pretesti
Occasioni di letteratura digitale
Il terzo sacrificio
di Marcello Simoni
La più alta avventura
della parola
di Maurizio Cucchi
Quel maledetto
viaggio dell’Elsinore
di Jack London
Musica russa
di Michele Mari
Novembre 2011 • Numero 2
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pretesti | Novembre 2011
I TUOI LIBRI SEMPRE CON TE
E UN’INTERA LIBRERIA A DISPOSIZIONE
APERTA 24 ORE SU 24!
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Editoriale
Quando la storia incontra il romanzo, la letteratura crea mondi nuovi e sensi nuovi.
Marcello Simoni nel racconto di copertina ha fatto della sua conoscenza storica il cavallo di battaglia di una letteratura da bestseller (è l’autore del Mercante di libri maledetti) e in questo numero ci offre una originale e inedita interpretazione della figura
dell’antipapa Onorio II. Con Michele Mari entriamo nella vicenda umana del compositore russo Modest Mussorgskij e insieme al grande Jack London, ripubblicato ora in
una nuova edizione da Mattioli 1885, inseguiremo l’Elsinore fino a Capo Horn e oltre
nella ricerca di un’identità che lo stesso scrittore non riuscirà a trovare in vita neppure
per sé. Sarà poi Maurizio Cucchi a condurre la nostra riflessione nel mondo più alto e
nobile della poesia in Italia, la poesia come vocazione al bello e alla trasmissione della
conoscenza e della nostra stupenda lingua.
Per Il mondo dell’ebook Roberto Dessì analizza il fenomeno Amazon a partire dall’ultima scelta dell’industria di Jeff Bezos, ovvero quella di puntare a diventare editore
cartaceo, mentre Viola Venturelli riporta dati e indagini sull’effettiva trasformazione
in digitale del mondo dell’editoria: cosa ci riserva il futuro?
Nelle rubriche Vera Gheno per l’Accademia della Crusca approfondisce il futuro della
lingua in evoluzione con i nuovi mezzi di comunicazione, perché poetico è tutto ciò
che viene ben comunicato, e all’educazione del vivere è dedicata Buona la prima con il
Galateo di Giovanni Della Casa.
Le Langhe di Pavese e Fenoglio e la cucina secondo Mordecai Richler ci sapranno riportare poi alla realtà di una bellezza poetica che sa, come sostiene Fernando Pessoa,
arricchire il mondo e la nostra esperienza. Sapete quanto sono buoni i latkes, oltre ogni
ragionevole dubbio di critica letteraria?
Buoni PreTesti a tutti.
Roberto Murgia
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pretesti | Novembre 2011
Indice
Testi
Il mondo
dell’ebook
Rubriche
05-09
Racconto
Il terzo sacrificio
di Marcello Simoni
21-24
Il modello Amazon:
editoria senza intermediari
di Roberto Dessì
10-14
Saggio
La più alta avventura della
parola
di Maurizio Cucchi
25-27
Dall’uomo preistorico
al Digital Man:
Tablet is the missing link?
di Viola Venturelli
28-29
Buona la prima
Giovanni Della Casa
Galateo (1558)
di Francesco Baucia
15-17
Anticipazione
Quel maledetto viaggio
dell’Elsinore
di Jack London
18-20
Racconto
Musica russa
di Michele Mari
30-32
Sulla punta della lingua
di Vera Gheno
33-35
Anima del mondo
Dei ed eroi delle colline
di Federico Bellini
36-39
Alta cucina
Con i latkes per cena non si
scappa da casa
di Francesco Baucia
40
Recensioni
41
Gli appuntamenti
42
Tweets / Bookbugs
4
pretesti | Novembre 2011
Racconto
IL TERZO
SACRIFICIO
di Marcello Simoni
“E non inclinare verso il basso,
verso il mondo della luce nera...”
Oracoli caldaici, fr. 163
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pretesti | Novembre 2011
N
egli occhi di Sua Santità c’era
l’abisso. È trascorso più di un
decennio da quella notte eppure
il suo ricordo non mi dà requie.
Era l’anno 1064 e i normanni di Roberto il
Guiscardo avevano decimato il nostro esercito. Sua Santità aveva fatto ritirare le milizie superstiti verso il ducato di Parma. Era
un uomo finito. L’anatema della Chiesa lo
consegnava alla storia come antipapa, il
progetto di marciare su Roma si era rivelato
un fallimento. All’epoca gli stavo al fianco
in veste di consigliere ma mi legava a lui
qualcosa di più stretto della semplice lealtà,
un rapporto che oserei definire amicizia. Ciò
nonostante non potei oppormi alla sua decisione di portarsi al seguito un viandante
proveniente dalla Caldea incontrato lungo
il tragitto. Me ne stupii assai, poiché il mio
signore non era facile alle confidenze verso
gli estranei.
Il viandante, un ometto smunto di nome
Bithisarea, esercitò fin dall’inizio un ascendente particolare su Sua Santità. Fu a causa
di quel legame che iniziai a covare nei suoi
confronti un misto di invidia e di diffidenza,
e tuttavia mi rimprovero di non essere stato
abbastanza accorto da smascherare l’inganno di colui che presi l’abitudine di chiamare
con sprezzo “il Caldeo”.
Giungemmo sani e salvi al ducato di Parma, dove in passato Sua Santità era stato vescovo e aveva goduto della venerazione del
popolo. Non ci fu difficile trovare dimora in
un castello abbarbicato sugli Appennini e
stringere alleanze con la nobiltà locale, ma
nonostante l’amenità dei luoghi e la solidità
dell’arrocco quel soggiorno si rivelò nefasto.
Il mio signore inviò lettere infuocate ai pre-
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lati di Roma ostinandosi a usare il sigillo di
pontefice, benché fulminato da scomunica.
Un nuovo papa era stato eletto al suo posto,
Alessandro II. Inoltre il suo temperamento
degenerò. Esplodeva in continui accessi di
collera, eccedeva con il vino e sebbene fosse
prossimo ai settant’anni giaceva con meretrici. Più di una volta cercai di farlo rinsavire, ma ignorò i miei consigli.
Ascoltava soltanto Bithisarea. Lo consultava
ogni sera dopo il crepuscolo e si soffermava
con lui fin quasi all’alba. Dapprincipio ignoravo l’oggetto delle loro conversazioni, perciò, più che altro per invidia, iniziai a farli
spiare dalla servitù. Ma quando fui messo
al corrente di cosa parlavano rimasi allibito.
Il Caldeo non era il semplice
viandante che credevo
bensì un magister di goetia,
l’arte di evocare i demoni e
di asservirli con formule e
talismani
Il Caldeo non era il semplice viandante che
credevo bensì un magister di goetia, l’arte di
evocare i demoni e di asservirli con formule
e talismani. Sua Santità ne era rimasto talmente affascinato da diventare il suo discepolo e aveva preso l’abitudine di rinchiudersi con lui nella torre più alta del castello
per intere notti, innalzando inni blasfemi e
disegnando simboli negromantici su muri e
pavimenti. Dapprincipio dubitai dei resoconti che mi venivano riportati, ma presto le
testimonianze di servi e concubine terrorizzate aumentarono al punto da non poterle
più ignorare e mi persuasi del fatto che Sua
pretesti | Novembre 2011
Santità era stato circuito da un servo di Satana. Il Caldeo nel frattempo aveva preso
l’abitudine di stargli vicino anche di giorno,
persino a banchetto, e scrutava noi tutti con
un ghigno da sciacallo. Quel grottesco legame andò intensificandosi sconfinando poco
a poco nella mimesi e dopo neanche un
mese dal nostro arrivo al castello la realtà
delle cose non era più un segreto per nessuno, anzi se ne parlava apertamente, quasi
fosse un vanto ammettere che a corte si ospitava un negromante.
Mi ritrovai così ad assistere impotente mentre il mio signore scivolava nella corruzione
più turpe e metteva da parte l’ambizione per
la vendetta. Ormai parlava pochissimo con i
maggiorenti del suo seguito ma si vociferava avesse abbandonato le mire di un tempo.
Nelle poche occasioni in cui si esprimeva in
pubblico non paragonava più la Chiesa di
Roma a un’amante capricciosa da domare,
come faceva in passato, ma a una sposa ribelle che l’aveva cacciato dal talamo o a una
matrigna crudele che lo incolpava di simonia. Fu allora che intuii la verità, o almeno
una parte di essa. Sua Santità non era impazzito ma seguiva un disegno ben preciso:
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non disponendo di milizie sufficienti né di
appoggi politici, confidava di riconquistare
il soglio apostolico grazie agli insegnamenti
del Caldeo.
Il mio rimpianto è di aver compreso troppo
tardi. Poco dopo, infatti, Bithisarea annunciò che l’apprendistato di Sua Santità era
giunto al termine e che intendeva iniziarlo
ai segreti ultimi della goetia tramite una cerimonia alla quale avrebbero dovuto assistere tutti gli abitanti del castello. Prima però
impose al mio signore tre giorni di digiuno,
dopodiché gli ordinò di sacrificare un gallo
e di farne essiccare le interiora. Rivelò che
quello era il primo dei due sacrifici necessari per soggiogare gli spiriti demonici, ma
non si dilungò in spiegazioni.
Seppellita la carcassa del gallo, fece recitare a
Sua Santità una messa notturna inframmezzata da versetti in una lingua che non avevo
mai udito e a suggello di quella liturgia lo
marchiò sulla pelle con cinque pentacoli, in
corrispondenza delle piaghe del Cristo.
Disse poi che per concludere il rituale necessitava la luna nuova, perciò fummo
tutti liberi di ritornare alle nostre mansioni fino allo scadere del tempo stabilito:
pretesti | Novembre 2011
una settimana. Durante l’attesa Sua Santità vagò per il castello con crescente inquietudine, pallido come un morto, sobbalzava al minimo rumore.
Fu allora che gli chiesi udienza e lo scongiurai di confidarsi con me. E lui, in un inatteso slancio di sincerità, mi confessò che da
quando aveva sacrificato il gallo scorgeva
qualcosa nelle ombre. Avvertiva una presenza ostile accanto a sé, specie di notte. Per
tutelarsi aspergeva gli angoli della camera
da letto con l’acqua santa e teneva accesa
vicino al giaciglio una candela benedetta,
ma ciò non bastava a dissipare le sue ossessioni. A quel punto mi gettai in ginocchio e
lo pregai di rinnegare gli insegnamenti del
Caldeo. Forse, gli dissi, era ancora in tempo per salvare la propria anima. Ma lui, per
tutta risposta, sfoderò un pugnale da sotto
le vesti e me lo puntò contro, ridendomi in
faccia come un pazzo.
La cognizione dell’inganno
è forse il sentimento più
aberrante che possa sfiorare
l’animo umano
Non ebbi più occasione di parlargli.
La prima notte di luna nuova Bithisarea entrò nella cappella del castello e fece depositare un agnello sull’altare. Il mio signore
era con lui. Noi del seguito, tutti presenti,
stavamo ad assistere.
Il Caldeo ordinò al pontefice di sgozzare la
bestia sacrificale, di versarne il sangue in un
grande bacile e di scuoiarla. Sua Santità eseguì senza obiettare e muovendosi come un
sonnambulo scurì il vello dell’agnello con
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le ceneri ricavate dalle interiora del gallo, lo
pose sulle spalle come un paramento sacro
ed entrò nel bacile, immergendo i piedi nel
sangue.
Nei suoi occhi, lo giuro, c’era l’abisso.
Poi l’orrore prevalse e mi ritrovai a fissare
una sagoma nera comparsa alle spalle del
mio signore. Di primo acchito la scambiai
per un gioco d’ombre, poi capii che era reale. Forse aveva sembianze umane. Dico forse
perché ne scorsi soltanto le braccia, che d’un
tratto cinsero Sua Santità strappandogli un
grido lacerante. Ebbi il sentore di assistere
a qualcosa di talmente osceno da vacillare e
iniziai a implorare come un bambino...
Fu il Caldeo a strapparmi dal delirio. Ritto
dinanzi all’altare, quell’ometto scoppiò in
una risata diabolica che mi scosse nel profondo facendomi sobbalzare, e mi resi conto
che tutto era finito. Sua Santità e la sagoma
nera erano svaniti nel nulla.
Ben misera cosa è l’essere umano! Ben limitata è la portata del suo sguardo! Da allora
anch’io ho preso l’abitudine di dormire al
barlume di una candela benedetta. E ogni
sera, prima di coricarmi, aspergo gli angoli
della mia camera con l’acqua santa. Ciò nonostante, i miei sonni sono inquieti.
Riguardo la conclusione di quella notte
conservo soltanto ricordi confusi. Feci imprigionare Bithisarea e ordinai che venisse
torturato con ferocia, ma egli si rifiutò di
dare spiegazioni. Io però volevo sapere e lo
interrogai in preda a un turbine di emozioni, chiedendogli quale sorte avesse subìto il
mio signore.
Anziché rispondere si mozzò la lingua con i
denti e morì sotto i tormenti del boia, tenendo gli occhi fissi su di me.
pretesti | Novembre 2011
Dopo quella delirante esperienza l’intero seguito di Sua Santità fuggì via, dal primo notabile all’ultimo valletto. Nel castello restai
solo io, a trascinarmi per le stanze deserte
in stato febbrile, senza smettere di pensare a
quanto avevo assistito.
E dopo tanto scervellarmi, finalmente afferrai la parte della verità che mi era stata nascosta. La cognizione dell’inganno è forse il
sentimento più aberrante che possa sfiorare
l’animo umano, specie se il prezzo dell’ingenuità è la dannazione eterna. Non oso immaginare cosa avesse chiesto il Caldeo alle
potenze infere offrendo in cambio l’anima
e il corpo di un antipapa, ma andò proprio
così, ne sono sempre più certo. Dopo il gallo
e l’agnello, Bithisarea immolò un terzo sacrificio: Sua Santità in persona. Fingendo di
compiacerlo, deve aver perseguito i propri
fini, qualunque cosa essi siano... E sono anche certo che il Caldeo sia tornato a vivere, in un modo o nell’altro, e che desideri
vendicarsi delle torture che gli feci subire.
Forse è per questo che a volte, svegliandomi di notte, scorgo i suoi occhi fra le ombre.
Immobili, sbarrati, intenti a fissarmi.
Lui sa che ho scoperto il suo inganno, e sa
che lo temo.
E prima o poi si farà strada nel buio, per
ghermirmi.
Questo racconto è ispirato alla figura dell’antipapa Onorio II (al secolo Pietro Cadalo) deceduto a Parma nel
1072. Una tradizione storico-leggendaria gli attribuisce la scrittura di un grimorio edito a Roma nel 1629,
forse risalente a un testo molto più antico.
Marcello Simoni
Marcello Simoni è nato a Comacchio nel 1975. Laureato in Lettere presso l’Università di Ferrara, ha svolto l’attività di archeologo, di catalogatore di beni culturali e di
bibliotecario. Dopo aver pubblicato articoli di etruscologia e di archeologia, si è dedicato allo studio del Medioevo. Il mercante di libri maledetti, pubblicato per la prima
volta in Spagna nel maggio 2010, è il suo romanzo d’esordio, il primo di una trilogia.
Oltre che alla scrittura, si dedica all’organizzazione di eventi culturali e letterari.
Il mercante di libri maledetti è disponibile in ebook da Biblet.
Disponibile su www.biblet.it
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pretesti | Novembre 2011
Saggio
Giancarlo Majorino
Patrizia Valduga
Milo De Angelis
La più alta
avventura
della parola
Scenari contemporanei della poesia in Italia
di Maurizio Cucchi
10
pretesti | Novembre 2011
N
el giro di pochi mesi la nostra
poesia ha perduto due dei suoi
grandi maestri, due dei suoi
protagonisti del secondo Novecento e di questo inizio di secolo e millennio,
e cioè Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto.
Due figure che, in modo del tutto diverso,
avevano tracciato alcune delle linee maggiori della ricerca poetica italiana dagli anni
Cinquanta ai tempi più recenti.
Ma pur sentendo la forte mancanza di queste figure guida, la poesia italiana è in ottima salute, nonostante la poca e quasi sempre approssimativa attenzione che le viene
riservata, sopratutto dai media. E qui, allora, si aprono due possibili linee del discorso.
La prima – più importante – sul valore e sulla consistenza della poesia d’oggi in Italia.
La seconda – marginale, se vogliamo, eppure imprescindibile – sul tipo di diffusione e
ascolto che le viene riservato.
Ogni tanto si sente ripetere che non ci sono
più le figure dei maestri, che la poesia d’oggi
è sparsa in mille rivoli che la rendono scarsamente identificabile, come un oggetto non
ben definito, neppure criticamente. Non è
vero, o lo è solo per chi non voglia approfondire la questione, visto che esistono forti
figure di riferimento, spesso imitatissime e
comunque ben presenti. Qui, naturalmente,
è necessario fare dei nomi, anche se il rischio
può essere quello di una frettolosa campionatura che finisca con l’escludere voci meritevoli quanto quelle citate. Ma, procedendo
un poco per via generazionale e anagrafica,
va ricordato che molti degli autori già attivi
negli anni Cinquanta e Sessanta sono ancora presenti e in certi casi hanno pubblicato
opere rilevanti. Parlo, per esempio, di Gian-
11
carlo Majorino, Giampiero Neri e Pier Luigi
Bacchini, oltre che di Maria Luisa Spaziani ed Elio Pagliarani, del quale, da tempo,
non escono novità, ma che tutti riconoscono
come autore di un classico del Novecento, e
cioè il magistrale, indimenticabile racconto
in versi La ragazza Carla. E ancora, restando
ai nomi dei più anziani, di prim’ordine è l’opera di Franco Loi, che continua a scrivere e
pubblicare nel suo particolarissimo dialetto
milanese. Si tratta di autori molto diversi tra
loro, che sono stati esemplari per i poeti della cosiddetta generazione seguente, come lo
erano stati (esemplari) poeti già scomparsi
come Antonio Porta, Giovanni Raboni, tra i
dialettali, Raffaello Baldini, e altri due autori scomparsi di recente, e cioè Luciano Erba
e Edoardo Sanguineti. Ma, appunto, è qui
ora il caso di venire ai poeti della generazione più o meno di mezzo, e cioè ai nati negli
anni Quaranta e Cinquanta, che lo stesso
Raboni aveva felicemente definito appartenenti alla “Generazione del ’68”.
La poesia italiana è in
ottima salute, nonostante
la poca e quasi sempre
approssimativa attenzione
che le viene riservata
Figura di spicco, oltre tutto ben presente,
in trasparenza nel lavoro di molti dei più
giovani, è quella di Milo De Angelis (nato
nel ’51), che dal ’76 (quando uscì il suo primo libro, Somiglianze, tranquillamente già
collocabile tra i classici del secondo Novecento) si è imposto per la potente verticalità
drammatica della sua poesia, per l’asciut-
pretesti | Novembre 2011
tezza tagliente della sua parola, soprattutcome è stato quello dello Specchio Mondato in opere come Distante un padre e Tema
dori, che quest’anno, in marzo, ha pubblidell’addio, fino al recente Quell’andarsene nel
cato quattro autori trentenni in uscita conbuio dei cortili. De Angelis è un maestro per
temporanea: Fabrizio Bernini, Carlo Carabla poesia delle ultime generazioni, come lo
ba, Alberto Pellegatta e Andrea Ponso, che
è Valerio Magrelli (nato nel ’57), che per la
costituiscono, diciamo così, la parte ora più
lucidità razionale e ironica della sua scrittuin vista di una generazione nuova, che conra, per la sua costante attenzione critica ai
ta numerosissimi altri personaggi da tenere
mutamenti d’epoca, è tra i più apprezzati e
assolutamente in considerazione. È davvero
a sua volta imitati. Con loro, e non meno di
confortante il fatto che proprio nella poesia,
loro, si segnalano Cesare Viviani, Valentino
nel tempo in cui tutto sembrerebbe spingere
Zeichen, Mario Santagoin altra e più futile direstini e Giuseppe Conte
zione, i giovani vogliaQuello
dei
poeti
più
(che è anche apprezzato
no investire il meglio
giovani
è
un
fenomeno
narratore), e tra le predella propria ricerca indi assoluto rilievo
senze femminili Patrizia
tellettuale. Ed è questo
Valduga, Vivian Lamarun segnale decisivo per
que, Rosita Copioli, Biancamaria Frabotta.
la resistenza della poesia, per il suo futuro,
Come si vede l’elenco è molto nutrito, a temesso in questione tanto spesso, ma solo
stimonianza della vitalità di un movimendall’ignoranza pervasiva dell’epoca (e rito collettivo che non dà nessun segno di
cordiamo, a questo proposito, un eccellente
cedimento, ma che, al contrario, ha trovato
pamphlet scritto proprio da un poeta, Gianulteriore slancio e continuità nelle propocarlo Majorino, e intitolato La dittatura dell’iste dei più giovani. E non intendo solo in
gnoranza).
autori già affermati come Mario Benedetti,
Antonio Riccardi, Stefano Dal Bianco, Gian
A questo punto è giusto, anzi necessario,
Mario Villalta, Claudio Recalcati o Nicola
considerare però l’altro punto in questione,
Vitale, ma mi riferisco ai nati negli anni Sete cioè la marginale presenza pubblica della
tanta e Ottanta, che costituiscono un mondo
poesia, e dunque la sua minima, per usare
letterario di sorprendente ricchezza vitale,
un termine abusato, “visibilità”.
e proprio in un tempo in cui la poesia non
I grossi editori, complessivamente, pubbliviene per nulla incoraggiata.
cano ben poche novità. Alcuni di essi non
Quello dei poeti più giovani è un fenomehanno neppure una collana di poesia. Il nuno di assoluto rilievo, già da quasi un demero dei nuovi narratori regolarmente procennio (dalla pubblicazione dell’antologia,
posti, invece, è paradossalmente (se rapporcurata da Mario Santagostini, intitolata I
tato alla qualità letteraria) enorme, mentre
poeti di vent’anni), un fenomeno studiato e
gli scaffali di poesia sono quasi invisibili e
documentato da diverse, altre antologie, olscarsamente popolati. E questo, naturaltre che da un segnale editoriale molto forte,
mente, non favorisce neppure chi vorrebbe
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pretesti | Novembre 2011
accostarsi alla poesia contemporanea, che
anche nelle scuole è pressoché ignorata, o
addirittura rimpiazzata, nei casi peggiori, da mediocri surrogati, come i testi delle
canzonette. E qui si apre un’altra parentesi
tutt’altro che irrilevante. Da tempo, infatti,
vengono promossi al rango di poeti gli autori di testi di canzoni, i cantautori. Ma le
canzoni, anche se buone canzoni, nella stragrande maggioranza dei casi non sono poesia. La prova da compiere, per sincerarsene,
è delle più semplici: basta leggere un testo
di canzone, dimenticando la parte musicale
(che in genere, tra l’altro, è ben poca cosa)
per rendersi conto della sua insufficienza.
Chi è abituato alla poesia e alla sua profonda complessità – dunque al suo spessore,
alla sua robusta sostanza – può cogliere al
più qualche frammento poetico, qualche
sprazzo che da solo non basta a realizzare
un vero testo poetico. In genere i testi delle canzoni rivelano, oltre tutto, una totale
estraneità dei loro autori al linguaggio della
vera poesia maggiore, di cui costituiscono
spesso un rudimentale surrogato. Uno degli argomenti a sostegno spesso usati è che
la poesia, anticamente, era accompagnata
dalla musica. Ma noi, questa musica, non la
conosciamo e i testi antichi, classici, che leggiamo hanno comunque una perfetta loro
autonomia. Il che non avviene, salvo casi
rarissimi, per le canzoni d’oggi.
E qui interviene un problema di mercato.
Nella società-spettacolo in cui viviamo, la
canzone è la più idonea e semplice funzione
espressiva; inoltre, questa stessa società non
può cancellare dal proprio campo il concetto
e la parola “poesia”, perché ne perderebbe
in immagine. E dunque la conserva agendo
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su un’alternativa di questo tipo: “Diciamo
che la poesia è De Angelis? A quanti potrà interessare: qualche migliaio di persone, oggi. Diciamo che la poesia è Guccini?
A quanti potrà interessare? A centinaia di
migliaia? E allora diciamo che la poesia è
Guccini!”. Non è un problema estetico, è
solo un problema di mercato, che crea una
sorta di ideologia.
Le canzoni, anche se buone
canzoni, nella stragrande
maggioranza dei casi non
sono poesia
Detto questo, risulta evidente che nel tuttovarietà del nostro tempo lo spazio riservato alla poesia è minimo. E a rimetterci non
sono i poeti. No, non è questo che conta, soprattutto. A rimetterci sono coloro che potrebbero avvicinarsi alla poesia utilmente,
diciamo pure anche piacevolmente, e non
sono messi in condizione di farlo da un sistema caotico che tende ad ignorarla, la poesia. Anche perché, oggi, tutto sembra doversi giocare sull’immediato e sulla superficie (o meglio: superficialità… ), mentre la
poesia (e sempre, va da sé, la letteratura di
ricerca) punta tutto (e non potrebbe essere
altrimenti) sulla durata e sulla profondità.
Insomma: è in antitesi rispetto alle tendenze
prevalenti dell’epoca. È chiaro che la vera
poesia non potrebbe avere cittadinanza in
un mondo televisivo, per esempio, fondato
essenzialmente sul kitsch.
Potrebbe averne di più in programmi radiofonici e sulla carta stampata, dove invece,
anche nelle pagine culturali, prevale l’ov-
pretesti | Novembre 2011
vietà e l’attenzione riservata ad opere di durata stagionale o di intrattenimento, passate per
capolavori. Molto spesso mi è capitato di sentire gestori dell’informazione culturale dire: “La
poesia non interessa il pubblico, se ne parliamo perdiamo lettori”. Non è vero. La poesia non
interessa, in realtà, a coloro che fanno queste affermazioni e proiettano sul pubblico i propri
gusti mediocri o conformistici. L’importante è proporre con convinzione, crederci. Faccio un
esempio. Anni fa, il “Corriere della Sera” pubblicò una serie di volumi di grandi poeti. Ogni
volume veniva presentato in un teatro. Il primo venne proposto nella nobilissima e raffinata
sala del Piccolo Teatro di Milano, che ha però un numero di posti limitato. La gente era in
fila a fare invano la coda fuori dal teatro, e molti non riuscirono a trovar posto. Venne allora
scelto un teatro più grande, il Carcano, che risultò traboccante di gente perfettamente soddisfatta. E preciso che quando toccò a me presentare si trattava di Rimbaud, poeta grandissimo
ma non certo facilissimo...
La poesia resta, in ogni caso, la più alta avventura della mente nel corpo della parola, ed è
inoltre la vera e propria garante della lingua, della nostra bella lingua così maltrattata dai media e, di conseguenza, parlata sempre peggio. La poesia fa un servizio decisivo alla lingua, e
anche per questo è bene che ne venga sottolineata sempre la presenza attiva e l’importanza.
Maurizio Cucchi
Maurizio Cucchi, poeta e critico letterario, è nato a Milano nel 1945.
Ha esordito nel 1976 con Il disperso (nuova edizione 1984), poi compreso, con le raccolte successive, nel volume Poesie 1965-2000 (2001).
Nel 2003 ha pubblicato Per un secondo o un secolo, quindi il romanzo Il
male è nelle cose (2005), le prose La traversata di Milano (2007) e il testo
in versi per teatro Jeanne d’Arc e il suo doppio (2008). Con Stefano Giovanardi ha curato l’antologia Poeti italiani del secondo Novecento (1996,
nuova edizione 2004). Collabora attualmente da diversi anni con il
quotidiano “La Stampa”. Il suo secondo romanzo, La maschera ritratto
(Mondadori 2011), è disponibile in ebook da Biblet.
Disponibile su www.biblet.it
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pretesti | Novembre 2011
Anticipazione
QUEL
MALEDETTO
VIAGGIO
DELL’ELSINORE
Un giovane scrittore e un’avventura nata sotto
una cattiva stella
di Jack London
Pubblichiamo, in assaggio per i lettori di PreTesti, le prime pagine dell’Ammutinamento
dell’Elsinore, un classico di Jack London nella
nuova edizione per i tipi di Mattioli 1885, in
libreria in questi giorni.
I
l viaggio andò male fin dall’inizio.
Lasciato l’albergo un brutto mattino
di marzo, avevo attraversato Baltimora raggiungendo l’estremità del molo
proprio all’ora stabilita. Alle nove in punto
il rimorchiatore avrebbe dovuto portarmi
attraverso la baia a bordo della Elsinore e
sempre più gelato e irritato aspettavo nel
taxi. Davanti, sul sedile scoperto, il conducente e Wada stavano rannicchiati, esposti
a una temperatura di forse mezzo grado
più fredda. E il rimorchiatore ancora non
arrivava.
Possum, il cucciolo di fox terrier che Galbraith aveva avuto la sconsiderata idea di
rifilarmi, uggiolava e tremava sulle mie ginocchia, rintanato dentro la mia giacca, sotto la pelliccia. Ma non si dava pace. Quando stava lì sotto protestava e si agitava per
15
uscire; ma appena fuori, morso dal freddo,
con la stessa insistenza protestava e si agitava per tornare a rintanarsi.
Quel lamento e quel movimento incessanti
erano tutt’altro che piacevoli per i miei nervi tesi. Per prima cosa l’animale non m’interessava. Non significava nulla per me.
Non lo conoscevo. Durante la sgradevole
attesa, diverse volte mi venne la tentazione di consegnarlo al conducente. A un certo
punto, vedendo avvicinarsi due ragazze ‒
certamente figlie del guardiano del molo ‒
allungai la mano per aprire lo sportello del
taxi, chiamarle e regalar loro quell’infelice
seccatura.
Una delle solite sorprese di Galbraith, capitato in albergo la notte prima con l’espresso
da New York.
Era proprio nel suo stile. Eppure quanto sarebbe stato meglio se avesse fatto come gli
altri, mandar della frutta... o fiori. Ma no;
il suo affetto doveva assolutamente esprimersi con un cucciolo di due mesi che guaiva in continuazione, esasperandomi. Con
la comparsa di quell’animale erano comin-
pretesti | Novembre 2011
ciati i guai. Il portiere dell’albergo mi aveva
ginare nessuno più diverso da un pilota. Lì
preso per un poco di buono, sorprendendonon c’era nessun figlio del mare con la somi in un gesto che non avevo affatto premelita giacca blu e i lineamenti scolpiti dalle
ditato. E poi Wada, di sua iniziativa e con
intemperie, ma un signore dai modi distinti
la sua solita stupidità, aveva cercato d’ine suadenti, il vero tipo dell’uomo d’affari
trodurre il cucciolo nella propria stanza ma
di successo, che s’incontra in tutti i club del
era stato sorpreso da un detective dell’almondo. Si presentò subito, e io l’invitai a
bergo. Còlto in flagrante e avendo dimensedere nel mio gelido taxi con Possum e il
ticato tutto il suo inglebagaglio. Sapeva solo
se, Wada aveva preso a
che, nelle disposizioni
Mentre gelavo nel
spiegarsi in un isterico
del capitano West, era
taxi su quella desolata intervenuto qualche
giapponese con il detective che ricordava solo il
cambiamento, ma spebanchina, maledissi
suo irlandese, mentre il
rava che il rimorchiatoanche me stesso
portiere mi lasciò capire
e la sconsiderata idea re arrivasse da un moin termini inequivocabimento all’altro.
di voler doppiare
li che da me non si saE arrivò all’una, dopo
Capo
Horn
a
bordo
rebbe aspettato altro che
che ero stato costretto
di una nave a vela
questo.
ad aspettare e a conMaledetto il cucciolo e
gelarmi per quattro
maledetto anche Galbraith! E mentre geore terribili. Nel frattempo m’ero del tutto
lavo nel taxi su quella desolata banchina,
convinto che il capitano West non mi samaledissi anche me stesso e la sconsiderata
rebbe piaciuto. Sebbene non l’avessi mai
idea di voler doppiare Capo Horn a bordo
incontrato prima d’allora, fin dall’inizio il
di una nave a vela.
suo modo di trattarmi era stato, a dir poco,
Alle dieci finalmente arrivò a piedi un gioarrogante. Quando la Elsinore stava nell’Evanotto indescrivibile con una valigia che,
rie Basin, appena arrivata dalla California
dopo pochi minuti, mi fu passata dal guarcon un carico d’orzo, ero venuto apposta
diano del molo. Era la valigia del pilota,
da New York per visionare quella che, per
disse costui, che prese a spiegare all’autista
molti mesi, sarebbe stata la mia dimora.
del taxi come raggiungere un’altra banchiSia la nave sia la sistemazione della cabina, dove, non si sapeva bene a che ora, un
na m’erano piaciute molto. Mi era sembradifferente rimorchiatore mi avrebbe portato soddisfacente anche lo spazio che mi era
to a bordo della Elsinore. Tutto ciò m’irritò
stato riservato, molto maggiore di quanto
ancora di più. Perché non avevano pensato
mi fossi aspettato. Ma poi, sbirciando nella
d’informare anche me, come il pilota?
cabina del capitano, ero rimasto sbalordiUn’ora dopo, stando sempre nel taxi fermo
to per quanto fosse confortevole. Basti dire
all’inizio del nuovo molo, finalmente vidi
che essa comunicava direttamente con un
arrivare il pilota. Non avrei potuto immabagno e che, fra le altre cose, aveva un am-
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pretesti | Novembre 2011
pio letto d’ottone come mai avrei potuto immaginare di trovare nella cabina di un veliero.
Naturalmente decisi che avrei voluto per me sia il bagno sia il letto d’ottone. Quando chiesi
agli agenti di accordarsi con il capitano, essi si mostrarono perplessi e contrariati. “Non ho
alcuna idea di quanto possa costare” dissi, “e non me n’importa nulla. Ma costasse centocinquanta dollari o anche cinquecento, voglio averla.”
Harrison e Gray, gli agenti, si consultarono sottovoce, convinti com’erano che il capitano
West sarebbe stato poco propenso.
“Sarebbe il primo capitano, che io sappia, a rifiutare” dissi fiducioso. “Perché sulle navi di
linea dell’Atlantico i capitani affittano sempre la loro cabina.”
“Ma il capitano West non è un capitano di nave di linea dell’Atlantico” osservò con gentilezza Harrison.
“Pensate, trascorrerò a bordo di quella nave molti mesi” obiettai. “Perciò offritegliene anche un migliaio, se necessario.”
“D’accordo, cercheremo di convincerlo” mi rispose Mr Gray, “ma l’avvertiamo: non ci speri
troppo. Adesso il capitano West si trova a Searsport e noi gli scriveremo oggi stesso.”
Con mia sorpresa Mr Gray mi chiamò alcuni giorni dopo per informarmi che il capitano
West aveva rifiutato la mia offerta.
“Avete provato a offrirgli fino a mille dollari?” gli chiesi. “Cos’ha detto?”
“S’è rammaricato di non potervi concedere quello che avete richiesto” rispose Mr Gray.
Il giorno dopo ricevetti una lettera del capitano West. La scrittura e il modo di esprimersi
erano antiquati e convenzionali. Gli dispiaceva di non avermi ancora incontrato e mi assicurava che si sarebbe occupato egli stesso di fare in modo che la mia sistemazione a bordo
fosse confortevole. Nel frattempo aveva già provveduto a inviare a Mr Pike, suo secondo e
primo ufficiale sulla Elsinore, l’ordine di abbattere la parete che divideva la mia cabina da
quella contigua. Infine ‒ ed è qui appunto che il capitano West incominciò a piacermi poco
‒ m’informava che se poi, una volta salpati, fossi stato scontento della mia sistemazione,
ebbene, in quel caso mi avrebbe volentieri ceduto il proprio alloggio.
Dopo un simile rifiuto ovviamente nulla più avrebbe potuto persuadermi a occupare il letto
d’ottone del capitano West. E ora quel capitano Nathaniel West, che ancora non avevo incontrato di persona, mi aveva costretto a starmene lì a gelare sui moli, per quattro maledette ore. Durante il viaggio la cosa migliore sarebbe stata quella di vederlo il meno possibile,
questa la mia decisione; e con piacere pensai allora ai numerosi libri che avevo mandato a
bordo da New York. Grazie a Dio, per distrarmi non dipendevo dai capitani di mare.
Traduzione di Livio Crescenzi e Silvia Zamagni.
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pretesti | Novembre 2011
Racconto
Musica russa
di Michele Mari
I
l più grande amore di Modest Petrovič
Mussorgskij era la Russia, la grande
madre Russia, l’antichissima anima
del popolo russo. Tutta la sua vita e
tutta la sua arte furono messe al servizio di
questa idea, con una passione antropologica prima ancora che musicale: chi, leggendo i manifesti del Gruppo dei Cinque, non
ha l’impressione di ascoltare un proclama,
rivoluzionario o reazionario esso sia? Ma
c’era un problema: Mussorgskij era troppo russo perfino per i suoi compagni, che
gli rimproveravano l’alcolismo e i modi
selvatici nella vita, l’eccesso di naïveté e la
trascuratezza tecnica nell’arte. Purtroppo
per lui il più tecnico dei Cinque era Nikolaj
Rimskij-Korsakov, che un po’ per la sua formazione accademica, un po’ per la necessi-
18
tà di esportare in Europa la musica russa,
sarebbe sceso a più di un compromesso con
l’abominato Occidente. Così, dopo la precoce morte di Mussorgskij, il buon Rimskij
ne sottopose l’opera a un sistematico lavoro
di riscrittura, procurandone sì il successo,
ma snaturandone completamente il carattere. E tanto efficace e fortunata fu questa
trasfigurazione, che per ascoltare nella versione originale il Boris Godunov o Una notte
sul Monte Calvo c’è voluto quasi un secolo,
e ancora oggi non si può dire che le ragioni della filologia abbiano prevalso su quelle
della storia.
Il secondo problema di Mussorgskij si chiamava Piotr Ilič Ciaikovskij. Ciaikovskij
era l’alfiere della musica russa nel mondo, Ciaikovskij era il dialogo dell’Orso con
pretesti | Novembre 2011
Praga, con Vienna, con Berlino e con Lipsia, Ciaikovskij era la tecnica che mancava
a Mussorgskij, Ciaikovskij era coltissimo e
raffinatissimo ma piaceva a tutte le classi
sociali, Ciaikovskij eccelleva nella musica
sinfonica e in quella da camera, nell’opera
e nel balletto, Ciaikovskij era omosessuale
ma era sempre pieno di mogli e di protettrici, Ciaikovskij era un uomo baciato dal-
la sorte eppure la sua depressione e i suoi
complessi di persecuzione erano diventati
proverbiali, Ciaikovskij passava gran parte
del tempo in Europa e in America ma era
stabilmente installato nella conversazione
dei Russi, in effetti Ciaikovskij era abbastanza mostruoso.
Su questo, in particolare, Mussorgskij non
riusciva a darsi pace: come fosse possibile
che un classicista come Ciaikovskij fosse
più popolare di lui, e, inammissibile onta,
che un simile cosmopolita fosse più russo
di lui. Così, quando i due problemi si incrociarono, Mussorgskij impazzì. Ciaikovskij
si ispirava a Dante e a Shakespeare? Bene,
lui avrebbe attinto alle scaturigini dell’epos nazionale, sarebbe stato per il folklore
19
russo quello che i Grimm erano stati per il
folklore tedesco. Così concepì il Boris Godunov, e fra mille difficoltà riuscì a portarlo in
scena nel 1874. Poteva essere il suo trionfo,
invece fu la sua rovina: e quel ch’è peggio lo
fu per colpa dei suoi compagni, sconcertati
da quella che sul momento parve ingenuità
ed imperizia. Si sarebbe consolato, l’autore,
sapendo che un secolo dopo quell’insuccesso sarebbe stato attribuito dai musicologi
all’audacia innovatrice della composizione? Non lo crediamo. Perché se la musica è
un’azione, come lo era per lui, essa si deve
esplicare nel proprio tempo, il tempo per il
quale è stata concepita.
Pochi mesi più tardi un amico dei Cinque,
Vladimir Stassov, organizzò a San Pietroburgo una mostra di disegni di Viktor Hartmann, da poco scomparso. Quasi scherzando, propose a Mussorgskij di trascrivere
musicalmente le impressioni di un immaginario visitatore di quella mostra, e senza pensarci due volte Mussorgskij accettò.
Forse era l’occasione per riprendersi, pensò, e pensò male. Perché i Tableaux d’une exposition erano fin dal titolo troppo parigini
per entrare subito nel canone mussorgskiano; perché non mancò chi lo accusò di aver
voluto incautamente sfidare Ciaikovskij sul
suo stesso terreno; perché ormai si viveva
in un’epoca in cui si combatteva a colpi di
opere teatrali e di sinfonie, anzi di cicli di
sinfonie, un’epoca in cui una partitura per
piano solo non poteva spostare gli equilibri; e perché di lì a poco, morendo, l’opera di Mussorgskij sarebbe diventata solo
una parte dell’opera di Rimskij-Korsakov.
Ma la suprema beffa doveva ancora arriva-
pretesti | Novembre 2011
re. Quasi cinquant’anni dopo, nel 1922, un
compositore eclettico come Maurice Ravel
prese la partitura dei Tableaux e la orchestrò.
A suo avviso, impeccabilmente, la novità
e la necessità della musica di Mussorgskij
erano state distrutte dalla normalizzazione
di Rimskij-Korsakov: ma, non volendo avviare un’operazione di restauro filologico,
optò per una delle poche opere non toccate da Rimskij, nell’intento di renderla più
mussorgskiana dell’originale. Sì, perché
al suo orecchio quella scarna partitura nascondeva in sé tutto un mondo – il mondo
di Modest Petrovič, il mondo delle izbe e
delle steppe – che chiedeva solo di essere
tirato fuori e valorizzato. Così il versatile e
volubile Ravel, che per scrivere il suo Bolero
e le sue rapsodie tzigane si fece spagnolo e
ungherese, si fece russo per passeggiare in
quella galleria d’arte di San Pietroburgo insieme a Mussorgskij. E bisogna dire che fece
un buon lavoro, anzi ottimo, senonché...
Senonché, è il nostro sospetto, proprio la
Promenade, il cui tema funge da connettivo
e insieme da intermezzo alle rappresentazioni musicali dei singoli Tableaux, fu composta da Mussorgskij con spirito negativo,
come esemplificazione di ciò che la musica,
ridottasi a stilizzazione accademica, non
dev’essere: e tantomeno lo deve, quanto
più i Tableaux esprimono, in potenza o in
atto, l’epos e il pathos dell’anima russa.
Rendendo russi e mussorgskijani i quattro
movimenti corrispondenti alla Promenade
Ravel annullò la contrapposizione, privando l’opera del suo primo, e quindi ultimo,
significato.
Di tutto questo il povero Mussorgskij, morto a San Pietroburgo nel 1881, si dolse non
poco: un attimo, però, e già l’aveva raggiunto il regale Ciaikovskij, che nel 1893, dopo
aver girato tutto il mondo, scelse di morire
proprio a San Pietroburgo. Appena lo vide
Mussorgskij gli si avvicinò circospetto, cercando di dominare l’antico tumulto: ma
non ce ne fu bisogno, perché Ciaikovskij gli
disse: “Chiudi gli occhi, ti ho portato una
cosa”. E Mussorgskij chiuse gli occhi, e udì
una delle musiche più belle e più struggenti che avesse mai udito, più struggenti e
più russe. Era il secondo movimento della
quarta sinfonia di Ciaikovskij.
“Vedi”, gli disse questi subito dopo, “non
eravamo poi così lontani”.
“No”, rispose Mussorgskij con gli occhi
gonfi di lacrime. “No”, e pianse; e mentre
piangeva si sentì leccare la mano.
Aprì gli occhi, era un orso.
Michele Mari
Michele Mari (Milano 1955) insegna Letteratura italiana all’Università degli
Studi di Milano. Ha pubblicato romanzi (Di bestia in bestia, 1989; La stiva e
l’abisso, 1992 nuova edizione 2002; Rondini sul filo, 1999), raccolte di saggi (I
demoni e la pasta sfoglia, 2004 nuova edizione 2010) e poesie (Cento poesie d’amore a Ladyhawke, 2007). I suoi romanzi Verderame (Einaudi 2007), Rosso Floyd
(Einaudi 2010) e la raccolta di racconti Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori
1999, nuova edizione Einaudi 2009) sono disponibili in ebook da Biblet.
Disponibile su www.biblet.it
20
pretesti | Novembre 2011
Il mondo
dell’ebook
Il modello Amazon:
editoria senza
intermediari
di Roberto Dessì
La società di Jeff Bezos mira
all’editoria cartacea dopo
aver conquistato il mercato
di eBook ed eReader.
Con un sogno per la testa:
diventare la nuova Apple.
21
pretesti | Novembre 2011
L
a sala è gremita di giornalisti e
a casa editrice capace di accaparrarsi senza
addetti ai lavori: c’è curiosità e
battere ciglio i diritti dell’ultimo lavoro di
impazienza, lo speaker dovrebbe
Liao Yiwu, poeta, scrittore e dissidente del
arrivare a momenti. Ed eccolo sul
regime cinese, e di altre penne blockbuster
palco, raggiante, salutare la folla. Un uomo
portate dalla propria parte grazie a dollari
sulla cinquantina, canuto, viso vagamente
sonanti e alla forza di un’idea: avvicinare il
nerd e abiti casual. Prende la parola e il relettore allo scrittore. La genesi dell’eretico
sto attorno a lui diventa silenzio: tutti muti
pensiero è semplice: tra i due ci sono troppi
a pendere dalle sue labbra. Disinvolto come
passaggi intermedi. Lo scrittore butta giù il
se prendesse un caffè al bar, snocciola cifre
romanzo, lo consegna all’editor che lo rivee dati da navigato imbonitore, descrive le
de e corregge, mentre l’agente tratta con la
caratteristiche dell’ogcasa editrice sui diritti
getto che tiene stretto in
spettanti per la pubbliProvate a sostituire
pugno, lo esalta, dichiacazione; il libraio mette
le
parole
editor,
ra scandendo le parole:
in commercio e il lettoagente, casa editrice
ne venderemo milioni. Le
re – finalmente – si gode
e libraio con una sola: il prodotto finito. Ora:
immagini scorrono sul
maxischermo alle sue
provate a sostituire le
“Amazon”. Ecco la
spalle, facendo il resto.
parole editor, agente,
nuova concezione
Se leggendo queste ricasa editrice e libraio
dell’industria
libraria
ghe avete pensato a Stecon una sola: Amazon.
secondo Jeff Bezos.
ve Jobs, sappiate che
Ecco la nuova concenon parliamo del comzione dell’industria lipianto genio di Cupertino. Questa è la stobraria secondo Jeff Bezos. Sarà Amazon a
ria di Jeff Bezos, la storia di Amazon.
rivedere e correggere i romanzi laddove
Ma non vi siete sbagliati di molto: sono in
necessario, offrendo una tantum il 70% detanti a vedere in lui il nuovo Jobs, e non solgli introiti allo scrittore e pubblicandolo
tanto per la teatralità delle presentazioni.
sotto le proprie insegne. Quanto alla venIl fatto è che quel “secchione” milionario
dita nessun problema, è la specialità della
sta cambiando giorno dopo giorno e pezcasa: quella su cui si sono fondate le fortuzo dopo pezzo la concezione di libro nella
ne dell’azienda.
mentalità americana e in quella mondiale,
Un modello che sembra avere logica e funcosì come Jobs è riuscito a fare con i PC prizionare, tanto da far paura: Andrew Wylie,
ma, con la musica e la telefonia poi. Tutto
agente letterario conosciuto nell’ambiente
ciò passando per periodi di scetticismo,
come “lo sciacallo”, lancia quotidianamendifficoltà economiche e bolle speculative.
te strali e appelli contro il colosso di Seattle;
In quindici anni Amazon si è trasformata
decine di editori si stracciano le vesti studa “venditrice per corrispondenza” (eletdiando azioni legali e invocando interventronica) di libri scritti e pubblicati da altri,
ti dell’antitrust. Poco importa che lo stesso
22
pretesti | Novembre 2011
Wylie un anno fa abbia provato a piazzare
in esclusiva ad Amazon i diritti sugli eBook
dei propri “protetti” (salvo poi essere riportato all’ordine dalla minaccia di incombenti
cause legali), o che tutte le case editrici siano ancora presenti con i propri libri nello sterminato catalogo online Amazon: gli
equilibri si sono definitivamente rotti, tutto
può accadere. In verità sono cinque anni che
Bezos si diverte a sfidare la filiera dell’editoria: l’ha già fatto con gli eBook, che grazie
a un apparecchietto di nome Kindle sono
passati da amenità per tecnovori a un quinto delle vendite di libri e affini. Stando a
cifre più o meno attendibili se ne vendono
105 ogni 100 libri di carta, inclusi i tascabili
economici. Non pago, Jeff ha recentemente
rilanciato l’ipotesi di un sistema di acquisto
degli eBook sotto forma di abbonamento
all you can read: come nelle tavole calde a
buffet, pagata la tariffa mensile o annuale si
legge a sazietà. Ma per gli editori il pranzo
potrebbe risultare alquanto indigesto.
23
E come non parlare del self publishing? Non
un’invenzione Amazon, che però ha avuto il merito di metter su la piattaforma più
grande e remunerativa del settore, coronando il sogno di ogni aspirante romanziere:
veder pubblicato (o meglio digitalizzato)
il proprio manoscritto, sepolto da anni di
polvere, scartoffie e “no” delle case editrici,
guadagnando per giunta il 70% del prezzo
di copertina. Il miglior spot di questa pratica è John Locke; non un filosofo e neppu-
Amazon sta dando una
impressionante prova di
forza anche nel turbolento
mercato degli eReader
re un personaggio di serie TV, ma un semisconosciuto scrittore snobbato per anni
dalle case editrici, che un bel giorno decide di pubblicare i propri romanzi su Amazon a 99 centesimi l’uno. In cinque mesi ne
pretesti | Novembre 2011
vende qualcosa come un milione, entrando nella ristrettissima élite dei “milionari” dell’eBook, tra mostri sacri del calibro
di Stieg Larsson e James Patterson. Ora le
case editrici se lo contendono, e anche il
cinema ha messo gli occhi sui suoi libri, gli
stessi che prima nessuno voleva.
Se ciò non bastasse, Amazon sta dando una
impressionante prova di forza anche nel
turbolento mercato degli eReader. La lotta
si è accesa un anno fa, con prezzi in picchiata e modelli (oltre al Kindle troviamo
il Nook, il Kobo e il Sony eReader) sempre
più potenti e leggeri. Cinque mesi fa Nook
esce con un nuovo eReader touchscreen,
superiore sotto ogni aspetto a quello allora proposto da Amazon e presto ribattezzato il “Kindle killer”.
Tempo qualche mese
di silenzio e illazioni,
ed ecco Jeff Bezos salire ancora sul palco a
presentare in pompa
magna tre nuovissimi eReader dai prezzi sbalorditivi, e non
pago lanciare la sfida
a sua maestà iPad con
il primo tablet firmato Kindle. Si chiama
Fire, è poco più grande di un eReader e costa meno della metà
della tavoletta Apple, ma date le sue caratteristiche non dovrebbe pestarle i piedi.
A meno che, come in molti sospettano, Bezos non intenda farne uscire una versione
XL da 9 pollici: in tal caso ne vedremo delle
belle. Tornando alla domanda d’apertura:
24
sarà Bezos a prendere corona e scettro di
Jobs? Che siate d’accordo con Gizmodo che
ne tesse le lodi, o con Mashable che va cauta con i paragoni, una cosa è certa: l’editoria
non è e non sarà più la stessa. Le regole del
gioco stanno cambiando, a scriverle e pubblicarle sarà Amazon. In anteprima assoluta.
pretesti | Novembre 2011
Il mondo
dell’ebook
Dall’uomo preistorico
al Digital Man:
Tablet is the missing link?
U
n tablet ci conquisterà tutti.
È l’anello mancante tra l’uomo
di ieri e l’homo digitalis. Parola
di Ken Doctor, un consulente
editoriale americano che si è inventato la
Newsonomic, un paradigma che interpreta
le tendenze di lettura, produzione e diffusione dell’informazione nei prossimi dieci
anni. Che sono digitali. Ci ha scritto sopra
un libro, Twelve New Trends That Will Shape
the News You Get, e la Newsonomic, l’”economia della notizia”, è un vero e proprio
modello di business editoriale che oggi va
colto, interpretato e soprattutto messo in
pratica dal mondo dell’editoria.
25
di Viola Venturelli
A leggere e ascoltare i suoi interventi su
www.newsonomics.com o durante le sue
conferenze internazionali, Ken sembra disegnare l’uomo “pre-tablet” come un primitivo che non ha ancora scoperto il fuoco
né il pollice opponibile, e il post-tablet come
l’evoluzione che cambierà le nostre vite.
Sì, ma l’anello mancante tra cosa? Tra l’uomo e i giornali (il grande malato del terzo
millennio), tra l’uomo e l’online? Siamo entrati nella fase due dell’uso del tablet. Non
è più soltanto un big-iphone, ma un prodotto che rivoluziona il business dell’informazione su carta e tv. Dove si sta spostando la
vita digitale delle persone oggi? Su mobile,
pretesti | Novembre 2011
sulle piattaforme video, sui social network: da Arianna Huffington, direttore e fondatriil tablet mette insieme questi tre filoni di cre- ce dell’Huffington Post, durante l’edizione
scita (e consente di ottenere l’engagement, pa- 2011 dello IAB Forum davanti a una attentisrolina magica che entusiasma pubblicitari e sima platea di professionisti: “self expression
responsabili marketing) e li consegna al pro- is the new entertainment”. Il gioiellino che la
tagonista assoluto di questo inizio di millen- Huffington ha intenzione di portare anche in
nio, l’ego digitale. Il tablet crea un ecosistema Italia (“Berlusconi è tutto tranne che noioso,
informativo in cui l’utente ha l’accesso pieno avremo molto da scrivere” – ha dichiarato),
e completo alla carta e contemporaneamente per metà quotidiano online e per metà aggrealla tv, secondo contenuti strutturati apposta gatore, a luglio superava le pagine lette del
per lui. Una ricerca Doxa commissionata in New York Times, diventando il primo quoItalia da Intel e Fujitzu
tidiano online al mondo
e uscita di recente sul
per numero di pagine
Il
tablet
crea
un
Corriere della Sera ha
viste. L’Huffington Post
setacciato il carrello ecosistema informativo – nato come un blog perin cui l’utente ha
acquisti degli italiani
sonale della giornalista –
per comprendere a che
ha tutte le caratteristiche
l’accesso pieno e
punto siamo con la difdi un giornale della nuocompleto alla carta e
fusione del tablet, chi
va era: è online, dunque
contemporaneamente
lo compra, chi lo usa
aperto alla possibilità di
alla tv
e soprattutto per cosa
commentare, condivideviene usato. Si utilizza
re e vedere pubblicato
ovviamente per navigare su internet e – gio- anche un proprio articolo, consentendo al
ia per gli editori, per leggere (77%) sia i gior- lettore di diventare protagonista del dibatnali sia i libri. I possessori della “tavoletta”, tito; è abbastanza autorevole per competere
infatti, hanno fatto un paragone tra il prima con i quotidiani internazionali più patinati; e
e il post acquisto, e si sono scoperti a leggere presenta una formula mista, anche in termini
più quotidiani (36%), periodici (36%) e libri di contenuti, che offre notizie fatte di parole
(26%), e in compenso a guardare meno la tv scritte, servizi video, foto, multimedialità in
(27% dei casi).
senso lato. E che, come tale, è destinato ad
Ma non ci si limita a queste funzioni perchè essere un media ideale da consultare su un
con il tablet si guardano film (67%), si ascol- tablet. L’editoria, a dispetto dei “profeti” che
ta la musica (55%), si fanno e si riguardano datano l’ultima copia venduta del New York
le foto (51%), ci si gioca (45%) e si lavora Times al 2042, vive ancora e può sopravvive(38%). È insomma un prodotto che consente re se si adatta ai nuovi paradigmi. Bisognela fruizione a trecentosessanta gradi di tutto rà mettere insieme il meglio del giornalismo
lo spettro dell’entertainment, oltre ad essere tradizionale – la professionalità dei giornalispesso utilizzato come strumento di lavoro. sti, l’originalità e la veridicità dei reportage
Il che ben si ricollega alle parole pronunciate e il rispetto della deontologia – con il meglio
26
pretesti | Novembre 2011
che può dare l’online: condivisione, diffusione, tempestività, verificabilità.
Anche perché, per tornare alle teorie di Doctor, è un dato ormai noto che ai “lettori di
carta” si vanno ad aggiungere i “lettori digitali”, vengono cioè raddoppiati i pubblici
e non dimezzati né sostituiti. L’online in altri
termini non sostituisce la carta ma va ad affiancarsi ad essa per raccogliere un lettorato
diverso, e in definitiva più corposo. Tale proporzione tra pubblici si può applicare anche
alla pubblicità, sia sui canali tradizionali sia
sull’online, che di recente
in America ha superato la
L’online non sostituisce la carta
spesa sui media offline poma va ad affiancarsi ad essa per
sizionandosi seconda solo
raccogliere un lettorato diverso,
alla tv. I numeri confermano
che la direzione indicata dal
e in definitiva più corposo
nuovo paradigma è quella
giusta, e in ogni caso, che non si può più stare a guardare. Il rapporto tra i visitatori unici
giornalieri del New York Times e i lettori del
giornale di carta è di 30:1 (milioni), mentre
se guardiamo ai ricavi complessivi dei quotidiani tradizionali, nel 2005 erano pari a 134
miliardi di dollari, nel 2011 hanno subito
una forte contrazione sino ad arrivare a 93
miliardi. Con l’avvento del tablet, che rivoluziona il sistema di fruizione dei contenuti,
forse finalmente i mondi dell’informazione e
della comunicazione, da anni alla ricerca di
una quadra per integrarsi con il digitale salvando l’esistente, hanno trovato...
the missing link.
Per approfondire:
Ricerca Doxa “Gli italiani e il tablet”, pubblicata sul Corriere della Sera dell’8 ottobre 2011
Ken Doctor, The Newsonomics of the Tablets as the Missing Link, www.newsonomics.com
Arianna Huffington intervistata da Vodafone Lab al IAB Forum 2011, Milano 13-14 ottobre 2011
27
pretesti | Novembre 2011
Buona la
prima
Storie di libri
ed edizioni
I
Giovanni
Della Casa
Galateo
(1558)
28
di Francesco Baucia
l professore ha l’aria triste e stropicciata, e la faccia di Alain Delon. Indossa sempre un cappotto cammello
con il bavero rialzato, quasi come se
glielo avessero inchiodato sulle spalle. Nella sua nuova classe recita una poesia che
inizia così: “O sonno, o de la queta, umida,
ombrosa / notte placido figlio…”. Chiede
agli alunni di provare a indovinare chi sia
l’autore. Un’affascinante studentessa azzarda: Leopardi. Il professore replica che
l’intuizione è buona, ma no, l’autore non
è Leopardi. È monsignor Giovanni Della
Casa. Questa scena del film cult di Valerio
Zurlini La prima notte di quiete – che tanto
ha fatto palpitare il cuore delle teenagers
degli anni Settanta – rappresenta forse l’apice della celebrità di Giovanni Della Casa
nella cultura popolare. In realtà, se a pochi
è noto il suo nome, a tutti invece è familiare
la sua opera, il Galateo. Familiare forse non
tanto per quello che le sue pagine contengono, ma perché quel libro ha dato l’inizio
a un fortunato filone letterario, e per il fatto
che il suo titolo è entrato prepotentemente
nel nostro vocabolario come sinonimo di
“buona educazione”.
Nato nel 1503 in Mugello da una nobile famiglia fiorentina, Della Casa studiò diritto
e letteratura a Bologna, dove ebbe modo
di coltivare l’amore per i classici latini. Nel
1534 intraprese la carriera ecclesiastica assumendo presto delicati incarichi amministrativi e diplomatici. Fu nunzio apostolico
a Venezia e successivamente primo segreta-
pretesti | Novembre 2011
rio del pontefice Paolo IV. Nel 1553, tre anni
prima della sua morte, in precarie condizioni di salute e deluso per non aver ricevuto
la nomina a cardinale da parte di Giulio III,
Della Casa si ritirò nell’Abbazia dei conti
di Collalto a Nervesa sul Montello (vicino
a Treviso) e lì, facendo tesoro della sua ricca esperienza mondana, scrisse il trattato
in cui ragionava “de’ modi che si debbono
o tenere o schifare nella comune conversazione”. Lo intitolò Galateo, in omaggio al
nome latinizzato (“Galatheus”) dell’amico
Galeazzo Florimonte, che l’aveva incoraggiato a scrivere il libro. Nei trenta capitoletti che compongono il trattato, Della Casa
si cela dietro la maschera di un vecchio che
si proclama illetterato, e che propone a un
giovane ammaestramenti sulla condotta
da tenere in società. Sono consigli ricchi di
affabilità, ironia e malizia, attraverso cui
traspare l’ideale dell’eleganza come consolazione filosofica alle angosce della vita.
L’autore però non poté vedere pubblicato il frutto delle proprie fatiche, né tantomeno conoscere il successo che lo accolse,
perché morì nel 1556, mentre il libro apparve per la prima volta in volume nel 1558.
29
Se la fortuna del testo è rimasta viva nei secoli, forse però soltanto al genio di Giorgio
Manganelli si deve la piena comprensione
della sua profondità. Nella celebre introduzione all’edizione BUR del trattato, Manganelli evidenzia il fatto che l’“aureo libretto”
delle buone maniere non è assimilabile a
uno dei tanti trattatelli didascalici della sua
epoca e tantomeno “gli ammaestramenti
su come soffiarsi il naso sono la meta della
vita letteraria e morale del Casa”. Piuttosto,
il Galateo è “un lavoro di arte e di angoscia,
simile ad un trattato ascetico”. Un’ascesi
però tutta terrestre, e perciò assolutamente
moderna. Della Casa infatti comprese lucidamente, a metà del Cinquecento, ciò che è
evidente a noi oggi, in quella che noti studiosi hanno chiamato “civiltà dello spettacolo”: ossia che il vivere sociale, anziché un
dato di partenza, una condizione naturale
dell’esistenza umana, è piuttosto un artificio, un’arte. E di conseguenza, “se arte è il
vivere sociale, arte è anche l’agire, l’avere
un corpo, e viverlo” (Manganelli). Da questo deriva la necessità di una codificazione
dei comportamenti, anche dei più ridicoli
come il raccontare i propri sogni con fervore e dovizia di dettagli, lo sbadigliare in
pubblico, o l’opportunità di portare la barba lunga in una città o in un paese dove tutti siano d’abitudine perfettamente rasati. E
in questo senso, inoltre, le convenzioni finiscono per apparire come un grande ricatto
cui sono sottomessi, allo stesso tempo nella
veste di ricattati e ricattatori, tutti i membri del consesso umano. Ancora ha ragione
Manganelli a sostenere che con il Galateo “ci
troviamo di fronte ad una sinistra, prodigiosa anticipazione della società di massa”.
pretesti | Novembre 2011
Sulla punta
della lingua
Come parliamo,
come scriviamo
Rubrica a cura
dell’Accademia della Crusca
La tecnologia
cambia
la lingua?
di Vera Gheno
“Ti bibiemmo dopo”; “Hai letto il documento in attach?”; “Il suo Twitter è molto popolare, ha più di mille follower”; “Ti ho faxato
le carte: prepara il documento ASAP”. Tutti
scampoli di conversazioni realmente occorse, alle quali chiunque può quotidianamente assistere o prendere parte. Davanti a simili manifestazioni linguistiche è normale
porsi delle domande circa la tecnologia e le
sue possibili ricadute sul piano linguistico.
D’altro canto, che la lingua subisca le ripercussioni dei mutamenti della realtà è naturale, e le riflessioni sul fenomeno sono state
numerose anche in passato: si pensi al lungo
dibattito sulla “nuova lingua italiana” che
ebbe luogo negli anni ’60, al quale presero parte scrittori e pensatori come Pasolini,
Arbasino, Citati e Calvino, che, proprio per
quell’occasione, concepì il noto testo intitolato L’antilingua, famoso per la feroce critica all’italiano burocratizzato, affetto da un
vero e proprio terrore semantico. Oggi, più
che dal burocratese, al quale siamo – forse
30
tristemente – assuefatti, rimaniamo colpiti
dai mutamenti linguistici che appaiono collegati all’arrivo di nuove tecnologie.
Si ricordi che il nostro paese è attualmente il primo in Europa per numero di cellulari in circolazione (con una penetrazione
che ha superato il 150%) ed è primo anche
nell’acquisto di smartphone. Il telefonino ha
cambiato le nostre abitudini in toto: siamo
raggiungibili praticamente sempre, e dove
non è possibile parlare possiamo ricorrere a
mezzi scritti come gli SMS o, in alcuni casi,
a canali di instant messaging (per esempio,
al popolare Blackberry Messenger, o BBM,
esclusiva degli omonimi cellulari, dal quale
deriva appunto il verbo bibiemmare citato in
apertura di questo articolo).
Anche nell’uso di Internet, l’Italia è in costante crescita, pur essendo ancora sotto la
media europea. L’ingresso di Internet nelle
nostre vite è considerato da molti una terza
rivoluzione della comunicazione dopo l’invenzione della stampa e l’avvento della televisione. L’utente non è più uno spettatore
passivo, ma un agente attivo, fino a diventare egli stesso creatore di contenuti (non a
caso adesso si parla di web 2.0).
D’altro canto, con l’arrivo di Internet avviene una tripla rivoluzione della comunicazione: cambia il mezzo di trasmissione,
il modo di creare i testi e, infine, anche la
modalità di fruizione, di lettura.
pretesti | Novembre 2011
L’utente informatizzato ha accesso a una
quantità inimmaginabile di informazioni.
Questo modifica anche il nostro modo di
porci nei confronti della conoscenza. Abbiamo meno tempo per soffermarci su testi
lunghi, e la natura non esclusivamente testuale della pagina web favorisce un tipo
di lettura “impressionistica”, spesso assai
superficiale; avviene un cambiamento evidente nella modalità percettiva e cognitiva,
come rileva Raffaele Simone nel suo testo
intitolato La terza fase (Laterza, 2001).
Da una parte, dunque, abbiamo le tecnologie cellulari, dall’altra le tecnologie informatiche. E la lingua, a tutto questo, come
reagisce? Chiaramente l’italiano, che da un
punto di vista linguistico è in salute – considerato anche il numero dei suoi parlanti –, si adatta. I mutamenti linguistici sono
naturali: nessuna lingua viva è un oggetto
immoto ma, al contrario, reagisce prontamente ai cambiamenti che avvengono nella realtà extralinguistica. I mutamenti più
veloci avvengono di solito a livello lessicale, mentre le parti più “profonde”, come la
sintassi o la morfologia, sono più resistenti
alle modifiche. Il lessico accoglie parole ed
espressioni nuove in base alle necessità del
momento. L’italiano, tra l’altro, è da sempre particolarmente aperto nei confronti delle altre lingue: si pensi a mais, parola
che “prendiamo” dallo spagnolo nel 1500,
assieme al granturco stesso, a paprika, che
adottiamo dall’ungherese nel corso dell’Ottocento, o ancora, al più recente tsunami,
termine giapponese molto più connotato
dell’espressione onda anomala. Quindi, con
l’arrivo di Internet in Italia, è abbastanza
comprensibile che abbiamo fatto nostro
31
anche il suo lessico, in larga parte inglese,
seppur con adattamenti. Negli anni Novanta, quando in Italia si iniziava a comunicare tramite il PC, la connessione si pagava a tempo. Ogni carattere risparmiato
significava spendere qualche lira in meno.
I fenomeni tachigrafici che vanno dall’uso
di sigle (LOL ‘laughing out loud’; BRB ‘be
right back’; IMHO ‘in my humble opinion’;
K, ulteriore accorciamento di OK) ai troncamenti di parola (asp ‘aspetta’, direz ‘direzione’, and ‘andare’) alle contrazioni (cmq ‘comunque’, nn ‘non’, dv ‘devo’, grz ‘grazie’,
prg ‘prego’) o all’uso di sequenze di segni
che assumono un valore convenzionale (<3
‘ti voglio bene’, XOXO ‘baci e abbracci’) andavano tutti nella direzione del risparmio di
banda. La stessa necessità di evitare sprechi di “spazio comunicativo” si ripropone
Con l’arrivo di Internet
avviene una tripla
rivoluzione della
comunicazione: cambia
il mezzo di trasmissione,
il modo di creare i testi e,
infine, anche la modalità
di fruizione, di lettura
poi con l’avvento del cellulare: nel parlato
si saltano, ad esempio, i rituali di presentazione, visto che, in caso di telefonate tra
conoscenti, l’identità dei partecipanti è già
nota prima dell’inizio della chiamata; nello
scritto, in particolare degli SMS, si ricerca
la maggior densità comunicativa possibile:
un messaggio potrebbe contenere solo 160
pretesti | Novembre 2011
caratteri, se non si tiene conto della possibisu altri strati della lingua, come ad esempio
lità di creare messaggi concatenati, a un cola sintassi: troviamo riproposte nella scritsto ovviamente maggiore.
tura telematica molte caratteristiche della
Va, tuttavia, notato che neanche simili “tatlingua parlata, per esempio la tendenza a
tiche di contrazione” sono realmente nuocomporre frasi più brevi e con meno suborve: le tachigrafie, per esempio, erano già
dinate. Un fenomeno del tutto naturale, e da
in uso tra i romani, e più tardi tra gli amavedere in linea di massima come positivo,
nuensi medievali; perfino la tanto vituperaperché indice di una buona salute della nota k ha alle sue spalle una lunga storia, che
stra lingua, che si dimostra adattabile, ben
risale addirittura ai placiti cassinesi, datati
disposta nei confronti del cambiamento. È
960-963 d.C.: sao ko kelle terre... Per non parchiaro, però, che l’impiego di certi stilemi
lare dell’uso della k in modo contestatorio,
legati alla “tecnologizzazione” della lingua
dall’Amerika degli anni ’70 al Kossiga degli
ha un senso solo nel contesto comunicatianni ’90.
vo appropriato, e non deve diventare un tic
Adesso, in teoria, non dobbiamo più preonnipresente e ingiustificato.
occuparci della TUT, tariffa urbana a tempo,
e nemmeno i messaggini hanno costi particolarmente elevati. Ma la comunicazione telematica continua a fare uso di questi
vezzi comunicativi, spesso
giustificabili se si pensa alla
La tanto vituperata k ha alle sue spalle
velocità che desideriamo che
una lunga storia, che risale addirittura
le nostre comunicazioni abai placiti cassinesi, datati 960-963 d.C.
biano. E poi, ci sono sempre
tecnologie nuove alle quali adattare le nostre capacità: si pensi ad
esempio al servizio di microblogging Twitter, che ci “costringe” a condensare in nostri tweet in 140 caratteri.
Le tecnologie, quindi, cambiano la lingua:
da una parte perché ci troviamo ad assimilare un vero e proprio lessico tecnico legato
al mezzo impiegato (e non sempre inglese:
la nomenclatura che riguarda il cellulare,
per esempio, è in larga parte italiana.
Si pensi a messaggino, tacche, segnale ma anche a telefonino, termine con chiara connotazione affettiva). D’altro canto, la velocità
del mondo in cui viviamo oggi agisce anche
32
pretesti | Novembre 2011
Anima del
mondo
Paesaggi della letteratura
Dei ed eroi
sulleLe Langhe
colline
secondo
Cesare Pavese e Beppe Fenoglio
di Federico Bellini
Prive del glamour delle cugine toscane come
della docile ma orgogliosa prosperosità di
quelle emiliane, le colline piemontesi sono
quasi pudiche nella loro bellezza. Lasciate
a margine nella costituzione di un’identità
piemontese che si è sempre voluta più urbana e Torino-centrica di quanto realmente
non fosse, sono un mondo dal fascino altero
che solo di recente ha cominciato a scoprire
le sue potenzialità turistiche. Ma già prima
che il vino diventasse un culto e una moda,
33
questi colli si erano conquistati uno spazio
nell’immaginario collettivo grazie all’amore che per essi nutrirono due fra i più grandi
scrittori italiani del Novecento, che ne fecero sfondo e sostanza delle loro opere. Cesare
Pavese, nato in quella Santo Stefano Belbo
da lui stesso definita “un poco la metropoli
delle Langhe”, fa di questi paesaggi molto
più di uno sfondo pittoresco: una presenza
vitale dei suoi romanzi, quasi un personaggio che assiste agli eventi con regale o divi-
pretesti | Novembre 2011
no distacco. “Gli dei sono il luogo”, scrive
nei Dialoghi con Leucò, e le sue colline appaiono davvero intrise di una vitalità pagana,
che si riveste degli attributi antropomorfi
di divinità ctonie, come quando, in Paesi
tuoi, al primo arrivo a Monticello si stagliano come profili di mammelle. Nella loro robusta e ruvida morbidezza Pavese ritrova
un senso femmineo della natura, i segni di
un mondo ancestrale con il quale la cultura contadina aveva conservato un rapporto
fatto di riti, celebrazioni, abitudini. Dalle
Langhe come teatro di questa ritualità legata alla terra Pavese risale ai tempi preisto-
rici di un’umanità primitiva, ai culti delle
madri, all’intreccio violento di sacrificio e
fecondità che rimette in scena nelle trame
dei suoi romanzi. L’essere donna e madre
della terra Pavese l’aveva prima esperito
sulla sua pelle vivendo in questo paesag-
34
gio, poi riscoperto nei testi della nuova antropologia che curava per la “Collezione
di studi religiosi, etnologici e psicologici”
della casa editrice Einaudi; nelle poesie di
La terra e la morte il binomio è capovolto, e
sarà la donna a farsi paesaggio: “Anche tu
sei collina / e sentiero di sassi / e gioco nei
canneti, / e conosci la vigna / che di notte
tace. / Tu non dici parole”.
In modo tutto diverso Beppe Fenoglio, l’altro gigante letterario langarolo, guardava
alle stesse colline, tra le quali trascorse gran
parte della sua vita e soprattutto l’esperienza della lotta partigiana. Il suo occhio
cercava non i segni
di un passato mitico,
di storie archetipiche
e di una terra che rivendicava sangue e
sudore, ma le cicatrici
ancora fresche di un
passato storico saturo
di violenza e crudeltà.
Attorno ai paesi e alle
campagne teatro dei
suoi romanzi, le colline non si stringono
più in un abbraccio di
madre o matrigna, ma
si dispongono in una
folla di quinte ammassate, che proiettano nuove e stranianti
ombre a seconda della luce che le investe.
Così esse mutano in una fantasmagoria di
forme, facendosi il grembo che in anfratti
e cascine offre calore e protezione, ora figure modellate in una sostanza d’incubo.
In Una questione privata, ad esempio, la
pretesti | Novembre 2011
fuga del protagonista è incanalata in un
paesaggio che gli preme addosso e scivola
via ai suoi lati deformato dalla sua velocità. “[Milton] correva come non aveva mai
corso, come mai nessuno aveva corso, e le
creste della colline dirimpetto, annerite e
sbavate dal diluvio, balenavano come vivo
acciaio ai suoi occhi sgranati e semiciechi.
Correva, e gli spazi e gli urli scemavano,
annegavano in un immenso, invalicabile
stagno fra lui e i nemici”. Altrove si apre a
un’atmosfera fatata e sospesa, dai colori di
fiaba gotica: “Il paese figurava come un bastimento in bilico sull’ondata maggiore di
quel mare solidificato d’incanto. La nebbia
scalava l’enorme collina, rapidamente uncinò l’abitato e lo fasciò tutto. Solo la cuspide
del campanile affiorava, vi si era impigliata,
dopo molto vagolare, una ragnatela di vapori nerastri” (Primavera di bellezza). Pavese
e Fenoglio, tuttavia, nonostante la diversità
35
di tavolozza, si ritrovano in un tono di fondo comune, un carattere anche stereotipicamente piemontese che è come il riflesso
morale della geologia di queste valli: una
sobrietà appassionata, una virilità affettuosa, la declinazione del mito e della tragedia
in una scala domestica.
Dice Giorgio Bàrberi Squarotti, critico e poeta delle Langhe per nascita e per passione, che “dal paesaggio di queste colline mi
è sempre venuta una lezione di pazienza
delle angosce, degli affanni, delle fatiche di
vivere: ma perché è un paesaggio senza sogni, senza avventura, senza gioia delle cose,
nel quale si possono incontrare gli Dei e gli
Eroi di Omero, ma nelle incarnazioni delle più radicali e definitive sconfitte, e mai
i carri dei vincitori o le tende azzurre dei
signori della storia e del tempo.”
pretesti | Novembre 2011
Con i latkes
per cena non
si scappa da casa
Alta cucina
Leggere di gusto
La mappa del cuore (e del palato) di Mordecai Richler tra Canada e Israele
di Francesco Baucia
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pretesti | Novembre 2011
L
a legge secondo cui i posti migliori dove fermarsi a mangiare un
boccone sono quelli solitamente
frequentati dai camionisti non è
nota solo dalle nostre parti. È piuttosto un
deposito indiscusso nella memoria collettiva, quasi una legge universale. E in quanto tale era nota anche nella Montréal della
prima metà del Novecento, anche nel quarCosì descrive uno dei locali mitici del suo
tiere ebraico, dove il locale per eccellenza
quartiere la voce narrante delle Meraviglie di
per i camionisti di passaggio era il bar di
St. Urbain Street di Mordecai Richler, voce
Tansky. Ideale per le loro soste anche perdietro la quale si nasconde, senza troppi
ché situato in St. Urbain Street, una strada
infingimenti, l’autore stesso. Fu Richler ad
che portava alle statali 11 e 18 e dove giorno
ammetterlo, dicendo che l’unico protagoe notte transitavano “grossi camion frigorinista dei suoi libri nel
feri e merciai ambulanti
quale si riconosceva non
su Chevy fracassone, e
era tanto (come molti si
a volte turisti, in viagsarebbero aspettati) il
gio da o per il Quebec
celeberrimo Barney Pasettentrionale, l’Ontario
nofsky della Versione di
e lo Stato di New York”.
Barney, ma proprio il
Se qualche avventore
protagonista delle Meraera di Toronto, Tansky
viglie di St. Urbain Street,
non gli risparmiava
il nostalgico romanzouna delle battute prefe“L’unica
cosa
buona
di
memoir che scrisse nel
rite del suo repertorio:
Toronto è la strada per 1969 quando si trovava
“L’unica cosa buona di
Toronto è la strada per
Montréal. Non è vero?” a Londra, città dove trascorse un lungo perioMontréal. Non è vero?”.
do della sua vita. Se per il narratore il bar
Ma in realtà al proprietario del bar interesdi Tansky è il luogo principe da cui far parsava una cosa sola: la politica. Non vedeva
tire la rievocazione appassionata del prol’ora di parlarne coi suoi clienti, e se qualprio quartiere, ciò è dovuto al fatto che la
cuno di loro si mostrava disinteressato o
mitologia del bar rivestì davvero un ruolo
contrario alle sue idee progressiste, “reclicentrale nell’esistenza di Mordecai Richler.
nava l’ispida testa grigia, e bisognava ricorLo racconta alla perfezione Christian Rocdargli di aggiungere salsa e mostarda agli
ca in Sulle strade di Barney (Bompiani 2010),
hamburger”. Se invece altri gli davano un
un vademecum imperdibile per gli amanti
po’ di corda, “a loro toccavano piatti colmi
dell’universo reale e fantastico di Richler.
di patatine fritte e un caffè bis in omaggio”.
37
pretesti | Novembre 2011
Da quando si era ristabilito a Montréal, fino
delle principali preoccupazioni di Richler,
alla fine della sua vita, lo scrittore non rila memoria affettuosa del cibo tradizionale
nunciava per nulla al mondo a una capariemerge tuttavia in diversi passi delle Metina da Ziggy’s, il bar che nella Versione di
raviglie di St. Urbain Street. Infatti, il quartieBarney trasfigurò amabilmente in Dink’s, il
re ebraico di Montréal non era celebre solo
covo dove il protagonista del romanzo, così
per il bar di Tansky. Era noto anche per una
come l’autore, si rifugiava a sorseggiare il
certa Mrs Miller, della Panetteria Miller,
suo amato scotch Macallan. Ma la mappa
che fece un enorme khale (la pagnotta indel cuore di Richler non contemplava solo
trecciata che gli ebrei mettono in tavola soZiggy’s. Un posto di rilitamente il sabato) e lo
lievo era occupato da
mandò a Buckingham
La memoria affettuosa Palace per il compleanSchwartz, sul St. Laudel cibo tradizionale
rent Boulevard (più
no della principessa Elinoto come The Main), la
sabetta (futura regina).
riemerge in diversi
Charcuterie Hébraïque
Ricevette un biglietto
passi delle Meraviglie
dove Richler divorava
di ringraziamento dalla
di
St.
Urbain
Street
sandwich di carne affamiglia reale, e si merifumicata e speziata alla
tò per questo numerosi
maniera ebraica, un piatto diventato un
articoli sui giornali. Colse la palla al balzo,
classico della cucina nordamericana (noto
intanto, per farsi un po’ di pubblicità: “Per
anche con il nome di origine yiddish pastrail consumo locale” diceva ai cronisti che la
mi), ma che affonda le proprie radici nelle
intervistavano “facciamo anche gli knishes
tradizioni culinarie degli ebrei dell’Europa
[gnocchi di patate e cipolle] e provvediamo
orientale e del sud della Russia. Per far caal servizio per matrimoni di qualità”.
pire come i due posti fossero strettamenMa c’è un altro meraviglioso episodio del
te collegati nella mente di Richler, Rocca
libro in cui fa la sua apparizione un classico
racconta che quando lo scrittore si trovava
della cucina tradizionale ebraica. È un cada Ziggy’s ed era colto dalla fame, ordinapitolo dallo stile agrodolce, esilarante e allo
va un sandwich da Schwartz per telefono,
stesso tempo venato di amarezza come tute poi mandava un taxi a ritirarlo. Oltre a
te le migliori pagine di Richler.
bar e charcuteries c’era però anche spazio,
Il protagonista vi racconta di quando,
tra i locali più amati da Richler, per il ristonell’estate del 1942, la propria famiglia derante Le Mas des Oliviers dove, al pari del
cide di prendere a pensione Herr Bambinsuo eroe Barney, si concedeva ricche porger, un profugo proveniente dall’Europa in
tate di costolette d’agnello e di sanguinacguerra. Inviperito perché il pigionante occi (boudins), il tutto accompagnato da un
cupa la stanza che gli era stata a lungo probordeaux d’annata. E per finire non poteva
messa, oltre che per i severi consigli in mamancare il cognac, e un sigaro Montecristo.
teria di educazione della prole che questi
Se l’alimentazione kosher non era certo una
impartisce ai suoi ospiti, il narratore decide
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pretesti | Novembre 2011
di fuggire da casa. Si reca allora alla Park
Bowling Academy, dove lavora Hershey,
uno dei suoi migliori amici, per coinvolgerlo nell’avventura. “Ti andrebbe di scappare
da casa con me?” gli chiede. E si sente rispondere candidamente da Hershey: “Puoi
aspettare fino a lunedì? Domani abbiamo
latkes per cena.” Così il narratore sarà costretto a tornare dalla famiglia e a fare pace
con il pensionante. E alla fine avrà anche la
sua camera, perché Herr Bambinger lascerà
la casa sperando nell’arrivo della moglie e
del figlio, scappati in Australia. Una speranza alla fine frustrata, e che tingerà di tonalità fosche questo spassoso ritratto di famiglia. Hershey nel frattempo si sarà goduto i
tanto desiderati latkes? Non ci è dato saperlo dalla voce di Richler, ma i lettori possono
facilmente sostituirsi all’amichetto del protagonista del romanzo in questa esperienza
culinaria. I latkes sono delle frittelle di patate che vengono associate generalmente alla
festività ebraica di Khanukkah, conosciuta
anche come Festa delle Luci. Sono molto
semplici da preparare, e chi voglia cimentarsi con questa pietanza necessita solo di
quattro o cinque patate grandi, una cipolla,
quattro uova e settanta grammi scarsi di farina di matzà, una farina ottenuta frullando le sfoglie di pane azzimo che fungono
da sostituto del pane lievitato nella Pasqua
ebraica. Una volta sbucciate le patate e la cipolla, si grattugiano e si uniscono alle uova.
Poi si mescola il tutto con la farina, il sale e
il pepe. Nell’olio bollente si friggono cucchiaiate abbondanti del composto ottenuto,
finché non sono ben dorate su entrambi i
lati. I latkes sono generalmente serviti con
la panna acida, o con un formaggio fresco
cremoso.
Latkes
I latkes sono delle
frittelle di patate che
vengono associate
generalmente alla
festività ebraica di
Khanukkah
39
Ingredienti:
4/5 patate
di grosse
dimensioni
1 cipolla
4 uova
70 gr di farina
di matzà
Sale
Pepe
Olio
pretesti | Novembre 2011
Recensioni
È dunque un innamorato che parla e che dice…
LA TRAMA DEL MATRIMONIO
di Jeffrey Eugenides
L’amore romantico e le sue conseguenze possono sembrare, a prima vista, i temi meno
indicati per un romanzo che si ponga l’obiettivo di delineare la mappa affettiva della nostra epoca. Sclerosi dell’anima, indifferenza e
apatia appaiono infatti i cardini a cui molti
scrittori appendono il loro personale ritratto del mondo contemporaneo. Sorprende
dunque trovare al
centro dell’ultima
fatica di Jeffrey
Eugenides, edita da Mondadori,
una minuziosa e
attenta analisi di
ciò che Roland
Barthes
definisce il “discorso
amoroso”. Ma, a
un’osservazione
Disponibile su
più accurata, si
www.biblet.it
scopre che la scelta dello scrittore
di origine greca,
già vincitore del premio Pulitzer nel 2003 per
il romanzo Middlesex, possiede l’abilità di donare nuova linfa al romanzo contemporaneo.
La trama del matrimonio, rileggendo la grande tradizione letteraria ottocentesca legata
al tema del matrimonio e dell’amore, narra
infatti, in maniera raffinata ed essenziale a
un tempo, la storia di un triangolo amoroso
ambientato negli anni ’80. Il sipario si alza su
Madeleine Hanna, laureanda in letteratura,
la quale vive nella convinzione che il vero
amore si possa trovare esclusivamente secon-
40
do le modalità suggerite dai romanzi di Jane
Austen, George Eliot e Henry James.
Le sue credenze crollano quando entra in
contatto con Leonard Bankhead, giovane affascinante che soffre di profonde crisi depressive, il quale la fa perdutamente innamorare.
Il rapporto tra i due si rivela però immediatamente difficile, in quanto si mantiene sul pericoloso equilibrio della malattia di Leonard.
Sembrerebbe così forse più saggio per Madeleine cedere alla corte del suo miglior amico,
Mitchel Grammaticus, studioso di religioni
che da sempre vede in lei la donna ideale. La
prosa di Eugenides esplora a fondo l’intrecciarsi di affetti e passioni di questa trama, al
fine di donarci un affresco il più possibile veritiero dell’animo umano. Attraverso viaggi
in India, crisi spirituali e follia, l’autore tenta di convincerci dell’esistenza di quel sentimento chiamato amore, in un mondo che
sembra aver abbandonato, con l’avvento del
postmodernismo e del nichilismo, ogni credenza in tal senso. Lo fa utilizzando una prosa tagliente che tenta di scuotere fin dal profondo il lettore, obbligandolo a riflettere sul
proprio universo di sogni ed emozioni. L’opera che ne risulta, fondendo in sé la tragedia
e la commedia, riesce così ad evadere da ogni
paradigma precostituito, rivitalizzando il genere letterario del romanzo d’amore.
La trama del matrimonio di Jeffrey Eugenides
vuole essere pertanto un’ulteriore possibilità
di dare dignità ad un modo di sentire, quello
dell’innamoramento, apparentemente sconfitto nella storia dei sentimenti. A noi sembra
che tale nobile proposito sia stato mantenuto.
pretesti | Novembre 2011
GAUDEAMUS
FIERA DEL LIBRO
DI
BUCAREST
e gli altri eventi del mese
GAUDEAMUS
FIERA DEL LIBRO DI BUCAREST
La diciottesima edizione della Fiera del libro Gaudeamus, in programma a Bucarest,
avrà come ospite d’onore l’Italia, nel centocinquantesimo anniversario della sua unità
nazionale. Patrocinata da Radio Romania,
la manifestazione proseguirà il cammino intrapreso nella scorsa edizione, dove lo stand
italiano, organizzato dall’Ambasciata Italiana, dal Centro Culturale Italiano a Bucarest
e dall’Associazione Italiana degli Editori, si
è presentato come uno dei più complessi e
dinamici. Al fine di celebrare la straordinaria
vastità della cultura dello stivale e avvicinare il pubblico romeno agli aspetti più sconosciuti della storia italiana, saliranno sul palco
alcune tra le più prestigiose firme nazionali.
Dal 23 novembre al 27 novembre.
CITTA’ DEL LIBRO
RASSEGNA LETTERARIA
Si rinnova il consueto appuntamento a Campi Salentina con la Rassegna nazionale degli
autori e degli editori, giunta ormai alla sedicesima edizione. La fondazione onlus Città
del Libro, organizzatrice della manifestazione, ospiterà alcuni tra i più importanti scrittori e giornalisti del panorama letterario italiano contemporaneo come Dacia Maraini,
Enrico Vaime, Cinzia Tani e Arrigo Petacco.
Dal 24 novembre al 27 novembre.
41
Appuntamenti
GUADALAJARA
INTERNATIONAL BOOK FAIR
Giunta alla venticinquesima edizione, riapre
i battenti la Fiera del libro di Guadalajara, l’evento culturale più importante dell’America
Latina. Straordinario incontro tra diverse culture, la rassegna avrà quest’anno la Germania quale ospite d’onore. Numerosissimi gli
scrittori internazionali attesi durante il corso
della manifestazione tra cui preme ricordare
i premi Nobel Herta Müller e Mario Vargas
Llosa, il giallista James Ellroy, Alejandro Jodorowsky, Marcela Serrano e Paco Ignacio
Taibo II.
Dal 26 novembre al 4 dicembre.
COURMAYEUR
NOIR FESTIVAL
Evento di primo piano nel panorama culturale italiano, anche quest’anno il Courmayeur Noir Festival, di cui si festeggia la ventunesima edizione, si prepara a celebrare i re
del brivido della narrativa nazionale e internazionale. Nel nome di Raymond Chandler,
vero e proprio nume tutelare del genere, il
festival renderà omaggio a due grandi maestri, Andrea Camilleri e Petros Markaris, che
con le loro rispettive incarnazioni letterarie,
il siciliano Salvo Montalbano e il greco Kostas Charitos, hanno contribuito a portare la
letteratura noir ad altissimi livelli.
Dal 5 dicembre al 11 dicembre.
pretesti | Novembre 2011
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@mgiacomello
maAcquistabili dall’Italia su A
ook
zon.com gli oltre 2.200 e-b
ori.
trade del Gruppo Mondad
@ferrazza
Agenda digitale. Banda
larga. Innovazione. Però
nella scuola di Simone ci
sono i topi e i bagni fanno
schifo.
@Pianeta_eBook
In biblioteca a prendere in
prestito un eBook: a New Yo
rk
i libri digitali fanno rifiorire
i
templi della cultura.
@macitynet
Adobe, “Addio a Flash
Player mobile colpa
nostra e di Apple”...
@panoramalibri
Ebook reader: dieci regole
d’oro per scegliere quello
“giusto”.
@MYSIA19
@tropicodellibro
condannati
I lettori digitali sembrano
gliere il
a perdere più tempo a sce
bri.
dispositivo di lettura che i li
Libri digitali
all’universit
à?
Sarà! Ma...
viva la mati
ta
che sottolin
ea e il cranio
sprofondato
nel cartaceo
.
Sono retrò.
Bookbugs
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pretesti | Novembre 2011
I TUOI eBOOK QUANDO VUOI, DOVE VUOI
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pretesti
Occasioni di letteratura digitale
Pretesti • Occasioni di lettura digitale
Novembre 2011 • Numero 2 • Anno I
Telecom Italia S.p.A.
Direttore responsabile:
Roberto Murgia
Coordinamento editoriale:
Francesco Baucia
Direzione creativa e progetto grafico:
Fabio Zanino
Alberto Nicoletta
Redazione:
Sergio Bassani
Luca Bisin
Fabio Fumagalli
Patrizia Martino
Francesco Picconi
Progetto grafico ed editoriale:
Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com
In copertina: Marcello Simoni
L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi
di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate
per le quali non è stato possibile reperire il credito.
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