Errata corrige
Errata corrige al Commentario sistematico del Codice di procedura civile
A pag. 237 dopo paragrafo “obblighi di fare e di
non fare”
Riforma 2014.
Occorre evidenziare che il D.L. 132/14, conv. in L.
162/14, ha modificato il secondo comma dell’art.
26 prevedendo in primo luogo che per l’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi
è competente il giudice del luogo in cui il debitore
ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede e
non più quello del luogo in cui le cose si trovano
(criterio tuttora vigente per tutti gli altri beni mobili
sottoposti ad esecuzione forzata).
Inoltre con riguardo all’espropriazione forzata
dei crediti cui si riferiva l’originario comma secondo dell’art. 26, in cui era stabilita la competenza del
giudice del luogo di residenza del terzo pignorato,
disposizione volta ad evitare che il terzo debitore,
evidentemente estraneo alla vicenda giudiziaria di
merito, dovesse subire gli spostamenti e le trasferte necessarie per poter presenziare alle udienze del
procedimento di esecuzione, scaricando, di contro,
il relativo onere in capo al creditore ed al debitore
principale, è stato introdotto l’art. 26 bis c.p.c..
Quest’ultima disposizione, nel quadro della integrale rivisitazione dell’impostazione generale del
procedimento esecutivo presso terzi (cfr. pag. 577
paragrafo “Riforma 2014 e 2015), ha previsto, quale
foro generale, quello del giudice del luogo presso
il quale il debitore principale ha la propria residenza, domicilio, dimora o sede (co. 2); se, però, il
debitore è una delle pubbliche amministrazioni
indicate nell’art. 413, co. 5, c.p.c. (che fa generico riferimento a tutte le P.A. datrici di lavoro), è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali (ad
es. art. 14, co. 1bis, L. 669/96), il giudice del luogo
dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (co. 1).
A pag. 577 dopo paragrafo “caratteri formali e
sostanziali”
Riforma 2014 e 2015
Nuove modalità della dichiarazione del terzo pignorato. Il D.L. 132/14, conv. in L. 162/14 ha modificato il contenuto dell’art. 543 c.p.c. in ordine alle
modalità di notifica del pignoramento al debitore ed
al terzo ed ha eliminato la citazione nei confronti
del terzo pignorato, limitandola al solo debitore
per un’udienza di comparizione che va fissata nel
rispetto del termine (di dieci giorni dalla notifica
dell’atto) previsto dall’art. 501. Al terzo viene riservato un invito a comunicare la dichiarazione di cui
all’art. 547 entro dieci giorni: ne segue che non è più
tenuto a comparire in udienza per rendere la dichiarazione di quantità, dovendola inviare a mezzo raccomandata o a mezzo PEC.
E’ stato poi inserito l’avvertimento che, in caso di
mancata comunicazione della dichiarazione, la
stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo
in un’apposita udienza e che, quando il terzo non
compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose
di appartenenza del debitore, nell’ammontare o nei
termini indicati dal creditore, si considereranno
non contestati ai fini sia del procedimento esecutivo in corso che dell’esecuzione che dovesse essere
eventualmente instaurata dal creditore contro il terzo sulla base del provvedimento di assegnazione.
Pertanto, quando all’udienza di comparizione il
creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza notificata al terzo almeno 10 giorni prima, fissa un’udienza successiva. Se il terzo non compare alla nuova udienza
o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si
considera non contestato ai fini del procedimento in
corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento
di assegnazione, e il giudice provvede all’assegnazione o vendita a norma degli artt. 552 e 553.
Il novellato art. 548 c.p.c., prima della riforma del
2015, non risolveva, tuttavia, i dubbi già emersi in
ordine all’operatività del meccanismo processuale
presuntivo di «non contestazione» che porta all’individuazione del credito «nei termini indicati dal creditore», sebbene nella prassi il creditore procedente
difficilmente sia in grado di indicare l’esatto ammontare delle somme dovute dal terzo debitor debitoris
ed, ancor prima, individuare il titolo del credito da
pignorare. Si poneva, allora, il problema di conciliare
il meccanismo della «non contestazione» con la ma-
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teriale assegnazione del credito dovuto dal terzo, se
questo non era precisamente individuato. Secondo
alcuni, si poteva, al fine di salvaguardare l’effettiva
economia processuale che la novella si prefigge, intendere l’espressione «nei termini indicati» nel senso
che la non contestazione operava con riguardo al credito per il quale si procedeva esecutivamente.
La L. 6-8-2015, n. 132 (in vigore dal 21-8-15), di
conv. del D.L. 83/15, ha in parte risolto tale questione, espressamente limitando l’operatività del
principio di «non contestazione» alla sola ipotesi
in cui l’allegazione del creditore consenta l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del
debitore in possesso del terzo. Qualora ciò non sia
possibile, il novellato art. 549 prevede che sia il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, a provvedere con ordinanza all’esatta identificazione
del credito, compiuti i necessari accertamenti
nel contraddittorio tra le parti e con il terzo.
La nuova formulazione della norma, che, dopo la
modifica apportata dalla L. 132/15, disciplina non
solo il caso in cui sulla dichiarazione del terzo sorgano contestazioni, ma anche l’ipotesi in cui, a seguito della mancata dichiarazione del terzo, non è
possibile l’esatta identificazione del credito o dei
beni del debitore in possesso del terzo (cfr. art. 548),
è costruita sulla falsariga della modifica dell’art. 512
di cui alle riforme del 2005/2006, avendo il legislatore, anche in tal caso, ritenuto superflua la procedura seguita in passato che conduceva ad una
sentenza, ed optato per un rimedio processuale
prettamente endoesecutivo.
Le contestazioni, in genere, vengono proposte oralmente nell’udienza di comparizione del debitore indicata nell’atto di pignoramento oppure, qualora la
dichiarazione del terzo non sia pervenuta al creditore a mezzo raccomandata o tramite PEC, nell’udienza appositamente fissata (v. artt. 543, 547 e 548,
come novellati dal D.L. 132/14, conv. in L. 162/14)
per la dichiarazione del terzo (che costituisce anche
il termine finale per la proposizione di esse).
In tal caso il giudice dell’esecuzione, compiuti i
necessari accertamenti nel contraddittorio tra le
parti e con il terzo, provvede con ordinanza a risolvere le contestazioni proposte.
Rispetto alla previgente formulazione della norma, che nulla diceva sul punto, la riforma del 2015
ha chiarito che la risoluzione delle contestazioni
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(nonché l’esatta identificazione del credito) richiede l’istanza di parte (creditore pignorante o
intervenuti muniti di titolo) e che il terzo pignorato deve essere chiamato a partecipare al giudizio in esame, con conseguente integrazione del
contraddittorio nei suoi confronti, nel termine
all’uopo fissato dal giudice.
Come nel caso delle opposizioni in fase distributiva,
può discutersi sul se i «necessari accertamenti» indicati dalla norma possano comprendere una attività
istruttoria vera e propria ovvero se debbano limitarsi
ad una istruzione sommaria, comprendente anche
accertamenti d’ufficio estranei alle prove tipiche.
L’ordinanza che risolve le contestazioni produce
effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione. Il che significa che la sua efficacia è limitata al
procedimento in cui viene pronunciata e all’espropriazione che origina dal provvedimento di
assegnazione.
Il provvedimento è soggetto al regime di cui all’art.
487 e, dunque, può essere dal giudice stesso modificato o revocato finché non abbia avuto esecuzione,
nella specie finché non si sia provveduto a norma
degli articoli 552 o 553.
Citazione del debitore e perdita di efficacia del
pignoramento. Con la riforma del 2014 è stato,
inoltre, sostituito il quarto comma dell’art. 543
c.p.c., il quale ora prevede che, eseguita l’ultima
notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza
ritardo l’originale dell’atto di citazione al creditore, il quale deve depositare nella cancelleria del
tribunale competente per l’esecuzione la nota
di iscrizione a ruolo, con copie conformi (attestate dal suo avvocato) dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro 30 giorni dalla
consegna: la violazione di tale termine comporta la
perdita di efficacia del pignoramento. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell’esecuzione (in ordine all’onere di iscrizione a ruolo
del procedimento.
Deposito telematico. A decorrere dal 31-3-2015 il
deposito nei procedimenti di espropriazione forzata
della nota di iscrizione a ruolo, unitamente alle copie
conformi degli atti di cui all’art. 543, co. 4, c.p.c., ha
luogo esclusivamente con modalità telematiche,
nel rispetto della normativa anche regolamentare
Errata corrige
concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici (art. 18, co. 4, D.L.
132/14, conv. in L. 162/14). L’art. 159 ter disp. att.
c.p.c., introdotto dalla L. 132/15 (di conv., con modif., del D.L. 83/15), consente che l’iscrizione a ruolo
del processo esecutivo per espropriazione avvenga
a cura di soggetto diverso dal creditore, anche
con modalità non telematiche. La nota di iscrizione a
ruolo deve in ogni caso contenere i dati di cui all’art.
159bis disp. att. c.p.c., anch’esso introdotto dal D.L.
132/14, nonché quelli ulteriori indicati dal D.M. 19
marzo 2015. In caso di inefficacia del pignoramento
per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo
si applica l’art. 164ter disp. att. c.p.c.
Competenza per territorio. L’art. 26, co. 2 c.p.c.,
prevedeva per l’espropriazione forzata dei crediti,
prima della riforma attuata con il D.L. 132/14, conv.
in L. 162/14, la competenza (inderogabile ai sensi
dell’art. 28) del giudice del luogo dove risiede il
terzo debitore.
Tale criterio mirava ad evitare che il terzo debitore,
evidentemente estraneo alla vicenda giudiziaria di
merito, dovesse subire gli spostamenti e le trasferte necessarie per poter presenziare alle udienze del
procedimento di esecuzione, scaricando, di contro,
il relativo onere in capo al creditore ed al debitore principale. Il legislatore, tramite l’introduzione
dell’art. 26 bis c.p.c., ha invece rivisto l’impostazione generale del procedimento esecutivo presso
terzi, prevedendo, quale foro generale, quello del
giudice del luogo presso il quale il debitore principale ha la propria residenza, domicilio, dimora
o sede (co. 2); se, però, il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 413, co. 5,
c.p.c. (che fa generico riferimento a tutte le P.A. datrici di lavoro), è competente, salvo quanto disposto
dalle leggi speciali (ad es. art. 14, co. 1bis, L. 669/96),
il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la
residenza, il domicilio, la dimora o la sede (co. 1).
Minimum impignorabile . Ulteriore novità riguarda
la questione dell’individuazione dell’ammontare del
cd. minimum vitale da considerare del tutto impignorabile: il D.L. 83/15, conv. in L. 132/15 ha aggiunto
un settimo comma all’art. 545 c.p.c. (applicabile alle
procedure esecutive iniziate dopo il 27-6-15), il quale prevede che le somme da chiunque dovute a
titolo di pensione, di indennità che tengono luogo
di pensione o di altri assegni di quiescenza, sono
del tutto impignorabili per un importo pari alla
misura massima mensile dell’assegno sociale,
aumentato della metà; la parte eccedente tale ammontare è invece pignorabile nei limiti previsti dal
terzo, quarto e quinto comma della norma in esame, nonché dalle speciali disposizioni di legge. La
predeterminazione del minimo vitale sottrae l’individuazione dello stesso alla discrezionalità dei singoli giudici e assicura una parità di trattamento non
solo di tutti i debitori titolari di pensioni o indennità,
ma anche di tutti i loro creditori.
Pignorabilità de crediti da pensione. E’ stato altresì introdotto, con D.L. 83/15, conv. in L. 132/15, il
comma ottavo dell’art. 545 c.p.c., allo scopo di porre
rimedio ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati in riferimento all’art. 12, co. 2, D.L. 201/11, conv. in
L. 214/11, che ha aggiunto il co. 4ter all’art. 2 del D.L.
138/11, conv. in L. 148/11, il quale dispone che il pagamento dei redditi da lavoro o da pensione superiori all’importo mensile di mille euro deve avvenire
esclusivamente con accredito su c/c bancario o
postale, libretto di deposito, carte prepagate, carte
istituzionali, eliminando la possibilità di pagamento
in contanti nelle mani dell’avente diritto. Il problema
nasce dal rilievo per cui, per consolidata giurisprudenza (Cass. 9-10-12, n. 17178), le somme, frutto
dei predetti redditi, una volta versate su c/c bancario o postale, perdono la loro originaria qualificazione, confondendosi nella liquidità indistinta
costituente il credito del correntista nei confronti
della banca, sicché le stesse sarebbero interamente
pignorabili da parte del terzo creditore secondo il
principio generale di cui all’art. 2740 c.c., senza alcuna delle limitazioni previste dall’art. 545 c.p.c. o dalle
leggi speciali (artt. 1 e 2 d.P.R. n. 180/1950).
In tal caso, si potrebbe profilare un contrasto della
predetta normativa (che ha imposto l’accredito di
tali emolumenti su c/c) sia con l’art. 38, co. 2, Cost.,
in quanto si verrebbe a frustrare la finalità di assicurare al pensionato (tramite la parziale impignorabilità delle prestazioni previdenziali) mezzi adeguati
alle sue esigenze di vita, sia con l’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che si creerebbe tra l’ipotesi in cui il creditore preferisca pignorare
i crediti da lavoro o da pensione presso i datori di
lavoro o gli istituti erogatori (fattispecie in cui ope-
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rerebbero i limiti ex lege alla pignorabilità) e l’ipotesi
in cui il creditore pignori le medesime somme dopo
il loro versamento in c/c bancario o postale.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 85/15,
ha però dichiarato inammissibile la questione, rilevando che il generale principio della responsabilità
patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. può essere derogato esclusivamente in presenza di eccezioni tassative ed espresse di legge, ragion per cui i limiti di pignorabilità stabiliti per i crediti per causa di pensioni
o redditi assimilati non sono applicabili alle somme
che ne sono oggetto, una volta erogate dal soggetto obbligato e accreditate su un c/c bancario o un
libretto di risparmio. Secondo la Consulta, la normativa che ha reso obbligatorio il versamento sul c/c
delle indennità periodiche corrisposte dalla P.A., se
di importo superiore a mille euro, non è in contrasto
con l’art. 38, co. 2, Cost., competendo al legislatore
intervenire per dare tempestiva soluzione al problema, introducendo un rimedio volto ad assicurare effettive condizioni di vita minime al pensionato.
Il legislatore del 2015 ha subito raccolto l’invito del
giudice costituzionale e, inserendo un apposito
comma (l’ottavo) all’art. 545 c.p.c. (applicabile alle
procedure esecutive iniziate dopo il 27-6-15), ha disposto che le indennità relative al rapporto di lavoro privato o impiego pubblico, comprese quelle
dovute a causa di licenziamento, nonché le prestazioni previdenziali a titolo di pensione o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su c/c bancario o postale intestato al debitore, possono essere
pignorate: 1) se l’accredito è anteriore al pignoramento, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno
sociale; 2) se l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, nei limiti previsti dal
terzo, quarto, quinto e settimo comma della norma
in esame, nonché dalle disposizioni speciali di legge.
Si veda, inoltre, l’art. 72ter d.P.R. n. 602/73 per quanto attiene ai limiti alla pignorabilità posti a carico dell’agente della riscossione; in particolare, il
co. 2bis di tale norma, introdotto dall’art. 52, co. 1,
D.L. 98/13, conv. in L. 98/13, prevede, limitatamente
alla riscossione coattiva dei tributi, che «Nel caso di
accredito delle somme di cui ai commi 1 e 2 sul conto
corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all’ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo».
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Parziale inefficacia del pignoramento. Il nono
comma dell’art. 545 c.p.c., introdotto dal D.L. 83/15,
conv. in L. 132/15, dispone che il pignoramento
eseguito sulle somme indicate in tale norma in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dalla stessa
e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente
inefficace (ossia limitatamente alla parte eccedente il consentito) e tale inefficacia è rilevabile dal
giudice anche d’ufficio.
Modifiche al regime di impugnazione dell’ordinanza di assegnazione di crediti. L’ultimo comma
dell’art. 548 c.p.c. prevede che il terzo possa impugnare, nelle forme e nei termini di cui all’articolo
617, l’ordinanza di assegnazione di crediti adottata
in forza della ficta confessio, se prova di non averne
avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della
notificazione o per caso fortuito o forza maggiore,
che abbiano, di fatto, reso impossibile la comparizione in udienza o l’invio della dichiarazione.
Trattasi di rimedio concernente il quomodo dell’esecuzione, e non l’an della stessa, e che è legato ad un
termine perentorio (a differenza dell’opposizione
all’esecuzione). La L. 132/15 ha abrogato il richiamo
al primo comma dell’art. 617, lasciando così intendere che il terzo può alternativamente avvalersi: 1) sia,
come espressamente previsto finora, dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, co. 1, da proporre
con citazione entro 20 giorni dalla notifica del titolo
esecutivo (costituito dall’ordinanza di assegnazione
che ha concluso il procedimento di espropriazione
presso terzi) o del precetto; 2) sia dell’opposizione
agli atti esecutivi ex art. 617, co. 2, da proporre con
ricorso, nell’ambito del medesimo procedimento di
espropriazione presso terzi (qualora l’opposizione
agli atti esecutivi sia proposta entro 20 giorni dalla notifica dell’ordinanza di assegnazione) oppure
nel corso del procedimento di espropriazione promosso nei confronti del terzo pignorato, qualora
quest’ultimo non abbia avuto la possibilità di proporre tempestivamente l’opposizione ai sensi del
co. 1 del medesimo art. 617.
Si può ritenere che con la sentenza che decide l’opposizione agli atti venga rimossa solo l’ordinanza
di assegnazione, cosicché il terzo potrebbe essere
rimesso in termini per la dichiarazione prevista dall’art. 547.
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