cronache ipogee pagine di informazione speleologica per il Friuli Venezia Giulia - n. 9/2012 UnA grottA-sorgiva scopertA IN VAL RAccOLANA (FRIULI) Per il mondo della speleologia regionale c’è una importante notizia: alcuni esploratori della Società Adriatica di Speleologia hanno scoperto una nuova sorgiva carsica sul monte Sart, nella val Raccolana. Una grotta di grande dimensioni con acque interne, sviluppi e articolazioni tutte da scoprire. A compiere l’importante scoperta gli speleologi triestini Lorenzo Slama e Rocco Romano. Già da qualche anno gli esploratori della Adriatica avevano iniziato a effettuare dei sopralluoghi alla ricerca di nuove cavità nella zona montana del Bila Pec, sul massiccio del Canin. In base alle segnalazioni di un cacciatore della località di Tamaroz, i due speleologi si erano messi a perlustrare il versante settentrionale del monteSart per rintracciare lo speco. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, assieme al cacciatore Slama e Romano hanno finalmente individuato la sorgiva. Avventuratisi lungo un impervio canalone in una giornata caratterizzata da una temperatura superiore ai 30 gradi, la percezione di una gelida corrente d’aria annunciava la scoperta. «Dopo una ventina di metri - raccontano i due - tra massi instabili, un portale di 8 metri per 6 d’altezza ci ha permesso di entrare in una grotta sinora inviolata». L’esplorazione però si è conclusa dopo qualche minuto per mancanza di batterie a supporto dell’illuminazione. La settimana successiva, assieme a altri soci, Slama e Romano hanno ripreso l’indagine nella singolare grotta caratterizzata da condotte formate dall’acqua, da caverne e meandri, da un torrente sotterraneo con tanto di laghi e cascate. L’esplorazione è stata effettuata per oltre 700 metri grazie alla siccità estiva che limitava la presenza delle acque. Le ultime piogge hanno però innalzato il livello delle acque di un lago lungo 18 metri che si trova a qualche centinaio di metri dall’ingresso dell’ipogeo. «Ora è davvero difficile immergersi nell’acqua gelida sino al collo - spiega Marco Restaino, responsabile della sezione scavi “Walter Maucci” - per poi raggiungere le zone asciutte da cui proseguire le ricerche. Perciò, proprio in queste ore, stiamo disostruendo un vicino cunicolo che fungerà da by pass per aggirare il lago. Inoltre questo passaggio ci consentirà di avere a disposizione una via di fuga libera e sicura in caso di piene improvvise, frequenti in questo tipo di grotta». cronache ipogee Secondo gli esperti dell'Adriatica di Speleologia l’«Acquarolo» situato a circa 800 metri di quota sul versante settentrionale del Sart rappresenta una grotta viva, geologicamente in continua evoluzione, che sarà oggetto di una vera e propria campagna di studi idrologici e geochimici. «Sopra la quota raggiunta - sostiene Restaino - c’è un potenziale da esplorare di oltre mille metri e forse più, come ci fa intuire la forte corrente d’aria persistente». Non mancheranno sicuramente le spese per poter intraprendere una tale impresa; per questa ragione si sta già predisponendo un protocollo di ricerca che verrà redatto con l’Università degli Studi per ottimizzare la campagna di studi che verrà avviata a breve. Maurizio Lozei (tratto da "Il Piccolo" dd.28.09.2012) ABISSO DI VIGANT: settembre 2012... ABISSO DI VIGANT: UN DEGRADO ANNUNCIATO Nel numero passato, quello di agosto, scrivevamo del degrado in cui si trova la struttura che porta all’ingresso della grotta Pre Oreak ma il caso non è assolutamente isolato. L’escursionista che visita queste valli può imbattersi anche in altri esempi di abbandono. Immediatamente sopra questa cavità, ad un centinaio di metri di altezza, troviamo il paese di Vigant ai cui piedi si apre il famoso ed omonimo abisso. Alcuni anni fa l’ingresso; maestoso (alto più di 10 metri) e dall’aspetto selvaggio poteva fare bella mostra di se e gli escursionisti facevano a gara per fotografarlo. Addirittura le foto dell’ingresso comparivano sui libri come esempio di inghiottitoio carsico. Attualmente la costruzione di un ponte proprio di fronte al bell’ingresso ed un sentiero che arriva all’interno della galleria iniziale fino al primo pozzo, ne hanno snaturato la natura selvaggia che rendeva questa cavità estremamente affascinante e unica. Non basta, visto che al peggio non c’è mai fine, da qualche tempo lateralmente all’ingresso è stata collocata anche una statua della Madonna con tanto di cancello e teca in vetro. Ora, a parte che se proprio si voleva fare un percorso turistico, si poteva costruire il ponte molto più a monte cosi da rendere libera la visione del maestoso antro ma non è tanto questo il punto, bensì il fatto che qualsiasi opera senza manutenzione prima o poi subisce il degrado del tempo. Il sentiero che conduce all’interno della grotta che era illuminato da una serie di lampade che si accendevano al passaggio dell’escursionista, da molto tempo questa illuminazione non funziona più rendendo il sentiero del tutto inutile, la balaustra in legno in alcuni punti ha ceduto alle intemperie e può essere pericolosa, il legno all’interno della grotta è già ricoperto da un leggero velo di licheni segno inequivocabile di un prossimo degrado. Se non si pone subito riparo cosa ci rimane? cronache ipogee Rimane solo la distruzione di un ambiente naturale. Non basta, quella statua della Madonna “che c’azzecca” direbbe qualcuno, effettivamente è una scelta che si poteva evitare, oltretutto non si riesce a capire la presenza del cancello con tanto di lucchetto e punte sull’inferriata; non si capisce bene se siano state messe per impedire a qualcuno di avvicinarsi troppo o per impedire alla Madonna di scappare. Credo, infatti, che quella statua abbia sentito una quantità infinita di imprecazioni da parte degli speleologi transitati di là dopo la fatica di un esplorazione e aver risalito tutti i pozzi dell’abisso. Credo infine che, anche se le risorse naturali presenti sul territorio siano, giustamente, sfruttabili turisticamente da chi risiede sul territorio, le bellezze naturali, però sono, e devono essere, anche patrimonio comune di tutti noi e come tale deve essere difeso da impropri interventi che ne deturpino l’aspetto. A tale proposito ci dovrebbe essere un’apposita normativa sull’impatto ambientale che dovrebbe essere rispettata anche in questo caso. O no!!! Maurizio Tavagnutti PRESENTATO ANCHE A GORIZIA "MULI DE GROTA" Venerdì 7 settembre alle ore 18.00 a Gorizia, presso la sala conferenze dei Musei Provinciali di Borgo Castello, a cura della Federazione Speleologica Isontina e con il patrocinio della Provincia di Gorizia si è svolta la presentazione del libro “Muli de grota” di Franco Gherlizza. Un libro che raccoglie, in un simpatico susseguirsi di storie e racconti e aneddoti, lo spirito che animava gli speleologi triestini a cavallo tra gli anni sessanta-ottanta. Una storia lunga molti decenni, che come ha ricordato Maurizio Tavagnutti nel presentare l’autore, è stata vissuta anche dalla speleologia goriziana che all’epoca prendeva Trieste come modello della propria attività. Il libro racconta la storia della speleologia triestina attraverso la visuale di un ragazzo (l’autore), che ha vissuto in prima persona le vicende e la storia della sezione speleologica del Club Alpinistico Triestino, i principali protagonisti sono ormai diventati “muli de una volta” come li chiama lui; sono i soci ed ex soci di uno degli storici sodalizi speleologici di Trieste. Si può dire che Franco Gherlizza è stato ed lo è ancora oggi uno dei principali protagonisti della speleologia triestina, soprattutto è un amico disponibile all’avventura non importa quanto difficile o complicata sia. La presentazione del libro, di fronte ad un pubblico attento, è stata introdotta da Ferdinando Zimolo, presidente della Federazione Speleologica Isontina, seguito dai saluti riportati dall’assessore provinciale allo sport, signora Sara Vito, e come ricordato da Maurizio Tavagnutti che ha illustrato la figura dell’autore. Ha fatto seguito un breve filmato improntato sulla falsariga goliardica del libro. ATTIVITÀ DIDATTICA DEL GRUPPO SPELEOLOGICO PRADIS Continuano in questi ultimi mesi le iniziative del Gruppo Speleologico Pradis per divulgare sul territorio la speleologia e il fenomeno carsico. Una uscita didattica è stata fatta nel fortino di guerra “Opera 1 di Priola”. Ai partecipanti è stato spiegato lo scopo per cui queste opere sono state costruite (anni 1940-1942), gli armamenti di cui erano dotati e il personale impiegato per renderla funzionale. Uscita molto interessante e apprezzata dai partecipanti. Un gruppo di 15 giovani del Grest, organizzato dal comune di Anduins, è stato accompagnato nella “Grotta delle Aganes”. Ai ragazzi della vallata, è stata presentata la figura della “Agane” che, secondo la tradizione popolare, erano delle figure leggendarie. È stata raccontata loro la leggenda delle Agane e la nascita del “Rio Barquiet”. Una seconda iniziativa è stata proposta nelle scuole primarie di Castions di Zoppola. In questo caso abbiamo mostrato, a diversi gruppi di ragazzi, il materiale speleologico ed è stato spiegato l’uso e lo sviluppo che questi materiali hanno avuto nel tempo. Si è poi proseguito con i centri estivi di Pinzano in cui abbiamo portato 44 ragazzi nella grotta didattica di “Battei”. Agli entusiasti partecipanti sono state date spiegazioni sul fenomeno carsico e sulla sua salvaguardia. Il 14 agosto, in collaborazione con il Comune di Clauzetto, abbiamo accompagnato oltre un centinaio di visitatori delle grotte turistiche di Pradis, in una serie di visite guidate notturne nella Forra del Torrente Cosa. Ai partecipanti, dopo una panoramica descrittiva della zona, è stato spiegato il fenomeno carsico, la formazione della Forra e gli studi che stiamo facendo. Visto i consensi ottenuti, la manifestazione è senz’altro da ripetersi. Il 15 agosto, sempre nelle grotte di Pradis, è stata allestita una mostra di carattere speleologico con pannelli fotografici ed è stata fornita dimostrazione e prova tecnica di progressione su sola corda. Le persone più entusiaste sono state senz’altro i bambini, alcuni di 4-5 anni, che hanno provato la risalita in corda. Anche questa iniziativa, visto il successo ottenuto, è senz’altro da ripetersi. Gabriele Concina Gorizia, Borgo Castello. Maurizio Tavagnutti, Franco Gherlizza, Ferdinando Zimolo, Sara Vito. Gorizia, Borgo Castello. Il pubblico presente in sala per la presentazione del libro. "SPELEOLOGIA ISONTINA" Annuario del 2011 È uscito, alla fine di settembre, "Speleologia Isontina" - annuario ufficiale della Federazione Speleologica Isontina - Anno III, n.° 3 (XIX anno n. 22). La rivista è composta da 40 pagine arricchite dalla notevole mole di attività prodotta dai gruppi aderenti. Ferdinando Zimolo Gruppo Speleologico Pradis. Prove di risalita su corda con i più piccoli. speleologia isontina ANNUARIO UFFICIALE DELLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA ANNO III - n.° 3 (XIX ANNO N.° 22) FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA - via Ascoli, 7 - 34170 GORIZIA CENTRO RICERCHE CARSICHE “C. SEPPENHOFER” - via Ascoli, 7 - 34170 GORIZIA GRUPPO SPELEOLOGICO CARSICO - via Bosco Cappuccio, 6 - 34078 SAN MARTINO DEL CARSO (GO) GRUPPO SPELEOLOGICO “TALPE DEL CARSO” - via del Lago, 17 - 34070 DOBERDO’ DEL LAGO (GO) GRUPPO SPELEOLOGICO MONFALCONESE “G. SPANGAR” - C.A.I. Monfalcone - via Marco Polo, 7 - C.P.204 - 34074 MONFALCONE (GO) GRUPPO SPELEOLOGICO “FLONDAR” - Villaggio del Pescatore, 102 - DUINO AURISINA (TS) GRUPPO SPELEOLOGICO MONFALCONESE “AMICI DEL FANTE” - via Valentinis, 134 - 34074 MONFALCONE (GO) GRUPPO SPELEO “L.V. BERTARELLI” - C.A.I. Gorizia - via Rossini, 13 - 34170 GORIZIA MUSEO CARSICO, GEOLOGICO E PALEONTOLOGICO - via Valentinis, 86 - 34074 MONFALCONE (GO) SOCIETA’ DI STUDI CARSICI “A.F. LINDNER” - via F.lli Cervi, 9G - 34077 RONCHI DEI LEGIONARI (GO) SPELEO CLUB MONFALCONE - via Palladio, 8 - 34074 MONFALCONE (GO EDITO DALLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA REDAZIONE: Colus Andrea, Gergolet Edvard, Tavagnutti Maurizio, Zimolo Ferdinando. Gruppo Speleologico Pradis. Visita guidata alla Grotta delle Agane. Gruppo Speleologico Pradis. Didattica speleologica nelle scuole. cronache ipogee IL CLUB ALPINISTICO TRIESTINO COLLOCA ALTRE TARGHETTE SULLE GROTTE DEL MONTE CANIN Ernesto Giurgevich posiziona la targhetta all'esterno di una grotta in Sella Grubia (Canin). (Franco Gherlizza) La targa posta all'ingresso dell'abisso (ponor) che ricorda la figura di Vinicio Potleca. Approfittando di una tregua del maltempo che, nella prima settimana di settembre ha risparmiato gli speleologi che volevano terminare alcuni lavori prima della chiusura della funivia del Canin, il Club Alpinistico Triestino ha organizzato un breve campo, con base al bivacco "Elio Marussich" per posizionare ancora qualche targhetta identificativa all'esterno di alcune grotte nella zona del Pic di Grubia. Sabato 1 settembre: è stato possibile collocare quattro targhette nei dintorni del bivacco sulle rocce ancora bagnate dal violento temporale che si era abbattuto sulla zona. Operazione sospesa verso le sei di sera quando una forte pioggia si è nuovamente abbattuta sulle Alpi Giulie. Domenica 2 settembre: un timido raggio di sole ha gratificato gli speleologi asciugando temporaneamente rocce e indumenti. Si è approfittato subito per posizionare altre due targhette e documentare tutto il lavoro svolto come da indicazioni del Catasto Regionale delle Grotte. Subito dopo l'ora di pranzo, però il maltempo si è nuovamente manifestato sull'altopiano e si è resa necessaria (e opportuna) una fuga veloce al sottostante rifugio Gilberti e alla stazione di funivia, riuscendo a prendere, appena in tempo, l'ultima corsa. Ernesto Giurgevich Dal 21 al 28 luglio 2013 si svolgerà a Brno (Repubblica Ceca) il XVI Congresso Internazionale di Speleologia. Ultima data utile per l'invio degli abstract: 1 novembre 2012. Maggiori informazioni nel sito: www.speleo2013.com cronache ipogee 25 anni del SPELEOLOŠKO DRUŠTVO Buje L’Elogio della Città di Buje è andato alla Società Speleologica «Buie» per 25 anni di successi e di lavoro continuato nell’ambito della speleologia. La Società Speleologica «Buie» è stata fondata nel 1987 e quest’anno festeggia i suoi 25 anni di lavoro continuato nell’ambito della speleologia. La società vanta tra i suoi membri personale abilitato al salvataggio delle persone e delle cose, si occupa della formazione dei più giovani, ponendo l’accento sulla tutela delle grotte. La manifestazione si è svolta nella sala della Comunità degli Italiani, a Buje, ed è stata una vera festa popolare. Numerosi gli speleologi intervenuti dal territorio croato ai quali si sono affiancate le associazioni di volontariato e di protezione civile della zona. Presenti, inoltre, alcuni italiani amici dei colleghi buiesi e, a livello di gruppi, una rappresentanza del Gruppo Grotte Club Alpinistico Triestino. Dopo la presentazione del presidente, Paride Pernić, si sono susseguiti diversi interventi che hanno ripercorso la storia del gruppo dal 1987 a oggi. Tutti, indistintamente, hanno ricordato la figura di Vinicio Potleca, figura di spicco del gruppo quasi dalla sua fondazione e scomparso prematuramente 19 anni fa. Per l'occasione è stato distribuito ai presenti un libretto con articoli in croato e in italiano (uno è anche in dialetto istriano), che racconta, nelle 26 pagine che lo compongono, storie e aneddoti che hanno visto come protagonisti gli speleologi del gruppo. Come nelle migliori tradizioni speleologiche alla fine della manifestazione si è tenuto un ricco banchetto, generosamente annaffiato dagli ottimi vini istriani. Franco Gherlizza Giovani grottisti di Buje negli anni '70. ottobre 2012... PRE-SPEDIZIONE SPELEOLOGICA A VRGORAC (CROAZIA) Panoramica del territorio di Vrgorac (Croazia). Il castelliere dell'epoca del Bronzo. Overflow polje. Ingresso nella Betina Gigantea. L'impossibile di Otrići- Seoci. Gla grotta vicino al cimitero. Nelle giornate dal 7 al 10 ottobre, il Gruppo Grotte del Club Alpinistico Triestino organizza una pre-spedizione nei territori carsici di Vrgorac (Croazia) in previsione di tenere un campo speleo-scientifico di due settimane nel 2013. Per far comprendere al meglio la potenzialità e gli obiettivi che ci siamo prefissati passo la parola a Erika e Marko che hanno recentemente effettuato una ricognizione per prendere i primi contatti con la popolazione e gli speleologi del luogo. Da Rijeka (Fiume) a Vrgorac sono cinque ore spaccate lungo l'autostrada croata che, da una parte, velocizza e semplifica il viaggio ma dall'altra taglia e nasconde luoghi e paesaggi splendidi che oramai ricordiamo con fatica. Lasciamo l'attrezzatura nell'Hotel Prvan a Vrgorac, una cittadina piccola ma viva e brulicante (sopratutto di moto sportive). Il pomeriggio procede in una passeggiata orientativa attorno e attraverso la zona di Kokorići. Il carsismo si sviluppa a Kokorići tramite fenomeni di polje e precisamente overflow polje: distese relativamente piatte e fertili (flisch) con uno strato di sedimento sulla superfice che risulta periodicamente allagata (appunto overflow) perché inserita in un sistema di risorgive ed estavelle. Questo tipo di geomorfologia è molto importante per individuare paesaggi di epoche antiche dato che è ideoneo all'agricoltura (insediamento). Non a caso, passeggiando attraverso il villaggio di Pervani si notano un castelliere dell'età del Bronzo (individuato ma non studiato) e un insediamento (allevamento e agricoltura) di epoca medioevale costruito interamente con tecnica di murature a secco inserite in un complesso sottoroccia. Grotte individuate: 2. La sera incontriamo il signor Zvonimir Pervan, il proprietario dell'Hotel che narra delle esplorazioni speleologiche, speleosubacquee, geografiche e archeologiche operate sul territorio; saltuarie ed effimere. cronache ipogee Ci sembra un uomo appassionato, dedito e di parola e subito si instaura un buon rapporto. Il giorno seguente ci accompagna in macchina di persona. Facciamo il "giro largo" restando sempre nell'arco di circa 10 km da Vrgorac. Ogni tanto ci fermiamo, facciamo qualche foto e prendiamo le posizioni topografiche. Grotte individuate: 6. Nel caldissimo pomeriggio rimaniamo da soli e ci inoltriamo nuovamente nella zona di Kokorići per cercare un insieme di grotte tra l'altro segnate sulla carta e esplorate solo in parte. Individuiamo la cosidetta Mala Betina (Piccola Betina), subito vicino al sentiero che porta al posticino detto Crip. Veniamo fermati da un contadino che con molto entusiasmo ci offre generosamente il suo aiuto. Si tratta di un presunto sistema sotterraneo di grotte profonde in media da 50 a 80 metri dopo i quali affiora l'acqua della risorgiva. Nella cosidetta Betina Gigantea sono state effettuate esplorazioni dove gli speleosub di Spalato si sono spinti fino a un certo punto ma poi tornati indietro a causa della pessima visibilità. Grotte individuate: 3 + 2 cavità artificiali e un riparo. La mattina del nostro ultimo giorno a Vrgorac incontriamo il signor Borislav Dominiković, sindaco del paesetto a circa 7 km di distanza, precisamente Otrići- Seoci. Dimostra vivo interesse; facciamo un giro in macchina e ci fa vedere altre due grotte inesplorate. La prima è una sorta di "Impossibile" triestina, ma questa purtroppo cementata dalla superstrada. Il sindaco conserva fotografie e disegni della grotta cementata e ci fa anche vedere l'accesso artificialmente scavato durante un saggio che secondo i suoi calcoli dovrebbe essere non più di 25 metri dalla grotta. Egli individua lo stesso buco anche dall'interno della grotta (molto concrezionata) da lui fotografata e visitata ma ora non più accessibile. La seconda grotta è situata nel paese di Otrići, vicino a un cimitero e secondo le parole di Dominiković l'accesso è molto stretto all'inizio e stando alle sue parole a un certo punto si sente rumore d'acqua. Paklina, cava di bitume. Il bitume che esce naturalmente dalle pareti. I pippistrelli si sono impossessati della cava. Muro perimetrale e particolare dell'ingresso dell'Inghiottitoio di Jasen. Tutte le fotografie sono di Marko Cesarec. Egli aveva assistito all'esplorazione di un giovane calatosi con la corda ma senza atrezzatura nè luci adeguate, motivo per cui tornò in superficie dopo esser arrivato a un punto dove proseguiva in verticale. Una volta tornati in Hotel, ci aspetta il giornalista Ante Primorac di quotidiani noti in Croazia (Jutarnji List e Slobodna Dalmacija) che ci intervista. L'ultima tappa è quella della cava di Paklina, una delle cave di bitume più antiche della Croazia (stando alle fonti scritte: attiva dal 1753 ma con una ottima probabilità anche in epoche più antiche. Si tratta di una cava di bitume naturale (pissasphaltus) abbandonata; sfruttata con lo scavo in profondità (max 50 m) fino al 1961, dopo il quale si procedette nello scavo in orizzontale. Si è osservato che dopo periodiche interruzioni i settori scavati si riempivano nuovamente, velocemente e naturalmente di bitume. Esiste un rilievo del 1945 (1:1000) custodito nell'archivio dell'Istituto di geologia di Belgrado (Serbia). Il signor Pervan sostiene di averlo cercato per molto tempo ma di non esser riuscito a recuperarlo. Ci accompagna gentilmente il signor Lorenzo Šoljak dato chè non ci sono indicazioni concrete e nonostante qualche cartello è davvero difficile orientarsi. Grotte individuate: 2 + una cava (cavità artificiale). Dopo questa bella esperienza e tante scoperte inaspettate salutiamo Vrgorac e partiamo per Rijeka. Nei giorni seguenti faccio una ricerca riguardante i permessi e parlo con alcune persone del settore. Riesco a a contattare l'alpinista croato Stipe Božić, nato a 10 km da Vrgorac che mi mette in contatto con Tonči Rađa (Gruppo Grotte „Špiljar“) che ci offre la sua collaborazione. Egli sostiene che sono state rilevate 10 grotte nei pressi di Vrgorac. In ogni caso mi segnala una grotta rilevata di 200 metri dopo i quali hanno raggiunto l'acqua e dove non hanno fatto esplorazioni speleosubacquee. Sono stati trovati 17 protei (dei quali adulti 26-28 cm) nell'inghiottitoio di Jasen; 10 pozzi in verticale che poi diventano gallerie orizzontali verso il fondo della grotta. La grotta è entrata nella classifica tra gli habitat biologici maggiormente significativi. Erika Jurišević Marko Cesarec cronache ipogee PUNTO GIOVANI: CORSO DI SPELEOLOGIA Il Centro Ricerche Carsiche "C. Seppenhofer" in collaborazione con il Punto Giovani di Gorizia organizza un corso di introduzione alla speleologia. Il corso è gratuito e sarà seguito da una Guida Speleologica Regionale del Friuli Venezia Giulia. L'età minima per poter partecipare al corso è di 15 anni. Le iscrizioni potranno essere fatte presso la sede del Punto Giovani di Gorizia Via Vittorio Veneto 7 - 34170 Gorizia (2° Piano) o presso la sede del C.R.C. "C. Seppenhofer" in via Ascoli, 7 a Gorizia, aperta il venerdì dalle ore 21.00 alle 23.00. PROGRAMMA DEL CORSO Giovedì 18 ottobre Introduzione al corso. Caratteristiche ed impiego delle attrezzature speleologiche. Tecniche di armo e progressione in grotta. Domenica 21 ottobre Esercitazione pratica in palestra di roccia presso la Grotta dei Cacciatori (Carso triestino) (piccola cavità molto semplice e ideale per un primo approccio con l'ambiente sotterraneo). Rientro presso la sede del Punto Giovani, seguirà un breve rinfresco. Giovedì 25 ottobre Nozioni elementari di geologia e carsismo, formazione delle grotte. Domenica 28 ottobre Primi passi in grotta. Esercitazione pratica in grotta, ambientazione e scoperta del mondo sotterraneo presso la Grotta del Paranco (Carso triestino). Rientro presso la sede del Punto Giovani, seguirà un breve rinfresco. Giovedì 8 novembre Ecologia e rispetto dell'ambiente sotterraneo, elementi base di biologia sotterranea. Domenica 11 novembre Alla scoperta delle grandi grotte. Visita della Grotta Doviza (Tarcento) e visita delle maggiori manifestazioni del carsismo locale. Giovedì 15 novembre Sicurezza in grotta e organizzazione del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Chiusura del corso e consegna attestati di partecipazione. Maurizio Tavagnutti cronache ipogee VI EDIZIONE DEL CORSO "INCONTRI CON LE CAVERNE DELLA GRANDE GUERRA" Grofova jama / Caverna del fuoco. Si svolgerà nelle giornate di mercoledì 24 ottobre e domenica 28 ottobre. La serata del 24 prevede la conferenza di Pierpaolo Russian sull'uso delle grotte naturali del Carso triestino e goriziano. A questa seguirà l'escursione di domanica 28 ottobre, guidata da Maurizio Radacich, in una mezza dozzina di caverne che si aprono sul Monte Hermada (Duino - Aurisina). Grazie alla collaborazione con lo Jamarsko Društvo Sežana, sarà possibile visitare anche la Grofova jama che si apre, in territorio sloveno, a pochi metri dal confine di Stato. CORSO DI METEOROLOGIA E CLIMA Militare austro-ungarico mentre rileva una caverna del Carso. Lino Monaco, presidente dal CAT e l'Assessore all’Educazione, Scuola e Università e Ricerca del Comune di Trieste, Antonella Grim, durante la manifestazione per i 40 anni di didattica nelle scuole del Club Alpinistico Triestino. Il Centro Ricerche Carsiche “C. Seppenhofer”, nell’ambito di un programma di sensibilizzazione verso i recenti cambiamenti climatici e salvaguardia ambientale, in collaborazione con l’Unione Metereologica del Friuli Venezia Giulia - ONLUS e la Protezione Civile Sez. di Gorizia organizza nel mese di ottobre un corso sulla meteorologia ed il clima. Il corso è rivolto a tutta la cittadinanza. Sarà un’occasione unica per apprendere i segreti che determinano quei cambiamenti climatici che oggigiorno stiamo assistendo sempre con maggior frequenza e che ci mettono a dura prova. Potrà anche essere utile per coloro che frequentano la montagna e vogliono apprendere come si possono, in anticipo, conoscere le condizioni meteorologiche. Il corso sarà tenuto da noti e capaci studiosi dell’Università di Trieste e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Osservatorio Meteorologico Regionale, ecc. Le lezioni si svolgeranno presso la sede del C.R.C. “C. Seppenhofer” di via Ascoli, 7 a Gorizia con inizio alle ore 19.00. Per informazioni rivolgersi al responsabile Luca Ziani, scrivendo alla mail: [email protected] o chiamando il cell.: 3406039883. cronache ipogee PROGRAMMA DEL CORSO 16 ottobre Renato R. Colucci (Consiglio Nazionale delle Ricerche - UMFVG) Introduzione alla meteorologia ed alla climatologia, cenni sul clima del FVG. 23 ottobre Arturo Pucillo (Osservatorio Meteorologico Regionale - UMFVG) La sinottica metereologica 30 ottobre Ester Colizza (Università di Trieste - UMFVG) Come si possono conoscere e studiare i climi del passato; excursus sulla storia paleoclimatica del Friuli Venezia Giulia 6 novembre Marco Virgilio (Telefriuli - UMFVG) Come si fanno le previsioni del tempo, approfondimento di meteorologia e climatologia delle Alpi friulane 13 novembre Furio Pieri (Osservatorio Meteorologico regionale - UMFVG) Come si misurano i parametri meteorologici; la strumentazione meteorologica moderna e antica 20 novembre Dario Giaiotti (Centro Regionale Modellistica Ambientale ARPA - UMFVG) Local Severe Weather, il Friuli Venezia Giulia fucina di eventi meteorologici estremi 27 novembre Fulvio Stel (Centro Regionale Modellistica Ambientale ARPA - UMFVG) Come si formano le precipitazioni (pioggia, neve, grandine...), cenni sulla microfisica delle nubi. CONFERENZA STAMPA PER IL PROGETTO DI DIDATTICA AMBIENTALE "ORIZZONTI IPOGEI" Martedì 9 ottobre, alle ore 11.30, presso la Sala Giunta del Comune di Trieste (Largo Granatieri 2, I Piano), verrà presentato dall'Assessore all’Educazione, Scuola e Università e Ricerca del Comune di Trieste, Antonella Grim, il progetto di didattica ambientale "Orizzonti ipogei. Esperienze didattico-esplorative nel mondo delle grotte". Da parte del CAT ci saranno gli interventi del dott. Sergio Dolce (coordinatore del progetto) e di Franco Gherlizza, responsabile della Sezione Didattica del Gruppo Grotte del CAT. (Vedi depliant informativo a pag. 10). cronache ipogee Materiale didattico La Sezione Didattica del Club Alpinistico Triestino ha realizzato, negli anni, alcuni prodotti di comunicazione studiati appositamente per i ragazzi (e per il mondo studentesco, in genere) rivolti principalmente alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio speleologico, nonché alla ricerca scientifica ed esplorativa. Questo il materiale didattico in uso alla nostra Scuola di Speleologia: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) Libretto a fumetti “Origini”. Trieste dalla preistoria alla conquista romana. Libretto “Nelle viscere della Carsia” narrativa per ragazzi (ristampa). Libretto “La natura tra le rocce” Il Carso visto e descritto da un bambino di 11 anni. Poster “L’ultimo continente” (italiano, sloveno, inglese). Libretto “Colorare il buio” adatto per bambini delle prime classi primarie (in fase di traduzione per lo sloveno e l'inglese). Power Point “L’ultimo continente”. Viaggio scientifico-esplorativo nel mondo delle grotte. Video “Andar per grotte”. Storia ed evoluzione della speleologia a Trieste. Power Point “Grotte e leggende del Friuli Venezia Giulia”. Storie fantastiche. Power Point “Miti e leggende ipogee del Friuli Venezia Giulia”. Personaggi fantastici. Power Point “Storia della Speleologia subacquea a Trieste”. Tecnica, fisica e sport. Video “Ipogei naturali e artificiali della Grande Guerra sul Carso”. Storico. Power Point “Il ricovero antiaereo denominato «Kleine Berlin»”. Storia di un bunker. Power Point “Che fatica essere bambini in tempo di guerra”. Perché non succeda più. Video “Kleine Berlin”. Storico. Libretto “L’enigmatico mondo delle grotte” (in preparazione). Parole crociate e altro. Libretto “Grotte e leggende del Friuli Venezia Giulia” (in preparazione). Le più belle storie. Power Point “L'uomo e le grotte” (in preparazione). Abitare le grotte nei secoli. Comune di Trieste Orizzonti ipogei Esperienze didattico-esplorative nel mondo delle grotte Con il patrocinio di: Comune di Trieste con la collaborazione di: AcegasAps Collegio delle Guide Speleologiche Maestri di Speleologia del Friuli Venezia Giulia CRUT Università di Trieste Progetto di didattica ambientale per l’anno scolastico 2012/2013 Grotta Bac (Trieste). Si parla di fauna ipogea e di speleobotanica con il dott. Sergio Dolce. 10 Progetto di didattica ambientale per l’anno scolastico 2012/2013 Federazione Speleologica Regionale del Friuli Venezia Giulia Esperienze didattico-esplorative nel mondo delle grotte Il Progetto Speleo-didattico “Orizzonti ipogei” è promosso e gestito dalla Scuola di Speleologia “Ennio Gherlizza” del Club Alpinistico Triestino. L’iniziativa è rivolta a tutti gli studenti delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado del Comune di Trieste. Orizzonti ipogei Esperienze didattico-esplorative nel mondo delle grotte Orizzonti ipogei Il Club Alpinistico Triestino, in occasione del suo 40° anno di didattica speleologica, ha avviato questo progetto di educazione ambientale, rivolto, in particolare, al mondo della scuola con lo scopo primario di accrescere la conoscenza del patrimonio ipogeo del Carso triestino. Si invitano tutti gli insegnanti interessati a partecipare alle attività previste dal progetto, mediante l'invio di una richiesta scritta all'indirizzo di posta elettronica indicato. CLUB ALPINISTICO TRIESTINO Gruppo Grotte Prove di tecnica speleologica nella palestra della scuola. La durata della manifestazione è legata al periodo dell’anno scolastico 2012-2013. In questo lasso di tempo, i ragazzi avranno la possibilità di conoscere, attraverso lezioni teoriche in classe ed escursioni speleologiche in grotta, alcune delle discipline che fanno capo a quella che comunemente viene definita “speleologia” e “speleologia in cavità artificiali”. Gli incontri si terranno presso gli istituti scolastici del Comune di Trieste nelle singole classi oppure, a discrezione della direzione, nelle aule magne o in locali predisposti a tal fine (palestre, aule didattiche, ecc.). Le escursioni verranno effettuate nelle grotte o negli ipogei artificiali della Provincia di Trieste che risulteranno più consoni alla tipologia di intervento che gli insegnanti, di volta in volta, riscontreranno maggiormente adeguata o inerente al programma scolastico trattato in classe (biologia, geologia, archeologia, folklore, storia, ambiente, ecc.). La durata delle lezioni in classe è stata stimata in due ore. La durata delle escursioni in grotta o in cavità artificiale, per motivi logistici e organizzativi, non potrà essere inferiore a due ore (escluso il viaggio a/r per il luogo di appuntamento). Ai partecipanti verrà fornito un caschetto speleologico completo di impianto di illuminazione. Tra gli ipogei individuati per le visite: la grotta Azzurra, la grotta dell'Acqua, la grotta Bac, la grotta del monte Gurca e il complesso di gallerie antiaeree "Kleine Berlin". cronache ipogee Coordinatori del progetto: Sergio Dolce: [email protected] Clarissa Brun: [email protected] Maurizio Radacich: [email protected] Lino Monaco: [email protected] Franco Gherlizza: [email protected] Le lezioni seguiranno l’ordine cronologico delle richieste inoltrate al Club Alpinistico Triestino. Verranno concordati degli incontri preliminari per definire i tempi e i contenuti delle lezioni nonché per scegliere assieme le grotte idonee alle escursioni, tenendo conto dell’età e della preparazione degli alunni e degli accompagnatori. Per le lezioni teoriche e pratiche, la Società organizzatrice si avvarrà, oltre del proprio corpo docente speleologico, di relatori e accompagnatori professionisti che appartengono al mondo accademico e culturale della Provincia di Trieste (Collegio delle Guide Speleologiche del Friuli Venezia Giulia, Servizio Musei Scientifici di Trieste, Università di Trieste, Corpo Forestale Regionale, ecc.). Alle scuole primarie di primo grado, verrà donato il DVD contenente la lezione speleo-didattica “L'ultimo Continente”. Alle scuole secondarie di primo grado verrà donato il DVD "Ipogei naturali e artificiali della Grande Guerra sul Carso". Agli alunni delle prime classi delle scuole primarie di primo grado verrà donata una copia del libretto "Colorare il buio". A tutti verrà donata una copia del poster “L’ultimo Continente” e un attestato di partecipazione al progetto "Orizzonti ipogei". Nella Kleine Berlin con i ragazzi del Ricreatorio Ricceri (Trieste). Per informazioni e prenotazioni: Club Alpinistico Triestino - Gruppo Grotte Via Raffaele Abro, 5/a - 34144 Trieste cell. 348 5164550 - Telefono e fax: 040 3498239 e-mail: [email protected] - www.cat.ts.it San Michele del Carso, 5/09/2012 Cari amici speleologi Invito al festeggiamento per il 40° anniversario del Gruppo Speleologico Talpe del Carso a San Michele del Carso. (Savogna d’Isonzo) Il nostro gruppo quest’anno ha raggiunto i suoi 40 anni di attività e pertanto festeggia l’avvenimento assieme a tutti gli amici speleologi e non, che in tutti questi anni ci sono stati vicini e Vi invita a partecipare ai festeggiamenti che si svolgeranno sabato 13 ottobre 2012 alle ore 11 presso la baita della Regina del Carso. Alle ore 11 ci sarà l’inaugurazione della bacheca esplicativa con i discorsi di rito per l’occasione. Alle ore 13 offriremo il pranzo carsolino ai presenti con l’apporto di buona musica locale. Sarebbe gradita una conferma della Vostra presenza. Vi aspettiamo numerosi. Il presidente GS Talpe del Carso Edvard Gergolet Lahko potrdite Vaš prihod na: Si prega Vs. conferma: GSM 3386178688 – 3358291389 fax 0481-710681 e-mail naslov – e-mail indirizzo [email protected] cronache ipogee 11 12 cronache ipogee Incontri con le Caverne della Grande Guerra (Sesta edizione) Trieste, 24 e 28 ottobre 2012 con il patrocinio: COMUNE di Trieste cronache ipogee 13 Il Club Alpinistico Triestino organizza nelle giornate di mercoledì 23 e domenica 28 ottobre 2012, la sesta edizione dell'iniziativa storico-didattica: "Incontri con le Caverne della Grande Guerra" Programma: Mercoledì 24 ottobre - ore 20.30 Sala "Ennio Gherlizza" Gallerie antiaeree e bunker "Kleine Berlin" Via Fabio Severo, Trieste. Conferenza a cura di Pierpaolo Russian Domenica 28 ottobre - ore 09.00 Posteggio superiore a Ceroglie dell'Hermada. Escursione guidata alle grotte: del Motore, dell'Hermada, Caverna del fuoco (SLO), Karl e Zita. A cura di Maurizio Radacich Le iscrizioni (quantificate in 20,00 euro), si ricevono presso la sede del CAT (Via Abro, 5/a) nelle giornate di martedì e giovedì dalle ore 21.00 alle 23.00 e comprendono, oltre allo svolgimento del programma, una copia della guida "Kavernenbau - Itinerari speleoturistici della Grande Guerra in Friuli Venezia Giulia” (libretto + 10 itinerari). Per informazioni: Maurizio Radacich: 339 2539712. e-mail: [email protected]. 14 È consigliato un abbigliamento adatto all'escursionismo ipogeo. cronache ipogee SPEL EO L OGI E ANI M A LI Si perdoni l’accostamento che potrebbe far aggrottare il sopracciglio; come si vedrà, non c’è apparentamento tra le due nobili specie. Diversi speleologi, a posteriori, dopo aver avuto degli “incontri ravvicinati” con animali selvatici, mi hanno interpellato sulla questione sapendo della mia conoscenza in materia. Alcuni giorni fa ho ricevuto un mail da uno speleologo, imbattutosi in un capriolo (“magro”, scrive) ferito a una zampa posteriore, visibilmente debilitato poiché era accovacciato e non tentava la fuga, che mi chiedeva come avrebbe dovuto comportarsi. Metà giugno un altro mi ha riferito, sempre via mail, di esser stato quasi a contatto con un caprioletto, immobile, nascosto nel fitto della boscaglia, ponendomi uguale domanda. Mentre i primi di gennaio un altro ancora mi telefonò, a seguito del ritrovamento di una carcassa integra di capriolo, per informarsi se ci fosse stata una particolare procedura da seguire. Premetto che già dodici anni fa, sulla “Gazzetta dello speleologo” (gennaio 2001), un articolo di Marco Meneghini dava delucidazioni in proposito. Poiché episodi di questo genere (nei casi citati, avvenuti sul Carso) evidentemente hanno una certa frequenza, rispondo a un più ampio pubblico d’interessati, e nell’essenziale. Il presente articolo, dunque, non è propriamente di speleologia s.s. ma l’argomento riguarda l’attività dello speleologo molto più di quanto si creda, giacché - come si avrà modo di leggere - l’interazione tra speleologi e animali è in realtà parecchio più stretta e frequente rispetto a quanto la nostra, assai limitata, percezione sensoriale (di poveri Homo sapiens regrediti da millenni di civiltà) faccia apparire. È chiaro che noi speleologi, considerevoli fruitori della natura nel tempo libero, percorriamo aree dove la presenza di fauna selvatica può essere elevata; anzi, la nostra attività ci porta molto spesso nelle zone, al di fuori dei circuiti “turistici”, proprio dove stanziano gli animali. Venuta meno l’identità di quell’«alpinismo di esplorazione» in Europa che caratterizzò l’Ottocento dove, avvalendosi perlopiù di guide locali e di cacciatori di camosci, una colta classe borghese scrisse la storia della conoscenza alpina, e sopravvenuto un escursionismo, o disimpegnato trekking, che sempre più s’ingabbia su sentieri forzatamente snaturati da segnavia, manutenzioni, cartelli, bivacchi, gli uomini che ormai percorrono i più appartati angoli della montagna sono solitamente gli speleologi (limitatamente alle aree carsiche) e i cacciatori. Giacché per i loro fini ciò necessita. Per la giurisprudenza italiana, appena con le affermazioni di principio della vecchia legge-quadro 968/77 (oggi sostituita dalla L. 157/92) la fauna selvatica non è più stata res nullius (cioè di nessuno) bensì res comunitatis (cioè della collettività) ovvero patrimonio indisponibile dello Stato. Se ne può disporre (specie cacciabili, non quelle espressamente vietate) solo nei tempi, nei luoghi, e con i mezzi stabiliti, da chi legittimamente può sottrarla a questa destinazione (in forza di licenza e concessione governativa). In altre parole, personale specifico della pubblica amministrazione (guardie venatorie, etc.) o cacciatori abilitati; le regioni, a loro volta, hanno emanato leggi sulla materia aderenti alle singole realtà territoriali, mentre le province agiscono in conformità a deleghe e prerogative nell’ambito delle competenze sull’ambiente (soprassediamo al fatto che ormai, come in altri campi, c’è un guazzabuglio di norme, talune non in linea con il progresso della scienza). Si dovrebbe dare maggior credito e ascolto all’ISPRA Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, che ha inglobato da qualche anno l’ex Istituto Nazionale Fauna Selvatica, che vanta dirigenti e ricercatori all’altezza, ed è tra l’altro deputato proprio a fornire consulenza alla pubblica amministrazione (con pareri non vincolanti, giustamente per bilanciare possibili tendenze… che talvolta sono emerse), non invece, e troppo, alle categorie (chi tira la manica di qua chi di là), specie quelle degli esaltati “contro tutto”. Ad ogni modo, basterebbe - secondo me - una buona, moderna, scientificamente avanzata direttiva europea, presa quasi in fotocopia dagli stati dell’area mitteleuropea, dove l’esperienza cronache ipogee in materia è ultra-consolidata, da convertirsi in toto, come legge, da tutte le nazioni comunitarie. E chiusa lì. Del resto… gli animali selvatici non hanno confini, tanto meno rinnovano il passaporto, e in Austria, Germania, Slovenia, Cechia etc., il meglio è già stato tirato fuori: come norme, regolamenti e gestione. Sarà però impossibile: in Italia la giurisprudenza che regola proprietà fondiaria e fauna poggia su fondamenti diversi. Se non si è “del mestiere” (questo è normalmente il caso dello speleologo), quando s’incontra un animale ferito, è buona abitudine telefonare (se si può, e semplificando) alle forze dell’ordine (non siete tenuti a conoscere dei vari distinguo: forestali, guardiacaccia, e così via); loro sanno a chi poi dirottare l’appello. Non ci si accosti assolutamente, tanto meno si tocchi l’animale, si eviti di parlare ad alta voce (zittirsi!) e ci si allontani silenziosi: ogni ingerenza potrebbe trasformarsi in un forte stress a lui pericoloso, e se deve morire che avvenga senza terrore. Restando sul Carso, e sempre nel primo caso citato, potrebbe esserci stato, ad esempio, un assalto da parte di un predatore, come una volpe (fin qui va bene, è la natura che fa il suo corso), ma anche di un cane randagio o, peggio, rinselvatichito (ce n’è qualcuno, e con la miopia delle leggi vigenti si fa ben poco per abbatterli… per carità, non ci si metta in testa che bisogna, quel che costi, catturare “Fufi”!). Anch’io - come molti di voi - amo i cagnolini, però il randagismo canino è anche uno dei veicoli principali della rabbia, oltre essere pericoloso. Esperienza personale: trent’anni fa, sotto il Bernadia, in bosco alle 5.30 del mattino, un randagio stava per azzannarmi e ho dovuto difendermi (non si possono liquidare queste cose con la battuta “poi diventava rabido il cane!”), mentre dodici anni fa, alle 8.20 di sera ho assistito, nel binocolo, all’aggressione di un randagio verso una femmina di capriolo sulla tagliata dell’oleodotto, tratto Visogliano-Slivia, che non è stata presa per un pelo. Per informazione, i rinselvatichiti (in bande, poiché sono gregari e perciò doppiamente pericolosi) nell’Appennino centro-meridionale sono una piaga 15 (a volte, sembra di vivere su un altro pianeta!), e quando sgozzano pecore e capre, per l’allevatore, ovviamente, è “sempre” colpa del lupo così da intascare il risarcimento statale (circa la stessa impronta dentale e il personale verificatore non si mette contro per il quieto vivere). Escluderei, poi, un atto di bracconaggio, poiché tali azioni sono quasi sparite e sorgevano dalla povertà, però qualche laccio vicino ai paesi ancora si trova (parecchi anni fa io un paio ne ho scovati, lungo piste nel folto): in tal caso si avvisi subito le forze dell’ordine, che gli appostamenti qualcuno poi li va fare, e per fortuna con la L. 152/92 alcune sanzioni penali sono state recuperate. Potrebbe essere un ferimento derivato da un atto legittimo di caccia, ma è raro, poiché la norma e l’etica impongono un comportamento molto virtuoso (ferire è sempre un fatto penoso e gravido di responsabilità morale), con accurata ricerca del capo anche con l’ausilio di un cane da traccia (sul sangue) abilitato su prove di lavoro, e poi uno dei principî, ferrei, è sparare solo quando si è assolutamente certi dell’esito. Se poi chi di dovere (guardie venatorie provinciali, etc.) reputa di intervenire sulla chiamata dello speleologo, qualora il capo non venga soppresso (è normale porgli fine!), l’eventuale cosiddetto “recupero”, nei centri operanti a tal scopo, è qualcosa - voglio chiarire - di aleatorio, giacché l’animale, anche se guarisce, noi ha poi molte possibilità di sopravvivere quando e se sarà liberato, cioè reintegrato nel suo ambiente naturale, se invece rimarrà in cattività, un ben misero destino lo attende (che di solito la gente non capisce… dicono: guarda che begli occhi ha Bamby, come lo curano, ha da mangiare, per poi girare i tacchi e andarsi a prendere, che so, il gelato). Però soprattutto per accontentare gli ambientalisti (ipocrisia dell’uomo politico), si fa anche questo, pur sapendo, da parte del tecnico (faunistico, veterinario, etc.), il risultato (tanto paga lo Stato, cioè “Pantalone”, e chi se ne frega dell’animale). Nel caso del mail che ho ricevuto, il selvatico, definito “magro”, era probabilmente una “femmina sottile” o uno “junior” (cioè animali di un anno di età), poiché un adulto (forte ed esperto) ha maggior scaltrezza e possibilità di fuga in caso di attacco. 16 Passiamo al secondo caso, in cui ci s’imbatte in un caprioletto (piccolo di capriolo è il termine giusto; un “cucciolo” è di moda dire da “quelli di città”), e quello trovato in giugno era proprio questo: poteva avere circa due settimane. Ebbene, direi che il comportamento dello speleologo (e, ovvio, di qualsiasi altro) debba allinearsi con le informazioni che annualmente (primi di giugno, quando cominciano i parti) quasi tutti i quotidiani diramano attraverso il solito articoletto, che molti leggono se non altro per curiosità: non toccare il cucciolo, non accarezzarlo, andare via. Credo pochi sappiano che la femmina di capriolo viene coperta a fine luglio ma l’ovulo o gli ovuli fecondati dopo poche moltiplicazioni iniziali attraversano una quiescenza di quattro mesi e mezzo, arrestando ogni loro maturazione; appena verso metà dicembre essi migrano dalle tube per annidarsi nella mucosa uterina; segue poi il vero sviluppo embrionale per cinque mesi, e tutto ciò per condurre la gravidanza e partorire ormai lontano dai rigori invernali. Le primipare partoriscono un piccolo, le altre, se femmine sane, generalmente due e di sesso opposto. I nati, per un mese rimangono riparati e sicuri nel posto scelto per il parto, in un primo tempo immobili e celati ai predatori grazie alla Natura che ha fatto sì siano quasi privi di odore, mentre la madre, sempre nelle vicinanze, fa loro visita per allattarli e controllarli diverse volte al dì e per 20-40 minuti. Può succedere che, accarezzandoli (ripeto, sono immobili), l’odore lasciato dalla mano dell’uomo sul loro mantello terrorizzi la madre, o così impregnati li senta estranei, tanto da rifiutarli, destinandoli a morte certa. Non è sicuro ciò avvenga proprio sempre, anche se la letteratura abbonda nel riportare tale rifiuto. Certo è che un contatto con l’uomo è innaturale ed estremamente dannoso! Non ci si abbandoni, quindi, a slanci “caritatevoli”, più che altro per soddisfare il proprio piacere di “umanizzare” il selvatico che si ha di fronte. In natura, la faccenda è diversa. Io li ho scorti diverse volte, certo, fanno tenerezza solo guardarli, ma la madre lì attorno (anche se invisibile a voi) vi ha già nel suo naso (ha straordinari recettori olfattivi), o vi ha sentito camminare: è in terribile apprensione (azzardando uno psichismo animale cronache ipogee con parole “umane”) ed ha un grande spavento. Andarsene via! Nel terzo caso, invece, quando si trova una carcassa, se apparentemente è integra (e non già utilizzata da volpi, cinghiali, corvidi), significa che la morte è sopravvenuta da poco (massimo un giorno, ma col caldo la decomposizione è già abbondantemente in atto ed è assolutamente irrecuperabile), poiché dopo una settimana, in natura, di essa rimane ben poco (costatato di persona). Se integra, se pur impreparati all’obiettiva valutazione, qualora si reputi valga la pena possa essere visionata dall’esperto (il tecnico), avvisare le forze dell’ordine (solitamente girano l’informazione al direttore della riserva, che provvede all’ispezione): con una telefonata avete fatto il vostro dovere e nessuno vi rimprovererà, anzi! Va precisato che i servizi veterinari locali sono interessati ad accertarsi sullo stato della spoglia: magari si sta monitorando una infezione riscontrata nell’area, non scordiamo la rabbia, etc. Abbiamo analizzato tre casi, direi ricorrenti. In generale, l’approccio che lo speleologo deve avere con gli animali che incontra deve essere di grande rispetto. Non si pretende ci sia empatia, come deve essere (ed è) per chi li studia o li caccia, in ambedue i casi - ve lo assicuro - sempre strettamente nei binari della conservazione e del miglioramento qualitativo delle specie selvatiche e del loro ambiente. Si pretende però un serio e riflessivo, maturo, comportamento, non scordandoci mai che siamo noi che andiamo nel loro territorio, nel loro habitat, all’interno della loro area vitale (home range), non viceversa. Di norma, lo speleologo, essendo “chiassoso” avverte i selvatici della propria presenza ben prima di entrare nel raggio della loro “distanza di fuga”, tanto che solitamente l’animale semplicemente si sposta per poi rientrare nel proprio territorio quando tutto è calmo, o la notte. Ci sono però, sempre dalle nostre parti, nella regione, specie maggiormente sensibili, come il cervo che se disturbato nei suoi quartieri di riposo può mettersi in marcia, per chilometri, e spostarsi magari nell’altra valle, con grande dispendio di energie che deve poi recuperare. Più deve recuperare peso, più tempo è costretto dedicare al pascolamento mentre meno attenzione è rivolta ai pericoli dell’ambiente e meno opportunità ha nella competizione con i cospecifici. Quante volte a caccia di cervi, sui Carpazi o nei Sudeti, li ho seguiti nel binocolo (nei tratti sondabili) con quale passo attraversano i territori spostandosi (con dislivelli a noi, umani, improponibili nei loro tempi) quando rientrano all’alba dai luoghi di pastura alle loro rimesse, anche sull’altro versante scavalcando la dorsale! Poi ci sono, sulle nostre montagne, animali che sono particolarmente confidenti (tecnicamente: molto “percettibili”), che però non vanno assecondati in tale atteggiamento. Bisogna sempre restare immobili, non fare gesti strani, o parlare, e lasciarli andar via (certo, la foto con movimenti lenti e misurati si può fare: rimane uno straordinario ricordo!). Casi di “incontri ravvicinati” con stambecchi, per esempio sul Canin ove hanno ormai colonizzato il massiccio, sono di una certa frequenza. Più di una volta li ho osservati col binocolo sul nostro Canin (“la montagna degli speleologi”) mentre studiavo il carsismo, e, se si va cercare, si trovano in rete foto di escursionisti che mostrano tali “incontri” addirittura a Sella Bila Pec, indubbiamente piuttosto frequentata nelle giornate festive dai rumorosi e colorati bipedi con zainetti sempre più inutilmente tecnologici. Ungulati - gli stambecchi - che un tempo stanziavano su tutte le nostre Alpi; vi ricordate i resti scheletrici (una quindicina di esemplari) trovati venticinque anni fa dal GTS all’Abisso Klondike (che ebbe funzione di trappola) sulle carniche? Per quelli odierni si tratta di animali reintrodotti, catturati (operazioni difficili e costose e con un inevitabile tasso di mortalità) in zone a parco (Italia, Svizzera) assolutamente prive di predatori naturali da lunghissimo tempo, animali che tra l’altro, da generazioni, non hanno mai avuto alcun rapporto “predatorio” da parte dell’uomo (solo, e se, qualche abbattimento sanitario), per cui la loro “confidenza” è, per così dire, innaturale, come pure la loro troppo alta densità zonale raggiunta (che, immancabilmente, porta a malattie). Ben altro è l’approccio, per far capire, con gli stambecchi o gli argali nelle fredde e spoglie montagne della Mongolia o del Kazakistan. Questi pagano un elevato tributo ai lupi (chi va da quelle parti assiste frequentemente, durante le lunghe ricerche col binocolo, agli attacchi dei lupi e trova con facilità i crani disseminati delle prede): se siete in vista o con l’aria a sfavore (sopravvento), già a 500 metri, e più, vi localizzano e al minimo sentore di pericolo fuggono! Come sappiamo, dalla Rivoluzione francese in poi, a seguito dell’esportazione delle idee liberali, caccia indiscriminata da una parte (eccetto che nei territori della Mitteleuropa, anche nell’Ottocento basata su criteri scientifici e conservativi) e annientamento dei predatori per l’accoppiata “valligiani Monte Canin, Sella Grubia. Stambecco sul retro del bivacco Marussich. (Franco Gherlizza) cronache ipogee & zootecnia” dall’altra, hanno avuto effetti devastanti. Infatti, nella notte dal 4 al 5 agosto 1789, l’Assemblea costituente parigina stabilì: “La selvaggina non appartiene a nessuno; la caccia è diritto inerente alla proprietà, si ha il diritto di far distruggere la selvaggina sui propri fondi conformandosi alle leggi di polizia”. Oggi è tutto cambiato. Oggi, lo stambecco è attorno ai 35.000 (in difetto) capi sulle Alpi, in espansione, e si caccia in tutte le nazioni che vi si affacciano per equilibrare le popolazioni, naturalmente non in Italia (siamo sempre speciali), con l’eccezione del lungimirante Alto Adige (che ha sempre seguito il passo dell’avanzata e rigorosa gestione faunistica austriaca) dove annualmente si abbatte la giusta quota di stambecchi. Qui da noi i predatori sono relativamente pochi (data l’elevata urbanizzazione, e i grandi carnivori sono molto sensibili all’impatto antropico, anche su “maglie larghe”). Tuttavia, nelle alte valli del Natisone e del Torre ci si è imbattuti nell’ormai stanziale orso bruno. A una cacciatrice, sola-soletta, sul Gran Monte di fronte al Musi, tempo fa in settembre verso le 8 di sera, un maschio adulto di orso ha gironzolato attorno, a quaranta metri (anche meno); ovvio non si può sparare (in Italia, in questo caso giustamente) o solo in extremis “in aria”, cioè verso terra stando alla legge, per far fuggire il plantigrado, che però ha un carattere “imprevedibile” e “ombroso”. A quelle distanze, se “decide”, con una corsetta (sembra goffo invece è veloce) in una manciata di secondi vi è addosso. Lasciando in pace, poi, il povero orso marsicano, che non fa testo (numericamente è lo stesso del 1930, e la ragione c’è), il quale tuttora viene ammazzato con bocconi avvelenati dai pastori dell’Appennino centrale (così come hanno agito sui lupi), e ogni qualvolta sbrana una pecora c’è una protesta, per dire, fin davanti Palazzo Madama, in Europa l’orso bruno gode di ottima salute: sui Balcani, ad esempio, nelle grandi foreste ne avete attorno a voi decine (ho detto decine); tempo fa, in una riserva da quelle parti, durante una battuta quel giorno se ne son contati cinquantasette! Tutti hanno appreso dalla televisione che Yoghi ruba il miele e il cestino ai campeggiatori (mentre per i canoni dei cartoons non si accenna allo 17 sgozzamento degli animali perché è sanguinario); in Trentino, dove l’orso non si è mai estinto, tanto più oggi che è stato rinsanguato e accresciuto da immigrazioni da est, c’è una normale convivenza con l’uomo. Non scordiamo che l’orso caccia per sopravvivenza mentre l’uomo (dopo la domesticazione degli animali) non più, cacciando invece per passione, istinto e tradizione. D’altronde, quando gli inverni sono cruenti e gli orsi trovano nei boschi più carogne di ungulati, l’attacco al bestiame diminuisce. In una delle ultime annate, nel Trentino leggo di 147 predazioni a capi di bestiame e 32 attacchi ad alveari: casi regolarmente accertati e risarciti ad istanza di indennizzo accolta. La convivenza con i grandi predatori è solo questione di buona gestione faunistica, oltre che civiltà dei popoli. Ancora due parole sull’orso, che non è quello dei cartoni animati (particolarmente diseducativa la falsa immagine che si dà ai bambini!) ma un animale pericoloso; nelle zone friulane ormai rinselvatichite che ho citato - dove ormai gira e ha “un futuro” - un minimo di prudenza nei bivacchi in tendina ci sta: non lasciar rifiuti alimentari che di notte lo potrebbero attirare e attenzione alle nostre graziose speleologhe durante la mestruazione giacché il flusso sanguigno con il relativo odore per lui è un attrattivo molto forte (non si tratta di scemenze ma esperienze statisticamente comprovate nelle aggressioni all’uomo). Mentre la lince, giunta anche in Carnia, è talmente elusiva che quando è stata “trappolata” fotograficamente dopo innumerevoli tentativi (parliamo di progetti che durano anni), ovvio di notte, si può dire sia stato un vero evento da “Nomination” all’Oscar (per chi s’interessa a queste cose), con le foto che son poi andate sulle riviste specializzate. Io, un paio d’anni fa ho avuto la fortuna di vedere l’orma (inconfondibile) di una grossa lince impressa ai margini molli di una torbiera alta sulla larga dorsale del Králický Sněžník, nel cuore dei Sudeti, assieme a quelle di un branchetto di cervi in fuga (ma, poverina, più di venti-trenta metri di corsa non dispone, poi crolla; però, lassù, un cervo giovane, o debilitato, ogni dieci giorni se lo prende). Per pura curiosità v’informo che in Carnia è giunto pure il cane procione 18 (che ha un comportamento simile alla volpe); specie originaria dell’Asia che, introdotta in Russia, si è poi diffusa stabilmente dalla Svezia alla Germania, e giù, fin da noi. Attenzione: il cane procione (un canide) non va confuso con Bubu (…ecco anche lui!), cioè il procione o orsetto lavatore (un procionide), in comune hanno solo una mascherina facciale. Un flash sul lupo (italico), cui ho accennato in precedenza in modo polemico, e continuo a farlo: si è salvato non tanto per l’intervento dello Stato quanto per l’esplosione demografica sull’Appennino del cinghiale (cibo!); ora, l’Appennino l’ha risalito e pare (anzi, è certo) sia giunto in Francia… ma i nostri cugini d’oltralpe sono dubbiosi sul tenerselo (forse la loro grandeur è solo di facciata). Riagganciandomi agli effetti della diffusione delle idee liberali (che inevitabilmente hanno portato con sé pure distorsioni) e dell’espansione rurale, la principale causa della progressiva scomparsa degli ungulati, per restare in Italia, è stata, dalla seconda metà del Settecento, la capillare penetrazione dell’uomo nelle zone montane. Con uno sfruttamento indiscriminato delle risorse. Salvo qualche blanda regola in alcuni Stati preunitari, e ancor meno nell’Italia unita, quale deterrenza, la cattura della fauna selvatica come forma di sostentamento era una sorta di bracconaggio semilegalizzato, tanto che dopo la Seconda Guerra Mondiale, negli anni Cinquanta, le popolazioni di cervi e caprioli erano quasi totalmente distrutte. Ora - per far capire - grazie a politiche affidate a dinamiche naturali “guidate”, conservazionistiche intelligenti, di controllo attraverso la caccia selettiva, la situazione si è capovolta; per fare due esempi su ambienti diversi: sul solo tratto dell’Appennino tosco-emiliano saremo sui 9000 cervi, mentre nella fascia prealpina e alpina del TrentinoAlto Adige saremo attorno ai 20.000. Popolazioni, che possono essere gestite solo con piani di abbattimento. Un solo cenno al cinghiale, che ha abitudini prevalentemente se non esclusivamente crepuscolari-notturne, per cui quando esce dalle lestre noi speleologi solitamente siamo ancora nel mondo dei sogni o altrimenti già in trattoria; anche qui, può però capitare di incontrarlo fortuitamente (magari in una battuta di zona in cerca di grotte, cronache ipogee in silenzio, pian-pianino, in una giornata ventosa, mentre - che so - l’animale è rintanato tra i cespugli sul fianco riparato di una dolina). Premesso che i cinghiali sono gregari (branchi di maschi e altri di femmine con prole, ma ci sono pure i vecchi solitari, però prudentissimi), presa di sorpresa una femmina con i piccoli può benissimo attaccare a morsi (non è infrequente), prima di fuggire: viaggio in ospedale assicurato. Il cinghiale, animale piuttosto erratico, è ben presente sul nostro territorio, specie quello collinare del Friuli, e, un po’ meno sul Carso (dove ha poca acqua e fango per il bagno negli insogli, comunque, solo nella provincia di Trieste vi scorazzano parecchie centinaia). Tanto per far capire: una notte trovi il branco sull’Ermada, la sera dopo lo stesso branco lo trovi nella valle del Vipacco. Nel verde infraurbano che s’incunea a Trieste (vedi l’area del “Boschetto”) il cinghiale si trova talmente bene, grazie alla gente che dissennatamente gli porta da mangiare, che ha proliferato stabilendosi con una nutrita colonia. Ovvio, pericolosa. Poi, “siora Maria” si strappa i capelli quando il personale provinciale, da appostamento, deve andare a contenere la popolazione (con spese per il cittadino, cose lunghe, perché a un cinghiale non si spara durante il giorno, quindi straordinari e così via, poi l’animale non viene quando vuoi tu, eccetera), maledicendo e augurando… diciamo “brutte malattie” a quei sanguinari (sic!) che uccidono gli animali. E i vetero-ambientalisti gli fanno eco, proponendo catture con telenarcosi, e così avanti, senza saper di che parlano. Il maggior esperto italiano in catture (ha lavorato in tutto il mondo) non si è mai azzardato tirare a un animale una siringa (pericolosissimo per la bestia... a parte la necessità di avvicinarsi a meno di venti metri, come dire difficilissimo!) e il contenimento del selvatico è assai critico per la delicata spina dorsale in posizioni innaturali come pure lo stress i cui effetti possono manifestarsi addirittura dopo un mese dal rilascio! Naturalmente, catture se ne fanno, ma quando veramente serve e per scopi scientifici di ripopolamento assai ben programmati. Tutti sanno (credo) che sul cinghiale abbattuto è obbligatorio per legge l’esame trichinoscopico (c’è pericolo per l’uomo nel consumo della carne). Pochi invece sanno che le nostre popolazioni, negli ultimi anni (dovremo convivere col problema in futuro), sono anche a rischio di brucellosi, difficile da debellare; un esempio: è da un secolo che si riduce la densità dei bisonti infetti nel parco di Yellowstone, ma, nonostante gli sforzi profusi, il problema è tuttora presente, mentre per gli allevamenti dei ranch confinanti c’è il rischio costante, causa la trasmissione del batterio, che questi perdano la qualifica. Per fortuna la brucellosi è una zoonosi poco patogena nell’uomo, comunque: precauzione. Accenno ancora al problema camoscio, che non rappresenta per lo speleologo una preoccupazione giacché ha una “distanza di fuga” sempre elevata, dato l’habitat aperto. Attenzione però al rinvenimento di carcasse! Da noi, nelle Alpi Orientali, parecchie popolazioni di camosci sono infestate dalla rogna sarcoptica (che, sulle infiammazioni più estese, ha esito mortale), e il contatto, anche con l’adiacenza della carcassa (l’erba, etc.), consente la trasmissione dell’acaro che può portare a lesioni tipo papule pruriginose, assai fastidiose, che però si estinguono in pochi giorni (uno però, per breve tempo diventa un po’ “rognoso”… non so se mi spiego). Ovviamente, ciò succede specialmente alle popolazioni selvatiche che sono protette da un regime di parco (vecchia e dannosa concezione, tipicamente italiana!) per cui i camosci non essendo sottoposti a piani di abbattimento (cioè caccia di selezione) raggiungono una densità pericolosa per la stessa specie, con falcidie ricorrenti ma soprattutto indiscriminate (pure il maschio buon riproduttore o la femmina intenta alle cure parentali). Il tarvisiano (vasta area a riserva naturale, in regime di protezione) insegna, là i camosci sono colpiti periodicamente da cheratocongiuntivite: se non superano il decorso della malattia (2 settimane) rimangono ciechi e muoiono. Il contagio da cheratocongiuntivite progredisce rapidamente, con velocità media di 15 km/anno (3-4 volte più della rogna), con mortalità 5-30%, fortunatamente per l’uomo il rischio di trasmissione è bassissimo. Mi soffermo, infine, nel raccomandare di non accostarsi assolutamente a volpi, poiché tutti conoscono la pericolosa malattia che affligge questi animali, cioè la rabbia (il virus viene però trasmesso da morso o attraverso le mucose). La volpe è comune, può avere una densità (Carso, vallate prealpine e alpine) attorno ai 2-3 individui/km2 (attorno i paesi le volpi sono più frequenti specie se sussistono piccole discariche dove trovano con facilità succulenti “pantegane”… e così aumenta il pericolo!). Tanto per l’informazione, l’epizoozia rabica silvestre si diffuse come focolaio alla fine della Seconda guerra mondiale a sud-ovest di Danzica, avanzando verso occidente con un’onda di 25-40 km/anno. Se si vede una spelacchiata (o malmessa) e che non mostra paura dell’uomo: stare alla larga, molto alla larga, è quasi sicuro sia nella fase acuta; ma questo lo sanno anche ragazzi! Attenzione: ci sono anche volpi rabide spontaneamente non aggressive nello stadio avanzato della malattia (sembra perdano ogni nozione del pericolo). Nella rabbia silvestre l’ospite di mantenimento in Europa è proprio la volpe e, indipendentemente dalle campagne di vaccinazione (esche vaccinali posate nei boschi dai cacciatori e da personale delle pubbliche amministrazioni), proprio le Alpi Orientali, con il Friuli, e il sud-ovest della Slovenia, sono colpite. Comunque, la rabbia dilaga e si ritrae, periodicamente, ed è arduo (forse impossibile) debellare quest’antropozoonosi del tutto, se non ridurla di molto con sforzi organizzativi notevoli. Rammento - anche se credo inutile - come, dall’inizio dei danni al cervello, uomo o animale abbiano i giorni contati (tralascio le strazianti sofferenze); pertanto, in caso di morso o contatto (su un’abrasione, etc.) lavare accuratamente la ferita con acqua e sapone per un quarto d’ora e recarsi immediatamente al pronto soccorso dove i sanitari valuteranno che azioni intraprendere (per la cronaca, ancor oggi non esiste una vera cura). Già che siamo in tema, ricordo ancora che il pipistrello (tra gli animali considerati non terrestri) fa parte del serbatoio della rabbia, e che esiste il rischio di essere contaminati dalle loro urine attraverso l’aerosol, specie nelle caverne sature d’umidità da essi frequentate (non si conoscono molti casi, ma prenderla dai nostri amici chirotteri è da super-sfigati!). Nel mondo, cronache ipogee Grotta dei Pipistrelli. (Sergio Vianello) si stima che ogni dieci minuti muoia una persona per rabbia. In tanti anni, ho visto molti animali malati, durante lo sventramento della spoglia (parassiti, etc.), ma anche nel binocolo (miasi nasale: addirittura tossivano con rantoli; nematodi parassiti: con vistose perdite diarroiche sullo specchio anale, eccetera), e, in quel caso, se avevo in spalla la carabina, se la legge, il regolamento e il piano di gestione me lo permettevano, e infine se la mia valutazione obiettiva e il conseguente giudizio erano “sì” per il prelievo, esercitando il diritto e rispettoso dell’etica tramandata, ho fatto il mio dovere. Concludo, con “la predica” (…sopportatemi, dato che costa poco). Noi speleologi dobbiamo essere consci di come durante la nostra attività, all’esterno, sui carsi, invadiamo continuamente i territori degli animali selvatici, senza accorgersene, poiché raramente percepiamo la loro presenza (ma, vi assicuro, ci sono eccome). Talvolta - casualmente, in favore di vento, etc. - li incrociamo, a volte ancora ci imbattiamo in capi feriti o morti. Nel caso di soggetti vivi, è nostro dovere adattarci alle loro esigenze, essendo l’etologia delle singole specie qualcosa di ben preciso (e delicato) e la nostra pur involontaria intromissione nella loro sfera è assolutamente da evitare, agendo perciò cum grano salis cioè senza esternare quegli atteggiamenti o abbandonarsi a quei desideri che sono prettamente “umani”, ma totalmente estranei a loro. È una questione di rispetto, di cultura, di maturità, tanto più da parte di noi speleologi che dovremmo essere - ma siamo - tra i maggiori paladini dell’ambiente, rinunciando però a quelle manifestazioni esasperate, irrazionali, e non basate sulla dottrina scientifica, che ci distinguono nettamente dal pessimo ambientalismo di maniera, ormai ideologia assurta a religione laica, a volte fanatismo deteriore. Rino Semeraro 19 ASCA - Associazione delle Sezioni Montane del Club Alpino Italiano "Leggimontagna 2012" Premio letterario - 10a edizione VINCITORE DELLA 10a EDIZIONE SEZIONE NARRATIVA 1° classificato: MANGART di Andrea Gennari Daneri 350 pagine da leggere tutte d'un fiato, un romanzo cinico, ironico, di grandissimo ritmo, che si svela solo all'ultima pagina. È la storia di Flavio Ferrari, alpinista di punta, che si trova, suo malgrado, coinvolto in una resa dei conti legata alla vecchia guerra di Bosnia. Il tutto accade sotto il Mangart, montagna simbolo per friulani e sloveni, in un inverno dal meteo inclemente. La Giuria del Premio Leggimontagna ha dichiarato che Gennari Daneri, storico fondatore e direttore di PARETI, rivista leader dell'alpinismo e dell'arrampicata italiani, "ha inaugurato un modo nuovissimo di scrivere di montagna, dimostrando che si può attanagliare l'attenzione dei lettori senza per forza descrivere una linea di salita attraverso una parete". Il premio rispecchia fedelmente i dati di vendita dei primi mesi dalla pubblicazione, che dimostrano che il passaparola tra gli entusiasti lettori si tramuta rapidamente in vendite. L'autore, attualmente impegnato nella promozione dell'opera, è disponibile a inserire nuove date nel calendario delle presentazioni di Mangart. Per informazioni, acquisti e richieste di contatto con l'autore si prega di contattare la segreteria di redazione: [email protected] o il numero 0521 647136 o visitate www.pareti.it VINCITORE DELLA 10a EDIZIONE SEZIONE GUIDE 2° classificato: Ciceria e Monte Maggiore di Ettore Tomasi questo forse più interessanti. Dopo le sue due ultime fatiche, dedicate al Nanos e alla Selva di Tarnova, esce ora Ciceria e Monte Maggiore,una guida corposa contenente itinerari e peculiarità dell’ ‘Istria bianca’, la successione di alture che dal versante sinistro della Val Rosandra, attraverso l'altipiano dei 'Cici', porta ai 1401 metri dell'Učka, o Monte Maggiore, tetto dell'Istria, e al mare di Abbazia. Il plot è identico a quello - esemplare - delle opere precedenti: descrizioni accattivanti e chiare, cartografia essenziale ma precisa, inquadramento del percorso nel genius di luoghi oggetto di un'antropizzazione capillare e vivace, al di fuori dei principali assi di comunicazione, su cui la grande storia si è riverberata appena, ma che risulta comunque interessante per i risvolti etnici (con la piccola minoranza degli istroromeni, o appunto 'Cici'). Questo territorio relativamente ristretto è diviso tra Italia, Slovenia e Croazia; Paesi, questi ultimi due, tra cui esiste ancora un confine, destinato a sparire presto. Una cinquantina gli itinerari illustrati, dieci i versanti d'accesso ed altrettante le traversate, 40 le mappe dei percorsi, 30 i disegni e ben 750 le foto a corredo. L'area è suggestiva, pressoché intatta dal punto di vista ambientale, poco frequentata e spesso avara di segnalazioni (talché su alcuni percorsi la guida è un corredo più che utile). Davanti al gitante si spalanca così uno scrigno di scoperte escursionistico-naturalistiche che prima del lavoro di Tomasi (eccezion fatta per l’area triestina) non erano state descritte e mappate in maniera compiuta. È la seconda volta che un titolo della collana di Transalpina Editrice si aggiudica questo importante riconoscimento già assegnato all'opera Monte Nanos nella 6a Edizione. Da più di cinquant'anni Ettore Tomasi, alpinista, naturalista e consulente editoriale, svolge una preziosa opera di divulgazione che interessa il Caput Adrie nelle sue zone meno note, e per 20 cronache ipogee un abisso di occasioni...? Sito internet: www.cronacheipogee.jimdo.com Indirizzo di posta elettronica: [email protected] cerco... info point... AAA cercasi BAT DETECTOR usato per uso didattico. Gianpaolo (USP CAI PN). e-mail: [email protected] cell. 335 605 88 68. Muli de grota Cerco "SpeleoCollezionisti" di francobolli sulle grotte e sui pipistrelli. Per scambio materiale e informazioni: Gianpaolo Fornasier e-mail: [email protected] cell. 335 605 88 68. Cerco cartoline postali o annulli filatelici delle grotte turistiche del Carso classico (Italia e Slovenia). Per eventuali scambi e informazioni: Maurizio Radacich e-mail: [email protected] cell. 339 2539712. funziona così... Questa rubrica vi viene offerta in forma gratuita e la durata dell'esposizione dei messaggi pervenuti sarà garantita per tre mesi. Passato questo lasso di tempo, se non viene rinnovata la richiesta, il messaggio verrà rimosso. Chiediamo la cortesia di segnalare alla redazione le eventuali contrattazioni, andate a buon fine in tempi inferiori a quelli trimestrali, evitandoci così di promuovere quegli articoli che sono già stati evasi dalle parti. Grazie. La Redazione Franco Gherlizza MULI DE GROTA 248 pagine con storie di grotte e di monti dal 1951 al 1984. 20,00 euro. Info: 348 5164550 - [email protected]. Chi desidera pubblicare la propria notizia o articolo sul prossimo numero delle "Cronache Ipogee" è pregato di spedire lo scritto a: cronacheipogee@ gmail.com. Le notizie dovranno pervenire alla redazione entro la fine del mese in file formato word, le foto in formato .jpeg (risoluzione 300 dpi) indicando, possibilmente, l'autore della foto. Chi desidera vedere tutti i numeri precedenti può consultarli, o scaricarli, direttamente dal nostro sito: Cronacheipogee.jimdo.com. Buona lettura e, grazie. La Redazione Raduno Internazionale di Speleologia (dal 1 al 4 Novembre) Giornata pugliese di studi sul carsismo e la speleologia "Spelaion 2012" 4 novembre 2012. Dal primo al 4 novembre, a San Marco in Lamis, ci sarà il raduno annuale nazionale e internazionale di speleologia della SSI, che si fonde con il tradizionale raduno annuale pugliese "Spelaion" prendendone in prestito, per questa occasione, il nome: "Spelaion 2012 - La fine del mondo". Nel nutrito programma di attività, che comprende presentazioni ed escursioni, oltre ai consueti stand commerciali e gastronomici, trova posto anche una "giornata di studi" a disposizione dei Gruppi, degli studiosi e degli speleologi per la presentazione di studi e relazioni. Questo evento è collocato nella giornata di domenica 4 novembre, con una sessione mattutina (9-13) e una pomeridiana (14,30 - 16,30). Iscrivetevi, manca poco... cronache ipogee 21