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SOUND UNBOUND
Musica digitale e cultura del sampling
a cura di
Paul D. Miller
aka DJ Spooky that Subliminal Kid
© 2008 Paul D. Miller
Tutti i diritti riservati
Originariamente pubblicato da The MIT Press, USA
I edizione: febbraio 2011
© 2011 Arcana Edizioni Srl
Via Isonzo 34, Roma
Tutti i diritti riservati
Titolo originale Sound Unbound: Sampling Digital Music and Culture
Traduzione dall’inglese di Milena Antonucci e Vilma Kragic
Cover: Laura Oliva
ISBN: 978-88-6231-143-4
www.arcanaedizioni.com
Traduzione di Milena Antonucci e Vilma Kragic
Indice
Prefazione di Cory Doctorow
13
1. Un’introduzione, ovvero la mia (ambigua) vita con la tecnologia
Steve Reich
16
2. Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
20
3. Il futuro della lingua
Saul Williams
34
4. L’estasi dell’influenza: un mosaico di plagio
Jonathan Lethem
38
5. “Radici e fili” del remix: trucchi poliritmici ed elettronica nera
Erik Davis
64
6. Vita e morte dei media
Bruce Sterling
83
7. Utopia in-immaginante
Dick Hebdige
91
8. Far impazzire la macchina: una discussione su SEXMACHINES di Keith Obadike
Keith + Mendi Obadike
98
21. Zoom: acceleriamo gli scavi
Prodotto Liminale: Frances Dyson e Douglas Kahn
214
9. Fotogramma congelato: audio, estetica, campionamento e media contemporanei
Ken Jordan e Paul D. Miller aka DJ Spooky that Subliminal Kid
103
22. Un’intervista con Alex Steinweiss
Carlo McCormick
219
23. Stop. Hey. Che cos’è questo suono?
Ken Jordan
231
24. Connessioni in mutamento: software per danzatori
Scott deLahunta
250
25. Su improvvisazione, transitorietà ed esperienza incarnata
Vijay Iyer
258
26. Far girare la pittura: un’intervista con Nadine Robinson
Alondra Nelson
277
27. Camera Lucida: osservatorio sonochimico a tre dimensioni
Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand
283
28. Paura di un pianeta musulmano: la storia nascosta dell’hip hop
Naeem Mohaiemen
296
29. Tre pezzi
Chuck D
322
30. Le campane e la loro storia
Brian Eno
331
31. Che cosa bisogna fare: commenti e soliloqui sulla filosofia musicale
Daniel Bernard Roumain (DBR)
340
32. Un’intervista con Pierre Boulez
Hans Ulrich Obrist e Philippe Parreno
348
33. Adh’an: i suoni di un’ortodossia islamizzata
Ibrahim Quraishi
359
10. Un teatro delle idee: un’intervista a Steve Reich e Beryl Korot riguardo a
Three Tales
David Allenby
114
11. Improvvisazione quantica: la presenza cibernetica
Pauline Oliveros
12. Lo spettro fuori dalla macchina
Scanner alias Robin Rimbaud
13. Il musicista come ladro: cultura digitale e diritto di copyright
Daphne Keller
14. Sistemi integrati: Mobile Stealth Unit
Beth Coleman e Howard Goldkrand
15. Un’intervista con Moby
Lucy Walker
16. Zing! Si son rotte le corde
Joseph Lanza
17. Il mondo del suono: una divisione della Raymond Scott Enterprises
Jeff E. Winner
18. Dall’hip hop al flip-flop: rumore nero nel ciruito master-slave
Ron Eglash
19. Ritmi di resistenza del Sud Africa
Lee Hirsch
20. L’educazione virtuale del suono
Manuel DeLanda
122
133
137
152
156
161
170
191
202
206
34. Teatro degli spiriti: Joseph Cornell e il silenzio
Catherine Corman
361
35. Dov’è andata la musica?
Jaron Lanier
369
Autori
Crediti delle tracce audio
375
387
SOUND UNBOUND
Prefazione
Cory Doctorow
Ero bloccato nella camera d’un albergo a Ginevra, mentre frequentavo un’assemblea
della Standards Developing Organization nella quale un gruppo di giornalisti e grandi aziende dell’intrattenimento discutevano di strategie per bloccare i pirati del Web
dal violare i diritti di copyright.
Ho acceso Skype, mi sono messo la cuffia con microfono e ho chiamato la mia fidanzata a Londra, che ha indossato a sua volta l’auricolare. Mi sentivo solo a Ginevra.
Ginevra è quel tipo di città in cui quasi tutte le persone che non sono originarie del
posto si trovano lì per lavoro, e i nativi lo sanno. Ginevra è un ottimo posto per essere
derubati, fregati in un lurido hotel in cui non lascereste nemmeno il vostro cane, o per
mangiare un piatto il cui rapporto qualità/prezzo è peggiore rispetto a quello di un
Hummer. Seduto nella mia camera d’albergo, lanciato tramite Skype nella stanza della
mia fidanzata a Londra, ero in due posti nello stesso tempo. I suoni familiari di Londra,
il cigolio dei freni dei tassì neri, il tifo dei compagni che guardano la partita al pub,
tutto trapelava attraverso i miei timpani. Il cyberspace è uno spazio in cui la conversazione telefonica ha luogo, questo è ciò che disse William Gibson. Durante quell’ora
arcana, sono stato a Ginevra e Londra, e nello stesso tempo in nessuna di queste.
Non parlammo tanto, la mia fidanzata e io. Entrambi scrivevamo ed entrambi potevamo sentire il ticchettìo della tastiera altrui. Lei fece una chiamata. Io ne feci un’altra. Era come tornare a casa, fino al momento in cui togliendo lo sguardo dallo schermo vidi un triste quadro dell’Hotel Terminus.
Non riesco a lavorare senza la musica. Possiedo circa 10mila tracce su iTunes, un
software creato, guarda caso, da una delle aziende che dispiegano tanta tecnologia ten13
Cory Doctorow
tando di impedire ai pirati del Web di violare i diritti di copyright; ho valutato ciascuna traccia da 1 a 5. Ciascuno dei miei giorni comincia con la playlist personale
composta da brani da 4 o 5 stelle che non sento da un mese, quasi come per accertarmi di aver visitato tutti i miei amici almeno una volta in quest’arco di tempo (vorrei
che il mio cellulare e la mia e-mail fossero così intelligenti da ricordarmi di tutti gli
amici a cui non ho fatto uno squillo questo mese). Dopo, ascolto le canzoni cui non
ho assegnato voti, e glieli assegno. Passo al totale delle canzoni da 4 a 5 stelle che ho
sentito meno di cinque volte, complessivamente. Non voglio uno shuffle in modalità
random, voglio uno shuffle potenziato.
Dunque accesi lo shuffle. Alzai il volume dell’iPod al pari di quello della voce della
mia fidanzata. Lei fece lo stesso. Abbiamo gusti musicali parecchio distanti, per cui
spesso quando siamo a casa, entrambi portiamo una cuffia a un orecchio solo e in questo modo riusciamo a parlare senza infliggere l’uno la propria musica all’altro. Lei ha
giurato di ammazzarmi se le faccio sentire un altro jodl di Bob Wills.
Ed eccoci, separati da migliaia di clic, in due Stati diversi, eppure dentro la stessa
Rete e dentro lo stesso spazio di conversazione.
La nostra musica costituiva tuttavia un terzo luogo. La mia musica era dentro il mio
ambiente virtuale, ma non veniva mixata nel microfono. Quando canticchiavo, canticchiavo qualche brano che udivano le mie orecchie, non le sue. Nello stesso modo,
lei si godeva qualche groove dalla propria libreria. I nostri corpi erano separati, la
nostra musica era separata, le nostre menti convergevano.
Ero a una festa organizzata dai Linden Labs, ideatori del gioco virtuale in multiplayer chiamato Second Life. Avevano noleggiato una sudicia e raffinata galleria nel
SOMA di San Francisco. Avevano amche modellato virtualmente la galleria in Second
Life. Molti di noi erano presenti nel corpo reale nel SOMA; molti giocatori erano presenti in modo virtuale dentro la galleria virtuale, che era proiettata su un gigantesco
jumbotron alimentato da una libreria per le presentazioni della classe Beamer. Un dj
suonò per noi, ma siamo quel tipo di secchioni che frequentano le conferenze e di conseguenza, anziché ballare, quando ci raduniamo parliamo.
I fan dei giochi, per contro, erano lì per ballare. Hanno pedissequamente programmato oppure comprato gli esercizi di ballo per i loro avatar, e quelli, inebriati virtuali
sullo schermo, si dimenavano.
Ogni avatar ballava però seguendo un beat diverso. Presumibilmente, ogni giocatore ascoltava un brano diverso e nessuno ballava al ritmo del nostro dj.
Dicono che Internet ci divide mentre la musica ci fa avvicinare. Non mi era chiaro
se Internet estraniasse quei giocatori, né se il dj che impediva la nostra chiacchierata ci
riunisse. Da qualche parte all’interno del network e della musica, esiste un mix che ci
avvicina perché siamo lontani.
Durante gli anni Trenta, gli artisti di varietà odiavano la radio di Marconi. Sostenevano che anche se la radio lanciava smisurate promesse pubblicitarie, non spetta14
Prefazione
va ad essa decidere in che modo i musicisti dovessero guadagnarsi da vivere. L’essere
carismatici sul palcoscenico riguardava l’essenza del musicista, era una cosa sacra, come
la prima storia raccontata intorno al primo fuoco nella prima caverna. Chi pensava di
essere Marconi per far credere che i musicisti fossero soltanto degli impiegati, e che
fine avrebbero fatto i performer la cui magia stava nella loro presenza scenica, e che
non potevano essere catturati e condensati dentro un’infernale macchina parlante?
Settant’anni dopo, i loro discendenti spirituali maledicono Internet. A loro diciamo, fate come i Greatful Dead: usate le vostre registrazioni fluide e molto versatili per
promuovere i vostri concerti, guadagnate i vostri soldi a casa vostra e non nei negozi
di dischi. Ci domandano da quando siamo noi a potergli dire come guadagnarsi da
vivere. Non sono mica scimmie addestrate che saltellano e borbottano sul palco per il
nostro divertimento! Sono dei colletti bianchi, lavorano al chiuso, comunicando con la
loro musa fino a quando arriva il momento di lanciare al pubblico il loro prodotto
finito. A proposito, che ne dite di quei maghi degli studi radiotelevisivi che possiedono il carisma di un pesce gatto? Li condanneremo ad accatastare vecchio e inutile
materiale d’archivio?
La tecnologia dà e la tecnologia toglie. Nessun modello commerciale, forma d’arte,
o pratica hanno l’innato diritto di esistere: devono andare d’accordo con le realtà sociali, tecnologiche, o commerciali dei propri tempi. Il mondo è stato immiserito perché
i racconti e le poesie non sono più in voga, ma obbligare il mercato a recepire la poesia sarebbe folle. Oggigiorno, i poeti di successo compongono poesie, così come gli
operai di successo lavorano hardware e non ferri di cavallo.
La tecnologia dà potere alla creatività, alla comunità, all’arte e all’amore. Storpiarla
per salvare qualche modello commerciale antiquato è un crimine contro l’umanità.
15
Un’introduzione, ovvero la mia (ambigua) vita con la tecnologia
Un’introduzione, ovvero la mia (ambigua) vita con la tecnologia
1
Steve Reich
Durante la metà degli anni Sessanta mi ero seriamente interessato alle registrazioni dei
tape loop, in particolar modo a quelle delle persone che parlano. Nello stesso periodo
studiavo la notazione musicale dei percussionisti ghanesi nell’eccellente libro di A.M.
Jones, Studies in African Music. Verso la fine del 1964 registrai un predicatore pentecostale di colore nell’Union Square a San Francisco. Faceva la predica su Noé e sul
Diluvio Universale. A casa creai diverse registrazioni in loop della sua voce incredibilmente musicale. Una di queste diceva: “Sta per piovere!”.
Ero in possesso di due registratori mono economici e feci due copie identiche di
quel loop. Misi ciascuna di esse su un apparecchio e indossai le cuffie. Per puro caso,
i due loop coincisero all’unisono. Il suono sembrò convergere al centro della mia testa,
ma mentre ascoltavo, iniziò a muoversi verso sinistra, prima verso il mio orecchio sinistro, poi in basso lungo il mio braccio sinistro, all’esterno a sinistra attraverso il pavimento, infine ci fu una specie di riverbero tra i due canali. Continuai ad ascoltare fino
a quando i loop raggiunsero i 180 gradi fuori fase e mi fu possibile udire: “Sta per, sta
per, piovere, piovere”. Continuai ad ascoltare e piano, molto piano, i due loop ritornarono all’unisono. Questa era senza dubbio una strada da seguire.
Alla fine di gennaio del 1965 terminai It’s Gonna Rain. Più avanti nell’anno ritornai a New York e nel 1966 creai il secondo brano costruito da frammenti di discorso
mandati in loop e intitolato Come Out. La voce era quella di Daniel Hamm, arrestato per omicidio e più tardi assolto, che raccontava di come era stato picchiato dai poliziotti e di come aveva dovuto far vedere che stava sanguinando per poter essere portato in ospedale. Diceva: “Ho dovuto aprire la ferita e far fuoriuscire un po’ di sangue
16
per fargli vedere” (I had to like open the bruise up and let some of the bruise blood
come out to show them). La melodia della sua voce era chiaramente in Si bemolle, Do,
Do, Re, Do sulle parole “fuoriuscire per fargli vedere” (come out to show them).
Rimasi completamente coinvolto in questa idea del graduale spostamento di fase tra
due loop identici, ma nello stesso tempo sentivo che se il processo non poteva essere
eseguito dai musicisti dal vivo si trattava soltanto di un trucco. Questo pensiero mi
tormentò per diversi mesi poiché supponevo che mentre il cambiamento graduale
della fase poteva verificarsi per i campanelli degli avvisi ferroviari e per i tergicristalli
dei vecchi pullman, non era possibile che valesse anche per le persone. Infine decisi:
“Ok, sarò io il secondo registratore”. Registrai un breve schema melodico che suonai
al pianoforte, feci un tape loop, mi sedetti al pianoforte, e con mio grande stupore scoprii che potevo andare leggermente in anticipo rispetto al nastro. Un po’ più tardi mi
resi conto che un mio amico e io eravamo in grado di suonarlo su due pianoforti.
Ciò condusse presto a Piano Phase (1967), Violin Phase (1967) e infine a Drumming
(1971). A partire da quel momento sentii che ne avevo abbastanza e non usai più il
phasing. A eccezione dei microfoni non ho più utilizzato la tecnologia per i successivi
diciotto anni.
Nel 1988 scoprii in un primo momento che potevo servirmi di un programma sulla
notazione musicale per la creazione delle partiture su un Macintosh e successivamente che vi erano delle tastiere per il campionamento. Questo portò a Different Trains
pensato più avanti in quell’anno per il quartetto d’archi (Kronos) e per il nastro. L’idea
era quella di unire infine la melodia del discorso e gli strumenti dal vivo. Mentre le
voci registrate su nastro (la mia tata, allora settantenne, un signore di colore, l’ex facchino della compagnia Pullman allora ottantenne, e tre persone sopravvissute
all’Olocausto) parlavano, io scrivevo. Le loro melodie del linguaggio furono intensificate dalla viola nel caso delle donne, e dal violoncello nel caso degli uomini. I violini
raddoppiavano spesso i fischi dei treni, presenti nel sottofondo del nastro. Different
Trains vinse un Grammy e costituì una nuova frontiera per me. Questa era la tecnologia che avevo interesse a campionare.
E i sintetizzatori? Be’, non mi piacevano affatto. Se ho bisogno di un violino, uso il
violino, e lo stesso per tutti gli altri strumenti. Eppure, utilizzai il sintetizzatore in
Sextet nel 1986 perché sarebbe costato troppo andare in tour con due corni inglesi e
due clarinetti in più. Al di là di un tale matrimonio di convenienza, non avevo bisogno di sintetizzatori. Ma i campionatori sono un’altra storia. Questi hanno fatto in
modo che si potessero introdurre suoni non strumentali, sonorità documentarie, come
il linguaggio, sul terzo battito della quinta misura.
Different Trains e i campionatori aprirono inoltre la porta all’opera e al teatro musicale. Anni prima della richiesta da parte dell’Opera di Francoforte, e poi anche
dell’Holland Festival, “scriverebbe un’opera per noi?”, risposi di essere felice della pro17
Steve Reich
posta ecc., ma di “no”. Non avevo nessuna simpatia per le voci dell’opera, e smisi di scrivere per l’orchestra (non ho bisogno di diciotto primi violini, ho bisogno di un solo violino, amplificato). Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa che avrei potuto fare al posto
dell’opera convenzionale, ma non sapevo esattamente che cosa. Poi, nel 1988 ci arrivai:
e se potessimo non soltanto ascoltare le voci preregistrate, ma persino vederle, guardando allo stesso tempo i musicisti e i cantanti che raddoppiano le proprie melodie del
discorso? Questo fu il mio modo di fare teatro musicale. Il video artista Beryl Korot si
dimostrò un collaboratore perfetto. Il risultato fu The Cave nel 1993. Qui le voci erano
di israeliti, palestinesi e americani che rispondevano alle domande: “Chi è per te
Abramo?”, “Sara?”, “Hagar?”, “Ishmael?”, “Isacco?”. Le loro risposte editate diventarono
il libretto.
Più tardi scrissi City Life in cui i campionatori vengono suonati dal vivo come una
parte dell’opera. I suoni che registrai a New York divennero parte del tessuto strumentale. Dopo sentii un enorme bisogno di distacco dalla tecnologia.
Proverb (1996), per voci, organi e vibrafoni fu la risposta. Il testo era di Wittgenstein:
“Quanto poco impiega un pensiero a racchiudere una intera vita”. Scrivere semplicemente la musica fu un piacere e un sollievo. E poi sono tornato in laboratorio.
Verso la fine del 1997 Beryl Korot e io iniziammo la seconda video opera, Three
Tales, che affronta la tecnologia nel Ventesimo secolo: Hindenburg, Bikini (le prove della
bomba atomica nel 1946-54), e Dolly (la pecora clonata). Nei primi due atti utilizzammo i film e i suoni d’archivio mixati insieme all’ensemble di musicisti e cantanti dal
vivo. In Dolly la trama era abbastanza breve e decidemmo di utilizzarla come un palco
per far parlare scienziati di rilievo su temi quali la clonazione, l’intelligenza artificiale,
la robotica e il nostro futuro. Abbiamo videoregistrato le interviste con James Watson
(genetica), Rodney Brooks (robotica), Richard Dawkins (darwinismo), Stephen Jay
Gould (clonazione) e tanti altri. Le loro interviste editate divennero il libretto per Dolly.
Alcune loro osservazioni furono divertenti e istruttive allo stesso tempo:
Un’introduzione, ovvero la mia (ambigua) vita con la tecnologia
In realtà, non appena abbiamo terminato Hindenburg avvertii ancora una volta il
bisogno di distaccarmi dalla tecnologia e così trascorsi gran parte del 1999 componendo Triple Quartet per i Kronos. Giocò a nostro favore il fatto che la struttura armonica di quel brano diventò il modello per l’armonia in Bikini. Quando finimmo Three
Tales nel 2002, avvertii per un paio di anni il bisogno esclusivo della musica strumentale vocale prima di sentirmi pronto per un altro viaggio nel laboratorio. Ed è lì che
sono rimasto.
Sono del parere che i compositori possano imparare parecchie cose dalle tecniche di
campionamento sia nell’ambito della musica concertistica che in quello dei teatri
musicali di tutti i tipi. Come minimo si tratta di un’idea nuova della strumentazione,
un’idea da sviluppare, secondo cui possiamo utilizzare in modo fedele qualsiasi suono
in un qualunque preciso (o non così preciso) momento nel tempo.
So che c’è gente che crea musica solo con il suo PowerBook, e capisco perfettamente
come ciò possa avvenire. Immagino i giovani compositori-dj che intrecciano i fili in
modi imprevisti. Non ho notato comunque che la musica dal vivo abbia mostrato il
minimo segno di fatica. Sia che si tratti del postgarage rock, del postminimal, della
scena dj, del neo-Romanticismo, o di ciò che volete, la musica continua.
Siamo soliti pensare ai nostri cervelli nei termini dell’ultima tecnologia. A un certo
punto i nostri cervelli furono i motori a vapore. Quando ero piccolo io, furono le reti
dei commutatori telefonici. Poi lo diventarono i computer digitali. Quindi, computer digitali interconnessi in modo massiccio. Probabilmente, esistono ora libri per
bambini che affermano che il nostro cervello sia il World Wide Web. Soltanto che
non l’abbiamo ancora capito. (Rodney Brooks)
Altre osservazioni furono diversamente divertenti:
Vai a comprare questo modulo nel Grande Magazzino della Mente e fallo connettere al tuo cervello quindi vai a fare il tuo contrappunto da quattro o cinque parti.
(Marvin Minsky)
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Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto
creativo
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Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
...il libero contenuto alimenta l’innovazione...
Lawrence Lessing, The Future of Ideas: The Fate of the Commons in a Connected World
Il silenzio è una delle più rare comodità dell’attuale cultura d’informazione. In un
mondo in cui esistono diverse migliaia di satelliti nel cielo che costantemente ci irradiano di informazioni, ripetitori di cellulari, segnali GPS, modelli climatici, persino l’idea di inquinamento luminoso assume un valore più che metaforico. Vediamo le luci
nel cielo, ma non udiamo le frequenze che si trasmettono da ogni angolo e fessura d’un
mondo messo tra parentesi da oggetti di umana creazione nel cielo. È un discorso differente, per non dire altro, quando la natura e l’educazione si confondono come è
avvenuto durante il secolo scorso quando abbiamo creato una nuova sintassi della cultura umana, come dimostra la nostra incapacità di trovare altre “specie intelligenti”
nell’universo; fino a ora abbiamo parlato soltanto con noi stessi, ciò dimostra che
siamo soli nell’universo. Ecco lo scenario della corrente info-cultura. Parliamo a noi
stessi perché è ciò che fanno a volte le persone sole. Se la metafora di “architettura e
musica congelata” evoca il concetto di struttura, allora c’è bisogno di aggiornare la
frase, rigirarla e vedere che cosa esce fuori; dopo tutto, se c’è una cosa che riguarda
Sound Unbound è il remix: è un campionatore in cui ciascun suono puoi essere tu, e
tutto il testo è solo una tenue rivendicazione dell’idea di creatività individuale. È un
club di falsari per le anime affamate di una geografia del qui e ora. Mi seguite?
I palazzi, in architettura, non sono altro che corrispondenze tra relazioni, presenza e
assenza, forma e informità, e queste idee sono estratte da diagrammi redatti e configurati all’interno di un ambiente d’informazione: persone che lavorano, vivono e respirano
assieme per creare una struttura. Scommetto che il remix del Ventunesimo secolo dell’i-
20
dea di architettura sarà un server FTP. La febbre d’archiviazione diventa la passione per
Napster che caratterizza una generazione disattenta. FTP – File Transfer Protocol. È una
semplice triade di parole, ma una buona sigla per cominciare un libro su suono e multimedia. Pensate all’idea dell’archivio (la stessa radice di “architettura”), e immaginate la
struttura come uno scambio. Esiste un modo di pensare fuori dalle reti di scambi che
pervadono le nostre vite da ogni angolo, dal cielo, dai cavi di fibra ottica incorporati nella
terra sotto i nostri piedi, dai testi che ci domandano di continuo: “Chi sei? Dove stai
andando?”. Cercate il server FTP per i file che terminano in .mp3, .wma, .ogg, .wav,
.mov, .mpg ecc., e non troverete niente che possa affrettare questa domanda. Dopo tutto,
si tratta solo di dati. Mappate una metafora sopra l’altra, remixate e schiacciate play. Il
campionatore può maneggiare ogni suono e ogni espressione. Dovete solo trovare i giusti punti di revisione nella cartella del suono; è quella struttura che torna come shareware scaricabile per chi è perplesso riguardo l’informazione.
La metafora procede: c’è una storia famosa sull’artista Marcel Duchamp. Nessuno sa
se sia effettivamente vera, ma è così che funzionano le storie. A un certo punto della metà
del Ventesimo secolo, decise di smettere di dipingere, dicendo d’aver smesso semplicemente perché aveva solo cominciato a “riempire cose [...]”. Questo è ciò che sta accadendo adesso. Quando parlo degli spazi affollati dell’info-modernità sto parlando di un
mondo riempito di rumore, e se esiste una cosa che abbiamo appreso dal Ventesimo
secolo è questa: il rumore è semplicemente un’altra forma di informazione. La riluttanza di Duchamp nel “riempire cose” ha altri paralleli; ci ricorda della collaborazione di
Rauschenberg con de Kooning, Erased de Kooning Drawing, a metà del Ventesimo secolo, e ci richiama una scena di Storming of the Accountants1 di David Boyle: “È come il
prodigio matematico del Diciottesimo secolo Jedediah Buxton, il quale, domandatogli
se gli fosse piaciuta una performance del Riccardo III, avrebbe soltanto risposto che gli
attori avevano pronunciato 12.445 parole”.
Stop. Pensateci. Ogni sensazione che provate giunge da una fonte: la civiltà. Una
volta terminato questo paragrafo, mettete giù il libro per un po’ e guardatevi attorno,
osservate i vostri dintorni. Che cosa vi è possibile vedere, ascoltare, odorare, gustare,
che non sia originato o mediato dalle persone civilizzate? Il frinire dei grilli nel Cd
SOUNDS OF THE ENVIRONMENTS non conta.
Tutto questo è molto, molto, molto strano. Ancora più strano, e straordinariamente
sintomatico della portata di questa situazione artificalmente imposta che non abbiamo
solo accettato ma abbiamo attualmente trasformato in un bene “percepito”, è il modo
in cui abbiamo fatto un feticcio e una credenza (e una scienza, a tale proposito, e un
mercato) nel tentativo di definirci come separati dal, persino in opposizione al... resto
della natura. L’argomento “natura contro educazione” è stato gettato fuori da una finestra metaforica, e su di un pianeta messo tra parentesi da oggetti di creazione umana
nel cielo, le canzoni che ascoltiamo sono delle storie che ci raccontiamo. La civilizza21
Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
zione isola tutti noi, ideologicamente e fisicamente, dalla risorsa di ciascuna vita: la
natura. Non crediamo che gli alberi abbiano qualcosa da dirci: né le stelle, né i lupi, né
i gatti, e nemmeno i nostri sogni. Siamo stati convinti che il mondo sia silente eccetto
che per gli esseri umani civilizzati e le informazioni che noi generiamo. Ancora una
volta, quell’eco di forma e funzione, fatto e finzione: è stato l’architetto spesso eccentrico del Diciannovesimo secolo Louis Sullivan a esortare che “la forma dovrebbe seguire la funzione”. Ma che accade quando avete una situazione che, come per la massima
di Goethe o Schelling secondo cui “l’architettura non è altro che musica congelata”,
viene costruita all’inverso, remixata in uno scenario differente, e noi scongeliamo il processo? La musica diventa architettura liquida. Il suono si scioglie. Poco dopo l’11 settembre 2001, Lost and Found Sound di NPR, un programma trasmesso da produttori di
radio indipendenti, produttori di nuovi media, artisti, storici e ascoltatori di tutto il
Paese, cominciò a raccogliere e conservare “memorie sonore” del World Trade Center,
del suo vicinato e degli eventi di quel giorno. La linea telefonica chiamata Sonic
Memorial fu installata affinché le persone lasciassero i loro racconti, registrazioni e
manufatti audio, sia personali che storici come tracce di un monumento invisibile ai
loro amati defunti. Centinaia di persone chiamarono con testimonianze e ricordi,
musica, e piccoli frammenti di suoni che avvertivano come rappresentativi della presenza delle Torri nella loro realtà quotidiana. Quelle storie si trovavano intrecciate all’interno della diffusione audio su NPR e questo memoriale è adesso un archivio on-line
che può essere trovato all’indirizzo http://www.sonicmemorial.org/. Ancora quell’eco
del set mentale dell’FTP; cercate nel server FTP i file che terminano in .mp3, .wma, .ogg,
.wav, .mov, .mpg ecc., e non troverete niente che possa affrettare tale lutto, ma questo
è il punto. Le persone hanno trovato nuove maniere per esprimere il dolore per una perdita mediata; le Torri erano gli arti del fantasma di un paesaggio psicologico senza precedenti nella storia umana. Forma e funzione, fatto e finzione, arte e architettura: tutte
intessute all’interno di una testimonianza della ricostruzione umana nei media.
Pensateci per un momento, e fate una pausa.
Altro scenario: considerate il caso misterioso di Netochka Nezvanova, un software
spedizioniere Web per la collettiva arte/multimedia NATO. Fondamentalmente,
Netochka è un software per remixare video che posta a mailing list e invia realmente email pungenti a chiunque “l’”attraversi. Pensate a lei come a un aggiornamento del
testo di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica2; il
remix è “persona nell’epoca della riproducibilità tecnica” o meglio ancora, semplicemente un ovvio “nessuno da nessuna parte” che è la traduzione del nome “Nezvanova”.
Per uno che non esiste tranne che come una serie di e-mail colleriche che vengono
postate nel Nettime e su un paio d’altre list-serv, Netochka Nezvanova gode di una
reputazione assolutamente hardcore. È una programmatrice di computer. È una polemista. Non le piace quando qualcuno le “parla” di rimando. È un’artista performativa.
22
Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
È una giornalista d’attacco, come David Brock sugli steroidi, una critica iperpolemica
del capitalismo e del fascismo, così come una capitalista e fautrice di un certo tipo di
mercato. Commercializza software. Lei non esiste, ma molte persone la conoscono e
utilizzano i suoi prodotti. Il suo software Nato.0+55 (reso obsoleto da molti sviluppi
nella scena software del video “VJ”) era una volta uno dei sostegni principali della scena
del video digitale: chiunque fosse figo utilizzava Nato per processare e creare molte delle
immagini strambe che avrete visto quando siete stati a una di quelle feste selvagge in
centro; veniva utilizzato per manipolare video per performance e installazioni dal vivo.
Ma la stessa Netochka è un’opera d’arte, una “persona” fatta di testo, una fiction online in onda da molti anni al punto da essere una delle grandi storie orali della rete.
Netochka è la “versione” umanizzata di una cassetta degli attrezzi/toolkit per software. È fondamentalmente una estensione di un ambiente di montaggio che viene utilizzato per campionare ed eseguire il morphing al video digitale in tempo reale.
Netochka conosce la scena dei media, addirittura intervista e persino frequenta il circuito di lettura. Compare inoltre a conferenze di arte digitale e tecnologia per promuovere il software; a eccezione, come fece Wahrol molti anni fa, di quando si rivela
di persona, è spesso rappresentata da donne diverse. Nessuno in effetti sa se esista una
“vera” Netochka.
Così spiega, in un certo qual modo, tramite una e-mail inviata a Salon.com un po’
di tempo fa (http://www.salon.com/tech/feature/2002/03/01/netochka/index.html):
“La reputaziopne di NN è basata su una promozione.murale bocca a bocca. Quando
qualche cosa si ritrova molto ben kostruita e designata con un grado di integrità, si
regge in piedi da sola... Tutte le ragazze fighe indossano NN”.
Ribaltate la stessa idea di “tutte le ragazze fighe” all’interno della scena del remix e
ottenete l’immagine speculare di Nezvanova: Luther Blisset. Come Nezvanova, Blisset
è un pusher di merce dematerializzata: al posto del software, “lui” racconta storie, e fa
remix on-line di tracce musicali di altre persone. Utilizzando le sue parole, estratte da
http://www.altx.com/manifestos/blisset.html:
Luther Blisset è sia il racconta storie che il MacGuffin di un gioco di simulazione vissuto sul palcoscenico del mondo. È essenzialmente una spietata teoria di cospirazione che fa uso per lo più di tecniche testate nella Rete (Ete)reale della Mail Art (NOMI
MULTIPLI, creazioni “Aggiungi, Passa, Ritorna” ecc.) icon l’intento di manipolare e
rovesciare il linguaggio dei miti, gli archetipi della cultura popolare così come l’esperienza religiosa neopagana. È una sorta di lucido sciamanesimo che non appartiene a
una visione del mondo pre-democratica e pre-individuale (cioè una rivendicazione di
un’unità sociale totalitaria); al contrario si pone OLTRE la democrazia e l’individualità, nel nome di una libera caotica empatia tra le creature, come se noi fossimo deliziosi Betazoidi. Delle volte le congiunture tra gli elementi del progetto si verificano
per richiamare i più intricati racconti polizieschi (ad esempio The Long Goodbye di
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Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
Raymond Chandler oppure White Jazz di James Ellroy), o forse “Paco Ignacio Taibo
incontra Paracelso a un Rave Illegale”.
Questo è il remix. Mentre Nezvanova è parte e parcella della mitologia della scena
software on-line, Blisset è un processo di osmosi; prende ciò che può, lo rivolta, e poi
ci scrive un manifesto. Pensate a lui come all’equivalente delle cassette mix di dj Kay
Slay dove Ja Rule, Eminem, Busta Rhymes, e 50 Cent lottano l’uno con l’altro sopra
rime disperse sulle cassette mixate; pensate allo scenario Samizdat underground, e vi
farete un’idea. Mettete insieme i racconti di strada da ghetto, i miti delle persone sul
Web, i file che utilizziamo per processare la cultura, e di nuovo (si presenta) quell’eco,
forma e funzione, fatto e finzione. Il remix diventa “fazione”. Verificate la vibrazione
su www.hotmixx.com.
Ciascun software ha una storia. Ciascun suono ha un’origine. Mi è stato chiesto che
cosa ne penso dell’uso massiccio del campionamento, e ho sempre voluto usare una definizione sintetica che descrivesse il processo. Termini come “proprietà collettiva”, “sistemi
di memoria” e “logiche di archiviazione” non non si confanno alla pratica della lettura,
così questo saggio introduttivo può essere considerato come un primo assaggio per chi è
perplesso nei confronti del suono. Sound Unbound rè un insieme di cose, di primi approcci, di attenzioni senza cali, di memoria intesa come vasto parco giochi in cui ognuno può
essere un suono. Si preme “play” e questa antologia risponde: “Si comincia”.
Pensate. Cercate un momento nella ottusa quotidianità di ciò che sta accadendo
attorno a voi e cercate i vuoti di corrente. Distoglietevi da quel pensiero e considerate
l’esercizio come una specie di mini-meditazione sulla vita mediata. Pausa. Ripeti. Una
parola passa oltre a definire lo scenario. La vostra mente la capta, e la pone in contesto.
Prossimo pensiero, prossimo scenario; lo stesso processo si svolge di continuo, è un processo interno che nemmeno ha bisogno di lasciare i comodi confini della vostra mente.
Una poesia di voi stessi scritta in fastasticheria sinaptica, una zuppa chimica farcita di
pulsazioni elettriche si ripete e si trascina dietro un sacco di conoscenza. In fondo, il
processo è una macchina astratta che cerca il posto giusto e i codici giusti.
L’informazione nella vostra mente cerca strutture che le diano un contesto. Il mondo
cui avete pensato è solo il luogo per un sistema più vasto. È una mappa neurale che si
spiega in sintassi direttamente congiunte a processi elettrochimici. È l’architettura percettiva che compone non solo ciò che potete pensare, ma il modo in cui potete pensare. Dentro di noi, utilizziamo le nostre menti per così tante cose diverse che possiamo
solo immaginare quanto sia complicato il processo del pensiero. Fuori, lo scenario è differente. Ogni atto umano, ogni espressione umana, deve essere tradotta in qualche sorta
d’informazione affinché altre persone la possano capire. Alcuni la chiamano l’interfaccia “mente-cervello”, altri, come Cartesio, la definiscono una sorta di illusione percettiva (e perpetua). In quest’epoca, l’idea di base relativa a come creiamo il contenuto
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Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
nelle nostre menti è a tal punto condizionata dai media che ci troviamo in una posizione in cui nessun’altra cultura si è mai trovata nella storia dell’uomo. Oggi, quel
mondo interiore si manifesta in una maniera che può essere cambiata nel mondo
“reale”. Quando è registrata, adattata, remixata, e caricata, l’espressione diventa una
unità di valore del flusso in una corrente fissata e remixata fra le correnti in continuo
trasferimento del flusso d’informazione che corre attraverso le reti che utilizziamo per
parlare l’uno con l’altro. Non per nulla Marx disse molto tempo fa che “tutto ciò che è
solido si scioglie in aria”; forse stava anticipando l’economia di idee che guida i sistemi
di rete in cui viviamo e respiriamo. In epoche differenti, l’invocazione di una deità, una
preghiera, un mantra, queste erano forme comuni, condivise per mezzo di affinità culturali e affermate da coloro che parlavano il codice, il linguaggio delle persone che condividevano la storia.
Oggi, c’è uno scarto tra mondo percettivo interno ed esterno su cui tutte le filosofie dei media hanno scritto, filmato, colpito, caricato, riordinato, collegato, e giocato,
e all’interno del contesto di questo luogo interstiziale in cui i pensieri possono essere
media, sia che vi appaiano familiari sia che non lo siano, i “tipi” di pensieri non importano necessariamente. In questo mondo, non esiste una tassonomia dell’immaginazione. È la struttura delle percezioni, e i testi e le memorie che sono condizionate dal processo del pensiero, che riecheggia e configura il modo in cui i testi che vi sono familiari vengono fuori mentre pensate. Viviamo in un’era in cui la citazione e il campionamento operano a livello talmente profondo che l’archeologia di ciò che può essere
chiamato “conoscenza” fluttua in un reame oscuro tra il reale e l’irreale. Considerate
The Matrix come una versione aggiornata della caverna di Platone, un frammento di
parabola della sua Repubblica scritta più di duemila anni fa ma ancora risonante con
l’idea del vivere in un mondo d’illusione. A tale proposito, considerate l’interazione tra
standardizzazione e concetto di ritmo. “Ratio”, naturalmente, essendo la radice di
“razionalità”, è il punto di vista centrale in questo scenario, e il sistema longitudinale
(la rete globale che organizza l’esperienza nella mappa del mondo) è una buona
metafora per il modo in cui riduciamo a sistema l’esperienza umana. Tale divagazione
è intesa come dialogo tra differenti forme di scultura, come gli oggetti fisici “mappano” gli oggetti di suono basandosi sui tipi di metafore che utilizziamo per racchiudere la cultura dell’informazione contemporanea; pensate a questo come ad ascoltare il
suono del mondo che si schiude in ritmo. La questione del suono della longitudine si
basa, a partire dal Diciottesimo secolo, sull’orologio di Harrison che Re Giorgio III e
il parlamento britannico utilizzavano per creare quel sistema a griglia che ancora oggi
guida le rotte di navigazione e configura la nostra percezione delle “zone temporali”.
Abbiamo ereditato i suoni dell’orologio H4 utilizzato nel Diciottesimo secolo dal
ministero della marina militare britannica come fossero una scultura globale; una
mescolanza che governa la maniera in cui percepiamo l’intero pianeta.
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Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
La longitudine rappresenta quelle che mi piace chiamare “dinamiche planetarie”:
esplora il modo in cui raggruppiamo il senso artificiale di tempo e spazio con quelle
strutture di riferimento socialmente costruite che ci piace chiamare “stato-nazione”. Il
tempo imperiale aspira a essere universale, e la griglia, e persino la stessa razionalità non
fanno eccezione. In precedenza nel Diciottesimo secolo, mentre i trasporti via mare si
diffondevano in tutto il mondo, centinaia di imbarcazioni e migliaia di marinai scomparvero in mare o naufragarono sulle coste poiché, una volta persi di vista dalla terraferma, non disponevano di un modo affidabile per dire dove si trovassero tra gli oceani apparentemente infiniti della Terra. Nel 1714, il parlamento offrì la cifra di 20mila
sterline a chiunque fosse in grado di risolvere uno dei più grossi problemi scientifici dell’epoca: come misurare in maniera accurata la longitudine nel mare. Mentre altri cercavano risposte dalle stelle nel cielo, John Harrison, figlio del Diciottesimo secolo, falegname autodidatta dello Yorkshire, che aveva già costruito uno degli orologi più accurati nel mondo, pensò che avrebbe potuto realizzare un orologio che sarebbe stato sempre in grado di mantenere il tempo a bordo di una nave; una cosa che molte persone
pensarono piuttosto impossibile, come volare sulla luna, o congiungere il Dna di una
medusa con quello di un coniglio. L’orologio che aveva immaginato, avrebbe consentito ai marinai di avere una tabella della loro posizione esatta, di evitare ulteriori tragedie
marittime, e di creare una nuova forma di navigazione basata su precise coordinate in
stile Mercator. L’emergenza del sistema di “longitudine” è letteralmente la storia di
come Harrison, per aggiudicarsi la ricompensa, abbia lottato per perfezionare la propria
idea sfidando le difficoltà fisiche dell’oceano e quelle più intellettuali degli ostacoli dati
dalla Tavola della Longitudine, impostata dal Parlamento. Indovinate con che cosa era
più difficile avere a che fare? Persone contro persone. Idee contro idee. Non importava
quale idea fosse migliore, ma quante persone ci credevano.
Harrison, convinto del fatto che la sua idea avrebbe funzionato, andò a Londra e si
apprestò a costruire il suo primo orologio marino. Nel 1727 ne costruì uno con un
pendolo a “graticola” che era composto di nove aste alternate in acciaio e ottone che
eliminavano gli effetti dei cambiamenti di temperatura all’interno dei meccanismi dell’orologio. Nei decenni che seguirono, questo meccanismo interno venne utilizzato per
costruire quattro orologi, ciascuno dei quali doveva risolvere il problema della longitudine. Dal 1762, al termine di un viaggio per mare durato 147 giorni, H4 aveva
perso soltanto 1 minuto e 55 secondi; si trattava forse di uno dei dispositivi più complessi dell’epoca, se non di uno dei più sottilmente influenti3. Ha impostato il “tono”
del tempo per svariati secoli successivi. Mixate il suono dei meccanismi di questo orologio con il suono degli orologi atomici a base di particelle di cesio che negli Stati
Uniti vengono utilizzati per standardizzare il tempo di Internet e tutti gli aspetti della
modernità sul sistema di base del tempo, e ottenete una scultura sociale enorme. Il
ritmo, dopo tutto, può essere sia visibile che invisibile, e questa è la traccia sonora per
una differente tipologia di “ordine del mondo”4.
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Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
Vediamola da questo punto di vista: mentre il World Wide Web continua a espandersi, sta diventando sempre più difficile per gli utenti ottenere informazioni in
maniera efficiente. Questo non ha niente a che fare con il volume d’informazioni nel
mondo, o persino con chi vi ha accesso; è un tipo di funzione da motore di ricerca che
a trovarsi nel pieno di una crisi di significato. La metafora regge, la poesia invoca il
verso successivo, la parola conduce al pensiero e indietro di nuovo. Repeat. Lo scenario: interno volge in esterno volge in involuzione. Il loop della percezione è una implacabile sala degli specchi nella mente. Potete pensare al campionamento come a una
storia che vi state raccontando; del mondo così come lo ascoltate, e il teatro dei suoni
che invocate con tali frammenti è un unico racconto composto di molti. Pensateci
come all’atto di memoria che muove da parola a parola come un remix: complesso
volge in multiplo volge in omniplesso. Nel libro scritto dal fisico David Bohm a tale
proposito, Tought as a System5, l’idea di progresso è descritta come convergenza di questi “suggerimenti visivi” che mettono insieme occhio e mano nel momento in cui pensiamo. Gli approcci multivalenti e multiculturali al linguaggio, e tutte le svariate alternative che circolano proprio adesso, rendono questa di materia molto interessante. O
pensate ad Antonin Artaud, che nel 1938 inventò il termine “realtà virtuale” nel suo
Il teatro e il suo doppio6 al principio della sezione intitolata Il teatro e la cultura, in cui
un’epoca cercava il teatro, un’altra cercava il codice nel periodo della cultura d’informazione. Artaud si domanda, in che modo la vita è divenuta teatro totale? Tutto
dipende da come si ascolta il suono della scienza: come a me piace sempre dire, “la
mimesi è il metodo del modo”. La domanda di Artaud grava tutt’ora su di noi nel
Ventunesimo secolo come un qualche sudario composto di frequenze invisibili; un
memoriale per un’era defunta.
Altra permutazione, altra escursione di suono in modalità file-flip: nel suo saggio del
1938 On the Fetish-Character in Music and the Regression of Listening, il teorico
Theodor Adorno lamentò il fatto che, come molte altre arti basate sulla performance,
la musica classica europea stava diventando sempre più un’esperienza registrata. Aveva
già scritto un saggio chiamato The Opera and the Long Playing Record un paio d’anni
prima, e il saggio Fetish era una prosecuzione dello stesso tema. Le persone erano state
esposte alla musica finché a mala pena avevano il tempo di ricordarla perché l’enorme
quantità delle registrazioni e il piccolo lasso di tempo per assorbirle presentavano all’ascoltatore protomodernista una sorta di mentalità da imbeccata, quella con cui nell’era del Web stiamo acquisendo una sempre maggiore familiarità. Scrisse: “I nuovi ascoltatori somigliano alle meccaniche che sono al contempo specializzate e capaci di applicare le loro abilità speciali a luoghi insoliti al di fuori del loro artigianato. Ma questa
despecializzazione pare solo di aiutarli al di fuori dal sistema”7. Quando Tim Bernes
Lee scrisse parte del codice sorgente originale del World Wide Web, si trattava di poco
più di un club di professori, un luogo che comportava svariate attività emozionanti
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Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
come fornire dossier sulla ricerca di particelle atomiche presso il CERN in Svizzera, o
negoziare sugli ultimi sviluppi del segnale di commutazione a pacchetto con i coordinatori del progetto DARPA, o mettere in campo gli ultimi sviluppi nella riduzione del
segnale di disturbo al Bell Labs, ma questo richiamò alla mente lo stesso senso di
abbreviazione menzionato da Adorno.
Sono portato a pensare al campionamento e al caricamento di file come alla stessa
cosa, semplicemente in formati diversi; per parafrasare John Cage, il suono non è altro
che informazione sotto diversa forma. Pensate alla cultura dei dj come a una sorta di
impulso d’archiviazione applicato a una sorta di milieu del cacciatore-raccoglitore:
bracconaggio testuale, diventa pagato zero, diventa privo di logo, diventa marchio X.
È quell’aspetto d’interfaccia che emerge di nuovo, ma questa volta attorno all’interfaccia mente-cervello diventa un sistema emergente d’economia d’espressione su larga
scala. Quando un numero sempre maggiore di persone si sono unite al Web, quest’ultimo ha assunto un ruolo via via più esteso, e io considero questa espansione in
parallelo con la coevoluzione dei media registrati. Lo spazio lessicale è diventato spazio culturale. I motori di ricerca hanno continuato a ricoprire un ruolo sempre più
importante mentre il Web si espandeva perché le persone avevano bisogno di essere in
grado di accedere rapidamente alla grande quantità di risultati variegati che sarebbero
stati prodotti: i motori di ricerca cercano ciò che è stato loro chiesto di cercare, e quindi finiscono col restituire un sacco di risultati conflittuali. Il metadata abbatte i contenuti dei siti Web in una maniera molto facile per cercare “metatags” che contrassegnino l’attenzione degli sguardi distanti dei motori di ricerca; il processo è essenzialmente come un enorme Rolodex le cui linguette sono blu e la carta che descrivono è nascosta al di sotto. Lo stesso accade con il suono.
M’accingo ad avviare questa antologia su multimedia, campionamento, e memoria
con una metafora per motori di ricerca e World Wide Web perché intendo il Web
come un tipo di eredità del modo con cui i dj cercano le informazioni: nel Web vi è
un mondo shareware, e la migrazione di valori culturali da una strada a un’altra è l’argomento di questo saggio. Pensate alle strade come a percorsi di movimento in un paesaggio composto di traiettorie e collettori. Le strade trasmettono persone e beni attraverso un paesaggio densamente abitato tenuto insieme dal consenso. Come disse
James Howard Kunstler nel suo The City in Mind8, sulle città di cui ama scrivere, si
tratta di luoghi “estesi quanto la stessa civilizzazione”. Considerate il ruolo del motore di ricerca nella cultura del Web come uno nuovo cavalcavia, e quel ruolo è espanso
un milione di volte: l’informazione e i beni sono lì fuori, ma voi rimanete fermi in un
posto. L’architettura del luogo dove risiede la vostra informazione, in questa geografia
del nessun luogo, nelle relazioni che mantengono unita la struttura: vuoto, nel senso
buddista del mantra, ripetizione, e rafforzamento delle motivazioni, codificare il testo
(in tale scenario, il vuoto può essere davvero pieno).
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Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
Un artista di nome Warren Sack creò una “mappa di conversazione” un po’ di
tempo fa per tracciare il modo in cui mappiamo il linguaggio basandoci su relazioni
spaziali9 come un “sistema per riassumere e visualizzare grandi volumi di e-mail”. Altri
due artisti, Ben Rubin e Mark Hansen, svilupparono un progetto simile intitolato
“Listening Post”10. Il loro comunicato stampa figura come un aggiornamento psicoanalitico sulla cultura contemporanea, e potrebbe facilmente essere un’imbeccata utile
per questo saggio perché, dopo tutto, sto scrivendo dell’arte dell’appropriazione:
Listening Post è una risposta bioritmica visiva e sonora al contenuto, alla grandezza
e all’immediatezza della comunicazione virtuale. Questa installazione interfacciata di
multimedia è composta di una griglia sospesa di più di duecento piccoli schermi elettronici che visualizzano frammenti di testi selezionati in tempo reale da migliaia di
illimitate chat Internet, bacheche e altri forum pubblici. Dissociando la comunicazione dalla propria presenza convenzionale su schermo, il progetto presenta i testi
secondo la frequenza di parole selezionate casualmente, mentre emergono argomenti e modifiche di ora in ora e di giorno in giorno. Un componente audio coordinato
si alterna tra i passaggi musicali e le sezioni che danno voce ad alcuni messaggi, sottolineando il testo sugli schermi.
Ma non è divertente citare i comunicati stampa, per cui saltiamo da metafora in
tropo, da contenuto in codice e di nuovo, e giungiamo alla conclusione che questo è
un contesto associativo; portiamo significato alla ricerca, e i suoni che vogliamo udire
si riflettono in alcune delle nostre relazioni codificate. L’informazione che definisce ciò
che state cercando e il risultato finale costituiscono un file che si trova in qualche luogo,
e i motori di ricerca del Web sono il collegamento tra voi e quel risultato finale. Dal
momento che la maggior parte dei motori di ricerca leggono formati di lingua come
HTML o SHTML, i risultati di ricerca riflettono tag di formattazione più dell’attuale
contenuto di pagina, che si trova espresso nel linguaggio naturale. Nel 1939 John Cage
scrisse una delle prime composizioni per fonografi. Fu chiamata Imaginary Landscape
No. 1 ed era essenzialmente intesa, utilizzando le sue parole, “per essere successivamente trasmessa o ascoltata come una registrazione. È in effetti un pezzo di proto-musica
concreta, e sebbene naturalmente fino a quella data non ci fosse nastro, gli strumenti
erano dischi di frequenze costanti e variabili (allora disponibili soprattutto per la ricer11
ca audio)” . Dalla rotazione di dischi fatta di frequenze, otteniamo la metafora per una
immaginazione senza fili, un Web Semantico che descrive un nuovo tipo di gerarchia e
standardizzazione che sostituirà ciò che in questa era è stato una rete di composizioni
(che ricorda la richiesta di Vannevar Bush per l’archivio audio “memex” durante la
seconda guerra mondiale; Imaginary Landscape costituire un’operazione di scelta di
memoria e materiale). Cage voleva sostituire la sua corrente “rete di collegamenti” con
una “rete di significato”. Oggi, quando navighiamo e cerchiamo, invochiamo allo stes29
Paul D. Miller aka Dj Spooky that Subliminal Kid
so tempo una serie di operazioni di scelta, utilizziamo interfacce, icone, e testo, come
un set flessibile di linguaggi e strumenti. Il nostro Web semantico è un remix di tutte
le informazioni disponibili: elementi di display, metadata, servizi, immagini, e in special modo contenuto, resi accessibili. Il risultato, come intimava così tanto tempo fa il
pezzo di Cage, è un immenso deposito di informazioni accessibili a una ampia gamma
di nuove applicazioni, è un archivio di pressocché qualunque cosa sia stata registrata.
La parola “fonografo” ha così tante connotazioni, mi piace sempre pensarla come la collisione di due parole, fonetica e grafologia. Phono più graph, la pura varietà di stili e il
fenomeno underground sono per di più universi a se stanti. Edison, Sarnoff, Marconi,
Garrett A. Morgan... Costellazioni di suono, memoria, ed espressione sono nella
maniera più assoluta le strutture intrinseche di questo multiverso.
Una buona lettura è l’equivalente di un buon mix. Pensatlo come una specie di
“amicus curiae brief ” per che è perplesso riguardo ai suoni, un giudizio non sulla traccia singola ma sul mix nella sua interità. È filosofia per la generazione delle mescolanze sonore, su un mix fatto da Burroughs contro Grand Master Flash ecc.; ci sta dentro tutto. Ecco il punto.
Il Ciclo dell’Anello. La Mer. Paesaggi Immaginari. L’arte del rumore. Musique d’ameublement. Pli Selon Pli. Kraanerg. Gebrauchsmusik. Nomi che sono comuni nella musica classica contemporanea si riconfigurano come template per una tipologia differente di
classicità: DEATH MIX di Africa Bambata, ADVENTURES ON THE WHEELS OF STEEL
di Grand Master Flash, THE LESSON di Steinski e Double D, WAVE TWISTERS di dj
Q*bert, e così via... Questo manuale del Web Semantico include, fra gli altri argomenti, agenti software che possono negoziare e raccogliere informazioni, linguaggi di mark
up che possono raccogliere molti altri tipi di informazioni in un documento, e sistemi
di cognizione che permettono alle macchine di leggere le pagine Web e determinano la
loro attendibilità. Ma inoltre promuove un senso di partecipazione in ciò che Heidegger
chiamava l’“Era del Ritratto del Mondo”. Il Web Semantico davvero interdisciplinare
combina aspetti di intelligenza artificiale, linguaggi di mark up, elaborazione di linguaggi naturali, recupero d’informazioni, rappresentazione di conoscenza, agenti intelligenti
e database. Un buon dj ha tanti dischi e file e sa perfettamente dove filtrare il mix. Non
per niente chiamano il processo on-line “filtraggio collaborativo”; si tratta di nuovo di
quei loop, che ritornano, come E.T.A. Hoffman e Frankestein di Sigmund Freud e
l’Arcano sbattuti contro lo scenario originale di Mary Shelley e aggiornati, stile weblog;
riconduceteli all’origine, e vi resta un paesaggio immaginario. Come avrebbe detto
George Clinton, “Siete tutt’uno con i cloni del Dott. Funkenstein”. Controllate il remix.
Sound Unbound è una antologia che dice gaiamente: “All’inferno le vostre suddivisioni e
descrizioni di nomi! Questo è ciò che sta succedendo!”.
Pensate ai Web semantici che racchiudono l’informazione della cultura contemporanea, alla disconnessione del modo in cui parliamo, e pensate alle macchine che pro30
Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
cessano l’una con l’altra il “parlare di cultura” nei nostri sforzi per far sì che qualunque
cosa sia rappresentata e disponibile ovunque a chiunque. È quella febbre d’archiviazione che fa sì che il mondo d’informazione si sprigioni, e come artisti siete buoni
tanto quanto il vostro archivio. È così minimalista, e così semplice. Ecco ciò che lo
rende profondamente complesso. Nel luogo del dentro e fuori, verso l’interno attraverso il portale nel qui e ora, o fuori attraverso il segnale d’uscita, c’è sempre un impegno discrepante. Del tutto vivi, modelli di flutti, formazioni di nuvole, vortici e gorghi, e flussi negli schemi di vita della terra visti dall’alto. Tutto riguarda i ritmi, tutto
riguarda gli schemi: la meteorologia del mondo che abitiamo, frammenti sincopati di
geologia, spazio e tempo, restituiti in ondulazioni percettive, come un luogo in cui ciascuna cosa, il cielo, la sabbia, le nuvole, le onde sulla superficie dell’oceano, il respiro
che il mio corpo emana, tutto, è vivo e si muove con grazia assieme al resto.
Esiste sempre un ritmo nello spazio tra le cose. Fate una pausa, trattenete il pensiero, valutate il momento. Ripetete. Aspettate. Ecco che ricomincia. Un altro pensiero,
un’altra pausa nel monologo interno in differente astrazione, il lettore, l’ascoltatore.
Emettete queste parole ad alta voce, e si applica la stessa logica, vi è sempre un ritmo
nello spazio tra le cose. Questa verità è diventata chiara dal momento in cui Schelling
e Goethe hanno detto che “l’architettura non è altro che musica congelata”, quel
suono e le forme che abitiamo sono intimamente intrecciate. Che accade se invertite
il processo, e pensate al suono come a nient’altro che architettura scongelata? Il
momento tra i suoni, il momento tra i pensieri e le percezioni... è una di quelle strutture intangibili che dotano di significato le cose che separano, ed è l’argomento affrontato da questa antologia. Confondere le linee tra le forme d’eco del pensiero negli
effetti ritardati delle loro azioni prodotte dagli stessi pensieri, qui e adesso, serve a
prendere una... pausa. Dal momento che il discorso privato è reso pubblico, il discorso pubblico diventa una nuova tipologia di sostentamento in un ecosistema cacciatore-raccoglitore di momenti sospesi in una cultura fondata su un mondo in cui l’informazione si muove solo perché qualcuno l’ha inventata e condivisa. È un ambiente in
cui la rete è definita come una citazione che chiude con una citazione: “E un sistema
è definito come un’altra citazione di una citazione”. Musica di significanti fluttuanti,
software come ambiente di revisione, smaterializzazione dello studio a una velocità bit
che può solo accelerare. Questo è il risultato finale: un moto aleatorio oltre le definizioni prende il posto di qualunque senso di significato fissato; come lo slang, analizziamo i suoni come un processo vernacolare. Sono una sintassi del “e se”; come appariranno questi suoni in questo mix quando li posizioniamo sopra un altro suono, in
un altro file, in un altro programma? Ancora una volta, una delle cose principali cui
faccio caso, che le persone mi domandano quando viaggio è: “Che software usi?”.
Le reti del computer di oggi sono costruite su protocolli di software che sono fondamentalmente testuali. Per paradosso, questo medium linguistico di software non è
solo strettamente indecifrabile per il laico, ma ha creato trasformazioni radicali, mate31
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riali attraverso tali mezzi linguistici: computer e network come forze di globalizzazione. “Translation Map/Mappa di Trasferimento/Traslazione”, così come “Listening
Post/Post d’Ascolto”, sviluppano un approccio per abitare e visualizzare il linguaggio
computer-basato o computer-mediato in quanto spazio o forma materiale. Come disse
molto tempo fa Henri Lefebvre nel suo classico del 1974 The Production of Space:
“L’inventiva del corpo non ha bisogno di dimostrazione, la rivela per il corpo di per se
stesso, e la dispiega nello spazio. I ritmi in tutta la loro molteplicità penetrano l’uno
nell’altro. Nel corpo e attorno a esso, come sulla superficie di un corpo d’acqua, i ritmi
stanno sempre attraversando e riattraversando, sovrapponendosi l’uno sull’altro, perennemente destinati allo spazio”12.
Una scultura intangibile che esiste solo nello spazio virtuale tra voi e l’informazione
che percepite; tutto è in trasformazione continua, e cercare di far sì che qualcosa rimanga la stessa significa davvero trovarsi catturati in un salto temporale che appartiene a
un’altra epoca, a un altro luogo in cui le cose restavano ferme e non cambiavano poi così
tanto. Ma se esiste un aspetto che spero questo saggio abbia rivelato è di indurci a pensare che gli oggetti si muovono, di ricordarci che siamo mammiferi a sangue caldo e che
l’informazione fredda che generiamo è un prodotto dei nostri desideri, e che manifesta
alcuni degli elementi profondi della nostra essenza. Il punto di tutto ciò? Per ricordarci
che, come Ellington e svariati altri musicisti dissero molto tempo fa, “It don’t mean a
thing if it ain’t got that swing” (Non significa niente se non ha quello swing). Considerato
che l’era dell’informazione parte in quarta, sarebbe saggio ricordare i racconti ammonitori di sfumature e ombre. Per richiamare e remixare il racconto a proposito di un
annoiato milionario che vive in un mondo di sogno, del testo di Don DeLillo, che disse
nel suo Cosmopolis: “Era pura superficialità affermare che numeri e grafici fossero la fredda compressione di turbolente energie umane, desideri e sudate notturne ridotti a lucide unità sui mercati finanziari. In realtà i dati stessi erano pieni di calore e passione, un
aspetto dinamico del processo della vita. Quella era l’eloquenza di alfabeti e sistemi
numerici, ora pienamente realizzata in forma elettronica, nel sistema binario del mondo,
l’imperativo digitale che definiva ogni respiro dei miliardi di esseri viventi del pianeta. Lì
c’era il palpito della biosfera. I nostri corpi e oceani erano lì, integri e conoscibili”13.
Delle volte, è tutto così semplice. Benvenuti in Sound Unbound.
Entrare dalla porta d’uscita: campionamento e atto creativo
delle Nazioni Unite, Julian Laverdiere, e Paul D. Miller; per maggiori informazioni e per
ascoltare il suono dell’orologio H4 visitate: www.djspooky.com/art.html/.
4. Una buona discussione sull’impatto degli orologi di Harrison può essere trovata nel
testo di Dava Sobel Longitude: The Story of a Lone Genius Who Solved the Greatest Scientific
Problem of His Time, Penguin, Londra, 1995.
5. D. Bohm, Thought as a System, Routledge, Londra, 1994.
6. A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968.
7. T. Adorno, Essays on Music, con note e commenti di Richard Leppert, trad. Susan H.
Gillespie, University of California Press, p. 311.
8. J.H. Kunstler, The City in Mind, The Free Press, 2001.
9. Si veda www.translationmap.walkerart.org/ oppure www.sims.berkeley.edu~sack/cm/.
10. Si veda http://www.earstudio.com/projects/listeningPost.html/.
11. J. Cage, The 25 Year Retrospective Concert of the Music of John Cage (liner note all’album, 14 e 29, Wergo, LP, 6247-2).
12. H. Lefebvre, The Production of Space, trad. Donald Nicholson Smith, Blackwell
Publishing, 1974, p. 205.
13. D. DeLillo, Cosmopolis, Einaudi, Torino, 2006, p. 23.
Note
1. «New Statesman», 21 gennaio 2002.
2. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino,
Einaudi, 1966.
3. Note e ulteriori informazioni sullo sviluppo degli orologi di Harrison possono essere
trovate sul Cd STANDARD TIME, una collaborazione tra Miklos Pinther, capo cartografo
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