LA LITURGIA Don Carlo Franco 1° INCONTRO – Sabato 22 Nov. 2008 – Parrocchia Santa Chiara – Collegno Questo è il primo di una serie di incontri sulla Liturgia e sulla Musica. I primi due sono sulla Liturgia e quindi rivolti a tutti; i seguenti saranno sulla musica e quindi per i musicisti; a questi incontri possono comunque partecipare anche coloro che hanno altri interessi, ma partecipano all’assemblea e cantano. Prima di parlare di come si comportano il canto e la musica all’interno della liturgia è bene conoscere prima la Liturgia cioè quel contesto particolare in cui andiamo ad inserire dei canti, dei suoni, delle musiche; insomma dobbiamo cercare di capire bene qual è il contesto in cui ci muoviamo e che cosa chiede questo contesto al canto e alla musica. Che cosa è la Liturgia ? E’ probabile che sulla Liturgia non ci sia molta conoscenza; di solito siamo abbastanza digiuni su questo discorso, anche se andiamo a Messa tutte le Domeniche non significa che abbiamo chiaro i presupposti e i principi fondamentali che riguardano la Liturgia. Cominciamo a prendere coscienza di alcune situazioni che noi ci portiamo dentro per tradizione. Per esempio, da parte dei preti, una convinzione è che la Liturgia sia una vecchia disciplina che si faceva in seminario prima che arrivasse il Concilio. Fra poco saranno 45 anni da quando è stato promulgato il primo documento sulla Liturgia. Prima di questa riflessione della Chiesa l’unica cosa che c’era per la preparazione dei preti era solo l’aspetto esteriore e formale della Celebrazione: come si devono dire le cose, cosa si deve dire, come si devono fare i gesti, quando devono essere aperte le mani. Addirittura per i preti, formati prima del Concilio, si arrivava a dire che celebrando una Messa si arrivava a compiere 200 peccati mortali, sbagliando. Allora anche il prete scrupoloso si apprestava alla Messa con un po’ di angoscia. Questo perché tutto era impostato sul come fare delle cose dal punto di vista esteriore, del cerimoniale, del protocollo. Questo nei Seminari veniva fatto anche con dei punteggi oltre che ai peccati mortali. Ciò fece sì che questa materia non fosse molto simpatica; una materia formale ed esteriore, tanto più che quando arrivano gli anni 60, il vento del Concilio e con questo anche tutto un vento di rinnovamento nel mondo, dove si vuole uscire dagli esteriorismi ed andare più al nocciolo delle cose, noi possiamo comprendere come una delle discipline meno amate e messa prima da parte sia proprio questa che appariva falsa ed ipocrita perché esteriore. Quando arriva il Vaticano II, fa una riforma e ripensa alla Liturgia dandogli un nuovo significato. La Liturgia può essere pensata come una cosa non utile, sono ben altre le cose importanti; prima ci sono le varie attività, i gruppi. Generalmente nelle nostre comunità cristiane si investe molto poco per la Liturgia, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista della valorizzazione delle persone. Si investe sulla animazione, sull’assistenza, sulla catechesi, e da ultimo sulla Liturgia. Tutta questa mentalità l’hanno più di tutti i preti e se oggi c’è da riscoprire la Liturgia lo dobbiamo fare prima noi preti. Occorre però che anche il laicato lo faccia, tenendo conto di questo secolare bagaglio che ci ha segnati. Anche nel laicato vi sono delle storture che vanno raddrizzate; anche esso si porta dentro delle idee sbagliate. La prima di queste è che la Liturgia non riguardi i laici e che è una cosa che fanno i preti. Questo è dovuto al fatto che fino a 45 anni fa la Messa e la Liturgia erano chiaramente fatte dai preti, quelli che facevano la Liturgia erano al di là della balaustra e quindi l’assemblea, che allora non esisteva, era solo il popolo di Dio; che fosse o no presente era lo stesso perché intanto la Liturgia la faceva il prete con i suoi assistenti. Vi era l’idea che non si dovesse fare nulla ed in effetti era così. E’ solo negli ultimi anni prima del Concilio che cominciano gli esperimenti della Messa dialogata con il popolo, ma fino agli anni 50 la Messa era fatta solo dal Ministro e dagli eventuali suoi aiutanti. La gente in Chiesa faceva quello che voleva. Le persone più pie e zelanti tiravano fuori il Rosario per sentirsi in preghiera. Nonostante il popolo di Dio fosse emarginato dal Rito, in qualche modo desiderava lo stesso farvi parte. Oggi questo non ha più senso ma in quegli anni è stato come una uscita di sicurezza per volere comunque vivere una esperienza spirituale; gli altri presenziavano magari parlando di affari in fondo alla Chiesa. Questo si è attenuato e a chiacchierare semmai non sono i ragazzi, ma gli anziani, abituati così fin da piccoli. Questo perché non c’era niente da fare visto che intanto il prete andava avanti per conto suo. Non solo andava avanti, ma lo faceva anche come se non ci fosse nessuno, tanto che la Messa antecedente a quella che usiamo noi oggi, non considerava neppure necessaria la presenza della gente; il prete diceva normalmente la Messa anche da solo. Oggi questo non ha più senso; con la Liturgia che è stata rinnovata non c’è più questa idea. Noi preti dobbiamo iniziare a credere di più alla efficacia anche pastorale della Liturgia ma dalla parte del laicato c’è bisogno di recuperare tutta una dimensione attiva che per secoli è stata messa da parte. Il popolo non ha avuto una parte attiva, ma solo passiva nella liturgia. Venivano infatti usati termini tipo “andare a prendere Messa; un pezzo di Messa; assistere alla Messa. Questi erano termini nel messale precedente a quello che usiamo adesso. Assistere alla Messa vuol dire che io sono presente, ma non vengo coinvolto nella azione che viene fatta, perché questa la fa il prete. L’assemblea che per secoli è stata tagliata fuori, ancora oggi rischia di voler vivere la liturgia in questa modo. Faccio un esempio. In una parrocchia dove l’assemblea non è tanto coinvolta a cantare, le prime volte che qualcuno si mette a farla cantare farà fatica; sentirà proprio la reazione delle persone presenti quasi a dire: “Ma perché devi farmi cantare? Lasciami tranquillo, c’è già il coro che canta, perché devo cantare io?”. La stessa cosa può essere detta per le risposte: “ Perché io devo rispondere alla Messa? Io posso anche solo venire lì e “starci” alla Messa, senza fare nulla”. Questa idea di passività non è dovuta alla pigrizia, ma è dovuta soprattutto ad una abitudine secolare di stare alla Messa come ad uno spettacolo dove si guarda e si sente quello che viene fatto da qualcuno e poi si va a casa; senza una parte attiva. Evidentemente tutta questa tradizione e abitudine per secoli, ha lasciato il segno ed ancora noi oggi facciamo fatica a far passare l’idea di una liturgia che coinvolga tutti. In realtà facciamo ancora fatica a far passare l’idea di una Chiesa che coinvolga tutti; di una Chiesa dove non ci sia solo l’esecuzione e non ci sia solo la collaborazione ma di una Chiesa dove addirittura ci sia la corresponsabilità. Questi sono passi che dobbiamo ancora fare perché la Chiesa ha vissuto da circa 40 anni il Concilio, ma 40 anni in confronto a secoli e secoli, sono troppo pochi per cambiare le mentalità. Quindi parlando della liturgia teniamo conto di tutto questo. Ci muoviamo in salita perché dobbiamo recuperare dei preconcetti che abbiamo succhiato con il latte materno. Che cosa è la liturgia ? E’ un termine greco che significa “azione del popolo” o “azione in favore del popolo”. Anche l’equivalente termine ebraico, risalendo ancora più indietro nei secoli, aveva lo stesso significato. Azione del popolo. Già questo termine ci mette sul senso autentico della Liturgia la quale non è una cosa di cui si parla, ma è una azione, una cosa che si fa. D’altronde tutte le desinenze in “gia” indicano azione, sono sempre tipiche delle discipline molto pratiche. Mentre la filosofia è quella che si fa parlando, la liturgia è una azione, si compie quando la facciamo, non quando ne parliamo. Il Concilio vuole proprio togliere quel senso di passività per sostituirlo con l’azione. Fino alla noia viene ripetuto il senso di azione usando il termine “partecipazione”. E’ evidente che il Concilio sa di dover fare una svolta ad U, di dover imprimere una inversione di rotta rispetto al passato il quale era secolare, risaliva al Concilio di Trento, quindi 4 secoli fa. Il Concilio sa che non basta scrivere una riforma in poco tempo e così la mentalità cambia. Sa che ha a che fare con una mentalità molto consolidata che vede la Liturgia come una cosa passiva. Non ci stupirà quindi che il Concilio andrà ad insistere moltissimo sulla azione e soprattutto sulla partecipazione. Ci sono due dimensioni in questa azione: “ L’azione di Cristo” e “l’azione della Chiesa”. Cominciamo con l’azione di Cristo. E’ Dio prima di tutto che compie questa azione liturgica nella quale noi riceviamo qualche cosa da Dio: la grazia, i doni della sua presenza, la sua forza: pensiamo ai Sacramenti. Questa azione è prima di tutto l’azione che compie Dio, quindi è Lui il primo che scende in campo; è Lui che apre la danza; è Dio che ci comunica se stesso nella Liturgia. Nella nostra religione cristiana evidenziamo “azione di Cristo” perché è Lui che compie concretamente questa unione tra noi e Dio, che si attua nella liturgia. E’ Lui che concretamente diventa l’anello di congiunzione tra l’umanità e la divinità. Facciamo un passo indietro. Perché è venuto Gesù Cristo sulla terra? Perché è venuto in mezzo a noi? Per dirci delle parole buone e insegnarci qualche cosa? In fondo tutte queste cose c’erano già nell’Antico Testamento e perfino in altre religioni. Perché quindi Gesù è venuto in mezzo a noi? Il motivo di fondo è solamente perché la nostra umanità, si è allontanata da Dio fin dalle origini con quel peccato misterioso che noi chiamiamo peccato delle origini, dove c’è stato un rifiuto nei confronti di Dio e un volere essere autonomi per decidere il bene e il male. Questo rifiuto ha fatto sì che si aprisse una voragine tra Dio e l’umanità. Dio nelle prime pagine della Bibbia è raccontato in pace e in armonia con l’umanità e che scendeva a passeggiare nel Paradiso alla sera. Ad un certo punto l’uomo, nella sua libertà, decide di prendere le distanze da Dio; non è Dio che sui allontana ma è l’uomo che col suo peccato prende le distanze da Dio. Come dire. “Io voglio decidere da solo il bene e il male, non ho bisogno di Dio”. Questo è quello che accade in modo misterioso all’inizio della umanità. Questa voragine l’umanità non sapeva e non riusciva più a colmarla perché umanamente non si riusciva più a ristabilire quel contatto. Solo Dio può riannodare i fili, ma lo può fare sempre e solo dall’interno della storia umana, non lo può fare dal di fuori perché, visto che è l’umanità che ha deciso di staccarsi da Dio, è l’umanità che deve riannodare i fili. Succede allora che Dio, nel mistero della Incarnazione viene dalla nostra parte così che dalla nostra parte può dire quel “SI”, può ristabilire quella armonia che noi avevamo perduto. Gesù Cristo viene in mezzo a noi come Dio e quindi anche come uomo, per dire il “SI” umano che solo Dio poteva dire. Essendo Lui Figlio dell’uomo e figlio di Dio, ( duplice natura Umana e divina), Lui può dire quel “SI” che l’umanità da sola non era riuscita a dire. Occorreva che Dio stesso venisse all’interno della umanità per dare questa forza. Questo aggiustare l’armonia perduta, questo ricolmare l’abisso è il motivo per cui viene Gesù in mezzo a noi. Il mistero pasquale è proprio il riannodare i fili, rimettere in funzione il collegamento che si era perso. Se si dimentica questo sui rischia di banalizzare l’Incarnazione e il mistero pasquale. Ecco perché è importante la Sua figura e non una qualsiasi della SS. Trinità; perché Gesù Cristo, essendo vero Dio e vero uomo sta proprio a metà nel collegamento tra Dio e l’umanità. E’ proprio attraverso di Lui che noi possiamo arrivare a Dio Padre. Il Vangelo è pieno di frasi che ricordano questo: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”; viene sottolineata quella che si chiama “la mediazione”. Gesù Cristo è Colui che fa da mediatore, che mette insieme queste due realtà che non riuscivano più ad essere insieme. Nella lettera agli Ebrei, uno scritto molto importante che approfondisce questa tematica, il mediatore viene definito anche come “Pontefice”. Il “Pontefice massimo” non è Benedetto XVI, ma è Gesù Cristo. Pontefice vuole dire “Colui che crea il ponte” tra l’umanità e la divinità. Allora diventa chiaro che se noi dobbiamo rivolgerci a Dio Padre, non possiamo farlo semplicemente confidando su noi stessi. Dobbiamo essere consapevoli che non potremo mai avere la presunzione di accedere direttamente a Dio Padre. Chi siamo noi? Siamo banali e mediocri creature, non potremmo accedere direttamente a Dio Padre. Lo possiamo fare passando attraverso Gesù. La nostra umanità, passando attraverso l’umanità di Gesù, arriva a Dio Padre. Questa è l’azione di cristo; senza questa azione, senza questa mediazione, la nostra Liturgia potrebbe essere una illusione; potremmo illuderci di parlare con Dio Padre, ma magari parliamo solo con noi stessi. La mediazione di Cristo vuol dire invece questa garanzia di riuscire ad arrivare a Dio Padre tramite l’umanità di Gesù che è l’umanità anche nostra. Quando Gesù è asceso al Cielo non ha lasciato giù l’umanità; continua ad essere vero uomo e lo è per sempre. Il mistero della Incarnazione è proprio il matrimonio indissolubile ed eterno che Gesù ha fatto con la nostra umanità. Questa nostra umanità è davanti a Dio Padre proprio nella Persona di Gesù; tramite Gesù noi arriviamo a Dio Padre. Questo lo diciamo, senza farci caso, tutte le volte che nella liturgia della Messa si termina con la preghiera: “per Cristo nostro Signore”; infatti tutte le preghiere partecipate sono rivolte a Dio Padre per mezzo del Figlio Gesù Cristo. Infatti la Colletta inizia:” O Dio Padre……” e alla fine ”te lo chiediamo per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”. Quel “per” è proprio il riconoscere. “ Noi, Padre, ti chiediamo tutto quello che ti stiamo chiedendo, attraverso la preghiera di Gesù”. Purtroppo il “per” nella lingua italiana ha un senso un po’ diverso che nella lingua latina; infatti per noi è inteso come “complemento di fine” es:”ti chiedo questo per quella persona” ossia per lui, lui ne ha bisogno. Se noi nella liturgia diciamo “per Cristo nostro Signore” possiamo pensare che uno che non è molto addentro a queste questioni si chieda : ”Ma perché noi dobbiamo chiedere qualche cosa per Gesù? Ne ha bisogno lui? E’ evidente che questo “per” noi lo usiamo come un latinismo, un retaggio latino che ci ha lasciato la liturgia precedente. Invece in latino il “per” è usato molto di più come “complemento di mezzo” . Esempio Dante dice: “Per me si va nella città dolente”; ma lui era molto più vicino al latino di noi; noi adesso diciamo “attraverso di me si va..”. Quindi quando noi nella liturgia sentiamo questo “per Cristo nostro Signore” lo dobbiamo pensare come il passaggio che noi facciamo, attraverso la Persona di Gesù, per arrivare a Dio Padre. Questa azione di Cristo, ovviamente è fondamentale e indubbiamente vale molto di più della nostra azione perché Lui la fa da Dio, quindi fa “bene” la sua parte. L’azione che svolge Dio nella Liturgia è immensamente più importante ed efficace. Queste considerazioni ci danno il senso della importanza di quello che avviene nella Liturgia. Ovviamente è quella che ci coinvolge di più perché è quella che facciamo noi, ma dobbiamo sempre avere presente che la parte maggiore, la parte sommersa dell’iceberg, la fa Dio, non la facciamo noi. Se noi arriviamo ad avere questa consapevolezza, magari ci sforziamo di fare le cose in modo che si avverta un po’ di più la presenza di Dio. Il rischio di certe celebrazioni in cui c’è molto attivismo, rischia di chiudersi in un livello orizzontale in cui tutto quello che facciamo lo facciamo noi, siamo noi che facciamo tutto. Dobbiamo invece partire con una idea che quando entriamo in una liturgia entriamo in una danza che è già cominciata perché Gesù è continuamente davanti al Padre ad intercedere per noi. Gesù, che è continuamente in preghiera davanti a Dio Padre, è una immagine che ritroviamo anche nella Lettera agli Ebrei; è una immagine che Gesù ci ha dato anche nella sua vita terrena perché quando poteva andava in disparte per mettersi davanti a Dio Padre in preghiera. Questa idea che Gesù stava e sta davanti a Dio Padre continuamente ci fa capire che quando noi iniziamo una preghiera ci inseriamo in una danza che c’è già, non la cominciamo noi. Questa è la realtà immensa che è la preghiera di Cristo. Notiamo l’equilibrio che ci dà la nostra Chiesa nello scomporre la Liturgia in due azioni e non solo da una delle due, perché potrebbe esserci la tendenza ad esagerare o da una parte o dall’altra. Sicuramente la Liturgia preconciliare andava più verso l’azione di Cristo e basta, però dobbiamo anche renderci conto che se spingiamo l’acceleratore sull’azione di Cristo rischiamo di andare verso una concezione della Liturgia che è quasi come una “magia”, perché fa tutto Dio e noi non facciamo nulla. Ma questa idea in fondo è proprio contraria alla religione cristiana, dove Gesù Cristo non ci salva dall’alto, da lontano, mandando un software che carichiamo nella nostra vita e tutto va a posto, ma ci salva venendo in mezzo a noi e condividendo in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana (Lettera agli Ebrei). Quindi questa azione di salvezza, Dio non la vuole fare da solo: “Chi ti ha creato senza di te non ti vuole salvare senza di te”,dice S. Agostino. Quindi non possiamo pensare ad una Liturgia in cui Dio fa tutto Lui. perché sarebbe contro la religione cristiana. Ma negli anni subito dopo il Concilio, dove c’erano anche forti spinte sociologiche e politiche, c’è stata anche la esagerazione opposta. Il ritrovarci tra noi, condividere, fare dei canti insieme, condividere le stesse idee sì che le celebrazioni diventino delle autocelebrazioni piuttosto che delle celebrazioni della Chiesa di Dio. Questi estremismi ci sono ancora oggi. Facciamo degli esempi. La tendenza ad esasperare l’azione di Cristo si nota in chi vuole tornare alla messa precedente al concilio, cioè alla Messa in latino, con i canti gregoriani. C’è da chiedersi: “perché vuoi una Messa dove magari non capisci niente?”. Che idea c’è dietro ad un desiderio che taglia fuori tutta la gente e che fa fare tutto al clero. Oppure ancora la esagerazione di tipo sociologico oggi la troviamo nei movimenti e nelle associazioni. Questi devono fare molta attenzione a non celebrare loro stessi. Soprattutto i movimenti sono radunati intorno ad una idea forte, ad un carisma, ad una sensibilità e questa idea forte rischia di diventare anche esclusiva:”Quelli che la pensano come noi, che bello, ci troviamo tra tutti noi che la pensiamo in uno stesso modo, che abbiamo la stessa sensibilità, che preghiamo nello stesso modo, usiamo gli stessi canti. C’è il rischio di appiattirsi sulla identità del gruppo, perdendo di vista che prima di tutto c’è l’azione di Cristo. Il Considerare queste derive, queste esagerazioni, ci fa apprezzare e prendere coscienza di quanto sia bella, ricca e feconda l’esperienza della Parrocchia dove c’è di tutto, ed è bene che ci sia di tutto. Vi sono tante sensibilità, vi sono tante età e dove c’è la ricchezza della varietà che può sembrare un intoppo, ma che è la vera realtà perché poi il mondo è così, non è fatto di ghetti dove qui stanno quelli che la pensano in un modo e là quelli che la pensano in un altro. Il mondo ci mette a contatto ogni giorno con persone ed idee diverse ed è giusto che anche la Parrocchia rispecchi questa diversità e la apprezzi. La apprezzi come una liberazione perché la tentazione di essere tutti uguali e di pensarla tutti allo stesso modo, alla fine diventa un idolo e quando si costruisce un idolo non si ha più bisogno di Dio; questo ce lo insegna la storia della salvezza. La Chiesa ci consegna la Liturgia che è fatta da due azioni: Dio che fa la sua parte, ma anche noi che facciamo la nostra parte e qui entrano in gioco le nostre azioni ma anche il modo in cui le facciamo. Siamo consapevoli che nella liturgia facciamo delle cose : tutto questo va fatto bene. E’ qui che comincia a cambiare la musica perché un conto è cantare svogliatamente e un conto è cantare con un certo coinvolgimento; un conto è dare delle risposte nella liturgia con superficialità, per abitudine e un conto è dirle con convinzione. “Parola del Signore, lode a te o Cristo” vuol dire che io sto parlando a Cristo e gli sto dando “lode”, non gli sto dicendo: “Va be’, ci sei, sei qui, benvenuto, accomodati pure…”. Io sto dicendo qualcosa di molto più entusiastico e convincente. Però bisogna vedere quanto io sono convinto, quanto io sto pensando a quello che sto dicendo. E’ qui che entra in gioco non solo il fare delle cose, ma il farle in un certo modo, con una certa convinzione. Se voi cantate vi accorgete che un conto è fare dei suoni qualunque, un altro è curare l’emissione della voce, usare le cavità giuste per generare il suono; un conto è il cantare un Kyrie Eleison che per forza di cose ha uno stile riflessivo, penitenziale, meditativo, non si potrebbe usare un tempo di tarantella o una samba. Se invece devo cantare un Alleluia non uso lo stesso stile del Kyrie e viceversa. Quindi il cantare non è la semplice emissione di suoni, ma è anche il farlo nel modo richiesto dal brano. Ecco qui l’aspetto della partecipazione che come termine, o verbo è presente moltissime volte nel testo del Concilio; perché evidentemente è molto importante. Cosa vuole dire partecipare ? Partecipare vuol dire prima di tutto la partecipazione interiore con convincimento e non con la testa altrove, però la partecipazione su cui insiste il Concilio è soprattutto la partecipazione esteriore, le cose che facciamo. Anche perché non sarebbe stato necessario fare un Concilio per insistere sulla partecipazione interiore perché questa già c’era prima; le persone che volevano comunque vivere profondamente la Liturgia lo potevano fare anche prima. Il Concilio viene a dare questa insistenza sulle cose da fare e da fare tutti insieme. Partecipazione significa prima di tutto essere coinvolti e non più essere pensati come il “pubblico spettatore” ; la partecipazione significa che tutti quanti siamo coinvolti. Questo è un aspetto interessantissimo della riforma liturgica perché porta a riscoprire intanto quella che viene chiamata la “ministerialità”, cioè la possibilità di fare molti servizi da parte di molte persone. Mentre nella clericalizzazione precedente si era ristretta la cosa per cui uno faceva tutto; il Messale preconciliare aveva dentro tutto anche le letture quindi non c’era bisogno di un Lezionario con il lettore, perché faceva tutto il prete. C’erano i canti, quindi non c’era bisogno di un libretto dei canti, era tutto nel Messale. Quando il Concilio ripensa la cosa dice: facciamo fare a molti qualche cosa, in modo che ognuno possa partecipare e faccia quello che deve fare, non che uno fa tutto. La partecipazione quindi diventa la riscoperta della ministerialità, il fare qualcosa nell’interno della Liturgia, non per se stessi, ma per gli altri che sono presenti. Partecipazione indica quindi ovviamente anche il coinvolgimento in ciò che si fa; anche io devo fare bene la mia parte, perché tutto funzioni. Qui allora viene fuori un altro termine riscoperto dal Concilio che è quello della “Assemblea Liturgica”. Se prima la partecipazione era negata o limitata, ora diventa un modo di fare la celebrazione e se l’azione di Cristo e l’azione della Chiesa sono fatte insieme, allora non si parla più di azione del clero, ma di azione della assemblea, della Chiesa, quindi di tutti i presenti. Partecipazione significa passare da un sistema in cui io assisto, vedo, sento, ad un sistema in cui invece io faccio, in cui io celebro. Essere celebranti o il celebrare la Liturgia è il compito di tutti i fedeli; non si dice più “il celebrante”, ma semmai si dice il “ministro celebrante” o meglio ancora il “presidente” perché il compito di noi preti non è più quello di essere il celebrante perché il celebrante ora lo siamo tutti, perché la Liturgia è fatta dalla Chiesa e non più dal clero. Noi preti siamo i presidenti perché il compito che noi abbiamo esprime proprio questa diversa dimensione e grande importanza che ha l’assemblea. Cosa è l’assemblea? Quando noi diciamo “l’azione della Chiesa” facciamo riferimento al fatto che non è tutta la Chiesa del mondo che fa la Liturgia; non possiamo aspettarci di avere tutti i cristiani radunati per poter dire “adesso tutta la Chiesa fa la Liturgia”. Quando è che la Chiesa fa la Liturgia? Quando una porzione del popolo di Dio è radunato in un luogo e in un determinato tempo, allora compie l’azione liturgica. Quando una porzione del popolo di Dio è radunata e compie l’azione liturgica, qui si costituisce quella che noi chiamiamo l’assemblea liturgica. L’assemblea quindi ha una dignità molto alta, non è semplicemente “il pubblico”; possiamo parlare di pubblico quando siamo ad esempio, a teatro, in Chiesa non dovrebbe più esserci. C’è invece l’assemblea che celebra. L’assemblea quindi è la manifestazione della Chiesa che fa la Liturgia. Se ci fate caso, nelle Messe domenicali, nella preghiera Eucaristica aggiungiamo alcune parole che dimostrano proprio questo: “Ricordati della Chiesa diffusa su tutta la terra e qui convocata”. Si sta quindi dicendo che la Chiesa è diffusa su tutta la terra, ma è anche qui: in questa assemblea c’è tutta la Chiesa. Per fare l’esperienza di Chiesa non devo andare nel colonnato del Bernini o avere un raduno oceanico; l’esperienza di essere Chiesa io la faccio nella assemblea liturgica, fosse anche la piccola assemblea di una messa feriale. Quella è tutta la Chiesa che è presente, simboleggiata in quella assemblea liturgica. Qui ci sono già delle conseguenze molto forti perché se l’azione deve essere fatta dalla Chiesa e l’assemblea liturgica è quella che completamente fa l’azione liturgica, veramente noi dobbiamo ripensare a tanti nostri ministeri, fare in modo che siano “coinvolgenti” l’assemblea e non tagliando fuori l’assemblea. Se si legge, si legge bene perché l’assemblea capisca. L’assemblea non sia costretta a venire con un messalino o foglietto domenicale perché magari non si capisce la lettura. Occorre leggere bene, e leggere bene è difficile, leggere per gli altri è difficile e a scuola non ce lo insegnano. La prova evidente sono le frasi interrogative; tutti abbiamo imparato alle elementari a mettere il punto interrogativo alla fine della frase. Quando invece parliamo, quasi mai mettiamo il punto interrogativo alla fine. Quindi dobbiamo imparare a leggere un testo in modo che sia comprensibile in un modo naturale. Non diciamo mai “Come mai hai fatto questo?”, ma spostiamo il punto interrogativo sul “mai”. Chi ha fatto il corso diocesano per lettori o ha fatto scuola di recitazione questo lo sa, ma a noi che abbiamo fatto le scuole dell’obbligo, non è stato insegnato. Attenzione quindi a non essere faciloni e pensare che tutti sappiano leggere perché non è vero. L’esempio della musica è ancora più forte perché la storia anche qui ci ha lasciato una eredità pesante, perché l’assemblea non cantava nulla, per cui l’eredità è che la assemblea non debba cantare. Mettersi nell’ottica di animare musicalmente una liturgia che prevede la partecipazione della assemblea significa mettersi nell’ottica di un coinvolgimento perché non è più pensabile che l’assemblea possa non cantare; l’assemblea “deve”cantare! Il Concilio dice che alla partecipazione ogni battezzato, tutti i fedeli, hanno diritto e dovere; quindi non solo diritto ma dovere di partecipare. Questo è interessante perché mi spinge ad andare al di là di quello che io ho voglia di fare; andare a una celebrazione e astenermi stando sulla soglia non avrebbe più senso; l’assemblea che partecipa non è più una opzione facoltativa, ma diventa una azione importante. Vedremo che la ricchezza che ci dà il canto non deve essere solo per qualcuno ma per tutti. Ogni battezzato, in quanto facente parte del popolo di Dio, ha diritto a questa partecipazione. La partecipazione non è solo per chi fa qualcosa di importante; per chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine. Nel testo del Concilio si sta ampliando la partecipazione per tutti i fedeli, non dimentichiamo che la Chiesa veniva da una storia molto clericale in cui c’era una sottolineatura molto forte delle gerarchie. Quando arriva il Concilio Vaticano II queste prospettive vengono cambiate. Quando la Lumen gentium, uno degli ultimi documenti del Vaticano II, nella Costituzione dogmatica della Chiesa, parla della Chiesa come “Popolo di Dio”, scardina il solito modo di parlare della Chiesa come di una società perfetta, gerarchicamente ordinata: Papa, Vescovi ecc. La Lumen Gentium dice: la Chiesa è il popolo dei Battezzati, il popolo di Dio, per dare subito l’idea che la Chiesa è fatta dai battezzati non solo dal Papa e dai Vescovi. Poi dopo vediamo che questo popolo di Dio ha anche la sua gerarchia e i suoi Sacramenti, ma non si parte più con il vertice della piramide, ma si è capovolta la piramide cominciando a pensare alla base. La “Sacrosanctum Concilium”: è il documento sulla Liturgia. Da notare che questo documento è il primo del Concilio, ed è interessante vedere come fosse il più timido perché è il primo che si muove dopo secoli che sono state dette altre cose; nonostante la timidezza è il documento che fa da nave rompighiaccio, che apre la strada a quelli che verranno dopo. Per la Lumen Gentium sarà facile dire che la Chiesa è il popolo di Dio, quando dice che ci autorizza ad avere “parte” alla Liturgia. E’ il Battesimo che ci autorizza ad essere coinvolti nella Liturgia e non solo i preti. E’ la Chiesa che fa l’azione liturgica e non il clero: sono i presupposti che aprono la strada a far sì che poi si possa dire che la Chiesa è il popolo di Dio. Questo documento, pur essendo il primo del Concilio, ha delle aperture molto forti. E’ vero che su altre cose è ancora timido: es. quando parla della lingua il Concilio dice che si può usare la lingua “parlata” o “volgare”. Questa che è data come una possibilità, di fatto diventa come una apertura nella diga; di lì a poco tutti produrranno la liturgia nella loro lingua parlata, oggi abbiamo circa 400 traduzioni del Messale. C’era bisogno solo di aprire la porta e poi il fiume in piena del desiderio di “comprendere” c’era già. Nonostante questi documenti siano stati prodotti in Vaticano, c’è stato un grande coraggio. Ci sono stati dei Papi importanti, soprattutto Paolo VI, non solo Giovanni XXIII che ha dato il via; Paolo VI ha avuto il coraggio di portare avanti questo Concilio anche dove c’erano dei cambiamenti che lui stesso ha poi pagato caro. La Liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa , insieme alla fonte da cui promana tutto il suo vigore, infatti le fatiche apostoliche sono ordinate ad ottenere che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il Battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al Sacrificio e mangino la Cena del Signore. E’ interessante questa idea di “culmine” e “fonte” che ci dà il Concilio, dove viene detto che di tutto quello che fa la Chiesa, la Liturgia è la sorgente, quindi il punto di partenza di tutto ed è il punto di arrivo di tutto, altro che l’ultima preoccupazione. Il Concilio dice chiaramente: tutto quello che fa la Chiesa è iniziato e compiuto dalla Liturgia. La Chiesa fa tre azioni fondamentali: - La Liturgia (dimensione sacerdotale) - Catechesi (annuncio, animazione, formazione; dimensione profetica) - Carità (in tutte le sue forme; dimensione regale) Di fatto tutto quello che facciamo a livello di Chiesa Universale e a livello di Chiesa Parrocchiale, a livello di vita cristiana personale, tutto è riconducibile a queste tre dimensioni. Queste sono le tre gambe dello sgabello su cui poggia tutta la vita cristiana; se manca anche una sola gamba lo sgabello non sta in piedi ossia tutte e tre ci devono essere: non possiamo toglierne una altrimenti non siamo più nell’ambito del cristianesimo. Il Concilio ci dice poi che di queste tre ce n’è una che emerge, anche se subito dopo dice che è consapevole che la Liturgia non esaurisce tutto: il fatto che sia principio e fondamento, culmine e fonte, non vuol dire che basta fare la Liturgia e abbiamo fatto tutto. La Chiesa ha bisogno comunque anche di un “annuncio” e di una “testimonianza”, però attenzione perché nella Liturgia succede qualcosa di particolare: c’è una azione di Cristo forte, con una efficacia particolare (pensiamo ai Sacramenti), una efficacia che ha una garanzia da parte della Chiesa molto di più che in qualsiasi situazione. Il Concilio dice proprio che non c’è nessuna altra manifestazione che ha lo stesso valore perché non ci sono altre situazioni in cui c’è la “garanzia della presenza” di Dio e della “azione” di Dio come nella Liturgia. E’ vero che quando faccio un gesto di carità o un’opera buona rendo presente Gesù o lo vedo presente nella persona che incontro, ma tutto questo non ha mai la stessa forza, la stessa efficacia e garanzia come c’è nella Liturgia. Questo è il motivo per cui la Liturgia ha qualche cosa in più, perché la Liturgia è l’unica esperienza in cui in modo molto forte c’è l’incontro tra due azioni : divina e umana. In altre situazioni molto spesso c’è il prevalere di una azione; ad esempio l’azione umana di chi fa l’annuncio. E’ vero che poi Dio tocca il cuore di chi ascolta, altrimenti le nostre parole servirebbero a ben poco, però c’è una prevalenza forte della azione umana. Nel caso della Liturgia c’è questa duplice presenza: della “azione divina” e della “azione umana”. Ma non solo, ci sono insieme anche queste altre due dimensioni: c’è un “annuncio” anche nella Liturgia (es. Liturgia della Parola) e c’è anche la “testimonianza” della Carità come nella fraternità della comunione. Pensiamo alla dimensione comunitaria: es. la questua come solidarietà. Quindi la Liturgia è l’unico ambito in cui, insieme, ci sono sia la Catechesi, sia la Carità, sia l’atto con cui Dio si comunica a noi sia l’atto nostro nel comunicare la comunione e la fraternità. L’azione liturgica quindi è molto complessa ed importante e con dei risvolti e della profondità che vanno ben oltre a quello che noi vediamo e sentiamo. Qui si può chiudere questa prima parte. Sul foglio che avete ci sono però delle sottolineature che vale la pena evidenziare. Una riguarda la partecipazione che deve essere: - piena - attiva - consapevole E’ importante cogliere questi approfondimenti del concilio perché ci danno il senso del cambiamento rispetto al passato. Per esempio partecipazione piena significa che abbiamo accesso a tutta la Liturgia, non solamente a qualche cosa, tutta la Liturgia è “accessibile”. Per noi questa è una cosa scontata, banale. Facciamo un esempio. Fino a prima del Concilio, la parte della Messa della Preghiera Eucaristica, quella che va da “il Signore sia con voi… in alto i nostri cuori….” fino a “Per Cristo con Cristo…” tutto questo testo, dove in mezzo c’è la Consacrazione, era fatto dal prete che voltava le spalle, parlava sottovoce, parlava in latino: più tagliati fuori di così!. Quindi non c’era piena partecipazione; è come se ci fosse stata una parte che non ci competeva, era solo dei preti. Noi in fondo ci portiamo ancora l’idea che tutta quella roba lì è quasi una grande formula magica che il prete dice. La nostra disattenzione alla preghiera eucaristica è un problema che ha queste cause. Un altro esempio. Se noi facciamo l’esperienza di vivere una celebrazione della Chiesa Ortodossa, vediamo che anche lì alcune cose non sono partecipabili da tutti. Nelle Chiese ortodosse ci sono delle pareti con tutte le icone dette “iconostasi”; davanti a queste c’è il Pope che parla, accoglie e fa le preghiere. A un certo punto, quando c’è la preghiera Eucaristica, il Pope va dietro a queste iconostasi e non lo vediamo più; c’è il diacono che ha il compito di andare e venire per invitare alla preghiera, per dire quello che sta accadendo, mentre il Pope sovrappone a quelle della assemblea, le sue preghiere. E’ una cosa che può essere anche suggestiva però non ha la ricchezza della partecipazione piena che dà il Concilio. Un modo di fare che riflette più il Vecchio che il Nuovo Testamento. E’ sempre molto eloquente l’immagine del Venerdì Santo quando, alla morte di Gesù, il velo del Tempio si squarciò dall’alto al basso (quel velo che divideva il Sacerdote dal popolo). Questo significa che la piena partecipazione vuole dire entrare dentro ed essere coinvolti in tutto quello che accade. Il Concilio dice “partecipazione attiva”, cioè non basta essere presenti, ma occorre “fare” e “fare bene”; bisogna alzarsi in piedi, bisogna rispondere, bisogna cantare, bisogna fare dei movimenti, delle processioni. Non basta che le faccia qualcuno per me, le devo fare io. Per ultimo vediamo la partecipazione consapevole. Questa vuol dire che so che cosa sto facendo e so che cosa vuole dire; allora devo conoscere il significato di quello che faccio, devo sapere quando è che io mi offro a Gesù nella Messa. Ecco perché occorre conoscere per partecipare perché se no viviamo una preghiera molto generica, ma nella Liturgia ci sono dei punti dove vengono chieste delle cose per noi, molto importanti. Se noi ne prendiamo coscienza, noi aiutiamo la Grazia di Dio. Per esempio a un certo punto della Liturgia noi chiediamo a Dio che ci cambi, che ci converta. Se io so dove avviene questo, faccio attenzione a quelle parole e dentro di me le faccio mie aiutando così il Buon Dio. Ma se tutto questo testo mi passa sulla testa, il Buon Dio mi ascolterà lo stesso, ma sappiamo che Dio non fa violenza; se io aiuto Dio dicendoGli “dai, ci sto”, è ben diverso dal fatto che poi Lui debba cambiarmi lo stesso. Vedete cosa vuol dire la “consapevolezza”? Sapere cosa si sta dicendo e facendo in quel momento? Con che consapevolezza io metto i miei soldini nel cestino? Se io ho la consapevolezza di cosa significa quel gesto, magari non metto solo i rimasugli dei centesimi che mi imbrogliano nel portafoglio, ma do un’offerta che ha un significato diverso da quello della elemosina, come generalmente pensiamo che sia. Conoscere la Liturgia vuole dire proprio avere una partecipazione consapevole: io so cosa sto facendo quindi collaboro senz’altro di più con la grazia di Dio e vi sono anche tutti i presupposti perché la Grazia di Dio sia molto più efficace. Occorre aprirci un po’ a capire che la Liturgia è molto più profonda, efficace e produttiva di quello che vediamo e pensiamo. LA LITURGIA Don Carlo Franco 2° INCONTRO – Sabato 06 Dic. 2008 – Parrocchia Santa Chiara – Collegno La volta scorsa abbiamo parlato della liturgia in senso un po’ generico. Oggi faremo una piccola introduzione alla Messa: sarà per forza di cose veloce perché la Messa è così densa di frasi e gesti che spiegarli e capirli con calma ci vorrebbero almeno 4 incontri. Oggi ci accontentiamo di fare una panoramica generale cosicché dopo Natale ci si butta sui temi più inerenti alla musica. Certo che la Messa rimane un discorso un po’ incompleto che vale la pena di riprendere perché ci serve per la nostra vita, quindi capire quello che facciamo è importante per noi. Cominciamo a fare qualche piccola introduzione generale. Intanto noi dobbiamo cominciare a metterci nell’ordine di idee che le cose che facciamo nella Messa, le parole, i gesti, i movimenti, sono proprio dei mezzi con i quali noi viviamo l’incontro con Dio: tutto quello che chiamiamo la ritualità cioè i gesti che facciamo. Il rito è composto da varie parti: nel rito si fanno delle cose, si dicono delle cose, si fanno dei movimenti, dei gesti. Questa ritualità cominciamo a pensarla come un aspetto importante, un aspetto non “nonostante il quale” noi ci incontriamo con Dio, ma proprio “attraverso” quei gesti, quelle parole; tutto questo è un veicolo, è un mezzo attraverso il quale noi ci incontriamo con Dio. Questo perché noi siamo degli esseri umani che quando facciamo delle cose le facciamo con delle dinamiche, con delle modalità umane; tutto quello che noi facciamo dal punto di vista umano, anche nella Liturgia ha un suo senso, un suo significato. Andiamo a mettere le basi perché spesso diamo per scontato che facciamo la Liturgia per incontrarci con Dio. Non facciamo delle ritualità per il gusto delle cose antiche, per la passione di cose un po’ misteriose. Lo scopo per cui noi facciamo delle celebrazioni liturgiche è di incontrarci con Dio. La maggioranza delle celebrazioni liturgiche che noi viviamo sono esperienze sacramentali, ci sono di mezzo anche dei Sacramenti. Il Sacramento è l’espressione massima e più tangibile di Dio che ci viene incontro e si fa trovare, fino all’estremo di mostrarsi nel Pane e nel Vino, nell’Acqua, nell’Olio; attraverso questi elementi fisici Dio ci viene incontro nella nostra umanità. Lo scopo è questo: incontrare il Signore. Il rischio è quello di fare una cosa da sempre, da tanti anni o decenni, quindi la consuetudine: sappiamo come è un problema che mette tutto a rischio; non solo la Liturgia, ma anche i rapporti personali, l’amicizia, gli affetti. Quando gli affetti diventano abitudinari, quando si dà per scontato anche l’affetto, sappiamo che la cosa sta per morire. Vediamo allora di scoprire il centro di tutta l’azione liturgica che noi facciamo che è proprio l’incontrare il Signore. Dobbiamo andare oltre quella mentalità della pratica; noi siamo i cosiddetti credenti praticanti perché non solo crediamo interiormente ma viviamo anche esteriormente questa fede, in una manifestazione pubblica come è quella della celebrazione Eucaristica per esempio. Anche qui possiamo scivolare in una abitudine, in una cosa scontata. Quindi per capire bene il senso dell’incontro, noi dobbiamo aiutarci con un brano evangelico che conosciamo bene: il brano di Marta e di Maria. Lo abbiamo ascoltato tante volte e sappiamo come spesso questo brano viene commentato con l’immagine della contrapposizione tra il fare e il pregare; Marta è l’immagine di colei che fa le cose, invece Maria è quella che prega, contempla. A me, che vengo da una tradizione scout, ha sempre lasciato perplesso il fatto che si dicesse che Marta, che faceva il servizio, non faceva una cosa tanto positiva, cosa che contrapposta alla preghiera diventa qualcosa di poco importante, addirittura di negativo perché mi distoglie dallo stare con il Signore. Finché un giorno ho incontrato un biblista che mi ha fatto notare che forse l’interpretazione non era quella, e questo fatto che ci racconta S.Luca, ce lo racconta con l’idea di dirci qualche cosa riguardo appunto alla celebrazione liturgica diremmo noi, alla preghiera. Ci sono delle cose: servizi, servire, per le quali si agita Marta che, nel linguaggio dei tempi di Gesù sono dei termini che indicano il servizio di culto. Ancora oggi la Liturgia delle Ore si chiama “Ufficio Divino” per esempio, in latino “Opus Dei”; noi pensiamo che questo sia un movimento legato al “Codice da Vinci”. L’Opus Dei nasce prima di tutto come Opera di Dio, l’Ufficio Divino ossia la preghiera, il culto, quello che dobbiamo fare davanti a Dio. Quindi questo termine “servizio”, nella lingua di Gesù, indicava i servizi del culto, le pratiche del culto, La pratica di culto a questo punto dà una lettura diversa di questa pagina perché, se noi vediamo che cosa capita, c’è Maria che si siede ai piedi di Gesù ed ascolta la sua parola, e c’è Marta che invece è presa dalle pratiche di culto e presa da questa pratiche, non sta ferma davanti a Gesù ma fa le cose che deve fare. Addirittura il fare queste pratiche di culto diventa motivo di nervosismo e di conflitto con la sorella: “non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Quindi Marta è così presa da questa pratica che diventa quasi in contrapposizione con la sorella Maria e Gesù le dice “ti preoccupi e ti agiti per molte cose ma Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta”. Perché allora questa contrapposizione? La contrapposizione non è tra il servizio e la preghiera ma è tra una pratica di culto esteriore, meccanica, e invece dall’altra parte, il cuore che si mette davanti a Dio; una persona che si ferma, si mette in ascolto, si mette alla presenza di Dio e vuole incontrare Dio. Maria è l’immagine di questo secondo atteggiamento, si siede ai piedi di Gesù; sedersi vuol dire fermare tutto, quindi adesso non c’è niente di più importante che non stare qui ai piedi di Gesù e ascoltare la sua Parola. Per Maria non c’è altro di più importante da fare, paradossalmente il massimo da fare è il minimo, cioè fermarsi ed ascoltare. Mentre invece Marta è tutta indaffarata, si affanna per fare quelle pratiche di culto che lei si preoccupa di compiere dal punto di vista esteriore, formale, ma senza andare al senso vero di quelle pratiche di culto che è l’incontro con il Signore. Questa è la parte migliore della pratica di culto, perché andiamo a Messa per incontrare il Signore, per fare dei gesti, fare dei canti, dire delle parole un po’ strane: “in alto i nostri cuori” “sono rivolti al Signore”…In genere queste frasi non le diciamo al mercato quando ci ritroviamo tra la gente. Ma perché allora fare queste cose se corriamo il rischio di fare come Marta. Ecco il rimprovero che Gesù fa a Marta: non le dice: “ti sbagli, non devi fare quelle cose”. Notate che dice a Marta: “Maria si è scelta la parte migliore”. La parte migliore non è le cose che si fanno, ma è la volontà interiore di vivere quelle cose, quei gesti, quelle parole, come occasione di incontro con Dio. Questa è la parte migliore. Perché Gesù le dice che non le sarà tolta? Ma perché effettivamente volersi incontrare con Dio, volere mettere il proprio cuore davanti a Dio, uno lo può fare sempre e dovunque, e questo nessuno me lo può togliere. Anche in un paese dove sia vietata la religione cristiana, dove rischio di essere perseguitato, nessuno mi può impedire di mettere il mio cuore davanti a Dio, ma la pratica di culto può darsi che me la possano impedire. In paesi dove essere cristiani significa essere perseguitati, io non posso fare pratiche di culto perché rischio anche la vita. Questa pratica di culto può anche essermi tolta; invece la parte migliore che è quella di mettere il proprio cuore davanti a Dio, questo nessuno me lo può togliere. Allora capiamo questa immagine che ci dà S.Luca: la contrapposizione non tra la preghiera e il servizio ma fra la pratica di culto puramente esteriore e la pratica in cui ci mettiamo il cuore dentro. S.Luca, nel suo Vangelo più volte usa come stile per raccontare delle cose, il metodo di contrapporre delle situazioni. Altri casi dove usa questa contrapposizione è quella del buon ladrone e del cattivo ladrone, oppure il fariseo ed il pubblicano, oppure i dieci lebbrosi guariti, nove se ne vanno e uno solo torna a ringraziare. Con questo sistema S.Luca vuole farci intendere come c’è il modo giusto ed il modo sbagliato di fare. Tuttavia non vuole dire che mettersi al servizio non può diventare una cosa negativa; immaginiamo che Gesù, che ci viene ad insegnare lo stile del servizio, poi ci venga a dire che il servizio è negativo. Quindi evidentemente questi termini sono un modo di dirci, da parte di S.Luca “attenzione a questa contrapposizione tra pratica di culto esteriore, fine e se stessa, solamente per un precetto, perché lo si deve fare”, e invece un altro stile che è quello di Maria, che è quello di fermarsi e di andare al cuore dell’incontro, però l’incontro è proprio il Signore. Teniamo presente questo perché tutto quello che si fa, che si svolge nella Liturgia ha questo sfondo. Proviamo a chiederci: “nelle nostre Liturgie noi ci incontriamo con Dio?”. Noi siamo così assuefatti al nostro stile di Liturgia che molto spesso è più un ritualismo, un fare delle cose ma purtroppo non sempre noi usciamo dalle celebrazioni, convinti di esserci incontrati con Dio. Tanto è vero che a volte abbiamo poi ancora bisogno di andare davanti al Tabernacolo da soli, oppure di fare altre esperienze, perché ci sembra che nella Messa noi non preghiamo, facciamo e diciamo delle cose ma il rischio è che nonostante tutto quello che la Messa ci fa fare, noi non preghiamo nella Messa. Questo è tremendo e purtroppo ci siamo abituati. Quante volte nella Messa noi usiamo delle didascalie, delle spiegazioni che a volte sembrano degli avvisi ai naviganti: “adesso facciamo questo… adesso facciamo quello…” . Se uno vuole pregare come fa a pregare in una Messa dove tutti i momenti ci sono degli avvisi. Perché pregare è incontrarci con Dio, è stare con Dio. Facciamo l’esempio di due fidanzati. Due persone che si amano hanno bisogno di stare insieme, hanno bisogno di una intimità, di parlarsi, di abbracciarsi, di fare dei gesti, e tutto questo lo si fa spontaneamente. Immaginiamo ora che in mezzo a questi fidanzati arrivi uno che gli dica tutti i momenti quello che devono fare: “adesso guardatevi negli occhi… adesso abbracciatevi…adesso prendete le distanze… adesso datevi un bacio…” Se i due fidanzati lo lasciano vivo è già tanto perché se uno vuole incontrarsi con un’altra persona non vuole chi gli dice cosa deve fare, perché questo li distrae, perché ora devi sentire quello che devi fare. Se nella Messa noi cerchiamo di metterci davanti a Dio, diventa tremendo qualcuno che tutti i momenti mi dica “adesso facciamo questo…adesso qui…adesso là…”. Purtroppo noi siamo abituati a questo, a una Liturgia che tante volte non ci fa pregare e una Liturgia che non ci fa pregare non ci serve a niente. Lo scopo della Liturgia è appunto quello di farci incontrare con Dio, ma se questo non lo fa, a che cosa ci serve? A questo punto finiamo di farlo perché è un precetto, una abitudine. Noi dobbiamo riportare la Liturgia ad un incontro con Dio e qui entra in gioco l’educazione personale, fin dal catechismo, a mettersi alla presenza di Dio e non solo semplicemente a fare delle cose. Poi è importante il come si fanno le cose. Tutti quegli avvisi sono proprio tutti necessari? Tutte quelle istruzioni per l’uso date durante la Messa, sono proprio tutte necessarie? Se facciamo un esame di tutto quello che facciamo e diciamo, ci rendiamo conto che ce ne sono moltissime che sono inutili, forse ne rimane qualcuna che è veramente necessaria e anche questa può essere fatta in un altro modo. Ad esempio: nel bel mezzo della Comunione, finita la distribuzione, l’animatore un po’ maldestro che arriva al microfono e dice: “canto di Comunione numero 720” cosa fa in quel momento quella persona? Sta entrando come un elefante in una cristalleria, in una assemblea dove è lecito pensare che tutti stiano pregando perché hanno appena fatto la Comunione; vogliamo addirittura pensare che la maggior parte dei presenti sta “dialogando con Dio, sta parlando con Dio. Ora, parlare con Dio è una cose che ovviamente è avvolta nel mistero, nella fede, però è una cosa straordinaria, non è una cosa da tutti i momenti, nessuno di noi parla continuamente con Dio perché facciamo abbastanza fatica a farlo quelle poche volte che ci sentiamo di farlo, qualche volta nelle giornata e nelle celebrazioni. Parlare con Dio non è una cosa banale. C’è tutta una assemblea che sta parlando con Dio ed io entro come un bulldozer e dico “canto di Comunione numero…” Questo lo si può fare in un modo diverso. Certo che dovrò dire un numero e un titolo, devo dare le indicazioni, ma devo entrare in un modo diverso in una assemblea che sta pregando, Innanzitutto dirlo con un po’ più di delicatezza e prima di dare le coordinate del canto dire delle cose che siano più in sintonia con la preghiera. Anche gli avvisi possono essere dati in un altro modo oltre ad essercene tanti inutili che a noi rimangono come retaggio di 40 anni fa, del commentatore della Messa, quando spiegava “adesso si fa così… adesso si fa cosà…” perché allora, rinnovata la Messa dal Vaticano II, bisognava sapere che cosa si doveva fare. Non si sapeva che c’era un ritornello al Salmo da ripetere e allora si diceva “ripetiamo insieme il ritornello…”. Dirlo oggi è perfettamente inutile perché lo sanno tutti che c’è un ritornello da ripetere. Questa frase in più è una delle tante che aggiungiamo e che mi distolgono dalla mia preghiera e dalla mia contemplazione, Le cose bisogna farle e farle bene, non c’è bisogno di spiegare “adesso facciamo questo”. Cantare l’Alleluia prima del Vangelo: basta alzarsi in piedi, iniziare con gli strumenti e col coro e poi l’assemblea ripete. Quando si dice: “Ci alziamo in piedi e cantiamo insieme l’Alleluia che si trova al numero 278” abbiamo fatto 3 o 4 cose inutili uno dopo l’altra, perché “ci alziamo in piedi” è una cosa che sappiamo e semmai basta fare un gesto con la mano. Tutto il resto “cantiamo insieme…” non serve a niente perché viene coperto dal trambusto di quelli che si alzano. Non solo, ma a cosa serve dire “cantiamo l’Alleluia..” lo sappiamo che c’è un Alleluia o una acclamazione al Vangelo. Non serve dire che l’Alleluia si trova al numero 278 quando uno ci mette tre minuti ad aprire il libretto, cercare il numero 278, e poi scopre che c’è scritto “Alleluia, Alleluia, Alleluia!” Cantiamolo, non c’è bisogno di prendere il libretto per dire: “Alleluia, Alleluia, Alleluia!”. Quante cose inutili che facciamo; e tutte queste, oltre ad essere abbastanza ridicole, sono tutte parole in più che appesantiscono la Liturgia. Quindi questo è un problema molto serio di come noi viviamo o non viviamo la Liturgia come preghiera, come incontro con Dio e di fare molta attenzione che tutte le cose che facciamo, o sono in funzione della preghiera, dell’incontro con Dio, o dobbiamo chiederci a che cosa servono. Un altro piccolo problemino nasce con i bambini; “dobbiamo fare dei canti per fargli battere le mani per salutare, per farli stare bene? Se uno ragiona con la mentalità dell’animatore turistico e dell’animatore del centro estivo, certo che così si coinvolgono di più. Ma noi non siamo in una Estate Ragazzi, mi devo chiedere: “ma quel canto lì che li fa saltare, battere le mani, gli fa fare mimica, certo che li coinvolge ma li fa pregare di più?” Siamo sicuri che quelle cose fanno pregare di più, fa mettere la persona di più davanti a Dio, nella consapevolezza che sta dicendo delle cose a Dio? Dobbiamo chiedercelo con onestà per poi a volte scoprire che noi guardiamo solo la facciata delle cose; a volte non solo il nocciolo non c’è ma è ostacolato dalle cose che facciamo. Questa pagina di Vangelo è illuminante per capire che le cose che facciamo: leggere, cantare, suonare, presiedere per noi preti, sono tutte cose che noi dobbiamo fare, ma attenzione che in quelle cose o noi ci mettiamo l’atteggiamento di Maria che si ferma, ascolta, si mette alla presenza di Dio oppure quelle cose ci lasciano solo alla superficie, non ci fanno entrare nella sala da ballo. E’ come stare al di fuori a vedere cosa succede, non entreremo mai nel vivo dell’incontro con Dio ma saremo un po’ come spettatori da lontano. La Messa La Messa è costituita da due parti – Liturgia della Parola – Liturgia Eucaristica Esse sono così strettamente congiunte fra di loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa infatti viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo; i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono riti che iniziano ed altri che concludono la celebrazione. Oltre alla Liturgia della Parola e alla Liturgia eucaristica ci sono dei riti: – Riti di introduzione – Riti di conclusione Non a caso si usano termini diversi perché Liturgia è qualcosa di più corposo, di più importante, con un peso specifico maggiore. I Riti, tanto più usato al plurale, indicano qualcosa che facciamo all’inizio e alla fine. Notate che il plurale è voluto, non è casuale; tutte le cose che noi usiamo al plurale in fondo ne sminuiamo un po’ il valore. Un conto è “la grazia” un conto sono “le grazie”; un conto è “il dono” un conto sono “i doni”. Tutte le volte che si usano i plurali si indica qualcosa di meno “forte” del singolare. Quindi qui ci sono dei riti, non si tratta del Rito. “Il Rito” è tutta la celebrazione mentre “i riti” sono delle parti, delle cose che si fanno all’inizio e alla fine. Queste sono le due parti che, come dice il Messale, formano un unico atto di culto. Perché questo crea un problema? Perché noi non siamo cresciuti con l’idea che queste due cose sono insieme, noi siamo cresciuti con l’idea che queste due cose sono separate e per di più una è importante e l’altra no. Molti di noi hanno sentito dire da piccoli che se si arrivava alla Messa quando il Calice era ancora coperto, la Messa era ancora “buona”; che poi è stato tradotto: se arrivi alla Messa che è all’Offertorio, è ancora buona. Questo vuole dire che la Liturgia della Parola, tutto quello che c’è prima dell’Offertorio è facoltativo, non è importante, quello che conta è la Liturgia Eucaristica. Questo non vale solo per la Messa, vale per molte altre esperienze nella Chiesa. Esempio la benedizione degli oggetti: oggi il Benedizionale che è un volume apposta per le benedizioni di persone e cose, dice: “non manchi mai la Parola di Dio”. Quante volte invece abbiamo assistito alla benedizione di coroncine del Rosario in cui il Prete biascicava qualcosa facendo un segno come se la mano fosse magica. Oggi la Liturgia non ci fa fare più queste cose perché c’è bisogno della Parola di Dio che crea il contesto di fede in cui ha senso fare il gesto successivo. Il gesto senza la Parola di Dio rischia di essere un gesto “magico” e questo è sbagliato perché allora tutta la questione si sposta sul “potere” del Prete; invece il potere non è del Prete, il potere è della Chiesa che prima di tutto si mette in ascolto della parola di Dio e poi compie un atto liturgico. Una esperienza simile la abbiamo nel Sacramento della Penitenza o Confessione. Quante volte noi celebriamo questo Sacramento ancora come si faceva prima del Concilio: “Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo Amen. Quand’è l’ultima volta che ti sei confessato?” E si comincia con la lista della spesa. Mentre, dopo il Concilio, si prevede che dopo l’accoglienza ci sia la Parola di Dio che anche lì crea il contesto di misericordia, di perdono, di fede nel Dio Misericordioso che si è immolato, in cui poi ha senso fare la Confessione. Tutto questo ha una storia. Nella Chiesa, soprattutto a partire dal 1500, a partire dalla riforma protestante, quindi a partire dalla reazione che c’è stata nei confronti della riforma protestante, la Chiesa ha messo da parte la Parola di Dio. Ha anche avuto le sue ragioni per farlo perché la Sacra Scrittura non è facile, se uno la legge senza conoscenza, incappa in contraddizioni o in cose non tanto facili da capire. Di fatto però è successo che per reazione alla riforma protestante che ha esaltato la Sacra Scrittura, la Chiesa Cattolica ha fatto un passo indietro addirittura nascondendo la Sacra Scrittura, si è arrivati quasi a metterla all’indice. Questo è stato il colmo, si è arrivati a mettere la Sacra Scrittura come un libro da leggere solo se c’era qualcuno che ti aiutava, altrimenti la Sacra Scrittura un cristiano non la doveva leggere. In Seminario, sorprendere un seminarista leggere la Bibbia era segno positivo di una vocazione negativa; questo lo raccontano parecchi preti anziani. Evidentemente tutto questo ha lasciato il segno, noi siamo cresciuti in questi ultimi 400 anni, con una idea negativa della Parola di Dio o, come minimo, di una idea non importante. Dopo il Concilio c’è stata una riscoperta, una attenzione maggiore. Anche nella Liturgia, il mettere sullo stesso piano le due Liturgie come se fossero una cosa sola, è proprio l’effetto di questo rinnovamento anche se molte volte nella nostra mente noi ragioniamo ancora come nel passato. Per esempio Dio è presente in maniera forte nella Consacrazione, in tutte le chiese c’è un silenzio assoluto in quel momento; per tradizione, per abitudine, tutti si fermano, tutti tacciono. Non c’è lo stesso silenzio quando c’è la proclamazione delle Letture o del Vangelo. Eppure è lo stesso Dio, non un Dio minore o un suo rappresentante che è presente: è lo stesso Dio che è presente e che ci parla . Dire “Lode a te oh Cristo” dopo il Vangelo è perché siamo alla presenza di Dio che ci ha appena parlato e la stessa presenza dovrebbe farci stare, con lo stesso silenzio, con lo stesso raccoglimento come stiamo nella Consacrazione. Ma questo non succede. Durante la Consacrazione sappiamo anche tenere i colpi di tosse come quando si va al Concerto, al Lingotto, musica classica. Sappiamo benissimo trattenere starnuti, colpi di tosse, movimenti del corpo. Ma nella Liturgia della Parola non sappiamo farlo, eppure nella Liturgia della Parola c’è qualcosa di più di una orchestra che suona, c’è Dio che ci parla, non c’è un direttore d’orchestra; ma è segno che dentro di noi non siamo convinti di questo. Questo è il problema. Se siamo così abituati a prendere alla leggera la Liturgia della Parola è perché non ci rendiamo conto che Dio è presente “come” è presente dopo, nella Consacrazione. Su questo dobbiamo veramente crescere un po’ e fare conversione. Abbiamo visto che la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, che sono le parti centrali, sono introdotti e sono seguiti da dei Riti. I Rito sono delle cose che facciamo; non hanno la stessa importanza perché nella Liturgia della Parola Dio ci parla e nella Liturgia Eucaristica Dio si comunica a noi, ma tutto questo noi lo possiamo vivere preparandoci. Noi non possiamo arrivare e metterci subito alla presenza di Dio che parla, non ce la facciamo, abbiamo bisogno di fare qualche cosa, di muovere qualcosa dentro di noi per renderci conto che adesso Dio ci parla. Abbiamo bisogno di scaldare il motore. Abbiamo bisogno di risvegliare le motivazioni per le quali noi siamo lì. Se noi cominciassimo la Messa dopo il segno di croce subito la Lettura Biblica, noi avremmo ancora la testa da un’altra parte. Già così noi facciamo fatica a capire che Dio ci parla, figuriamoci se cominciamo così! Avremmo la testa da un’altra parte, a malapena ci accorgeremmo che qualcuno sta leggendo qualcosa. I Riti di introduzione sono quella serie di cose che noi facciamo per risvegliare gli aspetti fondamentali della nostra fede per disporci alla presenza di Dio. Come vedremo, i Riti di conclusione sono molto più brevi perché spegnere il motore e raffreddarlo è molto più semplice che riscaldarlo e dare delle motivazioni. Poi il Rito di conclusione ha un’altra prospettiva. I Riti di introduzione sono quelli che precedono la Liturgia della Parola e sono: l’Introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie Eleison, il Gloria, l’Orazione. Hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi Riti è che i fedeli, uniti insieme, formino una comunità. Quindi la prima cosa è far passare dalla dimensione individuale alla dimensione comunitaria; fare delle cose insieme come per esempio vedremo al canto di ingresso, per fare questo passaggio interiore. Io non sono qui con il mio Dio ma siamo insieme, ognuno con la sua storia, ma io faccio parte di un popolo di Dio, faccio parte di una Chiesa, faccio parte di una Comunità. Quindi la prima cosa che si fa nei Riti di introduzione è proprio questo passaggio dall’individuale al comunitario. Poi ci disponiamo ad ascoltare con fede la Parola di Dio; con fede vuol dire con la consapevolezza che siamo davanti a Dio, e a celebrare degnamente l’Eucaristia. I Riti di introduzione sono importanti, pur essendo di minore importanza, ma tuttavia ne abbiamo bisogno perché senza questi Riti noi non ci mettiamo nella giusta sintonia. Faccio un esempio: devo andare da uno che conosco a chiedergli se può fare l’animatore in Parrocchia e magari rimedio anche la cena. Non suono la porta e appena si presenta gli chiedo: “mi inviti a cena e vieni a fare l’animatore in Parrocchia?” Come minimo ci si saluta, si fanno i convenevoli: “come stai? Avevo bisogno di parlarti, passavo di qua…” non ho ancora detto il motivo, la prendo un po’ alla larga. La persona che mi apre può agire in due modi: “Vieni, entra, accomodati, togli la giacca, vuoi un caffè? Ti serve qualcosa” Oppure può fermarsi sulla porta e:”OK Stai bene, Ti serve qualcosa? Come mai sei qui?” Se si mette così io capisco che non solo perdo la cena ma perdo anche l’animatore, devo cercarne un altro. Le cose si sono messe male perché questa introduzione non c’è, manca questa parte di cose che non hanno importanza, perché per me è importante la cena e soprattutto che trovi un animatore. Però se io non faccio queste cose qua e non supero la prova di questo passaggio, non posso arrivare al centro che mo interessa di più. Quindi questi Riti di introduzione hanno proprio lo scopo di portarci allo stato d’animo, alla disposizione giusta perché possiamo metterci in ascolto e possiamo celebrare l’Eucaristia. Certo che non sono cose fondamentali, ma sono cose che ci rimettono in gioco,ci risvegliano le motivazioni, ci mettono in sintonia con quello che accade. Non solo questo ma gli stessi portali delle chiese, le chiese che hanno una doppia porta, pensate alle classiche bussole delle chiese: ma anche gli ingressi delle nostre case dal punto di vista architettonico, difficilmente dalla porta entri subito nella sala da pranzo, anche con questi nuovi concetti del living, non accade che dopo un metro dalla porta già trovi il tavolo da pranzo: ci sono delle cose che portano verso l’intimità, c’è un corridoio che porta verso un tinello o un salotto; ci sono delle zone di nessuno dove non sei più fuori ma non sei ancora dentro. Le stesse doppie porte delle chiese indicano che io sto passando da una “estraneità” fuori della chiesa, verso una “intimità, quindi da una situazione ordinaria, normale, ad una situazione straordinaria. Ma mi servono perché dentro di me, senza che io mene accorga, io sto passando da un luogo ad un altro e c’è anche un momento in cui non sono più in un luogo e non sono ancora nell’altro. Questa introduzione è importante per disporci, anche inconsciamente, anche senza che ce ne rendiamo conto, disporci al passaggio da una precedente situazione normale o quotidiana, ordinaria, a una situazione in cui facciamo qualcosa di particolare. La messa è questo, metterci alla presenza di Dio che ci parla, ci nutre, si dona a noi, non è una cosa ordinaria ma una cosa straordinaria, che va oltre l’ordinarietà e quindi questo passaggio è importante. E’ questo il motivo per cui, per quanto i Riti introduzione non siano la parte centrale, importante, tuttavia sono importanti e sono inevitabili o, se vogliamo, bisogna farli bene perché se io li faccio male rischio di perdere delle occasioni per essere con più efficacia, con più frutto, nella situazione che mi aspetta dopo. Quindi questi Riti, pur essendo di minor importanza dal punto di vista di presenza di Dio, la Parola, il Sacramento, tuttavia sono inevitabili. E’ come arrivare da questo animatore, passando nemmeno dalla porta, saltando dalla finestra, trovarmi già in salotto e dirgli “fai l’animatore quest’anno?”. Se mi va bene mi caccia fuori senza chiamare la Polizia. Quindi non possiamo saltare tutta questa parte introduttiva data la sua importanza. Attenzione a quando ci mettiamo, nel nostro piccolo in preghiera: “ Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo Amen, Gesù ho bisogno di: A, B, C, D. Ciao. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo Amen”. La preghiera cristiana ci insegna che prima ci si mette alla presenza di Dio, ci si mette in ascolto, si fa lo “spazio” perché Lui possa entrare nella vita. Vediamo gli elementi dei Riti di introduzione. C’è un canto di ingresso C’è un saluto e un bacio all’altare Il segno di croce Il Saluto liturgico L’eventuale munizione cioè l’introduzione L’atto penitenziale che è fatto dal “confesso…” oppure da un’altra formula “pietà di noi Signore…contro di Te abbiamo peccato”. Questa seconda modalità non si è diffusa molto. Oppure c’è la possibilità di fare i versetti: “Buon Pastore che conosci le tue pecorelle, Signore pietà”. Questo è l’atto penitenziale che si conclude poi con la assoluzione generica. C’è anche il quarto modo che è quello della aspersione domenicale, cioè di sostituire l’atto penitenziale con la memoria del battesimo. Questo è suggerito soprattutto nel tempo pasquale. Dopo l’atto penitenziale, e questa è un po’ una sorpresa, c’è il Kyrie eleison il Gloria a Dio L’Orazione che è fatta di 4 momenti: l’invito, il silenzio, l’Orazione stessa, e poi la risposta (l’Amen) Il canto di ingresso è un aspetto importantissimo per cantare insieme, per formare la comunità cioè passare dall’individualismo alla comunità. Serve proprio per questo a patto che lo cantino tutti, perché se lo canta solo il coro, non funziona, non si ottiene questo scopo. Nel saluto liturgico sono previste delle frasi bibliche: “Il Signore sia con voi” è una frase Biblica. Il significato di questo saluto è di far prendere coscienza che siamo alla presenza del Signore: “dove due o più sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Questa prima esperienza di cantare insieme e di formare una comunità, viene esplicitata col capire che ora siamo qui e Gesù è in mezzo a noi. Il saluto è questa prima presa di coscienza. Quindi il rispondere “e con il tuo spirito” significa esserci sintonizzati e metterci alla presenza di Dio. L’atto penitenziale è il primo grosso elemento che troviamo dopo il saluto liturgico ed è quello che ci fa rendere conto, come prima cosa, che di fronte a Dio noi siamo piccoli; e questo, nella esperienza di tutte le religioni c’è sempre stata: la consapevolezza della piccolezza umana e della grandezza di Dio. Noi lo esprimiamo subito perché un autentico sentimento religioso non può che passare di lì, subito. Chi si mette davanti a Dio la prima cosa che fa è quella di rendersi conto della sua piccolezza. Pietro, di fronte a Gesù che compie i miracoli dice “allontanati da me che sono un peccatore” perché di frante alla presenza, alla manifestazione di Dio, il più giusto, normale atteggiamento è quello dell’umiltà, sentirsi piccoli, bisognosi della misericordia di Dio; l’atto penitenziale ci fa rendere conto di questo, che siamo di fronte a Dio. Ma subito dopo, ecco come la Liturgia bilancia la cosa, questo Dio di fronte al quale noi siamo peccatori, miseri, è il Dio della Gloria, il Dio dell’Amore, il Dio che ci ama infinitamente. L’elemento che c’è dopo è proprio il Kyrie eleison e il Gloria a Dio. A noi è abbastanza evidente nel Gloria perché è un inno che comincia con la lode e quindi, dopo aver pensato a Dio che è immenso e noi siamo piccoli, subito dopo pensiamo al Dio che è grande nella sua misericordia: “Ti lodiamo Ti adoriamo, Ti benediciamo”. La stessa cosa si fa con il Kyrie eleison. E’ qui che c’è qualche problema perché nella Liturgia ha un significato particolare che è quello di metterci di fronte alla misericordia di Dio, di invocare la misericordia di Dio. Il problema è che noi confondiamo il Kyrie eleison con quello che abbiamo fatto prima con l’atto penitenziale; è dato dalla traduzione italiana che ci fa tradurre il Kyrie eleison con “Signore pietà” la quale è una affermazione che indica il bisogno di perdono. Il perdono, come sappiamo, è una parte dell’amore: che ama certamente anche perdona, ma fa anche altro, fa molto di più che solo perdonare. Il perdono è solo un aspetto dell’amore. Kyrie eleison vuol dire “Signore effondi su di noi la tua misericordia, riempici della tua misericordia, manifesta la tua misericordia, donaci il tuo amore, amaci, continua ad amarci. Il che è una affermazione molto più ampia che non il solo “Signore perdonaci”. Per fare un esempio con le relazioni umane, un conto è dire a una persona “perdonami” ed un conto è dirgli “voglimi bene”, in tutte le sfaccettature che questo comporta. Kyrie eleison significa questo ed è questo il motivo per cui, dopo l’atto penitenziale e quindi anche dopo che c’è stata la formula di assoluzione generica “Dio onnipotente abbia misericordia di noi , perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen” poi bisognerebbe fare Kyrie eleison, Criste eleison, a meno che non si sia usata la terza formula: versetti + Kyrie, così dice il messale. Il problema è che molto spesso questo non lo si fa perché sembra una ripetizione, anche perché non diciamo Kyrie eleison ma Signore pietà. Sembra che non finisca più il giro: “Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà, …Dio onnipotente abbia misericordia di noi….e di nuovo Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà. Non finisce più. Sembra che il Signore non ci abbia perdonato abbastanza. E’ un problema questa ripetizione. Per mantenere la differenza bisognerebbe spiegare che Kyrie eleison in greco è molto di più di “Signore pietà”. Poi forse, per mantenere un po’ di differenza occorrerebbe usare il greco Kyrie eleison e non Signore pietà. Quindi se si vuole fare questa ripresa, dopo l’atto penitenziale, conviene farlo nella lingua greca. Vi faccio notare che in effetti è la stessa cosa del Gloria. Perché Kyrie eleison inteso in questo senso positivo così ampio, comprende anche il perdono. D’altronde anche il Gloria inizia facendo i fuochi artificiali sparando dei botti sulla gloria di Dio, però a metà fa la supplica: “Tu che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi, Tu che siedi alla destra del Padre…” Quindi anche all’interno del Gloria c’è una supplica, una richiesta di perdono, sono equivalenti le due cose. Quindi questo Kyrie eleison potrebbe essere inteso in questo modo. Una piccola nota sulla Orazione detta anche Colletta. Non c’entra niente con la raccolta di danaro, ma c’entra con l’accogliere la preghiera di tutta l’assemblea. Dopo aver fatto questo percorso: aver fatto delle cose insieme, prendere coscienza che Gesù è presente, prendere coscienza della nostra piccolezza ma anche della grandezza e dell’amore di Dio, l’ultima cosa che facciamo è: mettiamoci in preghiera. L’invito è: preghiamo. Qui il messale chiede che ci sia una pausa di silenzio proprio perché si faccia quello che è detto: preghiamo, mettiamoci in preghiera. Questo è necessario perché magari noi percepiamo l’invito a metterci in preghiera come una frase rituale a cui siamo abituati, ma quello che dobbiamo fare lì è proprio quello di metterci in preghiera. La preghiera silenziosa di tutta l’assemblea indica che abbiamo iniziato a scaldare il motore, siamo un po’ più convinti di essere alla presenza di Dio, siamo più coinvolti, quindi ci mettiamo in preghiera. Mettersi in preghiera non vuol dire fare un elenco di cose o dire delle frasi di senso compiuto a Dio; anche qui vuol dire concentrarsi e con la propria volontà mettersi davanti a Dio, alla presenza di Dio. L’Orazione che viene fatta subito dopo è l’Orazione che raccoglie (Colletta) la preghiera di tutta l’assemblea (non le preghiere ma la preghiera) e la mette davanti a Dio; noi rispondiamo con quell’Amen che ci fa mettere la firma a quella richiesta. A questo punto siamo pronti a raccoglierci alla presenza di Dio. Vediamo velocemente alcune cose sulla Liturgia della Parola. Queste sono le nuove indicazioni che sono state date pochi anni fa: “La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione, quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono anche opportuni brevi momenti di silenzio, adatti alla assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la Parola di Dio venga accolta nei cuori e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono per esempio osservare prima che inizi la stessa Liturgia della Parola”. Questo è il problema della introduzione all’ascolto, non si può alla fine della Colletta “per Cristo nostro Signore…Amen”, tutti si siedono e mentre tutti si siedono si inizia a leggere; c’è un tempo tecnico che ci vuole, per arrivare al silenzio che è di alcuni secondi, almeno 5 secondi per ogni centinaio di persone presenti. Poi non solo il tempo tecnico perché la gente si sieda, ma anche il tempo per mettersi in sintonia, mettersi alla presenza di Dio, la consapevolezza che non è tizio, ma è Dio che mi sta parlando. Questa pausa di silenzio prima delle letture, poi dopo la prima, dopo la seconda lettura, e terminata l’omelia. Dopo la prima lettura c’è il tempo tecnico del cambio lettore. Quello che fa un po’ pena è la seconda lettura; quante volte dopo la seconda lettura, appena detto “Parola di Dio…rendiamo grazie a Dio”, tutti si alzano in piedi. Perché la Liturgia ci chiede il silenzio? Perché il silenzio dà importanza alle cose; il silenzio permette anche uno spazio personale ed è importante questo equilibrio fra i tutte le cose che facciamo com’unitariamente e i momenti che abbiamo “personali” in cui ci mettiamo davanti a Dio. Non si deve esagerare né a fare solo le cose individuali: solo io davanti a Dio, e nemmeno di andare nell’eccesso opposto di intrupparci e facciamo tutto insieme davanti a Dio. Abbiamo bisogno di tutte e due le dimensioni; la Liturgia ce le fa fare tutte e due; se facciamo le cose per bene c’è spazio sia per le cose che facciamo insieme e sia per le cose che viviamo personalmente. Gli spazi di silenzio servono proprio a salvaguardare questa dimensione personale. Poi anche per dare importanza. Se io ascolto una poesia, un verso anche intenso di poeta, non posso leggerlo e subito passare ad un elenco telefonico o qualsiasi altra cosa. Ho bisogno di lasciare uno spazio di silenzio perché quella cosa lì risuoni ancora un po’. Pensiamo a quando leggiamo lo scritto di una persona a cui vogliamo bene: lasciamo questo silenzio che circonda il testo, la parola, le frasi. Quando noi ci alziamo in piedi in un sol colpo, tutti insieme, appena finita la seconda lettura, è come dire a S.Paolo “OK, ci hai detto quello che volevi dirci ma a noi non ce ne importa niente di quello che ci hai detto. Se invece lasciamo 3-5 secondi di silenzio dopo, si ancora il tempo di sentire l’eco di alcune parole. Da un cinese: Tanti raggi convergono verso il centro ma il vuoto tra loro fa avanzare il carro. Con un pugno di argilla si costruisce una giara ma è il vuoto interno che ne consente l’uso. Muri, porte e finestre formano la casa ma è il vuoto della stanza che permette di abitare. La materia è utile, l’immateriale permette il vero utilizzo. Io sono un po’ polemico con le introduzioni alle letture, credo che molto spesso non servano a nulla e fanno parte di quelle cose inutili che appesantiscono. Secondo me quello di cui c’è bisogno è una introduzione all’ascolto che è la consapevolezza di mettersi alla presenza di Dio che ci parla. Questo a mio avviso è il problema più grave, non tanto quello di una introduzione che mi spieghi la pagina biblica, anche perché questo poi semmai lo fa il prete che fa l’omelia, le introduzioni non colmano le nostre lacune bibliche. Per colmare le lacune bibliche bisogna fare dei corsi biblici e familiarizzare di più con la parola di Dio, non basta una introduzione a farci comprendere tutto, invece sicuramente un problema è l’introduzione all’ascolto. Qui si può sparare a zero sui foglietti domenicali. Il messale dice “Ai libri per le letture predisposti per la celebrazione non si sostituiscano, per rispetto alla dignità della Parola di Dio, altri sussidi pastorali per esempio i foglietti destinati ai fedeli per preparare le letture o meditarle personalmente”. Quindi l’introduzione al Lezionario li proibisce, servono per prepararsi o per meditarli dopo, ma non per essere usati nella celebrazione perché nella celebrazione noi siamo chiamati ad “ascoltare”, non a leggere insieme. Anche il recente Sinodo che c’è stato sulla Parola di Dio ha avuto una proposizione in cui non parla dei foglietti ma dice “le letture siano fatte dai libri”. Capita che a volte anche il presbitero trova il foglietto sull’ambone e lo usa pure lui al posto del messale. Qui siamo proprio al massimo del “fai da te” o dello stile balneare. Le letture sono messe in relazione in modo che la prima lettura prepara il Vangelo; la seconda lettura fa una lettura continua nel tempo ordinario (si dice semicontinua) di alcuni libri del Nuovo Testamento. Nei tempi forti anche la seconda lettura va a tema con il Vangelo. Le definizioni dell’anno liturgico credo le sappiamo abbastanza. Entriamo a vedere come è costruito il Lezionario. Nelle pagine del Lezionario ci sono delle indicazioni che già la tipografia stessa ci dà. Già il modo di impaginare il Lezionario. C’è una indicazione che non si legge. Troviamo degli spazi per i paragrafi e questi sono già un aiuto per il lettore il quale non deve andare di corsa come un treno deve lasciare gli stessi spazi che indica la tipografia, spazi più lunghi uguale pause leggermente più lunghe. L’enunciazione è una cosa diversa dalla lettura, va fatta con un altro tono, guardando verso l’assemblea. Stessa cosa della acclamazione “Parola di Dio” non è un pezza della lettura ma è un’altra cosa, è una acclamazione. Notate come lo spazio prima della acclamazione è ancora più grande di quello che c’è tra i paragrafi; non è casuale questo, è per aiutare il lettore a separare l’acclamazione dal resto della lettura. C’è addirittura da dire l’acclamazione con un tono molto più forte, come uno squillo di tromba. E’ come dire “Dio ci ha parlato!” Inoltre il modo in cui lo dico suscita anche la risposta un po’ più convinta. Dicendola con tono convinto si fa anche capire a chi sta rispondendo che veramente stiamo rendendo grazie a Dio che ci sta parlando. I Salmi Certamente il salmo va cantato, almeno il ritornello. Il messale da anche la possibilità, purché lo si canti, che lo si possa cambiare ovviamente stando in tema. Questa è una possibilità di cui tenere conto perché questa non diventi una “quarta lettura”. Il Salmo è una risposta a Dio che ci ha parlato, ed è una risposta nostra. Il ritornello spesso ci fa dire delle cose a Dio es. “Fa che ascoltiamo Signore la tua voce”, siamo noi che parliamo a Dio dopo che Dio ha parlato a noi nella prima lettura. Per questo va cantato almeno il ritornello. Se poi si ha a disposizione qualcuno che faccia il salmista meglio ancora, ma non è una cosa facile. Non basta essere cantanti, è uno stile particolare che richiede delle competenze molto musicali; è tecnicamente difficile. Noi nell’Istituto Diocesano abbiamo un corso apposta ed è fatto da chi ha già finito il corso, sa leggere la musica e fatto studi sulla vocalità. Della acclamazione al Vangelo parleremo insieme alle questioni musicali; è importante che sia fatta con una certa decisione, non è una ninna nanna, è un grido di esultanza è va quindi fatto in modo forte. Il Vangelo è il culmine della Liturgia della Parola; vi sono degli elementi musicali, c’è il canto che può essere fatto prima e dopo. Anche nella Professione di Fede esiste la possibilità di cambiare le formule e non fare sempre il Credo niceno-costantinopolitano, quello più lungo, esiste quello più corto, oppure la forma battesimale. La possibilità poi di cantare dei ritornelli adatti ai vari tempi liturgici per cambiare un po’. La nella Preghiera Universale possono essere usati dei ritornelli parlati o anche cantati; non è un obbligo che l’unico ritornello sia “Ascoltaci o Signore!” come si fa sempre. Ad esempio adesso nell’Avvento va benissimo “Venga il tuo Regno Signore!” oppure “Vieni a salvarci o Signore!”. Il respiro universale vuole dire la preghiera dei fedeli si chiama prima di tutto “preghiera universale” e “respiro universale” perché questa preghiera ci educa non a cominciare con le nostre esigenze personali o locali, ma ad avere sempre, prima di tutto, uno sguardo universale. Il messale ci dà queste indicazioni: la prima intenzione dovrebbe essere sempre per la Chiesa la seconda dovrebbe essere sempre per il mondo, la pace, la salvezza di tutti, la terza dovrebbe essere per i sofferenti e i bisognosi, la quarta per le necessità locali ed infine può esserci perfino il silenzio dove ognuno mette le proprie intenzioni personali. La Liturgia Eucaristica è fatta da: -preparazione dei doni che noi chiamiamo ancora Offertorio. E’ meglio usare “preparazione dei doni” perché Offertorio ci può ambiguamente far pensare all’offerta di noi stessi -Preghiera Eucaristica che inizia “Il Signore sia con voi, in alto i nostri cuori … il Prefazio … ed alla fine …Per Cristo, con Cristo, in Cristo…”. Questo è un testo molto importante, ci vorrebbe un incontro solo per questo, per notare tutte le cose importanti che diciamo lì dentro, che chi presiede dice a nome di tutti e che tutti sottoscrivono con quell’Amen alla fine. Se si dicono con una certa consapevolezza hanno anche un’altra efficacia. - Riti di Comunione La parte della preparazione dei doni è molto ricca di cose, e variopinta, vedete quanti elementi ci sono. Bisogna però anche tenere conto che questa parte della “preparazione dei doni” è a metà strada tra la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica. Qui c’è un serio problema di “tenuta” perché noi abbiamo vissuto con impegno quella mezz’ora della Liturgia della parola che non è facile perché richiede ascolto e attenzione e dopo c’è una parte importante che è la Liturgia Eucaristica, soprattutto la “Preghiera Eucaristica”. Bisogna quindi cogliere opportunamente questo spazio anche come un momento tranquillo, quasi di riposo, in cui si prende fiato. Ad esempio far cantare all’assemblea i canti di Offertorio può essere non opportuno proprio per lasciare un po’ di spazio per prendere fiato; non possiamo altrimenti tirare fino alla fine con la giusta concentrazione. Senz’altro la musica di sottofondo o il coro che canta qualcosa, ma non far cantare l’assemblea; tenete conto che è un problema serio tenere in tensione l’assemblea per un’ora intera e quindi c’è bisogno di momenti in cui cala la tensione. La Preghiera Eucaristica Andiamo a vedere il momento in cui facciamo l’offerta di noi stessi, non è nell’Offertorio ma è nella Preghiera Eucaristica ed è in un posto molto più dignitoso perché è dopo l’offerta del Sacrificio di Gesù. Noi non ci offriamo insieme a delle cose ma dopo aver offerto il sacrificio di Gesù. Non dimentichiamo che l’offerta viene fatta a Dio Padre. Cosa possiamo offrire a Dio Padre se non quello che Lui ci ha dato; la cosa più grande che noi possiamo offrire come umanità è l’umanità di Gesù che ci ha salvati offrendo se stesso; allora offriamo il sacrificio di Gesù. Poi, dopo, possiamo offrire noi stessi. Ora vi faccio vedere come nelle 10 preghiere eucaristiche che noi abbiamo a disposizione, questa cosa è espressa; in certi casi in modo poco esplicito, in altri in modo molto esplicito. Importante è che io lo sappia perché se so che in un punto della Preghiera Eucaristica io offro me stesso, sono più consapevole di questa offerte che sto facendo. Vediamo come avviene questa nelle Preghiere Eucaristiche. La prima Preghiera Eucaristica è quella del Canone Romano, la più antica, la quale ad un certo punto ci fa dire: “Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno e, ti supplichiamo, fa che questa offerta tra le mani del tuo Angelo santo … perché su tutti noi che partecipiamo a questo altare … scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione dal cielo”. In questa formula l’offerta è molto implicita, non è molto chiara. Nella seconda formula: “Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla Tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Notate che questa non è una frase dei preti perché è il servizio del popolo sacerdotale. La sacerdotalità che noi abbiamo fino dal Battesimo è proprio quella di poterci rivolgere a Dio e di poter fare degli atti di culto, e questo noi lo facciamo anche nella Preghiera Eucaristica. Anche se c’è il Presbitero che svolge la funzione di Presidente e dice delle cose a nome di tutti, questo non toglie che tutti siano coinvolti a fare quel servizio del popolo sacerdotale. La terza: “Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito…” La quarta preghiera è ancora più esplicita: “Tutti coloro che mangeranno di questo Pane e di questo Vino concedi che diventino offerta viva in Cristo a lode della tua gloria”. Vedete come questa quarta preghiera sia molto più esplicita. La quinta è molto più stringata e non è molto esplicita: “e con il suo Sacrificio ci apre il cammino verso di te” Poi andiamo sulle preghiere della riconciliazione: “perché viviamo in Cristo la vita nuova, nella lode perenne del tuo nome e nel servizio dei fratelli” Il vivere la vita nuova e offrirsi per i fratelli è la stessa cosa. La seconda della riconciliazione: “Accetta anche noi, Padre santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo”. Vedete come qui è molto chiaro come noi ci offriamo al Padre, insieme a Cristo. Poi ci sono le preghiere dei fanciulli anch’esse molto esplicite: “Accogli, con l’offerta di Gesù, l’offerta della nostra vita” La seconda dei fanciulli: “Ascolta Padre la nostra preghiera, dona lo Spirito del tuo Amore a tutti quelli che partecipano alla tua mensa, perché diventino un cuor solo e un’anima sola nella tua Chiesa”. La terza dei fanciulli: “Accogli o Padre, con il Sacrificio di Gesù, l’offerta della nostra vita. Queste sono le modalità in cui viene espressa l’offerta di se stessi. Offerta. I Riti di Comunione - Padre Nostro - Invito: “Obbedienti alla parola del Signore …” - L’Orazione stessa - L’Embolismo, che non è una malattia cardio-vascolare, ma è la dilatazione dell’ultima domanda “…ma liberaci dal male”. Con sensibilità molto umana la Chiesa amplifica questa domanda “Liberaci Signore da tutti i mali”. Purtroppo questa domanda amplificata, o Embolismo, ci ha fatto un po’ perdere, nella abitudine antica, di unire al Padre Nostro la Dossologia: “Tuo è il Regno, tua è la Potenza e la Gloria nei secoli”, E’ una Dossologia piccola che fino dall’antichità veniva detta insieme al Padre Nostro e è rimasta in Francia e in Inghilterra. Noi, avendo legato molto il Padre Nostro alla ritualità della Messa, con questo Embolismo abbiamo perso questo legame. Dossologia finale conclude tutta la Liturgia Eucaristica: “Per Cristo, con Cristo ed in Cristo …” Perché questa triplice cosa? Perché il “per Cristo” quello fondamentale della riconciliazione; attraverso Cristo passa la nostra preghiera. Quindi la lode a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo viene fatta per mezzo di Cristo, viene fatta con Cristo perché è Cristo stesso che è perennemente davanti al Padre in adorazione e in preghiera, e in Cristo perché noi siamo innestati in Cristo fino dal Battesimo. Siamo uniti a Gesù con questa parentela; Dio ci adotta come suoi figli nel Battesimo. “Per Cristo, con Cristo ed in Cristo …” indica quindi un passaggio attraverso di Lui, con la condivisione di quello che Lui sta facendo continuamente, e anche un essere inseriti in Lui, la nostra umanità è ancora nella sua umanità. Il Rito della pace Il Rito della pace non comincia col segno di pace ma comincia con la preghiera per l’unità e la pace. Il segno di pace è una cosa che dovrebbe essere un po’ circoscritta, i Vescovi ce lo dicono di non esagerare, di non fare diventare questo momento troppo ampio “…tuttavia ciascuno conviene che dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio” perché questo è un gesto simbolico, e non vada a coprire la frazione del Pane. La frazione del Pane è un momento molto importante che va evidenziato, non è giusto che venga fatta mentre la gente si dà il segno di pace e il prete si porta avanti cominciando a fare i suoi lavori. La frazione del Pane ha un significato simbolico fortissimo, che riassume tutta la celebrazione, fino dalla antichità e quindi non è solo un gesto funzionale e tecnico, è un gesto simbolico che indica proprio tutto quello che abbiamo fatto. Non a caso, negli Atti degli Apostoli quando si parla di Eucaristia, viene chiamata “La frazione del Pane”. Questo non vuol dire che erano compagni di merende… significa che celebravano insieme l’Eucaristia. Frazione del Pane è questo piccolo gesto ma così importante da dare il nome a tutta la celebrazione. Quindi davvero non conviene seppellirlo nel marasma del segno di pace. Si inizia la frazione del pane e qui è previsto un canto ma nel segno di pace non è previsto alcun canto, siamo noi che siamo abituati a farlo. Invece qui è previsto un canto ed è previsto l’Agnello di Dio. L’Immixtio E’ il mettere un piccolo pezzo dell’Ostia nel calice. La cosa è nata da questioni tecniche: Il Papa non poteva essere presente nelle celebrazioni suburbitali e fuori Roma. Il Papa non potendo partecipare mandò una parte dell’Ostia da lui consacrata. A quel punto misero quel pezzo di Ostia nel calice come a significare la comunione col Papa. E’ nato così ed è poi diventato segno di comunione col Vescovo, E’ comunque nato da una necessità storica ben precisa, come il lavabo delle mani all’Offertorio nasce perché toccando colombi e ortaggi, il prete poi si lavava le mani. Tante volte i gesti nascono per questioni tecniche, come in questo caso, e poi vengono spiritualizzati successivamente. Qui c’è stato un recupero di una tradizione orientale la quale vive questo gesto come una simbologia propria della Risurrezione, perché quando c’è il Pane e il Vino, Il Corpo da una parte e il Sangue dall’altra, questo è proprio l’immagine della morte. Il Sangue separato dal Corpo. Il fatto di riunire di nuovo il Corpo con il Sangue è per esprimere in modo simbolico che Colui di cui ci nutriamo non è il Cristo crocifisso e morto ma è il Cristo crocifisso, morto e risorto. Qui in questa nuova introduzione viene detto “..Gesù Cristo vivente e glorioso”, quindi il richiamo alla completezza della Persona di Cristo con cui noi ci incontriamo non è solamente il Cristo che ha vissuto la croce e la morte ma è il Cristo che è poi anche risorto. Questo è il significato dell’Immixtio. Qui può poi essere interessante vedere come il canto si possa fare sia durante che dopo la Comunione; quando parleremo di musica vedremo le possibilità concretamente. Attenzione anche qui al “silenzio” che è importante. Notate che i Riti di Comunione terminano con l’Orazione dopo la Comunione e quindi gli avvisi dobbiamo metterli dopo la Comunione e l’Orazione. Noi preti, siccome siamo anche umani, diciamo, “…visto che siete già seduti, vi do gli avvisi…”. Però non è molto giusto perché mentre voi siete seduti e state pregando, magari pregate con un canto tutti insieme, è importante che questo rito di preghiera abbia una conclusione in modo che, anche psicologicamente, si esce dalla preghiera. A quel punto ci stanno allora tutti gli avvisi, la benedizione e la conclusione. Non è molto giusto, nel momento della preghiera, infilarci altre cose e poi fare l’Orazione che conclude la preghiera; c’è una intromissione in mezzo che non c’entra niente. I Riti di conclusione - Brevi avvisi - Saluti - Benedizione - Congedo - Bacio - Inchino Qui si può solo dire come i riti di conclusione nella Messa sono frettolosi e molto veloci e non hanno tutte le parti che abbiamo visto. Lo spirito del Messale è quello di farci uscire, continuando nella vita quello che abbiamo celebrato. Come la celebrazione ci fa partire e ci fa arrivare ad un culmine che non è la Consacrazione ma è la Comunione, noi non andiamo a Messa per guardare l’Ostia ma per mangiare l’Ostia. Questo culmine è proprio alla fine e subito dopo la Comunione, fatto il canto, fatta l’Orazione, fatto un po’ di silenzio: si va via. Non c’è ancora 10 minti o più per meditare dopo la Comunione; questa sarebbe una degenerazione spiritualista e un po’ intimista. E’ molto bella la sapienza della Chiesa che, arrivati a questo punto, siamo così carichi, ci dice: “adesso andate fuori e continuate nella vita quello che avete celebrato. Questo è il motivo per cui il congedo ha poche cose: il saluto, la benedizione e il congedo. Perché nessun canto finale? Perché non si deve chiedere all’assemblea: “…adesso però fermatevi e cantiamo ancora…”, il canto finale non è previsto dal rito. E’ previsto che qualcuno canti e che si faccia della musica gioiosa; ed allora qui vedremo come i cori hanno la possibilità di sparare qualche loro cartuccia. Importante è che l’assemblea non sia fermata per cantare ancora. E’ un controsenso: “…andate in pace, rendiamo grazie a Dio…fermatevi che cantiamo ancora…”. Quindi non si annuncia il canto che viene cantato dal coro. Molto spesso capita che, dove si fa il canto finale, in realtà non si fa il canto dopo Comunione; questo è il momento in cui si canta e si fa un ringraziamento tutti insieme. Dopo non è più necessario perché la gente è già congedata e deve andare a vivere quello che ha celebrato. Inoltre noi, nella nostra tradizione mediterranea siamo fatti così. Se si va in Germania, tutti si siedono ed ascoltano la suonata dell’organista. Certo che ci vuole una musica gioiosa, qualcosa che accompagni l’uscita dando un certo tono, senza fermare l’assemblea che esce. IL CANTO NELLA LITURGIA Don Guido Bolgiani 3° INCONTRO – Sabato 24 Gen. 2009 – Parrocchia Santa Chiara – Collegno Parlando di canto e musica nella Liturgia il primo problema che può innescare un dibattito è: “che cosa cantiamo e come cantiamo?” Io proporrei di iniziare da un gradino più in su, da un livello più alto e chiederci innanzitutto “Perché cantiamo, che cosa ci sta a fare il canto e la musica nella Liturgia? Quale funzione assolvono il canto e la musica dentro la Messa, nella Liturgia?” Se noi capiamo bene il perché, sarà molto più facile risolvere altri problemi sul che cosa e come. Questo vale per qualunque tema noi ci troviamo ad affrontare, qualunque dubbio noi abbiamo sulla Liturgia, su aspetti particolari del Rito. Capito il perché sarà molto più facile eseguire bene perché avremo la ragione e il senso di quello che facciamo. I documenti della Chiesa dicono che lo scopo fondamentale della Liturgia e della musica che si fa nella Liturgia è la Gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. Questo vuole dire che si canta perché si realizza l’incontro con Dio. Scopo della Liturgia è l’incontro personale e comunitario con il Signore. Questo non diamolo mai per scontato. C’è un passo nella Bibbia ( 2 Cronache 5, 11-13) dove musica e canto sono descritti come capaci di provocare l’incontro con Dio. In questo secondo libro delle Cronache siamo in una epoca storica nella quale il popolo di Israele ha ultimato la costruzione del Tempio di Gerusalemme, il primo grande Tempio, il Tempio di Salomone. Questo edificio risplende in tutta la sua bellezza, il suo fulgore, il suo trionfo di arte; per il Signore è stato fatto il massimo, è stato speso il massimo lusso per Dio. L’arca dell’Alleanza è stata introdotta nel cuore del Tempio, nel Santo dei Santi e dice il testo: “e avvenne che, usciti i Sacerdoti dal Santo, mentre tutti i Leviti cantori vestiti di bisso, con cembali, arpe e cetre, stavano in piedi ad oriente dell’altare, mentre presso di loro 120 Sacerdoti suonavano le trombe avvenne che quando i suonatori e i cantori fecero udire all’unisono la voce per lodare e benedire il Signore, il Tempio si riempì di una nube, cioè della Gloria del Signore”. Allora la presenza del Signore avviene, accade, si percepisce con una nube visibile, qualcosa che si sente forte quando si eleva il canto che qui diventa Liturgia. Non dimentichiamo mai che nella Liturgia dobbiamo far accadere questo evento, non andiamo ad eseguire un programma nella Liturgia, andiamo ad un appuntamento nel quale il Signore ci promette di scendere dal Cielo sulla terra. Allora non dimentichiamo che il canto e la musica devono contribuire a questa grande finalità. Se siamo bene dentro, noi per primi, a questa finalità, tanti problemi relativi al come e cosa cantare, al repertorio, ai canti più o meno ritmici, si risolveranno. Lo scopo della Liturgia non è realizzare belle cerimonie, ma permettere, oggi, l’ incontro tra Dio e il suo popolo. Un altro aspetto di questo cantare per la gloria di Dio è il seguente. Occorrerebbe fare uno studio della Bibbia secondo questa prospettiva: andare a vedere tutti gli aspetti musicali e canti che troviamo. Pensiamo solo ai Salmi: è una raccolta di canti. Il salterio è il canzoniere della Bibbia. Se andassimo a fare questo esame analitico nella Bibbia, ci renderemmo conto che il canto rende sempre onore all’azione di Dio nella storia: che cosa si canta?, chi si canta? Si canta Dio che agisce nella nostra storia, nella nostra vita. Ad un certo punto l’azione di Dio nella Storia non è più una azione mediata da uomini (es.: profeti), ma è mediata dal suo Figlio. E’ Lui stesso che si incarna in Gesù Cristo, quindi per noi cristiani è questo il motivo per cantare: si rende onore alla grandezza e alla potenza di Dio che con la morte e risurrezione di Cristo ci ha liberati dal male e dalla morte. Ci ha dato una prospettiva di speranza per una vita che non ha più fine. Questa è la ragione profonda del nostro cantare. Quindi è qualcosa di veramente entusiasmante cantare perché noi, come Maria nel canto del magnificat, ci sentiamo avvolti da un grande senso di gratitudine per Dio che si china su di noi, ci accompagna nel nostro cammino e ci apre questa prospettiva di speranza qualunque sia la situazione in cui noi ci troviamo, anche fosse la più drammatica. Spesso i nostri canti, più che raccontare le meraviglie di Dio così vicino a ciascuno di noi, cosa fanno? Raccontano noi stessi, i nostri problemi, le nostre attese, i nostri drammi, le nostre esigenze. Questo va anche bene, però non è il canto veramente entusiasta dell’uomo biblico. Se stiamo alla scrittura, non è tanto il canto che deve corrispondere a me, non è il Signore al centro del mio cuore, ma sono io che mi devo scoprire al centro del cuore di Dio. La festa non siamo noi, ma è Gesù che viene in mezzo a noi con la sua parola e la sua vita. Allora occorre molta attenzione ai testi dei canti. Molte volte si scelgono perché piacciono, perché hanno delle belle melodie, perché magari ci fanno un po’ gesticolare; ma il valore primario è il testo che tendenzialmente deve cantare Dio, deve cantare ciò che Lui fa nella Liturgia. Poi ci sono tanti altri momenti di preghiera, di ritrovo, in cui va benissimo cantare noi stessi davanti a Dio, ma nella Liturgia dobbiamo far emergere questo primato di Dio; non è opera nostra la Liturgia: è innanzitutto opera di Dio. Quindi è molto importante una attenzione ai testi secondo questa prospettiva. Certo anche nei Salmi c’è l’esperienza personale, ci sono lamentele, sentimenti contrastanti; sono una preghiera splendida perché danno voce a noi per tutti gli stati d’animo di una persona, però tutto viene sempre visto e raccontato alla luce dell’amore di Dio, allo scopo di rivelare l’efficacia di Dio, la sua presenza efficace nella nostra vita, l’alimentare la speranza che è Lui il Salvatore, è Lui colui che agisce. Allora come sono i canti che scegliamo? Celebrano Dio in questa ottica oppure sono la celebrazione di noi stessi, dei nostri gusti. Fare le scelte per abitudine o perché quel canto ha “preso” non è sufficiente: il valore primario è quello del testo. Il Canto e la musica sono anche servizio ad una assemblea che celebra, quindi lo scopo è che tutti i fedeli possano pregare meglio. Canto e musica sono al servizio della partecipazione attiva della assemblea dei fedeli. Questo è un valore ribadito più volte dal Concilio; la grande svolta del Concilio è stata questa, dopo il Concilio, i fedeli nella Liturgia pregano partecipando attivamente e consapevolmente. Questo vuole dire che la scelta dei canti è in funzione dell’assemblea celebrante, occorre tenere presente quali sono le possibilità di quella assemblea, le sue conoscenze: con una assemblea di vecchietti non farò i canti ritmici. Se un coro deve animare una liturgia non può imporre i propri canti e i propri gusti, dovrà fare le sue scelte sulle possibilità e capacità dell’assemblea. Il coro non va a sostituirsi alla assemblea, deve dialogare, deve animare, deve sostenerla, deve aiutarla, ma è parte dell’assemblea, incaricata di questo compito precipuo di animazione. Parliamo ora dello stile da scegliere, tenendo conto anche delle diverse culture perché i canti vanno scelti in funzione della assemblea specifica. Per quanto riguarda il latino come lingua universale si può pensare come il desiderio di trovare una linea in qualche modo comune, anche da un punto di vista musicale. Abbiamo già detto che i canti vanno scelti in modo tale che tutti possano partecipare in maniera attiva. Trovandosi in una assemblea di persone di nazionalità diverse, la lingua comune per cantare la nostra fede può essere la lingua comune, però solo in queste occasioni molto particolari, oggi, a livello di assemblee parrocchiali medie non funzionerebbe. Tantomeno funziona l’utilizzo del repertorio Gregoriano, per le difficoltà musicali, se poi si chiede all’assemblea di cantare. Canto e musica dovrebbero essere degli elementi che fanno crescere l’aspetto fondamentale della nostra fede e della nostra spiritualità, è la dimensione comunitaria, ecclesiale, nella fede. Quando il singolo partecipa alla celebrazione domenicale fa un po’ un atto di apertura, ricorda a se stesso che non è lui, non è il suo gruppetto che è tutto, ma che lui appartiene ad una famiglia più grande. Si tratta quindi di aprirsi anche a dei linguaggi musicali che magari non ci sono perfettamente congeniali, ma che però permettono a tutti di partecipare, perché lo scopo è proprio quello di riconoscerci tutti come Chiesa che celebra. Quindi nella scelta dei canti occorre fare questa scelta di “regia” tenendo conto di questi scopi. Per esempio, quanto è importante avere un animatore del canto della assemblea così come il coro può avere il suo direttore del coro. Quanto è importante che ci sia una figura di riferimento per il canto della assemblea perché permette alla assemblea di sentirsi veramente coinvolta nel canto. Questa è una scelta che va nelle linee della comunione: far valorizzare la dimensione ecclesiale, far capire a tutti che si è lì per costruire la Chiesa. Lo scopo del coro non è poi quello di fare dei canti genericamente religiosi, o far ascoltare musiche che danno particolari emozioni religiose, lo scopo è quello di animare il Rito. Il Rito vuol dire: gesti, parole, azioni, canti, secondo una certa scrittura, secondo un certo significato. Il canto e la musica sono un po’ una variabile dipendente; dipendono da un’altra variabile che è quella di rispettare le esigenze del Rito. Quindi per suonare e per cantare bene è richiesta la conoscenza del Rito. La formazione degli animatori è fondamentale in questo senso, non solo nel senso della competenza tecnica; certo ci vuole anche questa per chi vuole cantare e suonare, ma altrettanto fondamentale è la competenza liturgica. Questa vuol dire innanzi tutto la conoscenza dei perché e dei programmi del Rito; qual è il progetto che c’è a monte e dei programmi rituali, perché si fa in un modo e non in un altro; il perché di certi gesti e di certe parole. La messa non è una serie di piccoli elementi uno attaccato all’altro: ha una sua struttura importante da cogliere, alcune grandi parti, c’è uno sviluppo. Quindi si tratta di entrare dentro, si tratta di fare esperienza di quanto sia arricchente partecipare dall’interno ad un Rito di cui si comprendono le varie parti e i vari elementi. Quindi canto e musica devono essere coerenti e rispettosi del programma che ci offre il Rito. Qualche spunto concreto. Ad esempio occorre rispettare l’equilibrio che c’è tra le varie parti della Messa; possono essere più o meno importanti. Per esempio un problema che si pone spesso è che i Riti di introduzione, quindi dal canto di ingresso alla orazione (Colletta) che introduce poi alla Liturgia della Parola, questi Riti di introduzione possono essere a volte troppo pesanti e lunghi. Si canta un solenne canto di ingresso con tutte le sue otto strofe, poi si canta l’atto penitenziale, poi il Gloria. Diventa eccessiva la presenza del canto in questa parte; se noi diamo troppo peso, anche dal punto di vista musicale, a questa parte, non rispettiamo la verità del Rito che invece ci dice che questo serve per acclimatarci dentro al Rito e poi saremo tutto orecchi per ascoltare la Parola di Dio, per far suscitare il sentimento di ringraziamento per la Parola ricevuta. Un'altra cosa è la lunghezza di un canto: va sempre ben calcolata; non posso eseguire un canto di 5 minuti alla presentazione dei doni, se questo momento rituale dura solo un minuto. Non è detto, anzi, è bene che non si debbano cantare tutte le strofe di un canto; è opportuno scegliere le strofe adatte e far durare il canto fino alla conclusione del momento rituale. Ad esempio non è bene che il canto di ingresso sconfini molto oltre il momento in cui si è pronti per iniziare. Attenzione poi che il canto non tolga spazio al silenzio, il quale è un altro momento fondamentale della Liturgia. Il silenzio vero è quello dove non c’è neanche un sottofondo musicale. Dai documenti della Chiesa appare poi chiaro che i canti più importanti della Messa, sono quelli che già appartengono alla struttura del rito e nascono già come canti. Ad esempio: l’Alleluja, il Santo, il Gloria, Mistero della Fede, Tuo è il Regno andrebbero di loro natura cantati essendo i più importanti. Anche il Salmo tra le letture, proprio per la sua natura poetica, dovrebbe essere trattato diversamente dalla semplice lettura. Spesso ci concentriamo poco su questi canti che sono già di per sé un rito, i nostri repertori sono formati quasi esclusivamente da canti dai più svariati contenuti, da utilizzare essenzialmente all’inizio, alla Comunione e alla presentazione dei doni. In minima parte invece ci concentriamo sui canti che sono essi stessi Rito. Quindi attenzione al rispetto delle esigenze del Rito. Vi sono poi i canti che non sono modificabili e che accompagnano certe parti del Rito come ad esempio l’Agnello di Dio che accompagna la Frazione del Pane. Questo è un gesto che rimane un po’ invisibile, ma è un gesto molto importante e significativo. I primi cristiani usavano questo termine per indicare l’ Eucaristia talmente era rimasto impresso il gesto compiuto da Gesù. Pensiamo che ad Emmaus lo riconobbero dallo spezzare il pane. Fra i canti che accompagnano parti del Rito c’è il canto di inizio, il canto di Comunione, la presentazione dei doni; hanno come obiettivo il commentare una parola che risuonerà in quel giorno, in quella festa. In particolare il canto di Comunione deve sempre avere un collegamento tematico con la Liturgia della Parola perché ciò che noi riceviamo come Pane Eucaristico è la Parola del giorno che abbiamo ascoltata, la quale si fa Carne per noi, diviene Cibo per noi, e si vuole incarnare dentro di noi. Per ribadire questo aspetto vi leggo quello che dice il documento “Musica Sacra” del 1967. Questo è il documento base sulla musica nella Liturgia, uscito dal Concilio Vaticano II. Questo Concilio ha dedicato un capitolo della costituzione sulla Liturgia, alla musica, ma sono pochi numeri. Questo invece è un documento che è uscito qualche anno dopo, tutto dedicato alla musica nella Liturgia. Un punto che viene più volte evidenziato è al N° 9 di questo documento, dove si dice: “La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito della azione liturgica e alla natura delle singole parti”. Quindi io devo sapere il senso delle varie parti perché poi devo scegliere dei canti che corrispondano bene al senso e alla natura di quelle parti. E poi aggiunge: “e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli” Al N° 11 c’è un altro punto molto bello in cui dice: “Si tenga presente che la vera solennità di una azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto della integrità della azione liturgica, dalla esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura”. Quindi la Messa solenne non è quella che ha l’apparato grandioso, è la Messa nella quale noi siamo ben consapevoli di quello che andiamo a fare, lo facciamo in maniera degna e religiosa e lo facciamo rispettando il rito. Questa è la solennità secondo la Chiesa. A volte invece noi siamo legati ad una idea di solennità che ci viene dalle cerimonie civili. In realtà anche la Messa feriale è “solenne” in questo senso se noi la viviamo rispettando fino in fondo il Rito. Ciò significa cantare quello che c’è da cantare e farlo in modo adeguato all’assemblea. “La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie, sono sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare ciò nel modo dovuto. Sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità dell’ azione liturgica se portassero ad ometterne qualche elemento, a mutarla, o a compierla in modo indebito. Questo vuol dire che non posso prendere il Gloria di Vivaldi e farlo eseguire in una Messa come Gloria perché in questo modo compio in modo indebito una parte del Rito. Il Gloria spetta alla assemblea e non deve durare mezz’ora. Concludo con un pensiero di Sant’Agostino che lascio alla vostra meditazione personale; egli dice che quando ci siamo impegnati nella partecipazione ed animazione della Liturgia, non consideriamo concluso lì il nostro compito (nella semplice esecuzione). Soprattutto, dice Sant’Agostino, quello che continua dopo il nostro servizio di cantori o partecipanti alla Liturgia, continua come cristiani. Certamente la preziosità del nostro servizio passa attraverso la esecuzione precisa e dignitosa dei canti, ma prima ancora passa attraverso la nostra testimonianza di cristiani che celebrano la propria fede vivendo appunto da cristiani. Vi leggo le ultime frasi: “Cantate al Signore un canto nuovo. Ecco tu dici: io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti, ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. Cantate al Signore un canto nuovo. Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire e sarete la sua lode e vivrete bene”. CRITERI DA ATTUARE PER LA SCELTA DEI CANTI NELLA LITURGIA IN PARTICOLAR MODO NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA La tipologia dei canti religiosi Canti per la liturgia (stile evocativo-simbolico-ecclesiale) Canti per l'ascolto (concerti, recital, musical,. . . ) Canti per la catechesi (stile descrittivo-narrativo-individuale) Canti per l'animazione (gruppi, fuoco di bivacco,...) Canto e musica sono a servizio: ... del rito che si celebra (liturgia: azione di Cristo) ... dell'assemblea che celebra (liturgia: azione della Chiesa) L'assemblea celebrante Dignità (epifania di Cristo e della Chiesa) Partecipante attivamente (coinvolgimento pieno e consapevole) Eterogeneità (diversità di origine, cultura, spiritualità, sensibilità, gusti,.. .) Le possibilità reali e realistiche dell' assemblea (che cosa questa assemblea può cantare?) Il rito cristiano Presenza di Cristo Incontro con Cristo Azione di Cristo Il rito: esperienza di fede (i testi dei canti) Il rito: esperienza di bellezza (la musica) La celebrazione dell'Eucaristia Cantare la Messa prima che nella Messa Compito ministeriale di musica e canto Valutare - analizzare un canto L'in-canto del rito della Messa [Preparazione] RITI DI INTRODUZIONE Processione di ingresso Segno di croce, saluto Atto penitenziale Gloria / Kyrie Colletta LITURGIA DELLA P AROLA [Introduzione all' ascolto] Acclamazioni alla Parola Salmo responsoriale Acclamazione al Vangelo Professione di fede Preghiera universale (o dei fedeli) LITURGIA EUCARISTICA PRESENTAZIONE DEI DONI PREGHIERA EUCARISTICA . [Dialogo al prefazio - Prefazio] . Santo [ - Racconto dell'istituzione] . Anamnesi . [Dossologia] - Amen RITI DI COMUNIONE . Padre nostro . Tuo è il regno . Rito della pace . Frazione del Pane . Processione alla Comunione . Dopo Comunione . Silenzio . [Orazione dopo la Comunione] RITI DI CONCLUSIONE [Eventuali avvisi e comunicazioni] Saluto - benedizione - congedo Uscita LA LITURGIA Don Carlo Franco 4° INCONTRO – Sabato 06 Feb. 2009 – Parrocchia Santa Chiara – Collegno Oggi voglio riprendere un aspetto che Don Guido ha accennato parlando del compito che hanno La musica e il canto nella Liturgia cristiana. Ho visto che lui si è soffermato molto sull’aspetto spirituale del cantare, cioè dal punto di vista del partecipare ad una celebrazione, nella propria fede, con un canto. Vorrei cominciare col far vedere come il cantare, nella Liturgia, è il gesto che è importante perché è fecondo perché ha una efficacia. Questo ci spiega anche il motivo per cui la Chiesa ha molta attenzione alla musica e al canto nella Liturgia, non solo dal punto di vista estetico e piacevole. Certo che la musica e il canto sono qualcosa di piacevole, ma qui siamo oltre questo livello. Andiamo ad un livello in cui cerchiamo di capire l’aspetto che può riguardare tutti, anche coloro che non suonano e non cantano di professione, proprio perché il cantare può avere degli effetti che sono molto utili alla celebrazione e quindi alla vita cristiana. Quindi facciamo oggi un discorso non tanto teologico quanto più antropologico; cerchiamo cioè di vedere il fenomeno del canto, l’atto del cantare, che cosa produce e cosa coinvolge nell’animo umano. Certo questo ha anche una ricaduta sull’aspetto della fede. Scopriremo tre aspetti importanti, andremo a scoprirli prendendo come punto di partenza il testo che è il primo paragrafo del sesto capitolo del documento sulla Liturgia, questo documento della Sacrosanctum Concilium, riguardante la Liturgia, che ha dato l’avvio alla riforma liturgica. Già in questo documento si vede l’attenzione della Chiesa al canto e alla musica perché in questo documento c’è un capitolo intero dedicato alla musica. Spesso queste cose sono trattate come cose secondarie invece questa volta c’è un capitolo intero, approfondito con vari aspetti. Infatti nel capitolo successivo, il settimo, c’è una attenzione alla musica come arte che eccelle sulle altre espressioni, pittura, scultura, architettura; tutto questo viene raggruppato in modo generico nel capitolo successivo. Solo da questo fatto è evidente che l’attenzione alla musica è grande; non è una attenzione per questioni estetiche, ci devono essere dei motivi validi che ora cercheremo di vedere. Questo documento inizia al capitolo sesto dove si parla di un tesoro di inestimabile valore perché la musica cosiddetta “sacra” ha prodotto nell’arco di un millennio, per quello che riguarda la musica scritta, delle opere straordinarie, tantissima musica, tenendo anche conto che per secoli l’unica musica che si faceva era appunto la musica di Chiesa, la musica profana era proibita. Quindi tantissima produzione musicale è stata fatta intorno alla Liturgia; questo ha fatti sì che noi abbiamo quantità smisurate di opere musicali di diverso valore. La storia ci consegna un grande patrimonio che, come vedremo, non va idolatrato, ma nemmeno buttato via, occorre avere una visione equilibrata per quanto riguarda la storia del passato, quindi occorre gestire bene questo patrimonio. Un’altra sottolineatura che fa subito questo documento è il rilevare che il canto sacro, “unito alle parole”; siamo nel capitolo della musica ma subito ci viene a dire che a noi quello che interessa della musica è soprattutto il canto. Quando vi è solo musica è strumentale, ma quando noi cantiamo diciamo delle parole, le parole sono un testo, il testo ha un contenuto e il contenuto è quello che interessa alla Chiesa. Essa ci sta dicendo che non ci interessa la musica di per se stessa ma ci interessa la musica perché mette in risalto un testo e il testo è il contenuto della fede che noi celebriamo. Quindi l’attenzione a questo linguaggio musicale che riesce ad evidenziare un testo, un contenuto, è subito dichiarato come un aspetto importante da parte della Chiesa. Poi ci viene detto che il canto sacro è “parte necessaria ed integrante nella Liturgia solenne”, questo è proprio il modo per indicare la svolta che il Concilio sta facendo, 45 anni fa, per passare da una musica che è “accessoria”, opzionale, puramente ornamentale, estetica, passare invece ad una musica che è “parte del Rito”. Non più a fianco , parallela al Rito o che fa da colonna sonora o sfondo al Rito, ma una musica che “entra” nel Rito e di cui il Rito vuole servirsi. Quando abbiamo visto, seppur velocemente, la Messa, abbiamo visto le varie parti con anche le differenze che ci sono. L’atto penitenziale non è la stessa cosa di un Alleluja. Quindi un atto del Rito che mi fa fare un determinato gesto di fede, richiede una certa musica; un altro atto che può essere quello della acclamazione, richiede un altro tipo di musica. Quindi la musica che entra nel Rito vuol dire che devo riflettere, meditare, raccogliermi in me stesso, la musica dovrà aiutarmi a fare questo e dovrà farlo nel modo opportuno, non certo con una tarantella per esempio. Viceversa in un momento in cui il Rito mi chiede di esultare perché Gesù sta per parlarmi, ecco che in quel momento la musica può venirmi in aiuto evidenziando questo gesto interiore che io devo fare, ovviamente non con una ninna-nanna ma con qualcosa di vigoroso e deciso. Ecco come la musica sta entrando “dentro” il Rito e cioè “mettendo in musica il Rito”; questa è la svolta rispetto al passato perché prima del Concilio succedeva che quando c’era la musica, questa andava parallelamente, ma su piani diversi. Per esempio la Schola Cantorum eseguiva tutto il “Sanctus” ma il prete non stava lì ad aspettare che il Sanctus fosse finito, si girava e continuava sottovoce e in latino, la preghiera Eucaristica, andando avanti. Quindi c’erano alcuni punti di contatto, grosso modo, ma globalmente la musica non era dentro ma a fianco del rito. Questo è un passaggio importante perché qui la musica diventa una parte necessaria ed integrante del Rito, che ha il lato positivo ed anche quello meno positivo perché il lato positivo è certamente una nuova dignità della musica che non è più solo ornamento ma diventa “parte”, quindi acquista una nuova dignità. Il lato meno positivo è che adesso la musica non fa più quello che vuole perché nel momento che la musica entra nel Rito e il Rito ha a che fare con una assemblea, la musica non può più fare quello che vuole ma deve fare quello che vuole il Rito. In questo senso quindi c’è una limitazione di campo; il non poter fare ciò che si vuole è quello che molti maestri e direttori non hanno mai digerito tanto. Vedendolo umanamente è facile cadere nella tentazione di trasformare la celebrazione in un teatrino in cui si eseguono delle cose e in cui ci si mette in mostra, in cui si fa una prestazione. Chi lavora nel canto e nella musica deve farsi un triplo vaccino contro questo virus del protagonismo, del narcisismo, del come sono bravo a dirigere o a cantare. Tutto questo, per chi non si mette nell’ottica di servire la Liturgia diventa una limitazione perché non posso far vedere quanto sono bravo o quanto è bravo il mio coro. “Parte necessaria ed integrante” ha quindi una immensa dignità; il cambiamento che c’è stato è lo scendere dalla funzione di solo ornamento o sfondo e mettersi al lavoro e dare frutto, dare un contributo importante alla Liturgia, molto di più di quello che dà ascoltare qualcosa di bello in sottofondo. Il compito ministeriale è un termine nuovo che aveva già iniziato San Pio X, è la stessa cosa detta fino adesso, detta solo con termini più importanti dal punto di vista liturgico. I ministeri della Liturgia, come anche nella vita della Chiesa, sono degli aspetti importanti perché sono un servizio per far funzionare delle cose affinché queste cose siano efficaci. Quindi anche la musica viene annoverata fra le cose che hanno un compito ministeriale. Poi in questo ultimo paragrafo vediamo come la musica viene spiegata nella sua importanza. Viene detto che la musica è importante perché unita alla azione liturgica. Qui può anche essere letto “purché sia unita alla azione liturgica” ossia, come detto prima, è importante perché manifesta meglio l’azione liturgica. Esprime più dolcemente le preghiera, favorisce l’unità. Vedremo questi effetti anche aggiungendo quello di “maggior solennità”. E’ abbastanza evidente che la musica aumenta questo aspetto di solennità anche se la solennità, per il Concilio Vaticano II, è un po’ diversa dal concetto di “effetti speciali”. Riprendiamo questi aspetti: - unendo più dolcemente la preghiera - favorendo l’unanimità - e arricchendo di maggior solennità i Riti sacri Queste frasi proviamo a tradurle in una serie di incrementi, di aumenti che vengono dati proprio dalla musica. Vuol dire che la musica: - aumenta la partecipazione personale - aumenta la partecipazione comunitaria - e aumenta l’espressione Qui vediamo che la musica dà un incremento, una aggiunta, un valore in più. Questi sono tre effetti che sono molto importanti. Cominciamo con l’espressione. L’espressione viene aumentata perché quando dico una cosa parlando la dico in un modo, cantando la dico in un altro, ha un’altro spessore, un altro peso. Quando parlo uso un tono di voce; quando ho bisogno di aumentare la decisione in quello che dico, scatto nella musica. Denotare che noi, quando parliamo, usiamo già la musica, solo che la usiamo in un modo indefinito. Chi è monotono, cantilenoso la usa pochissimo perché parla sempre con un tono tutto uguale. Ma se noi parliamo normalmente, usiamo un andamento melodico nel parlare; quindi già di fatto, quando io parlo agisco sulla melodia, perché se voglio dare più attenzione aumento il volume. Quindi nel parlare usiamo questo linguaggio pseudo-musicale; è chiaro allora che quando si passa alla musica si vuole esprimere qualcosa di più. Dunque l’aumento di espressione è proprio perché quella stessa cosa che io posso dire parlando, so che se voglio darle importanza, la posso dire cantando. Perché qui c’è l’esempio della Dossologia finale? Perché questa è la Dossologia che è alla fine della grande preghiera Eucaristica. Quando abbiamo guardato la Messa nelle sue parti, abbiamo sottolineato che la grande preghiera Eucaristica contiene una sorta di “trattato di alleanza”, infatti quando si parla della Consacrazione si parla della “nuova ed eterna alleanza”. Ebbene: questa grande preghiera che ha dentro di sé tante cose importanti, si conclude con “per Cristo, con Cristo…..per tutti i secoli dei secoli. Amen” Quell’Amen ha una importanza fortissima perché è come la firma messa in questo trattato, in questa alleanza che Dio ci offre e che noi controfirmiamo; come dire “ci sto”, “anche oggi rinnovo la mia scelta di accogliere la tua alleanza, la tua amicizia, il dono della fede, il vivere la fede. Questo amen ha quindi un compito importante; non è però l’unico amen che c’è nella Messa, esempio alla fine delle varie Orazioni. Che cosa posso fare io per rendere questo Amen importante? Non ho altro sistema che metterci la musica perché altrimenti rischia di essere un Amen come tutti gli altri, un bisillabo che se ne va proprio in un amen, come si usa dire. Quindi per dargli questa importanza ci metto delle note sopra. Il cantare l’Amen alla fine del “per Cristo..” è proprio per dire: “attenzione, questo Amen non è come tutti gli altri, è più importante, ci riassume tante cose che sono state dette nella preghiera eucaristica: l’invocazione dello Spirito Santo, l’offerta, il memoriale. Tante cose che sono importanti ma che mi coinvolgono anche personalmente perché sono “io” che riconosco, in quel memoriale, Gesù Cristo che mi salva, ed a questo dico “Amen”. Quindi questo Amen è importante per tante cose e per renderlo importante lo cantiamo; quando usiamo il canto è proprio perché vogliamo dire “di più” quello che dobbiamo dire. Non “di più” di quello che dobbiamo dire, ma dire “meglio” e “più forte”, “più intensamente” ciò che stiamo dicendo. La Chiesa coglie che il canto ci fa fare un moto interiore in cui siamo sollecitati ad essere ancora più convinti di quello che facciamo. Il dire le cose con una maggiore espressione significa essere più convinti nella propria scelta e appartenenza. Dire di più vuole anche dire “sentire” di più questi contenuti che mi riguardano. Questo è il primo aspetto, l’incremento della espressione. L’altro aumento, contributo che ci dà il canto è quello di una partecipazione personale più forte. Partecipazione si può anche dire “coinvolgimento”personale. Significa che quando io canto sono più coinvolto in tutta la mia persona. Questo è il richiamo che fa vedere che il canto non è poi così facoltativo; un richiamo che ci dice ad esempio che un Alleluja comporta un certo stile, un certo atteggiamento che fuori dal canto è molto difficile da raggiungere. Nelle Messe feriali del tempo pasquale l’Antifona al Salmo è “Alleluja, Alleluja, Alleluja”. In questo caso la massa abbassa ancora di più il livello, con la discordanza che il letture proclama Alleluja, Alleluja, Alleluja a cui tutti rispondono Alleluja, Alleluja, Alleluja con tono ancorpiù sommesso, non certo di esultanza e di festa. Questo perché se la “dico” rischio tantissimo di perdere il significato. Il richiamo che ci fa il Messale è di dire: ”attenzione che questa cosa, se non la cantate, rischiate grosso, rischiate di farla diventare il contrario di quello che vuole essere: invece che una esultanza, quasi una lamentazione. E’ chiaro poi che non basta metterci due note, occorre mettere delle note che abbiano un certo vigore, che siano note che mi fanno esultare, perché se io ci metto sotto delle note da ninnananna o da lagna, non fanno certamente esultare di più. Perché aumenta la partecipazione personale? Perché è facilmente dimostrabile che quando noi parliamo usiamo i muscoli facciali, tutti i muscoli motori della faccia. Quindi abbiamo un coinvolgimento tutto sommato più cerebrale del nostro corpo. Quando cantiamo, invece, siamo coinvolti con tutto il corpo, non ci basta la testa; prova ne sia che quando sentiamo un ritmo battiamo il piede, dondoliamo, ci mettiamo magari anche a ballare. Questo perché la musica entra non solo nella testa ma coinvolge tutto il corpo. Quando si fanno gli esercizi di vocalità si impara a gestire il suono e ad impostare una vocalità corretta. La vocalità corretta è quella che sfrutta le risonanze della faccia, le cavità facciali che hanno, per natura propria, un compito di cassa di risonanza, servono per dare un volume al suono. Quando il suono, invece che nelle cavità facciali, nasce nella gola, non c’è la sonorità perché esce privo di tutte quelle armoniche che compongono la bellezza del suono, vengono tagliate via. Allora lavorare sulla vocalità vuol dire prendere la voce dalla gola e portarla alle cavità facciali; e questa è una cosa che si fa fisicamente, faccio suonare la voce in un altro luogo. La vibrazione prodotta dal canto non è solo quella del parlato, è una vibrazione più ampia che coinvolge tutta la nostra persona. Se ci coinvolge in tutta la nostra persona vuol dire che ci coinvolge nella nostra integralità, nella nostra vita; quindi il cantare vuol dire che ciò che faccio non lo faccio solo con la testa o solo a livello intellettuale ma lo faccio anche con affetto, con la mia libertà, con la mia progettualità; cose che sono tutte nella mia persona. L’incremento di questa partecipazione ha un altro aspetto molto importante per la Liturgia perché vuol dire che quando io canto qualcosa che ha un contenuto di fede, questo non è semplicemente un aspetto intellettuale, non sto recitando un paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma sto cantando qualcosa che tocca e riguarda la mia vita. E’ proprio questa partecipazione personale che è stimolata dal canto; questo fare mio il contenuto di fede e trasformarlo in esistenza e questo mi è dato dalla esperienza del cantare dei contenuti che quindi non sono più semplicemente un testo e basta ma diventano un testo che mi riguarda, che mi coinvolge, che mi convince. Quindi questo incremento di partecipazione è un altro aspetto importante. Abbiamo visto l’incremento della espressione: il canto ci fa dire di più e meglio la nostra fede. Ora abbiamo visto che il canto ci coinvolge personalmente e quindi ci tocca nei contenuti per tutto quello che riguarda la nostra vita, non solo il nostro sapere intellettuale perché ci risveglia quel coinvolgimento interiore personale. L’ultimo incremento che dà il canto è quello della partecipazione comunitaria. Parlando del canto di ingresso, abbiamo già visto le indicazioni per il Rito che vengono date dal Messale circa la funzione che ha il canto di ingresso; ed è interessante vedere come i 4 punti che sono lì messi in ordine, non sono secondo l’ordine che noi solitamente pensiamo. Infatti dopo quello di dare inizio alla celebrazione noi ci aspetteremmo che la prima funzione del canto di ingresso sia quello di mostrarci il mistero del tempo liturgico o della festività cioè di farci già cantare subito i contenuti del vangelo e i contenuti della festa liturgica. Quante volte noi mettiamo, come canto di ingresso, un canto che va d’accordo con il Vangelo, con la Parola di Dio. Questo non è sbagliato ma non è nemmeno giusto perché la seconda funzione non è quella tematica ma è quella ecclesiale, è quella di far cantare insieme delle persone favorendo così la loro unanimità, il loro sentirsi uniti. Questo è sconvolgente per quel che riguarda il nostro modo di decidere i canti. Questa indicazione ci fa capire che lo scopo dei canti, prima di tutto, è quello di farci cantare insieme; quindi non importa che il canto sia perfettamente in tema col Vangelo, l’importante è che sia in tema col tempo liturgico: non facciamo un canto di Avvento in Quaresima e viceversa. E’ quindi importante che il canto sia con il tempo liturgico ma non importa che sia proprio sul Vangelo di quel giorno anche perché è invece dopo la Comunione che va fatto il canto inerente al Vangelo e non qui. Noi generalmente facciamo l’opposto, molto spesso si fa il canto di ingresso in tema col Vangelo e quando siamo dopo la Comunione andiamo a cercare i cosiddetti canti “pentualistici??????????????”, quelli cioè che ci parlano dell’Eucarestia, del Pane, del vino del Corpo, Sangue. Invece il Messale ci dà un’altra indicazione. Una intuizione fortissima della Chiesa è quella che l’unione dei fedeli si realizza proprio attraverso il canto; la Chiesa capisce che cantando insieme ci si forma come comunità, si forma di più l’aspetto comunionale, ecclesiale. Questo è anche facile da dimostrare perché ci accorgiamo tutti che nella Messa ci sono delle parti che noi diciamo insieme ma che non le diciamo insieme. Col Padre nostro pigliamo diverse velocità, in altre parti è ancora più evidente: “Il Signore riceva dalle tue mani questo Sacrificio …” sentirete come nella assemblea ci sono più velocità. Perché questo? Questo succede perché quando noi parliamo non ci preoccupiamo di andare insieme agli altri, a meno di avere una grande sensibilità, perché sto dicendo una cosa e quindi la dico alla velocità che voglio, non sono obbligata a dirla con un certo ritmo e con gli altri, al limite mi limito a dirlo col mio vicino. Questo è segno che quando noi parliamo, il desiderio, l’attenzione di arrivare insieme agli altri non sempre c’è. Viceversa quando cantiamo c’è perché non possiamo sognarci di cantare al ritmo che vogliamo e con la tonalità che vogliamo, una volta capito il ritmo e la tonalità trainante li seguiamo. Cosa vuol dire questo nel nostro inconscio, anche se noi non ce ne rendiamo conto? Significa che quando io canto, senza accorgermi, io mi metto in relazione con gli altri, io mi metto in ascolto degli altri, mi accorgo che ci sono gli altri quindi prendo atto che non sono da solo ma sono insieme ad altri e mentre sono con questi altri io li ascolto e vado con loro, mi adeguo al ritmo e alla tonalità. Questo vuole dire che sto facendo, col canto, un atto di orazione che prima, col parlato, non è detto che io facessi; il canto mi spinge, quasi mi obbliga ad accorgermi che ci sono gli altri intorno a me e che io devo andare insieme agli altri. Questo significa il passare da una esperienza puramente individuale, ad una esperienza comunitaria; il fatto di rendermi conto che ci sono gli altri, mi fa passare quell’insieme di individui radunati in Chiesa, li fa diventare una comunità che celebra. Una comunità che scaturisce dal prendere coscienza che siamo qui, condividendo la stessa fede, per celebrare il Mistero cristiano, alla presenza del Signore. Questo primo gesto che si fa nella Liturgia, che non è il segno di croce ma è il canto di ingresso, vedete come ha una importanza fortissima proprio nel creare quello che è un elemento fondamentale, insieme alla presenza di Cristo, per creare l’elemento della Chiesa che celebra. Viene quindi favorito il senso comunitario; questo accrescimento è molto importante ed è dovuto al canto e alla musica. Anche nella vita quotidiana noi facciamo questa esperienza: in una bella compagnia, dopo una bella cena, se c’è qualche strumento e a volte anche senza esso, spesso si finisce per cantare. Il cantare è sempre stato una conseguenza anche dello stare bene insieme. La Chiesa ci fa fare la stessa cosa ma col percorso inverso: ci fa cantare insieme per prendere coscienza che siamo insieme e magari stare anche bene insieme. Il cantare per aprire i canali delle nostre relazioni verso gli altri significa proprio il vivere la dimensione della comunione. Anche qui, in questo senso, vediamo come la Chiesa, in modo molto attento, dà molta importanza al canto perché il favorire tutto ciò che ci fa essere Chiesa è importante. Attenzione che la condizione è “il cantare insieme”, non si diventa più uniti ascoltando “insieme” qualcuno che canta perché quello che mi fa fare uno scatto importante nel mio inconscio è il dovere adeguare la mia voce, il mio canto, a quello degli altri. Questo magari facendo una forzatura perché da solo avrei usato magari una altra tonalità e un altro ritmo, mi sto adeguando, forzando la mia persona, perché c’è un valore più importante del cantare che è quello dello stare insieme. Tutto questo è prodotto dal canto che fa fare questa esperienza comunitaria. Quindi per la Chiesa il cantare nella liturgia è importantissimo perché ci fa dire meglio la nostra fede, ce lo fa dire con una convinzione che coinvolge di più tutta la nostra persona, e poi anche questo aspetto comunitario che è quello di vivere una fede ecclesiale. Noi cristiani non viviamo una fede da navigatori solitari ma viviamo una esperienza sia personale sia comunitaria. 1:04 Iniziamo ora il capitolo che ci porta alla scelta dei canti, i criteri con cui li scegliamo. Cominciamo col prendere coscienza che i canti cosiddetti religiosi hanno una variegata tipologia; vuol dire che non ci basta che abbia un contenuto inerente alla religione, ma dobbiamo anche vedere il tipo di canto. Ci spieghiamo meglio cominciando con i canti per l’animazione. I Canti per l’animazione sono canti che possono anche avere un contenuto religioso ma che noi possiamo usare per l’animazione dei gruppi, scouts, i cerchi intorno al fuoco. Questi canti hanno certamente un contenuto religioso però possiamo chiederci se questo tipo di canti li possiamo mettere nella Liturgia; dobbiamo identificarli come canti che servono per fare animazione, per stare bene insieme. Questo è un livello che ovviamente molto basso dal punto di vista di un canto impegnativo, non è richiesto a questi canti di essere un trattato di teologia e anche di avere delle musiche molto raffinate. Questo è il livello più elementare. Il livello superiore è quello del cantico alla catechesi. I canti della catechesi possono avere sicuramente dei contenuti inerenti alla religione, ma spesso si presentano come dei testi di una certa facilità o superficialità. Infatti essi sono fatti per la catechesi e questa non la si fa solitamente a livello universitario ma si fa a livello infantile e adolescenziale quindi questi testi devono aiutare queste persone che sono lì a fare un cammino di fede, a costruire proprio questa fede. Sono canti in genere più descrittivi e narrativi e spesso sono in prospettiva individuale nel senso di raccontare la mia esperienza di fede. Nei canto descrittivi c’è uno stile molto semplice che non ha una pretesa di farci andare oltre il testo. Qui bisogna fare attenzione perché se si lascia la animazione liturgica in mano a chi ha solo una formazione catechistica, si rischia di fare dei disastri perché sono canti che vanno bene per la catechesi ma messi nella Messa no, la Messa richiede qualcosa di più. Qui in mezzo ci sono quei canti che possono anche avere degli ottimi testi o nello stile evocativo-simbolico o descrittivo-narrativo, ma di fatto, per la questione musicale, sono impraticabili da parte di una assemblea o da un coro normale. Vi sono allora dei canti che riserviamo a delle esperienze particolari: concerti, recital, musical, esperienze quindi di solo ascolto. Anche questi non sono adatti alla assemblea che deve cantare canti che conosce e per di più semplici. Il coro dovrà quindi trovare un altro spazio per esibirsi in canti particolarmente elaborati. Spesso sono canti anche belli con meditazioni sulle leggi della vita, anche senza avere il testo liturgico nel senso di rivolgersi a Dio. Sono canti che possono farmi riflettere ma non sono canti che mi fanno rivolgere a Dio. Il livello superiore è quello dei canti per la Liturgia Qui è richiesto non solo uno stile descrittivo-narrativo individuale come era nella catechesi; qui è richiesta il testo evocativo, che vuole dire che mi fa andare oltre le parole; il testo mi fa andare oltre se stesso, questa è la capacità dei testi simbolici. Questi ovviamente richiedono un background di conoscenza come di fatto richiede anche la Liturgia. Vi è tutta una serie di linguaggi simbolici non solo nei canti ma anche in altri gesti e momenti che devono presupporre un certo bagaglio ci fede e di conoscenza biblica. Un altro aspetto importante di questo stile di canti della Liturgia è lo stile ecclesiale dove non si canta prevalentemente la mia esperienza di fede, ma si canta l’esperienza di fede della Chiesa. Nella Liturgia ci si pone non con un atteggiamento soggettivo individualistico ed anche un po’ narcisistico, ma quando ci si raduna nella Liturgia si ha una visione unitaria e quindi non si canta l’esperienza nostra della fede ma si canta l’esperienza della fede della Chiesa che, attraverso i secoli, giunge fino a noi e noi ci inseriamo in questo fiume di grazia. Queste differenze ci fanno notare come noi ci troveremo sempre davanti a dei prodotti musicali religiosi di vario tipo, non tutto è fatto per la Liturgia. Possiamo anche scegliere un senso discendente: ci sono dei canti per la Liturgia che si posso anche usare per l’animazione o per la catechesi, ma non sempre possiamo fare il percorso da sotto a sopra per non perdere del materiale, non tutto ha i requisiti per essere portato nella Liturgia. Spero che sia chiaro che la Liturgia, come la stiamo approfondendo è qualcosa di grande. Anche solo pensando che, oltre alla azione della Chiesa, c’è la presenza forte e l’azione di Cristo, anche come garanzia di una efficacia maggiore; tutto questo, poco per volta ci porti alla consapevolezza che la Liturgia è ben di più di quello che noi vediamo, per questo cerchiamo di dare molta dignità alle cose. Questo non vuol dire che la Liturgia sia triste, seriosa e disumanizzata, perché essa prevede anche degli spazi molto umani, degli spazi in cui si sta bene insieme ogni cosa deve essere al suo posto. Che tutta la Liturgia sia un segno di pace non è giusto però è importante che quando c’è il segno di pace, questo sia fatto bene anche umanamente parlando, guardandosi negli occhi, stringendosi la mano, facendo un sorriso non di plastica. Vi sono anche gli spazi affinché la Liturgia sia una autentica esperienza umana, ma non dimentichiamo che dobbiamo recuperare molto sotto questo aspetto della Liturgia che ci fa fare una esperienza quasi trascendentale, che ci fa andare oltre quelle che sono le esperienze di ogni giorno. Una esperienza che ci fa fare un contatto con l’infinito. Vediamo un altro aspetto importante già accennato da Don Guido. Quando si pensa al canto e alla musica attenzione a tenere davanti i due riferimenti: - il Rito e - l’Assemblea che celebra Il Rito che si celebra vuol dire per esempio la Messa. E nella Messa vi sono diversi momenti quindi diversi segmenti del Rito; una parte mi fa fare una cosa l’altro un’altra: un momento sono in ascolto, un momento esulto, un momento sono in riflessione. Tutto questo insieme sono il Rito e il canto e la musica sono al servizio di tutti questi segmenti; questo vuol dire che quando devo programmare un Sanctus, un Alleluja o un Gloria, devo sapere che sono elementi che stanno in quel certo punto, che hanno quella funzione, che hanno quello stile e quindi dovrò cercare i prodotti musicali adatti a quello specifico momento. Attenzione poi alla assemblea che celebra. Il Rito non è una cosa astratta, uguale per tutti, fissata a tavolino e va bene a tutti. L’assemblea è quella che è presente e bisogna quindi prevedere che quel certo giorno a quella data ora è più o meno composta così. Quindi scelgo i canti non solo in base al rito ma con l’assemblea che celebra quel Rito. Certo che devo fare attenzione, ad esempio in quaresima, a fare un atto penitenziale più marcato e quindi cantato, però dovrò tenere conto che questo atto penitenziale deve andare bene a tutte le fasce di età. Altrimenti in una Messa ne farò uno e nell’altra Messa ne farò un altro. Oppure in una messa farò un atto penitenziale più libero e nell’altra Messa farò lo stesso ma più ritmico. Quindi questa è l’attenzione alla assemblea, non c’è solo il criterio del Rito, l’attenzione storicooggettiva di quelle persone lì che celebrano, a cosa sanno e possono fare quelle persone lì. “Oggi sarebbe bello fare questo canto, sarebbe adatto, però a questa Messa lo sanno e a quella dopo no: quindi a questa lo facciamo e all’altra no”. Se l’assemblea non lo conosce, non posso fare un canto anche se oggi è il più adatto che il repertorio offre. E’ chiaro che certi canti devo insegnarli alla assemblea, es un Sanctus, un Alleluja; si può applicare la tecnica dell’insegnamento graduale. Non va bene partire con un Sanctus nuovo che sa solo il coro. Come minimo, 5 minuto prima della Messa, anche solo con i presenti, lo si prova ad insegnare. Per i canti es. di ingresso di comunione, può essere una forma di strategia per insegnare i canti, cominciare a farli sentire, ma non nel loro posto. I posti dove l’assemblea non deve cantare sono principalmente l’Offertorio e durante la Comunione dove il coro se canta, canta da solo. Sarà in questi momenti che inizierò a far sentire i canti. Quando lo dovrò fare al posto giusto l’assemblea lo avrà già nell’orecchio. Anche queste strategie ci fanno capire come anche qui la preoccupazione è: “facciamo in modo che la assemblea canti” . Quindi è fondamentale: attenzione al Rito presuppone la conoscenza del Rito affinché questo sia servito bene; poi attenzione alla assemblea che celebra. “La dignità di essere una manifestazione di Cristo e della Chiesa” Ecco perché l’assemblea è ben di più dell’insieme degli individui che sono presenti. “Manifestazione di Cristo” perché la prima cosa che si dice: “Il Signore sia con voi” è proprio per ricordarci che l’essere radunati lì mette in atto la parola di Dio: “Dove due o più sono radunati nel mio Nome Io sono in mezzo a loro”, Questa è la realtà immensa che ci fa balbettare, che ci fa rimanere sbalorditi: è il fatto di essere membra del Corpo di Cristo. L’assemblea è quindi molto di più che l’insieme delle persone presenti; allo stesso tempo è anche la manifestazione di tutta la Chiesa, tutta la Chiesa è radunata lì, quando si prega: “per la Chiesa radunata su tutta la terra e qui convocata”. Questo vuol dire che l’assemblea qui convocata sta rappresentando, quasi riassumendo tutta la Chiesa, tutta la Chiesa è qui in questa assemblea celebrante. L’assemblea è quindi chiamata ad avere una partecipazione attiva, non può essere più come prima del Concilio dove era solo spettatore o al massimo si attivava con la preghiera personale, magari dicendo il Rosario o altre pratiche di pietà. E’ una partecipazione che deve essere coinvolta in tutto quello che avviene. L’importante è prendere atto che l’assemblea è eterogenea ed è questa la situazione normale delle Liturgie; questo da una parte complica le cose, ma dall’altra le rende anche più affascinanti e più autentiche. Complica le cose perché è molto più facile, 30 o 40 anni fa, quando c’era la Messa dei bambini, la Messa dei giovani, la Messa delle donne, la Pasqua degli uomini ; ognuno doveva andare nella sua categoria, erano tutti ben incasellati. Oggi non è più così ed anche se c’è a volte la categoria, questa non è più assoluta. C’è però anche il lato positivo che è quello della autenticità perché il mondo è fatto così, non è fatto a scomparti omogenei, c’è di tutto e quindi è giusto che nella assemblea ci sia dai bambini fino agli anziani. Questo porta qualche problema perché per animare una celebrazione dove c’è un po’ di tutto diventa più difficile, bisogna mettere in atto alcune strategie. Per esempio a volte si fa la liturgia della parola da un’altra parte per i fanciulli e ragazzi che poi rientrano nella Messa all’Offertorio proprio per andare incontro a questa eterogeneità senza penalizzare nessuno e cercando di andare incontro a tutti. Quando c’è una media di fanciulli del 30%, è un problema anche per noi preti; a chi ci rivolgiamo? Se ci rivolgiamo al 30% magari facciamo tenerezza e commozione tra i presenti però ci sono gli adulti che dopo un po’ desiderano essere in una Messa da adulti. Se, per contro parlo solo agli adulti dopo un po’ i bambini si annoiano ed iniziano a fare la tarantella. Questa situazione si risolve dando un contentino a tutti. Il Rito della Messa dei fanciulli dice che la Liturgia della parola può essere fatta a parte quindi, di solito, si fa l’inizio fino alla Orazione, tutti insieme. Quando ci si siede per le letture, in quel momento i bambini si spostano magari accompagnati da un canto o anche solo da musica per il tempo dello spostamento, dove ci sarà un catechista che farà loro la spiegazione del Vangelo del giorno. L’appuntamento che si dà è alla fine della Liturgia della Parola quindi, finita la Preghiera dei fedeli, quando partono i cestini, quello è il momento per la ricongiunzione prima dell’Offertorio. Anche per questo che non conviene cantare con l’assemblea in quel momento. Con i bambini non è detto che si debba fare tutta la Liturgia della parola, si può fare solo l’essenziale, importante che si faccia almeno un brano, possibilmente il Vangelo; se questo fosse particolarmente lungo si può prenderne solo una parte. Segue una piccola spiegazione e deve inoltre esserci l’aspetto della preghiera, occorre insegnare ai bambini che dopo aver meditato bisogna rivolgersi a Dio per benedirlo e ringraziarlo. Tutto questo conviene farlo anche se i bimbi non sono solo una decina. Le Messe sono sempre più eterogenee però più sono le Messe e più decade la qualità per cui finisce per esserci la Messa di serie A e quella di serie B. La Messa unica, invece, permette di aumentare la qualità e anche la ministerialità. Chiudiamo con un aspetto importante che è quello della musica che è una parte integrante della Liturgia. Una famosa frase in un documento dei Vescovi del 1970 dice: “Una assemblea qualificata preferirà sempre cantare la Messa prima che cantare nella Messa”. Cantare la Messa vuol dire mettere la musica in quelle parti del Rito, quindi far esplodere i testi del Rito in tutte le loro potenzialità; questo è il compito nuovo che ha la musica, non solo quello di riempire i buchi. Vedremo in seguito come si valuta un canto. Gli addetti ai canti devono fare un discernimento su che canto usare per non usare le solite logiche consumistiche: “questo è un canto appena uscito, facciamolo perché mi piace”, chi ha la responsabilità di animare il canto e la musica deve avere un atteggiamento più serio. ISTITUTO DIOCESANO DI MUSICA E LITURGIA - TORINO IL CANTO E LA MUSICA NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA in PRINCÌPI E NORME PER L'USO DEL MESSALE ROMANO SI DEVE! Scegliere tra le diverse possibilità (5, 313ab, 324) Dare importanza al canto delle parti presidenziali (12) Rispettare il silenzio (23) Dare importanza al canto (19b) Partecipare attraverso le risposte e il canto (15, 16, 17) Eseguire il Canto d'ingresso (25, 83) Cantare l'Alleluia (37a, 38a, 39) Fare il canto di "offertorio" durante la presentaz. dei doni (50) Terminare il canto all"'offertorio" alla deposizione dei doni (26,50) Cantare o dire il Santo da tutti (55b, 108, 168) Acclamare tutti al termine della Preghiera eucaristica (55h) Cantare o dire l'Agnello ...[almeno il Rit.] da tutti (56e, 113, P7) Iniziare il canto di com. mentre chi presiede si comunica (56i, 119) Interessare tutti gli addetti nel preparare la celebrazione (73, 113b) Collocare il coro così da favorire la sua partecipazione (257) Collocare gli strumentisti così da favorire la loro partecipaz. (275) Ritenere il coro parte dell 'assemblea (274) Riservare l'ambone a letture, salmo, preconio pasquale (272) Scegliere i canti con i criteri: dottrinale, musicale, liturgico (P 13a) Scegliere i canti tra quelli approvati (P 2a) Curare la diffusione sonora (P 13b) Segnalare un repertorio diocesano [o regionale] (P 13b) È MEGLIO... Cantare come segno di attesa gioiosa (19a) Dare importanza al canto delle parti proprie (19b) Conoscere e cantare canti latini universali (19b) Cantare il salmo responsoriale (36,38,39; 90; cf Intr. al Lezion. 20) Recitare il Padre nostro (110,111,192) Provvedere alla presenza di un coro guida (63,64) Guidare il canto del popolo (64) Tener conto dei testi antifonali (P 2b) SI PUÒ... Cantare dove è scritto «dire» o «proclamare» (18) Omettere l'Alleluia se non lo si canta (39) Omettere, nella feria, o il Salmo o l'Alleluia (36a) Usare i Salmi e Ritornelli «comuni» (36, cf Notiz. CEI 20/2/1979) Cantare il Salmo responsoriale da altro luogo adatto (36) Usare l' ambone anche per l'omelia e la preghiera universale (272) Cantare il Credo (44) Cantare il Padre nostro e Tuo è il regno (56a) Fare il canto di comunione (56i) Fare un canto dopo la comunione (56j) Usare canti non inseriti nei libri liturgici, purché approvati (P 2a) Inserire canti dell'Ordinario o del Proprio in latino (P l2a) Usare altri strumenti oltre all'organo (P l3c) Usare musica registrata fuori della celebro [prima e dopo] (P 13) NON SI PUÒ... Inserire, in modo permanente, canti non approvati (P l3b) Usare musica registrata durante le celebrazioni (P l3c) NON SI DEVE! Cantare e/o suonare durante le parti presidenziali (12) Esagerare cantando tutto (19b) Sostituire il Salmo responsoriale con un altro canto (cf 36) Fare un canto finale (cf 57, 125) Usare l'ambone per commentare, cantare (272) Usare l'ambone per guidare il coro o l'assemblea (272) Improvvisare la celebrazione! (313c) Nei rimandi la lettera P indica le «Precisazioni della Conferenza Episcopale Italiana» riportate nella II edizione del Messale Romano (1983) LA LITURGIA Don Carlo Franco 5° INCONTRO – Sabato 21 Feb. 2009 – Parrocchia Santa Chiara – Collegno 1:01.915 Lascerò un altro foglio che fa un riassunto di tutte le cose che si dicono nella introduzione al Messale. Queste sono pagine che spiegano le varie parti della Messa e danno anche delle indicazioni sul canto. E’ stato suddiviso in: - ciò che si deve - ciò che è meglio - ciò che si può - ciò che non si può - ciò che non si deve Precisazioni della Conferenza Episcopale L’introduzione al Messale comprende anche quelle che sono le precisazioni della Conferenza Episcopale Italiana; questo perché il Messale è edito dalla Congregazione Vaticana quindi anche l’introduzione del Messale è pubblicata dalla Congregazione del Culto. Nella edizione italiana del 1983 i Vescovi hanno aggiunto delle precisazioni circa eventuali aspetti. Per esempio quando si deve stare in ginocchio, quando si deve stare in piedi e quando si deve stare seduti; da queste indicazioni poi dice “salvo casi particolari definiti dalle Conferenze Episcopali” e quindi la Conferenza Episcopale, anche su questo punto, ha fatto delle precisazioni. Riguardo a questo foglio faccio notare alcune cose, per esempio quando si dice:”si può usare Salmi e ritornelli comuni” cioè anche se non sono quelli scritti nel Lezionario del giorno, tenendo conto però di quello che dice prima: “è meglio cantare il Salmo Responsoriale”. E’ meglio cantarlo rispetto al dirlo. Poi per esempio dice: “si può cantare il Padre Nostro” e anche l’acclamazione “Tuo è il Regno”. Ci sono però tre punti nella Introduzione al Messale in cui si dice che si può recitare il Padre Nostro; da questo capiamo che il Messale preferisce recitare che non cantare il Padre Nostro. Vedremo come mai questo, c’è un motivo. Poi, nelle cose che si devono fare, si deve dire o cantare il Santo da parte di tutti e non solo dal coro. Si deve riservare l’Ambone solo per le letture, anche se da altre parti si dice che si può cantare il salmo da un altro luogo adatto. Si può usare l’Ambone anche per l’Omelia e la Preghiera Universale perché l’Omelia puo essere fatta alla Sede di Presidenza o all’Ambone mentre la Preghiera Universale può essere fatta all’Ambone o anche in un altro posto. Non si può usare l’Ambone per commentare, per cantare, per guidare il coro o l’assemblea, per dare avvisi, va riservato per le Letture. Non si può inserire in modo permanente canti non approvati, non si può usare musica registrata durante le celebrazioni come le basi midi; può essere usata fuori dalla celebrazione, per la preparazione dell’assemblea: “Si tenga presente, come norma, che il canto liturgico è espressione della viva voce di quel determinato popolo di Dio che è radunato in preghiera. E’ vero però che bisognerebbe fare delle eccezione come nel caso delle sepolture e dei matrimoni, anche se non per tutta la celebrazione ma anche solo all’ingresso e al congedo. E’ comunque sempre conveniente un saggio uso della musica registrata tenendo anche conto che tante volte è meglio di niente. Ormai anche nelle Messe domenicali si vanno diffondendo queste basi midi dei canti liturgici che si eseguono con una semplice tastiera; anche gli stessi organi liturgici attuali hanno le connessioni midi per poter suonare da soli con queste basi. Il lato negativo è che ci si rassegna a non avere delle persone che fanno delle cose ma delle macchine. Quando c’è un organista, questi è un accompagnatore, se l’assemblea rallenta anche l’organista rallenta: la macchina invece diventa quella che comanda quindi è l’assemblea che se ha voglia deve seguire la macchina, è un capovolgimento della situazione. In casi particolari può andare bene ma se si usa sempre è un abbassare il livello: dopo di questo viene la videocassetta con la Messa. Tutte queste indicazioni sono su un numero delle precisazioni della CEI, ve ne leggo una parte interessante: “Nella scelta e nell’uso degli altri canti si tenga presente che essi devono essere degni della loro adozione nella Liturgia e sia per la sicurezza nel contenuto testuale”. Ci vuole poi una attenzione alla musica e alla sua qualità. Poi “per la loro opportuna collocazione nei vari momenti celebrativi secondo i tempi liturgici” quindi dei canti che siano effettivamente utili alla celebrazione, al Rito che noi facciamo. “Non si riproduca in modo permanente alcun testo, nelle celebrazioni liturgiche, senza previa autorizzazione della competente autorità”. Questa frase ci fa capire che i canti devono essere approvati cioè devono essere dei testi che hanno un riconoscimento da parte della autorità ecclesiastica. Il volume “Nella casa del Padre” ha le firme dei Vescovi di tutte le Diocesi del Piemonte; una commissione ha lavorato per 4 anni per la redazione di questo testo e i Vescovi controfirmano per approvare il lavoro affidato con determinati criteri . Cosa facciamo con i canti che non sono approvati? Dobbiamo fare solo i canti approvati? C’è un paragrafo che ci dà, anche se con cautela, questa possibilità dicendo: “non si introduca in modo permanente” che vuole dire ogni tanto, senza farne un uso esagerato, qualche canto non approvato si può inserire. La prudenza quindi ci dice di non prendere tutto e buttarlo nella Liturgia, ma avere buon senso, chiedersi se quel canto è adatto o no alla Liturgia, avere attenzione soprattutto al testo e dopo alla musica. Queste attenzioni richiedono delle competenze, ci sono quelle musicali, quelle teologiche, quelle liturgiche, quelle pastorali, quindi esaminare un canto non è poi una cosa così semplice; è anche un invito all’umiltà: andiamoci piano a prendere un canto qualsiasi ed usarlo nella Liturgia come se questa fosse un tritatutto. Un altro punto precisa: “Per l’esecuzione dei canti si impieghi con attenzione l’uso degli impianti di diffusione; per il sostegno strumentale si usi preferibilmente l’organo a canne o, con il consenso dell’Ordinario e sentita la Commissione di Liturgia musicante, altri strumenti che siano adatti al musicato o vi si possano adattare”. Cito un’altra precisazione interessante che dimostra quanto i Vescovi siano “arditi” nel dirci delle cose da fare. Quando si parla della frazione del Pane: “Poiché il segno della partecipazione all’unico Pane spezzato abbia chiara evidenza, è bene compiere il gesto della Frazione del Pane in modo veramente espressivo e visibile a tutti. Conviene quindi che il pane azzimo, confezionato nella forma tradizionale. Sia fatto in modo che il sacerdote possa davvero spezzare l’Ostia in più parti da distribuire almeno ad alcuni fedeli”. In altre parole dice che l’Ostia deve essere davvero spezzata in più parti, vi sono appunto le ostie più grosse proprio per fare sì che vi siano più parti da distribuire. Sappiamo che non è una cosa fondamentale perché Gesù è presente in tutte le Particole, però è anche vero che la cosa non è così indifferente tanto che a volte qualcuno viene a ringraziare di aver ricevuto proprio una parte dell’ostia grande. Significa che c’è anche un aspetto visivo, esteriore che ci tocca. Interessante è vedere che i Vescovi sottolineano che questo gesto deve essere fatto bene, perché tutti i segni fatti male, poi alla fine non dicono più niente. Il Cantare La Messa L'in-canto del rito della Messa [Preparazione] RITI DI INTRODUZIONE Processione di ingresso Segno di croce, saluto Atto penitenziale Gloria / Kyrie Colletta LITURGIA DELLA P AROLA [Introduzione all' ascolto] Acclamazioni alla Parola Salmo responsoriale Acclamazione al Vangelo Professione di fede Preghiera universale (o dei fedeli) LITURGIA EUCARISTICA PRESENTAZIONE DEI DONI PREGHIERA EUCARISTICA . [Dialogo al prefazio - Prefazio] . Santo [ - Racconto dell'istituzione] . Anamnesi . [Dossologia] - Amen RITI DI COMUNIONE . Padre nostro . Tuo è il regno . Rito della pace . Frazione del Pane . Processione alla Comunione . Dopo Comunione . Silenzio . [Orazione dopo la Comunione] RITI DI CONCLUSIONE [Eventuali avvisi e comunicazioni] Saluto - benedizione - congedo Uscita Vediamo tutte le possibilità che noi abbiamo per mettere della musica nella celebrazione Eucaristica. Nella scaletta precedente abbiamo tutti gli interventi nella Messa in cui può essere inserita della musica. Iniziamo con la Preparazione. Significa due cose. Una è l’insegnamento dei canti e la prova dei canti. La prova dei canti che si fa 5-10 minuti prima della Messa con le persone che ci sono, riguarda almeno le cose essenziali; questo vuol dire che a monte io devo fare attenzione di non mettere troppe cose nuove da provare, devo prevedere che non avrò molte possibilità di insegnare cose nuove. L’equilibrio nella programmazione deve tenere conto anche di questo: anche solo un ritornello al Salmo può essere provato prima della Celebrazione. Le prove del canto possono servire anche a scaldare la voce. Questo è in fondo il motivo più importante: provare i canti aiuta a creare un clima diverso nella assemblea. Generalmente entriamo in Chiesa con un registro mentale che ci fa chiudere in noi stessi, senza guardare cosa c’è intorno, chiuderci con il nostro Dio, ognuno per conto suo. Succede che l’assemblea è fatta di tanti individui che come lui aspettano che inizi la Messa. Abbiamo visto che il canto di ingresso avrà questo compito, ma per ora non c’è; allora può essere utile un intervento di un animatore che usa un linguaggio non liturgico. Questo a sua volta crea un clima diverso, toglie quel gelo della indifferenza e dell’anonimato in cui sono inevitabilmente le nostre assemblee quando si formano, le persone entrano da mille strade diverse, con mille problemi diversi, non sono in relazione tra loro. Fare un intervento diverso di tipo umano, normale “buon giorno, proviamo il canto …” crea un clima familiare tra i presenti che favorisce la Celebrazione. Questo è il motivo strategico per cui si fanno le prove dei canti, anche solo con la scusa di scaldare la voce, affinché la Messa non inizi proprio dal nulla ma iniziare con qualcosa che abbia già rotto il gelo. La prova dei canti deve essere studiata in un modo strategico: prima di insegnare dei canti conviene farli ascoltare nelle settimane precedenti, sfruttando determinati spazi della Celebrazione in cui possono essere fatti dei canti che l’assemblea non deve cantare: soprattutto la presentazione dei doni e durante la Comunione. Occorre poi insegnare un canto lungo con gradualità, magari prima solo il ritornello e poi aggiungere una strofa per volta. Inoltre la preparazione è un momento in cui si può inserire delle cose belle prima della celebrazione, al fine di creare il clima di accoglienza: si entra in una Chiesa e c’è qualcuno che sta cantando e magari anche bene. Lo stesso vale per gli interventi solo strumentali, entrare in Chiesa dove già c’è della musica è una accoglienza, una preparazione utile. I Riti di Introduzione Abbiamo già parlato delle funzioni che ha il Canto di Ingresso, soprattutto stupendoci che l’argomento non è il tema della Parola, ma è quello del cantare tutti. Quindi l’importanza che il canto di ingresso sia si in tema col tempo liturgico, ma abbastanza generico. Usciamo dalla idea che il canto di Ingresso deve essere l’anticipo del tema del Vangelo. Quello che deve fare questo canto è di coinvolgere una assemblea, farla cantare e cantare insieme. Le funzioni di questo canto sono: - dare inizio alla Celebrazione - favorire l’unanimità dei fedeli - accennare al tema del tempo liturgico - accompagnare la processione di ingresso L’importanza della processione di ingresso è quella di coinvolgere tutti, passare in mezzo per creare un’onda che dica: “ quello che facciamo adesso lo facciamo tutti, non solo io”. Dove non la si fa è chiaro che i tempi sono tremendamente corti, specie se il percorso dalla sacrestia all’altare è molto breve. Qui bisogna fare attenzione che il canto di ingresso supplisca a quello che non fa la processione di ingresso: - creare le relazioni - scaldarci il cuore - farci sentire comunità quindi deve essere non troppo corto ma farlo tutto o almeno diverse strofe, deve avere una certa corposità, tre strofe ci stanno tutte anche se alla seconda il Presbitero è già alla sede di presidenza. In questo tempo il volano viene messo in moto, bisogna scaldare il cuore, il motore. Il Segno di Croce e il Saluto volendo possono essere cantati anche se questo capita raramente. Sicuramente una parte cantata è l’atto penitenziale, nella parte che si può cantare. Qui le cose variano a seconda dei tempi liturgici. Quando entriamo in Quaresima non ci sarà più il Gloria, e invece l’atto penitenziale avrà un peso maggiore. Quindi in quaresima e nell’avvento l’atto penitenziale conviene cantarlo. Diversamente nei tempi forti gioiosi, Natale, Pasqua, l’atto penitenziale lo faremo in un modo molto più sobrio. Il Messale ci dà tre forme per l’atto penitenziale. -1°- Il Confesso, nella Messa postconciliare non è musicato -2°- “Pietà di noi Signore, contro di Te abbiamo peccato- Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza”. -3°- “Kyrie eleison” o “Signore pietà” preceduto da dei versetti. In queste ultime due le opportunità di cantare sono moltissime, occorre però inserire i versetti, cantati o recitati, opportuni andandoli a scegliere tra quelli più adeguati del tempo liturgico. Dopo abbiamo il Gloria e il Kyrie. Il Gloria è un elemento che noi chiamiamo “Inno di lode”, che a sua volta ha all’interno la sua supplica “…Tu che siedi alla destra del padre abbi pietà di noi…”. È comunque un inno detto Inno Angelico, che presenta alcuni problemi. Il problema principale è che, tranne che in Quaresima e nell’Avvento, viene fatto tutto l’anno e questo può far diventare pesante cantarlo o recitarlo sempre. Per evitare questo si possono usare due modalità di esecuzione. Nei tempi forti si può magari cantare tutto il Gloria. Nel tempo Ordinario, invece di andare nell’eccesso di recitare tutte le Domeniche il Gloria, si può magari fare il ritornello all’inizio e alla fine in modo che un po’ di musica ci sia e poi il resto recitato. Questo ci aiuta a spaccare e a differenziare un po’ i tempi liturgici, in modo che emergano come tempi molto solenni e forti quelli di Pasqua e Natale mentre invece quelli Ordinari hanno un profilo più basso rispetto ai tempi forti. Un’altra possibilità è quella di cantare tutti tutto il Gloria, però crea il problema che occorre conoscere tutti una musica molto lunga. Si preferisce usare un Gloria che abbia dei ritornelli i quali possono a loro volta essere scorporati ed usati nel tempo Ordinario come ritornello all’inizio e alla fine. Nel volume “Nella Casa del padre”, quando si parla del Gloria, c’è una annotazione, dopo aver letto tutte le possibilità, dice: “vedi anche, specialmente per la Messa con i fanciulli, i numeri 650 “Gloria a Dio e pace all’uomo” e 654 “Gloria e pace”. Questi due gloria non sono messi in mezzo ai Gloria perché il testo non è quello del Messale, è un testo un po’ diverso, parafrasato e modificato; ecco che la annotazione ci fa sapere che, specie nella Messa con i fanciulli, è prevista la possibilità di usare delle parafrasi cioè dei canti con il testo non perfettamente uguale a quello del Messale, ma anche un po’ modificato. La indicazione “specialmente vale per il motivo che se si conosce solo “Gloria a Dio, pace all’uomo”, per non cantare sempre il Gloria, si canti pure questo e non solo per i fanciulli. Per quello che riguarda il Kyrie, molto spesso non lo si fa perché sembra un po’ un doppione, soprattutto il Messale dice di non farlo se si è usata la terza forma dei versetti che precedono “Signore pietà, Cristo pietà”. Può essere utile, se si fa il Kyrie dopo “Dio onnipotente abbia misericordia di noi ….. ci conduca alla vita eterna. Amen” è meglio farlo in greco, per evidenziare che questo non è più un “Signore pietà” . Il Messale mette in relazione il Gloria insieme al Kyrie proprio come inno di gioia positivo che facciamo dopo l’atto penitenziale. Notate come ci stiamo scaldando un poco per volta: - abbiamo cantato - abbiamo riconosciuto che il Signore è presente e siamo radunato nel suo Nome - poi prendiamo coscienza di essere dei poveri esseri umani con l’atto penitenziale - subito dopo c’è la grande lode di Dio che, nonostante il nostro peccato, ci ama immensamente, ci convoca e ci riempie del suo amore Allora questo è il momento del Gloria o anche del Kyrie Eleison perché questo significa: “Donaci la tua Misericordia”. Quando si chiede misericordia si chiede molto di più del perdono, il perdono è una parte dell’amore, l’amore è più grande, quindi questa è una invocazione positiva del Kyrie Eleison. Avendo noi tradotto il Kyrie Eleison con Signore pietà, spesso associamo il Kyrie Eleison alla richiesta di perdono; questa è l’ambiguità in cui ci troviamo secondo la vecchia lingua. Se noi vogliamo restituire a questo Kyrie una connotazione molto positiva: “abbracciaci con la tua Misericordia” o “coprici con la tua Misericordia” dobbiamo diversificarlo dalle altre cose. Quindi certamente evitiamo il “Signore pietà” che ci fa pensare alla richiesta di perdono e usiamo la lingua greca lasciando così una connotazione diversa. Vediamo la Colletta. Viene successivamente ed è l’orazione che chiude tutti i Riti di Introduzione. La Colletta, volendo, può essere cantata, o anche solo l’Amen. E’ di solito però difficile che lo si canti, nelle nostre Liturgie. Finita la Colletta ci si siede ed inizia la Liturgia della Parola. La Introduzione all’ascolto è messa tra parentesi perché il Messale non la prevede, anche se la nuova edizione del Messale prevede che si faccia un silenzio anche prima della prima Lettura, per preparare all’ascolto. Questo è un momento delicato perché mettersi in ascolto richiede prima una condizione di silenzio e poi serve una condizione interiore di preparazione e di concentrazione. Qui si può anche usare la musica, facendo ritornelli semplici tipo: “Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio”, che siano brevi, da fare mentre la gente sta sedendosi. Oppure si può suonare una musica semplice, un po’ che non dice niente; i musicisti sanno che quando si devono fare dei sottofondi, non bisogna fare delle melodie, dei pezzi orecchiabili, ma bisogna fare dei suoni. Spesso sono degli accordi incompleti o sospesi, accordi di 4° oppure di 9°, delle sonorità che dicano niente. Questo per non attirare l’attenzione della assemblea su quella melodia; un sottofondo sonoro si può improvvisare; non ci sta un canto, sarebbe troppo. Anche questo può servire a creare un clima di ascolto. Acclamazione alla Parola Non usiamo molto spesso il cantare “Parola di Dio” o “Parola del Signore” mentre è interessante sottolinearla come acclamazione come una specie di “grido liturgico” che ci ricorda che Dio ci ha parlato e quindi possiamo rispondere con entusiasmo. Questa acclamazione può essere fatta anche non dal lettore, il quale finita la Lettura alza la testa, meglio ancora se si attende un istante, ed il cantore o il coro intona “Parola di Dio” usando tonalità acute perché squillano di più. E’ una opportunità che in questo anno della Parola potrebbe essere rispettata di più, come nelle solennità. Il Salmo Responsoriale è un elemento che richiede di per sé la musica. Il Salmo nasce come un componimento musicale, come un canto. Sono interessanti le indicazioni che ci vengono date dai libri liturgici, i quali ci danno una ampia libertà perché ci dicono: “Pur che il Salmo sia cantato, lo si cambi anche”. Evidentemente se non conosciamo quel ritornello con le parole che sono sul Lezionario, i Vescovi ci danno la possibilità di cambiarlo, ovviamente cambiandolo ma rimanendo nel tema. Cercheremo un ritornello che dica più o meno le stesse cose. E’ importante quindi che il Salmo non diventi la 4a Lettura ma che diventi veramente la risposta che l’assemblea dà a Dio che ha appena parlato nella 1° Lettura. Prendiamo quindi con libertà la possibilità di sostituire il ritornello del Salmo con un altro e volendo sostituire anche il Salmo. Facendo riferimento a questa norma che è contenuta nella introduzione al Lezionario ci si prenda pure cura di cambiare il ritornello del Salmo pur di cantarlo; viene proposto e poi ripetuto con la assemblea e questo aiuta anche a memorizzarlo. Se poi si vuole camminare di più nella qualità si può, poco per volta, instaurare il canto del Salmo. L’arte del salmista è però un’arte difficile perché la cantillazione o il salmodiare un recitativo, come si dice anche nella musica classica, è un’arte molto difficile che gli stessi musicisti non conoscono. Per fare il salmista bisogna quasi più saper leggere bene che sapere cantare bene, perché deve avere la capacità di “esprimere” un testo, e questo lo sa fare bene il lettore che ha fatto il corso di lettura della parola di Dio. Acclamazione al Vangelo Deve essere una acclamazione sempre vigorosa, solida, non delle nenie; anche nel tempo di Quaresima è un gesto positivo forte. La possibilità di fare l’acclamazione al Vangelo anche dopo non è prevista dal Messale però è un bel modo di circondare il testo con l’esultanza. Conviene poi variare il testo e adattarlo al tempo liturgico. Possibilità di sostituire l’Antifona al Vangelo: non è fondamentale come testo per cui dobbiamo andare a cercare una strofa che sia in quella direzione, perché è un testo di passaggio, la parte del leone la fa la acclamazione. Si può anche cantare il versetto che c’è sul Lezionario. Il modo più ordinario è di cantare l’Alleluja, leggere il versetto e ricantare l’Alleluja. Ci puyò stare anche un leggero sottofondo. Professione di fede Il cantare qualcosa anche durante la professione di fede può essere programmato secondo i tempi liturgici. Quando si fanno dei ritornelli in genere si usa il Credo Simbolo apostolico perché è il meno conosciuto e quindi quando l’animatore attacca si evita che tutti, sapendolo a memoria, partano da soli, sarebbe difficile inserire dei ritornelli. Essendo il Credo un testo che si fa tutte le domeniche, diventa inflazionato, alla fine non pensiamo neanche a quello che diciamo, si potrebbe fare una alternanza settimanale per cui abbiamo il Credo lungo, abbiamo il Credo apostolico con tre ritornelli su “La Casa del Padre”, e abbiamo, volendo, anche il Credo nella professione battesimale, come si fa anche nella veglia di Pasqua. Preghiera Universale Possibilità di ritornelli anche facendo però, come pure nei riti di introduzione, attenzione all’equilibrio, a non cantare tutto. E’ difficile che se canto l’atto penitenziale e poi cantiamo anche il Gloria; è probabile che canteremo solo uno dei due; la stessa cosa vale qui, la Professione di fede e la preghiera universale sono due cose vicine, è difficile che le cantiamo tutte e due, o cantiamo una o cantiamo l’altra, per non fare troppa musica tutti i momenti. Liturgia Eucaristica La Presentazione dei Doni che solitamente chiamiamo Offertorio è un momento che può avere delle parti musicali. Intanto bisogna tenere conto di due cose. Moltissimi canti che sono pensati per l’Offertorio, spesso sono fuori luogo dal punto di vista teologico liturgico, o perché ci fanno fare l’offerta di noi stessi insieme al Pane e al Vino mentre lo si fa nella Preghiera Eucaristica, o perché si tratta il Pane e il Vino come elementi eucaristici, ma qui il sono pane e vino, non sono ancora Eucaristia. Quindi la gran parte dei canti che sentiamo per questo momento non sono appropriati; questo è il primo motivo. Un altro motivo problematico è il fatto che qui siamo a metà della celebrazione, siamo usciti dalla Liturgia della Parola che è molto impegnativa ed abbiamo subito dopo una parte molto impegnativa, soprattutto la Preghiera Eucaristica dove dobbiamo imparare a concentrarci di più. Allora, strategicamente, dobbiamo tenere conto che noi non possiamo aventi sempre tirati, col massimo della attenzione, abbiamo bisogno di un attimo di rilassamento perché altrimenti rischiamo di perdere ciò che dopo è più importante, perché la Preghiera Eucaristica è sicuramente più importante dell’Offertorio. Allora qui conviene evitare di far cantare l’assemblea, permettendo che si rilassi un pò; possiamo sfruttare questo momento o per sparare qualche cartuccia del repertorio del coro, oppure quella strategia di far ascoltare qualche canto che faremo nelle settimane successive ha qui un altro posto molto buono. Qui non va bene una musica lenta e triste ma una musica anche solo strumentale ma abbastanza sveglia e allegra. Allora, tenendo conto della scarsità dei canti adatti, in questa edizione ce ne sono solo tre, conviene cantare i canti sulla solidarietà, visto che c’è la questua come condivisione. Sleghiamoci dal testo strettamente rituale. La Preghiera Eucaristica Il canto ci può aiutare a renderci conto della importanza di questa preghiera. Il Dialogo al Prefazio ed il Prefazio dipendono dal prete, però si può cantare anche questo, non sempre ma magari nei tempi forti. Il Santo non necessita di commenti. Il messale sconsiglia di suonare durante le parti presidenziali quindi durante la Consacrazione è consigliato tenere il silenzio che concilia il raccoglimento. Il Racconto della Istituzione è un’altra cosa che può essere cantata: “nella notte in cui fu tradito Egli prese il Pane…” può essere un recitativo molto semplice per far emergere quel momento. L’Anamnesi -1° formula - annunciamo la tua morte Signore…..2° formula – ogni volta che mangiamo di questa Pane….3° formula – Tu ci hai redenti con la tua Croce….. Può essere cantata almeno nei tempi forti. Questi testi possono essere variati; sarebbe bello conoscerne musicalmente uno per ognuna delle tre formule. E’ importante averli tutti e 3 per adattarli ai diversi tempi dell’anno. Ad esempio i primi due terminano dicendo “nell’attesa della tua venuta”, quindi si prestano molto ad essere usati nel tempo di Avvento. Il secondo sottolinea il Pane e il Vino e quindi è adatto a celebrazioni legate alla Eucaristia tipo Corpus Domini, le Comunioni e volendo anche tutto il tempo pasquale. La 3° parla di Croce e di Resurrezione quindi va bene sia in Quaresima che nel tempo pasquale. Questo permette di fare delle variazioni. La Dossologia si può cantare ma l’importante è cantare l’Amen. Questo conviene farlo tutte le celebrazioni domenicali e festive. Anche qui ci sono diverse possibilità perché di amen ce ne sono almeno una dozzina. E’ importante questo Amen perché chiude tutta la Preghiera Eucaristica, quindi farlo recitato è proprio un impoverimento. Se non viene cantata la Dossologia (per Cristo, con Cristo…) gli strumenti devono dare la nota prima dell’Amen in modo da far capire che si sta per cantarlo. Per evitare che l’assemblea dica Amen occorre fare due cose; primo: chi anima l’assemblea, quando il prete inizia a dire “per tutti i secoli…”, cominci ad alzare le mani, a richiamare l’attenzione. Secondo gli strumenti devono mettere giù una nota (non l’accordo) molto forte e molto in anticipo perché se mette la nota alla fine di “ …secoli dei secoli…” non si riesce più a trattenere l’assemblea che di istinto dice Amen, impedendo così che sia cantato. Bisogna fare la nota a “…per tutti…” perché anche se copriamo il prete che dice “…secoli dei secoli…” si capisce lo stesso e si ottiene lo scopo. Questo problema non esiste se viene cantata la Dossologia perché viene da sé cantare anche l’Amen. I Riti di Comunione Il Padre Nostro è meglio che sia recitato perché è difficile che tutti sappiano cantarlo essendo abbastanza lungo. Lo si può fare in una comunità religiosa, in un campo, in una Messa ristretta; ma se lo si canta alla domenica, inevitabilmente qualcuno viene tagliato fuori. Il Rito della Pace, dal punto di vista liturgico non prevede un canto di pace perché questo può sconfinare sulla frazione del Pane, e questo non va bene. Se proprio lo si vuole fare, si chiuda e dopo si passi alla Frazione del Pane con il suo canto proprio, che invece qui è previsto, che è l’Agnello di Dio. Il nuovo Messale ci dice che sia fatto in modo sobrio e solo ai vicini; non deve essere plateale ma una cosa simbolica, dandola ai vicini la do a tutti. Se proprio si vuole fare un canto lo si faccia gioioso, breve e che chiuda in modo netto e deciso. Oppure fare una musica a cadenza breve e decisa. La Frazione del Pane è un segno altamente simbolico che riassume tutta la Eucaristia quindi è un gesto che, come ci dicono i Vescovi, va fatto “bene, in modo visibile ed espressivo”. Processione alla Comunione. Vediamo quali sono le possibilità. L’introduzione al Messale parla di canto durante la Comunione, parla di canto dopo la Comunione, parla del silenzio. Cominciamo dal Silenzio: va comunque salvaguardato, 5-10 secondi. Il silenzio è importante che ci sia perché è quel momento in cui, personalmente, preghiamo, mentre con i canti preghiamo comunitariamente. Togliamoci l’idea che il sottofondo musicale è il silenzio. Si può mettere tra i due canti o dopo il secondo canto. Metterlo durante la processione, quindi al posto del canto di Comunione è anche una soluzione ma è rischiosa perché durante la processione alla Comunione c’è sempre un po’ di trambusto e il silenzio lì funziona poco. E’ meglio metterlo quando siamo tutti fermi. Finita la distribuzione della Comunione il Messale prevede la sistemazione del Calice e della Patena possono essere fatti anche dopo la Messa. A quel punto anche per noi preti è bello fermare tutto e anche noi preti metterci nel silenzio e pregare; quindi questo spazio è il momento in cui tutta la comunità si ferma e si mette davanti a Dio anche per pochi secondi. Vediamo gli altri due canti: non sarebbe opportuno far cantare l’assemblea sia durante che dopo la Comunione, sarebbe troppo, facciamo una scelta che può essere guidata dalla opportunità di sottolineare la processione alla Comunione senza metterci un canto assembleare perché la processione alla Comunione è l’unico atto processionale che è rimasto nella Messa. Ecco perché è meglio non far fare altre cose in quel momento: che ognuno gusti questo andare verso il Signore, questo muoversi come segno di scelta. Se proprio volessimo farlo i casi sono due: o facciamo un canto sconosciuto e in questo caso obblighiamo tutti a portarsi dietro il libretto dei canti e metterlo sotto l’ascella al momento personale della Comunione, oppure facciamo un canto molto conosciuto che diventa una pizza per tutti e che quindi possiamo evitare. Questo fa propendere di più per non fare cantare l’assemblea ed allora ecco qui uno spazio o per il coro o per la musica che in questo caso non deve essere gioiosa ma molto soft sia come volume che come stile perché se si fa qualcosa di molto agitato ci si disperde subito mentre con una musica soft si aiuta tutti ad entrare in un clima di raccoglimento. Dopo la Comunione c’è lo spazio per fare un canto ed è qui che c’è l’aggancio con il Vangelo e riprendiamo il suo tema. Il Messale, oltre alla Antifona di ingresso, mette anche l’Antifona di Comunione e questa è proprio pensate a seconda del giorno liturgico. Questo perché il Messale ci ha insegnato, andando contro una consuetudine respirata fino a prima del concilio, che la Messa è un tutt’uno, Liturgia della Parola e Liturgia Eucaristica; formano un unico atto di culto indivisibile. Succede però che quando andiamo alla Comunione è mezzora che la Liturgia della Parola è rimasta indietro, non sappiamo più cosa abbiamo sentito. Ecco allora che il Messale, con questa Antifona alla Comunione, vuole ricordarci che questa Comunione che oggi stiamo per fare, oggi ha il sapore e il contesto che è dato da questa pagina del Vangelo. Il versetto che mi richiama quella pagina del Vangelo è per ristabilire la stretta unione tra Parola e Sacramento. Allora qui noi ci andiamo a scegliere un canto che sia legato al Vangelo: non importa che sia un canto Eucaristico come spesso andiamo a fare. Inoltre il canto non deve essere troppo lungo al fine di lasciare spazio per il silenzio dopo: ritornello, strofa, ritornello. Anche come lo si annuncia è importante. Siamo tutti nel silenzio, in relazione stretta con Dio e arriva l’animatore: “canto di Comunione numero xxx”. E’ veramente brutto, è meglio farlo in un modo più soft, Fare quindi prima una citazione biblica che da molto meno fastidio e dopo annunciare il numero. Sarebbe bello chiudere questo spazio, prima degli annunci, con l’Orazione dopo la Comunione, per non mescolare le cose e lasciare l’importanza a questo Rito di Comunione così intenso che richiede di essere chiusa con una orazione non con un’altra cosa. Il Messale non prevede il canto di uscita perché prevede che “la Messa sia conclusa e che tutti tornino alle loro occupazioni lodando e benedicendo Dio. Il Messale ci fa fare un percorso il cui culmine è a due minuti dalla fine, infatti il culmine è la Comunione non la Consacrazione, e poco dopo il Messale ci manda fuori perché l’idea è che adesso che siamo belli carichi, la Messa, ossia ciò che abbiamo celebrato, continui nella vita. Questo senza scaricarci con un dilungamento: “adesso cantiamo insieme…”. L’idea del Messale è molto missionaria: ci carica e ci sbatte fuori ma non nel silenzio. Quello che non c’è è il canto della assemblea; qui ci sta musica strumentale o canto gioioso del coro che accompagni l’uscita (e questa è la 4° possibilità di sparare cartucce). Quindi l’ultimo canto assembleare è quello dopo la Comunione. L’unica eccezione può essere quando ci sono i bimbi: si fa fare loro un canto mentre la gente esce incolume.