Istituto Comprensivo
“Giovanni Verga”
Viagrande
Dirigente Scolastico
Lucia Palazzo
Anno Scolastico 2013-2014
Viagrande e Verga
… la visione «amara» di una terra, degli umili ,
degli oppressi, dei «vinti» raccontata dai nostri
ragazzi, grazie alla lettura di alcuni testi di un
grande autore siciliano.
Viagrande ha origini antiche; i primi insediamenti risalgono,
infatti, agli antichi greci, come testimoniano alcune urne
cinerarie e lacrimatoi trovati nel 1872 in contrada Monte Serra.
Il nome Viagrande potrebbe derivare dall'antica via che
conduceva a Messina, ricordata dall'abate Amico quale via
importante che passava per il primo nucleo del paese, o dalla
via che, partendo da Catania, giungeva alla Chiesa di Sant'
Antonio di Padova.
Nel 1124 si costituiscono i borghi: Velardi,
Viscalori e S. Antonino.
Il grande sviluppo di Viagrande iniziò dopo il
1408, con la coltivazione in vigneti delle
campagne attorno al paese.
Nel 1837, a seguito dei moti rivoluzionari, Viagrande sostenne
Catania insieme ad altri paesi.
Alla notizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala i viagrandesi
posero il tricolore sul campanile della Chiesa Madre.
Dopo la sconfitta, presso
Milazzo, dell’ esercito
borbonico ad opera dei
garibaldini, un gruppo di
cittadini inviò all’ «Eroe
dei due mondi» :
quindici quintali di pasta , 26 salme di vino, una cassa di filacce e
fasce confezionate dalle donne di Viagrande.
La Sicilia durante il Regno d’Italia
Nel Meridione la mafia esisteva fin dalla
dominazione araba. Varie erano le attività legate
alla malavita locale che imperversava nel
territorio siciliano; per questo il nuovo governo
emanò dei provvedimenti per risolvere la
“questione”.
Nel 1863, in Sicilia fu applicata la legge marziale dal generale
Govone; essa prevedeva la fucilazione immediata e senza
processo di coloro i quali avevano infranto la legge.
Le condizioni economiche del popolo siciliano peggiorarono sempre
di più a causa dell'aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima
necessità.
L'aggravarsi della situazione fu legata all'opportunismo dei grandi
proprietari terrieri che determinarono l’aumento del brigantaggio
postunitario nell'isola.
Il Regno delle Due Sicilie
non aveva un elevato debito
pubblico a causa della bassa
quantità di investimenti in
opere di modernizzazione.
Sulle spalle dei siciliani,
abituati ad un’ unica tassa sul
reddito che copriva tutte le
spese pubbliche ed anche
locali, si aggiunsero nuove
tasse comunali e provinciali,
come il "focatico“: la tassa sul
macinato.
La politica governativa del libero scambio comportò la
disincentivazione della produzione della seta siciliana e così avvenne
anche per la locale industria alimentare; perfino i settori dell’industria
pesante regredirono per mancanza di commesse e fondi.
Le città siciliane più ricche, grazie all'afflusso costante di gente in
cerca di lavoro proveniente dall‘entroterra, videro aumentare la loro
popolazione e con essa i problemi sociali.
Mentre
perdurava
il
brigantaggio e il malessere
sociale, nascevano i primi
fermenti di coscienza sociale e
collettiva; nel 1892, dopo un
congresso operaio a Palermo,
nacquero i Fasci dei lavoratori.
In seguito, venne reclamata la
divisione dei fondi da parte dei
contadini e la soppressione dei
"gabellotti".
Nel 1893, scoppiarono gravi sommosse nell’isola; fu così data
occasione a Francesco Crispi di reprimere e sciogliere i "Fasci".
Il sottosviluppo, l’analfabetismo, l’alta mortalità infantile, unitamente
alla febbre malarica e alle disumane condizioni di lavoro nelle zolfare,
fecero sì che il governo nazionale, a partire dal 1882, incoraggiasse
l’emigrazione verso il nord America, soprattutto negli Stati Uniti,
Brasile, Argentina e sud America.
L’ISTRUZIONE NEL MERIDIONE
DOPO L’UNITA’
Gli analfabeti in Italia nel 1861
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
piemone
liguria
lombardia
emilia r.
marche
toscana
umbria
puglia
sicilia
sardegna
Si sono sempre notate delle
differenze tra il nord e il sud
Italia, di solito a sfavore del
Meridione. Una di queste
differenze
riguarda
l’
istruzione.
Nel grafico precedente viene
evidenziato che il tasso di
analfabetismo era più alto al
sud, in particolare, in Sicilia e
in Sardegna.
La Legge Casati entra in
vigore, inizialmente, nel
1860 in Sardegna; viene
estesa a tutta l’Italia un
anno dopo.
Essa prevedeva il diritto
allo
studio
e
l’insegnamento
della
Religione cattolica
In seguito la Legge Coppino
rese
obbligatoria
la
frequenza scolastica per un
minimo di 3 anni; sancì la
gratuità
della
scuola
elementare e introdusse le
prime sanzioni per chiunque
non rispettasse le regole
(mancanti nella legge Casati)
Questa legge però, non fu mai attuata
completamente, perché le spese scolastiche
erano a carico dei singoli Comuni che, spesso,
non riuscivano a sostenerle.
Alla fine queste leggi non
furono mai pienamente
approvate in Sicilia.
L’ Unità d’ Italia avrebbe
dovuto
portare
all’
uguaglianza, ma in realtà non
siamo mai stati tutti uguali.
Naturalismo e Verismo
Terminata la fase delle unificazioni nazionali che riguardavano
paesi come Italia e Germania, cominciò una difficile ricerca
dell'equilibrio. Dal punto di vista politico, i governi europei
accentuarono la tendenza a soluzioni autoritarie.
Dopo la proclamazione del Regno d'Italia (1861), il potere fu gestito
dalla Destra storica. In economia si passò dal liberismo al
protezionismo, si ebbe una nuova fase di espansione economica, con
la diffusione di nuove tecnologie grazie alla scoperta dell'elettricità e
all'uso del petrolio come fonte di energia.
In Italia , dopo l’ Unità, nasce il Verismo
un movimento letterario che tende a
descrivere la vita della gente umile, dei
reietti della società che si affannano nella
lotta per la sopravvivenza, contro la
fatalità del destino. Esso si ispira al
Naturalismo francese, in particolare , al
grande scrittore E. Zola.
Il Naturalismo è una corrente letteraria che nacque in FRANCIA nella
seconda metà del 1800; il termine Naturalismo evidenzia che in questo
periodo dominato dal Positivismo, anche l'arte viene considerata una
disciplina naturale alla quale si può applicare il metodo scientifico. Il
Naturalismo può essere considerato l'aspetto letterario del
Positivismo.
Principi del Naturalismo:
l’OGGETTIVITA’ - lo scrittore
deve
partire
da
fatti
realmente
accaduti
e
ricostruirli
secondo
una
relazione di causa - effetto;
l’IMPERSONALITA‘- lo scrittore
non deve imporre le sue idee, i
sui sentimenti, i sui giudizi,
non deve parteggiare per i suoi
personaggi, deve, invece,
esporre i fatti in modo
freddo e distaccato;
la SCIENTIFICITA’
l’autore deve tenere
conto
delle
leggi
scientifiche che regolano
la società; tutte le azioni
umane devono essere
lette
alla
luce
dell'ambiente
e
dell'ereditarietà .
La novella è una narrazione in
prosa, caratterizzata da brevità e
semplicità; la narrazione è
articolata in un’unica vicenda in
sé conclusa.
NEDDA
“Nedda”, definita “novella rappresentativa” del
verismo verghiano, descrive e rappresenta la
miseria e gli umili della Sicilia postunitaria.
Ecco alcune parti significative estrapolate dal testo:
Il focolare
“Il focolare domestico è stato sempre importante per me. Mi
sembrava un amico necessario, che a poco a poco avrebbe voluto
prendermi per le mani o per i piedi per tirarmi dentro di sé. Quando
mi appassionai ai misteri delle molle e del soffietto mi innamorai della
pigrizia del caminetto. E in peregrinazioni vagabonde dello spirito la
fiamma che scoppiettava mi fece rivedere una gigantesca fiamma che
avevo visto ardere nel focolare della fattoria del Pino alle falde
dell’Etna”.
Nedda ’a varannisa
Quando le ragazze furono
stanche venne la volta delle
canzonette: -Nedda! Nedda la
varannisa! - esclamarono
parecchie - Dove si è cacciata
la varannisa? - Sono qua! rispose una voce dall’angolo
più buio - Ha la mamma che
sta per morire - rispose una
delle compagne. Nedda lanciò
uno sguardo alla ragazza che
l’aveva presa in giro.
La giovane raccoglitrice di olive
Era una ragazza bruna
vestita miseramente. Gli
occhi erano neri e grandi.
Le sue membra schiacciate
da pesi enormi erano
diventate grossolane. La
vendemmia, le messi, la
raccolta delle olive, per lei,
erano quasi come un
passatempo anziché una
fatica.
Alla fattoria
Pioveva e il vento urlava incollerito, le venti o trenta donne che
raccoglievano le olive del podere facevano fumare le lori vesti bagnate
dalla pioggia dinanzi al fuoco. Quelle che avevano dei soldi in tasca o
quelle che erano innamorate cantavano, le altre ciarlavano della
raccolta delle olive o della pioggia che rubava loro il pane di bocca. La
vecchia castalda filava, il grosso cane color di lupo allungava il muso
verso il fuoco. Nel tempo che si coceva la minestra, il pecoraio si mise a
suonare una certa arietta montanina. I cenci svolazzavano
allegramente e le fave ballavano nella pentola borbottando in mezzo
alla schiuma.
Il cattivo tempo
La varannisa imprecò contro il
cattivo tempo e la castalda
intonò il rosario e le ave Maria
accompagnate da qualche
sbadiglio. Prima di giorno le
più mattiniere erano uscite per
vedere che tempo facesse.
Correva su tutte le bocche la
parola “piove”. La giornata era
fredda e nebbiosa e delle
ragazze dissero che sarebbe
stata un’altra giornata andata a
male.
A Ravanusa
Nedda disse addio alle ragazze e
si incamminò verso Ravanusa,
anche se, era già sera e sua madre
stava male. Di tempo in tempo un
pensiero doloroso le stringeva il
cuore e durante il percorso,
inciampando, si tagliò un piede,
ma continuò e quando fu ai primi
alberi del diritto viale di Ravanusa
incontrò Janu. Nella giornata che
seguì il medico visitò l’anziana
donna e successivamente anche il
curato fece una mesta funzione
con l’olio santo.
L’incontro con lo zio
Mentre Nedda andava a
comprare le medicine incontrò
lo zio Giovanni che le disse che
non c’era più bisogno delle
medicine, difatti quello stesso
giorno l’anziana madre morì. Il
giorno dopo vennero i
becchini, il sagrestano e le
comari. Nedda ripose la madre
nella bara e le mise tra le mani
un garofano. Lo zio Giovanni la
trovò ritta sull’uscio e le si
sedette vicino.
Le ragazze del paese
La ragazza disse allo zio che ora poteva andare a cercare lavoro
perché non aveva più nessuno. Nedda decise che sarebbe andata
alla Roccella per la raccolta delle olive e al ritorno avrebbe restituito
i soldi che le aveva prestato lo zio. Tutte le ragazze del paese
sparlarono di lei perché sarebbe andata a lavorare il giorno dopo la
morte della madre.
Janu
… il giorno dopo quando
aprì la finestra lo trovò col suo
bel vestito nuovo e le mani
forzate dentro le tasche. Lei,
stupita, gli chiese il «perché»
della sua visita; la sua risposta
fu che tornava alla Piana
perché il suo padrone lo aveva
licenziato. I due ragazzi, dopo
aver conversato a lungo,
decisero che sarebbero andati
insieme a Bongiardo per
cercare lavoro e lo trovarono.
L’amore e la miseria
Un giorno Janu chiese a Nedda il
perché del raglio dell’asino; lei
non rispose e lui le spiegò che gli
asini ragliano quando sono
innamorati. Janu, tornando dalla
piana, si sentì male e spiegò a
Nedda che a causa delle febbri
aveva dovuto spendere quei
pochi soldi che aveva racimolato.
Disse che dopo la rimondatura
degli ulivi, a Mascalucia, si
sarebbero potuti sposare. Egli
aveva l’aria triste e la guardava
con gli occhi luccicanti. Nedda si
accorse che lui aveva la febbre.
La morte
Il giorno dopo Janu cadendo da un
albero a causa della febbre si fece
molto male e successivamente morì.
Quando Nedda andava a cercare
lavoro le ridevano in faccia. Grazie
all’aiuto dello zio Giovanni lei non
perì di fame ma la figlioletta morì di
stenti in pieno inverno.
La giovane donna cercò di rianimarla
ma invano e così si lasciò cadere in
una preghiera alla Santa Vergine che
ringraziò per non aver fatto soffrire
troppo sua figlia.
Da “Vita dei campi”: Cavalleria rusticana
Turiddu quando tornò dal
servizio militare trovò un’amara
sorpresa: la sua amata, Lola, si
era sposata con un carrettiere di
Licodia, compare Alfio. Appena
lo seppe si infuriò, e si sfogò
cantando
motivetti
di
indignazione sotto la finestra di
Lola.
La novella inizia con il dialogo tra
Turiddu Macca e Lola.
”
Incontrò Lola che era appena tornata dal viaggio alla Madonna del
Pericolo. Questa, quando lo rivide, non si imbarazzò, ma lo ignorò
come se non lo conoscesse.
Turiddu le ricordò tutti i
momenti trascorsi insieme, le
serenate sotto la sua finestra;
ma, ormai, il loro legame si
era spezzato .
Turiddu camminava per la
strada con la pipa in bocca, le
mani in tasca, indifferente e
guardava le ragazze per la via;
ma, in realtà, invidiava Alfio e
cercava di far ingelosire Lola.
Turiddu entrò in casa di Cola e
iniziò a stuzzicare Santa, la figlia
del viticoltore.
Santa, però, gli chiese il motivo
per cui non andava a stuzzicare
Lola. Turiddu le rispose che si era
sposata con un uomo molto
ricco.
La donna ribattè che lei non
avrebbe mai potuto sposare un
uomo altrettanto ricco, ma il
giovane incalzò dicendole che
era molto più affascinante e bella
di Lola.
Santa a sua volta disse con
un proverbio:” quando la
volpe all’uva non può
arrivare…” e lui concluse:
“quanto sei bella uva mia”.
-Ohè, quelle mani Turiddu!
Disse Santa.
-Pensate che vi mangi e
avete paura? Le rispose
Turiddu
-Io non ho paura di voi.
Affermò Santa.
-Lo so, avete il sangue
iracondo, vi mangerei con gli
occhi.
l’opera contesa
Cavalleria rusticana fu la prima opera composta
da Pietro Mascagni ed è certamente la più
famosa fra le sedici opere composte dal
compositore livornese. Il suo successo fu
enorme e tale è rimasto fino a oggi. Venne
presentata a Roma al teatro Costanzi, il 17
maggio 1890 ed in seguito, nel dicembre 1917,
venne rappresentata al Teatro Reale di Madrid.
Prima della morte di Mascagni, avvenuta nel
1945, l'opera era già stata replicata più di
quattordicimila volte solo in Italia.
Nel 1888 l'editore milanese Edoardo Sonzogno
annunciò un concorso aperto a tutti i giovani
compositori italiani che non avevano ancora
rappresentato una loro opera. I partecipanti
dovevano scrivere una composizione costituita
da un unico atto e le tre migliori produzioni
sarebbero state messe in scena a Roma a spese
dello stesso Sonzogno.
Mascagni, all'epoca risiedeva a Cerignola, in provincia di Foggia,
dove dirigeva la locale banda musicale; venuto a conoscenza del
concorso solo due mesi prima della chiusura delle iscrizioni,
chiese al suo amico Giovanni Tozzetti, poeta e professore di
letteratura, di scrivere un libretto.
Tozzetti
scelse
Cavalleria
rusticana, una novella popolare di
Giovanni Verga come base per
l'opera. Egli e il suo collega Guido
Menasci
lavorarono
per
corrispondenza con Mascagni,
mandandogli i versi su delle
cartoline. L'opera fu completata
l'ultimo
giorno
valido
per
l'iscrizione al concorso. In tutto,
furono esaminate settantatrè
opere e il 5 marzo 1890 la giuria
selezionò le tre opere da
rappresentare a Roma: Labilia di
Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo
Ferroni e Cavalleria rusticana di
Pietro Mascagni.
La prima rappresentazione di
Cavalleria rusticana ebbe un
successo
inaudito
e
Mascagni venne chiamato sul
palco dagli applausi del
pubblico.
L’opera fu rappresentata in
tutta Italia, oltre che a
Berlino, a Budapest e a
Londra.
Cavalleria rusticana ebbe il
suo debutto in America a
Philadelphia, al Grand Opera
House il 9 settembre 1891.
Verga denuncia Mascagni
VS
Verga decise di far
causa al giovane
per plagio, perché
aveva paura di
vedere dimenticata
la propria versione
letteraria.
Egli pretese la
quota per i diritti
d’autore.
Mascagni gli offrì
mille lire (3.500
euro), ma Verga
rifiutò. Così
Mascagni e
Sonzogno
dovettero pagare
ben 143 mila lire
che equivalgono a
350 mila 500 euro.
Il romanzo
è una narrazione in prosa, caratterizzata da un intreccio più
o meno complesso e suddiviso in episodi. La definizione del
genere romanzo è molteplice: il romanzo è un genere
misto, nasce in un momento di crisi di valori come surrogato
del poema epico e della tragedia, che fornivano “modelli” a
una società antica ed aristocratica.
STORIA DI UNA CAPINERA
Romanzo epistolare
di Giovanni Verga
ll romanzo è in parte
autobiografico: prende
spunto, infatti, da una
vicenda vissuta in prima
persona da Giovanni
Verga, in età giovanile.
La protagonista del romanzo è Maria, all'epoca
diciannovenne, rimasta orfana di madre da
bambina e rinchiusa all'età di sette anni in un
convento di Catania, destinata a diventare
monaca di clausura per motivi di indigenza
economica.
A poca distanza dalla casa di
Maria, in fondo alla valle,
abitano i Valentini, molto amici
della sua famiglia e con i quali
trascorrono parecchio tempo.
Maria diventa così amica
intima di Annetta, figlia dei
Valentini e sua coetanea.
Conosce anche il figlio
maggiore, Antonio, che tutti
chiamano Nino.
La situazione peggiora quando Nino le fa capire di
ricambiare gli stessi sentimenti d'amore e la invita a
lasciare il convento.
Maria in seguito alle parole di Nino cade subito in
depressione.
Cessato
l'allarme
dell'epidemia, la famiglia
Valentini decide di fare
ritorno a Catania. La
notte prima di partire
Nino si presenta alla
finestra di Maria per
salutarla, ma la giovane,
ancora in convalescenza
e fortemente a disagio,
cade in preda ad un
pesante attacco di tosse
che le fa perdere i sensi.
Il 6 aprile 1856 Maria prende finalmente i voti.
Alla cerimonia assistono tutti i suoi familiari,
compreso un pallido Nino che la guarda.
L'essere diventata suora a tutti gli effetti non produce alcun
balsamo alle sue sofferenze: anzi, più cerca di reprimere i suoi
sentimenti, più questi la tormentano, accrescendo il suo senso di
colpa e di dannazione eterna, combattuta tra l'amore per il suo
peccato e i suoi doveri di suora.
Questa storia si conclude con la
morte di Maria che straziata dal
bisogno di vedere Nino svenne,
fu portata all’ospedale e morì
dopo tre giorni
STORIA DI UNA
CAPINERA
Romanzo epistolare di Giovanni
Verga
La protagonista del romanzo è Maria; il primo
periodo del colera viene vissuto da quest’ultima a
Monte Ilice che rappresenta tutto l'opposto
dell'ambiente claustrale da lei conosciuto.
Il racconto fu scritto tra il
giugno e il luglio 1869. Il 25
novembre 1869, tornato
temporaneamente a Catania,
Verga spedisce il romanzo a
Francesco Dall'Ongaro,
Maria desidera vivere quel
senso di libertà, fino ad
allora
sconosciuto.
A
quest’emozione nuova ed
improvvisa si aggiunge poi la
felicità di vivere l‘«amore»
che solo la famiglia può
dare.
In quest'atmosfera solare,
la sola ombra che offusca il
cuore di Maria è il pensiero
di dover tornare alla vita di
clausura, ora che sa cosa
offre il mondo esterno.
Storia di una capinera
E’ un romanzo epistolare,
genere che aveva conosciuto
illustri
precedenti,
da
Rousseau a Foscolo.
Nel romanzo la protagonista
Maria
scrive
all’amica
Marianna,
le sue lettere
coprono un arco di circa due
anni, dal 3 settembre 1854 al
24 settembre 1856. Sono
seguite da due lettere senza
data e dall’annuncio della
morte di Maria siglato da suor
Filomena.
Maria è un educanda orfana di madre; trascorre l’estate del 1854, in
una tenuta alle pendici dell’Etna, con il padre e la matrigna, fuori dal
convento dove abitualmente risiede. Qui ella incontra il giovane
Nino, come lei sfollato assieme alla famiglia per sfuggire all’epidemia
di
colera
che
incombe
su
Catania.
La vita libera e spensierata all’aria aperta, nell’incanto dei boschi e
delle campagne, avvicina i due giovani.
Nella lettera del 10 novembre 1854 Maria confida a Marianna di
essersi innamorata del giovane Nino; ma vorrebbe ritornare al
raccoglimento e al silenzio claustrale.
La storia d’amore tra i due
giovani prosegue:
s’incontrano, si sfiorano, si
baciano. Nella lettera del 21
novembre
Maria
è
consapevole di essere amata e
ciò la trasforma: la vita del
convento le sembra adesso
soffocante e vuota.
Viene separata a forza dal
giovane Nino; si ammala e, una
volta guarita, viene rinchiusa
definitivamente in convento.
La terza parte si apre, un anno
dopo, con la lettera dell’8
febbraio 1856.
Maria sta per fare la promessa dei voti perpetui, ma è molto malata.
Intanto le annunciano che la sorella Giuditta sposerà Nino.
Per il dolore, Maria entra in un delirio quasi folle.
Tenta la fuga, ma senza
successo: perciò viene reclusa
nella cella delle monache
pazze. Lì, l’unica ad avere
compassione di lei è suor
Agnese, ridotta a una sorta di
larva umana. In una lettera
conclusiva suor Filomena
rievoca gli ultimi giorni di
Maria, i commoventi funerali,
le sue ultime volontà.
Il primo romanzo che procurò
al giovane Verga notorietà e
successo fu «Storia di una
capinera».
Composto
nell’estate del 1869, dapprima
fu stampato a puntate nel
1870 sul periodico « La
rimatrice»;
quindi
venne
pubblicato a Milano nel 1871
dall’editore Lampugnani, dopo
essere stato rifiutato da Treves.
Nella prefazione introduttiva,
Francesco Dall’Ongaro (18081873) definì il romanzo come
lettere di una monachella
siciliana scritte e scambiate
con una sua compagna […]
pagine d’una vita di dolore e
abnegazione, con il fine di
commuovere e di emozionare.
Il tema della monacazione
forzata,
è
oggetto
di
narrazione in varie opere,
come «La monaca» (1796) di
Denis Didierot e «I promessi
sposi» manzoniani. Del resto
l’abitudine di spingere al
convento giovani privi di
vocazione (lo scopo era quello
di passare al primogenito
l’intero patrimonio indiviso)
era ancora molto diffusa nella
Sicilia dell’epoca di Verga,
malgrado la legge del 1867 che
aveva
soppresso
le
corporazioni religiose.
Storia Di Una Capinera
I Personaggi.
Questo famoso romanzo narra la storia di una
giovane donna che, destinata al convento, vede
svanire davanti ai suoi occhi l’amore della sua
vita.
Maria
Giovanni Verga descrive la protagonista, come una capinera
"timida, triste e malaticcia" in gabbia. Maria è una giovane
novizia che a causa del colera esce dal convento per rifugiarsi
presso Monte Ilice con la famiglia e durante questo breve
periodo scopre un mondo diverso rispetto a quello che aveva
sempre conosciuto.
Il padre di Maria
è uomo buono, che ama molto i suoi figli e fa di tutto per renderli
felici; egli nutre un affetto particolare per Maria.
Nino
è il vicino di casa di
Maria, di cui ella, assai
ingenua,
s’innamora
perdutamente.
Giuditta
è la sorellastra della protagonista che sposerà Nino, di cui
poi rimarrà incinta.
Romanzi/
Novelle:
Trama:
Personaggi:
luoghi:
CAVALLERIA
RUSTICANA
La Novella racconta la storia di Turiddu
Macca, figlio di Nunzia che, tornato dal
servizio militare, viene a sapere che Lola, figlia
del massaio Angelo, già in passato
compromessa, si er>a sposata con compare
Alfio, carrettiere di Licodia. Il geloso Turiddu
vuole vendicarsi dell'affronto; così inizia a
corteggiare Santa, la figlia del massaio Cola. I
due innamorati ogni sera trascorrono il tempo
a chiacchierare e a dirsi parole dolci
Turiddu Macca, Nunzia, Il massaio Cola,
Angelo e Lola.
Ambientata a Vizzini e pubblicata a
Milano.
STORIA DI UNA
CAPINERA
La protagonista del romanzo è Maria,
all'epoca diciannovenne, rimasta orfana
di madre da bambina e rinchiusa all'età di
sette anni in un convento di Catania,
destinata a diventare monaca di clausura
Maria,Nino, Giuditta
Ambientata a Vizzini
Nedda, Janu
Ambientato a Viagrande
per motivi di indigenza economica
NEDDA
La storia è incentrata su Nedda, chiamata la
"varannisa", una semplice, innocente e
rassegnata raccoglitrice di olive di Viagrande
ma che abita a Ravanusa (località nei pressi di
San Giovanni la Punta). Nedda, per aiutare la
madre ammalata e che in seguito morirà, è
costretta a vagare di fattoria in fattoria in cerca
di occupazione, sostenuta solamente
dall'amore per Janu, il contadino che lavora
con lei.
Interpretazioni e critica
sul verismo verghiano
“Giovanni Verga è stato uno scrittore che non ha conosciuto il geniale
fastidio di una chiassosa celebrità (…). È passato, lasciando in retaggio
agli uomini un tesoro di arte; gli uomini hanno inventariato
frettolosamente questo tesoro, senza troppo discuterlo e senza troppo
favoleggiare sul liberale e modesto donatore.”
Con queste parole, il critico Luigi Russo commenta e definisce il mondo
verghiano.
Il Verga ha fatto arte nuda di moralità: Malavoglia, Mastro Don
Gesualdo, Vita dei Campi, le Novelle Rusticane, sono tutt’altro che
intessute di regole e regolette di vita. I proverbi di Padron ’Ntoni e
le sentenze secche e gravi che ripetono con ritmo monotono i
contadini siciliani sono davvero “roba “di anime semplicette che
non sanno nulla! […]
Ma non si può dire che
l’interesse del Verga per le
storie delle sue novelle e
dei suoi romanzi, sia di
moralista, di pessimista, di
filosofo o umorista; nella
sua arte c’è pessimismo,
filosofia, umorismo, ma
riversato nelle parole dei
protagonisti e, direi, anche
nelle cose.
L’interesse genuino dell’artista è
quello di un “uomo di passione”,
drammatico nei suoi affetti che
abbiamo conosciuto giovane nelle
storie romanzesche d’amore e che
ritroviamo, in questo nuovo periodo ,
spoglio di qualsiasi traccia di
romanticismo esteriore, sobrio e
intenso nelle parole, “perchè
novellando par che completi il
racconto
con
gesti
e
che
nell’inflessione di voce trattenga e
contenga tutta la sua commozione
per le angosce, le miserie e le
tragedie dei suoi poveri diavoli”.
Così dal dramma d’immaginazione delle opere giovanili si passa al
dramma colto della vita semplice e primitiva dei contadini e dei
pescatori di Sicilia; dal romanzesco si passa a ciò che è
intrinsecamente drammatico, dove le passioni persuadono per una
loro interna logica e non per artificio o per l’ intervento sentimentale
dello scrittore».
Il critico Luperini sottolinea che:
«Nella tecnica narrativa di Verga
non c’è solo un artificio della
regressione, ma anche un
"artificio dello straniamento". Si
fonda su due elementi: la
differenza fra il punto di vista
dell’ autore e quello del
narratore;
la
conseguente
rappresentazione di ciò che è
"normale" (ed anche eticamente
positivo)
come
"strano"
(eticamente
negativo)
e
viceversa.
In ossequio al canone dell’impersonalità, Verga non interviene mai
per esprimere il suo punto di vista (diverso da, anzi contrario a quello
del narratore), mantiene “una distanza ironica, un attrito, fra la
logica del coro narrante e quella dell’autore“, per cui noi sentiamo
che la verità morale è altra da quella enunciata dal narratore (il
quale, in quanto si identifica con la coralità del paese, è portavoce di
un’ottica unicamente economica, che implica uno stravolgimento
profondo dei rapporti umani, sottoposti alla legge dell’utile e della
sopraffazione).
Bibliografia
Testi e immagini tratti da:
doc.studenti.it › appunti › materie › superiori › storia
www.treccani.it › Enciclopedia
C. Greco Lanza Giovanni Verga narratore Ed. Greco 1980
C. Greco Lanza Incontro col Verga Ed. Greco 1984
A cura di C. Greco Lanza Giovanni Verga Tutte le novelle Ed. Gulliver
1987
Romano Luperini: Interpretazione del Verga, Savelli, Roma,1975
Lavori realizzati da:
Anastasio Giuseppe, Anzaldi Andrea, Basile Ester,
Cantone Michelangelo, Cantone Paolo, Carpino
Giorgia, Coco Samuele, Di Benedetto Gaetano, Di
Salvo Giuseppe, Gimbo Virginia, Lo Presti Laura,
Morgante Paola, Musumeci Giorgia, Musumeci
Giulia, Pennisi Lorenzo, Puglisi Angela Sara, Puglisi
Marco, Romano Giada, Sanfilippo Ornella,
Sangiorgi Alberto, Scuderi Lucia, Torrisi Marisa,
Virzì Alberto.
Percorso didattico ideato da
Maria Teresa Oliveto e Santa Ragusa
Scarica

formato PDF - Istituto Comprensivo Statale "G. VERGA"