RICERCA SULLE POLITICHE DI
WELFARE NEI PAESI PAO
a cura di Stefania Servidio
con la collaborazione di Carmen Bertolazzi
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PREFAZIONE RICERCA SULLE POLITICHE DI WELFARE
NEI PAESI PAO REALIZZATA NELL’AMBITO DEL
PROGETTO N.E.W.- INTERREG IIIA
L’obiettivo del progetto N.E.W. è quello di sostegno e rafforzamento delle capacità
degli operatori pubblici e privati nel settore dei servizi sociali tanto da un punto di
vista della programmazione, della definizione degli standard, della capacità di
identificazione e mappatura dei bisogni quanto sotto l’aspetto delle capacità concrete
di realizzazione e gestione dei servizi sociali.
Partendo da tale presupposto e dalla necessità di acquisire dati e informazioni sulle
dimensioni e sulle caratteristiche dei servizi sociali e sulle politiche esistenti in
materia di welfare nei Paesi partners, è stata affidata la realizzazione della ricerca
con lo scopo di:
•
Acquisire informazioni utili sulle politiche e sulle normative esistenti in materia di
welfare nei Paesi partner
•
Contribuire a creare una rete di scambi sulla tematica del welfare
•
Identificare i soggetti pubblici e privati che partecipano al processo formativo.
Lo studio, che qui si presenta, realizzato dalla dott.ssa Stefania Servidio, è una
raccolta: di interviste ad amministratori ed operatori pubblici e privati che operano nel
sociale; di studi di caso particolarmente significativi per la realtà sociale indagata.
Lo studio non pretende di essere esaustivo ma uno strumento di lavoro e di
riflessione per tutti gli operatori che realizzano interventi sociali.
Il materiale raccolto nell’anno 2005 analizza le realtà sociali dei paesi PAO partner di
progetto (Albania, Bosnia, Serbia). L’obiettivo è quella di fornire alla Provincia di
Forlì-Cesena così come al Comune di Forlì e alle Province di Rimini, Ravenna e
Ferrara (partner italiani del progetto) elementi di valutazione dei bisogni degli
operatori, utili per la programmazione puntuale delle attività previste nel progetto
N.E.W.
Alcuni elementi emersi dall’indagine sono degni di particolare attenzione. Innanzitutto
la considerazione che “la ricostruzione istituzionale e la governance non possono
prescindere dal contributo dei propri cittadini e dalla valorizzazione del proprio
tessuto sociale, culturale ed economico”. L’esperienza di amministratori nel campo
delle politiche sociali, permette di affermare che il coinvolgimento delle varie istanze
(privato sociale, volontariato, cooperazione, ecc..) di una comunità locale, facilita e
orienta le istituzioni nel raggiungimento dell’obiettivo di creare una rete di protezione
sociale e di tutela dei cittadini. Preme altresì sottolineare che la costruzione di tale
rete non può prescindere dall’esigenza di coordinare le risorse verso obiettivi comuni
e di integrare le diverse politiche: del lavoro, dell’istruzione, della sanità, ecc..
Infine la constatazione che “è accresciuta l’attenzione, la consapevolezza e la
conoscenza del welfare,…ma è ancora necessario rafforzare la capacità, soprattutto
a livello istituzionale, centrale e locale, di elaborazione, di analisi e di soluzione dei
problemi”, dimostra quanto le attività messe in campo, non solo da questo progetto
europeo ma anche da altre iniziative di cooperazione internazionale, abbiano
raggiunto buoni risultati e pertanto l’auspicio è di proseguire in tale direzione.
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Si ringraziano sentitamente tutti gli amministratori, gli operatori ed i collaboratori
(intervistatori, traduttori, ecc..) che hanno partecipato alla realizzazione della ricerca.
Alberto Manni
Loretta Bertozzi
Assessore al Welfare,
Sicurezza dei cittadini e del territorio
Provincia di Forlì-Cesena
Assessore al Welfare
Comune di Forlì
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1* capitolo
Presentazione
L’idea di partenza è stata quella di intraprendere un viaggio in tre paesi
dell’area balcanica, l’Albania, la Bosnia ed Herzegovina e la Serbia, per
conoscere la realtà sociale esistente e per raccogliere idee e proposte
sul welfare, nella prospettiva futura di ingresso nell’ Unione Europea. Il
lavoro di questo studio è stato promosso nell’ambito del progetto
INTERREG, Net Europeo di Welfare – N.E.W. - in corso di realizzazione
da parte della Provincia di Forlì–Cesena e del Comune di Forlì ed in
collaborazione con le amministrazioni di Ferrara e Ravenna e della
Regione Emilia Romagna. Il programma coinvolge cinque municipalità
dei tre Paesi dell’area balcanica: Scutari ed Elbasan in Albania, Novi
Sad e Kraguievac in Serbia e Tuzla in Bosnia ed Herzegovina per la
realizzazione di azioni formative sulle tematiche del welfare allo scopo di
promuovere il rafforzamento istituzionale, la creazione di reti e
l’armonizzazione dei sistemi.
L’indagine è stata pensata come supporto alla scelta dei percorsi
formativi da individuare e realizzare all’interno del programma New.
L’indagine tiene anche conto che nei tre Paesi, seppur con notevoli
differenze nel passato e nel presente sia dal punto di vista politico che
economico, sono in corso processi di sviluppo che interessano
direttamente le politiche del welfare e che i tre Paesi sono interessati
all’ingresso nell’Unione Europea, rendendo obbligatorio affrontare il
tema delle politiche e dei servizi sociali Il fatto infine, che questo
cammino venga proposto e realizzato dalla Rregione Emilia Romagna e
dai soggetti del suo territorio non è certo casuale essendo da tempo
impegnata sui temi del welfare nell’area balcanica.
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Nei tre Paesi, caratterizzati da un lungo periodo di economia comunista,
si assiste oggi al passaggio al libero mercato e ciò comporta, sul piano
delle politiche sociali, processi di riforma dei servizi sociali e della loro
gestione.
Diversi, ovviamente, sono i contesti e diverse sono le forme, gli
approcci e le riflessioni attraverso le quali sono state avviate le
esperienze di welfare.
L’indagine si è proposta proprio questo scopo: focalizzare i variegati e
differenziati processi di riassetto in corso, i percorsi storici, i progetti in
via di realizzazione, le sperimentazioni, le proposte di singoli e di gruppi,
con l’obiettivo di fornire una fotografia dell’esistente, per identificare i
bisogni formativi dei soggetti pubblici, istituzionali e del privato sociale.
Il viaggio nel welfare dei tre paesi è stato possibile grazie alla
collaborazione di ricercatori locali, spesso direttamente impegnati in ong
e nella pratica quotidiana del sostegno alle persone in difficoltà. Si è
cercato di fornire informazioni generali sul paese e sulle città campione;
alcuni dati e statiche contribuiscono a collocare i luoghi in un contesto
internazionale, e a confrontare parametri locali con i nostri. La storia, le
politiche, le legislazioni, e le aspettative, sono oggetto di interviste a
testimoni in grado di fornire al lettore una visione oggettiva del tema,
oltre a intuizioni e letture personali. Per alcuni dei testimoni scelti si è
trattato anche di un viaggio a ritroso, verso il passato, per analizzare le
radici di un tema, quello della fragilità nel vivere quotidiano, che è
sempre esistito, anche nella negazione dettata dall’ideologia. Il viaggio
continua immergendosi nei progetti, nelle strutture pubbliche e delle ong
che quotidianamente affrontano i bisogni delle persone in difficoltà. A
loro abbiamo chiesto una fotografia del proprio lavoro, e di identificare i
punti di debolezza e le necessità a cui tentare di rispondere a livello
formativo.
.
E’ sembrato importante riportare anche i risultati di un workshop
realizzato nella città di Forlì che ha visto la partecipazione di
rappresentanti delle istituzioni e della società civile organizzata dei tre
Paesi. Il tema del workshop centrato sulla percezione del processo di
riforma del welfare necessario nei tre Paesi, ha offerto spunti
interessanti in una successione di analisi dei punti nodali del processo
tanto sui livelli istituzionali, centrale e locale quanto sulla complessa
dinamica della partecipazione dei privato sociale.
Il viaggio si conclude e offre spunti di discussione e di riflessione.
Tenendo in considerazione che si tratta di tre paesi e dunque di realtà
sociali, culturali, politiche, geografiche e demografiche assai diverse tra
loro, è stato tuttavia possibile fare una comparazione e rintracciare le
caratteristiche comuni, fornendo elementi utili, sia per una discussione
generale che per il percorso formativo nell’ambito del Welfare avviato
dai tre paesi dell’area balcanica supportati dal partner italiano.
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2* capitolo
METODOLOGIA
Paesi e Località
Lo studio ha interessato tre Paesi dell’area balcanica; l’Albania, la Bosnia e la Serbia.
Le località prese in esame sono quelle, dei tre Paesi, già partner del progetto N.E.W.
In Albania la ricerca ha interessato le municipalità di Elbasan e di Scutari; in Serbia
sono state esaminate le realtà di Novi Sad nella Vojvodina e di Kraguievac; in Bosnia,
la città di Tuzla ed il Cantone di riferimento.
I tempi
L’indagine è stata programmata nell’autunno del 2004, nel corso delle riunioni che
hanno dato avvio alle attività del progetto N.E.W. Nel mese di Ottobre è stato
predisposta una traccia del disegno dello studio comprendente i contenuti, tempi e la
metodologia di lavoro. Nel mese di Novembre sono stati elaborati i questionari per la
realizzazione delle interviste da realizzare sul campo ed è stata realizzata una prima
missione nei tre Paesi per identificare i gruppi di ricercatori locali che hanno svolto il
lavoro di campo fino al mese di Aprile. Tra la fine del mese di Febbraio e l’inizio del
mese di Marzo 2005 è stata realizzata una seconda missione nei tre Paesi, finalizzata
alla verifica del lavoro di campo. La verifica è stata svolta anche attraverso la
realizzazione dei primi focus group.
I mesi successivi, fino a maggiosono stati utilizzati per la raccolta delle informazioni
prodotte dal lavoro di campo, per una prima stesura delle singole relazioni ed infine
per una ulteriore verifica sui dati raccolti. Anche in questo caso la verifica è avvenuta
attraverso l’utilizzo della metodologia del focus group organizzato nell’ambito della
sessione formativa prevista dal progetto N.E.W, a Forli’ (maggio 2005), che ha visto la
partecipazione dei tre Paesi balcanici.
I mesi di giugno e di luglio 2005 sono stati utilizzati per la stesura definitiva dello
studio.
Metodologia
L’analisi delle politiche sociali esistenti nei tre Paesi dell’area balcanica ammetteva
approcci differenti che sono stati presi previamente in considerazione e valutati sulla
base dei materiali di documentazione esistente.
La prima scelta da operare riguardava la metodologia stessa. In via teorica lo studio
avrebbe dovuto ruotare intorno alla documentazione esistente in merito alle politiche
di welfare in tre Paesi balcanici, l’Albania, la Serbia e la Bosnia. E’ stata però
sufficiente una prima verifica per accertare che assumendo questo taglio, lo studio
avrebbe sofferto di limiti tanto gravi ed evidenti da togliere in buona misura la sua
significatività. In primo luogo, è apparso chiaro che il peso specifico del materiale
esistente sarebbe stato insufficiente ad una analisi approfondita sui bisogni formativi.
In secondo luogo, lo stesso materiale si sarebbe caratterizzato inevitabilmente per la
sua ripetitività e avrebbe perciò offerto un quadro poco significativo per poter
delineare le caratteristiche dei bisogni formativi. Infine, la specializzazione
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dell’argomento avrebbe impedito alla ricerca di seguire e commentare la ricchezza dei
riferimenti contestuali.
Per tutti questi motivi si è proceduti alla scelta di realizzare un’indagine sul campo
attraverso l’analisi di studi di caso realizzati sulla base di interviste aperte. Per
facilitare le interviste è stato elaborato un questionario, un elenco di domande come
supporto all’intervistatore per la raccolta dei dati e delle informazioni necessarie per
verificare i livelli gestionali, organizzativi ed operativi delle strutture, pubbliche e
private, dei tre Paesi che si occupano di servizi sociali.
A conclusione delle interviste, si è proceduti alla organizzazione di focus group per
completare ed integrare le informazioni raccolte attraverso il confronto diretto tra più
opinioni; una sorta di intervista di gruppo, e un’osservazione fatta su un gruppo di
soggetti.
Per completezza dell’informazione si è proceduti infine ad interviste a testimoni
privilegiati e all’analisi della documentazione esistente.
Selezione delle strutture esaminate
Ovviamente il criterio principale è stato quello del carattere specialistico della struttura
sia essa istituzionale sia privata, nel campo delle politiche e dei servizi sociali. Oltre ai
dipartimenti preposti alle politiche sociali delle istituzioni locali decentrate, si è trattato
dunque di scegliere tra le associazioni che operano nel settore, nelle città target della
ricerca.
Nella selezione sono stati privilegiati quei soggetti pubblici e privati che si occupano in
maniera specifica di donne e di minori; che fossero rappresentativi, per dimensione e
prestigio, delle realtà territoriali .Si è inteso, infine, adottare un criterio selettivo che
salvaguardasse la diversità dei soggetti, lo stile di lavoro, l’ispirazione religiosa o
meno.
Periodo preso in esame
La necessità di verificare i bisogni formativi in tema di welfare ha reso la scelta
obbligata. Per quanto riguarda gli studi di caso si è fatto riferimento esclusivamente
alle esperienze in corso. Interesse e completezza della ricerca hanno suggerito
comunque l’analisi storica e diacronica per permettere di conoscere l’evoluzione delle
politiche sociali nei tre Paesi. Un fattore importante per comprendere le difficoltà, i
ritardi e gli approcci esistenti sulla materia e per comprendere e contestualizzare le
informazioni delle interviste. L’analisi storica ha preso in esame l’evoluzione delle
politiche sociali nei tre Paesi, a partire dall’organizzazione esistente durante il periodo
comunista. Per i tre Paesi dunque, l’analisi dei cambiamenti sui percorsi di welfare ha
riguardato gli ultimi 50 anni.
Tecniche di analisi e struttura della ricerca.
Gli studi di caso
Per la preparazione delle interviste si è proceduti alla individuazione delle principali
aree problematiche che debbono presiedere, in via presuntiva, alla introduzione,
descrizione e commento delle informazioni sulle politiche di welfare e ad un suo
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corretto inserimento nel più vasto contesto descrittivo, lasciando comunque libero
l’intervistatore di soffermarsi maggiormente su una parte piuttosto che su sezioni non
particolarmente recepite.
La traccia di domande è stata molto ampia e riguardava :
o informazioni sulla struttura, pubblica o privata
-
informazioni inerenti al personale che opera nella struttura
o
condizioni strutturali, fisiche e antropiche, del contesto territoriale nel
quale la struttura opera.
o
utenza, cioè coloro ai quali la struttura si rivolge nella erogazione dei
servizi
o informazioni su due categorie particolari di utenza, i giovani e le donne,
selezionati come campione privilegiato
o metodologie di lavoro della struttura, per descrivere le modalità,
l’organizzazione, il metodo con cui vengono identificati i bisogni,
effettuata la programmazione, erogati i servizi
o collaborazione e coordinamento, per indagare i rapporti tra pubblico e
privato, l’esistenza o meno di forme di welfare mix.
I focus Group
I focus group, sono stati realizzati in una fase successiva, coinvolgendo gli stessi
soggetti intervistati nella fase degli studi di caso, per valutare le reazioni alle domande
ed i processi cognitivi che possono influenzare i partecipanti. I focus group hanno
inoltre teso a dare ai soggetti studiati la possibilità d’intervenire attivamente nella
ricerca; a sviluppare nuove ipotesi; scoprire a quali altri soggetti sarebbe utile
rivolgere l’intervista; valutare i problemi di non risposta.
I focus group consentono inoltre il confronto tra più opinioni e di conseguenza la
possibilità di verificare il significato dato dagli intervistati a domande che si sono
rivelate ambigue; di verificare le risposte e di interpretarle nel modo più esatto
possibile ed infine, di approfondire le informazioni ottenute.
Le Interviste ai testimoni privilegiati
E’ stata utilizzata, ai fini dell’indagine, oltre agli strumenti tipici della ricerca, la tecnica
dell’intervista focalizzata, intesa sia come strumento di rilevazione di dati strutturati e
percezioni soggettive, sia come ulteriore strumento di riflessione sul welfare. Anche in
questo caso è stata utilizzata una scaletta di domande come traccia.
L’ analisi dei documenti
Una fonte molto importante di dati è l'
analisi dei documenti che contengono
informazioni sulle normative, e sulle evoluzioni delle politiche di welfare. I documenti
presi in esame sono di tipi molto diversi; normative, testi di legge, rapporti,
pubblicazioni, articoli, relazioni.
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Stesura
L’ultima scelta da compiere riguardava lo stile della scrittura dell’indagine. Si trattava
di scegliere tra la compilazione di un testo disciplinato nel riportare i risultati dello
studio con riferimenti a tabelle e grafici oppure, di realizzare un testo di tipo discorsivo
ma anche narrativo che consentisse una lettura destinata anche ai non addetti ai
lavori e dunque più efficace.
Si è optato per questa seconda scelta, cioè lo stile narrativo che ha significato mettere
in ordine i concetti in forma scorrevole e rendendo possibile l’esprimersi ed il
comunicare in maniera semplice ma nello stesso tempo ricca ed efficace.
Per gli studi di caso, in particolare, lo stile narrativo ha consentito la descrizione di
esperienze fondate su argomenti e legami di vita trasformando i fatti in notizie senza
ovviamente operare alcuna deformazione nei contenuti.
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3* capitolo
ALBANIA
Uno sguardo sulla questione sociale
L’Albania ha una popolazione di circa tre milioni di abitanti su una superficie di
28.748 kmq. E’ un paese molto giovane con un’età media di 31,7 anni, con il 29,3%
della popolazione al di sotto dei 14 anni e circa la metà sotto i 25 anni. Negli anni si è
assistito a migrazioni di massa verso l’estero e a consistenti movimenti interni di
popolazione che ne hanno modificato la distribuzione nelle regioni. I distretti del nord
hanno perso popolazione e, mentre i dati relativi al 1989 contavano una percentuale
di popolazione urbana del 35,8%, nel 2004 si registrano valori del 45%. Processi di
incontrollata urbanizzazione hanno portato i nuovi cittadini ad installarsi nelle aree
cosiddette “informali” prive di infrastrutture, scuole e servizi di base sanitari e sociali
Il 1991 è stato un anno determinante per la storia dell’Albania: iniziarono una serie di
radicali cambiamenti che fecero uscire il paese da un periodo di totalitarismo e
isolamento durato oltre 50 anni. Attualmente sta attraversando una lunga e faticosa
transizione e questi anni sono stati caratterizzati da profonde riforme economiche,
politiche e sociali allo scopo di cambiare radicalmente la vita del paese, considerato
dalle statistiche europee il più povero d’Europa.
L’Albania, come stabilito dalla riforma amministrativa del territorio avviata nel 1992 e
completata nel 2000, è suddivisa in 12 regioni (Qarku) composte da 36 distretti
(Rrethi). La riforma di decentramento territoriale tiene conto dell’adesione del paese
alla Carta Europea per l’Autonomia Locale. Gli enti di governo locale di base sono le
municipalità nelle aree urbane e i comuni nelle aree rurali, guidati da sindaci eletti
con voto diretto ogni 3 anni. Ad essi, secondo la legge del 2000, spettano le
competenze nel campo delle infrastrutture, dei trasporti, dei servizi pubblici,
dell’urbanistica, dei servizi sociali, della cultura e sport, dello sviluppo economico
locale, dell’educazione, dell’ambiente, della sanità e dell’autonomia tributaria e
fiscale. Se progressi evidenti dal punto di vista del decentramento si sono registrati
nei settori dei servizi pubblici, dei trasporti, delle infrastrutture, della cultura e dello
sport, per il resto si può parlare di un parziale processo. In particolare la difficile
gestione dell’autonomia tributaria e tariffaria ha limitato la possibilità degli enti locali
di raccogliere risorse a livello locale.
Il distretto è una semplice unità territoriale che ospita organi amministrativi sia
governativi che regionali preposti alla raccolta di dati statistici e alla gestione di
servizi statali decentrati in diversi settori: educazione, sanità, ordine pubblico,
servizi per l’impiego, giustizia, etc. Le regioni, costituite generalmente da due a
quattro distretti ciascuna con una popolazione media di 266.000 abitanti, hanno
il compito di creare politiche regionali armonizzate con quelle nazionali;
possono inoltre assolvere a funzioni concordate con gli enti locali di primo livello
o delegate dal governo con legge. Nonostante gli sforzi normativi, la regione
non ha ancora trovato il proprio ruolo e non è stata capace di esercitare la
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propria autorità perché manca di un chiaro mandato elettorale e di competenze
specifiche, risorse e proprietà.
Raggiungere gli standard europei è uno degli obiettivi del sistema giuridico
albanese, in previsione di un futuro ingresso nell’Unione Europea. A partire
dagli anni novanta il paese ha aderito alle più importanti convenzioni
internazionali e ha avviato una serie di misure legislative e normative nei diversi
settori. In particolare nel settore delle politiche sociali e della lotta alla povertà
sono stati avviati programmi in collaborazione con organismi internazionali
(Unione Europea, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Nazioni Unite, etc) e
partenariati bilaterali.
Fino ai primi anni ‘90 in Albania non esisteva l’espressione “politiche sociali”, perché
tutto ciò che interessava la persona e i suoi bisogni sociali era gestito dallo Stato. Era
strutturato in maniera estremamente burocratica ed ideologica, ed era preposto a
provvedere a tutti i bisogni dei cittadini. Questo non vuol dire che non esistessero
delle politiche sociali, ma erano intese in un senso puramente strumentale al fine di
rafforzare l’ideologia marxista-leninista del regime.
Durante il periodo di Hoxha, i servizi erano offerti gratuitamente e indistintamente a
tutti i cittadini. Uomini e donne avevano un lavoro assicurato, non esisteva la
disoccupazione e quindi i problemi sociali di diretta derivazione. Si tratta di un
aspetto da sottolineare se si vuole capire come oggi l’assenza di lavoro e la scelta
verso l’emigrazione abbiano completamente stravolto la società albanese
modificando sostanzialmente i bisogni e i disagi delle persone.
Le “politiche familiari” al tempo del regime, incentivavano le coppie ad avere molti
figli, simbolo del futuro dell’Albania. Erano previsti aiuti statali per le famiglie
numerose, soprattutto se residenti nelle zone rurali e isolate, sotto forma di alcuni
benefici quali il frigorifero, la lavatrice, la mucca, oppure la garanzia della pensione
anticipata per le madri.
La politica degli alloggi era gestita dai consigli e dai comitati di quartiere, obbligati ad
assicurare un tetto a tutti i loro cittadini. Gli alloggi erano costruiti “volontariamente”
dal popolo, in quanto gli stessi costruttori cercavano di assicurarsi la possibilità di
abitarvi. Questo meccanismo ha reso possibile la realizzazione di molti palazzi in
Albania, ma non ha mai risolto il problema dell’alloggio per la totalità della
popolazione. Le case costruite rimanevano comunque di proprietà dello Stato e i
cittadini, dopo averle realizzate, erano tenuti a pagare un affitto.
La politica del lavoro durante il regime prevedeva l’assegnazione di un’occupazione
a tutta la popolazione in età lavorativa. Veniva così annullato il concetto di mercato
del lavoro e di conseguenza la disoccupazione. I servizi considerati di utilità sociale,
rivolti alla popolazione, si limitavano alla gestione degli orfanotrofi e degli ospizi per
anziani, mentre gli ospedali psichiatrici erano considerati servizi sanitari. Non
esisteva il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali in quanto non vi era alcun
servizio da erogare.
In verità la vita degli albanesi era molto povera, non solo da un punto di vista
economico, ma anche sociale. Il regime costringeva a vivere in totale isolamento,
niente si sapeva e si conosceva del mondo fuori dei confini dell’Albania. La vita
sociale era scandita esclusivamente dalle attività culturali, educative e ricreative,
sempre organizzate dalle istituzioni preposte dal regime.
La scuola era una delle istituzioni alla quale era attribuita un’importanza particolare.
Le prime classi di scuola erano meticolosamente seguite e curate nell’organizzazione
dei programmi, sempre tesi ad esaltare il modello di vita locale e a denigrare quello al
di fuori dei confini nazionali. Gli insegnanti delle scuole si chiamavano commissari del
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partito ed erano considerati con estremo rispetto nella società dell’epoca.
L’Organizzazione dei Pionieri e l’Organizzazione della Gioventù erano organizzazioni
politicizzate all’interno del sistema scolastico, completamente al servizio del partito.
La prima organizzava attività culturali e artistiche, con solo gli alunni di talento, mentre
l’organizzazione della Gioventù si occupava delle feste tradizionali volute dal regime
rivolte all’infanzia e all’adolescenza.
Con la fine del regime e nel periodo di transizione ad un governo democratico
pluripartitico e l’applicazione dell’economia di mercato avviati nel 1991, l’Albania ha
dovuto affrontare nuovi problemi, come la povertà e la disoccupazione. Secondo
un’analisi del 2002, un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, un
altro 30% vive molto vicino alla soglia in situazione di estrema vulnerabilità. La
povertà si concentra nelle zone rurali ed è la prima causa della migrazione interna
che porta allo spopolamento delle campagne. A questo si aggiungono infrastrutture
povere, difficoltà nell’accesso all’educazione primaria, all’acqua corrente, ai servizi
sanitari e sociali, all’elettricità e al riscaldamento
Per quanto riguarda la disoccupazione, nel periodo dal 1990 al 1993, si arrivò fino a
470.000 unità, in seguito alla chiusura dei grossi poli industriali e alla fine delle
cooperative agricole. La crisi durò a lungo, con gli operai in attesa di un’improbabile
privatizzazione delle fabbriche e con i contadini a cui era stata ventilata una riforma
per la restituzione della terra ai privati cittadini.
Anche negli anni dello scandalo delle cosiddette”piramidi finanziarie”, 1997-1998, il
tasso dei disoccupati rimase elevato, con 235.000 unità. Altissima la percentuale dei
giovani, che peraltro rappresentarono la maggioranza di quanti tentarono di lasciare
il paese per cercare lavoro all’estero, privando così l’Albania di una determinante
risorsa per il futuro.
La transizione albanese ha accresciuto l’ineguaglianza sul mercato del lavoro e le
difficoltà all’interno della famiglia. I bisogni emersi portarono a costruire ed
implementare velocemente numerose riforme economiche e un nuovo stile di vita,
non valorizzando altri aspetti quali l’influenza positiva che la donna albanese rivestiva
nel passato nella famiglia e quindi nella società. Oggi si riscontrano conseguenze
negative dovute proprio alle scelte politiche, economiche e sociali di allora.
Le donne attualmente si confrontano con la discriminazione anche quando cercano
delle alternative, ad esempio impegnandosi in un’impresa privata. Inoltre nei casi in
cui hanno la stessa qualifica degli uomini, non raggiungono posizioni direttive e
questo accade sia nel settore pubblico che privato.
Nel 1997 circa il 70 % delle donne erano occupate in agricoltura e in aziende agricole
familiari, circa il 20 % lavoravano nel settore pubblico e circa il 10% nel settore
privato. Lo stipendio medio delle donne in questi settori e a tutti i livelli è pari al 70%
del rispettivo stipendio che riceve un uomo.
La partecipazione delle donne nelle attività economiche durante gli anni della
transizione risultò essere sempre più bassa in quanto molte ragazze abbandonarono
la scuola, specialmente nelle zone più lontane e isolate. Ciò ha comportato una
diminuzione degli anni d’istruzione e la mancanza d'
attenzione verso questo
fenomeno comporterà per il futuro sempre minori possibilità di occupazione
qualificata del mondo femminile. Attualmente a livello nazionale le donne
costituiscono circa il 37 % della forza lavoro.
Considerando i ruoli direttivi nelle istituzioni, nelle imprese statali e nelle attività
private solo il 20,9% sono occupati da donne e nella vita politica la partecipazione
femminile è bassa. Nel passato Parlamento solo 9 deputati erano donne, e nessuna
è stata scelta come capogruppo parlamentare, e dei 19 ministri 2 erano donne,
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anche se negli ultimi anni si sono registrati tentativi positivi per stimolare la
partecipazione della donna nei forum dei partiti politici.
Per quanto riguarda le politiche di welfare, il sistema della protezione sociale
albanese fa capo al Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali (MLAS) che opera
attraverso la sua istituzione centrale, il Servizio Sociale Statale (SSS).
La protezione sociale comprende principalmente tre tipologie di programmi pubblici:
le contribuzioni monetarie, le politiche per l’occupazione e le istituzioni della
protezione sociale oltre ad altri servizi sociali. Il controllo a livello locale dei servizi
sociali è di competenza degli uffici regionali del SSS che si occupano della raccolta
dei dati sulla povertà, sui problemi sociali e dei gruppi sociali a rischio e sono
responsabili per la gestione della rete delle istituzioni residenziali.
Il sistema dell’Aiuto economico, finanziato da una voce di spesa specifica del budget
del governo, è destinato a famiglie senza entrate o con entrate insufficienti
specificate dalla legge e la distribuzione avviene mensilmente sulla base delle
richieste pervenute agli uffici preposti presso le amministrazioni locali. L’aiuto
economico sostiene nel 2004 ogni mese una media di 124.000 famiglie, con un
contributo di circa 27 € per famiglia
Le politiche per l’occupazione prevedono le pensioni di disoccupazione, programmi
di promozione dell’impiego, programmi a finalità sociale e percorsi di formazione
professionale. Una norma importante, che copre l’assistenza alle famiglie in bisogno
cercando di avviare percorsi di occupazione, vincola l’assegnazione del sostegno
economico a specifiche categorie di beneficiari all’inserimento lavorativo e a servizi
di pubblica utilità.
Il Servizio Sociale Statale (SSS) è responsabile della gestione del sistema di
istituzioni residenziali pubbliche, in cui lo stato si prende carico di orfani, disabili e
anziani. Sono 26 su tutto il territorio nazionale e ospitano oltre mille persone.
Fino all’approvazione della nuova legge sui servizi sociali nel marzo 2005, il sistema
degli aiuti e assistenza sociale era regolato dalla Legge 7710 del 1993
(“L’assistenza sociale e welfare) che riconosceva e regolava anche i cosiddetti
“servizi sociali non governativi”.
La legge del 1993 infatti differenzia i servizi statali dai servizi sociali gestiti dalle
organizzazioni non governative albanesi e internazionali e stabilisce che questi ultimi
possono operare se autorizzati dal Ministero del Lavoro e Affari Sociali, a condizione
che abbiano personale professionale ed offrano servizi di qualità non inferiore a
quella degli istituti pubblici.
I servizi organizzati dalle ong sul territorio albanese sono considerati complementari
al servizio pubblico. Il SSS registra oggi 41 ong autorizzate dal Ministero ad offrire
servizi sociali, ma si stima a 146 il numero delle ong presenti sul territorio prive di
dirette relazioni contrattuali con il ministero. Il SSS, in base ai bisogni rilevati, ha il
ruolo di indirizzare l’operato delle ong nei settori più scoperti, ma in realtà più del
50% di esse operano su territorio di Tirana.
E’ in questo contesto che è stata approvata la Legge Nr. 9355 del 10.03.05 (“Su gli
aiuti e i servizi sociali”). Attesa da lungo tempo, ha il merito di sancire il
decentramento delle politiche sociali e attribuisce competenze e risorse ai governi
locali, mantenendo al governo centrale il ruolo di programmazione finanziaria, di
governo, monitoraggio e di creazione degli standard dei servizi.
Altri obiettivi importanti della legge sono la deistituzionalizzazione dei servizi
residenziali e la loro trasformazione in servizi comunitari, la creazione di nuove
tipologie di servizi, la possibilità dell’esternalizzazione del servizio pubblico a
struttura convenzionata e la possibilità di appaltare a privati la creazione di servizi
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pubblici non esistenti, con conseguente sostegno finanziario all’operato delle
organizzazioni non governative, come parte della rete dei servizi sociali statali.
La nuova legge è logica conseguenza della “Strategia nazionale a medio
termine dei servizi sociali 2005-2010” creata con lo scopo di promuovere
riforme istituzionali all’interno delle politiche sociali, sulla base dei bisogni
emergenti nel paese.
Con questa normativa quadro lo stato, nel processo attuale, ha creato le
premesse per poter governare le differenti realtà già presenti sul suo territorio,
verificandone lo standard dei servizi e per poter successivamente farsi carico di
servizi differenziati e diffusi sul territorio. Occorrerà ora attendere la definizione
del passaggio dei fondi a livello locale e il completamento del decentramento
fiscale a favore degli enti locali.
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Albania
TESTIMONIANZA
A colloquio con Gezim Tushi, Vice Direttore generale dei Servizi
Sociali Statali
Se ripenso agli ultimi dieci anni, posso affermare che relativamente al sistema dei
servizi sociali molto è cambiato radicalmente: la struttura, la tipologia, le modalità di
prestazione dei servizi e i target group.
Il regime comunista era basato su principi ideologici diversi, che nascondevano i
problemi sociali. Esistevano pochissimi servizi sociali di base, che non coprivano la
diversità e la complessità dei problemi sociali. Oltretutto, molti problemi sociali
c’erano, ma venivano completamente tenuti nascosti. Per esempio, nel periodo del
comunismo non si poteva parlare di prostituzione o di droga o di abbandono
scolastico o di anziani abbandonati. Non si poteva parlare di bambini di strada, di
traffici, di bambini o ragazzi non accompagnati. In parte perchè non esistevano, e in
parte perché erano nascosti dal regime. Così i servizi sociali di quel periodo erano
basati su un sistema semplice: i contributi economici, alcuni orfanotrofi ed alcune
case per anziani. Questo era lo schema del passato.
Il passaggio alla nuova società ha portato differenze radicali: nella gestione, nella
concettualizzazione, nelle strutture, nelle capacità, nelle professionalità. Prima di
tutto la società ha accettato apertamente senza paura l’esistenza dei problemi sociali
ora aperti e visibili. Quello che era nascosto, nella libertà è esploso. Il passaggio alla
democrazia e lo sviluppo della civiltà, sono stati accompagnati anche dai mali di
questa libertà, ossia oggi, in Albania, si sono evidenziati tutti i fenomeni di cui soffre
la società occidentale.
Oggi non nascondiamo niente e inoltre lo Stato cerca di prendere provvedimenti nella
sfera della prevenzione, dell’assistenza e della riabilitazione.
Dal 1990 possiamo contare su un quadro legislativo completo. La Legge del 1993,
una legge quadro generale per l’organizzazione dei servizi sociali, stabilisce i ruoli e
le responsabilità delle diverse strutture dello Stato e in particolare del Ministero degli
Affari Sociali, titolare delle politiche, delle strategie e gestore attraverso le strutture
esecutive - come noi, il SHSSH - dello schema dei servizi sociali.
E’ stato costituito un nuovo concetto di target dei beneficiari e dei nuovi bisogni
sociali, sono state costruite strutture per i servizi polivalenti dal punto di vista
finanziario, gestionale e anche direttivo.
Dobbiamo sottolineare come in questi 10 anni il ruolo principale nella struttura dei
servizi sia stata ricoperto unicamente dallo Stato. Un modello paternalista, nel quale
lo Stato ha un ruolo centrale, è il finanziatore e detiene il monopolio sulle strutture del
servizio sociale e sui centri residenziali. Finanzia gli schemi dei servizi sociali e della
disoccupazione. Praticamente tutto il servizio statale in Albania non è contributivo,
ossia i beneficiari non pagano nulla e l’unico finanziatore è lo Stato.
Sempre analizzando questi ultimi 10 anni, non possiamo negare il contributo che
hanno dato le ong straniere e anche quelle locali come membri della società civile,
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nuova e fragile. Il loro contributo finanziario sul totale dei servizi sociali è di 1/5 o 1/6.
Le ong internazionali presenti in Albania sono italiane, americane, francesi,
tedesche, svizzere, ecc. Noi abbiamo seguito una politica aperta e liberale,
favorendo l’intervento delle ong nelle strutture del servizio sociale.
Praticamente oggi la struttura del servizio sociale è basata su servizi pubblici e su
quelli delle ong, mentre stiamo prendendo in considerazione anche strutture a
gestione privata. Lo permetteva già la legge del 1993, e la nuova lascia una porta
aperta. Ma non sappiamo come inserire nella gestione dei servizi gli enti privati che
richiederebbero un pagamento.
Essendo cambiato il paese, a un certo punto si è sentito il bisogno di cambiare legge,
strategia e politiche. Cosi oggi l’Albania è in una fase di trasformazione radicale e di
rivoluzione della struttura sociale. Questo cambiamento ha a che fare prima di tutto
con la nuova legge che stabilisce i ruoli e le responsabilità degli attori principali dei
servizi sociali, riducendo il ruolo dello Stato e aumentando le responsabilità del
governo locale nell’ambito dei servizi comunitari.
Questa legge stabilisce il principio del decentramento dei servizi sociali, ossia
l’abolizione di quello schema piramidale gestito dallo Stato. Questo significa il
passaggio dei servizi sotto la dipendenza del governo locale, realizzando in qualche
modo una pianificazione territoriale.
Inoltre questa legge istituisce la de-istituzionalizzazione, ossia una politica non
residenziale come principio. Non servizio nelle grandi strutture nazionali, che
rischiano di diventare delle “carceri sociali”, ma delle strutture più flessibili, più
semplici, vicine alla comunità. Inoltre, sempre la nuova legge, conta di implementare
il principio secondo il quale non deve essere la persona ad andare al servizio, ma il
servizio a recarsi dalla persona bisognosa.
A questo scopo è stato molto utile un grande progetto della Banca Mondiale, iniziato
nel 1999 dal titolo “Distribuzione dei servizi sociali nella comunità”, che ha lo scopo di
migliorare le responsabilità del governo locale, accompagnando le strutture del
governo comunitario.
Il progetto è iniziato in quattro città pilota: Tirana, Valona, Scutari, e Durazzo. Con il
sostegno del British Council, abbiamo affrontato questioni cruciali: le legislazioni, gli
standard e gli accreditamenti e il monitoraggio dei servizi. Questa ultima questione
riguarda direttamente il nostro Dipartimento e gli Uffici regionali destinati a diventare
la sede di coordinamento e monitoraggio.
La nostra trasformazione sta andando nella direzione di un dibattito nell’ambito delle
politiche sociali. Niente progredisce senza un dibattito e in questo caso sono coinvolti
sia il Ministero che le Istituzioni del potere locale, ossia i due rivali per il monopolio
delle politiche sociali. Entrambi stanno cercando di fare in modo che nessuno abbia
la sorte del re Illiro, che ha distribuito le ricchezze alle figlie ed è rimasto senza
niente. Ecco il nocciolo del problema: chi farà le politiche sociali a livello nazionale,
chi stipulerà le strategie, chi definirà le politiche, chi finanzierà le istituzioni sociali, chi
darà le licenze, chi sarà il responsabile del monitoraggio e chi penalizzerà nei casi di
pessima prestazione del servizio?
E’ stato stabilito un modus vivendi. La politiche saranno di competenza del Ministero
degli Affari Sociali come componente del governo, stabilirà il “master plan principale”,
e sarà il finanziatore principale, soddisfacendo i bisogni. Ma sarà presente anche il
governo locale, con la sua struttura, a cui spetterà lo studio sui bisogni. Avrà il suo
fondo sociale, costituito da risorse provenienti dal budget del governo centrale ma
anche da risorse locali. Il livello locale costruirà la struttura dei servizi, insieme alle
ong, dalle quali “comprerà” dei servizi a seconda dei bisogni emersi. Nel frattempo il
16
Ministero riserverà per sé il diritto esclusivo alla valutazione delle capacità delle
istituzioni del privato e del privato sociale autorizzate.
La gestione, il finanziamento, il monitoraggio dei servizi sociali verrà effettuato dalle
strutture del governo locale, mentre la licenza e l’accreditamento, il monitoraggio e il
rispetto degli standard verranno garantiti dalle strutture del centro, all’interno del
Servizio Sociale Statale (Sh.S.Sh.) con l’istituzione di un “Dipartimento
dell’Ispettorato sociale” e anche i nostri uffici regionali avranno i loro uffici
dell’ispettorato locale.
Per quanto riguarda le competenze necessarie per questo percorso di
trasformazione, invieremo in Inghilterra 10 persone: 3 dagli uffici centrali ed altri 7
dagli uffici regionali. Parteciperanno ad un processo intenso di formazione per
prepararsi come ispettori. Hanno una buona preparazione di base, sono laureati in
Scienze sociali, hanno un background nel settore e sono motivati per svolgere
questo ruolo.
Nelle quattro realtà pilota abbiamo creato i “Comitati di pianificazione comunitaria dei
casi sociali”, una sorta di imitazione del modello italiano della pianificazione
territoriale, mentre l’applicazione è diversa perchè noi siamo ancora ai primi passi.
Per esempio, Scutari. Per la pianificazione è stato istituito un Comitato, del quale
fanno parte rappresentanti del governo locale, delle strutture accademiche, della
polizia, dell’istruzione, della sanità, i quali evidenziano i bisogni della comunità
(bambini di strada, anziani, orfani, consumatori di droga, prostitute, eccetera).
Basandosi su questi bisogni e sulla valutazione delle capacità esistenti, vengono
stabiliti quali nuovi servizi necessita la comunità. In verità non è che siamo molto
soddisfatti di questi comitati, è una nuova esperienza e si tratta di strutture non
retribuite, e si sa, a noi non piace molto il volontariato. Ma alla fine troveremo una
soluzione.
Deve esistere un fondo sociale del qarku così composto: una parte proveniente dal
budget dello stato - che verrà suddiviso a seconda dei bisogni dei 12 qarku - una
parte dal governo locale, proveniente dalle tasse. Il governo locale avrà più
competenze non solo per aprire i canali e riparare le strade, ma avrà responsabilità
più ampie per le persone che vivono nella comunità, ed avrà il dovere di operare per
il miglioramento delle condizioni di vita e per il benessere collettivo. Questi fondi
verranno amministrati dal governo locale. Noi ovviamente vigileremo
sull’applicazione, perchè parte dei finanziamenti provengono dal centro,
controlleremo anche la loro destinazione pratica.
Al momento sono tre i principali tipi di aiuto economico, e tutti sono non contributivi.
Sono soldi che escono dal budget dello Stato, provenienti dai contribuenti albanesi,
dei quali beneficiano target group particolari. Si tratta delle famiglie povere (che sono
122-123mila), delle persone nate con disabilità o divenuti tali prima dei 21 anni, che
insieme ai familiari, rappresentano 53mila persone. Poi ci sono 26 istituzioni di cura
sociale (per bambini, adolescenti, orfani, anziani, bambini disabili, donne, bambini,
ragazze vittime della tratta ecc). Sono escluse le strutture per dipendenti da droga e
alcool, non finanziati da parte nostra.
Nel novembre del 2004 ha preso avvio un processo pilota, basato su una decisione
del governo albanese, con cui si stabilisce la possibilità di accedere ad aiuti
economici, condizionandoli al lavoro e ai servizi nella comunità. Così l’aiuto
economico cessa di essere un aiuto passivo, un “grant” senza nessuna condizione.
Questi fondi sono molto alti per il budget dello Stato, ma sono pochi per una famiglia.
L’aiuto deve diventare attivo e dinamico e inoltre serve un meccanismo per eliminare
dall’aiuto coloro che hanno lavori informali e godono senza diritto del sostegno
economico.
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Partendo da questi presupposti, abbiamo preparato dei progetti pilota che servono
alla comunità per migliorare le infrastrutture e affrontare i bisogni sociali. Abbiamo
costretto le persone che prendono gli aiuti economici a realizzare lavori pubblici
comunitari, in cambio di uno stipendio minimo mensile, che in Albania è di 10.800
lek.
Così si costringono le persone ad andare a lavorare e si permette loro di percepire
un contributo più alto, quattro volte più dell’aiuto economico, assegnato in cambio di
servizi alla comunità. Abbiamo applicato questo progetto pilota in nove Municipi e
finora ha dato dei risultati positivi.
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Albania
INTERVISTA
Arda Nazareni, esperta del settore giuridico del “Dipartimento Servizi
Sociali”, Ministero del Lavoro
Quali sono le competenze del Dipartimento Servizi Sociali del Ministero del
Lavoro?
Al Ministero spetta il compito di emanare leggi e regolamenti, mentre noi ci
occupiamo delle politiche. I Servizi sociali statali (Sh.S.Sh.), a loro volta, svolgono la
funzione di un’agenzia di implementazione della politica del Ministero. Un draft sulla
nuova Legge dei servizi sociali è stato preparato dal Ministero in collaborazione con
i Servizi sociali statali e gli esperti dell’agenzia britannica “British Council”. Pareri
sono stati richiesti anche ad altri attori coinvolti, quali ong, rappresentanti delle
Municipalitá o degli enti locali in generale.
Quali sono le novità della nuova legge?
Si sono allargate le categorie dei beneficiari. Un esempio: si prevede una tutela non
solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie attraverso un assegno economico al
di là delle condizioni economiche.
Altre novità?
Cambiano i servizi sociali. La legge sancisce il loro decentramento e il passaggio
sotto la responsabilità degli enti locali. Inoltre, vengono stabilite per grandi linee le
modalità di trasferimento dei fondi prevedendo un doppio binario: uno per il
trasferimento dei fondi dell’aiuto economico, l’altro per i servizi sociali. La legge
stabilisce un sistema generale di regolamentazione di questo processo e l’attuazione
concreta avverrà attraverso decisioni del Consiglio dei Ministri per definire criteri e
modalità.
Quale sarà il nuovo ruolo del Ministero del Lavoro?
La responsabilità del governo centrale consisterà nella preparazione delle proposte
di legge e delle decisioni applicative, nella definizione delle strategie nazionali e nella
definizione degli standard per i servizi sociali. Standard generali per l’attivazione e
l’erogazione dei servizi ma anche standard specifici per ogni tipo di servizio. Nel
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quadro del monitoraggio che il Ministero dovrá fare del processo, verranno creati
all’interno del Servizio Sociale Statale due ispettorati: 1) il primo con competenza in
materia di servizi sociali, che controllerá l’applicazione della legislazione, degli
standard e delle opportunità; 2) il secondo responsabile dell'
aiuto economico,
competente per l’assegnazione dell’aiuto economico e del sussidio per i disabili. A
questa struttura andrà la responsabilità dei fondi necessari e il controllo della loro
destinazione a livello locale.
Quanto durerà la fase transitoria?
La legge prevede che dal livello centrale continuino ad essere programmati ed
erogati i servizi dell’aiuto economico fino al 2010, quando saranno gli enti locali a
prendere in carico il servizio.
Nella legge si parla di nuovi servizi. Quali?
Intendiamo servizi per la comunità, più vicini agli individui, a contatto diretto con le
persone che hanno dei bisogni. Per esempio, durante questi anni sono stati attivati
dei nuovi centri diurni, o dei centri polivalenti. Esistono anche altri modelli di servizi,
come quelli previsti dal progetto della Banca Mondiale, finalizzato alla distribuzione
dei servizi sociali nelle comunità. Sono stati attivati servizi per gli anziani, per le
persone trafficate, ecco questi sono i nuovi tipi di servizi.
Saranno le varie unitá del governo locale, in collaborazione l’una con l’altra, a
individuare le categorie bisognose sotto la proprio giurisdizione e a inventare nuovi
servizi per i bisogni della popolazione. Se non sará possibile per l’ente locale offrire
quel servizio in particolare, la persona bisognosa sará inviata ad un’altra istituzione in
grado di offrire il servizio richiesto. Fino a quando non verrá completato questo nuovo
sistema dei servizi sociali, il Servizio sociale statale avrà il ruolo di coordinamento. Si
prevede fino al 2010.
E’ prevista nel 2010 la scomparsa dei Servizi sociali statali?
La struttura continuerà ad esistere, ma avrà solo un ruolo di monitoraggio e di
controllo e non più il ruolo di coordinatore fra le unitá del governo locale. Saranno
invece le unitá locali che dovranno trovare le soluzioni per i problemi delle persone
sotto la loro giurisdizione.
Cosa prevede la legge in merito ai finanziamenti?
Verrá costituito un Fondo shoqorore, da non confondere con il Fondo sociale creato
presso il Ministero delle Finanze. Questo nuovo fondo avrá l’obiettivo di
implementare le nuove politiche per i servizi sociali e di sostenere le unità del
governo locale non così esperte e grandi per offrire i servizi sociali.
I servizi sociali saranno completamente sotto la responsabilitá degli enti locali.
L’unico budget che verrá versato dal governo centrale, sará quello per le istituzioni
residenziali, che passerano sotto la dipendenza del governo locale. I fondi per
attivare gli altri servizi verranno regolati dal governo locale, in collaborazione con gli
erogatori dei servizi complementari presenti sul territorio. Il nuovo Fondo “shoqorore”,
invece, sarà destinato a nuovi tipi di servizi, nel quadro delle innovazioni delle
politiche.
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Già nel 2003 era stata preparata una strategia. Perché l’esigenza di redigerne
una nuova?
Quella strategia non è mai stata approvata, non era arrivata nemmeno al Consiglio
dei Ministri. Era stata preparata dai Servizi sociali statali e rappresentò il primo passo
nella definizione di una strategia. Con i nuovi cambiamenti, con il passare del tempo,
con le nuove esperienze in campo formativo, si è sentita la necessità di migliorare la
proposta.
Quali sono i nuovi profili professionali, nel pubblico e nel privato-sociale, di cui
si ha bisogna per una completa ed efficiente attivazione del sistema di servizio
sociale?
Su questo versante si deve lavorare a livello locale, con le municipalità e i comuni,
perché saranno loro i responsabili dei servizi sociali. Occorre dunque rafforzare le
capacità degli addetti ai lavori e aumentare il loro organico. Il discorso cambia per le
ong: hanno già una grande esperienza nell’offrire questi servizi sociali e personale
formato.
Come funzionerà l’inserimento delle nuove figure professionali all’interno dei
servizi sociali decentrati?
Il Consiglio dei ministri stabilirà le competenze degli enti locali e successivamente
definirà la creazione di nuove strutture di servizi sociali non necessariamente
presenti ovunque. Si tratterá dei “Dipartimenti dei servizi sociali”, si prevede che
saranno due o tre e che si troveranno nelle municipalità più grandi, quali Tirana,
Durazzo e Valona. All’interno del Servizio Sociale statale verrà costituito un settore
che si occuperá della formazione a livello locale e centrale. Tutto questo verrá fatto
nel quadro del decentramento e della nuova riforma dei servizi sociali.
21
Albania
INTERVISTA
Natasha Pepivano, responsabile del settore “Rapporti con le ong”
al Dipartimento Servizi Sociali, Ministero del Lavoro
Quali sono i rapporti fra ong e Ministero?
Esiste un registro nel quale vengono elencate tutte le organizzazioni e il settore nel
quale intervengono. I settori principali nei quali lavorano le ong sono: minori, orfani,
giovani, donne in difficoltá, bambini e donne trafficate, anziani in difficoltá, persone
con disabilitá.
Abbiamo evidenziato le ong che coprono questi servizi e stiamo lavorando per
coinvolgerle nell’implementazione delle strategie. Questo settore è attivo nel
Ministero dal 1998 ed ha preso forma dopo l’approvazione della legge sulle ong.
Quando è iniziata la collaborazione con le ong?
Le prime convenzioni risalgono al 1997, dunque prima che venisse approvata la
legge sulla ong. Giá la Legge dei servizi sociali del 18 Maggio 1993 (Legge n. 7710)
permetteva al Ministero di riconoscere e di registrare le ong che lavoravano nel
settore dei servizi sociali, nonchè di firmare convenzioni con le stesse. Le prime ong
con le quali vennero firmate convenzioni erano internazionali. Solo dopo la
registrazione queste ong hanno avviato le procedure legali per avere personalità
giuridica anche in Albania.
Quante sono oggi le ong registrate presso il Ministero?
Sono circa 700 le ong registrate; di queste circa 450 operano nel settore dei servizi
sociali, ma solo 150 sono quelle che erogano direttamente servizi ad utenti. Spesso
le attività di queste ong dipendono dal finanziamento dei donatori, dunque non
sempre riescono ad erogare servizi in maniera continuativa. 41 di queste ong sono in
convenzione con il Ministero.
Noi stiamo chiedendo che chi lavora nei servizi abbia una licenza, come prevede la
nostra legislazione. Questa attivitá è iniziata l’anno scorso, con l’obiettivo di dare
applicazione ad una Decisione del 2003 dell’allora Ministro degli Affari Sociali,
Valentina Leskaj, che si basava a sua volta sulla nuova legge delle ONG.
22
E in previsione di un decentramento?
Entro 3 anni, invece, in previsione del decentramento, tutti i servizi passeranno
dall’ufficio dei Servizi Sociali Statali al governo locale. Da quel momento, sará
sempre il Ministero a dare la licenza, ma le convenzioni verranno firmate
direttamente con gli enti locali. Se riusciremo a rendere effettivo questo percorso,
potremo contribuire all’implementazione di un percorso di decentramento sistematico
e basato su regole chiare ed effettive.
Lei è anche responsabile per il Ministero del gruppo di lavoro interministeriale
che sta definendo la nuova strategia contro la tratta degli essere umani. Cosa
si sta programmando in questo ambito?
Nel piano di lavoro previsto dalla nuova strategia, i compiti del Ministero Affari sociali
sono i seguenti: 1) prevenzione della tratta; 2) protezione delle vittime; 3)
integrazione delle vittime nella vita sociale; 4) creazione di una banca dati sulle
vittime. Il Ministero gestisce un Centro di accoglienza a Tirana, dove si fermano per
un lungo periodo le vittime che sono testimoni nei processi giudiziari. Sarà
necessario anche definire l’applicazione concreta della Legge per la protezione delle
vittime che testimoniano e la loro integrazione sociale, facilitando la formazione
professionale e l’inserimento lavorativo delle donne.
Che tipo di provvedimenti pensate di proporre a tal proposito?
Occorre consentire alle vittime l’accesso gratuito ai corsi di formazione, e dovranno
essere previsti degli sgravi fiscali per datori di lavoro che inseriscono donne extrafficate.
Poi, come si sa, uno dei problemi di queste donne è l’alloggio e su questo punto
occorrerà trovare delle soluzioni.
E’ in via di definizione anche un protocollo con il governo greco relativamente ai
minori albanesi per la loro assistenza in Grecia e – qualora sia possibile – il loro
ritorno in patria, talvolta reso difficile dal fatto che sono state le stesse famiglie a
trafficarli.
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Albania
INTERVISTA
Daklea Styllai responsabile della “Direzione dei servizi umani”,
Comune di Tirana
Com’è organizzato il comune di Tirana dal punto di vista dei servizi sociali?
E’ stata istituita la “Direzione dei servizi umani”, da non confondere con la “Direzione
delle risorse umane”. E’ uno dei progetti sperimentali a credito previsti dalla Banca
mondiale ed è previsto per il futuro un cambiamento di nome: si chiamerà “Social
Welfare e Diritti Umani”. Attualmente la “Direzione dei servizi umani” è suddivisa in
diversi settori: istruzione, politiche dell’occupazione, diritti dei bambini, servizi sociali
e i servizi per le “persone senza casa”, che non sono gli “homeless”. Si tratta
piuttosto di quanti sono rimasti senza casa a causa del processo di privatizzazione
e anche per via del cambiamento della struttura delle famiglie.
Le persone possono essere rimaste senza tetto per motivi diversi e spesso a causa
della legge che restituisce la casa ai vecchi proprietari o per avere fatto degli accordi
che oggi non è più obbligatorio rispettare perché è cambiato tutto. Senza casa
rischiano di restare donne sole con figli, dopo la separazione dal marito e di fatto
senza casa sono anche quelli che convivono con altri nuclei familiari.
Quante persone vi lavorano e su quali obiettivi?
Sedici persone e tre sono responsabili di settore. Stiamo lavorando per cambiare la
struttura e separare i servizi sociali da altri settori. Personalmente sono impegnato
lavorando alla strategia dei servizi sociali a livello locale.
Che tipo di cambiamenti pensa di avviare?
Per prima cosa bisogna creare una struttura che vada d’accordo con i servizi e i
bisogni della comunità di Tirana. Il secondo passo è creare le possibilità per lo staff
di essere preparato per i servizi da offrire, quindi la formazione del personale. Poi
bisognerà iniziare con progetti pilota dei diversi servizi in modo che, mentre stiamo
aspettando che si metta in moto il processo di decentralizzazione e che siano creati
gli standard decisi dalla legge, noi possiamo aver sperimento esempi di servizi sociali
nei diversi campi.
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Che genere di servizi sperimentali?
Abbiamo pensato di creare 5 centri: per i disabili, per la famiglia, per la riabilitazione
di tossicodipendenti, per la tutela della salute mentale, ossia una “casa famiglia” che
ospiterà 10 uomini in uscita dall’ospedale psichiatrico. Infine, a Tirana esiste un
centro per anziani e vorremmo prendere in carico la struttura per attivare un centro
diurno anche per orfani di età maggiore di 18 anni preparando loro ad una vita
indipendente. Ancora, vorremmo prendere in gestione anche un orfanotrofio per
creare un ulteriore centro, attrezzato con cucina, stanze separate per ragazze e
ragazzi, una sala per attività. La permanenza dovrebbe essere limitata nel tempo,
massimo 2-3 anni e i ragazzi intanto potrebbero essere beneficiari dei nostri progetti,
dai corsi formativi alla ricerca di lavoro e di una casa, ecc
Su quali esperienze pregresse potate contare?
Non abbiamo esperienza nel campo di gestione e programmazione dei servizi
sociali. Per questo stiamo organizzando incontri con le ong e cerchiamo di capire
quali siano i bisogni e le risorse della città.
Che tipo di formazione crede che necessiti il personale?
Ad oggi abbiamo responsabili per categorie di persone, ma non esperti in servizi.
Abbiamo bisogno di equipes multi-professionali che sappiano integrare diversi tipi di
servizi.
E’ indispensabile la formazione alla pianificazione, ma anche al monitoraggio dei
servizi. Noi dobbiamo collaborare con le ong riconosciute, ma se finanziamo i loro
servizi, dobbiamo anche monitorare, pianificare, realizzare ricerche, ecc..
Come si armonizzano le competenze della Municipalità e il monitoraggio da
parte del Ministero sui servizi in convenzione o con licenza concessa dal
Ministero stesso?
Il Ministero continuerà a rilasciare le licenze alle strutture ong, anche se in
prospettiva il Servizio Sociale Statale dovrebbe cessare di esistere. Ho lavorato al
Ministero del Lavoro dal 1993, quando esisteva il Dipartimento dei servizi sociali, ma
non ancora il Servizio Sociale Statale. Al Dipartimento spetta il campo delle politiche,
degli standard e dell’attribuzione di competenze. Invece, a livello locale devono
essere istituite strutture pubbliche che “comprano” servizi sociali basati sugli standard
del Ministero. A quest’ultimo spetta il budget e il monitoraggio. A sua volta il
Municipio deve finanziare e monitorare le attività che si svolgono sul suo territorio.
Quale è l’esigenza che sente maggiormente?
Imparare a costruire il sistema. Al momento, nella pratica, c’è solo una grande
confusione fra le diverse istituzioni in campo.
25
Albania
INTERVISTA
Maks Konini, segretario generale al Ministero dell’Istruzione
e delle Scienze, Albania
Quali sono gli aspetti sociali particolarmente seguiti dal Ministero in materia di
istruzione?
Quest’anno per la prima volte si e’ inserita la figura dello psicologo nelle scuole in
seguito a una decisione del Ministro dell’istruzione per un periodo di sperimentazione
di due anni. Fino ad aggi il numero degli operatori sociali inseriti è di circa 140, e se il
progetto avrà successo, verrà esteso anche alle scuole dell’obbligo e alle medie
superiori delle zone rurali. Sono tutti giovani che hanno studiato presso le Facoltà di
scienze sociali, di sociologia e di psicologia e che sono stati formati nei Dipartimenti
regionali di istruzione.
Quali i progetti in campo di formazione professionale?
Nel quadro della lotta contro la povertà è stato previsto di creare 4 grossi centri di
istruzione e formazione professionale. La nostra idea è che le scuole professionali
debbano essere accessibili anche dagli adulti, ottimizzando così le risorse
finanziarie.
Sono previsti corsi di ricupero scolastico?
Per alcune categorie – adulti in difficoltà, ragazzi di strada o che non hanno la
possibilità di frequentare la scuola, come i ragazzi in vendetta - il Ministero ha
previsto l’organizzazione di corsi particolari e anche il numero degli insegnanti
necessari per permettere a questi ragazzi di seguire normalmente la scuola. E’ stato
previsto un numero di insegnanti necessario in particolare per le zone del nord come
Skutari, Malesia e Madhe, o anche per altre zone dove si registra l’esistenza di
abbandono della scuola. Quest’anno sono stati inseriti insegnanti che andranno in
giro attuando i corsi di recupero.
Esistono nuovi corsi di studio o Facoltà universitarie attivate per formare le
figure professionali nel settore dei servizi sociali?
Esiste la Facoltà di scienze sociali, a cui spetta la formazione in questo ambito. Non
esistono invece, scuole professionali. Ci sono solo le scuole pedagogiche, che
preparano gli insegnanti elementari e trattano materie quali psicologia, sociologia.
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Inoltre a Valona esiste una scuola - sostenuta dal governo svizzero – in cui è
possibile specializzarsi in assistenza ai disabili.
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Albania
INTERVISTA
Deniz Deralla, membro del board del Consiglio dei Giovani
Albanesi
Quali associazioni di giovani sono presenti in Albania?
Oltre al Consiglio dei Giovani, del cui board faccio parte, sono state create altre reti
di giovani, Ad esempio, i Centri di aggregazione giovanile sorti tra il 1998 e il 2000
grazie al finanziamento del governo italiano, i Parlamenti dei Giovani, ossia un
progetto dell’UNICEF che prevede di creare “parlamenti in ogni scuola media”, l’
AS@AN (Albanian Students Network), un coordinamento di albanesi studenti
all’estero. Esiste anche un Network degli organi studenteschi creati all’interno delle
Università.
Il volontariato è diffuso tra i giovani?
Nel Consiglio dei Giovani il volontariato ha avuto sempre un grande peso. Per
esempio, dopo la guerra in Kossovo, 800 giovani del Consiglio sono andati
volontariamente in Kossovo.
Esistono delle disposizioni legislative oppure dei documenti strategici sui
giovani?
Leggi no, ma una strategia sì. E’ stato creato un gruppo di 15 persone, provenienti
dal Consiglio dei giovani, da Istituzioni scolastiche e dai Ministeri (in particolare
funzionari del Ministero della Cultura, Sport e Gioventù), dall’ UNICEF, dall’ UNDP, e
dalla Municipalità di Tirana, che ha istituito un apposito Ufficio per la gioventù. Il
gruppo ha lavorato sulla strategia, approvata l’anno scorso, che va dal 2004 al 2009.
Quali sono gli aspetti affrontati?
Il lavoro, il tempo libero, l’educazione, l’ambiente. Personalmente ho partecipato alla
parte sul lavoro. L’idea è di proporre una nuova legge sul “selfemployment” dei
giovani, con facilitazioni per permettere loro di creare un proprio business,
utilizzando lo strumento dei microcrediti con agevolazioni speciali. Inoltre l’idea è di
creare una banca dati, e noi del Consiglio lo abbiamo già fatto creando una pagina
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web, www.albaniansex.org. L’abbiamo chiamata “Albaniansex” perchè l’idea è che
se non lavori non fai l’amore e quando si entra si sente la canzone di Celentano. E’
possibile accedere a una banca dati, con domande ed offerte di lavoro.
Nella strategia si parla di categorie svantaggiate?
Si parla di disabili e di ragazzi di strada per i quali si prevede la realizzazione di centri
di accoglienza e di formazione al lavoro.
Quali, a suo giudizio, le problematiche maggiori tra i giovani albanesi?
Possiamo iniziare dall’istruzione. Mancano le scuole nelle zone rurali e gli insegnanti
non sono sufficientemente preparati. Non esistono strumenti per contrastare
l’abbandono scolastico. Mentre prima la scuola era veramente obbligatoria, oggi
accade che i ragazzi l’abbandonino e che nessuno intervenga. Tra gli adolescenti si
registrano problematiche, quali uso di droga e prostituzione. Ma la questione centrale
resta la difficoltà di trovare un lavoro.
Quali sono le richieste avanzate dal movimento dei giovani a cui le istituzioni
non hanno ancora dato una risposta?
Alcune nostre proposte sono state accettate anche se tardivamente, come
l’inserimento di operatori sociali nelle scuole. Noi abbiamo iniziato nel 2002 con
diversi progetti per fare entrare assistenti sociali e psicologi nelle scuole a Tirana,
Durres e Girokastra. Il Ministero ha visto che funzionava, ma solo quest’anno è stata
emanata una legge a proposito. Servirebbe anche l’introduzione dell’educazione
sessuale nelle scuole.
E a proposito di lavoro?
Manca completamente l’informazione. Gli Uffici del lavoro sono un disastro e
comunque poco conosciuti. In base a una nostra inchiesta sono registrati quelli che
lavorano e quelli che prendono l’assistenza economica. Ma non i giovani che sono in
cerca di lavoro.
Noi proponevamo di mettere delle tabelle/annunci in diversi punti della città. Di
creare pagine speciale attraverso teletext, una sorta del vostro televideo. E l’apertura
di pagine web. Fino ad ora nessuna istituzione ha fatto qualcosa del genere. Solo su
una televisione privata, “News24”, compare una pagina basata sulla nostra idea.
I giovani sentono l’esigenza di avere a disposizione spazi di aggregazione
alternativa ai locali pubblici?
Certamente. Al momento vanno molto i campi di calcio, ma bisogna pagare per
andare a giocare le partite. Al nostro centro di Tirana vengono tantissimi giovani.
Vengono per consultare l’internet, un gruppo lavora a un giornale, e tanti fanno del
volontariato.
29
Vi sono degli ambiti nei quali avete bisogno di formazione o capacity building?
La questione più importante riguarda i servizi sociali nelle scuole medie-superiori.
Quando noi abbiamo scritto il progetto, anche se con l’aiuto di ragazzi laureati
(assistenti sociali o psicologi), non è stato facile perché mancavano le esperienze e
le conoscenze. Abbiamo bisogno di vedere cosa è stato fatto di positivo altrove.
Quello che noi facciamo adesso viene dall’osservazione di altre esperienza concrete,
ad esempio esistenti in Italia. Abbiamo bisogno di apprendere nel campo
dell’educazione, dell’assistenza sociale, dell’animazione, ecc...
30
Albania
ELBASAN
La popolazione del Qarku di Elbasan è la più popolosa dopo quella di Tirana e di
Fiera, con i suoi 366.000 abitanti, distribuita tra 4 province, 7 città, 43 comuni 397
villaggi. La città di Elbasan racchiude circa il 20% della popolazione totale. Nel Qarku
d’Elbasan la popolazione rurale, nel 1989, costituiva circa il 65% dell’intera
popolazione, mentre nel 2001 scende al 56%, in linea con la tendenza generale del
Paese dove si assisteva ad un aumento dell’urbanizzazione dal 57% al 63%.La
popolazione attiva del Qarku d’Elbasan è circa il 45% del totale. Il 63% è occupata in
agricoltura (nella città d’Elbasan è circa il 56%) e la restante forza lavoro è occupato
nel settore industriale e in quello terziario.La disoccupazione nel Qarku di Elbasan, è
di circa il 20,6%, nella città di Elbasan il 22,6%. La disoccupazione è più presente
nella zona urbana che in quella rurale.
Fino al 1990 la zona di Elbasan ha rappresentato un importante polo industriale dove
predominava l’industria metallurgica, la produzione del cemento e l’industria
meccanica. Alla fine degli anni Ottanta, nelle dieci imprese principali della città, erano
occupati circa 24.000 lavoratori che rappresentavano circa il 40% del numero degli
operai dell’intera città. Dopo il 1990 le industrie esistenti non hanno potuto
sopravvivere a causa delle tecnologie non competitive e della concorrenza degli altri
prodotti, e soltanto il 9% di operai ha conservato il lavoro.
Secondo i dati amministrativi dell’Ufficio regionale del lavoro, alla fine del mese di
febbraio 2003, nelle città principali del Qarku di Elbasan, si sono registrati 18.263
disoccupati, dei quali ca. il 52% è di età compresa tra i 20 e i 34 anni di cui circa il
44% con un grado di istruzione medio superiore. Il numero più alto di disoccupati si
registra nelle città di Cerrik e di Elbasan. I giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni
sono il 25% del totale dei disoccupati.
Le donne occupano circa il 49.4% della popolazione del Qarku di Elbasan e la
maggior parte di loro vive in campagna. L’età media di vita all’interno del Qarku di
Elbasan è di 70,1 anni per gli uomini, mentre per le donne è di 75,6 anni.
Il fenomeno dell’analfabetismo era quasi scomparso all’inizio degli anni ’90, ma è
riapparso soprattutto nelle zone più isolate e rurali. Questo fenomeno ha soprattutto
un legame con le condizioni sociali ed economiche delle famiglie e con la possibilità
pratica di frequentare le scuole.
Nel mercato del lavoro del Qarku di Elbasan le donne occupano circa il 41,1% della
forza lavoro. Le difficoltà legate al mercato del lavoro, che sono evidenti per tutta la
popolazione, sono maggiori per le donne. Nelle quattro città della Qarku
l’occupazione femminile nei settori delle costruzioni e del trasporto continua ad
essere bassa e si nota anche una diminuzione sensibile dell’occupazione femminile
31
nell’industria. A livello regionale nel settore industriale sono occupati circa 5400
persone, delle quali solo il 22% sono donne contro circa il 55% occupate nel 1990.
La ragione principale di questo fenomeno è stata la chiusura dovuta al fallimento
della maggior parte dell’industria, sopratutto quella leggera e alimentare. Attualmente
la maggior parte delle donne occupate lavora in agricoltura. Nelle città di Elbasan
rappresentano circa il 79%. La vita della donna in campagna si può definire una vita
difficile a causa dei problemi di fornitura dell’acqua e della mancanza di energia
elettrica. Rimane molto bassa la percentuale di donne che lavorano nel settore non
agricolo; a livello regionale, infatti, ricoprono solo circa il 17%. Nel Qarku di Elbasan,
l’occupazione femminile nel mondo dell’impresa privata, è il più basso a livello
nazionale. Le donne datore di lavoro e quelle che lavorano privatamente sono circa il
28,6% e il 39,2%. La partecipazione della donna in politica e negli organi che
prendono decisioni a livello nazionale, è bassa. Questa caratteristica si può vedere
anche nel Qarku di Elbasan. Poche sono le donne che sono militanti nei partiti politici
e che sono scelte per lavorare nei forum direttivi. La percentuale di donne scelte nei
consigli esecutivi dei partiti parlamentari nel Qarku di Elbasan è del 29%.
32
Albania
TAVOLA ROTONDA
Funzionari pubblici e rappresentanti di servizi di Elbasan si
confrontano sul decentramento delle politiche sociali
Nazmi Qorri ricopre l’incarico di Direttore generale del Dipartimento dei servizi
sociali, di salute pubblica e veterinaria del Comune di Elbasan, struttura nata nel
1992 con l’obiettivo di elargire l’aiuto economico previsto dallo Stato a chi si trova in
una situazione di povertà accertata. Si tratta di nuclei familiari, soprattutto con
bambini, di anziani, di invalidi e di portatori di handicap. “Ad oggi, quando si parla di
servizi sociali, si intende solo l’offerta di un aiuto economico e non di servizi alle
persone, ma il Comune di Elbasan si sta organizzando per sperimentare il
cambiamento di cui si parla da tanto tempo” spiega il Direttore. Si parla di una
ristrutturazione complessiva che prevede l’istituzione di quattro nuovi uffici: il primo
dedicato ai servizi sociali, il secondo all’aiuto economico, il terzo all’informatizzazione
dei dati e il quarto all’auditing dei servizi stessi. Il fatto di essere stato coinvolto da
tempo nel dibattito sul decentramento delle politiche sociali sia a livello nazionale che
internazionale, ha permesso al Comune di Elbasan di programmare le prime
sperimentazioni, anche all’interno della vecchia legge. Ad esempio, ha supportato la
creazione del “Centro sociale Belashe” finalizzato al sostegno di anziani e portatori di
handicap. “Inoltre lavoriamo da tempo in rete con le ong locali perché devono
imparare a collaborare con il pubblico. Per questo motivo abbiamo creato un forum
dei cittadini per coinvolgerli direttamente nella partecipazione ai progetti e
organizzato una mappatura dei servizi offerti e dei bisogni da soddisfare, dati che
verranno informatizzati”.
E’ evidente che la svolta necessita di una diversa ripartizione del budget. “La mia
domanda è: riusciremo non solo a cambiare il nostro servizio, ma a coinvolgere
anche gli altri settori di intervento, locali e nazionali, indispensabili per ripensare nel
suo complesso le politiche sociali? Occorre anche un cambiamento di mentalità da
parte delle sedi della politica centrale”.
La legge sul decentramento non rappresenta una novità per il Comune di Elbasan, è
il pensiero di Jolanda Hoxa, responsabile sociale del Comune. “Siamo da tempo al
lavoro sul territorio per costruire un piano strategico finalizzato al miglioramento delle
condizioni di vita della comunità, ma quello che ad oggi manca è una struttura, un
budget e un’assegnazione di funzioni precise. Inoltre penso che con il decentramento
riusciremo finalmente a coordinare tutti i servizi offerti, non importa se dal pubblico o
dal privato, in modo che si possa raggiungere il massimo risultato per gli utenti”.
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Sulla necessità di formazione per il personale operante all’interno delle strutture
pubbliche, mette l’accento Entela Rexhepi, direttrice dell’Ufficio regionale dei servizi
sociali, la struttura esistente da 10 anni e che valuta le persone che necessitano
dell’aiuto economico statale residenti all’interno della Prefettura di Elbasan. “Famiglie
povere, bambini orfani, anziani abbandonati, questo sono i nostri assistiti. E noi, che
abbiamo un ruolo di monitoraggio, spesso notiamo come i dipendenti locali non
abbiano sufficienti competenze per identificare i bisogni e i gruppi sociali che
necessitano di sostegno”.
Tra le persone che usufruiscono del contributo economico, l’unico offerta nazionale
in materia di sostegno sociale, sono molti i disoccupato, i giovani, le donne e gli
anziani. Naim Likrama, direttore dell’Ufficio del lavoro nella Prefettura di Elbasan – in
passato si chiamava Ufficio dell’Occupazione – è in grado di fornire un quadro
quantitativo, poiché al suo ufficio spetta il compito di fare da mediazione nella ricerca
di un lavoro. “Questo territorio è al sesto posto per la disoccupazione. Nel passato
sistema era il centro dell’industria pesante, e la sua fine ha prodotto 12.100
disoccupati, di cui circa 10.000 usufruiscono del sussidio statale. Ma sono in
diminuzione, e a mio giudizio occorrerebbero dei controlli più ferrei. Esiste infatti
un’occupazione informale in Albania“.
La richiesta, dunque, è di maggiore
monitoraggio e controllo sulle risorse.
A preparare gli abitanti della zona a un inserimento lavorativo è il “Centro di
formazione professionale statale”, con l’obiettivo di qualificare soprattutto chi ha
difficoltà a entrare nel mercato del lavoro, diminuendo così le richieste di sussidio allo
Stato. I corsisti vanno dai 16 anni in sú e il 44 per cento è costituito da donne. Le
offerte sono molteplici, soprattutto da quando un’area industriale è stata ristrutturata
offrendo nuovi spazi per corsi differenziati (informatica, meccanica, sartoria, ecc..). “I
rom, gli orfani, gli ex detenuti, le donne violentate e trattate non pagano alcuna retta,
mentre per gli altri si prevede la richiesta di un contributo”. Per il suo direttore, Kadri
Hyshmeri, la legge sul decentramento deve puntare in particolare alla
sensibilizzazione della comunità sul significato di questo cambiamento.
“Garantirebbe una maggiore partecipazione alle decisioni dell’amministrazione e una
trasparenza sull’utilizzo dei fondi assegnati alle amministrazioni locali”.
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Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
CENTRO PROFESSIONALE “NJE ENDERR ME SHUME”
Struttura del privato sociale - Elbasan
L’ente opera dal 2000 come centro professionale, mentre in precedenza forniva un
servizio di mensa. L’intento sociale è comunque sempre presente. “I nostri obiettivi
sono molteplici: organizzare corsi (sartoria, cucina, parrucchiere, ecc..), aiutare i
giovani a trovare successivamente un lavoro, sostenere quelli in difficoltà, favorire il
recupero scolastico per i minori che hanno abbandonato la scuola”, elenca
Bukuroshe Manaj, coordinatrice del Centro. I finanziamenti arrivano da fondi locali,
nazionali e internazionali, in particolare da donatori olandesi. I fondi pubblici vengono
erogati dietro presentazione di un progetto e in base a convenzioni. Al Centro - con
sede in una struttura privata - sono impiegate 17 persone.
“La modificazione del territorio è dovuta soprattutto all’emigrazione, sia interna che
verso l’estero, e alla presenza di emergenze sociali, quali la droga, la violenza, la
tratta. E’ proprio sui giovani fra i 14 e i 17 anni che si concentra il nostro lavoro,
anche se fra i nostri utenti ci sono bambini e famiglie in stato di bisogno. Oltre ai
corsi professionali, infatti, offriamo anche la possibilità di avere un pasto, di
partecipare ad un’attività sportiva e di seguire vari seminari”.
I ragazzi si incontrano in gruppi di 10 e il loro monitoraggio continua anche quando
si concretizza un inserimento lavorativo.
“Esiste una collaborazione con le strutture pubbliche e del privato sociale, ma sarebbe
necessario un maggiore rapporto con l’Amministrazione locale. Non solo per quanto
riguarda il sostegno alle nostre attività, ad esempio contribuendo con la concessione
di una struttura più idonea di quella attuale, ma anche conoscendo meglio e
utilizzando le nostre competenze in materia di servizi erogabili”.
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Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
CENTRO DI CONSULENZA PER LA DONNA
Struttura del privato sociale - Elbasan
La struttura nasce direttamente dall’esperienza del Forum delle donne. Offre
counselling, psicologico, sanitario e giuridico. E’ finanziato da fondi locali per quanto
riguarda la struttura, nazionali e internazionali per i costi delle attività, ritenuti
comunque insufficienti. Vi lavorano 14 persone, tutte donne, “Le nostre utenti sono
donne in stato di difficoltà economica e ragazze violate psicologicamente e
fisicamente” spiega Shpresa Banja coordinatrice del Centro. “Sono donne dai 20 ai
60 anni che non hanno la percezione dei loro diritti, donne divorziate con figli, donne
vissute sempre nelle zone rurali, donne maltrattate. Hanno difficoltà nelle relazioni
con amici, fidanzati, mariti, genitori e non conoscono le informazioni basilari in
materia di educazione sessuale”. I colloqui possono avvenire nel centro ma anche in
altri luoghi, ad esempio nelle scuole, ed è previsto l’invio in ulteriori strutture quando
se ne riscontri la necessità, ad esempio a una casa d’accoglienza piuttosto che a un
centro di formazione professionale. Il Centro collabora con il Comune, la Prefettura, il
Tribunale e il Dipartimento regionale dell’istruzione, l’Ufficio di servizio sociale e le
ong presenti sul territorio. Partecipa a tavoli di lavoro previsti per le diverse fasi,
dall’identificazione dei bisogno all’organizzazione delle attività e si ritiene soddisfatto
del livello di partecipazione. I punti di criticità vengono individuati piuttosto nel campo
normativo. “Avremo bisogno di un nuovo Codice di famiglia e l’affermazione del
principio giuridico dell’uguaglianza di genere”.
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Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
ASSOCIAZIONE TJETER VIZION
Struttura del privato sociale - Elbasan
L’associazione no-profit “Tjeter Vizion” è stata riconosciuta legalmente nell’aprile
2002 ed è una ong accredita presso il Ministero competente. I principi sui quali si
fonda, come da statuto, sono il rispetto per la dignità della persona, l’aiuto reciproco,
la solidarietà, l’apoliticità, la distribuzione corretta delle risorse finanziarie. Svolge la
sua attività rispettando le diverse appartenenze religiose, politiche, culturali ed
etniche dei soci, impegnati nella conduzione e nella gestione di servizi sociali rivolti
ai cittadini in difficoltà e a rischio e ad alcune categorie in particolare, come bambini,
giovani e donne
L’associazione è
nata con il contributo dell’ong italiana Cefa nel quadro del “Programma Elbasan”, il
cui obiettivo era la creazione e il funzionamento di servizi sociali per categorie in
bisogno nel distretto di Elbasan, attraverso la prevenzione e la diminuzione dei
fenomeni di abbandono scolastico, deviazione, immigrazione, sfruttamento, tratta
ecc. Oggi l’associazione è completante autonoma e con la ong italiana collabora,
come un partner, anche se l’associazione “madre” resta un punto di riferimento per
quanto riguarda la formazione e l’aggiornamento.
I servizi offerti sono di tipo diurno con centri per minori, giovani e donne, e di tipo
residenziale finalizzati all’accoglienza e alla reintegrazione sociale di donne, bambini
e adolescenti in grave disagio, ossia comunità alloggio e appartamenti protetti per
minori e giovani. Le sedi sono in parte in uso gratuito, in parte affittate da privati e
sono ritenute adeguate, anche se sarebbe necessario un nuovo centro diurno per le
donne.I fondi sono di provenienza locale, nazionale e internazionale, e un contributo
associativo viene versato annualmente dai soci. Nelle diverse strutture sono
impiegate con differenti mansioni 49 persone, di cui 37 sono donne.
L’associazione, per l’attuazione dei progetti, propone il modello welfare-mix della
gestione dei servizi, quindi il partneriato tra le istituzioni e le realtà del privato sociale.
“Alle istituzioni compete la responsabilità della programmazione, supervisione e cofinanziamento delle politiche di welfare e al settore no-profit un ruolo crescente nella
gestione dei servizi, nella loro progettazione e non ultimo nel loro co-finanziamento
ad integrazione delle risorse pubbliche” sostiene Aria Cala, presidente
dell’associazione. ”La crescita del welfare-mix esige condizioni imprescindibili: lo
sviluppo di un nuovo ruolo delle istituzioni che senza rinunciare alle proprie
prerogative creano le condizioni per una dinamica civile e sociale più ricca;
l’affermazione e il consolidamento di realtà private come partner affidabili e
professionalmente competenti”.
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Il territorio su cui opera presenta diverse problematiche: disoccupazione, violenza in
famiglia, abbandoni di minori, analfabetismo, traffico di donne e bambini. Si
riscontrano nuovi disagi, come l’uso di droghe, la prostituzione interna, la corruzione.
Dal 2002 l’associazione, con il sostegno della ong italiana CEFA, in veste di donatore
e supervisore, ha preso in gestione gradualmente i servizi. Dal maggio 2004 Tjeter
Vizion co-gestisce un progetto pilota per l’accoglienza e la reintegrazione sociale
delle ragazze vittime di tratta e per la prevenzione del traffico dei bambini.
Il centro giovanile è molto frequentato, in particolare da ragazzi dai 14 ai 22 anni.
“Hanno bisogno di un lavoro e di formazione adeguata, ma da noi trovano anche
informazione in campo di educazione sessuale e sostegno per i problemi di relazione
con la famiglia” racconta il presidente. Le offerte riguardano il tempo libero, lo sport,
la musica, le attività culturali, mentre è difficile trovare soluzioni per quanto riguarda
l’occupazione. Le attività che riguardano la popolazione femminile sono diversificate.
“Seguiamo donne dai 16 ai 50 anni. Hanno problemi sociali ed economici, subiscono
violenze, vengono sfruttate e facilmente sono vittime di tratta, Cerchiamo di offrire
loro formazione, protezione, sostegno psicologico e legale. Per quanto riguarda un
alloggio, invece, difficilmente riusciamo a soddisfare le richieste”.
Per realizzare gli interventi, Tjeter Vizion collabora strettamente con le strutture
competenti in loco, oltre che con il governo centrale: il governo locale, la polizia, i
servizi sociali, il tribunale, le altre associazioni, ecc. Se l’associazione non è in grado
di rispondere ai bisogni di un cittadino, cerca una collaborazione con la rete di
strutture pubbliche e del privato sociale, sia locali che internazionali presenti sul
territorio. Si spera molto nell’applicazione della legge sul decentramento delle
politiche sociali approvata nel marzo 2005, mentre si da un giudizio parzialmente
positivo sulle norme che riguardano il mondo del no-profit. “Per migliorare il nostro
lavoro servono, oltre a una legge che funziona, una stategia locale, personale
formato e un coordinamento fra tutti gli attori”, spiega Arian Cala. L’associazione è
molto interessata alla creazione di un’impresa sociale, realtà conoscita durante
numerose visite e seminari in Italia, poiché si considera questa la strada per reperire
risorse in proprio e non essere unicamente dipendente dai finanziamenti pubblici.
38
Albania
SCUTARI
La Bashkia di Scutari ha circa 108.654 abitanti, per il 64 % si tratta di popolazione
rurale. Tre sono le fedi religiose presenti: cattolica, maggioritaria nelle aree rurali,
musulmana, maggioritaria in città e ortodossa, minoritaria.
La città di Scutari ha storicamente potuto contare su un’elite di persone colte ed
interessate a scambi culturali, una tradizione interrotta durante gli anni del regime,
mentre migrazioni interne hanno recentemente sconvolto gli equilibri tra la
popolazione rendendo necessaria un non facile processo di integrazione.
Gli anni più difficili del nuovo corso politico, il 1992 e successivamente il 1997, hanno
comportato perdite di lavoro a causa della privatizzazione delle aziende statali e della
crisi dell’industria, e solo recentemente, grazie alla ripresa economica, agli
investimenti stranieri e al programma statale d'
incentivi per le aziende, si è registrata
un aumento di posti di lavoro anche se la disoccupazione resta un problema
centrale. Nel 2003 il tasso di disoccupazione si attestava intorno al 54%, composta
soprattutto dalla popolazione trasferitasi in città e concentrata nei quartieri periferici.
I cicli produttivi sono caratterizzati generalmente da basse componenti tecnologiche,
bassi investimenti e un elevato impiego della forza lavoro. Tra i settori produttivi
emergono quello alimentare, dell’abbigliamento, della calzatura, del cuoio, oltre
quello edile ed agroalimentare
Per sostenere le persone bisognose, in città è stato istituito, come nel resto
dell’Albania, l’Ufficio dell’aiuto economico per assegnare un sussidio alle famiglie
prive di reddito (nel 2003 erano circa 6.800). In caso di necessità spesso le diverse
associazioni non governative presenti sul territorio sostengono ulteriormente le
famiglie con distribuzione di cibo e indumenti.
Dal 2002 esiste un Ufficio cultura, sport e giovani e donna. In particolare l’Ispettorato
Donna collabora con le diverse associazioni di donne presenti sul territorio per
ordinare le attività e i servizi.
I servizi sociali pubblici sono rappresentati prevalentemente da asili nido, istituti e
servizi per orfani, disabili e anziani. La gran parte dei servizi sociali vengono
assicurati dai soggetti privati, non profit e anche profit. Per quanto riguarda le
strutture pubbliche, la richiesta è di procedere sulla strada della deistituzionalizzazione del disagio
Per la creazione di un percorso di decentramento delle politiche sociali, oggi sancito
dalla nuova legge, si è impegnata anche la Banca mondiale con un programma di
supporto, scegliendo Scutari fra le città in cui sperimentare un progetto di
rafforzamento dell’amministrazione locale.
Per quanto riguarda il mondo dell’associazionismo organizzato, le esperienze più
interessanti e durature si sono registrate prevalentemente nel mondo giovanile e in
quello femminile.
39
Albania
INTERVISTA
Voltana Ademi, vicesindaco di Scutari
Come si sta preparando il Comune di Scutari alla legge sul decentramento dei
servizi sociali?
Abbiamo cominciato a vedere l’esistente sul territorio, con chi progettare, organizzato
tavole rotonde. Ora conosciamo abbastanza la situazione e stiamo effettuando una
mappatura del territorio, raccogliendo dati statistici riguardanti tutti i servizi, compresi
asili, scuole e quanto è necessario per creare una banca dati.
Se avremo dal governo a disposizione risorse per il settore sociale, si potrà scegliere
tra l’aiuto economico e un utilizzo diverso di questi fondi. Per esempio attraverso
l’offerta di servizi gestiti da ong, oppure creando lavori socialmente utili e
coinvolgendo anche le imprese negli inserimenti di gruppi svantaggiati.
Quali le difficoltà prevedibili in questa fase di passaggio?
Molto impegnativo sarà l’individuazione dei bisogni reali, la definizione delle priorità e
dei gruppi in bisogno. Ma le vere difficoltà consisteranno su come organizzare le
strutture del Comune durante il passaggio. Questa è una nuova esperienza, significa
cambiare modo di pensare, di organizzarsi, e in materia di finanziamenti per i servizi
sociali devono essere chiare le priorità e la gestione.
Forse il primo passo consisterà nel trovare un accordo sulle priorità dei servizi da
offrire. Le strutture pubbliche andranno ampliate, dovremo aumentare il personale e
istruirlo sul cambiamento e le nuove norme. Le poche persone oggi a disposizione
sanno solo distribuire l’aiuto economico e non sono specializzate per le nuove
attività. Qualcuno in verità si è già riqualificato, ha fatto training per migliorare il
modo di operare o di gestire l’informazione, apprendendo le modalità di lavoro di un
operatore sociale.
Poter confrontarsi durante le sue visite in Italia con la gestione e
organizzazione decentrata delle politiche sociali è stato utile?
E’ stato talmente utile che ho presentato una richiesta di poter effettuare un training
più ampio. La formazione dovrebbe coinvolgere un numero maggiore di operatori sia
pubblici che privati, perché se decidiamo di cambiare le politiche sociali, dobbiamo
cominciare dal basso, dall’informazione e organizzazione.
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Quale è il contributo della Banca mondiale in questo percorso che dovrà
portare ad un welfare locale?
Il contributo offerto dalla Banca Mondiale si sviluppa soprattutto a livello nazionale.
Ed è corretto, perché tutto deve iniziar dal centro. Il primo obiettivo che si sono dati è
la raccolta di informazioni da parte delle ong e dai governi locali. In seguito, i gruppi
di lavoro a livello nazionale assistiti dalla Banca Mondiale elaboreranno la
classificazione dei gruppi svantaggiati e i programmi per i quali il governo albanese
assegnerà i finanziamenti. La Banca Mondiale contribuisce anche alla preparazione
della strategia sul decentramento dei servizi sociali e alla definizione degli standard.
Il programma NEW INTERREG è diverso, interviene a livello pratico sulla gestione
delle risorse, sulle priorità dei servizi e sulla collaborazione fra strutture pubbliche e
ong.
Il Comune sarà in grado di trovare proprie risorse da investire nei servizi
sociali?
Le decisioni verranno prese in Consiglio e occorrerà rendere tutti consapevoli della
necessità di offrire i servizi sociali, cambiando la mentalità a partire dal Sindaco per
finire all’ultimo cittadino.
Gli inizi potranno essere difficili, ma poi sarà possibile comprendere che un servizio
sociale- e non solo la costruzione di una strada - sia necessario per una comunità.
Inizieremo quest’anno con alcune sperimentazioni – servizi e operatori - sempre in
collaborazione con la Banca Mondiale, ma con fondi nostri. Un progetto riguarda la
formazione di ragazze/i orfani finalizzato all’inserimento lavorativo e a una loro
autonomia di vita.
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Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
SERVIZI PER BAMBINI E GIOVANI PORATORI DI HANDICAP
Struttura del privato sociale - Scutari
Nasce nel 1994 come ong italiana, per poi trasformarsi in struttura locale, registrata
nel 1998. Si occupa di ragazzi disabili fino a 18 anni a cui offre accoglienza – in sei
case famiglia di cui quattro di proprietà -, riabilitazione, socializzazione e inserimento
lavorativo. Settanta sono le persone impegnate a seguire i ragazzi, per il 75% donne.
I finanziamenti provengono per il 95 % da donatori privati e il 5% da fondi pubblici
(locali e nazionali). Servirebbero ulteriori finanziamenti per coprire i costi, e strutture
per nuove attività quale un centro diurno.
Le carenze sono tante. “Mancano le competenze sanitarie per una diagnosi precisa,
le scuole non accettano questi ragazzi e le barriere architettoniche rendono
impossibili i movimenti” spiega Silvana Vignali, responsabile del centro. “Un fatto
positivo deve essere comunque registrato. La mentalità oggi è cambiata, le mamme
non nascondono più i loro figli, anzi, rivendicano i propri diritti”.
Mancano le strutture, mancano i posti di lavoro dedicati, non è possibile organizzare
momenti ricreatici e sportivi e se si riesce ad organizzare una vacanza al mare è solo
grazie al lavoro dei volontari. L’obiettivo, ovviamente, è la dismissione dei ragazzi
inseriti in un posto di lavoro e in grado di gestirsi una vita in autonomia.
Il centro è in convenzione con il Ministero degli affari sociali dal 1998, in base a un
accordo sul budget e sugli standard dei servizi erogati. In passato esisteva una
collaborazione con la Municipalità di Scutari per il trasporto dei ragazzi, al momento
interrotta.
Le richieste sono chiare: “Leggi, regole, finanziamenti”.
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STUDIO DI CASO
OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA MADONNINA DEL GRAPPA
Privato sociale - Scutari
L’Opera “Madonnina del Grappa” fu fondata a Firenze il 4 novembre 1924 per mano
di Don Giulio Facibeni, sacerdote forlinese già impegnato profondamente con quella
parte del tessuto sociale fiorentino più toccato dalle miserie umane e dalla povertà.
Realizzerà il nido per i figli dei richiamati alle armi, organizzerà associazioni
cattoliche, doposcuola, scuole serali per operai. L’Opera nasce come famiglia per
coloro che non hanno famiglia e, allo stesso tempo, come piccola chiesa missionaria
unita dalla carità e al servizio della carità, in un quartiere operaio.
Attualmente l’Opera é presente a Firenze e in Provincia di Forlì e comprende: case
famiglia per minori e adulti in difficoltá, per ragazze madri, per nuceli familiari
stranieri, per studenti medi e universitari, italiani e stranieri, un dormitorio per i senza
tetto, una casa di riposo e soggiorni estivi per anziani, mense, centri di ascolto,
scuola di formazione, cooperative sociali, centri sportivi e ricreativi. Ma l ‘impegno
non si ferma all’Italia.
‘’Abbiamo aperto missioni in Brasile e Guadalajara nella periferia di Fortaleza che
comprendono una scuola materna, un asilo, diversi corsi d’alfabetizzazione e di
avviamento al lavoro, oltre ad ambulatori medici’’ spiega Fabrizio Nocci, coordinatore
per le attivitá in corso a Scutari..
“In Albania, e precisamente a Scutari, l’Opera é nata l’11 Febbraio 1992 sotto la
responsabilità e la direzione di Don Carlo Zaccaro, accanto alla chiesa delle suore
Stigmatine ed é supportata, anche finanziariamente, dalla O.M.G. Firenze”.
L’organico è composto da 26 persone assunte e da 25 volontari. “Inizialmente si
trattó di attivitá a sostegno delle Missionarie della Carità, al fine di aiutare poveri e
malati, e in seguito si é concentrata su un settore totalmente dimenticato in Albania,
quello dei bambini e dei giovani portatori di handicap. Inoltre abbiamo collaborato
con l’Università di Scutari “Luigi Gurakuqj” per la riformulazione dei contenuti delle
attività scientifiche, d’insegnamento e amministrative. Per favorire uno scambio tra i
due paesi, abbiamo organizzato visite di professori dell’Università di Firenze e Pisa,
di personalità italiane del mondo politico e religioso che hanno tenuto lezioni su
problemi filosofici, politici, giuridici, economici e religiosi”.
Per quanto riguarda i ragazzi portatori di handicap attualmente funzionano una casa
famiglia di proprietà dell’Opera, dove abitano 7 ragazze e 2 ragazzi adolescenti
cerebro-lesi, 3 dei quali frequentano centri diurni per la formazione al lavoro, inviati
nel 1993 da Istituti statali e una seconda casa famiglia in affitto dove abitano 9
ragazzi d’età compresa tra i 25 e i 55 anni, anche loro cerebro-lesi, 4 dei quali
frequentano il centro diurno per la formazione lavoro. 5 di questi ragazzi sono arrivati
nel 1993 da Istituti statali, mentre gli altri 4 sono stati accolti direttamente dall’Opera
nel 2002.
“Lo stile di vita degli utenti è in pieno accordo con le richieste dello standard richiesto
dallo Stato Albanese e della dignità umana. La loro condizione psicofisica é
periodicamente controllata da medici specialistici italiani in collaborazione con medici
albanesi. I ragazzi delle due case sono seguiti da 14 donne e 2 uomini. Gli operatori
hanno una preparazione di base, e periodicamente partecipano a corsi
d’aggiornamento. Vi lavorano inoltre una cuoca ed una suora che supervisiona tutto
l’operato e le attività educative dei ragazzi”.
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L’Opera segue anche minori senza famiglia: “Gestiamo due strutture. La prima é una
casa famiglia di proprietà dell’Opera composta inizialmente da 6 bambine provenienti
dall’orfanotrofio, alle quali 3 anni fa se ne è aggiunta un’altra. Per ciascuna di loro é
stato definito un percorso: Liria segue una scuola di animazione sociale a Tirana,
Manjola, terminata la scuola universitaria per infermieri, lavora presso il nostro centro
di sanità, Lihe è assistente in una delle nostre case, Liria lavora presso la biblioteca
dell’Opera oltre a seguire un nostro corso di taglio e cucito mentre Mailjnda e Suela
sono in formazione come pasticcere con successiva assunzione. Le ragazze sono
seguite per la loro formazione umana e sociale da due donne operatrici. La seconda
struttura é una casa famiglia di proprietà delle suore del Rasavo: vi abitano 7
ragazze adolescenti, provenienti dall’orfanotrofio, e hanno dai 6 ai 14 anni. Al
mattino seguono la scuola, di pomeriggio sono aiutate a svolgere i compiti e a
crescere nella formazione umana da una suora e da tre educatrici. Questo progetto è
finanziato dalla Provincia di Cesena-Forlì, e coordinato da Francesca Giuliani”.
Dal 2000 l’Opera Madonnina del Grappa ha iniziato ad offrire un servizio medico
infermieristico gratuito e nel 2004 ha inaugurato il Poliambulatorio all’interno del
quale prestano il loro servizio: 1 dottoressa cardio-pediatra, che con l’ausilio di un
delicato apparecchio ha potuto seguire 261 bambini affetti da cardiopatie, di cui 86
sono stati trasferiti in Italia e sottoposti ad intervento chirurgico correttivo; 1 suora
medico internista che visita pazienti con varie patologie; 1 suora infermiera per la
cura delle ustioni; 7 fisioterapisti di cui 4 operano a Puka, anche loro formatisi
professionalmente in seno all’Opera.
“Importante momento di incontro é la nostra biblioteca che si trasforma spesso in un
centro di dibattiti dove sono affrontati temi di cultura, arte e filosofia. All’interno è
inserita una ragazza della nostra casa famiglia. Infine abbiamo avviato un’officina per
la riparazione d’ausili per persone disabili, grazie sempre ai finanziamenti della
Provincia di Cesena-Forlí, con un duplice intento: diffondere l’uso di tali ausili nelle
fasce più povere e promuovere la formazione, l’inserimento e l’autonomia di giovani
socialmente svantaggiati, nel mondo del lavoro”.
44
Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
ASSOCIAZIONE PASSI LEGGERI
Struttura del privato sociale - Scutari
L’ong nasce nel 2001 all’interno di un progetto di cooperazione e si trasforma nel
2003 in associazione locale riconosciuta. La sua mission è chiara fin dall’inizio:
promozione dei diritti umani, con particolare attenzione alle donne, empowerment
della popolazione femminile per migliorare lo status della donna come soggetto attivo
nello sviluppo della società albanese. I servizi offerti sono conseguenti: sportello
antiviolenza, informazioni sui servizi, organizzazione di corsi professionali,
consulenze e training sui diritti umani, pianificazione familiare, consultorio per la
salute e la sessualità femminile, promozione di attività lavorative, iniziative culturali.
Ai bambini è riservato un consultorio sulla salute, una ludoteca e un asilo, mentre
all’interno del Centro è in funzione un bar con attività di catering.
La sede è in affitto e le risorse sono garantite dalle donazioni e dalle attività
commerciali promosse dall’ong. “ I finanziamenti non bastano per coprire i costi di
tutte le attività” spiega Alketa Leskaj, responsabile del centro. Lei, come altre
operatrici, si sono formate grazie alla cooperazione italiana, in particolare ai progetti
dell’ong italiana Cospe, e altri corsi formativi per operatrici infantili vengono finanziati
dal Comune.
“Le donne che vengono da noi vivono situazioni di violenza e di povertà, hanno
problemi sanitari ed economici. Le giovani hanno abbandonato la scuola e rischiano
di diventare vittime di tratta e di sfruttamento sessuale”.
Al Centro le donne possono trovare sostegno, ascolto e informazione, ed essere
inviate nelle strutture specializzate, ma altre richieste non possono trovare risposta,
come il bisogno di un sostegno economico e di un lavoro.
Per quanto il Centro si proponga di lavorare in rete con le altre associazioni e in
collaborazione con i referenti istituzionali, le difficoltà non mancano. “Il problema
principale sta nel fatto che all’interno del Municipio non esiste ancora un Ufficio per i
servizi sociali. Chi lavora con il Ministero ha ormai un rapporto codificato, ma non
sappiamo nulla di quello che potrà essere in futuro un diverso rapporto con il governo
locale. Credo che dovremo imparare non solo a lavorare insieme, ong con ong, ma
anche privato sociale con pubblico, e dovremo anche trovare un linguaggio e una
metodologia comune”. La legge sul decentramento e le attuali strategie non sono
ritenute sufficienti. “Rappresentano base di partenza, in seguito occorrerà una
programmazione locale e un tavolo di lavoro permanente, trasparente e
democratico”. Esiste ancora un’ulteriore preoccupazione. “Il governo locale dovrà
45
necessariamente dedicare delle risorse, proprie e nazionali, al sociale. Ma avrà
sufficiente sensibilità politica ? Nel bilancio pubblico si terrà conto dei bisogni e dei
servizi che realmente servono al territorio?”. Un’ultima priorità, ricorda Arketa Leskaj,
riguarda la comunicazione. “Tutti devono avere a disposizione le informazioni, anche
il privato sociale. E’ una condizione essenziale se si vuole creare un tavolo di
concertazione funzionante”.
46
Albania
ESPERIENZE SUL CAMPO
ASSOCIAZIONE SERVIZI PER I BAMBINI
Struttura del privato sociale - Scutari
L’ong è nata alla fine del 1998, ha la sede centrale a Tirana e un centro operativo a
Scutari. Si occupa delle famiglie in difficoltà, offrendo sostegno economico e
assistenza medica con la distribuzione di beni di prima necessità e di farmaci,
orientando al lavoro le donne madri e sostenendo la realtà dei bambini con progetti di
educazione, di informazione sui diritti, ecc..
Il centro si finanzia con fondi locali, nazionali, e con le donazioni internazionali e della
Banca mondiale. I finanziamenti sono sufficienti per i servizi che vengono erogati al
momento, ma si potrebbe raddoppiare l’offerta, se ci fosse la necessaria copertura
economica.
Sono soprattutto le zone montane circostanti Scutari ad avere bisogno di aiuto:
povertà, disoccupazione, analfabetismo, violenze domestiche, lavoro minorile,
ecc..sono all’ordine del giorno. “Il nostro lavoro è diversificato. Le situazioni da
sostenere possono essere rappresentate da famiglie bisognose, bambini ospiti di
istituzioni in grado di ritornare nella famiglia biologica, giovani madri in difficoltà e
vittime di violenza, minori che lavorano o portatori di handicap” spiega Filip Vila,
responsabile dell’ong.
Il centro di Scutari lavora in stretto contatto con le strutture pubbliche, sia per quanto
riguarda l’assistenza sanitaria che per l’erogazione di aiuti economici, e per la ricerca
di soluzione ai problemi burocratici. “Esiste un accordo reciproco a lungo termine con
il governo locale all’interno del quale la nostra associazione si è presa l’incarico di
offrire training allo staff pubblico, supporto nei servizi aperti agli utenti, assistenza
tecnica e capacity building, ecc.”. Serve, si sottolinea al centro, un vero
decentramento dei servizi e l’identificazione di criteri per le attività, oltre a un rapporto
paritario fra pubblico e privato sociale.
Felip Vila è direttamente impegnato nel processo di decentramento del welfare. E’
consigliere al Comune di Scutari e fa parte del gruppo di lavoro che, supportato dalla
Banca Mondiale, lavora sulle strategie sui servizi sociali. In seguito si dovrà pensare
alla definizione degli standard e all’attuazione di progetti pilota. “Welfare significa
servizi sociali, assistenza sanitaria, istruzione, settori che devono lavorare insieme e
non separatamente, e che comunque presuppongono una visione ampia delle
politiche sociali”. Interrogato sulle priorità, Felip Vila non ha esitazioni. “In primo
luogo occorre conoscere il territorio, i numeri, le statistiche. Occorre aver presente i
47
bisogni reali per poter elaborare programmi locali e piani di sviluppo dei territori.
Occorrono inoltre le risorse economiche destinate a determinati servizi, il che
significa avere delle idee precise sui progetti da attuare. Rispetto alla questione
finanziaria si potrebbero concentrare anche le donazioni internazionali in un fondo
unico per non disperderle in mille iniziative. Ossia programmare anche le risorse”.
Un ulteriore problema è la formazione, poiché spesso le competenze si trovano
maggiormente nelle ong. I Comuni si dovranno strutturare, questa è la proposta,
con personale adeguato e con competenze utili ai servizi sociali. “Il percorso del
decentramento non sarà semplice. Occorrerà volontà politica centrale e locale, ma
anche capacità e competenze per gestirla”.
48
Albania
L’EUROPA RACCOMANDA
Stralci da Cards Sector Study, Country Report - 2005
L’amministrazione nel settore sociale è molto importante in quanto l’Albania
s’incammina verso l’integrazione nell’UE. Dalle ricerche effettuate nel settore
dell’amministrazione sociale possiamo concludere che rimane molto lavoro da fare
nello sviluppo delle competenze per raggiungere gli standard dell’UE. Il governo
dell’Albania ha un proprio ente di formazione, denominato Istituto di Formazione
della Pubblica Amministrazione creato 4 anni fa. L’Istituto è posto sotto la
supervisione del Dipartimento della Pubblica Amministrazione ed è incaricato della
formazione della pubblica amministrazione. Ma in realtà quest’Istituto innanzitutto
deve migliorare le proprie competenze.
Lo sviluppo delle politiche sociali sino ad ora consiste in:
•
•
•
•
•
creazione di una normativa legale;
stabilire delle strutture amministrative ed esecutive per implementare i
programmi sociali previsti dalla legislatura;
definizione di obiettivi sociali che variano nel tempo per assicurare la
flessibilità del sistema
individualizzazione delle risorse finanziarie per assicurare la realizzazione
degli obiettivi di politica sociale;
ricerca delle risorse umane e preparazione ai nuovi ruoli sociali da svolgere.
E’ chiaro che la legislazione sociale preparata nel frattempo è basata sull’esperienza
dell’UE. Molte difficoltà sono state affrontate nell’implementazione di questa
legislazione sociale. Comprendono:
•
•
•
•
•
•
un’economia sottosviluppata e risorse finanziarie limitate,
un sistema politico pluralistico senza esperienza,
una spontanea mobilità geografica ed una struttura sociale in rapido
cambiamento,
competenze istituzionali insufficienti,
mancanza di una rete automatica d’informazione
mancanza totale di tradizioni nel campo della cultura delle scienze sociali in
generale, e nel lavoro sociale in particolare.
49
Le istituzioni preposte all’implementazione di questa normativa, come il Servizio
Nazionale per L’Impiego, l’Assicurazione Sanitaria, L’Istituto Sociale per le
Assicurazioni, i Servizi Sociali dello Stato e l’Ispettorato al Lavoro sono nuove, e la
loro mancanza di esperienza nell’amministrazione è evidente. Concepiti come
istituzioni rivolte verso l’utente, per attuare dei servizi sociali specifici, alcuni con fondi
diversi dallo Stato, richiedono risorse sufficienti e lo sviluppo di programmi adeguati
per diventare effettivi ed efficienti. Mirando ad assicurare una protezione sociale per
tutti i cittadini, le istituzioni di protezione sociale hanno bisogno di fornire maggiore
informazione ed aumentare la consapevolezza dei cittadini sui loro servizi. D’altra
parte i cittadini devono anche conoscere i loro doveri per contribuire al sistema e per
non farne abuso.
Un criterio per valutare le politiche sociali esistenti ed il loro sviluppo futuro è
l’accettabilità politica. All’interno dei programmi sociali di tutti i partiti politici ci sono
degli obiettivi per l’economia del mercato sociale e lo stato sociale. Nonostante che
gli obiettivi e le alternative siano diversi, tutti concordano nella creazione di
un’economia sociale del mercato libero ed uno stato assistenziale. Tali politiche
sociali mirano a:
realizzazione di pari opportunità per tutti i cittadini a partecipare alla crescita
economica del paese tramite politiche attive nel mercato del lavoro
assicurare la disponibilità di scelta tra i servizi pubblici e non pubblici (sia gli NGO
che iniziative private).
Queste richieste sono prioritarie e vanno affrontate da tutti i gruppi interessati
operanti nel settore dell’amministrazione sociale e che vengono incontro ai bisogni
sociali. I risultati andrebbero monitorati e valutati in relazione all’impatto sociale,
l’efficacia e lo sviluppo economico.
50
4* capitolo
BOSNIA ed HERZEGOVINA
Uno sguardo sulle politiche sociali
La Bosnia Herzegovina (BiH) conta poco più di 4.000.000 di abitanti su un territorio di
51.142 kmq. L’attuale difficile situazione politica è stata determinata dalla sua
dichiarazione di indipendenza dall’ex Jugoslavia (1992) non accettata dai serbi
bosniaci che, sostenuti dalla Serbia e dal Montenegro, iniziarono una resistenza
armata. Obiettivo, disegnare nuovi confini in base ad appartenenze etniche e
costruire un forte stato serbo. Dopo tre anni di guerra civile, il 21 novembre 1995, a
Dayton negli Stati Uniti, furono avviate delle trattative di pace che portarono ad un
accordo. Fu definita la creazione di un governo democratico e multietnico.
Il risultato fu un governo complesso ed una struttura amministrativa stabilita sulla
carta. Oggi il governo centrale di BiH comprende due entità, la Repubblica Srpska
(RS) e la Federazione della Bosnia ed Herzegovina (FBiH), di cui si occupa in
specifico questa indagine, entrambe con le proprie strutture politiche, oltre al
Distretto Autonomo di Brcko, anch’esso con un suo governo. All’interno della FBiH
esistono 10 cantoni con la propria struttura governativa. La RS ha
un’amministrazione centrale i cui uffici sono concentrati soprattutto nella capitale
Banja Luka, con 60 municipi che governano a livello locale. E’ vigente una
supervisione internazionale, così come la presenza di un contingente, sempre
internazionale, per garantire gli aspetti militari del trattato.
Negli ultimi anni le migliorate condizioni di sicurezza hanno convinto molte persone
sfollate durante la guerra a ritornare nei territori d’origine e a richiedere, forti di
provvedimenti legislativi, di rientrare in possesso delle proprie abitazioni. Ma la
situazione dei profughi è ancora lontana dalla soluzione definitiva. Inoltre un grosso
problema è rappresentato dall’etnia rom, la più vulnerabile e scarsamente
alfabetizzata. Il 50% di questa popolazione sono rifugiati non registrati.
La guerra del 1992-1995 è stata devastante, ha avuto come conseguenza oltre
200.000 vittime, e notevoli danni all’economia. Il tessuto sociale della società è
andato distrutto, l’amministrazione politica si è frammentata, i partiti nazionalisti sono
i portavoce di rivendicazioni e conflitti. Il paese si è impoverito e le problematiche
sociali devono affrontare contemporaneamente i bisogni emergenziali del dopo
conflitto e le realtà che emergono in una società avanzata. E questo all’interno di un
panorama politico che concepisce una fragile idea di Stato centrale, e un localismo
dettato non da un principio di decentramento, ma basato su divisioni etniche e
religiose.
Nel marzo 2004 la Bosnia ed Herzegovina ha elaborato la Strategia per la
riduzione della Povertà (Politiche di Sviluppo a Medio Termine – PRSP 2004-2007),
risultato di un lavoro che ha coinvolto il governo centrale, quelli cantonali e la società
civile, coordinato dal Consiglio per lo Sviluppo Economico e per l’Integrazione
Europea composto dai Primi Ministri e dai rappresentanti della comunità
internazionale. Alcuni hanno ritenuto questa strategia, sponsorizzata dalla Banca
51
Mondiale, un primo momento di confronto e coordinamento, e anche un buon
compresso, considerate le differenze esistenti. Altri hanno considerato la strategia
insufficiente e per nulla risolutiva nella pratica. Per altri ancora, il problema centrale è
la ridefinizione dei confini su basi diverse da quelle di compromessi post conflitto.
Secondo l’Agenzia per la statistica della Bosnia ed Herzegovina, nel 2003 il
34,7% dei nuclei familiari viveva sotto la soglia della povertà, in RS intorno al 46,4%,
nella FBiH intorno al 25,3%. Secondo gli studi di settore inoltre il 50% dei cittadini
rischia di finire sotto la soglia della povertà. I gruppi a maggiore rischio di povertà
sono i bambini al di sotto dei 5 anni, i profughi ed i rifugiati, le persone disoccupate e
quelle con un basso livello di scolarizzazione. Anche gli occupati sono a rischio,
poiché i salari non vengono percepiti con regolarità.
La suddivisione del territorio e le diversità di governo si riflettono inevitabilmente
anche sulle politiche sociali, dal punto di vista della programmazione e della
gestione. La rigida divisione in cantoni impedisce un’equa redistribuzione dei fondi a
disposizione, con la conseguenza che realtà locali più povere ma più bisognose non
ottengono le risorse necessarie per interventi nel campo della protezione sociale. La
Bosnia ed Herzegovina spende meno nel settore sociale di qualsiasi altro paese
dell’area dei Balcani, e questo a dispetto di un altissimo livello di bisogni. Peraltro
vengono prese in considerazione prevalentemente fasce particolari, ad esempio
invalidi ed orfani, mentre aumenta il numero dei poveri in generale.
A livello centrale è stato istituito nel 2003 il Ministero degli Affari Civili, che
comprende fra i suoi ambiti anche il sociale, benché con scarse risorse finanziarie e
umane. Nella FBiH il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è responsabile per
l’erogazione dei servizi sociali assistenziali. Le leggi sono federali, ma sono i cantoni
a gestirne e a garantirne l’attuazione. La legislazione in merito ai servizi sociali
dovrebbe essere trasferita completamente a livello cantonale a partire dal gennaio
del 2007.
I servizi vengono erogati dai Centri per il lavoro sociale, presenti a livello comunale
in 54 sedi: si tratta di istituzioni pubbliche dipendenti in parte dai Ministeri cantonali e
in parte dalle autorità municipali. I Centri per il lavoro sociale si occupano
prevalentemente dei bisogni primari, definendo chi ha diritto alla protezione sociale
soprattutto attraverso l’erogazione di un sussidio. I Centri si occupano anche di
affidamenti familiari e di adozione di minori, di collocazione in istituti pubblici o gestiti
da ong. Nella FbiH si contano 25 istituti di protezione sociale in cui, nel 2002, sono
state collocate oltre 3.000 persone.
Nella RS i ministeri responsabili delle politiche e dei servizi sociali sono molteplici: i
Ministeri del Lavoro e degli Affari dei Veterani, il Ministero della Salute e degli Affari
Sociali, ed il Ministero dei Rifugiati e dei Profughi. Il Dipartimento per gli Affari Sociali
all’interno del Ministero della Salute è privo di risorse ritenute necessarie. Il Ministero
del Lavoro e degli Affari dei Veterani ambisce ad avere la responsabilità del settore
accorpando al suo interno diverse competenze, comprese le attività del Ministero dei
Rifugiati e dei Profughi il cui mandato cesserà appena risolte tutte le questioni
inerenti al settore d’intervento. Anche il Ministero per i Rifugiati ed i Profughi si è
dichiarato pronto ad allargare il proprio raggio d’azione e a assumersi in carico il
settore dei servizi sociali, proponendo anche una nuova legge. Al momento è il
Ministero con il più alto numero di beneficiari, 6.000 persone alloggiate.
Nella RS i servizi di assistenza sociale sono attualmente gestiti all’interno del
Ministero della Salute e degli Affari Sociali. Una nuova legge in materia è stata
52
approvata nel 2003, particolarmente attenta alla collaborazione con le ong.
L’assistenza sociale riservata ai veterani di guerra disabili e ai civili vittime della
guerra è nel RS responsabilità del Ministero del Lavoro e degli Affari dei Veterani. Le
nuove leggi sull’assicurazione d’invalidità dei soldati concede dei benefici solo a chi
ha un’alta percentuale di disabilità ed ai familiari dei soldati deceduti.
Per quanto riguarda l’erogazione di servizi di protezione sociale, se ne occupano i 45
Centri per il lavoro sociale e gli 11 uffici per le attività sociali. In 10 istituti sono
ospitati circa 1.600 persone, fra anziani e bambini. Anche qui si lamenta la carenza
di fondi necessari per rispondere ai bisogni primari delle persone in bisogno.
Su tutto il territorio, quindi, il problema nel settore delle politiche sociali è identico.
Carenza di fondi, assenza di un lavoro di rete, difficoltà di collaborazione con le ong,
e soprattutto difficoltà nella formulazione di una strategia di sviluppo I progetto messi
in campo dalla Banca Mondiale mirano a riformare il concetto di utilizzo delle risorse
in campo sociale. Utilizzando, ad esempio, i fondi non unicamente per i veterani
disabili, ma per creare lavoro e sviluppo sostenibile, coinvolgendo le ong nell’offerta
di servizi sociali.
La progettualità politica è un ulteriore problema della società civile che, nonostante le
lacerazioni prodotte dalla guerra e le difficoltà della realtà presente, non può
certamente essere ignorata. L’impegno degli organismi internazionali non è stato
efficace nel produrre percorsi autonomi nella direzione dello sviluppo. Da un lato si
registra una forte dipendenza da parte delle autorità politiche nel campo delle risorse,
dall’altro mancano dati, informazioni, mappature di realtà e bisogni. Da parte loro,
come risposta alla situazione attuale, gli organismi internazionali hanno investito nel
settore non governativo ritenuto il futuro pilastro della società civile. Oggi, di fronte
alla riduzione di finanziamenti, anche le ong sono entrare in crisi e quelle
sopravissute e riconosciute si sono specializzate nella fornitura di servizi sociali o si
sono trasformate in agenzie di consulenza e di fornitura di servizi specializzati.
Da segnalare l’attività dei KUD (Kulturno umjetnicka drustva), una fitta rete di piccole
organizzazioni esistenti prima della guerra impegnate prevalentemente in attività
culturale a titolo quasi di volontariato a cui va riconosciuto il merito di essere
presente in ambiti sociali lacerati dalla guerra e dalla difficile ricostruzione.
Alla problematiche sociali occorrono risposte politiche ed economiche, ma anche un
impegno che attraversi la società sul piano del confronto e del dialogo, considerando
i conflitti del passato e il nuovo assetto della popolazione che ha prodotto
un’urbanizzazione degli sfollati dalle campagne in cerca di lavoro nelle città.
Attualmente , quando si parla di terzo settore, si intendono le ong che hanno
registrato un considerevole sviluppo negli ultimi dieci anni, pur non essendo possibile
valutare statisticamente il loro impatto sul territorio. Durante la guerra, le ong hanno
svolto prevalentemente se non unicamente attività di carattere umanitario, e alla fine
della guerra si sono trovate coinvolte nella salvaguardia dei diritti umani e nel rientro
degli sfollati. Oggi si registra un cambiamento, ossia la trasformazione in attori locali,
in grado di proporre e gestire servizi in collaborazione come le amministrazioni locali.
Le ong, comunque, dipendono sempre dai donatori internazionali, non essendo in
grado l’amministrazione pubblica di sostenerle con propri fondi e di proporre di
conseguenza una legislazione nel campo. L’unica legge esistente non distingue
un’associazione per i diritti umani da un circolo sportivo e non prevede alcuna
agevolazione fiscale per chi svolge attività nel campo sociale.
Il rapporto fra pubblico e privato sociale non è facile, ma in questo campo occorre
segnalare un’interessante esperienza. Si tratta di quanto accade nella città di Tuzla,
in cui si è costituita una rete di ong, locali ed internazionali, chiamata “Referentna
53
Grupa-RG” (Gruppo Referente), 69 organizzazioni impegnate in diversi settori, dal
sostegno psico-sociale al campo giovanile, dall’informazione all’applicazione dei
diritti. La rete si fa carico di rappresentare un impulso per il processo di
trasformazione e di sviluppo del paese: seminari, proposte di nuove leggi,
partecipazione alla stesura della strategia di sviluppo nazionale e regionale
sostenuta dalla Comunità Europea,ecc. Il modello è stato ripreso in altre 14 città
della BiH. Anche nella PRSP sono in corso esperienze per introdurre nelle politiche
sociali l’attività di ong e del volontariato, prevedendo per loro agevolazioni fiscali.
Il tentativo è di avviarsi sulla strada del welfare mix.
54
Bosnia ed Herzegovina
TESTIMONIANZA
Colloquio con Srdjan Arnaut, capo del gabinetto
del Ministero Affari Civili e Comunicazione
Questo Ministero si occupa di diversi settori; salute, istruzione, rapporti sociali,
lavoro, cultura, sport, attività di sminamento, volontariato, ecc..
In questo momento possiamo affermare di essere particolarmente impegnati nel
definire la riforma che riguarda l’istruzione. Sono proprio gli aspetti legislativi, infatti,
ad essere carenti, ma necessari per affrontare i temi sopra elencati. Possiamo dire
che ad oggi abbiamo affrontato con delle norme unicamente il tema del lavoro.
Probabilmente dipende dal fatto di essere un paese senza una propria costituzione,
al momento rappresentata dagli accordi di pace di Dayton.
E’ difficile definire la politica sociale di questo paese, non esistendo una legge di
riferimento e nemmeno un nostro ruolo definito, per quanto sia di coordinamento.
Possiamo dire che le responsabilità, e quindi le politiche, vengono attribuite a livello
cantonale o comunque a entità locali.
Il nostro può essere definito un paese asimmetrico poiché nella Repubblica e nella
Federazione le situazioni divergono, da una parte esiste una centralizzazione,
dall’altra un decentramento di potere e anche di risorse, tanto che è lo Stato ad
essere alimentato dalle entità locali. Anzi, al nostro interno, abbiamo una regione
indipendente con una propria costituzione
Ne consegue che centralmente anche le risorse sono irrilevanti ( 200 milioni di
marchi annui).
Noi abbiamo bisogno di un centralismo strutturato, anche se riteniamo che in futuro
non aumenterà il ruolo dello Stato in quanto a poteri da gestire, ma potrà essere
potenziata la sua funzione di coordinamento. La gestione delle attività andrà ai
cantoni e ai comuni.
Quello a cui puntiamo e che dal nostro Ministero ne possano nascere tre: il primo per
la cultura e l’istruzione, il secondo per le politiche sociali e per il welfare, il terzo per
la protezione civile, lo sminamento e le questioni del territorio. Al momento esiste
unicamente un settore all’interno del Ministero che si occupa delle politiche sociali,
della salute e della previdenza sociale. Realisticamente la prospettiva non sembra
essere quella di un ministero autonomo.
Per le realtà locali le priorità sono rappresentate dal lavoro e dallo sviluppo. Nel
campo sociale esistono dei Ministeri locali che si occupano soprattutto di invalidi di
55
guerra e sono organizzati per fornire strutture di aiuto finanziario. Inoltre esiste il
problema dei rifugiati e del loro ritorno, in molti casi con una difficile situazione di
riconoscimento della cittadinanza. Ad esempio: 40.000 persone si sono rifugiate in
Croazia, ma non risultano ufficialmente essere bosniaci, poi ci sono i bosniaci che
dalla Croazia sono andati in Serbia, e i serbi che sono venuti da noi dalla Croazia. E
poi ci sono i kossovari da sistemare.
Tutto questo perché il nostro paese, così come si presenta oggi, non si è formato
naturalmente, è stato disegnato. Tanti propongono soluzioni diverse, chi la
costituzione di nuovi stati, chi il rafforzamento di quello esistente e altri suggeriscono
di lasciare tutto così come è. Certamente abbiamo bisogno di essere sostenuti in
questo percorso. Per ratificare i capitolo sociali della Comunità Europea, per il
sostegno delle strategie di lotta alla povertà, e per l’elaborazione e l’applicazione di
nuove legislazioni.
56
TESTIMONE PRIVILEGIATO
INTERVISTA
Con Irfanka Pasagic, neuropsichiatra. Sfuggita alla strage di Srebenica, oggi
vive e lavora a Tuzla, impegnata a livello internazionale nel dialogo interetnico.
Nel 2005 ha vinto il premio assegnato dalla Fondazione Alex Langer
Che significato puó assumere per il suo paese, e nello specifico per il comune
di Tuzla, una politica di welfare decentralizzato?
L’esperienza dimostra che solo un Comune può affrontare le politiche sociali,
soprattutto se si considera la situazione in cui si trova in questo momento la Bosnia.
Per un Comune è più facile entrare in possesso di dati e informazioni, soprattutto se
si tiene conto che giá prima della guerra vigeva un sistema avanzato di governo da
parte delle Circoscrizioni, e che i Comuni, nel periodo postbellico, sono stati molto
attivi sul territorio. Credo che sia essenziale in primo luogo raccogliere le informazioni
sulla condizione sociale del paese, per poi decidere gli interventi piú adeguati.
Porto un esempio di come i Comuni siano responsabili delle attività pubbliche
(pubblic utilities): se serve una strada, la Circoscrizione si organizza e raccoglie i
soldi, il Comune contribuisce parimenti e alla fine si costruisce l’opera. Cosí si
funzionava già da prima della guerra e a Tuzla si continua, con ottimi risultati. Uno
dei problemi sociali che il Comune ha affrontato, sono le mense pubbliche. Tuzla
conta 1.500 utenti della mensa pubblica, e sono state le Circoscrizioni a stabilire chi
del proprio territorio ne dovesse usufruire.
Quali i punti di criticità?
Troppi i livelli di governo: l’Alto rappresentante, che in realtà è il Presidente dello
Stato, il governo nazionale, la Federazione della Bosnia ed Erzegovina, la
Repubblica Serpska e il Distretto di Br ko. A questo si aggiunge che la Federazione
57
é divisa a sua volta in dieci Cantoni. Nella Federazione la protezione sociale funziona
a livello cantonale, ossia il livello federale adotta alcune leggi, ma in concreto il
potere esecutivo è a livello cantonale. A mio giudizio dovrebbe invece essere affidato
ai Comuni.
La sua proposta é quindi un decentramento dai Cantoni ai Comuni?
Per rendere il sistema uniforme, bisognerebbe che le leggi quadro fossero stabilite
dal governo nazionale e non dalla Federazione, e i servizi gestiti dai Comuni e non
dai Cantoni. Questo perché le informazioni devono compiere un percorso dal basso
verso l’alto, mentre le leggi dall’alto verso il basso. Deve esistere una comunicazione
bi-direzionale, che al momento non esiste.
In una situazione politicamente difficile, come si presenta il problema della
convivenza fra etnie diverse?
Dipende dalle zone del paese. A Tuzla la situazione era normale ed è rimasta tale,
sia durante la guerra che dopo e non ci sono mai stati problemi etnici. La convivenza
è più difficili nei luoghi dove sono stati commessi grandi crimini, come a Srebrenica,
una città ancora morta. I molti progetti in corso vedono presenti sempre le stesse
persone, manca la partecipazione.
E’ possibile uno sviluppo senza pacificazione?
Credo che la comunità internazionale e le autorità locali abbiano commesso un
errore: senza la verità e senza la giustizia non possiamo andare avanti. È impossibile
aspettarsi che le persone credano gli uni agli altri, se dubitano che qualcuno con cui
hanno a che fare, possa aver commesso dei crimini.
Una proposta in questa direzione?
Il Tribunale Internazionale dell’Aja sta lavorando e presto sarà chiuso. Non molto
tempo fa, è stato aperto il Tribunale per i crimini di guerra a Sarajevo. E credo che
questo Tribunale richieda un buon monitoring, affinché non accada quello che
58
avviene a Belgrado o Zagabria, dove tutti i criminali sono rimessi in libertà per
mancanza di prove.
Le persone spesso dicono che l’odio è la principale causa di quello che succede, ma
non sono d’accordo, visto che noi stiamo benissimo insieme se parliamo di concerti,
di musica, di moda….e questo non é possibile fra persone che si odiano. Ma ci
dividiamo ancora quando viene menzionata la guerra e quanto successo.
59
Bosnia ed Herzegovina
INTERVISTA
a colloquio con Vahid Kaljajic, Docente di politiche sociali all’Università di
Sarajevo, Facoltà di Scienze Politiche
Lei ha dedicato la sua vita professionale al settore delle politiche sociali:
insegna pianificazione e sviluppo sociale, criminologia e patologia sociale, e
da sempre forma assistenti sociali. Il suo impegno supera i confini nazionali,
essendo anche impegnato nell’insegnamento di Scienze politiche in Slovenia.
Che futuro prevede per le politiche sociali nel suo paese?
Occorre ritornare indietro nel tempo. Nel passato, in questa parte del mondo, le
politiche sociali erano unitarie, mentre ora, con la separazione degli stati, si sono
differenziate. All’epoca dell’ex Jugoslavia, il sistema politico era integrato con le
politiche sociali, e a cascata, con il sistema di controllo delle medesime. Il paese era
composto da 6 Repubbliche e 2 Province ed ognuna si sviluppò come un paese
autonomo e facente parte dell’Europa. Il nord era ricco, il sud povero, un po’ come in
Italia. La Slovenia e la Croazia possedevano la tecnologia più avanzata e gli altri
paesi produttori vi dirottavano le proprie merci per l’imballaggio e per la vendita. I
cosiddetti paesi poveri erano la Macedonia, la Bosnia e la Serbia.
Durante il periodo della transizione la situazione non mutò. Mentre altri paesi nel
passaggio ad un nuovo sistema ebbero aiuti considerevoli dagli Stati Uniti, ad
esempio la Polonia, per la Bosnia non si pose nemmeno la questione. Era un paese
distrutto al 70 %, impossibile da gestire e una guerra “fra cittadini” in corso. E se
vogliamo fare un confronto con la Serbia dobbiamo dire che, a differenza del nostro
paese, è una nazione con le sue istituzioni politiche, con le forze armate, con una
politica educativa, ecc. Ha anche un forte potere economico.
Quale è l’attuale situazione in Bosnia Erzegovina?
Manca una mappatura della realtà sociale. Non esistono nemmeno statistiche certe
sulla popolazione, su quanti siano i cittadini e quanti siano i disoccupati. La
percentuale può variare dal 20 al 40 per cento, ma lo affermiamo in assenza di
statistiche e di uno studio sulla visibilità del reddito.
Occorre una strategia comune sulle politiche sociali, ma serve prima definire un
assetto del paese. Negli anni 60 esistevano 5 Regioni in base a una suddivisione
anche economica, che potrebbero esistere nuovamente in futuro, con un ruolo e una
funzione simile alle vostre.
Inoltre si delineano dei fenomeni allarmanti: in base ad alcune ricerche, si nota come
l’occupazione nel settore governativo, ossia nell’ambito della politica, sia aumentato
del 400%, mentre negli altri settori solo del 40%.
60
Così vengono a mancare le risorse per le politiche sociali, ad esempio le pensioni, la
cui entità non garantisce agli anziani nemmeno la sopravvivenza.
Nel campo dell’educazione il paradosso e altrettanto evidente: il numero delle
università è raddoppiato, ma i docenti sono diminuiti del 10%. E se l’educazione
primaria viene definita gratuita, e l’inizio portato ai 6 anni di età, ricordiamo che libri e
materiale didattico costano circa 75 euro all’anno, una cifra altissima per i nostri
redditi.
Sono state elaborate diverse strategie. E le leggi?
Il problema principale è che non esistono le risorse economiche. Per definire le
strategie si è investito in denaro e competenze, ma non sono state emanate leggi
conseguenti. E quindi non esistono di fatto strumenti da investire nella lotta alla
povertà.
Che ruolo può avere la società civile, strutturata in associazioni e ong?
Durante il periodo austro-ungarico su questo territorio erano presenti 1714 ong.
Successivamente, durante il periodo ottomano, sopravvissero solo le strutture legate
alla religione. Nella fase di transizione e durante il conflitto, arrivò la Croce Rossa e
la Comunità internazionale, ma si tratta in realtà di un continuo turn over, strutture
che nascono e che muoiono.
Al momento non possiamo definire buono il rapporto fra ong e governo. Il governo:
quest’ultimo ritiene che le ong spesso sottraggano lavoro al settore pubblico e molte
ong pensano di dover assolvere a un ruolo di critica nei confronti dei politici.
Occorrerebbe, invece, maggiore comunicazione fra le due parti e un impegno
comune verso la soluzione dei problemi.
Che rapporti esistono, o potrebbero essere creati, fra il suo lavoro e l’Italia?
Siamo dei vicini, ci separano solo 23 km, insomma dividiamo le stesse acque.
Conosco l’Italia perché durante la guerra ho coordinato la distribuzione degli aiuti
umanitari e ho osservato le vostre modalità d’intervento. E ancora oggi è grazie al
vostro contributo che molti centri sociali sono messi in grado di operare, pur se in
situazione di difficoltà dovuta, ad esempio, all’assenza di uno psicologo e di un
assistente sociale fisso. Peraltro, nei nostri studi, abbiamo preso a modello l’Italia per
quanto riguarda le politiche della famiglia, della salute, dell’educazione, ecc.
Possiamo affermare che al momento il nostro paese si trova nella situazione in cui si
trovava l’Italia negli anni 60.
Come rendere più proficua la collaborazione?
Selezionare in maniera appropriata le persone che vengono inserite nei progetti di
partneriato in modo che le conoscenze acquisite durante i seminari e gli scambi,
possano essere proficue al massimo.
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Bosnia ed Herzegovina
TUZLA
Il nome viene dalla parola turca “tuz”, ossia sale. Sono proprie le sorgenti salate della
città a caratterizzarla, fin dal Neolitico, rendendola così uno dei più antici
insediamenti della Bosnia Herzegovina.. E intorno al sale è ruotata sempre la sua
economia.
I turchi la occuparono fin dal 1460, e nel tempo il suo prestigio crebbe. Nel 1800,
grazie ad una riforma amministrativa, allo sviluppo economico e all’introduzione di un
moderno artigianato, la città visse il massimo del suo splendore diventando uno tra i
più importanti centri finanziari, militari e culturali della Bosnia. Le prime scuole furono
aperte nel 1826 e il primo ospedale nel 1874.
Quando la città venne inglobata nell’Impero Austro-Ungarico, si introdussero nuovi
metodi per l’estrazione del sale e del carbone. Da allora, fino ad oggi, Tuzla è
rimasta la seconda città bosniaca per ordine di grandezza. Divenne famosa per la
tolleranza e convivenza pacifica fra ortodossi, musulmani e cattolici. Artefice
importante di questo multietnicità è stato il sindaco per lunghi anni Selim Beslagic,
candidato a un premio Nobel per la pace. Durante la guerra civile, si sforzò di
proteggere tutti i gruppi etnici, soprattutto la minoranza serba e collaborò con le
organizzazioni pacifiste internazionale per fermare la guerra. Oggi denuncia come il
suo paese si sia allontanato dall’idea di una società multietnica.
Anche nella città di Tuzla il maggiore problema sociale deriva direttamente dalla
guerra. Le priorità sono i bambini e gli anziani vittime della guerra, con ferite sul
corpo e nella mente. Oltre che con i traumi, la città ha dovuto fare i conti con gli
sfollati e i profughi. Nelle Municipalità del Cantone di Tuzla, con l’aiuto della comunità
internazionale, si sono avviati progetti che cercano di superare la fase emergenziale
con progetti di assistenza diretta per proporre al territorio e all’amministrazione una
strategia di sostegno ai servizi sociali per le fasce deboli.
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Bosnia ed Herzegovina
INTERVISTA
Ernesa Mesic, Capo Settore delle attività sociali, Comune di Tuzla
Come si è organizzato il Comune di Tuzla nel campo dei servizi sociali?
In primo luogo bisogna ricordare che la legge vigente assegna alle autorità cantonali
questa competenza, ma noi Comune abbiamo voluto occuparci direttamente di
questa parte dei nostri cittadini e grazie a una norma legislativa sull’autogestione,
abbiamo deciso di destinare parte del budget a chi si trova in situazioni di disagio
sociale. E per garantire trasparenza abbiamo emanato un regolamento interno sui
servizi erogati in proprio.
Quali servizi potete offrire?
In primo luogo possiamo offrire un sussidio economico alle famiglie bisognose
compreso quelli con figli ottimi studenti (dai 70 ai 400 marchi convertibili). In secondo
luogo il Comune sostiene la Mensa dei poveri, avendo assegnato al servizio una
struttura idonea gratuitamente e inoltre offrendo un contributo economico, per il 2005
di 50.000 marchi
convertibili. Un ulteriore progetto riguarda in particolare i giovani: sosteniamo in
diversi modi, finanziariamente o con l’assegnazione di strutture o con l’esenzione dal
pagamento di tasse, le idee che ci vengono proposte. In questo modo sono nate la
Casa dei giovani, la Casa della Pace, ecc…
Come identificate i bisogni?
Raccogliamo informazioni da chiunque operi sul nostro territorio, nel campo sociale,
culturale, sportivo, educative, formative. Non abbiamo la possibilità di disporre di una
banca dati, le informazioni le cataloghiamo nella maniera classica, nei classificatori.
Non ci interessano solo i dati, ma anche i problemi, i punti di criticità. Inoltre offriamo
supporto tecnico e non a chi vuole iniziare a lavorare in questo campo, scrivendo
progetti o partecipando a un bando di gara.
Come avviene la gestione delle risorse finanziarie?
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Ogni anno, nel bilancio, prevediamo un fondo che verrà distribuito a chi fa richiesta,
in base al regolamento stabilito, ma che può essere rivisto se necessario. Le risorse,
devo ammettere, non sono comunque sufficienti, diciamo che rispetto al bisogno
espresso, possiamo intervenire solo per un 30%.
Quali sono le richieste da parte dei giovani?
Aiuto per la loro scolarizzazione e spazi per la socializzazione.
E da parte delle donne?
Sostegno economico, possibilità di trovare una casa e tutela per loro stesse.
Cosa fate se non siete in grado di soddisfare una richiesta?
Quando si tratta di richieste individuali, e sono la maggior parte, consigliamo alle
persone di mettersi insieme, di organizzarsi e di presentare un progetto. Abbiamo un
ufficio che si occupa in specifico della collaborazione con le associazioni dei cittadini.
Che cosa vi aspettate dal futuro?
Che la nostra esperienza nel campo sociale a livello comunale diventi una legge.
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Bosnia ed Herzegovina
ESPERIENZE SUL CAMPO
ISTITUTO PER L’INFANZIA ABBANDONATA
Struttura pubblica, Tuzla
L’Istituto è nato nel 1946, dopo la seconda guerra mondiale e dal 1967 opera come
struttura indipendente. L’obiettivo è il sostegno a minori abbandonati e privi di cure
parentali a cui devono essere garantite l’accoglienza, la tutela sanitaria, un percorso
educativo e formativo.
Il Centro, in base ad accordi con il Ministero per il Lavoro e le Politiche sociali, viene
finanziato dal Cantone, e può contare su donazione da parte dei cittadini di Tuzla e di
altre città.
Nella struttura lavorano 35 operatori e 6 volontari, nella maggior parte donne, anche
se la presenza di figure maschili viene ritenuta importante nelle relazioni con i
bambini. Nessun consulente, invece, causa budget, mentre le attività vengono
monitorate periodicamente e il personale inviato ai seminari organizzati dal Ministero
e da altri enti del settore.
“I nostri bambini sono orfani. Nell’ultimo periodo per la maggior parte la causa è stata
la guerra, per altri è l’impossibilità da parte dei genitori di accudirli, perché malati o
perché molto poveri” racconta Advija Hercegovac, un’insegnate da 23 anni impiegata
nel centro. “Molti riescono a lasciare questo posto. Perché riescono a continuare gli
studi, perché hanno trovato un lavoro, perché hanno messo su famiglia propria”.
Il centro è un punto di raccolta per tutti i comuni del cantone e l’invio avviene
attraversi i Centri per il Lavoro Sociale. Qui arrivano i neonati abbandonati alla
nascita così come gli adolescenti senza famiglia. Per questo la struttura ha diviso
l’accoglienza in diversi segmenti: da 0 a 3 anni, da 3 a 5 anni, e poi via via le diverse
fasce scolastiche fino al livello universitario.
“Soprattutto i bambini piccoli avrebbero bisogno di più affetto e maggiore attenzione,
dovrebbero aver assegnato un operatore per ciascuno di loro, ma questo non è
possibile. I più grandi manifestano una certa insofferenza a frequentare la scuola,
vorrebbe essere degli adolescenti come gli altri e non istituzionalizzati, così come i
più piccoli vorrebbero stare in famiglia. Noi facciamo ogni sforzo possibile, siamo
presenti, lavoriamo fuori orario, ma nonostante tutto loro soffrono, perché sono
portatori di un handicap: l’assenza dei genitori. E poco importa se in molti casi i
bambini hanno più assistenza e garanzie nel centro che in famiglia, soprattutto se
questa è povera e disastrata”.
Per l’insegnante sarebbe importante fare prevenzione nelle scuole, parlando ad
esempio di educazione sessuale per evitare che giovani ragazze possano diventare
65
madri quando ancora non sono in grado di affrontare una simile responsabilità. Le
ragazze adolescenti ospitate nell’istituto rappresentano il 50 per cento e per loro le
regole da rispettare, ad esempio l’orario di ritirata, non sono facile da accettare.
“Il nostro sforzo è rappresentare per loro una famiglia, essere delle persone con cui
confidarsi e sfogarsi, con cui aprire il proprio cuore. Noi li aiutiamo, cerchiamo di
essere la loro famiglia, ma in realtà sono loro a dare molto a noi”. Per molti, inoltre, la
relazione con i genitori è lacerante. “Magari ci sono pure madri che vengono, ma
non prende nemmeno in considerazione i figli, vengono solo per firmare le carte
burocratiche”.
Per intercettare i bisogni prioritari dei minori, gli educatori parlano molto con loro, da
soli o in gruppo e poi quanto emerso viene analizzato e valutato dal team
pedagogico.
I bambini restano nella struttura fino a quando non è possibile il loro ritorno nella
famiglia naturale, oppure fino a quando il Centro per il Lavoro Sociale non ne ha
individuata una affidataria. “Oppure fino a quando non diventano adulti presso di noi.
La separazione è un momento doloroso, per entrambi, loro e noi”.
Per i bambini è previsto un sostegno economico. “Ci sono persone che vogliono
aiutare questi bambini. Noi segnaliamo i nominativi ai Centri per il Lavoro Sociale che
aprono a loro nome un libretto di risparmio in sui vengono depositate le donazioni..
Questo soldi potranno servire per la continuazione degli studi, o per una casa
quando sarà arrivato il momento dell’autonomia”.
Per poter costruire un percorso, soprattutto formativo, la struttura cerca di lavorare in
rete con altre strutture, dai Centri per il Lavoro sociale a ong umanitarie specializzate
nel sostegno a bambini. Inoltre si lavora in collaborazione con il Ministero per il
Lavoro e per le politiche Sociali, con il Ministero dell’Istruzione e altri enti pubblici,
quali le scuole e altri orfanotrofi, mentre non esiste una relazione codificata con il
privato sociale, con cui esiste un’ottima collaborazione informale. Con alcuni servizi,
ad esempio quello sanitario, si registrano difficoltà.
Una collaborazione importante esiste con i rappresentati delle tre religioni presenti
sul territorio, e poco importa se ad organizzare una festa per i bambini sia il Distretto
scolastico cattolico oppure la Scuola Coranica. “L’importante, ora, sarebbe integrare
questa esperienza a livello nazionale in Bosnia e Herzegovina”. E forse per questo
che il primo Ministro e altri Ministri e Amministratori vengono in visita al centro,
sottolineando come l’impegno nei confronti dei bambini sia un compito dell’intera
società
Percorsi di successo? “Quelli sono essenziali per il nostro lavoro e per noi stessi.
Quando accade, come qualche giorno fa, che un ragazzo si laurea in Medicina e
trova lavoro come medico, allora sì che capisco il valore del nostro impegno”.
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Bosnia ed Herzegovina
ESPERIENZE SUL CAMPO
Associazione FORZA DELLA DONNA
Struttura del privato sociale, Tuzla
“FORZA DELLA DONNA” è una ong nata nel 1999 con l’obiettivo di offrire supporto
sociale, psicologico, pedagogico a donne e bambini che si trovano in una situazione
di disagio a causa delle conseguenze della guerra. Inoltre si occupa delle tematiche
legate alle violenze in famiglia. I servizi offerti sono molteplici: dal supporto
psicologico all’assistenza legale, dall’assistenza socio-sanitario alla consulenza
psicologica. Un altro aspetto a cui si presta attenzione è rappresentato da approcci
che mettono il corpo al centro del percorso terapeutico, come tecniche di
rilassamento o giochi artistici per i bambini.
Diverse le proposte offerte a persone che hanno bisogno di un supporto per uscire
da una situazione di sofferenze e violenza subita.
La ong lavora all’interno delle sue strutture con sede nella città di Tuzla e sul
territorio rurale, nei campi profughi come nelle case in cui sono ritornate le famiglie a
fine guerra. I finanziamenti provengono da fondi istituzionali e da donatori
internazionali. “Servirebbe un incremento del 30 % per sviluppare le nostre idee e
per allargare il raggio delle attività, necessità che emerge chiaramente dall’incontro
con i nostri beneficiari”, affermano i responsabili del centro.
Nella ong lavorano quattro operatori donne, un amministrativo e sei consulenti,
anch’esse donne, impiegate nel campo psicologico e sociale. Il personale,
periodicamente monitorato, si è formato all’interno di diverse ong, frequentando corsi
di formazione e workshop. “Siamo particolarmente attenti al confronto con
esperienze e sperimentazioni di altri paesi”.
Le problematiche emergenti riflettono la situazione politica, economica e sociale del
paese nel dopoguerra. “Dobbiamo fare i conti con le difficoltà di chi è tornato e
chiede la restituzione delle proprie proprietà, con chi ha difficoltà a farsi riconoscere il
diritto all’assistenza medica e sociale. Poi c’è il problema di chi vanta una pensione
nella Repubblica Srpska, ma risiede su questo territorio e non riesce a farsela
accreditare”.
Inoltre le vicende della guerra hanno drammaticamente collegato la questione
sociale con le sofferenze psichiche: “Chi vive ancora nei campi profughi si trova in
situazioni disastrose. E chi torna a casa, deve rivivere il passato, ripercorrere il
trauma subito. Il che significa in molti casi la morte di un padre, di un figlio, di un
fratello”.
Alla struttura si rivolgono profughi, ex profughi ritornati a casa, abitanti in difficoltà
economica, sociale e psicologica. “Ci conoscono tutti e così funziona il passaparola.
Alcuni vengono da noi, ma spesso siamo noi a recarci da loro, specialmente quando
soffrono di un disagio psichico”.
67
I giovani sono quelli che in prevalenza si rivolgono al centro (70%) mentre nei campi
profughi prevalgono gli anziani (60%), che diventano la maggioranza (90%) nelle
comunità residenziali destinate ad ospitare chi si prevede possa tornare nella propria
casa.
Tra i giovani prevalgono gli adolescenti sui ragazzi in età scolare. “I problemi da loro
espressi sono principalmente di natura psicologica, e questo a causa dei traumi
vissuti in famiglia, spesso falciata dalla guerra e comunque in difficoltà economica. Il
nostro impegno riguarda quindi principalmente un lavoro specifico sul trauma subito.
Difficile, invece, intervenire sui problemi sociali, soprattutto quelli di natura
economica, non avendo la possibilità di accedere direttamente ad una serie di
servizi, ad esempio la previdenza sanitaria” .
Nell’attività del centro, le donne rappresentano la stragrande maggioranza, intorno al
95%. La maggior parte ha dai 35 ai 55 anni. “Sono donne che hanno subito lutti, che
si sono ritrovate sole, magari con figli e senza soldi, casa, assistenza”. Il centro può
offrire un sostegno psicologico, ma nulla rispetto alle richieste economiche, ossia una
casa, un lavoro, un sussidio. “ La ong non è in grado di dare risposte che dovrebbe
essere compito delle istituzioni e delle strutture pubbliche locali e nazionali.
Le persone che si rivolgono al centro incontrano un operatore e uno psicologo per
stabilire le priorità dell’intervento. Se il bisogno espresso è di carattere sanitario, il
centro si rivolge a esperti del settore, i quali si recano di persona anche nei campi
profughi, per visite e distribuzione di medicinali.
La presa in carico dura in media dai 4 ai 6 mesi, ma se necessario, è possibile una
proroga. Si punta soprattutto sull’invio ad altri servizi, quali le cliniche psichiatriche,
centri per la salute mentale, strutture ospedaliere pubbliche, il Centro per il lavoro
sociale presente in diverse località e altre ong. In particolare con il Centro per il
lavoro sociale è stata stipulata una convenzione. Per quanto riguarda gli
amministratori pubblici, nessuna relazione di particolare collaborazione anche “se ci
fossero i fondi per alcuni nostri progetti a carattere sociale e pedagogico, i Ministeri
competenti ne trarrebbero sicuramente dei benefici”.
“Servirebbe certamente un lavoro stabile di rete, fra pubblico e no profit in modo da
offrire la migliore risposta al nostro utente. Non bisogna vedersi come concorrenti,
ma piuttosto concordare i servizi da offrire per non creare sovrapposizioni” ,
Per quanto riguarda la legge, esistente, per il settore no profit, il centro vede
possibile dei miglioramenti e individua il punto debole nella questione economica.
“Noi presentiamo le nostre richieste sia agli enti pubblici che ai donatori
internazionali, ma i fondi non sono mai regolari e stabili e questo non ci permette di
erogare un servizio di qualità e continuativo”.
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Bosnia ed Herzegovina
ESPERIENZE SUL CAMPO
Associazione TURZIANSKA AMICA
Struttura del privato sociale, Tuzla
Il Centro Turzianska Amica, attivo dal 1992 e ufficialmente costituito nel 1996, lavora
sui bisogni del minore e della sua famiglia attraverso consulenze psicologiche,
assistenza sanitaria e legale, supporto sociale, offerta formativa. Si propone la
creazione di un Centro di documentazione. L’attività – in cui sono impiegate 15
persone di cui 10 donne oltre a volontari italiani - si svolge anche a domicilio, presso
le famiglie, e all’interno di due sedi. La prima, a Tuzla, in una sede messa a
disposizione dal Comune la cui ristrutturazione è stata possibile grazie ai contributi di
donatori pubblici tedeschi e del “Cral telecom Romagna”, la seconda nel distretto
Brcko, su un terreno messo a disposizione dal comune e la costruzione finanziata
dalla Regione Emilia Romagna e dal “Cral Telecom” nazionale. La zona in cui
interviene presenta molti problemi sociali: disoccupazione, presenza di minori non
accompagnati, violenza in famiglia, anziani senza sostegno, popolazione rom. “Le
famiglie si sono sfaldate causa la guerra e le conseguenti migrazioni, e ora sono
rimasti gli sfollati, i profughi e quelli che tornano a casa” racconta Irfanka Pasagic,
neuropsichiatria, responsabile del centro.
Ad essere seguiti in particolare sono i giovani e gli adolescenti – praticamente il 90%
degli utenti - e di conseguenze le famiglie. “Uno dei problemi maggiori è
rappresentato dall’abbandono scolastico. In realtà da noi la scuola è gratuita, ma
servono i soldi per i libri e per il trasporto, perché non sempre le strutture scolastiche
sono facilmente raggiungibili. E chi ha finito la scuola, deve trovare lavoro, ma non è
facile, e così accade che i ragazzi si demotivano. E senza una prospettiva per il
futuro, è facile ricorrere alla droga. Inoltre i traumi si concentrano nella famiglia, a
causa della guerra e delle sue vicissitudini, ed episodi di violenza domestica ne sono
una conseguenza”.
La struttura utilizza un approccio multidisciplinare, anche se alcune richieste non
possono essere soddisfatte, come quella di un lavoro o di un sussidio economico.
Le donne costituiscono una parte minima dell’utenza, intorno al 10%. Donne vedove,
donne vittime di violenza, donne con un famiglia da mantenere e senza lavoro,
“Difficile per noi sostenerle, non possiamo offrire loro un lavoro, e nemmeno una
sistemazione alloggiativi se sfollate e tutelarle contro le possibili violenza”.
Il Centro lavora in rete con ong e con strutture pubbliche ed è anche in contatto con il
Ministero del Welfare. “La collaborazione non è soddisfacente. Occorre una nuova
legge e soprattutto un’attenzione maggiore alle questioni del welfare. E un supporto
più concreto alle ong”.
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Bosnia ed Herzegovina
L’EUROPA RACCOMANDA
Stralci da CARDS SOCIAL SECTOR STUDY, Country report 2005
Il rapporto di fattibilità della Commissione sulla preparazione della Bosnia e
Herzegovina ad aprire un negoziato finalizzato all’ingresso nella UE
raccomandava che la cooperazione tra UE e BiH nel campo delle politiche sociali
e dell’impiego mirasse alla riforma delle politiche per l’impiego, della legislazione
sul lavoro e della sicurezza sociale. Necessario implementare il collocamento e
l’orientamento al lavoro, ed allo stesso tempo migliorare il settore sanità e le
misure di sicurezza dei lavoratori adottando sistemi di sicurezza sociale adeguati
alla situazione economica in evoluzione.
In questo rapporto é stata preso in considerazione l’amministrazione del settore
sociale in Bosnia e Herzegovina. Lo studio dimostra che l’amministrazione del
settore sociale è caratterizzata da numerose difficoltà e lati deboli, dovuti anche
alla particolare organizzazione del paese in quanto gran parte delle risorse
disponibili sono effettivamente sprecate a causa di duplicazione di facilitazioni
degli accordi amministrativi tra le varie entità e cantoni. Inoltre la responsabilità
per le disposizioni inerenti ai servizi sociali è altamente frammentato e vi sono
perciò molte disuguaglianze territoriali causa delle quali i gruppi deboli e gli
individui escono dalla rete di protezione sociale. In questo contesto vi è
chiaramente un gran bisogno del supporto internazionale per migliorare il
funzionamento efficiente dell’amministrazione e per far sì che le risorse vengano
ottimizzate. Inoltre l’integrazione europea necessariamente richiede un livello di
progresso che possa effettivamente rafforzare il settore sociale
dell’amministrazione come specificatamente richiesto agli appartenenti all’UE,
come ad esempio l’ispettorato del lavoro, le istituzioni per la pari opportunità ed il
dialogo delle parti sociali. Ci sono anche le misure richieste dal Trattato di
Lisbona, specialmente la formulazione e l’implementazione del Piano Nazionale
per l’Impiego.
Inoltre bisogna sviluppare un approccio integrato atto a promuovere l’inclusione
sociale nel contesto dell’integrazione nell’UE. Si ritiene prioritario rafforzare le
competenze dell’amministrazione a livello statale per coordinare le politiche
71
sociali tra le parti ed i cantoni, sviluppando le competenze delle agenzie di
statistica per svolgere delle attività essenziali nel campo delle statistiche sociali.
Tuttavia ci sono molte altre organizzazioni di assistenza operanti nella Bosnia
Herzegovina che mirano a contribuire al miglioramento delle condizioni sociali al
fine di sviluppare le loro competenze e venire incontro alle richieste dei disagiati e
delle fasce deboli della popolazione. In questo contesto bisogna riconoscere che
la Banca Mondiale ha partecipato ai maggiori progetti dell’amministrazione nel
settore sociale in BiH tra cui le riforme del lavoro, della sanità e quella
pensionistica, ecc. CARDS ed i futuri programmi UE di sostegno dovrebbero
lavorare in collaborazione con la Banca Mondiale ed altri donatori nel ruolo di
“trovare la strada”.
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Bosnia ed Herzegovina
LE NAZIONI UNITE E I GIOVANI
Nicola Tiezzi, responsabile per I giovani e l’impegno dei volontari delle Nazioni
Unite in Bosnia e Herzegovina
La Bosnia Erzegovina sta affrontando un complesso processo di “ri-costruzione dello
Stato”, caratterizzato da quattro delicate fasi di transizione: il consolidamento della
pace; il passaggio da un protettorato internazionale a una piena sovranità e
indipendenza; l’evoluzione da una economia centralizzata a una di libero mercato
caratterizzata da fortissimi processi di privatizzazione; il difficile percorso di accesso
e inserimento in Europa e nella struttura Euro-Atlantica. Come in altri Paesi in
transizione, tali fattori hanno contribuito a determinare un contesto caratterizzato da
un’economia in crescita, ma allo stesso tempo anche da una povertà in aumento e
da vari problemi sociali tra cui la disoccupazione, specie giovanile, ha grande
rilevanza.
Il processo di transizione è ulteriormente reso difficile da un consolidamento della
pace caratterizzato da contrapposizioni etnico-politiche solo parzialmente risolte e
dal ancor incompleto processo di ritorno dei profughi nelle loro comunità d’
appartenenza prima del conflitto. La disoccupazione media è stimata intorno al 40%.
L’economia grigia è dilagante. Il reddito pro-capite ufficiale è circa la metà di quello
del 1992 mrentre quasi il 20% della popolazione vive sotto la linea di povertà.
All’interno di questa percentuale rientrano i pensionati, i disoccupati di mezza età, gli
sfollati/i rifugiati che ritornano e soprattutto i giovani.
Altro aspetto delicato che caratterizza il Paese è la crescente sfiducia della
popolazione, in prevalenza tra i giovani, nelle possibilità di intervenire nei processi di
sviluppo locale e di miglioramento della vita comunitaria. A causa della complessa
articolazione istituzionale del paese composta da vari livelli, oltre il 70% della
popolazione “sente” di non avere voce nei processi decisionali. Una percezione che
è suffragata dai fatti: la struttura dei vari livelli di governo “consuma” circa il 60% del
reddito interno lordo, lasciando le briciole alle comunità locali che non riescono
73
dunque a garantire i servizi alle proprie comunità. Se a fianco delle scarse risorse
economiche che il governo centrale mette a disposizione delle comunità
aggiungiamo il fatto che vi è una totale assenza di politiche di sussidiarietà, scarsa
capacità di elaborare politiche sociali ed economiche innovative, mancanza di
trasparenza e corruzione, possiamo capire il progressivo allontanamento della
popolazione dalla vita politica nazionale e l’aumento delle problematiche sociali ed
economiche a livello locale. Tale contesto penalizza in particolare i giovani. Infatti, in
Bosnia e HErzegovina vi è una generalizzata mancanza di strategie legate alle
questioni giovanili e l’assenza di un quadro di politiche giovanili.
Le principali conseguenze di questa situazione hanno prodotto principalmente tre
effetti: elevata disoccupazione tra i giovani e forte impiego di quest’ultimi
nell’economia grigia. In proposito è importante puntualizzare che se da un lato le
attività informali danno opportunità di reddito e occupazione ai giovani, dall’altro
producono problemi a lungo termine per quel che riguarda la stabilità economica,
certezze per il futuro, la protezione sociale una generale apatia tra i cittadini giovani e
un forte desiderio di lasciare il paese.
Una ricerca recente mostra infatti che il 77% dei giovani lascerebbe il Paese se
avesse la possibilità di farlo, di cui il 24% lo lascerebbe per sempre. Secondo la
stessa ricerca, i giovani si sentono marginalizzati, isolati ed esclusi dalla società,
senza alcuna possibilità di influenzare le decisioni prese a qualsiasi livello
decisionale.
Tali aspetti caratterizzano l’intero paese, ma si presentano altrettanto
drammaticamente nelle comunità locali in cui le seguenti problematiche legate al
mondo giovanile sono particolarmente evidenti:
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Elevata disoccupazione e forte impiego nell’economia grigia: 52% dei giovani
trova una fonte di reddito nel mercato informale.
Elevati tassi di emigrazione: più del 10% dei giovani sotto i 30 anni.
Aumento del disinteresse alla vita comunitaria da parte dei giovani con relativa
scarsa partecipazione di quest’ultimi alla vita economica e sociale dei territori
di appartenenza.
Mancanza di spirito comunitario ed imprenditoriale;
Mancanza di istituzioni intermedie di confronto tra pubblico e privato per la
definizione di politiche sociali, in particolare rivolte all’ambito giovanile.
Assenza di un settore di privato sociale idoneo, in collaborazione con
l’amministrazione pubblica, a dare una risposta ai bisogni comunitari.
Settore educativo e formativo poco presente e non sufficientemente qualificato
in relazione alle tematiche di sviluppo locale e definizione di politiche sociali.
Difficoltà di accesso a informazioni relative al mondo dello studio, lavoro, ecc..
Assenza di organizzazioni che facilitino l’incontro tra la domanda e l’offerta di
lavoro e che offrano servizi di assistenza per la creazione di nuove imprese ed
il consolidamento di quelle già esistenti.
Al fine di rispondere a tutti questi bisogni, un approccio integrato allo sviluppo locale
è più che mai necessario. In tale approccio i giovani possono e devono essere messi
in grado di fare la differenza e piu’ in particolare e’ necessario investire nello sviluppo
di politiche specifiche in grado di favorire una imprenditoria sociale e giovanile avente
un elevato potenziale in termini di capacita’ di offerta di servizi socio-culturali e di
valorizazzione di risorse culturali e naturalistiche finalizzata a programmi di ecoturismo, ambiente.
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Nel 1976 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha assegnato uno speciale
mandato a UNV nell’ambito della promozione della partecipazione dei giovani nei
programmi di sviluppo. In BiH questo importante ruolo è stato svolto egregiamente
attraverso un Programma Integrato per i Giovani realizzato nell’ambito del
programma paese di UNDP, che è stato in grado di migliorare la vita di migliaia di
giovani attraverso attività svolte sia a livello locale che statale che hanno permesso
loro di avere un ruolo attivo in processi di sviluppo locale e contribuito a far sí che le
politiche giovanili venissero messe in agenda del Consiglio dei Ministri cosí come di
molti Consigli Comunali.
Un ruolo attivo dei giovani nei processi di definizione ed implementazione delle
strategie di sviluppo locale, decentralizzazione e governance e politiche di
inserimento lavorativo e’ stato reso possibile grazie alla realizzazione di un network
di centri giovanili, realizzati in partnership con municipalità e organizzazioni giovanili,
e alla realizzazione di tutta una serie di attivita’ che sono state in grado di:
• Definire la strategia di intervento specifico per le singole municipalità sulla
base delle potenzialità e priorità
• Identificare le priorità in termini di servizi socio-culturali necessari e attività che
da realizzate per valorizzare le potenzialità locali di sviluppo
• Assicurare formazione specifica della controparte locale gruppo
giovanile/NGO finalizzata a trasferire capacità gestionali e di identificazione
dei bisogni locali e delle aree aventi il maggior potenziale di sviluppo locale
• Avviare piccoli programmi di valorizzazione e ‘riappropriazione’ del patrimonio
culturale e naturale e di promozione del patrimonio culturale e naturale
• Promuovere gemellaggi e attività di cooperazione decentrata volti a
salvaguardare e valorizzare il patrimonio artistico, culturale e ambientale
• Favorire l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro attraverso l’avvio di
programmi specifici gestiti in collaborazione con autorità locali ed
organizzazioni giovanili volti all’apertura di Centri Servizi per giovani
imprenditori e Sportelli Informagiovani
75
5* capitolo
SERBIA
Un sguardo sulla questione sociale
Nello stato socialista della ex Jugoslavia le politiche sociali si proponevano il
superamento delle differenze attraverso la parità, la giustizia, la sicurezza sociale e
la solidarietà. Gli ambiti delle politiche sociali riguardavano principalmente due
aspetti: la garanzia dei redditi e la tutela degli anziani, dei disabili, dei bambini, dei
disoccupati, dei poveri, dei malati, e delle famiglie. Gratuita anche l’assistenza
sanitaria. Ulteriori ambiti di competenza erano la condizione alloggiativa, l’istruzione
pubblica e alcuni interventi nell’ambito dell’occupazione..
Alla fine della seconda guerra mondiale, il paese si ritrovò distrutto e impoverito, ma
a differenza degli altri stati socialisti, i confini rimasero aperti, permettendo ai cittadini
di viaggiare in quasi tutto il mondo senza necessità di un visto. Con il dissolvimento
del blocco comunista, il paese si è trasformato prima nella Repubblica Federale di
Jugoslavia, e in seguito nell’Unione della Serbia e Montenegro. Le vicende di questo
periodo di transizione hanno segnato profondamente la politica e soprattutto la realtà
sociale del paese.
Lo sviluppo produttivo della Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale contribuì
alla
riorganizzazione dei servizi nel settore sociale. Già prima del 1967 era stata
modificata la struttura delle organizzazioni finalizzate all’accoglienza, ratificando in
questo ambito importanti convenzioni internazionali.
Il sistema decentrato introdotto all’epoca è rimasto in vigore fino al 1991. I servizi nel
settore delle politiche sociali erano garantiti in origine dalla comunità locale, essendo
state trasferite le competenze dal centro verso la periferia con conseguente
copertura finanziaria. Alle comunità locali non sufficientemente sviluppate lo Stato
assegnava un ulteriore sostegno economico. Questa modalità ha permesso una
regolare pianificazione a lungo termine (5 anni) e a breve termine, nonché uno
sviluppo del settore della tutela sociale durante gli anni Settanta e Ottanta.
Il sistema del decentramento è stato riconosciuto valido e mantenuto nel tempo.
Alcune norme, sempre nella direzione del decentramento, furono previste all’interno
della Legge sull’autogestione locale (2000), ma si limitarono a principi generici, e
così sono rimasti in vigore le precedenti disposizioni della Legge sulla tutela sociale e
sulla sicurezza sociale dei cittadini approvata nel 1991.
76
Con questa legge la Repubblica sancì una serie di diritti nel campo degli interventi
sociali. Ad esempio venne prevista l’erogazione di un sussidio finanziario alle
famiglie in difficoltà, alle persone con handicap, ai bambini, alle donne anziane, e si
rese possibile per determinate situazioni il diritto all’assistenza domiciliare e l’accesso
a strutture di accoglienza, oltre alla possibilità di usufruire gratuitamente di alcuni
servizi sanitari. La gestione delle attività venne in parte attribuita all’amministrazione
locale, e in parte restò al governo centrale. Da parte della Repubblica e dei Comuni
furono create le “Istituzioni per la protezione sociale” con il compito di garantire
l’assistenza ai cittadini, di organizzare una banca dati e di relazionare
periodicamente al Ministero per gli Affari Sociali.
Attualmente da questa struttura dipendono: i Centri di lavoro sociale, gestiti dal
Comune, le strutture residenziali, gestite dalla Repubblica, i centri diurni e
l’assistenza domiciliare, gestite sempre dai Comuni. Per quanto riguarda le risorse, la
Repubblica finanzia direttamente i servizi a sé afferenti, tra cui le strutture
residenziali, mentre trasferisce ai Comuni tramite il Ministero per gli Affari Sociali i
fondi per i Centri di lavoro sociale e gli altri servizi di loro competenza.
Per quanto riguarda l’ampiezza degli interventi, si può capire quali siano le attuali
esigenze leggendo alcuni dati statistici. In Jugoslavia, nel 1946 erano presenti: 158
organizzazioni per la tutela sociale degli adulti, di cui 60 in Serbia, e 6.620 utenti, di
cui 1766 in Serbia; 60 organizzazioni per la tutela sociale dei bambini e degli
adolescenti, di cui 17 in Serbia e 4.235 utenti, di cui 1766 in Serbia. Le indagini
statistiche dimostrano che con il passare degli anni il numero delle associazioni per
adulti è rimasto praticamente invariato, mentre sono aumentati gli utenti. Nel 1986 si
calcolano 30.884 utenti adulti, di cui 8.390 in Serbia.
Il numero delle organizzazioni per la tutela sociale dei bambini e degli adolescenti al
contrario è aumentato, nel 1986 erano 225 con 20849 utenti, di cui 53 organizzazioni
e 5708 utenti in Serbia (comprese 17 organizzazioni e 1447 utenti nella provincia
autonoma di Vojvodina).
Questi numeri appaiono trascurabili rispetto ai dati del 2001, anno in cui, in un paese
con 7 milioni e mezzo di abitanti, 512.030 persone sono registrate come utenti di
varie forme di tutela sociale, e a 164.898 viene assegnato l’aiuto finanziario. I
cambiamenti nel campo industriale ed economico comportano inevitabilmente
mutamenti anche nel settore sociale.
Il percorso di trasformazione, infatti, non è stato facile e nelle crisi politiche ed
economiche che si sono succedute le garanzie sociali entrarono in crisi. Nacque una
povertà invisibile, e lo sconvolgimento generale evidenziò sentimenti quali la
discriminazione e l’intolleranza sulla base della religione e della etnia. Un ulteriore
elemento che influenzò la realtà del paese furono le migrazioni e l’abbassamento del
tasso della natalità, contribuendo così all’invecchiamento della popolazione.
Dall’inizio della crisi e dal dissolvimento della Jugoslavia fino al 1994, non si
registrarono novità concrete in materia di politiche sociali. Non fu possibile per la
situazione politica ed economica nel paese e per l’impennata inflazionistica. La
gestione dell’economia durante l’epoca di Milosevic, il lungo periodo di sanzioni e i
danni alle infrastrutture e alle industrie conseguenza dei bombardamenti Nato del
1999, intaccarono pesantemente le capacità produttive del paese. In seguito alla
destituzione di Milosevic, avvenuta nel 2000, la coalizione del nuovo governo ha
cercato di affrontare la crisi con importanti misure politiche di riforma economica.
Solo con il ristabilirsi del valore del dinaro, e con i primi segni di guarigione nel
settore produttivo, sono state create le condizioni per intervenire anche nel settore
sociale.
77
Oggi, dopo un decennio di crisi, la priorità è cercare nuove risorse finanziarie. Una
gran parte dei compiti relativi alla tutela sociale sono assunti dalle ong, e comunque
molti enti e istituzioni sono sopravvissute negli anni della crisi unicamente grazie agli
aiuti umanitari e alle donazioni internazionali. Nonostante la povertà, il paese destina
il 4% del prodotto lordo nazionale per il settore sociale.
Il governo attuale intende riportare il paese all’interno degli standard europei,
attraverso la proposta di riforme nel campo sociale e la sottoscrizione di accordi
internazionali, confermando l’adesione al Fondo Monetario Internazionale e
rientrando nella Banca Mondiale e nella Banca Europea per la Ricostruzione e lo
Sviluppo. Altre iniziative intraprese in questa direzione furono, nel 2003,
l’approvazione del “Poverty Reduction Strategy Paper for Serbia”, in cui sono stabiliti
gli obiettivi nella lotta alla povertà, e la sottoscrizione, nel 2004, del “National Plan of
Action for Children”, con cui sono state definite le politiche nazionali in materia di
infanzia. All’interno della riforma del sistema di welfare in corso, a cui si ispirano i
documenti approvati nel 2003 e nel 2004, la Banca Mondiale ha impegnato le proprie
risorse per finanziare cinque progetti: 1) l’organizzazione e la sistematizzazione di
tutti i servizi sociali, per determinare criteri e standard; 2) la creazione di standard
professionali per i Centri di lavoro sociale territoriali; 3) la mappatura e l’analisi dei
bisogni e dei servizi; 4) la riorganizzazione delle grandi strutture di accoglienza
finalizzata alla loro progressiva chiusura; 5) la creazione di una rete fra tutti i Centri di
lavoro sociale territoriali per scambiare buone pratiche e informazioni.
La disoccupazione e la povertà
La disoccupazione è attualmente il maggiore problema sociale ed economico in
Serbia. Nel novembre 2004, il Servizio Nazionale del Lavoro ha registrato 959.530
disoccupati. Per il 2005 si prevedono tra i 10.000 e i 50.000 nuovi disoccupati. Per
sostenerli, come prevede la legge sul lavoro, durante il 2004 il Servizio Nazionale del
Lavoro ha versato in totale 11,5 miliardi di dinari, oltre ai 2 miliardi di dinari destinati
agli sfollati (persone venute dal Kosovo).
Incentivare l’inserimento nel mondo produttivo dei giovani, rappresenta la priorità per
il 2005 e il governo serbo sta lavorando alla costituzione di un Centro che si
occuperà esclusivamente del collocamento al lavoro di persone appartenenti alla
fascia d’età tra i 15 e i 27 anni.
La disoccupazione dilaga, e tocca in particolare gli oltre cinquantenni la cui
ricollocazione appare particolarmente difficile e gli anziani. Secondo i dati del
Servizio nazionale, il tasso di disoccupazione in base a fonti serbe registrato nel
mese di novembre 2004 è del 25,79 %. I dati cambiano se si adotta la metodologia
di rilevazione raccomandata da parte dei paesi dell’Unione Europea secondo cui
sono definiti disoccupati solo quelli che non hanno nessun reddito: il tasso di
disoccupazione si abbassa al 14,63%. A confronto degli altri paesi dell’area
balcanica, il tasso serbo può essere giudicato come un valore medio: in Croazia è
pari al 14%, mentre in Slovenia è il 6,7%, in Ungheria il 5,9%. In cima alla classifica
la Macedonia, con il tasso di disoccupazione al 36%.
Per il 2005 è prevista la riforma del Servizio nazionale di collocamento. Le riforme in
corso e quelle previste dovrebbero contribuire a realizzare le politiche attive del
mercato del lavoro, il decentramento delle deleghe e dei poteri, a rendere possibile
l’accesso degli utenti ai servizi e a promuovere la collaborazione con il mondo
imprenditoriale.
La povertà viene considerata un’emergenza della realtà sociale del paese. Con uno
stipendio medio di 13.800 dinari (meno di 200 euro, dato del 2004) e una pensione
78
media di 9500 dinari (circa 115 euro) la vita quotidiana è difficile. Secondo i dati
ufficiale, in Serbia ci sono 800.000 persone povere, ossia con un reddito quotidiano
di 2,4 dollari. Per il direttore del “Centro per la ricerca alternativa” Milan Nikolic, la
situazione è più grave di quanto si voglia far credere e oggi in Serbia è da ritenersi
povera più del 60% della popolazione, una percentuale in costante aumento.
In particolare difficoltà si trova la realtà rurale. Secondo i dati della Banca mondiale
circa 1 milione di contadini vive in estrema povertà, secondo altre fonti potrebbero
essere anche il doppio.
Se si considerano i dati dell’assistenza sociale, sono 42.000 le famiglie e quasi
110.000 le persone beneficiarie dell’assistenza sociale. I sindacati mettono in
evidenza il fatto che ogni mese 245.000 persone lavorano senza prendere lo
stipendio e inoltre la forza lavoro in Serbia, insieme a quella in Macedonia, in
Romania e in Bulgaria, è la meno pagata in tutt’Europa.
Gli analisti prevedono la continuazione delle difficoltà economiche anche per il 2005
e oltre Lo standard di vita si è dimezzato rispetto a quello del 1989 e alcuni
economisti sostengono che il tasso di disoccupazione potrebbe aumentare fino al
21%, e ciò in parte a causa della prevista ristrutturazione delle otto aziende
pubbliche, in cui sono occupate al momento 130.000 persone.
I minori
Nel 1994 l’organizzazione non governativa “Il Centro per i diritti dei bambini” con
l’aiuto dell’associazione “Save the children” ha redatto un rapporto sui diritti dei
bambini in Serbia.
La relazione dimostra che i bambini sono maggiormente colpiti dalla povertà. In
Serbia 200.000 bambini vivono sotto il limite dalla soglia di povertà, e altri 200.000
sono al limite. I più a rischio sono i minori che vivono nelle famiglie beneficiarie
dell’assistenza sociale.
I giovani
Si calcola che quasi due terzi della popolazione appartenente a questa fascia d’età
viva ancora a casa dei genitori, non sia sposata, non sia indipendente dal punto di
vista economico e non abbia un impiego fisso.
La Serbia rientra nel gruppo dei paesi in cui è dominante il sistema di valori familiari,
caratterizzati da un allentato passaggio all’età adulta e da forti legami con la famiglia.
Il matrimonio e la nascita dei figli sono accompagnati dalla mancanza di soluzioni
abitative e di risorse economiche, il che impedisce l’abbandono della casa dei
genitori, anche in presenza di una nuova famiglia.
Secondo una recente indagine, il 16% dei giovani lavora nelle aziende pubbliche e il
44% nel settore privato. Oltre la metà dei giovani tra i 18 e i 29 anni vuole emigrare.
La maggior parte pone al primo posto il desiderio di diventare un uomo d’affari, al
secondo essere medici o dentisti, e al terzo posto il desiderio di essere insegnanti.
Molti di loro sono pronti ad accettare un lavoro extra per guadagnare di più, non
escludendo occupazioni stagionali nel settore agrario e edilizio.
Quanto sia importante riuscire a mantenere il posto, lo dimostra il fatto che il 44%
accetterebbe la diminuzione dello stipendio solo per mantenere il lavoro, mentre il
38% sacrificherebbe anche il proprio livello di scolarizzazione per lo stesso motivo. Il
79
27% dei giovani occupati pensa all’idea dell’imprenditorialità privata e alla possibilità
di intraprendere un lavoro autonomo.
Le donne
La maggioranza dei poveri è rappresentata dalle donne, in percentuale intorno al
70%. Le donne sono meno scolarizzate, vengono pagate in maniera inferiore degli
uomini e spesso si ritrovano da sole con i figli.
La ricercatrice Tatjana Djuric-Krsmanovic spiega che le donne sono il 64% del
personale nelle scuole elementari, il 51% nelle medie, e 30% all’Università. Ora solo
l’1% dei membri dell’Accademia delle Scienze sono donne, e fino a poco tempo fa,
nessuna è mai stata eletta rettore dell’Università di Belgrado, e raramente si trova ai
vertice della gerarchia manageriale. Anzi, solo il 2% delle donne occupano posti
dirigenziali, e prevalentemente solo nelle piccole aziende.
Tra oltre 7000 assessori comunali, solo 460 sono donne. Tra 250 deputati
nell’Assemblea serba, 27 sono donne.
La crescente disoccupazione, il debole sistema della tutela sanitaria e pensionistica
e la povertà, hanno contribuito all’aumento della disparità basata sul sesso. La
situazione è analoga sia nelle città che nelle campagne.
In una famiglia rurale serba, il rapporto tra i sessi è rimasto lo stesso di duecento
anni fa; in tutti gli aspetti si appoggia fortemente sul sistema patriarcale dei rapporti.
I profughi e gli sfollati
In Serbia, secondo i dati ufficiali, sono arrivati nel corso degli anni dai 350.000 agli
800.000 profughi. Il censimento del 2001 ha registrato 451.980 persone, nel 2003
erano 278.647. La maggior parte di loro, cioè il 60,6%, ha scelto come residenza
permanente la Serbia, il che rende necessario risolvere il loro status temporaneo. La
maggior parte vive in Vojvodina, oltre il 60%. Ad aprile 2003 sono state registrate
205.391 persone sfollate dal Kosovo e dalla Metohija.
La situazione economica dei profughi e degli sfollati è disastrosa, tale da dover
essere considerati soggetti in disagio sociale. Per questo motivo, a loro e alle
famiglie accolte presso i centri di accoglienza, vengono destinati gli aiuti umanitari,
quali il cibo, l’abbigliamento, le medicine, ecc. Oltre a questo, viene garantita
l’assistenza sanitaria e l’istruzione scolastica.
Il governo ha recentemente ipotizzato un progetto di integrazione, commissionando
una ricerca nella regione più povera della Serbia sud-orientale. Sono state
interpellate 400 famiglie residenti in villaggi con non più di 500-1000 abitanti, per
capire se sia possibile inserire i profughi in questi territori rurali allo scopo di
rivitalizzare le zone abbandonate.
80
TESTIMONE PRIVILEGIATO
Intervista a ....
Quale é la situazione nel paese in merito al decentramento delle politiche di
welfare?
Dal 2001 è iniziato il processo di trasformazione e di riforma delle politiche sociali nel
suo complesso. Nel quadro di questa riforma, è in corso un lavoro che riguarda
cinque progetti, molto ampi e riguardanti l’intero sistema di protezione sociale.
Uno dei cinque progetti è denominato “decentralizzazione” e si riferisce al modo in
cui nel futuro saranno organizzate gli istituti per l’accoglienza degli utenti, bambini e
adulti e persone con bisogni particolari (ad esempio disabili).
Un ulteriore progetto si occupa dell’organizzazione del lavoro dei servizi sociali e
della definizione degli standard di qualità, e anche in questo caso si affronta la
questione della decentralizzazione. L’obiettivo, infatti, é che nel futuro i servizi sociali
possano essere più funzionali e meno onerosi e che l’offerta proponga un maggiore
livello di qualità dei servizi stessi.
La decentralizzazione degli istituti significa l’introduzione dei nuovi modi alternativi
per l’accoglienza degli utenti:
offrire una modalitá che possa simulare la vita in
famiglia e garantire assistenza senza per questo essere ospiti di un istituto. Per
quanto riguarda il funzionamento dei servizi sociali – i nostri Centri per il Lavoro
Sociale – la decentralizzazione significa che essi potranno molto più autonomamente
organizzare il proprio modo di lavorare, in base alle risorse di cui dispongono.
Potranno
essere
impiegate
meno
persone,
potranno
organizzarsi
più
autonomamente, ma dovranno rispettare determinati standard e quanto prevede il
quadro legislativo.
Potrebbe ancora rientrare nel concetto di decentralizzazione, la fondazione
dell’Istituto per la protezione sociale. Si tratta di un’istituzione indipendente che si
occuperà di fornire il supporto professionale con un ampio spettro di corsi di
formazione e la supervisione degli operatori sociali, oltre ad offrire un sostegno nel
trattamento dei casi singoli.
81
Come funziona il supporto a singoli casi da parte di una struttura a livello
nazionale?
Al momento non abbiamo ancora trasferito l’offerta di supporto professionale a livello
regionale poiché sono pochi i professionisti che localmente potrebbero offrire
competenze tecniche adeguate. Comunque, grazie a questo progetto sugli standard,
abbiamo previsto che un determinato numero di persone, formate come supervisori a
livello locale, potranno offrire supporto ai loro colleghi. Fino ad allora cercheremo di
supplire con una strategia di riserva per non lasciare il campo scoperto.
Quali i punti di criticitá e le necessitá piú urgenti?
La mancanza di mezzi finanziari per organizzare il servizio in maniera adeguata e la
necessitá di innalzare il livello di formazione da parte degli operatori. I problemi da
affrontare sono abbastanza complessi e al momento i servizi offerti sono pochi e
inadeguati. Le problematiche sociali sono sempre più difficili, e più numerose.
Questo è il quadro di cui noi oggi disponiamo.
Inoltre al momento il Ministero ha un doppio ruolo estremamente difficile rispetto al
livello locale: da una parte siamo i loro ispettori supervisori, e dall’altra offriamo loro il
supporto tecnico.
Un altro problema da sottolineare è che al momento i servizi sociali, cioè i Centri
per il lavoro sociale, oltre ad offrire la protezione legale e familiare, devono anche
occuparsi dell’erogazione dei sussidi sociali. Ciò comporta tempo e impegna
personale altamente qualificato. La proposta è che questo lavoro venga svolto dal
Comune, in quanto si tratta di una funzione amministrativa. Occorre tener presente
che il decentramento – attualmente in corso - é un processo estremamente difficile in
quanto richiede una modifica della legge e dell’intera struttura del sistema.
Quale é il rapporto con enti e strutture del privato sociale?
82
Possiamo distinguere tre settori di attivitá. Per settore pubblico del sistema di
protezione sociale si intendono tutte le istituzioni presenti a livello locale: i Centri per
il lavoro sociale, gli istituti per bambini ed anziani, etc. Per settore privato intendiamo
gli Istituti privati per i bambini oppure le istituzioni la cui proprietà è di determinate
persone. Infine esistono le organizzazioni non governative.
A partire dal 2001, molti donatori stranieri hanno stimolato il settore non governativo
per indurlo ad occuparsi seriamente delle politiche sociali. Contemporaneamente
notiamo dei cambiamenti molto positivi nel rapporto tra il settore pubblico e quello
non governativo. Non si tratta ancora di una collaborazione soddisfaciente, ma é
migliorata rispetto al passato. E’ ovvio, ed é positivo, che la maggior parte delle
proposte provengano dal settore non governativo. I nostri progetti di riforma
affermano una maggior partecipazione del settore non governativo e sollecitano una
maggiore inclusione anche del settore privato, che puó contare su risorse, ma non
ancora sufficientemente rappresentato. Credo che il campo sociale non venga
considerato appetibile per il settore privato, in quanto il profitto non é
immediatamente visibile. E’un errrore, perché al contrario, rappresenta un ambito
con molte opportunitá.
Rispetto al passato, quali sono gli elementi più importanti per una nuova
politica di welfare, anche in vista di un futuro ingresso nella Comunitá
europea?
E’ importante che i servizi si organizzino bene, e che innalzino il loro livello di
professionalitá. Quando si affermerà il pluralismo dei servizi, ossia quando
aumenterá l’offerta da parte del settore pubblico, di quello non governativo e anche
di quello privato, nascerá una sana concorrenza i cui benefici andranno ai cittadini,
cioè agli utenti dei servizi stessi. Deve esistere un livello minimo di servizi
ugualmente accessibile a tutti. Se poi un cittadino avrá delle possibilitá economiche,
potrá permettersi un’offerta di maggiore qualità proposta dal settore privato.
Da
parte del settore non governativo, aspettiamo una offerta di servizi in ambiti non
coperti dal settore pubblico.
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Serbia
INTERVISTA
Velimir
urguz, giornalista e scrittore, direttore
del Centro di documentazione giornalistica “Edbart”.
Come si occupano i media della realtà sociale del paese?
Quando si parla di temi sociali registriamo una grande ipocrisia. Da un lato, in base ai
sondaggi, è evidente un grande interesse dei cittadini per i temi legati alle problematiche
sociali, e di conseguenza alla situazione economica in generale. Dall`altro lato i media
dedicano a questi temi uno spazio molto limitato. Ciò può significare che la gente è interessata
ai problemi di politica sociale, ma non a informarsi in modo continuato. Sono temi troppo
impegnativi e nei media si cerca soprattutto divertimento e svago. Situazioni di bambini
abbandonati, famiglie indigenti che vivono sulla strada, o tragici susseguirsi di eventi, possono
diventare al massimo tema per un giorno, per essere poi subito dimenticati.
Perchè questa difficoltà ad affrontare la realtà?
La nostra società è passata attraverso diverse fasi, e l`approccio a questi temi è stato
differente. Fattore comune a tutte, comunque, è stata la marginalizzazione di questi problemi
affinchè la società appaia più ricca e benestante di quello che è, e gruppi di minoranza, in
particolare rom, siano del tutto esclusi dall’informazione. Questi temi non sono stati proibiti,
semplicemente lasciati da parte perché ritenuti poco importanti. Ora ci troviamo di fronte ad
un`altra questione: il sistema socialista centralizzato con le sue forme organizzative
formalmante si occupava di assistenza ai minori, agli anziani, ai gruppi socialmente
svantaggiati. In realtà ha assolto a una funzione formale più che pratica. Nonostante questo, in
alcuni periodi del sistema di governo precedente, in particolare durante gli anni sessanta e
settanta, la più grande organizzazione che si è occupata di gruppi socialmente deboli, la Croce
Rossa, ha messo in pratica un`azione frontale cosicchè molte persone, in particolare donne,
hanno preso parte all`attività sociale. Non si dovrebbe dimenticare che per un determinato
periodo, le organizzazioni umanitarie hanno lavorato in ampi settori dell`ex-Iugoslavia, ma che
con il tempo e in particolare con il formarsi del sistema multipartitico, le ong nate dal sistema
socialista hanno cominciato a perdere vigore, a scomparire e l`interesse per questo tipo di
attivismo è diminuito. Si è smesso di parlare seriamente di volontariato. Durante il socialismo
accanto all`ipocrisia e alla marginalizzazione di alcuni problemi, è esistito un certo culto del
lavoro volontario e dell`attivismo, nato dalla guerra e dai problemi postbellici, finalizzato alla
ricostruzione del paese. Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il volontariato è
totalmente marginalizzato. Sebbene nascano nuove organizzazioni (ad esempio quelle non
governative), non si sviluppa la consapevolezza che il lavoro volontario fa parte del mondo
civile evoluto. Perciò è necessario prima di tutto lavorare sullo sviluppo di tale coscienza e allo
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stesso tempo al potenziamento di quelle istituzioni che si occupano di queste problematiche e
al coinvolgimento attivo dello stato, che non può liberarsi dei propri compiti di assistenza ai
cittadini e in particolare ai più bisognosi. Allo stesso modo neppure lo stato più ricco potrebbe
arrivare là dove invece arrivano le persone spinte dalla propria consapevolezza e dai propri
bisogni.
Possiamo affermare che il problema principale è il lavoro?
Per nostra sfortuna abbiamo vissuto, a differenza degli altri paesi est-europei, un difficile
periodo di guerra che ha generato enormi tragedie umane e un consistente numero di profughi.
Di conseguenza negli ultimi quindici anni ci siamo trovati di fronte a casi collettivi di indigenza,
che con il tempo perdono ogni distinzione individuale poiché si tratta di centinaia di migliaia di
casi. Ognuna di queste storie individuali diventa parte di una consapevolezza collettiva che
tende a presentare e a vivere questi problemi come facenti parte del destino, come qualcosa
che si è generato da sé e a cui noi, uomini comuni, non possiamo dare risposta.
Si parla continuamente di “un certo periodo”, che con il tempo si è trasformato in una perdita
della speranza e della fede nella veloce conclusione del processo. Ciò ha significato la
comparsa di apatia e indifferenza a quanto accade intorno a noi e infine la perdita della
capacità di empatia, ossia la fuga dai ricordi e dal passato, da ciò che è successo. Coloro che
sono coinvolti nei problemi e nelle difficoltà, malvolentieri ricordano le disgrazie altrui, mentre
ricordano soltanto i fatti propri. Questo porta ad un certo relativismo morale del contesto in cui
viviamo. Non è certo l`atmosfera adatta a lavorare e costruire un mondo futuro migliore.
Lo stato ha compreso il problema dei profughi?
Dimentichiamo che questa terra è stata per anni terra di passaggio per profughi, clandestini in
fuga dalla Romania, dalla Bulgaria, dall`Ungheria e che arrivavano qui non per cominciare una
nuova vita, ma soltanto per attraversare il paese e raggiungere l`Europa Occidentale. Già allora
la situazione era paradossale: il Commissariato delle Nazioni Unite per i profughi si è occupato
di tutte le esigenze, mentre i nostri servizi non hanno avuto alcun ruolo sociale, ma soltanto
poliziesco. Coloro che venivano sorpresi sul nostro territorio oppure identificati al confine,
venivano accompagnati in questura, rinchiusi per un certo periodo in prigione, trasferiti in centri
di accoglienza temporanei e messi in attesa del visto oppure della possibilità di proseguire.
E`evidente che il paese non si è confrontato con ciò che è successo negli anni `90, cioè con i
massicci arrivi di profughi. In realtà il problema è giuridico: il sistema che si sgretola, la guerra
civile e reciproca tra i nuovi stati, che non hanno creato nulla di nuovo e che ora si sforzano di
presentarsi come continuazione dello stato precedente. Non è pensabile che la legge riordini
una realtà che è irrazionale di per sè. La possibilità che i rapporti tra questi paesi si sistemino in
maniera da permettere a ognuno di ritornare senza problemi ai luoghi di origine e di riprendere
possesso dei propri averi, è lontana. Molti profughi vivono nell`illusione che tutto si possa
risolvere. Le loro richieste e aspettative sono molto radicali, si aspettano che i problemi siano
risolti per via militare e con la forza. Questa è un’illusione, che dura da tempo e che
rappresenta un pericolo latente per la stabilità di questo paese.
Quali le prospettive?
E` necessario che generazioni seguano generazioni, che la società in Kosovo e in Serbia si
civilizzi e che si stabilizzino alcuni concetti elementari quali la preminenza della legge, della
tolleranza, della non violenza, del rispetto della diversità. Temo che proprio i problemi sociali
siano fonte permanente di instabilità e di rischio, e che l`intera situazione sfoci di nuovo in
episosi di violenza. Sappiamo che in Kosovo la vasta disoccupazione e i problemi sociali
85
generano continuamente nuovi problemi. Ció che spesso si dimentica è che moltissimi giovani
istruiti lasciano la Serbia e il Kosovo perchè non vi vedono alcuna prospettiva; è in atto
un`intensa e negativa selezione del potenziale personale necessario per il futuro.
Che cosa è accaduto del sistema sociale passato?
Centri e strutture sono andati in rovina. Indipendentemente dal fatto che esistano persone
competenti che abbiano lavorato in maniera eccezionale, l`intero sistema è crollato. A causa
della quantitá e varietá dei problemi sociali, ad un certo punto si è lasciato perdere ogni
tentativo di pianificazione e di lavoro. D`altra parte lo stato si è appoggiato soprattutto al
Commissariato per i rifugiati e a diverse agenzie europee, ai donatori internazionali ecc.. E
questo per anni, senza porsi il problema del futuro dei profughi. Se non siamo in grado di
risolvere il problema della cittadinanza dei profughi, della restituzione dei beni,
dell`occupazione (dal momento che la maggior parte dei profughi sono trattati dal punto di vista
legislativo come cittadini stranieri) a poco vale un sistema sociale ideale. E il nostro, come tutti
sappiamo, era lungi dall’essere ideale.
Una soluzione possibile esiste?
Se provo a individuare un punto luminoso, non lo individuo nello stato, ma nella comunitá
locale. Ovviamente ció dipende dalle caratteristiche e dallo sviluppo delle singole comunitá:
possiamo aspettarci che nei comuni piú sviluppati, piú organizzati e con una buona
amministrazione locale si inizi prima a risolvere i problemi di chi vive in povertá. Serve una
strategia: sarebbero necessarie leggi e regole, e qualificare i centri affinchè abbiano più potere
e autonomia. Allo stesso tempo si devono rinforzare le comunitá locali. Esperienze significative
a riguardo sono state le grandi proteste dei cittadini avvenute nel `96 e `97: allora tutti hanno
capito che la necessitá di solidarietá, intimitá, aiuto, prende forma spontaneamente. Il
potenziale non è distrutto, l`energia c`è, ma è necessario articolarla in modo adeguato.
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Serbia
TESTIMONIANZA
Ricordi di Novena Curvarvic: poetessa e docente, ha vissuto la nascita dei servizi
sociali
Avevo cinque anni quando è cominciata la guerra. Ho perso i genitori e i parenti, il
mio villaggio venne raso al suolo, la chiesa bruciata, e noi cinque fratelli fummo
costretti a scappare. E’ stato duro essere allo stesso tempo orfani e profughi, sempre
in fuga nei boschi. Eravamo in tanti, bambini e adolescenti, senza meta, affamati e
impauriti. Fino a quando degli adulti si presero cura di noi e dopo un difficile viaggio
attraverso il Danubio, fummo portati in Vojvodina e accolti da famiglie di contadini.
Quando è finita la guerra, nel ’45, alcuni di noi sono stati adottati. Io sono finita in un
orfanotrofio. Qualche bambino più fortunato aveva ancora dei parenti o addirittura i
genitori sopravvissuti alla guerra, e loro potevano andare a casa durante le vacanze
e ricevere vestiti nuovi. Noi, sempre in istituto e con gli abiti regalati da donatori
stranieri.
Passavo molto tempo a leggere, mi piaceva, ero figlia di contadini e una bambina
curiosa. Crescendo, ho sempre voluto studiare e quello che ho vissuto da piccola ha
inevitabilmente influenzato le mie scelte. Sono riuscita a frequentare la scuola
superiore per operatori sociali, e sono diventata una delle prime esperte nel settore
dei servizi sociali. Mi sono laureata – con una tesi su “Come organizzare un centro di
assistenza sociale”, mi sono sposata e ho avuto un bambino.
La prima esperienza sul campo è stata a Sombor, con ragazzi in conflitto con la
legge. Siamo stati i primi a intervenire in questo campo. In seguito venni nominata
direttrice del locale Centro di lavoro sociale. Eravamo una squadra, operatori,
psicologi, pedagoghi, giuristi, economisti, collaborava anche un neuropsichiatra.
Erano tempi duri. Arrivava tanta gente, una sorta di trasloco di massa predisposto
dallo stato per tutti quelli rimasti senza casa e proprietà, vittime degli orrori della
guerra, destinati ad essere accolti in una terra con maggiori opportunità, ma diversa,
di difficile adattamento. Alunni trovarono subito un lavoro, c’era da ricostruire un
paese, ma altri vivevano con difficoltà. Avendo a disposizione pochi fondi, dovevamo
stabilire delle priorità, e abbiamo optato per i bambini. Bambini orfani, bambini con
disabilità, bambini di famiglie povere. Per molti cercavamo una nuova famiglia, in
grado di accoglierli e mantenerli. Se la famiglia d’origine era povera, cercavamo di
sostenerla, in modo che potesse accudire i bambini. E poi c’erano tanti anziani,
senza mezzi e abbandonati dai parenti. Le situazioni che avevano bisogno di tutela
era comunque tante e diverse, come gli operai costretti spesso a lavorare in
condizioni disastrose.
Tutto questo avveniva negli anni 50. Successivamente abbiamo potuto studiare
come operavano nel sociale i paesi dell’occidente, partecipare a seminari, leggere
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pubblicazioni specializzate. Il sociale era un patrimonio collettivo, tutti si sentivano
coinvolti, anche finanziando personalmente le nascenti strutture.
Nel 1964 mi sono trasferita a Novi Sad. Stavano nascendo scuole per operatori
sociali e avevano bisogno di docenti. Tema: politiche sociali, e anche protezione
sociale. Molti non vedevano la differenza, ma a torto: la protezione sociale è un
settore delle politiche, deve avere propri fondi e sostenere i casi di estrema povertà.
Le politiche, invece, devono occuparsi della questione nel suo complesso, quindi
anche di altri settori, come la sanità, l’educazione, le pensioni, ecc.
Ho insegnato a molte generazioni di studenti, ho creato nuovi quadri, motivandoli a
diventare operatori sociali. Per molti la destinazione sarà il Centro per il lavoro
sociale, anche se queste strutture non esistevano in tutti i comuni, e in certi territori
era stata prevista solo un’attività di protezione sociale. Molti operatori, inoltre,
venivano destinati a supportare gli operai nelle fabbriche, oppure i malati e gli
operatori sanitari negli ospedali. E’ stata un’epoca in cui si investiva nelle strutture,
per bambini abbandonati, per disabili, per anziani, ecc…
Nella mia vita sono stata accompagnata perennemente da un sentimento. La vita è
stata dura nei miei confronti, ma ho sempre avuto una passione, quella di studiare e
quindi dovevo continuare, mai fermarmi. Sono tornata all’Università e mi sono
laureata in Giurisprudenza per poi lavorare all’Istituto di ricerche sociali e ho
conseguito un Master presso la Facoltà di Scienze politiche, indirizzo politiche
sociali.
Non ho mai smesso di scrivere poesie, ho anche vinto il terzo premio della Società
degli scrittori jugoslavi. Non ho mai cessato di descrivere gli orrori della guerra perchè
è rimasta per sempre dentro tutti noi, con le sue sofferenze e lacerazioni.
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Serbia
LA VOJVODINA
La Provincia Autonoma di Vojvodina, secondo un censimento del 2002, conta
2.024.487 abitanti. Nonostante da molti decenni il tasso di natalità sia negativo, si è
registrato un aumento da attribuire al grande afflusso di profughi provenienti dalle ex
Repubbliche Jugoslave.
Ogni terzo cittadino della Serbia, registrato quale disoccupato, viene dalla Vojvodina.
La disoccupazione rappresenta il problema più urgente con cui il governo deve
confrontarsi.
Alla fine del 2003, la Vojvodina ha adottato la Strategia per il collocamento al lavoro
nell’ambito del programma di sviluppo elaborata dalla Provincia Autonoma, allo
scopo di ridurre la disoccupazione. Sono previsti sette progetti, di cui uno in
particolare basato sulla filosofia delle misure attive del collocamento. Al contrario dei
vecchi regolamenti, basati sul principio passivo degli aiuti materiali, le misure attive
includono la persona stessa nel processo della ricerca del lavoro, la motivano a
riqualificarsi e ad acquisire nuove capacità nell’ambito delle scienze informatiche e
delle lingue straniere. La Strategia tratta le categorie particolarmente disagiate, in
particolare i giovani e gli anziani oltre i 50 anni di età, ossia le maggiori vittime della
transizione.
A Novi Sad, presso la sede dell’Ufficio nazionale di collocamento al lavoro, le varie
categorie dei disoccupati ricevono un contributo senza obbligo di restituzione, dai
70.000 ai 140.000 dinari con un obbligo: devono investirli in una piccola o media
impresa nell’ambito della produzione agraria ed alimentare, dell’artigianato, della
lavorazione del metallo, del turismo e di un’attività di esportazione. I più anziani
possono ricevere fino a 120.000 dinari.
Attraverso questo “Fondo per lo sviluppo”, la Provincia di Vojvodina intende
incentivare la creazione di nuovi posti di lavoro presso le piccole e medie imprese,
nonché promuovere l’apertura nei villaggi di attività di produzione alimentare, grazie
gli aiuti dei donatori internazionali. Sempre allo scopo della riduzione del tasso di
disoccupazione, e’ stato previsto un progetto con la finalità di promuovere il lavoro
agricolo, rendendo possibile l’assunzione del coniuge.
Dal 2002, da quando venne approvata una legge-omnibus che restituiva alla
Provincia Autonoma alcune competenze specifiche, la Vojvodina si è organizzata
con proprie istituzioni decentrate, quali l’Assessorato per il Lavoro, il Collocamento al
Lavoro e la Parità tra i sessi. Già precedentemente, nel 2000, era entrata a far parte
del Consiglio Esecutivo una figura responsabile per le politiche di genere. Queste
scelte hanno portato alla Dichiarazione sulla parità tra i due sessi e la Vojvodina ha
assunto un ruolo di capofila nell’ambito delle politiche per le pari opportunità. Su un
totale di 482.241 persone occupate nel 2003 in Vojvodina, 208.596 erano donne.
Le politiche di welfare vengono decise nell’ambito dell’Assessorato Provinciale per la
Sanità e Politiche Sociali. La Provincia Autonoma di Vojvodina è autorizzata ad
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introdurre ulteriori e nuovi servizi nell’ambito sociale, purché sussista la copertura
finanziaria. Nel 2003, per la prima volta, nel budget della Vojvodina sono stati previsti
i fondi da destinare al welfare sociale.
Nella Provincia operano 35 Centri per il lavoro sociale, di cui 9 inter-comunali, per
garantire la copertura totale del territorio. L’accoglienza presso gli istituti della tutela
sociale viene garantita da 21 strutture per adulti e anziani, e da 6 strutture riservate
a minori e giovani.
Per la storia della Vojvodina gli ultimi 14 anni verranno ricordati come i più difficili. La
crisi economica e l’afflusso di un grande numero di profughi hanno avuto un forte
impatto sul crescente numero di disoccupati provocando un aumento generalizzato
delle situazioni di povertà per la popolazione locale, per i profughi e per gli sfollati.
L’amministrazione oggi in carica, dopo le elezioni del 2003, deve affrontare il
problema di 13.929 beneficiari dell’assistenza sociale, di cui la quasi totalità è
disoccupata.
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Serbia
NOVI SAD
Capitale della Provincia autonoma di Vojvodina, la città conta 304.519 abitanti e
comprende due Municipalità: Novi Sad e Petrovaradin. Dopo Belgrado è il maggiore
centro industriale e culturale del paese.
In base al censimento del 2002, conta 299.294 abitanti, tra cui 225.995 Serbi, ossia il
75,5%. I giovani dai 15 ai 27 anni sono 56.316. La popolazione maschile in grado di
lavorare conta 100.841 persone, e quella femminile (da 15 ai 59 anni) 100.064. Nel
numero totale degli occupati, il 46,6% sono donne. I disoccupati sono 35.055
(11,5%), da cui il 56,4% sono donne. Per quanto riguarda le fasce in disagio sociale,
particolarmente fragili sono i profughi, gli sfollati e i rom.
In base alle leggi nazionali, la Repubblica ha l’obbligo di occuparsi delle
problematiche sociali di interesse generale, mentre il Municipio ha la competenza in
materia di assistenza a domicilio, di soggiorni diurni, di indennità in caso di
assegnazione in un’istituzione di assistenza sociale o di collocazione presso una
famiglia. Dall’inizio del 2005 le istituzioni locali finanziano con propri fondi anche
l’accoglienza momentanea presso i centri.
La città da sempre è impegnata a seguire le esperienze europee nel settore delle
politiche sociali. Oltre ai servizi pubblici, operano nel settore sociale molte ong, in
collaborazione con l’amministrazione locale in attesa di codificare il rapporto con la
definizione di un protocollo d’intesa. Per quanto riguarda i finanziamenti, vengono
assegnati dal Comune unicamente a progetti specifici, ed è proprio per non duplicare
gli interventi che è in costruzione una banca dati. Le ong sono impegnate anche nel
processo di sensibilizzazione e creazione della coscienza dei cittadini, in rispetto ai
fabbisogni e all’assistenza delle persone in disagio. Una proposta di legge pone la
questione del volontariato come risorsa nel campo delle politiche sociali.
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Serbia
INTERVISTA
Biljana Delic, direttore Centro per il Lavoro Sociale,
Novi Sad
Quali sono le finalità del Centro?
Operiamo dal 1961, dall’epoca dell’ex Jugoslavia. Oggi i nostri obiettivi riguardano la
tutela sociale della popolazione materialmente ed economicamente vulnerabile,
delle persone senza assistenza familiare e di chi ha gravi problemi di salute, come
prevede la legge sull’Assistenza sociale e sulla Famiglia. Il Comune ha comunque il
potere di allargare l’ambito delle proprie competenze, in presenza di una copertura
finanziaria. Un ulteriore obiettivo è rendere partecipi i cittadini consapevoli dei propri
diritti.
In quale sede e con quali risorse vengono forniti i servizi?
Abbiamo sedi in città e in periferia, ma gli spazi sono diventati insufficienti con
l’ampliarsi delle nostre attività. I finanziamenti sono garantiti dallo Stato centrale e dal
Comune. Le case di accoglienza, ad esempio, vengono sostenute
dall’amministrazione locale. I fondi pubblici locali, nazionali e internazionali e le
donazioni private non sono assolutamente sufficienti per i servizi attivati, avremmo
bisogno di un incremento del 200%. D’altra parte bisogna considerare che nella
nostra struttura sono impiegate oltre 120 persone, di cui oltre il 90% donne. E’ una
professione prevalentemente riservata alle donne, dal momento che gli stipendi non
sono alti.
Quale è la tipologia di utente che si rivolge al Centro?
Di tutti i generi, soprattutto poveri. I bisogni degli utenti si scontrano spesso con le
nostre difficoltà, dovute alla carenza di risorse umane e di fondi. Pensiamo agli
invalidi, che non hanno i soldi per curarsi, devono pagarsi le terapie e le medicine, e
il sussidio non è sufficiente. Cerchiamo anche di introdurre nuovi servizi che
rispecchino le esigenze del territorio, come un sostegno a difesa di bambini maltratti
e di donne vittime di violenza, e un progetto finalizzato alla cura dei
tossicodipendenti. Abbiamo già istituito un Centro di consulenza matrimoniale e
familiare.
Quale è la percentuale di giovani e di donne?
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I giovani rappresentano circa il 40% dell’utenza, che si aggira intorno ai 13.500
beneficiari. Sono in genere ragazzi senza famiglia che una volta diventati
maggiorenni, finiscono per strada e sono ad alto rischio. Per quanto riguarda le
donne, la percentuale è alta, oltre il 50 %. Manifestano difficoltà in famiglia, seri
problemi di salute, situazione di disagio materiale ed economico. Le loro richieste
riguardano il lavoro, la casa, un’accoglienza protetta soprattutto quando sono vittime
di violenza. Ma la situazione economica del nostro paese non è in grado di fornire i
servizi necessari.
Servono nuove leggi?
Il problema è un altro. Nel nostro paese si approva una legge e si ritiene che tutti
siano in grado di applicarla automaticamente, senza preparazione e formazione.
Quale è il suo parere sul processo di decentramento delle politiche sociali?
Positivo, sicuramente potrebbe motivare maggiormente la comunità locale in materia
di programmazione. Ora molte attività sono di competenza e a carico dello Stato e
questo comporta che le amministrazioni locali non sentano il bisogno di capire i
bisogni del loro territorio.
Partecipate direttamente a questo processo ?
Per quanto riguarda la nuova Legge sulla famiglia, siamo direttamente coinvolti, così
come altre strutture pubbliche e ong . Il rischio è che si inneschi il solito meccanismo:
si approva una legge, ma per poterla applicare, si deve attendere per ottenere
indicazioni precise.
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TESTIMONE PRIVILEGIATO
Quali sono i problemi sociali che i servizi della cittá di Novi Sad devono
affrontare?
Come prevede la legge, i servizi esistenti sono finanziati dal Comune. Il problema é
che i bisogni sono maggiori rispetto all’offerta. I fondi sono sempre insufficienti.
Abbiamo un alto numero di disoccupati e di invalidi, per i quali, ad esempio, non
abbiamo i mezzi per rimuovere le barriere architettoniche. Mancano installazioni
igieniche per alcuni quartieri della cittá, prevalentemente abitati da rom. Inoltre esiste
il problema dei senza tetto a cui non riusciamo a offrire una casa e il dormitorio
esistente ha una capienza limitata.
Quale è il vostro rapporto con le ong che lavorano nel campo sociale?
Esiste una collaborazione molto positiva. Sono molte le organizzazioni non
governative che si rivolgono a noi regolarmente. Inoltre é attivo l’associazionismo dei
cittadini e di enti costituiti dagli utenti stessi (distrofici, sordi, cechi, ec..). E da non
dimenticare organismi quali la Caritas e l’Associazione umanitaria ecumenica.
Insieme collaborano con il Centro per il lavoro sociale e le strutture pubbliche. Con
tutti loro abbiamo creato delle reti.
Come funzionano?
Partendono dai bisogni specifici prioritari, al momento funzionano 5 reti a cui spetterá
l’attuazione dei progetti, al momento in attesa di finanziamenti. Gli obiettivi sono:
l’inserimento lavorativo degli invalidi, l’accoglienza per i senza tetto, il sostegno agli
ammalati di HIV, l’assistenza domiciliare e il centro diurno per gli anziani, e
l’educazione per la la popolazione rom.
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Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Associazione CENTRO UMANITARIO
Struttura del privato sociale, Novi Sad
L’ong è nata nel 1998. Ha dovuto interrompere le attività per sette mesi durante
l’intervento Nato, non riuscendo ad operare senza le risorse e il sostegno
internazionale. Le sue finalità sono aiutare chi ha bisogno, sostenere le istituzioni
pubbliche e del privato-sociale e contribuire alla sensibilizzazione e allo sviluppo
della comunità locale. I servizi offerti sono molteplici: sostegno psicologico, aiuto
economico, supporto sociale, assistenza domiciliare e organizzazione di seminari,
corsi di formazione e di aggiornamento, corsi di alfabetizzazione e tutoraggio,
istruzione e prevenzione sanitaria, servizio legale, ricerche e mappatura dei bisogni
del territorio.
“Puntiamo su un approccio attivo alla questione della povertà e allo sviluppo di una
comunità locale più umana” spiega Perica Mandic, direttore del Centro. “Occorre
raggiungere l’indipendenza dal punto di vista finanziario, ridurre, ma non abolire perché la situazione del nostro paese non lo permette - i programmi umanitari
classici. Dobbiamo puntare sull’educazione e sul confronto con altre sperimentazioni
di percorsi innovativi”.
Si lamenta un’inadeguatezza delle strutture, prese in affitto dal Comune, soprattutto
per quanto riguarda il magazzino utilizzato per lo stoccaggio degli aiuti umanitari e i
locali destinati agli incontri con gli utenti, al momento senza bagno, riscaldamento e
sala d’attesa.
Il problema delle risorse è all’ordine del giorno per la sopravvivenza del centro. Il
97% dei fondi per i costi di mantenimento della struttura proviene dal budget di
progetti vinti in bandi pubblici. “La nostra organizzazione non viene sostenuta dalla
comunità locale, se non in rare occasioni. Riusciamo a portare avanti le nostre
attività grazie all’apporto del volontariato, nel senso che i coordinatori non vengono
pagati e lavorano gratuitamente anche assistenti sociali, educatori esperti in
prevenzione Hiv, e operatori per i rom”. Per il personale – a grande prevalenza
femminile – sono previsti incontri di aggiornamento quando i progetti lo permettono
all’interno del budget.
“A lavorare nel centro sono più di duecento persone e questo per l’ampiezza delle
problematiche sociali da noi affrontate: povertà, compresa quella spesso estrema dei
rom, disoccupazione, scarsa istruzione, impossibilità per i profughi di reintegrarsi”.
I giovani seguiti dal centro rappresentano circa il 30% , e la maggio parte ha dai 7 ai
15 anni. Sono minori poveri, spesso impossibilitati ad andare a scuola, disoccupati,
profughi, tossicodipendenti. “Per quanto riguarda i bambini rom, ad esempio,
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cerchiamo di allontanarli dalle strade e portarli nei centri diurni e a scuola. Per tutti
cerchiamo di costruire un percorso di integrazione sociale e lavorativa e di
promuovere la cultura del dialogo e la tolleranza. Quello che non possiamo fare è
offrire risposte concrete come alloggi e sussidi di competenza delle strutture
pubbliche locali”. Il centro opera nella propria sede, ma anche nei luoghi dove vivono
gli utenti, che spesso rimangono tali per lunghissimi periodi. Esistono centri
specializzati a cui sarebbe possibile l’invio – strutture sanitarie, istituzioni pubbliche
locali per i servizi sociali, ecc.. – ma, a detta del responsabile, è proprio da lì che
arrivano gli utenti. “Un percorso all’incontrario”.
I punti di criticità sono espliciti. “Non possiamo fare quello che non ci compete. Non
possiamo influenzare il governo e non siamo autorizzati a partecipare ai momenti
decisionali”.
L’ong lamenta una situazione di isolamento. “Manca la collaborazione con
l’amministrazione pubblica. Possiamo affermare che siamo esclusi da tutti i processi
di implementazione delle strategie per la riduzione della povertà”.
I motivi della mancanza di comunicazione fra pubblico e privato? “Forse a causa di
una falsa immagine creata dai media. Si ritiene che le ong lavorino contro gli
interessi della comunità locale e dello Stato, poiché parlano di tutela dei diritti, di
democratizzazione, di standard europei. Veniamo visti come quelli che controllano il
lavoro delle strutture locali o statali, di fatto carenti e questo non contribuisce certo a
migliorare il rapporto. Al massimo veniamo vissuti come quelli utili nei momenti di
emergenza. Infine bisogna considerare che lavorare nel sociale ha dei costi, e
nell’amministrazione pubblica non si è ancora sviluppata la consapevolezza di
questa scelta”.
Un ulteriore punto di criticità è rappresentato dalla legislazione sul no profit. “Si
occupa principalmente degli aspetti formali del funzionamento interno alle
organizzazioni. Le ong vengono trattate come imprese, e non si prevede per loro
nessuna agevolazione, ad esempio fiscale. Lo Stato non riesce ad accettare questa
nuova realtà sociale e non prende in considerazioni le nostre proposte, anche in
campo legislativo per adeguarsi agli standard degli altri paesi”.
Le proposte per il privato sociale sono diverse: maggiore qualificazione e
professionalizzazione, oltre a una maggiore garanzia della durata del contratto, una
politica fiscale favorevole, un livello unitario degli standard dei servizi erogati, il
riconoscimento del sostegno economico da parte delle istituzionali locali e nazionali,
la possibilità di svolgere attività commerciali e di partecipare agli appalti pubblici.
Le aspettative per il futuro sono chiare: “Le ong hanno bisogno di definire il loro ruolo
nella società, e oggi, acquisite le necessarie competenze, devono essere messe in
grado di operare. Inoltre in noi prevale la sensazione di essere considerati dei
semplici esecutori anche da parte delle grandi organizzazioni internazionali. Vedono
in noi degli attuatori a basso costo, delle strutture poco sviluppate, anche in settori in
cui abbiamo avuto una formazione più che adeguata. Per riassumere: manca una
strategia definita da parte della comunità internazionale che accompagni l’intenzione
di sviluppare in Serbia una società civile in cui le ong svolgano un ruolo importante”.
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Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Istituto per giovani “VETERNIK”
Struttura del privato sociale, Novi Sad
Il centro, con sede a Novi Sad, opera dal 1972 – la prima in assoluto nel settore - ed
è finalizzato al sostegno di minori con disturbi nello sviluppo. La sede si trova nella
periferia di Novi Sad, e consiste in 15 strutture abitative situate su 18,5 ettari di
terreno. I servizi sono indirizzati a oltre 600 utenti, di cui 110 adulti ancora ospiti del
centro a causa dell’impossibilità a trovare strutture adeguate alla loro età. Le attività
riguardano le cure sanitarie, la riabilitazione educativa, l’accoglienza diurna, la
formazione professionale e l’inserimento lavorativo.
Il contesto rurale e la vicinanza alla città pongono numerosi problemi:
disoccupazione, povertà, un gran numero di profughi.
La struttura si finanzia con fondi pubblici, 10% locali e 90% statali, e con quelli di
donatori privati, in passato circa il 30% delle entrate, ora ridotti al 3-5%. I tempi di
“eldorado umanitario” – come lo definiscono al Centro – sono passati, nonostante
siano stati introdotti nuovi servizi su modelli di quelli esistenti in altri paesi europei,
che richiederebbero un ulteriore sostegno. I centri diurni e semidiurni, ad esempio, in
cui i ragazzi possono ritrovarsi quando non stanno in famiglia, naturale o affidataria.
Nella struttura sono impiegate 277 persone, di cui 155 operatori con scolarizzazione
primaria (licenza media), 48 con diploma media superiore, 16 con un diploma
superiore universitario, 33 laureati e 1 con master di specializzazione. Sarebbe
auspicabile un incremento di personale specializzato nel campo sociale, sanitario e
psicologico. Le donne rappresentano l’88, 45 % dei dipendenti e al femminile è
anche la struttura dirigente. Gli stipendi non vengono giudicati adeguati.
“La nostra utenza è rappresentata da persone con gravi problemi mentali e fisici,
provenienti dal territorio della città, da altri comuni della Serbia, la maggior parte
dalla Vojvodina, e poche unità dal Montenegro. Alcuni sono profughi e sfollati, circa
40 persone, ma altri sono in attesa di un posto libero” spiega Nedeljko Bekic,
direttore del Centro. “Da noi vengono persone dai 3 anni ai 65, moltissimi i giovani,
inviati dai Centri del lavoro sociale con problemi psichiatri, disturbi plurimi e gravi
ritardi dello sviluppo. Hanno bisogno di tutto: dall’assistenza primaria a spazi per lo
sport, da proposte culturali e informative a progetti nel campo delle nuove tecnologie.
Le loro sono vite complesse, soprattutto per quanto riguarda la sfera personale”.
Per quello che permettono le risorse, si cerca di investire sulle nuove tecnologie “per
cui mostrano una forte predisposizione, a volte maggiore di quella di noi operatori”.
Questo ha permesso la creazione di una banca dati, purtroppo non utilizzata a pieno
ritmo, e questo sempre a causa della carenza di fondi.
Le donne costituiscono poco meno del 50% degli utenti, e anche per loro l’obiettivo e
renderle il più possibile autosufficienti e offrire loro momenti culturali e di svago”.
Il problema sta nella parola futuro. “Una volta compiuti 27 anni, gli utenti maschi
dovrebbero trovare una sistemazione permanente all’esterno del centro, mentre per
le donne è possibile continuare l’accoglienza. Purtroppo questo non avviene, e al
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centro rimangono sia uomini che donne in età adulta. L’autosufficienza mancata vuoi per assenza di progetti, che di strutture o di sostegno familiare adeguato - resta
il punto critico delle attività. Ad esempio, per un gruppo di 11 minori, si è ottenuta
l’abilitazione a frequentare la scuola normale, ma il rischio è che le famiglie non
riescano a supportare sufficientemente l’inserimento e seguirne lo sviluppo”.
Sulle famiglie il centro ha investito molto: li coinvolge direttamente nel processo di
riabilitazione dei propri bambini e anche nella gestione della struttura.
Il centro lavora in stretta collaborazione con le istituzioni accademiche universitarie di
Belgrado, di Novi Sad, e di Skopje e anche dell’Ungheria. Esiste un lavoro di rete
con altre strutture pubbliche di accoglienza per minori e adulti e il Centro viene
sovente visitato da organizzazioni straniere. La collaborazione riguarda anche
numerose ong straniere che sostengono finanziariamente le attività.
“Occorrerebbe un più alto numero di centri diurni, per non appesantire troppo il
nostro centro e anche una maggiore autonomia nelle prescrizioni mediche da parte
del personale sanitario. E inoltre maggiori finanziamenti a fronte dei costi di gestione
e di personale che la struttura deve sostenere”.
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Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Scuola elementare “MILAN PETROVIC”
Struttura pubblica, Novi Sad
La Scuola, nata nel 1968, è la più importante struttura che si occupa del problema
della disabilità sul territorio di Novi Sad. Le sue finalità spaziano dall’educazione e
istruzione di bambini e adolescenti al doposcuola, dal sostegno alle famiglie
all’inserimento lavorativo. La scuola si assume anche il compito di una formazione
della coscienza pubblica in merito ai diritti e ai bisogni delle persone in difficoltà.
La scuola, che svolge le proprie attività in nove strutture diversificate in base all’età e
al grado di handicap degli utenti, si occupa di quasi 900 persone compresi in una
fascia di età che va dai 3 ai 50 anni. Impiega 273 persone, di cui 207 insegnanti. I
fondi provengono dagli enti pubblici, statali e locali, da donazioni internazionali
perennemente decrescenti (per un periodo anche il cibo arrivava dall’estero) e in
parte da proventi di attività in proprio, come l’organizzazione di eventi culturali a
sfondo di beneficenza. Per quanto riguarda i fondi statali provengono da tre Ministeri:
dell’Educazione per quanto riguarda gli stipendi degli insegnanti, della Sanità per
quanto riguarda i medici e degli Affari sociali per quanto riguarda le altre attività. Alla
domanda se le risorse siano sufficienti, la risposta è che servirebbe un raddoppio dei
finanziamenti. Si lamenta una carenza di fondi per la manutenzione degli edifici, per
l’allargamento degli spazi, per il materiale didattico e per le spese di trasporto dei
ragazzi residenti nel circondario.
“Il periodo delle guerra ha portato la fame, e la paura. E ancora adesso sfamare i
bambini è una priorità, tanto che abbiamo deciso di costruire un forno all’interno della
stessa scuola. Le migrazioni della popolazione e la disoccupazione in costante
aumento hanno trasformato il territorio aumentando il disagio sociale: ci sono
giovani, e meno giovani, che hanno problemi di salute, di alimentazione insufficiente,
persone per cui non esistono garanzie di igiene, ad esempio fra i bambini rom. E la
società non è assolutamente sensibilizzata a questi temi, mentre da parte delle
istituzioni locali e statali non vengono forniti risorse, leggi, strutture” racconta
Slavica Markovic. Le autorità locali in verità collaborano, ma si tratta di iniziative
autonome, non stabilite da una legge.
Le ragazze rappresentano un terzo dell’utenza e necessitano di programmi specifici
quali l’informazione in materia di educazione sessuale e di prevenzione, non
disponibile causa mancanza di risorse e di personale specializzato.
Ogni anni la scuola elabora un piano generale: prima un piano di sviluppo, poi un
piano di lavoro annuale e infine il piano operativo. La presa in carico dovrebbe
terminare alla fine della scuola, perché dovrebbe iniziare un passaggio alle strutture
che si occupano dell’inserimento lavorativo.”Il lavoro per i ragazzi con problemi
speciali non è garantito per legge e noi possiamo predisporre solo un invio all’Ufficio
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di collocamento e al Centro di lavoro sociale. In assenza di una offerta, cerchiamo di
continuare ad occuparcene noi”. In materia di occupazione, il Comune si è
organizzato in modo autonomo anche dal punto di vista legislativo e questo dovrebbe
favorire la nascita di iniziative nel campo dell’inserimento lavorativo collaborando
soprattutto con le aziende e trovando uno spazio all’interno del mercato del lavoro.
“Stiamo costruendo una rete con le ong, le famiglie, le istituzioni a livello comunale e
regionale”
La scuola intende operare in collaborazione con le altre strutture pubbliche e
propone tavoli di collaborazione con chiunque possa sostenere il progetto. “
Abbiamo bisogno di maggiore attenzione da parte delle istituzioni, di risorse, di
strutture e anche di lavoro in rete con servizi simili al nostro presenti nel paese e
all’estero”.
Si sottolinea come siano in corso cambiamenti, soprattutto nel campo normativo. “Si
sta elaborando una nuova legge sull’assistenza sociale e sul lavoro. Esistono anche
leggi, ad esempio nell’ambito dei servizi sull’handicap, che affidano
all’amministrazione locale dei compiti, ma i Comuni affermano di non avere le risorse
per applicarle”.
I progetti per il futuro possono essere sintetizzati in una richiesta. “Noi vorremmo
dare un ruolo più ampio alla nostra scuola, in modo che possa rappresentare un
momento di incontro e una risorsa per l’intera collettività”.
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Serbia
KRAGUJKEVAC
Capitale della Sumadija, regione centrale della Serbia, la città conta oltre 180.000
abitanti ed è la quarta per grandezza del paese. Durante la seconda guerra
mondiale, nel 1941, più di 7.000 abitanti, tra cui 300 bambini, furono assassinati dai
nazisti. Nata nel XV secolo, in passato è stata il maggiore centro industriale per la
produzione di vetture e armamenti. Quando numerosi stabilimenti sono stati costretti
a ridurre il loro volume di produzione, o addirittura a chiudere, oltre 38.000 lavoratori
sono rimasti senza lavoro e ciò ha inevitabilmente comportato una crisi della città.
Il Comune ha elaborato un piano locale di azione allo scopo di ridurre le realtà di
povertà e disagio del proprio territorio conseguente dell’alto tasso di disoccupazione.
Sono state identificate quattro categorie di persone maggiormente vulnerabili: le
famiglie monoparentali, i disabili, gli anziani (oltre 34.000 abitanti hanno oltre 60 anni)
e i disoccupati oltre i 50 anni di età.
Due anni fa l’Agenzia Europea ha promosso un programma pilota, con le risorse
dell’UE, allo scopo di dare un supporto ai disoccupati e al governo nella definizione di
un sistema nazionale finalizzato allo sviluppo delle risorse umane. Il progetto
prevede quaranta corsi professionali in diversi ambiti: i primi sono stati riservati agli
educatori e agli operatori, e successivamente sono stati aperti 35 centri accreditati
per la formazione. Oltre 2000 beneficiari hanno completato il corso di formazione e
140 di loro hanno trovato un lavoro grazie alle competenze acquisite.
Si è iniziato affrontando il piano per lo sviluppo del collocamento al lavoro sul
territorio, con una ricerca sul mercato del lavoro e con l’analisi delle competenze
assenti o insufficienti nei settori interessati. E’ stato costituito un partneriato con i
diversi enti pubblici, con i sindacati, con le imprese e le ong, allo scopo di definire le
tipologie prioritarie nel campo della formazione. Nell’agosto del 2004 è stato
inaugurata la prima Agenzia per il collocamento del Servizio nazionale del lavoro a
cui è possibile rivolgersi per la ricerca di un inserimento professionale.
La città, inoltre, deve fare i conti con la presenza di oltre 2.000 profughi dalla Bosnia
ed Erzegovina e di oltre 13.000 dal Kosovo, molti ancora sistemati in centri
temporanei e utenti dell’assistenza pubblica. L’impoverimento generale della città,
causato in passato dalle sanzioni economiche e dalle distruzioni della prima metà del
1999 e oggi dalla diminuzione dei fondi da parte dei donatori stranieri, non riesce a
garantire i servizi necessari soprattutto in materia di sanità.
Le strutture pubbliche del welfare si occupano di assistenza, di infanzia
abbandonata, di anziani e di adulti in difficoltà. A Kragujevac operano anche
numerose organizzazioni non-governative, 24 delle quali collaborano direttamente
con il Comune.
101
Serbia
INTERVISTA
Slavica Saveljic, dirigente del settore politiche sociali per il
Comune di Kragujevac
Quale è il problema prioritario per il Comune?
La città di Kragujevac ha due problemi principali: povertà e disoccupazione. Tra
questi c’è un rapporto di causa-effetto, ossia quando aumenta il numero degli
occupati, diminuisce automaticamente il numero dei poveri. Perché uso la parola
povero? Perché la distinzione si è quasi persa, in altre parole il ceto medio della
popolazione quasi non esiste più, a poco a poco quasi tutti hanno superato sia la
soglia inferiore sia la soglia superiore di povertà. Secondo alcune stime il 10,6% della
popolazione vive al di sotto del limite di benessere sociale, cioè risulta che circa
18.000 persone vivono con un dollaro al giorno secondo i risultati delle ricerche
condotte nell’ambito della strategia di riduzione della povertà elaborata dal Governo
serbo.
In che modo vi sostiene la Repubblica di Serbia?
In sostanza, Kragujevac non presenta alcuna specificità rispetto alle altre città serbe,
per cui sia giustificabile ricevere una particolare attenzione da parte della
Repubblica. Da parte sua, la città ha preso dei provvedimenti per andare incontro
agli investitori che sono interessati ad offrire nuovi posti di lavoro. Durante l’ultima
seduta dell’Assemblea comunale, è stato proposto di agevolare gli investitori che
possono e vogliono edificare ed assumere operai. Non c’è un modo per risolvere il
problema della povertà con i sussidi, perché non tutti si trovano in stato di bisogno a
causa dell’incapacità di lavorare, anzi, molti sono capaci e vogliono lavorare, solo
che per loro non c’è un’occupazione. Secondo alcuni indicatori, il 48% della
popolazione è composto da persone che lavorano attivamente, e invece soltanto
l’11% può contare su un reddito. Dunque, per ogni occupato tre persone lavorano
attivamente, ma sono poi mantenute da altri, per non parlare dei pensionati e dei
102
bambini. Quindi la situazione in cui si trova la città è molto grave ed è quasi
insostenibile. Negli ultimi quattro anni a Kragujevac è raddoppiato il numero dei
disoccupati, mentre il numero degli occupati è sceso drasticamente.
Come vi finanziate?
E’ previsto un afflusso di fondi della Repubblica nelle nostre casse, e inoltre
incassiamo altro denaro attraverso il pagamento delle tasse comunali.
Se la Repubblica decidesse di ridurre i propri contributi, come già accaduto,
ciò avrà un’incidenza sui vostri progetti?
Certo, si ripercuote automaticamente sui nostri progetti. L’anno scorso avevamo già
impiegato l’80% del budget e la decisione della Repubblica ha creato dei problemi, in
particolare negli ultimi tre mesi dell’anno. Si dovevano portare a termine le attività
previste, ma mancavano i fondi. Quest’anno abbiamo elaborato una pianificazione
del budget in maniera molto realistica, tenendo presente gli afflussi che arriveranno
dalla città stessa, compreso quanto ricaviamo dalla locazione di terreni, e il ministro
delle Finanze ha assicurato che l’afflusso di fondi sarà quello che abbiamo
pianificato.
Quanto influisce la presenza in città degli sfollati dal Kosovo?
Il Commissariato per i profughi e gli sfollati in parte aiuta queste persone, anche se
una grossa percentuale è a carico della città. Hanno gli stessi diritti dei cittadini di
Kragujevac, e in base al principio sull’estensione dei diritti, sono autorizzati a ricevere
gli aiuti di prima necessità, e inoltre la Croce Rossa come organizzazione umanitaria
presta molti aiuti alle persone sfollate. Devo ammettere che nel caso degli sfollati dal
Kossovo, è stato di grande aiuto il fatto che un congruo numero di profughi avesse
già a sua disposizione una casa dove abitare o dei parenti disponibili al sostegno.
Quale è il vostro rapporto con le ong?
Un grande numero di organizzazioni non governative sono partners importanti
dell’Assemblea comunale, anche se non riusciamo a conoscerle tutte. C’è un legame
fra autogestione locale e settore non governativo, ma penso che le organizzazioni
stesse non siano abbastanza collegate tra loro e che talvolta siano proprio loro a
dimostrare una certa avversità nei nostri confronti.
103
Quali sono i problemi che pongono i bambini e i giovani?
All’interno di un progetto in collaborazione con l’Unicef, stiamo cercando di avere un
quadro completo della situazione sull’intero territorio della città per definire la
condizione dei bambini e dei giovani. La novità è che questa volta non abbiamo
consultato solo gli esperti in materia, ma anche le istituzioni che si occupano di
bambini, anche i bambini stessi e i loro genitori. L’Assemblea comunale ha
organizzato dei dibattiti a tema in cui le persone hanno avuto modo di parlare dei loro
problemi quotidiani.
Uno dei progetti prioritari su cui lavoreremo nel 2005 è la fondazione di un centro
culturale. Tempo fa ho assistito ad un workshop in cui i bambini e i ragazzi
provenienti dai gruppi emarginati hanno discusso su come si crea l’immagine della
città, e hanno risposto alla domanda: se io fossi sindaco, cosa farei?
Ho promesso che l’Assemblea comunale organizzerà la giornata delle porte aperte in
cui il sindaco, una volta ogni tre mesi, riceverà i bambini di Kragujevac e parlerà con
loro
Dunque, progetti basati sulla partecipazione e sull’interazione?
Cerchiamo di togliere i giovani dalla strada. Nell’ambito del workshop ci siamo resi
conto che il loro interesse stava crescendo. Gli è stato chiesto di segnare i posti in
città che ritenevano importanti per i giovani. Credetemi, nessuno si è ricordato della
biblioteca o del teatro. Se ne sono ricordati dopo che gliel’avevamo suggerito, ma in
genere segnavano solo i bar. Sono consapevoli del problema della
tossicodipendenza, hanno descritto con precisione quello che succede in ciascuno
dei locali e di che cosa hanno paura quando li frequentano, ma nonostante tutto ciò
continuano ad andarci perché non hanno alternativa.
Vogliamo che i bambini e i ragazzi vengano da noi, che questo diventi un argomento
di dominio pubblico, vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica.
Quali sono gli strumenti con cui pensate di coinvolgere la città nei percorsi da
voi progettati?
Penso al piano d’azione locale in quanto sarà un documento strategico. L’idea è nata
perché abbiamo sentito il bisogno di definire tante cose importanti attraverso un
documento. Il piano prevede un elevato numero di dibattiti a tema, di trasmissioni
informative; dunque, vogliamo includere in questo progetto anche i mass media,
perché vogliamo avvicinare ognuno di questi problemi alla gente comune e
contribuire in tal modo ad un cambiamento graduale della coscienza delle persone.
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Serbia
INTERVISTA
A colloquio con il responsabile del Centro di
lavoro sociale Kragujevac
Quando e con quali obiettivi fu fondato il Centro?
Il Centro di lavoro sociale fu fondato nel 1961, mentre in passato, per la precisione
dal 1957, operava unicamente come Centro di assistenza domiciliare e di
educazione sociale. Assistenti sociali e domiciliari si occupavano in particolare della
salute di bambini e di adulti, ma intervenivano anche nel campo della prevenzione e
dell’educazione. Oggi il Centro si occupa soprattutto dei problemi di persone che
vivono in condizioni di precarietà sociale, in particolare senzatetto e poveri,
compreso quanti usufruiscono del sussidio da parte dello Stato. Attualmente il
contributo è uguale per tutti, a differenza del passato, in cui ogni Comune stabiliva la
somma in base alle proprie disponibilità.
Quale è stato il periodo più difficile?
Circa dieci anni fa, e in particolare tra il ’91 e il ’93, abbiamo vissuto un periodo di
assoluta ed estrema povertà. Dal 2000, ossia da quando sono iniziate ad arrivare le
donazioni dall’estero, tutti i fondi internazionali sono stati destinati ai progetti di
protezione sociale e a pagare i sussidi e i debiti contratti, compresi quelli accumulati
nel settore sanitario. Oggi è il Comune a decidere in piena autonomia quanta parte
del suo budget destinare ai servizi di assistenza sociale. Il problema è che
l’erogazione dovrebbe diventare un obbligo di legge.
Chi sono gli utenti del Centro?
Arrivano le persone che vivono in condizioni di povertà, e sono in costante aumento:
da noi possono trovare un sostegno e ottenere anche il sussidio. Ma quelli che
vorremmo raggiungere sono gli “invisibili”, ossia le persone che non sanno o si
vergognano di usufruire del nostro aiuto. Ad esempio i pensionati, che non arrivano a
fine mese con i loro soldi, che rischiano di perdere la casa e non possono pagare le
bollette e comperarsi le medicine.
Come formate il personale?
Il salto di qualità nelle metodologie di lavoro risale agli anni ’70, quando fu fondata la
Facoltà di Scienze politiche a cui venne affidato il compito di formare gli assistenti
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sociali diplomati. Da allora si valorizza il lavoro di squadra e l’approccio
multidisciplinare. Il Comune, nel passato, poteva contare su risorse per supportare il
servizio esterno, ossia domiciliare. Ora, come personale, siamo 80 in totale, ma il
numero è insufficiente. Mancano figure specializzate, e chi lavora è stressato. Inoltre
non ci sono fondi per la formazione e l’aggiornamento, e in questo campo le uniche
opportunità vengono offerte dalle ong.
Quali sono le difficoltà attuali?
Dal 2000 viviamo una difficile situazione politica e dobbiamo cercare di rimediare alla
mancanza di fondi del Comune, elaborando e proponendo progetti a diverse
organizzazioni per lo più internazionali.
Quali sono le problematiche che pongono i giovani?
Si registra un aumento della violenza, sia in famiglia che tra i giovani e spesso non si
tratta di semplici risse ma di atti di violenza armata. Inoltre è in aumento la violenza
sulle donne. Le cause sono molteplici: povertà, disoccupazione, ma anche assenza
di valori all’interno delle famiglie, spesso diventate ricche velocemente. I giovani
rappresentano il 41% dei nostri utenti, di cui il 35 % sono bambini al di sotto dei 7
anni.
Quali sono i servizi offerti?
L’assistenza sociale opera in due direzioni: la tutela immediata e la consulenza.
Abbiamo un ufficio di consulenza per la famiglia e la vita matrimoniale dei giovani, e
per quanto riguarda i minori disponiamo di un dipartimento per i minori abbandonati e
inoltre di un servizio integrato di assistenza domiciliare. Quest’ultimo servizio
funziona da tre anni grazie al sostegno di partner italiani. Si rivolge soprattutto agli
anziani e vuole essere uno strumento contro l’istituzionalizzazione. I progetti così
finanziati rappresentano una sperimentazione, mentre occorrono i fondi per farli
diventare permanenti.
Ritiene che una politica di decentramento possa essere utile?
Siamo ovviamente favorevoli al decentramento, ma in questo momento la priorità è
la stabilità dello Stato, e forse nuove riforme sono premature. Il Centro funziona e i
suoi programmi sono validi: vuole affrontare i bisogni della popolazione e creare una
rete fra organizzazioni e istituzioni. Questa è e deve restare la strategia, al di là
dell’orientamento politico al governo. Dobbiamo imparare a lavorare a livello locale in
un sistema integrato. Ognuno lavora nella propria istituzione, o nella propria ong, ma
in futuro dobbiamo farlo insieme, per riuscire così a dare risposte migliori ai bisogni
della popolazione.
106
Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Istituto per bambini „NADA NAUMOVI“
Struttura pubblica, Kragujevac
L'
Istituto è stato fondato nel 1948, comprende 13 asili e 20 sedi distaccate nei villaggi
e nei quartieri, in cui sono presenti “le piccole scuole dell’educazione”, finalizzate
all’istruzione di bambini in età prescolare con disturbi dello sviluppo. Un’attività
specifica che dura da una quindicina d’anni e che si rivolge al momento anche a 13
bambini con disturbi leggeri o limitati dello sviluppo mentre una ventina di casi con
disturbi polivalenti sono in attesa di inserimento.
I finanziamenti provengono dai fondi della Repubblica, del Comune e dal pagamento
di un contributo da parte degli utenti.
“Durante il periodo dell’iperinflazione avevamo circa 1.000 bambini, mentre ora nei
nostri asili sono registrati tra i 3.100 e 3.300, forse anche di più. Durante quel periodo
di difficoltà, non ricevendo donazioni, abbiamo attinto al nostro fondo esattamente
come accade ora. E’ stato molto difficile garantire i pasti. Molti lavoratori erano in
cassa integrazione, numerose fabbriche erano ferme e le paghe erano irrisorie”,
ricordano gli animatori del centro, Brama Stanojevic, pedagogo, Radica Vuckovic,
legale e Divna Arandjelivuc, economista.
Le attività si svolgono sia in città che nei quartieri sotto la giurisdizione del Comune di
Kragujevac e a partire dal 2006, per legge, tutti i bambini dovranno essere coinvolti
nel progetto. “Oggi la Repubblica Serba e il Comune sostengono le spese in base ad
un accordo, ma il finanziamento è insufficiente. I genitori dei bambini fanno donazioni
con le quali copriamo le spese materiali e il mantenimento corrente. Il fondo della
Repubblica copre una parte degli stipendi. Abbiamo introdotto delle attività extra
quali feste di compleanno, corsi di inglese ecc. i cui proventi vengono investiti
nell’acquisto di materiale per le attività con i bambini. Entrate e uscite così si
equivalgono”.
Negli scorsi due anni è terminata la costruzione di un nuovo edificio nel quartiere
Poletarac, un nuovo spazio per cinque gruppi educativi; inoltre la struttura Neven a
Bresnica è stata terminata e allargata (ora può ospitare cinque gruppi educativi). Le
capacità sono aumentate di 500-600 posti. Il Comune ha stanziato dei finanziamenti,
a cui si sono aggiunte le donazioni dal governo francese: mancano ancora fondi per i
materiali didattici.
“Abbiamo 421 assunti a tempo indeterminato e 65 a tempo determinato, che
sostituiscono il personale in malattia. Il 95% è costituito da donne, mentre il 5% da
uomini. Per ciò che riguarda il lavoro con i bambini, le infermiere si occupano dei
107
bimbi fino ai tre anni e i maestri degli alunni dai tre ai sette anni; collaborano uno
psicologo, un pedagogo musicale e un esperto di educazione fisica”.
La struttura è particolarmente attiva nel creare e cercare collaborazioni finalizzate al
sostegno di sperimentazioni nel campo. “Già a partire dal 1995 abbiamo gettato
nuove basi per il nostro programma. Collaboriamo con le altre istituzioni di Belgrado,
Novi Sad e Subotica. Cooperiamo anche con altre organizzazioni umanitarie, Facoltà
universitarie e centri di formazione. L’obiettivo è l’ampliamento della collaborazione
tra maestri, genitori e comunità locale. Insieme abbiamo definito il progetto “Centro
educativo culturale” che prevede anche la creazione di una biblioteca. Inoltre con
l’UNOPS abbiamo realizzato il progetto “Città alla città” (intraprendenza da pionieri): il
nostro obiettivo era coinvolgere il Centro per il lavoro sociale nei confronti di bambini
senza tutela. E’ nato anche il Centro per la riabilitazione dei disoccupati, di cui si è
occupato un team di 18 esperti e abbiamo attivato il progetto di servizio baby-sitter,
che coinvolge 39 maestri e infermiere formate per lavorare con i bambini. Inoltre,
assieme al Comune, abbiamo realizzato il progetto “Via nuova”, che si occupa
dell’inserimento dei bambini rom”.
La struttura è ampia e necessita di un’organizzazione, anche se una banca dati non
è ancora in uso.
Per quanto si cerchi di proporre iniziative, anche culturali e ludiche a favore della
comunità, non si registrano riscontri positivi da parte delle istituzioni. “Non siamo
soddisfatti per niente. Ostacolano le nostre iniziative. Siamo alla fine dell’anno e i
fondi sono terminati. Il governo non ha ancora dato le sovvenzioni per i prossimi due
mesi e non abbiamo soldi per pagare gli acconti degli stipendi. E per ciò che riguarda
i fondi erogati dal Comune, in buona parte li restituiamo pagando le tasse e le
imposte”.
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Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Associazione TANGO
Struttura del privato sociale, Kragujevic
L’ong è nata nel 2000 ed è abilitata a lavorare sul territorio della Serbia e del
Montenegro. Vi lavorano otto dipendenti, quasi tutti giovani con meno di trent’anni,
laureati in giurisprudenza, economia, ingegneria, informatica e lingue straniere. L’ong
è nata per sostenere l’associazionismo di cittadini. “Vogliamo rafforzare il settore
della società civile in Serbia” spiegano i soci. “Questo attraverso training, utilizzo di
spazi e strumenti. Ora abbiamo esteso le nostre attività al campo sociale, con
progetti riguardanti persone in condizioni precarie”. L’ong può contare su 50 soci.
Una parte dell’attività riguarda la formazione dei Consigli dei cittadini presenti
all’interno dei quartieri delle città a cui spetta il compito di individuare le proprie
necessità e presentare un progetto ad una organizzazione internazionale
sostenitrice.
I progetti sono diversificati, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: lo sviluppo della
comunità locale. “Il progetto a carattere sociale “Grand”, ad esempio, prevede per i
disoccupati e gli sfollati un contributo – intorno ai 2000 dollari - finalizzato all’avvio di
un’attività in genere commerciale. I beneficiari devono investirne altri 800 di tasca
propria. Durante il primo anno le attrezzature restano di nostra proprietà e i
beneficiari non possono venderle e neppure noleggiarle. Poi, quando l’attività
funziona, tutto diventa di loro proprietà ”.
Un altro progetto - nato sotto l’egida europea – è finalizzato alla formazione di 60
laureati in giurisprudenza e in economia per ampliare le loro conoscenze e abilità in
materia di marketing, di diritto del lavoro, di comunicazione, di strategia d’impresa,
ecc.. E sempre in materia di sviluppo locale, un progetto ha riguardato gruppi di
cittadini – denominati “gruppi d’azione” – a cui è stato insegnato come costruire un
progetto e come trovare i fondi.
“Per i giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, è stato proposto un
training in informatica, in pianificazione statistica, in comunicazione e via dicendo,
valorizzando al massimo il lavoro di squadra. Hanno mostrato interesse a
organizzarsi in modo autonomo per elaborare proposte e cercare donatori”.
Numerosi i progetti che riguardano i giovani e i bambini, tutti con l’identico obiettivo:
insegnare a lavorare in squadra, a creare momenti di auto organizzazione e
rappresentanza, ad autofinanziarsi con progetti. Per quanto riguarda invece i cittadini
in stato di necessità, l’ong è impegnata in corsi di formazione e nella ricerca attiva del
lavoro.
109
La rete di collaborazione è molto ampia. Dalle scuole alle università, dall’Ufficio
nazionale di collocamento al Centro di assistenza sociale cittadini, dall’Assemblea
comunale alle aziende private.
Il bisogno primario del territorio viene identificato nell’occupazione, obiettivo per
giovani anche altamente secolarizzati.
Alle donne è stata destinato un progetto - “Business Club” – perché è dimostrato che
la disoccupazione le colpisce particolarmente poiché spesso non riescono a
laurearsi. “Sono state formate ad elaborare piani produttivi. E poi con il nostro
sostegno si sono messe in proprio. 15 donne coinvolte nel progetto erano madri
single”.
La struttura di un’organizzazione senza scopi di lucro viene ritenuta molto importante
per l’intera società. “Sono tempi nuovi e noi vogliamo rivolgerci alla società. Ogni
gruppo di cittadini che vuole promuovere un’iniziativa, lo può fare promovendo
un’organizzazione non governativa. Noi offriamo loro l’assistenza legale, l’aiuto per
stendere uno statuto e per conoscere le procedure” L’ong ha anche un sito
attraverso il quale è possibile chiedere informazioni, molto visitato anche fuori dai
confini della Serbia.
La richiesta è di una regolamentazione e di una nuova legge che definisca obblighi e
diritti per un’organizzazione non governativa. “Noi scherziamo, diciamo che dal punto
di vista giuridico siamo considerati al pari dei tifosi della Stella Rossa, delle
associazioni di pescatori e di apicoltori. No, non siamo affatto dei privilegiati e
contiamo molto sulla proposta di legge presentata. Soprattutto bisogna chiarire cosa
dobbiamo fare se per autofinanziarci vogliamo proporre delle attività con la prospettiva
di ricavarne del profitto”.
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Serbia
ESPERIENZE SUL CAMPO
Organizzazione CROCE ROSSA
Kragujevic
La Croce Rossa della città di Kragujevac è stata fondata nel1846, anno in cui è nata anche la
prima Associazione di Croce Rossa in Serbia, a Belgrado. L'
organizzazione ha lavorato
continuamente dal 1846. Oggi conta intorno ai 40 000 membri all'
anno organizzasti in circa
90 gruppi.
Sul piano dell'
organizzazione comunale, l'
organo supremo è l'
Assemblea che conta 70
membri, eletti da parte degli attivisti. L'
organo esecutivo e direttivo è il Comitato comunale con
31 membri. “Le nostre attività principali sono, oltre a quelle tradizionali, rinforzamento dei
quadri e stabilizzazione dell'
organizzazione e dello sviluppo istituzionale“, spiega il dottor
Lalovic. “Svolgiamo inoltre attivitá nel settore sanitario e di prevenzione, contattando circa 15
000 dei nostri concittadini all'
anno. Sono per lo più i giovani, allievi delle scuole elementari e
medie. Organizziamo corsi tradizionali di pronto soccorso e di igiene, oltre a dibattiti, seminari
e campagne tematiche (lotta contro il cancro, contro l'
AIDS). Si lavora molto anche sul piano
dell’informazione educativa legata alle attività nel campo della sanità e della prevenzione. Un
progetto realizzato a cui siamo molto legati é l’asilo multietnico rivolto soprattutto ai bambini
rom“.
Il numero della persone in stato di bisogno supportate è variabile nel corso dell'
anno. “Nel
1999 e nel 2000 sono state 65.000 (popolazione locale, profughi di guerra ecc.). In seguito
questo numero é diminuito, non perchè sia calato il bisogno, ma perchè le donazioni sono
notevolmente diminuite, cosicchè l'
anno scorso abbiamo potuto sostenere solo 19.000
persone, di cui 3000 bambini a cui abbiamo offerto la possibilitá di una mensa (con un
progetto realizzato in collaborazione con il Comune della città e con le scuole). Si tratta di
nutrizione gratuita per bambini di famiglie in disagio sociale, stabilito secondo determinati
criteri“.
Un servizio mensa nell'
ambito della Croce Rossa rivolto a tutti i cittadini esiste già da 10 anni
(sostenuto da parte di vari donatori). Il criterio dell'
ammissione viene stabilito in
collaborazione con il Centro per gli affari sociali, e il programma si finanzia dal bilancio del
Comune della città su piano annuale. L'
assistenza alimentare consiste in mezzo litro di pasto
cucinato al giorno e mezzo chilo del pane semibianco. Se una famiglia può avere più di un
pasto, ció dipende dal numero di membri e dalla possibilità economica della struttura.
Tradizionalmente, la Croce Rossa cerca di aiutare le persone in difficoltá fornendo le
medicine, curando gli ammalati, procurando vestiti e calzature, distibuendo prodotti alimentari
e per l'
igiene.
Per quanto riguarda il persone impegnato, é di circa 1500 volontari. Questo numero non
include quanti impegnati individualmente e occasionalmente in settori specifici, persone su
111
cui l'
organizzazione può contare in ogni momento. Gli impiegati, il numero è variabile, sono
circa 20, a seconda dei progetti realizzati. Si investe molto sulla formazione e
sull’aggiornamento.
“Esiste una legge speciale per la Croce Rossa, diversa dalla legge di Associazioni cittadine,
ma é prevista una modifica. Adesso dobbiamo pagare l'
Iva anche per l'
assistenza umanitaria
che arriva da donatori internazionali, e in altri casi subiamo una doppia tassazione. Abbiamo
chiesto piú volte di prendere provvedimenti per modificare questo meccanismo e riconoscere
il nostro operato anche da questo versante“.
Si lamenta un disinteresse da parte dello Stato in materia di aiuto economico, pur essendo
richiesta l’attivitá dell’organizzazione nei momenti di emergenza del paese. E questo ha
portato l’organizzazione a sviluppare alcuni progetti di reddito indipendenti.
Le condizioni a Kragujevac non sono cambiate notevolmente, la transizione ha prodotto una
situazione economica difficile, in un solo anno abbiamo aiutato 60.000 persone. Il complesso
di lavorazione metallurgica è sempre in crisi. Tre anni fa una parte degli operai è stata
trasferita dalla '
Zastava'alla cosiddetta Associazione di educazione e occupazione, dove la
gente veniva pagata dallo stato 4-4.500 dinari al mese mentre aspettavano qualche
riqualificazione professionale. Sono sempre in attesa“
Viene richiesta una maggiore collaborazione con le istituzioni. “ Da tempo proponiamo un
coordinamento per le attività umanitarie, formato dai rappresentanti del Comune della città,
dalle istituzioni per la protezione sociale e dalle associazioni non governative”.
L’organizzazione si avvale di una banca dati, contenete i dati per ogni famiglia (tipo di
assistenza, cambiamenti, ecc) raccolti negli ultimi 10 aani, una sorta di anamnesi sociale.
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SERBIA
L’EUROPA RACCOMANDA
Stralci da CARDS SOCIAL SECXTOR STUDY, COUNTRY
REPORT 2005
La necessità di migliorare l’efficienza e la trasparenza nell’Amministrazione in campo
sociale sta diventando sempre di più una priorità per la Serbia. Le istituzioni del
settore sociale si trovano in uno stato difficile a causa della massiccia fuga di cervelli,
della politicizzazione e centralizzazione delle autorità nel decennio passato, dei
frequenti cambiamenti non trasparenti nei regolamenti e nelle istituzioni, delle
carenze nella pianificazione strategica e dell’abuso delle istituzioni statali ai fini
politici. L’effetto degli sforzi per l’attuazione delle riforme sino ad ora è stato al di
sotto delle aspettative. In particolare il mancato progresso nella ristrutturazione del
settore del terzo settore è motivo di serie preoccupazioni. Il sistema delle politiche
rimane molto frammentato, con bassi livelli di coordinamento interministeriale ed un
segretariato governativo prevalentemente amministrativo. Si registra anche
un’assenza critica rispetto alle competenze nel personale negli ambiti non dirigenziali
del settore del terzo settore.
Future politiche per l’impiego dovrebbero essere orientate verso lo sviluppo di un
mercato flessibile del lavoro capace di rispondere e di contribuire ad una
ristrutturazione economica. Una ulteriore modernizzazione del Repubblica dovrebbe
mirare a migliorare le sue capacità di orientamento e di tecnologia informativa, e
sviluppare nuovi sistemi di monitoraggio e valutazione. La promozione dell’economia
sociale come modello per future politiche sociali dovrebbe essere una priorità
orientata in particolare verso i rifugiati, le donne, i disabili ed altre fasce deboli.
Partendo da progetti pilota, l’Amministrazione dovrebbe imparare ad accrescere la
solidarietà e la coesione nella creazione di opportunità d’occupazione nei settori
dove le imprese non siano riuscite a ridurre la disoccupazione perchè in crisi.
Ulteriori riforme nel campo delle politiche educative dovrebbero migliorare l’accesso
all’educazione per i bambini appartenenti alle famiglie a basso reddito, per le famiglie
residenti nelle zone rurali remote, e per i gruppi appartenenti alle minoranze etniche.
Il miglioramento della qualità dell’educazione e la modernizzazione dovrebbero
essere una parte significativa nelle riforme successive. L’educazione secondaria
dovrebbe essere finalizzata ad incontrare la domanda del mercato del lavoro, e la
formazione professionale dovrebbe essere innovata per assicurare la qualità ed
essere rispondente alle domande dell’economia. Il sistema educativo dovrebbe
essere modernizzato per migliorare le competenze professionali basate su un
approccio aperto e costruttivo che gradualmente dovrebbe sostituire l’approccio
conservativo, nazionalista, xenofobo. Necessario anche un sistema adeguato nel
campo dell’informazione nel merito delle questioni sociali. Si dovrebbero prevedere
informazioni accurate, rapide e consistenti per implementare le politiche educative.
113
Questi programmi dovrebbero essere fortemente legati alla formazione della classe
dirigente per migliorare le sue competenze professionali in prospettiva di un governo
più efficace.
Il miglioramento complessivo dei servizi sanitari in base alla domanda degli utenti
dovrebbe essere basato su un cambiamento delle infrastrutture delle cure sanitarie a
differenti livelli. (…) Un miglioramento del sistema informativo che dovrebbe
provvedere statistiche adeguate, monitoraggio e valutazione sarebbe di grande
importanza ai fini di un’effettiva valutazione da parte dell’utente. Poiché molti
impiegati nell’amministrazione sanitaria non hanno sufficienti competenze gestionali,
si dovrebbe implementare l’educazione della gestione sanitaria. Organizzazioni nonprofit potrebbero avere un ruolo importante nel settore sanitario e dovrebbero essere
incoraggiate a svolgere programmi sanitari mirati in collaborazione con le istituzioni
pubbliche.
La riforma del settore abitativo nel quale sono presenti problemi risalenti al periodo
socialista dovrebbe essere orientata alla riduzione della mancanza degli alloggi,
specialmente nelle grandi città e nelle zone degradate. La riforma delle politiche
abitative dovrebbe essere rivolta ai gruppi deboli come ad es. i giovani, i subaffittuari,
i rifugiati, i Rom abitanti nelle baracche e nelle zone degradate delle grandi città.
Forme diverse di prestiti, banche etiche ed altre opportunità alternative dovrebbero
essere sviluppate per risolvere la mancanza degli alloggi sulla base di esperienze
europee e programmi di case popolari della regione.
Parallelamente alle riforme dei servizi sociali, una nuova strategia di protezione della
famiglia e dei minori dovrebbe essere parte integrante delle politiche sociali. Lo
scopo principale delle riforme in questo settore dovrebbe essere la costruzione di un
sistema efficace di protezione sociale e l’ulteriore approvazione di nuove leggi in
accordo con gli standard europei. Il gruppo bersaglio principale dovrebbero essere i
minori a rischio, i disabili, le famiglie disagiate con numerosi figli, i gruppi etnici
specialmente i Rom, i rifugiati ed gli espulsi costretti ad abbandonare le loro case per
cause politiche, e si dovrebbe prendere in considerazione la tratta delle persone, la
violenza e lo sfruttamento dei minori come nuovi problemi inerenti la famiglia ed la
protezione sociale. Ulteriori sviluppi dei servizi sociali dovrebbero essere orientati
verso lo sviluppo di protezione sociale comunitaria, mentre le riforme dovrebbero
continuare a promuovere il concetto di servizi sociali integrati, il rafforzamento e la
promozione di coesione sociale a livello locale.
Nel campo dei sussidi sociali le proposte principali dovrebbero essere indirizzate
verso la creazione di criteri di protezione sociale più efficienti nei quali i trasferimenti
mirati di denaro possano provvedere alla creazione di una rete di sicurezza sociale
per i cittadini più poveri e le fasce sociali più deboli. Occorre cercare nuovi criteri per
una migliore identificazione delle famiglie più disagiate, e stabilire una linea di
povertà non legata ai salari ma al consumo reale e ad altre misure per individuare
meglio le famiglie indigenti. Fermo restando che la preoccupazione di stabilire una
rete protettiva per i poveri dovrebbe essere un obiettivo del governo, la posizione
delle fasce deboli dipenderà dal processo di modernizzazione delle altre istituzioni
del settore sociale, soprattutto dai Centri del Lavoro Sociale ma anche dalle prassi
prevalenti del lavoro in rete con le altre istituzioni del terzo settore. Ulteriori sforzi
dovrebbero essere indirizzati verso lo sviluppo delle competenze gestionali ed alla
maggiore formazione degli amministratori.
In quanto parte integrale del processo di riforma nel sistema sociale, un’agenda di
riforme del sistema pensionistico dovrebbe essere orientata verso la sostenibilità del
sistema esistente insieme ad un’analisi attenta e critica della possibilità di introdurre
un sistema pensionistico a tre colonne con una seconda colonna obbligatoria con
114
fondi privati ed una terza colonna volontaria con fondi privati. La sostenibilità del
sistema pensionistico dipende non solo dalla situazione macroeconomia del paese,
ma anche dal miglioramento nella raccolta dei contributi. Un dialogo sociale
appropriato e trasparente dovrebbe essere ottenuto tramite uno sviluppo ulteriore di
capacità di negoziare collettivamente. Gli amministratori addetti al sistema
pensionistico dovrebbero migliorare le loro capacità professionali e gestionali mentre
un miglioramento del sistema informativo dovrebbe essere una prerogativa per
nuove prassi amministrative.
115
6* capitolo
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
In questo capitolo saranno sistematizzate le riflessioni e gli elementi utili emersi dallo
studio, nel tentativo di evidenziare e suggerire proposte formative.
Ci sembra innanzitutto opportuno evidenziare alcuni nodi di fondo, su cui,
successivamente, sarà possibile sviluppare in modo approfondito l’elaborazione dei
percorsi formativi.
Nel sud est Europa sono in corso importanti processi di trasformazione, indotti anche
dalla prospettiva di adesione dei Paesi dei Balcani occidentali all’Unione Europea e
di conseguenza, da parte di quest’ultima, da una transizione degli approcci verso tali
Paesi da una politica di stabilizzazione ad una politica di integrazione finalizzata alla
creazione di uno spazio comune.
Nel settore del Welfare la tendenza generale è quella di un progressivo
decentramento dei servizi verso i livelli territoriali, favorendo la crescita e
potenziando le capacità operative delle autonomie locali.
Si tratta cioè di avviare un processo fondamentale per favorire e accrescere la
partecipazione e il protagonismo dei cittadini e delle comunità, che vede, tuttavia,
ancora forti resistenze da parte dei governi centrali, tuttora dominanti nelle relazioni
tra i diversi soggetti istituzionali specie sulle questioni del controllo e dell’ autonomia
finanziaria.
Le Amministrazioni decentrate sembrano piuttosto permanere in una condizione di
sostanziale subordinazione rispetto al livello centrale, in un quadro complessivo di
scarsissime risorse finanziarie e in assenza di riferimenti normativi chiari e completi
relativi alla separazione tra le responsabilità di indirizzo politico, e di gestione.
I governi locali di conseguenza faticano a riconoscere e appoggiare le istanze della
società civile e dell’associazionismo.
L’associazionismo, molto attivo nelle tre realtà indagate, dipende in larga misura dai
finanziamenti internazionali. Sono rare le occasioni di relazioni costruttive con le
amministrazioni locali.
La prima considerazione riguarda i ruoli e le deleghe del livello centrale e della
struttura istituzionale decentrata dei Paesi presi in esame.
Nei tre Paesi, la struttura istituzionale locale presenta livelli politici differenti. Nel caso
dell’Albania, il governo locale si articola in Comuni (Komuna, in aree rurali) e Municipi
116
(Bashki, in aree urbane) e in Regioni. La Regione ha la responsabilità di realizzare
politiche comuni a tutte le unità di governo locale e di controllo e di coordinamento tra
i diversi Municipi. Le Regioni rappresentano il livello intermedio tra lo Stato ed il
governo locale.
Nel caso della Serbia, il livello intermedio tra lo Stato ed il Comune è rappresentato
dal Distretto, espressione diretta del governo centrale. La municipalità è l’unica forma
di governo locale elettivo, ed è organizzata a sua volta in “comunità locali”, luoghi di
partecipazione diretta dei cittadini. Il riferimento legislativo è la legge “sull’assistenza e
previdenza sociale dei cittadini” nella quale viene definito l’obbligo da parte del
governo centrale dell’attuazione dei diritti di interesse generale e l’obbligo per il
governo locale dell’assistenza alle famiglie e dell’accoglienza temporanea in Centri
specializzati. A livello locale opera il Centro per il lavoro sociale, un ente fondato
dall’assemblea municipale.
Nella Federazione della Bosnia ed Erzegovina, i 137 Comuni dipendono interamente
dai Cantoni. Ai Cantoni esistenti nella Bosnia ed Erzegovina, ciascuno con una
propria struttura governativa, sono delegate le funzioni di implementazione delle
politiche definite dalla legislazione vigente; il Municipio di Tuzla attua le attività sociali
attraverso i Centri per i Servizi Sociali, introdotti nel 2002 dall’Assemblea Cantonale
di Tuzla. Nel caso della Bosnia ed Erzegovina è da sottolineare l’eccessiva
frammentazione del livello centrale che evidenzia l’assenza di una politica centrale
identificabile in una legge, in un ministero titolare e in una suddivisione di poteri che
non esprima semplicemente una divisione del territorio su basi etniche. Qui la
questione del welfare necessita di una soluzione del problema di riconoscimento e
organizzazione del potere centrale e, come ricaduta,
la rivisitazione della
suddivisone del potere locale.
Sotto l’aspetto legislativo, solo l’Albania si è dotata di una legge sul decentramento
amministrativo dei servizi sociali che definisce chiaramente le responsabilità dei livelli
locali. In Serbia le responsabilità del livello locale sono definite dalla Costituzione.
L’approvazione della nuova Costituzione dovrebbe rendere pienamente esecutiva la
“Law on Local Self-Governement” approvata nel 2002. Nella Bosnia ed Erzegovina il
riferimento legislativo è la “legge per la protezione sociale, per la protezione delle
vittime della guerra civile e delle famiglie con figli”, approvata in Parlamento
nell’aprile 2002
Anche la questione delle risorse finanziarie, sembra confermare, in buona parte, la
dipendenza ed il controllo da parte del governo centrale.
I governi locali non dispongono, se non in minima parte, di risorse finanziarie proprie.
Le entrate fiscali sono sostanzialmente soggette al controllo da parte dello Stato. Le
competenze e l’operato dei governi locali sono sottoposti al controllo da parte delle
istituzioni centrali o delle istituzioni intermedie.
Il quadro delineato consente di evidenziare i principali nodi di fondo comuni, sia pure
con le differenze delle singole specificità, nei tre contesti sul processo di
decentramento.
Gli aspetti problematici più rilevanti riguardanti il livello locale sono rappresentati dai
rischi di scarsa ownerwrship, dallo squilibrio tra le competenze e le risorse finanziarie
disponibili, dall’assenza, ad eccezione della Bosnia ed Erzegovina di un livello
intermedio politicamente rilevante.
117
Un ulteriore aspetto problematico riguarda la debolezza dei livelli centrali.
Parallelo al processo di decentramento e indispensabile per la sua attuazione è il
rafforzamento del livello centrale. Infatti solo attraverso un più forte ruolo del livello
centrale, che sia capace di definire una strategia complessiva di sviluppo del Paese
ed una autonomia solidale dei livelli istituzionali territoriali, è possibile praticare con
efficacia la tutela e la diffusione dei diritti di cittadinanza, l’universalità dell’accesso e
della parità dei diritti.
Il decentramento amministrativo dei servizi sociali è un processo complesso che non
si esaurisce con il passaggio effettivo, sia pure fondamentale, dei poteri, delle
competenze e delle risorse dal livello centrale a quello locale. Esso presuppone la
presenza di reali meccanismi democratici, primo fra tutti la partecipazione e la
collaborazione dei cittadini, secondo il principio della sussidiarietà enunciato dal
Consiglio d’Europa (Strasurgo, European Charter of local self governement). Ossia la
suddivisione delle competenze tra Stato e governi locali (sussidiarietà verticale) e tra
Stato e società civile (sussidiarietà orizzontale), riconoscendo in tal modo ai cittadini
il ruolo di agenti della partecipazione e della trasformazione sociale.
La seconda considerazione riguarda la partecipazione. Cioè il riconoscimento delle
associazioni e dei gruppi di società civile come interlocutori fondamentali per le
amministrazioni centrali e locali, nella convinzione che solo un percorso condiviso, di
coinvolgimento, e di costruzione di una “rete” di relazione tra i livelli istituzionali e tra
questi e la società civile può produrre un’elaborazione e una pratica impegnata e
capace di generare cambiamenti effettivi.
Riguardo la società civile, può essere utile ripercorrere, in modo ovviamente sintetico
ed aperto, alcune caratteristiche essenziali e comuni ai tre contesti in esame, sia
pure nella diversità delle singole realtà e nella diversità dei percorsi storici e culturali.
.Durante i governi precedenti nei tre Paesi esistevano consistenti forme di
associazionismo e di lavoro volontario, emanazione diretta del sistema socialista
centralizzato che, con il passaggio al multipartismo, sono andate rapidamente a
scomparire. Nella fase immediatamente successiva si è assistito, in modo particolare
in Albania, al rifiuto di tutto ciò che pretendeva la partecipazione e la condivisione, in
quanto interpretato e recepito come nuova forma di “volontariato obbligatorio” e, di
conseguenza, respinto.
Solo il passare del tempo ha restituito dignità alle forme di organizzazione
associativa e quindi alla nascita di associazioni e gruppi di volontariato fortemente
impegnati sui temi delle lotte per i diritti umani, prime fra tutte le questioni di genere.
Successivamente, i programmi ed i consistenti finanziamenti per la ricostruzione resi
disponibili dalla comunità internazionale, uniti ad una sostanziale emarginazione da
parte dei propri governanti, alla perdita di competenze e all’indebolimento del potere
decisionale da parte delle istituzioni, hanno operato una ulteriore trasformazione del
mondo associativo.
Le associazioni sono diventate Ong, Molte delle associazioni impegnate nel campo
dei diritti si sono trasformate in organizzazioni non governative cioè, in enti impegnati
in programmi finanziati dalle agenzie internazionali di cooperazione
Il risultato offre una duplice lettura. Se da un lato le Ong hanno acquisito notevoli
capacità, tanto sul piano delle competenze quanto su quello manageriale, di contro
118
sembrano inevitabilmente, più attente alle priorità dei
internazionali che alle priorità del proprio specifico contesto.
cosiddetti
donatori
Ne deriva una maggiore distanza ed una sostanziale sfiducia verso le istituzioni ed
una minore attenzione sulle capacità, proprie dell’associazionismo, di aggregazione
civile e sociale.
La cooperazione internazionale riveste utilità sul piano della lotta contro la povertà,
ma spesso i diversi e numerosi attori della cooperazione internazionale perseguono
politiche che propongono linee strategiche e metodologiche fra di esse non sempre
coerenti. L’assenza di coordinamento produce forti rischi di dispersione, di
sovrapposizione e di scarsa integrazione.
Ne consegue che spesso, anche le migliori iniziative, risultano inserite in una cornice
di occasionalità che non produce e non avvia processi di cambiamento e di sviluppo
duraturi, e non entra in sintonia con l’insieme dei soggetti del territorio dei paesi
destinatari dell’intervento.
Le politiche sociali, gestite in termini emergenziali, non coordinati e, spesso, in una
logica di sostanziale buonismo, presentano gravi rischi anche sul piano del ruolo
politico delle associazioni poiché è l’associazionismo stesso, nel suo complesso, ad
assumere in tal modo la valenza di appendice meritevole a cui delegare alcuni
problemi, senza riconoscere al suo operato una identità, una dimensione ed un
significato in termini culturali e di crescita sociale.
Il valore della partecipazione nel processo di decentramento amministrativo dei
servizi sociali contrasta con tali pratiche. Occorre avere presente che la
partecipazione non è, semplicisticamente, una questione di razionalizzazione o di
mera riorganizzazione.
Per la costruzione di un nuovo welfare occorre far crescere una alleanza politica con
la società civile attraverso la costruzione e la diffusione di un progetto comune che
sappia comunicare una prospettiva. Quella prospettiva che limiterebbe, per esempio,
la fuga di tanti giovani, uomini e donne, che altro non è che una fuga dall’incertezza e
dalla mancanza di prospettive, dalle deprivazioni esistenziali prima ancora che
economiche.
Occorre avere presente che la ricostruzione istituzionale e la governance non
possono prescindere dal contributo dei propri cittadini e dalla valorizzazione del
proprio tessuto sociale, culturale ed economico.
Si rende dunque necessario un passaggio da un sistema prevalentemente pubblico
secondo una certa angolazione, o prevalentemente privato secondo un’altra, ad un
sistema misto che vede l’operare in tandem dei servizi pubblici e delle organizzazioni
private secondo una logica di collaborazione in base al principio di sussidiarietà.
Occorre favorire una dinamicità del settore non profit anche nei Balcani
introducendo un sistema che veda come protagonista la pluralità di organizzazioni e
forme giuridiche conseguenti e che preveda la coesistenza di ruoli diversificati: dalla
advocacy, ossia la tutela di particolari categorie e di diritti, alla redistribuzione di flussi
di risorse finanziarie verso destinazioni d’uso giudicate socialmente utili, alla
produzione diretta di servizi sia sociali che assistenziali fino ad arrivare all’impresa
sociale, spesso invocata da chi in quei paesi, oggi lavora nel campo sociale.
119
La definizione di impresa sociale implica un approccio economico al non profit,
accomunando uno spirito imprenditoriale con un fine sociale, coniugando la
produzione di servizi socialmente utili alla comunità, con autonomia, assunzione del
rischio e propensione all’innovazione.
Anche qui, è possibile rintracciare gli elementi problematici più rilevanti relativi alla
reale partecipazione dei cittadini nei processi di decentramento in atto nei tre Paesi.
Innanzitutto l’assenza di uno strumento legislativo che favorisca la nascita e lo
sviluppo dell’associazionismo no-profit e che introduca facilitazioni fiscali; la creazione
di un sistema di relazioni per il coordinamento con la società civile tale da affrontare in
modo coordinato ed organico le questioni del territorio; normative, accordi, protocolli
d’intesa e definizione degli standard di qualità; creazione di una banca dati sui bisogni
e sugli attori del territorio; ed infine, la creazione di un sistema di relazioni per il
coordinamento interistituzionale tra i diversi dipartimenti.
I dati e le riflessioni emerse dalla ricerca delineano un quadro in cui la strada da
compiere sembra ancora piuttosto lunga anche se, è bene ricordarlo, i tre Paesi
hanno attraversato momenti assai difficili e complessi e la fase di ripresa è tutt’ora in
corso.
Va inoltre ricordato che per i tre Paesi il processo di riforma del welfare è appena
iniziato e che tale cambiamento investe significativamente tanto la sfera culturale
quanto quella delle competenze e delle capacità.
Un cambiamento molto complesso, che richiede inoltre nuove competenze e nuovi
profili professionali.
In tale dinamica sono coinvolti tutti coloro che operano nel settore istituzionale, nel
settore pubblico e nel settore privato.
Numerose azioni formative per il rafforzamento delle capacità di analisi, di
pianificazione e di management sulle politiche sociali, sono state promosse negli
ultimi anni, dai diversi soggetti della cooperazione internazionale impegnati nel Sud
Est Europa, contribuendo ad accrescere interesse e favorendo, attraverso approcci
e modalità anche molto diverse tra loro, la riflessione e la discussione sulle
tematiche del welfare.
Senza dunque negare gli sforzi fin qui compiuti nella identificazione e realizzazione di
azioni formative, crediamo tuttavia, che la questione della formazione debba essere
oggi, maggiormente inquadrata sulla questione del metodo.
Se infatti è cresciuta l’attenzione, la consapevolezza e la conoscenza sul welfare, è’
tuttavia necessario riconoscere la difficoltà diffusa e manifesta, da parte di tutti gli
attori coinvolti, nel rendere concretamente operativi e praticabili i saperi e le
conoscenze acquisite. E’ dunque ancora necessario rafforzare la capacità,
soprattutto a livello istituzionale, centrale e locale, di elaborazione, di analisi e di
soluzione dei problemi,
Crediamo che sia necessaria l’elaborazione di un nuovo progetto formativo, tale da
completare l’apprendimento fin qui proposto. Un nuovo progetto formativo che possa
rispondere adeguatamente all’esigenza di verificare e di sperimentare nel concreto la
soluzione di problemi attraverso l’elaborazione e l’analisi delle informazioni, delle
situazioni, delle problematiche e delle implicazioni possibili.
120
Si tratta di un differente approccio didattico che vuole puntare sulla costruzione
dell’apprendimento attraverso la sperimentazione, attraverso cioè la pratica concreta
di lavoro, affinché sia possibile valutare e rimodellare, in un quadro autonomo,
creativo e originale, il bagaglio del sapere teorico.
Crediamo che sia necessario lavorare su due livelli. Insistere, da un lato, sulla
formazione teorica e di laboratorio, per favorire, stimolare e fare emergere pareri e
opinioni spontanei dai soggetti coinvolti rispetto ad argomenti prestabiliti. Dall’altro,
sviluppare parallelamente, percorsi di lavoro guidati, finalizzati alla costruzione
progressiva di soluzioni concrete, realmente incisive e realmente capaci di generare
cambiamenti effettivi.
Particolarmente rilevante sarà l’organizzazione di stages, in Italia e in loco, presso
istituzioni, servizi locali ed organizzazioni che operano nell'
ambito del welfare, di fasi
di lavoro di accompagnamento ed affiancamento finalizzate all’apprendimento
guidato del personale delle istituzioni, dei servizi locali e delle organizzazioni.
Un ulteriore elemento di forte valenza formativa e’ rappresentata dalla possibilità di
favorire, attraverso la stessa modalità dello stage, occasioni di scambio e di
confronto diretto, tra le esperienze in corso nei Paesi dell’area balcanica.
Il nuovo progetto formativo dovrà inoltre tenere conto dell’importanza e della
necessità di rendere maggiormente partecipato e partecipativo il percorso formativo
e di favorire la produzione, la diffusione e la circolazione delle informazioni e del
materiale di documentazione nazionale ed internazionale, inerente la tematica dl
welfare.
E possibile prevedere, ad esempio, la costituzione di gruppi di lavoro permanenti, a
livello locale, che coinvolgano soggetti pubblici e privati, istituzionali e non, che si
occupano di welfare, all’interno dei quali sia possibile condividere, elaborare, e
diffondere le informazioni disponibili e quelle emerse nel corso delle sessioni
formative realizzate e dove sia contemporaneamente possibile elaborare e
sviluppare proposte di contenuto e di metodo sulle sessioni formative da realizzare.
Quanto sin qui descritto prefigura l’avvio un percorso formativo, tanto ambizioso
quanto necessario, che possa far crescere una nuova cultura basata sulla
consapevolezza del Welfare inteso come fattore di sviluppo, e del decentramento
come elemento fondamentale della governance democratica.
Un percorso complesso in cui crediamo che gli enti decentrati italiani possano
svolgere un ruolo strategico e innovativo. Dalla capacità di comprendere i processi
sociali e le complesse dinamiche che caratterizzano le singole società, alla capacità
di proporre una pratica innovativa del fare cooperazione, intesa come laboratorio per
lo scambio dei saperi, per la messa in rete tra territori, soggetti e pratiche e come
laboratorio per la costruzione di partenariati
L’elemento innovativo della cooperazione decentrata e dei partenariati è infatti la
capacità di sollecitare coinvolgere e raccordare i soggetti e le esperienze del proprio
territorio e la capacità di creare sinergie tra queste e quelle omologhe dei Paesi
partner, tanto sul piano istituzionale quanto su quello sociale.
Crediamo che l’intesa che nasce dall’incontro diretto delle realtà locali, basato sulla
reciprocità, sullo scambio dei saperi, delle esperienze e delle culture, produce
integrazione e interscambio, determinando un effettivo e reciproco cambiamento.
121
Crediamo infine che la cooperazione decentrata ed i partenariati possano
efficacemente contribuire alla promozione di una ricerca culturale autentica che sia in
grado di dare ai soggetti protagonisti della società civile democratica strumenti adatti
ad affrontare e leggere le difficoltà, le quali, non hanno ovviamente solo dimensioni
economiche, ma coinvolgono direttamente anche il senso e la percezione del se’
come individui e come popoli.
122
7* capitolo
SEMINARIO SULLA PROMOZIONE DI POLITICHE DI PARI
OPPORTUNITÀ – FORLI’ 27/31 MAGGIO 2005
A Forlì, dal 27 al 31 maggio 2005 si è svolto il seminario sulla promozione di politiche
di pari opportunità organizzato all'
interno del percorso formativo promosso dal
progetto NEW.
Vi hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni centrali e periferiche di ciascun
paese partner ed inoltre rappresentanti dell'
associazionismo femminile locale.
Nel corso del programma una specifica sessione formativa è stata dedicata alla
discussione sugli esiti emersi dalla presente ricerca,allora in via di completamento.
In particolare i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi su base nazionale e
ciascuno di essi è stato invitato a commentare le schede di seguito riportate,
ciascuna delle quali introdotta da un semplice quesito del tipo: "Quale dovrebbe
essere il ruolo del livello centrale?" "Quale dovrebbe essere il ruolo delle istituzioni
locali?", "Come promuovere la partecipazione di tutti i soggetti del territorio?", "Come
favorire la collaborazione tra pubblico e privato?", ecc. L'
articolazione delle possibili
risposte ai quesiti posti ha permesso di svolgere, all'
interno dei gruppi, un prezioso
lavoro di approfondimento e confronto di cui si trova traccia nelle schede riportate nel
presente volume.
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testo della ricerca - Provincia di Forlì