anno 20 | numero 40 | 8 OTTOBRE 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi amicone Sentinelle «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata» (San Giovanni Paolo II, Washington, 1979) 4 ottobre in piazza San Pietro per l’apertura del Sinodo 5 ottobre appuntamento in cento piazze d’Italia EDITORIALE COSÌ I VESCOVI RINGRAZIANO MAMME E PAPÀ Una sfida con la fionda di Davide alla cultura dell’omologazione N on è con le lenti della politica di Bisanzio che si può leggere il comuni- cato dei vescovi (Cei) che prepara i lavori del Sinodo e dice cose che dovrebbero essere apprezzate e agite da tutti. Perciò, rileggiamolo nei passaggi salienti, prendiamo nota e ringraziamo a nome degli italiani. «(…) Parliamo, innanzitutto, per esprimere gratitudine a quanti quotidianamente – e spesso in mezzo a sfide e difficoltà indicibili – testimoniano la libertà e la dignità che scaturiscono da quell’intima comunità di vita e d’amore che è il matrimonio. (…) Grazie per l’investimento educativo con cui mamme e papà sfidano, con la fionda di Davide, una cultura che produce a buon mercato banalità e omologazione, appartenenza debole e disaffezione al bene comune. Grazie per la dignità e la pazienza ostinata con cui affrontano la grave e perdurante crisi: quanti genitori resistono in prima fila, provati dalla mancanza di lavoro, dal problema della casa, dai costi legati alle proprie scelte educative. La famiglia si conferma il presidio della tenuta non solo affettiva ed emotiva delle persone, ma anche di quella sociale IL COMUNICATO DELLA CEI CHE PREPARA AI LAVORI DEL SINODO ed economica. DICE COSE CHE DOVREBBERO La stima e la riconoscenza per la famiESSERE APPREZZATE E AGITE DA glia ci impongono di fare anche un passo TUTTI. PERCIÒ PRENDIAMO NOTA successivo. Ci portano a riaffermare con Papa Francesco che “questo primo e principale costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo merita di essere fattivamente sostenuto”. Non lo fa chi, al di là delle promesse, si rivela sordo sia nel promuovere interventi fiscali di sostegno alla famiglia sia nel realizzare una politica globale di armonizzazione tra le esigenze del lavoro e quelle della vita familiare (…). E non lo fa neppure chi non esita a dare via preferenziale a richieste come il riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto o, addirittura, l’accesso al matrimonio per coppie formate da persone dello stesso sesso. Del resto, che aspettarsi per la famiglia se la preoccupazione principale rimane quella di abbreviare il più possibile i tempi del divorzio, enfatizzando così una concezione privatistica del matrimonio? Quanti sono in buona fede sanno che la nostra posizione parte dalla conoscenza della complessità di questo tempo e non se ne scandalizza. Soprattutto, non chiude la porta ad alcuno: lo stile e la prassi di cordiale e totale accoglienza espressa dalle nostre parrocchie, ne è la prova più immediata. Questa disponibilità di fondo ci spinge ad alzare la voce a tutela e promozione della famiglia e a rilanciare la disponibilità a spenderci con tutte le nostre forze a servizio del nostro popolo. Sappiamo di non essere soli in questo cammino, ma di incrociare l’intelligenza e la generosa volontà di quanti – pur partendo a volte da presupposti culturali diversi – avvertono il peso della posta in gioco. Insieme condividiamo la convinzione che alla stabilità della famiglia è legata la stessa qualità della condizione umana: per questo non ci stanchiamo di impegnarci contro ogni attentato alla vita, alla libertà educativa, al diritto all’istruzione e al lavoro, autentiche condizioni di giustizia e di pace». MINUTI Quell’indicibile fiato di cenere Questo mercoledì di settembre è ciò che tutti definirebbero una bellissima giornata. Tiepida, le chiome degli alberi che docilmente sbiadiscono al sole. Sole un po’ pallido, a dir la verità, in un cielo velato. Ma, nei giardini, le rose fioriscono ancora. Io però non riesco a distogliere lo sguardo dagli alberi: ancora carichi di foglie, ma spente, come se la linfa, nelle loro vene, avesse smesso di scorrere. Non c’è un alito di vento, e solo a tratti una foglia solitaria cade a terra, con un impercettibile fruscio. Le altre se ne restano lassù, sui rami, a guardarla – vive ancora, ma illividite ormai. Non so perché io sia fatta così male, e avverta in questa bella giornata un fiato di cenere. Preferisco, piuttosto, un’ alba di gennaio: buia, con il ghiaccio che scricchiola per terra, e il freddo che morde le mani e taglia le labbra. La preferisco, perché lì la morte è ormai compiuta – e non c’è niente che ancora possa morire. Mentre sotto alla terra brinata i semi stanno serrati in sé, e quasi pronti a germogliare. Mi guardo intorno per strada, cercando nelle facce dei passanti la mia stessa malinconia. Ma sembrano tutti indifferenti, come probabilmente, del resto, lo sembro io. Ci diciamo anzi, fra conoscenti: che splendida giornata. Ci sono cose di cui, per convenzione, non si parla. Come l’impallidire e l’accartocciarsi delle foglie, a settembre, e il nostro calpestarle – come se non ci sussurrassero niente. Marina Corradi | | 8 ottobre 2014 | 3 SOMMARIO 08 PRIMALINEA VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO | TEGGI NUMERO anno 20 | numero 40 | 8 ottoBre 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone 40 Sentinelle «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata» (San Giovanni Paolo II, Washington, 1979) 4 ottobre in piazza San Pietro per l’apertura del Sinodo 5 ottobre appuntamento in cento piazze d’Italia 4 ottobre in piazza San Pietro per l’apertura del Sinodo; 5 ottobre appuntamento in cento piazze d’Italia LA SETTIMANA 22 ESTERI IL DOPPIO GIOCO DI ERDOGAN | CASADEI Minuti Marina Corradi............................3 Foglietto Alfredo Mantovano...........7 Boris Godunov Renato Farina............................ 15 Declino e caduta Antonio Gurrado................ 35 Mamma Oca Annalena Valenti................41 Sport über alles Fred Perri.......................................... 44 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano..................45 16 INTERNI EDUCAZIONE IN CLASSI STRANIERE | BORSELLI Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento................................... 47 L’ascia nel cuore Emanuele Boffi......................50 RUBRICHE 28 SOCIETÀ LE SENTINELLE IN PIEDI | PECE, ADINOLFI 36 CULTURA IL TEATRO DONIZETTI DI BERGAMO Stili di vita.......................................... 40 Motorpedia........................................42 Lettere al direttore.......... 44 Taz&Bao................................................48 Foto: Corbis, Sentinelle in piedi Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 – N. 40 dal 2 all’8 ottobre 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto Sentinelle in piedi PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori 15 – 37131 Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. 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Nel romanzo di John le Carré La spia che venne dal freddo questa massima è attribuita a Stalin: pur se probabilmente costui non l’ha mai pronunciata, rende l’idea del legame diretto fra cinismo, indifferenza e incremento delle tragedie. Come quelle che si reiterano nel Mediterraneo, in modo ravvicinato e pesante, con un rapporto inverso fra quantità di morti e rilievo mediatico. Non ripeto quel che è conclamato dai fatti: i numeri mostrano che, contro le intenzioni, sotto Mare nostrum si è registrato – e si registra – il maggior numero di vittime mai censite fra le coste libiche e il Canale di Sicilia: la distanza inferiore da coprire e l’affidamento sulle navi italiane hanno indotto gli scafisti a far salire sempre più migranti su imbarcazioni precarie, pronte a rovesciarsi alla prima difficoltà di attraversamento. Il rispetto per i vivi e per i morti impone di archiviare l’idea, annunciata da un suo ministro, che Frontex plus sostituisca Mare nostrum. Frontex è l’agenzia europea di controllo delle frontiere, il cui compito è ostacolare il superamento dei confini, inclusi quelle marini: come può mettersi al posto di una operazione che ha invece per obiettivo il soccorso in mare? Merita pure l’oblio la furbizia praticata per qualche mese in Italia di non identificare schiere di migranti per consentire il loro esodo oltre i confini nazionali (con l’effetto di qualche decina di migliaia di stranieri che ora circolano da ignoti in Italia e in Europa): le proteste della Commissione europea e di qualche Stato hanno fatto riprendere le identificazioni. Il programma Mare nostrum è cominciato a ottobre 2013 e ha salvato molte vite umane Speravamo che la sua presidenza di turno dell’Unione Europea lasciasse qualche segno su un fronte così delicato per noi, per l’Europa, e per la vita di centinaia di migliaia di persone in fuga da guerre, persecuzioni e schiavitù. Perché non qualifica il paio di mesi utili che ha ancora a disposizione? Non coglierà lei da presidente i risultati che forse sarebbero giunti se l’immigrazione fosse stata una priorità fin dall’1 luglio, ma l’impostazione del lavoro non sarà inutile. Un’agenda da seguire Conosce meglio di altri quel che va fatto: A) avvii la modifica della Convenzione di Dublino. Essa obbliga a trattenere nello Stato di approdo chiunque lo raggiunga, anche se ha parenti o conoscenti altrove; e quindi, a curarlo, mantenerlo e ospitarlo fino alla definizione della domanda di asilo, senza che possa andare altro- ve. La realtà è oggi radicalmente diversa dal momento in cui quella Convenzione fu firmata: non sarebbe uno scandalo se, previa rinegoziazione, le norme si adeguassero al cambiamento; B) solleciti una ridefinizione del bilancio Ue. Il sistema di accoglienza e di integrazione dei rifugiati non si mantiene più in piedi con le risorse finanziarie attualmente destinate; C) affronti la questione libica con la stessa determinazione che mostra in altri contesti. La Ue ha il dovere di radicare una propria presenza in sicurezza sul territorio libico per verificare lì chi ha titolo alla protezione umanitaria, e per condurlo quindi in Europa senza che si affidi agli scafisti (rispedendo indietro chi invece viene accertato essere un criminale). Può parere una follia con le condizioni della Libia di oggi, ma è una follia meno folle dell’aver fatto esplodere nel 2011 il precario equilibrio di quell’area. Ed è paradossale che oggi la Francia annunci iniziative sul territorio libico, quando ha promosso ciò che ha portato al disastro attuale. Non solo in virtù della presidenza di turno, l’Italia ha titolo per avanzare proposte e per provare a tradurle in concreto. In campi differenti, illustre presidente, sarebbe ingenuo meravigliarci della elevata quantità di annunci e della limitata quantità di risultati. Su questo versante la propaganda non vale: le illusioni e l’indifferenza si rivelano mortali. Con l’augurio di ottimo lavoro. | | 8 ottobre 2014 | 7 Una ragazza giovanissima strappata alla vita in modo tremendo e clamoroso. Le cronache, le speculazioni, il dolore. Ma nelle parole dei genitori e degli amici prevale la certezza che «qualcosa stava accadendo» in lei. E che ora tocca a chi resta portarla a compimento | DI ANNALISA TEGGI Alessandra Anche in un tramonto può esserci un 8 | 8 ottobre 2014 | | VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO i un inizio | | 8 ottobre 2014 | 9 «I l nostro famoso motto di famiglia era: sorridere, salutare, ringraziare», esordisce mamma Paola con voce pacata, da cui trapela una forza buona e tenace. Una cordialità ospitale contraddistingue i volti e i modi della famiglia Pelizzi, anche ora che, di fronte a me, parlano di una figlia che hanno perso. Ascoltandoli, il pensiero va a quella frase del Vangelo sul seme che, caduto a terra, morendo dà frutto. Che questa provocazione possa farsi esperienza concreta, pare impossibile; eppure, se il riverbero di un mistero simile accade vicino a noi, sappiamo accorgercene? O ci limitiamo, piuttosto, a fissare il punto dove il seme è caduto? Per qualche giorno, le luci dei riflettori della 10 | 8 ottobre 2014 | | cronaca si sono fissate sul tragico evento che ha coinvolto Alessandra Pelizzi, e lei è diventata semplicemente quella giovane 19enne buttata giù dall’ottavo piano dall’ex-fidanzato Pietro la notte tra il 15 e 16 settembre a Milano. Si sono usate le solite etichette facili (femminicidio, omicidio-suicidio) che fanno presa, ma non abbracciano nulla; poi, passato il clamore, si è girata in fretta pagina. Anche in questo caso, è parso che il compito della cronaca fosse solo quello di guardare giù, nel punto più basso della parabola del seme caduto. Ma lo sguardo di Alessandra non era abituato a fissarsi in basso, semmai lei guardava in alto e attorno, come è tipico di una giovane ragazza appena diplomatasi al liceo e pronta per l’università. Scegliere, ora, di raccontare un po’ di cosa c’era dietro e dentro quegli occhi «ridenti e fuggitivi», ha lo stesso senso per cui Leopardi parlò di Silvia alla sua morte: non ne fece un monumento di edulcorata venerazione, ma documentò cos’è il fiorire di una presenza umana nella sua cornice di mondo. «Suonavan le quiete stanze», dice il poeta, perché ogni semplice presenza umana è un canto tra quattro mura, è una coscienza che si esprime e bussa in cerca di senso. Per questo ogni voce è sempre e in ogni caso un miracolo, che merita ascolto. Negli ultimi mesi, anche Alessandra stava facendo i conti con questo, e in particolare con la voce di chi aveva trovato un senso buono dentro la drammaticità dell’esistenza. Alla maturità aveva portato una tesina su Frida Kahlo intitolata Viva la vida e le amiche raccontano con VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO PRIMALINEA Nella notte tra il 15 e il 16 settembre Alessandra Pelizzi (a sinistra nella foto), 19 anni, ha perso la vita precipitando dall’ottavo piano di un condominio in zona Affori, Milano. Sarebbe stato il suo ex fidanzato Pietro Maxymilian Di Paola, 20 anni, morto a sua volta nella medesima circostanza, a trascinarla con sé nel vuoto, dopo aver lasciato una lettera in cui spiega le ragioni del suo gesto COME IL PERSONAGGIO DI UN ROMANZO DI WENDELL BERRY, ALESSANDRA PELIZZI HA FATTO GIOIOSAMENTE DEL SUO PICCOLO SPAZIO DI VITA «UN’AMPIEZZA SENZA EGUALI» ricchezza incommensurabile”. È così che la vogliamo ricordare, come una ragazza che amava la vita senza però ignorare che la vita può anche significare dolore. Dolore che noi, nel suo ricordo, affronteremo e lotteremo per trasformarlo in amore». quanto entusiasmo le invitasse a leggere – ma era quasi un caloroso obbligo – quel libro che lei aveva riempito di segni e “orecchie”, Un uomo di Oriana Fallaci. Queste figure femminili, che altri userebbero per teorizzare di femminismo e politica, a lei interessavano come nutrimento umano, come indagine sincera di chi, avendo conosciuto la sofferenza, dimostrava una presa salda e vigorosa sulla vita. Anche solo questo ricordo di ciò che aveva catturato il suo interesse negli ultimi mesi, lascia a chi resta un compito audace da adempiere e non solo il bruciore straziante della ferita. Papà Carlo, alla veglia funebre, ha detto: «Nella tesina Alessandra scrive: “La pittrice ha dimostrato che la vita ha valore di per sé e che le gioie e i momenti di felicità sono di una «Stava cominciando ad aprirsi» E proprio le parole, che papà Carlo sceglie con cura nel raccontarmi di sua figlia, lasciano intendere una memoria che non vuole solo chiudere e sigillare un passato. Infatti, non posso fare a meno di notare che, mentre mi parla, il signor Carlo usa in gran parte verbi che parlano di inizio: «Qualcosa stava accadendo», «era in corso un grande cambiamento», «stava cominciando ad aprirsi». È la voce di un genitore che si sente lì, presente eppure non in primo piano, ad assistere al passo sicuro di una ragazza che cominciava a inoltrarsi oltre il recinto di famiglia. Carlo racconta, ad esempio, che Alessandra aveva recentemente «scoperto» il tramonto. Dopo aver trascorso bellissime vacanze coi genitori in Florida e alle Hawaii, lì dove si dice che ci siano i tramonti più belli al mondo, poco tempo fa Alessandra aveva riempito il cellulare con migliaia di foto scattate a un tramonto vicino a casa, visto per sbaglio insieme agli amici una sera in cui avevano perso l’autobus. È un segno in cui un genitore vede riflesso un gratificante riscontro del compito educativo svolto: tu accompagni i figli a scoprire le cose, magari facendo salti mortali o il giro del mondo, perché poi loro sappiano godere e meravigliarsi del bello che c’è a un metro da casa. Anche in un tramonto può esserci un inizio; l’inizio di un’ipotesi nuova di vita, in cui gli amici e la voglia di scegliere in prima persona cominciano a riempire quell’orizzonte che c’è oltre la porta di casa. Su questo tratto di strada stava camminando Alessandra, che a scuola era abituata ad aggredire il foglio bianco su cui scriveva, eppure dovendo preparare una lettera di autopresentazione per l’università, aveva buttato nel cestino mille tentativi non riusciti. Crescere è così, è l’entusiasmo di buttarsi verso la vita, la si aggredisce nel senso etimologico di ad-gredior, di incamminarsi verso; contemporaneamente, quel che c’è da dire su di sé è così traboccante, ma anche indistinto, che trovare le parole è difficile. A ciascuno il suo regalo La trama di qualsiasi racconto, giunta a questo punto, si svilupperebbe con un crescendo di prospettive, occasioni, intrecci; invece la realtà, con quel suo modo terribilmente enigmatico eppure mai insensato, ci porta sul sentiero meno battuto, a scontrarci con l’evidenza di un tramonto repentino giunto proprio quando «qualcosa stava accadendo». Ora tocca a chi resta, e perciò anche a noi, stare di fronte a questo tramonto (e alle molte specie di inaspettati e indesiderati tramonti che ciascuno conosce) per scoprirlo; cioè per scoprire se davvero anche in un tramonto possa esserci un inizio; se lì, dove un seme cade, sboccia un frutto. Ascoltando i racconti e ricordi delle amiche e dei genitori di Alessandra, mi è tornata alla mente le veloce pennellata di parole con cui lo scrittore americano Wendell Berry descrive una figura femminile di un suo romanzo: «Il giardino di casa era il suo lavoro. Lei faceva di quel piccolo spazio un’ampiezza che non aveva eguali in paese». Non c’è dubbio che | | 8 ottobre 2014 | 11 PRIMALINEA VI ASPETTO TUTTI IN PARADISO Alessandra fosse gioiosamente premurosa nel trattare il proprio spazio di vita come un giardino. Alessia mi racconta di come trovasse sempre sul tavolo di casa Pelizzi del buon prosciutto crudo, quando andava da loro: Alessandra, infatti, sapeva che quello era il cibo preferito dall’amica e non glielo faceva mai mancare. Addirittura si scusò la volta in cui si accorse che in frigo ne aveva solo una confezione già aperta. Non era una pura formalità, ma una sincera dedizione agli altri. Don Damiano, suo insegnante al liceo classico dei salesiani, è rimasto colpito di aver ricevuto come regalo di fine anno proprio il libro di un autore che aveva citato una sola volta in classe. Nonostante la maturità da preparare, Alessandra sandra non ha lasciato niente in sospeso. Per quanto misterioso possa sembrare a chi resta, una vita di anche soli 19 anni si è compiuta. Il suo tramonto raccoglie un’orbita di esperienze, preferenze e scelte vissute, che non resta inerte tra le mani di chi è ancora qua. Se c’è un inizio possibile da scoprire anche dentro la ferita di un tramonto, lo intravedo nelle parole con cui Sofia mi racconta un episodio come tanti dei pomeriggi vissuti tra amiche. La moda del selfie è dilagante e lascia quasi intendere che sia facile guardarsi e mostrarsi agli altri. Nulla di strano, dunque, se quattro amiche avevano l’abitudine di alleviare la pesantezza dello studio pomeridiano mandandosi a vicenda dei selfie con facce buffe. Alessan- ha vissuto la premura con cui è bello dedicarsi agli amici, e stava scoprendo che in questo rapporto aperto con gli altri Si metteVA a fuoco anche la sua persona si era presa l’incarico di pensare ai regali da fare ai professori e, benché ci fosse chi le aveva suggerito di scegliere un pensiero uguale per tutti, lei proprio non aveva tollerato la cosa: occorreva scegliere qualcosa di diverso e adatto a ciascuno. Era la persona del fare – commenta mamma Paola – e anche quando c’era molto da fare, il suo motto era: «Basta organizzarsi». Un’opera da portare avanti Tra le molte cose che si era organizzata a fare, perché le piaceva farlo, c’era la famosa torta Guinness preparata alle dieci di sera e da condividere coi compagni il giorno dopo a scuola, una volta finite le estenuanti prove in preparazione agli scritti della maturità. La cucina di casa non ne era uscita perfettamente immacolata, ma lo stomaco e il buonumore dei compagni ne avevano senz’altro beneficiato. Ha ragione, in fondo, l’amica Giulia quando si commuove nel dire che Ales12 | 8 ottobre 2014 | | dra era l’unica tra loro che, inizialmente, non riusciva a farlo. Poi, dopo un po’, si era lanciata e alla fine le sue pose erano quelle più ironiche. Ecco, non è affatto spontaneo guardarsi, come non è affatto immediato avere una posa di sé da offrire al mondo. Ma imparare a guardarsi attraverso il sorriso degli amici probabilmente è la migliore via di conoscenza che esista. È una strada non fatta in solitaria, ma dentro un confronto fraterno che serve, anche quando non è in sintonia col nostro pensiero. «Vi aspetto tutti in Paradiso». Don Damiano ha concluso l’omelia del funerale di Alessandra con queste parole di don Bosco e in esse, ancor più che verso Alessandra, il dito è puntato verso chi resta. Il tramonto svela sempre a chi lo osserva quante meravigliose sfumature di colori è capace di assumere il cielo. Così noi, sempre, ci accorgiamo del valore incommensurabile di ogni semplice vita quan- do la perdiamo. Questa ferita può ospitare il seme buono di un’opera da portare avanti, e non solo il dolore di un cruccio disperato. Il tempo per il perdono Nella sua cornice di mondo, Alessandra ha vissuto l’impegno che richiede lo stare ad ascoltare le persone, la premura con cui è bello dedicarsi agli amici, e stava scoprendo che in questo rapporto aperto con gli altri poteva sbrogliarsi e mettersi ben a fuoco anche il suo self, la sua persona. Ci ha lasciato uno spunto chiaro sul fatto che il Paradiso non è una faccenda di merito singolare e personale (qualcosa che mi meriterò, se sono stato bravo e buono), ma è una cordata umana che ci coinvolge già da ora e riguarda tutti quelli che incrocio sulla mia strada e insieme a cui condivido la fatica e l’impegno di dare un nome compiuto a me e al senso delle cose. Misteriosamente, nel caso di Alessandra, di questa cordata umana ha fatto parte anche Pietro. Nonostante si fossero lasciati, lei è andata a trovarlo, quell’ultima tragica sera. E uno degli ultimi sms che lei ha scritto era rivolto a un’amica, che nel pomeriggio si era recata a casa sua, e diceva: «Se vuoi ti vengo incontro». Da questo suo congedo inizia qualcosa: l’ipotesi che a noi spetti continuare a percorrere il nostro tratto di strada andando incontro a tutto, ospitali alla comprensione (anche di ciò e di chi pare lontano, se non incomprensibile). Alla veglia funebre Carlo Pelizzi ha ricordato anche lui, Pietro, il ragazzo che si è ucciso e ha ucciso sua figlia, e ha detto che ci sarà un tempo per il perdono. Ci sarà un tempo; a noi che restiamo è dato un tempo. Un tempo in cui possiamo affettare prosciutto; fare regali; perdere l’autobus e fare mille foto; perfino ascoltare la voce di chi sente come ultima risorsa disperata la violenza e, per il suo e nostro bene, imparare il perdono. n Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t boris godunov GRAZIE A BRUXELLES ARRIVA UNA NUOVA UTILE LEGGE Il cognome dice chi sei, non si cambia come un numero di telefono | DI renato farina L Camera dei deputati ha approvato una legge che regalerà un cognome in più ai nuovi nati. Ci sarà anche quello della mamma. I genitori potranno accordarsi se deve esserci prima quello di uno o dell’altra. In caso di dissidio prevarrà l’ordine alfabetico. Quando il figlio o la figlia (ammesso che fra diciotto anni ci saranno due soli generi grammaticali) raggiungerà la maggiore età potrà stabilire di chi è più figlia o più figlio optando per un cognome a scelta. 1) Quello del padre e basta. 2) Quello della madre e stop. 3 e 4). Quello della madre seguito da quello del padre o viceversa. Se le famiglie saranno numerose la combinazione dei cognomi della prole sarà gestita da un apposito software. La legge è passata alla Camera. Dovrà approdare anche in Senato. Poi ci vorrà un anno per creare i regolamenti. Quindi – se le cose vanno all’italiana – campa cavallo. È un po’ come la barzelletta dell’inferno alla napoletana: non si trova mai chi accenda il fuoco e porti le fascine. Ma è una magra consolazione. Questa legge è un esempio perfetto della volontà europea (questa norma promana da una sentenza della Corte di giustizia europea) di trasformare il valore sacrosanto della pari dignità di uomo e donna, padre e madre, in una rinuncia all’idea stessa di amore come dipendenza originaria, dell’essere figli come qualcosa che è stato ricevuto. È una legge sbagliata perché nega l’esperienza. Il cognome non è una convenzione come l’assegnazione di un numero del telefono. Dice una storia. Dice che la famiglia è una. A me piace moltissimo la tradizione russa di aggiungere al nome il patronimico. È bellissimo essere “figlio di”. A me commuove anche l’uso spagnolo e latino americano di aggiungere al cognome paterno quello materno. Mi andrebbe bene anche il contrario. Matriarcato o patriarcato mi va bene tutto: purché non si inventi la bugia cosmica che l’uomo è figlio di se stesso, decidendo lui di chi si sente figlio! Io sono rimasto a Gioanbrerafucarlo (Gianni Brera figlio del defunto Carlo), senza neanche lo spazio tra i nomi. Invece va così. Questo è il progresso del nichilismo: la solitudine del farsi da soli. Che è un peso insopportabile oltre che una balla. Lo sradicamento per legge della famiglia. Per carità, sopravvivremo a VOGLIONO trasformare il valore sacrosanto della pari dignità di uomo e donna, padre e madre, in una rinuncia all’idea stessa di amore come dipendenza originaria, dell’essere figli come qualcosa che è stato ricevuto lo stesso. Ma sarà più dura per le generazioni che verranno, e questo glielo vorrei risparmiare, se potessi. La menzogna è faticosa, anche quando si palesa leggera come una fantasia volubile di cognomi. Tanto vale, per semplificare le cose ed essere liberali a manetta, dare la facoltà ai maggiorenni di scegliersi nome e cognome da zero. Totale libertà. E poi di cambiarlo senza bisogno di permesso, come si fa quando si passa da un telefonino all’altro. Suprema illusione di libertà che è la solitudine di non avere la catena amorosa di un nome. Tanto non è che potranno scappare. Con quattro cognomi scambiabili, innovabili, ricaricabili, o anche con la possibilità infinita di sostituirli: il dna, il riconoscimento facciale, quello vocale, tutto li inchioderà. Li beccheranno dovunque, le nuove Stasi della scienza e della politica. Non a causa del loro nome e cognome, che porta le tracce di una voce materna e paterna, ma di una sequenza brevettabile da ditte specializzate, e dunque clonabile. Siamo passati dall’unicità della persona, dall’io irripetibile, alla replicabilità dei cognomi e alla loro clonazione seriale. Comunque, confido che qualunque legge sradichi gli alberi della genealogia (anche nei Vangeli di Matteo e di Luca ce n’è traccia divino-umana) poi una madre saprà dire tu al proprio bambino e dargli quel nome che era impresso prima sul suo cuore. | | 8 ottobre 2014 | 15 Interni classi difficili Qui l’educazione è straniera C’è il piccolo che piange perché non capisce una parola, la ragazza cinese che dorme in classe perché di notte lavora, c’è quello che butta il banco dalla finestra. Tra immigrazione in crescita e famiglia in crisi ormai gli insegnanti somigliano ad assistenti sociali, catapultati in prima linea con armi spuntate | 16 DI laura borselli | 8 ottobre 2014 | | Foto: Corbis | | 8 ottobre 2014 | 17 Interni classi difficili parità Se tutti fossimo liberi di scegliere libri di testo viene accompagnata da un opuscoletto gratuito, una sorta di compendio con la versione ridotta e semplificata dei contenuti. Non serve a rimpolpare la biblioteca dello studente fanatico della sintesi, ma a facilitare l’apprendimento di coloro che non padroneggiano l’italiano. Dislessici, ragazzi con difficoltà di apprendimento e soprattutto stranieri. Nell’anno scolastico 2012 secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione erano 755.939 gli alunni con cittadinanza non italiana. Nella scuola dell’obbligo 9 alunni su 100 sono stranieri. A partire dall’anno scolastico 2003-2004 il numero degli stranieri è raddoppiato nella scuola primaria e secondaria di primo grado mentre è triplicato nei rimanenti ordini di studio. Molti stranieri sono nati in Italia, dunque di solito in grado di parlare correttamente l’italiano. Diverso è il caso di quelli che arrivano, magari in seguito a un ricongiungimento familiare, e che vengono inseriti a scuola di punto in bianco. Per loro la lingua è solo uno dei problemi da risolvere per arrivare a una vera integrazione. «A volte arrivano a giugno e a settembre sono già sui banchi. Le nostre scuole sono obbligate a non respingere nessuno e su come aiutarli dobbiamo inventarci sempre qualcosa di nuovo». A parlare è Emma (nome di fantasia come quasi tutti quelli di adulti e ragazzi che seguiranno), insegnante di francese in una scuola media della periferia sud di Milano. Pochi giorni fa, il primo giorno di scuola, ha dovuto rincorrere una ragazzina dell’Est Europa che alla campanella delle undici è scappata in strada. «Non aveva capito nulla di cosa stava succedendo poverina. E forse nel suo paese la campanella suona una volta sola». Quella di Emma è una di quelle scuole all’avanguardia dove intorno alla necessità di integrazione si modella la didattica. Mediamen- 18 | 8 ottobre 2013 | | te ci sono 4-5 stranieri su classi di 20 alunni. Quello della composizione delle classi, all’inizio dell’anno, è un lavoro che richiede pazienza e l’utilizzo di una sorta di Cencelli delle etnie (28 solo in questa scuola) e delle difficoltà di apprendimento diagnosticate. Esiste anche una legge, voluta dal ministro Gelmini, che stabilisce un tetto del trenta per cento degli stranieri in ogni classe. Però c’è anche una legge che impone di accogliere a scuola tutti, anche i clandestini, praticamente in qualunque periodo dell’anno. Così la realtà che si vive nelle classi (parliamo di statali perché ancora oggi le paritarie sono un costo quasi totalmente a carico delle famiglie che gli immigrati raramente si possono permettere) è figlia dell’improvvisazione di migliaia di insegnanti e dirigenti scolastici, che in alcuni casi cercano di trovare una strada nella mancanza cronica di strumenti e fondi; in altri casi vivacchiano, provati dal cinismo o dalla disillusione di chi si sente schierato in prima linea con una fionda. «Quando porto i ragazzi a giocare a calcio o propongo delle iniziative fuori dalla scuola i miei colleghi mi mettono in guardia: stai attento, così rischi». Claudio insegna lettere alle medie e nella sua onorabile carriera di precario ha lavorato in diverse scuole dell’hinterland milanese. «Se proponi qualcosa ai ragazzi ti vedono come una specie di missionario picchiatello o come uno che rischia di passare da pedofilo». Racconta che un anno, su 18 alunni, 13 non erano italiani, alcuni parlavano a fatica, altri neppure una parola. Quando va bene ti guardano smarriti per ore interminabili, quando va male organizzano la sedizione con l’internazionalissimo linguaggio dei gesti. Chi sta in cattedra deve tentare prima di farsi capi- Foto: Agf O rmai la maggior parte dei Possono esistere classi in cui oltre la metà degli alunni non sanno l’italiano? Non potrebbero esistere, ma esistono. Le scuole si attrezzano come possono e sono tanti i casi di famiglie italiane che scelgono di spostare i figli in istituti non statali perché preoccupati che in quelle situazioni limite apprendere sia impossibile. Occorre rimediare subito (a suon di fondi ben spesi e di spazi di autonomia) a una situazione difficilissima, che al momento è affidata ai nostri insegnanti e alla loro buona volontà che confina con l’eroismo (provate voi, a dire due parole su Manzoni, mentre un 14 enne custodisce nello zaino un coltello di 15 centimetri per “difendere la sua famiglia” e un altro è pieno di lividi perché nel week-end è stato rapito da connazionali che dovevano dei soldi al padre). Ma occorre anche parlare di parità. Se le famiglie (tutte le famiglie, anche quelle povere, siano esse italiane o straniere) potessero scegliere, la scuola starebbe meglio. E l’integrazione non sarebbe una bella parola di cui riempirsi la bocca. Alunni con cittadinanza non italiana per livello scolastico Anni scolastici dal 2003/2004 al 2011/2012 800 Totale alunni stranieri in migliaia 700 600 500 400 300 200 100 - 1 7 12 /04 4/05 5/06 6/0 /08 8/09 9/10 10/1 11/ 0 0 07 03 0 0 0 20 20 20 20 20 20 20 20 20 Infanzia Primaria Secondaria I grado Secondaria II grado Alunni stranieri nelle scuole Italiane Alunni con cittadinanza non italiana entrati nel sistema scolastico italiano per la prima volta per livello scolastico (composizione percentuale) A.S. 2011/2012 16,9% 13,5% 32,1% 37,5% Percentuale di alunni stranieri per area geografica 18.8 1.3 Foto: Agf Fonte: Ministero dell’Istruzione re poi di trovare qualcosa di interessante da dire. «Ormai – racconta ancora Emma – ogni ragazzo ha una problematica specifica, non riesco a ricordare l’ultima volta che ho potuto proporre una verifica uguale per tutti». Va da sé che le proprie materie di insegnamento siano secondarie. Nella scuola di Emma i neo arrivati all’inizio dell’anno fanno lezione di italiano per due settimane, per entrare in possesso dei rudimenti della lingua, il resto dell’anno prosegue in classe con attività diverse rispetto a quelle dei compagni, quando è possibile con l’aiuto dell’insegnante di sostegno. Ovviamente però con chi arriva ad anno scolastico inoltrato non si può che mettere delle pezze, tentando di insegnare l’italiano quando possibile. «Se non ci fossero gli oratori e le società sportive non so come faremmo», osserva Chiara, insegnante in una scuo- «Ormai – racconta Emma, insegnante alle medie – ogni ragazzo ha una problematica specifica, non riesco a ricordare l’ultima volta che ho potuto proporre una verifica uguale per tutti» la media della periferia Nord di Milano. Quest’anno ci sono circa 4-5 stranieri per classe, l’italiano lo sanno molto bene, ma fanno gruppo solo tra di loro. «I sudamericani quando arrivano sono molto disciplinati, poi quando vedono gli altri che sono molto scalmanati si adeguano... Giocando a calcio o andando all’oratorio a fare i compiti fanno amicizia coi compagni e quello è un modo ottimo anche per colmare le lacune linguistiche». Ma l’isolamento è spesso più culturale che linguistico. Chun faceva la seconda media e come tutti i suoi connazionali cinesi dava poca confidenza, le ore a scuola erano una pausa nelle sue lunghissime giornate di lavoro. «Metteva la testa sulla mano e dormiva. Era sempre stanchissima – racconta Chiara. Ho capito che quando non era a scuola lavorava. Finché un giorno, come purtroppo capita spesso, è sparita». L’insegnante prova a cercarla, scopre il negozio in cui lavora, riesce a raccogliere qualche notizia e molte bugie. Un giorno è la stessa Chun a rispondere al telefono, ma evidentemente non può parlare liberamente. «Non l’ho più sentita e non so che fine abbia fatto». Esattamente come accade ai loro compagni italiani, anche i ragazzi stranieri sono condizionati dalle aspettative e dall’esempio della propria famiglia. Come Marco, rume| | 8 ottobre 2014 | 19 interni classi difficili no. «Determinato, volenteroso. Vedeva i suoi che si spaccavano la schiena come domestici e operai. Lui e il fratello sono arrivati fino al diploma». «Come Rosa, che è arrivata all’università e ancora mi manda dei messaggi». Siamo in provincia di Viterbo e la professoressa Maria Letizia Tombolini insegna inglese nell’obbligo formativo dei centri di formazione professionale. Sarebbe la seconda lingua obbligatoria, ma di fatto, quando le classi sono composte da 20 stranieri su 26 alunni, la seconda lingua è l’italiano e trovare spazio per l’inglese è un’impresa. Come e ancora di più che per gli mamma, italiana, quattro figli, marito disoccupato da due anni. A fine mese le rimangono 150 euro e ne spende 40 per le ripetizioni. “Professoressa io ci tengo, voglio che vada bene a scuola, ma non so più come fare”». Maria Letizia Tombolini è presidente in Lazio di Articolo 51 (realtà creata in Lombardia dalla dottoressa Angela Ronchini) e con la sua associazione sta cercando di organizzare corsi di italiano per ragazzi da proporre prima che la scuola inizi. «Spesso a noi servono gli interpreti, e spesso non ci sono neppure, per parlare coi genitori dei ragazzi. Quando riu- Malpezzi, parlamentare pd e insegnante: «l’organico funzionale di cui parla il governo potrebbe prevedere anche un insegnante di italiano per gli stranieri» italiani, questi percorsi sono vissuti come un ripiego, scelti dagli alunni non italofoni reduci da insuccesso nei percorsi tradizionali. Il risultato è un campo di battaglia, in cui i professori cercano di farsi strada, appigliandosi ai ragazzi volenterosi, improvvisandosi assistenti sociali, guardiani dell’ordine pubblico prima che i banchi volino dalla finestra (tutto vero). «Ho un ragazzo che frequenta il corso di acconciatura e mi aspetto che sia costretto ad abbandonare gli studi da un momento all’altro. È bravo, volenteroso, ma come può un ragazzino di quindici anni studiare serenamente quando a casa ci sono genitori (quando ci sono) che vivono di espedienti e magari entrano ed escono di prigione?». Il grande tema sono le famiglie, che vivono le scuole come un parcheggio, disgregate da separazioni violente o prostrate da situazioni di enorme disagio economico. E questo non è certo uno scenario che riguarda soltanto gli straneri. Come racconta Chiara: «Non riesco a togliermi dalla testa le lacrime di una 20 | 8 ottobre 2014 | | sciamo a trovarli...». La professoressa ha un giudizio positivo del tetto massimo di stranieri per classe voluto dal ministro Gelmini e nei fatti disatteso. «In quel lasso di tempo in cui è stato realmente in vigore ci ha aiutato. Non è questione di razzismo ma di rendere possibile a noi di lavorare e ai ragazzi di imparare». I ghetti non servono Qualche settimana fa è finito sui giornali il caso di una scuola materna di Padova in cui in una classe c’era una sola bimba italiana e tutti gli altri stranieri. «Lì qualcosa non ha funzionato», osserva Simona Malpezzi, parlamentare del Pd. «In quel quartiere c’erano una comunale, una statale e una paritaria: bisognava fare un discorso di razionalità coinvolgendo tutte e tre le scuole e gli enti locali». L’onorevole, che ha una carriera di insegnante di storia in una scuola superiore di Pioltello, comune in cui oltre il 28 per cento della popolazione scolastica è costituito da stranieri, insiste anche sull’importanza dei mediatori culturali, che servono ad entrare in contatto con famiglie in cui di solito è solo il padre a parlare l’italiano. «In una classe di soli alunni stranieri non si può insegnare. Se no non è intercultura, è ghetto. Il tetto è garanzia per tutti. All’interno della buona scuola di Renzi non si parla di integrazione. Non ancora, è un capitolo su cui mi sto personalmente adoperando. L’organico funzionale di cui parla il documento del governo e su cui abbiamo aperto le consultazioni potrebbe prevedere anche un insegnante di italiano per gli stranieri. La scuola dell’autonomia può e deve farlo». In questo periodo dell’anno nella classe di Anna ci sono un paio di bambini che non fanno che piangere. Anna insegna da molti anni in una scuola materna di Civitanova Marche. Bambini di tre anni che non capiscono una parola di quello che la maestra dice esprimono il disagio piangendo. Bisogna coccolarli, accoglierli ancora più degli altri. «Facendo molte attività manuali siamo facilitati a coinvolgere i piccoli stranieri». Anna ricorda con affetto il percorso di Reza, una bimba afghana che arrivò senza sapere una parola. «Nemmeno la sua mamma parlava italiano, però i genitori erano molto presenti e quando avevamo bisogno di parlargli mandavano un biglietto al padre, l’unico che parlava italiano in famiglia». Negli anni della materna Reza ha fatto passi da gigante, superando la barriera linguistica per far vedere il proprio carattere, anche coi “bulletti” della classe, certo non razzisti ma crudeli e “ruvidi” come solo i bimbi sanno essere, che le portavano molto rispetto. «Presto riuscì a capire i compiti da fare ed era sempre la prima a finire. Un giorno mi ha portato un bel disegno, anche lì aveva finito per prima. “Bravissima”; le ho detto. Dopo un po’ è tornata con lo stesso disegno: “Sì, ma ti piace maestra?”. Non le bastava aver compiuto il suo dovere, voleva anche un giudizio estetico». n ESTERI STRANE ALLEANZE Il mago del doppio gioco Il presidente Erdogan annuncia che la Turchia avrà un ruolo militare per contrastare lo Stato islamico, ma intanto permette a nuovi jihadisti di oltrepassare le frontiere verso la Siria. Ecco tutti i limiti della coalizione anti Califfato | DI RODOLFO CASADEI Il presidente Recep Tayyip Erdogan, a margine del summit dei capi di Stato alle Nazioni Unite, ha annunciato che la Turchia farà la sua parte per contribuire agli sforzi della coalizione che ha dichiarato guerra all’Isil ESTERI STRANE ALLEANZE C reazione di una no-fly zone lungo il confine fra Turchia e Siria e di enclave protette per gli sfollati dei combattimenti dentro al territorio siriano, controllate da truppe turche. Sono queste le condizioni che il presidente Recep Tayyip Erdogan ha posto per il coinvolgimento del suo paese nella coalizione a guida americana contro lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), dopo che al termine del summit dei capi di Stato alle Nazioni Unite la settimana scorsa aveva annunciato che, ottenuta la liberazione dei 49 ostaggi del consolato turco di Mosul sequestrati dall’Isil il 10 giugno, ora la Turchia avrebbe fatto la sua parte interpretando un ruolo «sia militare che politico». È evidente che al governo islamista di Ankara più che combattere il califfato di al Baghdadi interessa influire sull’esito finale della guerra civile siriana. Dopo avere favorito per quasi tre anni l’afflusso di guerriglieri jihadisti in Siria attraverso le sue frontiere, avere chiuso un occhio sulla rete logistica che gli stessi hanno costituito sul suo territorio, aver lasciato passare armi a loro destinate e curato i loro feriti negli ospedali di tutto il paese, avere fatto da retrovia ai jihadisti di Jabhat al Nusra alla fine del 2012 e a quelli dell’Isil nel settembre scorso quando avevano attaccato la città curda siriana di Ayn al Arab/Kobane, la Turchia cambierà veramente politica nei loro confronti solo se riconoscerà nella coalizione voluta da Obama l’entità politico-militare la cui creazione da tre anni Erdogan invoca: una coalizione di arabi e di paesi Nato che permetta di abbattere il regime di Assad in Siria e di sostituirlo con un governo islamista sunnita infeudato alla Turchia e ai paesi arabi del Golfo Persico. Se ciò apparirà impraticabile come lo è stato in questi anni di guerra civile siriana internazionalizzata, la Turchia continuerà la sua pericolosissima politica consistente nel giocare all’apprendista stregone. Cioè continuerà ad appoggiare segretamente i gruppi jihadisti, Stato islamico compreso, ritenendo di essere in grado di manovrarli per i suoi scopi. Che non si limitano all’obiettivo di far cadere Assad in Siria. A questo, che resta il principale, se ne è aggiunto da tempo un altro ugualmente importante per Ankara: impedire che la Rojava, – la regione della Siria a forte presenza curda controllata per larghi tratti dalle milizie armate del Pyd, il partito autonomista curdo siriano che è una gemmazione del Pkk che opera dal 1980 in Turchia –, diventi una regione autogovernata dai curdi locali al modo del Kurdistan iracheno. 24 | 8 ottobre 2014 | | Il 9 agosto scorso, nel pieno della crisi Gli abitanti di Sanliurfa, scatenata dall’offensiva dello Stato islami- Turchia, il 28 settembre co che aveva occupato le cittadine cristia- si sono avvicinati pericolosamente ne e yazide della piana di Ninive e dintor- al confine con la Siria ni e causato l’esodo di 300 mila profughi, per vedere gli scontri il ministro della Difesa turco Ismet Yil- tra l’Isil e le milizie maz dichiarava che la Turchia non aveva curde dell’Ypg fornito alcun sostegno agli attacchi aerei (foto a destra) americani appena iniziati, e che a causa dei 49 ostaggi detenuti dall’Isil a Mosul «è impossibile per noi fare qualcosa di diverso». Con quale logica allora l’Isil si è privato dell’asso che aveva in mano per tenere sotto scacco la Turchia? I sequestrati non sono stati liberati con un blitz militare, ma al termine di una trattativa che ha comportato il loro trasferimento a Raq- O LA COALIZIONE HA LO SCOPO qa in Siria e poi il rilascio alla DI ABBATTERE IL REGIME DI frontiera turca di Akcakale. Le ASSAD O LA TURCHIA ANDRÀ autorità negano che sia stato pagato un riscatto, ma qualAVANTI AD APPOGGIARE che contropartita l’Isil deve SEGRETAMENTE I JIHADISTI, averla ottenuta, altrimenti il rilascio degli ostaggi risulteRITENENDO DI ESSERE rebbe da parte sua totalmente illogico. Il sospetto che la libeIN GRADO DI MANOVRARLI razione degli ostaggi sia avvenuta sulla base di un impegno da parte del governo turco a continuare a non alzare un dito contro i jihadisti è legittimo. La Turchia è, per ragioni geografiche, il paese più esposto a eventuali rappresaglie dell’Isil, e se queste nelle prossime settimane non arriveranno nonostante le parole di Erdogan all’Onu sull’imminente «cooperazione militare» con gli Stati Uniti, vorrà dire che Ankara non sta dando un contributo effettivo alle operazioni della coalizione anticaliffato, ma sta facendo altro. La complicità dell’esercito Per adesso l’Isil sembra più interessato a sfruttare le opportunità logistiche che la Turchia offre che non a punirla per le sue oscillazioni politiche. Il 16 settembre, tre giorni prima del rilascio degli ostaggi turchi, ha lanciato una grande offensiva contro la città curda siriana di Ayn al Arab/Kobane, controllata dalle forze dell’Ypg (l’ala militare del Pyd) dal luglio del 2012. Gli attacchi erano già cominciati il 2 luglio scorso, e ormai decine di villaggi del cantone di Kobane sono caduti nelle mani dei jihadisti mentre 100 mila civili sono dovuti fuggire in territorio turco. La località ha un’importanza strategica, perché si trova a ridosso della frontiera con la Turchia, in corrispondenza del principale posto di frontiera della regione, quello di Mursitpinar. L’Isil controlla già le regioni di confine con la Turchia ad est e ad ovest di Kobane, compresi i due posti di frontiera di Jarabulus e Tal Abyad. Se Ayn al Arab cade, l’Isil controllerebbe 100 chilometri di confine con la Turchia e tre posti di frontiera, e creerebbe una continuità territoriale con la sua “capitale” di Raqqa, 100 chilometri più a sud. Se i jihadisti ci tengono tanto ad allargare il loro controllo della frontiera con la Turchia, un motivo dovrà pur esserci… Che in questi ultimi anni attraverso il confine turco-siriano il governo di Ankara abbia volontariamente lasciato passare jihadisti e armi a loro destinate non è solo l’opinione dei comandanti delle formazio- L’Isil controlla le regioni di confine con la Turchia a est e a ovest di Kobane, compresE due frontierE. Se Ayn al Arab cade, l’Isil controllerebbe 100 chilometri di confine E creEREBBE una continuità territoriale con la sua “capitale” Raqqa Chi comanda nel nord della Siria Mappa aggiornata a settembre 2014 TURCHIA Tall Abyad Aleppo SIRIA Kobane Territori controllati da Curdi (YPG) Territori controllati dal regime di Assad Territori controllati dai ribelli Territori controllati dal ISIL Raqqa Foto: Pete Souza, Ansa/Zuma. Nelle pagine precedenti: Corbis Jarabulus ni armate curde siriane. Anche giornalisti turchi e politici dell’opposizione puntano il dito contro le responsabilità delle autorità, con accuse circostanziate. Nel giugno scorso su tutti i giornali turchi è apparsa una foto risalente ad aprile di Abu Muhammad, uno dei più alti comandanti dell’Isil, ricoverato presso un ospedale della città turca di Hatay dopo essere stato ferito in una battaglia in territorio siriano. Nel settembre 2013 l’edizione inglese del giornale libanese Al Akhbar aveva pubblicato un servizio dalla Siria nord-orientale nel quale si leggeva: «Non è raro vedere l’esercito turco sovrintendere al trasfe- rimento di combattenti di al Qaeda attraverso la regione di confine dalla Turchia nel territorio curdo in Siria. Alcuni giorni fa l’esercito turco ha permesso a 150 combattenti dell’Isil e di altre brigate islamiste di attraversare il villaggio di Alouk, a est di Ras al-Ayn, insieme a sei blindati e pick-up armati con mitragliatrici pesanti. Il motivo dell’operazione era chiaramente quello di bloccare la strada fra le città di Derbassiyeh e Ras al-Ayn e tagliare i rifornimenti ai combattenti dell’Ypg». Negli stessi giorni in cui emergeva lo scandalo di Abu Muhammad e di altri combattenti dell’Isil curati negli ospeda- li turchi, un deputato dell’opposizione richiamava l’attenzione sul fatto che il governo ha favorito anche l’operatività di Jabhat al Nusra, il gruppo ribelle siriano affiliato ad al Qaeda. Si poteva leggere su Hürriyet: «Il deputato di Istanbul del Chp (il principale partito di opposizione turco, ndr) Ihsan Özkes ha affermato che a militanti di Jabhat al Nusra, gruppo affiliato ad al Qaeda, è stato permesso di risiedere nei pensionati del Direttorato degli affari religiosi (Diyanet) sotto la supervisione del Mit (i servizi segreti turchi, ndr) nella provincia meridionale dell’Hatay. Özkes, che è stato un mufti, ha anche | | 8 ottobre 2014 | 25 ESTERI STRANE ALLEANZE affermato che l’ordine di ospitare i militanti è stato dato dal ministro degli Interni Muammer Güler in una circolare inviata all’ufficio del governatore dell’Hatay, nella quale si chiede apertamente di fornire assistenza ai combattenti di Jabhat al Nusra. Il presunto documento ufficiale mostrato da Özkes rivela che i combattenti di al Nusra sono stati portati dal Mit allo scopo di combattere contro il Partito democratico dell’unione (Pyd) della Siria settentrionale, affiliato al fuorilegge Pkk del Kurdistan turco. “È importante fornire il necessario sostegno agli ufficiali dell’intelligence per quanto riguarda l’assistenza ai combattenti di al Nusra, inclusi tunisini e ceceni, che sono stati condotti qui sotto la supervisione del Mit per combattere contro gli affiliati del Pkk che sono i curdi del Pyd, aiutandoli ad attra- li aderire all’Isil. Queste entità sono perfettamente note sia al governo sia all’opinione pubblica. Dal momento che sono note pubblicamente, è impossibile che i dipartimenti di polizia non li conoscano. Questi gruppi stanno esplicitamente lavorando a favore dell’Isil nelle città della Turchia. Il governo deve spiegarci come e perché questi gruppi siano in grado di impegnarsi così facilmente nella propaganda per conto dei terroristi. Negli ultimi anni abbiamo visto molti turchi partecipare alle attività del Libero esercito siriano, oggi c’è un numero crescente di soggetti che aderiscono all’Isil». Armi e aiuti umanitari Di ritorno da una missione in Turchia lo scienziato politico e consulente del dipartimento di Stato americano David L. Phil- «Erdogan, fautore della supremazia sunnita, avrebbe stretto la mano anche al diavolo pur di veder cadere l’alawita Assad» versare il confine con la Siria e trattando in modo confidenziale tutta la materia”, si legge nel documento». Il lavaggio del cervello All’inizio di questo mese è stata la volta di un altro deputato del Chp di accusare il governo di sostegno all’Isil. Ha detto Attila Kart in una conferenza stampa ripresa dal quotidiano Zaman: «Per quanto riguarda la partecipazione di cittadini turchi ai ranghi dell’Isil (le stime giornalistiche oscillano fra le mille e le 5 mila unità, ndr), è chiaro che alcune associazioni, istituzioni caritative, scuole teologiche islamiche e molte altre organizzazioni locali svolgono un ruolo attivo nel convincere e nell’aiutare le persone a unirsi al gruppo terrorista. Ci sono gruppi attivi incaricati del lavaggio del cervello per far26 | 8 ottobre 2014 | | lips ha dichiarato: «Durante la mia visita membri del parlamento turco e altre personalità di primo piano mi hanno descritto i rapporti esistenti fra la Turchia e le organizzazioni sunnite militanti come l’Isil. Essi affermano che un ruolo di rilievo viene svolto dall’Ihh, la Fondazione per le libertà e i diritti umani e l’aiuto umanitario (responsabile della Freedom Flotilla per Gaza del 2010, ndr), una associazione filantropica islamica nota per fornire assistenza ai gruppi estremisti. Bilal Erdogan, figlio del presidente, ha rapporti col direttivo della fondazione e avrebbe sfruttato il network di amicizie del padre per raccogliere fondi per l’organizzazione». Nel gennaio di quest’anno casse di armi sono state trovate su di un camion della fondazione diretto in Siria per portare aiuti umanitari. Dopo tale episodio le autorità hanno compiuto arresti nelle file dell’organizzazione. Perché Erdogan, il suo governo e il suo partito si sono compromessi fino a questo punto, mettendo in moto una macchina che non sanno più come fermare? Lo spiega il noto giornalista turco Burak Bekdil, editorialista di Hürriyet: «Tutto è cominciato quando i leader della Turchia hanno pensato che potevano creare una cintura di stati sunniti sotto egemonia turca. Perché ciò accadesse Tunisia, Libia, Egitto, Libano, Siria e Iraq dovevano essere governati da leadership sunnite subalterne ad Ankara, preferibilmente legate ai Fratelli Musulmani. Per qualche tempo anche gli Stati Uniti si sono baloccati con l’idea di creare una “mezzaluna moderata” di nazioni sunnite, con lo scopo di contenere l’Iran sciita, l’Iraq governato dagli sciiti e gli Hezbollah del Libano. Erdogan, fautore della supremazia sunnita, avrebbe stretto la mano anche al diavolo pur di veder cadere l’alawita Assad. E la Turchia presto divenne il mentore di tutti i gruppi di opposizione che, nella visione ideale, avrebbero prima sconfitto Assad, poi formato un governo islamista e si sarebbero offerti per diventare un protettorato di fatto dell’emergente Impero turco. All’inizio il sostegno turco era politico e organizzativo. In realtà Ankara stava lentamente trasformando il sud-est della Turchia in un hub per militanti islamisti radicali di ogni tendenza, provenienti da moltissimi paesi». Il problema è che probabilmente Erdogan e Obama non hanno abbandonato le loro rispettive visioni nate al tempo della Primavera araba: il presidente turco non ha rinunciato al suo sogno neo-ottomano, il presidente uscente americano sembra ancora puntare sugli islamisti sunniti moderati per mettere alle corde l’Iran e i suoi alleati. Se dietro la coalizione anti-Isil ci sono questi programmi, il fallimento è garantito. n SOCIETÀ COPERTINA Sentinelle Lo annunciava san Giovanni Paolo II nel 1979. «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata». Domenica 5 ottobre migliaia di persone scenderanno in cento piazze italiane. Ecco chi sono e cosa significa il loro fastidioso silenzio | DI VALERIO PECE SOCIETÀ COPERTINA 30 | 8 ottobre 2014 | | madre-figli inciso su una t-shirt è un motivo per multare il possessore, diventa evidente che per far fuori la nostra civiltà l’Isil non serve. Bastiamo noi. Insomma, dietro la protesta silenziosa delle Sentinelle in piedi c’è un’Europa che non è più in grado di comprendere la legittimità di un’opposizione. Troppo poco è stato detto, per esempio, sull’impressionante successione di violenze poliziesche contro chi, in Francia, ha manifestato per la famiglia criticando matrimonio e adozioni omosessuali, violenze ben documentato da La répression pour tous?, silenziato libro-inchiesta del giugno 2013. Tanto per essere chiari: oltralpe le forze dell’ordine manganellano e usano gas lacrimogeni perché è già operante una legge sull’omofobia. Il conclave di Rho «Ho preso l’aereo per vedere che volto avesse chi ha inventato le Sentinelle», così esordisce il responsabile delle Sip di Sassari in una recente riunione in preparazione della “super veglia” del 5 ottobre; subito supportato – in un giro di presentazioni che per molti motivi avreb- In queste pagine, foto: Sentinelle in piedi L Sentinelle in piedi, ovvero quanto di peggio possa capitare al giornalista collettivo. Perdigiorno omofobi o una nuova Rosa Bianca? Compulsivi occupatori di suolo pubblico, oppure – per dirla col sociologo Introvigne – «l’ultimo tassello della Controrivoluzione»? È bene chiarirsi le idee in fretta perché il 5 ottobre accadrà qualcosa che pochi si aspettano. In contemporanea in 100 città italiane (cento) le Sentinelle (Sip) sfideranno boicottaggi, fischi e sputi e scenderanno in piazza con la loro vincente (e poetica) ortoprassi: posizionati a scacchiera (a due metri l’uno dall’altro), in un potente e rigoroso silenzio, con un libro in mano in segno di approfondimento continuo («noi studiamo, voi?»). Prima ancora che contro il ddl sull’omofobia – il “reato d’opinione” che le Sentinelle alla faccia dell’ineluttabilità delle cose hanno contribuito a imbrigliare – le Sip protestano contro qualunque imposizione top-down di “verità” calate dall’alto, imposte per legge, che non tollerano discussioni di sorta, pena l’accusa di opporsi ai “diritti umani”. Addirittura. L’indifferenza sessuale e l’ideologia gender come premessa all’egualita- cano il rutilante circo che in questi ultirismo lasciano perplesso qualcuno? Peg- mi tempi ha letteralmente umiliato la gio per lui. E l’impossibilità a dire «voglio ragione: il volto del Barilla rieducato, in la mamma» (quando si dice la “banali- cui non si muove neanche il muscolo del tà del male”)? Chiedere a Mario Adinol- riscatto; i libri Unar per le scuole fermafi, che su Facebook convive da ti per il rotto della cuffia (dove mesi con gli haters, gli odiato- A SAN PIETRO dietro i problemini di matemari di professione. E che dire dei La preghiera tica si nascondeva, come il lupo figli dell’eterologa condannati Il Papa lo ha travestito da nonnina, cultura a passare la vita alla ricerca del- detto più volte: omosessualista in pillole); i foroccorre pregare le proprie radici? Non è qual- per i padri che malmente inquisiti Philip Boycosa che grida vendetta? Mac- il 5 ottobre ce, vescovo irlandese, e Sebaché! Tacere e ancora tacere, que- parteciperanno stián Aguilar, ottantaquattrensta è la consegna. O al massi- al Sinodo sulla ne arcivescovo di Pamplona famiglia. Così, mo ritirarsi in sagrestia. Esatta- sabato 4 otto(troppo esegeti di quel san Paomente quel che è accaduto il 20 bre, in piazza lo che coi “sodomiti” non è molsettembre al convegno su vita, San Pietro, dalle to friendly e che non stravede famiglia ed educazione dell’As- 18 alle 19.30 ci neppure per l’obamiano “love sarà un momensociazione “Vita è”, che da un to di preghiera is love”); la fellatio omosex di centrale Istituto scolastico vero- che culminerà Sei come sei, libro che a scuonese è stato confinato a furor di con l’intervento la si può e si deve leggere, ma Arcigay in una più appropriata del Pontefice. in Parlamento assolutamente (e appartata) chiesa della città: no («linguaggio troppo sconvetra medici, parlamentari e giornalisti era- niente», così il presidente Grasso a Giovano troppi gli “omofobi” iscritti a parlare. nardi); fino ad arrivare, andando a ritroOra, se la stampa è letteralmente ter- so, all’ormai famosa maglietta di Franck rorizzata dal non apparire abbastanza Talleur. E qui bisognerebbe fermarsi un gay friendly, le Sentinelle non dimenti- attimo: perché se il disegno di padree UN EFFETTO DOMINO STRABILIANTE Un impegno quotidiano per resistere a chi ci vuole piegati al pensiero unico In queste pagine, foto: Sentinelle in piedi C’è la mamma turbata per quanto succede nella scuola dei suoi figli, la giornalista preoccupata per il bavaglio imposto nel trattare le “questioni Lgbt”, l’insegnante che ha visto nelle aule corsi sull’affettività imperniati sull’ideologia di genere, e poi il papà chiamato a vigilare su quanto accade nelle classi dei suoi 9 figli, il ragazzo con tendenze omosessuali che vuole denunciare le strumentalizzazioni vissute all’interno di Arcigay, lo studente che è pronto a battersi per la libertà d’espressione, l’avvocato, l’impiegato, gli sposi… Da Nord a Sud la rete delle Sentinelle in piedi non conosce confini, né appartenenza politica o fede religiosa, non conosce età o estrazione sociale, attraversa associazioni e movimenti per diventare una realtà così trasversale da mettere in crisi chiunque voglia ricorrere alle obsolete etichette destra/sinistra cattolici/non credenti e chi più ne ha più ne metta. Brescia, Bergamo, Milano, Verona, Trento, Trieste, Reggio Emilia e Genova. Poi La Spezia, Roma, Perugia, Lecce e Catania, Salerno, Matera, Sassari, Cagliari, Venezia. Le Sentinelle si sono moltiplicate per un effetto domino strabiliante e non pianificato di cui la mobilitazione di piazza è soltanto la parte visibile. Dietro c’è un intreccio di vite che si consumano in notti a scrivere volantini, monitorare siti, setacciare giornali, vigilare sull’attualità, informare. Una realtà fatta di serate strappate a lavoro e famiglie per l’urgenza di denunciare la gravità dell’attacco alla dignità e alla natura dell’uomo, una realtà fatta di cittadini mossi dall’ansia di svegliare le coscienze. Raccontare questa resistenza non è possibile senza parlare dell’impegno di ogni vegliante, differente nei modi, nei tempi, nei luoghi, identico nello sforzo profuso per difendere la libertà di espressione e nella fermezza contro l’imposizione dell’ideologia del gender. Conoscere questi liberi cittadini e unirsi a loro è possibile andando in piazza o semplicemente dando una risposta concreta alla domanda: io cosa posso fare? Non ci sono requisiti o attitudini, tutti sono chiamati a vegliare nella vita per resistere contro chi ci vorrebbe piegati al pensiero unico. Raffaella Frullone be dovuto essere filmato – da una mamma umbra: «Quello che non vorrei mai è che domani i miei figli mi rimproverassero per non aver parlato, oggi che ancora è possibile farlo». Siamo nella bella cornice del convento degli Oblati di Rho, e insieme a Sardegna e Umbria, ci sono persone giunte dalla Toscana, dalla Campania, dalla Puglia, dal Lazio, dalla Basilicata, dalle Marche e dall’Abruzzo, oltre che da tutte le regioni del nord. Sedici regioni su venti (ma era ancora il 31 agosto, ora sono venti su venti) e 80 città coinvolte. Con tutti gli eccitati presenti arrivati rigorosamente a proprie spese. Ci sarebbe pane per legioni di sociologi se questi fossero interessati al loro mestiere (lo studio dei fenomeni sociali, appunto), ma fortunatamente, dice il poeta, «la storia non si ferma davvero davanti a un portone», per cui, ancora e sempre dal basso, spuntano le prime tesi di laurea e presto, probabil- mente, leggeremo della “Fenomenologia delle Sentinelle in piedi”. Nel peggior bar di Brescia Ma dove, come e quando nascono le Sentinelle in piedi? Riavvolgiamo il nastro. 31 luglio 2013, caldo torrido, seduti ai tavolini di uno scalcagnato bar di Brescia, tra birre, succhi e zanzare, giovani mamme e giovani papà nel numero di 8 si danno appuntamento per «fare qualcosa, più che interrogare le previsioni» (Emanuele), e impegnarsi «per i figli e per la difesa del reale, in una dolce lotta, più gioiosa di ogni pace» (Lucia). L’idea è questa: prendere l’esperienza dei Veilleurs Debout, i resistenti francesi, e organizzare in fretta la prima veglia italiana. «Ci chiameremo Sentinelle in piedi» (Matteo), con in mente una famosa omelia di Giovanni Paolo II a Washington nel 1979: «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è IL 31 LUGLIO 2013 ERANO IN 8, VOLEVANO «IMPEGNARSI PER I FIGLI E PER LA DIFESA DEL REALE». IL 5 AGOSTO SONO IN PIAZZA DELLA LOGGIA. LA PRIMA VEGLIA DI UNA LUNGHISSIMA SERIE minacciata. Ci alzeremo quando un bambino è visto solo come un mezzo per soddisfare un’emozione…». Ma ecco che fissata la data della prima veglia (il 5 agosto), i compiti (pochi, non c’è tempo nemmeno di informare la Questura) e il posto (ovviamente Piazza della Loggia), accade un fatto strano, che i testimoni raccontano ancora con pudore. Arriva, improvviso, un vento gagliardo, e in rapida successione uno stormo di uccellini cinguettanti che prima girano intorno ai tavolini, e poi vanno a poggiarsi senza la minima esitazione sulle spalle degli otto, e rimangono lì, fermi, in uno sconcerto generale che passando per il riso volge in commozione. Questo il racconto dei presenti, tornati a casa con una missione e un fiotto in gola. Il resto è storia. Sono le veglie moltiplicatesi a macchia di leopardo sotto la cura di un coordinamento nazionale tutto impegno e passione la cui nascita si è resa presto indispensabile. Sono i contatti, le pagine Facebook aperte dai responsabili di ogni città; è la voglia e il gusto della sana persuasione (per cui chi è “contro” o finisce per cambiare idea o se ne va); sono le conferenze, tante, per spiegare quella bufala che è la Gender Theory (e che in fondo, col “Paradosso norvegese”, è bastato un comico a smantellare). Ma ciò che resta sono soprattutto le amicizie sbocciate, trasversali, il capitale umano sempre più formato e la formidabile rete che è andata sviluppandosi e che – proprio perché non intaccata da quella “scelta religiosa” che rischia d’ingessare più di una realtà – sembra assolutamente inarrestabile, tanto che dall’estero già fioccano richieste di know-how. «Sarò con voi», parola di vescovo A un’analisi appena attenta, anche il rapporto tra le rigorosamente aconfessionali Sentinelle e la Chiesa italiana è in via di rinnovamento. Gesti forti ci sono già | | 8 ottobre 2014 | 31 SOCIETÀ COPERTINA | DI MARIO ADINOLFI La mia battaglia da sinistra «Ho fondato il Pd, scritto il suo statuto. Ho le mie colpe». La confessione di un omone che si è stufato delle balle di Repubblica. E della sua ideologia stati. A tirare la volata, i soliti “capitani coraggiosi”: è del 15 luglio l’ardimentosa nota di monsignor Luigi Negri, che spronando a organizzare veglie anche nella sua Ferrara, così scriveva: «Sarò con voi, sentinella come voi, davanti l’ospedale di Cona». La comunione di intenti con chi è “esperta in umanità” è evidente. Non sono state proprio le Conferenze episcopali slovacche, portoghesi e polacche (come anche i vescovi della Toscana e del Triveneto) a pubblicare energici documenti contro l’ideologia di genere? E non è stata proprio la Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America a intervenire in una causa giudiziaria per difendere la libertà di coscienza? Quella libertà di coscienza e d’espressione la cui tutela è la ragion d’essere delle Sentinelle in piedi, il loro proprium. È liturgia, bellezza C’è poi un ingrediente del successo delle Sip mai abbastanza sottolineato. Nelle ormai famose veglie, la precisa disposizione nello spazio delle Sentinelle è molto più che un brand: è in qualche modo liturgia. Le Sentinelle hanno preso sul serio la lezione di McLuhan, e se davvero «il mezzo è il messaggio», in quelle piazze accerchiate da contestatori indiavolati, ai fischietti e agli slogan hanno preferito da subito il più potente e arcano linguaggio simbolico. Il silenzio, l’ordine, l’armonia sono la risposta al caos, lo spirito apollineo contro quello dionisiaco, l’equilibrio e la purezza come categorie dello spirito. E come nella liturgia lo scopo della velatura non è nascondere gli oggetti ma mostrare ciò che sono realmente, così il silenzio delle Sentinelle parla, grida. E lo fa alla volta dei secolarismi impazziti, del totalitarismo che non tollera la libertà di pensiero, della “cosificazione” della vita umana. Perché contro il Califfato relativista d’Occidente «è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio». n 32 | 8 ottobre 2014 | | C onfesso a Dio onnipotente e a voi fratelli. In premessa confesso. Ho le mie colpe. Ho contribuito a far nascere il principale partito della sinistra italiana, sono stato candidato alla segreteria nazionale alle primarie fondative (eravamo in cinque, non sono neanche arrivato ultimo, ma quarto) di quel Pd veltroniano nel 2007; ne ho scritto lo statuto, ne sono stato dirigente e pure parlamentare. Poi, dopo aver deciso di non ricandidarmi a deputato, non pago ho pure scritto un libro dalla copertina rossa che insiste sulla parola “resistenza” (il titolo del libro è Voglio la mamma, qualcuno di voi l’ha letto?). Capirete che è normale, dato questo retaggio, che mi compaia di tanto in tanto in sogno il compagno Lenin pronunciando il suo slogan più famoso: “Che fare?”. Che fare davanti all’avanzata nelle scuole dell’ideologia del gender? Che fare davanti a chi vuole mettere in una legge sulle unioni gay la stepchild adoption, cioè la legalizzazione ipocrita della pratica dell’utero in affitto? Che fare davanti a chi conciona di omogenitorialità e di omofobia, concetti dai contorni labili, provando a varare il ddl Scalfarotto che vorrebbe impedirci persino di parlare? Che fare davanti agli inneggianti alla fecondazione eterologa che sono riusciti a metterla nei livelli essenziali di assistenza? Che fare davanti alla Corte costituzionale che legittima l’eterologa scrivendo nelle motivazioni della sentenza una bestialità giuridica che definisce «incoercibile» il «diritto ad avere un figlio»? Che fare davanti ai fautori dell’aborto di massa dei bimbi down che si commuovono davanti ai video dei bimbi down; davanti ai campioni della lotta alla discriminazione che ti discriminano e ti definiscono «bigotto, retrogrado e medievale» (nel mio caso anche «ciccione di m…») se non la pensi come loro; davanti ai teorici dell’eugenetica e della soppressione degli esseri umani “deteriorati” anche con l’infanticidio e l’eutanasia che poi scopri essere animalisti convinti (andate a leggere chi è e cosa scrive Peter Singer, insegna a Princeton)? Che fare davanti all’offensiva carica di denari, perché è tutta una questione di denari, di chi vuole definitivamente affermare che le persone sono cose e dunque i bambini si possono comprare e vendere, i gameti si possono comprare e vendere, gli uteri si possono affittare, i “prodotti” malriusciti o ormai consunti si possono eliminarare? Che fare? Occorre rispondere. Mobili- BISOGNA INFORMARSI, DIVENTARE CONSAPEVOLI DI QUELLO CHE STA ACCADENDO. OCCORRE PROCLAMARE UNA VERITÀ. VOGLIO FAR RAGIONARE LA SINISTRA ITALIANA E RISVEGLIARE IL GUSTO DELLA LOTTA DEL MONDO CATTOLICO tarsi. Scendere in piazza, come le Sentinelli in piedi in cento piazze di tutta Italia. Occorre informarsi e diventare pienamente consapevoli. Occorre proclamare una verità: siamo uomini e donne, ma quali gender studies. Non solo. Tutti noi proveniamo dall’unione di un uomo e di una donna. Tutti. Indistintamente. Questa è una verità e, come diceva Husserl, la verità ha una caratteristica: è autoevidente, non c’è bisogno di dimostrarla. I miei obiettivi Oltre a rispondere, oltre a mobilitarsi, oltre a scendere in piazza, oltre a informarsi e oltre a proclamare le più basiche verità, occorre ragionare. Ragionare noi stessi e avviare un ragionamento. Io ho due obiettivi: far ragionare la sinistra Mario Adinolfi ha contribuito a fondare il Pd nel 2007, ne ha scritto lo statuto, ne è stato dirigente e pure parlamentare. Oggi è anche lui una Sentinella IL LIBRO VOGLIO LA MAMMA Mario Adinolfi Youcanprint 13 euro do dal nulla circoli che sono attivi ormai in tutta Italia, dal 13 gennaio 2015 risponderemo ogni giorno attraverso un quotidiano. Si intitolerà La Croce, come l’omologo che da 140 anni i francesi trovano nelle loro edicole. italiana, quella devastata da una desertificazione culturale per cui da decenni il massimo della formazione è stato restare in sezione a guardare Happy Days (non è mia, è di Nanni Moretti, che in un film fa pure l’imitazione di Fonzie); e poi risvegliare il gusto della lotta del mondo cattolico, che unito e libero da qualsiasi tentazione divisiva, capisca che l’offensiva di coloro che vogliono trasformare le persone in cose è in atto e merita una risposta veemente a difesa della dignità e della libertà del soggetto più debole. E il soggetto debole, lo dico da uomo di sinistra anche se non più iscritto al Pd, tra la coppia di omosessuali ricchi che si vogliono comprare un bambino affittando l’utero di una donna bisognosa e il neonato che appena nato viene strappato al seno materno e consegnato come un pacco agli acquirenti, è senza dubbio il neonato. L’altro soggetto debole, i cui diritti andrebbero tutelati, è la madre a cui è strappato il figlio e che si sottopone a questa umiliazione della propria anima (perché per una donna la maternità è l’anima) per una condizione di bisogno, per denaro. Che fare? Rispondere giorno dopo giorno. Sono stanco di leggere ogni mattina Repubblica che se ne inventa una nuova. Oggi era il turno dell’incesto: una bella paginata per depenalizzare l’incesto, perché «il sesso deve essere libero». In Europa temi del genere si accompagnano sempre alla questione della pedofilia, che secondo gli stessi andrebbe parimenti depenalizzata. Ieri c’era il teologo cattolico che teorizzava la bellezza dell’eutanasia. Il giorno prima Roberto Saviano che ci spiegava che chi è contro il matrimonio gay e «l’omogenitorialità» è «retrogrado e bigotto». E poi le paginate a favore dell’eterologa e quelle contro i preti pedofili, le storie filoabortiste e quelle a sostegno dei poliamori. Ogni santo giorno che Dio manda in terra ce n’è una. E quando la magistratura fa la sua sentenza, palesemente contra legem ma atta a «supplire alla debolezza della politica sui diritti civili», ecco che scatta l’obbligo di applauso mediatico: viva il tribunale di Grosseto che fa trascrivere i matrimoni gay all’anagrafe; viva il tribunale di Milano che assolve la 54enne milanese che s’è andata a comprare un bimbo in India e l’ha dichiarato come figlio proprio; viva il tribunale di Roma che decide che una bimba può avere due mamme e nessun papà. E noi, che facciamo noi? Noi del gruppo che ha sostenuto la diffusione di Voglio la mamma, inventan- Il nuovo quotidiano Si intitolerà così perché, come spiegava papa Benedetto XVI, la Croce è lo specchio dell’umanità. E io non ho nessun odio per questi affittatori di uteri, cacciatori di bimbi, soppressori di nascituri o di anziani. Non ho nulla contro costoro, vedo tutta la loro dolente umanità, anche la loro specchiata nella Croce. Proveremo a parlare e a spiegare ogni giorno con un quotidiano cartaceo – presente in edicola e sui vostri tablet o pc –, perché c’è bisogno di resistenza contro l’avanzata di chi vuole riportare le lancette dell’orologio a duemila anni fa, quando le persone erano cose, quando potevano essere comprate o vendute in schiavitù, quando potevano essere uccise con il gesto di un dito di un imperatore, quando potevano essere gettate da una rupe se nate con difetti. Poi arrivò un Segno, la Croce appunto, e liberò l’umanità. Noi, laicamente e in modo totalmente aconfessionale, senza alcun moralismo perché siamo peccatori incalliti, parleremo di quella liberazione che sostiene la nostra libertà e comporta un obbligo di sostegno ai diritti dei soggetti più deboli. E i soggetti più deboli sono il nascituro, l’anziano malato, la donna bisognosa, tutti coloro che un mondo senza cuore si appresta a considerare “scarti”, come spiega bene papa Francesco invitandoci a reagire a questo tipo di cultura. Le persone non sono cose, i figli non si pagano, gli uteri non si affittano, i malati non si uccidono. Forti di queste verità, ci apprestiamo a testimoniarle con ancora più costanza. Al compagno Lenin ho dato la mia risposta. | | 8 ottobre 2014 | 33 DECLINO E CADUTA R ivolgendosi all’Onu Matteo Renzi è stato estremamente chiaro, inglese a parte, nell’avanzare un fondamentale distinguo riguardo al delicato scenario geopolitico: con fermezza ha spiegato che bisogna distinguere fra politica e religione, fra fede e terrore, e che pertanto lo Stato islamico non ha niente a che fare con l’islam. Si tratta tutt’al più di una coincidenza fortuita se non di una malaugurata omonimia, come quella fra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha appena ordinato raid aerei sulla Siria, e il premio Nobel per la pace Barack Obama, che ha declinato ogni responsabilità riguardo al gesto aggressivo e folle del presidente. Poiché conoscere aiuta a capire, abbiamo chiesto lumi a un portavoce del califfo al Baghdadi, lo sceicco Abu Mohammed al Antani al Nin al Frassiq Bin-Bun-Ban, riverito esponente dell’islam moderato, il quale ci ha accordato un colloquio esclusivo ricevendoci direttamente nel proprio arsenale. La prima domanda non poteva che vertere sulla distinzione fra i poteri temporale e spirituale nel neocostituito califfato. Lo sceicco esclude ogni confusione al riguardo; gli preme piuttosto specificare che Obama è il mulo degli ebrei, il somaro dei cristiani, che pensa di essere più intelligente di Bush ma ciò è impossibile in quanto ha le orecchie a sventola. Interrogato riguardo all’eventualità che la Turchia di Erdogan possa entrare nell’Unione Europea, lo sceicco ribadisce che Obama è proprio il bardotto dei cingalesi, la giraffa degli ittiti, l’ornitorinco dei visigoti; e si dice certo di avere già incontrato sua moglie, la deliziosa Michelle, in un qualche zoo – complimento che gli esperti di equilibri internazionali ci assicurano rientrare fra i più raffinati che possano essere rivolti a una signora senza costituire vincolo unilaterale di matrimonio. Di sicuro, suggeriamo, il grande rivolgimento in atto nelle gerarchie ecclesiastiche favorirà il dialogo interreligioso. Anche lo sceicco ne conviene: «I muwwahhid, i musulmani devoti, devono colpire gli infedeli ovunque si trovino. Devono rendere amare le loro vite, colpire le loro forze dell’ordine, sculacciare i loro bambini, IL PORTAVOCE DEL CALIFFO AL BAGHDADI «Conquisteremo le vostre donne. Ci ha persuasi un articolo di Severgnini» | DI ANTONIO GURRADO bianchi, stanno sempre a combattere coi gomiti sul bracciolo e se fate una battuta la capiscono dopo due giorni». rigare le loro automobili, infilare stuzzicadenti nei loro citofoni, chiamare i loro numeri fissi all’ora di pranzo e dire: “Buongiorno signora, sono Alì Bin-Tali-Whalib Al-Moqtadi Ur-Faust, ha mai pensato di rasserenare il suo futuro con un piano assicurativo estremamente vantaggioso?”. Devono uccidere tutti i miscredenti americani ed europei, in particolare i francesi che hanno la puzza sotto il naso e sono tutti gnè gnè gnè, per non parlare degli italiani che parlano a voce alta nei ristoranti e parcheggiano in doppia fila. E i tedeschi! Siete mai capitati seduti di fianco a un tedesco in autobus? Indossano i sandali coi calzini L’umanità dello sceicco La grande sorpresa lo sceicco la riserva però sul ruolo delle donne. «Verremo in Italia e conquisteremo le vostre donne. Ci ha definitivamente persuasi a farlo l’articolo di Beppe Severgnini in occasione della Festa del #tempodelledonne, organizzata dal blog La 27 Ora, tre giorni con più di cento eventi in tutta Milano per far sì che le donne si sentano libere di spaziare con la fantasia e pure con il corpo, con la matematica e il proprio talento. L’importante è non accontentarsi: la bellezza è solo uno strumento, la sfida è essere originali come la Dama del Pollaiolo, secondo le dichiarazioni rese dall’attrice Cristiana Capotondi che ha indossato le vesti della giovane rinascimentale per rappresentare la via gentile all’affermazione della donna». Riposta la propria copia di Sette del Corriere della Sera, lo sceicco ci ha congedati ricordandoci che il tempo a nostra disposizione era scaduto e assicurandoci che si sarebbe personalmente premurato di far riconsegnare le nostre teste ai familiari. | | 8 ottobre 2014 | 35 CULTURA 36 | 8 ottobre 2014 | UNA GRANDE STAGIONE | Classic Voice ha definito il Donizetti di Bergamo «il più virtuoso dei teatri della tradizione». Nella foto, una scena tratta dall’opera Lucia di Lammermoor | DI MARIAPIA BRUNO Il teatro che punta sui giovani Così Francesco Bellotto è riuscito a raddoppiare gli incassi e a fare quadrare il bilancio del Donizetti di Bergamo. «Ascoltiamo 500 voci all’anno per scovare nuovi talenti». Come Maria Agresta, che prima di arrivare alla Scala è passata da qui Q di Lucia di Lammermoor potrebbe dar il via alla nuova stagione del Teatro Donizetti di Bergamo, e venir anche eseguita con le acutissime, difficili e impervie tonalità originali, accompagnate da strumenti che non si usano più, come i corni naturali, i tromboni a pistoni (e non quelli a coulisse), e l’armonica a bicchieri? Se la scelta è ricaduta sul libretto contenente la scena della pazzia più famosa della storia dell’opera, vuol dire che di più non si può trovare. Ma come si fa a organizzare e a portare avanti il programma che deciderà le sorti del Teatro da qui al prossimo anno? Una chiacchierata con Francesco Bellotto, direttore artistico del Donizetti, ha chiarito abbastanza le idee e ci ha proiettati sul palcoscenico, luogo dove attori, cantanti, registi e direttori uniscono le forze per creare quella forma d’arte uale miglior opera che viene fruita ogni volta in modo diverso e straordinariamente unico. Il nostro interlocutore sul palcoscenico ci è cresciuto, facendo la comparsa negli anni dell’università, quando studiava musicologia, lavorando poi come attrezzista, attore, direttore di scena e autore di testi. «La mia è la storia di una passione piuttosto antica. Ho avuto la fortuna di approdare a Bergamo, dove c’è il teatro di tradizione più antico della Lombardia e la sala teatrale più grande d’Italia. È dedicato a Donizetti, un autore geniale, che può essere considerato il Mozart italiano, sia per la facilità di invenzione che per la profondità. Dopo aver consegnato la mia tesi di laurea, ho iniziato la mia carriera in questo campo e non ho più smesso». Oggi Bellotto ha in mano la direzione artistica e l’impegno si è moltiplicato. In un teatro di tradizione come quello | | 8 ottobre 2014 | 37 CULTURA UNA GRANDE STAGIONE «RISPETTO ALLE FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE, SIAMO TEATRI DI SERIE B. NON CI SONO MOLTI SOLDI MA RIUSCIAMO AD AVVICINARE AL TEATRO UN PUBBLICO MOLTO GIOVANE» di Bergamo, la struttura organizzativa è piccola e agile, l’opposto di quella dei grandi teatri dell’opera; il direttore artistico si occupa di diversi aspetti che vanno dalla scelta delle persone, alla supervisione della grafica, alla sfera della comunicazione. «Noi siamo teatri di serie B, la serie A è delle Fondazioni lirico sinfoniche, aziende dove ci sono centinaia di dipendenti. Ma la crisi non risparmia nessuno. E mentre in quelle realtà, dove con la riforma Bray i sovrintendenti sono diventati amministratori delegati, si evidenziano sempre più tutte le criticità dei bilanci di gestione che dimostrano una spesa di funzionamento che costa molto di più del prodotto che viene distribuito, nei teatri come il nostro le spese vengono commisurate alle risorse disponibili». Un appeal internazionale II Teatro Donizetti, definito da Classic Voice il più virtuoso dei teatri della tradizione, si serve di una struttura più snella possibile: tutti i dipendenti sono a contratto e le risorse vengono scelte a seconda dei progetti. E mentre si adotta la filosofia del risparmio ci si impegna al massimo nel divulgare l’opera il più possibile. «Non ci possiamo permettere un euro di deficit. Da quando, nel 2006, abbiamo dato vita al Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti gli incassi sono quasi raddoppiati, da circa 180 mila euro all’anno, a 350 mila. Il festival è importantissimo per la nostra città e la mette in primo piano: lavorare puntando sul nome di Donizetti significa fare incoming di tipo turistico. Il compositore ha un appeal internazionale straordinario e attraverso Donizetti offriamo al pubblico le bellezze di Bergamo». Da quasi dieci anni il teatro è diventato un organismo dove le maestranze lavorano in maniera sinergica, una sorta di fabbrica di professionalità che danno il loro meglio in campi diversi: sono stati costruiti gli organici, selezionati i diret38 | 8 ottobre 2014 | | Francesco Bellotto, classe 1961, si è laureato in musicologia a Cremona. Oggi è direttore artistico del Donizetti di Bergamo tori d’orchestra, gli artisti del coro e vengono organizzate, a livello europeo, diverse audizioni per giovani cantanti. «Ascolto 400-500 voci all’anno. Rispetto ai teatri più grandi rischiamo e scommettiamo su giovani non ancora conosciuti». Ma come in ogni azienda non mancano gli imprevisti: «Una volta abbiamo portato in scena La Favorita e si è ammalata la protagonista femminile. La sostituta l’abbiamo trovata in Uruguay. Sono cose che possono succedere, dobbiamo essere pronti a tutto». E volte alla bravura si aggiunge la fortuna: «È il caso della Gemma di Vergy, opera rarissima che le interpreti non vogliono mai cantare per la fatica che richiede. Quando la portammo in scena abbiamo avuto la fortuna di far debuttare Maria Agresta. Adesso è forse il primo soprano lirico in Italia. Alla seconda recita abbiamo avuto una bellissima critica sul New York Times». Le scuole in sala Bellotto ricorda anche la faticosa messa in scena del Marin Faliero di Donizetti e dei Puritani di Bellini. Il tenore scelto da Bellotto per I puritani si ammalò ma per fortuna, dopo qualche momento di terrore, arrivò un tenore in carriera che lo sostituì salvando la recita. Nonostante qual- che lamentela da parte degli spettatori tutto andò per il meglio. Certo la bravura di interpreti e registi, per il successo della messa in scena, è fondamentale. Ma è comunque il pubblico il giudice ultimo. E gli abbonati del Donizetti di Bergamo sono molto competenti: le domande che pongono sono precise e non permettono errori: «Una volta sentii delle persone protestare ad alta voce perché non gradivano il direttore d’orchestra. Quando decisi di intervenire mi diedero del gelataio». Ma un altro tipo di pubblico sta sbocciando nel panorama operistico, quello dei giovani e dei giovanissimi. Dopo il Festival, è nato il progetto La scuola all’Opera: prepara gli insegnanti a guidare gli studenti nello studio del libretto. L’opera Betly è stata distribuita alle scuole dell’obbligo, e le 8 recite portate in scena sono state apprezzate da oltre 6 mila spettatori. Anche l’apertura al pubblico delle anteprime, a cui gli under 30 possono accedere pagando un biglietto di soli 10 euro, ha catturato nuovi fruitori. «Solo la scorsa settimana abbiamo avuto più di mille persone. In Lucia di Lammermoor quattro cantanti delle tre parti principali dell’opera hanno meno di 30 anni, e chi interpreta Lucia ne ha 26, la stessa età della protagonista di cui veste i panni». n STILI DI VITA CINEMA IL PARADISO DELLA PIZZA, VIMERCATE (MB) Pasto sublime, per intenditori IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina U n “non luogo” può essere il posto giusto dove trovare, senza aspettarselo, una pizza eccellente. Anzi, tra le migliori. Vimercate, tra Monza e Milano, è un paese che non dirà molto al viandante. Però proprio qui, in un piccolo centro commerciale (non stiamo scherzando), c’è una delle più buone pizze della regione. Il Paradiso della Pizza, si chiama. Un posticino per il quale la galleria del centro commerciale resta aperta anche ben oltre l’orario di chiusura. Marco Locatelli e Giulia Battafarano sono qui, in questo buco con pochi tavolini di plastica, ma con un gran forno a legna. Qui si fa la pizza. Ma non la pizza snervata, americanizzata e melensa delle pizzerie “popolari”, particolarmente infestanti in Brianza. Qui si lavora su impasti, farine, lievitazioni con molto criterio. Sicché, ecco impasti realizzati a partire da pasta madre, integrali e non, con accorgimenti quasi certosini nel dare un risultato morbido e croccante, del tutto digeribile. Spettacolari le farciture: su una base di pomodoro San Marzano autentico, dell’Agro Sarnese-Nocerino, trova posto la classica mozzarella per la Margherita, semplice e sublime. Ma questo è solo il punto di partenza. Potrebbe capitarvene una con bresaola stagionata di Sergio Motta (come dire, la Rolls Royce delle bresaole), Parmigiano 30 mesi e porcini della Lunigiana, il tutto su una base di pasta addizionata con le trebbie, ossia le rimanenze dell’orzo usato per fare la birra. Oppure, una pizza “fuori menù” che abbiamo provato due settimane fa: la “Fagiolo Magico II”, impasto integrale con appunto fagioli borlotti, guanciale di cinta senese di Falaschi (San Miniato) e pecorino di fossa. Sublime. Ma di varianti ce ne sono molte. Basta consultare il sito web, ben fatto e molto aggiornato, svela anche le varie “pizze della settimana”. Da bere, una scelta encomiabile di birre di qualità, specie artigianali italiane ma non solo. Servizio quasi a self service. I prezzi delle pizze vanno dai 4.30 della Marinara ai 9 euro delle più elaborate. Amici miei LIBRI/1 Un grande dialogo tra Severino e Scola Il morire tra ragione e fede è un libretto edito da Marcianum Press (97 pagine, 9 euro) che riporta un dialogo tra il filosofo Emanuele Severino e il cardinale Angelo Scola. Il confronto tra Severino e Scola indica con forza che il parlare della morte è un tema che annuncia, sotto le ceneri dello smarrimen| 8 ottobre 2014 | Tutti i meriti del fenomeno Neeson Negli anni Novanta un detective privato viene ingaggiato per risolvere una lunga serie di rapimenti. Discreto noir citazionista che parte subito bene con un ottimo Liam Neeson, cupo e di poche parole. Una sparatoria violenta in un bar, lui che fa un mazzo così ai banditi un po’ come Bronson ne Il giustiziere della notte. Gli ingredienti in effetti sono quelli: una bella cornice vintage, la figura carismatica e silenziosa di un detective con un passato da poliziotto e tan- HOME VIDEO Tracks – Attraverso il deserto, di John Curran Un viaggio impossibile Una donna decide di percorrere da sola il deserto australiano. Impressionante da un punto di vista scenico, dei paesaggi e della fotografia; Tracks è la conferma del talento di John Curran come grande illustratore (era regista del buon Il velo dipinto) che fatica però a rendere appassionanti le proprie storie. Che in questo caso è bella, per quanto le manchi una certa grandezza tragica: la vicenda di una donna testarda e di un viaggio contro tutto e tutti per affermare se stessa. Per informazioni Il Paradiso della Pizza ilparadisodellapizza.it Via Passirano, 20 Vimercate (MB) Tel. 0396085894 Chiuso domenica a pranzo e il lunedì 40 La preda perfetta, di Scott Frank | to contemporaneo, la ripresa di un discorso relativo all’essere al mondo, nella consapevolezza che oltre i tratti più dolorosi del credersi “mortali” appare ciò che più anticamente siamo, insieme al mondo che ci accoglie. Il dialogo si concentra su due temi: il rapporto tra fede e ragione e il significato della libertà. Se per Scola la libera adesione a Cristo è la via della salvezza, per Severino la libertà appartiene invece all’essenza del nichilismo e la fede sta alla radice dell’errore perché è la volontà di tenere fermo ciò di cui non appare l’impossibili- tà del contraddittorio. Le pagine di questo breve volume sono un invito a meditare il senso della verità dell’essere e delle sue implicazioni. EVENTI Presentato il rapporto sociale 2013 di Sisal L’impegno di responsabilità, il valore delle persone nella loro diversità, il gioco di squadra, la cura e il rispetto dei consumatori e lo slancio all’innovazione per continuare a crescere: sono i valori che guidano la strategia di responsabilità sociale del gruppo Sisal e i suoi comportamenti di business. E che quest’anno hanno ispirato la rendicontazione delle attività del Programma di Responsabilità dell’Azienda, il Rapporto Sociale 2013, presentato il 23 settembre a Roma presso la Lanterna di Fuksas. Fil rouge dell’evento il “valore sociale” nell’ambito del welfare aziendale, della comunità, della centralità delle persone e della cultura. Tanti i progetti sviluppati sul territorio. Dal focus sull’innovazione sociale, sulla formazione, il sostegno all’arte e sulla promozione del talento. INDAGINE SUI RAGAZZI to da farsi perdonare. E ancora: cattivissimi sadici alla maniera del Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, un ragazzino che gioca a fare Philip Marlowe e una discreta gestione della suspense. Non è un capolavoro e non è nemmeno originale: anzi, specie nel rapporto tra il detective e il ragazzino, ci sono molte ovvietà e ripetizioni. Ma Liam Neeson è un fenomeno: duro e sofferente, riesce a rendere credibile il suo personaggio e avvincente un film imperfetto e prevedibile. visti da Simone Fortunato Il pericolo di essere social Il regista Scott Frank COMUNICANDO CULTURA IN BOTTIGLIA La storia insegnata con il vino La Cantina Signae di Bastardo (www.rossobastardo.it) lega il proprio nome alla tradizione religiosa e popolare umbra, con etichette di punta come il RossoBastardo, il Sagrantino di Montefalco e il Sémele Passito, pregiato vitigno autoctono tramandato nei secoli all’interno delle mura conventuali bene- dettine. Il Sémele sarà dal 754 al 1870 il vino scelto dai Papi per la celebrazione eucaristica, in virtù di particolari quali- MAMMA OCA di Annalena Valenti V la risposta sugli ultimi dati dell’indagine “Abitudini di vita degli adolescenti italiani” dell’anno 2014, fatta su 2 mila studenti di terza media dalla Società Italiana di Pediatria? Avete vinto, le parole social network, internet, instagram, whatsapp, la fanno da padroni. Il 93 per cento degli interpellati bypassa completamente il controllo dei genitori sul computer con gli smartphone; 8 su 10 usano whatsapp. I ragazzi più a rischio sono quelli che usano almeno tre social, lo sanno bene le scuole dove i casi di cyberbullismo con uso di facebook o instagram stanno aumentando. Tra i meno social il 4,9 per cento ha dichiarato di essersi già ubriacato, la percentuale sale a 21,7 per cento tra i più social, il 44 ha dichiarato di fumare. Per il 60 per cento internet è irrinunciabile, ultimo pensiero della sera e primo del mattino. E se la corsa ad avere più “like” impazza, di pari passo aumenta l’insicurezza e l’insoddisfazione per il proprio essere reale, soprattutto tra le ragazze: 6 su 10 si vorrebbero più magre, il 35 per cento ha già fatto una dieta dimagrante, 8 su 10 si vorrebbero più belle. Fa il suo ingresso tra i comportamenti a rischio il gioco d’azzardo. Quello che invece non cambia è ciò che di volta in volta dicono gli esperti, prima era la televisione, poi il computer, ora i social: «Non vanno demonizzati, il problema è l’abuso». Prendersi la responsabilità di una strada da indicare? mammaoca.com olete scommettere tà delle uve che lo rendono tra i più dolci, ricchi in polifenoli e tollerabili a stomaco vuoto. Con la proclamazione del Regno d’Italia la vinificazione si riduce e riprenderà solo nel 2000, quando l’ingegner Cesarini si fa promotore della territorialità umbra, valorizzando i vitigni tra i più poliedrici e ricchi del Belpaese. Una eredità dal riscontro internazionale pari all’83 per cento dell’intera produzione, che ha meritato l’interesse del Vaticano: il Sémele Passito accompagnò il volo papale di Benedetto XVI in Africa ed è stato scelto nel menù ufficiale di bordo del viaggio apostolico di papa Francesco in Corea del Sud. Passando attraverso un vino, Cesarini consegue un intento di trasmissione paragonabile al messaggio degli artisti, con il seguente auspicio: «Bilanciando la composizione del RossoBastardo con Sangiovese, Merlot, Cabernet e un 10 per cento di Sémele, volevo trasmettere quella formidabile morbidezza che ben incarnasse l’identità dell’Umbria, un territorio sinuoso e collinare con un popolo apparentemente ombroso ma tra i più ospitali d’Italia». Giovanni Parapini | | 8 ottobre 2014 | 41 motorpedia WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO Moto Guzzi V7 II È una delle moto classiche più amate, oggi può anche vantarsi di essere una delle più tecnologiche. Sì, perché la Moto Guzzi V7 II oltre a numerosi aggiornamenti porta in dote anche un corredo elettronico mai visto prima su una moto classica. La V7 II, questa la nuova denominazione, può infatti vantare di serie ABS e controllo di trazione. Il motore è stato aggiornato con l’arrivo di un nuovo cambio con rapporti ravvicinati e di una frizione più morbida. Inoltre migliora l’abitabilità grazie a pedane più basse di 25 millimetri. Non cambiano invece l’estetica e le tre versioni Stone, Special e Racer che già contraddistin[sc] guono la versione attuale. Disponibilità a partire da novembre 2014. 42 | 8 ottobre 2014 | | AUMENTANO LUNGHEZZA E ALTEZZA. ASPETTO CURATO E TANTE POSSIBILITÀ DI PERSONALIZZAZIONE Nasce Adam Rocks, city car grintosissima L La nuova Moto Guzzi V7 II sarà disponibile a partire da novembre a moda dello stile “tuttoterreno” contagia anche la piccola di casa Opel. Rispetto alla Adam tradizionale, sulla Rocks cambiano le dimensioni, con 4 centimetri di lunghezza in più – anche se il passo resta invariato (rispettivamente 374,7 e 231 centimetri); come si addice a un’auto che aspira a spingersi un po’ oltre l’asfalto aumenta anche l’altezza di 1,5 centimetri (ora a 14 centimetri da terra). Sulla Rocks migliorano anche ammortizzatori, molle, geometria delle sospensioni posteriori e sterzo, ma a catturare lo sguardo è il suo aspetto ben curato e grintosissimo, con i cerchi da 17” (opzionali da 18”), le slitte paracolpi color argento e le protezioni plastiche a contrasto con i paraurti. Spicca tra le novità di serie la capote in tela Swing Top dalle dimensioni molto generose, che si ripiega elettricamente sui montanti posteriori in 5 secondi e consente di provare il piacere della guida en plein air. Praticamente infinite, come da tradizione Adam, le possibilità di personalizzazione: per la Rocks si può scegliere infatti tra 17 colori della carrozzeria, 6 del tetto, varie clips per i cerchi e 22 finiture dell’abitacolo. L’abitacolo è accogliente e molto ben curato: il volante sportivo e i sedili sono riscaldabili; bagagliaio e spazio sulla panca posteriore sono invece ridotti ai minimi termini. All’interno spicca poi il sistema di infotainment Opel IntelliLink, compatibile con smartphone sia Android sia iOS e forte di BlueAGILE NELLO STRETTO tooth, Usb, streaming audio, touchscreen a colori da 7”. E VELOCE NEI CAMBI Alla guida la Adam Rocks si DI DIREZIONE. SI PUò dimostra agile nello stretto e veGIÀ ORDINARE IN loce nei cambi di direzione nei ATTESA DI VEDERLA tratti più guidati; lo sterzo è dal vivo. DA 16.400 sempre preciso e diretto. L’assetEURO, AL LANCIO to è rigido e, nonostante l’altezofferta CON 2 MILA EURO di sconto za maggiorata di 1,5 centimetri, ciò garantisce sempre un’apprezzabile stabilità. Sportiva, dunque, e anche appagante, a scapito però di un po’ di comfort. Promossi a pieni voti l’insonorizzazione dell’abitacolo e il motore tre cilindri Ecotec, sempre brillante e molto lineare nell’erogazione, oltre che parco nei consumi. È una delle novità più attese che la Adam Rocks porta con sé ed è disponibile negli step da 90 e 115 cavalli – in abbinamento alla trasmissione manuale a 6 rapporti, nuova anch’essa – che va ad affiancarsi ai 4 cilindri 1.2 (da 70) e 1.4 (da 87 e 100 cavalli). Opel Adam Rocks si può già ordinare, in attesa del “porte aperte” presso le concessionarie previsto a metà novembre. I prezzi? Da 16.400 euro, ma per il lancio sarà offerta con uno sconto di 2.000 euro. Marco Sormani | | 8 ottobre 2014 | 43 LETTERE AL DIRETTORE È difficile intendersi in questo tempo italiano di risse sul baratro M i permetto un paio di questioni veloci veloci in merito ad argomenti recenti. Qualcuno è in grado di spiegare come mai i soldi che non si trovano per rimediare ai soprusi compiuti a danno delle famiglie – mi passi il termine – “vedove” sono prontamente usciti per includere la fecondazione eterologa nei trattamenti effettuati a spese del Servizio sanitario nazionale? Due notizie di questi ultimi giorni: a Venezia una “bomba d’acqua” ha distrutto/danneggiato cataloghi d’arte e libri antichi custoditi, si fa per dire, presso l’Accademia delle Belle Arti; a Roma il maestro Riccardo Muti ha rassegnato le proprie dimissioni dal Teatro dell’Opera. Ma… dimissioni del ministro della Cultura? Gianni Vigogna via internet È difficile intendersi in questo tempo mediatico italiano che adora i capricci dei singoli e alimenta la rissa in comunità quando singoli e comunità sono sul ciglio di un baratro. 2 L’ho intravista discettare di prostituzione alla Gabbia di Paragone. Ma perché calca certi palcoscenici? Felice Sottili via internet Perché la puntata è valsa la pena anche solo per ascoltare Sgarbi. E poi ho finalmente capito chi è Antonio Razzi, il senatore imbarcato in Forza Italia assieme alla liceale per far perdere voti a Silvio Berlusconi. 2 Mi è parsa emblematica di molte cose l’argomentazione con cui l’Ethikrat, il Consiglio etico della Germania, ha invitato il governo tedesco e il parlamento a depenalizzare le relazioni consensuali tra sorelle e fratelli maggiorenni, ovvero l’incesto. Le riporto qualche passaggio dell’articolo scritto da Andrea Tarquini per Repubblica, che mi sembra sintetizzare efficacemente il modo di ragionare dei giuristi tedeschi, a tratti metten- dosi letteralmente nei loro panni. «Se c’è libero consenso e amore, il rapporto non può essere vietato e punito penalmente», riporta Tarquini. «E per quanto riguarda i rischi che l’eventuale prole nasca o cresca colpita da gravi malattie o ad altissimo rischio di difetti genetici e malformazioni, (…) il tema può essere affrontato in colloqui chiari in consultori con le coppie incestuose, non da poliziotti che bussano all’alba. (…) Non vogliamo sottodi Fred Perri AGASSI E LAUDA, GENTE COME NOI P er una prolusione che devo tenere (è inutile che fa- te quel sorrisetto, bastardi, sono molto ricercato) ho ripreso in mano l’autobiografia di Andre Agassi. Mi ha sconvolto nuovamente come la prima volta che l’ho letta, anche perché mi ricordo bene di certe sue esibizioni, di certe sue manifestazioni esteriori e di quello che si scriveva di lui. 44 | 8 ottobre 2014 | | Come forse sapete o forse no, Agassi comincia il libro affermando «io odio il tennis». Per uno che l’ha giocato per 29 anni, che ha vinto tutto ed è stato anche numero uno del mondo, è un’affermazione sconvolgente. Ai pochi, durante la sua carriera, che gli hanno posto la fatidica domanda: perché giochi, allora?; il tennista di Las Vegas ha sempre risposto: perché non so fare al- Foto: Ansa Il lato oscuro del campione che i giornali non esplorano mai [email protected] valutare i rischi per la prole, dicono, ma la libertà d’innamorarsi e anche quella di procreare devono essere valori costitutivi, non oggetto di politiche in cui lo Stato spinge la difesa della salute dei cittadini fino a una eugenetica punitiva, qui di triste memoria. (…) In Francia e in Spagna, sottolineano i giuristi, l’incesto non è reato. Dove lo è, accadono drammi [il riferimento è al triste epilogo del caso – assai celebre in Germania – di Patrick e Susan, due fratelli “a loro insaputa” che hanno finito per mettersi insieme e dare alla luce quattro figli, di cui due gravemente malati, per poi andare incontro lui al carcere e lei alla perdita della potestà sulla prole]. Certo, i figli di coppie incestuose, per i geni in comune, rischiano malattie tre volte più degli altri. Ma oggi, obietta chi vuole depenalizzare, perfino la medicina moderna, con la donazione di sperma e le madri in affitto, accresce il rischio di geni in comune di figli di genitori ignari». Ecco, a parte quest’ultima notazione abbastanza inquietante sui (trascurabili?) effetti collaterali di eterologa e utero in affitto, altre belle “conquiste civili” ottenute sempre in virtù del libero consenso e del #LoveIsLove, ormai è evidente che siamo arrivati al dunque: con la nostra logica di sentimenti e diritti totalmente astratti dalla realtà abbiamo dimostrato che l’amore può giustificare tutto… e perché, dopo l’incesto, la pedofilia no? Tra l’altro la disputa è doppiamente emblematica, non solo per il merito, ma anche per la rilevanza sociale: in effetti, per quanto terribili possano essere i «drammi» creati dall’attuale legislazione, perché IL RAPPORTO DI UNA MISTICA CON LA CARNE DI CRISTO Quando proibirono a santa Caterina di ricevere l’amatissima comunione CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano L’ esperienza dei mistici può aiutare me e tanti altri che mistici non sono. Santa Caterina da Siena desiderava così fortemente di ricevere la santa comunione che un giorno l’ostia consacrata volò da lei che stava nel fondo della chiesa. Un’altra volta un episodio simile si colorò di aspetti pratici che si rivelarono buffi. Caterina desiderava ricevere la comunione e si recò nella vicina chiesa di San Domenico dove il frate Raimondo da Capua, suo confessore, avrebbe celebrato la Messa. Era però tardi e, siccome Caterina cadeva in estasi dopo aver ricevuto il Signore sacramentato, le proibirono di comunicarsi perché la chiesa doveva chiudere e non sapevano come fare con una in quello stato. (Anche san Giuseppe da Copertino andava in estasi quando andava nel coro e s’innalzava in volo, tanto che gli proibirono di scendere nel coro con gli altri. Quando si dice che i santi danno fastidio…). Caterina pazientemente accettò di non ricevere la comunione. Ma mentre fra’ Raimondo concludeva il rito si accorse che una parte dell’ostia consacrata, che aveva frazionato, non c’era più. Pensando che fosse caduta, la cercò in ogni modo e disse al sacrestano di non toccare nulla perché doveva recarsi momentaneamente dalla Santa e al ritorno l’avrebbe ancora cercata. Caterina gli parlò e alla fine del colloquio aggiunse, con un sorriso, di non angosciarsi per quella frazione di ostia che non trovava. Fra’ Raimondo capì. E anch’io ho capito meglio come mi devo accostare al più bel dono di Dio. mettere in piedi tutto questo casino quando per le relazioni incestuose, informa sempre Repubblica, «statisticamente in Germania le condanne sono al massimo dodici l’anno»? Suona tanto come l’utile occasione idiota per far passare una certa chiara idea. Paco Minelli Ferrara Riguardo all’articolo su Rosmini nell’ultimo Tempi: la persona che egli incontrò fu davvero Matilde di Canossa? Marina Maffei via internet Ce n’è una nuova ogni giorno, come scrive il nostro Adinolfi. Non si vede l’uscita e forse non c’è. O forse Lapsus. Di Canossa, il beato Antonio incontrò Maddalena (1774-1835) e non Matilde (1046-1115), of course. morire, dormire, sognare forse… C’è chi dice e c’è chi risponde a Lenin. 2 Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES tro. Mi è venuta in mente una frase di Niki Lauda sulla Formula 1: «Io non faccio il pilota per passione, lo faccio per i soldi. Se trovassi un altro modo meno pericoloso di guadagnare, cambierei domani». È il lato oscuro del campione, quello che noi non conosciamo ma pretendiamo di giudicare. In questi racconti, ahinoi, i giornalisti non fanno mai una bella figura. Il fatto è che ci fermiamo sempre alla superficie, senza scendere in profondità. Dall’altra parte della linea c’è gente come noi, ragazzi che avrebbero voluto venire al cinema o a lumare le pupe il sabato sera e un padre-padrone ha costretto a seguire una strada che, spesso, hanno odiato con tutto il cuore. | | 8 ottobre 2014 | 45 100% 9:45 AM Leggi il settimanale sul tuo tablet daPi iPad Tempi MA 54:9 Aggiorna Home News Interni Sport Blog TEMA DEL GIORNO %001 Mosul. I terroristi marchiano le case dei cristiani con la lettera “N” (Nazarat). Per loro, niente razioni di cibo e acqua Leone Grotti TUTTI GLI ARTICOLI La fecondazione eterologa e la necessità di un rinnovato impegno perché la persona non sia ridotta a “cosa” Giampaolo Crepaldi Grillo al ristorante del Senato? È la rivincita dell’Anti-Casta Redazione Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile «Per Mourinho e per uscire dalla disperazione» E tu, perché leggi Tempi? Mandaci il tuo video Redazione Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Seguici su LETTERE DALLA FINE DEL MONDO COMPAGNI E AMICI DI UNA VITA Il ricordo di padre Alberto «Uomo umile, semplice, quindi intelligente» | DI aldo trento S dalla morte di padre Alberto, il sacerdote che per dieci anni mi ha fatto compagnia in Paraguay. E sono passati già 25 anni da quando il 7 settembre 1989, insieme a lui, sono partito da Milano con il solo biglietto di andata. È stato don Giussani a mandarmi in questo paese tropicale così diverso dal mio. E per mostrarmi tutto il suo affetto volle accompagnarmi all’aeroporto di Linate. Fu lì che mi consegnò a padre Alberto dicendogli: «Fagli compagnia». Da quel momento è stato per me un fratello, un amico e una guida senza la quale mi sarei perso nella disperazione della depressione. Riporto di seguito l’omelia che ho pronunciato a Forlì il giorno del suo funerale. ono passati alcuni mesi Caro Alberto, ricordo quando camminando nel parco dell’Iguazù ci siamo detti: il primo che sopravvive fra i due, avrà il compito di seppellire l’altro. E così eccomi qui, venuto dal Paraguay per rendere omaggio a questa promessa. È toccato a padre Alberto ritornare al Padre, anche se pensavo il contrario. Cosa ricordare di lui, della nostra amicizia se non alcuni fatti che documentano che solo vivendo per Gesù la vita è bella! E la nostra vita è stata bella perché eravamo coscienti di appartenere a Cristo. Don Giussani era certo che Alberto sarebbe stato in grado di sollevarmi da una situazione difficile. Debbo riconoscere che, dentro a tutte le difficoltà, ha saputo accompagnarmi come un padre fa col proprio figlio. Quest’amicizia da subito è stata sacramentapiù evidente della verità della DON GIUSSANI MI AFFIDò A LUI. le e questa coscienza ci riconduceva alla verità nostra amicizia emerse doMI È STATO ACCANTO NEI MOMENTI po una litigata provocata da di noi. Quando ci arrabbiavamo c’era un solo punto da cui ripartire: la confessione reciprouna mia domanda: «Chi dice PIù DIFFICILI. LA CONFESSIONE ca. Lo facevamo ogni lunedì mattina. E la peniche mi stai accompagnando RECIPROCA CI HA LEGATI E CI HA tenza era la recita del Salmo 125, dove pianto secondo i criteri di don Giuse canto sono in perfetta simbiosi. Nei primi 10 sani e non secondo i tuoi? AlFATTO AMARE DI PIù CRISTO anni di vita insieme abbiamo sofferto molte viberto, se non vai a Milano e cissitudini, ma con la grazia di Dio nulla ha ponon verifichi con lui il nostro convivere, è menel clima tropicale in cui vivevamo. Mi ricordo tuto schiacciarci. glio che ognuno se ne vada per conto proprio». che quando la temperatura raggiungeva i 40° Alberto era l’economo, il capo della casa, e lo Due giorni dopo era sull’aereo per Milano. Torandavamo a recitare il rosario nell’aeroporto di faceva bene, anche se da buon romagnolo era nato mi disse: «Giussani ha detto di dirti che Assunción, dove c’era l’aria condizionata. tirchio. Per lunghi anni ho vissuto di ciò che mi devi avere fiducia nella nostra amicizia e che Come venticinque anni prima insegnava. Abbiamo girato tutte le parti meriil metodo è quello giusto». Don Giussani me lo Quanta pazienza ha avuto nel sostenermi, dedionali del Paraguay: io guidavo, Alberto legripeteva sempre: «Alberto è un uomo umile, presso com’ero. Usava il metodo più sano ed geva ad alta voce un libro dopo l’altro, o diceva semplice, per cui intelligente». Che bello l’ultiefficace che ci sia: l’affetto e il bastone. Il bail santo rosario; lo stesso rosario che in questi mo gesto vissuto insieme: dieci giorni prima di stone in particolare per evitare che mi automesi in cui siamo tornati a vivere insieme era partire per l’Italia, ci siamo confessati seguencommiserassi e questo mi faceva inviperire ancora più frequentemente nelle sue mani. La do il criterio che ci eravamo dati 25 anni priperché mi rendevo conto che non c’erano allibertà era il contenuto della nostra convivenma. Caro Alberto, chiedo una cosa per i nostri ternative a quest’obbedienza. A causa delza. Durante il giorno quest’amicizia era come amici: che sperimentino che un’amicizia è vela mia malattia dipendevo da lui, nonostante una calamita che faceva sì che c’incontrassira sola quando nasce dalla confessione. È da lì avesse otto anni in meno di me. Per non perdemo con frequenza. Per molti anni anni ci hanno che nasce la passione per Cristo. È un cammire ciò che amavo, non potevo non obbedire a fatto compagnia le Marlboro: due pacchetti al no lungo, noi lo stavamo percorrendo. [email protected] lui che mi indicava il cammino. La circostanza giorno. Rosario e Marlboro erano un bel duetto | | 8 ottobre 2014 | 47 taz&bao «La nostra coppia la giudico completamente trasgressiva: 50 anni di differenza, se non è trasgressivo questo!» «Appoggio la battaglia a favore dei diritti civili, che non è personale, ma è una battaglia di civiltà, da prima del fidanzamento con Berlusconi. La sento mia da tantissimi anni, dai tempi del liceo» «Dudù non lo porto sennò vuole mettersi il boa di struzzo e non è il caso. Secondo me sì, è un po’ gay» Francesca Pascale ospite a “Il geco e la farfalla”, Radio Capital, 26 settembre 2014 «Sono qui perché mi sento parte di questa famiglia. Ma sono venuta tante volte qui e solo oggi in qualità di ospite d’onore. L’Italia deve smettere di essere un paese bigotto» «Sono qui perché so che se un giorno volessi diventare gay vorrei poterlo fare liberamente. Io mi riconosco come eterosessuale e, soprattutto, innamorata. Ma mi vergogno, a volte, del modo in cui gli eterosessuali discriminano gli omosessuali» «Io in ogni caso sono a favore dei matrimoni gay, delle adozioni e delle coppie omosessuali: l’amore non deve avere barriere. Mi auguro che questo possa diventare un paese libero e democratico senza cittadini di serie A e di serie B» La lic e Francesca Pascale alla serata conclusiva del Gay Village a Roma, 27 settembre 2014, Il Messaggero 48 | 8 ottobre 2014 | | Francesca Pascale con Vladimir Luxuria durante la serata di chiusura del Gay Village a Roma, 27 settembre 2014; (Foto: Ansa) c eale l’ascia nel cuore Foto: AP/LaPresse N 2012 il generale Mario Mori partecipò a un incontro organizzato da Tempi, “Aspettando giustizia”. E la giustizia arrivò nel luglio 2013 quando la IV sezione penale del tribunale di Palermo assolse lui e il colonnello Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia, per aver impedito la cattura del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995. Con quell’assoluzione si concluse un processo durato cinque anni e cento udienze, la maggior parte delle quali Mori visse in aula. Da “servitore dello Stato”, quale si è sempre definito, l’ex capo dei nostri servizi segreti ha sempre sentito come proprio dovere essere presente in tribunale. Rare, invece, sono state le sue apparizioni in tv e sui giornali. In quei cinque anni non ha fatto il giro delle sette chiese dei talk show politici, ha centellinato le sue interviste, ha evitato le apparizioni in pubblico. Quando lo fece – come nel caso dell’incontro di Tempi – intervenne sempre in modo pacato, poggiando le sue parole su dati di fatto, non su “ricostruzioni”. Fu in quella occasione che, con amara ironia, Mori disse: «Io ho fatto tanti errori nella mia vita, ma quello più grande l’ho commesso quando un giorno i militari da me diretti hanno arrestato Totò Riina. E questo non mi è mai stato perdonato perché è dal 1994 che io sono sotto processo, mediatico e giudiziario. Scatenando l’ira dei miei avvocati ho rifiutato la prescrizione perché io non mi voglio difendere dal processo, ma nel processo e come uomo delle istituzioni non voglio rifiutare questa giustizia, anche se a volte è malagiustizia». Ora l’ex capo del Sisde dovrà ricominciare ad “aspettare giustizia”. Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ha chiesto di riaprire la fase dibattimentale avendo raccolto nuovi elementi probatori a carico degli ex alti ufficiali. La nuova suggestione riguarda il cosiddetto “protocollo farfalla”, un accordo segreto stipulato nel 2003-04 tra gli uomini dei servizi segreti e il Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) per gestire le informazioni rilasciate dai mafiosi detenuti in regime di 41 bis. In cambio di queste, fa intendere la procura, sarebbero stati fatti favori e rilasciate somme di denaro ai padrini. Da parte sua, il generale non ha commentato la nuova mossa della procura, mantenendo lo stile che fino ad ora ha contraddistinto la sua condotta procesel settembre le nuove accuse al generale mori «Il più grande errore della mia vita è stato catturare Totò Riina» | DI EMANUELE BOFFI Il pg di Palermo Roberto Scarpinato ha chiesto di riaprire il processo a Mario Mori, ex capo del Sisde, per il mancato arresto del boss Bernardo Provenzano. Tra le nuove prove presentate anche il cosiddetto “protocollo farfalla” suale: «Ho grande rispetto per lo Stato e le sue istituzioni – ha detto –. A differenza di altri non voglio dare spettacolo, mi difenderò nelle aule di tribunale». Si vedrà. E si vedrà quanto ancora dovrà aspettare il generale per “avere giustizia”. Intanto, però, ha ricominciato a suonare la banda che conosciamo e così il nuovo papello, il “protocollo farfalla”, è diventato il centro gravitazionale attorno cui far ruotare tutti i misteri italiani. Ovviamente c’entrano i servizi segreti deviati, la massoneria, la P2, la trattativa Stato-Mafia, le stragi del ’92-’93 e scusateci se abbiamo dimenticato qualcosa. Secondo Scarpinato, Mori avrebbe «sistematica- mente disatteso» i suoi «doveri istituzionali» e cioè di informare la magistratura delle sue mosse. È proprio il motivo che disse Mori nell’incontro di Tempi e che qui volgarizziamo: poiché ho arrestato io Riina e non loro, ora me la fanno pagare. E aggiungiamo: forse il generale aveva anche le sue buone ragioni per portare avanti certe iniziative all’oscuro di tutti. Non era forse il capo dei servizi “segreti”? Non era stata forse una fuga di notizie a impedirgli la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro? Ma c’è ancora qualcosa da aggiungere. In aula, Scarpinato ha ripercorso la carriera di Mori a partire dagli anni Settanta. Dico: dagli anni Settanta. Come hanno detto i legali di Mori dopo la richiesta del pg: «È un tentativo di rivisitare la storia d’Italia». L’ennesimo tentativo che, in nome della “trasparenza” («fare luce», dicono) vorrebbe che i servizi e il segreto di Stato, semplicemente, non siano più tali, ma sottoposti al «controllo di legalità» da parte di un giudice: l’unico, l’illuminato, a sapere cosa andava fatto in quella determinata situazione. E così, intorno alla “rivisitazione” della storia italiana germogliano copiosi conti in banca, carriere politiche, giudiziarie e persino cinematografiche di chi si proclama aedo e unico cantore di quella “riscrittura”. Ma bisogna sempre ricordare che il metodo più astuto per occultare qualcosa non è nasconderlo. Ma è lasciarlo sotto gli occhi di tutti, inondando la scena di una luce accecante. | | 8 ottobre 2014 | 50