RICERCA SULLE POLITICHE DI WELFARE NEI PAESI PAO a cura di Stefania Servidio con la collaborazione di Carmen Bertolazzi 1 PREFAZIONE RICERCA SULLE POLITICHE DI WELFARE NEI PAESI PAO REALIZZATA NELL’AMBITO DEL PROGETTO N.E.W.- INTERREG IIIA L’obiettivo del progetto N.E.W. è quello di sostegno e rafforzamento delle capacità degli operatori pubblici e privati nel settore dei servizi sociali tanto da un punto di vista della programmazione, della definizione degli standard, della capacità di identificazione e mappatura dei bisogni quanto sotto l’aspetto delle capacità concrete di realizzazione e gestione dei servizi sociali. Partendo da tale presupposto e dalla necessità di acquisire dati e informazioni sulle dimensioni e sulle caratteristiche dei servizi sociali e sulle politiche esistenti in materia di welfare nei Paesi partners, è stata affidata la realizzazione della ricerca con lo scopo di: • Acquisire informazioni utili sulle politiche e sulle normative esistenti in materia di welfare nei Paesi partner • Contribuire a creare una rete di scambi sulla tematica del welfare • Identificare i soggetti pubblici e privati che partecipano al processo formativo. Lo studio, che qui si presenta, realizzato dalla dott.ssa Stefania Servidio, è una raccolta: di interviste ad amministratori ed operatori pubblici e privati che operano nel sociale; di studi di caso particolarmente significativi per la realtà sociale indagata. Lo studio non pretende di essere esaustivo ma uno strumento di lavoro e di riflessione per tutti gli operatori che realizzano interventi sociali. Il materiale raccolto nell’anno 2005 analizza le realtà sociali dei paesi PAO partner di progetto (Albania, Bosnia, Serbia). L’obiettivo è quella di fornire alla Provincia di Forlì-Cesena così come al Comune di Forlì e alle Province di Rimini, Ravenna e Ferrara (partner italiani del progetto) elementi di valutazione dei bisogni degli operatori, utili per la programmazione puntuale delle attività previste nel progetto N.E.W. Alcuni elementi emersi dall’indagine sono degni di particolare attenzione. Innanzitutto la considerazione che “la ricostruzione istituzionale e la governance non possono prescindere dal contributo dei propri cittadini e dalla valorizzazione del proprio tessuto sociale, culturale ed economico”. L’esperienza di amministratori nel campo delle politiche sociali, permette di affermare che il coinvolgimento delle varie istanze (privato sociale, volontariato, cooperazione, ecc..) di una comunità locale, facilita e orienta le istituzioni nel raggiungimento dell’obiettivo di creare una rete di protezione sociale e di tutela dei cittadini. Preme altresì sottolineare che la costruzione di tale rete non può prescindere dall’esigenza di coordinare le risorse verso obiettivi comuni e di integrare le diverse politiche: del lavoro, dell’istruzione, della sanità, ecc.. Infine la constatazione che “è accresciuta l’attenzione, la consapevolezza e la conoscenza del welfare,…ma è ancora necessario rafforzare la capacità, soprattutto a livello istituzionale, centrale e locale, di elaborazione, di analisi e di soluzione dei problemi”, dimostra quanto le attività messe in campo, non solo da questo progetto europeo ma anche da altre iniziative di cooperazione internazionale, abbiano raggiunto buoni risultati e pertanto l’auspicio è di proseguire in tale direzione. 2 Si ringraziano sentitamente tutti gli amministratori, gli operatori ed i collaboratori (intervistatori, traduttori, ecc..) che hanno partecipato alla realizzazione della ricerca. Alberto Manni Loretta Bertozzi Assessore al Welfare, Sicurezza dei cittadini e del territorio Provincia di Forlì-Cesena Assessore al Welfare Comune di Forlì 3 1* capitolo Presentazione L’idea di partenza è stata quella di intraprendere un viaggio in tre paesi dell’area balcanica, l’Albania, la Bosnia ed Herzegovina e la Serbia, per conoscere la realtà sociale esistente e per raccogliere idee e proposte sul welfare, nella prospettiva futura di ingresso nell’ Unione Europea. Il lavoro di questo studio è stato promosso nell’ambito del progetto INTERREG, Net Europeo di Welfare – N.E.W. - in corso di realizzazione da parte della Provincia di Forlì–Cesena e del Comune di Forlì ed in collaborazione con le amministrazioni di Ferrara e Ravenna e della Regione Emilia Romagna. Il programma coinvolge cinque municipalità dei tre Paesi dell’area balcanica: Scutari ed Elbasan in Albania, Novi Sad e Kraguievac in Serbia e Tuzla in Bosnia ed Herzegovina per la realizzazione di azioni formative sulle tematiche del welfare allo scopo di promuovere il rafforzamento istituzionale, la creazione di reti e l’armonizzazione dei sistemi. L’indagine è stata pensata come supporto alla scelta dei percorsi formativi da individuare e realizzare all’interno del programma New. L’indagine tiene anche conto che nei tre Paesi, seppur con notevoli differenze nel passato e nel presente sia dal punto di vista politico che economico, sono in corso processi di sviluppo che interessano direttamente le politiche del welfare e che i tre Paesi sono interessati all’ingresso nell’Unione Europea, rendendo obbligatorio affrontare il tema delle politiche e dei servizi sociali Il fatto infine, che questo cammino venga proposto e realizzato dalla Rregione Emilia Romagna e dai soggetti del suo territorio non è certo casuale essendo da tempo impegnata sui temi del welfare nell’area balcanica. 4 Nei tre Paesi, caratterizzati da un lungo periodo di economia comunista, si assiste oggi al passaggio al libero mercato e ciò comporta, sul piano delle politiche sociali, processi di riforma dei servizi sociali e della loro gestione. Diversi, ovviamente, sono i contesti e diverse sono le forme, gli approcci e le riflessioni attraverso le quali sono state avviate le esperienze di welfare. L’indagine si è proposta proprio questo scopo: focalizzare i variegati e differenziati processi di riassetto in corso, i percorsi storici, i progetti in via di realizzazione, le sperimentazioni, le proposte di singoli e di gruppi, con l’obiettivo di fornire una fotografia dell’esistente, per identificare i bisogni formativi dei soggetti pubblici, istituzionali e del privato sociale. Il viaggio nel welfare dei tre paesi è stato possibile grazie alla collaborazione di ricercatori locali, spesso direttamente impegnati in ong e nella pratica quotidiana del sostegno alle persone in difficoltà. Si è cercato di fornire informazioni generali sul paese e sulle città campione; alcuni dati e statiche contribuiscono a collocare i luoghi in un contesto internazionale, e a confrontare parametri locali con i nostri. La storia, le politiche, le legislazioni, e le aspettative, sono oggetto di interviste a testimoni in grado di fornire al lettore una visione oggettiva del tema, oltre a intuizioni e letture personali. Per alcuni dei testimoni scelti si è trattato anche di un viaggio a ritroso, verso il passato, per analizzare le radici di un tema, quello della fragilità nel vivere quotidiano, che è sempre esistito, anche nella negazione dettata dall’ideologia. Il viaggio continua immergendosi nei progetti, nelle strutture pubbliche e delle ong che quotidianamente affrontano i bisogni delle persone in difficoltà. A loro abbiamo chiesto una fotografia del proprio lavoro, e di identificare i punti di debolezza e le necessità a cui tentare di rispondere a livello formativo. . E’ sembrato importante riportare anche i risultati di un workshop realizzato nella città di Forlì che ha visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni e della società civile organizzata dei tre Paesi. Il tema del workshop centrato sulla percezione del processo di riforma del welfare necessario nei tre Paesi, ha offerto spunti interessanti in una successione di analisi dei punti nodali del processo tanto sui livelli istituzionali, centrale e locale quanto sulla complessa dinamica della partecipazione dei privato sociale. Il viaggio si conclude e offre spunti di discussione e di riflessione. Tenendo in considerazione che si tratta di tre paesi e dunque di realtà sociali, culturali, politiche, geografiche e demografiche assai diverse tra loro, è stato tuttavia possibile fare una comparazione e rintracciare le caratteristiche comuni, fornendo elementi utili, sia per una discussione generale che per il percorso formativo nell’ambito del Welfare avviato dai tre paesi dell’area balcanica supportati dal partner italiano. 5 2* capitolo METODOLOGIA Paesi e Località Lo studio ha interessato tre Paesi dell’area balcanica; l’Albania, la Bosnia e la Serbia. Le località prese in esame sono quelle, dei tre Paesi, già partner del progetto N.E.W. In Albania la ricerca ha interessato le municipalità di Elbasan e di Scutari; in Serbia sono state esaminate le realtà di Novi Sad nella Vojvodina e di Kraguievac; in Bosnia, la città di Tuzla ed il Cantone di riferimento. I tempi L’indagine è stata programmata nell’autunno del 2004, nel corso delle riunioni che hanno dato avvio alle attività del progetto N.E.W. Nel mese di Ottobre è stato predisposta una traccia del disegno dello studio comprendente i contenuti, tempi e la metodologia di lavoro. Nel mese di Novembre sono stati elaborati i questionari per la realizzazione delle interviste da realizzare sul campo ed è stata realizzata una prima missione nei tre Paesi per identificare i gruppi di ricercatori locali che hanno svolto il lavoro di campo fino al mese di Aprile. Tra la fine del mese di Febbraio e l’inizio del mese di Marzo 2005 è stata realizzata una seconda missione nei tre Paesi, finalizzata alla verifica del lavoro di campo. La verifica è stata svolta anche attraverso la realizzazione dei primi focus group. I mesi successivi, fino a maggiosono stati utilizzati per la raccolta delle informazioni prodotte dal lavoro di campo, per una prima stesura delle singole relazioni ed infine per una ulteriore verifica sui dati raccolti. Anche in questo caso la verifica è avvenuta attraverso l’utilizzo della metodologia del focus group organizzato nell’ambito della sessione formativa prevista dal progetto N.E.W, a Forli’ (maggio 2005), che ha visto la partecipazione dei tre Paesi balcanici. I mesi di giugno e di luglio 2005 sono stati utilizzati per la stesura definitiva dello studio. Metodologia L’analisi delle politiche sociali esistenti nei tre Paesi dell’area balcanica ammetteva approcci differenti che sono stati presi previamente in considerazione e valutati sulla base dei materiali di documentazione esistente. La prima scelta da operare riguardava la metodologia stessa. In via teorica lo studio avrebbe dovuto ruotare intorno alla documentazione esistente in merito alle politiche di welfare in tre Paesi balcanici, l’Albania, la Serbia e la Bosnia. E’ stata però sufficiente una prima verifica per accertare che assumendo questo taglio, lo studio avrebbe sofferto di limiti tanto gravi ed evidenti da togliere in buona misura la sua significatività. In primo luogo, è apparso chiaro che il peso specifico del materiale esistente sarebbe stato insufficiente ad una analisi approfondita sui bisogni formativi. In secondo luogo, lo stesso materiale si sarebbe caratterizzato inevitabilmente per la sua ripetitività e avrebbe perciò offerto un quadro poco significativo per poter delineare le caratteristiche dei bisogni formativi. Infine, la specializzazione 6 dell’argomento avrebbe impedito alla ricerca di seguire e commentare la ricchezza dei riferimenti contestuali. Per tutti questi motivi si è proceduti alla scelta di realizzare un’indagine sul campo attraverso l’analisi di studi di caso realizzati sulla base di interviste aperte. Per facilitare le interviste è stato elaborato un questionario, un elenco di domande come supporto all’intervistatore per la raccolta dei dati e delle informazioni necessarie per verificare i livelli gestionali, organizzativi ed operativi delle strutture, pubbliche e private, dei tre Paesi che si occupano di servizi sociali. A conclusione delle interviste, si è proceduti alla organizzazione di focus group per completare ed integrare le informazioni raccolte attraverso il confronto diretto tra più opinioni; una sorta di intervista di gruppo, e un’osservazione fatta su un gruppo di soggetti. Per completezza dell’informazione si è proceduti infine ad interviste a testimoni privilegiati e all’analisi della documentazione esistente. Selezione delle strutture esaminate Ovviamente il criterio principale è stato quello del carattere specialistico della struttura sia essa istituzionale sia privata, nel campo delle politiche e dei servizi sociali. Oltre ai dipartimenti preposti alle politiche sociali delle istituzioni locali decentrate, si è trattato dunque di scegliere tra le associazioni che operano nel settore, nelle città target della ricerca. Nella selezione sono stati privilegiati quei soggetti pubblici e privati che si occupano in maniera specifica di donne e di minori; che fossero rappresentativi, per dimensione e prestigio, delle realtà territoriali .Si è inteso, infine, adottare un criterio selettivo che salvaguardasse la diversità dei soggetti, lo stile di lavoro, l’ispirazione religiosa o meno. Periodo preso in esame La necessità di verificare i bisogni formativi in tema di welfare ha reso la scelta obbligata. Per quanto riguarda gli studi di caso si è fatto riferimento esclusivamente alle esperienze in corso. Interesse e completezza della ricerca hanno suggerito comunque l’analisi storica e diacronica per permettere di conoscere l’evoluzione delle politiche sociali nei tre Paesi. Un fattore importante per comprendere le difficoltà, i ritardi e gli approcci esistenti sulla materia e per comprendere e contestualizzare le informazioni delle interviste. L’analisi storica ha preso in esame l’evoluzione delle politiche sociali nei tre Paesi, a partire dall’organizzazione esistente durante il periodo comunista. Per i tre Paesi dunque, l’analisi dei cambiamenti sui percorsi di welfare ha riguardato gli ultimi 50 anni. Tecniche di analisi e struttura della ricerca. Gli studi di caso Per la preparazione delle interviste si è proceduti alla individuazione delle principali aree problematiche che debbono presiedere, in via presuntiva, alla introduzione, descrizione e commento delle informazioni sulle politiche di welfare e ad un suo 7 corretto inserimento nel più vasto contesto descrittivo, lasciando comunque libero l’intervistatore di soffermarsi maggiormente su una parte piuttosto che su sezioni non particolarmente recepite. La traccia di domande è stata molto ampia e riguardava : o informazioni sulla struttura, pubblica o privata - informazioni inerenti al personale che opera nella struttura o condizioni strutturali, fisiche e antropiche, del contesto territoriale nel quale la struttura opera. o utenza, cioè coloro ai quali la struttura si rivolge nella erogazione dei servizi o informazioni su due categorie particolari di utenza, i giovani e le donne, selezionati come campione privilegiato o metodologie di lavoro della struttura, per descrivere le modalità, l’organizzazione, il metodo con cui vengono identificati i bisogni, effettuata la programmazione, erogati i servizi o collaborazione e coordinamento, per indagare i rapporti tra pubblico e privato, l’esistenza o meno di forme di welfare mix. I focus Group I focus group, sono stati realizzati in una fase successiva, coinvolgendo gli stessi soggetti intervistati nella fase degli studi di caso, per valutare le reazioni alle domande ed i processi cognitivi che possono influenzare i partecipanti. I focus group hanno inoltre teso a dare ai soggetti studiati la possibilità d’intervenire attivamente nella ricerca; a sviluppare nuove ipotesi; scoprire a quali altri soggetti sarebbe utile rivolgere l’intervista; valutare i problemi di non risposta. I focus group consentono inoltre il confronto tra più opinioni e di conseguenza la possibilità di verificare il significato dato dagli intervistati a domande che si sono rivelate ambigue; di verificare le risposte e di interpretarle nel modo più esatto possibile ed infine, di approfondire le informazioni ottenute. Le Interviste ai testimoni privilegiati E’ stata utilizzata, ai fini dell’indagine, oltre agli strumenti tipici della ricerca, la tecnica dell’intervista focalizzata, intesa sia come strumento di rilevazione di dati strutturati e percezioni soggettive, sia come ulteriore strumento di riflessione sul welfare. Anche in questo caso è stata utilizzata una scaletta di domande come traccia. L’ analisi dei documenti Una fonte molto importante di dati è l' analisi dei documenti che contengono informazioni sulle normative, e sulle evoluzioni delle politiche di welfare. I documenti presi in esame sono di tipi molto diversi; normative, testi di legge, rapporti, pubblicazioni, articoli, relazioni. 8 Stesura L’ultima scelta da compiere riguardava lo stile della scrittura dell’indagine. Si trattava di scegliere tra la compilazione di un testo disciplinato nel riportare i risultati dello studio con riferimenti a tabelle e grafici oppure, di realizzare un testo di tipo discorsivo ma anche narrativo che consentisse una lettura destinata anche ai non addetti ai lavori e dunque più efficace. Si è optato per questa seconda scelta, cioè lo stile narrativo che ha significato mettere in ordine i concetti in forma scorrevole e rendendo possibile l’esprimersi ed il comunicare in maniera semplice ma nello stesso tempo ricca ed efficace. Per gli studi di caso, in particolare, lo stile narrativo ha consentito la descrizione di esperienze fondate su argomenti e legami di vita trasformando i fatti in notizie senza ovviamente operare alcuna deformazione nei contenuti. 9 3* capitolo ALBANIA Uno sguardo sulla questione sociale L’Albania ha una popolazione di circa tre milioni di abitanti su una superficie di 28.748 kmq. E’ un paese molto giovane con un’età media di 31,7 anni, con il 29,3% della popolazione al di sotto dei 14 anni e circa la metà sotto i 25 anni. Negli anni si è assistito a migrazioni di massa verso l’estero e a consistenti movimenti interni di popolazione che ne hanno modificato la distribuzione nelle regioni. I distretti del nord hanno perso popolazione e, mentre i dati relativi al 1989 contavano una percentuale di popolazione urbana del 35,8%, nel 2004 si registrano valori del 45%. Processi di incontrollata urbanizzazione hanno portato i nuovi cittadini ad installarsi nelle aree cosiddette “informali” prive di infrastrutture, scuole e servizi di base sanitari e sociali Il 1991 è stato un anno determinante per la storia dell’Albania: iniziarono una serie di radicali cambiamenti che fecero uscire il paese da un periodo di totalitarismo e isolamento durato oltre 50 anni. Attualmente sta attraversando una lunga e faticosa transizione e questi anni sono stati caratterizzati da profonde riforme economiche, politiche e sociali allo scopo di cambiare radicalmente la vita del paese, considerato dalle statistiche europee il più povero d’Europa. L’Albania, come stabilito dalla riforma amministrativa del territorio avviata nel 1992 e completata nel 2000, è suddivisa in 12 regioni (Qarku) composte da 36 distretti (Rrethi). La riforma di decentramento territoriale tiene conto dell’adesione del paese alla Carta Europea per l’Autonomia Locale. Gli enti di governo locale di base sono le municipalità nelle aree urbane e i comuni nelle aree rurali, guidati da sindaci eletti con voto diretto ogni 3 anni. Ad essi, secondo la legge del 2000, spettano le competenze nel campo delle infrastrutture, dei trasporti, dei servizi pubblici, dell’urbanistica, dei servizi sociali, della cultura e sport, dello sviluppo economico locale, dell’educazione, dell’ambiente, della sanità e dell’autonomia tributaria e fiscale. Se progressi evidenti dal punto di vista del decentramento si sono registrati nei settori dei servizi pubblici, dei trasporti, delle infrastrutture, della cultura e dello sport, per il resto si può parlare di un parziale processo. In particolare la difficile gestione dell’autonomia tributaria e tariffaria ha limitato la possibilità degli enti locali di raccogliere risorse a livello locale. Il distretto è una semplice unità territoriale che ospita organi amministrativi sia governativi che regionali preposti alla raccolta di dati statistici e alla gestione di servizi statali decentrati in diversi settori: educazione, sanità, ordine pubblico, servizi per l’impiego, giustizia, etc. Le regioni, costituite generalmente da due a quattro distretti ciascuna con una popolazione media di 266.000 abitanti, hanno il compito di creare politiche regionali armonizzate con quelle nazionali; possono inoltre assolvere a funzioni concordate con gli enti locali di primo livello o delegate dal governo con legge. Nonostante gli sforzi normativi, la regione non ha ancora trovato il proprio ruolo e non è stata capace di esercitare la 10 propria autorità perché manca di un chiaro mandato elettorale e di competenze specifiche, risorse e proprietà. Raggiungere gli standard europei è uno degli obiettivi del sistema giuridico albanese, in previsione di un futuro ingresso nell’Unione Europea. A partire dagli anni novanta il paese ha aderito alle più importanti convenzioni internazionali e ha avviato una serie di misure legislative e normative nei diversi settori. In particolare nel settore delle politiche sociali e della lotta alla povertà sono stati avviati programmi in collaborazione con organismi internazionali (Unione Europea, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Nazioni Unite, etc) e partenariati bilaterali. Fino ai primi anni ‘90 in Albania non esisteva l’espressione “politiche sociali”, perché tutto ciò che interessava la persona e i suoi bisogni sociali era gestito dallo Stato. Era strutturato in maniera estremamente burocratica ed ideologica, ed era preposto a provvedere a tutti i bisogni dei cittadini. Questo non vuol dire che non esistessero delle politiche sociali, ma erano intese in un senso puramente strumentale al fine di rafforzare l’ideologia marxista-leninista del regime. Durante il periodo di Hoxha, i servizi erano offerti gratuitamente e indistintamente a tutti i cittadini. Uomini e donne avevano un lavoro assicurato, non esisteva la disoccupazione e quindi i problemi sociali di diretta derivazione. Si tratta di un aspetto da sottolineare se si vuole capire come oggi l’assenza di lavoro e la scelta verso l’emigrazione abbiano completamente stravolto la società albanese modificando sostanzialmente i bisogni e i disagi delle persone. Le “politiche familiari” al tempo del regime, incentivavano le coppie ad avere molti figli, simbolo del futuro dell’Albania. Erano previsti aiuti statali per le famiglie numerose, soprattutto se residenti nelle zone rurali e isolate, sotto forma di alcuni benefici quali il frigorifero, la lavatrice, la mucca, oppure la garanzia della pensione anticipata per le madri. La politica degli alloggi era gestita dai consigli e dai comitati di quartiere, obbligati ad assicurare un tetto a tutti i loro cittadini. Gli alloggi erano costruiti “volontariamente” dal popolo, in quanto gli stessi costruttori cercavano di assicurarsi la possibilità di abitarvi. Questo meccanismo ha reso possibile la realizzazione di molti palazzi in Albania, ma non ha mai risolto il problema dell’alloggio per la totalità della popolazione. Le case costruite rimanevano comunque di proprietà dello Stato e i cittadini, dopo averle realizzate, erano tenuti a pagare un affitto. La politica del lavoro durante il regime prevedeva l’assegnazione di un’occupazione a tutta la popolazione in età lavorativa. Veniva così annullato il concetto di mercato del lavoro e di conseguenza la disoccupazione. I servizi considerati di utilità sociale, rivolti alla popolazione, si limitavano alla gestione degli orfanotrofi e degli ospizi per anziani, mentre gli ospedali psichiatrici erano considerati servizi sanitari. Non esisteva il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali in quanto non vi era alcun servizio da erogare. In verità la vita degli albanesi era molto povera, non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale. Il regime costringeva a vivere in totale isolamento, niente si sapeva e si conosceva del mondo fuori dei confini dell’Albania. La vita sociale era scandita esclusivamente dalle attività culturali, educative e ricreative, sempre organizzate dalle istituzioni preposte dal regime. La scuola era una delle istituzioni alla quale era attribuita un’importanza particolare. Le prime classi di scuola erano meticolosamente seguite e curate nell’organizzazione dei programmi, sempre tesi ad esaltare il modello di vita locale e a denigrare quello al di fuori dei confini nazionali. Gli insegnanti delle scuole si chiamavano commissari del 11 partito ed erano considerati con estremo rispetto nella società dell’epoca. L’Organizzazione dei Pionieri e l’Organizzazione della Gioventù erano organizzazioni politicizzate all’interno del sistema scolastico, completamente al servizio del partito. La prima organizzava attività culturali e artistiche, con solo gli alunni di talento, mentre l’organizzazione della Gioventù si occupava delle feste tradizionali volute dal regime rivolte all’infanzia e all’adolescenza. Con la fine del regime e nel periodo di transizione ad un governo democratico pluripartitico e l’applicazione dell’economia di mercato avviati nel 1991, l’Albania ha dovuto affrontare nuovi problemi, come la povertà e la disoccupazione. Secondo un’analisi del 2002, un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, un altro 30% vive molto vicino alla soglia in situazione di estrema vulnerabilità. La povertà si concentra nelle zone rurali ed è la prima causa della migrazione interna che porta allo spopolamento delle campagne. A questo si aggiungono infrastrutture povere, difficoltà nell’accesso all’educazione primaria, all’acqua corrente, ai servizi sanitari e sociali, all’elettricità e al riscaldamento Per quanto riguarda la disoccupazione, nel periodo dal 1990 al 1993, si arrivò fino a 470.000 unità, in seguito alla chiusura dei grossi poli industriali e alla fine delle cooperative agricole. La crisi durò a lungo, con gli operai in attesa di un’improbabile privatizzazione delle fabbriche e con i contadini a cui era stata ventilata una riforma per la restituzione della terra ai privati cittadini. Anche negli anni dello scandalo delle cosiddette”piramidi finanziarie”, 1997-1998, il tasso dei disoccupati rimase elevato, con 235.000 unità. Altissima la percentuale dei giovani, che peraltro rappresentarono la maggioranza di quanti tentarono di lasciare il paese per cercare lavoro all’estero, privando così l’Albania di una determinante risorsa per il futuro. La transizione albanese ha accresciuto l’ineguaglianza sul mercato del lavoro e le difficoltà all’interno della famiglia. I bisogni emersi portarono a costruire ed implementare velocemente numerose riforme economiche e un nuovo stile di vita, non valorizzando altri aspetti quali l’influenza positiva che la donna albanese rivestiva nel passato nella famiglia e quindi nella società. Oggi si riscontrano conseguenze negative dovute proprio alle scelte politiche, economiche e sociali di allora. Le donne attualmente si confrontano con la discriminazione anche quando cercano delle alternative, ad esempio impegnandosi in un’impresa privata. Inoltre nei casi in cui hanno la stessa qualifica degli uomini, non raggiungono posizioni direttive e questo accade sia nel settore pubblico che privato. Nel 1997 circa il 70 % delle donne erano occupate in agricoltura e in aziende agricole familiari, circa il 20 % lavoravano nel settore pubblico e circa il 10% nel settore privato. Lo stipendio medio delle donne in questi settori e a tutti i livelli è pari al 70% del rispettivo stipendio che riceve un uomo. La partecipazione delle donne nelle attività economiche durante gli anni della transizione risultò essere sempre più bassa in quanto molte ragazze abbandonarono la scuola, specialmente nelle zone più lontane e isolate. Ciò ha comportato una diminuzione degli anni d’istruzione e la mancanza d' attenzione verso questo fenomeno comporterà per il futuro sempre minori possibilità di occupazione qualificata del mondo femminile. Attualmente a livello nazionale le donne costituiscono circa il 37 % della forza lavoro. Considerando i ruoli direttivi nelle istituzioni, nelle imprese statali e nelle attività private solo il 20,9% sono occupati da donne e nella vita politica la partecipazione femminile è bassa. Nel passato Parlamento solo 9 deputati erano donne, e nessuna è stata scelta come capogruppo parlamentare, e dei 19 ministri 2 erano donne, 12 anche se negli ultimi anni si sono registrati tentativi positivi per stimolare la partecipazione della donna nei forum dei partiti politici. Per quanto riguarda le politiche di welfare, il sistema della protezione sociale albanese fa capo al Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali (MLAS) che opera attraverso la sua istituzione centrale, il Servizio Sociale Statale (SSS). La protezione sociale comprende principalmente tre tipologie di programmi pubblici: le contribuzioni monetarie, le politiche per l’occupazione e le istituzioni della protezione sociale oltre ad altri servizi sociali. Il controllo a livello locale dei servizi sociali è di competenza degli uffici regionali del SSS che si occupano della raccolta dei dati sulla povertà, sui problemi sociali e dei gruppi sociali a rischio e sono responsabili per la gestione della rete delle istituzioni residenziali. Il sistema dell’Aiuto economico, finanziato da una voce di spesa specifica del budget del governo, è destinato a famiglie senza entrate o con entrate insufficienti specificate dalla legge e la distribuzione avviene mensilmente sulla base delle richieste pervenute agli uffici preposti presso le amministrazioni locali. L’aiuto economico sostiene nel 2004 ogni mese una media di 124.000 famiglie, con un contributo di circa 27 € per famiglia Le politiche per l’occupazione prevedono le pensioni di disoccupazione, programmi di promozione dell’impiego, programmi a finalità sociale e percorsi di formazione professionale. Una norma importante, che copre l’assistenza alle famiglie in bisogno cercando di avviare percorsi di occupazione, vincola l’assegnazione del sostegno economico a specifiche categorie di beneficiari all’inserimento lavorativo e a servizi di pubblica utilità. Il Servizio Sociale Statale (SSS) è responsabile della gestione del sistema di istituzioni residenziali pubbliche, in cui lo stato si prende carico di orfani, disabili e anziani. Sono 26 su tutto il territorio nazionale e ospitano oltre mille persone. Fino all’approvazione della nuova legge sui servizi sociali nel marzo 2005, il sistema degli aiuti e assistenza sociale era regolato dalla Legge 7710 del 1993 (“L’assistenza sociale e welfare) che riconosceva e regolava anche i cosiddetti “servizi sociali non governativi”. La legge del 1993 infatti differenzia i servizi statali dai servizi sociali gestiti dalle organizzazioni non governative albanesi e internazionali e stabilisce che questi ultimi possono operare se autorizzati dal Ministero del Lavoro e Affari Sociali, a condizione che abbiano personale professionale ed offrano servizi di qualità non inferiore a quella degli istituti pubblici. I servizi organizzati dalle ong sul territorio albanese sono considerati complementari al servizio pubblico. Il SSS registra oggi 41 ong autorizzate dal Ministero ad offrire servizi sociali, ma si stima a 146 il numero delle ong presenti sul territorio prive di dirette relazioni contrattuali con il ministero. Il SSS, in base ai bisogni rilevati, ha il ruolo di indirizzare l’operato delle ong nei settori più scoperti, ma in realtà più del 50% di esse operano su territorio di Tirana. E’ in questo contesto che è stata approvata la Legge Nr. 9355 del 10.03.05 (“Su gli aiuti e i servizi sociali”). Attesa da lungo tempo, ha il merito di sancire il decentramento delle politiche sociali e attribuisce competenze e risorse ai governi locali, mantenendo al governo centrale il ruolo di programmazione finanziaria, di governo, monitoraggio e di creazione degli standard dei servizi. Altri obiettivi importanti della legge sono la deistituzionalizzazione dei servizi residenziali e la loro trasformazione in servizi comunitari, la creazione di nuove tipologie di servizi, la possibilità dell’esternalizzazione del servizio pubblico a struttura convenzionata e la possibilità di appaltare a privati la creazione di servizi 13 pubblici non esistenti, con conseguente sostegno finanziario all’operato delle organizzazioni non governative, come parte della rete dei servizi sociali statali. La nuova legge è logica conseguenza della “Strategia nazionale a medio termine dei servizi sociali 2005-2010” creata con lo scopo di promuovere riforme istituzionali all’interno delle politiche sociali, sulla base dei bisogni emergenti nel paese. Con questa normativa quadro lo stato, nel processo attuale, ha creato le premesse per poter governare le differenti realtà già presenti sul suo territorio, verificandone lo standard dei servizi e per poter successivamente farsi carico di servizi differenziati e diffusi sul territorio. Occorrerà ora attendere la definizione del passaggio dei fondi a livello locale e il completamento del decentramento fiscale a favore degli enti locali. 14 Albania TESTIMONIANZA A colloquio con Gezim Tushi, Vice Direttore generale dei Servizi Sociali Statali Se ripenso agli ultimi dieci anni, posso affermare che relativamente al sistema dei servizi sociali molto è cambiato radicalmente: la struttura, la tipologia, le modalità di prestazione dei servizi e i target group. Il regime comunista era basato su principi ideologici diversi, che nascondevano i problemi sociali. Esistevano pochissimi servizi sociali di base, che non coprivano la diversità e la complessità dei problemi sociali. Oltretutto, molti problemi sociali c’erano, ma venivano completamente tenuti nascosti. Per esempio, nel periodo del comunismo non si poteva parlare di prostituzione o di droga o di abbandono scolastico o di anziani abbandonati. Non si poteva parlare di bambini di strada, di traffici, di bambini o ragazzi non accompagnati. In parte perchè non esistevano, e in parte perché erano nascosti dal regime. Così i servizi sociali di quel periodo erano basati su un sistema semplice: i contributi economici, alcuni orfanotrofi ed alcune case per anziani. Questo era lo schema del passato. Il passaggio alla nuova società ha portato differenze radicali: nella gestione, nella concettualizzazione, nelle strutture, nelle capacità, nelle professionalità. Prima di tutto la società ha accettato apertamente senza paura l’esistenza dei problemi sociali ora aperti e visibili. Quello che era nascosto, nella libertà è esploso. Il passaggio alla democrazia e lo sviluppo della civiltà, sono stati accompagnati anche dai mali di questa libertà, ossia oggi, in Albania, si sono evidenziati tutti i fenomeni di cui soffre la società occidentale. Oggi non nascondiamo niente e inoltre lo Stato cerca di prendere provvedimenti nella sfera della prevenzione, dell’assistenza e della riabilitazione. Dal 1990 possiamo contare su un quadro legislativo completo. La Legge del 1993, una legge quadro generale per l’organizzazione dei servizi sociali, stabilisce i ruoli e le responsabilità delle diverse strutture dello Stato e in particolare del Ministero degli Affari Sociali, titolare delle politiche, delle strategie e gestore attraverso le strutture esecutive - come noi, il SHSSH - dello schema dei servizi sociali. E’ stato costituito un nuovo concetto di target dei beneficiari e dei nuovi bisogni sociali, sono state costruite strutture per i servizi polivalenti dal punto di vista finanziario, gestionale e anche direttivo. Dobbiamo sottolineare come in questi 10 anni il ruolo principale nella struttura dei servizi sia stata ricoperto unicamente dallo Stato. Un modello paternalista, nel quale lo Stato ha un ruolo centrale, è il finanziatore e detiene il monopolio sulle strutture del servizio sociale e sui centri residenziali. Finanzia gli schemi dei servizi sociali e della disoccupazione. Praticamente tutto il servizio statale in Albania non è contributivo, ossia i beneficiari non pagano nulla e l’unico finanziatore è lo Stato. Sempre analizzando questi ultimi 10 anni, non possiamo negare il contributo che hanno dato le ong straniere e anche quelle locali come membri della società civile, 15 nuova e fragile. Il loro contributo finanziario sul totale dei servizi sociali è di 1/5 o 1/6. Le ong internazionali presenti in Albania sono italiane, americane, francesi, tedesche, svizzere, ecc. Noi abbiamo seguito una politica aperta e liberale, favorendo l’intervento delle ong nelle strutture del servizio sociale. Praticamente oggi la struttura del servizio sociale è basata su servizi pubblici e su quelli delle ong, mentre stiamo prendendo in considerazione anche strutture a gestione privata. Lo permetteva già la legge del 1993, e la nuova lascia una porta aperta. Ma non sappiamo come inserire nella gestione dei servizi gli enti privati che richiederebbero un pagamento. Essendo cambiato il paese, a un certo punto si è sentito il bisogno di cambiare legge, strategia e politiche. Cosi oggi l’Albania è in una fase di trasformazione radicale e di rivoluzione della struttura sociale. Questo cambiamento ha a che fare prima di tutto con la nuova legge che stabilisce i ruoli e le responsabilità degli attori principali dei servizi sociali, riducendo il ruolo dello Stato e aumentando le responsabilità del governo locale nell’ambito dei servizi comunitari. Questa legge stabilisce il principio del decentramento dei servizi sociali, ossia l’abolizione di quello schema piramidale gestito dallo Stato. Questo significa il passaggio dei servizi sotto la dipendenza del governo locale, realizzando in qualche modo una pianificazione territoriale. Inoltre questa legge istituisce la de-istituzionalizzazione, ossia una politica non residenziale come principio. Non servizio nelle grandi strutture nazionali, che rischiano di diventare delle “carceri sociali”, ma delle strutture più flessibili, più semplici, vicine alla comunità. Inoltre, sempre la nuova legge, conta di implementare il principio secondo il quale non deve essere la persona ad andare al servizio, ma il servizio a recarsi dalla persona bisognosa. A questo scopo è stato molto utile un grande progetto della Banca Mondiale, iniziato nel 1999 dal titolo “Distribuzione dei servizi sociali nella comunità”, che ha lo scopo di migliorare le responsabilità del governo locale, accompagnando le strutture del governo comunitario. Il progetto è iniziato in quattro città pilota: Tirana, Valona, Scutari, e Durazzo. Con il sostegno del British Council, abbiamo affrontato questioni cruciali: le legislazioni, gli standard e gli accreditamenti e il monitoraggio dei servizi. Questa ultima questione riguarda direttamente il nostro Dipartimento e gli Uffici regionali destinati a diventare la sede di coordinamento e monitoraggio. La nostra trasformazione sta andando nella direzione di un dibattito nell’ambito delle politiche sociali. Niente progredisce senza un dibattito e in questo caso sono coinvolti sia il Ministero che le Istituzioni del potere locale, ossia i due rivali per il monopolio delle politiche sociali. Entrambi stanno cercando di fare in modo che nessuno abbia la sorte del re Illiro, che ha distribuito le ricchezze alle figlie ed è rimasto senza niente. Ecco il nocciolo del problema: chi farà le politiche sociali a livello nazionale, chi stipulerà le strategie, chi definirà le politiche, chi finanzierà le istituzioni sociali, chi darà le licenze, chi sarà il responsabile del monitoraggio e chi penalizzerà nei casi di pessima prestazione del servizio? E’ stato stabilito un modus vivendi. La politiche saranno di competenza del Ministero degli Affari Sociali come componente del governo, stabilirà il “master plan principale”, e sarà il finanziatore principale, soddisfacendo i bisogni. Ma sarà presente anche il governo locale, con la sua struttura, a cui spetterà lo studio sui bisogni. Avrà il suo fondo sociale, costituito da risorse provenienti dal budget del governo centrale ma anche da risorse locali. Il livello locale costruirà la struttura dei servizi, insieme alle ong, dalle quali “comprerà” dei servizi a seconda dei bisogni emersi. Nel frattempo il 16 Ministero riserverà per sé il diritto esclusivo alla valutazione delle capacità delle istituzioni del privato e del privato sociale autorizzate. La gestione, il finanziamento, il monitoraggio dei servizi sociali verrà effettuato dalle strutture del governo locale, mentre la licenza e l’accreditamento, il monitoraggio e il rispetto degli standard verranno garantiti dalle strutture del centro, all’interno del Servizio Sociale Statale (Sh.S.Sh.) con l’istituzione di un “Dipartimento dell’Ispettorato sociale” e anche i nostri uffici regionali avranno i loro uffici dell’ispettorato locale. Per quanto riguarda le competenze necessarie per questo percorso di trasformazione, invieremo in Inghilterra 10 persone: 3 dagli uffici centrali ed altri 7 dagli uffici regionali. Parteciperanno ad un processo intenso di formazione per prepararsi come ispettori. Hanno una buona preparazione di base, sono laureati in Scienze sociali, hanno un background nel settore e sono motivati per svolgere questo ruolo. Nelle quattro realtà pilota abbiamo creato i “Comitati di pianificazione comunitaria dei casi sociali”, una sorta di imitazione del modello italiano della pianificazione territoriale, mentre l’applicazione è diversa perchè noi siamo ancora ai primi passi. Per esempio, Scutari. Per la pianificazione è stato istituito un Comitato, del quale fanno parte rappresentanti del governo locale, delle strutture accademiche, della polizia, dell’istruzione, della sanità, i quali evidenziano i bisogni della comunità (bambini di strada, anziani, orfani, consumatori di droga, prostitute, eccetera). Basandosi su questi bisogni e sulla valutazione delle capacità esistenti, vengono stabiliti quali nuovi servizi necessita la comunità. In verità non è che siamo molto soddisfatti di questi comitati, è una nuova esperienza e si tratta di strutture non retribuite, e si sa, a noi non piace molto il volontariato. Ma alla fine troveremo una soluzione. Deve esistere un fondo sociale del qarku così composto: una parte proveniente dal budget dello stato - che verrà suddiviso a seconda dei bisogni dei 12 qarku - una parte dal governo locale, proveniente dalle tasse. Il governo locale avrà più competenze non solo per aprire i canali e riparare le strade, ma avrà responsabilità più ampie per le persone che vivono nella comunità, ed avrà il dovere di operare per il miglioramento delle condizioni di vita e per il benessere collettivo. Questi fondi verranno amministrati dal governo locale. Noi ovviamente vigileremo sull’applicazione, perchè parte dei finanziamenti provengono dal centro, controlleremo anche la loro destinazione pratica. Al momento sono tre i principali tipi di aiuto economico, e tutti sono non contributivi. Sono soldi che escono dal budget dello Stato, provenienti dai contribuenti albanesi, dei quali beneficiano target group particolari. Si tratta delle famiglie povere (che sono 122-123mila), delle persone nate con disabilità o divenuti tali prima dei 21 anni, che insieme ai familiari, rappresentano 53mila persone. Poi ci sono 26 istituzioni di cura sociale (per bambini, adolescenti, orfani, anziani, bambini disabili, donne, bambini, ragazze vittime della tratta ecc). Sono escluse le strutture per dipendenti da droga e alcool, non finanziati da parte nostra. Nel novembre del 2004 ha preso avvio un processo pilota, basato su una decisione del governo albanese, con cui si stabilisce la possibilità di accedere ad aiuti economici, condizionandoli al lavoro e ai servizi nella comunità. Così l’aiuto economico cessa di essere un aiuto passivo, un “grant” senza nessuna condizione. Questi fondi sono molto alti per il budget dello Stato, ma sono pochi per una famiglia. L’aiuto deve diventare attivo e dinamico e inoltre serve un meccanismo per eliminare dall’aiuto coloro che hanno lavori informali e godono senza diritto del sostegno economico. 17 Partendo da questi presupposti, abbiamo preparato dei progetti pilota che servono alla comunità per migliorare le infrastrutture e affrontare i bisogni sociali. Abbiamo costretto le persone che prendono gli aiuti economici a realizzare lavori pubblici comunitari, in cambio di uno stipendio minimo mensile, che in Albania è di 10.800 lek. Così si costringono le persone ad andare a lavorare e si permette loro di percepire un contributo più alto, quattro volte più dell’aiuto economico, assegnato in cambio di servizi alla comunità. Abbiamo applicato questo progetto pilota in nove Municipi e finora ha dato dei risultati positivi. 18 Albania INTERVISTA Arda Nazareni, esperta del settore giuridico del “Dipartimento Servizi Sociali”, Ministero del Lavoro Quali sono le competenze del Dipartimento Servizi Sociali del Ministero del Lavoro? Al Ministero spetta il compito di emanare leggi e regolamenti, mentre noi ci occupiamo delle politiche. I Servizi sociali statali (Sh.S.Sh.), a loro volta, svolgono la funzione di un’agenzia di implementazione della politica del Ministero. Un draft sulla nuova Legge dei servizi sociali è stato preparato dal Ministero in collaborazione con i Servizi sociali statali e gli esperti dell’agenzia britannica “British Council”. Pareri sono stati richiesti anche ad altri attori coinvolti, quali ong, rappresentanti delle Municipalitá o degli enti locali in generale. Quali sono le novità della nuova legge? Si sono allargate le categorie dei beneficiari. Un esempio: si prevede una tutela non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie attraverso un assegno economico al di là delle condizioni economiche. Altre novità? Cambiano i servizi sociali. La legge sancisce il loro decentramento e il passaggio sotto la responsabilità degli enti locali. Inoltre, vengono stabilite per grandi linee le modalità di trasferimento dei fondi prevedendo un doppio binario: uno per il trasferimento dei fondi dell’aiuto economico, l’altro per i servizi sociali. La legge stabilisce un sistema generale di regolamentazione di questo processo e l’attuazione concreta avverrà attraverso decisioni del Consiglio dei Ministri per definire criteri e modalità. Quale sarà il nuovo ruolo del Ministero del Lavoro? La responsabilità del governo centrale consisterà nella preparazione delle proposte di legge e delle decisioni applicative, nella definizione delle strategie nazionali e nella definizione degli standard per i servizi sociali. Standard generali per l’attivazione e l’erogazione dei servizi ma anche standard specifici per ogni tipo di servizio. Nel 19 quadro del monitoraggio che il Ministero dovrá fare del processo, verranno creati all’interno del Servizio Sociale Statale due ispettorati: 1) il primo con competenza in materia di servizi sociali, che controllerá l’applicazione della legislazione, degli standard e delle opportunità; 2) il secondo responsabile dell' aiuto economico, competente per l’assegnazione dell’aiuto economico e del sussidio per i disabili. A questa struttura andrà la responsabilità dei fondi necessari e il controllo della loro destinazione a livello locale. Quanto durerà la fase transitoria? La legge prevede che dal livello centrale continuino ad essere programmati ed erogati i servizi dell’aiuto economico fino al 2010, quando saranno gli enti locali a prendere in carico il servizio. Nella legge si parla di nuovi servizi. Quali? Intendiamo servizi per la comunità, più vicini agli individui, a contatto diretto con le persone che hanno dei bisogni. Per esempio, durante questi anni sono stati attivati dei nuovi centri diurni, o dei centri polivalenti. Esistono anche altri modelli di servizi, come quelli previsti dal progetto della Banca Mondiale, finalizzato alla distribuzione dei servizi sociali nelle comunità. Sono stati attivati servizi per gli anziani, per le persone trafficate, ecco questi sono i nuovi tipi di servizi. Saranno le varie unitá del governo locale, in collaborazione l’una con l’altra, a individuare le categorie bisognose sotto la proprio giurisdizione e a inventare nuovi servizi per i bisogni della popolazione. Se non sará possibile per l’ente locale offrire quel servizio in particolare, la persona bisognosa sará inviata ad un’altra istituzione in grado di offrire il servizio richiesto. Fino a quando non verrá completato questo nuovo sistema dei servizi sociali, il Servizio sociale statale avrà il ruolo di coordinamento. Si prevede fino al 2010. E’ prevista nel 2010 la scomparsa dei Servizi sociali statali? La struttura continuerà ad esistere, ma avrà solo un ruolo di monitoraggio e di controllo e non più il ruolo di coordinatore fra le unitá del governo locale. Saranno invece le unitá locali che dovranno trovare le soluzioni per i problemi delle persone sotto la loro giurisdizione. Cosa prevede la legge in merito ai finanziamenti? Verrá costituito un Fondo shoqorore, da non confondere con il Fondo sociale creato presso il Ministero delle Finanze. Questo nuovo fondo avrá l’obiettivo di implementare le nuove politiche per i servizi sociali e di sostenere le unità del governo locale non così esperte e grandi per offrire i servizi sociali. I servizi sociali saranno completamente sotto la responsabilitá degli enti locali. L’unico budget che verrá versato dal governo centrale, sará quello per le istituzioni residenziali, che passerano sotto la dipendenza del governo locale. I fondi per attivare gli altri servizi verranno regolati dal governo locale, in collaborazione con gli erogatori dei servizi complementari presenti sul territorio. Il nuovo Fondo “shoqorore”, invece, sarà destinato a nuovi tipi di servizi, nel quadro delle innovazioni delle politiche. 20 Già nel 2003 era stata preparata una strategia. Perché l’esigenza di redigerne una nuova? Quella strategia non è mai stata approvata, non era arrivata nemmeno al Consiglio dei Ministri. Era stata preparata dai Servizi sociali statali e rappresentò il primo passo nella definizione di una strategia. Con i nuovi cambiamenti, con il passare del tempo, con le nuove esperienze in campo formativo, si è sentita la necessità di migliorare la proposta. Quali sono i nuovi profili professionali, nel pubblico e nel privato-sociale, di cui si ha bisogna per una completa ed efficiente attivazione del sistema di servizio sociale? Su questo versante si deve lavorare a livello locale, con le municipalità e i comuni, perché saranno loro i responsabili dei servizi sociali. Occorre dunque rafforzare le capacità degli addetti ai lavori e aumentare il loro organico. Il discorso cambia per le ong: hanno già una grande esperienza nell’offrire questi servizi sociali e personale formato. Come funzionerà l’inserimento delle nuove figure professionali all’interno dei servizi sociali decentrati? Il Consiglio dei ministri stabilirà le competenze degli enti locali e successivamente definirà la creazione di nuove strutture di servizi sociali non necessariamente presenti ovunque. Si tratterá dei “Dipartimenti dei servizi sociali”, si prevede che saranno due o tre e che si troveranno nelle municipalità più grandi, quali Tirana, Durazzo e Valona. All’interno del Servizio Sociale statale verrà costituito un settore che si occuperá della formazione a livello locale e centrale. Tutto questo verrá fatto nel quadro del decentramento e della nuova riforma dei servizi sociali. 21 Albania INTERVISTA Natasha Pepivano, responsabile del settore “Rapporti con le ong” al Dipartimento Servizi Sociali, Ministero del Lavoro Quali sono i rapporti fra ong e Ministero? Esiste un registro nel quale vengono elencate tutte le organizzazioni e il settore nel quale intervengono. I settori principali nei quali lavorano le ong sono: minori, orfani, giovani, donne in difficoltá, bambini e donne trafficate, anziani in difficoltá, persone con disabilitá. Abbiamo evidenziato le ong che coprono questi servizi e stiamo lavorando per coinvolgerle nell’implementazione delle strategie. Questo settore è attivo nel Ministero dal 1998 ed ha preso forma dopo l’approvazione della legge sulle ong. Quando è iniziata la collaborazione con le ong? Le prime convenzioni risalgono al 1997, dunque prima che venisse approvata la legge sulla ong. Giá la Legge dei servizi sociali del 18 Maggio 1993 (Legge n. 7710) permetteva al Ministero di riconoscere e di registrare le ong che lavoravano nel settore dei servizi sociali, nonchè di firmare convenzioni con le stesse. Le prime ong con le quali vennero firmate convenzioni erano internazionali. Solo dopo la registrazione queste ong hanno avviato le procedure legali per avere personalità giuridica anche in Albania. Quante sono oggi le ong registrate presso il Ministero? Sono circa 700 le ong registrate; di queste circa 450 operano nel settore dei servizi sociali, ma solo 150 sono quelle che erogano direttamente servizi ad utenti. Spesso le attività di queste ong dipendono dal finanziamento dei donatori, dunque non sempre riescono ad erogare servizi in maniera continuativa. 41 di queste ong sono in convenzione con il Ministero. Noi stiamo chiedendo che chi lavora nei servizi abbia una licenza, come prevede la nostra legislazione. Questa attivitá è iniziata l’anno scorso, con l’obiettivo di dare applicazione ad una Decisione del 2003 dell’allora Ministro degli Affari Sociali, Valentina Leskaj, che si basava a sua volta sulla nuova legge delle ONG. 22 E in previsione di un decentramento? Entro 3 anni, invece, in previsione del decentramento, tutti i servizi passeranno dall’ufficio dei Servizi Sociali Statali al governo locale. Da quel momento, sará sempre il Ministero a dare la licenza, ma le convenzioni verranno firmate direttamente con gli enti locali. Se riusciremo a rendere effettivo questo percorso, potremo contribuire all’implementazione di un percorso di decentramento sistematico e basato su regole chiare ed effettive. Lei è anche responsabile per il Ministero del gruppo di lavoro interministeriale che sta definendo la nuova strategia contro la tratta degli essere umani. Cosa si sta programmando in questo ambito? Nel piano di lavoro previsto dalla nuova strategia, i compiti del Ministero Affari sociali sono i seguenti: 1) prevenzione della tratta; 2) protezione delle vittime; 3) integrazione delle vittime nella vita sociale; 4) creazione di una banca dati sulle vittime. Il Ministero gestisce un Centro di accoglienza a Tirana, dove si fermano per un lungo periodo le vittime che sono testimoni nei processi giudiziari. Sarà necessario anche definire l’applicazione concreta della Legge per la protezione delle vittime che testimoniano e la loro integrazione sociale, facilitando la formazione professionale e l’inserimento lavorativo delle donne. Che tipo di provvedimenti pensate di proporre a tal proposito? Occorre consentire alle vittime l’accesso gratuito ai corsi di formazione, e dovranno essere previsti degli sgravi fiscali per datori di lavoro che inseriscono donne extrafficate. Poi, come si sa, uno dei problemi di queste donne è l’alloggio e su questo punto occorrerà trovare delle soluzioni. E’ in via di definizione anche un protocollo con il governo greco relativamente ai minori albanesi per la loro assistenza in Grecia e – qualora sia possibile – il loro ritorno in patria, talvolta reso difficile dal fatto che sono state le stesse famiglie a trafficarli. 23 Albania INTERVISTA Daklea Styllai responsabile della “Direzione dei servizi umani”, Comune di Tirana Com’è organizzato il comune di Tirana dal punto di vista dei servizi sociali? E’ stata istituita la “Direzione dei servizi umani”, da non confondere con la “Direzione delle risorse umane”. E’ uno dei progetti sperimentali a credito previsti dalla Banca mondiale ed è previsto per il futuro un cambiamento di nome: si chiamerà “Social Welfare e Diritti Umani”. Attualmente la “Direzione dei servizi umani” è suddivisa in diversi settori: istruzione, politiche dell’occupazione, diritti dei bambini, servizi sociali e i servizi per le “persone senza casa”, che non sono gli “homeless”. Si tratta piuttosto di quanti sono rimasti senza casa a causa del processo di privatizzazione e anche per via del cambiamento della struttura delle famiglie. Le persone possono essere rimaste senza tetto per motivi diversi e spesso a causa della legge che restituisce la casa ai vecchi proprietari o per avere fatto degli accordi che oggi non è più obbligatorio rispettare perché è cambiato tutto. Senza casa rischiano di restare donne sole con figli, dopo la separazione dal marito e di fatto senza casa sono anche quelli che convivono con altri nuclei familiari. Quante persone vi lavorano e su quali obiettivi? Sedici persone e tre sono responsabili di settore. Stiamo lavorando per cambiare la struttura e separare i servizi sociali da altri settori. Personalmente sono impegnato lavorando alla strategia dei servizi sociali a livello locale. Che tipo di cambiamenti pensa di avviare? Per prima cosa bisogna creare una struttura che vada d’accordo con i servizi e i bisogni della comunità di Tirana. Il secondo passo è creare le possibilità per lo staff di essere preparato per i servizi da offrire, quindi la formazione del personale. Poi bisognerà iniziare con progetti pilota dei diversi servizi in modo che, mentre stiamo aspettando che si metta in moto il processo di decentralizzazione e che siano creati gli standard decisi dalla legge, noi possiamo aver sperimento esempi di servizi sociali nei diversi campi. 24 Che genere di servizi sperimentali? Abbiamo pensato di creare 5 centri: per i disabili, per la famiglia, per la riabilitazione di tossicodipendenti, per la tutela della salute mentale, ossia una “casa famiglia” che ospiterà 10 uomini in uscita dall’ospedale psichiatrico. Infine, a Tirana esiste un centro per anziani e vorremmo prendere in carico la struttura per attivare un centro diurno anche per orfani di età maggiore di 18 anni preparando loro ad una vita indipendente. Ancora, vorremmo prendere in gestione anche un orfanotrofio per creare un ulteriore centro, attrezzato con cucina, stanze separate per ragazze e ragazzi, una sala per attività. La permanenza dovrebbe essere limitata nel tempo, massimo 2-3 anni e i ragazzi intanto potrebbero essere beneficiari dei nostri progetti, dai corsi formativi alla ricerca di lavoro e di una casa, ecc Su quali esperienze pregresse potate contare? Non abbiamo esperienza nel campo di gestione e programmazione dei servizi sociali. Per questo stiamo organizzando incontri con le ong e cerchiamo di capire quali siano i bisogni e le risorse della città. Che tipo di formazione crede che necessiti il personale? Ad oggi abbiamo responsabili per categorie di persone, ma non esperti in servizi. Abbiamo bisogno di equipes multi-professionali che sappiano integrare diversi tipi di servizi. E’ indispensabile la formazione alla pianificazione, ma anche al monitoraggio dei servizi. Noi dobbiamo collaborare con le ong riconosciute, ma se finanziamo i loro servizi, dobbiamo anche monitorare, pianificare, realizzare ricerche, ecc.. Come si armonizzano le competenze della Municipalità e il monitoraggio da parte del Ministero sui servizi in convenzione o con licenza concessa dal Ministero stesso? Il Ministero continuerà a rilasciare le licenze alle strutture ong, anche se in prospettiva il Servizio Sociale Statale dovrebbe cessare di esistere. Ho lavorato al Ministero del Lavoro dal 1993, quando esisteva il Dipartimento dei servizi sociali, ma non ancora il Servizio Sociale Statale. Al Dipartimento spetta il campo delle politiche, degli standard e dell’attribuzione di competenze. Invece, a livello locale devono essere istituite strutture pubbliche che “comprano” servizi sociali basati sugli standard del Ministero. A quest’ultimo spetta il budget e il monitoraggio. A sua volta il Municipio deve finanziare e monitorare le attività che si svolgono sul suo territorio. Quale è l’esigenza che sente maggiormente? Imparare a costruire il sistema. Al momento, nella pratica, c’è solo una grande confusione fra le diverse istituzioni in campo. 25 Albania INTERVISTA Maks Konini, segretario generale al Ministero dell’Istruzione e delle Scienze, Albania Quali sono gli aspetti sociali particolarmente seguiti dal Ministero in materia di istruzione? Quest’anno per la prima volte si e’ inserita la figura dello psicologo nelle scuole in seguito a una decisione del Ministro dell’istruzione per un periodo di sperimentazione di due anni. Fino ad aggi il numero degli operatori sociali inseriti è di circa 140, e se il progetto avrà successo, verrà esteso anche alle scuole dell’obbligo e alle medie superiori delle zone rurali. Sono tutti giovani che hanno studiato presso le Facoltà di scienze sociali, di sociologia e di psicologia e che sono stati formati nei Dipartimenti regionali di istruzione. Quali i progetti in campo di formazione professionale? Nel quadro della lotta contro la povertà è stato previsto di creare 4 grossi centri di istruzione e formazione professionale. La nostra idea è che le scuole professionali debbano essere accessibili anche dagli adulti, ottimizzando così le risorse finanziarie. Sono previsti corsi di ricupero scolastico? Per alcune categorie – adulti in difficoltà, ragazzi di strada o che non hanno la possibilità di frequentare la scuola, come i ragazzi in vendetta - il Ministero ha previsto l’organizzazione di corsi particolari e anche il numero degli insegnanti necessari per permettere a questi ragazzi di seguire normalmente la scuola. E’ stato previsto un numero di insegnanti necessario in particolare per le zone del nord come Skutari, Malesia e Madhe, o anche per altre zone dove si registra l’esistenza di abbandono della scuola. Quest’anno sono stati inseriti insegnanti che andranno in giro attuando i corsi di recupero. Esistono nuovi corsi di studio o Facoltà universitarie attivate per formare le figure professionali nel settore dei servizi sociali? Esiste la Facoltà di scienze sociali, a cui spetta la formazione in questo ambito. Non esistono invece, scuole professionali. Ci sono solo le scuole pedagogiche, che preparano gli insegnanti elementari e trattano materie quali psicologia, sociologia. 26 Inoltre a Valona esiste una scuola - sostenuta dal governo svizzero – in cui è possibile specializzarsi in assistenza ai disabili. 27 Albania INTERVISTA Deniz Deralla, membro del board del Consiglio dei Giovani Albanesi Quali associazioni di giovani sono presenti in Albania? Oltre al Consiglio dei Giovani, del cui board faccio parte, sono state create altre reti di giovani, Ad esempio, i Centri di aggregazione giovanile sorti tra il 1998 e il 2000 grazie al finanziamento del governo italiano, i Parlamenti dei Giovani, ossia un progetto dell’UNICEF che prevede di creare “parlamenti in ogni scuola media”, l’ AS@AN (Albanian Students Network), un coordinamento di albanesi studenti all’estero. Esiste anche un Network degli organi studenteschi creati all’interno delle Università. Il volontariato è diffuso tra i giovani? Nel Consiglio dei Giovani il volontariato ha avuto sempre un grande peso. Per esempio, dopo la guerra in Kossovo, 800 giovani del Consiglio sono andati volontariamente in Kossovo. Esistono delle disposizioni legislative oppure dei documenti strategici sui giovani? Leggi no, ma una strategia sì. E’ stato creato un gruppo di 15 persone, provenienti dal Consiglio dei giovani, da Istituzioni scolastiche e dai Ministeri (in particolare funzionari del Ministero della Cultura, Sport e Gioventù), dall’ UNICEF, dall’ UNDP, e dalla Municipalità di Tirana, che ha istituito un apposito Ufficio per la gioventù. Il gruppo ha lavorato sulla strategia, approvata l’anno scorso, che va dal 2004 al 2009. Quali sono gli aspetti affrontati? Il lavoro, il tempo libero, l’educazione, l’ambiente. Personalmente ho partecipato alla parte sul lavoro. L’idea è di proporre una nuova legge sul “selfemployment” dei giovani, con facilitazioni per permettere loro di creare un proprio business, utilizzando lo strumento dei microcrediti con agevolazioni speciali. Inoltre l’idea è di creare una banca dati, e noi del Consiglio lo abbiamo già fatto creando una pagina 28 web, www.albaniansex.org. L’abbiamo chiamata “Albaniansex” perchè l’idea è che se non lavori non fai l’amore e quando si entra si sente la canzone di Celentano. E’ possibile accedere a una banca dati, con domande ed offerte di lavoro. Nella strategia si parla di categorie svantaggiate? Si parla di disabili e di ragazzi di strada per i quali si prevede la realizzazione di centri di accoglienza e di formazione al lavoro. Quali, a suo giudizio, le problematiche maggiori tra i giovani albanesi? Possiamo iniziare dall’istruzione. Mancano le scuole nelle zone rurali e gli insegnanti non sono sufficientemente preparati. Non esistono strumenti per contrastare l’abbandono scolastico. Mentre prima la scuola era veramente obbligatoria, oggi accade che i ragazzi l’abbandonino e che nessuno intervenga. Tra gli adolescenti si registrano problematiche, quali uso di droga e prostituzione. Ma la questione centrale resta la difficoltà di trovare un lavoro. Quali sono le richieste avanzate dal movimento dei giovani a cui le istituzioni non hanno ancora dato una risposta? Alcune nostre proposte sono state accettate anche se tardivamente, come l’inserimento di operatori sociali nelle scuole. Noi abbiamo iniziato nel 2002 con diversi progetti per fare entrare assistenti sociali e psicologi nelle scuole a Tirana, Durres e Girokastra. Il Ministero ha visto che funzionava, ma solo quest’anno è stata emanata una legge a proposito. Servirebbe anche l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. E a proposito di lavoro? Manca completamente l’informazione. Gli Uffici del lavoro sono un disastro e comunque poco conosciuti. In base a una nostra inchiesta sono registrati quelli che lavorano e quelli che prendono l’assistenza economica. Ma non i giovani che sono in cerca di lavoro. Noi proponevamo di mettere delle tabelle/annunci in diversi punti della città. Di creare pagine speciale attraverso teletext, una sorta del vostro televideo. E l’apertura di pagine web. Fino ad ora nessuna istituzione ha fatto qualcosa del genere. Solo su una televisione privata, “News24”, compare una pagina basata sulla nostra idea. I giovani sentono l’esigenza di avere a disposizione spazi di aggregazione alternativa ai locali pubblici? Certamente. Al momento vanno molto i campi di calcio, ma bisogna pagare per andare a giocare le partite. Al nostro centro di Tirana vengono tantissimi giovani. Vengono per consultare l’internet, un gruppo lavora a un giornale, e tanti fanno del volontariato. 29 Vi sono degli ambiti nei quali avete bisogno di formazione o capacity building? La questione più importante riguarda i servizi sociali nelle scuole medie-superiori. Quando noi abbiamo scritto il progetto, anche se con l’aiuto di ragazzi laureati (assistenti sociali o psicologi), non è stato facile perché mancavano le esperienze e le conoscenze. Abbiamo bisogno di vedere cosa è stato fatto di positivo altrove. Quello che noi facciamo adesso viene dall’osservazione di altre esperienza concrete, ad esempio esistenti in Italia. Abbiamo bisogno di apprendere nel campo dell’educazione, dell’assistenza sociale, dell’animazione, ecc... 30 Albania ELBASAN La popolazione del Qarku di Elbasan è la più popolosa dopo quella di Tirana e di Fiera, con i suoi 366.000 abitanti, distribuita tra 4 province, 7 città, 43 comuni 397 villaggi. La città di Elbasan racchiude circa il 20% della popolazione totale. Nel Qarku d’Elbasan la popolazione rurale, nel 1989, costituiva circa il 65% dell’intera popolazione, mentre nel 2001 scende al 56%, in linea con la tendenza generale del Paese dove si assisteva ad un aumento dell’urbanizzazione dal 57% al 63%.La popolazione attiva del Qarku d’Elbasan è circa il 45% del totale. Il 63% è occupata in agricoltura (nella città d’Elbasan è circa il 56%) e la restante forza lavoro è occupato nel settore industriale e in quello terziario.La disoccupazione nel Qarku di Elbasan, è di circa il 20,6%, nella città di Elbasan il 22,6%. La disoccupazione è più presente nella zona urbana che in quella rurale. Fino al 1990 la zona di Elbasan ha rappresentato un importante polo industriale dove predominava l’industria metallurgica, la produzione del cemento e l’industria meccanica. Alla fine degli anni Ottanta, nelle dieci imprese principali della città, erano occupati circa 24.000 lavoratori che rappresentavano circa il 40% del numero degli operai dell’intera città. Dopo il 1990 le industrie esistenti non hanno potuto sopravvivere a causa delle tecnologie non competitive e della concorrenza degli altri prodotti, e soltanto il 9% di operai ha conservato il lavoro. Secondo i dati amministrativi dell’Ufficio regionale del lavoro, alla fine del mese di febbraio 2003, nelle città principali del Qarku di Elbasan, si sono registrati 18.263 disoccupati, dei quali ca. il 52% è di età compresa tra i 20 e i 34 anni di cui circa il 44% con un grado di istruzione medio superiore. Il numero più alto di disoccupati si registra nelle città di Cerrik e di Elbasan. I giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono il 25% del totale dei disoccupati. Le donne occupano circa il 49.4% della popolazione del Qarku di Elbasan e la maggior parte di loro vive in campagna. L’età media di vita all’interno del Qarku di Elbasan è di 70,1 anni per gli uomini, mentre per le donne è di 75,6 anni. Il fenomeno dell’analfabetismo era quasi scomparso all’inizio degli anni ’90, ma è riapparso soprattutto nelle zone più isolate e rurali. Questo fenomeno ha soprattutto un legame con le condizioni sociali ed economiche delle famiglie e con la possibilità pratica di frequentare le scuole. Nel mercato del lavoro del Qarku di Elbasan le donne occupano circa il 41,1% della forza lavoro. Le difficoltà legate al mercato del lavoro, che sono evidenti per tutta la popolazione, sono maggiori per le donne. Nelle quattro città della Qarku l’occupazione femminile nei settori delle costruzioni e del trasporto continua ad essere bassa e si nota anche una diminuzione sensibile dell’occupazione femminile 31 nell’industria. A livello regionale nel settore industriale sono occupati circa 5400 persone, delle quali solo il 22% sono donne contro circa il 55% occupate nel 1990. La ragione principale di questo fenomeno è stata la chiusura dovuta al fallimento della maggior parte dell’industria, sopratutto quella leggera e alimentare. Attualmente la maggior parte delle donne occupate lavora in agricoltura. Nelle città di Elbasan rappresentano circa il 79%. La vita della donna in campagna si può definire una vita difficile a causa dei problemi di fornitura dell’acqua e della mancanza di energia elettrica. Rimane molto bassa la percentuale di donne che lavorano nel settore non agricolo; a livello regionale, infatti, ricoprono solo circa il 17%. Nel Qarku di Elbasan, l’occupazione femminile nel mondo dell’impresa privata, è il più basso a livello nazionale. Le donne datore di lavoro e quelle che lavorano privatamente sono circa il 28,6% e il 39,2%. La partecipazione della donna in politica e negli organi che prendono decisioni a livello nazionale, è bassa. Questa caratteristica si può vedere anche nel Qarku di Elbasan. Poche sono le donne che sono militanti nei partiti politici e che sono scelte per lavorare nei forum direttivi. La percentuale di donne scelte nei consigli esecutivi dei partiti parlamentari nel Qarku di Elbasan è del 29%. 32 Albania TAVOLA ROTONDA Funzionari pubblici e rappresentanti di servizi di Elbasan si confrontano sul decentramento delle politiche sociali Nazmi Qorri ricopre l’incarico di Direttore generale del Dipartimento dei servizi sociali, di salute pubblica e veterinaria del Comune di Elbasan, struttura nata nel 1992 con l’obiettivo di elargire l’aiuto economico previsto dallo Stato a chi si trova in una situazione di povertà accertata. Si tratta di nuclei familiari, soprattutto con bambini, di anziani, di invalidi e di portatori di handicap. “Ad oggi, quando si parla di servizi sociali, si intende solo l’offerta di un aiuto economico e non di servizi alle persone, ma il Comune di Elbasan si sta organizzando per sperimentare il cambiamento di cui si parla da tanto tempo” spiega il Direttore. Si parla di una ristrutturazione complessiva che prevede l’istituzione di quattro nuovi uffici: il primo dedicato ai servizi sociali, il secondo all’aiuto economico, il terzo all’informatizzazione dei dati e il quarto all’auditing dei servizi stessi. Il fatto di essere stato coinvolto da tempo nel dibattito sul decentramento delle politiche sociali sia a livello nazionale che internazionale, ha permesso al Comune di Elbasan di programmare le prime sperimentazioni, anche all’interno della vecchia legge. Ad esempio, ha supportato la creazione del “Centro sociale Belashe” finalizzato al sostegno di anziani e portatori di handicap. “Inoltre lavoriamo da tempo in rete con le ong locali perché devono imparare a collaborare con il pubblico. Per questo motivo abbiamo creato un forum dei cittadini per coinvolgerli direttamente nella partecipazione ai progetti e organizzato una mappatura dei servizi offerti e dei bisogni da soddisfare, dati che verranno informatizzati”. E’ evidente che la svolta necessita di una diversa ripartizione del budget. “La mia domanda è: riusciremo non solo a cambiare il nostro servizio, ma a coinvolgere anche gli altri settori di intervento, locali e nazionali, indispensabili per ripensare nel suo complesso le politiche sociali? Occorre anche un cambiamento di mentalità da parte delle sedi della politica centrale”. La legge sul decentramento non rappresenta una novità per il Comune di Elbasan, è il pensiero di Jolanda Hoxa, responsabile sociale del Comune. “Siamo da tempo al lavoro sul territorio per costruire un piano strategico finalizzato al miglioramento delle condizioni di vita della comunità, ma quello che ad oggi manca è una struttura, un budget e un’assegnazione di funzioni precise. Inoltre penso che con il decentramento riusciremo finalmente a coordinare tutti i servizi offerti, non importa se dal pubblico o dal privato, in modo che si possa raggiungere il massimo risultato per gli utenti”. 33 Sulla necessità di formazione per il personale operante all’interno delle strutture pubbliche, mette l’accento Entela Rexhepi, direttrice dell’Ufficio regionale dei servizi sociali, la struttura esistente da 10 anni e che valuta le persone che necessitano dell’aiuto economico statale residenti all’interno della Prefettura di Elbasan. “Famiglie povere, bambini orfani, anziani abbandonati, questo sono i nostri assistiti. E noi, che abbiamo un ruolo di monitoraggio, spesso notiamo come i dipendenti locali non abbiano sufficienti competenze per identificare i bisogni e i gruppi sociali che necessitano di sostegno”. Tra le persone che usufruiscono del contributo economico, l’unico offerta nazionale in materia di sostegno sociale, sono molti i disoccupato, i giovani, le donne e gli anziani. Naim Likrama, direttore dell’Ufficio del lavoro nella Prefettura di Elbasan – in passato si chiamava Ufficio dell’Occupazione – è in grado di fornire un quadro quantitativo, poiché al suo ufficio spetta il compito di fare da mediazione nella ricerca di un lavoro. “Questo territorio è al sesto posto per la disoccupazione. Nel passato sistema era il centro dell’industria pesante, e la sua fine ha prodotto 12.100 disoccupati, di cui circa 10.000 usufruiscono del sussidio statale. Ma sono in diminuzione, e a mio giudizio occorrerebbero dei controlli più ferrei. Esiste infatti un’occupazione informale in Albania“. La richiesta, dunque, è di maggiore monitoraggio e controllo sulle risorse. A preparare gli abitanti della zona a un inserimento lavorativo è il “Centro di formazione professionale statale”, con l’obiettivo di qualificare soprattutto chi ha difficoltà a entrare nel mercato del lavoro, diminuendo così le richieste di sussidio allo Stato. I corsisti vanno dai 16 anni in sú e il 44 per cento è costituito da donne. Le offerte sono molteplici, soprattutto da quando un’area industriale è stata ristrutturata offrendo nuovi spazi per corsi differenziati (informatica, meccanica, sartoria, ecc..). “I rom, gli orfani, gli ex detenuti, le donne violentate e trattate non pagano alcuna retta, mentre per gli altri si prevede la richiesta di un contributo”. Per il suo direttore, Kadri Hyshmeri, la legge sul decentramento deve puntare in particolare alla sensibilizzazione della comunità sul significato di questo cambiamento. “Garantirebbe una maggiore partecipazione alle decisioni dell’amministrazione e una trasparenza sull’utilizzo dei fondi assegnati alle amministrazioni locali”. 34 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO CENTRO PROFESSIONALE “NJE ENDERR ME SHUME” Struttura del privato sociale - Elbasan L’ente opera dal 2000 come centro professionale, mentre in precedenza forniva un servizio di mensa. L’intento sociale è comunque sempre presente. “I nostri obiettivi sono molteplici: organizzare corsi (sartoria, cucina, parrucchiere, ecc..), aiutare i giovani a trovare successivamente un lavoro, sostenere quelli in difficoltà, favorire il recupero scolastico per i minori che hanno abbandonato la scuola”, elenca Bukuroshe Manaj, coordinatrice del Centro. I finanziamenti arrivano da fondi locali, nazionali e internazionali, in particolare da donatori olandesi. I fondi pubblici vengono erogati dietro presentazione di un progetto e in base a convenzioni. Al Centro - con sede in una struttura privata - sono impiegate 17 persone. “La modificazione del territorio è dovuta soprattutto all’emigrazione, sia interna che verso l’estero, e alla presenza di emergenze sociali, quali la droga, la violenza, la tratta. E’ proprio sui giovani fra i 14 e i 17 anni che si concentra il nostro lavoro, anche se fra i nostri utenti ci sono bambini e famiglie in stato di bisogno. Oltre ai corsi professionali, infatti, offriamo anche la possibilità di avere un pasto, di partecipare ad un’attività sportiva e di seguire vari seminari”. I ragazzi si incontrano in gruppi di 10 e il loro monitoraggio continua anche quando si concretizza un inserimento lavorativo. “Esiste una collaborazione con le strutture pubbliche e del privato sociale, ma sarebbe necessario un maggiore rapporto con l’Amministrazione locale. Non solo per quanto riguarda il sostegno alle nostre attività, ad esempio contribuendo con la concessione di una struttura più idonea di quella attuale, ma anche conoscendo meglio e utilizzando le nostre competenze in materia di servizi erogabili”. 35 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO CENTRO DI CONSULENZA PER LA DONNA Struttura del privato sociale - Elbasan La struttura nasce direttamente dall’esperienza del Forum delle donne. Offre counselling, psicologico, sanitario e giuridico. E’ finanziato da fondi locali per quanto riguarda la struttura, nazionali e internazionali per i costi delle attività, ritenuti comunque insufficienti. Vi lavorano 14 persone, tutte donne, “Le nostre utenti sono donne in stato di difficoltà economica e ragazze violate psicologicamente e fisicamente” spiega Shpresa Banja coordinatrice del Centro. “Sono donne dai 20 ai 60 anni che non hanno la percezione dei loro diritti, donne divorziate con figli, donne vissute sempre nelle zone rurali, donne maltrattate. Hanno difficoltà nelle relazioni con amici, fidanzati, mariti, genitori e non conoscono le informazioni basilari in materia di educazione sessuale”. I colloqui possono avvenire nel centro ma anche in altri luoghi, ad esempio nelle scuole, ed è previsto l’invio in ulteriori strutture quando se ne riscontri la necessità, ad esempio a una casa d’accoglienza piuttosto che a un centro di formazione professionale. Il Centro collabora con il Comune, la Prefettura, il Tribunale e il Dipartimento regionale dell’istruzione, l’Ufficio di servizio sociale e le ong presenti sul territorio. Partecipa a tavoli di lavoro previsti per le diverse fasi, dall’identificazione dei bisogno all’organizzazione delle attività e si ritiene soddisfatto del livello di partecipazione. I punti di criticità vengono individuati piuttosto nel campo normativo. “Avremo bisogno di un nuovo Codice di famiglia e l’affermazione del principio giuridico dell’uguaglianza di genere”. 36 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO ASSOCIAZIONE TJETER VIZION Struttura del privato sociale - Elbasan L’associazione no-profit “Tjeter Vizion” è stata riconosciuta legalmente nell’aprile 2002 ed è una ong accredita presso il Ministero competente. I principi sui quali si fonda, come da statuto, sono il rispetto per la dignità della persona, l’aiuto reciproco, la solidarietà, l’apoliticità, la distribuzione corretta delle risorse finanziarie. Svolge la sua attività rispettando le diverse appartenenze religiose, politiche, culturali ed etniche dei soci, impegnati nella conduzione e nella gestione di servizi sociali rivolti ai cittadini in difficoltà e a rischio e ad alcune categorie in particolare, come bambini, giovani e donne L’associazione è nata con il contributo dell’ong italiana Cefa nel quadro del “Programma Elbasan”, il cui obiettivo era la creazione e il funzionamento di servizi sociali per categorie in bisogno nel distretto di Elbasan, attraverso la prevenzione e la diminuzione dei fenomeni di abbandono scolastico, deviazione, immigrazione, sfruttamento, tratta ecc. Oggi l’associazione è completante autonoma e con la ong italiana collabora, come un partner, anche se l’associazione “madre” resta un punto di riferimento per quanto riguarda la formazione e l’aggiornamento. I servizi offerti sono di tipo diurno con centri per minori, giovani e donne, e di tipo residenziale finalizzati all’accoglienza e alla reintegrazione sociale di donne, bambini e adolescenti in grave disagio, ossia comunità alloggio e appartamenti protetti per minori e giovani. Le sedi sono in parte in uso gratuito, in parte affittate da privati e sono ritenute adeguate, anche se sarebbe necessario un nuovo centro diurno per le donne.I fondi sono di provenienza locale, nazionale e internazionale, e un contributo associativo viene versato annualmente dai soci. Nelle diverse strutture sono impiegate con differenti mansioni 49 persone, di cui 37 sono donne. L’associazione, per l’attuazione dei progetti, propone il modello welfare-mix della gestione dei servizi, quindi il partneriato tra le istituzioni e le realtà del privato sociale. “Alle istituzioni compete la responsabilità della programmazione, supervisione e cofinanziamento delle politiche di welfare e al settore no-profit un ruolo crescente nella gestione dei servizi, nella loro progettazione e non ultimo nel loro co-finanziamento ad integrazione delle risorse pubbliche” sostiene Aria Cala, presidente dell’associazione. ”La crescita del welfare-mix esige condizioni imprescindibili: lo sviluppo di un nuovo ruolo delle istituzioni che senza rinunciare alle proprie prerogative creano le condizioni per una dinamica civile e sociale più ricca; l’affermazione e il consolidamento di realtà private come partner affidabili e professionalmente competenti”. 37 Il territorio su cui opera presenta diverse problematiche: disoccupazione, violenza in famiglia, abbandoni di minori, analfabetismo, traffico di donne e bambini. Si riscontrano nuovi disagi, come l’uso di droghe, la prostituzione interna, la corruzione. Dal 2002 l’associazione, con il sostegno della ong italiana CEFA, in veste di donatore e supervisore, ha preso in gestione gradualmente i servizi. Dal maggio 2004 Tjeter Vizion co-gestisce un progetto pilota per l’accoglienza e la reintegrazione sociale delle ragazze vittime di tratta e per la prevenzione del traffico dei bambini. Il centro giovanile è molto frequentato, in particolare da ragazzi dai 14 ai 22 anni. “Hanno bisogno di un lavoro e di formazione adeguata, ma da noi trovano anche informazione in campo di educazione sessuale e sostegno per i problemi di relazione con la famiglia” racconta il presidente. Le offerte riguardano il tempo libero, lo sport, la musica, le attività culturali, mentre è difficile trovare soluzioni per quanto riguarda l’occupazione. Le attività che riguardano la popolazione femminile sono diversificate. “Seguiamo donne dai 16 ai 50 anni. Hanno problemi sociali ed economici, subiscono violenze, vengono sfruttate e facilmente sono vittime di tratta, Cerchiamo di offrire loro formazione, protezione, sostegno psicologico e legale. Per quanto riguarda un alloggio, invece, difficilmente riusciamo a soddisfare le richieste”. Per realizzare gli interventi, Tjeter Vizion collabora strettamente con le strutture competenti in loco, oltre che con il governo centrale: il governo locale, la polizia, i servizi sociali, il tribunale, le altre associazioni, ecc. Se l’associazione non è in grado di rispondere ai bisogni di un cittadino, cerca una collaborazione con la rete di strutture pubbliche e del privato sociale, sia locali che internazionali presenti sul territorio. Si spera molto nell’applicazione della legge sul decentramento delle politiche sociali approvata nel marzo 2005, mentre si da un giudizio parzialmente positivo sulle norme che riguardano il mondo del no-profit. “Per migliorare il nostro lavoro servono, oltre a una legge che funziona, una stategia locale, personale formato e un coordinamento fra tutti gli attori”, spiega Arian Cala. L’associazione è molto interessata alla creazione di un’impresa sociale, realtà conoscita durante numerose visite e seminari in Italia, poiché si considera questa la strada per reperire risorse in proprio e non essere unicamente dipendente dai finanziamenti pubblici. 38 Albania SCUTARI La Bashkia di Scutari ha circa 108.654 abitanti, per il 64 % si tratta di popolazione rurale. Tre sono le fedi religiose presenti: cattolica, maggioritaria nelle aree rurali, musulmana, maggioritaria in città e ortodossa, minoritaria. La città di Scutari ha storicamente potuto contare su un’elite di persone colte ed interessate a scambi culturali, una tradizione interrotta durante gli anni del regime, mentre migrazioni interne hanno recentemente sconvolto gli equilibri tra la popolazione rendendo necessaria un non facile processo di integrazione. Gli anni più difficili del nuovo corso politico, il 1992 e successivamente il 1997, hanno comportato perdite di lavoro a causa della privatizzazione delle aziende statali e della crisi dell’industria, e solo recentemente, grazie alla ripresa economica, agli investimenti stranieri e al programma statale d' incentivi per le aziende, si è registrata un aumento di posti di lavoro anche se la disoccupazione resta un problema centrale. Nel 2003 il tasso di disoccupazione si attestava intorno al 54%, composta soprattutto dalla popolazione trasferitasi in città e concentrata nei quartieri periferici. I cicli produttivi sono caratterizzati generalmente da basse componenti tecnologiche, bassi investimenti e un elevato impiego della forza lavoro. Tra i settori produttivi emergono quello alimentare, dell’abbigliamento, della calzatura, del cuoio, oltre quello edile ed agroalimentare Per sostenere le persone bisognose, in città è stato istituito, come nel resto dell’Albania, l’Ufficio dell’aiuto economico per assegnare un sussidio alle famiglie prive di reddito (nel 2003 erano circa 6.800). In caso di necessità spesso le diverse associazioni non governative presenti sul territorio sostengono ulteriormente le famiglie con distribuzione di cibo e indumenti. Dal 2002 esiste un Ufficio cultura, sport e giovani e donna. In particolare l’Ispettorato Donna collabora con le diverse associazioni di donne presenti sul territorio per ordinare le attività e i servizi. I servizi sociali pubblici sono rappresentati prevalentemente da asili nido, istituti e servizi per orfani, disabili e anziani. La gran parte dei servizi sociali vengono assicurati dai soggetti privati, non profit e anche profit. Per quanto riguarda le strutture pubbliche, la richiesta è di procedere sulla strada della deistituzionalizzazione del disagio Per la creazione di un percorso di decentramento delle politiche sociali, oggi sancito dalla nuova legge, si è impegnata anche la Banca mondiale con un programma di supporto, scegliendo Scutari fra le città in cui sperimentare un progetto di rafforzamento dell’amministrazione locale. Per quanto riguarda il mondo dell’associazionismo organizzato, le esperienze più interessanti e durature si sono registrate prevalentemente nel mondo giovanile e in quello femminile. 39 Albania INTERVISTA Voltana Ademi, vicesindaco di Scutari Come si sta preparando il Comune di Scutari alla legge sul decentramento dei servizi sociali? Abbiamo cominciato a vedere l’esistente sul territorio, con chi progettare, organizzato tavole rotonde. Ora conosciamo abbastanza la situazione e stiamo effettuando una mappatura del territorio, raccogliendo dati statistici riguardanti tutti i servizi, compresi asili, scuole e quanto è necessario per creare una banca dati. Se avremo dal governo a disposizione risorse per il settore sociale, si potrà scegliere tra l’aiuto economico e un utilizzo diverso di questi fondi. Per esempio attraverso l’offerta di servizi gestiti da ong, oppure creando lavori socialmente utili e coinvolgendo anche le imprese negli inserimenti di gruppi svantaggiati. Quali le difficoltà prevedibili in questa fase di passaggio? Molto impegnativo sarà l’individuazione dei bisogni reali, la definizione delle priorità e dei gruppi in bisogno. Ma le vere difficoltà consisteranno su come organizzare le strutture del Comune durante il passaggio. Questa è una nuova esperienza, significa cambiare modo di pensare, di organizzarsi, e in materia di finanziamenti per i servizi sociali devono essere chiare le priorità e la gestione. Forse il primo passo consisterà nel trovare un accordo sulle priorità dei servizi da offrire. Le strutture pubbliche andranno ampliate, dovremo aumentare il personale e istruirlo sul cambiamento e le nuove norme. Le poche persone oggi a disposizione sanno solo distribuire l’aiuto economico e non sono specializzate per le nuove attività. Qualcuno in verità si è già riqualificato, ha fatto training per migliorare il modo di operare o di gestire l’informazione, apprendendo le modalità di lavoro di un operatore sociale. Poter confrontarsi durante le sue visite in Italia con la gestione e organizzazione decentrata delle politiche sociali è stato utile? E’ stato talmente utile che ho presentato una richiesta di poter effettuare un training più ampio. La formazione dovrebbe coinvolgere un numero maggiore di operatori sia pubblici che privati, perché se decidiamo di cambiare le politiche sociali, dobbiamo cominciare dal basso, dall’informazione e organizzazione. 40 Quale è il contributo della Banca mondiale in questo percorso che dovrà portare ad un welfare locale? Il contributo offerto dalla Banca Mondiale si sviluppa soprattutto a livello nazionale. Ed è corretto, perché tutto deve iniziar dal centro. Il primo obiettivo che si sono dati è la raccolta di informazioni da parte delle ong e dai governi locali. In seguito, i gruppi di lavoro a livello nazionale assistiti dalla Banca Mondiale elaboreranno la classificazione dei gruppi svantaggiati e i programmi per i quali il governo albanese assegnerà i finanziamenti. La Banca Mondiale contribuisce anche alla preparazione della strategia sul decentramento dei servizi sociali e alla definizione degli standard. Il programma NEW INTERREG è diverso, interviene a livello pratico sulla gestione delle risorse, sulle priorità dei servizi e sulla collaborazione fra strutture pubbliche e ong. Il Comune sarà in grado di trovare proprie risorse da investire nei servizi sociali? Le decisioni verranno prese in Consiglio e occorrerà rendere tutti consapevoli della necessità di offrire i servizi sociali, cambiando la mentalità a partire dal Sindaco per finire all’ultimo cittadino. Gli inizi potranno essere difficili, ma poi sarà possibile comprendere che un servizio sociale- e non solo la costruzione di una strada - sia necessario per una comunità. Inizieremo quest’anno con alcune sperimentazioni – servizi e operatori - sempre in collaborazione con la Banca Mondiale, ma con fondi nostri. Un progetto riguarda la formazione di ragazze/i orfani finalizzato all’inserimento lavorativo e a una loro autonomia di vita. 41 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO SERVIZI PER BAMBINI E GIOVANI PORATORI DI HANDICAP Struttura del privato sociale - Scutari Nasce nel 1994 come ong italiana, per poi trasformarsi in struttura locale, registrata nel 1998. Si occupa di ragazzi disabili fino a 18 anni a cui offre accoglienza – in sei case famiglia di cui quattro di proprietà -, riabilitazione, socializzazione e inserimento lavorativo. Settanta sono le persone impegnate a seguire i ragazzi, per il 75% donne. I finanziamenti provengono per il 95 % da donatori privati e il 5% da fondi pubblici (locali e nazionali). Servirebbero ulteriori finanziamenti per coprire i costi, e strutture per nuove attività quale un centro diurno. Le carenze sono tante. “Mancano le competenze sanitarie per una diagnosi precisa, le scuole non accettano questi ragazzi e le barriere architettoniche rendono impossibili i movimenti” spiega Silvana Vignali, responsabile del centro. “Un fatto positivo deve essere comunque registrato. La mentalità oggi è cambiata, le mamme non nascondono più i loro figli, anzi, rivendicano i propri diritti”. Mancano le strutture, mancano i posti di lavoro dedicati, non è possibile organizzare momenti ricreatici e sportivi e se si riesce ad organizzare una vacanza al mare è solo grazie al lavoro dei volontari. L’obiettivo, ovviamente, è la dismissione dei ragazzi inseriti in un posto di lavoro e in grado di gestirsi una vita in autonomia. Il centro è in convenzione con il Ministero degli affari sociali dal 1998, in base a un accordo sul budget e sugli standard dei servizi erogati. In passato esisteva una collaborazione con la Municipalità di Scutari per il trasporto dei ragazzi, al momento interrotta. Le richieste sono chiare: “Leggi, regole, finanziamenti”. 42 STUDIO DI CASO OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA MADONNINA DEL GRAPPA Privato sociale - Scutari L’Opera “Madonnina del Grappa” fu fondata a Firenze il 4 novembre 1924 per mano di Don Giulio Facibeni, sacerdote forlinese già impegnato profondamente con quella parte del tessuto sociale fiorentino più toccato dalle miserie umane e dalla povertà. Realizzerà il nido per i figli dei richiamati alle armi, organizzerà associazioni cattoliche, doposcuola, scuole serali per operai. L’Opera nasce come famiglia per coloro che non hanno famiglia e, allo stesso tempo, come piccola chiesa missionaria unita dalla carità e al servizio della carità, in un quartiere operaio. Attualmente l’Opera é presente a Firenze e in Provincia di Forlì e comprende: case famiglia per minori e adulti in difficoltá, per ragazze madri, per nuceli familiari stranieri, per studenti medi e universitari, italiani e stranieri, un dormitorio per i senza tetto, una casa di riposo e soggiorni estivi per anziani, mense, centri di ascolto, scuola di formazione, cooperative sociali, centri sportivi e ricreativi. Ma l ‘impegno non si ferma all’Italia. ‘’Abbiamo aperto missioni in Brasile e Guadalajara nella periferia di Fortaleza che comprendono una scuola materna, un asilo, diversi corsi d’alfabetizzazione e di avviamento al lavoro, oltre ad ambulatori medici’’ spiega Fabrizio Nocci, coordinatore per le attivitá in corso a Scutari.. “In Albania, e precisamente a Scutari, l’Opera é nata l’11 Febbraio 1992 sotto la responsabilità e la direzione di Don Carlo Zaccaro, accanto alla chiesa delle suore Stigmatine ed é supportata, anche finanziariamente, dalla O.M.G. Firenze”. L’organico è composto da 26 persone assunte e da 25 volontari. “Inizialmente si trattó di attivitá a sostegno delle Missionarie della Carità, al fine di aiutare poveri e malati, e in seguito si é concentrata su un settore totalmente dimenticato in Albania, quello dei bambini e dei giovani portatori di handicap. Inoltre abbiamo collaborato con l’Università di Scutari “Luigi Gurakuqj” per la riformulazione dei contenuti delle attività scientifiche, d’insegnamento e amministrative. Per favorire uno scambio tra i due paesi, abbiamo organizzato visite di professori dell’Università di Firenze e Pisa, di personalità italiane del mondo politico e religioso che hanno tenuto lezioni su problemi filosofici, politici, giuridici, economici e religiosi”. Per quanto riguarda i ragazzi portatori di handicap attualmente funzionano una casa famiglia di proprietà dell’Opera, dove abitano 7 ragazze e 2 ragazzi adolescenti cerebro-lesi, 3 dei quali frequentano centri diurni per la formazione al lavoro, inviati nel 1993 da Istituti statali e una seconda casa famiglia in affitto dove abitano 9 ragazzi d’età compresa tra i 25 e i 55 anni, anche loro cerebro-lesi, 4 dei quali frequentano il centro diurno per la formazione lavoro. 5 di questi ragazzi sono arrivati nel 1993 da Istituti statali, mentre gli altri 4 sono stati accolti direttamente dall’Opera nel 2002. “Lo stile di vita degli utenti è in pieno accordo con le richieste dello standard richiesto dallo Stato Albanese e della dignità umana. La loro condizione psicofisica é periodicamente controllata da medici specialistici italiani in collaborazione con medici albanesi. I ragazzi delle due case sono seguiti da 14 donne e 2 uomini. Gli operatori hanno una preparazione di base, e periodicamente partecipano a corsi d’aggiornamento. Vi lavorano inoltre una cuoca ed una suora che supervisiona tutto l’operato e le attività educative dei ragazzi”. 43 L’Opera segue anche minori senza famiglia: “Gestiamo due strutture. La prima é una casa famiglia di proprietà dell’Opera composta inizialmente da 6 bambine provenienti dall’orfanotrofio, alle quali 3 anni fa se ne è aggiunta un’altra. Per ciascuna di loro é stato definito un percorso: Liria segue una scuola di animazione sociale a Tirana, Manjola, terminata la scuola universitaria per infermieri, lavora presso il nostro centro di sanità, Lihe è assistente in una delle nostre case, Liria lavora presso la biblioteca dell’Opera oltre a seguire un nostro corso di taglio e cucito mentre Mailjnda e Suela sono in formazione come pasticcere con successiva assunzione. Le ragazze sono seguite per la loro formazione umana e sociale da due donne operatrici. La seconda struttura é una casa famiglia di proprietà delle suore del Rasavo: vi abitano 7 ragazze adolescenti, provenienti dall’orfanotrofio, e hanno dai 6 ai 14 anni. Al mattino seguono la scuola, di pomeriggio sono aiutate a svolgere i compiti e a crescere nella formazione umana da una suora e da tre educatrici. Questo progetto è finanziato dalla Provincia di Cesena-Forlì, e coordinato da Francesca Giuliani”. Dal 2000 l’Opera Madonnina del Grappa ha iniziato ad offrire un servizio medico infermieristico gratuito e nel 2004 ha inaugurato il Poliambulatorio all’interno del quale prestano il loro servizio: 1 dottoressa cardio-pediatra, che con l’ausilio di un delicato apparecchio ha potuto seguire 261 bambini affetti da cardiopatie, di cui 86 sono stati trasferiti in Italia e sottoposti ad intervento chirurgico correttivo; 1 suora medico internista che visita pazienti con varie patologie; 1 suora infermiera per la cura delle ustioni; 7 fisioterapisti di cui 4 operano a Puka, anche loro formatisi professionalmente in seno all’Opera. “Importante momento di incontro é la nostra biblioteca che si trasforma spesso in un centro di dibattiti dove sono affrontati temi di cultura, arte e filosofia. All’interno è inserita una ragazza della nostra casa famiglia. Infine abbiamo avviato un’officina per la riparazione d’ausili per persone disabili, grazie sempre ai finanziamenti della Provincia di Cesena-Forlí, con un duplice intento: diffondere l’uso di tali ausili nelle fasce più povere e promuovere la formazione, l’inserimento e l’autonomia di giovani socialmente svantaggiati, nel mondo del lavoro”. 44 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO ASSOCIAZIONE PASSI LEGGERI Struttura del privato sociale - Scutari L’ong nasce nel 2001 all’interno di un progetto di cooperazione e si trasforma nel 2003 in associazione locale riconosciuta. La sua mission è chiara fin dall’inizio: promozione dei diritti umani, con particolare attenzione alle donne, empowerment della popolazione femminile per migliorare lo status della donna come soggetto attivo nello sviluppo della società albanese. I servizi offerti sono conseguenti: sportello antiviolenza, informazioni sui servizi, organizzazione di corsi professionali, consulenze e training sui diritti umani, pianificazione familiare, consultorio per la salute e la sessualità femminile, promozione di attività lavorative, iniziative culturali. Ai bambini è riservato un consultorio sulla salute, una ludoteca e un asilo, mentre all’interno del Centro è in funzione un bar con attività di catering. La sede è in affitto e le risorse sono garantite dalle donazioni e dalle attività commerciali promosse dall’ong. “ I finanziamenti non bastano per coprire i costi di tutte le attività” spiega Alketa Leskaj, responsabile del centro. Lei, come altre operatrici, si sono formate grazie alla cooperazione italiana, in particolare ai progetti dell’ong italiana Cospe, e altri corsi formativi per operatrici infantili vengono finanziati dal Comune. “Le donne che vengono da noi vivono situazioni di violenza e di povertà, hanno problemi sanitari ed economici. Le giovani hanno abbandonato la scuola e rischiano di diventare vittime di tratta e di sfruttamento sessuale”. Al Centro le donne possono trovare sostegno, ascolto e informazione, ed essere inviate nelle strutture specializzate, ma altre richieste non possono trovare risposta, come il bisogno di un sostegno economico e di un lavoro. Per quanto il Centro si proponga di lavorare in rete con le altre associazioni e in collaborazione con i referenti istituzionali, le difficoltà non mancano. “Il problema principale sta nel fatto che all’interno del Municipio non esiste ancora un Ufficio per i servizi sociali. Chi lavora con il Ministero ha ormai un rapporto codificato, ma non sappiamo nulla di quello che potrà essere in futuro un diverso rapporto con il governo locale. Credo che dovremo imparare non solo a lavorare insieme, ong con ong, ma anche privato sociale con pubblico, e dovremo anche trovare un linguaggio e una metodologia comune”. La legge sul decentramento e le attuali strategie non sono ritenute sufficienti. “Rappresentano base di partenza, in seguito occorrerà una programmazione locale e un tavolo di lavoro permanente, trasparente e democratico”. Esiste ancora un’ulteriore preoccupazione. “Il governo locale dovrà 45 necessariamente dedicare delle risorse, proprie e nazionali, al sociale. Ma avrà sufficiente sensibilità politica ? Nel bilancio pubblico si terrà conto dei bisogni e dei servizi che realmente servono al territorio?”. Un’ultima priorità, ricorda Arketa Leskaj, riguarda la comunicazione. “Tutti devono avere a disposizione le informazioni, anche il privato sociale. E’ una condizione essenziale se si vuole creare un tavolo di concertazione funzionante”. 46 Albania ESPERIENZE SUL CAMPO ASSOCIAZIONE SERVIZI PER I BAMBINI Struttura del privato sociale - Scutari L’ong è nata alla fine del 1998, ha la sede centrale a Tirana e un centro operativo a Scutari. Si occupa delle famiglie in difficoltà, offrendo sostegno economico e assistenza medica con la distribuzione di beni di prima necessità e di farmaci, orientando al lavoro le donne madri e sostenendo la realtà dei bambini con progetti di educazione, di informazione sui diritti, ecc.. Il centro si finanzia con fondi locali, nazionali, e con le donazioni internazionali e della Banca mondiale. I finanziamenti sono sufficienti per i servizi che vengono erogati al momento, ma si potrebbe raddoppiare l’offerta, se ci fosse la necessaria copertura economica. Sono soprattutto le zone montane circostanti Scutari ad avere bisogno di aiuto: povertà, disoccupazione, analfabetismo, violenze domestiche, lavoro minorile, ecc..sono all’ordine del giorno. “Il nostro lavoro è diversificato. Le situazioni da sostenere possono essere rappresentate da famiglie bisognose, bambini ospiti di istituzioni in grado di ritornare nella famiglia biologica, giovani madri in difficoltà e vittime di violenza, minori che lavorano o portatori di handicap” spiega Filip Vila, responsabile dell’ong. Il centro di Scutari lavora in stretto contatto con le strutture pubbliche, sia per quanto riguarda l’assistenza sanitaria che per l’erogazione di aiuti economici, e per la ricerca di soluzione ai problemi burocratici. “Esiste un accordo reciproco a lungo termine con il governo locale all’interno del quale la nostra associazione si è presa l’incarico di offrire training allo staff pubblico, supporto nei servizi aperti agli utenti, assistenza tecnica e capacity building, ecc.”. Serve, si sottolinea al centro, un vero decentramento dei servizi e l’identificazione di criteri per le attività, oltre a un rapporto paritario fra pubblico e privato sociale. Felip Vila è direttamente impegnato nel processo di decentramento del welfare. E’ consigliere al Comune di Scutari e fa parte del gruppo di lavoro che, supportato dalla Banca Mondiale, lavora sulle strategie sui servizi sociali. In seguito si dovrà pensare alla definizione degli standard e all’attuazione di progetti pilota. “Welfare significa servizi sociali, assistenza sanitaria, istruzione, settori che devono lavorare insieme e non separatamente, e che comunque presuppongono una visione ampia delle politiche sociali”. Interrogato sulle priorità, Felip Vila non ha esitazioni. “In primo luogo occorre conoscere il territorio, i numeri, le statistiche. Occorre aver presente i 47 bisogni reali per poter elaborare programmi locali e piani di sviluppo dei territori. Occorrono inoltre le risorse economiche destinate a determinati servizi, il che significa avere delle idee precise sui progetti da attuare. Rispetto alla questione finanziaria si potrebbero concentrare anche le donazioni internazionali in un fondo unico per non disperderle in mille iniziative. Ossia programmare anche le risorse”. Un ulteriore problema è la formazione, poiché spesso le competenze si trovano maggiormente nelle ong. I Comuni si dovranno strutturare, questa è la proposta, con personale adeguato e con competenze utili ai servizi sociali. “Il percorso del decentramento non sarà semplice. Occorrerà volontà politica centrale e locale, ma anche capacità e competenze per gestirla”. 48 Albania L’EUROPA RACCOMANDA Stralci da Cards Sector Study, Country Report - 2005 L’amministrazione nel settore sociale è molto importante in quanto l’Albania s’incammina verso l’integrazione nell’UE. Dalle ricerche effettuate nel settore dell’amministrazione sociale possiamo concludere che rimane molto lavoro da fare nello sviluppo delle competenze per raggiungere gli standard dell’UE. Il governo dell’Albania ha un proprio ente di formazione, denominato Istituto di Formazione della Pubblica Amministrazione creato 4 anni fa. L’Istituto è posto sotto la supervisione del Dipartimento della Pubblica Amministrazione ed è incaricato della formazione della pubblica amministrazione. Ma in realtà quest’Istituto innanzitutto deve migliorare le proprie competenze. Lo sviluppo delle politiche sociali sino ad ora consiste in: • • • • • creazione di una normativa legale; stabilire delle strutture amministrative ed esecutive per implementare i programmi sociali previsti dalla legislatura; definizione di obiettivi sociali che variano nel tempo per assicurare la flessibilità del sistema individualizzazione delle risorse finanziarie per assicurare la realizzazione degli obiettivi di politica sociale; ricerca delle risorse umane e preparazione ai nuovi ruoli sociali da svolgere. E’ chiaro che la legislazione sociale preparata nel frattempo è basata sull’esperienza dell’UE. Molte difficoltà sono state affrontate nell’implementazione di questa legislazione sociale. Comprendono: • • • • • • un’economia sottosviluppata e risorse finanziarie limitate, un sistema politico pluralistico senza esperienza, una spontanea mobilità geografica ed una struttura sociale in rapido cambiamento, competenze istituzionali insufficienti, mancanza di una rete automatica d’informazione mancanza totale di tradizioni nel campo della cultura delle scienze sociali in generale, e nel lavoro sociale in particolare. 49 Le istituzioni preposte all’implementazione di questa normativa, come il Servizio Nazionale per L’Impiego, l’Assicurazione Sanitaria, L’Istituto Sociale per le Assicurazioni, i Servizi Sociali dello Stato e l’Ispettorato al Lavoro sono nuove, e la loro mancanza di esperienza nell’amministrazione è evidente. Concepiti come istituzioni rivolte verso l’utente, per attuare dei servizi sociali specifici, alcuni con fondi diversi dallo Stato, richiedono risorse sufficienti e lo sviluppo di programmi adeguati per diventare effettivi ed efficienti. Mirando ad assicurare una protezione sociale per tutti i cittadini, le istituzioni di protezione sociale hanno bisogno di fornire maggiore informazione ed aumentare la consapevolezza dei cittadini sui loro servizi. D’altra parte i cittadini devono anche conoscere i loro doveri per contribuire al sistema e per non farne abuso. Un criterio per valutare le politiche sociali esistenti ed il loro sviluppo futuro è l’accettabilità politica. All’interno dei programmi sociali di tutti i partiti politici ci sono degli obiettivi per l’economia del mercato sociale e lo stato sociale. Nonostante che gli obiettivi e le alternative siano diversi, tutti concordano nella creazione di un’economia sociale del mercato libero ed uno stato assistenziale. Tali politiche sociali mirano a: realizzazione di pari opportunità per tutti i cittadini a partecipare alla crescita economica del paese tramite politiche attive nel mercato del lavoro assicurare la disponibilità di scelta tra i servizi pubblici e non pubblici (sia gli NGO che iniziative private). Queste richieste sono prioritarie e vanno affrontate da tutti i gruppi interessati operanti nel settore dell’amministrazione sociale e che vengono incontro ai bisogni sociali. I risultati andrebbero monitorati e valutati in relazione all’impatto sociale, l’efficacia e lo sviluppo economico. 50 4* capitolo BOSNIA ed HERZEGOVINA Uno sguardo sulle politiche sociali La Bosnia Herzegovina (BiH) conta poco più di 4.000.000 di abitanti su un territorio di 51.142 kmq. L’attuale difficile situazione politica è stata determinata dalla sua dichiarazione di indipendenza dall’ex Jugoslavia (1992) non accettata dai serbi bosniaci che, sostenuti dalla Serbia e dal Montenegro, iniziarono una resistenza armata. Obiettivo, disegnare nuovi confini in base ad appartenenze etniche e costruire un forte stato serbo. Dopo tre anni di guerra civile, il 21 novembre 1995, a Dayton negli Stati Uniti, furono avviate delle trattative di pace che portarono ad un accordo. Fu definita la creazione di un governo democratico e multietnico. Il risultato fu un governo complesso ed una struttura amministrativa stabilita sulla carta. Oggi il governo centrale di BiH comprende due entità, la Repubblica Srpska (RS) e la Federazione della Bosnia ed Herzegovina (FBiH), di cui si occupa in specifico questa indagine, entrambe con le proprie strutture politiche, oltre al Distretto Autonomo di Brcko, anch’esso con un suo governo. All’interno della FBiH esistono 10 cantoni con la propria struttura governativa. La RS ha un’amministrazione centrale i cui uffici sono concentrati soprattutto nella capitale Banja Luka, con 60 municipi che governano a livello locale. E’ vigente una supervisione internazionale, così come la presenza di un contingente, sempre internazionale, per garantire gli aspetti militari del trattato. Negli ultimi anni le migliorate condizioni di sicurezza hanno convinto molte persone sfollate durante la guerra a ritornare nei territori d’origine e a richiedere, forti di provvedimenti legislativi, di rientrare in possesso delle proprie abitazioni. Ma la situazione dei profughi è ancora lontana dalla soluzione definitiva. Inoltre un grosso problema è rappresentato dall’etnia rom, la più vulnerabile e scarsamente alfabetizzata. Il 50% di questa popolazione sono rifugiati non registrati. La guerra del 1992-1995 è stata devastante, ha avuto come conseguenza oltre 200.000 vittime, e notevoli danni all’economia. Il tessuto sociale della società è andato distrutto, l’amministrazione politica si è frammentata, i partiti nazionalisti sono i portavoce di rivendicazioni e conflitti. Il paese si è impoverito e le problematiche sociali devono affrontare contemporaneamente i bisogni emergenziali del dopo conflitto e le realtà che emergono in una società avanzata. E questo all’interno di un panorama politico che concepisce una fragile idea di Stato centrale, e un localismo dettato non da un principio di decentramento, ma basato su divisioni etniche e religiose. Nel marzo 2004 la Bosnia ed Herzegovina ha elaborato la Strategia per la riduzione della Povertà (Politiche di Sviluppo a Medio Termine – PRSP 2004-2007), risultato di un lavoro che ha coinvolto il governo centrale, quelli cantonali e la società civile, coordinato dal Consiglio per lo Sviluppo Economico e per l’Integrazione Europea composto dai Primi Ministri e dai rappresentanti della comunità internazionale. Alcuni hanno ritenuto questa strategia, sponsorizzata dalla Banca 51 Mondiale, un primo momento di confronto e coordinamento, e anche un buon compresso, considerate le differenze esistenti. Altri hanno considerato la strategia insufficiente e per nulla risolutiva nella pratica. Per altri ancora, il problema centrale è la ridefinizione dei confini su basi diverse da quelle di compromessi post conflitto. Secondo l’Agenzia per la statistica della Bosnia ed Herzegovina, nel 2003 il 34,7% dei nuclei familiari viveva sotto la soglia della povertà, in RS intorno al 46,4%, nella FBiH intorno al 25,3%. Secondo gli studi di settore inoltre il 50% dei cittadini rischia di finire sotto la soglia della povertà. I gruppi a maggiore rischio di povertà sono i bambini al di sotto dei 5 anni, i profughi ed i rifugiati, le persone disoccupate e quelle con un basso livello di scolarizzazione. Anche gli occupati sono a rischio, poiché i salari non vengono percepiti con regolarità. La suddivisione del territorio e le diversità di governo si riflettono inevitabilmente anche sulle politiche sociali, dal punto di vista della programmazione e della gestione. La rigida divisione in cantoni impedisce un’equa redistribuzione dei fondi a disposizione, con la conseguenza che realtà locali più povere ma più bisognose non ottengono le risorse necessarie per interventi nel campo della protezione sociale. La Bosnia ed Herzegovina spende meno nel settore sociale di qualsiasi altro paese dell’area dei Balcani, e questo a dispetto di un altissimo livello di bisogni. Peraltro vengono prese in considerazione prevalentemente fasce particolari, ad esempio invalidi ed orfani, mentre aumenta il numero dei poveri in generale. A livello centrale è stato istituito nel 2003 il Ministero degli Affari Civili, che comprende fra i suoi ambiti anche il sociale, benché con scarse risorse finanziarie e umane. Nella FBiH il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è responsabile per l’erogazione dei servizi sociali assistenziali. Le leggi sono federali, ma sono i cantoni a gestirne e a garantirne l’attuazione. La legislazione in merito ai servizi sociali dovrebbe essere trasferita completamente a livello cantonale a partire dal gennaio del 2007. I servizi vengono erogati dai Centri per il lavoro sociale, presenti a livello comunale in 54 sedi: si tratta di istituzioni pubbliche dipendenti in parte dai Ministeri cantonali e in parte dalle autorità municipali. I Centri per il lavoro sociale si occupano prevalentemente dei bisogni primari, definendo chi ha diritto alla protezione sociale soprattutto attraverso l’erogazione di un sussidio. I Centri si occupano anche di affidamenti familiari e di adozione di minori, di collocazione in istituti pubblici o gestiti da ong. Nella FbiH si contano 25 istituti di protezione sociale in cui, nel 2002, sono state collocate oltre 3.000 persone. Nella RS i ministeri responsabili delle politiche e dei servizi sociali sono molteplici: i Ministeri del Lavoro e degli Affari dei Veterani, il Ministero della Salute e degli Affari Sociali, ed il Ministero dei Rifugiati e dei Profughi. Il Dipartimento per gli Affari Sociali all’interno del Ministero della Salute è privo di risorse ritenute necessarie. Il Ministero del Lavoro e degli Affari dei Veterani ambisce ad avere la responsabilità del settore accorpando al suo interno diverse competenze, comprese le attività del Ministero dei Rifugiati e dei Profughi il cui mandato cesserà appena risolte tutte le questioni inerenti al settore d’intervento. Anche il Ministero per i Rifugiati ed i Profughi si è dichiarato pronto ad allargare il proprio raggio d’azione e a assumersi in carico il settore dei servizi sociali, proponendo anche una nuova legge. Al momento è il Ministero con il più alto numero di beneficiari, 6.000 persone alloggiate. Nella RS i servizi di assistenza sociale sono attualmente gestiti all’interno del Ministero della Salute e degli Affari Sociali. Una nuova legge in materia è stata 52 approvata nel 2003, particolarmente attenta alla collaborazione con le ong. L’assistenza sociale riservata ai veterani di guerra disabili e ai civili vittime della guerra è nel RS responsabilità del Ministero del Lavoro e degli Affari dei Veterani. Le nuove leggi sull’assicurazione d’invalidità dei soldati concede dei benefici solo a chi ha un’alta percentuale di disabilità ed ai familiari dei soldati deceduti. Per quanto riguarda l’erogazione di servizi di protezione sociale, se ne occupano i 45 Centri per il lavoro sociale e gli 11 uffici per le attività sociali. In 10 istituti sono ospitati circa 1.600 persone, fra anziani e bambini. Anche qui si lamenta la carenza di fondi necessari per rispondere ai bisogni primari delle persone in bisogno. Su tutto il territorio, quindi, il problema nel settore delle politiche sociali è identico. Carenza di fondi, assenza di un lavoro di rete, difficoltà di collaborazione con le ong, e soprattutto difficoltà nella formulazione di una strategia di sviluppo I progetto messi in campo dalla Banca Mondiale mirano a riformare il concetto di utilizzo delle risorse in campo sociale. Utilizzando, ad esempio, i fondi non unicamente per i veterani disabili, ma per creare lavoro e sviluppo sostenibile, coinvolgendo le ong nell’offerta di servizi sociali. La progettualità politica è un ulteriore problema della società civile che, nonostante le lacerazioni prodotte dalla guerra e le difficoltà della realtà presente, non può certamente essere ignorata. L’impegno degli organismi internazionali non è stato efficace nel produrre percorsi autonomi nella direzione dello sviluppo. Da un lato si registra una forte dipendenza da parte delle autorità politiche nel campo delle risorse, dall’altro mancano dati, informazioni, mappature di realtà e bisogni. Da parte loro, come risposta alla situazione attuale, gli organismi internazionali hanno investito nel settore non governativo ritenuto il futuro pilastro della società civile. Oggi, di fronte alla riduzione di finanziamenti, anche le ong sono entrare in crisi e quelle sopravissute e riconosciute si sono specializzate nella fornitura di servizi sociali o si sono trasformate in agenzie di consulenza e di fornitura di servizi specializzati. Da segnalare l’attività dei KUD (Kulturno umjetnicka drustva), una fitta rete di piccole organizzazioni esistenti prima della guerra impegnate prevalentemente in attività culturale a titolo quasi di volontariato a cui va riconosciuto il merito di essere presente in ambiti sociali lacerati dalla guerra e dalla difficile ricostruzione. Alla problematiche sociali occorrono risposte politiche ed economiche, ma anche un impegno che attraversi la società sul piano del confronto e del dialogo, considerando i conflitti del passato e il nuovo assetto della popolazione che ha prodotto un’urbanizzazione degli sfollati dalle campagne in cerca di lavoro nelle città. Attualmente , quando si parla di terzo settore, si intendono le ong che hanno registrato un considerevole sviluppo negli ultimi dieci anni, pur non essendo possibile valutare statisticamente il loro impatto sul territorio. Durante la guerra, le ong hanno svolto prevalentemente se non unicamente attività di carattere umanitario, e alla fine della guerra si sono trovate coinvolte nella salvaguardia dei diritti umani e nel rientro degli sfollati. Oggi si registra un cambiamento, ossia la trasformazione in attori locali, in grado di proporre e gestire servizi in collaborazione come le amministrazioni locali. Le ong, comunque, dipendono sempre dai donatori internazionali, non essendo in grado l’amministrazione pubblica di sostenerle con propri fondi e di proporre di conseguenza una legislazione nel campo. L’unica legge esistente non distingue un’associazione per i diritti umani da un circolo sportivo e non prevede alcuna agevolazione fiscale per chi svolge attività nel campo sociale. Il rapporto fra pubblico e privato sociale non è facile, ma in questo campo occorre segnalare un’interessante esperienza. Si tratta di quanto accade nella città di Tuzla, in cui si è costituita una rete di ong, locali ed internazionali, chiamata “Referentna 53 Grupa-RG” (Gruppo Referente), 69 organizzazioni impegnate in diversi settori, dal sostegno psico-sociale al campo giovanile, dall’informazione all’applicazione dei diritti. La rete si fa carico di rappresentare un impulso per il processo di trasformazione e di sviluppo del paese: seminari, proposte di nuove leggi, partecipazione alla stesura della strategia di sviluppo nazionale e regionale sostenuta dalla Comunità Europea,ecc. Il modello è stato ripreso in altre 14 città della BiH. Anche nella PRSP sono in corso esperienze per introdurre nelle politiche sociali l’attività di ong e del volontariato, prevedendo per loro agevolazioni fiscali. Il tentativo è di avviarsi sulla strada del welfare mix. 54 Bosnia ed Herzegovina TESTIMONIANZA Colloquio con Srdjan Arnaut, capo del gabinetto del Ministero Affari Civili e Comunicazione Questo Ministero si occupa di diversi settori; salute, istruzione, rapporti sociali, lavoro, cultura, sport, attività di sminamento, volontariato, ecc.. In questo momento possiamo affermare di essere particolarmente impegnati nel definire la riforma che riguarda l’istruzione. Sono proprio gli aspetti legislativi, infatti, ad essere carenti, ma necessari per affrontare i temi sopra elencati. Possiamo dire che ad oggi abbiamo affrontato con delle norme unicamente il tema del lavoro. Probabilmente dipende dal fatto di essere un paese senza una propria costituzione, al momento rappresentata dagli accordi di pace di Dayton. E’ difficile definire la politica sociale di questo paese, non esistendo una legge di riferimento e nemmeno un nostro ruolo definito, per quanto sia di coordinamento. Possiamo dire che le responsabilità, e quindi le politiche, vengono attribuite a livello cantonale o comunque a entità locali. Il nostro può essere definito un paese asimmetrico poiché nella Repubblica e nella Federazione le situazioni divergono, da una parte esiste una centralizzazione, dall’altra un decentramento di potere e anche di risorse, tanto che è lo Stato ad essere alimentato dalle entità locali. Anzi, al nostro interno, abbiamo una regione indipendente con una propria costituzione Ne consegue che centralmente anche le risorse sono irrilevanti ( 200 milioni di marchi annui). Noi abbiamo bisogno di un centralismo strutturato, anche se riteniamo che in futuro non aumenterà il ruolo dello Stato in quanto a poteri da gestire, ma potrà essere potenziata la sua funzione di coordinamento. La gestione delle attività andrà ai cantoni e ai comuni. Quello a cui puntiamo e che dal nostro Ministero ne possano nascere tre: il primo per la cultura e l’istruzione, il secondo per le politiche sociali e per il welfare, il terzo per la protezione civile, lo sminamento e le questioni del territorio. Al momento esiste unicamente un settore all’interno del Ministero che si occupa delle politiche sociali, della salute e della previdenza sociale. Realisticamente la prospettiva non sembra essere quella di un ministero autonomo. Per le realtà locali le priorità sono rappresentate dal lavoro e dallo sviluppo. Nel campo sociale esistono dei Ministeri locali che si occupano soprattutto di invalidi di 55 guerra e sono organizzati per fornire strutture di aiuto finanziario. Inoltre esiste il problema dei rifugiati e del loro ritorno, in molti casi con una difficile situazione di riconoscimento della cittadinanza. Ad esempio: 40.000 persone si sono rifugiate in Croazia, ma non risultano ufficialmente essere bosniaci, poi ci sono i bosniaci che dalla Croazia sono andati in Serbia, e i serbi che sono venuti da noi dalla Croazia. E poi ci sono i kossovari da sistemare. Tutto questo perché il nostro paese, così come si presenta oggi, non si è formato naturalmente, è stato disegnato. Tanti propongono soluzioni diverse, chi la costituzione di nuovi stati, chi il rafforzamento di quello esistente e altri suggeriscono di lasciare tutto così come è. Certamente abbiamo bisogno di essere sostenuti in questo percorso. Per ratificare i capitolo sociali della Comunità Europea, per il sostegno delle strategie di lotta alla povertà, e per l’elaborazione e l’applicazione di nuove legislazioni. 56 TESTIMONE PRIVILEGIATO INTERVISTA Con Irfanka Pasagic, neuropsichiatra. Sfuggita alla strage di Srebenica, oggi vive e lavora a Tuzla, impegnata a livello internazionale nel dialogo interetnico. Nel 2005 ha vinto il premio assegnato dalla Fondazione Alex Langer Che significato puó assumere per il suo paese, e nello specifico per il comune di Tuzla, una politica di welfare decentralizzato? L’esperienza dimostra che solo un Comune può affrontare le politiche sociali, soprattutto se si considera la situazione in cui si trova in questo momento la Bosnia. Per un Comune è più facile entrare in possesso di dati e informazioni, soprattutto se si tiene conto che giá prima della guerra vigeva un sistema avanzato di governo da parte delle Circoscrizioni, e che i Comuni, nel periodo postbellico, sono stati molto attivi sul territorio. Credo che sia essenziale in primo luogo raccogliere le informazioni sulla condizione sociale del paese, per poi decidere gli interventi piú adeguati. Porto un esempio di come i Comuni siano responsabili delle attività pubbliche (pubblic utilities): se serve una strada, la Circoscrizione si organizza e raccoglie i soldi, il Comune contribuisce parimenti e alla fine si costruisce l’opera. Cosí si funzionava già da prima della guerra e a Tuzla si continua, con ottimi risultati. Uno dei problemi sociali che il Comune ha affrontato, sono le mense pubbliche. Tuzla conta 1.500 utenti della mensa pubblica, e sono state le Circoscrizioni a stabilire chi del proprio territorio ne dovesse usufruire. Quali i punti di criticità? Troppi i livelli di governo: l’Alto rappresentante, che in realtà è il Presidente dello Stato, il governo nazionale, la Federazione della Bosnia ed Erzegovina, la Repubblica Serpska e il Distretto di Br ko. A questo si aggiunge che la Federazione 57 é divisa a sua volta in dieci Cantoni. Nella Federazione la protezione sociale funziona a livello cantonale, ossia il livello federale adotta alcune leggi, ma in concreto il potere esecutivo è a livello cantonale. A mio giudizio dovrebbe invece essere affidato ai Comuni. La sua proposta é quindi un decentramento dai Cantoni ai Comuni? Per rendere il sistema uniforme, bisognerebbe che le leggi quadro fossero stabilite dal governo nazionale e non dalla Federazione, e i servizi gestiti dai Comuni e non dai Cantoni. Questo perché le informazioni devono compiere un percorso dal basso verso l’alto, mentre le leggi dall’alto verso il basso. Deve esistere una comunicazione bi-direzionale, che al momento non esiste. In una situazione politicamente difficile, come si presenta il problema della convivenza fra etnie diverse? Dipende dalle zone del paese. A Tuzla la situazione era normale ed è rimasta tale, sia durante la guerra che dopo e non ci sono mai stati problemi etnici. La convivenza è più difficili nei luoghi dove sono stati commessi grandi crimini, come a Srebrenica, una città ancora morta. I molti progetti in corso vedono presenti sempre le stesse persone, manca la partecipazione. E’ possibile uno sviluppo senza pacificazione? Credo che la comunità internazionale e le autorità locali abbiano commesso un errore: senza la verità e senza la giustizia non possiamo andare avanti. È impossibile aspettarsi che le persone credano gli uni agli altri, se dubitano che qualcuno con cui hanno a che fare, possa aver commesso dei crimini. Una proposta in questa direzione? Il Tribunale Internazionale dell’Aja sta lavorando e presto sarà chiuso. Non molto tempo fa, è stato aperto il Tribunale per i crimini di guerra a Sarajevo. E credo che questo Tribunale richieda un buon monitoring, affinché non accada quello che 58 avviene a Belgrado o Zagabria, dove tutti i criminali sono rimessi in libertà per mancanza di prove. Le persone spesso dicono che l’odio è la principale causa di quello che succede, ma non sono d’accordo, visto che noi stiamo benissimo insieme se parliamo di concerti, di musica, di moda….e questo non é possibile fra persone che si odiano. Ma ci dividiamo ancora quando viene menzionata la guerra e quanto successo. 59 Bosnia ed Herzegovina INTERVISTA a colloquio con Vahid Kaljajic, Docente di politiche sociali all’Università di Sarajevo, Facoltà di Scienze Politiche Lei ha dedicato la sua vita professionale al settore delle politiche sociali: insegna pianificazione e sviluppo sociale, criminologia e patologia sociale, e da sempre forma assistenti sociali. Il suo impegno supera i confini nazionali, essendo anche impegnato nell’insegnamento di Scienze politiche in Slovenia. Che futuro prevede per le politiche sociali nel suo paese? Occorre ritornare indietro nel tempo. Nel passato, in questa parte del mondo, le politiche sociali erano unitarie, mentre ora, con la separazione degli stati, si sono differenziate. All’epoca dell’ex Jugoslavia, il sistema politico era integrato con le politiche sociali, e a cascata, con il sistema di controllo delle medesime. Il paese era composto da 6 Repubbliche e 2 Province ed ognuna si sviluppò come un paese autonomo e facente parte dell’Europa. Il nord era ricco, il sud povero, un po’ come in Italia. La Slovenia e la Croazia possedevano la tecnologia più avanzata e gli altri paesi produttori vi dirottavano le proprie merci per l’imballaggio e per la vendita. I cosiddetti paesi poveri erano la Macedonia, la Bosnia e la Serbia. Durante il periodo della transizione la situazione non mutò. Mentre altri paesi nel passaggio ad un nuovo sistema ebbero aiuti considerevoli dagli Stati Uniti, ad esempio la Polonia, per la Bosnia non si pose nemmeno la questione. Era un paese distrutto al 70 %, impossibile da gestire e una guerra “fra cittadini” in corso. E se vogliamo fare un confronto con la Serbia dobbiamo dire che, a differenza del nostro paese, è una nazione con le sue istituzioni politiche, con le forze armate, con una politica educativa, ecc. Ha anche un forte potere economico. Quale è l’attuale situazione in Bosnia Erzegovina? Manca una mappatura della realtà sociale. Non esistono nemmeno statistiche certe sulla popolazione, su quanti siano i cittadini e quanti siano i disoccupati. La percentuale può variare dal 20 al 40 per cento, ma lo affermiamo in assenza di statistiche e di uno studio sulla visibilità del reddito. Occorre una strategia comune sulle politiche sociali, ma serve prima definire un assetto del paese. Negli anni 60 esistevano 5 Regioni in base a una suddivisione anche economica, che potrebbero esistere nuovamente in futuro, con un ruolo e una funzione simile alle vostre. Inoltre si delineano dei fenomeni allarmanti: in base ad alcune ricerche, si nota come l’occupazione nel settore governativo, ossia nell’ambito della politica, sia aumentato del 400%, mentre negli altri settori solo del 40%. 60 Così vengono a mancare le risorse per le politiche sociali, ad esempio le pensioni, la cui entità non garantisce agli anziani nemmeno la sopravvivenza. Nel campo dell’educazione il paradosso e altrettanto evidente: il numero delle università è raddoppiato, ma i docenti sono diminuiti del 10%. E se l’educazione primaria viene definita gratuita, e l’inizio portato ai 6 anni di età, ricordiamo che libri e materiale didattico costano circa 75 euro all’anno, una cifra altissima per i nostri redditi. Sono state elaborate diverse strategie. E le leggi? Il problema principale è che non esistono le risorse economiche. Per definire le strategie si è investito in denaro e competenze, ma non sono state emanate leggi conseguenti. E quindi non esistono di fatto strumenti da investire nella lotta alla povertà. Che ruolo può avere la società civile, strutturata in associazioni e ong? Durante il periodo austro-ungarico su questo territorio erano presenti 1714 ong. Successivamente, durante il periodo ottomano, sopravvissero solo le strutture legate alla religione. Nella fase di transizione e durante il conflitto, arrivò la Croce Rossa e la Comunità internazionale, ma si tratta in realtà di un continuo turn over, strutture che nascono e che muoiono. Al momento non possiamo definire buono il rapporto fra ong e governo. Il governo: quest’ultimo ritiene che le ong spesso sottraggano lavoro al settore pubblico e molte ong pensano di dover assolvere a un ruolo di critica nei confronti dei politici. Occorrerebbe, invece, maggiore comunicazione fra le due parti e un impegno comune verso la soluzione dei problemi. Che rapporti esistono, o potrebbero essere creati, fra il suo lavoro e l’Italia? Siamo dei vicini, ci separano solo 23 km, insomma dividiamo le stesse acque. Conosco l’Italia perché durante la guerra ho coordinato la distribuzione degli aiuti umanitari e ho osservato le vostre modalità d’intervento. E ancora oggi è grazie al vostro contributo che molti centri sociali sono messi in grado di operare, pur se in situazione di difficoltà dovuta, ad esempio, all’assenza di uno psicologo e di un assistente sociale fisso. Peraltro, nei nostri studi, abbiamo preso a modello l’Italia per quanto riguarda le politiche della famiglia, della salute, dell’educazione, ecc. Possiamo affermare che al momento il nostro paese si trova nella situazione in cui si trovava l’Italia negli anni 60. Come rendere più proficua la collaborazione? Selezionare in maniera appropriata le persone che vengono inserite nei progetti di partneriato in modo che le conoscenze acquisite durante i seminari e gli scambi, possano essere proficue al massimo. 61 Bosnia ed Herzegovina TUZLA Il nome viene dalla parola turca “tuz”, ossia sale. Sono proprie le sorgenti salate della città a caratterizzarla, fin dal Neolitico, rendendola così uno dei più antici insediamenti della Bosnia Herzegovina.. E intorno al sale è ruotata sempre la sua economia. I turchi la occuparono fin dal 1460, e nel tempo il suo prestigio crebbe. Nel 1800, grazie ad una riforma amministrativa, allo sviluppo economico e all’introduzione di un moderno artigianato, la città visse il massimo del suo splendore diventando uno tra i più importanti centri finanziari, militari e culturali della Bosnia. Le prime scuole furono aperte nel 1826 e il primo ospedale nel 1874. Quando la città venne inglobata nell’Impero Austro-Ungarico, si introdussero nuovi metodi per l’estrazione del sale e del carbone. Da allora, fino ad oggi, Tuzla è rimasta la seconda città bosniaca per ordine di grandezza. Divenne famosa per la tolleranza e convivenza pacifica fra ortodossi, musulmani e cattolici. Artefice importante di questo multietnicità è stato il sindaco per lunghi anni Selim Beslagic, candidato a un premio Nobel per la pace. Durante la guerra civile, si sforzò di proteggere tutti i gruppi etnici, soprattutto la minoranza serba e collaborò con le organizzazioni pacifiste internazionale per fermare la guerra. Oggi denuncia come il suo paese si sia allontanato dall’idea di una società multietnica. Anche nella città di Tuzla il maggiore problema sociale deriva direttamente dalla guerra. Le priorità sono i bambini e gli anziani vittime della guerra, con ferite sul corpo e nella mente. Oltre che con i traumi, la città ha dovuto fare i conti con gli sfollati e i profughi. Nelle Municipalità del Cantone di Tuzla, con l’aiuto della comunità internazionale, si sono avviati progetti che cercano di superare la fase emergenziale con progetti di assistenza diretta per proporre al territorio e all’amministrazione una strategia di sostegno ai servizi sociali per le fasce deboli. 62 Bosnia ed Herzegovina INTERVISTA Ernesa Mesic, Capo Settore delle attività sociali, Comune di Tuzla Come si è organizzato il Comune di Tuzla nel campo dei servizi sociali? In primo luogo bisogna ricordare che la legge vigente assegna alle autorità cantonali questa competenza, ma noi Comune abbiamo voluto occuparci direttamente di questa parte dei nostri cittadini e grazie a una norma legislativa sull’autogestione, abbiamo deciso di destinare parte del budget a chi si trova in situazioni di disagio sociale. E per garantire trasparenza abbiamo emanato un regolamento interno sui servizi erogati in proprio. Quali servizi potete offrire? In primo luogo possiamo offrire un sussidio economico alle famiglie bisognose compreso quelli con figli ottimi studenti (dai 70 ai 400 marchi convertibili). In secondo luogo il Comune sostiene la Mensa dei poveri, avendo assegnato al servizio una struttura idonea gratuitamente e inoltre offrendo un contributo economico, per il 2005 di 50.000 marchi convertibili. Un ulteriore progetto riguarda in particolare i giovani: sosteniamo in diversi modi, finanziariamente o con l’assegnazione di strutture o con l’esenzione dal pagamento di tasse, le idee che ci vengono proposte. In questo modo sono nate la Casa dei giovani, la Casa della Pace, ecc… Come identificate i bisogni? Raccogliamo informazioni da chiunque operi sul nostro territorio, nel campo sociale, culturale, sportivo, educative, formative. Non abbiamo la possibilità di disporre di una banca dati, le informazioni le cataloghiamo nella maniera classica, nei classificatori. Non ci interessano solo i dati, ma anche i problemi, i punti di criticità. Inoltre offriamo supporto tecnico e non a chi vuole iniziare a lavorare in questo campo, scrivendo progetti o partecipando a un bando di gara. Come avviene la gestione delle risorse finanziarie? 63 Ogni anno, nel bilancio, prevediamo un fondo che verrà distribuito a chi fa richiesta, in base al regolamento stabilito, ma che può essere rivisto se necessario. Le risorse, devo ammettere, non sono comunque sufficienti, diciamo che rispetto al bisogno espresso, possiamo intervenire solo per un 30%. Quali sono le richieste da parte dei giovani? Aiuto per la loro scolarizzazione e spazi per la socializzazione. E da parte delle donne? Sostegno economico, possibilità di trovare una casa e tutela per loro stesse. Cosa fate se non siete in grado di soddisfare una richiesta? Quando si tratta di richieste individuali, e sono la maggior parte, consigliamo alle persone di mettersi insieme, di organizzarsi e di presentare un progetto. Abbiamo un ufficio che si occupa in specifico della collaborazione con le associazioni dei cittadini. Che cosa vi aspettate dal futuro? Che la nostra esperienza nel campo sociale a livello comunale diventi una legge. 64 Bosnia ed Herzegovina ESPERIENZE SUL CAMPO ISTITUTO PER L’INFANZIA ABBANDONATA Struttura pubblica, Tuzla L’Istituto è nato nel 1946, dopo la seconda guerra mondiale e dal 1967 opera come struttura indipendente. L’obiettivo è il sostegno a minori abbandonati e privi di cure parentali a cui devono essere garantite l’accoglienza, la tutela sanitaria, un percorso educativo e formativo. Il Centro, in base ad accordi con il Ministero per il Lavoro e le Politiche sociali, viene finanziato dal Cantone, e può contare su donazione da parte dei cittadini di Tuzla e di altre città. Nella struttura lavorano 35 operatori e 6 volontari, nella maggior parte donne, anche se la presenza di figure maschili viene ritenuta importante nelle relazioni con i bambini. Nessun consulente, invece, causa budget, mentre le attività vengono monitorate periodicamente e il personale inviato ai seminari organizzati dal Ministero e da altri enti del settore. “I nostri bambini sono orfani. Nell’ultimo periodo per la maggior parte la causa è stata la guerra, per altri è l’impossibilità da parte dei genitori di accudirli, perché malati o perché molto poveri” racconta Advija Hercegovac, un’insegnate da 23 anni impiegata nel centro. “Molti riescono a lasciare questo posto. Perché riescono a continuare gli studi, perché hanno trovato un lavoro, perché hanno messo su famiglia propria”. Il centro è un punto di raccolta per tutti i comuni del cantone e l’invio avviene attraversi i Centri per il Lavoro Sociale. Qui arrivano i neonati abbandonati alla nascita così come gli adolescenti senza famiglia. Per questo la struttura ha diviso l’accoglienza in diversi segmenti: da 0 a 3 anni, da 3 a 5 anni, e poi via via le diverse fasce scolastiche fino al livello universitario. “Soprattutto i bambini piccoli avrebbero bisogno di più affetto e maggiore attenzione, dovrebbero aver assegnato un operatore per ciascuno di loro, ma questo non è possibile. I più grandi manifestano una certa insofferenza a frequentare la scuola, vorrebbe essere degli adolescenti come gli altri e non istituzionalizzati, così come i più piccoli vorrebbero stare in famiglia. Noi facciamo ogni sforzo possibile, siamo presenti, lavoriamo fuori orario, ma nonostante tutto loro soffrono, perché sono portatori di un handicap: l’assenza dei genitori. E poco importa se in molti casi i bambini hanno più assistenza e garanzie nel centro che in famiglia, soprattutto se questa è povera e disastrata”. Per l’insegnante sarebbe importante fare prevenzione nelle scuole, parlando ad esempio di educazione sessuale per evitare che giovani ragazze possano diventare 65 madri quando ancora non sono in grado di affrontare una simile responsabilità. Le ragazze adolescenti ospitate nell’istituto rappresentano il 50 per cento e per loro le regole da rispettare, ad esempio l’orario di ritirata, non sono facile da accettare. “Il nostro sforzo è rappresentare per loro una famiglia, essere delle persone con cui confidarsi e sfogarsi, con cui aprire il proprio cuore. Noi li aiutiamo, cerchiamo di essere la loro famiglia, ma in realtà sono loro a dare molto a noi”. Per molti, inoltre, la relazione con i genitori è lacerante. “Magari ci sono pure madri che vengono, ma non prende nemmeno in considerazione i figli, vengono solo per firmare le carte burocratiche”. Per intercettare i bisogni prioritari dei minori, gli educatori parlano molto con loro, da soli o in gruppo e poi quanto emerso viene analizzato e valutato dal team pedagogico. I bambini restano nella struttura fino a quando non è possibile il loro ritorno nella famiglia naturale, oppure fino a quando il Centro per il Lavoro Sociale non ne ha individuata una affidataria. “Oppure fino a quando non diventano adulti presso di noi. La separazione è un momento doloroso, per entrambi, loro e noi”. Per i bambini è previsto un sostegno economico. “Ci sono persone che vogliono aiutare questi bambini. Noi segnaliamo i nominativi ai Centri per il Lavoro Sociale che aprono a loro nome un libretto di risparmio in sui vengono depositate le donazioni.. Questo soldi potranno servire per la continuazione degli studi, o per una casa quando sarà arrivato il momento dell’autonomia”. Per poter costruire un percorso, soprattutto formativo, la struttura cerca di lavorare in rete con altre strutture, dai Centri per il Lavoro sociale a ong umanitarie specializzate nel sostegno a bambini. Inoltre si lavora in collaborazione con il Ministero per il Lavoro e per le politiche Sociali, con il Ministero dell’Istruzione e altri enti pubblici, quali le scuole e altri orfanotrofi, mentre non esiste una relazione codificata con il privato sociale, con cui esiste un’ottima collaborazione informale. Con alcuni servizi, ad esempio quello sanitario, si registrano difficoltà. Una collaborazione importante esiste con i rappresentati delle tre religioni presenti sul territorio, e poco importa se ad organizzare una festa per i bambini sia il Distretto scolastico cattolico oppure la Scuola Coranica. “L’importante, ora, sarebbe integrare questa esperienza a livello nazionale in Bosnia e Herzegovina”. E forse per questo che il primo Ministro e altri Ministri e Amministratori vengono in visita al centro, sottolineando come l’impegno nei confronti dei bambini sia un compito dell’intera società Percorsi di successo? “Quelli sono essenziali per il nostro lavoro e per noi stessi. Quando accade, come qualche giorno fa, che un ragazzo si laurea in Medicina e trova lavoro come medico, allora sì che capisco il valore del nostro impegno”. 66 Bosnia ed Herzegovina ESPERIENZE SUL CAMPO Associazione FORZA DELLA DONNA Struttura del privato sociale, Tuzla “FORZA DELLA DONNA” è una ong nata nel 1999 con l’obiettivo di offrire supporto sociale, psicologico, pedagogico a donne e bambini che si trovano in una situazione di disagio a causa delle conseguenze della guerra. Inoltre si occupa delle tematiche legate alle violenze in famiglia. I servizi offerti sono molteplici: dal supporto psicologico all’assistenza legale, dall’assistenza socio-sanitario alla consulenza psicologica. Un altro aspetto a cui si presta attenzione è rappresentato da approcci che mettono il corpo al centro del percorso terapeutico, come tecniche di rilassamento o giochi artistici per i bambini. Diverse le proposte offerte a persone che hanno bisogno di un supporto per uscire da una situazione di sofferenze e violenza subita. La ong lavora all’interno delle sue strutture con sede nella città di Tuzla e sul territorio rurale, nei campi profughi come nelle case in cui sono ritornate le famiglie a fine guerra. I finanziamenti provengono da fondi istituzionali e da donatori internazionali. “Servirebbe un incremento del 30 % per sviluppare le nostre idee e per allargare il raggio delle attività, necessità che emerge chiaramente dall’incontro con i nostri beneficiari”, affermano i responsabili del centro. Nella ong lavorano quattro operatori donne, un amministrativo e sei consulenti, anch’esse donne, impiegate nel campo psicologico e sociale. Il personale, periodicamente monitorato, si è formato all’interno di diverse ong, frequentando corsi di formazione e workshop. “Siamo particolarmente attenti al confronto con esperienze e sperimentazioni di altri paesi”. Le problematiche emergenti riflettono la situazione politica, economica e sociale del paese nel dopoguerra. “Dobbiamo fare i conti con le difficoltà di chi è tornato e chiede la restituzione delle proprie proprietà, con chi ha difficoltà a farsi riconoscere il diritto all’assistenza medica e sociale. Poi c’è il problema di chi vanta una pensione nella Repubblica Srpska, ma risiede su questo territorio e non riesce a farsela accreditare”. Inoltre le vicende della guerra hanno drammaticamente collegato la questione sociale con le sofferenze psichiche: “Chi vive ancora nei campi profughi si trova in situazioni disastrose. E chi torna a casa, deve rivivere il passato, ripercorrere il trauma subito. Il che significa in molti casi la morte di un padre, di un figlio, di un fratello”. Alla struttura si rivolgono profughi, ex profughi ritornati a casa, abitanti in difficoltà economica, sociale e psicologica. “Ci conoscono tutti e così funziona il passaparola. Alcuni vengono da noi, ma spesso siamo noi a recarci da loro, specialmente quando soffrono di un disagio psichico”. 67 I giovani sono quelli che in prevalenza si rivolgono al centro (70%) mentre nei campi profughi prevalgono gli anziani (60%), che diventano la maggioranza (90%) nelle comunità residenziali destinate ad ospitare chi si prevede possa tornare nella propria casa. Tra i giovani prevalgono gli adolescenti sui ragazzi in età scolare. “I problemi da loro espressi sono principalmente di natura psicologica, e questo a causa dei traumi vissuti in famiglia, spesso falciata dalla guerra e comunque in difficoltà economica. Il nostro impegno riguarda quindi principalmente un lavoro specifico sul trauma subito. Difficile, invece, intervenire sui problemi sociali, soprattutto quelli di natura economica, non avendo la possibilità di accedere direttamente ad una serie di servizi, ad esempio la previdenza sanitaria” . Nell’attività del centro, le donne rappresentano la stragrande maggioranza, intorno al 95%. La maggior parte ha dai 35 ai 55 anni. “Sono donne che hanno subito lutti, che si sono ritrovate sole, magari con figli e senza soldi, casa, assistenza”. Il centro può offrire un sostegno psicologico, ma nulla rispetto alle richieste economiche, ossia una casa, un lavoro, un sussidio. “ La ong non è in grado di dare risposte che dovrebbe essere compito delle istituzioni e delle strutture pubbliche locali e nazionali. Le persone che si rivolgono al centro incontrano un operatore e uno psicologo per stabilire le priorità dell’intervento. Se il bisogno espresso è di carattere sanitario, il centro si rivolge a esperti del settore, i quali si recano di persona anche nei campi profughi, per visite e distribuzione di medicinali. La presa in carico dura in media dai 4 ai 6 mesi, ma se necessario, è possibile una proroga. Si punta soprattutto sull’invio ad altri servizi, quali le cliniche psichiatriche, centri per la salute mentale, strutture ospedaliere pubbliche, il Centro per il lavoro sociale presente in diverse località e altre ong. In particolare con il Centro per il lavoro sociale è stata stipulata una convenzione. Per quanto riguarda gli amministratori pubblici, nessuna relazione di particolare collaborazione anche “se ci fossero i fondi per alcuni nostri progetti a carattere sociale e pedagogico, i Ministeri competenti ne trarrebbero sicuramente dei benefici”. “Servirebbe certamente un lavoro stabile di rete, fra pubblico e no profit in modo da offrire la migliore risposta al nostro utente. Non bisogna vedersi come concorrenti, ma piuttosto concordare i servizi da offrire per non creare sovrapposizioni” , Per quanto riguarda la legge, esistente, per il settore no profit, il centro vede possibile dei miglioramenti e individua il punto debole nella questione economica. “Noi presentiamo le nostre richieste sia agli enti pubblici che ai donatori internazionali, ma i fondi non sono mai regolari e stabili e questo non ci permette di erogare un servizio di qualità e continuativo”. 68 Bosnia ed Herzegovina ESPERIENZE SUL CAMPO Associazione TURZIANSKA AMICA Struttura del privato sociale, Tuzla Il Centro Turzianska Amica, attivo dal 1992 e ufficialmente costituito nel 1996, lavora sui bisogni del minore e della sua famiglia attraverso consulenze psicologiche, assistenza sanitaria e legale, supporto sociale, offerta formativa. Si propone la creazione di un Centro di documentazione. L’attività – in cui sono impiegate 15 persone di cui 10 donne oltre a volontari italiani - si svolge anche a domicilio, presso le famiglie, e all’interno di due sedi. La prima, a Tuzla, in una sede messa a disposizione dal Comune la cui ristrutturazione è stata possibile grazie ai contributi di donatori pubblici tedeschi e del “Cral telecom Romagna”, la seconda nel distretto Brcko, su un terreno messo a disposizione dal comune e la costruzione finanziata dalla Regione Emilia Romagna e dal “Cral Telecom” nazionale. La zona in cui interviene presenta molti problemi sociali: disoccupazione, presenza di minori non accompagnati, violenza in famiglia, anziani senza sostegno, popolazione rom. “Le famiglie si sono sfaldate causa la guerra e le conseguenti migrazioni, e ora sono rimasti gli sfollati, i profughi e quelli che tornano a casa” racconta Irfanka Pasagic, neuropsichiatria, responsabile del centro. Ad essere seguiti in particolare sono i giovani e gli adolescenti – praticamente il 90% degli utenti - e di conseguenze le famiglie. “Uno dei problemi maggiori è rappresentato dall’abbandono scolastico. In realtà da noi la scuola è gratuita, ma servono i soldi per i libri e per il trasporto, perché non sempre le strutture scolastiche sono facilmente raggiungibili. E chi ha finito la scuola, deve trovare lavoro, ma non è facile, e così accade che i ragazzi si demotivano. E senza una prospettiva per il futuro, è facile ricorrere alla droga. Inoltre i traumi si concentrano nella famiglia, a causa della guerra e delle sue vicissitudini, ed episodi di violenza domestica ne sono una conseguenza”. La struttura utilizza un approccio multidisciplinare, anche se alcune richieste non possono essere soddisfatte, come quella di un lavoro o di un sussidio economico. Le donne costituiscono una parte minima dell’utenza, intorno al 10%. Donne vedove, donne vittime di violenza, donne con un famiglia da mantenere e senza lavoro, “Difficile per noi sostenerle, non possiamo offrire loro un lavoro, e nemmeno una sistemazione alloggiativi se sfollate e tutelarle contro le possibili violenza”. Il Centro lavora in rete con ong e con strutture pubbliche ed è anche in contatto con il Ministero del Welfare. “La collaborazione non è soddisfacente. Occorre una nuova legge e soprattutto un’attenzione maggiore alle questioni del welfare. E un supporto più concreto alle ong”. 69 70 Bosnia ed Herzegovina L’EUROPA RACCOMANDA Stralci da CARDS SOCIAL SECTOR STUDY, Country report 2005 Il rapporto di fattibilità della Commissione sulla preparazione della Bosnia e Herzegovina ad aprire un negoziato finalizzato all’ingresso nella UE raccomandava che la cooperazione tra UE e BiH nel campo delle politiche sociali e dell’impiego mirasse alla riforma delle politiche per l’impiego, della legislazione sul lavoro e della sicurezza sociale. Necessario implementare il collocamento e l’orientamento al lavoro, ed allo stesso tempo migliorare il settore sanità e le misure di sicurezza dei lavoratori adottando sistemi di sicurezza sociale adeguati alla situazione economica in evoluzione. In questo rapporto é stata preso in considerazione l’amministrazione del settore sociale in Bosnia e Herzegovina. Lo studio dimostra che l’amministrazione del settore sociale è caratterizzata da numerose difficoltà e lati deboli, dovuti anche alla particolare organizzazione del paese in quanto gran parte delle risorse disponibili sono effettivamente sprecate a causa di duplicazione di facilitazioni degli accordi amministrativi tra le varie entità e cantoni. Inoltre la responsabilità per le disposizioni inerenti ai servizi sociali è altamente frammentato e vi sono perciò molte disuguaglianze territoriali causa delle quali i gruppi deboli e gli individui escono dalla rete di protezione sociale. In questo contesto vi è chiaramente un gran bisogno del supporto internazionale per migliorare il funzionamento efficiente dell’amministrazione e per far sì che le risorse vengano ottimizzate. Inoltre l’integrazione europea necessariamente richiede un livello di progresso che possa effettivamente rafforzare il settore sociale dell’amministrazione come specificatamente richiesto agli appartenenti all’UE, come ad esempio l’ispettorato del lavoro, le istituzioni per la pari opportunità ed il dialogo delle parti sociali. Ci sono anche le misure richieste dal Trattato di Lisbona, specialmente la formulazione e l’implementazione del Piano Nazionale per l’Impiego. Inoltre bisogna sviluppare un approccio integrato atto a promuovere l’inclusione sociale nel contesto dell’integrazione nell’UE. Si ritiene prioritario rafforzare le competenze dell’amministrazione a livello statale per coordinare le politiche 71 sociali tra le parti ed i cantoni, sviluppando le competenze delle agenzie di statistica per svolgere delle attività essenziali nel campo delle statistiche sociali. Tuttavia ci sono molte altre organizzazioni di assistenza operanti nella Bosnia Herzegovina che mirano a contribuire al miglioramento delle condizioni sociali al fine di sviluppare le loro competenze e venire incontro alle richieste dei disagiati e delle fasce deboli della popolazione. In questo contesto bisogna riconoscere che la Banca Mondiale ha partecipato ai maggiori progetti dell’amministrazione nel settore sociale in BiH tra cui le riforme del lavoro, della sanità e quella pensionistica, ecc. CARDS ed i futuri programmi UE di sostegno dovrebbero lavorare in collaborazione con la Banca Mondiale ed altri donatori nel ruolo di “trovare la strada”. 72 Bosnia ed Herzegovina LE NAZIONI UNITE E I GIOVANI Nicola Tiezzi, responsabile per I giovani e l’impegno dei volontari delle Nazioni Unite in Bosnia e Herzegovina La Bosnia Erzegovina sta affrontando un complesso processo di “ri-costruzione dello Stato”, caratterizzato da quattro delicate fasi di transizione: il consolidamento della pace; il passaggio da un protettorato internazionale a una piena sovranità e indipendenza; l’evoluzione da una economia centralizzata a una di libero mercato caratterizzata da fortissimi processi di privatizzazione; il difficile percorso di accesso e inserimento in Europa e nella struttura Euro-Atlantica. Come in altri Paesi in transizione, tali fattori hanno contribuito a determinare un contesto caratterizzato da un’economia in crescita, ma allo stesso tempo anche da una povertà in aumento e da vari problemi sociali tra cui la disoccupazione, specie giovanile, ha grande rilevanza. Il processo di transizione è ulteriormente reso difficile da un consolidamento della pace caratterizzato da contrapposizioni etnico-politiche solo parzialmente risolte e dal ancor incompleto processo di ritorno dei profughi nelle loro comunità d’ appartenenza prima del conflitto. La disoccupazione media è stimata intorno al 40%. L’economia grigia è dilagante. Il reddito pro-capite ufficiale è circa la metà di quello del 1992 mrentre quasi il 20% della popolazione vive sotto la linea di povertà. All’interno di questa percentuale rientrano i pensionati, i disoccupati di mezza età, gli sfollati/i rifugiati che ritornano e soprattutto i giovani. Altro aspetto delicato che caratterizza il Paese è la crescente sfiducia della popolazione, in prevalenza tra i giovani, nelle possibilità di intervenire nei processi di sviluppo locale e di miglioramento della vita comunitaria. A causa della complessa articolazione istituzionale del paese composta da vari livelli, oltre il 70% della popolazione “sente” di non avere voce nei processi decisionali. Una percezione che è suffragata dai fatti: la struttura dei vari livelli di governo “consuma” circa il 60% del reddito interno lordo, lasciando le briciole alle comunità locali che non riescono 73 dunque a garantire i servizi alle proprie comunità. Se a fianco delle scarse risorse economiche che il governo centrale mette a disposizione delle comunità aggiungiamo il fatto che vi è una totale assenza di politiche di sussidiarietà, scarsa capacità di elaborare politiche sociali ed economiche innovative, mancanza di trasparenza e corruzione, possiamo capire il progressivo allontanamento della popolazione dalla vita politica nazionale e l’aumento delle problematiche sociali ed economiche a livello locale. Tale contesto penalizza in particolare i giovani. Infatti, in Bosnia e HErzegovina vi è una generalizzata mancanza di strategie legate alle questioni giovanili e l’assenza di un quadro di politiche giovanili. Le principali conseguenze di questa situazione hanno prodotto principalmente tre effetti: elevata disoccupazione tra i giovani e forte impiego di quest’ultimi nell’economia grigia. In proposito è importante puntualizzare che se da un lato le attività informali danno opportunità di reddito e occupazione ai giovani, dall’altro producono problemi a lungo termine per quel che riguarda la stabilità economica, certezze per il futuro, la protezione sociale una generale apatia tra i cittadini giovani e un forte desiderio di lasciare il paese. Una ricerca recente mostra infatti che il 77% dei giovani lascerebbe il Paese se avesse la possibilità di farlo, di cui il 24% lo lascerebbe per sempre. Secondo la stessa ricerca, i giovani si sentono marginalizzati, isolati ed esclusi dalla società, senza alcuna possibilità di influenzare le decisioni prese a qualsiasi livello decisionale. Tali aspetti caratterizzano l’intero paese, ma si presentano altrettanto drammaticamente nelle comunità locali in cui le seguenti problematiche legate al mondo giovanile sono particolarmente evidenti: • • • • • • • • • Elevata disoccupazione e forte impiego nell’economia grigia: 52% dei giovani trova una fonte di reddito nel mercato informale. Elevati tassi di emigrazione: più del 10% dei giovani sotto i 30 anni. Aumento del disinteresse alla vita comunitaria da parte dei giovani con relativa scarsa partecipazione di quest’ultimi alla vita economica e sociale dei territori di appartenenza. Mancanza di spirito comunitario ed imprenditoriale; Mancanza di istituzioni intermedie di confronto tra pubblico e privato per la definizione di politiche sociali, in particolare rivolte all’ambito giovanile. Assenza di un settore di privato sociale idoneo, in collaborazione con l’amministrazione pubblica, a dare una risposta ai bisogni comunitari. Settore educativo e formativo poco presente e non sufficientemente qualificato in relazione alle tematiche di sviluppo locale e definizione di politiche sociali. Difficoltà di accesso a informazioni relative al mondo dello studio, lavoro, ecc.. Assenza di organizzazioni che facilitino l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e che offrano servizi di assistenza per la creazione di nuove imprese ed il consolidamento di quelle già esistenti. Al fine di rispondere a tutti questi bisogni, un approccio integrato allo sviluppo locale è più che mai necessario. In tale approccio i giovani possono e devono essere messi in grado di fare la differenza e piu’ in particolare e’ necessario investire nello sviluppo di politiche specifiche in grado di favorire una imprenditoria sociale e giovanile avente un elevato potenziale in termini di capacita’ di offerta di servizi socio-culturali e di valorizazzione di risorse culturali e naturalistiche finalizzata a programmi di ecoturismo, ambiente. 74 Nel 1976 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha assegnato uno speciale mandato a UNV nell’ambito della promozione della partecipazione dei giovani nei programmi di sviluppo. In BiH questo importante ruolo è stato svolto egregiamente attraverso un Programma Integrato per i Giovani realizzato nell’ambito del programma paese di UNDP, che è stato in grado di migliorare la vita di migliaia di giovani attraverso attività svolte sia a livello locale che statale che hanno permesso loro di avere un ruolo attivo in processi di sviluppo locale e contribuito a far sí che le politiche giovanili venissero messe in agenda del Consiglio dei Ministri cosí come di molti Consigli Comunali. Un ruolo attivo dei giovani nei processi di definizione ed implementazione delle strategie di sviluppo locale, decentralizzazione e governance e politiche di inserimento lavorativo e’ stato reso possibile grazie alla realizzazione di un network di centri giovanili, realizzati in partnership con municipalità e organizzazioni giovanili, e alla realizzazione di tutta una serie di attivita’ che sono state in grado di: • Definire la strategia di intervento specifico per le singole municipalità sulla base delle potenzialità e priorità • Identificare le priorità in termini di servizi socio-culturali necessari e attività che da realizzate per valorizzare le potenzialità locali di sviluppo • Assicurare formazione specifica della controparte locale gruppo giovanile/NGO finalizzata a trasferire capacità gestionali e di identificazione dei bisogni locali e delle aree aventi il maggior potenziale di sviluppo locale • Avviare piccoli programmi di valorizzazione e ‘riappropriazione’ del patrimonio culturale e naturale e di promozione del patrimonio culturale e naturale • Promuovere gemellaggi e attività di cooperazione decentrata volti a salvaguardare e valorizzare il patrimonio artistico, culturale e ambientale • Favorire l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro attraverso l’avvio di programmi specifici gestiti in collaborazione con autorità locali ed organizzazioni giovanili volti all’apertura di Centri Servizi per giovani imprenditori e Sportelli Informagiovani 75 5* capitolo SERBIA Un sguardo sulla questione sociale Nello stato socialista della ex Jugoslavia le politiche sociali si proponevano il superamento delle differenze attraverso la parità, la giustizia, la sicurezza sociale e la solidarietà. Gli ambiti delle politiche sociali riguardavano principalmente due aspetti: la garanzia dei redditi e la tutela degli anziani, dei disabili, dei bambini, dei disoccupati, dei poveri, dei malati, e delle famiglie. Gratuita anche l’assistenza sanitaria. Ulteriori ambiti di competenza erano la condizione alloggiativa, l’istruzione pubblica e alcuni interventi nell’ambito dell’occupazione.. Alla fine della seconda guerra mondiale, il paese si ritrovò distrutto e impoverito, ma a differenza degli altri stati socialisti, i confini rimasero aperti, permettendo ai cittadini di viaggiare in quasi tutto il mondo senza necessità di un visto. Con il dissolvimento del blocco comunista, il paese si è trasformato prima nella Repubblica Federale di Jugoslavia, e in seguito nell’Unione della Serbia e Montenegro. Le vicende di questo periodo di transizione hanno segnato profondamente la politica e soprattutto la realtà sociale del paese. Lo sviluppo produttivo della Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale contribuì alla riorganizzazione dei servizi nel settore sociale. Già prima del 1967 era stata modificata la struttura delle organizzazioni finalizzate all’accoglienza, ratificando in questo ambito importanti convenzioni internazionali. Il sistema decentrato introdotto all’epoca è rimasto in vigore fino al 1991. I servizi nel settore delle politiche sociali erano garantiti in origine dalla comunità locale, essendo state trasferite le competenze dal centro verso la periferia con conseguente copertura finanziaria. Alle comunità locali non sufficientemente sviluppate lo Stato assegnava un ulteriore sostegno economico. Questa modalità ha permesso una regolare pianificazione a lungo termine (5 anni) e a breve termine, nonché uno sviluppo del settore della tutela sociale durante gli anni Settanta e Ottanta. Il sistema del decentramento è stato riconosciuto valido e mantenuto nel tempo. Alcune norme, sempre nella direzione del decentramento, furono previste all’interno della Legge sull’autogestione locale (2000), ma si limitarono a principi generici, e così sono rimasti in vigore le precedenti disposizioni della Legge sulla tutela sociale e sulla sicurezza sociale dei cittadini approvata nel 1991. 76 Con questa legge la Repubblica sancì una serie di diritti nel campo degli interventi sociali. Ad esempio venne prevista l’erogazione di un sussidio finanziario alle famiglie in difficoltà, alle persone con handicap, ai bambini, alle donne anziane, e si rese possibile per determinate situazioni il diritto all’assistenza domiciliare e l’accesso a strutture di accoglienza, oltre alla possibilità di usufruire gratuitamente di alcuni servizi sanitari. La gestione delle attività venne in parte attribuita all’amministrazione locale, e in parte restò al governo centrale. Da parte della Repubblica e dei Comuni furono create le “Istituzioni per la protezione sociale” con il compito di garantire l’assistenza ai cittadini, di organizzare una banca dati e di relazionare periodicamente al Ministero per gli Affari Sociali. Attualmente da questa struttura dipendono: i Centri di lavoro sociale, gestiti dal Comune, le strutture residenziali, gestite dalla Repubblica, i centri diurni e l’assistenza domiciliare, gestite sempre dai Comuni. Per quanto riguarda le risorse, la Repubblica finanzia direttamente i servizi a sé afferenti, tra cui le strutture residenziali, mentre trasferisce ai Comuni tramite il Ministero per gli Affari Sociali i fondi per i Centri di lavoro sociale e gli altri servizi di loro competenza. Per quanto riguarda l’ampiezza degli interventi, si può capire quali siano le attuali esigenze leggendo alcuni dati statistici. In Jugoslavia, nel 1946 erano presenti: 158 organizzazioni per la tutela sociale degli adulti, di cui 60 in Serbia, e 6.620 utenti, di cui 1766 in Serbia; 60 organizzazioni per la tutela sociale dei bambini e degli adolescenti, di cui 17 in Serbia e 4.235 utenti, di cui 1766 in Serbia. Le indagini statistiche dimostrano che con il passare degli anni il numero delle associazioni per adulti è rimasto praticamente invariato, mentre sono aumentati gli utenti. Nel 1986 si calcolano 30.884 utenti adulti, di cui 8.390 in Serbia. Il numero delle organizzazioni per la tutela sociale dei bambini e degli adolescenti al contrario è aumentato, nel 1986 erano 225 con 20849 utenti, di cui 53 organizzazioni e 5708 utenti in Serbia (comprese 17 organizzazioni e 1447 utenti nella provincia autonoma di Vojvodina). Questi numeri appaiono trascurabili rispetto ai dati del 2001, anno in cui, in un paese con 7 milioni e mezzo di abitanti, 512.030 persone sono registrate come utenti di varie forme di tutela sociale, e a 164.898 viene assegnato l’aiuto finanziario. I cambiamenti nel campo industriale ed economico comportano inevitabilmente mutamenti anche nel settore sociale. Il percorso di trasformazione, infatti, non è stato facile e nelle crisi politiche ed economiche che si sono succedute le garanzie sociali entrarono in crisi. Nacque una povertà invisibile, e lo sconvolgimento generale evidenziò sentimenti quali la discriminazione e l’intolleranza sulla base della religione e della etnia. Un ulteriore elemento che influenzò la realtà del paese furono le migrazioni e l’abbassamento del tasso della natalità, contribuendo così all’invecchiamento della popolazione. Dall’inizio della crisi e dal dissolvimento della Jugoslavia fino al 1994, non si registrarono novità concrete in materia di politiche sociali. Non fu possibile per la situazione politica ed economica nel paese e per l’impennata inflazionistica. La gestione dell’economia durante l’epoca di Milosevic, il lungo periodo di sanzioni e i danni alle infrastrutture e alle industrie conseguenza dei bombardamenti Nato del 1999, intaccarono pesantemente le capacità produttive del paese. In seguito alla destituzione di Milosevic, avvenuta nel 2000, la coalizione del nuovo governo ha cercato di affrontare la crisi con importanti misure politiche di riforma economica. Solo con il ristabilirsi del valore del dinaro, e con i primi segni di guarigione nel settore produttivo, sono state create le condizioni per intervenire anche nel settore sociale. 77 Oggi, dopo un decennio di crisi, la priorità è cercare nuove risorse finanziarie. Una gran parte dei compiti relativi alla tutela sociale sono assunti dalle ong, e comunque molti enti e istituzioni sono sopravvissute negli anni della crisi unicamente grazie agli aiuti umanitari e alle donazioni internazionali. Nonostante la povertà, il paese destina il 4% del prodotto lordo nazionale per il settore sociale. Il governo attuale intende riportare il paese all’interno degli standard europei, attraverso la proposta di riforme nel campo sociale e la sottoscrizione di accordi internazionali, confermando l’adesione al Fondo Monetario Internazionale e rientrando nella Banca Mondiale e nella Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Altre iniziative intraprese in questa direzione furono, nel 2003, l’approvazione del “Poverty Reduction Strategy Paper for Serbia”, in cui sono stabiliti gli obiettivi nella lotta alla povertà, e la sottoscrizione, nel 2004, del “National Plan of Action for Children”, con cui sono state definite le politiche nazionali in materia di infanzia. All’interno della riforma del sistema di welfare in corso, a cui si ispirano i documenti approvati nel 2003 e nel 2004, la Banca Mondiale ha impegnato le proprie risorse per finanziare cinque progetti: 1) l’organizzazione e la sistematizzazione di tutti i servizi sociali, per determinare criteri e standard; 2) la creazione di standard professionali per i Centri di lavoro sociale territoriali; 3) la mappatura e l’analisi dei bisogni e dei servizi; 4) la riorganizzazione delle grandi strutture di accoglienza finalizzata alla loro progressiva chiusura; 5) la creazione di una rete fra tutti i Centri di lavoro sociale territoriali per scambiare buone pratiche e informazioni. La disoccupazione e la povertà La disoccupazione è attualmente il maggiore problema sociale ed economico in Serbia. Nel novembre 2004, il Servizio Nazionale del Lavoro ha registrato 959.530 disoccupati. Per il 2005 si prevedono tra i 10.000 e i 50.000 nuovi disoccupati. Per sostenerli, come prevede la legge sul lavoro, durante il 2004 il Servizio Nazionale del Lavoro ha versato in totale 11,5 miliardi di dinari, oltre ai 2 miliardi di dinari destinati agli sfollati (persone venute dal Kosovo). Incentivare l’inserimento nel mondo produttivo dei giovani, rappresenta la priorità per il 2005 e il governo serbo sta lavorando alla costituzione di un Centro che si occuperà esclusivamente del collocamento al lavoro di persone appartenenti alla fascia d’età tra i 15 e i 27 anni. La disoccupazione dilaga, e tocca in particolare gli oltre cinquantenni la cui ricollocazione appare particolarmente difficile e gli anziani. Secondo i dati del Servizio nazionale, il tasso di disoccupazione in base a fonti serbe registrato nel mese di novembre 2004 è del 25,79 %. I dati cambiano se si adotta la metodologia di rilevazione raccomandata da parte dei paesi dell’Unione Europea secondo cui sono definiti disoccupati solo quelli che non hanno nessun reddito: il tasso di disoccupazione si abbassa al 14,63%. A confronto degli altri paesi dell’area balcanica, il tasso serbo può essere giudicato come un valore medio: in Croazia è pari al 14%, mentre in Slovenia è il 6,7%, in Ungheria il 5,9%. In cima alla classifica la Macedonia, con il tasso di disoccupazione al 36%. Per il 2005 è prevista la riforma del Servizio nazionale di collocamento. Le riforme in corso e quelle previste dovrebbero contribuire a realizzare le politiche attive del mercato del lavoro, il decentramento delle deleghe e dei poteri, a rendere possibile l’accesso degli utenti ai servizi e a promuovere la collaborazione con il mondo imprenditoriale. La povertà viene considerata un’emergenza della realtà sociale del paese. Con uno stipendio medio di 13.800 dinari (meno di 200 euro, dato del 2004) e una pensione 78 media di 9500 dinari (circa 115 euro) la vita quotidiana è difficile. Secondo i dati ufficiale, in Serbia ci sono 800.000 persone povere, ossia con un reddito quotidiano di 2,4 dollari. Per il direttore del “Centro per la ricerca alternativa” Milan Nikolic, la situazione è più grave di quanto si voglia far credere e oggi in Serbia è da ritenersi povera più del 60% della popolazione, una percentuale in costante aumento. In particolare difficoltà si trova la realtà rurale. Secondo i dati della Banca mondiale circa 1 milione di contadini vive in estrema povertà, secondo altre fonti potrebbero essere anche il doppio. Se si considerano i dati dell’assistenza sociale, sono 42.000 le famiglie e quasi 110.000 le persone beneficiarie dell’assistenza sociale. I sindacati mettono in evidenza il fatto che ogni mese 245.000 persone lavorano senza prendere lo stipendio e inoltre la forza lavoro in Serbia, insieme a quella in Macedonia, in Romania e in Bulgaria, è la meno pagata in tutt’Europa. Gli analisti prevedono la continuazione delle difficoltà economiche anche per il 2005 e oltre Lo standard di vita si è dimezzato rispetto a quello del 1989 e alcuni economisti sostengono che il tasso di disoccupazione potrebbe aumentare fino al 21%, e ciò in parte a causa della prevista ristrutturazione delle otto aziende pubbliche, in cui sono occupate al momento 130.000 persone. I minori Nel 1994 l’organizzazione non governativa “Il Centro per i diritti dei bambini” con l’aiuto dell’associazione “Save the children” ha redatto un rapporto sui diritti dei bambini in Serbia. La relazione dimostra che i bambini sono maggiormente colpiti dalla povertà. In Serbia 200.000 bambini vivono sotto il limite dalla soglia di povertà, e altri 200.000 sono al limite. I più a rischio sono i minori che vivono nelle famiglie beneficiarie dell’assistenza sociale. I giovani Si calcola che quasi due terzi della popolazione appartenente a questa fascia d’età viva ancora a casa dei genitori, non sia sposata, non sia indipendente dal punto di vista economico e non abbia un impiego fisso. La Serbia rientra nel gruppo dei paesi in cui è dominante il sistema di valori familiari, caratterizzati da un allentato passaggio all’età adulta e da forti legami con la famiglia. Il matrimonio e la nascita dei figli sono accompagnati dalla mancanza di soluzioni abitative e di risorse economiche, il che impedisce l’abbandono della casa dei genitori, anche in presenza di una nuova famiglia. Secondo una recente indagine, il 16% dei giovani lavora nelle aziende pubbliche e il 44% nel settore privato. Oltre la metà dei giovani tra i 18 e i 29 anni vuole emigrare. La maggior parte pone al primo posto il desiderio di diventare un uomo d’affari, al secondo essere medici o dentisti, e al terzo posto il desiderio di essere insegnanti. Molti di loro sono pronti ad accettare un lavoro extra per guadagnare di più, non escludendo occupazioni stagionali nel settore agrario e edilizio. Quanto sia importante riuscire a mantenere il posto, lo dimostra il fatto che il 44% accetterebbe la diminuzione dello stipendio solo per mantenere il lavoro, mentre il 38% sacrificherebbe anche il proprio livello di scolarizzazione per lo stesso motivo. Il 79 27% dei giovani occupati pensa all’idea dell’imprenditorialità privata e alla possibilità di intraprendere un lavoro autonomo. Le donne La maggioranza dei poveri è rappresentata dalle donne, in percentuale intorno al 70%. Le donne sono meno scolarizzate, vengono pagate in maniera inferiore degli uomini e spesso si ritrovano da sole con i figli. La ricercatrice Tatjana Djuric-Krsmanovic spiega che le donne sono il 64% del personale nelle scuole elementari, il 51% nelle medie, e 30% all’Università. Ora solo l’1% dei membri dell’Accademia delle Scienze sono donne, e fino a poco tempo fa, nessuna è mai stata eletta rettore dell’Università di Belgrado, e raramente si trova ai vertice della gerarchia manageriale. Anzi, solo il 2% delle donne occupano posti dirigenziali, e prevalentemente solo nelle piccole aziende. Tra oltre 7000 assessori comunali, solo 460 sono donne. Tra 250 deputati nell’Assemblea serba, 27 sono donne. La crescente disoccupazione, il debole sistema della tutela sanitaria e pensionistica e la povertà, hanno contribuito all’aumento della disparità basata sul sesso. La situazione è analoga sia nelle città che nelle campagne. In una famiglia rurale serba, il rapporto tra i sessi è rimasto lo stesso di duecento anni fa; in tutti gli aspetti si appoggia fortemente sul sistema patriarcale dei rapporti. I profughi e gli sfollati In Serbia, secondo i dati ufficiali, sono arrivati nel corso degli anni dai 350.000 agli 800.000 profughi. Il censimento del 2001 ha registrato 451.980 persone, nel 2003 erano 278.647. La maggior parte di loro, cioè il 60,6%, ha scelto come residenza permanente la Serbia, il che rende necessario risolvere il loro status temporaneo. La maggior parte vive in Vojvodina, oltre il 60%. Ad aprile 2003 sono state registrate 205.391 persone sfollate dal Kosovo e dalla Metohija. La situazione economica dei profughi e degli sfollati è disastrosa, tale da dover essere considerati soggetti in disagio sociale. Per questo motivo, a loro e alle famiglie accolte presso i centri di accoglienza, vengono destinati gli aiuti umanitari, quali il cibo, l’abbigliamento, le medicine, ecc. Oltre a questo, viene garantita l’assistenza sanitaria e l’istruzione scolastica. Il governo ha recentemente ipotizzato un progetto di integrazione, commissionando una ricerca nella regione più povera della Serbia sud-orientale. Sono state interpellate 400 famiglie residenti in villaggi con non più di 500-1000 abitanti, per capire se sia possibile inserire i profughi in questi territori rurali allo scopo di rivitalizzare le zone abbandonate. 80 TESTIMONE PRIVILEGIATO Intervista a .... Quale é la situazione nel paese in merito al decentramento delle politiche di welfare? Dal 2001 è iniziato il processo di trasformazione e di riforma delle politiche sociali nel suo complesso. Nel quadro di questa riforma, è in corso un lavoro che riguarda cinque progetti, molto ampi e riguardanti l’intero sistema di protezione sociale. Uno dei cinque progetti è denominato “decentralizzazione” e si riferisce al modo in cui nel futuro saranno organizzate gli istituti per l’accoglienza degli utenti, bambini e adulti e persone con bisogni particolari (ad esempio disabili). Un ulteriore progetto si occupa dell’organizzazione del lavoro dei servizi sociali e della definizione degli standard di qualità, e anche in questo caso si affronta la questione della decentralizzazione. L’obiettivo, infatti, é che nel futuro i servizi sociali possano essere più funzionali e meno onerosi e che l’offerta proponga un maggiore livello di qualità dei servizi stessi. La decentralizzazione degli istituti significa l’introduzione dei nuovi modi alternativi per l’accoglienza degli utenti: offrire una modalitá che possa simulare la vita in famiglia e garantire assistenza senza per questo essere ospiti di un istituto. Per quanto riguarda il funzionamento dei servizi sociali – i nostri Centri per il Lavoro Sociale – la decentralizzazione significa che essi potranno molto più autonomamente organizzare il proprio modo di lavorare, in base alle risorse di cui dispongono. Potranno essere impiegate meno persone, potranno organizzarsi più autonomamente, ma dovranno rispettare determinati standard e quanto prevede il quadro legislativo. Potrebbe ancora rientrare nel concetto di decentralizzazione, la fondazione dell’Istituto per la protezione sociale. Si tratta di un’istituzione indipendente che si occuperà di fornire il supporto professionale con un ampio spettro di corsi di formazione e la supervisione degli operatori sociali, oltre ad offrire un sostegno nel trattamento dei casi singoli. 81 Come funziona il supporto a singoli casi da parte di una struttura a livello nazionale? Al momento non abbiamo ancora trasferito l’offerta di supporto professionale a livello regionale poiché sono pochi i professionisti che localmente potrebbero offrire competenze tecniche adeguate. Comunque, grazie a questo progetto sugli standard, abbiamo previsto che un determinato numero di persone, formate come supervisori a livello locale, potranno offrire supporto ai loro colleghi. Fino ad allora cercheremo di supplire con una strategia di riserva per non lasciare il campo scoperto. Quali i punti di criticitá e le necessitá piú urgenti? La mancanza di mezzi finanziari per organizzare il servizio in maniera adeguata e la necessitá di innalzare il livello di formazione da parte degli operatori. I problemi da affrontare sono abbastanza complessi e al momento i servizi offerti sono pochi e inadeguati. Le problematiche sociali sono sempre più difficili, e più numerose. Questo è il quadro di cui noi oggi disponiamo. Inoltre al momento il Ministero ha un doppio ruolo estremamente difficile rispetto al livello locale: da una parte siamo i loro ispettori supervisori, e dall’altra offriamo loro il supporto tecnico. Un altro problema da sottolineare è che al momento i servizi sociali, cioè i Centri per il lavoro sociale, oltre ad offrire la protezione legale e familiare, devono anche occuparsi dell’erogazione dei sussidi sociali. Ciò comporta tempo e impegna personale altamente qualificato. La proposta è che questo lavoro venga svolto dal Comune, in quanto si tratta di una funzione amministrativa. Occorre tener presente che il decentramento – attualmente in corso - é un processo estremamente difficile in quanto richiede una modifica della legge e dell’intera struttura del sistema. Quale é il rapporto con enti e strutture del privato sociale? 82 Possiamo distinguere tre settori di attivitá. Per settore pubblico del sistema di protezione sociale si intendono tutte le istituzioni presenti a livello locale: i Centri per il lavoro sociale, gli istituti per bambini ed anziani, etc. Per settore privato intendiamo gli Istituti privati per i bambini oppure le istituzioni la cui proprietà è di determinate persone. Infine esistono le organizzazioni non governative. A partire dal 2001, molti donatori stranieri hanno stimolato il settore non governativo per indurlo ad occuparsi seriamente delle politiche sociali. Contemporaneamente notiamo dei cambiamenti molto positivi nel rapporto tra il settore pubblico e quello non governativo. Non si tratta ancora di una collaborazione soddisfaciente, ma é migliorata rispetto al passato. E’ ovvio, ed é positivo, che la maggior parte delle proposte provengano dal settore non governativo. I nostri progetti di riforma affermano una maggior partecipazione del settore non governativo e sollecitano una maggiore inclusione anche del settore privato, che puó contare su risorse, ma non ancora sufficientemente rappresentato. Credo che il campo sociale non venga considerato appetibile per il settore privato, in quanto il profitto non é immediatamente visibile. E’un errrore, perché al contrario, rappresenta un ambito con molte opportunitá. Rispetto al passato, quali sono gli elementi più importanti per una nuova politica di welfare, anche in vista di un futuro ingresso nella Comunitá europea? E’ importante che i servizi si organizzino bene, e che innalzino il loro livello di professionalitá. Quando si affermerà il pluralismo dei servizi, ossia quando aumenterá l’offerta da parte del settore pubblico, di quello non governativo e anche di quello privato, nascerá una sana concorrenza i cui benefici andranno ai cittadini, cioè agli utenti dei servizi stessi. Deve esistere un livello minimo di servizi ugualmente accessibile a tutti. Se poi un cittadino avrá delle possibilitá economiche, potrá permettersi un’offerta di maggiore qualità proposta dal settore privato. Da parte del settore non governativo, aspettiamo una offerta di servizi in ambiti non coperti dal settore pubblico. 83 Serbia INTERVISTA Velimir urguz, giornalista e scrittore, direttore del Centro di documentazione giornalistica “Edbart”. Come si occupano i media della realtà sociale del paese? Quando si parla di temi sociali registriamo una grande ipocrisia. Da un lato, in base ai sondaggi, è evidente un grande interesse dei cittadini per i temi legati alle problematiche sociali, e di conseguenza alla situazione economica in generale. Dall`altro lato i media dedicano a questi temi uno spazio molto limitato. Ciò può significare che la gente è interessata ai problemi di politica sociale, ma non a informarsi in modo continuato. Sono temi troppo impegnativi e nei media si cerca soprattutto divertimento e svago. Situazioni di bambini abbandonati, famiglie indigenti che vivono sulla strada, o tragici susseguirsi di eventi, possono diventare al massimo tema per un giorno, per essere poi subito dimenticati. Perchè questa difficoltà ad affrontare la realtà? La nostra società è passata attraverso diverse fasi, e l`approccio a questi temi è stato differente. Fattore comune a tutte, comunque, è stata la marginalizzazione di questi problemi affinchè la società appaia più ricca e benestante di quello che è, e gruppi di minoranza, in particolare rom, siano del tutto esclusi dall’informazione. Questi temi non sono stati proibiti, semplicemente lasciati da parte perché ritenuti poco importanti. Ora ci troviamo di fronte ad un`altra questione: il sistema socialista centralizzato con le sue forme organizzative formalmante si occupava di assistenza ai minori, agli anziani, ai gruppi socialmente svantaggiati. In realtà ha assolto a una funzione formale più che pratica. Nonostante questo, in alcuni periodi del sistema di governo precedente, in particolare durante gli anni sessanta e settanta, la più grande organizzazione che si è occupata di gruppi socialmente deboli, la Croce Rossa, ha messo in pratica un`azione frontale cosicchè molte persone, in particolare donne, hanno preso parte all`attività sociale. Non si dovrebbe dimenticare che per un determinato periodo, le organizzazioni umanitarie hanno lavorato in ampi settori dell`ex-Iugoslavia, ma che con il tempo e in particolare con il formarsi del sistema multipartitico, le ong nate dal sistema socialista hanno cominciato a perdere vigore, a scomparire e l`interesse per questo tipo di attivismo è diminuito. Si è smesso di parlare seriamente di volontariato. Durante il socialismo accanto all`ipocrisia e alla marginalizzazione di alcuni problemi, è esistito un certo culto del lavoro volontario e dell`attivismo, nato dalla guerra e dai problemi postbellici, finalizzato alla ricostruzione del paese. Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il volontariato è totalmente marginalizzato. Sebbene nascano nuove organizzazioni (ad esempio quelle non governative), non si sviluppa la consapevolezza che il lavoro volontario fa parte del mondo civile evoluto. Perciò è necessario prima di tutto lavorare sullo sviluppo di tale coscienza e allo 84 stesso tempo al potenziamento di quelle istituzioni che si occupano di queste problematiche e al coinvolgimento attivo dello stato, che non può liberarsi dei propri compiti di assistenza ai cittadini e in particolare ai più bisognosi. Allo stesso modo neppure lo stato più ricco potrebbe arrivare là dove invece arrivano le persone spinte dalla propria consapevolezza e dai propri bisogni. Possiamo affermare che il problema principale è il lavoro? Per nostra sfortuna abbiamo vissuto, a differenza degli altri paesi est-europei, un difficile periodo di guerra che ha generato enormi tragedie umane e un consistente numero di profughi. Di conseguenza negli ultimi quindici anni ci siamo trovati di fronte a casi collettivi di indigenza, che con il tempo perdono ogni distinzione individuale poiché si tratta di centinaia di migliaia di casi. Ognuna di queste storie individuali diventa parte di una consapevolezza collettiva che tende a presentare e a vivere questi problemi come facenti parte del destino, come qualcosa che si è generato da sé e a cui noi, uomini comuni, non possiamo dare risposta. Si parla continuamente di “un certo periodo”, che con il tempo si è trasformato in una perdita della speranza e della fede nella veloce conclusione del processo. Ciò ha significato la comparsa di apatia e indifferenza a quanto accade intorno a noi e infine la perdita della capacità di empatia, ossia la fuga dai ricordi e dal passato, da ciò che è successo. Coloro che sono coinvolti nei problemi e nelle difficoltà, malvolentieri ricordano le disgrazie altrui, mentre ricordano soltanto i fatti propri. Questo porta ad un certo relativismo morale del contesto in cui viviamo. Non è certo l`atmosfera adatta a lavorare e costruire un mondo futuro migliore. Lo stato ha compreso il problema dei profughi? Dimentichiamo che questa terra è stata per anni terra di passaggio per profughi, clandestini in fuga dalla Romania, dalla Bulgaria, dall`Ungheria e che arrivavano qui non per cominciare una nuova vita, ma soltanto per attraversare il paese e raggiungere l`Europa Occidentale. Già allora la situazione era paradossale: il Commissariato delle Nazioni Unite per i profughi si è occupato di tutte le esigenze, mentre i nostri servizi non hanno avuto alcun ruolo sociale, ma soltanto poliziesco. Coloro che venivano sorpresi sul nostro territorio oppure identificati al confine, venivano accompagnati in questura, rinchiusi per un certo periodo in prigione, trasferiti in centri di accoglienza temporanei e messi in attesa del visto oppure della possibilità di proseguire. E`evidente che il paese non si è confrontato con ciò che è successo negli anni `90, cioè con i massicci arrivi di profughi. In realtà il problema è giuridico: il sistema che si sgretola, la guerra civile e reciproca tra i nuovi stati, che non hanno creato nulla di nuovo e che ora si sforzano di presentarsi come continuazione dello stato precedente. Non è pensabile che la legge riordini una realtà che è irrazionale di per sè. La possibilità che i rapporti tra questi paesi si sistemino in maniera da permettere a ognuno di ritornare senza problemi ai luoghi di origine e di riprendere possesso dei propri averi, è lontana. Molti profughi vivono nell`illusione che tutto si possa risolvere. Le loro richieste e aspettative sono molto radicali, si aspettano che i problemi siano risolti per via militare e con la forza. Questa è un’illusione, che dura da tempo e che rappresenta un pericolo latente per la stabilità di questo paese. Quali le prospettive? E` necessario che generazioni seguano generazioni, che la società in Kosovo e in Serbia si civilizzi e che si stabilizzino alcuni concetti elementari quali la preminenza della legge, della tolleranza, della non violenza, del rispetto della diversità. Temo che proprio i problemi sociali siano fonte permanente di instabilità e di rischio, e che l`intera situazione sfoci di nuovo in episosi di violenza. Sappiamo che in Kosovo la vasta disoccupazione e i problemi sociali 85 generano continuamente nuovi problemi. Ció che spesso si dimentica è che moltissimi giovani istruiti lasciano la Serbia e il Kosovo perchè non vi vedono alcuna prospettiva; è in atto un`intensa e negativa selezione del potenziale personale necessario per il futuro. Che cosa è accaduto del sistema sociale passato? Centri e strutture sono andati in rovina. Indipendentemente dal fatto che esistano persone competenti che abbiano lavorato in maniera eccezionale, l`intero sistema è crollato. A causa della quantitá e varietá dei problemi sociali, ad un certo punto si è lasciato perdere ogni tentativo di pianificazione e di lavoro. D`altra parte lo stato si è appoggiato soprattutto al Commissariato per i rifugiati e a diverse agenzie europee, ai donatori internazionali ecc.. E questo per anni, senza porsi il problema del futuro dei profughi. Se non siamo in grado di risolvere il problema della cittadinanza dei profughi, della restituzione dei beni, dell`occupazione (dal momento che la maggior parte dei profughi sono trattati dal punto di vista legislativo come cittadini stranieri) a poco vale un sistema sociale ideale. E il nostro, come tutti sappiamo, era lungi dall’essere ideale. Una soluzione possibile esiste? Se provo a individuare un punto luminoso, non lo individuo nello stato, ma nella comunitá locale. Ovviamente ció dipende dalle caratteristiche e dallo sviluppo delle singole comunitá: possiamo aspettarci che nei comuni piú sviluppati, piú organizzati e con una buona amministrazione locale si inizi prima a risolvere i problemi di chi vive in povertá. Serve una strategia: sarebbero necessarie leggi e regole, e qualificare i centri affinchè abbiano più potere e autonomia. Allo stesso tempo si devono rinforzare le comunitá locali. Esperienze significative a riguardo sono state le grandi proteste dei cittadini avvenute nel `96 e `97: allora tutti hanno capito che la necessitá di solidarietá, intimitá, aiuto, prende forma spontaneamente. Il potenziale non è distrutto, l`energia c`è, ma è necessario articolarla in modo adeguato. 86 Serbia TESTIMONIANZA Ricordi di Novena Curvarvic: poetessa e docente, ha vissuto la nascita dei servizi sociali Avevo cinque anni quando è cominciata la guerra. Ho perso i genitori e i parenti, il mio villaggio venne raso al suolo, la chiesa bruciata, e noi cinque fratelli fummo costretti a scappare. E’ stato duro essere allo stesso tempo orfani e profughi, sempre in fuga nei boschi. Eravamo in tanti, bambini e adolescenti, senza meta, affamati e impauriti. Fino a quando degli adulti si presero cura di noi e dopo un difficile viaggio attraverso il Danubio, fummo portati in Vojvodina e accolti da famiglie di contadini. Quando è finita la guerra, nel ’45, alcuni di noi sono stati adottati. Io sono finita in un orfanotrofio. Qualche bambino più fortunato aveva ancora dei parenti o addirittura i genitori sopravvissuti alla guerra, e loro potevano andare a casa durante le vacanze e ricevere vestiti nuovi. Noi, sempre in istituto e con gli abiti regalati da donatori stranieri. Passavo molto tempo a leggere, mi piaceva, ero figlia di contadini e una bambina curiosa. Crescendo, ho sempre voluto studiare e quello che ho vissuto da piccola ha inevitabilmente influenzato le mie scelte. Sono riuscita a frequentare la scuola superiore per operatori sociali, e sono diventata una delle prime esperte nel settore dei servizi sociali. Mi sono laureata – con una tesi su “Come organizzare un centro di assistenza sociale”, mi sono sposata e ho avuto un bambino. La prima esperienza sul campo è stata a Sombor, con ragazzi in conflitto con la legge. Siamo stati i primi a intervenire in questo campo. In seguito venni nominata direttrice del locale Centro di lavoro sociale. Eravamo una squadra, operatori, psicologi, pedagoghi, giuristi, economisti, collaborava anche un neuropsichiatra. Erano tempi duri. Arrivava tanta gente, una sorta di trasloco di massa predisposto dallo stato per tutti quelli rimasti senza casa e proprietà, vittime degli orrori della guerra, destinati ad essere accolti in una terra con maggiori opportunità, ma diversa, di difficile adattamento. Alunni trovarono subito un lavoro, c’era da ricostruire un paese, ma altri vivevano con difficoltà. Avendo a disposizione pochi fondi, dovevamo stabilire delle priorità, e abbiamo optato per i bambini. Bambini orfani, bambini con disabilità, bambini di famiglie povere. Per molti cercavamo una nuova famiglia, in grado di accoglierli e mantenerli. Se la famiglia d’origine era povera, cercavamo di sostenerla, in modo che potesse accudire i bambini. E poi c’erano tanti anziani, senza mezzi e abbandonati dai parenti. Le situazioni che avevano bisogno di tutela era comunque tante e diverse, come gli operai costretti spesso a lavorare in condizioni disastrose. Tutto questo avveniva negli anni 50. Successivamente abbiamo potuto studiare come operavano nel sociale i paesi dell’occidente, partecipare a seminari, leggere 87 pubblicazioni specializzate. Il sociale era un patrimonio collettivo, tutti si sentivano coinvolti, anche finanziando personalmente le nascenti strutture. Nel 1964 mi sono trasferita a Novi Sad. Stavano nascendo scuole per operatori sociali e avevano bisogno di docenti. Tema: politiche sociali, e anche protezione sociale. Molti non vedevano la differenza, ma a torto: la protezione sociale è un settore delle politiche, deve avere propri fondi e sostenere i casi di estrema povertà. Le politiche, invece, devono occuparsi della questione nel suo complesso, quindi anche di altri settori, come la sanità, l’educazione, le pensioni, ecc. Ho insegnato a molte generazioni di studenti, ho creato nuovi quadri, motivandoli a diventare operatori sociali. Per molti la destinazione sarà il Centro per il lavoro sociale, anche se queste strutture non esistevano in tutti i comuni, e in certi territori era stata prevista solo un’attività di protezione sociale. Molti operatori, inoltre, venivano destinati a supportare gli operai nelle fabbriche, oppure i malati e gli operatori sanitari negli ospedali. E’ stata un’epoca in cui si investiva nelle strutture, per bambini abbandonati, per disabili, per anziani, ecc… Nella mia vita sono stata accompagnata perennemente da un sentimento. La vita è stata dura nei miei confronti, ma ho sempre avuto una passione, quella di studiare e quindi dovevo continuare, mai fermarmi. Sono tornata all’Università e mi sono laureata in Giurisprudenza per poi lavorare all’Istituto di ricerche sociali e ho conseguito un Master presso la Facoltà di Scienze politiche, indirizzo politiche sociali. Non ho mai smesso di scrivere poesie, ho anche vinto il terzo premio della Società degli scrittori jugoslavi. Non ho mai cessato di descrivere gli orrori della guerra perchè è rimasta per sempre dentro tutti noi, con le sue sofferenze e lacerazioni. 88 Serbia LA VOJVODINA La Provincia Autonoma di Vojvodina, secondo un censimento del 2002, conta 2.024.487 abitanti. Nonostante da molti decenni il tasso di natalità sia negativo, si è registrato un aumento da attribuire al grande afflusso di profughi provenienti dalle ex Repubbliche Jugoslave. Ogni terzo cittadino della Serbia, registrato quale disoccupato, viene dalla Vojvodina. La disoccupazione rappresenta il problema più urgente con cui il governo deve confrontarsi. Alla fine del 2003, la Vojvodina ha adottato la Strategia per il collocamento al lavoro nell’ambito del programma di sviluppo elaborata dalla Provincia Autonoma, allo scopo di ridurre la disoccupazione. Sono previsti sette progetti, di cui uno in particolare basato sulla filosofia delle misure attive del collocamento. Al contrario dei vecchi regolamenti, basati sul principio passivo degli aiuti materiali, le misure attive includono la persona stessa nel processo della ricerca del lavoro, la motivano a riqualificarsi e ad acquisire nuove capacità nell’ambito delle scienze informatiche e delle lingue straniere. La Strategia tratta le categorie particolarmente disagiate, in particolare i giovani e gli anziani oltre i 50 anni di età, ossia le maggiori vittime della transizione. A Novi Sad, presso la sede dell’Ufficio nazionale di collocamento al lavoro, le varie categorie dei disoccupati ricevono un contributo senza obbligo di restituzione, dai 70.000 ai 140.000 dinari con un obbligo: devono investirli in una piccola o media impresa nell’ambito della produzione agraria ed alimentare, dell’artigianato, della lavorazione del metallo, del turismo e di un’attività di esportazione. I più anziani possono ricevere fino a 120.000 dinari. Attraverso questo “Fondo per lo sviluppo”, la Provincia di Vojvodina intende incentivare la creazione di nuovi posti di lavoro presso le piccole e medie imprese, nonché promuovere l’apertura nei villaggi di attività di produzione alimentare, grazie gli aiuti dei donatori internazionali. Sempre allo scopo della riduzione del tasso di disoccupazione, e’ stato previsto un progetto con la finalità di promuovere il lavoro agricolo, rendendo possibile l’assunzione del coniuge. Dal 2002, da quando venne approvata una legge-omnibus che restituiva alla Provincia Autonoma alcune competenze specifiche, la Vojvodina si è organizzata con proprie istituzioni decentrate, quali l’Assessorato per il Lavoro, il Collocamento al Lavoro e la Parità tra i sessi. Già precedentemente, nel 2000, era entrata a far parte del Consiglio Esecutivo una figura responsabile per le politiche di genere. Queste scelte hanno portato alla Dichiarazione sulla parità tra i due sessi e la Vojvodina ha assunto un ruolo di capofila nell’ambito delle politiche per le pari opportunità. Su un totale di 482.241 persone occupate nel 2003 in Vojvodina, 208.596 erano donne. Le politiche di welfare vengono decise nell’ambito dell’Assessorato Provinciale per la Sanità e Politiche Sociali. La Provincia Autonoma di Vojvodina è autorizzata ad 89 introdurre ulteriori e nuovi servizi nell’ambito sociale, purché sussista la copertura finanziaria. Nel 2003, per la prima volta, nel budget della Vojvodina sono stati previsti i fondi da destinare al welfare sociale. Nella Provincia operano 35 Centri per il lavoro sociale, di cui 9 inter-comunali, per garantire la copertura totale del territorio. L’accoglienza presso gli istituti della tutela sociale viene garantita da 21 strutture per adulti e anziani, e da 6 strutture riservate a minori e giovani. Per la storia della Vojvodina gli ultimi 14 anni verranno ricordati come i più difficili. La crisi economica e l’afflusso di un grande numero di profughi hanno avuto un forte impatto sul crescente numero di disoccupati provocando un aumento generalizzato delle situazioni di povertà per la popolazione locale, per i profughi e per gli sfollati. L’amministrazione oggi in carica, dopo le elezioni del 2003, deve affrontare il problema di 13.929 beneficiari dell’assistenza sociale, di cui la quasi totalità è disoccupata. 90 Serbia NOVI SAD Capitale della Provincia autonoma di Vojvodina, la città conta 304.519 abitanti e comprende due Municipalità: Novi Sad e Petrovaradin. Dopo Belgrado è il maggiore centro industriale e culturale del paese. In base al censimento del 2002, conta 299.294 abitanti, tra cui 225.995 Serbi, ossia il 75,5%. I giovani dai 15 ai 27 anni sono 56.316. La popolazione maschile in grado di lavorare conta 100.841 persone, e quella femminile (da 15 ai 59 anni) 100.064. Nel numero totale degli occupati, il 46,6% sono donne. I disoccupati sono 35.055 (11,5%), da cui il 56,4% sono donne. Per quanto riguarda le fasce in disagio sociale, particolarmente fragili sono i profughi, gli sfollati e i rom. In base alle leggi nazionali, la Repubblica ha l’obbligo di occuparsi delle problematiche sociali di interesse generale, mentre il Municipio ha la competenza in materia di assistenza a domicilio, di soggiorni diurni, di indennità in caso di assegnazione in un’istituzione di assistenza sociale o di collocazione presso una famiglia. Dall’inizio del 2005 le istituzioni locali finanziano con propri fondi anche l’accoglienza momentanea presso i centri. La città da sempre è impegnata a seguire le esperienze europee nel settore delle politiche sociali. Oltre ai servizi pubblici, operano nel settore sociale molte ong, in collaborazione con l’amministrazione locale in attesa di codificare il rapporto con la definizione di un protocollo d’intesa. Per quanto riguarda i finanziamenti, vengono assegnati dal Comune unicamente a progetti specifici, ed è proprio per non duplicare gli interventi che è in costruzione una banca dati. Le ong sono impegnate anche nel processo di sensibilizzazione e creazione della coscienza dei cittadini, in rispetto ai fabbisogni e all’assistenza delle persone in disagio. Una proposta di legge pone la questione del volontariato come risorsa nel campo delle politiche sociali. 91 Serbia INTERVISTA Biljana Delic, direttore Centro per il Lavoro Sociale, Novi Sad Quali sono le finalità del Centro? Operiamo dal 1961, dall’epoca dell’ex Jugoslavia. Oggi i nostri obiettivi riguardano la tutela sociale della popolazione materialmente ed economicamente vulnerabile, delle persone senza assistenza familiare e di chi ha gravi problemi di salute, come prevede la legge sull’Assistenza sociale e sulla Famiglia. Il Comune ha comunque il potere di allargare l’ambito delle proprie competenze, in presenza di una copertura finanziaria. Un ulteriore obiettivo è rendere partecipi i cittadini consapevoli dei propri diritti. In quale sede e con quali risorse vengono forniti i servizi? Abbiamo sedi in città e in periferia, ma gli spazi sono diventati insufficienti con l’ampliarsi delle nostre attività. I finanziamenti sono garantiti dallo Stato centrale e dal Comune. Le case di accoglienza, ad esempio, vengono sostenute dall’amministrazione locale. I fondi pubblici locali, nazionali e internazionali e le donazioni private non sono assolutamente sufficienti per i servizi attivati, avremmo bisogno di un incremento del 200%. D’altra parte bisogna considerare che nella nostra struttura sono impiegate oltre 120 persone, di cui oltre il 90% donne. E’ una professione prevalentemente riservata alle donne, dal momento che gli stipendi non sono alti. Quale è la tipologia di utente che si rivolge al Centro? Di tutti i generi, soprattutto poveri. I bisogni degli utenti si scontrano spesso con le nostre difficoltà, dovute alla carenza di risorse umane e di fondi. Pensiamo agli invalidi, che non hanno i soldi per curarsi, devono pagarsi le terapie e le medicine, e il sussidio non è sufficiente. Cerchiamo anche di introdurre nuovi servizi che rispecchino le esigenze del territorio, come un sostegno a difesa di bambini maltratti e di donne vittime di violenza, e un progetto finalizzato alla cura dei tossicodipendenti. Abbiamo già istituito un Centro di consulenza matrimoniale e familiare. Quale è la percentuale di giovani e di donne? 92 I giovani rappresentano circa il 40% dell’utenza, che si aggira intorno ai 13.500 beneficiari. Sono in genere ragazzi senza famiglia che una volta diventati maggiorenni, finiscono per strada e sono ad alto rischio. Per quanto riguarda le donne, la percentuale è alta, oltre il 50 %. Manifestano difficoltà in famiglia, seri problemi di salute, situazione di disagio materiale ed economico. Le loro richieste riguardano il lavoro, la casa, un’accoglienza protetta soprattutto quando sono vittime di violenza. Ma la situazione economica del nostro paese non è in grado di fornire i servizi necessari. Servono nuove leggi? Il problema è un altro. Nel nostro paese si approva una legge e si ritiene che tutti siano in grado di applicarla automaticamente, senza preparazione e formazione. Quale è il suo parere sul processo di decentramento delle politiche sociali? Positivo, sicuramente potrebbe motivare maggiormente la comunità locale in materia di programmazione. Ora molte attività sono di competenza e a carico dello Stato e questo comporta che le amministrazioni locali non sentano il bisogno di capire i bisogni del loro territorio. Partecipate direttamente a questo processo ? Per quanto riguarda la nuova Legge sulla famiglia, siamo direttamente coinvolti, così come altre strutture pubbliche e ong . Il rischio è che si inneschi il solito meccanismo: si approva una legge, ma per poterla applicare, si deve attendere per ottenere indicazioni precise. 93 TESTIMONE PRIVILEGIATO Quali sono i problemi sociali che i servizi della cittá di Novi Sad devono affrontare? Come prevede la legge, i servizi esistenti sono finanziati dal Comune. Il problema é che i bisogni sono maggiori rispetto all’offerta. I fondi sono sempre insufficienti. Abbiamo un alto numero di disoccupati e di invalidi, per i quali, ad esempio, non abbiamo i mezzi per rimuovere le barriere architettoniche. Mancano installazioni igieniche per alcuni quartieri della cittá, prevalentemente abitati da rom. Inoltre esiste il problema dei senza tetto a cui non riusciamo a offrire una casa e il dormitorio esistente ha una capienza limitata. Quale è il vostro rapporto con le ong che lavorano nel campo sociale? Esiste una collaborazione molto positiva. Sono molte le organizzazioni non governative che si rivolgono a noi regolarmente. Inoltre é attivo l’associazionismo dei cittadini e di enti costituiti dagli utenti stessi (distrofici, sordi, cechi, ec..). E da non dimenticare organismi quali la Caritas e l’Associazione umanitaria ecumenica. Insieme collaborano con il Centro per il lavoro sociale e le strutture pubbliche. Con tutti loro abbiamo creato delle reti. Come funzionano? Partendono dai bisogni specifici prioritari, al momento funzionano 5 reti a cui spetterá l’attuazione dei progetti, al momento in attesa di finanziamenti. Gli obiettivi sono: l’inserimento lavorativo degli invalidi, l’accoglienza per i senza tetto, il sostegno agli ammalati di HIV, l’assistenza domiciliare e il centro diurno per gli anziani, e l’educazione per la la popolazione rom. 94 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Associazione CENTRO UMANITARIO Struttura del privato sociale, Novi Sad L’ong è nata nel 1998. Ha dovuto interrompere le attività per sette mesi durante l’intervento Nato, non riuscendo ad operare senza le risorse e il sostegno internazionale. Le sue finalità sono aiutare chi ha bisogno, sostenere le istituzioni pubbliche e del privato-sociale e contribuire alla sensibilizzazione e allo sviluppo della comunità locale. I servizi offerti sono molteplici: sostegno psicologico, aiuto economico, supporto sociale, assistenza domiciliare e organizzazione di seminari, corsi di formazione e di aggiornamento, corsi di alfabetizzazione e tutoraggio, istruzione e prevenzione sanitaria, servizio legale, ricerche e mappatura dei bisogni del territorio. “Puntiamo su un approccio attivo alla questione della povertà e allo sviluppo di una comunità locale più umana” spiega Perica Mandic, direttore del Centro. “Occorre raggiungere l’indipendenza dal punto di vista finanziario, ridurre, ma non abolire perché la situazione del nostro paese non lo permette - i programmi umanitari classici. Dobbiamo puntare sull’educazione e sul confronto con altre sperimentazioni di percorsi innovativi”. Si lamenta un’inadeguatezza delle strutture, prese in affitto dal Comune, soprattutto per quanto riguarda il magazzino utilizzato per lo stoccaggio degli aiuti umanitari e i locali destinati agli incontri con gli utenti, al momento senza bagno, riscaldamento e sala d’attesa. Il problema delle risorse è all’ordine del giorno per la sopravvivenza del centro. Il 97% dei fondi per i costi di mantenimento della struttura proviene dal budget di progetti vinti in bandi pubblici. “La nostra organizzazione non viene sostenuta dalla comunità locale, se non in rare occasioni. Riusciamo a portare avanti le nostre attività grazie all’apporto del volontariato, nel senso che i coordinatori non vengono pagati e lavorano gratuitamente anche assistenti sociali, educatori esperti in prevenzione Hiv, e operatori per i rom”. Per il personale – a grande prevalenza femminile – sono previsti incontri di aggiornamento quando i progetti lo permettono all’interno del budget. “A lavorare nel centro sono più di duecento persone e questo per l’ampiezza delle problematiche sociali da noi affrontate: povertà, compresa quella spesso estrema dei rom, disoccupazione, scarsa istruzione, impossibilità per i profughi di reintegrarsi”. I giovani seguiti dal centro rappresentano circa il 30% , e la maggio parte ha dai 7 ai 15 anni. Sono minori poveri, spesso impossibilitati ad andare a scuola, disoccupati, profughi, tossicodipendenti. “Per quanto riguarda i bambini rom, ad esempio, 95 cerchiamo di allontanarli dalle strade e portarli nei centri diurni e a scuola. Per tutti cerchiamo di costruire un percorso di integrazione sociale e lavorativa e di promuovere la cultura del dialogo e la tolleranza. Quello che non possiamo fare è offrire risposte concrete come alloggi e sussidi di competenza delle strutture pubbliche locali”. Il centro opera nella propria sede, ma anche nei luoghi dove vivono gli utenti, che spesso rimangono tali per lunghissimi periodi. Esistono centri specializzati a cui sarebbe possibile l’invio – strutture sanitarie, istituzioni pubbliche locali per i servizi sociali, ecc.. – ma, a detta del responsabile, è proprio da lì che arrivano gli utenti. “Un percorso all’incontrario”. I punti di criticità sono espliciti. “Non possiamo fare quello che non ci compete. Non possiamo influenzare il governo e non siamo autorizzati a partecipare ai momenti decisionali”. L’ong lamenta una situazione di isolamento. “Manca la collaborazione con l’amministrazione pubblica. Possiamo affermare che siamo esclusi da tutti i processi di implementazione delle strategie per la riduzione della povertà”. I motivi della mancanza di comunicazione fra pubblico e privato? “Forse a causa di una falsa immagine creata dai media. Si ritiene che le ong lavorino contro gli interessi della comunità locale e dello Stato, poiché parlano di tutela dei diritti, di democratizzazione, di standard europei. Veniamo visti come quelli che controllano il lavoro delle strutture locali o statali, di fatto carenti e questo non contribuisce certo a migliorare il rapporto. Al massimo veniamo vissuti come quelli utili nei momenti di emergenza. Infine bisogna considerare che lavorare nel sociale ha dei costi, e nell’amministrazione pubblica non si è ancora sviluppata la consapevolezza di questa scelta”. Un ulteriore punto di criticità è rappresentato dalla legislazione sul no profit. “Si occupa principalmente degli aspetti formali del funzionamento interno alle organizzazioni. Le ong vengono trattate come imprese, e non si prevede per loro nessuna agevolazione, ad esempio fiscale. Lo Stato non riesce ad accettare questa nuova realtà sociale e non prende in considerazioni le nostre proposte, anche in campo legislativo per adeguarsi agli standard degli altri paesi”. Le proposte per il privato sociale sono diverse: maggiore qualificazione e professionalizzazione, oltre a una maggiore garanzia della durata del contratto, una politica fiscale favorevole, un livello unitario degli standard dei servizi erogati, il riconoscimento del sostegno economico da parte delle istituzionali locali e nazionali, la possibilità di svolgere attività commerciali e di partecipare agli appalti pubblici. Le aspettative per il futuro sono chiare: “Le ong hanno bisogno di definire il loro ruolo nella società, e oggi, acquisite le necessarie competenze, devono essere messe in grado di operare. Inoltre in noi prevale la sensazione di essere considerati dei semplici esecutori anche da parte delle grandi organizzazioni internazionali. Vedono in noi degli attuatori a basso costo, delle strutture poco sviluppate, anche in settori in cui abbiamo avuto una formazione più che adeguata. Per riassumere: manca una strategia definita da parte della comunità internazionale che accompagni l’intenzione di sviluppare in Serbia una società civile in cui le ong svolgano un ruolo importante”. 96 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Istituto per giovani “VETERNIK” Struttura del privato sociale, Novi Sad Il centro, con sede a Novi Sad, opera dal 1972 – la prima in assoluto nel settore - ed è finalizzato al sostegno di minori con disturbi nello sviluppo. La sede si trova nella periferia di Novi Sad, e consiste in 15 strutture abitative situate su 18,5 ettari di terreno. I servizi sono indirizzati a oltre 600 utenti, di cui 110 adulti ancora ospiti del centro a causa dell’impossibilità a trovare strutture adeguate alla loro età. Le attività riguardano le cure sanitarie, la riabilitazione educativa, l’accoglienza diurna, la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Il contesto rurale e la vicinanza alla città pongono numerosi problemi: disoccupazione, povertà, un gran numero di profughi. La struttura si finanzia con fondi pubblici, 10% locali e 90% statali, e con quelli di donatori privati, in passato circa il 30% delle entrate, ora ridotti al 3-5%. I tempi di “eldorado umanitario” – come lo definiscono al Centro – sono passati, nonostante siano stati introdotti nuovi servizi su modelli di quelli esistenti in altri paesi europei, che richiederebbero un ulteriore sostegno. I centri diurni e semidiurni, ad esempio, in cui i ragazzi possono ritrovarsi quando non stanno in famiglia, naturale o affidataria. Nella struttura sono impiegate 277 persone, di cui 155 operatori con scolarizzazione primaria (licenza media), 48 con diploma media superiore, 16 con un diploma superiore universitario, 33 laureati e 1 con master di specializzazione. Sarebbe auspicabile un incremento di personale specializzato nel campo sociale, sanitario e psicologico. Le donne rappresentano l’88, 45 % dei dipendenti e al femminile è anche la struttura dirigente. Gli stipendi non vengono giudicati adeguati. “La nostra utenza è rappresentata da persone con gravi problemi mentali e fisici, provenienti dal territorio della città, da altri comuni della Serbia, la maggior parte dalla Vojvodina, e poche unità dal Montenegro. Alcuni sono profughi e sfollati, circa 40 persone, ma altri sono in attesa di un posto libero” spiega Nedeljko Bekic, direttore del Centro. “Da noi vengono persone dai 3 anni ai 65, moltissimi i giovani, inviati dai Centri del lavoro sociale con problemi psichiatri, disturbi plurimi e gravi ritardi dello sviluppo. Hanno bisogno di tutto: dall’assistenza primaria a spazi per lo sport, da proposte culturali e informative a progetti nel campo delle nuove tecnologie. Le loro sono vite complesse, soprattutto per quanto riguarda la sfera personale”. Per quello che permettono le risorse, si cerca di investire sulle nuove tecnologie “per cui mostrano una forte predisposizione, a volte maggiore di quella di noi operatori”. Questo ha permesso la creazione di una banca dati, purtroppo non utilizzata a pieno ritmo, e questo sempre a causa della carenza di fondi. Le donne costituiscono poco meno del 50% degli utenti, e anche per loro l’obiettivo e renderle il più possibile autosufficienti e offrire loro momenti culturali e di svago”. Il problema sta nella parola futuro. “Una volta compiuti 27 anni, gli utenti maschi dovrebbero trovare una sistemazione permanente all’esterno del centro, mentre per le donne è possibile continuare l’accoglienza. Purtroppo questo non avviene, e al 97 centro rimangono sia uomini che donne in età adulta. L’autosufficienza mancata vuoi per assenza di progetti, che di strutture o di sostegno familiare adeguato - resta il punto critico delle attività. Ad esempio, per un gruppo di 11 minori, si è ottenuta l’abilitazione a frequentare la scuola normale, ma il rischio è che le famiglie non riescano a supportare sufficientemente l’inserimento e seguirne lo sviluppo”. Sulle famiglie il centro ha investito molto: li coinvolge direttamente nel processo di riabilitazione dei propri bambini e anche nella gestione della struttura. Il centro lavora in stretta collaborazione con le istituzioni accademiche universitarie di Belgrado, di Novi Sad, e di Skopje e anche dell’Ungheria. Esiste un lavoro di rete con altre strutture pubbliche di accoglienza per minori e adulti e il Centro viene sovente visitato da organizzazioni straniere. La collaborazione riguarda anche numerose ong straniere che sostengono finanziariamente le attività. “Occorrerebbe un più alto numero di centri diurni, per non appesantire troppo il nostro centro e anche una maggiore autonomia nelle prescrizioni mediche da parte del personale sanitario. E inoltre maggiori finanziamenti a fronte dei costi di gestione e di personale che la struttura deve sostenere”. 98 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Scuola elementare “MILAN PETROVIC” Struttura pubblica, Novi Sad La Scuola, nata nel 1968, è la più importante struttura che si occupa del problema della disabilità sul territorio di Novi Sad. Le sue finalità spaziano dall’educazione e istruzione di bambini e adolescenti al doposcuola, dal sostegno alle famiglie all’inserimento lavorativo. La scuola si assume anche il compito di una formazione della coscienza pubblica in merito ai diritti e ai bisogni delle persone in difficoltà. La scuola, che svolge le proprie attività in nove strutture diversificate in base all’età e al grado di handicap degli utenti, si occupa di quasi 900 persone compresi in una fascia di età che va dai 3 ai 50 anni. Impiega 273 persone, di cui 207 insegnanti. I fondi provengono dagli enti pubblici, statali e locali, da donazioni internazionali perennemente decrescenti (per un periodo anche il cibo arrivava dall’estero) e in parte da proventi di attività in proprio, come l’organizzazione di eventi culturali a sfondo di beneficenza. Per quanto riguarda i fondi statali provengono da tre Ministeri: dell’Educazione per quanto riguarda gli stipendi degli insegnanti, della Sanità per quanto riguarda i medici e degli Affari sociali per quanto riguarda le altre attività. Alla domanda se le risorse siano sufficienti, la risposta è che servirebbe un raddoppio dei finanziamenti. Si lamenta una carenza di fondi per la manutenzione degli edifici, per l’allargamento degli spazi, per il materiale didattico e per le spese di trasporto dei ragazzi residenti nel circondario. “Il periodo delle guerra ha portato la fame, e la paura. E ancora adesso sfamare i bambini è una priorità, tanto che abbiamo deciso di costruire un forno all’interno della stessa scuola. Le migrazioni della popolazione e la disoccupazione in costante aumento hanno trasformato il territorio aumentando il disagio sociale: ci sono giovani, e meno giovani, che hanno problemi di salute, di alimentazione insufficiente, persone per cui non esistono garanzie di igiene, ad esempio fra i bambini rom. E la società non è assolutamente sensibilizzata a questi temi, mentre da parte delle istituzioni locali e statali non vengono forniti risorse, leggi, strutture” racconta Slavica Markovic. Le autorità locali in verità collaborano, ma si tratta di iniziative autonome, non stabilite da una legge. Le ragazze rappresentano un terzo dell’utenza e necessitano di programmi specifici quali l’informazione in materia di educazione sessuale e di prevenzione, non disponibile causa mancanza di risorse e di personale specializzato. Ogni anni la scuola elabora un piano generale: prima un piano di sviluppo, poi un piano di lavoro annuale e infine il piano operativo. La presa in carico dovrebbe terminare alla fine della scuola, perché dovrebbe iniziare un passaggio alle strutture che si occupano dell’inserimento lavorativo.”Il lavoro per i ragazzi con problemi speciali non è garantito per legge e noi possiamo predisporre solo un invio all’Ufficio 99 di collocamento e al Centro di lavoro sociale. In assenza di una offerta, cerchiamo di continuare ad occuparcene noi”. In materia di occupazione, il Comune si è organizzato in modo autonomo anche dal punto di vista legislativo e questo dovrebbe favorire la nascita di iniziative nel campo dell’inserimento lavorativo collaborando soprattutto con le aziende e trovando uno spazio all’interno del mercato del lavoro. “Stiamo costruendo una rete con le ong, le famiglie, le istituzioni a livello comunale e regionale” La scuola intende operare in collaborazione con le altre strutture pubbliche e propone tavoli di collaborazione con chiunque possa sostenere il progetto. “ Abbiamo bisogno di maggiore attenzione da parte delle istituzioni, di risorse, di strutture e anche di lavoro in rete con servizi simili al nostro presenti nel paese e all’estero”. Si sottolinea come siano in corso cambiamenti, soprattutto nel campo normativo. “Si sta elaborando una nuova legge sull’assistenza sociale e sul lavoro. Esistono anche leggi, ad esempio nell’ambito dei servizi sull’handicap, che affidano all’amministrazione locale dei compiti, ma i Comuni affermano di non avere le risorse per applicarle”. I progetti per il futuro possono essere sintetizzati in una richiesta. “Noi vorremmo dare un ruolo più ampio alla nostra scuola, in modo che possa rappresentare un momento di incontro e una risorsa per l’intera collettività”. 100 Serbia KRAGUJKEVAC Capitale della Sumadija, regione centrale della Serbia, la città conta oltre 180.000 abitanti ed è la quarta per grandezza del paese. Durante la seconda guerra mondiale, nel 1941, più di 7.000 abitanti, tra cui 300 bambini, furono assassinati dai nazisti. Nata nel XV secolo, in passato è stata il maggiore centro industriale per la produzione di vetture e armamenti. Quando numerosi stabilimenti sono stati costretti a ridurre il loro volume di produzione, o addirittura a chiudere, oltre 38.000 lavoratori sono rimasti senza lavoro e ciò ha inevitabilmente comportato una crisi della città. Il Comune ha elaborato un piano locale di azione allo scopo di ridurre le realtà di povertà e disagio del proprio territorio conseguente dell’alto tasso di disoccupazione. Sono state identificate quattro categorie di persone maggiormente vulnerabili: le famiglie monoparentali, i disabili, gli anziani (oltre 34.000 abitanti hanno oltre 60 anni) e i disoccupati oltre i 50 anni di età. Due anni fa l’Agenzia Europea ha promosso un programma pilota, con le risorse dell’UE, allo scopo di dare un supporto ai disoccupati e al governo nella definizione di un sistema nazionale finalizzato allo sviluppo delle risorse umane. Il progetto prevede quaranta corsi professionali in diversi ambiti: i primi sono stati riservati agli educatori e agli operatori, e successivamente sono stati aperti 35 centri accreditati per la formazione. Oltre 2000 beneficiari hanno completato il corso di formazione e 140 di loro hanno trovato un lavoro grazie alle competenze acquisite. Si è iniziato affrontando il piano per lo sviluppo del collocamento al lavoro sul territorio, con una ricerca sul mercato del lavoro e con l’analisi delle competenze assenti o insufficienti nei settori interessati. E’ stato costituito un partneriato con i diversi enti pubblici, con i sindacati, con le imprese e le ong, allo scopo di definire le tipologie prioritarie nel campo della formazione. Nell’agosto del 2004 è stato inaugurata la prima Agenzia per il collocamento del Servizio nazionale del lavoro a cui è possibile rivolgersi per la ricerca di un inserimento professionale. La città, inoltre, deve fare i conti con la presenza di oltre 2.000 profughi dalla Bosnia ed Erzegovina e di oltre 13.000 dal Kosovo, molti ancora sistemati in centri temporanei e utenti dell’assistenza pubblica. L’impoverimento generale della città, causato in passato dalle sanzioni economiche e dalle distruzioni della prima metà del 1999 e oggi dalla diminuzione dei fondi da parte dei donatori stranieri, non riesce a garantire i servizi necessari soprattutto in materia di sanità. Le strutture pubbliche del welfare si occupano di assistenza, di infanzia abbandonata, di anziani e di adulti in difficoltà. A Kragujevac operano anche numerose organizzazioni non-governative, 24 delle quali collaborano direttamente con il Comune. 101 Serbia INTERVISTA Slavica Saveljic, dirigente del settore politiche sociali per il Comune di Kragujevac Quale è il problema prioritario per il Comune? La città di Kragujevac ha due problemi principali: povertà e disoccupazione. Tra questi c’è un rapporto di causa-effetto, ossia quando aumenta il numero degli occupati, diminuisce automaticamente il numero dei poveri. Perché uso la parola povero? Perché la distinzione si è quasi persa, in altre parole il ceto medio della popolazione quasi non esiste più, a poco a poco quasi tutti hanno superato sia la soglia inferiore sia la soglia superiore di povertà. Secondo alcune stime il 10,6% della popolazione vive al di sotto del limite di benessere sociale, cioè risulta che circa 18.000 persone vivono con un dollaro al giorno secondo i risultati delle ricerche condotte nell’ambito della strategia di riduzione della povertà elaborata dal Governo serbo. In che modo vi sostiene la Repubblica di Serbia? In sostanza, Kragujevac non presenta alcuna specificità rispetto alle altre città serbe, per cui sia giustificabile ricevere una particolare attenzione da parte della Repubblica. Da parte sua, la città ha preso dei provvedimenti per andare incontro agli investitori che sono interessati ad offrire nuovi posti di lavoro. Durante l’ultima seduta dell’Assemblea comunale, è stato proposto di agevolare gli investitori che possono e vogliono edificare ed assumere operai. Non c’è un modo per risolvere il problema della povertà con i sussidi, perché non tutti si trovano in stato di bisogno a causa dell’incapacità di lavorare, anzi, molti sono capaci e vogliono lavorare, solo che per loro non c’è un’occupazione. Secondo alcuni indicatori, il 48% della popolazione è composto da persone che lavorano attivamente, e invece soltanto l’11% può contare su un reddito. Dunque, per ogni occupato tre persone lavorano attivamente, ma sono poi mantenute da altri, per non parlare dei pensionati e dei 102 bambini. Quindi la situazione in cui si trova la città è molto grave ed è quasi insostenibile. Negli ultimi quattro anni a Kragujevac è raddoppiato il numero dei disoccupati, mentre il numero degli occupati è sceso drasticamente. Come vi finanziate? E’ previsto un afflusso di fondi della Repubblica nelle nostre casse, e inoltre incassiamo altro denaro attraverso il pagamento delle tasse comunali. Se la Repubblica decidesse di ridurre i propri contributi, come già accaduto, ciò avrà un’incidenza sui vostri progetti? Certo, si ripercuote automaticamente sui nostri progetti. L’anno scorso avevamo già impiegato l’80% del budget e la decisione della Repubblica ha creato dei problemi, in particolare negli ultimi tre mesi dell’anno. Si dovevano portare a termine le attività previste, ma mancavano i fondi. Quest’anno abbiamo elaborato una pianificazione del budget in maniera molto realistica, tenendo presente gli afflussi che arriveranno dalla città stessa, compreso quanto ricaviamo dalla locazione di terreni, e il ministro delle Finanze ha assicurato che l’afflusso di fondi sarà quello che abbiamo pianificato. Quanto influisce la presenza in città degli sfollati dal Kosovo? Il Commissariato per i profughi e gli sfollati in parte aiuta queste persone, anche se una grossa percentuale è a carico della città. Hanno gli stessi diritti dei cittadini di Kragujevac, e in base al principio sull’estensione dei diritti, sono autorizzati a ricevere gli aiuti di prima necessità, e inoltre la Croce Rossa come organizzazione umanitaria presta molti aiuti alle persone sfollate. Devo ammettere che nel caso degli sfollati dal Kossovo, è stato di grande aiuto il fatto che un congruo numero di profughi avesse già a sua disposizione una casa dove abitare o dei parenti disponibili al sostegno. Quale è il vostro rapporto con le ong? Un grande numero di organizzazioni non governative sono partners importanti dell’Assemblea comunale, anche se non riusciamo a conoscerle tutte. C’è un legame fra autogestione locale e settore non governativo, ma penso che le organizzazioni stesse non siano abbastanza collegate tra loro e che talvolta siano proprio loro a dimostrare una certa avversità nei nostri confronti. 103 Quali sono i problemi che pongono i bambini e i giovani? All’interno di un progetto in collaborazione con l’Unicef, stiamo cercando di avere un quadro completo della situazione sull’intero territorio della città per definire la condizione dei bambini e dei giovani. La novità è che questa volta non abbiamo consultato solo gli esperti in materia, ma anche le istituzioni che si occupano di bambini, anche i bambini stessi e i loro genitori. L’Assemblea comunale ha organizzato dei dibattiti a tema in cui le persone hanno avuto modo di parlare dei loro problemi quotidiani. Uno dei progetti prioritari su cui lavoreremo nel 2005 è la fondazione di un centro culturale. Tempo fa ho assistito ad un workshop in cui i bambini e i ragazzi provenienti dai gruppi emarginati hanno discusso su come si crea l’immagine della città, e hanno risposto alla domanda: se io fossi sindaco, cosa farei? Ho promesso che l’Assemblea comunale organizzerà la giornata delle porte aperte in cui il sindaco, una volta ogni tre mesi, riceverà i bambini di Kragujevac e parlerà con loro Dunque, progetti basati sulla partecipazione e sull’interazione? Cerchiamo di togliere i giovani dalla strada. Nell’ambito del workshop ci siamo resi conto che il loro interesse stava crescendo. Gli è stato chiesto di segnare i posti in città che ritenevano importanti per i giovani. Credetemi, nessuno si è ricordato della biblioteca o del teatro. Se ne sono ricordati dopo che gliel’avevamo suggerito, ma in genere segnavano solo i bar. Sono consapevoli del problema della tossicodipendenza, hanno descritto con precisione quello che succede in ciascuno dei locali e di che cosa hanno paura quando li frequentano, ma nonostante tutto ciò continuano ad andarci perché non hanno alternativa. Vogliamo che i bambini e i ragazzi vengano da noi, che questo diventi un argomento di dominio pubblico, vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica. Quali sono gli strumenti con cui pensate di coinvolgere la città nei percorsi da voi progettati? Penso al piano d’azione locale in quanto sarà un documento strategico. L’idea è nata perché abbiamo sentito il bisogno di definire tante cose importanti attraverso un documento. Il piano prevede un elevato numero di dibattiti a tema, di trasmissioni informative; dunque, vogliamo includere in questo progetto anche i mass media, perché vogliamo avvicinare ognuno di questi problemi alla gente comune e contribuire in tal modo ad un cambiamento graduale della coscienza delle persone. 104 Serbia INTERVISTA A colloquio con il responsabile del Centro di lavoro sociale Kragujevac Quando e con quali obiettivi fu fondato il Centro? Il Centro di lavoro sociale fu fondato nel 1961, mentre in passato, per la precisione dal 1957, operava unicamente come Centro di assistenza domiciliare e di educazione sociale. Assistenti sociali e domiciliari si occupavano in particolare della salute di bambini e di adulti, ma intervenivano anche nel campo della prevenzione e dell’educazione. Oggi il Centro si occupa soprattutto dei problemi di persone che vivono in condizioni di precarietà sociale, in particolare senzatetto e poveri, compreso quanti usufruiscono del sussidio da parte dello Stato. Attualmente il contributo è uguale per tutti, a differenza del passato, in cui ogni Comune stabiliva la somma in base alle proprie disponibilità. Quale è stato il periodo più difficile? Circa dieci anni fa, e in particolare tra il ’91 e il ’93, abbiamo vissuto un periodo di assoluta ed estrema povertà. Dal 2000, ossia da quando sono iniziate ad arrivare le donazioni dall’estero, tutti i fondi internazionali sono stati destinati ai progetti di protezione sociale e a pagare i sussidi e i debiti contratti, compresi quelli accumulati nel settore sanitario. Oggi è il Comune a decidere in piena autonomia quanta parte del suo budget destinare ai servizi di assistenza sociale. Il problema è che l’erogazione dovrebbe diventare un obbligo di legge. Chi sono gli utenti del Centro? Arrivano le persone che vivono in condizioni di povertà, e sono in costante aumento: da noi possono trovare un sostegno e ottenere anche il sussidio. Ma quelli che vorremmo raggiungere sono gli “invisibili”, ossia le persone che non sanno o si vergognano di usufruire del nostro aiuto. Ad esempio i pensionati, che non arrivano a fine mese con i loro soldi, che rischiano di perdere la casa e non possono pagare le bollette e comperarsi le medicine. Come formate il personale? Il salto di qualità nelle metodologie di lavoro risale agli anni ’70, quando fu fondata la Facoltà di Scienze politiche a cui venne affidato il compito di formare gli assistenti 105 sociali diplomati. Da allora si valorizza il lavoro di squadra e l’approccio multidisciplinare. Il Comune, nel passato, poteva contare su risorse per supportare il servizio esterno, ossia domiciliare. Ora, come personale, siamo 80 in totale, ma il numero è insufficiente. Mancano figure specializzate, e chi lavora è stressato. Inoltre non ci sono fondi per la formazione e l’aggiornamento, e in questo campo le uniche opportunità vengono offerte dalle ong. Quali sono le difficoltà attuali? Dal 2000 viviamo una difficile situazione politica e dobbiamo cercare di rimediare alla mancanza di fondi del Comune, elaborando e proponendo progetti a diverse organizzazioni per lo più internazionali. Quali sono le problematiche che pongono i giovani? Si registra un aumento della violenza, sia in famiglia che tra i giovani e spesso non si tratta di semplici risse ma di atti di violenza armata. Inoltre è in aumento la violenza sulle donne. Le cause sono molteplici: povertà, disoccupazione, ma anche assenza di valori all’interno delle famiglie, spesso diventate ricche velocemente. I giovani rappresentano il 41% dei nostri utenti, di cui il 35 % sono bambini al di sotto dei 7 anni. Quali sono i servizi offerti? L’assistenza sociale opera in due direzioni: la tutela immediata e la consulenza. Abbiamo un ufficio di consulenza per la famiglia e la vita matrimoniale dei giovani, e per quanto riguarda i minori disponiamo di un dipartimento per i minori abbandonati e inoltre di un servizio integrato di assistenza domiciliare. Quest’ultimo servizio funziona da tre anni grazie al sostegno di partner italiani. Si rivolge soprattutto agli anziani e vuole essere uno strumento contro l’istituzionalizzazione. I progetti così finanziati rappresentano una sperimentazione, mentre occorrono i fondi per farli diventare permanenti. Ritiene che una politica di decentramento possa essere utile? Siamo ovviamente favorevoli al decentramento, ma in questo momento la priorità è la stabilità dello Stato, e forse nuove riforme sono premature. Il Centro funziona e i suoi programmi sono validi: vuole affrontare i bisogni della popolazione e creare una rete fra organizzazioni e istituzioni. Questa è e deve restare la strategia, al di là dell’orientamento politico al governo. Dobbiamo imparare a lavorare a livello locale in un sistema integrato. Ognuno lavora nella propria istituzione, o nella propria ong, ma in futuro dobbiamo farlo insieme, per riuscire così a dare risposte migliori ai bisogni della popolazione. 106 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Istituto per bambini „NADA NAUMOVI“ Struttura pubblica, Kragujevac L' Istituto è stato fondato nel 1948, comprende 13 asili e 20 sedi distaccate nei villaggi e nei quartieri, in cui sono presenti “le piccole scuole dell’educazione”, finalizzate all’istruzione di bambini in età prescolare con disturbi dello sviluppo. Un’attività specifica che dura da una quindicina d’anni e che si rivolge al momento anche a 13 bambini con disturbi leggeri o limitati dello sviluppo mentre una ventina di casi con disturbi polivalenti sono in attesa di inserimento. I finanziamenti provengono dai fondi della Repubblica, del Comune e dal pagamento di un contributo da parte degli utenti. “Durante il periodo dell’iperinflazione avevamo circa 1.000 bambini, mentre ora nei nostri asili sono registrati tra i 3.100 e 3.300, forse anche di più. Durante quel periodo di difficoltà, non ricevendo donazioni, abbiamo attinto al nostro fondo esattamente come accade ora. E’ stato molto difficile garantire i pasti. Molti lavoratori erano in cassa integrazione, numerose fabbriche erano ferme e le paghe erano irrisorie”, ricordano gli animatori del centro, Brama Stanojevic, pedagogo, Radica Vuckovic, legale e Divna Arandjelivuc, economista. Le attività si svolgono sia in città che nei quartieri sotto la giurisdizione del Comune di Kragujevac e a partire dal 2006, per legge, tutti i bambini dovranno essere coinvolti nel progetto. “Oggi la Repubblica Serba e il Comune sostengono le spese in base ad un accordo, ma il finanziamento è insufficiente. I genitori dei bambini fanno donazioni con le quali copriamo le spese materiali e il mantenimento corrente. Il fondo della Repubblica copre una parte degli stipendi. Abbiamo introdotto delle attività extra quali feste di compleanno, corsi di inglese ecc. i cui proventi vengono investiti nell’acquisto di materiale per le attività con i bambini. Entrate e uscite così si equivalgono”. Negli scorsi due anni è terminata la costruzione di un nuovo edificio nel quartiere Poletarac, un nuovo spazio per cinque gruppi educativi; inoltre la struttura Neven a Bresnica è stata terminata e allargata (ora può ospitare cinque gruppi educativi). Le capacità sono aumentate di 500-600 posti. Il Comune ha stanziato dei finanziamenti, a cui si sono aggiunte le donazioni dal governo francese: mancano ancora fondi per i materiali didattici. “Abbiamo 421 assunti a tempo indeterminato e 65 a tempo determinato, che sostituiscono il personale in malattia. Il 95% è costituito da donne, mentre il 5% da uomini. Per ciò che riguarda il lavoro con i bambini, le infermiere si occupano dei 107 bimbi fino ai tre anni e i maestri degli alunni dai tre ai sette anni; collaborano uno psicologo, un pedagogo musicale e un esperto di educazione fisica”. La struttura è particolarmente attiva nel creare e cercare collaborazioni finalizzate al sostegno di sperimentazioni nel campo. “Già a partire dal 1995 abbiamo gettato nuove basi per il nostro programma. Collaboriamo con le altre istituzioni di Belgrado, Novi Sad e Subotica. Cooperiamo anche con altre organizzazioni umanitarie, Facoltà universitarie e centri di formazione. L’obiettivo è l’ampliamento della collaborazione tra maestri, genitori e comunità locale. Insieme abbiamo definito il progetto “Centro educativo culturale” che prevede anche la creazione di una biblioteca. Inoltre con l’UNOPS abbiamo realizzato il progetto “Città alla città” (intraprendenza da pionieri): il nostro obiettivo era coinvolgere il Centro per il lavoro sociale nei confronti di bambini senza tutela. E’ nato anche il Centro per la riabilitazione dei disoccupati, di cui si è occupato un team di 18 esperti e abbiamo attivato il progetto di servizio baby-sitter, che coinvolge 39 maestri e infermiere formate per lavorare con i bambini. Inoltre, assieme al Comune, abbiamo realizzato il progetto “Via nuova”, che si occupa dell’inserimento dei bambini rom”. La struttura è ampia e necessita di un’organizzazione, anche se una banca dati non è ancora in uso. Per quanto si cerchi di proporre iniziative, anche culturali e ludiche a favore della comunità, non si registrano riscontri positivi da parte delle istituzioni. “Non siamo soddisfatti per niente. Ostacolano le nostre iniziative. Siamo alla fine dell’anno e i fondi sono terminati. Il governo non ha ancora dato le sovvenzioni per i prossimi due mesi e non abbiamo soldi per pagare gli acconti degli stipendi. E per ciò che riguarda i fondi erogati dal Comune, in buona parte li restituiamo pagando le tasse e le imposte”. 108 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Associazione TANGO Struttura del privato sociale, Kragujevic L’ong è nata nel 2000 ed è abilitata a lavorare sul territorio della Serbia e del Montenegro. Vi lavorano otto dipendenti, quasi tutti giovani con meno di trent’anni, laureati in giurisprudenza, economia, ingegneria, informatica e lingue straniere. L’ong è nata per sostenere l’associazionismo di cittadini. “Vogliamo rafforzare il settore della società civile in Serbia” spiegano i soci. “Questo attraverso training, utilizzo di spazi e strumenti. Ora abbiamo esteso le nostre attività al campo sociale, con progetti riguardanti persone in condizioni precarie”. L’ong può contare su 50 soci. Una parte dell’attività riguarda la formazione dei Consigli dei cittadini presenti all’interno dei quartieri delle città a cui spetta il compito di individuare le proprie necessità e presentare un progetto ad una organizzazione internazionale sostenitrice. I progetti sono diversificati, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: lo sviluppo della comunità locale. “Il progetto a carattere sociale “Grand”, ad esempio, prevede per i disoccupati e gli sfollati un contributo – intorno ai 2000 dollari - finalizzato all’avvio di un’attività in genere commerciale. I beneficiari devono investirne altri 800 di tasca propria. Durante il primo anno le attrezzature restano di nostra proprietà e i beneficiari non possono venderle e neppure noleggiarle. Poi, quando l’attività funziona, tutto diventa di loro proprietà ”. Un altro progetto - nato sotto l’egida europea – è finalizzato alla formazione di 60 laureati in giurisprudenza e in economia per ampliare le loro conoscenze e abilità in materia di marketing, di diritto del lavoro, di comunicazione, di strategia d’impresa, ecc.. E sempre in materia di sviluppo locale, un progetto ha riguardato gruppi di cittadini – denominati “gruppi d’azione” – a cui è stato insegnato come costruire un progetto e come trovare i fondi. “Per i giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, è stato proposto un training in informatica, in pianificazione statistica, in comunicazione e via dicendo, valorizzando al massimo il lavoro di squadra. Hanno mostrato interesse a organizzarsi in modo autonomo per elaborare proposte e cercare donatori”. Numerosi i progetti che riguardano i giovani e i bambini, tutti con l’identico obiettivo: insegnare a lavorare in squadra, a creare momenti di auto organizzazione e rappresentanza, ad autofinanziarsi con progetti. Per quanto riguarda invece i cittadini in stato di necessità, l’ong è impegnata in corsi di formazione e nella ricerca attiva del lavoro. 109 La rete di collaborazione è molto ampia. Dalle scuole alle università, dall’Ufficio nazionale di collocamento al Centro di assistenza sociale cittadini, dall’Assemblea comunale alle aziende private. Il bisogno primario del territorio viene identificato nell’occupazione, obiettivo per giovani anche altamente secolarizzati. Alle donne è stata destinato un progetto - “Business Club” – perché è dimostrato che la disoccupazione le colpisce particolarmente poiché spesso non riescono a laurearsi. “Sono state formate ad elaborare piani produttivi. E poi con il nostro sostegno si sono messe in proprio. 15 donne coinvolte nel progetto erano madri single”. La struttura di un’organizzazione senza scopi di lucro viene ritenuta molto importante per l’intera società. “Sono tempi nuovi e noi vogliamo rivolgerci alla società. Ogni gruppo di cittadini che vuole promuovere un’iniziativa, lo può fare promovendo un’organizzazione non governativa. Noi offriamo loro l’assistenza legale, l’aiuto per stendere uno statuto e per conoscere le procedure” L’ong ha anche un sito attraverso il quale è possibile chiedere informazioni, molto visitato anche fuori dai confini della Serbia. La richiesta è di una regolamentazione e di una nuova legge che definisca obblighi e diritti per un’organizzazione non governativa. “Noi scherziamo, diciamo che dal punto di vista giuridico siamo considerati al pari dei tifosi della Stella Rossa, delle associazioni di pescatori e di apicoltori. No, non siamo affatto dei privilegiati e contiamo molto sulla proposta di legge presentata. Soprattutto bisogna chiarire cosa dobbiamo fare se per autofinanziarci vogliamo proporre delle attività con la prospettiva di ricavarne del profitto”. 110 Serbia ESPERIENZE SUL CAMPO Organizzazione CROCE ROSSA Kragujevic La Croce Rossa della città di Kragujevac è stata fondata nel1846, anno in cui è nata anche la prima Associazione di Croce Rossa in Serbia, a Belgrado. L' organizzazione ha lavorato continuamente dal 1846. Oggi conta intorno ai 40 000 membri all' anno organizzasti in circa 90 gruppi. Sul piano dell' organizzazione comunale, l' organo supremo è l' Assemblea che conta 70 membri, eletti da parte degli attivisti. L' organo esecutivo e direttivo è il Comitato comunale con 31 membri. “Le nostre attività principali sono, oltre a quelle tradizionali, rinforzamento dei quadri e stabilizzazione dell' organizzazione e dello sviluppo istituzionale“, spiega il dottor Lalovic. “Svolgiamo inoltre attivitá nel settore sanitario e di prevenzione, contattando circa 15 000 dei nostri concittadini all' anno. Sono per lo più i giovani, allievi delle scuole elementari e medie. Organizziamo corsi tradizionali di pronto soccorso e di igiene, oltre a dibattiti, seminari e campagne tematiche (lotta contro il cancro, contro l' AIDS). Si lavora molto anche sul piano dell’informazione educativa legata alle attività nel campo della sanità e della prevenzione. Un progetto realizzato a cui siamo molto legati é l’asilo multietnico rivolto soprattutto ai bambini rom“. Il numero della persone in stato di bisogno supportate è variabile nel corso dell' anno. “Nel 1999 e nel 2000 sono state 65.000 (popolazione locale, profughi di guerra ecc.). In seguito questo numero é diminuito, non perchè sia calato il bisogno, ma perchè le donazioni sono notevolmente diminuite, cosicchè l' anno scorso abbiamo potuto sostenere solo 19.000 persone, di cui 3000 bambini a cui abbiamo offerto la possibilitá di una mensa (con un progetto realizzato in collaborazione con il Comune della città e con le scuole). Si tratta di nutrizione gratuita per bambini di famiglie in disagio sociale, stabilito secondo determinati criteri“. Un servizio mensa nell' ambito della Croce Rossa rivolto a tutti i cittadini esiste già da 10 anni (sostenuto da parte di vari donatori). Il criterio dell' ammissione viene stabilito in collaborazione con il Centro per gli affari sociali, e il programma si finanzia dal bilancio del Comune della città su piano annuale. L' assistenza alimentare consiste in mezzo litro di pasto cucinato al giorno e mezzo chilo del pane semibianco. Se una famiglia può avere più di un pasto, ció dipende dal numero di membri e dalla possibilità economica della struttura. Tradizionalmente, la Croce Rossa cerca di aiutare le persone in difficoltá fornendo le medicine, curando gli ammalati, procurando vestiti e calzature, distibuendo prodotti alimentari e per l' igiene. Per quanto riguarda il persone impegnato, é di circa 1500 volontari. Questo numero non include quanti impegnati individualmente e occasionalmente in settori specifici, persone su 111 cui l' organizzazione può contare in ogni momento. Gli impiegati, il numero è variabile, sono circa 20, a seconda dei progetti realizzati. Si investe molto sulla formazione e sull’aggiornamento. “Esiste una legge speciale per la Croce Rossa, diversa dalla legge di Associazioni cittadine, ma é prevista una modifica. Adesso dobbiamo pagare l' Iva anche per l' assistenza umanitaria che arriva da donatori internazionali, e in altri casi subiamo una doppia tassazione. Abbiamo chiesto piú volte di prendere provvedimenti per modificare questo meccanismo e riconoscere il nostro operato anche da questo versante“. Si lamenta un disinteresse da parte dello Stato in materia di aiuto economico, pur essendo richiesta l’attivitá dell’organizzazione nei momenti di emergenza del paese. E questo ha portato l’organizzazione a sviluppare alcuni progetti di reddito indipendenti. Le condizioni a Kragujevac non sono cambiate notevolmente, la transizione ha prodotto una situazione economica difficile, in un solo anno abbiamo aiutato 60.000 persone. Il complesso di lavorazione metallurgica è sempre in crisi. Tre anni fa una parte degli operai è stata trasferita dalla ' Zastava'alla cosiddetta Associazione di educazione e occupazione, dove la gente veniva pagata dallo stato 4-4.500 dinari al mese mentre aspettavano qualche riqualificazione professionale. Sono sempre in attesa“ Viene richiesta una maggiore collaborazione con le istituzioni. “ Da tempo proponiamo un coordinamento per le attività umanitarie, formato dai rappresentanti del Comune della città, dalle istituzioni per la protezione sociale e dalle associazioni non governative”. L’organizzazione si avvale di una banca dati, contenete i dati per ogni famiglia (tipo di assistenza, cambiamenti, ecc) raccolti negli ultimi 10 aani, una sorta di anamnesi sociale. 112 SERBIA L’EUROPA RACCOMANDA Stralci da CARDS SOCIAL SECXTOR STUDY, COUNTRY REPORT 2005 La necessità di migliorare l’efficienza e la trasparenza nell’Amministrazione in campo sociale sta diventando sempre di più una priorità per la Serbia. Le istituzioni del settore sociale si trovano in uno stato difficile a causa della massiccia fuga di cervelli, della politicizzazione e centralizzazione delle autorità nel decennio passato, dei frequenti cambiamenti non trasparenti nei regolamenti e nelle istituzioni, delle carenze nella pianificazione strategica e dell’abuso delle istituzioni statali ai fini politici. L’effetto degli sforzi per l’attuazione delle riforme sino ad ora è stato al di sotto delle aspettative. In particolare il mancato progresso nella ristrutturazione del settore del terzo settore è motivo di serie preoccupazioni. Il sistema delle politiche rimane molto frammentato, con bassi livelli di coordinamento interministeriale ed un segretariato governativo prevalentemente amministrativo. Si registra anche un’assenza critica rispetto alle competenze nel personale negli ambiti non dirigenziali del settore del terzo settore. Future politiche per l’impiego dovrebbero essere orientate verso lo sviluppo di un mercato flessibile del lavoro capace di rispondere e di contribuire ad una ristrutturazione economica. Una ulteriore modernizzazione del Repubblica dovrebbe mirare a migliorare le sue capacità di orientamento e di tecnologia informativa, e sviluppare nuovi sistemi di monitoraggio e valutazione. La promozione dell’economia sociale come modello per future politiche sociali dovrebbe essere una priorità orientata in particolare verso i rifugiati, le donne, i disabili ed altre fasce deboli. Partendo da progetti pilota, l’Amministrazione dovrebbe imparare ad accrescere la solidarietà e la coesione nella creazione di opportunità d’occupazione nei settori dove le imprese non siano riuscite a ridurre la disoccupazione perchè in crisi. Ulteriori riforme nel campo delle politiche educative dovrebbero migliorare l’accesso all’educazione per i bambini appartenenti alle famiglie a basso reddito, per le famiglie residenti nelle zone rurali remote, e per i gruppi appartenenti alle minoranze etniche. Il miglioramento della qualità dell’educazione e la modernizzazione dovrebbero essere una parte significativa nelle riforme successive. L’educazione secondaria dovrebbe essere finalizzata ad incontrare la domanda del mercato del lavoro, e la formazione professionale dovrebbe essere innovata per assicurare la qualità ed essere rispondente alle domande dell’economia. Il sistema educativo dovrebbe essere modernizzato per migliorare le competenze professionali basate su un approccio aperto e costruttivo che gradualmente dovrebbe sostituire l’approccio conservativo, nazionalista, xenofobo. Necessario anche un sistema adeguato nel campo dell’informazione nel merito delle questioni sociali. Si dovrebbero prevedere informazioni accurate, rapide e consistenti per implementare le politiche educative. 113 Questi programmi dovrebbero essere fortemente legati alla formazione della classe dirigente per migliorare le sue competenze professionali in prospettiva di un governo più efficace. Il miglioramento complessivo dei servizi sanitari in base alla domanda degli utenti dovrebbe essere basato su un cambiamento delle infrastrutture delle cure sanitarie a differenti livelli. (…) Un miglioramento del sistema informativo che dovrebbe provvedere statistiche adeguate, monitoraggio e valutazione sarebbe di grande importanza ai fini di un’effettiva valutazione da parte dell’utente. Poiché molti impiegati nell’amministrazione sanitaria non hanno sufficienti competenze gestionali, si dovrebbe implementare l’educazione della gestione sanitaria. Organizzazioni nonprofit potrebbero avere un ruolo importante nel settore sanitario e dovrebbero essere incoraggiate a svolgere programmi sanitari mirati in collaborazione con le istituzioni pubbliche. La riforma del settore abitativo nel quale sono presenti problemi risalenti al periodo socialista dovrebbe essere orientata alla riduzione della mancanza degli alloggi, specialmente nelle grandi città e nelle zone degradate. La riforma delle politiche abitative dovrebbe essere rivolta ai gruppi deboli come ad es. i giovani, i subaffittuari, i rifugiati, i Rom abitanti nelle baracche e nelle zone degradate delle grandi città. Forme diverse di prestiti, banche etiche ed altre opportunità alternative dovrebbero essere sviluppate per risolvere la mancanza degli alloggi sulla base di esperienze europee e programmi di case popolari della regione. Parallelamente alle riforme dei servizi sociali, una nuova strategia di protezione della famiglia e dei minori dovrebbe essere parte integrante delle politiche sociali. Lo scopo principale delle riforme in questo settore dovrebbe essere la costruzione di un sistema efficace di protezione sociale e l’ulteriore approvazione di nuove leggi in accordo con gli standard europei. Il gruppo bersaglio principale dovrebbero essere i minori a rischio, i disabili, le famiglie disagiate con numerosi figli, i gruppi etnici specialmente i Rom, i rifugiati ed gli espulsi costretti ad abbandonare le loro case per cause politiche, e si dovrebbe prendere in considerazione la tratta delle persone, la violenza e lo sfruttamento dei minori come nuovi problemi inerenti la famiglia ed la protezione sociale. Ulteriori sviluppi dei servizi sociali dovrebbero essere orientati verso lo sviluppo di protezione sociale comunitaria, mentre le riforme dovrebbero continuare a promuovere il concetto di servizi sociali integrati, il rafforzamento e la promozione di coesione sociale a livello locale. Nel campo dei sussidi sociali le proposte principali dovrebbero essere indirizzate verso la creazione di criteri di protezione sociale più efficienti nei quali i trasferimenti mirati di denaro possano provvedere alla creazione di una rete di sicurezza sociale per i cittadini più poveri e le fasce sociali più deboli. Occorre cercare nuovi criteri per una migliore identificazione delle famiglie più disagiate, e stabilire una linea di povertà non legata ai salari ma al consumo reale e ad altre misure per individuare meglio le famiglie indigenti. Fermo restando che la preoccupazione di stabilire una rete protettiva per i poveri dovrebbe essere un obiettivo del governo, la posizione delle fasce deboli dipenderà dal processo di modernizzazione delle altre istituzioni del settore sociale, soprattutto dai Centri del Lavoro Sociale ma anche dalle prassi prevalenti del lavoro in rete con le altre istituzioni del terzo settore. Ulteriori sforzi dovrebbero essere indirizzati verso lo sviluppo delle competenze gestionali ed alla maggiore formazione degli amministratori. In quanto parte integrale del processo di riforma nel sistema sociale, un’agenda di riforme del sistema pensionistico dovrebbe essere orientata verso la sostenibilità del sistema esistente insieme ad un’analisi attenta e critica della possibilità di introdurre un sistema pensionistico a tre colonne con una seconda colonna obbligatoria con 114 fondi privati ed una terza colonna volontaria con fondi privati. La sostenibilità del sistema pensionistico dipende non solo dalla situazione macroeconomia del paese, ma anche dal miglioramento nella raccolta dei contributi. Un dialogo sociale appropriato e trasparente dovrebbe essere ottenuto tramite uno sviluppo ulteriore di capacità di negoziare collettivamente. Gli amministratori addetti al sistema pensionistico dovrebbero migliorare le loro capacità professionali e gestionali mentre un miglioramento del sistema informativo dovrebbe essere una prerogativa per nuove prassi amministrative. 115 6* capitolo ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI In questo capitolo saranno sistematizzate le riflessioni e gli elementi utili emersi dallo studio, nel tentativo di evidenziare e suggerire proposte formative. Ci sembra innanzitutto opportuno evidenziare alcuni nodi di fondo, su cui, successivamente, sarà possibile sviluppare in modo approfondito l’elaborazione dei percorsi formativi. Nel sud est Europa sono in corso importanti processi di trasformazione, indotti anche dalla prospettiva di adesione dei Paesi dei Balcani occidentali all’Unione Europea e di conseguenza, da parte di quest’ultima, da una transizione degli approcci verso tali Paesi da una politica di stabilizzazione ad una politica di integrazione finalizzata alla creazione di uno spazio comune. Nel settore del Welfare la tendenza generale è quella di un progressivo decentramento dei servizi verso i livelli territoriali, favorendo la crescita e potenziando le capacità operative delle autonomie locali. Si tratta cioè di avviare un processo fondamentale per favorire e accrescere la partecipazione e il protagonismo dei cittadini e delle comunità, che vede, tuttavia, ancora forti resistenze da parte dei governi centrali, tuttora dominanti nelle relazioni tra i diversi soggetti istituzionali specie sulle questioni del controllo e dell’ autonomia finanziaria. Le Amministrazioni decentrate sembrano piuttosto permanere in una condizione di sostanziale subordinazione rispetto al livello centrale, in un quadro complessivo di scarsissime risorse finanziarie e in assenza di riferimenti normativi chiari e completi relativi alla separazione tra le responsabilità di indirizzo politico, e di gestione. I governi locali di conseguenza faticano a riconoscere e appoggiare le istanze della società civile e dell’associazionismo. L’associazionismo, molto attivo nelle tre realtà indagate, dipende in larga misura dai finanziamenti internazionali. Sono rare le occasioni di relazioni costruttive con le amministrazioni locali. La prima considerazione riguarda i ruoli e le deleghe del livello centrale e della struttura istituzionale decentrata dei Paesi presi in esame. Nei tre Paesi, la struttura istituzionale locale presenta livelli politici differenti. Nel caso dell’Albania, il governo locale si articola in Comuni (Komuna, in aree rurali) e Municipi 116 (Bashki, in aree urbane) e in Regioni. La Regione ha la responsabilità di realizzare politiche comuni a tutte le unità di governo locale e di controllo e di coordinamento tra i diversi Municipi. Le Regioni rappresentano il livello intermedio tra lo Stato ed il governo locale. Nel caso della Serbia, il livello intermedio tra lo Stato ed il Comune è rappresentato dal Distretto, espressione diretta del governo centrale. La municipalità è l’unica forma di governo locale elettivo, ed è organizzata a sua volta in “comunità locali”, luoghi di partecipazione diretta dei cittadini. Il riferimento legislativo è la legge “sull’assistenza e previdenza sociale dei cittadini” nella quale viene definito l’obbligo da parte del governo centrale dell’attuazione dei diritti di interesse generale e l’obbligo per il governo locale dell’assistenza alle famiglie e dell’accoglienza temporanea in Centri specializzati. A livello locale opera il Centro per il lavoro sociale, un ente fondato dall’assemblea municipale. Nella Federazione della Bosnia ed Erzegovina, i 137 Comuni dipendono interamente dai Cantoni. Ai Cantoni esistenti nella Bosnia ed Erzegovina, ciascuno con una propria struttura governativa, sono delegate le funzioni di implementazione delle politiche definite dalla legislazione vigente; il Municipio di Tuzla attua le attività sociali attraverso i Centri per i Servizi Sociali, introdotti nel 2002 dall’Assemblea Cantonale di Tuzla. Nel caso della Bosnia ed Erzegovina è da sottolineare l’eccessiva frammentazione del livello centrale che evidenzia l’assenza di una politica centrale identificabile in una legge, in un ministero titolare e in una suddivisione di poteri che non esprima semplicemente una divisione del territorio su basi etniche. Qui la questione del welfare necessita di una soluzione del problema di riconoscimento e organizzazione del potere centrale e, come ricaduta, la rivisitazione della suddivisone del potere locale. Sotto l’aspetto legislativo, solo l’Albania si è dotata di una legge sul decentramento amministrativo dei servizi sociali che definisce chiaramente le responsabilità dei livelli locali. In Serbia le responsabilità del livello locale sono definite dalla Costituzione. L’approvazione della nuova Costituzione dovrebbe rendere pienamente esecutiva la “Law on Local Self-Governement” approvata nel 2002. Nella Bosnia ed Erzegovina il riferimento legislativo è la “legge per la protezione sociale, per la protezione delle vittime della guerra civile e delle famiglie con figli”, approvata in Parlamento nell’aprile 2002 Anche la questione delle risorse finanziarie, sembra confermare, in buona parte, la dipendenza ed il controllo da parte del governo centrale. I governi locali non dispongono, se non in minima parte, di risorse finanziarie proprie. Le entrate fiscali sono sostanzialmente soggette al controllo da parte dello Stato. Le competenze e l’operato dei governi locali sono sottoposti al controllo da parte delle istituzioni centrali o delle istituzioni intermedie. Il quadro delineato consente di evidenziare i principali nodi di fondo comuni, sia pure con le differenze delle singole specificità, nei tre contesti sul processo di decentramento. Gli aspetti problematici più rilevanti riguardanti il livello locale sono rappresentati dai rischi di scarsa ownerwrship, dallo squilibrio tra le competenze e le risorse finanziarie disponibili, dall’assenza, ad eccezione della Bosnia ed Erzegovina di un livello intermedio politicamente rilevante. 117 Un ulteriore aspetto problematico riguarda la debolezza dei livelli centrali. Parallelo al processo di decentramento e indispensabile per la sua attuazione è il rafforzamento del livello centrale. Infatti solo attraverso un più forte ruolo del livello centrale, che sia capace di definire una strategia complessiva di sviluppo del Paese ed una autonomia solidale dei livelli istituzionali territoriali, è possibile praticare con efficacia la tutela e la diffusione dei diritti di cittadinanza, l’universalità dell’accesso e della parità dei diritti. Il decentramento amministrativo dei servizi sociali è un processo complesso che non si esaurisce con il passaggio effettivo, sia pure fondamentale, dei poteri, delle competenze e delle risorse dal livello centrale a quello locale. Esso presuppone la presenza di reali meccanismi democratici, primo fra tutti la partecipazione e la collaborazione dei cittadini, secondo il principio della sussidiarietà enunciato dal Consiglio d’Europa (Strasurgo, European Charter of local self governement). Ossia la suddivisione delle competenze tra Stato e governi locali (sussidiarietà verticale) e tra Stato e società civile (sussidiarietà orizzontale), riconoscendo in tal modo ai cittadini il ruolo di agenti della partecipazione e della trasformazione sociale. La seconda considerazione riguarda la partecipazione. Cioè il riconoscimento delle associazioni e dei gruppi di società civile come interlocutori fondamentali per le amministrazioni centrali e locali, nella convinzione che solo un percorso condiviso, di coinvolgimento, e di costruzione di una “rete” di relazione tra i livelli istituzionali e tra questi e la società civile può produrre un’elaborazione e una pratica impegnata e capace di generare cambiamenti effettivi. Riguardo la società civile, può essere utile ripercorrere, in modo ovviamente sintetico ed aperto, alcune caratteristiche essenziali e comuni ai tre contesti in esame, sia pure nella diversità delle singole realtà e nella diversità dei percorsi storici e culturali. .Durante i governi precedenti nei tre Paesi esistevano consistenti forme di associazionismo e di lavoro volontario, emanazione diretta del sistema socialista centralizzato che, con il passaggio al multipartismo, sono andate rapidamente a scomparire. Nella fase immediatamente successiva si è assistito, in modo particolare in Albania, al rifiuto di tutto ciò che pretendeva la partecipazione e la condivisione, in quanto interpretato e recepito come nuova forma di “volontariato obbligatorio” e, di conseguenza, respinto. Solo il passare del tempo ha restituito dignità alle forme di organizzazione associativa e quindi alla nascita di associazioni e gruppi di volontariato fortemente impegnati sui temi delle lotte per i diritti umani, prime fra tutte le questioni di genere. Successivamente, i programmi ed i consistenti finanziamenti per la ricostruzione resi disponibili dalla comunità internazionale, uniti ad una sostanziale emarginazione da parte dei propri governanti, alla perdita di competenze e all’indebolimento del potere decisionale da parte delle istituzioni, hanno operato una ulteriore trasformazione del mondo associativo. Le associazioni sono diventate Ong, Molte delle associazioni impegnate nel campo dei diritti si sono trasformate in organizzazioni non governative cioè, in enti impegnati in programmi finanziati dalle agenzie internazionali di cooperazione Il risultato offre una duplice lettura. Se da un lato le Ong hanno acquisito notevoli capacità, tanto sul piano delle competenze quanto su quello manageriale, di contro 118 sembrano inevitabilmente, più attente alle priorità dei internazionali che alle priorità del proprio specifico contesto. cosiddetti donatori Ne deriva una maggiore distanza ed una sostanziale sfiducia verso le istituzioni ed una minore attenzione sulle capacità, proprie dell’associazionismo, di aggregazione civile e sociale. La cooperazione internazionale riveste utilità sul piano della lotta contro la povertà, ma spesso i diversi e numerosi attori della cooperazione internazionale perseguono politiche che propongono linee strategiche e metodologiche fra di esse non sempre coerenti. L’assenza di coordinamento produce forti rischi di dispersione, di sovrapposizione e di scarsa integrazione. Ne consegue che spesso, anche le migliori iniziative, risultano inserite in una cornice di occasionalità che non produce e non avvia processi di cambiamento e di sviluppo duraturi, e non entra in sintonia con l’insieme dei soggetti del territorio dei paesi destinatari dell’intervento. Le politiche sociali, gestite in termini emergenziali, non coordinati e, spesso, in una logica di sostanziale buonismo, presentano gravi rischi anche sul piano del ruolo politico delle associazioni poiché è l’associazionismo stesso, nel suo complesso, ad assumere in tal modo la valenza di appendice meritevole a cui delegare alcuni problemi, senza riconoscere al suo operato una identità, una dimensione ed un significato in termini culturali e di crescita sociale. Il valore della partecipazione nel processo di decentramento amministrativo dei servizi sociali contrasta con tali pratiche. Occorre avere presente che la partecipazione non è, semplicisticamente, una questione di razionalizzazione o di mera riorganizzazione. Per la costruzione di un nuovo welfare occorre far crescere una alleanza politica con la società civile attraverso la costruzione e la diffusione di un progetto comune che sappia comunicare una prospettiva. Quella prospettiva che limiterebbe, per esempio, la fuga di tanti giovani, uomini e donne, che altro non è che una fuga dall’incertezza e dalla mancanza di prospettive, dalle deprivazioni esistenziali prima ancora che economiche. Occorre avere presente che la ricostruzione istituzionale e la governance non possono prescindere dal contributo dei propri cittadini e dalla valorizzazione del proprio tessuto sociale, culturale ed economico. Si rende dunque necessario un passaggio da un sistema prevalentemente pubblico secondo una certa angolazione, o prevalentemente privato secondo un’altra, ad un sistema misto che vede l’operare in tandem dei servizi pubblici e delle organizzazioni private secondo una logica di collaborazione in base al principio di sussidiarietà. Occorre favorire una dinamicità del settore non profit anche nei Balcani introducendo un sistema che veda come protagonista la pluralità di organizzazioni e forme giuridiche conseguenti e che preveda la coesistenza di ruoli diversificati: dalla advocacy, ossia la tutela di particolari categorie e di diritti, alla redistribuzione di flussi di risorse finanziarie verso destinazioni d’uso giudicate socialmente utili, alla produzione diretta di servizi sia sociali che assistenziali fino ad arrivare all’impresa sociale, spesso invocata da chi in quei paesi, oggi lavora nel campo sociale. 119 La definizione di impresa sociale implica un approccio economico al non profit, accomunando uno spirito imprenditoriale con un fine sociale, coniugando la produzione di servizi socialmente utili alla comunità, con autonomia, assunzione del rischio e propensione all’innovazione. Anche qui, è possibile rintracciare gli elementi problematici più rilevanti relativi alla reale partecipazione dei cittadini nei processi di decentramento in atto nei tre Paesi. Innanzitutto l’assenza di uno strumento legislativo che favorisca la nascita e lo sviluppo dell’associazionismo no-profit e che introduca facilitazioni fiscali; la creazione di un sistema di relazioni per il coordinamento con la società civile tale da affrontare in modo coordinato ed organico le questioni del territorio; normative, accordi, protocolli d’intesa e definizione degli standard di qualità; creazione di una banca dati sui bisogni e sugli attori del territorio; ed infine, la creazione di un sistema di relazioni per il coordinamento interistituzionale tra i diversi dipartimenti. I dati e le riflessioni emerse dalla ricerca delineano un quadro in cui la strada da compiere sembra ancora piuttosto lunga anche se, è bene ricordarlo, i tre Paesi hanno attraversato momenti assai difficili e complessi e la fase di ripresa è tutt’ora in corso. Va inoltre ricordato che per i tre Paesi il processo di riforma del welfare è appena iniziato e che tale cambiamento investe significativamente tanto la sfera culturale quanto quella delle competenze e delle capacità. Un cambiamento molto complesso, che richiede inoltre nuove competenze e nuovi profili professionali. In tale dinamica sono coinvolti tutti coloro che operano nel settore istituzionale, nel settore pubblico e nel settore privato. Numerose azioni formative per il rafforzamento delle capacità di analisi, di pianificazione e di management sulle politiche sociali, sono state promosse negli ultimi anni, dai diversi soggetti della cooperazione internazionale impegnati nel Sud Est Europa, contribuendo ad accrescere interesse e favorendo, attraverso approcci e modalità anche molto diverse tra loro, la riflessione e la discussione sulle tematiche del welfare. Senza dunque negare gli sforzi fin qui compiuti nella identificazione e realizzazione di azioni formative, crediamo tuttavia, che la questione della formazione debba essere oggi, maggiormente inquadrata sulla questione del metodo. Se infatti è cresciuta l’attenzione, la consapevolezza e la conoscenza sul welfare, è’ tuttavia necessario riconoscere la difficoltà diffusa e manifesta, da parte di tutti gli attori coinvolti, nel rendere concretamente operativi e praticabili i saperi e le conoscenze acquisite. E’ dunque ancora necessario rafforzare la capacità, soprattutto a livello istituzionale, centrale e locale, di elaborazione, di analisi e di soluzione dei problemi, Crediamo che sia necessaria l’elaborazione di un nuovo progetto formativo, tale da completare l’apprendimento fin qui proposto. Un nuovo progetto formativo che possa rispondere adeguatamente all’esigenza di verificare e di sperimentare nel concreto la soluzione di problemi attraverso l’elaborazione e l’analisi delle informazioni, delle situazioni, delle problematiche e delle implicazioni possibili. 120 Si tratta di un differente approccio didattico che vuole puntare sulla costruzione dell’apprendimento attraverso la sperimentazione, attraverso cioè la pratica concreta di lavoro, affinché sia possibile valutare e rimodellare, in un quadro autonomo, creativo e originale, il bagaglio del sapere teorico. Crediamo che sia necessario lavorare su due livelli. Insistere, da un lato, sulla formazione teorica e di laboratorio, per favorire, stimolare e fare emergere pareri e opinioni spontanei dai soggetti coinvolti rispetto ad argomenti prestabiliti. Dall’altro, sviluppare parallelamente, percorsi di lavoro guidati, finalizzati alla costruzione progressiva di soluzioni concrete, realmente incisive e realmente capaci di generare cambiamenti effettivi. Particolarmente rilevante sarà l’organizzazione di stages, in Italia e in loco, presso istituzioni, servizi locali ed organizzazioni che operano nell' ambito del welfare, di fasi di lavoro di accompagnamento ed affiancamento finalizzate all’apprendimento guidato del personale delle istituzioni, dei servizi locali e delle organizzazioni. Un ulteriore elemento di forte valenza formativa e’ rappresentata dalla possibilità di favorire, attraverso la stessa modalità dello stage, occasioni di scambio e di confronto diretto, tra le esperienze in corso nei Paesi dell’area balcanica. Il nuovo progetto formativo dovrà inoltre tenere conto dell’importanza e della necessità di rendere maggiormente partecipato e partecipativo il percorso formativo e di favorire la produzione, la diffusione e la circolazione delle informazioni e del materiale di documentazione nazionale ed internazionale, inerente la tematica dl welfare. E possibile prevedere, ad esempio, la costituzione di gruppi di lavoro permanenti, a livello locale, che coinvolgano soggetti pubblici e privati, istituzionali e non, che si occupano di welfare, all’interno dei quali sia possibile condividere, elaborare, e diffondere le informazioni disponibili e quelle emerse nel corso delle sessioni formative realizzate e dove sia contemporaneamente possibile elaborare e sviluppare proposte di contenuto e di metodo sulle sessioni formative da realizzare. Quanto sin qui descritto prefigura l’avvio un percorso formativo, tanto ambizioso quanto necessario, che possa far crescere una nuova cultura basata sulla consapevolezza del Welfare inteso come fattore di sviluppo, e del decentramento come elemento fondamentale della governance democratica. Un percorso complesso in cui crediamo che gli enti decentrati italiani possano svolgere un ruolo strategico e innovativo. Dalla capacità di comprendere i processi sociali e le complesse dinamiche che caratterizzano le singole società, alla capacità di proporre una pratica innovativa del fare cooperazione, intesa come laboratorio per lo scambio dei saperi, per la messa in rete tra territori, soggetti e pratiche e come laboratorio per la costruzione di partenariati L’elemento innovativo della cooperazione decentrata e dei partenariati è infatti la capacità di sollecitare coinvolgere e raccordare i soggetti e le esperienze del proprio territorio e la capacità di creare sinergie tra queste e quelle omologhe dei Paesi partner, tanto sul piano istituzionale quanto su quello sociale. Crediamo che l’intesa che nasce dall’incontro diretto delle realtà locali, basato sulla reciprocità, sullo scambio dei saperi, delle esperienze e delle culture, produce integrazione e interscambio, determinando un effettivo e reciproco cambiamento. 121 Crediamo infine che la cooperazione decentrata ed i partenariati possano efficacemente contribuire alla promozione di una ricerca culturale autentica che sia in grado di dare ai soggetti protagonisti della società civile democratica strumenti adatti ad affrontare e leggere le difficoltà, le quali, non hanno ovviamente solo dimensioni economiche, ma coinvolgono direttamente anche il senso e la percezione del se’ come individui e come popoli. 122 7* capitolo SEMINARIO SULLA PROMOZIONE DI POLITICHE DI PARI OPPORTUNITÀ – FORLI’ 27/31 MAGGIO 2005 A Forlì, dal 27 al 31 maggio 2005 si è svolto il seminario sulla promozione di politiche di pari opportunità organizzato all' interno del percorso formativo promosso dal progetto NEW. Vi hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni centrali e periferiche di ciascun paese partner ed inoltre rappresentanti dell' associazionismo femminile locale. Nel corso del programma una specifica sessione formativa è stata dedicata alla discussione sugli esiti emersi dalla presente ricerca,allora in via di completamento. In particolare i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi su base nazionale e ciascuno di essi è stato invitato a commentare le schede di seguito riportate, ciascuna delle quali introdotta da un semplice quesito del tipo: "Quale dovrebbe essere il ruolo del livello centrale?" "Quale dovrebbe essere il ruolo delle istituzioni locali?", "Come promuovere la partecipazione di tutti i soggetti del territorio?", "Come favorire la collaborazione tra pubblico e privato?", ecc. L' articolazione delle possibili risposte ai quesiti posti ha permesso di svolgere, all' interno dei gruppi, un prezioso lavoro di approfondimento e confronto di cui si trova traccia nelle schede riportate nel presente volume. 123