Conflitti DOSSIER Conflitti Editoriale Elettricità dentro, elettricità fuori Videogiochi e schermi, una strada verso lo sviluppo o la sottrazione di risorse creative? 4 Conflitti DOSSIER Video e schermi di Daniele Novara Le ultime ricerche di settore si concentrano non tanto sui contenuti, più o meno violenti, più o meno erotizzanti, di TV, web e videogiochi, quanto sulla dipendenza dal video in quanto tale. Dal punto di vista psicoevolutivo i problemi principali sono due: uno riguarda la sottrazione sensoriale ed esperienziale che deriva dalla permanenza davanti a uno schermo di qualsiasi natura. Quella sensoriale, più grave, colpisce i bambini piccoli che nelle ultime generazioni (complici i canali televisivi sponsorizzati come adatti ai bambini anche sotto l’anno di vita) appaiono particolarmente danneggiati dalla scarsità di vissuti sensoriali. Siamo al punto di dover discutere, come accade ad esempio in Australia, se proibire o meno la TV sotto i due anni. La privazione di esperienze sensoriali produce inevitabili ricadute sul piano del linguaggio: dislessia, disgrafia, disprassia e quant’altro, fino ai disturbi alimentari sempre più anticipati specie nelle bambine. Ma anche la riduzione esperienziale assume forme patogene nello sviluppo dei bambini e dei ragazzi: alcune ricerche denunciano che il tempo passato davanti agli schermi è, in molti casi, supe- riore a quello scolastico e inferiore solo a quello del sonno. Questo inevitabilmente produce sovrappeso sempre più diffuso, e difficoltà nell’apprendimento scolastico ma non solo. L’altro problema, in ordine psicoevolutivo, è senz’altro più inquietante e riguarda l’addiction propriamente detta, ossia la dipendenza dai video in quanto tali. In questo settore si sta cominciando a indagare da poco. avviene con l’uso di sostanze stupefacenti. Il caso dei bambini che al mattino hanno bisogno di passare un po’ di tempo davanti alla TV prima di andare a scuola, con la scusa dei cartoni o soltanto come forma coattiva di comportamento, appare in modo molto preoccupante simile a una vera e propria crisi di astinenza come quelle del tabagista o dell’alcolista. Si è riscontrato però che le immagini virtuali vanno a interagire con le aree cerebrali deputate alle funzioni del piacere e della gratificazione, più o meno come Non bisogna allora confondere il discorso sul contributo di innovazione che le nuove tecnologie, digitali e non, apportano alla nostra vita, segnando l’ingresso in nuovi mondi che possono rivelarsi interessanti per le potenzialità di sviluppo dell’apprendimento umano, con il problema della compulsione virtuale fine a se stessa, che segna drammaticamente il tempo diurno e a volte anche notturno delle ultime generazioni. Le nuove tecnologie aprono la strada allo sviluppo umano, le dipendenze video, viceversa, sottraggono risorse creative alle nuove generazioni. Saper distinguere nettamente fra le due cose è un compito educativo imprescindibile che coinvolge l’intera comunità e non solo i, sempre più confusi, genitori. 5 Conflitti DOSSIER Nuove forme di cultura e di gioco: i nativi digitali protagonisti o vittime? di Francesco Pira Oggi l’utilizzo delle tecnologie sta di fatto annullando le separazioni tra le diverse tipologie di media. Questo dato emerge con ancora più evidenza dagli studi e ricerche che con sistematicità vengono condotte sull’universo dei giovani, bambini e adolescenti, il loro rapporto con i media e le nuove tecnologie. È evidente che non ci riferiamo solo e semplicemente al gioco, all’ utilizzo della tecnologia, stiamo parlando di digitali nativi e di come si sviluppa la comunicazione e la relazione in un mondo caratterizzato dalla pervasione della tecnologia nei normali processi relazionali. Quando utilizziamo il termine comunicazione siamo spesso tratti in inganno dalla concezione comune che identifica la comunicazione con informazione, in realtà la comunicazione non è semplice trasmissione di informazioni ma un processo di costruzione di significati: la comunicazione è fondamento della conoscenza che alla base ha la parola, il linguaggio attraverso il quale ci mettiamo in relazione con l’altro. 6 Il bagaglio di conoscenze che è a disposizione di ciascuno nel suo agire deriva dal sistema di comunicazione disponibile nel sistema sociale. In piena società dell’informazione proprio il sistema di comunicazione è non solo principalmente fondato sui media, come nell’era della società delle comunicazioni di massa, ma basato sulla tecnologia sulla velocità e quantità di informazioni veicolate ai mezzi e strumenti a disposizione del comunicare, che consentono di relazionarsi in contemporanea con più soggetti e più fonti e di unire, combinare, confondere parola scritta e parola parlata. I nostri sensi sono sempre più coinvolti, vista, udito, tatto e addirittura olfatto. Per i digitali nativi questo ambiente relazionale rappresenta un luogo naturale, la loro capacità di accesso non li rende però consapevoli delle conseguenze che questo nuovo modo di relazionarsi può creare. Come sostiene Henry Jenkins esiste un “gap di partecipazione che consente ad alcuni giovani di essere autorizzati a creare e condividere i media con gli altri”. Ma cosa significa il termine digitale nativo? Il termine è stato coniato da Marc Prensky, che lo utilizzò per la prima volta in un suo articolo pubblicato nel 2001 nella rivista “On the Horizon”. L’articolo dal titolo, Digital Natives, Digital Immigrants, illustra i cambiamenti di tipo cognitivo, comunicativo e comportamentale, prodotti dall’intenso uso e dalla sovraesposizione alle nuove tecnologie, onnipresenti nella vita delle nuove generazioni sin dalla più tenera età. Derrick De Kerkchove allievo di Marshall Mc Luhan ha elaborato il concetto delle psico-tecnologie sostenendo che finora, coi media tradizionali, il pensiero è scaturito dalla possibilità di leggere, ovvero dalla scrittura; adesso, invece, “il mondo esterno passa dalle pagine allo schermo, ove prendono vita espressioni basate sui linguaggi che sono un’estensione della nostra mente”. Con le nuove forme di comunicazione sperimentate sulla Rete, vi è la possibilità di dare vita a un’intelligenza collettiva. Dalla mentalità pubblica propria della televisione, dove tutto ciò che Conflitti DOSSIER passa attraverso il tubo catodico è di produzione esterna, e nulla viene creato direttamente dallo spettatore, che passivamente riceve le immagini che gli scorrono davanti agli occhi alla mentalità privata propria del computer, che grazie a Internet, diventa in qualche modo un ampliamento della nostra intelligenza e della nostra memoria. In questo contesto discutere dei singoli mezzi, televisione, cellulari, pc, videogiochi come separati non ha più molto senso Chris Anderson Direttore di “Wired” l’interesse verso il Web si sposterà sempre più verso le applicazioni, i social network, il gaming, l’interattività, il cinema on demand. Si vengono a formare in questo modo due mondi separati, il Web aperto simboleggiato da Google e quello chiuso dove troviamo Facebook, Linkedin, aree riservate in cui Google non ti riesce a portare. Questa evoluzione è sotto i nostri occhi, la percepiamo, la viviamo in prima persona con il nostro profilo su Facebook, con l’uso degli smartphone, con i nuovi modi di fruire cinema, musica, libri. Nel 2007 conducemmo una indagine su un campione di 1212 bambini in 6 regioni che tracciava un quadro articolato sul rapporto tra bambini media e nuove tecnologie. Indagammo su i comportamenti, i gusti e il modo di utilizzo in funzione della tipologia di media. I libri, la televisione, i videogiochi, internet e il telefono cellulare erano i tasselli che utilizzammo per comporre un puzzle che trac- “Il cervello dei ragazzi che dedicano molto tempo ai videogiochi violenti è meno reattivo alle immagini grafiche, un indizio che questi giocatori sono diventati più insensibili a queste rappresentazioni. Uno studio americano ha rivelato che l’attività cerebrale dei giocatori è compatibile con uno stato di aggressività quando partecipano a giochi in cui sono protagonisti principali di una sparatoria. (Mente & cervello, n.55 luglio 2009 p. 77) LE NUOVE “TRIBU` DIGITALI” GENERAZIONE TOUCH – 0-3 anni Non usano il mouse ma soltanto tasti e schermi sensibili, esattamente come nei giochi per la prima infanzia GENERAZIONE NATIVI DIGITALI – 3-12 anni Non hanno vissuto l’era analogica, non guardano più la TV, abitano con case dove ci sono connessioni internet e grande disponibilità di videogiochi M ILLENNIALS – 14-18 anni Nati a cavallo tra due secoli, ottimi conoscitori della tecnologia ma cresciuti in ambienti non ancora del tutto informatizzati e all’epoca della TV M IGRANTI DIGITALI – 18-25 anni Legati alla parola scritta e all’insegnamento frontale, hanno scoperto più tardi l’interattività digitale Fonte: Università degli Studi - Milano Bicocca - 2010 ciasse il ritratto dei bambini di oggi. Il ritratto che ne scaturì e che come “un graffito” continua a modificarsi, ma contiene alcuni elementi essenziali: • i bambini come gli adulti leggono sempre meno; • guardano la TV degli adulti, le fasce protette sono di fatto scomparse e l’orario di visione si sposta sempre più avanti; • esiste un “TV divide”, tra chi ha la tv satellitare e chi vede solo la tv generalista in chiaro; • i modelli a cui si ispirano sono quelli della TV commerciale, i cartoni animati e i programmi per ragazzi non sono più ai primi tre posti della classifica delle preferenze. Nel 2008 abbiamo realizzato una indagine su un campione di 463 ragazzi tra gli 11 e i 15 anni e i loro genitori che hanno risposto separatamente agli stessi quesiti sui consumi mediali. Il dato più rilevante ha riguardato la diversità delle risposte tra giovani e adulti, in alcuni casi in netta contraddizione. Un elemento per tutti: per i genitori oltre il 40% dei ragazzi utilizza internet per motivi di studio, quando solo il 2,8% dei ragazzi dice che internet serve per studiare! Gli studi che si sono succeduti 7 Conflitti DOSSIER hanno evidenziato la rapida evoluzione della “dieta mediatica” dei ragazzi. Il Rapporto Eurispes 2009 mostra che: • nell’89% delle case dei bambini intervistati era presente un computer; • il PC e internet fanno parte del nostro quotidiano, sono strumenti di lavoro, di apprendimento, di comunicazione, d’informazione, di divertimento, sono creativi e dinamici; • i bambini usavano spesso il computer da soli nel pomeriggio; • il 71,1% degli adolescenti possiede un profilo su Facebook; • il 28,7% degli adolescenti ritiene che i social network siano utili strumenti per rimanere in contatto con gli amici di sempre e con quelli che si trovano lontano o non si frequentano da molto tempo. Fare nuove conoscenze rappresenta il motivo principale per cui il 14,9% dei ragazzi ha deciso di affacciarsi al mondo delle reti sociali sul web. Alcuni social network dispongono di particolari applicazioni (giochi, gruppi, test) che rappresentano, per il 10,4% dei ragazzi una possibile alternativa per riempire il tempo libero. Diminuisce invece la frequenza d’uso che gli adolescenti fanno dei Dvd, che scendono al 54,2% nel 2009, sostituiti dallo streaming su Internet o dalle copie scaricate dalla Rete. A questo si aggiunge il drastico calo, nell’ultimo anno, dell’utilizzo di videogiochi e console, il 29,2%. I numeri ci dicono che i bambini 8 e gli adolescenti sono immersi nelle nuove tecnologie, mentre gli adulti appaiono sempre più disorientati con una consapevolezza sempre più distante e frammentata rispetto all’utilizzo. Sembrano incapaci di rappresentare una guida per il superamento del gap ambientale, come lo ha definito Jenkins. Conoscono poco la tecnologia, non conoscono i propri figli e il loro modo di relazionarsi. Nei miei incontri e seminari ho raccolto esperienze di genitori che nel tentativo di ricostruire un dialogo chattano con i figli su Facebook mentre sono in due stanze diverse all’interno della stessa casa. Ma sempre più spesso i figli vivono come inadeguati i genitori rispetto alle conoscenze tecnologiche, e questo crea una barriera di incomunicabilità. E allora, ci si domanderà: cosa fare? Come si esce dall’impasse dei rischi derivanti dall’uso delle tecnologie e dalla perdita di relazione genitoriale? Non vi è dubbio alcuno che lo sforzo maggiore spetta al genitore che deve accompagnare la crescita dei figli attraverso i nuovi modi di relazionarsi, senza dimenticare che la comunicazione passa ancora attraverso la parola, il gesto, la condivisione di luoghi, e paradossalmente proprio la nuova generazione di videogiochi, dalla nintendo wii a kinetics di xbox3, possono rappresentare l’espediente di una nuova forma di condivisione di tempo e spazi con un uso più intuitivo della tecnologia. L’immersione nei giochi di ruolo di ultima generazione che consentono di giocare da soli o con altri via web rappresenta una frontiera in continua evoluzione dove il rischio alienazione si combina con creatività, immaginazione. È evidente che siamo ancora alla ricerca di un punto di equilibrio, ed è del tutto probabile che nel momento in cui riterremo di averlo trovato il mondo avrà subito una nuova evoluzione e saremo perciò di nuovo nella condizione di cercare di comprendere il nuovo e di capire come gestirlo provando al contempo a individuare potenzialità e rischi da prevenire. * Francesco Pira è sociologo della comunicazione, [email protected] Conflitti DOSSIER ... e cervello di Anna Oliverio Ferraris Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, è professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università di Roma 1. È stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale di Bioetica. Dirige la rivista degli psicologi italiani “Psicologia Contemporanea”. Collabora regolarmente e da anni con le seguenti riviste: “Vita Scolastica”, “La scuola dell’infanzia”, “Vita dell’infanzia”, “Prometeo”. È stata collaboratore fisso per molti anni del Corriere Salute (Corriere della sera) e ora scrive saltuariamente su alcuni quotidiani e altre riviste. Autrice di molti saggi ricordiamo tra gli ultimi: Arrivano i nonni! Rizzoli, Milano, 2005, Piccoli bulli crescono. Rizzoli, Milano, 2007, La sindrome Lolita. Rizzoli, Milano, 2008, Chi manipola la tua mente. Giunti, Firenze, 2010. Un eccessivo uso dei videogame, specialmente se basati su azioni ripetitive, non è un buon esercizio per il cervello e può favorire comportamenti impulsivi nei ragazzi. Questi risultati sono emersi in una ricerca di un neuropsicologo giapponese dell’università di Tohuku, Ryuta Kawashima. Avvalendosi di due diversi test, il ricercatore giapponese ha misurato l’attività cerebrale di centinaia di adolescenti e di bambini tra i 9 e i 10 anni mentre erano impegnati in videogiochi ripetitivi (sparatorie, monotone addizioni di numeri di una cifra ecc.) e durante la soluzione di un normale problema di matematica. Per compiere queste misurazioni si è avvalso della PET (Tomo- grafia ad Emissione di Positroni), una tecnica che consente di vedere in diretta su uno schermo quali sono le parti del cervello che si attivano e “lavorano” quando una persona è impegnata in una qualche attività, mentale o motoria. Kawashima ha trovato che i videogames ripetitivi stimolano il cervello, ma soltanto in quelle parti che controllano la visione e i movimenti; invece, i problemi di matematica stimolano un maggior numero di zone cerebrali, sia dell’emisfero destro che di quello sinistro: in particolare attivano le zone frontali della corteccia cerebrale, ossia quelle aree corticali che sono maggiormente associate all’apprendimento, alla memoria, all’emotività. Una completa maturazione del cervello è uno dei fat- tori che rende possibile il controllo degli impulsi, tant’è che generalmente i ragazzi si lasciano trasportare dalle emozioni più degli adulti in quanto non hanno ancora raggiunto un completo sviluppo dei lobi frontali. Secondo il ricercatore giapponese, troppi videogiochi ripetitivi fin dall’infanzia, a scapito di attività cerebrali più impegnative e complesse, possono favorire comportamenti impulsivi in età successive, non tanto (o non solo) perché vengono imitati i movimenti rapidi e i comportamenti violenti presenti in alcuni videogiochi “divertenti”, ma per lo scarso esercizio mentale che questi giochi richiedono. Il cervello infatti non si sviluppa soltanto in base ad un programma genetico ma anche grazie all’esercizio. In età evolutiva, alcune attività mentali - come ad esempio la soluzione di problemi, la capacità di tener presenti più variabili utilizzandole nei modi più efficaci e consoni alla situazione - contribuiscono più di altre (operazioni semplici e ripetitive) al perfezionamento delle fibre che collegano i neuroni delle zone frontali del cervello: più queste aree vengono attivate, più le fibre raggiungono un pieno sviluppo. Le attività che richiedono un mag- 9 Conflitti DOSSIER gior impegno intellettivo - e non impegno, attestarsi su attività i ragazzi a sviluppare a pieno le si tratta soltanto di problemi di troppo semplici perché comode e loro facoltà mentali. matematica - sono anche quelle rassicuranti, alla fine non aiutano che favoriscono il controllo degli impulsi. Quali possono essere la conseManfred Spitzer guenze sul piano pedagogico dei VORSICHT BILDSCH IRM! - ATTENZIONE, SCH ERM I! risultati ottenuti da Kawashima? DTV Deutscher Taschenbuch, 2006, Germania Dobbiamo forse abolire i videogiochi? Non è necessario aboAttenzione, schermi! Questo il titolo di un libro che non troverete in traduzione italirli, ce ne sono infatti di diversi liana. L’autore, psichiatra, spiega come il tipi e alcuni, più complessi, ricervello impara, sempre, costruendo chiedono un buon impegno intracce a partire dalle esperienze fatte, tellettivo. Il mercato offre una che creano ispessimento delle sinapsi, ricca gamma di videogiochi: alche rimangono nel cervello e diventano cuni sono essenzialmente ripetibase di ulteriori apprendimenti. Cosa succede ai bambini (e al loro certivi (piacciono perché facili e vello) se sottoposti all’esperienza di stare come tali rassicuranti), altri sono davanti agli schermi (TV e computer), maviolenti sia nei contenuti che gari per 5 ore di media tutti i giorni? nella forma (piacciono per l’ecLe risposte vengono da uno studio empicitazione che procurano), altri rico e statistico, che hanno messo in reancora sono invece portatori di lazione la durata dell’esposizione agli schermi con diversi esiti di vita incontrati messaggi educativi e culturali. nell’arco di venti anni, ad esempio: l’incidenza dell’abitudine al fumo, Importante è non arenarsi nei livelli eccessivi di colesterolo e altri fattori di rischio per gravi malattie. videogiochi ripetitivi, usarli con Si è scoperta una proporzione rispetto al numero di ore trascorse damoderazione e bilanciarli con at- vanti agli schermi. tività di livello superiore. Sarà Ma cosa succede a livello delle capacità di apprendimento? Tra chi è bene anche evitare quelli vio- stato esposto a meno di un’ora di TV al giorno all’età di 5 anni, il 40% lenti, che suggeriscono modalità sono arrivati a concludere gli studi universitari e pochi hanno abbanantisociali di comportamento. In donato gli studi prima di conseguire una qualsiasi licenza. Tra chi ha subito 4 o 5 ore di media al giorno a 5 anni, la percentuale di drop out ambito scolastico, infine, i bamaumenta a dismisura e pochi arrivano a concludere gli studi universibini devono trovare “pane per tari. Esiti intermedi per i gruppi intermedi. i loro denti”: lassismo, scarso Come si spiegano questi dati empirici? Il cervello, organo fatto per apprendere, non conosce “tempo libero”. Per molti bambini il tempo dedicato agli schermi in media all’anno è secondo solo al tempo dedicato al sonno, supera il tempo di scuola. Cosa imparano i bambini in questo tempo? Davanti agli schermi il cervello si forma delle tracce sbagliate. Ad esempio esplorare un oggetto di legno o di metallo con le mani e la bocca mette in gioco tutti i sensi contemporaneamente: se a battere il cucchiaino sul bicchiere si sente un suono, questo è coordinato al gesto al millisecondo. Invece l’esperienza “virtuale” non può avere un coordinamento vista-suono perfetto e difetta di tutti gli altri sensi e azioni, dà un’immagine del mondo impoverita, piatta e lontana dalla vita. Lascia nel cervello delle tracce “farlocche” che occupano sinapsi che potrebbero svilupparsi in un modo migliore. Demonizzazione della TV? In Italia solo porsi questi problemi è tabù. Che i bambini italiani siano immuni? Elena Passerini 10 Conflitti DOSSIER Dipendenze senza sostanza: i videogiochi e internet intervista a Sandro Pilan, psicologo a cura di Claudio Riva Sandro Pilan, per la mia generazione di psicologi di Vicenza e dintorni, è sinonimo di psicologia della tossicodipendenza. È una vita che Sandro lavora in questo ambito. Quando abbiamo deciso in redazione di occuparci di ciò che sta accadendo circa il fatto che bambini che passano tanto tempo davanti alla tv o ai videogiochi sembrano sviluppare delle vere e proprie forme di (tossica) dipendenza, mi è venuto assolutamente spontaneo pensare di intervistarlo. Per una serie di coincidenze che potrebbe risultare noioso raccontare, ho svolto l’intervista all’interno di un gruppo di famiglie dal suggestivo nome La luna nel pozzo, che da anni si ritrovano ad affrontare vari temi e momenti di convivenza. È nata così un intervista ad un esperto del tema, amico, tra amici. Iniziamo l’incontro. Chiedo a Sandro di presentarsi. Sandro: “Mi occupo di dipendenza da una ventina d’anni, prevalentemente per le cooperative sociali, in particolare di tossicodipendenza e di alcool dipendenza e da una decina d’anni di dipendenza senza sostanza, tipo gioco d’azzardo, slot machine, gratta e vinci, superenalotto”. Io: “Ci precisi meglio il termine senza sostanza? Il denaro non viene considerata una sostanza?” Sandro: “Tradizionalmente le dipendenze sono considerate tossicodipendenze, tabacco, droga, al- cool, ecc., dove c’è una sostanza tossica che entra nell’organismo. Dalla fine degli anni 90 ci si occupa di queste dipendenze. Il denaro non viene visto come sostanza. Sono considerate dipendenze senza sostanza il gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo, prevalente femminile, mentre il gioco d’azzardo è prevalente maschile, dipendenze da internet e dal giocare da internet, i giochi di ruolo, … anche la dipendenza dallo sport. Quando non hai più la possibilità di rinunciare un giorno a quella cosa, noi la consideriamo una dipendenza. C’è poi tutto l’ambito delle dipendenze da cellulare e videogiochi, da TV. ecc. Facebook è considerata all’interno delle dipendenze da computer.” Io: “So che nell’uso delle sostanze vengono considerati livelli diversi di dipendenza, anche per la gravità e si distingue lo spinello dalla sostanza in vena. C’è qualcosa di analogo nelle dipendenze senza sostanza?” Sandro: “Generalmente consideriamo tre livelli di dipendenza. Il primo livello è un uso controllato. Potrebbero essere considerate le cosiddette dipen- 11 Conflitti DOSSIER denze sane. Per esempio il mangiare, tenendo conto che anche nel mangiare possiamo avere delle perdite di controllo. La differenza sta nella capacità di gestire la cosa. Un disturbo alimentare è una dipendenza al primo livello, un abuso, un qualcosa di più forte di me che mi dà l’idea che mi faccia bene. Chi è dipendente prova una certo carving, una astinenza.” Io: “Il soggetto è consapevole di questo?” Sandro: “Il soggetto è consapevole ma incapace di controllare”. Io: “Salta la giusta relazione con l’oggetto (…sostanzioso o meno) anche dal punto di vista quantitativo?” Sandro: “ Sì. Io vedo i miei figli e loro pensano che giocano poco e studiano tanto anche se il tempo è in realtà uguale.” Io: “C’è una quantità necessaria per parlare di dipendenza?” Sandro: “Solitamente si, a seconda dell’ambito. La dipendenza da internet, per esempio, viene considerata tale quando uno supera le 6-7 ore al giorno. Non stiamo pensando a un uso lavorativo ovviamente. L’attività che crea dipendenza è da considerarsi comunque un’attività piacevole. Al di là del tempo è importante questo. I ragazzini che incominciano a considerare più piacevole rimanere su internet che non giocare con i compagni per esempio. Un’attività che c’entra con la dipendenza è sicuramente una attività che provoca piacere o una diminuzione di sofferenza. La cosa è comunque soggettiva nel senso che ciò che provoca piacere ad un soggetto potrebbe non provo- 12 carlo ad un altro.” Io: “Le sostanze considerate a rischio di dipendenza erano in qualche modo identificate e guardate con un certo sospetto, anche se con approcci diversi dal punto di vista psicopedagogico e culturale. Attorno all’alcool per esempio c’è una certa protezione, almeno fino a una certa età e se l’adolescente rientra in casa puzzando di grappa qualche preoccupazione in un ge- relazione con l’altro, costantemente in contatto. È abbastanza facile che loro siano in un tempo diverso dal nostro, o per loro la concezione del tempo è alterato. D’altra parte il principio che regge una dipendenza è proprio quello dell’onnipotenza. I nativi digitali possono immaginarsi di tutto, possono immaginarsi di diventare qualsiasi persona e immaginarsi di entrarci dentro.” Interviene uno del gruppo: “Hanno anche perdita di sonno?” La dipendenza è un sintomo che Sandro: “Si, sono indica l’incapacità di essere ragazzi che resoggetti. Per natura siamo fatti stano svegli per continuare a giocosì, con un’interdipendenza, care durante la abbiamo bisogno di respirare, notte e allora incominciamo ad mangiare, ecc., anche nelle essere nella patorelazioni. logia”. “E non si rendono conto?” Sandro:”Si rendono conto, ma nitore attento può anche emer- non riescono più a farne a meno. gere. Quando un genitore si deve La dipendenza è un sintomo che preoccupare rispetto a queste “non indica l’incapacità di essere sogsostanze” a portata del bambino getti. Per natura siamo fatti così, fin dalla nascita?” con un’interdipendenza, abSandro: “Non è facile perché i ra- biamo bisogno di respirare, gazzi d’oggi sono figli della tecno- mangiare, ecc., anche nelle relalogia. Il problema che può dare il zioni”. telefonino è che c’è una specie di Io: “Secondo te il tema della dionnipotenza, che abitua ad un vi- pendenza in genere è una quevere ed ad un relazionarsi molto stione più di tipo educativo o di diverso da quello che eravamo abi- tipo clinico?” tuati noi. La distanza non esiste Sandro: “Una volta era una quepiù, non esiste più il vuoto. Se ar- stione sia clinica che educativa. rivo in ritardo a un appunta- Oggi sta diventando sempre più mento, una volta era un’occasione un problema culturale e sociolopersa, oggi il cellulare ti consente gico. Oggi siamo sempre più di rimediare, sei costantemente in dentro a un sistema consumi- Conflitti DOSSIER stico. Non siamo più orientati verso “virtù e conoscenza” ma siamo predisposti a cercare qualcosa di esterno che ci faccia star bene”. Io: “Cioè è lo stesso sistema educativo che incentiva la dipendenza?” Sandro: “Certo. Anche come genitori abbiamo un sistema che incentiva la dipendenza da un sistema esterno piuttosto che la ricerca delle risorse interne. È un sistema tutto pieno, lo stato di onnipotenza del bambino l’incapacità di percepire la differenza tra lui e il mondo.” Interviene uno del gruppo: “Io da piccolo giocavo la schedina e ancora oggi mi piace farlo, ma non mi sento dipendente”. Sandro: “Questa è la questione, non il gioco. Oggi c’è un’enormità di proposte in cui tutto è accessibile sempre. Ci sono infiniti giochi a cui uno può accedere. La velocità e la mancanza dell’attesa favorisce la dipendenza. La schedina da questo punto di vista costringe ad un attesa. Uno dei poteri dei videogiochi è che se muori puoi subito rinascere e questo porta ad una de realizzazione. Io giocavo a flipper e quando perdevo le tre palline ero morto e dovevo aspettare il momento in cui avrei avuto un’altra moneta per giocare. L’immediata soddisfazione della voglia e l’incapacità di aspettare finisce per uccidere il desiderio”. Io: “Mi pare che ci stai dicendo che ci sono molte analogie con le dipendenze da sostanza. Pur essendoci sostanze più o meno tossiche, non è la sostanza in sé, ma l’atteggiamento che si ha nei confronti di essa, l’uso che se ne fa. La stessa sostanza può essere benefica o malefica a seconda di quanto, quando, come viene assunta, come nel caso dei farmaci. Questo può essere chiaro per un professionista della salute che conosce bene le sostanze. Qui parliamo di dipendenza senza sostanza, che deriva dalla relazione con oggetti, giochi e quant’altro, che non si sviluppa in nascosti scantinati di periferia, ma nei divani delle abitazioni qualsiasi. Riusciamo a concludere con qualche indicazione di tipo educativo per i nostri lettori?” Sandro: “ Molto di ciò che si è cercato di fare rispetto l’uso delle sostanze è risultato inutile. Abbiamo capito che non è automatico che chi fa uso di sostanze ne diventa dipendente, anche se ci sono sostanze che tendono più di altre a generare dipendenza e i due aspetti vanno considerati assieme. Interviene uno del gruppo: “Non esiste più il modello del dipendente sfigato”. Sandro: “Anche nell’uso delle sostanze c’è il dipendente del fine settimana. Non abbiamo più il caso emblematico, il tossicodipendente classico. Esiste una realtà moto più normalizzata.” Io: “Sì è realizzato quello che diceva Ivano Spano. Siamo passati dalla tossicodipendenza alla dipendenza tossica”. Sandro: “Direi di sì, una dipendenza generalizzata, tutto fuori, tutto estrovertito e ci espone molto a non crearci un interno e quindi siamo più esposti a comportamenti dipendenti.” Io: “Potrebbe centrare anche il dilagare del materno e l’assenza del paterno?” Sandro: “Se per materno intendi il dilagare di un’eccessiva protezione credo che sia una questione generalizzata. Insistere perché un ragazzo che non ha nessun interesse scolastico continui la scuola invece di andare a lavorare impedisce di fatto che lui si assuma delle responsabilità e quindi in fondo sia se stesso fuori da una dipendenza da ciò che l’altro si aspetta da lui. C’è di fatto un’educazione alla dipendenza e quindi la via d’uscita è di spostarsi su un’altra dipendenza. Diversamente dagli anni ‘70 in cui c’era comunque un tentativo di rottura di un sistema, oggi il sistema non si rompe e si sposta semplicemente su un altro oggetto, ma non cambia niente.” Io: “Quando parliamo di questi aspetti non parliamo solo di ragazzini ma anche di adulti” Sandro: “Certo, riguarda anche persone sposate di una trentina d’anni. Di solito il caso scoppia quando arrivano i figli che incominciano a svegliarli di notte, non riescono più a giocare, ecc. spesso questi non vogliono diventare genitori perché sono ancora figli”. Il discorso si farebbe lungo e si è fatto tardi. Ci fermiamo e apriamo le tovaglie per condividere quello che ognuno ha portato, concedendoci una piacevole sana (speriamo) dipendenza dal cibo. Grazie a Sandro e al gruppo. 13 Conflitti DOSSIER Macchinette infernali Intervista doppia. Come ti chiami? Silvia Cosa fai nella vita? La dirigente di una scuola privata Hai mai giocato a un videogioco? Sì, ma quand’ero piccola. Ora proprio non mi attraggono Cosa pensi dei videogiochi? Macchinette infernali Dì una cosa positiva dei videogiochi I figli restano ipnotizzati e si respira un attimo Secondo te possono essere un problema? Si, possono diventarlo, non lo sono a priori Hai figli? Sì 4(!): di 3, 8, 11 e 13 anni. La più grande è la femmina, gli altri sono maschi. Giocano ai videogiochi? Si, ci giocano i due maschi più grandi, ma un’oretta al giorno, non tutti i giorni, soprattutto nel weeekend. La femmina ci giocava ora non le interessa più: adesso è ipnotizzata da facebook! Pensi che il tempo davanti a un videogioco vada regolato? Perché? Sì, soprattutto perché è praticamente impossibile che i bambini smettano di giocarci da soli. Dì un aspetto negativo dei videogiochi? Agitano e creano dipendenza Tuo nipote, con il quale hai una relazione specialissima, ti precisa che l’unica cosa che vorrebbe da te per il suo compleanno è l’ultimo videogioco uscito di cui hai appena letto una recensione molto negativa. Glielo compri? No. Bisognerebbe approfondire il motivo della recensione negativa. Se fosse un problema di eccessiva violenza gli spiegherei chiaramente che si tratta di un videogioco dove le immagini sono brutte e negative. C’è un videogioco che hai visto o di cui hai sentito parlare che ti ha colpito particolarmente? A parte quelli di quando ero bambina, non ne ho uno in particolare che mi abbia colpito. Oggi videogiochi vietati. Si fa… fatica! E tu, di quale strumento elettronico non potresti fare a meno? Il telefono, e il computer per le mail... ci sto sicuramente più di un’ora al giorno! 14 Come ti chiami? Luca Cosa fai nella vita? Vendo libri Hai mai giocato a un videogioco? Sono fermo a Space invaders al bar sotto casa. Poi ci ho provato da amici, ma il risultato è sempre disastroso. Cosa pensi dei videogiochi? Potenzialmente possono essere una stimolante maniera di giocare. So che molti giovani si immedesimano troppo nei loro mondi virtuali o ci passano eccessivo tempo. Perciò ritengo che debbano essere valutati per le loro capacità "educative" sia in positivo che in negativo. Dì una cosa positiva dei videogiochi Le persone che conosco che ci giocano mi sembrano davvero entusiaste. Secondo te possono essere un problema? Per degli adolescenti chiudersi in casa e giocare ore e ore da soli davanti allo schermo non credo possa fare molto bene. Tralasciando il tema dei giochi particolarmente violenti. Hai figli? Due. Di 8 e 6 anni. Giocano ai videogiochi? Al bambino di 8 piace molto, ma non avendo in casa neppure il televisore, è costretto a provarci da amici. La bambina di 6 non sembra ancora interessata. Pensi che il tempo davanti a un videogioco vada regolato? Assolutamente sì. Dì un aspetto negativo dei videogiochi Possono creare un mondo virtuale e asociale che inganna il ragazzo. Tralasciando nuovamente il tema dei deleteri giochi violenti. Tuo nipote, con il quale hai una relazione specialissima, ti precisa che l’unica cosa che vorrebbe da te per il suo compleanno è l’ultimo videogioco uscito di cui hai appena letto una recensione molto negativa. Glielo compri? Recensione negativa? Da profano meglio non rischiare. Gliene regalerei un altro di cui posso essere più sicuro. Questo è quello che gli direi. C’è un videogioco che hai visto o di cui hai sentito parlare che ti ha colpito particolarmente? No. Come si è capito, non è il mio "mondo". Oggi videogiochi vietati. Si fa… Si gioca "reale". E tu, di quale strumento elettronico non potresti fare a meno? Il PC. Purtroppo il computer è diventato parte integrante della nostra "realtà". Conflitti DOSSIER Nuovi dubbi per adulti preoccupati e paurosi, nuove fatiche per adolescenti fragili ma curiosi. intervista a Matteo Lancini, psicologo a cura di Elisa Mendola Il mondo virtuale è senza dubbio la “casa” della maggior parte degli adolescenti. Si comunica attraverso telefonini, chat e network. È possibile parlare di gruppo quando si parla di comunità virtuale? Esiste un apprendimento gruppale quindi nei social forum? È verissimo che il mondo degli adolescenti odierni, spesso denominati “nativi digitali” (espressione peraltro già superata dal nuovo termine “touch generation” – bambini che crescono in un mondo nel quale l’interazione passa attraverso il tocco) pone delle nuove questioni rispetto ai processi di apprendimento e della socializzazione. Se riflettiamo sulla presenza degli strumenti tra le mani dei giovani notiamo che la maggior parte di questi vengono regalati dai genitori: l’immersione nella virtualità è paradossalmente sostenuta dagli adulti che ne hanno timore (un esempio sono i telefonini regalati sempre più precocemente, anche a bambini delle elementari, per poter rimanere sempre in contatto con i figli seppur a distanza(1) o la scelta di tariffe internet illimitate a favore dei figli). Come cambia quindi il sistema di apprendimento a livello cognitivo? I bambini non sono arrivati alle tecnologie come immigrati nel mondo virtuale bensì sono nati con questi strumenti già a loro disposizione. È vero che la dimensione di alcuni programmi - come Messenger o Facebook - ha proposto un nuovo modo di relazionarsi, un nuovo modo di conoscersi: in rete, senza corpo, e spesso in gruppo. Il nostro compito è studiare quindi cosa significa e quali sono i cambiamenti in atto. I videogiochi sono molto utilizzati dai ragazzi di oggi e gli schermi sono pane quotidiano anche per i più piccoli. Sorge spontanea una domanda: una volta giunti a scuola, dove le nuove tecnologie sono distanti anni luce, questi bambini della touch generation impareranno a leggere, a scrivere, a fare i calcoli e ad allenare la memoria senza un touch su un computer? Matteo Lancini è psicologo, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano e professore incaricato di “Psicologia del ciclo di vita” e di “Psicopatologia generale e dell’età evolutiva” presso l’Università di Milano-Bicocca. Questa è la questione della scuola odierna, che in parte è restia alle novità e guarda con sospetto le tecnologie e in parte le vorrebbe utilizzare. In generale, in questo momento storico, il rischio della scuola è quello di arroccarsi in difesa di una tipologia di apprendimento e di cultura che solo la scuola può portare avanti, in contrasto con una formazione “on line”, aggiornata ma superficiale, come quella di Wikipedia(2). 15 Conflitti DOSSIER Io difendo molto l’istituzione scolastica e ne comprendo e sostengo appieno le potenzialità formative, che penso debbano trasformarsi per essere ancor più efficaci. Un esempio: esiste un regolamento scolastico formale per il divieto dell’uso dei telefonini nelle scuole, che viene però disatteso, perdendo in questo modo il suo significato e la sostanza della regola, rendendo cioè l’ intervento del mondo adulto inattuabile. Più che schermare la scuola con l’idea che i ragazzi si concentrino di più se “isolati” dal resto del mondo, bisognerebbe prevedere interventi di modernizzazione che la aprano a nuovi strumenti e la rendano più vicina ai ragazzi (comunque con un adattamento non seduttivo ma critico). I ragazzi sono concentrati se motivati, instaurano relazioni significative se spinti a farlo, si pongono in modo positivo allo studio se hanno la percezione che ciò che apprendono sia un sapere utile alla crescita e non una cultura stereotipata... in questi casi spengono i telefonini, ascoltano gli insegnanti e si mostrano interessati. Se oggi c’è una generazione motivata è quella degli adolescenti!! Al contrario di quello che si sente e che abbiamo scritto tutti per anni, non sono più indifferenti bensì sono ragazzi meno disposti a seguire gli adulti in modo compiacente, ma desiderosi di avere uno spazio proprio di espressione. D’altra parte, proprio perché più fragili narcisisticamente e sempre protesi al mondo virtuale, fanno più fatica a sostenere le modalità 16 e le tempistiche di una tradizionale lezione frontale (correndo spesso il rischio di essere definiti erroneamente come “iperattivi”) e si prospetta agli educatori odierni una nuova fatica nell’apprendimento. C’è un’altra differenza sostanziale rispetto al passato: una difficoltà per le generazioni di oggi a studiare completamente da soli e in silenzio (almeno una radio in sottofondo, o un pc acceso, o la mamma in cucina, o un collaboratore domestico devono esserci). Queste novità non sono da condannare (per esempio portando i cavi del pc a lavoro per evitare che il figlio si colleghi su web..) ma dobbiamo studiarle, osservare i ragazzi e riflettere sulla ricerca di nuove motivazioni condivise per scuola e famiglie e su come aiutare gli adolescenti odierni a tollerare la sofferenza e la solitudine che inevitabilmente fanno parte dell’esperienza dello studio. Se dovessimo dare, a genitori ed educatori che si occupano di ragazzi, alcune indicazioni, che cosa si sentirebbe di dire rispetto al nuovo modo di essere giovani oggi? Quali sono le modalità “sostenibili” per entrambi per entrare efficacemente in relazione? Dipende da nuovi modelli educativi e da una trasformazione sociale ben nota; penso che il ruolo adulto debba essere rigoroso, un adulto senza riserve (come cita Jeammet(3)) che mantenga una certa verticalità nella posizione. Io sono molto critico quando sento che famiglia e scuola devono riprendere il loro ruolo educativo… è verissimo, ma cosa vuol dire? Fare paura? Sottomettere? Punire? Questo sembra spesso un modo finto di essere adulto autorevole che nasconde una difficoltà nell’individuare forme significative di relazione educativa. Penso piuttosto ad un modello di adulto rigoroso che debba adottare una nuova modalità di porsi, tenendo conto di ragazzi contemporaneamente fragili, spregiudicati e relazionali, per esempio proponendo punizioni creative, con l’idea di una scuola che non sia un posto dal quale venire allontanati se ci si comporta male, ma al contrario, un luogo dove restare di più. Per fare questo bisogna lasciare stare gli slogan televisivi e lavorare invece su un’ alleanza tra scuola e famiglia, senza la quale non esiste la possibilità di effettuare interventi educativi, anche severamente sanzionatori, efficaci. Se un preside decide di tenere due ragazze in orari extrascolastici a ripulire i muri dove vi sono scritte contro un ragazzo che ha lasciato una delle due, e il padre Conflitti DOSSIER di una studentessa telefona dicendo che se sua figlia non fosse tornata subito a casa avrebbe denunciato l’istituzione scolastica, chiaro è che il valore dell’intervento educativo viene perso. Da questo possiamo capire come sarebbe utile se gli adulti, invece che darsi la colpa a vicenda e ricorrere sempre più frequentemente alla denuncia, si trovassero di più la sera a discutere sul nuovo ruolo genitoriale-educativo per cercare di dare delle risposte intelligenti e appropriate ai ragazzi. Vi è nel mondo adulto un forte allarmismo nei confronti dei social network e dei video giochi. Questo sentimento è spesso legato all’ignoranza di chi non ha dimestichezza con questi strumenti e pensa che possano portare solamente ad un ritiro sociale e ad un disagio. Eppure, nel libro Sempre in contatto, abbiamo letto che le chat possono essere definite, in certi casi, delle palestre sociali, e la realtà virtuale può in realtà dare una mano a coloro che faticano ad esprimersi e mettersi in relazione con l’altro. Questi dati presentati nel suo libro non sembrano andare in contrasto con le convinzioni della maggior parte degli adulti? Senza sottovalutare il nuovo fenomeno delle dipendenze non chimiche(4) ma comportamentali che stiamo studiando, confermo l’inadeguatezza di una condanna indistinta della rete e della tecnologia. Infatti, nei grandi numeri, la nostra ricerca (come tante altre) dimostra che in adolescenza non si è ancora sviluppata una vera e propria dipendenza. La domanda è pertinente perché dovremmo capire, per ogni singolo caso, che significato ha l’uso dei videogames piuttosto che della chat, provando a comprendere quando questo utilizzo compie funzioni a sostegno dei compiti evolutivi e quando si intravedono invece segnali preoccupanti. Teniamo conto, per esempio, che i videogiochi sono un’area dove si possono mettere in atto degli straordinari processi di simbolizzazione, luoghi dove un preadolescente maschio può identificarsi con personaggi straordinari e potenti e lavorare simbolicamente intorno al proprio sviluppo corporeo. Riduciamo l’allarmismo, non è detto che un bimbo piccolo e timido che gioca ruoli violenti nei videogiochi poi nella vita reale attui comportamenti pericolosi, diverso è ovviamente se rimane attaccato ad uno schermo per l’intero pomeriggio. Lo stesso si può dire delle chat, un possibile momento di esplorazione per acquisire sicurezza nella relazione e per verificare se si è accettati dall’altro. Senza banalizzare i rischi (che in caso di abuso nell’esposizione ai mezzi virtuali sono numerosi.) è quindi importante tenere conto anche degli aspetti evolutivi che la tecnologia mette a disposizione, come dimostrano i recenti studi adolescenziali(5) che confermano la prevalenza di un uso fisiologico del Pc a sostegno dell’esplorazione del sé, e come esperienza importante nel processo di crescita e di manutenzione delle relazioni dell’adolescente odierno. (1) L’età media in cui si entra in possesso del primo cellulare è di circa 12 anni e la maggior parte dei ragazzi ritiene che la principale funzione del telefonino risieda nella possibilità che offre di essere sempre in contatto con gli amici (45%), seguita dall’opportunità di scambiarsi informazioni utili (34%). Una percentuale minoritaria dl campione indica, invece, l’essere rintracciabile dai genitori (16%) e il giocare e fare fotografie o ascoltare musica (4%). Sempre in contatto, M. Lancini e L. Turuani, Ed Franco Angeli, Milano 2009. pag 75 (2) www.wikipedia.org : un’enciclopedia online, multilingue, a contenuto libero, redatta in modo collaborativo da volontari (3) Jeammet Philippe Adulti senza riserve. Quel che aiuta un adolescente Ed Raffaello Cortina, Milano 2009 (4) Sebbene le dipendenze principali e più conosciute siano quelle che si riferiscono alle droghe, esiste un altro gruppo di dipendenze legate a oggetti o attività non chimiche. Le Dipendenze Comportamentali (da alcuni chiamate in Italia New Addictions) comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica. L’oggetto della dipendenza è in questo caso un comportamento o un’attività molto spesso lecita e socialmente accettata. (5) Secondo i punteggi ottenuti alla Ysr ( Youth Self Report) sono i ragazzi che non utilizzano mai Msn né gli Sms ad avere più problematiche di ritiro e difficoltà nelle relazioni, e non quelli che ne fanno ricorso quotidianamente. 17 Conflitti DOSSIER Niccolò Ammanniti IO E T E Einaudi, coll. Stile libero, Torino, 2010 Un ragazzo di quattordici anni è il protagonista di questa storia che ha dell’incredibile ma è assolutamente realistica. Un disagio interiore che parte da lontano, viene esplorato tra le righe un rapporto madre figlio, la figura di un padre sottilmente assente nella sua presenza e un amore molto forte, fraterno. Non posso svelare oltre,perché ogni parola in più potrebbe fornire elementi al lettore che inevitabilmente gli rovinerebbero la sorpresa. Non so se si possa dire profondamente emozionante o che fa riflettere o ancora che lascia un vuoto dentro. Tutte queste cose si possono dire di questo libretto, perché si tratta di un racconto lungo, più che di un romanzo. La copertina porta un enigmatico disegno dell’autore fatto a carboncino. E già questo lascia un preciso segno. Nero su bianco. Non svelo nulla di altro sul racconto, ma posso dire che Ammanniti ha scritto un piccolo capolavoro, quasi una rassicurazione ai suoi lettori, probabilmente depistati dopo il romanzo Che la festa cominci, satira pseudo comica che ha messo al centro il paradosso e l’assurdo per raccontare, forse, una società molto simile alla nostra. Ammanniti è un personaggio famoso, scrittore di fama ma schivo, non avvezzo alle cronache né ai programmi televisivi; ha raccontato nei suoi romanzi soprattutto legami. Legami parentali, storie di padri e figli, di bambini violati, di fatiche a crescere. Si percepisce una attenta sensibilità soprattutto nei confronti dell’infanzia. Qualcuno lo ha paragonato a Ian McEwan. A me piace pensarlo come a un attento ascoltatore e narratore di quotidianità. Estremo a volte, ma sempre molto coinvolgente. Io e te va bene per gli adolescenti e va bene per gli adulti. Ad ognuno il suo carico di domande da porsi. Angela Carlet Gustavo Pietropolli Charmet, Loredana Cirillo ADOLESCI ENZA Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi. San Paolo , Cinisello Balsamo, 2010 Anni fa si pensava che per stabilire una buona alleanza con l’adolescente in crisi gli psicologi dovessero tenere a distanza i genitori per documentare all’adolescente che era lui il destinatario e il promotore dell’intervento e che non si stava lavorando per conto dei genitori. Nulla di più sbagliato: è l’adolescente spesso a sperare che anche i genitori partecipino all’impresa e siano coinvolti nel tentativo di capire e risolvere ciò che lo fa soffrire e ritarda lo slancio verso la crescita. Questo concetto, al Minotauro, l’hanno capito e proprio da questo “patto” nasce Adolescienza, un libro che in sessantacinque punti essenziali affronta – con l’intervento di diversi esperti - i principali problemi con cui mamme e papà devono fare i conti quotidianamente. In questo libro, diviso in cinque capitoli, ampio spazio è dedicato ai cambiamenti dell’adolescente e alle prime trasgressioni, dal “bella ciao” al “bella zio”, dalla cameretta off limits al diario segreto lasciato sulla scrivania, dal coprifuoco notturno ai compiti e alle assenze scolastiche, dal “dopo” al “non rompere”, dalle amicizie virtuali alle sigarette,droga e alcool. E l’elenco continua. Una parte interessante è infine dedicata alla scoperta della sessualità, dell’amore e degli ideali dei ragazzi; molti genitori dissentiranno leggendo che Il conflitto non esiste, ma saranno concordi quando leggeranno che si riferisce a un conflitto ideologico intergenerazionale che si è notevolmente attenuato e non all’attacco a quei comportamenti ribelli e ostili tipici dell’età adolescenziale (che portano invece a continue discussioni con le figure educative), poiché secondo i ragazzi se ci si stima (…bella zio) reciprocamente il passaggio all’età adulta (preferibilmente in una dimensione gruppale) potrà resistere agli eventuali scossoni all’autostima conservando una parte di sé infantile onnipotente. Con un taglio immediato e un linguaggio chiaro, con diversi esempi utili e racconti, G.P.Charmet e L.Cirillo ci illustrano il mondo degli adolescenti, sfatano vecchi miti, incoraggiano i nuovi genitori nel loro difficile ma affascinante ruolo. Elisa Mendola 18