UN VOLTO, UNA STORIA
III
marzo 2014
Le note silenziose di autori (quasi) dimenticati
Ricordo di Alice Herz-Sommer e di altri artisti che furono internati
nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale
S
La pianista di talento Alice Herz­Sommer morta a Londra a 110 anni, la più anziana superstite dell’Olacausto
M
i accingo a tratteg­
giare un breve profi­
lo di Alice Herz­
Sommer, la più an­
ziana
tra
i
sopravvissuti alla
deportazione nazista e che è venuta a
mancare lo scorso 23 febbraio, a Lon­
dra, all’età di 110 anni. Mentre riordi­
no le idee osservo gli spartiti che sono
qui accanto a me: due sonate per pia­
noforte composte da Viktor Ullmann,
musicista morto ad Auschwitz nel
1944. Vi fu trasferito dopo una depor­
tazione di circa due anni presso il cam­
po Theresienstadt. La musica che ho
davanti agli occhi è stata scritta lì, in
quel “ghetto” tanto particolare e
drammaticamente unico in tutto l’uni­
verso concentrazionario. Cosa c’entra
tutto questo con la figura di Alice Herz­
Sommer? Ella fu deportata proprio a
Theresienstadt, e fu un’importante
pianista, che ebbe modo di conoscere
anche Gustav Mahler. Nacque nel
1903 a Praga, la città natale del già ci­
tato Ullmann, e qui iniziò da giovane lo
studio del pianoforte. Nel 1942, es­
sendo rimasta al fianco della madre, fu
condotta con lei nel campo di prigionia
di Theresienstadt (Terezín, in ceco),
dove poi venne imprigionato anche il
fratello, il violinista Paul. Qui Alice
Herz­Sommer ebbe modo di conti­
nuare la propria attività musicale, non
senza rischi; spesso dopo alcuni con­
certi promossi dalle gerarchie del
campo i musicisti venivano mandati
ad Auschwitz senza spiegazioni. Ave­
vano tenuto la loro ultima esibizione
senza saperlo, avevano “vissuto d’ar­
te” per l’ultima volta prima che di loro
si perdesse ogni traccia. Questo era il
contesto in cui Alice Herz­Sommer si
trovò a far musica, assieme a molti al­
tri artisti rinchiusi in quel campo che
doveva fintamente apparire come una
realtà “modello”. In molti campi, in ve­
rità, si introdusse la musica, ma il più
delle volte a fini denigratori o per ren­
dere ancora più grottesche ed alienan­
ti le atrocità che vi venivano compiute;
le testimonianze raccontano di orche­
strine obbligate ad esibirsi durante le
selezioni e la marcia che conduceva i
prigionieri ai forni. Ma a Terezín era di­
verso. Alice Herz­Sommer si trovò lì
dove il regime nazista aveva fatto con­
vergere il destino dei più importanti
musicisti e artisti ebrei del suo tempo:
strumentisti, direttori d’orchestra,
cantanti, compositori, poeti, attori e
registi che animarono la vita artistica
nel campo. Un grande lavoro di risco­
perta della musica composta ed ese­
guita nei campi di sterminio, tra cui
quello di Theresienstadt, è stato porta­
to avanti da Francesco Lotoro con la
creazione dell’Archivio Musicale dei
Ghetti e Campi (1933­1945).
Dopo la guerra Alice Herz­Sommer ri­
prese la sua attività concertistica e di
insegnante in Israele, per poi stabilirsi
definitivamente a Londra. Avrebbe
inoltre dovuto partecipare alla cerimo­
nia degli Oscar, in cui è stato premiato
come miglior documentario il film a lei
dedicato, The Lady in Number 6.
Le parole di un anonimo critico musi­
cale che poté assistere nel campo ad
una sua esecuzione pianistica di brani
di Chopin ci ricordano quanti furono
strappati alla vita e all’arte: “Mentre
l’artista libera i veri tormenti del suo
animo attraverso magici movimenti
delle dita, il genio della Musa le si af­
fianca per proteggerla e l’uditorio non
può che prostrarsi come in preghie­
ra”.
Simone Majocchi
Theresienstadt: l’anticamera di Auschwitz
che fu visitata dalla Croce Rossa Internazionale
A sud di Praga si trova un luogo drammaticamente parti­
colare, una “cittadella” di concentramento in cui furono
reclusi o vi transitarono molti artisti ed intellettuali espo­
nenti di una cultura mitteleuropea che non risorse più do­
po la barbarie del nazismo. Si tratta di Theresienstadt, al­
trimenti detta Terezín. La pianista Alice Herz­Sommer fu
una dei tanti musicisti internati in questo luogo grottesco
e contraddittorio. La storia ci testimonia che fu usato dal
nazismo a fini propagandistici: a Terezín venne girato il
film “Il Führer dona una città agli ebrei”, che doveva di­
mostrare alla comunità internazionale che le condizioni
di vita della popolazione ebraica erano decorose e accet­
tabili. Il campo venne addirittura aperto alle ispezioni del­
la Croce Rossa Internazionale. L’operato dei molti musi­
cisti che qui continuarono a comporre ed eseguire musi­
ca ci deve interpellare assai profondamente: non si tratta
solo di uomini e donne che agirono per soddisfare le ri­
chieste della gerarchia nazista. Nella creazione artistica
i prigionieri sperimentavano la dimensione della resi­
stenza al male, trovando nella musica lo strumento di una
lotta combattuta con le armi dell’etica e dell’estetica. Lì
dove l’arte
era tollerata,
a Terezín,
dei circa
140.000 pri­
gionieri
(molti erano
i bambini)
quasi
90.000 fini­
rono ad Au­
schwitz e 35.000 morirono nel campo. Il libro di Joža Ka­
ras La musica a Terezín è un prezioso documento per co­
noscere meglio questa triste pagina di storia e di arte.
Simone Majocchi
ebbene non sia più un
segreto il fatto che
l’universo concentra­
zionario nazista co­
nobbe l’attività di non
pochi tra compositori
ed esecutori che si dedicarono alla
musica durante la prigionia, tutta­
via il lascito artistico di questi uo­
mini e queste donne, che costitui­
sce una preziosa eredità ed una te­
stimonianza importantissima, resta
per la maggior parte di noi una pa­
gina della storia musicale del ‘900
ancora troppo poco conosciuta.
Certo, non mancano libri, saggi e
studi musicologici al riguardo, così
come è possibile reperire sul web
informazioni, e con un po’ di perse­
veranza si possono acquistare an­
che alcune incisioni. Resta però il
fatto che questo tipo di repertorio è
certamente “particolare”; si tratta
di una musica che fuoriesce diret­
tamente da quel passato dolorosis­
simo, tragico e disumano che le an­
nuali Giornate della Memoria ripro­
pongono alle nostre coscienze
perché il ricordo non si assopisca
e le generazioni future non dimenti­
chino; una musica per questo for­
temente evocativa. La produzione
di autori quali Viktor Ullmann, Hans
Krása, Gideon Klein e Pavel Haas
per citarne
solo alcu­
ni, ci inter­
pella pro­
fonda­
mente su
ciò che è
in verità la
creazione
artistica:
com’è sta­
to possibi­
le trovare
la forza
per dedi­
carsi alla
musica
laddove
era addi­
rittura ne­
cessario
lottare per
garantirsi anche solo la più fragile
possibilità di sopravvivenza, in un
contesto in cui il piano degli aguzzi­
ni escludeva a priori che tale possi­
bilità potesse realmente esistere
per qualcuno? Questa musica deve
spaventarci perché fuoriuscita da
un universo disumano, o deve piut­
tosto suscitare in noi ammirazione
e commozione per la forza vitale
che ha saputo veicolare per coloro
che la scrissero, la eseguirono o
che ne fruirono durante la prigio­
nia? Forse sono proprio questi
quesiti così impegnativi a scorag­
giare l’ampia divulgazione di tutto
ciò che riguarda questa pagina di
storia, musicale e umana al tempo
stesso. Può sorgere il dubbio che
questi autori abbiano lavorato per
compiacere alle autorità dei campi,
e forse in alcuni casi può essere
davvero accaduto così; ma sarebbe
troppo superficiale liquidare la que­
stione con questa spiegazione a
senso unico. Il filosofo T.W. Ador­
no disse che dopo Auschwitz fare
della poesia sarebbe stato addirit­
tura un atto barbaro. Nel corso del­
la sua vita arrivò però a ricalibrare
la propria affermazione, conceden­
do che il linguaggio artistico potes­
se essere una modalità per espri­
mere un dolore indicibile e al tempo
stesso potesse costituire una pos­
sibilità di speranza. Allora anche la
musica composta nel lager può ad­
dirittura assurgere a veicolo di resi­
stenza, speranza e volontà di so­
pravvivenza; almeno nella memoria
dei posteri. Alcuni studi di analisi
musicale vanno proprio in tale dire­
zione. In questo senso è altamente
emblematica e significativa l’opera
Der Kaiser von Atlantis, composta
da Viktor Ullmann durante la pri­
gionia, su libretto di Peter Kien. Si
narra di un imperatore, Overall, che
dichiara guerra al mondo intero,
una guerra di tutti contro tutti tanto
assurda ed atroce da costringere la
Morte stessa, di fronte alla distru­
zione totale, a non poter più inter­
venire; non vi sarebbe fine allo stra­
zio se non fosse proprio il Kaiser ad
accettare di andare per primo in­
contro alla Morte, invocata persino
dal simbolo stesso della vita, Arlec­
chino. Quest’opera è una delle tante
che furono composte durante la
deportazione, nel ghetto di There­
sienstadt. Un’opera a tratti premo­
nitrice, anche se ai suoi autori non
fu dato di sapere che le loro previ­
sioni e i loro desideri erano giusti.
Entrambi morirono ad Auschwitz
prima della fine del conflitto. Per
molti di questi artisti occorre consi­
derare che si tratta di autori che
probabil­
mente, se
non vi fos­
se stato il
nazismo,
avrebbero
avuto un
ruolo si­
gnificati­
vo nel cor­
so della
storia mu­
sicale del
‘900, e in
qualche
caso la lo­
ro attività
preceden­
te alla de­
portazio­
ne ce lo
suggeri­
sce. La vicenda umana e quella arti­
stica di questi autori si fuse in
un’unica, drammatica esperienza.
Per usare le parole del già citato
Ullmann: “È qui, dove nella quoti­
dianità ci tocca vincere la materia
facendo appello al potere della for­
ma, dove tutto ciò che ha rapporto
con le Muse contrasta così straor­
dinariamente con l’ambiente in cui
viviamo, che si trova il vero inse­
gnamento dei Maestri […]. Abbiamo
cercato di penetrare il segreto di
ogni opera d’arte, nel tentativo di
annichilire la materia con la forma,
in ciò che è senza ombra di dubbio
la suprema missione dell’uomo.
L’uomo dell’estetica, come l’uomo
dell’etica. […] In nessun modo ci
siamo seduti a piangere sulle rive
dei fiumi di Babilonia; e il nostro
sforzo per servire rispettosamen­
te le Arti è stato proporzionale al­
la nostra volontà di vivere mal­
grado tutto. Sono convinto che tutti
quelli che lottano, nella vita come
nell’Arte, per trionfare di una Mate­
ria che pur sempre resiste, condivi­
deranno il mio punto di vista.” Co­
me non lasciarsi interpellare dalla
musica che scaturì ispirata da sen­
timenti tanto alti, durante una delle
vicende più cruente e disumane
che la storia abbia mai conosciuto?
Simone Majocchi
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