano sul territorio tra mille difficoltà e in carenza perpetua di risorse. Sono ricchezze tipicamente “romane”
(San Filippo docet…) che una giunta che pur vorrà disegnare il suo
tratto sul merito e sul valore dei
curricula, non può considerare secondarie. Marino – siamo certi –
non confonderà professionalità con
professionismo. E neppure si trincererà dietro il paravento che non ci
sono risorse per rispondere alle esigenze sempre più marcate. Lotterà con
Regione e Governo, perché questa
città, nota al mondo per essere aperta e inclusiva, non lo sia solo per esigenze cinematografiche.
Tutto ciò, crediamo, è politica.
La dico tutta: lo slogan della campagna elettorale di Marino (“Non è
politica. È Roma”) non ci è piaciuto.
Lo posso dire anche perché sono
stato tra i suoi sostenitori e non solo
adesso (fin troppo facile), ma anche
quando Marino dava fastidio all’interno del partito. Perché considero
l’intreccio tra i diritti umani e le
22 GIUGNO 2013 • N. 23
questioni sociali, tra la democrazia
(intesa come sfera vitale di relazione
tra singoli, gruppi e istituzioni) e
una sussistenza dignitosa (lavoro e
reddito adeguati alla vita) una questione fondamentale per il futuro della
nostra società. Separarli, peggio, barattarne quote, è l’inizio del precipizio.
Intrecciarle in un equilibrato sviluppo della persona e della città, della co-
munità, del Paese, invece, è proprio la
sfida principale della politica, quella
che ci piace di più. Quella a cui sarà
chiamato da oggi e che non potrà
prescindere dal contributo di nessuno.
Di ogni cittadino che avrà intenzione
di rimettere in gioco i propri talenti
per restituire a Roma quella “grande
bellezza” deturpata da predatori che
non la meritano. l
Primo piano (continua da pag. 1)
… parità tra i sessi per l’accesso
agli uffici pubblici e alle cariche elettive, divieto assoluto della pena di
morte e così via). In fondo, anche la
discussa maxi-riforma poi bocciata
dal referendum costituzionale del
2006 era stata approvata con un
procedimento ordinario.
Stare dentro l'articolo 138 dunque non solo non è di ostacolo, ma
aiuta. Ecco perché è importante che
la legge costituzionale che, sulla base
delle mozioni parlamentari, prevederà la “normativa accelerata” per la
revisione costituzionale costituisca
un rafforzamento e non un indebolimento delle garanzie costituzionali. La legittimità costituzionale di
una deroga all'articolo 138 è strettamente collegata alla circostanza che la
deroga comporti un aumento e non
una diminuzione delle garanzie, in
quanto non si può dare, nell’ottica
della Costituzione italiana e dei
suoi principi di fondo, contrasto alcuno tra le esigenze della rigidità
costituzionale e il principio di efficienza delle istituzioni.
Né il richiamo al principio di rigidità costituzionale deve far pensare a
una sorta di passatismo o conservatorismo costituzionale inteso in senso
deteriore. La rigidità della Costituzione è infatti un’acquisizione preziosa
del costituzionalismo liberaldemocratico e significa anzitutto la protezione dei più deboli e delle minoranze: è
un valore da non perdere mai.
Certo, anche le decisioni sulla rifor* Deputato di Scelta Civica
22 GIUGNO 2013 • N. 23
ma elettorale e costituzionale, insieme a quelle di riforma economico-sociale, sono indispensabili per riannodare opinione pubblica e istituzioni,
ma per poter procedere bene è importante che si parta bene. E partire bene vuol dire anche non farsi abbacinare da falsi miti o semplificazioni.
Ne vedo in particolare tre.
Un primo equivoco riguarda il
rapporto tra decisione sulla forma
di governo e sistema elettorale. Si
deve fare molta attenzione a pensare
che la legge elettorale sia una conseguenza della scelta sulla forma di
governo. È vero, per contro, che la
legge elettorale o, meglio ancora, la
formula elettorale influenza sempre il
funzionamento della forma di governo, come abbiamo avuto modo di
sperimentare nel nostro Paese avendo convissuto la medesima forma
di governo disegnata dal Costituente con ben tre diverse leggi elettorali. In un’audizione del 18 marzo
1997 presso la Commissione bicamerale dell'epoca vi fu un memorabile
dialogo tra Giovanni Sartori e l'allora senatore Leopoldo Elia, nel quale
il prof. Sartori ebbe ad ammettere che
sì, era vero, «le gambe stanno nel sistema elettorale, lì bisogna partire».
Ecco perché, a fronte della penosa e
costituzionalmente problematica
legge elettorale vigente, da lì si dovrebbe cominciare.
Un secondo equivoco consiste
nell’imputare alla Costituzione disfunzioni che invece vanno imputate ad altre cause, cioè appunto alla legge elettorale, ai regolamenti parla-
Adista
mentari, alla loro interpretazione e alle prassi applicative, al (mal)costume
politico-parlamentare.
Un terzo equivoco attiene alla
non sempre chiara distinzione tra
potere costituente, che non appartiene a questo Parlamento, e potere
costituito, che invece è quello che
può e deve esercitare. Un potere costituito deve stare dentro i principi supremi della Costituzione, ispirarsi a
quelle caratteristiche di equilibrio
delle diverse parti e di aderenza alla
storia nazionale che essa possiede.
In un intervento di metà anni
Settanta Aldo Moro ammetteva
non essere più di tanto interessato a
modifiche costituzionali e di essere
forse più interessato ai profili di giusta attuazione delle norme costituzionali: se però, aggiungeva, decidiamo di avere bisogno di cambiamenti, allora dobbiamo farlo con decisione, perché le istituzioni sono al servizio della persona.
Ai problemi di giusta attuazione,
che continuano a essere presenti e ai
quali il cattolicesimo democratico è
storicamente sensibile, oggi si aggiunge la necessità di ripensare il
nostro bicameralismo, di realizzare un
migliore equilibrio tra esigenze di
rappresentanza ed esigenze di governabilità, di tenere insieme meglio centro e periferie, di dotarci
con urgenza di una legge elettorale
che aiuti a ricostruire un rapporto tra
gli elettori, sempre più rari, e gli
eletti, sempre più soli.
L’invito di Moro vale anche per
noi odierni aspiranti riformatori. l
3
IN ITALIA
Presidenzialismo
Questa riforma
non s’ha da fare
MICHELE DI SCHIENA*
L
a nostra Costituzione prescrive all'art. 138 la procedura per il varo di leggi di
revisione del testo dello Statuto,
precisando che le modifiche devono essere approvate da entrambe le
Camere per due volte successive a
distanza di almeno tre mesi l'una
dall'altra. Aggiunge poi che se
nella seconda votazione le due
Camere approvano il testo con la
maggioranza di due terzi, la legge
diviene definitiva, mentre se nella
seconda votazione la legge è
approvata anche solo da una
Camera con una maggioranza
minore, essa deve essere sottoposta
a referendum, qualora nei tre mesi
successivi ne facciano domanda un
quinto dei membri di una Camera, 500mila elettori o 5 Consigli
regionali.
Si tratta di un procedimento
chiaro e preciso che, rispetto alla
produzione legislativa ordinaria,
risulta “aggravato” nei modi e nei
tempi di svolgimento per soddisfare l'esigenza che le riforme costituzionali vengano meditatamente
approfondite e siano espressione di
quella «sovranità» che, per l'art.1
della Costituzione, «appartiene al
popolo che la esercita nelle forme e
nei limiti» previsti dallo Statuto.
Una sovranità esercitata quindi
attraverso gli strumenti della
democrazia rappresentativa (col
contributo di idee e di voto dei
parlamentari espressi dal corpo
elettorale) e attraverso la democrazia diretta (col voto referendario e
le altre forme di partecipazione
democratica).
Non può allora sfuggire il significativo rapporto che lega al primo
articolo della Costituzione, il quale
disegna il volto della nostra democrazia precisandone la natura («L'Italia è una repubblica democratica
fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo») gli ultimi
due: il citato articolo 138 che disciplina il procedimento di revisione
costituzionale e il 139 per il quale
«la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale». Due norme che sbarrano
la strada ad ogni deformazione
dello Statuto, perché consentono
solo specifiche e contenute modifiche da operare attraverso procedure
e regole rivolte a impedire mutamenti che deformino la fisionomia
e la struttura della nostra legge fondamentale. Ne è conferma l'indirizzo della Corte costituzionale per il
quale, oltre alla forma repubblicana, non possono essere oggetto di
revisione l'impianto complessivo
dello Statuto, i diritti essenziali dei
cittadini e i principi fondamentali
dell'ordinamento fra i quali quello
pluralistico e quello di uguaglianza.
Preoccupano allora gli orientamenti in favore di un presidenzialismo che, comunque etichettato,
sia rivolto a concentrare nelle
mani di un soggetto eletto dal
popolo la progettazione e la
gestione della politica del Paese.
Ora, non vi è dubbio che forme di
governo presidenziale sono praticate in Paesi di indiscussa democrazia come gli Stati Uniti e la
Francia, ma non può sfuggire che
quelle esperienze richiedono un
attento bilanciamento (non sempre agevole) tra i poteri del capo
dello Stato e quelli del Parlamento, allo scopo di evitare pericolosi
•
Preoccupano gli
orientamenti in favore
di un presidenzialismo
rivolto a concentrare
nelle mani di un eletto
la progettazione
e la gestione
della politica del Paese
•
squilibri. Ed esigono altresì la
costante promozione (impresa
anch’essa non facile) di efficaci
forme di controllo sociale e di
vigilanza politica per scongiurare
il pericolo che la governabilità
venga privilegiata oltre misura con
grave danno della partecipazione
democratica.
* Presidente onorario aggiunto
della Corte di Cassazione
4
Adista
22 GIUGNO 2013 • N. 23
Quando si affronta il problema
delle riforme costituzionali non
può essere ignorata la tormentata
storia politica del nostro Paese,
segnata in passato da una tragica
dittatura e sempre attraversata da
pulsioni eversive e da insidiosi
populismi. Una storia che certo
rafforzò nei nostri costituenti, ed
oggi dovrebbe farlo nei nostri
“riformatori”, la convinzione che il
parlamentarismo sia il migliore
antidoto contro ogni deriva autoritaria e sia in grado di assicurare,
oltre l’indipendenza della magistratura, un corretto rapporto tra
la funzione legislativa e quella esecutiva con l’attribuzione al popolo
sovrano del compito di porsi come
ago della bilancia dell’equilibrio
tra i poteri dello Stato e come fattore propulsivo della democrazia.
Ed è per questo che la Costituzione parla all’art. 49 del diritto dei
cittadini «di associarsi liberamente
in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale». Non quindi
un presidente con poteri demiurgici, ma i cittadini, in quanto
popolo titolare della sovranità,
devono determinare, attraverso la
rappresentanza parlamentare, la
politica generale del Paese.
Durante l’incontro svoltosi nell’Abbazia di Spineto, il presidente
del Consiglio Letta e il ministro
Quagliariello hanno delineato il
cammino da intraprendere per le
22 GIUGNO 2013 • N. 23
riforme costituzionali, pensando a
un doppio binario: da una parte
un organismo composto dai parlamentari delle Commissioni Affari
costituzionali di Camera e Senato
e, dall’altra, una commissione di
esperti esterni, i cosidetti “35
saggi” appena nominati. Una procedura che si appalesa non solo
complicata ma, come giustamente
sostiene il presidente emerito della
Consulta Gustavo Zagrebelsky,
anche «totalmente estranea alla
Costituzione» per la sua struttura
e perché intesa a sfociare in un
«voto bloccato delle Camere»
chiamate a pronunciarsi con un
“sì” o con un “no” senza la possibilità di introdurre emendamenti.
Alcune specifiche riforme dello
Statuto sono indubbiamente
necessarie (per esempio la riduzione del numero dei parlamentari,
la conversione del Senato in una
Camera delle Regioni e delle autonomie locali, l’abolizione delle
Province, un migliore coordinamento tra i poteri e via dicendo),
ma una trasformazione in senso
presidenziale della forma di governo non è consentita, perché finirebbe per alterare profondamente
i connotati della nostra democrazia. E ciò perché l’ordinamento
della Repubblica disegnato dalla
seconda parte dello Statuto si
pone come strumento al servizio
dei principi fondamentali e dei
diritti e dei doveri dei cittadini
Adista
enunciati nella prima parte. Progetto di società e metodi per realizzarlo, scelte e regole, dinamiche
e garanzie, fini e mezzi (i secondi
sempre in funzione dei primi e
questi a quelli strettamente legati)
costituiscono un tutto organico e
inscindibile, sicché non è possibile modificare radicalmente l’ordinamento della Repubblica senza
incidere pesantemente sui capisaldi della nostra democrazia.
Si facciano allora le necessarie
riforme costituzionali con le procedure ed entro i limiti previsti
dallo Statuto, ma a nessuno venga
in mente (si chiami Berlusconi o
Veltroni, Quagliariello o Renzi) di
seguire, quanto al metodo, procedure non consentite dalla Costituzione e di perseguire, quanto al
merito, l’obiettivo di varare forme
di governo incompatibili con la
logica della Carta costituzionale.
•
Una trasformazione
in senso presidenziale
della forma di governo
non è consentita,
perché finirebbe
per alterare
profondamente
i connotati
della nostra democrazia
•
Quella Carta per la quale il Parlamento, in quanto centro della vita
costituzionale dello Stato, è chiamato non solo a svolgere la funzione legislativa, della quale quella
esecutiva e quella giurisdizionale
sono la necessaria continuazione,
ma anche a impartire le supreme
direttive politiche e a svolgere, in
modo permanente, il controllo
politico sull’attività del governo.
Un sistema che, nonostante le
tante anomalie della nostra fragile
democrazia, è sempre riuscito a
mettere il Paese al riparo dai rischi
di involuzione, facendogli superare difficili momenti di crisi. l
5
IN ITALIA
Base Dal Molin
Resistere, resistere, resistere.
Ma la Chiesa dov’è?
MAURIZIO MAZZETTO*
A
Vicenza, la battaglia per il
No al Dal Molin non si è
arrestata. Nonostante, dall'estate scorsa, si veda ormai compiuta la costruzione della nuova
base militare statunitense, alcuni
cittadini e gruppi – in particolare
Sì-Amo Vicenza, le Donne in rete
per la pace, il Presidio permanente No Dal Molin e i Cristiani per
la pace (di cui fanno parte, fra gli
altri, Pax Christi e la Comunità
Papa Giovanni XXIII) – stanno
continuando ad operare.
Dopo il primo digiuno collettivo promosso dai Cristiani per la
pace di Vicenza nel settembre
2012 (v. Adista Notizie n. 35/12),
se n'è svolto un altro, dal 7 al 9
dicembre scorso, durante il quale
vi sono state varie raccolte di
firme contro la base, l'Ora di
silenzio per la pace, diversi incontri con il sindaco e con il prefetto,
dibattiti, riflessioni e mostre. L'8
dicembre, poi, si è svolta, a ridosso della nuova base militare,
un'importante e significativa
azione artistico-civile, promossa
da Alberto Peruffo, dal titolo
“Vergogna. Vicenza, patrimonio
vergognoso dell'Unesco”, con
l'accensione di diversi fumogeni
rossi collocati davanti a croci
bianche (in ricordo dei morti
nelle guerre). È stata visibile da
varie parti della città. «Vicenza,
che nel 1994 ha ricevuto questo
marchio per meriti storico-culturali, che avrebbero potuto generare conseguenze economiche virtuose, ha venduto la sua virtù in
cambio di non si sa bene cosa», si
legge nell’appello di Peruffo diffuso in quell’occasione. «Compensazioni? Economia di genere?
Turismo paramilitare? La virtù di
Vicenza è stato l’urbanesimo, di
cui si voleva fosse esempio al
mondo, e il lascito palladiano. Io
immagino che a tutti, artisti e
persone, esca fumo rosso dalle
orecchie. La Terra stessa immagino irata. E fumante. Rossa di rabbia, direttamente proporzionale
alla vergogna che riverseremo ad
eternum su chi ha la colpa di avere
trasformato una città culturale in
una città militare». Era il giorno
dell’Immacolata Concezione: «Il
rosso nel giorno del bianco», recitava l'appello.
Lo scorso 16 aprile Alberto
Peruffo ha ricevuto una lettera da
parte della presidenza dell’Unesco, a cui ci si era da tempo rivolti, nella quale si afferma: «La
prego di considerare che, seguendo la Convenzione del patrimonio mondiale, ogni Stato firmatario di questa Convenzione è in
carico del dovere di assicurare la
protezione e la conservazione del
patrimonio culturale e naturale
situato nel proprio territorio».
Vicenza, quindi, è “monitorata” e
in futuro, come peraltro è già
capitato ad altre città, potrebbe
essere esclusa dal Patrimonio
mondiale dell'Unesco.
Ancora il 4 maggio scorso si è
vissuta una giornata particolarmente intensa. Ecco la cronaca e
il commento di Alessio Mannino, direttore di Nuova Vicenza:
«Oggi doveva aprire le porte ai
vicentini la base Dal Molin (o
Del Din, così ribattezzata per
cancellare fin dal nome la memoria del no alla sua costruzione).
Allarmati dai bellicosi annunci di
contestazioni, i titolari statunitensi hanno rinunciato all’open
day. Così si svolgerà soltanto il
corteo del Presidio No Dal Molin
e altre manifestazioni, come
quella dei Cristiani per la Pace al
Villaggio statunitense, per mandare ai militari Usa il segnale che
un irriducibile manipolo di
oppositori c’è ancora. La sfilata
passerà anche sotto la Prefettura,
sede del governo, che nel 2008
venne violata dai no base incatenatisi alle sue scale, azione per la
quale, proprio l’altro ieri, in 26
sono stati condannati ad una
media di cinque mesi di reclusione con la condizionale».
Per questa giornata di apertura
della base ai cittadini di Vicenza,
il movimento di resistenza aveva
ritrovato una forte unità, mentre
sul settimanale diocesano La Voce
dei Berici (28 aprile) appariva un
articolo nel quale, tra l’altro, si
riferiva della visita di alcune classi di studenti della città alla
nuova base, complice un sacerdote diocesano che talora celebra
alla Caserma statunitense Ederle:
«Penso sia utile farli sentire i ben-
* Parroco a Vicenza, fa parte di Pax Christi
6
Adista
22 GIUGNO 2013 • N. 23
venuti come comunità collettiva,
sono parte della diocesi», affermava il sacerdote. Mentre in un articolo a firma di Romina Gobbo si
leggeva: «Non è più tempo di
contestazioni. (…) Come giornale ci siamo interrogati. Qual è il
significato di questa presenza? La
dobbiamo considerare per forza
altro da noi? Abbiamo scelto la
via dell'inclusione». Per aggiungere poi: «Cercare di capire non
significa abdicare alla nostra tensione alla pace».
Sempre nella Voce dei Berici
nelle settimane successive sono
state pubblicate lettere di protesta
rispetto alle cronache del settimanale diocesano. In particolare gli
attivisti di Pax Christi Vicenza
hanno scritto: è «particolarmente
imbarazzante la notizia secondo la
quale alcuni studenti delle scuole
superiori vicentine hanno visitato
gli spazi della nuova base. Addirittura alcuni di essi sono stati
accompagnati (orgogliosamente
traspare fra le righe dell’articolo)
da preti. Noi di Pax Christi riteniamo che sia grave responsabilità
la contaminazione didattica con
la promozione di una cultura di
guerra in cui il soldato è proposto
come colui che diffonde la pace e
sacrifica la vita, sorvolando sul
fatto che lo fa con le armi in
pugno, imparando ad eliminare
l’altro». Il direttore, Lauro Paoletto, ha risposto, mantenendo la
solita linea ambigua e contraddittoria: «Riaffermati gli errori, le
responsabilità, il rifiuto delle armi
come strumento di morte, crediamo che non ci si possa fermare
qui», si legge nella sua replica.
«Anche rispetto alla questione
Dal Molin (oggi Del Din) e più
in generale degli armamenti
occorre ricordare che la stessa
fede può animare progetti politici
diversi (anche con riferimento al
perseguimento della pace)».
Insomma, si rifiutano «le armi
come strumento di morte» e si
accettano le basi militari, che mi
sembra siano fatte apposta per
ammassare ed usare le armi. Inoltre, e più in generale, a me pare
che se si sostiene che la pace si può
raggiungere per la via armata e per
quella disarmata («progetti politici diversi»), cosa c'è di nuovo nel
pensiero e nella pratica della Chiesa? Sostanzialmente nulla. Rimane
aperta, infine, la questione dei
cappellani inseriti nella struttura
dell'Esercito: una questione cui la
Chiesa non vuole ancora mettere
mano. Per il mese di luglio è prevista l'inaugurazione ufficiale
della base militare. E i diversi
gruppi si stanno già organizzando
per la protesta. Mentre, in agosto,
proprio a Vicenza (e sull'Altipiano
di Asiago) si svolgerà il primo
Campo internazionale dei giovani
di Pax Christi. La resistenza,
anche dei cristiani, continua. l
LETTERA APERTA ALLA CITTADINANZA
nche se l’open day del 4 maggio è stato annullato, noi cittadine e cittadini di Vicenza, che nel corso
di questi anni abbiamo manifestato la nostra opposizione alla costruzione di una nuova base di guerra, continuiamo a dire il nostro “no” alla base per denunciare come a Vicenza e in altre Regioni d’Italia, gli statunitensi, che il 25 aprile del 1945 sono entrati nelle nostre città a fianco dei partigiani e degli
alleati, siano progressivamente diventati degli occupanti e, come parti significative del territorio della Repubblica vengano sottratte alla sovranità della cittadinanza e acquisite come fossero delle colonie.
Continueremo a denunciare ogni forma di complicità con le guerre in corso, a manifestare contro ogni tipo
di militarizzazione del territorio, a lottare per una città libera dalle basi di guerra, per l’affermazione di una
città di pace.
Vogliamo continuare a denunciare con forza che la costruzione della base statunitense ha sottratto a Vicenza l’ultimo spazio verde, senza che siano state rispettate le direttive europee sui referendum e senza che
sia stata attuata la valutazione di impatto ambientale obbligatoria per attuare progetti così invasivi: 700mila
metri quadrati con un edificato pari a 800mila metri cubi di cemento che ha prodotto una gravissima lesione all’equilibrio idrogeologico della zona.
Vogliamo dire ai militari americani di esaminare la documentazione relativa all’occlusione e alla distruzione
del sistema di drenaggio che dal 1929 permetteva il deflusso delle acque piovane dell’area del Dal Molin e
dei territori circostanti; di osservare come, a seguito dei lavori per la costruzione della nuova base militare
si siano formati degli acquitrini all’interno dell’area adiacente alla base, divenuta ora un “parco acquatico”;
di consultare le famiglie dei residenti che ad ogni temporale devono attivare le pompe per evitare allagamenti di abitazioni che non avevano avuto mai problemi prima che si aprissero i cantieri.
Vogliamo ribadire che non sono state fornite spiegazioni ai quesiti che a seguito di queste criticità sono
stati posti da più parti, comprese le istituzioni. Vogliamo smascherare il regime di servitù militare, un vero
e proprio regime di occupazione del territorio e una limitazione della cittadinanza, tanto più offensiva quanto più si pretende che venga considerato una risorsa e un’opportunità. l
A
Beati i costruttori di pace, Cristiani per la pace, Donne in rete per la pace, Emergency Vicenza, Famiglie
per la pace, Femminile plurale, Gruppo donne del Presidio No Dal Molin, Movimento internazionale della
riconciliazione, Movimento nonviolento, Presidio Permanente No Dal Molin, Sinistra ecologia e libertà, Usb,
Vicenza Libera No Dal Molin, Forum per la pace di Monticello Conte Otto.
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Adista
7
IN ITALIA
Replica al “Corriere”
Colpi di coda
di una Chiesa che non scalda
SANDRO FRANCHINI*
G
alli Della Loggia, nel suo articolo sul Corriere della Sera di domenica 2 giugno,
“Una libertà minacciata”, in cui si
denuncia la rivoluzione “essenzialmente anticristiana” che attualmente caratterizzerebbe l’Europa,
ci dà un chiaro esempio di distorsione della realtà giungendo a formulare conclusioni che dovrebbero essere rifiutate prima di tutto proprio dai
cristiani più attenti a salvaguardare
l’essenzialità del Vangelo.
L’autore elenca con minuzia
martellante vari esempi in cui la
morale cattolica (soprattutto cattolica, più che cristiana) sarebbe stata
vilipesa con grave pregiudizio delle
coscienze, a difesa delle quali Galli
Della Loggia invoca i principi del liberalesimo, proprio quindi di quel
sistema di pensiero che è stato anche
ufficialmente condannato dalla
Chiesa fino a sessant’anni fa.
Non è il caso di entrare nei dettagli, come fa l’editorialista del Corriere, soprattutto perché nella sua
analisi egli compie una fuorviante
identificazione tra i valori morali e
etici condivisi da una parte rilevante della società e quelli propugnati
dalla Chiesa cattolica. Va da sé poi,
come da elenco, che questo sistema
di valori comprenda sì capisaldi
come la difesa della vita e la condanna dell’aborto, ma anche la negazione del matrimonio degli omosessuali (anche le semplici unioni di fatto?), la proibizione del preservativo,
la censura di materiale “esplicitamente sessuale” gay (quello eterosessuale pare non crei problemi);
mettendo in un unico paniere il
gesto dissacratore di un cantante
che scimmiotta la consacrazione di
un preservativo con la decisione
del Parlamento danese che, in base
al ruolo storico affidatogli nei confronti della Chiesa luterana dagli
•
Le dimissioni
di Benedetto XVI,
gesto di altissimo
valore storico, hanno
glorificato un pontificato
che di grande ha avuto
l’epilogo
•
stessi fondatori del luteranesimo,
sancisce il matrimonio tra omosessuali forte dell’appoggio di due terzi degli stessi ministri di quella
Chiesa (visto che è solo un terzo ad
opporvisi).
Spiace vedere il maggiore quotidiano italiano aprire il numero del
giorno della festa della Repubblica,
quando tutto il Paese dovrebbe
soffermarsi sull’esaltazione dei valori civili che ci uniscono, con un titolo in rosso in prima pagina
“L’intolleranza verso la religione”,
che dimostra ancora una volta la
nostra necessità di guardare sempre e comunque oltretevere anche
quando dovremmo invece cogliere
l’occasione per ribadire il fondamento laico delle nostre istituzioni.
Se la festa della Repubblica doveva
essere, nelle intenzioni dello storico,
l’occasione solenne per erigersi a
paladini delle libertà fondamentali,
tra le quali prima e basilare è la libertà religiosa (come scrisse Francesco
Ruffini), si sarebbe dovuto anche ricordare, per dare veridicità al quadro
delineato, che nella Chiesa cattolica ci si è battuti contro la libertà religiosa fino agli anni del Concilio,
solo cinquant’anni fa, e che non è
proprio la Chiesa cattolica che può
oggi essere indicata quale campione
di questa battaglia. Una Chiesa
che, contrariamente ad altre Chiese cristiane, ancora dimostra atteggiamenti omofobici, che ancora
dibatte sull’uso del preservativo,
che ancora non sa risolvere al proprio interno le contraddizioni che le
vengono dai residui di una cultura
sessuofobica e misogina, per non
parlare di cose più serie come la
difficoltà ad accettare il dibattito
interno e a promuovere la ricerca
teologica. Le dimissioni di Benedetto XVI, gesto di altissimo valore
storico, hanno glorificato un ponti-
* Cancelliere dell’Istituto Veneto
di Scienze, Lettere e Arti
8
Adista
22 GIUGNO 2013 • N. 23
l’immigrazione rifiutata
osservatorio a cura di Cristina Mattiello
ficato che di grande ha avuto l’epilogo, ma non possiamo non vedere
in esso la triste conclusione di una
parabola che ha portato al declino
della Chiesa in Europa e nell’Occidente non per i nemici esterni, non
per il dissacrante anticlericalismo
degli arrabbiati, ma per le proprie debolezze interne.
Il presidente della Conferenza
episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, anche solo l’altro
giorno, si è sentito in dovere di
prendere posizione contro una legislazione che riconosca e regoli l’esistenza delle coppie di fatto etero e
omosessuali. Che conseguenze potrà
mai avere questa pervicacia nel
non voler ammettere il diritto di
migliaia di persone a vedersi riconoscere dallo Stato una decisione di vita che è fondamentale per loro e
per le loro famiglie? Cosa potrà
mai portare questa ostinazione se
non il senso di fastidio, di insofferenza che Galli Della Loggia chiama
“intolleranza verso la religione”?
Ma davvero c’è chi ancora crede
che il nostro mondo possa essere
salvato da quell’immagine edulcorata della Chiesa cattolica, buona per
il rinato “Carosello”, che gli uffici
della Conferenza episcopale cercano
di propinare per la raccolta dell’8 per
mille? La Chiesa e il cristianesimo
hanno bisogno di ben altro per
tornare ad accendere i cuori e per
rinnovare la fede. l
22 GIUGNO 2013 • N. 23
Adista
ITALIAN APARTHEID
Scuole – non classi, addirittura
scuole! – separate solo per i figli
degli immigrati fino alle superiori
sono state proposte dal presidente della Provincia autonoma di
Bolzano, Luis Durnwalder, lo
stesso che ha già fatto approvare nel 2009, con un largo consenso, la norma secondo cui le
classi non possono essere composte per più del 30% da bambini con genitori con cittadinanza
straniera. Un pericolosissimo
precedente, che va incontro a
istanze espresse a livello governativo negli ultimi anni e finora
bloccate dalla reazione democratica.
FU VERA DISCRIMINAZIONE!
«Sono cittadino italiano e ho la carta d’identità. Eppure, tre anni fa,
mi hanno preso le impronte digitali per il censimento dei rom. Io
non volevo e non capivo perché
dovessi essere schedato se
non avevo fatto alcun reato. Ma le
forze dell’ordine mi hanno detto:
“O ti fai prendere le impronte o resti per strada e non ti facciamo entrare in nessun campo”. Ero obbligato a fare quello che mi ordinavano. Mi sono sentito come i deportati al tempo dei nazisti. Spero che d’ora in poi nessun cittadino rom subisca altre discriminazioni»: così ha dichiarato, all’Associazione 21, Luglio Elviz, cittadino
rom che ha vinto la causa contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Prefettura e Questura di Roma. Il
Tribunale Civile di Roma gli ha riconosciuto di essere stato vittima
di discriminazione su base etnica
e ha ordinato la distruzione dei documenti con i suoi dati sensibili
così raccolti.
“SETE” DI GIUSTIZIA
Viene sospesa spesso la fornitura di acqua nel campo rom autorizzato di Viareggio: la comunità e
la Onlus Berretti Bianchi rivolgono
un pressante appello all’amministrazione per un diritto che non si
dovrebbe negare a nessuno.
UN CALCIO AL RAZZISMO
Tornano i “Mondiali antirazzisti”,
organizzati dalla Uisp e giunti alla XVII edizione. Quest’anno si
svolgono dal 3 al 6 luglio nel
parco di Bosco Albergati (Modena): il “torneo meno competitivo
del mondo” vedrà la partecipazione di 200 squadre di calcio, provenienti da 25 Paesi diversi. Ci sarà anche spazio per la cultura e la
musica, con concerti gratuiti.
INTEGRAZIONE IN ROSA
Il Premio Melograno assegna
ogni anno un riconoscimento a
due donne, una italiana ed una
“nuova italiana” di origine straniera, impegnate nelle nuove sfide
della società multiculturale italiana al fine di valorizzare le
esperienze positive di relazione,
conoscenza e buona convivenza. Scadenza: 30 settembre.
Per informazioni: www.fondazionenildeiotti.it, oppure [email protected].
UNA GIORNATA PER LE COLF
"Insieme per un lavoro domestico
dignitoso” è il titolo di un convegno promosso da Acli Colf Ass.No.Di - Caritas Internationalis,
in occasione della Giornata internazionale delle lavoratrici e
lavoratori domestici (Roma, 16
giugno).
A SCUOLA DI ITALIANO
Corsi di italiano L2 gratuiti per
bambini delle elementari e medie
saranno organizzati dal 24/7 al
26/8 e dal 26/8 al 5/9 al dall’associazione Koiné, con il
Centro famiglie Villa Lais e il
Municpio VII, per facilitare l’inserimento scolastico ([email protected]). l
9
IN ITALIA
Salone di Torino
Militari in missione di...
propaganda
GIACOMO RIELLO
G
rande prova di propaganda del Ministero della
Difesa al XXVI Salone del
Libro di Torino. Anche quest’anno
il Ministero ha partecipato al Salone con un grande e costoso stand, a
carico del contribuente italiano,
nel quale erano impegnati decine e
decine di bassi e alti ufficiali di
aeronautica, marina, esercito e
carabinieri. Una prova di forza che
si rinnova ogni anno con una raffica di presentazioni di libri patinati
e di grande formato dedicati ad
armi e sistemi d’arma, a riviste
militari e di storia delle guerre italiane ancora retoricamente presentate come missioni di pace. Un valzer di generali ed esperti ai quali si
sono aggiunti quest’anno il generale d’armata Vincenzo Pelvi, arcivescovo castrense, con il suo libro Sui
sentieri della pace, appena stampato dalle edizioni San Paolo, ormai
divenuta la casa editrice ufficiale
dell’ordinariato militare (si pensi
alla stampa degli atti degli annuali
Convegni dei Cappellani militari e
all’incredibile volume dello stesso
Pelvi Cirenei della Croce). Presentatore del libro di Pelvi è stato il
generale Giuseppe Nicola Tota,
comandante dell’Accademia di
Modena con il ruolo di moderatore e servitor cortese del giornalista
di Famiglia Cristiana Alberto Chiara, la cui presenza offre l’idea della
nuova linea militaresca del glorioso
settimanale paolino. Il “libretto” di
Pelvi, appena 900 pagine in edizione cartonata, offerto gratuitamente
a tutti i presenti (a proposito, ma
chi lo ha finanziato?) raccoglie
interviste, lettere e soprattutto
omelie. Tra queste ultime un gene-
10
re particolare sono le omelie pronunciate in occasione dei frequenti
funerali di Stato dei soldati morti
nelle cosiddette missioni di pace.
Omelie consolatorie e spiritualizzanti, traboccanti di retorica in cui
il militare ucciso è sempre presentato come un servitore della pace
perché: «I nostri militari sono un
po’ speciali, perché portano quel
bagaglio di umanità e di fede che
contraddistingue da sempre i militari italiani impegnati in missioni
di sicurezza nel mondo» (p. 713).
Durante la presentazione il generale-arcivescovo ha detto, in modo
tranquillizzante, che «fare il sodato
non è un mestiere, ma il soldato è
un coraggioso testimone di prossimità. Il militare è colui che in
maniera coraggiosa, poco riconosciuta dalla società civile, è sempre
il primo ad arrivare dove c’è un
bisogno e un’emergenza. Non c’è
un discorso sulle armi da usare,
perché il militare è una persona
degna della sua umanità che riesce
a testimoniare il Vangelo della carità, chiamato ad una vita santa,
Adista
ambasciatore di serenità. Potrebbero essere questi dei paradossi, ma
al di là della divisa c’è il palpito del
bene degli altri […]. Il Vangelo è
dalla parte dei militari, il primo
credente riconosciuto da Gesù è
un militare che lancia la freccia nel
cuore di Gesù. Il militare in questa
direzione consola il cuore di una
madre presente, costui è veramente il figlio di Dio. Non c’è contraddizione tra militari e uso delle
armi, i militari nostri non usano le
armi per uccidere, i militari sono
uccisi, non sono accaniti e non
riconoscono nell’altro un nemico,
un loro nemico da abbattere. La
professione militare è evangelica
perché è in relazione al comanda-
•
Secondo Pelvi «il militare
è una persona degna
della sua umanità che
riesce a testimoniare
il Vangelo della carità,
chiamato ad una vita
santa, ambasciatore
di serenità»
•
mento di amare gli altri». A queste
parole, su invito di Chiara, ha
risposto il generale Piga chiarendo
il ruolo dei 250 cappellani militari
italiani (tutti con le stellette di
ufficiali sulla talare e con i relativi
stipendi): «Il Cappellano è una ric-
22 GIUGNO 2013 • N. 23
chezza, è un appoggio per risolvere
i problemi quotidiani. E ti fa notare ciò che non va bene e ti ricorda
il fine ultimo della nostra missione.
È il ruolo del cappellano con le
esortazioni. Sempre ci siamo chiesti – io sono sicuro – se ognuno di
noi è un buon credente. Si può
essere bravi militari ed essere contemporaneamente bravi cristiani?
Leggendo il libro ho avuto conferme che mi hanno dato sicurezza».
La prova di questa sicurezza il
generale-arcivescovo Pelvi l’ha data
arruolando Giovanni XXIII e la
Pacem in Terris alla causa delle
Forze Armate italiane insieme ai
santi militari italiani e affermando,
con una lettura “molto originale”
dell’enciclica che «forse ci sarà sempre la guerra perché l’uomo è particolarmente incline all’odio e all’egoismo […], ma certamente i
nostri militari non hanno mai
infierito contro il nemico, mai
hanno scaricato l’ira contro i nemici, che non sono mai considerati
nemici. I nostri militari dell’aeronautica hanno sofferto più dei libici perché lanciando un oggetto
non contro persone ma contro
postazioni di armi hanno ripreso
tranquillità perché vanno lì per
aiutare e mai per distruggere, c’è da
sperare in una pace possibile sempre con l’aiuto di Dio, perché è lui
che costruisce la pace». In perfetta
e grata corrispondenza – e con la
benedizione di Chiara – ha aggiunto Piga: «Noi andando in missione
riscuotiamo successo, perché non
possiamo non dirci cristiani, è la
nostra cultura. A questi valori noi
facciamo riferimento. Noi riusciamo a porci all’interno di questi
Paesi che noi non occupiamo ma
che aiutiamo a crescere e ricrescere.
[…] Io da comandante dell’Accademia ho grande responsabilità,
facciamo riferimento a questi valori, noi facciamo parlare le persone
giuste come istruttori in Accademia che vengono dai comandi dell’Arma e direttamente dai teatri
operativi, per esempio dall’Afghanistan con valori ed esempi». l
22 GIUGNO 2013 • N. 23
Adista
fuori classe
rubrica a cura di Marina Boscaino
ESAMI DI STATO
Ci siamo. Ultimi giorni di scuola,
ultimi compiti da correggere,
ultime interrogazioni, scrutini e
infine l’esame di Stato.
Questa fase dell’anno non è
una fase di bilanci. È casomai il
momento in cui si avrebbe l'esigenza di recuperare fiato ed
energia per riconquistare forze
da spendere nel mese seguente, quello dell’esame. Invece
nulla si interrompe, a parte la
consuetudine quotidiana con
le classi. Terminate le lezioni ci
abitueremo a frequentare la
nostra scuola o scuole più o
meno sconosciute senza il
contorno che rappresenta la
specificità di quegli edifici: gli studenti e il loro inequivocabile
manifestarsi.
Non più esplosioni di energia
compressa al suono della campanella, non più capannelli fumanti (nel senso di dediti al tabacco) agli angoli del cortile,
non più la partita di basket, di calcio o di pallavolo, non più l’ininterrotto sentiero verso i bagni
durante le ore di lezione. Gli atteggiamenti cambiano; la presenza, anche dei più esuberanti, si fa discreta, pudica, i toni si
abbassano. Viviamo tutti il prima
e il durante in uno stato di vigile
attesa dell’esame, delle sue fasi e della sua essenza, del suo
“sapore”, del suo suono e dei
suoi stati d’animo, tanto diversi
da quelli che fanno da scenario
allo svolgimento dell’anno scolastico. È la conclusione del percorso di studi per gli studenti, del
percorso per noi con loro e del
nostro anno di lavoro.
I tre elementi non sono intercambiabili né omogenei. L’ultimo
conferma che il nostro lavoro è
talmente ciclico che sarebbe il
caso di chiedere i danni al padreterno o a chi per lui per il fatto
che i nostri giorni, gli anni della
nostra vita, sono scanditi da
un tempo interno che morde e ci
proietta perennemente al futuro,
comprimendosi e restringendosi nella continua proiezione
verso la prossima tappa (il
quadrimestre e le pagelle; il
programma: dove sono arrivata,
dove devo arrivare? Stringo i
denti: non posso permettere
che escano dal liceo classico
senza aver letto Calvino, Pasolini e Gadda! Sì, ma è l’inizio di
maggio e siamo a Montale…) e
così via, in un continuo scavalcamento del tempo oggettivo per
abbracciare un tempo soggettivo, il nostro, quello della classe
e del progetto iniziato con lei. La
vita trascorre più velocemente,
abbrancata dalle tappe obbligate e incalzanti che scandiscono gli anni scolastici.
E poi ci sono loro: visi che hai
guardato, voci che hai ascoltato,
risate e rimproveri, condivisione
e stanchezza, in quel rapporto
difficile e ogni volta diverso
che un gruppo di adolescenti
impone di provare a instaurare, se hai davvero voglia di fare
questo lavoro. Gli up and down
fisiologici; il tuo essere su o
giù, a seconda delle classi, dei
periodi, della tua disponibilità,
nel loro indice di gradimento
globale. Tutto sparisce improvvisamente perché ora stiamo
per affrontare insieme un’avventura che, sebbene da punti di
vista diversi, ci vede tutti sulla
stessa barca: l’esame di Stato.
E devi provare a far leva sull'autorevolezza che hai saputo
trasmettere perché la fiducia
nei tuoi confronti restituisca
agli studenti serenità e capacità di dare il meglio.
Anche questa volta si conclude
senza certezze incrollabili, senza risposte definitive. La soluzione dei quesiti che, dopo tanti anni di lavoro, continuano ad attraversare le mie giornate (cosa, come, perché insegnare) continua ad essere lontana. Ci penserò il prossimo anno, magari.
Oggi devo, come ogni anno, essere interamente concentrata
su di loro. l
11
CHIESA
Austerità e disuguaglianza
«Le politiche europee violano
i valori della nostra fede»
RETE EUROPEA CHIESE E LIBERTÀ*
Di fronte alla crisi economica, alle misure di austerità, al rafforzarsi di interessi nazionali e corporativistici che minacciano
e mettono in discussione l’Unione Europea, è necessario far
sentire la propria voce e agire, nell’ambito individuale e collettivo, affinché il cammino approntato dal nostro continente
possa cambiare direzione e dare vita a un mondo di pace e giustizia. La Rete europea Chiese e Libertà ha concluso così, con
questo invito, la sua XXIII Assemblea generale, svoltasi dal 9
al 12 maggio scorsi a Madrid. È urgente, si legge nella
Dichiarazione conclusiva che pubblichiamo di seguito in una
nostra traduzione dal francese, lavorare insieme per «una politica economica alternativa a quella attuale, che obbedisce
solo alla logica dei rapporti di forza e della difesa dei potenti
interessi costituiti»: «Queste politiche che cercano di combinare crescita e riduzione del debito non conducono che all’austerità, che tocca le fasce più deboli della popolazione, i giovani
e le donne in particolare; compromettono profondamente le
conquiste dello Stato sociale che si pensava acquisito; favoriscono i Paesi forti e aumentano lo scarto sociale ed economico». Una situazione che «viola i valori etici, di solidarietà e di
impegno per la pace fondati sulla dignità delle donne e degli
uomini, sul rispetto che è loro dovuto, sui diritti che ne derivano e sulla giustizia».
L
a gravissima crisi economica,
che è cominciata 5 anni fa e
che non sembra accennare a
risolversi, pone problemi che, per
alcune loro caratteristiche, mettono
in discussione il ruolo stesso dell’Europa, così come si è costituita a
livello istituzionale e per come si è
organizzata in questi 50 anni. In tale
situazione, le sofferenze, le incertezze e il malessere, che riguardano
anche le dimensioni spirituali dell’esistenza, si aggravano sempre più.
In quanto cittadini cattolici
europei confermiamo la nostra
fiducia nel processo di collaborazione tra i popoli del nostro continente cominciato dopo la Seconda
guerra mondiale, ma dobbiamo
anche constatare e denunciare le
politiche neoliberiste e la dittatura
delle strutture finanziarie che,
soprattutto con la crisi, ostacolano
12
il raggiungimento degli obiettivi
originari:
- la salvaguardia e la promozione
dei diritti umani, specialmente
dell’uguaglianza/parità uomodonna;
- la coesione interna e il dialogo
interculturale in tutti i singoli
Paesi;
- la riduzione delle ineguaglianze
nei singoli Paesi e tra Paese e Paese;
- il contributo alla pace fondata
sulla giustizia nel mondo;
- il rafforzamento della democrazia in tutti i Paesi e specialmente in quelli che da poco fanno
parte dell’Unione Europea.
Queste politiche che cercano di
combinare crescita e riduzione del
debito non conducono che all’austerità, che tocca le fasce più deboli della popolazione, i giovani e le
donne in particolare; compromet-
Adista
tono profondamente le conquiste
dello Stato sociale che si pensava
acquisito; favoriscono i Paesi forti
e aumentano lo scarto sociale ed
economico tra le zone ricche e le
zone povere del continente, così
come tra le classi sociali possidenti e quelle sfavorite in seno ai singoli Paesi, con conseguenze a volte
drammatiche.
È soprattutto a causa della crisi
che le posizioni in favore degli
interessi nazionali, regionali e corporativistici guadagnano consensi
nell’opinione pubblica europea,
anche tra le classi sociali più deboli, e rischiano di manifestarsi con
forza alle elezioni del Parlamento
europeo del prossimo anno. Bisogna tenere presente e analizzare
queste posizioni che si oppongono
chiaramente a una società equa e
solidale, e combatterle con forza.
Queste posizioni si manifestano
soprattutto contro i migranti,
europei e non, persone vulnerabili e in difficoltà, e questo accade là
dove cercano lavoro e dunque
dignità, ma anche nei loro Paesi
d’origine. Contro tutte queste
spinte a ripiegarsi su di sé, le forze
sociali e politiche democratiche e
le istituzioni, prima di tutto l’Unione Europea, devono intervenire attivamente con una politica di
accoglienza e integrazione.
Affinché in Europa le cose prendano un nuovo corso è necessaria
una politica economica alternativa
a quella attuale che obbedisce solo
alla logica dei rapporti di forza e
della difesa dei potenti interessi
costituiti.
Constatiamo con inquietudine
che per una nuova Europa:
- la politica estera del nostro
continente, senza reale visibilità, è
molto debole nei confronti dei
Paesi del Mediterraneo e del Sud,
e incapace di agire per la pace
secondo criteri di giustizia nelle
zone di crisi (Medio Oriente);
- dopo la caduta del muro di
Berlino, le forze armate hanno
conservato e rafforzato il loro
potere, nel silenzio complice del-
22 GIUGNO 2013 • N. 23
l’opinione pubblica, producendo
un grande spreco di risorse che
potrebbero essere utilizzate per la
società, mentre il commercio delle
armi si intensifica. Ordigni nucleari sono ancora presenti in Europa e
il disarmo nucleare è bloccato;
- i poteri delle reti mafiose, grazie al loro carattere globalizzato,
aumentano e si rafforzano;
- l’azione politica a favore dell’educazione, della cultura e dell’ambiente non è affatto una priorità.
Illuminati dal Vangelo di Gesù
pensiamo che sia nostro dovere
parlare e agire nell’ambito individuale e collettivo, perché questa
situazione viola i valori etici, di
solidarietà e di impegno per la
pace fondati sulla dignità delle
•
Constatiamo
che la nostra Chiesa
non reagisce davanti
alla gravità della situazione con la passione,
l’apertura, la collegialità
e l’efficacia che dovrebbero caratterizzarla
•
donne e degli uomini, sul rispetto
che è loro dovuto, sui diritti che ne
derivano e sulla giustizia: valori
che trovano le loro radici e la loro
fonte nella nostra fede.
Per questo constatiamo con
disappunto che la nostra Chiesa, ai
vertici delle sue strutture, nazionali o europee (Comece-Commissione degli Episcopati della Comunità Europea e Ccee-Consiglio delle
Conferenze Episcopali d'Europa),
non reagisce davanti alla gravità
della situazione con la passione,
Logo della Rete europea Chiesa e Libertà ( www.european-catholic-people.eu)
l’apertura, la collegialità e l’efficacia che dovrebbero caratterizzarla
nei suoi rapporti con la società
civile e le istituzioni affinché siano
il riflesso dell’insieme della Chiesa. Ma ci sono tanti cittadini cattolici che si impegnano con convinzione anche se alcuni hanno, a
volte, una visione che si limita
all’assistenza, provvisoriamente
necessaria certo, ma che deve essere superata da una visione e un’azione politica globale che tenda a
renderla temporanea.
Siamo anche convinti che i
responsabili della Chiesa cattolica
non debbano in alcun modo difendere i loro privilegi o giocare, nella
società e nelle istituzioni nazionali
o europee, un ruolo che offuschi il
messaggio evangelico di Gesù, trasformando il servizio in potere.
Come ai tempi del regime di cri-
stianità che è scomparso e del quale
non dobbiamo essere nostalgici.
Noi, cittadini e cittadine, cristiani e cristiane di base – tra cui molti
che si collocano all’interno della
Chiesa cattolica alla quale appartengono rifiutando tutto ciò che
assomiglia a un veto o a un ostacolo da parte della gerarchia – dobbiamo promuovere azioni affinché
tutti i credenti di differenti religioni agiscano insieme e affinché il
cammino approntato dal nostro
continente in questo inizio XXI
secolo possa cambiare direzione e
permetta di collaborare con i grandi Paesi emergenti, al di là delle
vecchie egemonie e delle opposizioni est-ovest, nord-sud.
È con questi sforzi che dignità,
rispetto reciproco, giustizia e pace
avranno più possibilità di giungere infine a guidare l’umanità. l
* Rete europea Chiese e Libertà
Nasce nel 1991 dalla convergenza di associazioni, comunità e gruppi di cristiani del vecchio continente, uniti dalla visione di una Chiesa profetica, ecumenica, solidale, amorevole, e dalla volontà di
agire per la pace, la giustizia, la libertà, i diritti umani e la democrazia, anche dentro la stessa Chiesa cattolica. A distanza di più di 20 anni la Rete raccoglie aderenti, perlopiù cattolici, provenienti da
una quindicina di Paesi europei che si riuniscono in Assemblea con scadenza annuale.
Per ulteriori informazioni: www.european-catholic-people.eu.
22 GIUGNO 2013 • N. 23
Adista
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libri libri libri libri lettere lettere
Gustavo Esteva
Antistasis.
L’insurrezione in corso
Asterios Editore,
(2012, Trieste, pp. 92, 9€)
Chiesa e omosessuali
Figli di Dio
o frutti del demonio?
La mamma
di un ragazzo gay
Q
uando, negli ultimi mesi del 2010, l’attivista e intellettuale
messicano Gustavo Esteva si accinge a scrivere alcune note
per un ciclo di incontri sulla crisi – ora raccolte nel volumetto Antistasis. L’insurrezione in corso – il profumo di gelsomino della
Primavera araba, così come gli indignados spagnoli, la contestazione
greca, Occupy Wall Street erano ancora di là da venire. Eppure il suo
preziosissimo libretto – difficile da recensire considerata la densità di
spunti e riflessioni – altro non è che un’anticipazione di quelle esplosioni sociali, il «tentativo di descrivere una estesa ribellione sociale che
oggi sta percorrendo il mondo», come scrive l’autore nella prefazione.
Nel farlo, Esteva – fondatore tra l’altro di quell’originale Università
della Terra di Oaxaca, conforme alle idee di Ivan Illich sul libero
apprendere – tenta di rispondere a una serie di domande che si
impongono di fronte al «caos e all’incertezza che appare alla fine di
un’era, allorché le sue relazioni, le sue pretese, le sue motivazioni,
incluso i suoi sogni, hanno smesso di funzionare, ma non sono ancora apparsi o non risultano evidenti i segni portanti di una nuova era»:
«Qual è il carattere e la portata di quest’insurrezione? Qual è la sua
natura? È realmente anticapitalista o risulta funzionale al regime
dominante e prolunga la sua agonia? Perché chiamare insurrezione dei
comportamenti che a prima vista sono mere reazioni di sopravvivenza, spesso disperate, senza un’articolazione evidente tra di loro?». Esteva affronta questi interrogativi a partire da un’ottica radicata nei
movimenti sociali e nelle iniziative su piccola scala, consapevole –
come Howard Zinn «che ha insistito tutta la vita nel dimostrarci che
le grandi rivoluzioni
non sono l’opera dei
grandi leader o di violenti terremoti sociali»
– che «gesti del tutto
marginali
possono
convertirsi nella radici
invisibili del cambiamento». È necessaria la
sollevazione, è la conclusione di Esteva, da
non «confondersi con
la "via armata" che
alcuni gruppi cercano
tuttora di perseguire,
perché l'insurrezione
sarà pacifica e democratica, tanto pacifica
quanto le circostanze
lo permettano e tanto
democratica quanto
sarà possibile». l
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Adista
mofobia, che cosa significa? Possibile che un
padre francescano non
conosca questa parola? Forse
me lo vuole far credere perché si
è imbarazzato davanti alla mia
richiesta di leggere una preghiera. Una preghiera! Ma proprio
loro che predicano con la spiritualità di Francesco?
Il 17 maggio ho partecipato
alla veglia contro l'omofobia a
Palermo, nella chiesa della
Pietà alla Kalsa, insieme a
tanta gente comune, a sacerdoti, pastori, ai ragazzi omosessuali credenti di “Ali d'Aquila”,
ai genitori di ragazzi omosessuali dell'associazione Agedo
Palermo; ad un certo punto gli
organizzatori hanno proposto di
recarci ognuno nella parrocchia
di appartenenza la domenica
successsiva per chiedere di
inserire un pensiero contro l'omofobia, contro la crudeltà
della gente, all'interno della
preghiera dei fedeli, là, dove
ripetiamo «ascoltaci o Signore».
Ho aderito con gioia alla sollecitazione e la domenica successiva mi sono recata in chiesa. Mi
sentivo forte del fatto che qualcuno potesse leggere quella preghiera davanti a tutti, proprio
tutti, sia quelli che accettano l'omosessualità sia quelli che la
condannano, così ho portato la
mia proposta al sacerdote.
Non mi sento di dire dove si
trova la mia parrocchia, per un
fatto di riservatezza, ma è ubicata in una zona abbastanza centrale della città. Quel giorno
sono stata invitata dal parroco e
da altri preti ad uscire fuori, perché quello non era il momento,
quel giorno si celebravano le cresime e la chiesa era gremita di
gente! Non si poteva, non era il
momento adatto: e quando sarà
il momento adatto? Ho detto:
«La Chiesa non ci aiuta!». E mi è
stato risposto che non era vero,
O
22 GIUGNO 2013 • N. 23
lettere lettere
che «queste persone» le aveva
ricevute qualche giorno prima!
Con il cuore in gola mi sono recata in un'altra chiesa, non potevo
rimanere nella mia parrochia ero
troppo arrabbiata. Ho assistito
alla messa, e poi ho atteso il
prete per un po’: cercavo conforto, cercavo qualcuno che mi
facesse calmare l'angoscia che
avevo dentro. Quel prete mi ha
parlato: mi ha detto, però, che
l'omosessualità è opera del diavolo, che la Chiesa non vieta
all'omosessuale di entrare in
chiesa, non vieta di parlare con
loro, la Chiesa non accetta gli
eccessi e l'imposizione che oggi
gli omosessuali hanno intrapreso
nei confronti della società eterosessuale! E poi ha continuato:
«Ma che cosa vuole fare questo
padre Cosimo Scordato? Certo,
Gesù si è rivolto ai peccatori, ai
ladri, alle prostitute, agli impostori, agli assassini, ma non si è
rivolto agli omosessuali dicendo
“Vai e non peccare più”; signora,
secondo lei, perché non si è
rivolto anche a loro?».
Io chiedo: «Perché dei nostri
poveri figli si deve dire che sono
opera del demonio?». E domando
costernata: «Allora io ho il diavolo in casa da tanti anni?». Eppure
non mi sembrava! Certo il diavolo
si manifesta in tanti modi! Di
nuovo chiedo: «Un ragazzo
buono, generoso, educato, rispettoso delle regole, rispettoso nei
confronti del genere umano, studioso, bello fuori e dentro, che
ama un ragazzo che lo migliora,
un ragazzo altrettanto buono, è
frutto del diavolo?». «La medicina
non ha dato sino ad oggi nessuna risposta e quindi cara signora, questa è la risposta», ha continuato il francescano.
Io sono una mamma con il cuore
pieno di rabbia, una mamma che
come tante altre mamme, genitrici di un figlio omosessuale, ha
bisogno di aiuto, aiuto da parte
della società, aiuto da parte di
uomini e donne, aiuto da parte
della Chiesa, aiuto da parte
delle istituzioni, della medicina,
di tutti quelli che mi possono
dare una risposta esaustiva e
che non mi dicano di avere in
casa l'opera del demonio. l
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Biblia è un’associazione laica di cultura biblica che opera dal 1985
in Italia per promuovere e stimolare la conoscenza della Bibbia, al
di là delle personali opzioni religiose. La Bibbia, infatti, afferma il
sito dell’associazione (www.biblia.org), «oltre che una fonte costitutiva per l’ebraismo e il cristianesimo e un presupposto per l’islam,
è una componente essenziale di tutte le culture dell’occidente, sia
sul piano letterario e artistico, sia su quello simbolico, sia su quello linguistico». Biblia organizza incontri sulla “laicità della Bibbia”
come «luogo di ospitalità per credenti e non credenti», uniti non
solo dal desiderio di studiarla, «ma anche dal comune proposito di
produrre una più feconda e impegnativa “cultura dello scambio”».
Biblia pubblica semestralmente i verbali delle assemblee dell’associazione, il regolamento e i bilanci, le relazioni sulle attività svolte, i programmi delle iniziative in calendario.
Festeggia i 100 numeri la rivista in dialogo, trimestrale di informazione e di approfondimento su attività, iniziative, tematiche della
Rete Radié Resh di Quarrata (Pt). La Rete è nata nel 1964 per iniziativa del giornalista e scrittore Ettore Masina e vi aderiscono uomini e donne impegnati nella solidarietà con i popoli oppressi, con particolare attenzione alle disuguaglianze tra il Nord e il Sud del
mondo. Radié Resch era il nome di una bambina palestinese che
morì di stenti in un tugurio di Nazareth mentre la sua famiglia attendeva l’assegnazione di una casa; una delle case per lavoratori palestinesi che la Rete contribuì a costruire con il suo primo intervento.
Nel numero, gli interventi dei collaboratori della rivista, ma anche di
alcune tra le figure di riferimento dell’impegno della Rete, tra cui
Waldemar Boff, Frei Betto, Antonietta Potente, João Pedro Stedile,
Jon Sobrino, Leonardo Boff, Marcelo Barros, Luigi Ciotti.
Bimestrale della Fondazione Migrantes, servizio migranti approfondisce i temi della mobilità umana dei vari settori: emigrati italiani; immigrati e profughi in Italia; rom e sinti; circensi e lunaparchiesti; marittimi e aeroportuali. Sul numero 2/2013 vengono
pubblicati alcuni dei contributi del Convegno “Amarsi e sposarsi
nei matrimoni misti: attenzioni pastorali e canoniche”, svoltosi dal
21 al 23 febbraio 2013 a Roma, per iniziativa dell'Ufficio Nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso, l'Ufficio Nazionale
per i problemi giuridici e l'Ufficio Nazionale per la pastorale della
famiglia. In particolare, sul numero si trova un saggio di Carmelina Chiara Canta, ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e
della Religione a Roma3, sui matrimoni misti, in cui si analizzano
i risultati di un questionario inviato a tutte le 223 diocesi italiane
dall’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso;
uno di Antonio Giraudo sui matrimoni misti tra cattolici ed evangelici e uno di Adolfo Zambon sui matrimoni misti tra cattolici ed
ortodossi. Tra i materiali del numero anche la circolare della Cei
del 15 marzo 2013 che regolamenta la presenza dei preti non italiani presenti nelle diocesi italiane. l
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22 GIUGNO 2013 - Anno XLVII - Suppl. al n. 6188
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Notizie, documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realtà religiose
22 GIUGNO 2013
Direzione e Redazione: Giovanni Avena, Ingrid Colanicchia, Eletta Cucuzza, Ludovica Eugenio, Claudia Fanti,
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legge), Giampaolo Petrucci, Marco Zerbino.
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Poste italiane spa - spedizione in a.p. D.L. 353/03
(conv. L. 46/04) art. 1 comma 1 DCB Roma.
il dire e il fare
Marinella Correggia
I
e autostradale a tiro di marmitte:
se ne possono ricavare perfino fibra tessile (artigiani nepalesi del
commercio equo fabbricano asciugamani nient’affatto pungenti!), fibra per carta e un colore naturale
verdegrigio per tessuti.
Poi, lontano dall’asfalto e fuori
delle città, c’è un mare verde di ortica da ringraziare. È nutriente: in
Kenya è utilizzata come integratore alimentare minerale e vitaminico nelle scuole.
Anche nei nostri climi è presente
tutto l’anno, senza soluzioni di
continuità. Si lessa nella minestra, si aggiunge nei risotti, ci
si fa la pasta e un gusto di gelato, o molto più semplicemente
una tisana rimineralizzante e dal sapore dolce. Alle feste dell’ortica spiegano come è possibile utilizzare per mesi il frutto
delle raccolte: si fanno essiccare interi gambi all’ombra,
sbriciolando poi le foglie e conservandole ben stipate in vasetti di vetro.
Ci si fa un condimento aromatico, lasciando a macerare nell’aceto l’ortica secca insieme a foglie di lavanda e salvia, sempre essiccate. Antonio si è perfino inventato la “centrifuga manuale di ortica”: si mettono a bagno per qualche ora in 2 litri
di acqua fredda 15 piante di ortica; spremendo le foglie (che
non pungeranno più) ne vien fuori un’acqua ricca di ferro. È ingrediente per saponi e shampoo.
Il paradigma dell’ortica è a ben vedere quello di tutte le erbe
spontanee, che non sono di nessuno e quindi sono di tutti.
Bene comune da proteggere e al quale ricorrere. l
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(dall’estero aggiungere BPMOIT22 XXX)
• bonifico poste italiane
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Primo piano
IL PARADIGMA DELL’ORTICA
l principale paladino dell’ortica
in Italia è forse Antonio D’Andrea. Egli ha fondato, molti anni
or sono, il piccolo ma nobile “Movimento degli uomini e dei ragazzi
casalinghi” partendo da un presupposto: i maschi hanno fallito in
politica. Meglio che tornino a casa
lasciando il posto alle donne.
O, quantomeno, condividano davvero il lavoro domestico con le
compagne di vita. Antonio è fra gli
animatori dell’associazione “Vivere con cura” che ogni anno propone a Capracotta una settimana
di eventi e formazione sulle mille virtù e mille usi di una pianta
altamente simbolica: l’ortica, ostica solo per gli incauti, abbondante tutto l’anno in molti luoghi. «Con poca fatica, l'ortica
sarebbe utile; la si trascura, diventa nociva. Allora la si uccide.
Quanti uomini somigliano all'ortica!»: Victor Hugo, I miserabili.
Per questo possiamo parlare del “paradigma dell’ortica”.
È la regina umile delle piante spontanee, commestibili e
spesso medicamentose, una miniera di risorse vitali fin dalla
preistoria. Mensa d’emergenza e farmacia dei poveri. Si calcola che sulla Terra le piante non coltivate commestibili siano
tuttora 80mila; solo 5mila sono effettivamente usate.
Si chiama fitoalimurgia la branca di studi che si occupa dell'alimentazione con piante spontanee.
Gratuita e versatile, ubiqua e spartana, l’ortica ricresce fino a
otto volte in un anno dopo il taglio, se non viene sterminata
da diserbanti o continuamente rasata dai tagliaerba. Eppure
a lasciarla vivere si potrebbe utilizzare perfino quella urbana
Anno XLVII
Suppl. al n. 6188
RIFORME,
MERITO E METODO
Renato Balduzzi*
2
ROMA, A TESTA ALTA
VERSO SFIDE FUTURE
Vittorio Sammarco
I
precedenti delle riforme costituzionali non sono incoraggianti. In particolare, non sembra che l'attenzione al cosiddetto
“metodo” delle riforme costituzionali,
nel senso di andare ad individuare
procedure e organismi derogatori rispetto alle disposizioni dell'art. 138,
abbia portato fortuna, dalla Commissione Bozzi degli anni Ottanta alla
Commissione De Mita-Iotti della prima metà degli anni Novanta, dal successivo Comitato Speroni alla Commissione D'Alema della seconda
metà del medesimo decennio.
Per contro, sempre nello stesso
arco temporale, con le procedure
dell'art. 138 sono state fatte revisioni costituzionali anche importanti (semestre bianco, disciplina dei
reati ministeriali, procedimenti di
concessione di amnistia e indulto,
forma di governo regionale e all'autonomia statutaria, voto degli
italiani all'estero, Titolo V, ...
(continua a pag. 3)
Marino Sindaco
4
Presidenzialismo
QUESTA RIFORMA
NON S’HA DA FARE
Michele Di Schiena
10
Salone di Torino
MILITARI IN MISSIONE DI...
PROPAGANDA
Giacomo Riello
Maurizio Mazzetto BASE DAL MOLIN. RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE. MA LA CHIESA
DOV’È? pag. 6 • Sandro Franchini REPLICA AL “CORRIERE”. COLPI DI CODA DI UNA CHIESA
CHE NON SCALDA pag. 8 • Cristina Mattiello L’IMMIGRAZIONE RIFIUTATA pag. 9 • Marina
Boscaino FUORI CLASSE. ESAMI DI STATO pag. 11 • Rete europea Chiese e Libertà
AUSTERITÀ E DISUGUAGLIANZE. «LE POLITICHE EUROPEE VIOLANO I VALORI DELLA
NOSTRA FEDE» pag. 12 • La madre di un ragazzo gay CHIESA E OMOSESSUALI. FIGLI DI DIO
O FRUTTI DEL DEMONIO? pag. 14 • Marinella Correggia IL DIRE E IL FARE. IL PARADIGMA
DELL’ORTICA pag. 16
Poste italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1 DCB Roma
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