cronache ipogee
pagine di informazione speleologica per il Friuli Venezia Giulia - n. 9/2012
UnA grottA-sorgiva scopertA IN VAL RAccOLANA (FRIULI)
Per il mondo della speleologia regionale c’è una
importante notizia: alcuni
esploratori della Società
Adriatica di Speleologia hanno scoperto una nuova sorgiva carsica sul
monte Sart, nella val Raccolana.
Una grotta di grande dimensioni con
acque interne, sviluppi e articolazioni
tutte da scoprire.
A compiere l’importante scoperta gli
speleologi triestini Lorenzo Slama e
Rocco Romano.
Già da qualche anno gli esploratori
della Adriatica avevano iniziato a effettuare dei sopralluoghi alla ricerca di
nuove cavità nella zona montana del
Bila Pec, sul massiccio del Canin.
In base alle segnalazioni di un cacciatore della località di Tamaroz, i due
speleologi si erano messi a perlustrare
il versante settentrionale del monteSart
per rintracciare lo speco.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto,
assieme al cacciatore Slama e Romano hanno finalmente individuato
la sorgiva.
Avventuratisi lungo un impervio canalone in una giornata caratterizzata da
una temperatura superiore ai 30 gradi,
la percezione di una gelida corrente
d’aria annunciava la scoperta.
«Dopo una ventina di metri - raccontano i due - tra massi instabili, un
portale di 8 metri per 6 d’altezza ci
ha permesso di entrare in una grotta
sinora inviolata».
L’esplorazione però si è conclusa dopo
qualche minuto per mancanza di batterie a supporto dell’illuminazione.
La settimana successiva, assieme a
altri soci, Slama e Romano hanno
ripreso l’indagine nella singolare grotta
caratterizzata da condotte formate
dall’acqua, da caverne e meandri, da
un torrente sotterraneo con tanto di
laghi e cascate.
L’esplorazione è stata effettuata per
oltre 700 metri grazie alla siccità estiva
che limitava la presenza delle acque.
Le ultime piogge hanno però innalzato
il livello delle acque di un lago lungo 18
metri che si trova a qualche centinaio
di metri dall’ingresso dell’ipogeo.
«Ora è davvero difficile immergersi
nell’acqua gelida sino al collo - spiega
Marco Restaino, responsabile della
sezione scavi “Walter Maucci” - per
poi raggiungere le zone asciutte da
cui proseguire le ricerche.
Perciò, proprio in queste ore, stiamo
disostruendo un vicino cunicolo che
fungerà da by pass per aggirare il
lago. Inoltre questo passaggio ci consentirà di avere a disposizione una
via di fuga libera e sicura in caso di
piene improvvise, frequenti in questo
tipo di grotta».
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Secondo gli esperti dell'Adriatica di
Speleologia l’«Acquarolo» situato a
circa 800 metri di quota sul versante
settentrionale del Sart rappresenta una
grotta viva, geologicamente in continua evoluzione, che sarà oggetto di
una vera e propria campagna di studi
idrologici e geochimici. «Sopra la quota
raggiunta - sostiene Restaino - c’è un
potenziale da esplorare di oltre mille
metri e forse più, come ci fa intuire la
forte corrente d’aria persistente».
Non mancheranno sicuramente le
spese per poter intraprendere una tale
impresa; per questa ragione si sta già
predisponendo un protocollo di ricerca
che verrà redatto con l’Università degli
Studi per ottimizzare la campagna di
studi che verrà avviata a breve.
Maurizio Lozei
(tratto da "Il Piccolo" dd.28.09.2012)
ABISSO DI VIGANT:
settembre 2012...
ABISSO DI VIGANT:
UN DEGRADO
ANNUNCIATO
Nel numero passato, quello di agosto,
scrivevamo del degrado in cui si trova
la struttura che porta all’ingresso della
grotta Pre Oreak ma il caso non è
assolutamente isolato.
L’escursionista che visita queste valli
può imbattersi anche in altri esempi
di abbandono.
Immediatamente sopra questa cavità,
ad un centinaio di metri di altezza, troviamo il paese di Vigant ai cui piedi si
apre il famoso ed omonimo abisso.
Alcuni anni fa l’ingresso; maestoso
(alto più di 10 metri) e dall’aspetto
selvaggio poteva fare bella mostra di
se e gli escursionisti facevano a gara
per fotografarlo.
Addirittura le foto dell’ingresso comparivano sui libri come esempio di
inghiottitoio carsico.
Attualmente la costruzione di un ponte
proprio di fronte al bell’ingresso ed
un sentiero che arriva all’interno della
galleria iniziale fino al primo pozzo, ne
hanno snaturato la natura selvaggia
che rendeva questa cavità estremamente affascinante e unica.
Non basta, visto che al peggio non c’è
mai fine, da qualche tempo lateralmente all’ingresso è stata collocata anche
una statua della Madonna con tanto
di cancello e teca in vetro.
Ora, a parte che se proprio si voleva
fare un percorso turistico, si poteva
costruire il ponte molto più a monte
cosi da rendere libera la visione del
maestoso antro ma non è tanto questo
il punto, bensì il fatto che qualsiasi
opera senza manutenzione prima o poi
subisce il degrado del tempo.
Il sentiero che conduce all’interno della
grotta che era illuminato da una serie
di lampade che si accendevano al
passaggio dell’escursionista, da molto
tempo questa illuminazione non funziona più rendendo il sentiero del tutto
inutile, la balaustra in legno in alcuni
punti ha ceduto alle intemperie e può
essere pericolosa, il legno all’interno
della grotta è già ricoperto da un leggero velo di licheni segno inequivocabile
di un prossimo degrado.
Se non si pone subito riparo cosa ci
rimane?
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Rimane solo la distruzione di un ambiente naturale.
Non basta, quella statua della Madonna “che c’azzecca” direbbe qualcuno,
effettivamente è una scelta che si
poteva evitare, oltretutto non si riesce
a capire la presenza del cancello con
tanto di lucchetto e punte sull’inferriata;
non si capisce bene se siano state
messe per impedire a qualcuno di
avvicinarsi troppo o per impedire alla
Madonna di scappare.
Credo, infatti, che quella statua abbia
sentito una quantità infinita di imprecazioni da parte degli speleologi transitati
di là dopo la fatica di un esplorazione
e aver risalito tutti i pozzi dell’abisso.
Credo infine che, anche se le risorse
naturali presenti sul territorio siano,
giustamente, sfruttabili turisticamente
da chi risiede sul territorio, le bellezze
naturali, però sono, e devono essere,
anche patrimonio comune di tutti noi
e come tale deve essere difeso da
impropri interventi che ne deturpino
l’aspetto.
A tale proposito ci dovrebbe essere
un’apposita normativa sull’impatto ambientale che dovrebbe essere rispettata
anche in questo caso.
O no!!!
Maurizio Tavagnutti
PRESENTATO
ANCHE A GORIZIA
"MULI DE GROTA"
Venerdì 7 settembre alle ore 18.00 a
Gorizia, presso la sala conferenze dei
Musei Provinciali di Borgo Castello,
a cura della Federazione Speleologica Isontina e con il patrocinio della
Provincia di Gorizia si è svolta la
presentazione del libro “Muli de grota”
di Franco Gherlizza.
Un libro che raccoglie, in un simpatico susseguirsi di storie e racconti e
aneddoti, lo spirito che animava gli
speleologi triestini a cavallo tra gli anni
sessanta-ottanta.
Una storia lunga molti decenni, che
come ha ricordato Maurizio Tavagnutti
nel presentare l’autore, è stata vissuta
anche dalla speleologia goriziana che
all’epoca prendeva Trieste come modello della propria attività.
Il libro racconta la storia della speleologia triestina attraverso la visuale di
un ragazzo (l’autore), che ha vissuto
in prima persona le vicende e la storia
della sezione speleologica del Club
Alpinistico Triestino, i principali protagonisti sono ormai diventati “muli de
una volta” come li chiama lui; sono
i soci ed ex soci di uno degli storici
sodalizi speleologici di Trieste.
Si può dire che Franco Gherlizza è
stato ed lo è ancora oggi uno dei
principali protagonisti della speleologia triestina, soprattutto è un amico
disponibile all’avventura non importa
quanto difficile o complicata sia.
La presentazione del libro, di fronte ad
un pubblico attento, è stata introdotta
da Ferdinando Zimolo, presidente della
Federazione Speleologica Isontina, seguito dai saluti riportati dall’assessore
provinciale allo sport, signora Sara
Vito, e come ricordato da Maurizio
Tavagnutti che ha illustrato la figura
dell’autore.
Ha fatto seguito un breve filmato
improntato sulla falsariga goliardica
del libro.
ATTIVITÀ DIDATTICA DEL
GRUPPO SPELEOLOGICO
PRADIS
Continuano in questi ultimi
mesi le iniziative del Gruppo Speleologico Pradis per divulgare sul territorio
la speleologia e il fenomeno carsico.
Una uscita didattica è stata fatta nel
fortino di guerra “Opera 1 di Priola”.
Ai partecipanti è stato spiegato lo
scopo per cui queste opere sono state
costruite (anni 1940-1942), gli armamenti di cui erano dotati e il personale
impiegato per renderla funzionale.
Uscita molto interessante e apprezzata
dai partecipanti.
Un gruppo di 15 giovani del Grest,
organizzato dal comune di Anduins,
è stato accompagnato nella “Grotta
delle Aganes”.
Ai ragazzi della vallata, è stata presentata la figura della “Agane” che,
secondo la tradizione popolare, erano
delle figure leggendarie.
È stata raccontata loro la leggenda
delle Agane e la nascita del “Rio
Barquiet”.
Una seconda iniziativa è stata proposta nelle scuole primarie di Castions
di Zoppola.
In questo caso abbiamo mostrato, a
diversi gruppi di ragazzi, il materiale
speleologico ed è stato spiegato l’uso e
lo sviluppo che questi materiali hanno
avuto nel tempo.
Si è poi proseguito con i centri estivi
di Pinzano in cui abbiamo portato 44
ragazzi nella grotta didattica di “Battei”.
Agli entusiasti partecipanti sono state
date spiegazioni sul fenomeno carsico
e sulla sua salvaguardia.
Il 14 agosto, in collaborazione con il
Comune di Clauzetto, abbiamo accompagnato oltre un centinaio di visitatori
delle grotte turistiche di Pradis, in una
serie di visite guidate notturne nella
Forra del Torrente Cosa.
Ai partecipanti, dopo una panoramica
descrittiva della zona, è stato spiegato
il fenomeno carsico, la formazione della Forra e gli studi che stiamo facendo.
Visto i consensi ottenuti, la manifestazione è senz’altro da ripetersi.
Il 15 agosto, sempre nelle grotte di
Pradis, è stata allestita una mostra
di carattere speleologico con pannelli
fotografici ed è stata fornita dimostrazione e prova tecnica di progressione
su sola corda.
Le persone più entusiaste sono state senz’altro i bambini, alcuni di 4-5
anni, che hanno provato la risalita in
corda.
Anche questa iniziativa, visto il successo ottenuto, è senz’altro da ripetersi.
Gabriele Concina
Gorizia, Borgo Castello. Maurizio Tavagnutti,
Franco Gherlizza, Ferdinando Zimolo, Sara Vito.
Gorizia, Borgo Castello. Il pubblico presente in
sala per la presentazione del libro.
"SPELEOLOGIA
ISONTINA"
Annuario del 2011
È uscito, alla fine di settembre, "Speleologia Isontina" - annuario ufficiale
della Federazione Speleologica Isontina - Anno III, n.° 3 (XIX anno n. 22).
La rivista è composta da 40 pagine
arricchite dalla notevole mole di attività
prodotta dai gruppi aderenti.
Ferdinando Zimolo
Gruppo Speleologico Pradis. Prove di risalita
su corda con i più piccoli.
speleologia isontina
ANNUARIO UFFICIALE DELLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA
ANNO III - n.° 3
(XIX ANNO N.° 22)
FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA - via Ascoli, 7 - 34170 GORIZIA
CENTRO RICERCHE CARSICHE “C. SEPPENHOFER” - via Ascoli, 7 - 34170 GORIZIA
GRUPPO SPELEOLOGICO CARSICO - via Bosco Cappuccio, 6 - 34078 SAN MARTINO DEL CARSO (GO)
GRUPPO SPELEOLOGICO “TALPE DEL CARSO” - via del Lago, 17 - 34070 DOBERDO’ DEL LAGO (GO)
GRUPPO SPELEOLOGICO MONFALCONESE “G. SPANGAR” - C.A.I. Monfalcone - via Marco Polo, 7 - C.P.204 - 34074 MONFALCONE (GO)
GRUPPO SPELEOLOGICO “FLONDAR” - Villaggio del Pescatore, 102 - DUINO AURISINA (TS)
GRUPPO SPELEOLOGICO MONFALCONESE “AMICI DEL FANTE” - via Valentinis, 134 - 34074 MONFALCONE (GO)
GRUPPO SPELEO “L.V. BERTARELLI” - C.A.I. Gorizia - via Rossini, 13 - 34170 GORIZIA
MUSEO CARSICO, GEOLOGICO E PALEONTOLOGICO - via Valentinis, 86 - 34074 MONFALCONE (GO)
SOCIETA’ DI STUDI CARSICI “A.F. LINDNER” - via F.lli Cervi, 9G - 34077 RONCHI DEI LEGIONARI (GO)
SPELEO CLUB MONFALCONE - via Palladio, 8 - 34074 MONFALCONE (GO
EDITO DALLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA
REDAZIONE: Colus Andrea, Gergolet Edvard, Tavagnutti Maurizio, Zimolo Ferdinando.
Gruppo Speleologico Pradis. Visita guidata alla
Grotta delle Agane.
Gruppo Speleologico Pradis. Didattica
speleologica nelle scuole.
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IL CLUB ALPINISTICO
TRIESTINO COLLOCA
ALTRE TARGHETTE
SULLE GROTTE
DEL MONTE CANIN
Ernesto Giurgevich posiziona la targhetta
all'esterno di una grotta in Sella Grubia (Canin).
(Franco Gherlizza)
La targa posta all'ingresso dell'abisso (ponor)
che ricorda la figura di Vinicio Potleca.
Approfittando di una tregua del
maltempo che, nella prima settimana di
settembre ha risparmiato gli speleologi
che volevano terminare alcuni lavori
prima della chiusura della funivia del
Canin, il Club Alpinistico Triestino ha
organizzato un breve campo, con
base al bivacco "Elio Marussich" per
posizionare ancora qualche targhetta
identificativa all'esterno di alcune grotte
nella zona del Pic di Grubia.
Sabato 1 settembre: è stato possibile
collocare quattro targhette nei dintorni
del bivacco sulle rocce ancora bagnate dal violento temporale che si era abbattuto sulla zona.
Operazione sospesa verso le sei di
sera quando una forte pioggia si è nuovamente abbattuta sulle Alpi Giulie.
Domenica 2 settembre: un timido raggio di sole ha gratificato gli speleologi
asciugando temporaneamente rocce e
indumenti.
Si è approfittato subito per posizionare
altre due targhette e documentare tutto il lavoro svolto come da indicazioni
del Catasto Regionale delle Grotte.
Subito dopo l'ora di pranzo, però il maltempo si è nuovamente manifestato
sull'altopiano e si è resa necessaria (e
opportuna) una fuga veloce al sottostante rifugio Gilberti e alla stazione di
funivia, riuscendo a prendere, appena
in tempo, l'ultima corsa.
Ernesto Giurgevich
Dal 21 al 28 luglio 2013 si svolgerà
a Brno (Repubblica Ceca) il XVI Congresso Internazionale di Speleologia.
Ultima data utile per l'invio degli abstract: 1 novembre 2012.
Maggiori informazioni nel sito:
www.speleo2013.com
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25 anni
del SPELEOLOŠKO
DRUŠTVO Buje
L’Elogio della Città di Buje è andato alla
Società Speleologica «Buie» per 25
anni di successi e di lavoro continuato
nell’ambito della speleologia.
La Società Speleologica «Buie» è stata
fondata nel 1987 e quest’anno festeggia i suoi 25 anni di lavoro continuato
nell’ambito della speleologia.
La società vanta tra i suoi membri
personale abilitato al salvataggio delle
persone e delle cose, si occupa della
formazione dei più giovani, ponendo
l’accento sulla tutela delle grotte.
La manifestazione si è svolta nella sala
della Comunità degli Italiani, a Buje, ed
è stata una vera festa popolare.
Numerosi gli speleologi intervenuti dal
territorio croato ai quali si sono affiancate le associazioni di volontariato e
di protezione civile della zona.
Presenti, inoltre, alcuni italiani amici
dei colleghi buiesi e, a livello di gruppi,
una rappresentanza del Gruppo Grotte
Club Alpinistico Triestino.
Dopo la presentazione del presidente,
Paride Pernić, si sono susseguiti diversi interventi che hanno ripercorso la
storia del gruppo dal 1987 a oggi.
Tutti, indistintamente, hanno ricordato
la figura di Vinicio Potleca, figura di
spicco del gruppo quasi dalla sua fondazione e scomparso prematuramente
19 anni fa.
Per l'occasione è stato distribuito ai
presenti un libretto con articoli in croato
e in italiano (uno è anche in dialetto
istriano), che racconta, nelle 26 pagine
che lo compongono, storie e aneddoti
che hanno visto come protagonisti gli
speleologi del gruppo.
Come nelle migliori tradizioni speleologiche alla fine della manifestazione
si è tenuto un ricco banchetto, generosamente annaffiato dagli ottimi vini
istriani.
Franco Gherlizza
Giovani grottisti di Buje negli anni '70.
ottobre 2012...
PRE-SPEDIZIONE
SPELEOLOGICA
A VRGORAC (CROAZIA)
Panoramica del territorio di Vrgorac (Croazia).
Il castelliere dell'epoca del Bronzo.
Overflow polje.
Ingresso nella Betina Gigantea.
L'impossibile di Otrići- Seoci.
Gla grotta vicino al cimitero.
Nelle giornate dal 7 al 10 ottobre, il
Gruppo Grotte del Club Alpinistico
Triestino organizza una pre-spedizione
nei territori carsici di Vrgorac (Croazia) in previsione di tenere un campo
speleo-scientifico di due settimane
nel 2013.
Per far comprendere al meglio la potenzialità e gli obiettivi che ci siamo
prefissati passo la parola a Erika e
Marko che hanno recentemente effettuato una ricognizione per prendere i
primi contatti con la popolazione e gli
speleologi del luogo.
Da Rijeka (Fiume) a Vrgorac sono
cinque ore spaccate lungo l'autostrada
croata che, da una parte, velocizza
e semplifica il viaggio ma dall'altra
taglia e nasconde luoghi e paesaggi
splendidi che oramai ricordiamo con
fatica.
Lasciamo l'attrezzatura nell'Hotel Prvan a Vrgorac, una cittadina piccola
ma viva e brulicante (sopratutto di
moto sportive). Il pomeriggio procede
in una passeggiata orientativa attorno
e attraverso la zona di Kokorići.
Il carsismo si sviluppa a Kokorići tramite fenomeni di polje e precisamente
overflow polje: distese relativamente
piatte e fertili (flisch) con uno strato di
sedimento sulla superfice che risulta
periodicamente allagata (appunto overflow) perché inserita in un sistema di
risorgive ed estavelle.
Questo tipo di geomorfologia è molto
importante per individuare paesaggi
di epoche antiche dato che è ideoneo
all'agricoltura (insediamento). Non
a caso, passeggiando attraverso il
villaggio di Pervani si notano un castelliere dell'età del Bronzo (individuato
ma non studiato) e un insediamento
(allevamento e agricoltura) di epoca
medioevale costruito interamente con
tecnica di murature a secco inserite
in un complesso sottoroccia.
Grotte individuate: 2.
La sera incontriamo il signor Zvonimir
Pervan, il proprietario dell'Hotel che
narra delle esplorazioni speleologiche, speleosubacquee, geografiche
e archeologiche operate sul territorio;
saltuarie ed effimere.
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Ci sembra un uomo appassionato,
dedito e di parola e subito si instaura
un buon rapporto.
Il giorno seguente ci accompagna
in macchina di persona. Facciamo il
"giro largo" restando sempre nell'arco
di circa 10 km da Vrgorac. Ogni tanto
ci fermiamo, facciamo qualche foto e
prendiamo le posizioni topografiche.
Grotte individuate: 6.
Nel caldissimo pomeriggio rimaniamo
da soli e ci inoltriamo nuovamente
nella zona di Kokorići per cercare un
insieme di grotte tra l'altro segnate
sulla carta e esplorate solo in parte.
Individuiamo la cosidetta Mala Betina
(Piccola Betina), subito vicino al sentiero che porta al posticino detto Crip.
Veniamo fermati da un contadino che
con molto entusiasmo ci offre generosamente il suo aiuto.
Si tratta di un presunto sistema sotterraneo di grotte profonde in media
da 50 a 80 metri dopo i quali affiora
l'acqua della risorgiva. Nella cosidetta
Betina Gigantea sono state effettuate
esplorazioni dove gli speleosub di
Spalato si sono spinti fino a un certo
punto ma poi tornati indietro a causa
della pessima visibilità.
Grotte individuate: 3 + 2 cavità artificiali
e un riparo.
La mattina del nostro ultimo giorno a
Vrgorac incontriamo il signor Borislav
Dominiković, sindaco del paesetto a
circa 7 km di distanza, precisamente
Otrići- Seoci.
Dimostra vivo interesse; facciamo un
giro in macchina e ci fa vedere altre
due grotte inesplorate.
La prima è una sorta di "Impossibile"
triestina, ma questa purtroppo cementata dalla superstrada.
Il sindaco conserva fotografie e disegni
della grotta cementata e ci fa anche
vedere l'accesso artificialmente scavato durante un saggio che secondo
i suoi calcoli dovrebbe essere non più
di 25 metri dalla grotta.
Egli individua lo stesso buco anche
dall'interno della grotta (molto concrezionata) da lui fotografata e visitata ma
ora non più accessibile.
La seconda grotta è situata nel paese
di Otrići, vicino a un cimitero e secondo le parole di Dominiković l'accesso
è molto stretto all'inizio e stando alle
sue parole a un certo punto si sente
rumore d'acqua.
Paklina, cava di bitume.
Il bitume che esce naturalmente dalle pareti.
I pippistrelli si sono impossessati della cava.
Muro perimetrale e particolare dell'ingresso
dell'Inghiottitoio di Jasen.
Tutte le fotografie sono di Marko Cesarec.
Egli aveva assistito all'esplorazione di
un giovane calatosi con la corda ma
senza atrezzatura nè luci adeguate,
motivo per cui tornò in superficie
dopo esser arrivato a un punto dove
proseguiva in verticale.
Una volta tornati in Hotel, ci aspetta il
giornalista Ante Primorac di quotidiani
noti in Croazia (Jutarnji List e Slobodna
Dalmacija) che ci intervista.
L'ultima tappa è quella della cava di
Paklina, una delle cave di bitume più
antiche della Croazia (stando alle fonti
scritte: attiva dal 1753 ma con una
ottima probabilità anche in epoche
più antiche. Si tratta di una cava di
bitume naturale (pissasphaltus) abbandonata; sfruttata con lo scavo in
profondità (max 50 m) fino al 1961,
dopo il quale si procedette nello scavo in orizzontale. Si è osservato che
dopo periodiche interruzioni i settori
scavati si riempivano nuovamente,
velocemente e naturalmente di bitume.
Esiste un rilievo del 1945 (1:1000)
custodito nell'archivio dell'Istituto di
geologia di Belgrado (Serbia). Il signor
Pervan sostiene di averlo cercato per
molto tempo ma di non esser riuscito
a recuperarlo.
Ci accompagna gentilmente il signor
Lorenzo Šoljak dato chè non ci sono
indicazioni concrete e nonostante
qualche cartello è davvero difficile
orientarsi.
Grotte individuate: 2 + una cava (cavità
artificiale).
Dopo questa bella esperienza e tante
scoperte inaspettate salutiamo Vrgorac
e partiamo per Rijeka.
Nei giorni seguenti faccio una ricerca
riguardante i permessi e parlo con
alcune persone del settore. Riesco
a a contattare l'alpinista croato Stipe
Božić, nato a 10 km da Vrgorac che
mi mette in contatto con Tonči Rađa
(Gruppo Grotte „Špiljar“) che ci offre
la sua collaborazione. Egli sostiene
che sono state rilevate 10 grotte nei
pressi di Vrgorac.
In ogni caso mi segnala una grotta
rilevata di 200 metri dopo i quali hanno
raggiunto l'acqua e dove non hanno
fatto esplorazioni speleosubacquee.
Sono stati trovati 17 protei (dei quali
adulti 26-28 cm) nell'inghiottitoio di
Jasen; 10 pozzi in verticale che poi
diventano gallerie orizzontali verso il
fondo della grotta. La grotta è entrata
nella classifica tra gli habitat biologici
maggiormente significativi.
Erika Jurišević
Marko Cesarec
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PUNTO GIOVANI:
CORSO
DI SPELEOLOGIA
Il Centro Ricerche Carsiche "C. Seppenhofer" in collaborazione con il Punto
Giovani di Gorizia organizza un corso
di introduzione alla speleologia.
Il corso è gratuito e sarà seguito da
una Guida Speleologica Regionale del
Friuli Venezia Giulia.
L'età minima per poter partecipare al
corso è di 15 anni.
Le iscrizioni potranno essere fatte
presso la sede del Punto Giovani di
Gorizia Via Vittorio Veneto 7 - 34170
Gorizia (2° Piano) o presso la sede del
C.R.C. "C. Seppenhofer" in via Ascoli,
7 a Gorizia, aperta il venerdì dalle ore
21.00 alle 23.00.
PROGRAMMA DEL CORSO
Giovedì 18 ottobre
Introduzione al corso.
Caratteristiche ed impiego delle attrezzature speleologiche.
Tecniche di armo e progressione in
grotta.
Domenica 21 ottobre
Esercitazione pratica in palestra di
roccia presso la Grotta dei Cacciatori
(Carso triestino) (piccola cavità molto
semplice e ideale per un primo approccio con l'ambiente sotterraneo).
Rientro presso la sede del Punto Giovani, seguirà un breve rinfresco.
Giovedì 25 ottobre
Nozioni elementari di geologia e carsismo, formazione delle grotte.
Domenica 28 ottobre
Primi passi in grotta. Esercitazione pratica in grotta, ambientazione e scoperta
del mondo sotterraneo presso la Grotta
del Paranco (Carso triestino).
Rientro presso la sede del Punto Giovani, seguirà un breve rinfresco.
Giovedì 8 novembre
Ecologia e rispetto dell'ambiente sotterraneo, elementi base di biologia
sotterranea.
Domenica 11 novembre
Alla scoperta delle grandi grotte. Visita
della Grotta Doviza (Tarcento) e visita
delle maggiori manifestazioni del carsismo locale.
Giovedì 15 novembre
Sicurezza in grotta e organizzazione
del Corpo Nazionale Soccorso Alpino
e Speleologico.
Chiusura del corso e consegna attestati di partecipazione.
Maurizio Tavagnutti
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VI EDIZIONE
DEL CORSO
"INCONTRI
CON LE CAVERNE
DELLA GRANDE GUERRA"
Grofova jama / Caverna del fuoco.
Si svolgerà nelle giornate di mercoledì
24 ottobre e domenica 28 ottobre.
La serata del 24 prevede la conferenza di Pierpaolo Russian sull'uso delle
grotte naturali del Carso triestino e
goriziano.
A questa seguirà l'escursione di domanica 28 ottobre, guidata da Maurizio Radacich, in una mezza dozzina
di caverne che si aprono sul Monte
Hermada (Duino - Aurisina).
Grazie alla collaborazione con lo Jamarsko Društvo Sežana, sarà possibile
visitare anche la Grofova
jama che si apre, in territorio sloveno, a pochi metri
dal confine di Stato.
CORSO
DI METEOROLOGIA
E CLIMA
Militare austro-ungarico mentre rileva una
caverna del Carso.
Lino Monaco, presidente dal CAT e l'Assessore
all’Educazione, Scuola e Università e Ricerca
del Comune di Trieste, Antonella Grim, durante
la manifestazione per i 40 anni di didattica nelle
scuole del Club Alpinistico Triestino.
Il Centro Ricerche Carsiche “C. Seppenhofer”, nell’ambito di un programma
di sensibilizzazione verso i recenti
cambiamenti climatici e salvaguardia
ambientale, in collaborazione con
l’Unione Metereologica del Friuli Venezia Giulia - ONLUS e la Protezione
Civile Sez. di Gorizia organizza nel
mese di ottobre un corso sulla meteorologia ed il clima.
Il corso è rivolto a tutta la cittadinanza.
Sarà un’occasione unica per apprendere i segreti che determinano quei
cambiamenti climatici che oggigiorno
stiamo assistendo sempre con maggior frequenza e che ci mettono a
dura prova.
Potrà anche essere utile per coloro
che frequentano la montagna e vogliono apprendere come si possono,
in anticipo, conoscere le condizioni
meteorologiche.
Il corso sarà tenuto da noti e capaci
studiosi dell’Università di Trieste e del
Consiglio Nazionale delle Ricerche,
dell’Osservatorio Meteorologico Regionale, ecc.
Le lezioni si svolgeranno presso la
sede del C.R.C. “C. Seppenhofer” di
via Ascoli, 7 a Gorizia con inizio alle
ore 19.00.
Per informazioni rivolgersi al responsabile Luca Ziani, scrivendo alla mail:
[email protected] o chiamando il
cell.: 3406039883.
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PROGRAMMA DEL CORSO
16 ottobre
Renato R. Colucci (Consiglio Nazionale
delle Ricerche - UMFVG)
Introduzione alla meteorologia ed alla
climatologia, cenni sul clima del FVG.
23 ottobre
Arturo Pucillo (Osservatorio Meteorologico Regionale - UMFVG)
La sinottica metereologica
30 ottobre
Ester Colizza (Università di Trieste
- UMFVG)
Come si possono conoscere e studiare i climi del passato; excursus
sulla storia paleoclimatica del Friuli
Venezia Giulia
6 novembre
Marco Virgilio (Telefriuli - UMFVG)
Come si fanno le previsioni del tempo,
approfondimento di meteorologia e
climatologia delle Alpi friulane
13 novembre
Furio Pieri (Osservatorio Meteorologico
regionale - UMFVG)
Come si misurano i parametri meteorologici; la strumentazione meteorologica
moderna e antica
20 novembre
Dario Giaiotti (Centro Regionale Modellistica Ambientale ARPA - UMFVG)
Local Severe Weather, il Friuli Venezia
Giulia fucina di eventi meteorologici
estremi
27 novembre
Fulvio Stel (Centro Regionale Modellistica Ambientale ARPA - UMFVG)
Come si formano le precipitazioni
(pioggia, neve, grandine...), cenni sulla
microfisica delle nubi.
CONFERENZA STAMPA
PER IL PROGETTO DI
DIDATTICA AMBIENTALE
"ORIZZONTI IPOGEI"
Martedì 9 ottobre, alle ore 11.30,
presso la Sala Giunta del Comune
di Trieste (Largo Granatieri 2, I Piano), verrà presentato dall'Assessore
all’Educazione, Scuola e Università
e Ricerca del Comune di Trieste,
Antonella Grim, il progetto di didattica ambientale "Orizzonti ipogei.
Esperienze didattico-esplorative nel
mondo delle grotte".
Da parte del CAT ci saranno gli interventi del dott. Sergio Dolce (coordinatore del progetto) e di Franco
Gherlizza, responsabile della Sezione
Didattica del Gruppo Grotte del CAT.
(Vedi depliant informativo a pag. 10).
cronache ipogee
Materiale didattico
La Sezione Didattica del Club Alpinistico Triestino
ha realizzato, negli anni, alcuni prodotti di comunicazione studiati appositamente per i ragazzi (e
per il mondo studentesco, in genere) rivolti principalmente alla conoscenza e alla valorizzazione del
patrimonio speleologico, nonché alla ricerca scientifica ed esplorativa. Questo il materiale didattico
in uso alla nostra Scuola di Speleologia:
1)
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4)
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7)
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14)
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17)
Libretto a fumetti “Origini”. Trieste dalla preistoria alla conquista romana.
Libretto “Nelle viscere della Carsia” narrativa
per ragazzi (ristampa).
Libretto “La natura tra le rocce” Il Carso
visto e descritto da un bambino di 11 anni.
Poster “L’ultimo continente” (italiano, sloveno, inglese).
Libretto “Colorare il buio” adatto per bambini
delle prime classi primarie (in fase di traduzione per lo sloveno e l'inglese).
Power Point “L’ultimo continente”. Viaggio
scientifico-esplorativo nel mondo delle grotte.
Video “Andar per grotte”. Storia ed evoluzione della speleologia a Trieste.
Power Point “Grotte e leggende del Friuli
Venezia Giulia”. Storie fantastiche.
Power Point “Miti e leggende ipogee del
Friuli Venezia Giulia”. Personaggi fantastici.
Power Point “Storia della Speleologia subacquea a Trieste”. Tecnica, fisica e sport.
Video “Ipogei naturali e artificiali della
Grande Guerra sul Carso”. Storico.
Power Point “Il ricovero antiaereo denominato «Kleine Berlin»”. Storia di un bunker.
Power Point “Che fatica essere bambini in
tempo di guerra”. Perché non succeda più.
Video “Kleine Berlin”. Storico.
Libretto “L’enigmatico mondo delle grotte”
(in preparazione). Parole crociate e altro.
Libretto “Grotte e leggende del Friuli Venezia
Giulia” (in preparazione). Le più belle storie.
Power Point “L'uomo e le grotte” (in preparazione). Abitare le grotte nei secoli.
Comune di Trieste
Orizzonti ipogei
Esperienze didattico-esplorative
nel mondo delle grotte
Con il patrocinio di:
Comune di Trieste
con la collaborazione di:
AcegasAps
Collegio delle Guide Speleologiche
Maestri di Speleologia
del Friuli Venezia Giulia
CRUT
Università di Trieste
Progetto di didattica ambientale
per l’anno scolastico 2012/2013
Grotta Bac (Trieste). Si parla di fauna ipogea e di speleobotanica
con il dott. Sergio Dolce.
10
Progetto di didattica ambientale
per l’anno scolastico 2012/2013
Federazione Speleologica
Regionale
del Friuli Venezia Giulia
Esperienze didattico-esplorative
nel mondo delle grotte
Il Progetto Speleo-didattico “Orizzonti ipogei” è
promosso e gestito dalla Scuola di Speleologia
“Ennio Gherlizza” del Club Alpinistico Triestino.
L’iniziativa è rivolta a tutti gli studenti delle scuole
dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado
del Comune di Trieste.
Orizzonti ipogei
Esperienze didattico-esplorative
nel mondo delle grotte
Orizzonti ipogei
Il Club Alpinistico Triestino, in occasione del suo
40° anno di didattica speleologica, ha avviato questo progetto di educazione ambientale, rivolto, in
particolare, al mondo della scuola con lo scopo
primario di accrescere la conoscenza del patrimonio ipogeo del Carso triestino.
Si invitano tutti gli insegnanti interessati a partecipare alle attività previste dal progetto, mediante
l'invio di una richiesta scritta all'indirizzo di posta
elettronica indicato.
CLUB ALPINISTICO
TRIESTINO
Gruppo Grotte
Prove di tecnica speleologica nella palestra della scuola.
La durata della manifestazione è legata al periodo
dell’anno scolastico 2012-2013.
In questo lasso di tempo, i ragazzi avranno la
possibilità di conoscere, attraverso lezioni teoriche
in classe ed escursioni speleologiche in grotta,
alcune delle discipline che fanno capo a quella
che comunemente viene definita “speleologia” e
“speleologia in cavità artificiali”.
Gli incontri si terranno presso gli istituti scolastici
del Comune di Trieste nelle singole classi oppure,
a discrezione della direzione, nelle aule magne
o in locali predisposti a tal fine (palestre, aule
didattiche, ecc.).
Le escursioni verranno effettuate nelle grotte o
negli ipogei artificiali della Provincia di Trieste che
risulteranno più consoni alla tipologia di intervento
che gli insegnanti, di volta in volta, riscontreranno
maggiormente adeguata o inerente al programma
scolastico trattato in classe (biologia, geologia,
archeologia, folklore, storia, ambiente, ecc.).
La durata delle lezioni in classe è stata stimata
in due ore.
La durata delle escursioni in grotta o in cavità
artificiale, per motivi logistici e organizzativi, non
potrà essere inferiore a due ore (escluso il viaggio
a/r per il luogo di appuntamento).
Ai partecipanti verrà fornito un caschetto speleologico completo di impianto di illuminazione.
Tra gli ipogei individuati per le visite: la grotta
Azzurra, la grotta dell'Acqua, la grotta Bac, la
grotta del monte Gurca e il complesso di gallerie
antiaeree "Kleine Berlin".
cronache ipogee
Coordinatori del progetto:
Sergio Dolce: [email protected]
Clarissa Brun: [email protected]
Maurizio Radacich: [email protected]
Lino Monaco: [email protected]
Franco Gherlizza: [email protected]
Le lezioni seguiranno l’ordine cronologico delle
richieste inoltrate al Club Alpinistico Triestino.
Verranno concordati degli incontri preliminari per
definire i tempi e i contenuti delle lezioni nonché
per scegliere assieme le grotte idonee alle escursioni, tenendo conto dell’età e della preparazione
degli alunni e degli accompagnatori.
Per le lezioni teoriche e pratiche, la Società organizzatrice si avvarrà, oltre del proprio corpo
docente speleologico, di relatori e accompagnatori
professionisti che appartengono al mondo accademico e culturale della Provincia di Trieste (Collegio
delle Guide Speleologiche del Friuli Venezia Giulia,
Servizio Musei Scientifici di Trieste, Università di
Trieste, Corpo Forestale Regionale, ecc.).
Alle scuole primarie di primo grado, verrà donato il DVD contenente la lezione speleo-didattica
“L'ultimo Continente”.
Alle scuole secondarie di primo grado verrà donato
il DVD "Ipogei naturali e artificiali della Grande
Guerra sul Carso".
Agli alunni delle prime classi delle scuole primarie
di primo grado verrà donata una copia del libretto
"Colorare il buio".
A tutti verrà donata una copia del poster “L’ultimo
Continente” e un attestato di partecipazione al
progetto "Orizzonti ipogei".
Nella Kleine Berlin con i ragazzi del Ricreatorio Ricceri (Trieste).
Per informazioni e prenotazioni:
Club Alpinistico Triestino - Gruppo Grotte
Via Raffaele Abro, 5/a - 34144 Trieste
cell. 348 5164550 - Telefono e fax: 040 3498239
e-mail: [email protected] - www.cat.ts.it
San Michele del Carso, 5/09/2012
Cari amici speleologi
Invito al festeggiamento per il 40° anniversario del Gruppo Speleologico Talpe
del Carso a San Michele del Carso. (Savogna d’Isonzo)
Il nostro gruppo quest’anno ha raggiunto i suoi 40 anni di attività e pertanto festeggia
l’avvenimento assieme a tutti gli amici speleologi e non, che in tutti questi anni ci sono stati vicini
e Vi invita a partecipare ai festeggiamenti che si svolgeranno sabato 13 ottobre 2012 alle ore 11
presso la baita della Regina del Carso.
Alle ore 11 ci sarà l’inaugurazione della bacheca esplicativa con i discorsi di rito per l’occasione.
Alle ore 13 offriremo il pranzo carsolino ai presenti con l’apporto di buona musica locale.
Sarebbe gradita una conferma della Vostra presenza.
Vi aspettiamo numerosi.
Il presidente GS Talpe del Carso
Edvard Gergolet
Lahko potrdite Vaš prihod na:
Si prega Vs. conferma:
GSM 3386178688 – 3358291389
fax 0481-710681
e-mail naslov – e-mail indirizzo
[email protected]
cronache ipogee
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cronache ipogee
Incontri con le Caverne
della Grande Guerra
(Sesta edizione)
Trieste, 24 e 28 ottobre 2012
con il patrocinio:
COMUNE
di Trieste
cronache ipogee
13
Il Club Alpinistico Triestino organizza
nelle giornate di mercoledì 23 e domenica 28 ottobre 2012, la sesta
edizione dell'iniziativa storico-didattica:
"Incontri con le Caverne
della Grande Guerra"
Programma:
Mercoledì 24 ottobre - ore 20.30
Sala "Ennio Gherlizza"
Gallerie antiaeree e bunker "Kleine Berlin"
Via Fabio Severo, Trieste.
Conferenza a cura di Pierpaolo Russian
Domenica 28 ottobre - ore 09.00
Posteggio superiore a Ceroglie dell'Hermada.
Escursione guidata alle grotte: del Motore,
dell'Hermada, Caverna del fuoco (SLO), Karl
e Zita. A cura di Maurizio Radacich
Le iscrizioni (quantificate in 20,00
euro), si ricevono presso la sede del
CAT (Via Abro, 5/a) nelle giornate di
martedì e giovedì dalle ore 21.00 alle
23.00 e comprendono, oltre allo svolgimento del programma, una copia della
guida "Kavernenbau - Itinerari speleoturistici della Grande Guerra in Friuli
Venezia Giulia” (libretto + 10 itinerari).
Per informazioni:
Maurizio Radacich: 339 2539712.
e-mail: [email protected].
14
È consigliato un abbigliamento
adatto all'escursionismo ipogeo.
cronache ipogee
SPEL EO L OGI E ANI M A LI
Si perdoni l’accostamento che potrebbe far aggrottare il sopracciglio; come
si vedrà, non c’è apparentamento tra
le due nobili specie.
Diversi speleologi, a posteriori, dopo
aver avuto degli “incontri ravvicinati”
con animali selvatici, mi hanno interpellato sulla questione sapendo della
mia conoscenza in materia.
Alcuni giorni fa ho ricevuto un mail
da uno speleologo, imbattutosi in
un capriolo (“magro”, scrive) ferito a
una zampa posteriore, visibilmente
debilitato poiché era accovacciato e
non tentava la fuga, che mi chiedeva
come avrebbe dovuto comportarsi.
Metà giugno un altro mi ha riferito,
sempre via mail, di esser stato quasi
a contatto con un caprioletto, immobile, nascosto nel fitto della boscaglia,
ponendomi uguale domanda. Mentre
i primi di gennaio un altro ancora mi
telefonò, a seguito del ritrovamento
di una carcassa integra di capriolo,
per informarsi se ci fosse stata una
particolare procedura da seguire.
Premetto che già dodici anni fa, sulla
“Gazzetta dello speleologo” (gennaio
2001), un articolo di Marco Meneghini
dava delucidazioni in proposito. Poiché
episodi di questo genere (nei casi citati, avvenuti sul Carso) evidentemente
hanno una certa frequenza, rispondo
a un più ampio pubblico d’interessati,
e nell’essenziale.
Il presente articolo, dunque, non è
propriamente di speleologia s.s. ma
l’argomento riguarda l’attività dello
speleologo molto più di quanto si creda, giacché - come si avrà modo di
leggere - l’interazione tra speleologi e
animali è in realtà parecchio più stretta
e frequente rispetto a quanto la nostra,
assai limitata, percezione sensoriale
(di poveri Homo sapiens regrediti da
millenni di civiltà) faccia apparire.
È chiaro che noi speleologi, considerevoli fruitori della natura nel tempo
libero, percorriamo aree dove la presenza di fauna selvatica può essere
elevata; anzi, la nostra attività ci porta
molto spesso nelle zone, al di fuori dei
circuiti “turistici”, proprio dove stanziano gli animali.
Venuta meno l’identità di quell’«alpinismo di esplorazione» in Europa che caratterizzò l’Ottocento dove,
avvalendosi perlopiù di guide locali
e di cacciatori di camosci, una colta
classe borghese scrisse la storia della
conoscenza alpina, e sopravvenuto
un escursionismo, o disimpegnato
trekking, che sempre più s’ingabbia
su sentieri forzatamente snaturati da
segnavia, manutenzioni, cartelli, bivacchi, gli uomini che ormai percorrono
i più appartati angoli della montagna
sono solitamente gli speleologi (limitatamente alle aree carsiche) e i
cacciatori. Giacché per i loro fini ciò
necessita.
Per la giurisprudenza italiana, appena
con le affermazioni di principio della
vecchia legge-quadro 968/77 (oggi
sostituita dalla L. 157/92) la fauna
selvatica non è più stata res nullius
(cioè di nessuno) bensì res comunitatis
(cioè della collettività) ovvero patrimonio indisponibile dello Stato.
Se ne può disporre (specie cacciabili,
non quelle espressamente vietate)
solo nei tempi, nei luoghi, e con i
mezzi stabiliti, da chi legittimamente
può sottrarla a questa destinazione
(in forza di licenza e concessione
governativa).
In altre parole, personale specifico della pubblica amministrazione (guardie
venatorie, etc.) o cacciatori abilitati; le
regioni, a loro volta, hanno emanato
leggi sulla materia aderenti alle singole
realtà territoriali, mentre le province
agiscono in conformità a deleghe e
prerogative nell’ambito delle competenze sull’ambiente (soprassediamo al
fatto che ormai, come in altri campi,
c’è un guazzabuglio di norme, talune
non in linea con il progresso della
scienza).
Si dovrebbe dare maggior credito e
ascolto all’ISPRA Istituto Superiore per
la Ricerca e la Protezione Ambientale,
che ha inglobato da qualche anno l’ex
Istituto Nazionale Fauna Selvatica, che
vanta dirigenti e ricercatori all’altezza,
ed è tra l’altro deputato proprio a
fornire consulenza alla pubblica amministrazione (con pareri non vincolanti,
giustamente per bilanciare possibili
tendenze… che talvolta sono emerse),
non invece, e troppo, alle categorie (chi
tira la manica di qua chi di là), specie
quelle degli esaltati “contro tutto”.
Ad ogni modo, basterebbe - secondo
me - una buona, moderna, scientificamente avanzata direttiva europea,
presa quasi in fotocopia dagli stati dell’area mitteleuropea, dove l’esperienza
cronache ipogee
in materia è ultra-consolidata, da convertirsi in toto, come legge, da tutte le
nazioni comunitarie. E chiusa lì.
Del resto… gli animali selvatici non
hanno confini, tanto meno rinnovano
il passaporto, e in Austria, Germania, Slovenia, Cechia etc., il meglio
è già stato tirato fuori: come norme,
regolamenti e gestione. Sarà però
impossibile: in Italia la giurisprudenza
che regola proprietà fondiaria e fauna
poggia su fondamenti diversi.
Se non si è “del mestiere” (questo è
normalmente il caso dello speleologo),
quando s’incontra un animale ferito, è
buona abitudine telefonare (se si può,
e semplificando) alle forze dell’ordine
(non siete tenuti a conoscere dei vari
distinguo: forestali, guardiacaccia, e
così via); loro sanno a chi poi dirottare
l’appello.
Non ci si accosti assolutamente, tanto meno si tocchi l’animale, si eviti
di parlare ad alta voce (zittirsi!) e ci
si allontani silenziosi: ogni ingerenza
potrebbe trasformarsi in un forte stress
a lui pericoloso, e se deve morire che
avvenga senza terrore.
Restando sul Carso, e sempre nel primo caso citato, potrebbe esserci stato,
ad esempio, un assalto da parte di un
predatore, come una volpe (fin qui va
bene, è la natura che fa il suo corso),
ma anche di un cane randagio o, peggio, rinselvatichito (ce n’è qualcuno, e
con la miopia delle leggi vigenti si fa
ben poco per abbatterli… per carità,
non ci si metta in testa che bisogna,
quel che costi, catturare “Fufi”!).
Anch’io - come molti di voi - amo i
cagnolini, però il randagismo canino è
anche uno dei veicoli principali della
rabbia, oltre essere pericoloso.
Esperienza personale: trent’anni fa,
sotto il Bernadia, in bosco alle 5.30
del mattino, un randagio stava per
azzannarmi e ho dovuto difendermi
(non si possono liquidare queste cose
con la battuta “poi diventava rabido
il cane!”), mentre dodici anni fa, alle
8.20 di sera ho assistito, nel binocolo,
all’aggressione di un randagio verso
una femmina di capriolo sulla tagliata
dell’oleodotto, tratto Visogliano-Slivia,
che non è stata presa per un pelo.
Per informazione, i rinselvatichiti (in
bande, poiché sono gregari e perciò
doppiamente pericolosi) nell’Appennino
centro-meridionale sono una piaga
15
(a volte, sembra di vivere su un altro
pianeta!), e quando sgozzano pecore
e capre, per l’allevatore, ovviamente,
è “sempre” colpa del lupo così da intascare il risarcimento statale (circa la
stessa impronta dentale e il personale
verificatore non si mette contro per il
quieto vivere).
Escluderei, poi, un atto di bracconaggio, poiché tali azioni sono quasi
sparite e sorgevano dalla povertà, però
qualche laccio vicino ai paesi ancora
si trova (parecchi anni fa io un paio
ne ho scovati, lungo piste nel folto): in
tal caso si avvisi subito le forze dell’ordine, che gli appostamenti qualcuno
poi li va fare, e per fortuna con la L.
152/92 alcune sanzioni penali sono
state recuperate.
Potrebbe essere un ferimento derivato
da un atto legittimo di caccia, ma è
raro, poiché la norma e l’etica impongono un comportamento molto virtuoso
(ferire è sempre un fatto penoso e
gravido di responsabilità morale), con
accurata ricerca del capo anche con
l’ausilio di un cane da traccia (sul
sangue) abilitato su prove di lavoro, e
poi uno dei principî, ferrei, è sparare
solo quando si è assolutamente certi
dell’esito.
Se poi chi di dovere (guardie venatorie
provinciali, etc.) reputa di intervenire
sulla chiamata dello speleologo, qualora il capo non venga soppresso (è
normale porgli fine!), l’eventuale cosiddetto “recupero”, nei centri operanti a
tal scopo, è qualcosa - voglio chiarire
- di aleatorio, giacché l’animale, anche
se guarisce, noi ha poi molte possibilità
di sopravvivere quando e se sarà liberato, cioè reintegrato nel suo ambiente
naturale, se invece rimarrà in cattività,
un ben misero destino lo attende (che
di solito la gente non capisce… dicono: guarda che begli occhi ha Bamby,
come lo curano, ha da mangiare, per
poi girare i tacchi e andarsi a prendere,
che so, il gelato).
Però soprattutto per accontentare gli
ambientalisti (ipocrisia dell’uomo politico), si fa anche questo, pur sapendo,
da parte del tecnico (faunistico, veterinario, etc.), il risultato (tanto paga lo
Stato, cioè “Pantalone”, e chi se ne
frega dell’animale).
Nel caso del mail che ho ricevuto, il
selvatico, definito “magro”, era probabilmente una “femmina sottile” o uno
“junior” (cioè animali di un anno di età),
poiché un adulto (forte ed esperto) ha
maggior scaltrezza e possibilità di fuga
in caso di attacco.
16
Passiamo al secondo caso, in cui ci
s’imbatte in un caprioletto (piccolo
di capriolo è il termine giusto; un
“cucciolo” è di moda dire da “quelli di
città”), e quello trovato in giugno era
proprio questo: poteva avere circa due
settimane.
Ebbene, direi che il comportamento
dello speleologo (e, ovvio, di qualsiasi
altro) debba allinearsi con le informazioni che annualmente (primi di giugno,
quando cominciano i parti) quasi tutti i
quotidiani diramano attraverso il solito
articoletto, che molti leggono se non
altro per curiosità: non toccare il cucciolo, non accarezzarlo, andare via.
Credo pochi sappiano che la femmina
di capriolo viene coperta a fine luglio
ma l’ovulo o gli ovuli fecondati dopo
poche moltiplicazioni iniziali attraversano una quiescenza di quattro mesi
e mezzo, arrestando ogni loro maturazione; appena verso metà dicembre
essi migrano dalle tube per annidarsi
nella mucosa uterina; segue poi il vero
sviluppo embrionale per cinque mesi,
e tutto ciò per condurre la gravidanza
e partorire ormai lontano dai rigori
invernali.
Le primipare partoriscono un piccolo,
le altre, se femmine sane, generalmente due e di sesso opposto. I nati, per
un mese rimangono riparati e sicuri nel
posto scelto per il parto, in un primo
tempo immobili e celati ai predatori
grazie alla Natura che ha fatto sì siano
quasi privi di odore, mentre la madre,
sempre nelle vicinanze, fa loro visita
per allattarli e controllarli diverse volte
al dì e per 20-40 minuti.
Può succedere che, accarezzandoli
(ripeto, sono immobili), l’odore lasciato
dalla mano dell’uomo sul loro mantello
terrorizzi la madre, o così impregnati
li senta estranei, tanto da rifiutarli,
destinandoli a morte certa.
Non è sicuro ciò avvenga proprio sempre, anche se la letteratura abbonda
nel riportare tale rifiuto. Certo è che
un contatto con l’uomo è innaturale
ed estremamente dannoso!
Non ci si abbandoni, quindi, a slanci
“caritatevoli”, più che altro per soddisfare il proprio piacere di “umanizzare”
il selvatico che si ha di fronte.
In natura, la faccenda è diversa. Io li
ho scorti diverse volte, certo, fanno
tenerezza solo guardarli, ma la madre
lì attorno (anche se invisibile a voi)
vi ha già nel suo naso (ha straordinari recettori olfattivi), o vi ha sentito
camminare: è in terribile apprensione
(azzardando uno psichismo animale
cronache ipogee
con parole “umane”) ed ha un grande
spavento. Andarsene via!
Nel terzo caso, invece, quando si trova
una carcassa, se apparentemente è
integra (e non già utilizzata da volpi,
cinghiali, corvidi), significa che la morte
è sopravvenuta da poco (massimo un
giorno, ma col caldo la decomposizione è già abbondantemente in atto
ed è assolutamente irrecuperabile),
poiché dopo una settimana, in natura,
di essa rimane ben poco (costatato di
persona).
Se integra, se pur impreparati all’obiettiva valutazione, qualora si reputi
valga la pena possa essere visionata
dall’esperto (il tecnico), avvisare le
forze dell’ordine (solitamente girano
l’informazione al direttore della riserva,
che provvede all’ispezione): con una
telefonata avete fatto il vostro dovere
e nessuno vi rimprovererà, anzi!
Va precisato che i servizi veterinari
locali sono interessati ad accertarsi
sullo stato della spoglia: magari si sta
monitorando una infezione riscontrata
nell’area, non scordiamo la rabbia,
etc.
Abbiamo analizzato tre casi, direi
ricorrenti. In generale, l’approccio
che lo speleologo deve avere con gli
animali che incontra deve essere di
grande rispetto.
Non si pretende ci sia empatia, come
deve essere (ed è) per chi li studia
o li caccia, in ambedue i casi - ve
lo assicuro - sempre strettamente
nei binari della conservazione e del
miglioramento qualitativo delle specie
selvatiche e del loro ambiente.
Si pretende però un serio e riflessivo,
maturo, comportamento, non scordandoci mai che siamo noi che andiamo
nel loro territorio, nel loro habitat,
all’interno della loro area vitale (home
range), non viceversa.
Di norma, lo speleologo, essendo
“chiassoso” avverte i selvatici della
propria presenza ben prima di entrare
nel raggio della loro “distanza di fuga”,
tanto che solitamente l’animale semplicemente si sposta per poi rientrare
nel proprio territorio quando tutto è
calmo, o la notte.
Ci sono però, sempre dalle nostre
parti, nella regione, specie maggiormente sensibili, come il cervo che se
disturbato nei suoi quartieri di riposo
può mettersi in marcia, per chilometri,
e spostarsi magari nell’altra valle, con
grande dispendio di energie che deve
poi recuperare.
Più deve recuperare peso, più tempo
è costretto dedicare al pascolamento
mentre meno attenzione è rivolta ai
pericoli dell’ambiente e meno opportunità ha nella competizione con i
cospecifici.
Quante volte a caccia di cervi, sui
Carpazi o nei Sudeti, li ho seguiti
nel binocolo (nei tratti sondabili) con
quale passo attraversano i territori
spostandosi (con dislivelli a noi, umani,
improponibili nei loro tempi) quando
rientrano all’alba dai luoghi di pastura
alle loro rimesse, anche sull’altro versante scavalcando la dorsale!
Poi ci sono, sulle nostre montagne,
animali che sono particolarmente confidenti (tecnicamente: molto “percettibili”), che però non vanno assecondati
in tale atteggiamento.
Bisogna sempre restare immobili, non
fare gesti strani, o parlare, e lasciarli
andar via (certo, la foto con movimenti
lenti e misurati si può fare: rimane uno
straordinario ricordo!).
Casi di “incontri ravvicinati” con stambecchi, per esempio sul Canin ove
hanno ormai colonizzato il massiccio,
sono di una certa frequenza.
Più di una volta li ho osservati col binocolo sul nostro Canin (“la montagna
degli speleologi”) mentre studiavo il
carsismo, e, se si va cercare, si trovano in rete foto di escursionisti che
mostrano tali “incontri” addirittura a
Sella Bila Pec, indubbiamente piuttosto
frequentata nelle giornate festive dai
rumorosi e colorati bipedi con zainetti
sempre più inutilmente tecnologici. Ungulati - gli stambecchi - che un tempo
stanziavano su tutte le nostre Alpi; vi
ricordate i resti scheletrici (una quindicina di esemplari) trovati venticinque
anni fa dal GTS all’Abisso Klondike
(che ebbe funzione di trappola) sulle
carniche?
Per quelli odierni si tratta di animali
reintrodotti, catturati (operazioni difficili
e costose e con un inevitabile tasso
di mortalità) in zone a parco (Italia,
Svizzera) assolutamente prive di predatori naturali da lunghissimo tempo,
animali che tra l’altro, da generazioni,
non hanno mai avuto alcun rapporto
“predatorio” da parte dell’uomo (solo,
e se, qualche abbattimento sanitario),
per cui la loro “confidenza” è, per così
dire, innaturale, come pure la loro troppo alta densità zonale raggiunta (che,
immancabilmente, porta a malattie).
Ben altro è l’approccio, per far capire,
con gli stambecchi o gli argali nelle
fredde e spoglie montagne della Mongolia o del Kazakistan.
Questi pagano un elevato tributo ai lupi
(chi va da quelle parti assiste frequentemente, durante le lunghe ricerche col
binocolo, agli attacchi dei lupi e trova
con facilità i crani disseminati delle
prede): se siete in vista o con l’aria
a sfavore (sopravvento), già a 500
metri, e più, vi localizzano e al minimo
sentore di pericolo fuggono!
Come sappiamo, dalla Rivoluzione
francese in poi, a seguito dell’esportazione delle idee liberali, caccia indiscriminata da una parte (eccetto che
nei territori della Mitteleuropa, anche
nell’Ottocento basata su criteri scientifici e conservativi) e annientamento
dei predatori per l’accoppiata “valligiani
Monte Canin, Sella Grubia. Stambecco sul retro del bivacco Marussich.
(Franco Gherlizza)
cronache ipogee
& zootecnia” dall’altra, hanno avuto
effetti devastanti.
Infatti, nella notte dal 4 al 5 agosto
1789, l’Assemblea costituente parigina
stabilì: “La selvaggina non appartiene
a nessuno; la caccia è diritto inerente
alla proprietà, si ha il diritto di far distruggere la selvaggina sui propri fondi
conformandosi alle leggi di polizia”.
Oggi è tutto cambiato. Oggi, lo stambecco è attorno ai 35.000 (in difetto)
capi sulle Alpi, in espansione, e si
caccia in tutte le nazioni che vi si
affacciano per equilibrare le popolazioni, naturalmente non in Italia (siamo
sempre speciali), con l’eccezione del
lungimirante Alto Adige (che ha sempre seguito il passo dell’avanzata e
rigorosa gestione faunistica austriaca)
dove annualmente si abbatte la giusta
quota di stambecchi.
Qui da noi i predatori sono relativamente pochi (data l’elevata urbanizzazione,
e i grandi carnivori sono molto sensibili
all’impatto antropico, anche su “maglie
larghe”).
Tuttavia, nelle alte valli del Natisone
e del Torre ci si è imbattuti nell’ormai
stanziale orso bruno.
A una cacciatrice, sola-soletta, sul
Gran Monte di fronte al Musi, tempo
fa in settembre verso le 8 di sera, un
maschio adulto di orso ha gironzolato attorno, a quaranta metri (anche
meno); ovvio non si può sparare (in
Italia, in questo caso giustamente) o
solo in extremis “in aria”, cioè verso
terra stando alla legge, per far fuggire
il plantigrado, che però ha un carattere
“imprevedibile” e “ombroso”. A quelle
distanze, se “decide”, con una corsetta
(sembra goffo invece è veloce) in una
manciata di secondi vi è addosso.
Lasciando in pace, poi, il povero orso
marsicano, che non fa testo (numericamente è lo stesso del 1930, e
la ragione c’è), il quale tuttora viene
ammazzato con bocconi avvelenati
dai pastori dell’Appennino centrale
(così come hanno agito sui lupi), e
ogni qualvolta sbrana una pecora c’è
una protesta, per dire, fin davanti Palazzo Madama, in Europa l’orso bruno
gode di ottima salute: sui Balcani, ad
esempio, nelle grandi foreste ne avete
attorno a voi decine (ho detto decine);
tempo fa, in una riserva da quelle parti,
durante una battuta quel giorno se ne
son contati cinquantasette!
Tutti hanno appreso dalla televisione
che Yoghi ruba il miele e il cestino
ai campeggiatori (mentre per i canoni dei cartoons non si accenna allo
17
sgozzamento degli animali perché è
sanguinario); in Trentino, dove l’orso
non si è mai estinto, tanto più oggi che
è stato rinsanguato e accresciuto da
immigrazioni da est, c’è una normale
convivenza con l’uomo.
Non scordiamo che l’orso caccia per
sopravvivenza mentre l’uomo (dopo la
domesticazione degli animali) non più,
cacciando invece per passione, istinto
e tradizione.
D’altronde, quando gli inverni sono
cruenti e gli orsi trovano nei boschi
più carogne di ungulati, l’attacco al
bestiame diminuisce. In una delle
ultime annate, nel Trentino leggo di
147 predazioni a capi di bestiame e
32 attacchi ad alveari: casi regolarmente accertati e risarciti ad istanza
di indennizzo accolta.
La convivenza con i grandi predatori
è solo questione di buona gestione
faunistica, oltre che civiltà dei popoli.
Ancora due parole sull’orso, che non
è quello dei cartoni animati (particolarmente diseducativa la falsa immagine
che si dà ai bambini!) ma un animale
pericoloso; nelle zone friulane ormai
rinselvatichite che ho citato - dove
ormai gira e ha “un futuro” - un minimo
di prudenza nei bivacchi in tendina ci
sta: non lasciar rifiuti alimentari che
di notte lo potrebbero attirare e attenzione alle nostre graziose speleologhe
durante la mestruazione giacché il
flusso sanguigno con il relativo odore
per lui è un attrattivo molto forte (non
si tratta di scemenze ma esperienze
statisticamente comprovate nelle aggressioni all’uomo).
Mentre la lince, giunta anche in Carnia, è talmente elusiva che quando
è stata “trappolata” fotograficamente
dopo innumerevoli tentativi (parliamo
di progetti che durano anni), ovvio di
notte, si può dire sia stato un vero
evento da “Nomination” all’Oscar (per
chi s’interessa a queste cose), con le
foto che son poi andate sulle riviste
specializzate.
Io, un paio d’anni fa ho avuto la fortuna
di vedere l’orma (inconfondibile) di una
grossa lince impressa ai margini molli
di una torbiera alta sulla larga dorsale
del Králický Sněžník, nel cuore dei
Sudeti, assieme a quelle di un branchetto di cervi in fuga (ma, poverina,
più di venti-trenta metri di corsa non
dispone, poi crolla; però, lassù, un
cervo giovane, o debilitato, ogni dieci
giorni se lo prende).
Per pura curiosità v’informo che in
Carnia è giunto pure il cane procione
18
(che ha un comportamento simile alla
volpe); specie originaria dell’Asia che,
introdotta in Russia, si è poi diffusa
stabilmente dalla Svezia alla Germania, e giù, fin da noi. Attenzione:
il cane procione (un canide) non va
confuso con Bubu (…ecco anche lui!),
cioè il procione o orsetto lavatore (un
procionide), in comune hanno solo una
mascherina facciale.
Un flash sul lupo (italico), cui ho accennato in precedenza in modo polemico, e continuo a farlo: si è salvato
non tanto per l’intervento dello Stato
quanto per l’esplosione demografica
sull’Appennino del cinghiale (cibo!);
ora, l’Appennino l’ha risalito e pare
(anzi, è certo) sia giunto in Francia…
ma i nostri cugini d’oltralpe sono
dubbiosi sul tenerselo (forse la loro
grandeur è solo di facciata).
Riagganciandomi agli effetti della
diffusione delle idee liberali (che inevitabilmente hanno portato con sé pure
distorsioni) e dell’espansione rurale,
la principale causa della progressiva
scomparsa degli ungulati, per restare
in Italia, è stata, dalla seconda metà
del Settecento, la capillare penetrazione dell’uomo nelle zone montane.
Con uno sfruttamento indiscriminato
delle risorse.
Salvo qualche blanda regola in alcuni
Stati preunitari, e ancor meno nell’Italia unita, quale deterrenza, la cattura
della fauna selvatica come forma di
sostentamento era una sorta di bracconaggio semilegalizzato, tanto che
dopo la Seconda Guerra Mondiale,
negli anni Cinquanta, le popolazioni di
cervi e caprioli erano quasi totalmente
distrutte.
Ora - per far capire - grazie a politiche
affidate a dinamiche naturali “guidate”,
conservazionistiche intelligenti, di controllo attraverso la caccia selettiva, la
situazione si è capovolta; per fare due
esempi su ambienti diversi: sul solo
tratto dell’Appennino tosco-emiliano
saremo sui 9000 cervi, mentre nella
fascia prealpina e alpina del TrentinoAlto Adige saremo attorno ai 20.000.
Popolazioni, che possono essere gestite solo con piani di abbattimento.
Un solo cenno al cinghiale, che ha
abitudini prevalentemente se non
esclusivamente crepuscolari-notturne,
per cui quando esce dalle lestre noi
speleologi solitamente siamo ancora
nel mondo dei sogni o altrimenti già in
trattoria; anche qui, può però capitare
di incontrarlo fortuitamente (magari in
una battuta di zona in cerca di grotte,
cronache ipogee
in silenzio, pian-pianino, in una giornata ventosa, mentre - che so - l’animale
è rintanato tra i cespugli sul fianco
riparato di una dolina).
Premesso che i cinghiali sono gregari
(branchi di maschi e altri di femmine
con prole, ma ci sono pure i vecchi
solitari, però prudentissimi), presa di
sorpresa una femmina con i piccoli
può benissimo attaccare a morsi (non
è infrequente), prima di fuggire: viaggio
in ospedale assicurato.
Il cinghiale, animale piuttosto erratico,
è ben presente sul nostro territorio,
specie quello collinare del Friuli, e,
un po’ meno sul Carso (dove ha poca
acqua e fango per il bagno negli insogli, comunque, solo nella provincia
di Trieste vi scorazzano parecchie
centinaia). Tanto per far capire: una
notte trovi il branco sull’Ermada, la
sera dopo lo stesso branco lo trovi
nella valle del Vipacco.
Nel verde infraurbano che s’incunea a
Trieste (vedi l’area del “Boschetto”) il
cinghiale si trova talmente bene, grazie
alla gente che dissennatamente gli
porta da mangiare, che ha proliferato
stabilendosi con una nutrita colonia.
Ovvio, pericolosa.
Poi, “siora Maria” si strappa i capelli
quando il personale provinciale, da appostamento, deve andare a contenere
la popolazione (con spese per il cittadino, cose lunghe, perché a un cinghiale
non si spara durante il giorno, quindi
straordinari e così via, poi l’animale
non viene quando vuoi tu, eccetera),
maledicendo e augurando… diciamo
“brutte malattie” a quei sanguinari (sic!)
che uccidono gli animali.
E i vetero-ambientalisti gli fanno eco,
proponendo catture con telenarcosi,
e così avanti, senza saper di che
parlano. Il maggior esperto italiano in
catture (ha lavorato in tutto il mondo)
non si è mai azzardato tirare a un
animale una siringa (pericolosissimo
per la bestia... a parte la necessità
di avvicinarsi a meno di venti metri,
come dire difficilissimo!) e il contenimento del selvatico è assai critico per
la delicata spina dorsale in posizioni
innaturali come pure lo stress i cui
effetti possono manifestarsi addirittura
dopo un mese dal rilascio!
Naturalmente, catture se ne fanno, ma
quando veramente serve e per scopi
scientifici di ripopolamento assai ben
programmati.
Tutti sanno (credo) che sul cinghiale
abbattuto è obbligatorio per legge
l’esame trichinoscopico (c’è pericolo
per l’uomo nel consumo della carne).
Pochi invece sanno che le nostre
popolazioni, negli ultimi anni (dovremo
convivere col problema in futuro), sono
anche a rischio di brucellosi, difficile da
debellare; un esempio: è da un secolo
che si riduce la densità dei bisonti
infetti nel parco di Yellowstone, ma,
nonostante gli sforzi profusi, il problema è tuttora presente, mentre per gli
allevamenti dei ranch confinanti c’è il
rischio costante, causa la trasmissione
del batterio, che questi perdano la
qualifica. Per fortuna la brucellosi è
una zoonosi poco patogena nell’uomo,
comunque: precauzione.
Accenno ancora al problema camoscio,
che non rappresenta per lo speleologo
una preoccupazione giacché ha una
“distanza di fuga” sempre elevata, dato
l’habitat aperto.
Attenzione però al rinvenimento di
carcasse! Da noi, nelle Alpi Orientali,
parecchie popolazioni di camosci sono
infestate dalla rogna sarcoptica (che,
sulle infiammazioni più estese, ha
esito mortale), e il contatto, anche con
l’adiacenza della carcassa (l’erba, etc.),
consente la trasmissione dell’acaro
che può portare a lesioni tipo papule
pruriginose, assai fastidiose, che però
si estinguono in pochi giorni (uno
però, per breve tempo diventa un po’
“rognoso”… non so se mi spiego).
Ovviamente, ciò succede specialmente
alle popolazioni selvatiche che sono
protette da un regime di parco (vecchia
e dannosa concezione, tipicamente
italiana!) per cui i camosci non essendo sottoposti a piani di abbattimento
(cioè caccia di selezione) raggiungono
una densità pericolosa per la stessa
specie, con falcidie ricorrenti ma soprattutto indiscriminate (pure il maschio
buon riproduttore o la femmina intenta
alle cure parentali).
Il tarvisiano (vasta area a riserva
naturale, in regime di protezione)
insegna, là i camosci sono colpiti
periodicamente da cheratocongiuntivite: se non superano il decorso della
malattia (2 settimane) rimangono ciechi
e muoiono.
Il contagio da cheratocongiuntivite
progredisce rapidamente, con velocità
media di 15 km/anno (3-4 volte più
della rogna), con mortalità 5-30%,
fortunatamente per l’uomo il rischio di
trasmissione è bassissimo.
Mi soffermo, infine, nel raccomandare
di non accostarsi assolutamente a
volpi, poiché tutti conoscono la pericolosa malattia che affligge questi
animali, cioè la rabbia (il virus viene
però trasmesso da morso o attraverso
le mucose).
La volpe è comune, può avere una
densità (Carso, vallate prealpine e
alpine) attorno ai 2-3 individui/km2
(attorno i paesi le volpi sono più frequenti specie se sussistono piccole
discariche dove trovano con facilità
succulenti “pantegane”… e così aumenta il pericolo!).
Tanto per l’informazione, l’epizoozia
rabica silvestre si diffuse come focolaio
alla fine della Seconda guerra mondiale a sud-ovest di Danzica, avanzando
verso occidente con un’onda di 25-40
km/anno.
Se si vede una spelacchiata (o
malmessa) e che non mostra paura
dell’uomo: stare alla larga, molto alla
larga, è quasi sicuro sia nella fase
acuta; ma questo lo sanno anche
ragazzi!
Attenzione: ci sono anche volpi rabide
spontaneamente non aggressive nello
stadio avanzato della malattia (sembra
perdano ogni nozione del pericolo).
Nella rabbia silvestre l’ospite di mantenimento in Europa è proprio la volpe
e, indipendentemente dalle campagne
di vaccinazione (esche vaccinali posate
nei boschi dai cacciatori e da personale delle pubbliche amministrazioni),
proprio le Alpi Orientali, con il Friuli,
e il sud-ovest della Slovenia, sono
colpite.
Comunque, la rabbia dilaga e si ritrae,
periodicamente, ed è arduo (forse impossibile) debellare quest’antropozoonosi del tutto, se non ridurla di molto
con sforzi organizzativi notevoli.
Rammento - anche se credo inutile
- come, dall’inizio dei danni al cervello, uomo o animale abbiano i giorni
contati (tralascio le strazianti sofferenze); pertanto, in caso di morso o
contatto (su un’abrasione, etc.) lavare
accuratamente la ferita con acqua e
sapone per un quarto d’ora e recarsi
immediatamente al pronto soccorso
dove i sanitari valuteranno che azioni
intraprendere (per la cronaca, ancor
oggi non esiste una vera cura).
Già che siamo in tema, ricordo ancora che il pipistrello (tra gli animali
considerati non terrestri) fa parte del
serbatoio della rabbia, e che esiste
il rischio di essere contaminati dalle
loro urine attraverso l’aerosol, specie
nelle caverne sature d’umidità da essi
frequentate (non si conoscono molti
casi, ma prenderla dai nostri amici chirotteri è da super-sfigati!). Nel mondo,
cronache ipogee
Grotta dei Pipistrelli.
(Sergio Vianello)
si stima che ogni dieci minuti muoia
una persona per rabbia.
In tanti anni, ho visto molti animali
malati, durante lo sventramento della
spoglia (parassiti, etc.), ma anche nel
binocolo (miasi nasale: addirittura tossivano con rantoli; nematodi parassiti:
con vistose perdite diarroiche sullo
specchio anale, eccetera), e, in quel
caso, se avevo in spalla la carabina,
se la legge, il regolamento e il piano
di gestione me lo permettevano, e
infine se la mia valutazione obiettiva
e il conseguente giudizio erano “sì”
per il prelievo, esercitando il diritto e
rispettoso dell’etica tramandata, ho
fatto il mio dovere.
Concludo, con “la predica” (…sopportatemi, dato che costa poco).
Noi speleologi dobbiamo essere consci
di come durante la nostra attività, all’esterno, sui carsi, invadiamo continuamente i territori degli animali selvatici,
senza accorgersene, poiché raramente
percepiamo la loro presenza (ma, vi
assicuro, ci sono eccome).
Talvolta - casualmente, in favore di
vento, etc. - li incrociamo, a volte
ancora ci imbattiamo in capi feriti o
morti.
Nel caso di soggetti vivi, è nostro
dovere adattarci alle loro esigenze,
essendo l’etologia delle singole specie
qualcosa di ben preciso (e delicato) e
la nostra pur involontaria intromissione
nella loro sfera è assolutamente da
evitare, agendo perciò cum grano salis
cioè senza esternare quegli atteggiamenti o abbandonarsi a quei desideri
che sono prettamente “umani”, ma
totalmente estranei a loro.
È una questione di rispetto, di cultura,
di maturità, tanto più da parte di noi
speleologi che dovremmo essere - ma
siamo - tra i maggiori paladini dell’ambiente, rinunciando però a quelle
manifestazioni esasperate, irrazionali,
e non basate sulla dottrina scientifica,
che ci distinguono nettamente dal pessimo ambientalismo di maniera, ormai
ideologia assurta a religione laica, a
volte fanatismo deteriore.
Rino Semeraro
19
ASCA - Associazione delle Sezioni Montane del Club Alpino Italiano
"Leggimontagna 2012"
Premio letterario - 10a edizione
VINCITORE DELLA 10a EDIZIONE
SEZIONE NARRATIVA
1° classificato: MANGART
di Andrea Gennari Daneri
350 pagine da leggere tutte d'un
fiato, un romanzo cinico, ironico, di
grandissimo ritmo, che si svela solo
all'ultima pagina.
È la storia di Flavio Ferrari, alpinista
di punta, che si trova, suo malgrado,
coinvolto in una resa dei conti legata
alla vecchia guerra di Bosnia.
Il tutto accade sotto il Mangart, montagna simbolo per friulani e sloveni, in
un inverno dal meteo inclemente.
La Giuria del Premio Leggimontagna
ha dichiarato che Gennari Daneri,
storico fondatore e direttore di PARETI, rivista leader dell'alpinismo e
dell'arrampicata italiani, "ha inaugurato
un modo nuovissimo di scrivere di
montagna, dimostrando che si può attanagliare l'attenzione dei lettori senza
per forza descrivere una linea di salita
attraverso una parete".
Il premio rispecchia fedelmente i
dati di vendita dei primi mesi dalla
pubblicazione, che dimostrano che il
passaparola tra gli entusiasti lettori si
tramuta rapidamente in vendite.
L'autore, attualmente impegnato nella
promozione dell'opera, è disponibile
a inserire nuove date nel calendario
delle presentazioni di Mangart.
Per informazioni, acquisti e richieste
di contatto con l'autore si prega di
contattare la segreteria di redazione:
[email protected] o il numero 0521
647136 o visitate www.pareti.it
VINCITORE DELLA 10a EDIZIONE
SEZIONE GUIDE
2° classificato: Ciceria e Monte
Maggiore di Ettore Tomasi
questo forse più interessanti.
Dopo le sue due ultime fatiche,
dedicate al Nanos e alla Selva di
Tarnova, esce ora Ciceria e Monte
Maggiore,una guida corposa contenente itinerari e peculiarità dell’ ‘Istria
bianca’, la successione di alture che
dal versante sinistro della Val Rosandra, attraverso l'altipiano dei 'Cici',
porta ai 1401 metri dell'Učka, o Monte
Maggiore, tetto dell'Istria, e al mare
di Abbazia.
Il plot è identico a quello - esemplare
- delle opere precedenti: descrizioni
accattivanti e chiare, cartografia essenziale ma precisa, inquadramento
del percorso nel genius di luoghi oggetto di un'antropizzazione capillare e
vivace, al di fuori dei principali assi di
comunicazione, su cui la grande storia
si è riverberata appena, ma che risulta
comunque interessante per i risvolti
etnici (con la piccola minoranza degli
istroromeni, o appunto 'Cici').
Questo territorio relativamente ristretto
è diviso tra Italia, Slovenia e Croazia;
Paesi, questi ultimi due, tra cui esiste
ancora un confine, destinato a sparire
presto. Una cinquantina gli itinerari
illustrati, dieci i versanti d'accesso ed
altrettante le traversate, 40 le mappe
dei percorsi, 30 i disegni e ben 750
le foto a corredo.
L'area è suggestiva, pressoché intatta
dal punto di vista ambientale, poco
frequentata e spesso avara di segnalazioni (talché su alcuni percorsi la guida
è un corredo più che utile). Davanti al
gitante si spalanca così uno scrigno di
scoperte escursionistico-naturalistiche
che prima del lavoro di Tomasi (eccezion fatta per l’area triestina) non
erano state descritte e mappate in
maniera compiuta.
È la seconda volta che un titolo della
collana di Transalpina Editrice si aggiudica questo importante riconoscimento
già assegnato all'opera Monte Nanos
nella 6a Edizione.
Da più di cinquant'anni Ettore Tomasi, alpinista, naturalista e consulente
editoriale, svolge una preziosa opera
di divulgazione che interessa il Caput
Adrie nelle sue zone meno note, e per
20
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Buona lettura e, grazie.
La Redazione
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Giornata pugliese di studi sul carsismo e la speleologia "Spelaion 2012"
4 novembre 2012.
Dal primo al 4 novembre, a San Marco in Lamis, ci sarà il raduno annuale
nazionale e internazionale di speleologia della SSI, che si fonde con il tradizionale raduno annuale pugliese "Spelaion" prendendone in prestito, per questa
occasione, il nome: "Spelaion 2012 - La fine del mondo".
Nel nutrito programma di attività, che comprende presentazioni ed escursioni,
oltre ai consueti stand commerciali e gastronomici, trova posto anche una
"giornata di studi" a disposizione dei Gruppi, degli studiosi e degli speleologi
per la presentazione di studi e relazioni.
Questo evento è collocato nella giornata di domenica 4 novembre, con una
sessione mattutina (9-13) e una pomeridiana (14,30 - 16,30).
Iscrivetevi, manca poco...
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