anno 20 | numero 40 | 8 OTTOBRE 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
Sentinelle
«Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata»
(San Giovanni Paolo II, Washington, 1979)
4 ottobre in piazza San Pietro per l’apertura del Sinodo
5 ottobre appuntamento in cento piazze d’Italia
EDITORIALE
COSÌ I VESCOVI RINGRAZIANO MAMME E PAPÀ
Una sfida con la fionda di Davide
alla cultura dell’omologazione
N
on è con le lenti della politica di Bisanzio che si può leggere il comuni-
cato dei vescovi (Cei) che prepara i lavori del Sinodo e dice cose che
dovrebbero essere apprezzate e agite da tutti. Perciò, rileggiamolo
nei passaggi salienti, prendiamo nota e ringraziamo a nome degli italiani.
«(…) Parliamo, innanzitutto, per esprimere gratitudine a quanti quotidianamente – e spesso in mezzo a sfide e difficoltà indicibili – testimoniano la libertà
e la dignità che scaturiscono da quell’intima comunità di vita e d’amore che è il
matrimonio.
(…) Grazie per l’investimento educativo con cui mamme e papà sfidano, con la
fionda di Davide, una cultura che produce a buon mercato banalità e omologazione, appartenenza debole e disaffezione al bene comune. Grazie per la dignità e la
pazienza ostinata con cui affrontano la grave e perdurante crisi: quanti genitori
resistono in prima fila, provati dalla mancanza di lavoro, dal problema della casa, dai costi legati alle proprie scelte educative. La famiglia si conferma il presidio
della tenuta non solo affettiva ed emotiva
delle persone, ma anche di quella sociale IL COMUNICATO DELLA CEI CHE
PREPARA AI LAVORI DEL SINODO
ed economica.
DICE COSE CHE DOVREBBERO
La stima e la riconoscenza per la famiESSERE APPREZZATE E AGITE DA
glia ci impongono di fare anche un passo
TUTTI. PERCIÒ PRENDIAMO NOTA
successivo. Ci portano a riaffermare con Papa Francesco che “questo primo e principale costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo merita di essere fattivamente sostenuto”.
Non lo fa chi, al di là delle promesse, si rivela sordo sia nel promuovere interventi fiscali di sostegno alla famiglia sia nel realizzare una politica globale di armonizzazione tra le esigenze del lavoro e quelle della vita familiare (…).
E non lo fa neppure chi non esita a dare via preferenziale a richieste come il riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto o, addirittura, l’accesso al matrimonio per
coppie formate da persone dello stesso sesso. Del resto, che aspettarsi per la famiglia
se la preoccupazione principale rimane quella di abbreviare il più possibile i tempi
del divorzio, enfatizzando così una concezione privatistica del matrimonio?
Quanti sono in buona fede sanno che la nostra posizione parte dalla conoscenza
della complessità di questo tempo e non se ne scandalizza. Soprattutto, non chiude
la porta ad alcuno: lo stile e la prassi di cordiale e totale accoglienza espressa dalle nostre parrocchie, ne è la prova più immediata. Questa disponibilità di fondo ci
spinge ad alzare la voce a tutela e promozione della famiglia e a rilanciare la disponibilità a spenderci con tutte le nostre forze a servizio del nostro popolo.
Sappiamo di non essere soli in questo cammino, ma di incrociare l’intelligenza
e la generosa volontà di quanti – pur partendo a volte da presupposti culturali diversi – avvertono il peso della posta in gioco.
Insieme condividiamo la convinzione che alla stabilità della famiglia è legata
la stessa qualità della condizione umana: per questo non ci stanchiamo di impegnarci contro ogni attentato alla vita, alla libertà educativa, al diritto
all’istruzione e al lavoro, autentiche condizioni di giustizia e di pace».
MINUTI
Quell’indicibile
fiato di cenere
Questo mercoledì di settembre è
ciò che tutti definirebbero una bellissima giornata. Tiepida, le chiome degli alberi che docilmente sbiadiscono al sole. Sole un po’ pallido, a dir
la verità, in un cielo velato. Ma, nei
giardini, le rose fioriscono ancora.
Io però non riesco a distogliere lo
sguardo dagli alberi: ancora carichi
di foglie, ma spente, come se la linfa,
nelle loro vene, avesse smesso di scorrere. Non c’è un alito di vento, e solo a tratti una foglia solitaria cade a
terra, con un impercettibile fruscio.
Le altre se ne restano lassù, sui rami,
a guardarla – vive ancora, ma illividite ormai.
Non so perché io sia fatta così male,
e avverta in questa bella giornata
un fiato di cenere. Preferisco, piuttosto, un’ alba di gennaio: buia, con
il ghiaccio che scricchiola per terra,
e il freddo che morde le mani e taglia le labbra. La preferisco, perché lì
la morte è ormai compiuta – e non
c’è niente che ancora possa morire.
Mentre sotto alla terra brinata i semi stanno serrati in sé, e quasi pronti a germogliare.
Mi guardo intorno per strada, cercando nelle facce dei passanti la mia
stessa malinconia. Ma sembrano tutti indifferenti, come probabilmente, del resto, lo sembro io. Ci diciamo
anzi, fra conoscenti: che splendida
giornata.
Ci sono cose di cui, per convenzione,
non si parla. Come l’impallidire e
l’accartocciarsi delle foglie, a settembre, e il nostro calpestarle – come se
non ci sussurrassero niente. Marina Corradi
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO | TEGGI
NUMERO
anno 20 | numero 40 | 8 ottoBre 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
40
Sentinelle
«Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata»
(San Giovanni Paolo II, Washington, 1979)
4 ottobre in piazza San Pietro per l’apertura del Sinodo
5 ottobre appuntamento in cento piazze d’Italia
4 ottobre in piazza
San Pietro per l’apertura
del Sinodo; 5 ottobre
appuntamento
in cento piazze d’Italia
LA SETTIMANA
22 ESTERI IL DOPPIO GIOCO DI ERDOGAN | CASADEI
Minuti
Marina Corradi............................3
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
Boris Godunov
Renato Farina............................ 15
Declino e caduta
Antonio Gurrado................ 35
Mamma Oca
Annalena Valenti................41
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 44
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano..................45
16 INTERNI EDUCAZIONE IN CLASSI
STRANIERE | BORSELLI
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento................................... 47
L’ascia nel cuore
Emanuele Boffi......................50
RUBRICHE
28 SOCIETÀ LE SENTINELLE IN PIEDI | PECE, ADINOLFI
36 CULTURA IL TEATRO DONIZETTI DI BERGAMO
Stili di vita.......................................... 40
Motorpedia........................................42
Lettere al direttore.......... 44
Taz&Bao................................................48
Foto: Corbis, Sentinelle in piedi
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 20 – N. 40 dal 2 all’8 ottobre 2014
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REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
IN COPERTINA: Foto Sentinelle in piedi
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UFFICIO GRAFICO:
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FOGLIETTO
DUE MESI PER LASCIARE IL SEGNO IN EUROPA
Illustre presidente Renzi,
promesse e illusioni
non salvano i migranti
|
DI ALFREDO MANTOVANO
I
llustre presidente del Consiglio, «un uo-
mo che muore in un incidente è un
dramma, mezzo milione di morti sono un dato statistico». Nel romanzo di John le Carré La spia che venne dal freddo
questa massima è attribuita a Stalin: pur
se probabilmente costui non l’ha mai pronunciata, rende l’idea del legame diretto fra cinismo, indifferenza e incremento
delle tragedie. Come quelle che si reiterano nel Mediterraneo, in modo ravvicinato e pesante, con un rapporto inverso fra
quantità di morti e rilievo mediatico. Non
ripeto quel che è conclamato dai fatti: i
numeri mostrano che, contro le intenzioni, sotto Mare nostrum si è registrato – e
si registra – il maggior numero di vittime
mai censite fra le coste libiche e il Canale
di Sicilia: la distanza inferiore da coprire e
l’affidamento sulle navi italiane hanno indotto gli scafisti a far salire sempre più migranti su imbarcazioni precarie, pronte a
rovesciarsi alla prima difficoltà di attraversamento. Il rispetto per i vivi e per i morti impone di archiviare l’idea, annunciata
da un suo ministro, che Frontex plus sostituisca Mare nostrum. Frontex è l’agenzia
europea di controllo delle frontiere, il cui
compito è ostacolare il superamento dei
confini, inclusi quelle marini: come può
mettersi al posto di una operazione che
ha invece per obiettivo il soccorso in mare? Merita pure l’oblio la furbizia praticata per qualche mese in Italia di non identificare schiere di migranti per consentire
il loro esodo oltre i confini nazionali (con
l’effetto di qualche decina di migliaia di
stranieri che ora circolano da ignoti in Italia e in Europa): le proteste della Commissione europea e di qualche Stato hanno
fatto riprendere le identificazioni.
Il programma Mare
nostrum è cominciato
a ottobre 2013 e ha
salvato molte vite umane
Speravamo che la sua presidenza di
turno dell’Unione Europea lasciasse qualche segno su un fronte così delicato per
noi, per l’Europa, e per la vita di centinaia di migliaia di persone in fuga da guerre,
persecuzioni e schiavitù. Perché non qualifica il paio di mesi utili che ha ancora a
disposizione? Non coglierà lei da presidente i risultati che forse sarebbero giunti se
l’immigrazione fosse stata una priorità fin
dall’1 luglio, ma l’impostazione del lavoro
non sarà inutile.
Un’agenda da seguire
Conosce meglio di altri quel che va fatto:
A) avvii la modifica della Convenzione di
Dublino. Essa obbliga a trattenere nello
Stato di approdo chiunque lo raggiunga,
anche se ha parenti o conoscenti altrove;
e quindi, a curarlo, mantenerlo e ospitarlo fino alla definizione della domanda di asilo, senza che possa andare altro-
ve. La realtà è oggi radicalmente diversa
dal momento in cui quella Convenzione
fu firmata: non sarebbe uno scandalo se,
previa rinegoziazione, le norme si adeguassero al cambiamento; B) solleciti una
ridefinizione del bilancio Ue. Il sistema di
accoglienza e di integrazione dei rifugiati
non si mantiene più in piedi con le risorse
finanziarie attualmente destinate; C) affronti la questione libica con la stessa determinazione che mostra in altri contesti.
La Ue ha il dovere di radicare una propria
presenza in sicurezza sul territorio libico
per verificare lì chi ha titolo alla protezione umanitaria, e per condurlo quindi in
Europa senza che si affidi agli scafisti (rispedendo indietro chi invece viene accertato essere un criminale). Può parere una
follia con le condizioni della Libia di oggi,
ma è una follia meno folle dell’aver fatto
esplodere nel 2011 il precario equilibrio
di quell’area. Ed è paradossale che oggi
la Francia annunci iniziative sul territorio libico, quando ha promosso ciò che ha
portato al disastro attuale. Non solo in virtù della presidenza di turno, l’Italia ha titolo per avanzare proposte e per provare
a tradurle in concreto.
In campi differenti, illustre presidente, sarebbe ingenuo meravigliarci della
elevata quantità di annunci e della limitata quantità di risultati. Su questo versante
la propaganda non vale: le illusioni e l’indifferenza si rivelano mortali. Con l’augurio di ottimo lavoro.
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Una ragazza giovanissima strappata alla vita in modo tremendo
e clamoroso. Le cronache, le speculazioni, il dolore. Ma nelle parole
dei genitori e degli amici prevale la certezza che «qualcosa stava
accadendo» in lei. E che ora tocca a chi resta portarla a compimento
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DI ANNALISA TEGGI
Alessandra
Anche in un tramonto può esserci un
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VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO
i un inizio
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«I
l nostro famoso motto di famiglia era:
sorridere, salutare,
ringraziare», esordisce mamma Paola con voce pacata,
da cui trapela una forza buona e tenace. Una cordialità ospitale contraddistingue i volti e i modi della famiglia Pelizzi,
anche ora che, di fronte a me, parlano di
una figlia che hanno perso. Ascoltandoli, il pensiero va a quella frase del Vangelo sul seme che, caduto a terra, morendo
dà frutto. Che questa provocazione possa farsi esperienza concreta, pare impossibile; eppure, se il riverbero di un mistero simile accade vicino a noi, sappiamo
accorgercene? O ci limitiamo, piuttosto, a
fissare il punto dove il seme è caduto? Per
qualche giorno, le luci dei riflettori della
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cronaca si sono fissate sul tragico evento
che ha coinvolto Alessandra Pelizzi, e lei
è diventata semplicemente quella giovane 19enne buttata giù dall’ottavo piano
dall’ex-fidanzato Pietro la notte tra il 15
e 16 settembre a Milano. Si sono usate le
solite etichette facili (femminicidio, omicidio-suicidio) che fanno presa, ma non
abbracciano nulla; poi, passato il clamore, si è girata in fretta pagina. Anche in
questo caso, è parso che il compito della cronaca fosse solo quello di guardare
giù, nel punto più basso della parabola
del seme caduto.
Ma lo sguardo di Alessandra non era
abituato a fissarsi in basso, semmai lei
guardava in alto e attorno, come è tipico
di una giovane ragazza appena diplomatasi al liceo e pronta per l’università. Scegliere, ora, di raccontare un po’ di cosa
c’era dietro e dentro quegli occhi «ridenti e fuggitivi», ha lo stesso senso per cui
Leopardi parlò di Silvia alla sua morte:
non ne fece un monumento di edulcorata venerazione, ma documentò cos’è il
fiorire di una presenza umana nella sua
cornice di mondo. «Suonavan le quiete
stanze», dice il poeta, perché ogni semplice presenza umana è un canto tra quattro mura, è una coscienza che si esprime
e bussa in cerca di senso. Per questo ogni
voce è sempre e in ogni caso un miracolo,
che merita ascolto.
Negli ultimi mesi, anche Alessandra
stava facendo i conti con questo, e in particolare con la voce di chi aveva trovato
un senso buono dentro la drammaticità dell’esistenza. Alla maturità aveva portato una tesina su Frida Kahlo intitolata
Viva la vida e le amiche raccontano con
VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO PRIMALINEA
Nella notte tra il 15 e il
16 settembre Alessandra
Pelizzi (a sinistra nella
foto), 19 anni, ha perso
la vita precipitando
dall’ottavo piano di
un condominio in zona
Affori, Milano. Sarebbe
stato il suo ex fidanzato
Pietro Maxymilian
Di Paola, 20 anni, morto
a sua volta nella
medesima circostanza,
a trascinarla con sé
nel vuoto, dopo aver
lasciato una lettera
in cui spiega le ragioni
del suo gesto
COME IL PERSONAGGIO DI UN ROMANZO DI WENDELL BERRY,
ALESSANDRA PELIZZI HA FATTO GIOIOSAMENTE DEL SUO
PICCOLO SPAZIO DI VITA «UN’AMPIEZZA SENZA EGUALI»
ricchezza incommensurabile”. È così che
la vogliamo ricordare, come una ragazza
che amava la vita senza però ignorare che
la vita può anche significare dolore. Dolore che noi, nel suo ricordo, affronteremo
e lotteremo per trasformarlo in amore».
quanto entusiasmo le invitasse a leggere – ma era quasi un caloroso obbligo –
quel libro che lei aveva riempito di segni
e “orecchie”, Un uomo di Oriana Fallaci. Queste figure femminili, che altri userebbero per teorizzare di femminismo e
politica, a lei interessavano come nutrimento umano, come indagine sincera
di chi, avendo conosciuto la sofferenza, dimostrava una presa salda e vigorosa sulla vita.
Anche solo questo ricordo di ciò che
aveva catturato il suo interesse negli ultimi mesi, lascia a chi resta un compito
audace da adempiere e non solo il bruciore straziante della ferita. Papà Carlo,
alla veglia funebre, ha detto: «Nella tesina Alessandra scrive: “La pittrice ha dimostrato che la vita ha valore di per sé e che
le gioie e i momenti di felicità sono di una
«Stava cominciando ad aprirsi»
E proprio le parole, che papà Carlo sceglie con cura nel raccontarmi di sua figlia,
lasciano intendere una memoria che non
vuole solo chiudere e sigillare un passato. Infatti, non posso fare a meno di notare che, mentre mi parla, il signor Carlo usa in gran parte verbi che parlano di
inizio: «Qualcosa stava accadendo», «era
in corso un grande cambiamento», «stava cominciando ad aprirsi». È la voce di
un genitore che si sente lì, presente eppure non in primo piano, ad assistere al passo sicuro di una ragazza che cominciava a
inoltrarsi oltre il recinto di famiglia. Carlo racconta, ad esempio, che Alessandra
aveva recentemente «scoperto» il tramonto. Dopo aver trascorso bellissime vacanze coi genitori in Florida e alle Hawaii,
lì dove si dice che ci siano i tramonti più
belli al mondo, poco tempo fa Alessandra
aveva riempito il cellulare con migliaia di
foto scattate a un tramonto vicino a casa,
visto per sbaglio insieme agli amici una
sera in cui avevano perso l’autobus. È un
segno in cui un genitore vede riflesso un
gratificante riscontro del compito educativo svolto: tu accompagni i figli a scoprire le cose, magari facendo salti mortali o
il giro del mondo, perché poi loro sappiano godere e meravigliarsi del bello che c’è
a un metro da casa.
Anche in un tramonto può esserci un
inizio; l’inizio di un’ipotesi nuova di vita,
in cui gli amici e la voglia di scegliere in
prima persona cominciano a riempire
quell’orizzonte che c’è oltre la porta di
casa. Su questo tratto di strada stava camminando Alessandra, che a scuola era abituata ad aggredire il foglio bianco su cui
scriveva, eppure dovendo preparare una
lettera di autopresentazione per l’università, aveva buttato nel cestino mille tentativi non riusciti. Crescere è così, è l’entusiasmo di buttarsi verso la vita, la si aggredisce nel senso etimologico di ad-gredior,
di incamminarsi verso; contemporaneamente, quel che c’è da dire su di sé è così
traboccante, ma anche indistinto, che trovare le parole è difficile.
A ciascuno il suo regalo
La trama di qualsiasi racconto, giunta a
questo punto, si svilupperebbe con un crescendo di prospettive, occasioni, intrecci;
invece la realtà, con quel suo modo terribilmente enigmatico eppure mai insensato, ci porta sul sentiero meno battuto, a
scontrarci con l’evidenza di un tramonto
repentino giunto proprio quando «qualcosa stava accadendo». Ora tocca a chi resta,
e perciò anche a noi, stare di fronte a questo tramonto (e alle molte specie di inaspettati e indesiderati tramonti che ciascuno conosce) per scoprirlo; cioè per scoprire se davvero anche in un tramonto
possa esserci un inizio; se lì, dove un seme
cade, sboccia un frutto.
Ascoltando i racconti e ricordi delle
amiche e dei genitori di Alessandra, mi
è tornata alla mente le veloce pennellata di parole con cui lo scrittore americano Wendell Berry descrive una figura femminile di un suo romanzo: «Il giardino di
casa era il suo lavoro. Lei faceva di quel
piccolo spazio un’ampiezza che non aveva eguali in paese». Non c’è dubbio che
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PRIMALINEA VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO
Alessandra fosse gioiosamente premurosa nel trattare il proprio spazio di vita
come un giardino. Alessia mi racconta di
come trovasse sempre sul tavolo di casa
Pelizzi del buon prosciutto crudo, quando
andava da loro: Alessandra, infatti, sapeva
che quello era il cibo preferito dall’amica
e non glielo faceva mai mancare. Addirittura si scusò la volta in cui si accorse che
in frigo ne aveva solo una confezione già
aperta. Non era una pura formalità, ma
una sincera dedizione agli altri.
Don Damiano, suo insegnante al liceo
classico dei salesiani, è rimasto colpito di
aver ricevuto come regalo di fine anno
proprio il libro di un autore che aveva
citato una sola volta in classe. Nonostante la maturità da preparare, Alessandra
sandra non ha lasciato niente in sospeso. Per quanto misterioso possa sembrare a chi resta, una vita di anche soli 19
anni si è compiuta. Il suo tramonto raccoglie un’orbita di esperienze, preferenze e
scelte vissute, che non resta inerte tra le
mani di chi è ancora qua. Se c’è un inizio possibile da scoprire anche dentro la
ferita di un tramonto, lo intravedo nelle
parole con cui Sofia mi racconta un episodio come tanti dei pomeriggi vissuti
tra amiche. La moda del selfie è dilagante e lascia quasi intendere che sia facile
guardarsi e mostrarsi agli altri. Nulla di
strano, dunque, se quattro amiche avevano l’abitudine di alleviare la pesantezza
dello studio pomeridiano mandandosi a
vicenda dei selfie con facce buffe. Alessan-
ha vissuto la premura con cui è bello dedicarsi agli
amici, e stava scoprendo che in questo rapporto aperto
con gli altri Si metteVA a fuoco anche la sua persona
si era presa l’incarico di pensare ai regali da fare ai professori e, benché ci fosse
chi le aveva suggerito di scegliere un pensiero uguale per tutti, lei proprio non aveva tollerato la cosa: occorreva scegliere
qualcosa di diverso e adatto a ciascuno.
Era la persona del fare – commenta mamma Paola – e anche quando c’era molto da
fare, il suo motto era: «Basta organizzarsi».
Un’opera da portare avanti
Tra le molte cose che si era organizzata a
fare, perché le piaceva farlo, c’era la famosa torta Guinness preparata alle dieci di
sera e da condividere coi compagni il giorno dopo a scuola, una volta finite le estenuanti prove in preparazione agli scritti
della maturità. La cucina di casa non ne
era uscita perfettamente immacolata, ma
lo stomaco e il buonumore dei compagni
ne avevano senz’altro beneficiato.
Ha ragione, in fondo, l’amica Giulia
quando si commuove nel dire che Ales12
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dra era l’unica tra loro che, inizialmente, non riusciva a farlo. Poi, dopo un po’,
si era lanciata e alla fine le sue pose erano quelle più ironiche. Ecco, non è affatto
spontaneo guardarsi, come non è affatto
immediato avere una posa di sé da offrire
al mondo. Ma imparare a guardarsi attraverso il sorriso degli amici probabilmente è la migliore via di conoscenza che esista. È una strada non fatta in solitaria,
ma dentro un confronto fraterno che serve, anche quando non è in sintonia col
nostro pensiero.
«Vi aspetto tutti in Paradiso». Don
Damiano ha concluso l’omelia del funerale di Alessandra con queste parole di don
Bosco e in esse, ancor più che verso Alessandra, il dito è puntato verso chi resta.
Il tramonto svela sempre a chi lo osserva
quante meravigliose sfumature di colori è capace di assumere il cielo. Così noi,
sempre, ci accorgiamo del valore incommensurabile di ogni semplice vita quan-
do la perdiamo. Questa ferita può ospitare il seme buono di un’opera da portare avanti, e non solo il dolore di un cruccio disperato.
Il tempo per il perdono
Nella sua cornice di mondo, Alessandra
ha vissuto l’impegno che richiede lo stare ad ascoltare le persone, la premura con
cui è bello dedicarsi agli amici, e stava scoprendo che in questo rapporto aperto con
gli altri poteva sbrogliarsi e mettersi ben a
fuoco anche il suo self, la sua persona. Ci
ha lasciato uno spunto chiaro sul fatto che
il Paradiso non è una faccenda di merito singolare e personale (qualcosa che mi
meriterò, se sono stato bravo e buono), ma
è una cordata umana che ci coinvolge già
da ora e riguarda tutti quelli che incrocio
sulla mia strada e insieme a cui condivido la fatica e l’impegno di dare un nome
compiuto a me e al senso delle cose.
Misteriosamente, nel caso di Alessandra, di questa cordata umana ha fatto
parte anche Pietro. Nonostante si fossero
lasciati, lei è andata a trovarlo, quell’ultima tragica sera. E uno degli ultimi sms
che lei ha scritto era rivolto a un’amica,
che nel pomeriggio si era recata a casa
sua, e diceva: «Se vuoi ti vengo incontro».
Da questo suo congedo inizia qualcosa:
l’ipotesi che a noi spetti continuare a percorrere il nostro tratto di strada andando
incontro a tutto, ospitali alla comprensione (anche di ciò e di chi pare lontano, se
non incomprensibile).
Alla veglia funebre Carlo Pelizzi ha
ricordato anche lui, Pietro, il ragazzo che
si è ucciso e ha ucciso sua figlia, e ha detto che ci sarà un tempo per il perdono. Ci
sarà un tempo; a noi che restiamo è dato
un tempo. Un tempo in cui possiamo affettare prosciutto; fare regali; perdere l’autobus e fare mille foto; perfino ascoltare
la voce di chi sente come ultima risorsa
disperata la violenza e, per il suo e nostro
bene, imparare il perdono. n
Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
laVORIamO PER la TUa SICUREZZa
SUllE FERROVIE ITalIaNE
GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a
T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t
boris
godunov
GRAZIE A BRUXELLES ARRIVA UNA NUOVA UTILE LEGGE
Il cognome dice chi sei,
non si cambia come
un numero di telefono
|
DI renato farina
L
Camera dei deputati ha approvato una legge che regalerà
un cognome in più ai nuovi nati. Ci sarà anche quello della
mamma. I genitori potranno accordarsi se deve esserci prima quello di uno o dell’altra. In caso di dissidio prevarrà l’ordine alfabetico. Quando il figlio o la figlia (ammesso che fra diciotto anni ci saranno due soli generi grammaticali) raggiungerà la
maggiore età potrà stabilire di chi è più figlia o più figlio optando per un cognome a scelta. 1) Quello del padre e basta. 2) Quello della madre e stop. 3 e 4). Quello della madre seguito da quello
del padre o viceversa.
Se le famiglie saranno numerose la combinazione dei cognomi della prole sarà gestita da un apposito software.
La legge è passata alla Camera. Dovrà approdare anche in
Senato. Poi ci vorrà un anno per creare i regolamenti. Quindi –
se le cose vanno all’italiana – campa cavallo. È un po’ come la
barzelletta dell’inferno alla napoletana: non si trova mai chi accenda il fuoco e porti le fascine. Ma è una magra consolazione.
Questa legge è un esempio perfetto della volontà europea
(questa norma promana da una sentenza della Corte di giustizia europea) di trasformare il valore sacrosanto della pari dignità di uomo e donna, padre e madre, in una rinuncia all’idea
stessa di amore come dipendenza originaria, dell’essere figli come qualcosa che è stato ricevuto. È una legge sbagliata perché
nega l’esperienza.
Il cognome non è una convenzione come l’assegnazione di
un numero del telefono. Dice una storia. Dice che la famiglia è
una. A me piace moltissimo la tradizione russa di aggiungere al
nome il patronimico. È bellissimo essere “figlio di”. A me commuove anche l’uso spagnolo e latino americano di aggiungere
al cognome paterno quello materno. Mi andrebbe bene anche
il contrario. Matriarcato o patriarcato mi va bene tutto: purché
non si inventi la bugia cosmica che l’uomo è figlio di se stesso,
decidendo lui di chi si sente figlio! Io sono rimasto a Gioanbrerafucarlo (Gianni Brera figlio del defunto Carlo), senza neanche
lo spazio tra i nomi. Invece va così.
Questo è il progresso del nichilismo: la solitudine del farsi
da soli. Che è un peso insopportabile oltre che una balla. Lo sradicamento per legge della famiglia. Per carità, sopravvivremo
a
VOGLIONO trasformare
il valore sacrosanto
della pari dignità di
uomo e donna, padre e
madre, in una rinuncia
all’idea stessa di
amore come dipendenza
originaria, dell’essere
figli come qualcosa
che è stato ricevuto
lo stesso. Ma sarà più dura per le generazioni che verranno, e
questo glielo vorrei risparmiare, se potessi. La menzogna è faticosa, anche quando si palesa leggera come una fantasia volubile di cognomi.
Tanto vale, per semplificare le cose ed essere liberali a manetta, dare la facoltà ai maggiorenni di scegliersi nome e cognome da zero. Totale libertà. E poi di cambiarlo senza bisogno di
permesso, come si fa quando si passa da un telefonino all’altro.
Suprema illusione di libertà che è la solitudine di non avere la
catena amorosa di un nome.
Tanto non è che potranno scappare. Con quattro cognomi
scambiabili, innovabili, ricaricabili, o anche con la possibilità infinita di sostituirli: il dna, il riconoscimento facciale, quello vocale, tutto li inchioderà. Li beccheranno dovunque, le nuove Stasi
della scienza e della politica. Non a causa del loro nome e cognome, che porta le tracce di una voce materna e paterna, ma di una
sequenza brevettabile da ditte specializzate, e dunque clonabile.
Siamo passati dall’unicità della persona, dall’io irripetibile, alla
replicabilità dei cognomi e alla loro clonazione seriale.
Comunque, confido che qualunque legge sradichi gli alberi della genealogia (anche nei Vangeli di Matteo e di Luca ce
n’è traccia divino-umana) poi una madre saprà dire tu al proprio bambino e dargli quel nome che era impresso prima sul
suo cuore.
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Interni
classi difficili
Qui l’educazione
è straniera
C’è il piccolo che piange perché non capisce una parola,
la ragazza cinese che dorme in classe perché di notte lavora,
c’è quello che butta il banco dalla finestra. Tra immigrazione
in crescita e famiglia in crisi ormai gli insegnanti somigliano
ad assistenti sociali, catapultati in prima linea con armi spuntate
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DI laura borselli
| 8 ottobre 2014 |
| Foto: Corbis
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Interni classi difficili
parità
Se tutti fossimo
liberi di scegliere
libri di testo viene accompagnata da un opuscoletto gratuito, una sorta di
compendio con la versione ridotta e semplificata
dei contenuti. Non serve a rimpolpare la
biblioteca dello studente fanatico della
sintesi, ma a facilitare l’apprendimento di
coloro che non padroneggiano l’italiano.
Dislessici, ragazzi con difficoltà di apprendimento e soprattutto stranieri. Nell’anno
scolastico 2012 secondo i dati forniti dal
ministero dell’Istruzione erano 755.939
gli alunni con cittadinanza non italiana.
Nella scuola dell’obbligo 9 alunni su 100
sono stranieri. A partire dall’anno scolastico 2003-2004 il numero degli stranieri è
raddoppiato nella scuola primaria e secondaria di primo grado mentre è triplicato
nei rimanenti ordini di studio. Molti stranieri sono nati in Italia, dunque di solito
in grado di parlare correttamente l’italiano. Diverso è il caso di quelli che arrivano,
magari in seguito a un ricongiungimento familiare, e che vengono inseriti a scuola di punto in bianco. Per loro la lingua è
solo uno dei problemi da risolvere per arrivare a una vera integrazione. «A volte arrivano a giugno e a settembre sono già sui
banchi. Le nostre scuole sono obbligate a
non respingere nessuno e su come aiutarli dobbiamo inventarci sempre qualcosa di
nuovo». A parlare è Emma (nome di fantasia come quasi tutti quelli di adulti e ragazzi che seguiranno), insegnante di francese in una scuola media della periferia sud
di Milano. Pochi giorni fa, il primo giorno
di scuola, ha dovuto rincorrere una ragazzina dell’Est Europa che alla campanella delle undici è scappata in strada. «Non
aveva capito nulla di cosa stava succedendo poverina. E forse nel suo paese la campanella suona una volta sola». Quella di
Emma è una di quelle scuole all’avanguardia dove intorno alla necessità di integrazione si modella la didattica. Mediamen-
18
| 8 ottobre 2013 |
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te ci sono 4-5 stranieri su classi di 20 alunni. Quello della composizione delle classi,
all’inizio dell’anno, è un lavoro che richiede pazienza e l’utilizzo di una sorta di Cencelli delle etnie (28 solo in questa scuola) e
delle difficoltà di apprendimento diagnosticate. Esiste anche una legge, voluta dal
ministro Gelmini, che stabilisce un tetto
del trenta per cento degli stranieri in ogni
classe. Però c’è anche una legge che impone di accogliere a scuola tutti, anche i clandestini, praticamente in qualunque periodo dell’anno. Così la realtà che si vive nelle classi (parliamo di statali perché ancora oggi le paritarie sono un costo quasi
totalmente a carico delle famiglie che gli
immigrati raramente si possono permettere) è figlia dell’improvvisazione di migliaia di insegnanti e dirigenti scolastici, che
in alcuni casi cercano di trovare una strada nella mancanza cronica di strumenti e
fondi; in altri casi vivacchiano, provati dal
cinismo o dalla disillusione di chi si sente
schierato in prima linea con una fionda.
«Quando porto i ragazzi a giocare a
calcio o propongo delle iniziative fuori
dalla scuola i miei colleghi mi mettono
in guardia: stai attento, così rischi». Claudio insegna lettere alle medie e nella sua
onorabile carriera di precario ha lavorato
in diverse scuole dell’hinterland milanese. «Se proponi qualcosa ai ragazzi ti vedono come una specie di missionario picchiatello o come uno che rischia di passare da pedofilo». Racconta che un anno,
su 18 alunni, 13 non erano italiani, alcuni parlavano a fatica, altri neppure una
parola. Quando va bene ti guardano smarriti per ore interminabili, quando va male
organizzano la sedizione con l’internazionalissimo linguaggio dei gesti. Chi sta in
cattedra deve tentare prima di farsi capi-
Foto: Agf
O
rmai la maggior parte dei
Possono esistere classi in cui
oltre la metà degli alunni non sanno
l’italiano? Non potrebbero esistere,
ma esistono. Le scuole si attrezzano come possono e sono tanti i casi
di famiglie italiane che scelgono
di spostare i figli in istituti non
statali perché preoccupati che in
quelle situazioni limite apprendere
sia impossibile. Occorre rimediare
subito (a suon di fondi ben spesi e
di spazi di autonomia) a una situazione difficilissima, che al momento
è affidata ai nostri insegnanti e
alla loro buona volontà che confina
con l’eroismo (provate voi, a dire
due parole su Manzoni, mentre un
14 enne custodisce nello zaino un
coltello di 15 centimetri per “difendere la sua famiglia” e un altro è
pieno di lividi perché nel week-end
è stato rapito da connazionali che
dovevano dei soldi al padre). Ma
occorre anche parlare di parità. Se
le famiglie (tutte le famiglie, anche
quelle povere, siano esse italiane
o straniere) potessero scegliere, la
scuola starebbe meglio. E l’integrazione non sarebbe una bella parola
di cui riempirsi la bocca.
Alunni con cittadinanza non italiana per livello scolastico
Anni scolastici dal 2003/2004 al 2011/2012
800
Totale alunni stranieri in migliaia
700
600
500
400
300
200
100
-
1
7
12
/04 4/05 5/06 6/0
/08 8/09 9/10 10/1
11/
0
0
07
03
0
0
0
20
20
20
20
20
20
20
20
20
Infanzia
Primaria
Secondaria I grado
Secondaria II grado
Alunni stranieri nelle scuole Italiane
Alunni con cittadinanza non
italiana entrati nel sistema
scolastico italiano per la prima
volta per livello scolastico
(composizione percentuale)
A.S. 2011/2012
16,9%
13,5%
32,1%
37,5%
Percentuale di alunni stranieri
per area geografica
18.8
1.3
Foto: Agf
Fonte: Ministero dell’Istruzione
re poi di trovare qualcosa di interessante
da dire. «Ormai – racconta ancora Emma
– ogni ragazzo ha una problematica specifica, non riesco a ricordare l’ultima volta
che ho potuto proporre una verifica uguale per tutti». Va da sé che le proprie materie di insegnamento siano secondarie. Nella scuola di Emma i neo arrivati all’inizio
dell’anno fanno lezione di italiano per
due settimane, per entrare in possesso dei
rudimenti della lingua, il resto dell’anno prosegue in classe con attività diverse rispetto a quelle dei compagni, quando è possibile con l’aiuto dell’insegnante
di sostegno. Ovviamente però con chi arriva ad anno scolastico inoltrato non si può
che mettere delle pezze, tentando di insegnare l’italiano quando possibile.
«Se non ci fossero gli oratori e le
società sportive non so come faremmo»,
osserva Chiara, insegnante in una scuo-
«Ormai – racconta Emma,
insegnante alle medie –
ogni ragazzo ha una
problematica specifica,
non riesco a ricordare
l’ultima volta che ho
potuto proporre una
verifica uguale per tutti»
la media della periferia Nord di Milano.
Quest’anno ci sono circa 4-5 stranieri per
classe, l’italiano lo sanno molto bene, ma
fanno gruppo solo tra di loro. «I sudamericani quando arrivano sono molto disciplinati, poi quando vedono gli altri che
sono molto scalmanati si adeguano... Giocando a calcio o andando all’oratorio a
fare i compiti fanno amicizia coi compagni e quello è un modo ottimo anche per
colmare le lacune linguistiche».
Ma l’isolamento è spesso più culturale che linguistico. Chun faceva la seconda media e come tutti i suoi connazionali cinesi dava poca confidenza, le ore a
scuola erano una pausa nelle sue lunghissime giornate di lavoro. «Metteva la testa
sulla mano e dormiva. Era sempre stanchissima – racconta Chiara. Ho capito che
quando non era a scuola lavorava. Finché
un giorno, come purtroppo capita spesso, è sparita». L’insegnante prova a cercarla, scopre il negozio in cui lavora, riesce a
raccogliere qualche notizia e molte bugie.
Un giorno è la stessa Chun a rispondere al
telefono, ma evidentemente non può parlare liberamente. «Non l’ho più sentita e
non so che fine abbia fatto». Esattamente come accade ai loro compagni italiani,
anche i ragazzi stranieri sono condizionati dalle aspettative e dall’esempio della propria famiglia. Come Marco, rume|
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interni classi difficili
no. «Determinato, volenteroso. Vedeva
i suoi che si spaccavano la schiena come
domestici e operai. Lui e il fratello sono
arrivati fino al diploma».
«Come Rosa, che è arrivata all’università e ancora mi manda dei messaggi». Siamo in provincia di Viterbo e la professoressa Maria Letizia Tombolini insegna inglese nell’obbligo formativo dei centri di formazione professionale. Sarebbe la seconda lingua obbligatoria, ma di fatto, quando le classi sono composte da 20 stranieri
su 26 alunni, la seconda lingua è l’italiano e trovare spazio per l’inglese è un’impresa. Come e ancora di più che per gli
mamma, italiana, quattro figli, marito
disoccupato da due anni. A fine mese le
rimangono 150 euro e ne spende 40 per
le ripetizioni. “Professoressa io ci tengo,
voglio che vada bene a scuola, ma non so
più come fare”».
Maria Letizia Tombolini è presidente in Lazio di Articolo 51 (realtà creata in
Lombardia dalla dottoressa Angela Ronchini) e con la sua associazione sta cercando di organizzare corsi di italiano per
ragazzi da proporre prima che la scuola
inizi. «Spesso a noi servono gli interpreti, e spesso non ci sono neppure, per parlare coi genitori dei ragazzi. Quando riu-
Malpezzi, parlamentare pd e insegnante: «l’organico
funzionale di cui parla il governo potrebbe prevedere
anche un insegnante di italiano per gli stranieri»
italiani, questi percorsi sono vissuti come
un ripiego, scelti dagli alunni non italofoni reduci da insuccesso nei percorsi tradizionali. Il risultato è un campo di battaglia, in cui i professori cercano di farsi strada, appigliandosi ai ragazzi volenterosi, improvvisandosi assistenti sociali, guardiani dell’ordine pubblico prima
che i banchi volino dalla finestra (tutto
vero). «Ho un ragazzo che frequenta il corso di acconciatura e mi aspetto che sia
costretto ad abbandonare gli studi da un
momento all’altro. È bravo, volenteroso,
ma come può un ragazzino di quindici
anni studiare serenamente quando a casa
ci sono genitori (quando ci sono) che vivono di espedienti e magari entrano ed escono di prigione?».
Il grande tema sono le famiglie, che
vivono le scuole come un parcheggio,
disgregate da separazioni violente o prostrate da situazioni di enorme disagio
economico. E questo non è certo uno scenario che riguarda soltanto gli straneri. Come racconta Chiara: «Non riesco a
togliermi dalla testa le lacrime di una
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| 8 ottobre 2014 |
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sciamo a trovarli...». La professoressa ha
un giudizio positivo del tetto massimo
di stranieri per classe voluto dal ministro
Gelmini e nei fatti disatteso. «In quel lasso di tempo in cui è stato realmente in
vigore ci ha aiutato. Non è questione di
razzismo ma di rendere possibile a noi di
lavorare e ai ragazzi di imparare».
I ghetti non servono
Qualche settimana fa è finito sui giornali il caso di una scuola materna di Padova
in cui in una classe c’era una sola bimba
italiana e tutti gli altri stranieri. «Lì qualcosa non ha funzionato», osserva Simona
Malpezzi, parlamentare del Pd. «In quel
quartiere c’erano una comunale, una statale e una paritaria: bisognava fare un
discorso di razionalità coinvolgendo tutte e tre le scuole e gli enti locali». L’onorevole, che ha una carriera di insegnante
di storia in una scuola superiore di Pioltello, comune in cui oltre il 28 per cento
della popolazione scolastica è costituito
da stranieri, insiste anche sull’importanza dei mediatori culturali, che servono ad
entrare in contatto con famiglie in cui di
solito è solo il padre a parlare l’italiano.
«In una classe di soli alunni stranieri non
si può insegnare. Se no non è intercultura, è ghetto. Il tetto è garanzia per tutti.
All’interno della buona scuola di Renzi
non si parla di integrazione. Non ancora,
è un capitolo su cui mi sto personalmente
adoperando. L’organico funzionale di cui
parla il documento del governo e su cui
abbiamo aperto le consultazioni potrebbe prevedere anche un insegnante di italiano per gli stranieri. La scuola dell’autonomia può e deve farlo».
In questo periodo dell’anno nella classe di Anna ci sono un paio di bambini
che non fanno che piangere. Anna insegna da molti anni in una scuola materna di Civitanova Marche. Bambini di tre
anni che non capiscono una parola di
quello che la maestra dice esprimono il
disagio piangendo. Bisogna coccolarli,
accoglierli ancora più degli altri. «Facendo molte attività manuali siamo facilitati a coinvolgere i piccoli stranieri». Anna
ricorda con affetto il percorso di Reza,
una bimba afghana che arrivò senza sapere una parola. «Nemmeno la sua mamma parlava italiano, però i genitori erano
molto presenti e quando avevamo bisogno di parlargli mandavano un biglietto al padre, l’unico che parlava italiano
in famiglia». Negli anni della materna
Reza ha fatto passi da gigante, superando la barriera linguistica per far vedere
il proprio carattere, anche coi “bulletti”
della classe, certo non razzisti ma crudeli e “ruvidi” come solo i bimbi sanno essere, che le portavano molto rispetto. «Presto riuscì a capire i compiti da fare ed era
sempre la prima a finire. Un giorno mi
ha portato un bel disegno, anche lì aveva finito per prima. “Bravissima”; le ho
detto. Dopo un po’ è tornata con lo stesso
disegno: “Sì, ma ti piace maestra?”. Non
le bastava aver compiuto il suo dovere,
voleva anche un giudizio estetico». n
ESTERI
STRANE ALLEANZE
Il mago
del doppio
gioco
Il presidente Erdogan annuncia che la Turchia
avrà un ruolo militare per contrastare lo Stato
islamico, ma intanto permette a nuovi jihadisti
di oltrepassare le frontiere verso la Siria.
Ecco tutti i limiti della coalizione anti Califfato
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DI RODOLFO CASADEI
Il presidente Recep Tayyip
Erdogan, a margine del
summit dei capi di Stato
alle Nazioni Unite, ha
annunciato che la Turchia
farà la sua parte per
contribuire agli sforzi
della coalizione che ha
dichiarato guerra all’Isil
ESTERI STRANE ALLEANZE
C
reazione di una no-fly zone
lungo il confine fra Turchia
e Siria e di enclave protette
per gli sfollati dei combattimenti dentro al territorio
siriano, controllate da truppe turche. Sono queste le condizioni che il
presidente Recep Tayyip Erdogan ha posto
per il coinvolgimento del suo paese nella coalizione a guida americana contro lo
Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil),
dopo che al termine del summit dei capi di
Stato alle Nazioni Unite la settimana scorsa aveva annunciato che, ottenuta la liberazione dei 49 ostaggi del consolato turco
di Mosul sequestrati dall’Isil il 10 giugno,
ora la Turchia avrebbe fatto la sua parte
interpretando un ruolo «sia militare che
politico». È evidente che al governo islamista di Ankara più che combattere il califfato di al Baghdadi interessa influire sull’esito finale della guerra civile siriana.
Dopo avere favorito per quasi tre anni
l’afflusso di guerriglieri jihadisti in Siria
attraverso le sue frontiere, avere chiuso
un occhio sulla rete logistica che gli stessi hanno costituito sul suo territorio, aver
lasciato passare armi a loro destinate e
curato i loro feriti negli ospedali di tutto
il paese, avere fatto da retrovia ai jihadisti di Jabhat al Nusra alla fine del 2012 e a
quelli dell’Isil nel settembre scorso quando avevano attaccato la città curda siriana di Ayn al Arab/Kobane, la Turchia cambierà veramente politica nei loro confronti solo se riconoscerà nella coalizione voluta da Obama l’entità politico-militare la
cui creazione da tre anni Erdogan invoca:
una coalizione di arabi e di paesi Nato che
permetta di abbattere il regime di Assad
in Siria e di sostituirlo con un governo islamista sunnita infeudato alla Turchia e ai
paesi arabi del Golfo Persico. Se ciò apparirà impraticabile come lo è stato in questi
anni di guerra civile siriana internazionalizzata, la Turchia continuerà la sua pericolosissima politica consistente nel giocare all’apprendista stregone. Cioè continuerà ad appoggiare segretamente i gruppi jihadisti, Stato islamico compreso, ritenendo di essere in grado di manovrarli per
i suoi scopi. Che non si limitano all’obiettivo di far cadere Assad in Siria. A questo,
che resta il principale, se ne è aggiunto
da tempo un altro ugualmente importante per Ankara: impedire che la Rojava, – la
regione della Siria a forte presenza curda
controllata per larghi tratti dalle milizie
armate del Pyd, il partito autonomista curdo siriano che è una gemmazione del Pkk
che opera dal 1980 in Turchia –, diventi
una regione autogovernata dai curdi locali
al modo del Kurdistan iracheno.
24
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Il 9 agosto scorso, nel pieno della crisi Gli abitanti di Sanliurfa,
scatenata dall’offensiva dello Stato islami- Turchia, il 28 settembre
co che aveva occupato le cittadine cristia- si sono avvicinati
pericolosamente
ne e yazide della piana di Ninive e dintor- al confine con la Siria
ni e causato l’esodo di 300 mila profughi, per vedere gli scontri
il ministro della Difesa turco Ismet Yil- tra l’Isil e le milizie
maz dichiarava che la Turchia non aveva curde dell’Ypg
fornito alcun sostegno agli attacchi aerei (foto a destra)
americani appena iniziati, e che a causa
dei 49 ostaggi detenuti dall’Isil a Mosul «è
impossibile per noi fare qualcosa di diverso». Con quale logica allora l’Isil si è privato dell’asso che aveva in mano per tenere sotto scacco la Turchia? I sequestrati
non sono stati liberati con un blitz militare, ma al termine di una
trattativa che ha comportato il loro trasferimento a Raq- O LA COALIZIONE HA LO SCOPO
qa in Siria e poi il rilascio alla
DI ABBATTERE IL REGIME DI
frontiera turca di Akcakale. Le
ASSAD O LA TURCHIA ANDRÀ
autorità negano che sia stato
pagato un riscatto, ma qualAVANTI AD APPOGGIARE
che contropartita l’Isil deve
SEGRETAMENTE I JIHADISTI,
averla ottenuta, altrimenti il
rilascio degli ostaggi risulteRITENENDO DI ESSERE
rebbe da parte sua totalmente
illogico. Il sospetto che la libeIN GRADO DI MANOVRARLI
razione degli ostaggi sia avvenuta sulla base di un impegno da parte del governo turco a continuare a non
alzare un dito contro i jihadisti è legittimo. La Turchia è, per ragioni geografiche, il paese più esposto a eventuali rappresaglie dell’Isil, e se queste nelle prossime settimane non arriveranno nonostante le parole di Erdogan all’Onu sull’imminente «cooperazione militare» con gli
Stati Uniti, vorrà dire che Ankara non sta
dando un contributo effettivo alle operazioni della coalizione anticaliffato, ma sta
facendo altro.
La complicità dell’esercito
Per adesso l’Isil sembra più interessato
a sfruttare le opportunità logistiche che
la Turchia offre che non a punirla per le
sue oscillazioni politiche. Il 16 settembre,
tre giorni prima del rilascio degli ostaggi turchi, ha lanciato una grande offensiva contro la città curda siriana di Ayn
al Arab/Kobane, controllata dalle forze
dell’Ypg (l’ala militare del Pyd) dal luglio
del 2012. Gli attacchi erano già cominciati
il 2 luglio scorso, e ormai decine di villaggi del cantone di Kobane sono caduti nelle
mani dei jihadisti mentre 100 mila civili
sono dovuti fuggire in territorio turco. La
località ha un’importanza strategica, perché si trova a ridosso della frontiera con la
Turchia, in corrispondenza del principale
posto di frontiera della regione, quello di
Mursitpinar. L’Isil controlla già le regioni
di confine con la Turchia ad est e ad ovest
di Kobane, compresi i due posti di frontiera di Jarabulus e Tal Abyad. Se Ayn al
Arab cade, l’Isil controllerebbe 100 chilometri di confine con la Turchia e tre posti
di frontiera, e creerebbe una continuità
territoriale con la sua “capitale” di Raqqa,
100 chilometri più a sud. Se i jihadisti ci
tengono tanto ad allargare il loro controllo della frontiera con la Turchia, un motivo dovrà pur esserci…
Che in questi ultimi anni attraverso il
confine turco-siriano il governo di Ankara abbia volontariamente lasciato passare
jihadisti e armi a loro destinate non è solo
l’opinione dei comandanti delle formazio-
L’Isil controlla le regioni
di confine con la Turchia
a est e a ovest di Kobane,
compresE due frontierE.
Se Ayn al Arab cade, l’Isil
controllerebbe 100 chilometri
di confine E creEREBBE una
continuità territoriale
con la sua “capitale” Raqqa
Chi comanda nel nord della Siria
Mappa aggiornata a settembre 2014
TURCHIA
Tall Abyad
Aleppo
SIRIA
Kobane
Territori controllati
da Curdi (YPG)
Territori controllati
dal regime di Assad
Territori controllati
dai ribelli
Territori controllati
dal ISIL
Raqqa
Foto: Pete Souza, Ansa/Zuma. Nelle pagine precedenti: Corbis
Jarabulus
ni armate curde siriane. Anche giornalisti turchi e politici dell’opposizione puntano il dito contro le responsabilità delle autorità, con accuse circostanziate. Nel
giugno scorso su tutti i giornali turchi è
apparsa una foto risalente ad aprile di Abu
Muhammad, uno dei più alti comandanti dell’Isil, ricoverato presso un ospedale
della città turca di Hatay dopo essere stato ferito in una battaglia in territorio siriano. Nel settembre 2013 l’edizione inglese
del giornale libanese Al Akhbar aveva pubblicato un servizio dalla Siria nord-orientale nel quale si leggeva: «Non è raro vedere l’esercito turco sovrintendere al trasfe-
rimento di combattenti di al Qaeda attraverso la regione di confine dalla Turchia
nel territorio curdo in Siria. Alcuni giorni
fa l’esercito turco ha permesso a 150 combattenti dell’Isil e di altre brigate islamiste
di attraversare il villaggio di Alouk, a est di
Ras al-Ayn, insieme a sei blindati e pick-up
armati con mitragliatrici pesanti. Il motivo dell’operazione era chiaramente quello
di bloccare la strada fra le città di Derbassiyeh e Ras al-Ayn e tagliare i rifornimenti ai
combattenti dell’Ypg».
Negli stessi giorni in cui emergeva lo
scandalo di Abu Muhammad e di altri
combattenti dell’Isil curati negli ospeda-
li turchi, un deputato dell’opposizione
richiamava l’attenzione sul fatto che il
governo ha favorito anche l’operatività di
Jabhat al Nusra, il gruppo ribelle siriano
affiliato ad al Qaeda. Si poteva leggere su
Hürriyet: «Il deputato di Istanbul del Chp
(il principale partito di opposizione turco, ndr) Ihsan Özkes ha affermato che a
militanti di Jabhat al Nusra, gruppo affiliato ad al Qaeda, è stato permesso di risiedere nei pensionati del Direttorato degli
affari religiosi (Diyanet) sotto la supervisione del Mit (i servizi segreti turchi, ndr)
nella provincia meridionale dell’Hatay.
Özkes, che è stato un mufti, ha anche
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25
ESTERI STRANE ALLEANZE
affermato che l’ordine di ospitare i militanti è stato dato dal ministro degli Interni Muammer Güler in una circolare inviata all’ufficio del governatore dell’Hatay,
nella quale si chiede apertamente di fornire assistenza ai combattenti di Jabhat
al Nusra. Il presunto documento ufficiale mostrato da Özkes rivela che i combattenti di al Nusra sono stati portati dal Mit
allo scopo di combattere contro il Partito
democratico dell’unione (Pyd) della Siria
settentrionale, affiliato al fuorilegge Pkk
del Kurdistan turco. “È importante fornire il necessario sostegno agli ufficiali
dell’intelligence per quanto riguarda l’assistenza ai combattenti di al Nusra, inclusi tunisini e ceceni, che sono stati condotti qui sotto la supervisione del Mit per
combattere contro gli affiliati del Pkk che
sono i curdi del Pyd, aiutandoli ad attra-
li aderire all’Isil. Queste entità sono perfettamente note sia al governo sia all’opinione pubblica. Dal momento che sono
note pubblicamente, è impossibile che i
dipartimenti di polizia non li conoscano. Questi gruppi stanno esplicitamente
lavorando a favore dell’Isil nelle città della Turchia. Il governo deve spiegarci come
e perché questi gruppi siano in grado di
impegnarsi così facilmente nella propaganda per conto dei terroristi. Negli ultimi anni abbiamo visto molti turchi partecipare alle attività del Libero esercito
siriano, oggi c’è un numero crescente di
soggetti che aderiscono all’Isil».
Armi e aiuti umanitari
Di ritorno da una missione in Turchia lo
scienziato politico e consulente del dipartimento di Stato americano David L. Phil-
«Erdogan, fautore della supremazia sunnita,
avrebbe stretto la mano anche al diavolo
pur di veder cadere l’alawita Assad»
versare il confine con la Siria e trattando
in modo confidenziale tutta la materia”,
si legge nel documento».
Il lavaggio del cervello
All’inizio di questo mese è stata la volta
di un altro deputato del Chp di accusare il governo di sostegno all’Isil. Ha detto Attila Kart in una conferenza stampa
ripresa dal quotidiano Zaman: «Per quanto riguarda la partecipazione di cittadini
turchi ai ranghi dell’Isil (le stime giornalistiche oscillano fra le mille e le 5 mila
unità, ndr), è chiaro che alcune associazioni, istituzioni caritative, scuole teologiche islamiche e molte altre organizzazioni locali svolgono un ruolo attivo nel convincere e nell’aiutare le persone a unirsi
al gruppo terrorista. Ci sono gruppi attivi
incaricati del lavaggio del cervello per far26
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lips ha dichiarato: «Durante la mia visita
membri del parlamento turco e altre personalità di primo piano mi hanno descritto i rapporti esistenti fra la Turchia e le
organizzazioni sunnite militanti come
l’Isil. Essi affermano che un ruolo di rilievo viene svolto dall’Ihh, la Fondazione
per le libertà e i diritti umani e l’aiuto
umanitario (responsabile della Freedom
Flotilla per Gaza del 2010, ndr), una associazione filantropica islamica nota per
fornire assistenza ai gruppi estremisti.
Bilal Erdogan, figlio del presidente, ha
rapporti col direttivo della fondazione e
avrebbe sfruttato il network di amicizie
del padre per raccogliere fondi per l’organizzazione». Nel gennaio di quest’anno
casse di armi sono state trovate su di un
camion della fondazione diretto in Siria
per portare aiuti umanitari. Dopo tale
episodio le autorità hanno compiuto arresti nelle file dell’organizzazione.
Perché Erdogan, il suo governo e il
suo partito si sono compromessi fino a
questo punto, mettendo in moto una
macchina che non sanno più come fermare? Lo spiega il noto giornalista turco Burak Bekdil, editorialista di Hürriyet:
«Tutto è cominciato quando i leader della
Turchia hanno pensato che potevano creare una cintura di stati sunniti sotto egemonia turca. Perché ciò accadesse Tunisia, Libia, Egitto, Libano, Siria e Iraq dovevano essere governati da leadership sunnite subalterne ad Ankara, preferibilmente legate ai Fratelli Musulmani. Per qualche tempo anche gli Stati Uniti si sono
baloccati con l’idea di creare una “mezzaluna moderata” di nazioni sunnite, con
lo scopo di contenere l’Iran sciita, l’Iraq
governato dagli sciiti e gli Hezbollah
del Libano. Erdogan, fautore della supremazia sunnita, avrebbe stretto la mano
anche al diavolo pur di veder cadere l’alawita Assad. E la Turchia presto divenne il
mentore di tutti i gruppi di opposizione
che, nella visione ideale, avrebbero prima
sconfitto Assad, poi formato un governo
islamista e si sarebbero offerti per diventare un protettorato di fatto dell’emergente Impero turco. All’inizio il sostegno
turco era politico e organizzativo. In realtà Ankara stava lentamente trasformando il sud-est della Turchia in un hub per
militanti islamisti radicali di ogni tendenza, provenienti da moltissimi paesi».
Il problema è che probabilmente Erdogan e Obama non hanno abbandonato le
loro rispettive visioni nate al tempo della
Primavera araba: il presidente turco non
ha rinunciato al suo sogno neo-ottomano, il presidente uscente americano sembra ancora puntare sugli islamisti sunniti moderati per mettere alle corde l’Iran
e i suoi alleati. Se dietro la coalizione
anti-Isil ci sono questi programmi, il fallimento è garantito. n
SOCIETÀ
COPERTINA
Sentinelle
Lo annunciava san Giovanni Paolo II nel 1979.
«Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana
è minacciata». Domenica 5 ottobre migliaia di
persone scenderanno in cento piazze italiane. Ecco
chi sono e cosa significa il loro fastidioso silenzio
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DI VALERIO PECE
SOCIETÀ COPERTINA
30
| 8 ottobre 2014 |
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madre-figli inciso su una t-shirt è un
motivo per multare il possessore, diventa
evidente che per far fuori la nostra civiltà
l’Isil non serve. Bastiamo noi.
Insomma, dietro la protesta silenziosa delle Sentinelle in piedi c’è un’Europa
che non è più in grado di comprendere
la legittimità di un’opposizione. Troppo
poco è stato detto, per esempio, sull’impressionante successione di violenze poliziesche contro chi, in Francia, ha manifestato per la famiglia criticando matrimonio e adozioni omosessuali, violenze
ben documentato da La répression pour
tous?, silenziato libro-inchiesta del giugno 2013. Tanto per essere chiari: oltralpe
le forze dell’ordine manganellano e usano gas lacrimogeni perché è già operante
una legge sull’omofobia.
Il conclave di Rho
«Ho preso l’aereo per vedere che volto
avesse chi ha inventato le Sentinelle»,
così esordisce il responsabile delle Sip di
Sassari in una recente riunione in preparazione della “super veglia” del 5 ottobre; subito supportato – in un giro di presentazioni che per molti motivi avreb-
In queste pagine, foto: Sentinelle in piedi
L
Sentinelle in piedi, ovvero
quanto di peggio possa capitare al giornalista collettivo.
Perdigiorno omofobi o una
nuova Rosa Bianca? Compulsivi occupatori di suolo pubblico, oppure – per dirla col sociologo
Introvigne – «l’ultimo tassello della Controrivoluzione»? È bene chiarirsi le idee
in fretta perché il 5 ottobre accadrà qualcosa che pochi si aspettano. In contemporanea in 100 città italiane (cento) le Sentinelle (Sip) sfideranno boicottaggi, fischi e
sputi e scenderanno in piazza con la loro
vincente (e poetica) ortoprassi: posizionati a scacchiera (a due metri l’uno dall’altro), in un potente e rigoroso silenzio, con
un libro in mano in segno di approfondimento continuo («noi studiamo, voi?»).
Prima ancora che contro il ddl
sull’omofobia – il “reato d’opinione” che
le Sentinelle alla faccia dell’ineluttabilità
delle cose hanno contribuito a imbrigliare – le Sip protestano contro qualunque
imposizione top-down di “verità” calate
dall’alto, imposte per legge, che non tollerano discussioni di sorta, pena l’accusa di opporsi ai “diritti umani”. Addirittura. L’indifferenza sessuale e l’ideologia gender come premessa all’egualita- cano il rutilante circo che in questi ultirismo lasciano perplesso qualcuno? Peg- mi tempi ha letteralmente umiliato la
gio per lui. E l’impossibilità a dire «voglio ragione: il volto del Barilla rieducato, in
la mamma» (quando si dice la “banali- cui non si muove neanche il muscolo del
tà del male”)? Chiedere a Mario Adinol- riscatto; i libri Unar per le scuole fermafi, che su Facebook convive da
ti per il rotto della cuffia (dove
mesi con gli haters, gli odiato- A SAN PIETRO
dietro i problemini di matemari di professione. E che dire dei La preghiera
tica si nascondeva, come il lupo
figli dell’eterologa condannati Il Papa lo ha
travestito da nonnina, cultura
a passare la vita alla ricerca del- detto più volte:
omosessualista in pillole); i foroccorre pregare
le proprie radici? Non è qual- per i padri che
malmente inquisiti Philip Boycosa che grida vendetta? Mac- il 5 ottobre
ce, vescovo irlandese, e Sebaché! Tacere e ancora tacere, que- parteciperanno
stián Aguilar, ottantaquattrensta è la consegna. O al massi- al Sinodo sulla
ne arcivescovo di Pamplona
famiglia. Così,
mo ritirarsi in sagrestia. Esatta- sabato 4 otto(troppo esegeti di quel san Paomente quel che è accaduto il 20 bre, in piazza
lo che coi “sodomiti” non è molsettembre al convegno su vita, San Pietro, dalle
to friendly e che non stravede
famiglia ed educazione dell’As- 18 alle 19.30 ci
neppure per l’obamiano “love
sarà un momensociazione “Vita è”, che da un to di preghiera
is love”); la fellatio omosex di
centrale Istituto scolastico vero- che culminerà
Sei come sei, libro che a scuonese è stato confinato a furor di con l’intervento
la si può e si deve leggere, ma
Arcigay in una più appropriata del Pontefice.
in Parlamento assolutamente
(e appartata) chiesa della città:
no («linguaggio troppo sconvetra medici, parlamentari e giornalisti era- niente», così il presidente Grasso a Giovano troppi gli “omofobi” iscritti a parlare.
nardi); fino ad arrivare, andando a ritroOra, se la stampa è letteralmente ter- so, all’ormai famosa maglietta di Franck
rorizzata dal non apparire abbastanza Talleur. E qui bisognerebbe fermarsi un
gay friendly, le Sentinelle non dimenti- attimo: perché se il disegno di padree
UN EFFETTO DOMINO STRABILIANTE
Un impegno quotidiano per resistere
a chi ci vuole piegati al pensiero unico
In queste pagine, foto: Sentinelle in piedi
C’è la mamma turbata per quanto succede nella scuola dei suoi figli, la giornalista preoccupata per il bavaglio imposto nel trattare le “questioni Lgbt”, l’insegnante
che ha visto nelle aule corsi sull’affettività imperniati sull’ideologia di genere, e poi
il papà chiamato a vigilare su quanto accade nelle classi dei suoi 9 figli, il ragazzo
con tendenze omosessuali che vuole denunciare le strumentalizzazioni vissute
all’interno di Arcigay, lo studente che è pronto a battersi per la libertà d’espressione, l’avvocato, l’impiegato, gli sposi… Da Nord a Sud la rete delle Sentinelle in piedi
non conosce confini, né appartenenza politica o fede religiosa, non conosce età o
estrazione sociale, attraversa associazioni e movimenti per diventare una realtà
così trasversale da mettere in crisi chiunque voglia ricorrere alle obsolete etichette
destra/sinistra cattolici/non credenti e chi più ne ha più ne metta.
Brescia, Bergamo, Milano, Verona, Trento, Trieste, Reggio Emilia e Genova. Poi La
Spezia, Roma, Perugia, Lecce e Catania, Salerno, Matera, Sassari, Cagliari, Venezia.
Le Sentinelle si sono moltiplicate per un effetto domino strabiliante e non pianificato di cui la mobilitazione di piazza è soltanto la parte visibile. Dietro c’è un intreccio
di vite che si consumano in notti a scrivere volantini, monitorare siti, setacciare
giornali, vigilare sull’attualità, informare. Una realtà fatta di serate strappate a
lavoro e famiglie per l’urgenza di denunciare la gravità dell’attacco alla dignità e
alla natura dell’uomo, una realtà fatta di cittadini mossi dall’ansia di svegliare le
coscienze. Raccontare questa resistenza non è possibile senza parlare dell’impegno
di ogni vegliante, differente nei modi, nei tempi, nei luoghi, identico nello sforzo
profuso per difendere la libertà di espressione e nella fermezza contro l’imposizione
dell’ideologia del gender. Conoscere questi liberi cittadini e unirsi a loro è possibile
andando in piazza o semplicemente dando una risposta concreta alla domanda: io
cosa posso fare? Non ci sono requisiti o attitudini, tutti sono chiamati a vegliare
nella vita per resistere contro chi ci vorrebbe piegati al pensiero unico. Raffaella Frullone
be dovuto essere filmato – da una mamma umbra: «Quello che non vorrei mai è
che domani i miei figli mi rimproverassero per non aver parlato, oggi che ancora è
possibile farlo». Siamo nella bella cornice
del convento degli Oblati di Rho, e insieme a Sardegna e Umbria, ci sono persone giunte dalla Toscana, dalla Campania, dalla Puglia, dal Lazio, dalla Basilicata, dalle Marche e dall’Abruzzo, oltre che
da tutte le regioni del nord. Sedici regioni su venti (ma era ancora il 31 agosto,
ora sono venti su venti) e 80 città coinvolte. Con tutti gli eccitati presenti arrivati
rigorosamente a proprie spese. Ci sarebbe
pane per legioni di sociologi se questi fossero interessati al loro mestiere (lo studio
dei fenomeni sociali, appunto), ma fortunatamente, dice il poeta, «la storia non si
ferma davvero davanti a un portone», per
cui, ancora e sempre dal basso, spuntano
le prime tesi di laurea e presto, probabil-
mente, leggeremo della “Fenomenologia
delle Sentinelle in piedi”.
Nel peggior bar di Brescia
Ma dove, come e quando nascono le Sentinelle in piedi? Riavvolgiamo il nastro. 31
luglio 2013, caldo torrido, seduti ai tavolini di uno scalcagnato bar di Brescia, tra
birre, succhi e zanzare, giovani mamme
e giovani papà nel numero di 8 si danno appuntamento per «fare qualcosa, più
che interrogare le previsioni» (Emanuele), e impegnarsi «per i figli e per la difesa
del reale, in una dolce lotta, più gioiosa
di ogni pace» (Lucia). L’idea è questa: prendere l’esperienza dei Veilleurs Debout, i
resistenti francesi, e organizzare in fretta
la prima veglia italiana. «Ci chiameremo
Sentinelle in piedi» (Matteo), con in mente una famosa omelia di Giovanni Paolo
II a Washington nel 1979: «Ci alzeremo
in piedi ogni volta che la vita umana è
IL 31 LUGLIO 2013 ERANO IN 8,
VOLEVANO «IMPEGNARSI
PER I FIGLI E PER LA DIFESA
DEL REALE». IL 5 AGOSTO
SONO IN PIAZZA DELLA
LOGGIA. LA PRIMA VEGLIA
DI UNA LUNGHISSIMA SERIE
minacciata. Ci alzeremo quando un bambino è visto solo come un mezzo per soddisfare un’emozione…».
Ma ecco che fissata la data della prima veglia (il 5 agosto), i compiti (pochi,
non c’è tempo nemmeno di informare la
Questura) e il posto (ovviamente Piazza
della Loggia), accade un fatto strano, che
i testimoni raccontano ancora con pudore. Arriva, improvviso, un vento gagliardo, e in rapida successione uno stormo di
uccellini cinguettanti che prima girano
intorno ai tavolini, e poi vanno a poggiarsi senza la minima esitazione sulle spalle
degli otto, e rimangono lì, fermi, in uno
sconcerto generale che passando per il
riso volge in commozione.
Questo il racconto dei presenti, tornati a casa con una missione e un fiotto in
gola. Il resto è storia. Sono le veglie moltiplicatesi a macchia di leopardo sotto la
cura di un coordinamento nazionale tutto impegno e passione la cui nascita si è
resa presto indispensabile. Sono i contatti, le pagine Facebook aperte dai responsabili di ogni città; è la voglia e il gusto
della sana persuasione (per cui chi è “contro” o finisce per cambiare idea o se ne
va); sono le conferenze, tante, per spiegare quella bufala che è la Gender Theory (e
che in fondo, col “Paradosso norvegese”,
è bastato un comico a smantellare). Ma
ciò che resta sono soprattutto le amicizie
sbocciate, trasversali, il capitale umano
sempre più formato e la formidabile rete
che è andata sviluppandosi e che – proprio perché non intaccata da quella “scelta religiosa” che rischia d’ingessare più di
una realtà – sembra assolutamente inarrestabile, tanto che dall’estero già fioccano richieste di know-how.
«Sarò con voi», parola di vescovo
A un’analisi appena attenta, anche il rapporto tra le rigorosamente aconfessionali Sentinelle e la Chiesa italiana è in via
di rinnovamento. Gesti forti ci sono già
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SOCIETÀ COPERTINA
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DI MARIO ADINOLFI
La mia battaglia
da sinistra
«Ho fondato il Pd, scritto il suo statuto. Ho le mie
colpe». La confessione di un omone che si è stufato
delle balle di Repubblica. E della sua ideologia
stati. A tirare la volata, i soliti “capitani coraggiosi”: è del 15 luglio l’ardimentosa nota di monsignor Luigi Negri, che
spronando a organizzare veglie anche
nella sua Ferrara, così scriveva: «Sarò con
voi, sentinella come voi, davanti l’ospedale di Cona». La comunione di intenti
con chi è “esperta in umanità” è evidente. Non sono state proprio le Conferenze
episcopali slovacche, portoghesi e polacche (come anche i vescovi della Toscana e
del Triveneto) a pubblicare energici documenti contro l’ideologia di genere? E non
è stata proprio la Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America a intervenire in una causa giudiziaria per difendere
la libertà di coscienza? Quella libertà di
coscienza e d’espressione la cui tutela è la
ragion d’essere delle Sentinelle in piedi, il
loro proprium.
È liturgia, bellezza
C’è poi un ingrediente del successo delle Sip mai abbastanza sottolineato. Nelle ormai famose veglie, la precisa disposizione nello spazio delle Sentinelle è molto più che un brand: è in qualche modo
liturgia. Le Sentinelle hanno preso sul
serio la lezione di McLuhan, e se davvero
«il mezzo è il messaggio», in quelle piazze
accerchiate da contestatori indiavolati, ai
fischietti e agli slogan hanno preferito da
subito il più potente e arcano linguaggio
simbolico. Il silenzio, l’ordine, l’armonia
sono la risposta al caos, lo spirito apollineo contro quello dionisiaco, l’equilibrio
e la purezza come categorie dello spirito. E come nella liturgia lo scopo della
velatura non è nascondere gli oggetti ma
mostrare ciò che sono realmente, così il
silenzio delle Sentinelle parla, grida. E lo
fa alla volta dei secolarismi impazziti, del
totalitarismo che non tollera la libertà di
pensiero, della “cosificazione” della vita
umana. Perché contro il Califfato relativista d’Occidente «è meglio morire in piedi
che vivere in ginocchio». n
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C
onfesso a Dio onnipotente e a voi fratelli. In premessa confesso. Ho le
mie colpe. Ho contribuito a far
nascere il principale partito della sinistra
italiana, sono stato candidato alla segreteria nazionale alle primarie fondative (eravamo in cinque, non sono neanche arrivato ultimo, ma quarto) di quel Pd veltroniano nel 2007; ne ho scritto lo statuto,
ne sono stato dirigente e pure parlamentare. Poi, dopo aver deciso di non ricandidarmi a deputato, non pago ho pure scritto un libro dalla copertina rossa che insiste sulla parola “resistenza” (il titolo del
libro è Voglio la mamma, qualcuno di voi
l’ha letto?). Capirete che è normale, dato
questo retaggio, che mi compaia di tanto in tanto in sogno il compagno Lenin
pronunciando il suo slogan più famoso:
“Che fare?”.
Che fare davanti all’avanzata nelle
scuole dell’ideologia del gender? Che fare
davanti a chi vuole mettere in una legge sulle unioni gay la stepchild adoption,
cioè la legalizzazione ipocrita della pratica dell’utero in affitto? Che fare davanti a chi conciona di omogenitorialità e
di omofobia, concetti dai contorni labili, provando a varare il ddl Scalfarotto
che vorrebbe impedirci persino di parlare? Che fare davanti agli inneggianti alla
fecondazione eterologa che sono riusciti
a metterla nei livelli essenziali di assistenza? Che fare davanti alla Corte costituzionale che legittima l’eterologa scrivendo nelle motivazioni della sentenza una
bestialità giuridica che definisce «incoercibile» il «diritto ad avere un figlio»? Che
fare davanti ai fautori dell’aborto di massa dei bimbi down che si commuovono
davanti ai video dei bimbi down; davanti ai campioni della lotta alla discriminazione che ti discriminano e ti definiscono «bigotto, retrogrado e medievale»
(nel mio caso anche «ciccione di m…») se
non la pensi come loro; davanti ai teorici
dell’eugenetica e della soppressione degli
esseri umani “deteriorati” anche con l’infanticidio e l’eutanasia che poi scopri
essere animalisti convinti (andate a leggere chi è e cosa scrive Peter Singer, insegna
a Princeton)?
Che fare davanti all’offensiva carica
di denari, perché è tutta una questione di
denari, di chi vuole definitivamente affermare che le persone sono cose e dunque
i bambini si possono comprare e vendere, i gameti si possono comprare e vendere, gli uteri si possono affittare, i “prodotti” malriusciti o ormai consunti si possono eliminarare?
Che fare? Occorre rispondere. Mobili-
BISOGNA INFORMARSI,
DIVENTARE CONSAPEVOLI DI
QUELLO CHE STA ACCADENDO.
OCCORRE PROCLAMARE
UNA VERITÀ. VOGLIO FAR
RAGIONARE LA SINISTRA
ITALIANA E RISVEGLIARE
IL GUSTO DELLA LOTTA
DEL MONDO CATTOLICO
tarsi. Scendere in piazza, come le Sentinelli in piedi in cento piazze di tutta Italia. Occorre informarsi e diventare pienamente consapevoli. Occorre proclamare una verità: siamo uomini e donne, ma
quali gender studies. Non solo. Tutti noi
proveniamo dall’unione di un uomo e di
una donna. Tutti. Indistintamente. Questa è una verità e, come diceva Husserl, la
verità ha una caratteristica: è autoevidente, non c’è bisogno di dimostrarla.
I miei obiettivi
Oltre a rispondere, oltre a mobilitarsi,
oltre a scendere in piazza, oltre a informarsi e oltre a proclamare le più basiche verità, occorre ragionare. Ragionare
noi stessi e avviare un ragionamento. Io
ho due obiettivi: far ragionare la sinistra
Mario Adinolfi ha
contribuito a fondare
il Pd nel 2007, ne ha
scritto lo statuto, ne è
stato dirigente e pure
parlamentare. Oggi è
anche lui una Sentinella
IL LIBRO
VOGLIO
LA MAMMA
Mario Adinolfi
Youcanprint
13 euro
do dal nulla circoli che sono attivi ormai
in tutta Italia, dal 13 gennaio 2015 risponderemo ogni giorno attraverso un quotidiano. Si intitolerà La Croce, come l’omologo che da 140 anni i francesi trovano
nelle loro edicole.
italiana, quella devastata da una desertificazione culturale per cui da decenni il
massimo della formazione è stato restare
in sezione a guardare Happy Days (non è
mia, è di Nanni Moretti, che in un film fa
pure l’imitazione di Fonzie); e poi risvegliare il gusto della lotta del mondo cattolico, che unito e libero da qualsiasi
tentazione divisiva, capisca che l’offensiva di coloro che vogliono trasformare
le persone in cose è in atto e merita una
risposta veemente a difesa della dignità
e della libertà del soggetto più debole.
E il soggetto debole, lo dico da uomo di
sinistra anche se non più iscritto al Pd,
tra la coppia di omosessuali ricchi che
si vogliono comprare un bambino affittando l’utero di una donna bisognosa e
il neonato che appena nato viene strappato al seno materno e consegnato come
un pacco agli acquirenti, è senza dubbio
il neonato. L’altro soggetto debole, i cui
diritti andrebbero tutelati, è la madre a
cui è strappato il figlio e che si sottopone
a questa umiliazione della propria anima (perché per una donna la maternità è l’anima) per una condizione di bisogno, per denaro.
Che fare? Rispondere giorno dopo
giorno. Sono stanco di leggere ogni mattina Repubblica che se ne inventa una
nuova. Oggi era il turno dell’incesto: una
bella paginata per depenalizzare l’incesto, perché «il sesso deve essere libero». In
Europa temi del genere si accompagnano sempre alla questione della pedofilia,
che secondo gli stessi andrebbe parimenti depenalizzata. Ieri c’era il teologo cattolico che teorizzava la bellezza dell’eutanasia. Il giorno prima Roberto Saviano
che ci spiegava che chi è contro il matrimonio gay e «l’omogenitorialità» è «retrogrado e bigotto». E poi le paginate a favore dell’eterologa e quelle contro i preti
pedofili, le storie filoabortiste e quelle a
sostegno dei poliamori. Ogni santo giorno che Dio manda in terra ce n’è una. E
quando la magistratura fa la sua sentenza, palesemente contra legem ma atta a
«supplire alla debolezza della politica sui
diritti civili», ecco che scatta l’obbligo di
applauso mediatico: viva il tribunale di
Grosseto che fa trascrivere i matrimoni
gay all’anagrafe; viva il tribunale di Milano che assolve la 54enne milanese che s’è
andata a comprare un bimbo in India e
l’ha dichiarato come figlio proprio; viva
il tribunale di Roma che decide che una
bimba può avere due mamme e nessun
papà. E noi, che facciamo noi?
Noi del gruppo che ha sostenuto la
diffusione di Voglio la mamma, inventan-
Il nuovo quotidiano
Si intitolerà così perché, come spiegava
papa Benedetto XVI, la Croce è lo specchio dell’umanità. E io non ho nessun
odio per questi affittatori di uteri, cacciatori di bimbi, soppressori di nascituri o
di anziani. Non ho nulla contro costoro,
vedo tutta la loro dolente umanità, anche
la loro specchiata nella Croce. Proveremo
a parlare e a spiegare ogni giorno con un
quotidiano cartaceo – presente in edicola
e sui vostri tablet o pc –, perché c’è bisogno di resistenza contro l’avanzata di chi
vuole riportare le lancette dell’orologio a
duemila anni fa, quando le persone erano cose, quando potevano essere comprate o vendute in schiavitù, quando potevano essere uccise con il gesto di un dito
di un imperatore, quando potevano essere gettate da una rupe se nate con difetti.
Poi arrivò un Segno, la Croce appunto, e
liberò l’umanità.
Noi, laicamente e in modo totalmente aconfessionale, senza alcun moralismo
perché siamo peccatori incalliti, parleremo di quella liberazione che sostiene la
nostra libertà e comporta un obbligo di
sostegno ai diritti dei soggetti più deboli. E i soggetti più deboli sono il nascituro, l’anziano malato, la donna bisognosa, tutti coloro che un mondo senza cuore si appresta a considerare “scarti”, come
spiega bene papa Francesco invitandoci a
reagire a questo tipo di cultura.
Le persone non sono cose, i figli non si
pagano, gli uteri non si affittano, i malati
non si uccidono. Forti di queste verità, ci
apprestiamo a testimoniarle con ancora
più costanza. Al compagno Lenin ho dato
la mia risposta.
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33
DECLINO
E CADUTA
R
ivolgendosi all’Onu Matteo Renzi è
stato estremamente chiaro, inglese a parte, nell’avanzare un fondamentale distinguo riguardo al delicato scenario geopolitico: con fermezza ha
spiegato che bisogna distinguere fra politica e religione, fra fede e terrore, e che
pertanto lo Stato islamico non ha niente a che fare con l’islam. Si tratta tutt’al
più di una coincidenza fortuita se non di
una malaugurata omonimia, come quella fra il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama, che ha appena ordinato raid aerei sulla Siria, e il premio Nobel per la pace Barack Obama, che ha declinato ogni
responsabilità riguardo al gesto aggressivo e folle del presidente.
Poiché conoscere aiuta a capire, abbiamo chiesto lumi a un portavoce del califfo
al Baghdadi, lo sceicco Abu Mohammed
al Antani al Nin al Frassiq Bin-Bun-Ban, riverito esponente dell’islam moderato, il
quale ci ha accordato un colloquio esclusivo ricevendoci direttamente nel proprio
arsenale. La prima domanda non poteva
che vertere sulla distinzione fra i poteri
temporale e spirituale nel neocostituito
califfato. Lo sceicco esclude ogni confusione al riguardo; gli preme piuttosto specificare che Obama è il mulo degli ebrei, il somaro dei cristiani, che pensa di essere più
intelligente di Bush ma ciò è impossibile
in quanto ha le orecchie a sventola. Interrogato riguardo all’eventualità che la Turchia di Erdogan possa entrare nell’Unione
Europea, lo sceicco ribadisce che Obama è
proprio il bardotto dei cingalesi, la giraffa
degli ittiti, l’ornitorinco dei visigoti; e si
dice certo di avere già incontrato sua moglie, la deliziosa Michelle, in un qualche
zoo – complimento che gli esperti di equilibri internazionali ci assicurano rientrare fra i più raffinati che possano essere
rivolti a una signora senza costituire vincolo unilaterale di matrimonio.
Di sicuro, suggeriamo, il grande rivolgimento in atto nelle gerarchie ecclesiastiche favorirà il dialogo interreligioso. Anche lo sceicco ne conviene: «I muwwahhid,
i musulmani devoti, devono colpire gli infedeli ovunque si trovino. Devono rendere amare le loro vite, colpire le loro forze dell’ordine, sculacciare i loro bambini,
IL PORTAVOCE DEL CALIFFO AL BAGHDADI
«Conquisteremo le vostre
donne. Ci ha persuasi
un articolo di Severgnini»
|
DI ANTONIO GURRADO
bianchi, stanno sempre a combattere coi
gomiti sul bracciolo e se fate una battuta
la capiscono dopo due giorni».
rigare le loro automobili, infilare stuzzicadenti nei loro citofoni, chiamare i loro
numeri fissi all’ora di pranzo e dire: “Buongiorno signora, sono Alì Bin-Tali-Whalib
Al-Moqtadi Ur-Faust, ha mai pensato di
rasserenare il suo futuro con un piano assicurativo estremamente vantaggioso?”. Devono uccidere tutti i miscredenti americani ed europei, in particolare i francesi che
hanno la puzza sotto il naso e sono tutti
gnè gnè gnè, per non parlare degli italiani
che parlano a voce alta nei ristoranti e parcheggiano in doppia fila. E i tedeschi! Siete
mai capitati seduti di fianco a un tedesco
in autobus? Indossano i sandali coi calzini
L’umanità dello sceicco
La grande sorpresa lo sceicco la riserva però sul ruolo delle donne. «Verremo in Italia e conquisteremo le vostre donne. Ci ha
definitivamente persuasi a farlo l’articolo di Beppe Severgnini in occasione della Festa del #tempodelledonne, organizzata dal blog La 27 Ora, tre giorni con più
di cento eventi in tutta Milano per far sì
che le donne si sentano libere di spaziare
con la fantasia e pure con il corpo, con la
matematica e il proprio talento. L’importante è non accontentarsi: la bellezza è solo uno strumento, la sfida è essere originali come la Dama del Pollaiolo, secondo
le dichiarazioni rese dall’attrice Cristiana
Capotondi che ha indossato le vesti della giovane rinascimentale per rappresentare la via gentile all’affermazione della
donna». Riposta la propria copia di Sette del Corriere della Sera, lo sceicco ci ha
congedati ricordandoci che il tempo a nostra disposizione era scaduto e assicurandoci che si sarebbe personalmente premurato di far riconsegnare le nostre teste
ai familiari.
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| 8 ottobre 2014 |
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CULTURA
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| 8 ottobre 2014 |
UNA GRANDE STAGIONE
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Classic Voice ha
definito il Donizetti
di Bergamo «il più
virtuoso dei teatri
della tradizione».
Nella foto, una scena
tratta dall’opera
Lucia di Lammermoor
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DI MARIAPIA BRUNO
Il teatro
che punta
sui giovani
Così Francesco Bellotto è riuscito a raddoppiare
gli incassi e a fare quadrare il bilancio del Donizetti
di Bergamo. «Ascoltiamo 500 voci all’anno per
scovare nuovi talenti». Come Maria Agresta,
che prima di arrivare alla Scala è passata da qui
Q
di Lucia di Lammermoor potrebbe dar il via alla
nuova stagione del Teatro Donizetti di Bergamo, e venir anche eseguita con
le acutissime, difficili e impervie tonalità originali, accompagnate da strumenti
che non si usano più, come i corni naturali, i tromboni a pistoni (e non quelli a
coulisse), e l’armonica a bicchieri? Se la
scelta è ricaduta sul libretto contenente
la scena della pazzia più famosa della storia dell’opera, vuol dire che di più non si
può trovare. Ma come si fa a organizzare
e a portare avanti il programma che deciderà le sorti del Teatro da qui al prossimo anno? Una chiacchierata con Francesco Bellotto, direttore artistico del Donizetti, ha chiarito abbastanza le idee e ci
ha proiettati sul palcoscenico, luogo dove
attori, cantanti, registi e direttori uniscono le forze per creare quella forma d’arte
uale miglior opera
che viene fruita ogni volta in modo diverso e straordinariamente unico. Il nostro
interlocutore sul palcoscenico ci è cresciuto, facendo la comparsa negli anni
dell’università, quando studiava musicologia, lavorando poi come attrezzista,
attore, direttore di scena e autore di testi.
«La mia è la storia di una passione piuttosto antica. Ho avuto la fortuna di approdare a Bergamo, dove c’è il teatro di tradizione più antico della Lombardia e la
sala teatrale più grande d’Italia. È dedicato a Donizetti, un autore geniale, che
può essere considerato il Mozart italiano,
sia per la facilità di invenzione che per la
profondità. Dopo aver consegnato la mia
tesi di laurea, ho iniziato la mia carriera
in questo campo e non ho più smesso».
Oggi Bellotto ha in mano la direzione artistica e l’impegno si è moltiplicato.
In un teatro di tradizione come quello
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37
CULTURA UNA GRANDE STAGIONE
«RISPETTO ALLE
FONDAZIONI LIRICO
SINFONICHE, SIAMO
TEATRI DI SERIE B.
NON CI SONO MOLTI
SOLDI MA RIUSCIAMO
AD AVVICINARE AL
TEATRO UN PUBBLICO
MOLTO GIOVANE»
di Bergamo, la struttura organizzativa
è piccola e agile, l’opposto di quella dei
grandi teatri dell’opera; il direttore artistico si occupa di diversi aspetti che vanno dalla scelta delle persone, alla supervisione della grafica, alla sfera della comunicazione. «Noi siamo teatri di serie B,
la serie A è delle Fondazioni lirico sinfoniche, aziende dove ci sono centinaia
di dipendenti. Ma la crisi non risparmia
nessuno. E mentre in quelle realtà, dove
con la riforma Bray i sovrintendenti sono
diventati amministratori delegati, si evidenziano sempre più tutte le criticità dei
bilanci di gestione che dimostrano una
spesa di funzionamento che costa molto
di più del prodotto che viene distribuito,
nei teatri come il nostro le spese vengono commisurate alle risorse disponibili».
Un appeal internazionale
II Teatro Donizetti, definito da Classic Voice il più virtuoso dei teatri della tradizione, si serve di una struttura più snella possibile: tutti i dipendenti sono a contratto
e le risorse vengono scelte a seconda dei
progetti. E mentre si adotta la filosofia del
risparmio ci si impegna al massimo nel
divulgare l’opera il più possibile. «Non ci
possiamo permettere un euro di deficit.
Da quando, nel 2006, abbiamo dato vita
al Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti gli incassi sono quasi raddoppiati, da
circa 180 mila euro all’anno, a 350 mila.
Il festival è importantissimo per la nostra
città e la mette in primo piano: lavorare
puntando sul nome di Donizetti significa
fare incoming di tipo turistico. Il compositore ha un appeal internazionale straordinario e attraverso Donizetti offriamo al
pubblico le bellezze di Bergamo».
Da quasi dieci anni il teatro è diventato un organismo dove le maestranze lavorano in maniera sinergica, una sorta di
fabbrica di professionalità che danno il
loro meglio in campi diversi: sono stati
costruiti gli organici, selezionati i diret38
| 8 ottobre 2014 |
|
Francesco Bellotto, classe 1961,
si è laureato in musicologia
a Cremona. Oggi è direttore
artistico del Donizetti di Bergamo
tori d’orchestra, gli artisti del coro e vengono organizzate, a livello europeo, diverse audizioni per giovani cantanti. «Ascolto 400-500 voci all’anno. Rispetto ai teatri
più grandi rischiamo e scommettiamo su
giovani non ancora conosciuti».
Ma come in ogni azienda non mancano gli imprevisti: «Una volta abbiamo
portato in scena La Favorita e si è ammalata la protagonista femminile. La sostituta l’abbiamo trovata in Uruguay. Sono
cose che possono succedere, dobbiamo
essere pronti a tutto». E volte alla bravura si aggiunge la fortuna: «È il caso della
Gemma di Vergy, opera rarissima che le
interpreti non vogliono mai cantare per
la fatica che richiede. Quando la portammo in scena abbiamo avuto la fortuna di
far debuttare Maria Agresta. Adesso è forse il primo soprano lirico in Italia. Alla
seconda recita abbiamo avuto una bellissima critica sul New York Times».
Le scuole in sala
Bellotto ricorda anche la faticosa messa in
scena del Marin Faliero di Donizetti e dei
Puritani di Bellini. Il tenore scelto da Bellotto per I puritani si ammalò ma per fortuna, dopo qualche momento di terrore,
arrivò un tenore in carriera che lo sostituì salvando la recita. Nonostante qual-
che lamentela da parte degli spettatori
tutto andò per il meglio. Certo la bravura
di interpreti e registi, per il successo della messa in scena, è fondamentale. Ma è
comunque il pubblico il giudice ultimo.
E gli abbonati del Donizetti di Bergamo
sono molto competenti: le domande che
pongono sono precise e non permettono
errori: «Una volta sentii delle persone protestare ad alta voce perché non gradivano
il direttore d’orchestra. Quando decisi di
intervenire mi diedero del gelataio».
Ma un altro tipo di pubblico sta sbocciando nel panorama operistico, quello dei giovani e dei giovanissimi. Dopo
il Festival, è nato il progetto La scuola
all’Opera: prepara gli insegnanti a guidare gli studenti nello studio del libretto.
L’opera Betly è stata distribuita alle scuole dell’obbligo, e le 8 recite portate in scena sono state apprezzate da oltre 6 mila
spettatori. Anche l’apertura al pubblico
delle anteprime, a cui gli under 30 possono accedere pagando un biglietto di soli
10 euro, ha catturato nuovi fruitori. «Solo
la scorsa settimana abbiamo avuto più di
mille persone. In Lucia di Lammermoor
quattro cantanti delle tre parti principali dell’opera hanno meno di 30 anni, e chi
interpreta Lucia ne ha 26, la stessa età della protagonista di cui veste i panni». n
STILI DI VITA
CINEMA
IL PARADISO DELLA PIZZA, VIMERCATE (MB)
Pasto sublime, per intenditori
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
U
n “non luogo” può essere
il posto giusto dove trovare, senza aspettarselo,
una pizza eccellente. Anzi, tra le migliori. Vimercate, tra Monza e Milano,
è un paese che non dirà molto al viandante. Però proprio qui, in un piccolo centro commerciale (non stiamo scherzando), c’è una delle più buone pizze
della regione. Il Paradiso della Pizza, si chiama. Un posticino per il quale la galleria del centro commerciale resta aperta anche ben oltre l’orario di chiusura.
Marco Locatelli e Giulia Battafarano sono qui, in questo buco con pochi tavolini di plastica, ma con un gran forno a legna. Qui si fa la pizza. Ma non la pizza
snervata, americanizzata e melensa delle pizzerie “popolari”, particolarmente infestanti in Brianza. Qui si lavora su impasti, farine, lievitazioni con molto criterio. Sicché, ecco impasti realizzati a partire da pasta madre, integrali e non, con
accorgimenti quasi certosini nel dare un risultato morbido e croccante, del tutto
digeribile. Spettacolari le farciture: su una base di pomodoro San Marzano autentico, dell’Agro Sarnese-Nocerino, trova posto la classica mozzarella per la Margherita, semplice e sublime. Ma questo è solo il punto di partenza.
Potrebbe capitarvene una con bresaola stagionata di Sergio Motta (come dire, la Rolls Royce delle bresaole), Parmigiano 30 mesi e porcini della Lunigiana, il
tutto su una base di pasta addizionata con le trebbie, ossia le rimanenze dell’orzo
usato per fare la birra. Oppure, una pizza “fuori menù” che abbiamo provato due
settimane fa: la “Fagiolo Magico II”, impasto integrale con appunto fagioli borlotti, guanciale di cinta senese di Falaschi (San Miniato) e pecorino di fossa. Sublime.
Ma di varianti ce ne sono molte. Basta consultare il sito web, ben fatto e molto aggiornato, svela anche le varie “pizze della settimana”.
Da bere, una scelta encomiabile di birre di qualità, specie artigianali italiane
ma non solo. Servizio quasi a self service. I prezzi delle pizze vanno dai 4.30 della
Marinara ai 9 euro delle più elaborate.
Amici miei
LIBRI/1
Un grande dialogo
tra Severino e Scola
Il morire tra ragione e fede è
un libretto edito da Marcianum
Press (97 pagine, 9 euro) che
riporta un dialogo tra il filosofo
Emanuele Severino e il cardinale Angelo Scola. Il confronto
tra Severino e Scola indica con
forza che il parlare della morte è un tema che annuncia, sotto le ceneri dello smarrimen| 8 ottobre 2014 |
Tutti i meriti del
fenomeno Neeson
Negli anni Novanta un detective privato viene ingaggiato per risolvere una
lunga serie di rapimenti.
Discreto noir citazionista
che parte subito bene con
un ottimo Liam Neeson, cupo e di poche parole. Una
sparatoria violenta in un
bar, lui che fa un mazzo così ai banditi un po’ come
Bronson ne Il giustiziere
della notte. Gli ingredienti in effetti sono quelli: una
bella cornice vintage, la figura carismatica e silenziosa di un detective con un
passato da poliziotto e tan-
HOME VIDEO
Tracks – Attraverso il deserto,
di John Curran
Un viaggio impossibile
Una donna decide di percorrere
da sola il deserto australiano.
Impressionante da un punto
di vista scenico, dei paesaggi e
della fotografia; Tracks è la conferma del talento di John Curran come grande illustratore
(era regista del buon Il velo dipinto) che fatica però a rendere appassionanti le proprie storie. Che in questo caso è bella,
per quanto le manchi una certa grandezza tragica: la vicenda
di una donna testarda e di un
viaggio contro tutto e tutti per
affermare se stessa.
Per informazioni
Il Paradiso della Pizza
ilparadisodellapizza.it
Via Passirano, 20
Vimercate (MB)
Tel. 0396085894
Chiuso domenica a
pranzo e il lunedì
40
La preda perfetta,
di Scott Frank
|
to contemporaneo, la ripresa di
un discorso relativo all’essere
al mondo, nella consapevolezza che oltre i tratti più dolorosi del credersi “mortali” appare
ciò che più anticamente siamo,
insieme al mondo che ci accoglie. Il dialogo si concentra
su due temi: il rapporto tra fede e ragione e il significato della libertà. Se per Scola la libera
adesione a Cristo è la via della
salvezza, per Severino la libertà appartiene invece all’essenza del nichilismo e la fede sta
alla radice dell’errore perché è
la volontà di tenere fermo ciò
di cui non appare l’impossibili-
tà del contraddittorio. Le pagine di questo breve volume sono un invito a meditare il senso
della verità dell’essere e delle
sue implicazioni.
EVENTI
Presentato il rapporto
sociale 2013 di Sisal
L’impegno di responsabilità, il
valore delle persone nella loro
diversità, il gioco di squadra, la
cura e il rispetto dei consumatori e lo slancio all’innovazione per
continuare a crescere: sono i valori che guidano la strategia di
responsabilità sociale del gruppo Sisal e i suoi comportamenti di business. E che quest’anno
hanno ispirato la rendicontazione delle attività del Programma
di Responsabilità dell’Azienda,
il Rapporto Sociale 2013, presentato il 23 settembre a Roma
presso la Lanterna di Fuksas.
Fil rouge dell’evento il “valore
sociale” nell’ambito del welfare
aziendale, della comunità, della
centralità delle persone e della cultura. Tanti i progetti sviluppati sul territorio. Dal focus
sull’innovazione sociale, sulla
formazione, il sostegno all’arte
e sulla promozione del talento.
INDAGINE SUI RAGAZZI
to da farsi perdonare. E ancora: cattivissimi sadici alla maniera del Buffalo Bill
de Il silenzio degli innocenti, un ragazzino che gioca a fare Philip Marlowe e
una discreta gestione della suspense. Non è un capolavoro e non è nemmeno originale: anzi, specie nel
rapporto tra il detective e il
ragazzino, ci sono molte ovvietà e ripetizioni. Ma Liam
Neeson è un fenomeno: duro
e sofferente, riesce a rendere
credibile il suo personaggio e
avvincente un film imperfetto e prevedibile.
visti da Simone Fortunato
Il pericolo di
essere social
Il regista
Scott Frank
COMUNICANDO
CULTURA IN BOTTIGLIA
La storia insegnata
con il vino
La Cantina Signae di Bastardo (www.rossobastardo.it) lega il proprio nome alla tradizione religiosa e popolare umbra,
con etichette di punta come il
RossoBastardo, il Sagrantino di
Montefalco e il Sémele Passito, pregiato vitigno autoctono
tramandato nei secoli all’interno delle mura conventuali bene-
dettine. Il Sémele sarà dal 754
al 1870 il vino scelto dai Papi per la celebrazione eucaristica, in virtù di particolari quali-
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
V
la risposta sugli ultimi dati dell’indagine
“Abitudini di vita degli adolescenti italiani” dell’anno 2014, fatta su
2 mila studenti di terza media dalla Società Italiana di Pediatria? Avete vinto,
le parole social network, internet, instagram, whatsapp, la fanno da padroni.
Il 93 per cento degli interpellati bypassa completamente il controllo dei genitori sul computer con gli smartphone; 8 su 10 usano whatsapp. I ragazzi
più a rischio sono quelli che usano almeno tre social, lo sanno bene le scuole dove i casi di cyberbullismo con uso
di facebook o instagram stanno aumentando. Tra i meno social il 4,9 per cento ha dichiarato di essersi già ubriacato, la percentuale sale a 21,7 per cento
tra i più social, il 44 ha dichiarato di fumare. Per il 60 per cento internet è irrinunciabile, ultimo pensiero della sera e
primo del mattino. E se la corsa ad avere più “like” impazza, di pari passo aumenta l’insicurezza e l’insoddisfazione
per il proprio essere reale, soprattutto
tra le ragazze: 6 su 10 si vorrebbero più
magre, il 35 per cento ha già fatto una
dieta dimagrante, 8 su 10 si vorrebbero più belle. Fa il suo ingresso tra i comportamenti a rischio il gioco d’azzardo.
Quello che invece non cambia è ciò che
di volta in volta dicono gli esperti, prima era la televisione, poi il computer,
ora i social: «Non vanno demonizzati,
il problema è l’abuso». Prendersi la responsabilità di una strada da indicare?
mammaoca.com
olete scommettere
tà delle uve che lo rendono tra
i più dolci, ricchi in polifenoli e
tollerabili a stomaco vuoto. Con
la proclamazione del Regno
d’Italia la vinificazione si riduce e riprenderà solo nel 2000,
quando l’ingegner Cesarini si fa
promotore della territorialità
umbra, valorizzando i vitigni tra
i più poliedrici e ricchi del Belpaese. Una eredità dal riscontro internazionale pari all’83
per cento dell’intera produzione, che ha meritato l’interesse del Vaticano: il Sémele Passito accompagnò il volo papale
di Benedetto XVI in Africa ed è
stato scelto nel menù ufficiale
di bordo del viaggio apostolico
di papa Francesco in Corea del
Sud. Passando attraverso un vino, Cesarini consegue un intento di trasmissione paragonabile
al messaggio degli artisti, con il
seguente auspicio: «Bilanciando la composizione del RossoBastardo con Sangiovese, Merlot, Cabernet e un 10 per cento
di Sémele, volevo trasmettere quella formidabile morbidezza che ben incarnasse l’identità
dell’Umbria, un territorio sinuoso e collinare con un popolo apparentemente ombroso ma tra
i più ospitali d’Italia».
Giovanni Parapini
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| 8 ottobre 2014 |
41
motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Moto Guzzi V7 II
È una delle moto classiche più amate, oggi può anche vantarsi di essere una
delle più tecnologiche. Sì, perché la Moto Guzzi V7 II oltre a numerosi aggiornamenti porta in dote anche un corredo elettronico mai visto prima su una
moto classica. La V7 II, questa la nuova denominazione, può infatti vantare di
serie ABS e controllo di trazione. Il motore è stato aggiornato con l’arrivo di
un nuovo cambio con rapporti ravvicinati e di una frizione più morbida. Inoltre
migliora l’abitabilità grazie a pedane più basse di 25 millimetri. Non cambiano
invece l’estetica e le tre versioni Stone, Special e Racer che già contraddistin[sc]
guono la versione attuale. Disponibilità a partire da novembre 2014. 42
| 8 ottobre 2014 |
|
AUMENTANO LUNGHEZZA E ALTEZZA. ASPETTO CURATO
E TANTE POSSIBILITÀ DI PERSONALIZZAZIONE
Nasce Adam Rocks,
city car grintosissima
L
La nuova Moto Guzzi V7
II sarà disponibile
a partire da novembre
a moda dello stile “tuttoterreno” contagia anche la
piccola di casa Opel. Rispetto alla Adam tradizionale, sulla Rocks cambiano le dimensioni, con 4
centimetri di lunghezza in più – anche se il passo resta
invariato (rispettivamente 374,7 e 231 centimetri); come si addice a un’auto che aspira a spingersi un po’ oltre l’asfalto aumenta anche l’altezza di 1,5 centimetri
(ora a 14 centimetri da terra). Sulla Rocks migliorano anche ammortizzatori, molle, geometria delle sospensioni posteriori e sterzo, ma a catturare lo sguardo è il suo
aspetto ben curato e grintosissimo, con i cerchi da 17”
(opzionali da 18”), le slitte paracolpi color argento e le
protezioni plastiche a contrasto con i paraurti.
Spicca tra le novità di serie la capote in tela Swing
Top dalle dimensioni molto generose, che si ripiega elettricamente sui montanti posteriori in 5 secondi e consente di provare il piacere della guida en plein air.
Praticamente infinite, come da tradizione Adam, le possibilità di personalizzazione: per la Rocks si può scegliere infatti tra 17 colori della carrozzeria, 6 del tetto, varie
clips per i cerchi e 22 finiture dell’abitacolo.
L’abitacolo è accogliente e molto ben curato: il volante sportivo e i sedili sono riscaldabili; bagagliaio e
spazio sulla panca posteriore sono invece ridotti ai minimi termini. All’interno spicca poi il sistema di infotainment Opel IntelliLink, compatibile con smartphone
sia Android sia iOS e forte di BlueAGILE NELLO STRETTO tooth, Usb, streaming audio, touchscreen a colori da 7”.
E VELOCE NEI CAMBI
Alla guida la Adam Rocks si
DI DIREZIONE. SI PUò
dimostra agile nello stretto e veGIÀ ORDINARE IN
loce nei cambi di direzione nei
ATTESA DI VEDERLA
tratti più guidati; lo sterzo è
dal vivo. DA 16.400
sempre preciso e diretto. L’assetEURO, AL LANCIO
to è rigido e, nonostante l’altezofferta CON 2 MILA
EURO di sconto
za maggiorata di 1,5 centimetri,
ciò garantisce sempre un’apprezzabile stabilità. Sportiva, dunque, e anche appagante, a
scapito però di un po’ di comfort.
Promossi a pieni voti l’insonorizzazione dell’abitacolo e il motore tre cilindri Ecotec, sempre brillante e
molto lineare nell’erogazione, oltre che parco nei consumi. È una delle novità più attese che la Adam Rocks
porta con sé ed è disponibile negli step da 90 e 115 cavalli – in abbinamento alla trasmissione manuale a 6 rapporti, nuova anch’essa – che va ad affiancarsi ai 4 cilindri 1.2 (da 70) e 1.4 (da 87 e 100 cavalli).
Opel Adam Rocks si può già ordinare, in attesa del
“porte aperte” presso le concessionarie previsto a metà
novembre. I prezzi? Da 16.400 euro, ma per il lancio sarà offerta con uno sconto di 2.000 euro.
Marco Sormani
|
| 8 ottobre 2014 |
43
LETTERE
AL DIRETTORE
È difficile intendersi
in questo tempo italiano
di risse sul baratro
M
i permetto un paio di questioni veloci veloci in
merito ad argomenti recenti. Qualcuno è in grado di spiegare come mai i soldi che non si trovano per rimediare ai soprusi compiuti a danno delle famiglie
– mi passi il termine – “vedove” sono prontamente usciti per
includere la fecondazione eterologa nei trattamenti effettuati a spese del Servizio sanitario nazionale? Due notizie di
questi ultimi giorni: a Venezia una “bomba d’acqua” ha distrutto/danneggiato cataloghi d’arte e libri antichi custoditi,
si fa per dire, presso l’Accademia delle
Belle Arti; a Roma il maestro Riccardo
Muti ha rassegnato le proprie dimissioni dal Teatro dell’Opera. Ma… dimissioni del ministro della Cultura?
Gianni Vigogna via internet
È difficile intendersi in questo tempo mediatico italiano che adora i
capricci dei singoli e alimenta la rissa in comunità quando singoli e comunità sono sul ciglio di un baratro.
2
L’ho intravista discettare di prostituzione alla Gabbia di Paragone. Ma
perché calca certi palcoscenici?
Felice Sottili via internet
Perché la puntata è valsa la pena
anche solo per ascoltare Sgarbi. E
poi ho finalmente capito chi è Antonio Razzi, il senatore imbarcato in
Forza Italia assieme alla liceale per
far perdere voti a Silvio Berlusconi.
2
Mi è parsa emblematica di molte cose l’argomentazione con cui l’Ethikrat, il Consiglio etico della Germania, ha invitato il governo tedesco e
il parlamento a depenalizzare le relazioni consensuali tra sorelle e fratelli maggiorenni, ovvero l’incesto. Le
riporto qualche passaggio dell’articolo scritto da Andrea Tarquini per Repubblica, che mi sembra sintetizzare efficacemente il modo di ragionare
dei giuristi tedeschi, a tratti metten-
dosi letteralmente nei loro panni. «Se
c’è libero consenso e amore, il rapporto non può essere vietato e punito penalmente», riporta Tarquini. «E per
quanto riguarda i rischi che l’eventuale prole nasca o cresca colpita da gravi malattie o ad altissimo rischio di difetti genetici e malformazioni, (…) il
tema può essere affrontato in colloqui chiari in consultori con le coppie
incestuose, non da poliziotti che bussano all’alba. (…) Non vogliamo sottodi Fred Perri
AGASSI E LAUDA, GENTE COME NOI
P
er una prolusione che devo tenere (è inutile che fa-
te quel sorrisetto, bastardi, sono molto ricercato) ho ripreso in mano l’autobiografia di Andre
Agassi. Mi ha sconvolto nuovamente come la prima
volta che l’ho letta, anche perché mi ricordo bene di
certe sue esibizioni, di certe sue manifestazioni esteriori e di quello che si scriveva di lui.
44
| 8 ottobre 2014 |
|
Come forse sapete o forse no, Agassi comincia il libro affermando «io odio il tennis». Per uno che l’ha giocato per 29 anni, che ha vinto tutto ed è stato anche numero uno del mondo, è un’affermazione sconvolgente.
Ai pochi, durante la sua carriera, che gli hanno posto
la fatidica domanda: perché giochi, allora?; il tennista
di Las Vegas ha sempre risposto: perché non so fare al-
Foto: Ansa
Il lato oscuro del campione
che i giornali non esplorano mai
[email protected]
valutare i rischi per la prole, dicono,
ma la libertà d’innamorarsi e anche
quella di procreare devono essere valori costitutivi, non oggetto di politiche in cui lo Stato spinge la difesa
della salute dei cittadini fino a una eugenetica punitiva, qui di triste memoria. (…) In Francia e in Spagna, sottolineano i giuristi, l’incesto non è reato.
Dove lo è, accadono drammi [il riferimento è al triste epilogo del caso –
assai celebre in Germania – di Patrick
e Susan, due fratelli “a loro insaputa”
che hanno finito per mettersi insieme e dare alla luce quattro figli, di cui
due gravemente malati, per poi andare incontro lui al carcere e lei alla perdita della potestà sulla prole]. Certo,
i figli di coppie incestuose, per i geni
in comune, rischiano malattie tre volte più degli altri. Ma oggi, obietta chi
vuole depenalizzare, perfino la medicina moderna, con la donazione di sperma e le madri in affitto, accresce il
rischio di geni in comune di figli di genitori ignari». Ecco, a parte quest’ultima notazione abbastanza inquietante
sui (trascurabili?) effetti collaterali di
eterologa e utero in affitto, altre belle “conquiste civili” ottenute sempre
in virtù del libero consenso e del #LoveIsLove, ormai è evidente che siamo arrivati al dunque: con la nostra
logica di sentimenti e diritti totalmente astratti dalla realtà abbiamo
dimostrato che l’amore può giustificare tutto… e perché, dopo l’incesto,
la pedofilia no? Tra l’altro la disputa è doppiamente emblematica, non
solo per il merito, ma anche per la rilevanza sociale: in effetti, per quanto terribili possano essere i «drammi»
creati dall’attuale legislazione, perché
IL RAPPORTO DI UNA MISTICA CON LA CARNE DI CRISTO
Quando proibirono a santa Caterina
di ricevere l’amatissima comunione
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
L’
esperienza dei mistici può aiutare me e tanti altri che mistici non sono. Santa Caterina da Siena desiderava così fortemente di ricevere la santa comunione
che un giorno l’ostia consacrata volò da lei che stava nel fondo della chiesa.
Un’altra volta un episodio simile si colorò di aspetti pratici che si rivelarono buffi. Caterina desiderava ricevere la comunione e si recò nella vicina chiesa di San Domenico
dove il frate Raimondo da Capua, suo confessore, avrebbe celebrato la Messa. Era però tardi e, siccome Caterina cadeva in estasi dopo aver ricevuto il Signore sacramentato, le proibirono di comunicarsi perché la chiesa doveva chiudere e non sapevano
come fare con una in quello stato. (Anche san Giuseppe da Copertino andava in estasi quando andava nel coro e s’innalzava in volo, tanto che gli proibirono di scendere
nel coro con gli altri. Quando si dice che i santi danno fastidio…). Caterina pazientemente accettò di non ricevere la comunione. Ma mentre fra’ Raimondo concludeva
il rito si accorse che una parte dell’ostia consacrata, che aveva frazionato, non c’era
più. Pensando che fosse caduta, la cercò in ogni modo e disse al sacrestano di non toccare nulla perché doveva recarsi momentaneamente dalla Santa e al ritorno l’avrebbe ancora cercata. Caterina gli parlò e alla fine del colloquio aggiunse, con un sorriso,
di non angosciarsi per quella frazione di ostia che non trovava. Fra’ Raimondo capì. E
anch’io ho capito meglio come mi devo accostare al più bel dono di Dio.
mettere in piedi tutto questo casino
quando per le relazioni incestuose, informa sempre Repubblica, «statisticamente in Germania le condanne sono al massimo dodici l’anno»? Suona
tanto come l’utile occasione idiota per
far passare una certa chiara idea.
Paco Minelli Ferrara
Riguardo all’articolo su Rosmini nell’ultimo Tempi: la persona che egli incontrò fu davvero Matilde di Canossa?
Marina Maffei via internet
Ce n’è una nuova ogni giorno, come
scrive il nostro Adinolfi. Non si vede l’uscita e forse non c’è. O forse
Lapsus. Di Canossa, il beato Antonio
incontrò Maddalena (1774-1835) e
non Matilde (1046-1115), of course.
morire, dormire, sognare forse… C’è
chi dice e c’è chi risponde a Lenin.
2
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
tro. Mi è venuta in mente una frase di Niki Lauda sulla
Formula 1: «Io non faccio il pilota per passione, lo faccio per i soldi. Se trovassi un altro modo meno pericoloso di guadagnare, cambierei domani».
È il lato oscuro del campione, quello che noi non
conosciamo ma pretendiamo di giudicare. In questi
racconti, ahinoi, i giornalisti non fanno mai una bella
figura. Il fatto è che ci fermiamo sempre alla superficie, senza scendere in profondità. Dall’altra parte della linea c’è gente come noi, ragazzi che avrebbero voluto venire al cinema o a lumare le pupe il sabato sera
e un padre-padrone ha costretto a seguire una strada
che, spesso, hanno odiato con tutto il cuore.
|
| 8 ottobre 2014 |
45
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Mosul. I terroristi
marchiano le case dei
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(Nazarat). Per loro, niente
razioni di cibo e acqua
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La fecondazione eterologa e la
necessità di un rinnovato
impegno perché la persona non
sia ridotta a “cosa”
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LETTERE DALLA
FINE DEL MONDO
COMPAGNI E AMICI DI UNA VITA
Il ricordo di padre Alberto
«Uomo umile, semplice,
quindi intelligente»
|
DI aldo trento
S
dalla morte di padre Alberto, il sacerdote che per dieci anni mi
ha fatto compagnia in Paraguay. E sono passati già 25 anni da quando il 7 settembre
1989, insieme a lui, sono partito da Milano con il solo biglietto di andata. È stato don
Giussani a mandarmi in questo paese tropicale così diverso dal mio. E per mostrarmi tutto il
suo affetto volle accompagnarmi all’aeroporto di Linate. Fu lì che mi consegnò a padre Alberto
dicendogli: «Fagli compagnia». Da quel momento è stato per me un fratello, un amico e una guida senza la quale mi sarei perso nella disperazione della depressione. Riporto di seguito l’omelia
che ho pronunciato a Forlì il giorno del suo funerale.
ono passati alcuni mesi
Caro Alberto, ricordo quando camminando nel parco dell’Iguazù ci siamo detti: il primo che sopravvive fra i due, avrà il compito di seppellire l’altro. E così eccomi qui, venuto dal Paraguay per
rendere omaggio a questa promessa. È toccato a padre Alberto ritornare al Padre, anche se pensavo il contrario. Cosa ricordare di lui, della nostra amicizia se non alcuni fatti che documentano che solo vivendo per Gesù la vita è bella! E la nostra vita è stata bella perché eravamo coscienti di appartenere a Cristo. Don Giussani era certo che Alberto sarebbe stato in grado di sollevarmi
da una situazione difficile. Debbo riconoscere che, dentro a tutte le difficoltà, ha saputo accompagnarmi come un padre fa col proprio figlio.
Quest’amicizia da subito è stata sacramentapiù evidente della verità della
DON GIUSSANI MI AFFIDò A LUI.
le e questa coscienza ci riconduceva alla verità
nostra amicizia emerse doMI È STATO ACCANTO NEI MOMENTI po una litigata provocata da
di noi. Quando ci arrabbiavamo c’era un solo
punto da cui ripartire: la confessione reciprouna mia domanda: «Chi dice
PIù DIFFICILI. LA CONFESSIONE
ca. Lo facevamo ogni lunedì mattina. E la peniche mi stai accompagnando
RECIPROCA CI HA LEGATI E CI HA
tenza era la recita del Salmo 125, dove pianto
secondo i criteri di don Giuse canto sono in perfetta simbiosi. Nei primi 10
sani e non secondo i tuoi? AlFATTO AMARE DI PIù CRISTO
anni di vita insieme abbiamo sofferto molte viberto, se non vai a Milano e
cissitudini, ma con la grazia di Dio nulla ha ponon verifichi con lui il nostro convivere, è menel clima tropicale in cui vivevamo. Mi ricordo
tuto schiacciarci.
glio che ognuno se ne vada per conto proprio».
che quando la temperatura raggiungeva i 40°
Alberto era l’economo, il capo della casa, e lo
Due giorni dopo era sull’aereo per Milano. Torandavamo a recitare il rosario nell’aeroporto di
faceva bene, anche se da buon romagnolo era
nato mi disse: «Giussani ha detto di dirti che
Assunción, dove c’era l’aria condizionata.
tirchio. Per lunghi anni ho vissuto di ciò che mi
devi avere fiducia nella nostra amicizia e che
Come venticinque anni prima
insegnava. Abbiamo girato tutte le parti meriil metodo è quello giusto». Don Giussani me lo
Quanta pazienza ha avuto nel sostenermi, dedionali del Paraguay: io guidavo, Alberto legripeteva sempre: «Alberto è un uomo umile,
presso com’ero. Usava il metodo più sano ed
geva ad alta voce un libro dopo l’altro, o diceva
semplice, per cui intelligente». Che bello l’ultiefficace che ci sia: l’affetto e il bastone. Il bail santo rosario; lo stesso rosario che in questi
mo gesto vissuto insieme: dieci giorni prima di
stone in particolare per evitare che mi automesi in cui siamo tornati a vivere insieme era
partire per l’Italia, ci siamo confessati seguencommiserassi e questo mi faceva inviperire
ancora più frequentemente nelle sue mani. La
do il criterio che ci eravamo dati 25 anni priperché mi rendevo conto che non c’erano allibertà era il contenuto della nostra convivenma. Caro Alberto, chiedo una cosa per i nostri
ternative a quest’obbedienza. A causa delza. Durante il giorno quest’amicizia era come
amici: che sperimentino che un’amicizia è vela mia malattia dipendevo da lui, nonostante
una calamita che faceva sì che c’incontrassira sola quando nasce dalla confessione. È da lì
avesse otto anni in meno di me. Per non perdemo con frequenza. Per molti anni anni ci hanno
che nasce la passione per Cristo. È un cammire ciò che amavo, non potevo non obbedire a
fatto compagnia le Marlboro: due pacchetti al
no lungo, noi lo stavamo percorrendo.
[email protected]
lui che mi indicava il cammino. La circostanza
giorno. Rosario e Marlboro erano un bel duetto
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| 8 ottobre 2014 |
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taz&bao
«La nostra coppia la giudico completamente
trasgressiva: 50 anni di differenza, se non
è trasgressivo questo!»
«Appoggio la battaglia a favore dei diritti civili,
che non è personale, ma è una battaglia di civiltà,
da prima del fidanzamento con Berlusconi. La
sento mia da tantissimi anni, dai tempi del liceo»
«Dudù non lo porto sennò vuole mettersi il boa di
struzzo e non è il caso. Secondo me sì, è un po’ gay»
Francesca Pascale ospite a “Il geco e la farfalla”,
Radio Capital, 26 settembre 2014
«Sono qui perché mi sento parte
di questa famiglia. Ma sono venuta
tante volte qui e solo oggi in qualità
di ospite d’onore. L’Italia
deve smettere di essere
un paese bigotto»
«Sono qui perché so che se
un giorno volessi diventare
gay vorrei poterlo fare
liberamente. Io mi riconosco
come eterosessuale e,
soprattutto, innamorata.
Ma mi vergogno, a volte,
del modo in cui gli
eterosessuali discriminano
gli omosessuali»
«Io in ogni caso sono a favore
dei matrimoni gay, delle adozioni
e delle coppie omosessuali: l’amore
non deve avere barriere. Mi auguro che
questo possa diventare un paese libero e
democratico senza cittadini di serie A e di serie B»
La lic e
Francesca Pascale alla serata conclusiva del Gay Village a Roma,
27 settembre 2014, Il Messaggero
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| Francesca Pascale con Vladimir Luxuria durante la serata di chiusura del Gay Village a Roma, 27 settembre 2014; (Foto: Ansa)
c eale
l’ascia
nel cuore
Foto: AP/LaPresse
N
2012 il generale Mario
Mori partecipò a un incontro organizzato da Tempi, “Aspettando
giustizia”. E la giustizia arrivò nel luglio
2013 quando la IV sezione penale del tribunale di Palermo assolse lui e il colonnello Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia, per aver
impedito la cattura del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano a Mezzojuso
nel 1995. Con quell’assoluzione si concluse un processo durato cinque anni e cento udienze, la maggior parte delle quali
Mori visse in aula. Da “servitore dello Stato”, quale si è sempre definito, l’ex capo
dei nostri servizi segreti ha sempre sentito come proprio dovere essere presente in tribunale. Rare, invece, sono state
le sue apparizioni in tv e sui giornali. In
quei cinque anni non ha fatto il giro delle sette chiese dei talk show politici, ha
centellinato le sue interviste, ha evitato le
apparizioni in pubblico. Quando lo fece
– come nel caso dell’incontro di Tempi –
intervenne sempre in modo pacato, poggiando le sue parole su dati di fatto, non
su “ricostruzioni”. Fu in quella occasione
che, con amara ironia, Mori disse: «Io ho
fatto tanti errori nella mia vita, ma quello più grande l’ho commesso quando un
giorno i militari da me diretti hanno arrestato Totò Riina. E questo non mi è mai
stato perdonato perché è dal 1994 che io
sono sotto processo, mediatico e giudiziario. Scatenando l’ira dei miei avvocati ho
rifiutato la prescrizione perché io non mi
voglio difendere dal processo, ma nel processo e come uomo delle istituzioni non
voglio rifiutare questa giustizia, anche se
a volte è malagiustizia».
Ora l’ex capo del Sisde dovrà ricominciare ad “aspettare giustizia”. Il procuratore generale di Palermo, Roberto
Scarpinato, ha chiesto di riaprire la fase dibattimentale avendo raccolto nuovi
elementi probatori a carico degli ex alti
ufficiali. La nuova suggestione riguarda
il cosiddetto “protocollo farfalla”, un accordo segreto stipulato nel 2003-04 tra gli
uomini dei servizi segreti e il Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) per gestire le informazioni rilasciate
dai mafiosi detenuti in regime di 41 bis.
In cambio di queste, fa intendere la procura, sarebbero stati fatti favori e rilasciate somme di denaro ai padrini.
Da parte sua, il generale non ha commentato la nuova mossa della procura,
mantenendo lo stile che fino ad ora ha
contraddistinto la sua condotta procesel settembre
le nuove accuse al generale mori
«Il più grande errore
della mia vita è stato
catturare Totò Riina»
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DI EMANUELE BOFFI
Il pg di Palermo Roberto Scarpinato
ha chiesto di riaprire il processo a Mario
Mori, ex capo del Sisde, per il mancato
arresto del boss Bernardo Provenzano.
Tra le nuove prove presentate anche
il cosiddetto “protocollo farfalla”
suale: «Ho grande rispetto per lo Stato e
le sue istituzioni – ha detto –. A differenza di altri non voglio dare spettacolo, mi
difenderò nelle aule di tribunale».
Si vedrà. E si vedrà quanto ancora dovrà aspettare il generale per “avere giustizia”. Intanto, però, ha ricominciato a
suonare la banda che conosciamo e così
il nuovo papello, il “protocollo farfalla”, è
diventato il centro gravitazionale attorno
cui far ruotare tutti i misteri italiani. Ovviamente c’entrano i servizi segreti deviati, la massoneria, la P2, la trattativa Stato-Mafia, le stragi del ’92-’93 e scusateci
se abbiamo dimenticato qualcosa. Secondo Scarpinato, Mori avrebbe «sistematica-
mente disatteso» i suoi «doveri istituzionali» e cioè di informare la magistratura
delle sue mosse. È proprio il motivo che
disse Mori nell’incontro di Tempi e che
qui volgarizziamo: poiché ho arrestato io
Riina e non loro, ora me la fanno pagare. E aggiungiamo: forse il generale aveva anche le sue buone ragioni per portare
avanti certe iniziative all’oscuro di tutti.
Non era forse il capo dei servizi “segreti”?
Non era stata forse una fuga di notizie a
impedirgli la cattura del superlatitante
Matteo Messina Denaro?
Ma c’è ancora qualcosa da aggiungere. In aula, Scarpinato ha ripercorso la
carriera di Mori a partire dagli anni Settanta. Dico: dagli anni Settanta. Come
hanno detto i legali di Mori dopo la richiesta del pg: «È un tentativo di rivisitare la storia d’Italia». L’ennesimo tentativo
che, in nome della “trasparenza” («fare luce», dicono) vorrebbe che i servizi e il segreto di Stato, semplicemente, non siano
più tali, ma sottoposti al «controllo di legalità» da parte di un giudice: l’unico, l’illuminato, a sapere cosa andava fatto in
quella determinata situazione. E così, intorno alla “rivisitazione” della storia italiana germogliano copiosi conti in banca,
carriere politiche, giudiziarie e persino
cinematografiche di chi si proclama aedo e unico cantore di quella “riscrittura”.
Ma bisogna sempre ricordare che il
metodo più astuto per occultare qualcosa
non è nasconderlo. Ma è lasciarlo sotto gli
occhi di tutti, inondando la scena di una
luce accecante.
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