Istituto Comprensivo “Giovanni Verga” Viagrande Dirigente Scolastico Lucia Palazzo Anno Scolastico 2013-2014 Viagrande e Verga … la visione «amara» di una terra, degli umili , degli oppressi, dei «vinti» raccontata dai nostri ragazzi, grazie alla lettura di alcuni testi di un grande autore siciliano. Viagrande ha origini antiche; i primi insediamenti risalgono, infatti, agli antichi greci, come testimoniano alcune urne cinerarie e lacrimatoi trovati nel 1872 in contrada Monte Serra. Il nome Viagrande potrebbe derivare dall'antica via che conduceva a Messina, ricordata dall'abate Amico quale via importante che passava per il primo nucleo del paese, o dalla via che, partendo da Catania, giungeva alla Chiesa di Sant' Antonio di Padova. Nel 1124 si costituiscono i borghi: Velardi, Viscalori e S. Antonino. Il grande sviluppo di Viagrande iniziò dopo il 1408, con la coltivazione in vigneti delle campagne attorno al paese. Nel 1837, a seguito dei moti rivoluzionari, Viagrande sostenne Catania insieme ad altri paesi. Alla notizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala i viagrandesi posero il tricolore sul campanile della Chiesa Madre. Dopo la sconfitta, presso Milazzo, dell’ esercito borbonico ad opera dei garibaldini, un gruppo di cittadini inviò all’ «Eroe dei due mondi» : quindici quintali di pasta , 26 salme di vino, una cassa di filacce e fasce confezionate dalle donne di Viagrande. La Sicilia durante il Regno d’Italia Nel Meridione la mafia esisteva fin dalla dominazione araba. Varie erano le attività legate alla malavita locale che imperversava nel territorio siciliano; per questo il nuovo governo emanò dei provvedimenti per risolvere la “questione”. Nel 1863, in Sicilia fu applicata la legge marziale dal generale Govone; essa prevedeva la fucilazione immediata e senza processo di coloro i quali avevano infranto la legge. Le condizioni economiche del popolo siciliano peggiorarono sempre di più a causa dell'aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità. L'aggravarsi della situazione fu legata all'opportunismo dei grandi proprietari terrieri che determinarono l’aumento del brigantaggio postunitario nell'isola. Il Regno delle Due Sicilie non aveva un elevato debito pubblico a causa della bassa quantità di investimenti in opere di modernizzazione. Sulle spalle dei siciliani, abituati ad un’ unica tassa sul reddito che copriva tutte le spese pubbliche ed anche locali, si aggiunsero nuove tasse comunali e provinciali, come il "focatico“: la tassa sul macinato. La politica governativa del libero scambio comportò la disincentivazione della produzione della seta siciliana e così avvenne anche per la locale industria alimentare; perfino i settori dell’industria pesante regredirono per mancanza di commesse e fondi. Le città siciliane più ricche, grazie all'afflusso costante di gente in cerca di lavoro proveniente dall‘entroterra, videro aumentare la loro popolazione e con essa i problemi sociali. Mentre perdurava il brigantaggio e il malessere sociale, nascevano i primi fermenti di coscienza sociale e collettiva; nel 1892, dopo un congresso operaio a Palermo, nacquero i Fasci dei lavoratori. In seguito, venne reclamata la divisione dei fondi da parte dei contadini e la soppressione dei "gabellotti". Nel 1893, scoppiarono gravi sommosse nell’isola; fu così data occasione a Francesco Crispi di reprimere e sciogliere i "Fasci". Il sottosviluppo, l’analfabetismo, l’alta mortalità infantile, unitamente alla febbre malarica e alle disumane condizioni di lavoro nelle zolfare, fecero sì che il governo nazionale, a partire dal 1882, incoraggiasse l’emigrazione verso il nord America, soprattutto negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e sud America. L’ISTRUZIONE NEL MERIDIONE DOPO L’UNITA’ Gli analfabeti in Italia nel 1861 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% piemone liguria lombardia emilia r. marche toscana umbria puglia sicilia sardegna Si sono sempre notate delle differenze tra il nord e il sud Italia, di solito a sfavore del Meridione. Una di queste differenze riguarda l’ istruzione. Nel grafico precedente viene evidenziato che il tasso di analfabetismo era più alto al sud, in particolare, in Sicilia e in Sardegna. La Legge Casati entra in vigore, inizialmente, nel 1860 in Sardegna; viene estesa a tutta l’Italia un anno dopo. Essa prevedeva il diritto allo studio e l’insegnamento della Religione cattolica In seguito la Legge Coppino rese obbligatoria la frequenza scolastica per un minimo di 3 anni; sancì la gratuità della scuola elementare e introdusse le prime sanzioni per chiunque non rispettasse le regole (mancanti nella legge Casati) Questa legge però, non fu mai attuata completamente, perché le spese scolastiche erano a carico dei singoli Comuni che, spesso, non riuscivano a sostenerle. Alla fine queste leggi non furono mai pienamente approvate in Sicilia. L’ Unità d’ Italia avrebbe dovuto portare all’ uguaglianza, ma in realtà non siamo mai stati tutti uguali. Naturalismo e Verismo Terminata la fase delle unificazioni nazionali che riguardavano paesi come Italia e Germania, cominciò una difficile ricerca dell'equilibrio. Dal punto di vista politico, i governi europei accentuarono la tendenza a soluzioni autoritarie. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia (1861), il potere fu gestito dalla Destra storica. In economia si passò dal liberismo al protezionismo, si ebbe una nuova fase di espansione economica, con la diffusione di nuove tecnologie grazie alla scoperta dell'elettricità e all'uso del petrolio come fonte di energia. In Italia , dopo l’ Unità, nasce il Verismo un movimento letterario che tende a descrivere la vita della gente umile, dei reietti della società che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalità del destino. Esso si ispira al Naturalismo francese, in particolare , al grande scrittore E. Zola. Il Naturalismo è una corrente letteraria che nacque in FRANCIA nella seconda metà del 1800; il termine Naturalismo evidenzia che in questo periodo dominato dal Positivismo, anche l'arte viene considerata una disciplina naturale alla quale si può applicare il metodo scientifico. Il Naturalismo può essere considerato l'aspetto letterario del Positivismo. Principi del Naturalismo: l’OGGETTIVITA’ - lo scrittore deve partire da fatti realmente accaduti e ricostruirli secondo una relazione di causa - effetto; l’IMPERSONALITA‘- lo scrittore non deve imporre le sue idee, i sui sentimenti, i sui giudizi, non deve parteggiare per i suoi personaggi, deve, invece, esporre i fatti in modo freddo e distaccato; la SCIENTIFICITA’ l’autore deve tenere conto delle leggi scientifiche che regolano la società; tutte le azioni umane devono essere lette alla luce dell'ambiente e dell'ereditarietà . La novella è una narrazione in prosa, caratterizzata da brevità e semplicità; la narrazione è articolata in un’unica vicenda in sé conclusa. NEDDA “Nedda”, definita “novella rappresentativa” del verismo verghiano, descrive e rappresenta la miseria e gli umili della Sicilia postunitaria. Ecco alcune parti significative estrapolate dal testo: Il focolare “Il focolare domestico è stato sempre importante per me. Mi sembrava un amico necessario, che a poco a poco avrebbe voluto prendermi per le mani o per i piedi per tirarmi dentro di sé. Quando mi appassionai ai misteri delle molle e del soffietto mi innamorai della pigrizia del caminetto. E in peregrinazioni vagabonde dello spirito la fiamma che scoppiettava mi fece rivedere una gigantesca fiamma che avevo visto ardere nel focolare della fattoria del Pino alle falde dell’Etna”. Nedda ’a varannisa Quando le ragazze furono stanche venne la volta delle canzonette: -Nedda! Nedda la varannisa! - esclamarono parecchie - Dove si è cacciata la varannisa? - Sono qua! rispose una voce dall’angolo più buio - Ha la mamma che sta per morire - rispose una delle compagne. Nedda lanciò uno sguardo alla ragazza che l’aveva presa in giro. La giovane raccoglitrice di olive Era una ragazza bruna vestita miseramente. Gli occhi erano neri e grandi. Le sue membra schiacciate da pesi enormi erano diventate grossolane. La vendemmia, le messi, la raccolta delle olive, per lei, erano quasi come un passatempo anziché una fatica. Alla fattoria Pioveva e il vento urlava incollerito, le venti o trenta donne che raccoglievano le olive del podere facevano fumare le lori vesti bagnate dalla pioggia dinanzi al fuoco. Quelle che avevano dei soldi in tasca o quelle che erano innamorate cantavano, le altre ciarlavano della raccolta delle olive o della pioggia che rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda filava, il grosso cane color di lupo allungava il muso verso il fuoco. Nel tempo che si coceva la minestra, il pecoraio si mise a suonare una certa arietta montanina. I cenci svolazzavano allegramente e le fave ballavano nella pentola borbottando in mezzo alla schiuma. Il cattivo tempo La varannisa imprecò contro il cattivo tempo e la castalda intonò il rosario e le ave Maria accompagnate da qualche sbadiglio. Prima di giorno le più mattiniere erano uscite per vedere che tempo facesse. Correva su tutte le bocche la parola “piove”. La giornata era fredda e nebbiosa e delle ragazze dissero che sarebbe stata un’altra giornata andata a male. A Ravanusa Nedda disse addio alle ragazze e si incamminò verso Ravanusa, anche se, era già sera e sua madre stava male. Di tempo in tempo un pensiero doloroso le stringeva il cuore e durante il percorso, inciampando, si tagliò un piede, ma continuò e quando fu ai primi alberi del diritto viale di Ravanusa incontrò Janu. Nella giornata che seguì il medico visitò l’anziana donna e successivamente anche il curato fece una mesta funzione con l’olio santo. L’incontro con lo zio Mentre Nedda andava a comprare le medicine incontrò lo zio Giovanni che le disse che non c’era più bisogno delle medicine, difatti quello stesso giorno l’anziana madre morì. Il giorno dopo vennero i becchini, il sagrestano e le comari. Nedda ripose la madre nella bara e le mise tra le mani un garofano. Lo zio Giovanni la trovò ritta sull’uscio e le si sedette vicino. Le ragazze del paese La ragazza disse allo zio che ora poteva andare a cercare lavoro perché non aveva più nessuno. Nedda decise che sarebbe andata alla Roccella per la raccolta delle olive e al ritorno avrebbe restituito i soldi che le aveva prestato lo zio. Tutte le ragazze del paese sparlarono di lei perché sarebbe andata a lavorare il giorno dopo la morte della madre. Janu … il giorno dopo quando aprì la finestra lo trovò col suo bel vestito nuovo e le mani forzate dentro le tasche. Lei, stupita, gli chiese il «perché» della sua visita; la sua risposta fu che tornava alla Piana perché il suo padrone lo aveva licenziato. I due ragazzi, dopo aver conversato a lungo, decisero che sarebbero andati insieme a Bongiardo per cercare lavoro e lo trovarono. L’amore e la miseria Un giorno Janu chiese a Nedda il perché del raglio dell’asino; lei non rispose e lui le spiegò che gli asini ragliano quando sono innamorati. Janu, tornando dalla piana, si sentì male e spiegò a Nedda che a causa delle febbri aveva dovuto spendere quei pochi soldi che aveva racimolato. Disse che dopo la rimondatura degli ulivi, a Mascalucia, si sarebbero potuti sposare. Egli aveva l’aria triste e la guardava con gli occhi luccicanti. Nedda si accorse che lui aveva la febbre. La morte Il giorno dopo Janu cadendo da un albero a causa della febbre si fece molto male e successivamente morì. Quando Nedda andava a cercare lavoro le ridevano in faccia. Grazie all’aiuto dello zio Giovanni lei non perì di fame ma la figlioletta morì di stenti in pieno inverno. La giovane donna cercò di rianimarla ma invano e così si lasciò cadere in una preghiera alla Santa Vergine che ringraziò per non aver fatto soffrire troppo sua figlia. Da “Vita dei campi”: Cavalleria rusticana Turiddu quando tornò dal servizio militare trovò un’amara sorpresa: la sua amata, Lola, si era sposata con un carrettiere di Licodia, compare Alfio. Appena lo seppe si infuriò, e si sfogò cantando motivetti di indignazione sotto la finestra di Lola. La novella inizia con il dialogo tra Turiddu Macca e Lola. ” Incontrò Lola che era appena tornata dal viaggio alla Madonna del Pericolo. Questa, quando lo rivide, non si imbarazzò, ma lo ignorò come se non lo conoscesse. Turiddu le ricordò tutti i momenti trascorsi insieme, le serenate sotto la sua finestra; ma, ormai, il loro legame si era spezzato . Turiddu camminava per la strada con la pipa in bocca, le mani in tasca, indifferente e guardava le ragazze per la via; ma, in realtà, invidiava Alfio e cercava di far ingelosire Lola. Turiddu entrò in casa di Cola e iniziò a stuzzicare Santa, la figlia del viticoltore. Santa, però, gli chiese il motivo per cui non andava a stuzzicare Lola. Turiddu le rispose che si era sposata con un uomo molto ricco. La donna ribattè che lei non avrebbe mai potuto sposare un uomo altrettanto ricco, ma il giovane incalzò dicendole che era molto più affascinante e bella di Lola. Santa a sua volta disse con un proverbio:” quando la volpe all’uva non può arrivare…” e lui concluse: “quanto sei bella uva mia”. -Ohè, quelle mani Turiddu! Disse Santa. -Pensate che vi mangi e avete paura? Le rispose Turiddu -Io non ho paura di voi. Affermò Santa. -Lo so, avete il sangue iracondo, vi mangerei con gli occhi. l’opera contesa Cavalleria rusticana fu la prima opera composta da Pietro Mascagni ed è certamente la più famosa fra le sedici opere composte dal compositore livornese. Il suo successo fu enorme e tale è rimasto fino a oggi. Venne presentata a Roma al teatro Costanzi, il 17 maggio 1890 ed in seguito, nel dicembre 1917, venne rappresentata al Teatro Reale di Madrid. Prima della morte di Mascagni, avvenuta nel 1945, l'opera era già stata replicata più di quattordicimila volte solo in Italia. Nel 1888 l'editore milanese Edoardo Sonzogno annunciò un concorso aperto a tutti i giovani compositori italiani che non avevano ancora rappresentato una loro opera. I partecipanti dovevano scrivere una composizione costituita da un unico atto e le tre migliori produzioni sarebbero state messe in scena a Roma a spese dello stesso Sonzogno. Mascagni, all'epoca risiedeva a Cerignola, in provincia di Foggia, dove dirigeva la locale banda musicale; venuto a conoscenza del concorso solo due mesi prima della chiusura delle iscrizioni, chiese al suo amico Giovanni Tozzetti, poeta e professore di letteratura, di scrivere un libretto. Tozzetti scelse Cavalleria rusticana, una novella popolare di Giovanni Verga come base per l'opera. Egli e il suo collega Guido Menasci lavorarono per corrispondenza con Mascagni, mandandogli i versi su delle cartoline. L'opera fu completata l'ultimo giorno valido per l'iscrizione al concorso. In tutto, furono esaminate settantatrè opere e il 5 marzo 1890 la giuria selezionò le tre opere da rappresentare a Roma: Labilia di Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo Ferroni e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. La prima rappresentazione di Cavalleria rusticana ebbe un successo inaudito e Mascagni venne chiamato sul palco dagli applausi del pubblico. L’opera fu rappresentata in tutta Italia, oltre che a Berlino, a Budapest e a Londra. Cavalleria rusticana ebbe il suo debutto in America a Philadelphia, al Grand Opera House il 9 settembre 1891. Verga denuncia Mascagni VS Verga decise di far causa al giovane per plagio, perché aveva paura di vedere dimenticata la propria versione letteraria. Egli pretese la quota per i diritti d’autore. Mascagni gli offrì mille lire (3.500 euro), ma Verga rifiutò. Così Mascagni e Sonzogno dovettero pagare ben 143 mila lire che equivalgono a 350 mila 500 euro. Il romanzo è una narrazione in prosa, caratterizzata da un intreccio più o meno complesso e suddiviso in episodi. La definizione del genere romanzo è molteplice: il romanzo è un genere misto, nasce in un momento di crisi di valori come surrogato del poema epico e della tragedia, che fornivano “modelli” a una società antica ed aristocratica. STORIA DI UNA CAPINERA Romanzo epistolare di Giovanni Verga ll romanzo è in parte autobiografico: prende spunto, infatti, da una vicenda vissuta in prima persona da Giovanni Verga, in età giovanile. La protagonista del romanzo è Maria, all'epoca diciannovenne, rimasta orfana di madre da bambina e rinchiusa all'età di sette anni in un convento di Catania, destinata a diventare monaca di clausura per motivi di indigenza economica. A poca distanza dalla casa di Maria, in fondo alla valle, abitano i Valentini, molto amici della sua famiglia e con i quali trascorrono parecchio tempo. Maria diventa così amica intima di Annetta, figlia dei Valentini e sua coetanea. Conosce anche il figlio maggiore, Antonio, che tutti chiamano Nino. La situazione peggiora quando Nino le fa capire di ricambiare gli stessi sentimenti d'amore e la invita a lasciare il convento. Maria in seguito alle parole di Nino cade subito in depressione. Cessato l'allarme dell'epidemia, la famiglia Valentini decide di fare ritorno a Catania. La notte prima di partire Nino si presenta alla finestra di Maria per salutarla, ma la giovane, ancora in convalescenza e fortemente a disagio, cade in preda ad un pesante attacco di tosse che le fa perdere i sensi. Il 6 aprile 1856 Maria prende finalmente i voti. Alla cerimonia assistono tutti i suoi familiari, compreso un pallido Nino che la guarda. L'essere diventata suora a tutti gli effetti non produce alcun balsamo alle sue sofferenze: anzi, più cerca di reprimere i suoi sentimenti, più questi la tormentano, accrescendo il suo senso di colpa e di dannazione eterna, combattuta tra l'amore per il suo peccato e i suoi doveri di suora. Questa storia si conclude con la morte di Maria che straziata dal bisogno di vedere Nino svenne, fu portata all’ospedale e morì dopo tre giorni STORIA DI UNA CAPINERA Romanzo epistolare di Giovanni Verga La protagonista del romanzo è Maria; il primo periodo del colera viene vissuto da quest’ultima a Monte Ilice che rappresenta tutto l'opposto dell'ambiente claustrale da lei conosciuto. Il racconto fu scritto tra il giugno e il luglio 1869. Il 25 novembre 1869, tornato temporaneamente a Catania, Verga spedisce il romanzo a Francesco Dall'Ongaro, Maria desidera vivere quel senso di libertà, fino ad allora sconosciuto. A quest’emozione nuova ed improvvisa si aggiunge poi la felicità di vivere l‘«amore» che solo la famiglia può dare. In quest'atmosfera solare, la sola ombra che offusca il cuore di Maria è il pensiero di dover tornare alla vita di clausura, ora che sa cosa offre il mondo esterno. Storia di una capinera E’ un romanzo epistolare, genere che aveva conosciuto illustri precedenti, da Rousseau a Foscolo. Nel romanzo la protagonista Maria scrive all’amica Marianna, le sue lettere coprono un arco di circa due anni, dal 3 settembre 1854 al 24 settembre 1856. Sono seguite da due lettere senza data e dall’annuncio della morte di Maria siglato da suor Filomena. Maria è un educanda orfana di madre; trascorre l’estate del 1854, in una tenuta alle pendici dell’Etna, con il padre e la matrigna, fuori dal convento dove abitualmente risiede. Qui ella incontra il giovane Nino, come lei sfollato assieme alla famiglia per sfuggire all’epidemia di colera che incombe su Catania. La vita libera e spensierata all’aria aperta, nell’incanto dei boschi e delle campagne, avvicina i due giovani. Nella lettera del 10 novembre 1854 Maria confida a Marianna di essersi innamorata del giovane Nino; ma vorrebbe ritornare al raccoglimento e al silenzio claustrale. La storia d’amore tra i due giovani prosegue: s’incontrano, si sfiorano, si baciano. Nella lettera del 21 novembre Maria è consapevole di essere amata e ciò la trasforma: la vita del convento le sembra adesso soffocante e vuota. Viene separata a forza dal giovane Nino; si ammala e, una volta guarita, viene rinchiusa definitivamente in convento. La terza parte si apre, un anno dopo, con la lettera dell’8 febbraio 1856. Maria sta per fare la promessa dei voti perpetui, ma è molto malata. Intanto le annunciano che la sorella Giuditta sposerà Nino. Per il dolore, Maria entra in un delirio quasi folle. Tenta la fuga, ma senza successo: perciò viene reclusa nella cella delle monache pazze. Lì, l’unica ad avere compassione di lei è suor Agnese, ridotta a una sorta di larva umana. In una lettera conclusiva suor Filomena rievoca gli ultimi giorni di Maria, i commoventi funerali, le sue ultime volontà. Il primo romanzo che procurò al giovane Verga notorietà e successo fu «Storia di una capinera». Composto nell’estate del 1869, dapprima fu stampato a puntate nel 1870 sul periodico « La rimatrice»; quindi venne pubblicato a Milano nel 1871 dall’editore Lampugnani, dopo essere stato rifiutato da Treves. Nella prefazione introduttiva, Francesco Dall’Ongaro (18081873) definì il romanzo come lettere di una monachella siciliana scritte e scambiate con una sua compagna […] pagine d’una vita di dolore e abnegazione, con il fine di commuovere e di emozionare. Il tema della monacazione forzata, è oggetto di narrazione in varie opere, come «La monaca» (1796) di Denis Didierot e «I promessi sposi» manzoniani. Del resto l’abitudine di spingere al convento giovani privi di vocazione (lo scopo era quello di passare al primogenito l’intero patrimonio indiviso) era ancora molto diffusa nella Sicilia dell’epoca di Verga, malgrado la legge del 1867 che aveva soppresso le corporazioni religiose. Storia Di Una Capinera I Personaggi. Questo famoso romanzo narra la storia di una giovane donna che, destinata al convento, vede svanire davanti ai suoi occhi l’amore della sua vita. Maria Giovanni Verga descrive la protagonista, come una capinera "timida, triste e malaticcia" in gabbia. Maria è una giovane novizia che a causa del colera esce dal convento per rifugiarsi presso Monte Ilice con la famiglia e durante questo breve periodo scopre un mondo diverso rispetto a quello che aveva sempre conosciuto. Il padre di Maria è uomo buono, che ama molto i suoi figli e fa di tutto per renderli felici; egli nutre un affetto particolare per Maria. Nino è il vicino di casa di Maria, di cui ella, assai ingenua, s’innamora perdutamente. Giuditta è la sorellastra della protagonista che sposerà Nino, di cui poi rimarrà incinta. Romanzi/ Novelle: Trama: Personaggi: luoghi: CAVALLERIA RUSTICANA La Novella racconta la storia di Turiddu Macca, figlio di Nunzia che, tornato dal servizio militare, viene a sapere che Lola, figlia del massaio Angelo, già in passato compromessa, si er>a sposata con compare Alfio, carrettiere di Licodia. Il geloso Turiddu vuole vendicarsi dell'affronto; così inizia a corteggiare Santa, la figlia del massaio Cola. I due innamorati ogni sera trascorrono il tempo a chiacchierare e a dirsi parole dolci Turiddu Macca, Nunzia, Il massaio Cola, Angelo e Lola. Ambientata a Vizzini e pubblicata a Milano. STORIA DI UNA CAPINERA La protagonista del romanzo è Maria, all'epoca diciannovenne, rimasta orfana di madre da bambina e rinchiusa all'età di sette anni in un convento di Catania, destinata a diventare monaca di clausura Maria,Nino, Giuditta Ambientata a Vizzini Nedda, Janu Ambientato a Viagrande per motivi di indigenza economica NEDDA La storia è incentrata su Nedda, chiamata la "varannisa", una semplice, innocente e rassegnata raccoglitrice di olive di Viagrande ma che abita a Ravanusa (località nei pressi di San Giovanni la Punta). Nedda, per aiutare la madre ammalata e che in seguito morirà, è costretta a vagare di fattoria in fattoria in cerca di occupazione, sostenuta solamente dall'amore per Janu, il contadino che lavora con lei. Interpretazioni e critica sul verismo verghiano “Giovanni Verga è stato uno scrittore che non ha conosciuto il geniale fastidio di una chiassosa celebrità (…). È passato, lasciando in retaggio agli uomini un tesoro di arte; gli uomini hanno inventariato frettolosamente questo tesoro, senza troppo discuterlo e senza troppo favoleggiare sul liberale e modesto donatore.” Con queste parole, il critico Luigi Russo commenta e definisce il mondo verghiano. Il Verga ha fatto arte nuda di moralità: Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, Vita dei Campi, le Novelle Rusticane, sono tutt’altro che intessute di regole e regolette di vita. I proverbi di Padron ’Ntoni e le sentenze secche e gravi che ripetono con ritmo monotono i contadini siciliani sono davvero “roba “di anime semplicette che non sanno nulla! […] Ma non si può dire che l’interesse del Verga per le storie delle sue novelle e dei suoi romanzi, sia di moralista, di pessimista, di filosofo o umorista; nella sua arte c’è pessimismo, filosofia, umorismo, ma riversato nelle parole dei protagonisti e, direi, anche nelle cose. L’interesse genuino dell’artista è quello di un “uomo di passione”, drammatico nei suoi affetti che abbiamo conosciuto giovane nelle storie romanzesche d’amore e che ritroviamo, in questo nuovo periodo , spoglio di qualsiasi traccia di romanticismo esteriore, sobrio e intenso nelle parole, “perchè novellando par che completi il racconto con gesti e che nell’inflessione di voce trattenga e contenga tutta la sua commozione per le angosce, le miserie e le tragedie dei suoi poveri diavoli”. Così dal dramma d’immaginazione delle opere giovanili si passa al dramma colto della vita semplice e primitiva dei contadini e dei pescatori di Sicilia; dal romanzesco si passa a ciò che è intrinsecamente drammatico, dove le passioni persuadono per una loro interna logica e non per artificio o per l’ intervento sentimentale dello scrittore». Il critico Luperini sottolinea che: «Nella tecnica narrativa di Verga non c’è solo un artificio della regressione, ma anche un "artificio dello straniamento". Si fonda su due elementi: la differenza fra il punto di vista dell’ autore e quello del narratore; la conseguente rappresentazione di ciò che è "normale" (ed anche eticamente positivo) come "strano" (eticamente negativo) e viceversa. In ossequio al canone dell’impersonalità, Verga non interviene mai per esprimere il suo punto di vista (diverso da, anzi contrario a quello del narratore), mantiene “una distanza ironica, un attrito, fra la logica del coro narrante e quella dell’autore“, per cui noi sentiamo che la verità morale è altra da quella enunciata dal narratore (il quale, in quanto si identifica con la coralità del paese, è portavoce di un’ottica unicamente economica, che implica uno stravolgimento profondo dei rapporti umani, sottoposti alla legge dell’utile e della sopraffazione). Bibliografia Testi e immagini tratti da: doc.studenti.it › appunti › materie › superiori › storia www.treccani.it › Enciclopedia C. Greco Lanza Giovanni Verga narratore Ed. Greco 1980 C. Greco Lanza Incontro col Verga Ed. Greco 1984 A cura di C. Greco Lanza Giovanni Verga Tutte le novelle Ed. Gulliver 1987 Romano Luperini: Interpretazione del Verga, Savelli, Roma,1975 Lavori realizzati da: Anastasio Giuseppe, Anzaldi Andrea, Basile Ester, Cantone Michelangelo, Cantone Paolo, Carpino Giorgia, Coco Samuele, Di Benedetto Gaetano, Di Salvo Giuseppe, Gimbo Virginia, Lo Presti Laura, Morgante Paola, Musumeci Giorgia, Musumeci Giulia, Pennisi Lorenzo, Puglisi Angela Sara, Puglisi Marco, Romano Giada, Sanfilippo Ornella, Sangiorgi Alberto, Scuderi Lucia, Torrisi Marisa, Virzì Alberto. Percorso didattico ideato da Maria Teresa Oliveto e Santa Ragusa