Aprile 2014 - n. 1 Anno 24º
Spedizione in abb. Postale (Poste Italiane)
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1. comma 2. Lo-Co
sommari
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8
10
Non si tratta solo di vincere la fame e
neppure di ricacciare indietro la povertà.
La lotta contro la miseria, pur urgente
e necessaria, è insufficiente.
Si tratta di costruire un mondo in cui
ogni uomo, senza esclusioni di razza,
di religione, di nazionalità, possa vivere
una vita pienamente umana.
L’impegno? Che cos’è?
In preghiera verso la Pasqua / Parliamo
di Nina Gianetti
Auguri
Dossier: Il mondo e la sfida alimentare
Biodiversità vegetale a Rungu
Nutrire non basta / Coltivatori della
cintura verde di Kinshasa
Contadini nei villaggi della savana
Aprile 2014- Anno 24
Registrazione Tribunale di Milano
n. 245 dell’11 Aprile 1992
Bimestrale
Spedizione in Abb. Postale (Poste Italiane)
11
Volontarie d’Europa
12
Un cammino nuovo per il Coe a Douala
14
Il centro di “Ascolto”
Direttore responsabile
Rosa Scandella
15
Ritorno a scuola: grazie all’adozione
Redazione
Gruppo di lavoro COE
16
Eccoci Guatemala
Proprietà Associazione COE
Resp. Rosa Scandella
17
Vent’anni “In Mongolfiera”
Foto
Archivio COE
18
Rapportino della solidarietà
Disegno e impaginazione
AnankeDesign
19
Sostieni l’Associazione Coe
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1. comma 2. Lo-Co
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2
l’impegno?
di Gigi
Ci sono parole che entrano per qualche
tempo nel nostro vocabolario quotidiano
e poi, quasi senza che ce ne accorgiamo,
pian piano si allontanano dall’uso e noi,
che le avevamo accolte cordialmente le
consideriamo non più funzionali ai nostri bisogni, alle nostre abitudini. Una di
queste parole, che per qualche anno entravano in tutti i dibattiti, in tutte le discussioni politiche, in tutte le esortazioni
morali fu impegno
morali,
impegno. L’impegno
L impegno diventò
(negli anni Settanta del secolo scorso?)
una specie di passepartout: imperava o
imperversava, a seconda dei punti di vista; cacciato dalla porta rientrava dalla
finestra. Tutto era impegno e pareva che
esso fosse l’ingrediente assolutamente indispensabile per tutte le minestre messe sui fornelli
nella cucina della storia.
Poi, quasi di colpo, l’impegno perdette il suo
fascino (ne avesse
mai avuto!) e finì, se
ancora qualcuno lo
invocava o lo rievocava, per suonare e
sapere di vuoto:
l’impegno?
Che cosa
era o era
stato?
Furono
mol-
tissimi coloro che mai ne avevano sentito parlare.
Che cosa era stato, che cosa aveva rappresentato? Semplicemente l’intenzione o la
volontà di adoperarsi per rendere migliore
la vita, propria ed altrui, agendo con serietà
nell’attività di lavoro, quale che fosse, poiché l’impegno considerava importante ogni
tipo di lavoro. Poi subentrò una fase di distinzioni: il lavoro doveva essere quello per
il quale
l cii sii era preparati
ti con llo studio
t di e la
l
gioventù studiosa (come la si chiamava una
volta) si aspettava che il solo fatto di aver
scaldato il banco per un quinquennio desse
il diritto di continuare a scaldare il fondo
di qualche altra suppellettile: un banco o
una poltroncina da ufficio. Ma l’impegno,
dunque, consisteva nell’aver vivacchiato
per un certo lasso di tempo nelle aule scolastiche, inventandosi lo sciopero per protestare contro i banchi cigolanti o preparando certi slogan “rivoluzionari” che da
qualcuno furono intesi come un serio incitamento a muoversi contro le istituzioni cui
si attribuivano tutti i malanni e i malesseri
della società.
Era tutto così nero come potrebbe apparire da queste parole? Lo sbandierato impegno non aveva anche un suo peculiare
carattere di serietà, di preparazione coscienziosa, di giuste aspirazioni a edificare
una società più equilibrata in cui il
peso della fiscalità non fosse
soprattutto sulle spalle dei
‘poveri’? Lo aveva; ma
troppe confusioni inquinavano la limpidezza richiesta all’impegno
e la capacità di distinguere un autentico slancio di generosità da quanto
appariva (ed era)
velleitario. Ad un
tratto ci si accorse
che l’impegno non
era soltanto scendere in piazza. A
mano a mano esso apparve qual era in realtà: il quotidiano lavoro fatto con la consapevolezza di far risplendere anche in esso
la dignità dell’uomo. Di fronte a questa
prospettiva cominciarono le defezioni. Se
ne valutò l’opportunità e si trovò che esso
richiedeva forze che non tutti possedevano. Le rinunce, dapprima fatte quasi di
nascosto, divennero in breve tempo visibili.
La tensione morale che aveva caratterizzato fervori
f
i e decisioni
d i i i sii allentò
ll ò tanto da
d
non esprimere alcuna tensione. Passarono
gli anni, l’impegno fu messo nel deposito
delle cianfrusaglie. A che cosa serviva, dopotutto? Ad alimentare nuove illusioni?
Se qualcuno cercava
di scoprire dove
l’impegno si
fosse cacciato,
non riusciva
a scovarlo
d a n e s su na
parte. Forse
era morto, e
nessuno ne
aveva avuto
notizia.
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in preghiera
verso
Pasqua
Il cristianesimo al suo sorgere non propose una rivoluzione
politica, ma quella dei cuori. L’uguaglianza radicale dei figli di
Dio non ha nulla a che fare, per Gesù e i suoi discepoli, con i
sistemi politici e sociali.
A chi vuole seguire il vangelo di Gesù, porsi alla sua sequela
è richiesta una conversione, un cambiamento di mente e di
cuore che deve partire dall’umile invocazione d’aiuto affidato
alla preghiera.
Questa non è confinata al cuore, alla mente, ma deve investire
tutta la persona; la nostra stessa carne deve essere preghiera,
come titola un capitolo di un libro di papa Francesco: “La nostra
carne in preghiera”.
Di fronte a Dio non possono esserci dicotomie, separazioni fra
carne e spirito: egli è unità.
In un ritiro dettato nel gennaio 1990 a La Plata, l’allora monsignor
Bergoglio diceva: “Preparare la nostra carne alla contemplazione
– oltre a servire il prossimo – implica metterla alla presenza di
Dio, sottoporla all’azione del Verbo e dello Spirito per la gloria
del Padre; avviarla verso il servizio che logora e stanca, ren-
parliamo di
di Carla Airoldi
Nina Gianetti…
“Parliamo di una Mamma..”, così aveva
scritto don Francesco Pedretti commemorando la morte della sig.ra Nina Gianetti,
di cui quest’anno ricorre il 40° anniversario il 21 marzo. Tre anni prima era stata
cooptata nell’associazione ed è stata la
prima ad essere chiamata dal Signore.
“Nessuno meglio di Lei ha il diritto di essere parte del Centro perché ne è sempre stata parte viva: noi La includiamo
ufficialmente tra i membri del Centro di
Orientamento Educativo per dirLe che riconosciamo questa Sua presenza materna
e, come noi ci arricchiamo dei Suoi meriti
e del Suo affetto, così desideriamo che
4
Ella senta come suoi i nostri programmi,
le nostre attività, i nostri sacrifici, la nostra preghiera”.
Nina Biffi Gianetti, una mamma che ha
sofferto moltissimo per la morte prematura delle sue due figlie, vedova e rimasta
sola alla responsabilità di una delle più
antiche e importanti ditte di Saronno,
non si era chiusa nel suo dolore, ma era
diventata il riferimento per tutte le situazioni difficili che affrontava con grande
riservatezza, rispetto e generosità. Grande
benefattrice di Saronno, aveva realizzato
una Casa di riposo intitolandola al nipote
Giulio Gianetti, un Nido d’Infanzia dedi-
candolo alla figlia Pina, morta di parto
con la sua creatura, una Fondazione per
la cultura e tanto aveva fatto per ospedali,
chiese e istituzioni religiose. La cittadinanza l’ha voluta riconoscere segnalandola per l’onorificenza di Commendatore
conferitale nel 1971 dal Presidente della
Repubblica senza che questo evento abbia
mai scalfito la sua umiltà e il suo riserbo.
La sig.ra Nina è stata vicina al COE, attenta alle attività che si svolgevano e partecipe dei suoi sviluppi, particolarmente
all’avvio della esperienza in Cameroun con
l’accoglienza nel 1969 di tre giovani camerunesi a Barzio per gli studi e la partenza
AUGURI
derla povera, in cammino,
in esodo: tutto questo, che
implica il mettere la nostra
Ricordo di aver letto questa espressione: Non mi interessa sapere chi sia
carne alla presenza di Dio,
Dio. Mi basta sapere da che parte sta. Noi oggi ci stiamo fatalmente atè pregare”.
Quindi, per riconoscere
tardando nello spiegare al mondo secolarizzato e indifferente chi è Dio.
Dio, per preparare i noSe invece sapessimo mostrare, con scelte comunitarie e personali, che Dio
stri occhi a contemplare
sta dalla parte degli ultimi sempre, il sogno di cieli nuovi e di terra nuova
la persona del Verbo fatto
carne dobbiamo pregare.
diventerebbe presto gaudiosa realtà. (Mons. Tonino Bello)
È la preghiera che apre i
nostri occhi a riconoscerlo,
L’augurio che ci scambiamo per questa Pasqua e la freschezza del Vangelo
come lo spezzare il pane
per i pellegrini di Emmaus.
che vorremmo condividere con tutti, porta con sé l’auspicio che nella noOcchi, mani, cuore protesi
stra vita associativa e di singoli possa brillare la gioiosa luce del Risorto,
verso Dio: “A te, Signore,
che nelle nostre scelte personali e comunitarie si intravveda la bellezza
innalzo l’anima mia”, cioè
la mia vita.
della vita di Dio e la sua folle passione per tutti gli uomini. Il COE c’è per
La preghiera investe la
questo, e don Francesco l’ha pensato per questo e perché nell’incontro tra
vita, ferisce la car ne,
fratelli e culture diverse i cieli nuovi e la terra nuova fossero anticipati e
perché ci tocca il cuore,
ci fa percepire la nostra
il sogno di Dio diventasse gaudiosa realtà.
fragilità: “Come terra deserta, arida, senz’acqua”;
Che questa celebrazione della Pasqua ci veda lieti testimoni della parte
gli anni della nostra vita
“settanta, ottanta per i
per la quale Dio si è speso.
più robusti”, ci spoglia dal
nostro egoismo superbo:
“Che cos’è l’uomo perché
tu te ne ricordi?”.
Pregare è dare spazio a Dio,
lasciarsi guidare da lui, è rileggere, alla luce della fede, la nostra cui Gesù ha pregato nei “giorni della sua carne”: “Affinché tutti
storia, quella del mondo inquieto in cui viviamo, la storia della siano una cosa sola, perché il mondo creda”.
salvezza cantata dai salmi.
Il cammino quaresimale che ci porta alla Pasqua è così segnato
Perseverare nella preghiera, bussare, cercare Dio con tutto l’es- dalla preghiera, intensa, frequente, silenziosa, personale e cosere, tutti insieme per arrivare a quella unione universale per munitaria, in comunione alla preghiera del Signore.
Don Angelo
delle prime volontarie nel 1970 nella diocesi di Mbalmayo, chiamate dal vescovo
mons. Paul Etoga.
Un epistolario iniziato nel marzo 1955
da don Francesco e interrotto poco
prima della morte testimonia un assiduo accompagnamento degli avvenimenti della vita della sig.ra Nina e
un costante interesse da parte sua di
tutte le attività del COE in una grande
intimità spirituale. La sig.ra Nina ha
lasciato scritto nel suo testamento:
“Desidero che attraverso l’attività del
Centro Orientamento Educativo, di cui
ho la gioia di far parte, continui la mia
vita e il mio cuore possa ancora amare
e fare del bene a tante persone. Prego le
Signorine del Centro di fare tanto bene
per me e per le mie figliole che sono in
cielo e faccio conto sulle loro preghiere
per i miei cari e per me”.
Per ricordarne a Mbalmayo la figura, nel
1977 le è stata intitolata la scuola tecnica,
la prima della zona aperta in particolar
modo alle ragazze, il Collège Nina Gianetti, ed è stato subito sorprendente il
diffondersi del nome “Nina” per indicare
luoghi, istituzioni e persone che ancora
oggi operano sulla collina di Mbog Kulu.
All’occasione di questo anniversario M.
Joseph Atangana, cui va il merito di aver
fatto conoscere il COE al vescovo di Mbalmayo, ha voluto iniziare un percorso per
approfondire e far conoscere la sig.ra Nina
Gianetti e i suoi meriti nella creazione del
Centre de Promotion Sociale di Mbalmayo,
di cui fa parte il Collège, lanciando presso
gli alunni ed ex alunni un concorso d’arte
che prevede lavori letterari o plastici il cui
tema è: “Omaggio a una grande donna di
cuore “Mamma” di don Francesco e benefattrice del COE, Mme NINA Gianetti”.
5
DOSSIER
il mondo e la sfida
alimentare
Manca poco più di un anno all’Expo di Milano,
l’esposizione universale che aprirà i battenti il 1°
maggio 2015. Poiché nel nostro Paese sembra ormai insopprimibile la tendenza a concentrarsi sul
proprio ombelico, in questi anni di avvicinamento
il dibattito si è focalizzato perlopiù su questioni e
polemiche non certo di respiro universale: la scelta
del luogo in cui realizzare l’esposizione, la decisione su chi dovesse gestire e finanziare l’evento,
l’individuazione delle infrastrutture necessarie...
In realtà, il tema prescelto ha un orizzonte globale
e strategico per l’intera umanità: il cibo, il modo di
produrlo e distribuirlo, le sue dimensioni economiche e tecnologiche, ma anche quelle culturali ed
etiche. Un tema trasversale, multidisciplinare, con
al cuore una sfida precisa: nutrire il pianeta (come
dice il titolo stesso dell’esposizione), sapendo che
la fame nel mondo non è certamente un problema
di quantità complessiva di cibo (che sarebbe sufficiente per sfamare tutti), quanto piuttosto di
meccanismi di produzione, equità nella sua distribuzione, ostacoli nell’accesso, predominanza di
interessi privati che hanno ormai trasformato il
cibo da bene comune a
merce privata.
Expo 2015, dunque,
chiama in causa il
mondo del terzo
settore, quello
della cooperazione internazionale, così come
i cristiani impegnati nella promozione dello
sviluppo e nella
costruzione di
un mondo più
giusto. Inutile negarlo,
il rischio che
la manife-
di Stefano Femminis*
stazione si trasformi in una fiera commerciale lunga sei mesi,
lasciando il nulla dopo di sé, è dietro l’angolo. Ma è anche compito nostro, della società civile ed ecclesiale, scongiurare questo
pericolo.
Non a caso, e meritoriamente, la Santa Sede ha deciso di avere
un proprio padiglione dentro Expo e diverse iniziative - coordinate in particolare da Caritas Internationalis e dalle varie Caritas nazionali - sono già avviate in molti Paesi per sensibilizzare
l’opinione pubblica e offrire occasioni formative e informative
sui temi dell’alimentazione, del cibo, della fame.
Altrettanto felice è la scelta fatta dall’Onu, che ha deciso di istituire, nel 2014, l’Anno internazionale dell’Agricoltura familiare,
per porre in risalto l’enorme potenziale degli agricoltori a livello
familiare nella lotta alla fame e per la preservazione delle risorse
naturali. Una questione, come si intuisce subito, strettamente
legata a Expo. Sia nel mondo industrializzato che nei Paesi in via
di sviluppo, oltre 500 milioni di aziende agricole a conduzione
familiare producono cibo per sfamare miliardi di esseri umani.
In molti Paesi in via di sviluppo, quelle a conduzione familiare
rappresentano l’80% del totale delle aziende agricole. Eppure
questa realtà è minacciata dalla voracità di poche multinazionali
e dal fenomeno crescente del landgrabbing.
Ci troviamo quindi in un biennio che potrebbe davvero rappresentare una svolta nella lotta alla fame, che colpisce ancora
oltre 840 milioni di persone e, complice la crisi economica, si
affaccia ormai anche nelle ricche società occidentali. Una sfida enorme
ma che si può vincere, se manterremo la consapevolezza che, al di
là dei megaeventi, ciò che è davvero decisivo sono le nostre scelte
personali e quotidiane. Diceva Papa
Francesco il 10 dicembre, in occasione del lancio della campagna globale di Caritas
Internationalis contro
la fame: «Dobbiamo
smettere di pensare
che le nostre azioni
quotidiane non abbia n o un im pat to
sulle vite di chi, vicino o lontano, la
fame la soffre sulla
propria pelle».
*Direttore di Popoli
www.popoli.info
6
Biodiversità vegetale
a RUNGU
di Fabio Castronovo
Nel territorio di Rungu e Niangara in Congo
R.D.l’agricoltura è soprattutto di tipo familiare di sostentamento. Quasi tutti hanno
accesso a un piccolo campo dove coltivano
piante annuali associate a piante a ciclo
mensile come i fagioli ma spesso quello
che producono non è sufficiente a colmare
i bisogni della famiglia. Malgrado la grande
ricchezza in termini di diversità di specie
vegetali e animali (il villaggio si trova immerso nella foresta tropicale) si coltivano
solo 2-3 specie di piante e l’alimentazione
è povera soprattutto in vitamine e proteine
con le ovvie conseguenze anche sul piano
della salute.
Per cercare di migliorare la situazione e
far conoscere alla gente le caratteristiche
botaniche e nutrizionali delle piante e propagarle è in corso un progetto relativo alla
biodiversità vegetale.
Anzitutto è stato realizzato un orto botanico ed un semenzaio delle principali
colture orticole e forestali locali (in tutto
30), trovate in foresta, facilmente coltiva-
bili perché già adattate a questo territorio
e che forniscono cibo anche nei periodi di
secca quando c’è carenza di altre piante.
Attraverso il semenzaio abbiamo fornito
a circa 500 famiglie il materiale di propagazione soprattutto semi di fagioli locali.
Abbiamo realizzato anche un erbario per
permettere di conservare, descrivere e catalogare le specie vegetali di grande importanza nutrizionale e commerciale e un video
che raccoglie tutte le interviste ai conoscitori locali e ai responsabili del progetto su
tutte le principali attività agronomiche.
In seguito ci siamo dedicati alla formazione delle donne, degli agricoltori e degli
insegnanti. Venti donne hanno seguito un
corso sull’identificazione e sulle tecniche
di domesticazione di alcune piante importanti, la preparazione semplice e veloce
di rimedi naturali per le più comuni malattie (malaria, dolori muscolari, diarrea,
epatite) e le preparazioni alimentari con
le piante locali come gombo, pois ailé,
moringa stenotepala, miglio, sorgo e con
piante poco coltivate come la soia. A ciascuna donna sono stati forniti il materiale
didattico e le sementi di piante alimentari
importanti come pois ailé, pois cajan, soia,
moringa e medicinali come il neem, utile
contro la malaria.
Con gli agricoltori si è trattato in particolare dei temi inerenti all’ecologia agraria, alla valorizzazione della biodiversità
vegetale e alle nozioni generali di agronomia oltre alla pratica delle più diffuse
operazioni orticole e della propagazione
di colture erbacee ed arboree. Anch’essi
hanno ricevuto il materiale didattico e di
propagazione: semi di sorgo, miglio, pois
ailé, pomodoro, amaranto, una piantina di
moringa e una dell’albero del pane.
Anche gli insegnanti delle scuole primarie
sono stati interessati sull’importanza della
biodiversità locale e delle pratiche orticole
più comuni.
Queste persone cominciano a trarre vantaggio e a propagare sementi di amaranti,
pomodori, pois ailé e piante arboree e le
donne preparano rimedi naturali e ricette
culinarie per le loro famiglie, divulgando
le loro conoscenze alle altre donne del
villaggio. In definitiva si constata che la
gente è interessata alla valorizzazione della
biodiversità vegetale ma è necessario che
conosca e sperimenti i differenti preparati
alimentari e capisca l’importanza di una
dieta varia e completa.
7
nutrirenon
BASTA
di Valerio Fullin
Perché i genitori privilegiano i figli maschi
nell’invio agli studi e le figlie femmine non
sanno come allevare i loro figli? Perché le
famiglie invece di coltivare
solo un quarto di ettaro
non ne fanno dieci metri
in più? Perché i coltivatori invece di distillare il
mais per farne una bevanda
alcolica non lo mettono
sul mercato per l’alimentazione? Perché, invece di
lasciare le capre a divagare
liberamente e devastare
anche i loro campi, non
le tengono in un recinto?
Perché certi capi villaggio
quando vedono uno che fa
meglio degli altri lo ostacolano? perché...?
Perché nel 2014 c’è ancora gente che ha fame
su questo pianeta?
All’apertura dell’ospedale St. François di
Tshimbulu, in febbraio 2008, ci siamo confrontati subito con un problema ben più
complesso di qualsiasi altra problematica
legata all’attività sanitaria: la malnutrizione.
Se dal punto di vista clinico esistono protocolli ben determinati, modificati ben tre
volte in sei anni, dal punto di vista preventivo, nessuno è ancora riuscito a trovare
soluzione al problema. Non mancano però
le iniziative volte al contenimento della
malnutrizione, come la distribuzione di
viveri ai centri nutrizionali da parte del
Programma Alimentare Mondiale (WFP),
l’aggiornamento degli operatori del settore ai nuovi protocolli da parte del Ministero della Sanità, vari programmi di rilancio del settore agropastorale promossi
dal Ministero dell’Agricoltura e da quello
dello Sviluppo Rurale... purtroppo tutti a
tempo determinato che non durano più di
tre anni se non solo qualche mese.
Per quel che ci riguarda, oltre a creare il
Coltivatori della cintura verde di
Kinshasa
di Valère Bakudila
La fattoria Ezéchiel, una realtà agro-pastorale del COE-CENASC
in periferia di Kinshasa ha avviato nel gennaio del 2013 il progetto
KICASOBU; sigla che significa Kinshasa Catering Social Business.
Un progetto che mette in moto partners sia italiani sia congolesi.
Già il sostantivo Business in un ambito di agricoltura familiare, individuale o comunque piccola è tutto un programma.
Infatti il progetto mira a uscire dai sentieri comuni e arrivare a
promuovere, da una parte
agricoltori che producono e
dall’altra ragazzi e ragazze
madri che, avendo usufruito di una formazione,
diventano attori di cambiamento sociale.
Si vuole favorire uno sviluppo sostenibile attraverso
la promozione economica e
sociale di novanta famiglie
che si contano nelle cinque
cooperative implicate in
questa realtà, attraverso
8
formazioni e informazioni, sostegno nell’approvvigionamento
degli inputs agricoli (trebbia di birra, sementi, scarti di biscotti,
di pane,…), nell’introduzione delle piccole tecniche innovative
e nella vendita in comune dei prodotti.
Si tratta della creazione di una filiera corta, che si chiama COCO
(Cooperazione Congolese), che ha da una parte i produttori e
dall’altra parte i consumatori che sono un ristorante e le par-
centro nutrizionale, con il settore animazione abbiamo subito aderito al “Reseau
Congo Moringa”, un gruppo di associazioni
impegnate nella diffusione e utilizzazione
a scopi alimentari dell’albero di moringa.
La Moringa oleifera è in
effetti una pianta unica
al mondo, in quanto le
sue foglie contengono
tutti gli elementi nutritivi necessari all’uomo,
e in concentrazioni ben
superiori alla frutta o
al latte, un eccezionale
integratore multivitaminico a disposizione
di tutti.
In sei anni siamo riusciti
a dotare quasi ogni famiglia di Tshimbulu e dei
villaggi vicini di almeno
una pianta di moringa,
accompagnando la distribuzione da una breve
formazione sull’uso
della pianta e sui principi
nutrizionali di base e da un libretto esplicativo in lingua locale. Questo libretto è
distribuito anche nelle scuole dove, oltre ai
seminari sui temi d’esame, i nostri animatori
fanno educazione nutrizionale.
Abbiamo inoltre in corso un programma
rivolto ai coltivatori che prevede tre attività principali:
- la formazione su come aumentare la
produttività dei suoli, la lotta antipa-
rassitaria, le coltivazioni particolari, la
legislazione agricola;
- la facilitazione all’accesso a sementi di
qualità, sia per colture stagionali, sia
per piantagioni;
rocchie di Kinshasa. La filiera deve curare la produzione delle
verdure di qualità in condizioni sane a tutela dei produttori e
soprattutto dei consumatori.Quindici ragazze madri, selezionate nella città di Kinshasa, hanno seguito presso il Centro
della Congo Skill, una formazione professionale in cucina e
catering. Queste ragazze sotto la guida dell’insegnante hanno
in seguito formato una associazione per autogestirsi in ristorazione e catering usando i prodotti della Fattoria Ezechiel e
delle cooperative. Nello stesso tempo alla fattoria Ezechiel,
16 ragazzi disadattati hanno seguito una formazione in vista
dell’inserimento nel mondo agricolo specialmente nell’orticoltura e nell’allevamento di animali di piccola taglia.
Si sta dunque creando una filiera corta che è basata sulle relazioni
tra produttori e consumatori.
- la meccanizzazione delle prime attività di
trasformazione della produzione : sgranatura, pilatura, estrazione dell’olio.
Si tratta di piccoli coltivatori con superfici
lavorate per famiglia di meno di un ettaro,
che talvolta sono sufficienti solo al consumo
familiare e non resta
nulla per la vendita.
Dei risultati sono stati
comunque ottenuti,
soprattutto nell’applicazione delle tecniche
di rifertilizzazione naturale tramite leguminose
locali (mimosa pudica,
titonia e mukuna) e
nella razionalizzazione
delle piantagioni di
palma da olio e, ultimamente, di banane.
Grazie a queste iniziative, anche nel trimestre
nero per la malnutrizione dei mesi di ottobre-dicembre, siamo
passati dagli 80 casi mensili di malnutrizione a meno di 30, anche se non riusciamo
a scendere ancora sotto questo livello.
Il problema è soprattutto culturale e a
risolverlo non basta la formazione.
In conclusione è in atto un processo di informazione e formazione per arrivare sia alla filiera dei produttorisia ai consumatori
che sono la ristorazione e i gruppi di famiglie nelle parrocchie
scelte a Kinshasa. I contadini imparano a coltivare bene, sano e
razionale usando piccole tecniche innovative atte ad alleviare il
peso del lavoro e aumentare la produzione.
Numerosi incontri tra i contadini sono fatti in ogni cooperativa
e tra le cooperative.
La Fattoria Ezechiel diventa pian piano un riferimento per la sperimentazione di piccole tecniche. In questo momento, ad esempio
l’irrigazione avviene mediante pompa funzionante con panelli solari
e l’acqua scorre in caduta nei vari rubinetti installati nei campi.
Le sfide sono tante e un piano di lavoro è stato redatto perché insieme e progressivamente si risolvano le diverse numerose difficoltà.
9
contadini nei villaggi
della
di Anna e Chicco Mainini
Promuovere processi di sviluppo agricolo
sostenibile, lotta alla desertificazione, salvaguardia della biodiversità, sostenere le
comunità locali, valorizzare e potenziare le
capacità del capitale umano, sono state le
parole chiave delle attività del CFAP (Centro
di formazione agro-pastorale) alla “ferme”
di Hosséré Faourou, Nord Cameroun.
Il centro svolge da circa venti anni una
importante attività di sensibilizzazione
e di sostegno alle popolazioni dei villaggi
della regione della grande valle del fiume
Bénoué ed è diventato un punto di riferimento per tutti gli agricoltori della zona.
Si tratta di una zona agro-ecologica di
tipo sudano-saheliano caratterizzata da
una copertura vegetale tipica della savana
con terreni argilloso sabbiosi e con precipitazioni annuali concentrate su cinque
mesi (giugno-ottobre). E’ popolata da circa
61000 persone, riunite in circa 100 villaggi.
Negli ultimi 10-20 anni la zona è diventata
punto di arrivo per migranti, che provengono dall’Estremo Nord del Cameroun,
oltre che dal Ciad. I grandi cambiamenti climatici, associati
alla elevata pressione demografica, giocano una
forte azione negativa
sulle risorse naturali e
innescano processi
di degradazione
degli ecosistemi
sul territorio
con l’avanzamento della
desertificazione e con
l a p e rd i t a
della fer ti-
10
10
lità del suolo. Tutto questo ha portato ad
un abbassamento della produttività delle
terre coltivate con una ricaduta sulla popolazione stessa.
Questo ci fa comprendere la precarietà in
cui vivono le popolazioni ad alto rischio
di povertà.
Nel corso degli anni, tecnici camerunesi e
volontari italiani hanno lavorato per sensibilizzare e formare i contadini di vari villaggi all’utilizzo di tecniche più adeguate
per migliorare e aumentare la produzione
agricola.
Questo lavoro è stato possibile attraverso
progetti finanziati da enti pubblici e da
privati con l’obiettivo d’introdurre pratiche agricole sostenibili e con il fine di promuovere uno sviluppo rurale nel rispetto
dell’ambiente.
Punto forte dei progetti è stato la formazione dei contadini perché è uno strumento che permette una progressiva autosufficienza.
Altra importante attività è stata la preparazione e la formazione dei contadini
per la creazione di piccole cooperative,
riconosciute dallo stato camerunese. Le
cooperative consolidate sono state organizzate in unioni e successivamente in una
Federazione la “FEPROCEN” (Federazione
produttori di cereali del nord). Questo è
stato un bel punto di arrivo ma anche di
partenza per un cammino verso una sempre maggiore autonomia tuttora in corso. Il
personale del CFAP continua il suo lavoro di
accompagnamento e supporto tecnico alla
federazione e alle cooperative attraverso
corsi di formazione e nuove esperienze di
produzione biologica e allevamento. Grazie
ai finanziamenti ricevuti sono stati anche
realizzati diversi magazzini e granai comunitari per lo stoccaggio e conservazione
dei prodotti agricoli e numerosi pozzi per
fornire alla popolazione un bene primario
e fondamentale per la vita: l’acqua.
Volontarie
d’ EUROPA
di Maria Monauni
Il Servizio Volontario Europeo dà la possibilità ai giovani dai
18 ai 30 anni di fare esperienze di volontariato nel mondo
nell’ottica di responsabilizzarli, farli crescere professionalmente e aiutarli a concretizzare il principio della cittadinanza
attiva. Per me e Antonietta è stata un’occasione da non lasciar
sfuggire. Siamo partite a settembre dopo un incontro con
il COE a Barzio e uno con la FOCSIV a Roma, in cui siamo
state preparate psicologicamente, per quanto possibile, a
questa avventura.
L’incontro con il villaggio è stato intenso ed emozionante sin
dai primi attimi e la voglia di partecipare alla vita di Tshimbulu
ci ha permesso di superare nel migliore dei modi anche le difficoltà iniziali di adattamento.
I primi mesi sono serviti per comprendere un po’ la realtà del
posto, capire dove e come il nostro intervento potesse essere
utile, conoscere collaboratori e bambini e imparare a convivere
e condividere le esperienze tra di noi, considerando che prima
di settembre eravamo sconosciute l’una all’altra.
Il villaggio ci ha accolto davvero bene e non è occorso tanto
tempo per cominciare a vivere serenamente e sentirci come a
casa. Conclusasi la formazione con Katia circa il lavoro da svolgere, la storia del Congo, un quadro generale sulla situazione
del Paese, nonché una riflessione sul significato di cittadinanza
europea, abbiamo stabilito l’orario di lavoro e cominciato attivamente la nostra esperienza.
La mattina è dedicata al Centro nutrizionale Moyo, dove ci occupiamo principalmente di far giocare i bambini, stimolarli a
riprendere una vita normale, controllare che mangino e tenere
d’occhio le condizioni di salute. Il nostro obbiettivo è quello di
elaborare un programma di otto settimane (tale è la permanenza
prevista per ogni bambino) che comprenda giochi e attività utili
allo sviluppo psico-fisico, nell’ottica di prepararli il più possibile
al rientro in famiglia.
Tante emozioni ci hanno sconvolto il cuore, a volte ci è sembrato
di non riuscire a reggere l’ingiustizia di una creatura così piccola
e così debole, altre invece abbiamo avuto le lacrime agli occhi a
forza di ridere o ci siamo commosse per gesti di pura generosità
tra i piccoletti, disposti davvero a condividere qualsiasi cosa.
Non sono mancati gli addii strazianti, né attimi di nervoso, ma
indubbiamente resta un’esperienza che ha segnato le nostre
vite, impossibile da dimenticare.
Il pomeriggio siamo occupate al CASC, il centro culturale. In particolare il lunedì e il giovedì sono interamente dedicati alle attività
per i bambini, mentre martedì, mercoledì e venerdì seguiamo la
biblioteca e le attività sportive. Non finisce mai di stupirci la creatività e l’intelligenza dei bambini che con veramente pochissimo
riescono a costruire giochi e passatempi favolosi. Un esempio per
tutti la facilità con cui sono comparsi dal nulla flauti e tamburi fatti
di rami di papaya e materiale recuperato in strada. La musica è in
effetti una componente costante, un continuo sorriso nel veder
ballare i piccoletti o vederli salire sullo sgabello per suonare un
tamburo più grande di loro. Incantate, ora come il primo giorno.
Il CASC ci ha dato anche l’opportunità di conoscere abitudini,
credenze e speranze dei giovani che collaborano con noi e di
quelli che frequentano la biblioteca. Non poche le volte che ci
hanno sorpreso per maturità e altrettante quelle in cui siamo
rimaste incredule davanti a superstizioni e false sicurezze. Ogni
giorno è una sorpresa, nonostante si cerchi di programmare
le attività, non si è mai sicuri di quel che accadrà, vuoi per la
pioggia o per qualche distrazione inattesa. E a noi piace davvero.
In sei mesi di vita a Tshimbulu non c’è mai stato un giorno in
cui ci siamo annoiate, mai uno in cui avremmo voluto essere da
un’altra parte. Perse nel nulla della brousse congolese, impossibilitate ad uscire dal villaggio per mancanza di mezzi, siamo
riuscite a trovare una serenità quotidiana che in 26 anni di vita
europea abbiamo vissuto solo qualche volta.
un cammino
nuovo per il
COE a
DOUALA
di Pina Airoldi
“Douala è sempre una luce accesa nel mio
cuore: segno che c’è altra strada da fare.”
Ho trovato qualche tempo fa questa frase
nel diario del penultimo viaggio in Cameroun di Don Francesco e sono rimasta di
stucco. Ho pianto di gioia, di sorpresa e
…..di angoscia. Gioia e sorpresa perché
senza saperlo abbiamo iniziato a Douala un
nuovo cammino, ma resta il dubbio se non
l’angoscia se è il cammino che Don Francesco avrebbe voluto fare o avrebbe fatto.
Scrive Don Francesco: “L’incontro con
la città di Douala, la lunga e larga zona
di capanne e baracche segno di miseria
e di abbandono,, di ricerca accanita del
PROPOSTA
VIAGGIO ESTIVO
sto
Un viaggio dal 26 luglio al 16 ago
n.
eru
2014 in Cam
che
Per gio van i da 18 ann i in su
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vogliono mettersi in gioc
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Un’esp erie nza di con osc enz a
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di animazione, di ascolto dell
e
locali, delle tradizioni e della vita dell
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fron
per son e in con
arricchire se stessi.
Per informazioni:
tel. 026696258
Paolo Caporali - COE
[email protected]
12
necessario per non morire o per avere un
poco più di fortuna, mi fanno male e mi interpellano…”
Dopo quasi 20 anni la povertà, la miseria
… e la ricchezza si sono moltiplicate per
cento, come è aumentata la popolazione
che arriva oggi a cinque milioni. Si sono
moltiplicati, e in un certo senso anche cambiati, i bisogni. La gente, e in particolare i
giovani che sono più di un terzo della popolazione, si muovono freneticamente come
una girandola intorno all’unico interesse : il
denaro, il denaro per vivere : sono i poveri,
gli arrabbiati, che non hanno da mangiare
a sufficienza,, che vivono da disperati
p
in catapecchie sottoposte a allagamenti e
a tutte le intemperie di questo clima caldo,
umido, ultrapiovoso. Il denaro per bere più
birra possibile e dimenticare il senso e le
responsabilità della vita … Il denaro per
l’avidità della ricchezza e l’accumulo dei
beni : case, terreni, palazzi, conti in banca
per i ricchi panciuti in giacca e cravatta
tutti i giorni…
C’é anche chi vive discretamente nello
sforzo costante per riuscire a mantenersi a galla.
In questo ambiente noi ci sentiamo una
piccolissima goccia d’acqua che cade in
un mare tumultuoso. Aprendo il nostro
CENTRE DE FORMATION ARTISTIQUE
(CFART) a Deido, un quartiere del centro,
abbiamo creduto che l’Arte potesse interessare i giovani. I giovani invece vogliono
guadagnare e subito. Smettono la scuola,
hanno magari già una laurea, inforcano una
moto e fanno i taxisti. La città é strapiena
di moto-taxi che sfrecciano come disperati,
non hai un centimetro di spazio attorno a
te e la circolazione é impressionante. Alla
fine della giornata hanno qualche soldo per
comprarsi una birra e qualcosa da mettere
sotto i denti.
Dopo tanta pubblicità con comunicati attaccati ai muri o nelle bacheche, proclamati
nelle parrocchie, nelle scuole, alle Radio e
TV locali e depliant distribuiti un po’ dappertutto, abbiamo l’impressione che la
gente non capisca che cosa significa Arte
o non ne é affatto interessata..
Quest’anno 8 sono i giovani che frequentano il Corso di Formazione Artistica: 4
nella specializzazione
Ceramica
e 4 in Pittura
t ur contro
i 5 dell’anno
scorso
che
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attualmente
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studio
per
s
sostenere
s
la
l scuola.
Gli
G inse gnanti,
due ex
allievi
dell’Istituto Artistico di Mbalmayo, attualmente in master alla Facoltà di Arti
Plastiche e Storia dell’Arte dell’Università di Yaoundé, sono molto impegnati
e competenti nelle loro materie di insegnamento : disegno dal vero, educazione
visiva, anatomia, geometria descrittiva,
tecnologia, storia dell’arte compresa
quella africana, e nella pratica della pittura e della ceramica. La scultura non ha
ancora alunni… La direttrice, Mme Bernadette Noumssi, che dà anche qualche
lezione nelle materie di insegnamento
generale, segue alunni e insegnanti e
tiene i contatti con l’esterno.
L’Arcivescovo di Douala, nostro partner,
che ha messo a disposizione del COE l’edificio per la scuola e un appartamento
per i Volontari che abbiamo ristrutturato
alla meglio, ha consigliato di cominciare
con un corso professionale della durata
di 9 mesi più 2 mesi di stage pratico, al
termine del quale gli allievi avranno un
Certificato di Formazione Professionale
approvato dal Ministero del Lavoro e
della Formazione Professionale. In futuro
si potrebbe pensare anche a un Istituto
Superiore d’Arte che potrebbe essere
il livello successivo dell’Istituto di Formazione Artistica di Mbalmayo. L’Arcivescovo ha già messo a disposizione il
terreno per la costruzione!
Nell’intento di far conoscere il Centro abbiamo lanciato delle formazioni
che si svolgono nei Week-end e nelle
vacanze estive. Quest’estate una cinquantina di bambini e adolescenti ha
fatto l’esperienza di un mese di vacanze
artistiche con grande entusiasmo e apprezzamento delle famiglie. Parecchi ex
alunni dell’IFA di Mbalmayo vengono
a trovarci, ad essi si uniscono giovani
e non più giovani della parrocchia coi
quali si collabora in un clima di fraternità cercando
di superare ogni
discriminazione di
etnia e di razza per
costruire come voleva don Francesco
uomini nuovi per
un mondo nuovo.
Vorrei invitare qualche volontario o volontaria, giovane
o non giovane, a
venire per vivere
un’esperienza di povertà e semplicità,
un cammino nuovo
nel cuore di una
grande e tumultuosa città africana.
13
il Centro di
“Ascolto”
di Emma Montorfano
Per le strade di Garoua, Cameroun, vivono all’incirca tre centinaia di bambini e
ragazzi, dai 7 ai 22 anni, secondo le stime
che ogni anno effettua il Programma “Enfants en difficulté”.
C’è chi vive in strada ormai da anni, chi è di
passaggio, chi si ferma per qualche mese
e poi fortunatamente ritorna in famiglia.
Ma tutti, almeno una volta, sono passati
dal “Centre d’écoute”, il centro di ascolto
e di prima accoglienza.
14
Come suggerisce facilmente il nome, il filo
rosso delle attività è l’ascolto. In strada i
bambini vengono allontanati, isolati, stigmatizzati, rifiutati e ignorati ma sanno che,
due volte la settimana dalle 8 alle 15, le
porte del Centro sono aperte per loro e
solo per loro. Quasi una piccola soddisfazione, una sorta di rivincita, mi piace pensare. Gli educatori
d
i li ascoltano,
l
svolgono
l
un dettagliato lavoro di registrazione dei
bambini, vanno ad indagare e scoprire i
motivi della fuga, i dati anagrafici e tutte
quelle informazioni che permettono di
avere un quadro generale della situazione
familiare e psicologica del bambino. Ogni
bambino possiede un suo dossier che serve
per comprendere quale sia l’azione educativa migliore da intraprendere.
La mattinata al centro passa veloce. Si inizia con una attività
ludico-sportiva, quasi sempre il
calcio, non un semplice gioco,
ma IL GIOCO per eccellenza.
Vedo Alain, la testa tonda
tonda come il pallone che reclama: sempre davanti alla porta, inveisce contro chi
sbaglia ma ride di gusto quando è lui che
non centra la porta.
Si continua con un corso di alfabetizzazione elementare o una discussione, i cui
argomenti spaziano dalle malattie, ai valori della vita in comunità, passando per
l’i
l’importanza
del
d l llavoro e d
della
ll ffamiglia.
i li
Vedo Sadou, una fossetta fra i denti che
rende il suo sorriso sgangherato: si impegna a scrivere le lettere che l’educatore
mostra alla lavagna, mi chiede conferma,
si rigira orgoglioso quando gli rispondo
che
sì, ha scritto bene quella
“F”, anche lei un po’
sga ngh e r at a ,
ma pazienza.
Segue il momento “lavaggio in comunità”: ciascuno riceve un pezzo di
sapone con cui lavarsi e lavare gli abiti
che porta. Vedo Moustapha, le gambe
come due stuzzichini: raccoglie i vestiti degli altri, li ispeziona alla ricerca
di pulci, che ovviamente non manca
di mostrare agli educatori, con fare
alquanto accusatorio.
Ma nemmeno il momento tanto bramato del pasto riesce ad ammutolirli.
Li vedo che mangiano, parlano, litigano, si contendono l’ultimo pezzo
di “cous cous” rimasto, barattano il
boccone di carne con un po’ di salsa,
scherzano, si stuzzicano amichevolmente, ridono e spettegolano ma soprattutto, sanno ringraziarti come solo
loro potrebbero fare.
Vedo Souley, ormai adolescente, due
occhi intensi che si infiammano rapidamente quando subisce un torto: mi fa
l’ hi li e fferma il moto-taxii per me.
l’occhiolino
E così, io torno a casa e loro ripartono
in strada, ritornando alle loro
occupazioni, qualcuno
senza nient’altro che
quello che ha indosso,
qualcuno più fortunato con qualche
spicciolo in tasca,
pochi con un sacchetto di vestiti
di ricambio (ma
chiamiamoli anche
stracci).
Probabilmente,
nell’ascoltarli, ho
imparato sopratt u t to a “ v e derli”.
Ritorno a scuola: grazie all’
ADOZIONE
di Emma Montorfano
Per raggiungere il villaggio di Ibrahim
Garga, partendo da Garoua, bisogna
percorrere con un “car” locale 200 km
di strada asfaltata in direzione nord, attendere un numero imprecisato di minuti,
accovacciati alla bene e meglio su dei
sassi che fungono da panchine pubbliche,
percorrere altri 50 km stipati in un piccolo
furgoncino con altri venti passeggeri, sopportando caldo e odori e infine inoltrarsi
a piedi lungo un sentiero sterrato fino a
quando si intravede, tra i campi di miglio,
il tetto di paglia della casa. Ma quando ti
vede, Ibrahim sa come ricambiare tutta
la fatica patita: ti sorride, denti bianchissimi su un volto “nero nero” perfino per
i camerunesi.
Ibrahim ha 14 anni. Rimasto orfano, si era
allontanato dalla famiglia, diventando
un ragazzo di strada; dopo aver passato
un paio di anni al centro di rieducazione
“Saaré Jabbaama”, è finalmente rientrato
in famiglia ed attualmente vive con lo zio.
Siamo andati a trovarlo a distanza di tre
mesi dopo il rientro in famiglia, per valutare
come procede il percorso di reinserimento.
La prima preoccupazione che Ibrahim ci
pone è la scuola: lo zio non ha i soldi per
pagare l’iscrizione al liceo.
Come per Ibrahim, anche per tanti altri
bambini e ragazzi il diritto all’istruzione è
ancora solo un concetto teorico. Infatti,
l’indice di alfabetizzazione della popolazione camerunese è del 67,9%. Molte
famiglie non hanno i mezzi economici per
permettere ai figli di frequentare, altre considerano necessario l’aiuto della prole nel
lavoro quotidiano, che sia esso nei campi,
nelle botteghe o nei mercati, preferendo
così insegnare loro la fatica del lavoro
prima della scrittura e lettura, altri genitori,
paradossalmente, non avendo loro avuto
un’istruzione non comprendono quale sia
l’importanza della scuola. E’ inoltre importante sottolineare che nelle città c’è
una ampia offerta di strutture scolastiche,
soprattutto primarie, che però risultano
insufficienti per numero e qualità e spesso
in stato di degrado per mancanza di progetti di manutenzione adeguati. Le scuole
cosiddette pubbliche non sono soggette
a regolamenti e sovvenzioni statali ma
vengono gestite dai direttori che stabiliscono costi e tasse di iscrizione, facendo
perdere così la loro gratuità.Probabilmente
per noi il diritto all’istruzione risulta essere
così intrinseco nella cultura e nel modo di
pensare da divenire subito scontato e quindi
non più soggetto ad attenzioni. Ma a ben rifletterci è fondamentale per
la società, per
formare i propri cittadini: se
la democrazia
è il potere del
popolo è infat ti molto
i m p o r ta nte
che il popolo
abbia un buon
livello di istruzione. Avere
una istruzione
permette di
pensare e ragionare, di conoscere tutto
ciò che è al di fuori del tuo “piccolo mondo”, di
scoprire i propri carismi e realizzare le proprie
aspirazioni, assicurandosi un futuro. Studiare
è importante, per questi bambini e ragazzi,
perché pone le basi per trovare un lavoro e
per uscire dal circolo vizioso che li porterà
da adulti a rimanere in strada inciampando,
probabilmente, nello sfruttamento o ancor
peggio nella criminalità. Non di meno, se si
tocca con mano l’importanza della scuola, si
sarà anche più motivati a far intraprendere
gli studi ai propri figli.
E’ quindi in quest’ottica che, grazie anche
all’impegno di alcune famiglie italiane che
adottano un ragazzo o a una ragazza africana,
ogni anno quaranta minori, le cui famiglie
versano in difficoltà economiche, ricevono
un contributo per sostenere le tasse d’iscrizione e per acquistare quaderni, penne
e altro materiale scolastico. Gli educatori
si occupano inoltre di responsabilizzare i
genitori, sensibilizzandoli sull’importanza
della scuola, affinché riescano in autonomia
a sostenere l’educazione dei figli. I genitori
vengono spronati ad occuparsi delle pratiche burocratiche e a contribuire, anche se
in minima parte, alle spese.
Il volto di Ibrahim si rasserena quando doniamo allo zio l’aiuto scolastico: finalmente
potrà ritornare a scuola.
15
ECCOCI
GUATEMALA
di Mari con Marco, Elia e Giulio
Una spaventosa situazione sociale attanaglia il Guatemala: il 78% della popolazione vive in condizioni di povertà o
povertà estrema, con una incapacità in
primis di vagliare le proprie necessità ed
ecco le baracche di lamiera senza accesso
all’acqua ma con l’impianto stereo, che
perpetrano una sorta di schiavitù moderna
che fa raccogliere caffè sulle montagne
a uomini, donne e bambini per 3 euro al
giorno; l’avvento della tv che ha in una
manciata di anni colonizzato il tempo delle
famiglie con il peggio delle immagini che
possono arrivare via cavo dagli Stati Uniti,
immagini di violenza e lusso che entrano
come veleno nelle teste e nei cuori confusi
di un popolo che è sempre più lontano dalle
sue radici. E’ spaventoso, ma il 94% delle
famiglie che abbiamo appena intervistato
per il progetto di microcredito possiede un
televisore...e molte volte non lo può usare
perché in casa non c’è elettricità!
La politica è a un livello di corruzione che
ha pochi eguali al mondo.
Ma l’elemento più preoccupante è l’avvento
massivo delle “nuove chiese” degli Stati
Uniti, che con un miscuglio diabolico di
urla, false promesse di salvezza e minacce
rende totalmente succube una percentuale
sempre più alta di popolazione.
Nella colonia in cui viviamo quasi tutti appartengono alla chiesa evangelica e sempre
16
più spesso fanno il “culto” (così lo chiamano) in strada, con altoparlanti da centinaia di euro sparati a tutto volume in cui
un pazzo furioso urla minacce e promesse.
Insomma un contesto tutt’altro che facile
e sereno, in cui sopravvivono però isole
di saggezza indigena, di povertà colta, di
semplicità disarmante.
Alma de de Colores va, piano, passo
passo, sempre
più conosciuta e
sostenuta, tanto
per il laboratorio
di artigianato che
per la panetteria.
Sono entrate tre
persone nuove nel
mese di gennaio.
Dapprima Joaquim, la cui avidità di fronte
al cibo stringe
il cuore. La
mamma, durante
il primo colloquio
ci raccontava, con
un sorriso incantevole, la strategia usata dalla
famiglia quando
non c’è cibo. Lei
tiene sempre tre
pomodori di riserva per le giornate critiche,
e quando una di queste arriva, li passa sul
fuoco e poi li dà da succhiare ai bimbi, i
quali però non possono morderli: questo
privilegio spetta ai due piccoli, sotto i due
anni, che non possono capire la fame e, se
non hanno qualcosa nella pancia, piangono
tutta la notte.
Poi è arrivato il signor Juan, un camionista
di Santa Clara, che quando si è deciso ad
andare dal medico a far vedere la ferita che
aveva sulla gamba da tempo, ha scoperto
di essere diabetico ed è stato amputato al
ginocchio nello stesso giorno. Da allora 3
mesi di elemosina in strada finché Sergio,
suo vicino di casa, e nostro meraviglioso
lavoratore sordo, l’ha portato al centro.
Ha iniziato a fare il pane con Marco, dimostrando una tenacia ed una gratitudine da
cui solo c’è di che imparare.
E poi Pablo, che, dopo l’anno di terapia riabilitativa intensa che ha avuto, ora è nel
laboratorio 5 giorni alla settimana; cammina, e chi l’ha visto un anno fa proprio non
ci può credere. L’altro giorno, a un gruppo
di turisti in visita al laboratorio ha detto “
quando crediamo di perdere qualcosa, in
realtà stiamo guadagnando qualcos’altro.
Io non tornerò mai più a camminare e a
correre come un tempo, eppure sono mille
volte più grato e felice oggi dei miei passi
incerti riconquistati di quanto lo fossi due
anni fa dei miei passi sicuri.”
E poi c’è la novità del progetto di microcredito per donne che abbiano un familiare
con disabilità, che ci ha impegnati molto
in questo inizio anno, che è tutto da inventare, da conoscere, ma che certo si sta
rivelando una risorsa preziosissima per le
70 famiglie che potranno fruirne.
Vent’anni
IN MONGOLFIERA
di Maria Rosa Longhi
Da oltre vent’anni il Gruppo “In Mongolfiera” vola in alto. Questa
proposta che avvicina i bambini e i ragazzi alle culture dei vari
popoli è un’esperienza indimenticabile per tutti loro. E anche per
me naturalmente. Affascina molto l’idea di immaginare di salire
su una mongolfiera, di volare tutti insieme nei cieli del mondo e
di volta in volta atterrare presso un popolo che ci accoglie e ci fa
conoscere il suo modo di vivere e ci insegna le proprie tradizioni.
Ricordo i primi anni quando partecipavo con i miei alunni che
continuamente mi chiedevano: “Quale popolo conosceremo
questa volta? Balleremo? Canteremo? Che laboratorio faremo?
….” E io rispondevo sempre: ”Stiamo preparando per voi delle
iniziative che vi lasceranno un caro ricordo.” E loro mi guardavano
curiosi cercando di capire quale segreto nascondevo. Quando
rivedo qualcuno di loro mi fa ricordare subito quelle esperienze,
ma soprattutto gli incontri di giugno , quando si dorme al Coe
a Barzio.
E’ coinvolgente questa iniziativa per loro e ricordo che già qualcuno si prenotava a dicembre per paura di non trovare più posto.
Passare questi pochi giorni insieme per qualcuno è l’unica occasione in cui dorme fuori casa senza i genitori e gusta questo
senso di indipendenza. Quando pass
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molto piacere, perché vuol dire che see lo se
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ritrovarsi all’iincontro ogni due mesi, condi
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sempre ricche di qualcosa di accattivante e og
a casa un lavoretto costruito durante l’attivi
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ciascuno prepara con cura il proprio “tass
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o ag
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li
altri com
mpone laa giornata. Fino a quallche anno
o fa al Coe erano
presentii ragazzi e ragazze di vari Paesi del mondo che entravano
a far parte
rte delle nostre attività, perché presentavano i saluti, i
canti, i balli, i cibi, l’artigianato e come si viveva nella loro terra.
I bambini si lasciavano coinvolgere, stringevano amicizia e speravano di trovarli ancora le volte successive. Anch’io ho imparato
molto da loro e cerco di fare tesoro di questi insegnamenti per
ttrasmetterli ai bambini adesso che al Coe è scarsa la presenza di
questi ragazzi. Sentiamo la loro mancanza, perché ritengo che il
q
ccontatto diretto con una persona di un altro Paese arricchisce
più di ogni lezione teorica e crea un rapporto di stima reciproca
p
e di apprezzamento per le altre culture.
Speriamo che si possa ancora avere questi giovani in mezzo a noi
S
per continuare ad arricchire le nostre conoscenze e ad animare
p
lle nostre giornate.
Milano 6-12 maggio 2014
Torna anche quest’anno il Festival del Cinema
africano, d’Asia e America Latina.
Sette giorni intensi di proposte per promuovere
la conoscenza delle culture e dei popoli di altri
continenti, per stimolare il dialogo interculturale,
per capire le attese e i problemi degli immigrati e
contribuire alla formazione di un tessuto sociale
più accogliente e solidale.
Attento al pubblico in generale, il Festival rivolge
un’attenzione particolare ai giovani creando
uno Spazio Scuola e uno Spazio Università, con
proiezioni e interventi specifici per gli studenti.
Vi aspettiamo a Milano
dal 6 al 12 maggio 2014.
17
RAPPORTINO DELLA SOLIDARIETA’
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Un libro per conoscere la storia sofferta e la complessa attualità
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del Guatemala, attraverso gli occhi di mons. Alvaro Ramazzini,
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“ il vescovo dei senza terra”, uno dei vescovi centroamericani più
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impegnati nella salvaguardia dei diritti umani e dell’ambiente.
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Gli autori presentano gli ultimi venticinque anni di storia del
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Guatemala attraverso l’attività pastorale di mons. Ramazzini
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a partire dalle tematiche che costituiscono per lui una sfida: le
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migrazioni, la terra e la riforma agraria, la difesa della Natura
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danneggiate da una società mineraria canadese che estrae oro
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e argento devastando la natura) e alcuni dati sulla condizione
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E’ stata volontaria in Ecuador. Nel 2008 ha pubblicato il libro Un
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Ha effettuato viaggi in Guatemala, incontrando realtà e persone che
promuovono progetti di sviluppo sociale e cura rapporti di amicizia
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collaborato con Daniela Sangalli per la versione italiana del video La
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GRA ZIE SENTITO !
La gioia ha riempito
la casa
Alex di Sara e Mattia Panzeri. Lo annuncia con gioia
il fratellino Samuele.
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Maria Angela Carla di Christine e André N’Tcha
l’annunciano fratellini e sorelline.
SOSTIENI L’ASSOCIAZIONE COE
PERCHE’ SOSTENERLA
Il COE è un’associazione di volontariato
cristiano che vive e opera grazie al sostegno di soci, volontari, amici, collaboratori e
persone sensibili all’intercultura, alla cittadinanza e alla solidarietà. In Italia realizza
numerose attività che hanno come obiettivo il dialogo e lo scambio tra le culture.
Nei paesi del Sud del mondo (Cameroun,
Congo R.D., Bangladesh, Guatemala, Papua
Nuova Guinea) ha in corso progetti educativi, rurali, sociali e sanitari che hanno come
obiettivo la formazione all’autosviluppo.
Tutti possono partecipare all’impegno del
COE, scegliendo le diverse forme e causali,
contribuendo così a fare un mondo più
giusto e più bello.
la fornitura di materiale didattico e sussidi per tutti);
- BORSE DI STUDIO PER
STUDENTI dell’IFA di Mbalmayo o del Foyer St. Paul di
Kinshasa (favorire l’impiego
attraverso una formazione
professionale);
- SOSTEGNO AI CENTRI
N U T RIZI O N A LI di
Tshimbulu o di Rungu
in Congo (combattere
la denutrizione nei
bambini e formare
i genitori a una corretta alimentazione);
La Montanina di
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aperta nei mesi di lu o Lario sarà
glio e agosto.
COME SOSTENERLA
• facendola conoscere (il passa parola tra
amici e conoscenti è la migliore pubblicità; segnalare un indirizzo per inviare il
giornalino ecc.);
- SOSTEGNO AI PROGETTI:
- in Camerun: (Ampliamento della Maternità di Yaoundé; Ragazzi di strada di
Garoua; Centro di Formazione Artistica
di Douala);
• collaborando alle attività (chi ha competenze e tempo può dare una mano nei
diversi servizi presso le sedi del COE e
nell’organizzazione delle campagne di
solidarietà);
• inviando contributi a sostegno dei singoli progetti:
- in Congo: (Costruzione e allestimento della
Pediatra a Tshimbulu; alloggio per i sordomuti che frequentano la scuola a Rungu);
- ADOZIONI A DISTANZA (in Cameroun,
Congo R.D., Bangladesh) (i bambini sono
seguiti individualmente dai volontari
sul posto);
- ADOZIONE DI UN’INTERA CLASSE (in
Cameroun, Congo R.D., Bangladesh) (migliorare il rendimento generale attraverso
- in Bangladesh: (Sostegno educativo e
sanitario dei fuori casta e prevenzione
del matrimonio precoce delle ragazze
nell’area di Khulna; formazione degli
operatori);
- in Guatemala: (Sostegno al progetto
Alma De Colores per l’inserimento lavorativo di giovani disabili);
Tutti ricordiamo
nella preghiera
Giuseppe Maroni, amico e collaboratore del COE, dalla cima
della Grigna ha raggiunto il Cielo.
Tonino Primiceri, fratello di Liana, una delle fondatrici del
COE, è stato chiamato dal Signore dopo lunghi anni di sofferenza.
Pierino Compagnoni fratello di Giusy, dopo una vita di
dedizione al lavoro e alla famiglia, ha risposto generosamente alla
chiamata del Signore.
Due mamme: Bruna, la mamma di Oretta Canuti Ruggeri e
Elda, la mamma di Luisella D’Ellena Colombo.
- nei PVS: (Sostegno ai volontari e ai progetti in
generale secondo le priorità che il COE ravvisa).
Un gesto bello è quello di condividere gli
eventi importanti (matrimonio, battesimo,
cresima) mediante una piccola pergamena
personalizzata e/o una bomboniera solidale con l’invito a sostenere un bambino
o un progetto. Sono disponibili a questo
scopo oggetti di artigianato provenienti
da questi paesi.
• destinando all’Associazione COE un
lascito testamentario: (perché possa
continuare la sua missione per migliorare le condizioni di vita di tante persone
povere nel mondo).
ANCORA EMERGENZA
PROFUGHI
Continua il dramma dei migranti che cercano
asilo nel nostro paese, sfuggendo da conflitti e
povertà. Il COE, interpellato ancora una volta,
ha aperto le porte il 21 marzo a 15 nigeriani e
a 3 maliani. A questi fratelli, che accogliamo
con affetto, auguriamo che siano esaudite le
loro speranze e che presto torni la pace nelle
loro terre martoriate.
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COME INVIARE IL TUO
CONTRIBUTO:
indica la causale
IN BANCA* :
cc. bancario n.4400
Intestato a Ass. Centro Orientamento Educativo
presso la Deutsche Bank, filiale di Barzio
IBAN IT55 B031 0450 9300 0000 0004 400
BIC: DEUTITM1007 (per bonifici dall’estero)
N.B. Informaci del bonifico fornendoci il tuo indirizzo
(Tel. 0341 996453 oppure con E mail coebarzio@
coeweb.org)
5 PER MILLE
nella denuncia dei redditi (Mod. CUD, 730,
UNICO) firma la casella “sostegno delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale,
delle associ
c azioni di promozione sociale e delle
asso
oci
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oni riconosciute” e indica il codice fiscale
del COE: 92012290133
IN POSTA:
cc. postale n.14528228
Intestato a Ass. Centro Orientamento Educativo
Via Milano, 4
23816 Barzio (LC)
CON CARTA DI CREDITO
per il tuo dono cliccare www.coeweb.org
BENEFICI FISCALI
I contributi offerti da privati e da imprese all’
Associazione COE – Centro Orientamento Educativo,
Organismo Non Governativo (ONG), riconosciuto
nel 1974 dal Ministero degli Affari Esteri e di diritto
ONLUS, godono dei benefici fiscali stabiliti dalla Legge.
L’attestazione che invierà il coe, con l’originale dei
versamenti è utile per il computo della detrazione.
Per maggiori informazioni rivolgersi a:
COE Barzio, tel. 0341.996453.
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Aprile 2014 - n. 1 Anno 24º