Conflitti DOSSIER
Conflitti Editoriale
Elettricità dentro,
elettricità fuori
Videogiochi e schermi, una strada
verso lo sviluppo o la sottrazione di
risorse creative?
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Conflitti DOSSIER
Video e schermi
di Daniele Novara
Le ultime ricerche di settore si
concentrano non tanto sui contenuti, più o meno violenti, più
o meno erotizzanti, di TV, web
e videogiochi, quanto sulla dipendenza dal video in quanto
tale.
Dal punto di vista psicoevolutivo i problemi principali sono
due: uno riguarda la sottrazione sensoriale ed esperienziale che deriva dalla permanenza davanti a uno schermo
di qualsiasi natura. Quella sensoriale, più grave, colpisce i
bambini piccoli che nelle ultime generazioni (complici i canali televisivi sponsorizzati
come adatti ai bambini anche
sotto l’anno di vita) appaiono
particolarmente danneggiati
dalla scarsità di vissuti sensoriali. Siamo al punto di dover
discutere, come accade ad
esempio in Australia, se proibire o meno la TV sotto i due
anni. La privazione di esperienze sensoriali produce inevitabili ricadute sul piano del
linguaggio: dislessia, disgrafia,
disprassia e quant’altro, fino ai
disturbi alimentari sempre più
anticipati specie nelle bambine. Ma anche la riduzione
esperienziale assume forme
patogene nello sviluppo dei
bambini e dei ragazzi: alcune
ricerche denunciano che il
tempo passato davanti agli
schermi è, in molti casi, supe-
riore a quello scolastico e inferiore solo a quello del sonno.
Questo inevitabilmente produce
sovrappeso sempre più diffuso,
e difficoltà nell’apprendimento
scolastico ma non solo.
L’altro problema, in ordine psicoevolutivo, è senz’altro più inquietante e riguarda l’addiction
propriamente detta, ossia la dipendenza dai video in quanto
tali. In questo settore si sta cominciando a indagare da poco.
avviene con l’uso di sostanze
stupefacenti. Il caso dei bambini che al mattino hanno bisogno di passare un po’ di tempo
davanti alla TV prima di andare
a scuola, con la scusa dei cartoni o soltanto come forma coattiva di comportamento, appare in modo molto preoccupante simile a una vera e propria crisi di astinenza come
quelle del tabagista o dell’alcolista.
Si è riscontrato però che le immagini virtuali vanno a interagire
con le aree cerebrali deputate
alle funzioni del piacere e della
gratificazione, più o meno come
Non bisogna allora confondere
il discorso sul contributo di innovazione che le nuove tecnologie, digitali e non, apportano
alla nostra vita, segnando l’ingresso in nuovi mondi che possono rivelarsi interessanti per
le potenzialità di sviluppo dell’apprendimento umano, con il
problema della compulsione
virtuale fine a se stessa, che
segna drammaticamente il
tempo diurno e a volte anche
notturno delle ultime generazioni.
Le nuove tecnologie aprono la
strada allo sviluppo umano, le
dipendenze video, viceversa,
sottraggono risorse creative
alle nuove generazioni.
Saper distinguere nettamente
fra le due cose è un compito
educativo imprescindibile che
coinvolge l’intera comunità e
non solo i, sempre più confusi,
genitori.
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Nuove forme di
cultura e di gioco:
i nativi digitali
protagonisti
o vittime?
di Francesco Pira
Oggi l’utilizzo delle tecnologie
sta di fatto annullando le separazioni tra le diverse tipologie di
media. Questo dato emerge con
ancora più evidenza dagli studi e
ricerche che con sistematicità
vengono condotte sull’universo
dei giovani, bambini e adolescenti, il loro rapporto con i media e le nuove tecnologie.
È evidente che non ci riferiamo
solo e semplicemente al gioco,
all’ utilizzo della tecnologia,
stiamo parlando di digitali nativi
e di come si sviluppa la comunicazione e la relazione in un
mondo caratterizzato dalla pervasione della tecnologia nei normali processi relazionali.
Quando utilizziamo il termine
comunicazione siamo spesso
tratti in inganno dalla concezione comune che identifica la
comunicazione con informazione, in realtà la comunicazione non è semplice trasmissione di informazioni ma un
processo di costruzione di significati: la comunicazione è
fondamento della conoscenza
che alla base ha la parola, il linguaggio attraverso il quale ci
mettiamo in relazione con l’altro.
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Il bagaglio di conoscenze che è a
disposizione di ciascuno nel suo
agire deriva dal sistema di comunicazione disponibile nel sistema
sociale. In piena società dell’informazione proprio il sistema di comunicazione è non solo principalmente fondato sui media, come
nell’era della società delle comunicazioni di massa, ma basato sulla
tecnologia sulla velocità e quantità di informazioni veicolate ai
mezzi e strumenti a disposizione
del comunicare, che consentono
di relazionarsi in contemporanea
con più soggetti e più fonti e di
unire, combinare, confondere parola scritta e parola parlata. I nostri
sensi sono sempre più coinvolti,
vista, udito, tatto e addirittura olfatto.
Per i digitali nativi questo ambiente relazionale rappresenta un
luogo naturale, la loro capacità di
accesso non li rende però consapevoli delle conseguenze che questo nuovo modo di relazionarsi
può creare. Come sostiene Henry
Jenkins esiste un “gap di partecipazione che consente ad alcuni
giovani di essere autorizzati a
creare e condividere i media con
gli altri”.
Ma cosa significa il termine digitale nativo? Il termine è stato
coniato da Marc Prensky, che lo
utilizzò per la prima volta in un
suo articolo pubblicato nel 2001
nella rivista “On the Horizon”.
L’articolo dal titolo, Digital Natives, Digital Immigrants, illustra
i cambiamenti di tipo cognitivo,
comunicativo e comportamentale, prodotti dall’intenso uso e
dalla sovraesposizione alle nuove
tecnologie, onnipresenti nella
vita delle nuove generazioni sin
dalla più tenera età.
Derrick De Kerkchove allievo di
Marshall Mc Luhan ha elaborato il concetto delle psico-tecnologie sostenendo che finora,
coi media tradizionali, il pensiero è scaturito dalla possibilità
di leggere, ovvero dalla scrittura;
adesso, invece, “il mondo esterno
passa dalle pagine allo schermo,
ove prendono vita espressioni basate sui linguaggi che sono
un’estensione della nostra mente”.
Con le nuove forme di comunicazione sperimentate sulla Rete,
vi è la possibilità di dare vita a
un’intelligenza collettiva. Dalla
mentalità pubblica propria della
televisione, dove tutto ciò che
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passa attraverso il tubo catodico
è di produzione esterna, e nulla
viene creato direttamente dallo
spettatore, che passivamente riceve le immagini che gli scorrono davanti agli occhi alla mentalità privata propria del computer, che grazie a Internet, diventa in qualche modo un ampliamento della nostra intelligenza e della nostra memoria.
In questo contesto discutere dei
singoli mezzi, televisione, cellulari, pc, videogiochi come separati non ha più molto senso
Chris Anderson Direttore di
“Wired” l’interesse verso il Web
si sposterà sempre più verso le
applicazioni, i social network, il
gaming, l’interattività, il cinema
on demand. Si vengono a formare in questo modo due
mondi separati, il Web aperto
simboleggiato da Google e
quello chiuso dove troviamo
Facebook, Linkedin, aree riservate in cui Google non ti riesce a
portare.
Questa evoluzione è sotto i nostri occhi, la percepiamo, la viviamo in prima persona con il
nostro profilo su Facebook, con
l’uso degli smartphone, con i
nuovi modi di fruire cinema,
musica, libri.
Nel 2007 conducemmo una indagine su un campione di 1212
bambini in 6 regioni che tracciava un quadro articolato sul
rapporto tra bambini media e
nuove tecnologie. Indagammo
su i comportamenti, i gusti e il
modo di utilizzo in funzione
della tipologia di media. I libri,
la televisione, i videogiochi, internet e il telefono cellulare erano
i tasselli che utilizzammo per
comporre un puzzle che trac-
“Il cervello dei ragazzi che dedicano molto tempo ai videogiochi
violenti è meno reattivo alle immagini grafiche, un indizio che questi giocatori sono diventati più insensibili a queste rappresentazioni.
Uno studio americano ha rivelato che l’attività cerebrale dei giocatori è compatibile con uno stato di aggressività quando partecipano a giochi in cui sono protagonisti principali di una sparatoria.
(Mente & cervello, n.55 luglio 2009 p. 77)
LE NUOVE “TRIBU` DIGITALI”
GENERAZIONE TOUCH – 0-3 anni
Non usano il mouse ma soltanto tasti e schermi sensibili,
esattamente come nei giochi per la prima infanzia
GENERAZIONE NATIVI DIGITALI – 3-12 anni
Non hanno vissuto l’era analogica, non guardano più la TV,
abitano con case dove ci sono connessioni internet e grande disponibilità di videogiochi
M ILLENNIALS – 14-18 anni
Nati a cavallo tra due secoli, ottimi conoscitori della tecnologia ma cresciuti in ambienti non ancora del tutto informatizzati e all’epoca della TV
M IGRANTI DIGITALI – 18-25 anni
Legati alla parola scritta e all’insegnamento frontale,
hanno scoperto più tardi l’interattività digitale
Fonte: Università degli Studi - Milano Bicocca - 2010
ciasse il ritratto dei bambini di
oggi. Il ritratto che ne scaturì e
che come “un graffito” continua a
modificarsi, ma contiene alcuni
elementi essenziali:
• i bambini come gli adulti leggono sempre meno;
• guardano la TV degli adulti, le
fasce protette sono di fatto
scomparse e l’orario di visione si
sposta sempre più avanti;
• esiste un “TV divide”, tra chi ha
la tv satellitare e chi vede solo la
tv generalista in chiaro;
• i modelli a cui si ispirano sono
quelli della TV commerciale, i
cartoni animati e i programmi
per ragazzi non sono più ai
primi tre posti della classifica
delle preferenze.
Nel 2008 abbiamo realizzato una
indagine su un campione di 463
ragazzi tra gli 11 e i 15 anni e i
loro genitori che hanno risposto
separatamente agli stessi quesiti
sui consumi mediali. Il dato più
rilevante ha riguardato la diversità delle risposte tra giovani e
adulti, in alcuni casi in netta
contraddizione. Un elemento
per tutti: per i genitori oltre il
40% dei ragazzi utilizza internet
per motivi di studio, quando
solo il 2,8% dei ragazzi dice che
internet serve per studiare!
Gli studi che si sono succeduti
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hanno evidenziato la rapida evoluzione della “dieta mediatica”
dei ragazzi. Il Rapporto Eurispes
2009 mostra che:
• nell’89% delle case dei bambini intervistati era presente
un computer;
• il PC e internet fanno parte
del nostro quotidiano, sono
strumenti di lavoro, di apprendimento, di comunicazione, d’informazione, di divertimento, sono creativi e dinamici;
• i bambini usavano spesso il
computer da soli nel pomeriggio;
• il 71,1% degli adolescenti
possiede un profilo su Facebook;
• il 28,7% degli adolescenti ritiene che i social network
siano utili strumenti per rimanere in contatto con gli
amici di sempre e con quelli
che si trovano lontano o non
si frequentano da molto
tempo.
Fare nuove conoscenze rappresenta il motivo principale per cui
il 14,9% dei ragazzi ha deciso di
affacciarsi al mondo delle reti sociali sul web. Alcuni social network dispongono di particolari
applicazioni (giochi, gruppi, test)
che rappresentano, per il 10,4%
dei ragazzi una possibile alternativa per riempire il tempo libero.
Diminuisce invece la frequenza
d’uso che gli adolescenti fanno
dei Dvd, che scendono al 54,2%
nel 2009, sostituiti dallo streaming su Internet o dalle copie
scaricate dalla Rete. A questo si
aggiunge il drastico calo, nell’ultimo anno, dell’utilizzo di videogiochi e console, il 29,2%.
I numeri ci dicono che i bambini
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e gli adolescenti sono immersi
nelle nuove tecnologie, mentre gli
adulti appaiono sempre più disorientati con una consapevolezza
sempre più distante e frammentata rispetto all’utilizzo. Sembrano
incapaci di rappresentare una
guida per il superamento del gap
ambientale, come lo ha definito
Jenkins. Conoscono poco la tecnologia, non conoscono i propri
figli e il loro modo di relazionarsi.
Nei miei incontri e seminari ho
raccolto esperienze di genitori che
nel tentativo di ricostruire un dialogo chattano con i figli su Facebook mentre sono in due stanze
diverse all’interno della stessa casa.
Ma sempre più spesso i figli vivono come inadeguati i genitori
rispetto alle conoscenze tecnologiche, e questo crea una barriera di
incomunicabilità.
E allora, ci si domanderà: cosa
fare? Come si esce dall’impasse dei
rischi derivanti dall’uso delle tecnologie e dalla perdita di relazione
genitoriale?
Non vi è dubbio alcuno che lo
sforzo maggiore spetta al genitore che deve accompagnare la
crescita dei figli attraverso i nuovi
modi di relazionarsi, senza dimenticare che la comunicazione
passa ancora attraverso la parola, il gesto, la condivisione di
luoghi, e paradossalmente proprio la nuova generazione di videogiochi, dalla nintendo wii a
kinetics di xbox3, possono rappresentare l’espediente di una
nuova forma di condivisione di
tempo e spazi con un uso più
intuitivo della tecnologia.
L’immersione nei giochi di ruolo
di ultima generazione che consentono di giocare da soli o con
altri via web rappresenta una
frontiera in continua evoluzione
dove il rischio alienazione si
combina con creatività, immaginazione. È evidente che siamo
ancora alla ricerca di un punto di
equilibrio, ed è del tutto probabile che nel momento in cui riterremo di averlo trovato il
mondo avrà subito una nuova
evoluzione e saremo perciò di
nuovo nella condizione di cercare di comprendere il nuovo e
di capire come gestirlo provando
al contempo a individuare potenzialità e rischi da prevenire.
* Francesco Pira è sociologo della comunicazione, [email protected]
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... e cervello
di Anna Oliverio Ferraris
Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, è professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università di Roma 1. È stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale di Bioetica.
Dirige la rivista degli psicologi italiani “Psicologia Contemporanea”.
Collabora regolarmente e da anni con le seguenti riviste: “Vita Scolastica”, “La scuola dell’infanzia”, “Vita dell’infanzia”, “Prometeo”. È stata
collaboratore fisso per molti anni del Corriere Salute (Corriere della sera)
e ora scrive saltuariamente su alcuni quotidiani e altre riviste.
Autrice di molti saggi ricordiamo tra gli ultimi: Arrivano i nonni! Rizzoli,
Milano, 2005, Piccoli bulli crescono. Rizzoli, Milano, 2007, La sindrome
Lolita. Rizzoli, Milano, 2008, Chi manipola la tua mente. Giunti, Firenze,
2010.
Un eccessivo uso dei videogame,
specialmente se basati su azioni
ripetitive, non è un buon esercizio per il cervello e può favorire
comportamenti impulsivi nei ragazzi. Questi risultati sono
emersi in una ricerca di un neuropsicologo giapponese dell’università di Tohuku, Ryuta Kawashima.
Avvalendosi di due diversi test, il
ricercatore giapponese ha misurato l’attività cerebrale di centinaia di adolescenti e di bambini
tra i 9 e i 10 anni mentre erano
impegnati in videogiochi ripetitivi (sparatorie, monotone addizioni di numeri di una cifra ecc.)
e durante la soluzione di un normale problema di matematica.
Per compiere queste misurazioni
si è avvalso della PET (Tomo-
grafia ad Emissione di Positroni),
una tecnica che consente di vedere
in diretta su uno schermo quali
sono le parti del cervello che si attivano e “lavorano” quando una
persona è impegnata in una qualche attività, mentale o motoria.
Kawashima ha trovato che i videogames ripetitivi stimolano il
cervello, ma soltanto in quelle
parti che controllano la visione e i
movimenti; invece, i problemi di
matematica stimolano un maggior
numero di zone cerebrali, sia dell’emisfero destro che di quello sinistro: in particolare attivano le
zone frontali della corteccia cerebrale, ossia quelle aree corticali che
sono maggiormente associate all’apprendimento, alla memoria, all’emotività. Una completa maturazione del cervello è uno dei fat-
tori che rende possibile il controllo degli impulsi, tant’è che
generalmente i ragazzi si lasciano
trasportare dalle emozioni più
degli adulti in quanto non
hanno ancora raggiunto un completo sviluppo dei lobi frontali.
Secondo il ricercatore giapponese, troppi videogiochi ripetitivi
fin dall’infanzia, a scapito di attività cerebrali più impegnative e
complesse, possono favorire
comportamenti impulsivi in età
successive, non tanto (o non
solo) perché vengono imitati i
movimenti rapidi e i comportamenti violenti presenti in alcuni
videogiochi “divertenti”, ma per
lo scarso esercizio mentale che
questi giochi richiedono.
Il cervello infatti non si sviluppa
soltanto in base ad un programma genetico ma anche grazie all’esercizio. In età evolutiva,
alcune attività mentali - come
ad esempio la soluzione di problemi, la capacità di tener presenti più variabili utilizzandole
nei modi più efficaci e consoni
alla situazione - contribuiscono
più di altre (operazioni semplici
e ripetitive) al perfezionamento
delle fibre che collegano i neuroni delle zone frontali del cervello: più queste aree vengono
attivate, più le fibre raggiungono un pieno sviluppo. Le attività che richiedono un mag-
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gior impegno intellettivo - e non impegno, attestarsi su attività i ragazzi a sviluppare a pieno le
si tratta soltanto di problemi di troppo semplici perché comode e loro facoltà mentali.
matematica - sono anche quelle rassicuranti, alla fine non aiutano
che favoriscono il controllo degli
impulsi.
Quali possono essere la conseManfred Spitzer
guenze sul piano pedagogico dei
VORSICHT BILDSCH IRM! - ATTENZIONE, SCH ERM I!
risultati ottenuti da Kawashima? DTV Deutscher Taschenbuch, 2006, Germania
Dobbiamo forse abolire i videogiochi? Non è necessario aboAttenzione, schermi! Questo il titolo di un
libro che non troverete in traduzione italirli, ce ne sono infatti di diversi
liana. L’autore, psichiatra, spiega come il
tipi e alcuni, più complessi, ricervello impara, sempre, costruendo
chiedono un buon impegno intracce a partire dalle esperienze fatte,
tellettivo. Il mercato offre una
che creano ispessimento delle sinapsi,
ricca gamma di videogiochi: alche rimangono nel cervello e diventano
cuni sono essenzialmente ripetibase di ulteriori apprendimenti.
Cosa succede ai bambini (e al loro certivi (piacciono perché facili e
vello) se sottoposti all’esperienza di stare
come tali rassicuranti), altri sono
davanti agli schermi (TV e computer), maviolenti sia nei contenuti che
gari per 5 ore di media tutti i giorni?
nella forma (piacciono per l’ecLe risposte vengono da uno studio empicitazione che procurano), altri
rico e statistico, che hanno messo in reancora sono invece portatori di
lazione la durata dell’esposizione agli
schermi con diversi esiti di vita incontrati
messaggi educativi e culturali.
nell’arco
di
venti
anni,
ad
esempio:
l’incidenza dell’abitudine al fumo,
Importante è non arenarsi nei
livelli eccessivi di colesterolo e altri fattori di rischio per gravi malattie.
videogiochi ripetitivi, usarli con
Si è scoperta una proporzione rispetto al numero di ore trascorse damoderazione e bilanciarli con at- vanti agli schermi.
tività di livello superiore. Sarà Ma cosa succede a livello delle capacità di apprendimento? Tra chi è
bene anche evitare quelli vio- stato esposto a meno di un’ora di TV al giorno all’età di 5 anni, il 40%
lenti, che suggeriscono modalità sono arrivati a concludere gli studi universitari e pochi hanno abbanantisociali di comportamento. In donato gli studi prima di conseguire una qualsiasi licenza. Tra chi ha
subito 4 o 5 ore di media al giorno a 5 anni, la percentuale di drop out
ambito scolastico, infine, i bamaumenta a dismisura e pochi arrivano a concludere gli studi universibini devono trovare “pane per tari. Esiti intermedi per i gruppi intermedi.
i loro denti”: lassismo, scarso Come si spiegano questi dati empirici?
Il cervello, organo fatto per apprendere, non conosce “tempo libero”.
Per molti bambini il tempo dedicato agli schermi in media all’anno è secondo solo al tempo dedicato al sonno, supera il tempo di scuola. Cosa
imparano i bambini in questo tempo? Davanti agli schermi il cervello si
forma delle tracce sbagliate. Ad esempio esplorare un oggetto di legno o di metallo con le mani e la bocca mette in gioco tutti i sensi contemporaneamente: se a battere il cucchiaino sul bicchiere si sente un
suono, questo è coordinato al gesto al millisecondo. Invece l’esperienza “virtuale” non può avere un coordinamento vista-suono perfetto
e difetta di tutti gli altri sensi e azioni, dà un’immagine del mondo impoverita, piatta e lontana dalla vita. Lascia nel cervello delle tracce “farlocche” che occupano sinapsi che potrebbero svilupparsi in un modo
migliore.
Demonizzazione della TV? In Italia solo porsi questi problemi è tabù.
Che i bambini italiani siano immuni?
Elena Passerini
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Dipendenze senza sostanza:
i videogiochi e internet
intervista a Sandro Pilan, psicologo
a cura di Claudio Riva
Sandro Pilan, per la mia generazione di psicologi di Vicenza e
dintorni, è sinonimo di psicologia della tossicodipendenza. È
una vita che Sandro lavora in
questo ambito. Quando abbiamo deciso in redazione di occuparci di ciò che sta accadendo
circa il fatto che bambini che
passano tanto tempo davanti alla
tv o ai videogiochi sembrano sviluppare delle vere e proprie
forme di (tossica) dipendenza,
mi è venuto assolutamente
spontaneo pensare di intervistarlo. Per una serie di coincidenze che potrebbe risultare noioso raccontare, ho svolto l’intervista all’interno di un gruppo
di famiglie dal suggestivo nome
La luna nel pozzo, che da anni
si ritrovano ad affrontare vari temi
e momenti di convivenza. È nata
così un intervista ad un esperto
del tema, amico, tra amici.
Iniziamo l’incontro. Chiedo a
Sandro di presentarsi.
Sandro: “Mi occupo di dipendenza da una ventina d’anni, prevalentemente per le cooperative
sociali, in particolare di tossicodipendenza e di alcool dipendenza e
da una decina d’anni di dipendenza senza sostanza, tipo gioco
d’azzardo, slot machine, gratta e
vinci, superenalotto”.
Io: “Ci precisi meglio il termine
senza sostanza? Il denaro non
viene considerata una sostanza?”
Sandro: “Tradizionalmente le dipendenze sono considerate tossicodipendenze, tabacco, droga, al-
cool, ecc., dove c’è una sostanza
tossica che entra nell’organismo.
Dalla fine degli anni 90 ci si occupa di queste dipendenze. Il
denaro non viene visto come sostanza. Sono considerate dipendenze senza sostanza il gioco
d’azzardo, lo shopping compulsivo, prevalente femminile,
mentre il gioco d’azzardo è prevalente maschile, dipendenze da
internet e dal giocare da internet, i giochi di ruolo, … anche
la dipendenza dallo sport.
Quando non hai più la possibilità di rinunciare un giorno a
quella cosa, noi la consideriamo
una dipendenza. C’è poi tutto
l’ambito delle dipendenze da
cellulare e videogiochi, da TV.
ecc. Facebook è considerata all’interno delle dipendenze da
computer.”
Io: “So che nell’uso delle sostanze vengono considerati livelli diversi di dipendenza, anche per la gravità e si distingue
lo spinello dalla sostanza in
vena. C’è qualcosa di analogo
nelle dipendenze senza sostanza?”
Sandro: “Generalmente consideriamo tre livelli di dipendenza. Il primo livello è un uso
controllato. Potrebbero essere
considerate le cosiddette dipen-
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denze sane. Per esempio il mangiare, tenendo conto che anche
nel mangiare possiamo avere
delle perdite di controllo. La differenza sta nella capacità di gestire la cosa. Un disturbo alimentare è una dipendenza al
primo livello, un abuso, un
qualcosa di più forte di me che
mi dà l’idea che mi faccia bene.
Chi è dipendente prova una
certo carving, una astinenza.”
Io: “Il soggetto è consapevole di
questo?”
Sandro: “Il soggetto è consapevole ma incapace di controllare”.
Io: “Salta la giusta relazione con
l’oggetto (…sostanzioso o
meno) anche dal punto di vista
quantitativo?”
Sandro: “ Sì. Io vedo i miei figli
e loro pensano che giocano poco
e studiano tanto anche se il
tempo è in realtà uguale.”
Io: “C’è una quantità necessaria
per parlare di dipendenza?”
Sandro: “Solitamente si, a seconda dell’ambito. La dipendenza da internet, per esempio,
viene considerata tale quando
uno supera le 6-7 ore al giorno.
Non stiamo pensando a un uso
lavorativo ovviamente. L’attività
che crea dipendenza è da considerarsi comunque un’attività
piacevole. Al di là del tempo è
importante questo. I ragazzini
che incominciano a considerare
più piacevole rimanere su internet che non giocare con i compagni per esempio. Un’attività
che c’entra con la dipendenza è
sicuramente una attività che
provoca piacere o una diminuzione di sofferenza. La cosa è comunque soggettiva nel senso che
ciò che provoca piacere ad un
soggetto potrebbe non provo-
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carlo ad un altro.”
Io: “Le sostanze considerate a rischio di dipendenza erano in qualche modo identificate e guardate
con un certo sospetto, anche se
con approcci diversi dal punto di
vista psicopedagogico e culturale.
Attorno all’alcool per esempio c’è
una certa protezione, almeno fino
a una certa età e se l’adolescente
rientra in casa puzzando di grappa
qualche preoccupazione in un ge-
relazione con l’altro, costantemente in contatto. È abbastanza
facile che loro siano in un tempo
diverso dal nostro, o per loro la
concezione del tempo è alterato.
D’altra parte il principio che
regge una dipendenza è proprio
quello dell’onnipotenza. I nativi
digitali possono immaginarsi di
tutto, possono immaginarsi di
diventare qualsiasi persona e immaginarsi di entrarci dentro.”
Interviene uno
del
gruppo:
“Hanno anche
perdita
di
sonno?”
La dipendenza è un sintomo che
Sandro: “Si, sono
indica l’incapacità di essere
ragazzi che resoggetti. Per natura siamo fatti
stano svegli per
continuare a giocosì, con un’interdipendenza,
care durante la
abbiamo bisogno di respirare,
notte e allora incominciamo ad
mangiare, ecc., anche nelle
essere nella patorelazioni.
logia”.
“E non si rendono conto?”
Sandro:”Si rendono conto, ma
nitore attento può anche emer- non riescono più a farne a meno.
gere. Quando un genitore si deve La dipendenza è un sintomo che
preoccupare rispetto a queste “non indica l’incapacità di essere sogsostanze” a portata del bambino getti. Per natura siamo fatti così,
fin dalla nascita?”
con un’interdipendenza, abSandro: “Non è facile perché i ra- biamo bisogno di respirare,
gazzi d’oggi sono figli della tecno- mangiare, ecc., anche nelle relalogia. Il problema che può dare il zioni”.
telefonino è che c’è una specie di Io: “Secondo te il tema della dionnipotenza, che abitua ad un vi- pendenza in genere è una quevere ed ad un relazionarsi molto stione più di tipo educativo o di
diverso da quello che eravamo abi- tipo clinico?”
tuati noi. La distanza non esiste Sandro: “Una volta era una quepiù, non esiste più il vuoto. Se ar- stione sia clinica che educativa.
rivo in ritardo a un appunta- Oggi sta diventando sempre più
mento, una volta era un’occasione un problema culturale e sociolopersa, oggi il cellulare ti consente gico. Oggi siamo sempre più
di rimediare, sei costantemente in dentro a un sistema consumi-
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stico. Non siamo più orientati
verso “virtù e conoscenza” ma
siamo predisposti a cercare qualcosa di esterno che ci faccia star
bene”.
Io: “Cioè è lo stesso sistema educativo che incentiva la dipendenza?”
Sandro: “Certo. Anche come
genitori abbiamo un sistema che
incentiva la dipendenza da un sistema esterno piuttosto che la ricerca delle risorse interne. È un
sistema tutto pieno, lo stato di
onnipotenza del bambino l’incapacità di percepire la differenza
tra lui e il mondo.”
Interviene uno del gruppo: “Io
da piccolo giocavo la schedina e
ancora oggi mi piace farlo, ma
non mi sento dipendente”.
Sandro: “Questa è la questione,
non il gioco. Oggi c’è un’enormità di proposte in cui tutto è
accessibile sempre. Ci sono infiniti giochi a cui uno può accedere. La velocità e la mancanza
dell’attesa favorisce la dipendenza. La schedina da questo
punto di vista costringe ad un
attesa.
Uno dei poteri dei videogiochi è
che se muori puoi subito rinascere e questo porta ad una de
realizzazione. Io giocavo a flipper e quando perdevo le tre palline ero morto e dovevo aspettare il momento in cui avrei
avuto un’altra moneta per giocare. L’immediata soddisfazione
della voglia e l’incapacità di
aspettare finisce per uccidere il
desiderio”.
Io: “Mi pare che ci stai dicendo
che ci sono molte analogie con
le dipendenze da sostanza. Pur
essendoci sostanze più o meno
tossiche, non è la sostanza in sé,
ma l’atteggiamento che si ha nei
confronti di essa, l’uso che se ne
fa. La stessa sostanza può essere
benefica o malefica a seconda di
quanto, quando, come viene assunta, come nel caso dei farmaci.
Questo può essere chiaro per un
professionista della salute che conosce bene le sostanze. Qui parliamo di dipendenza senza sostanza, che deriva dalla relazione
con oggetti, giochi e quant’altro,
che non si sviluppa in nascosti
scantinati di periferia, ma nei divani delle abitazioni qualsiasi.
Riusciamo a concludere con qualche indicazione di tipo educativo
per i nostri lettori?”
Sandro: “ Molto di ciò che si è
cercato di fare rispetto l’uso delle
sostanze è risultato inutile. Abbiamo capito che non è automatico che chi fa uso di sostanze ne
diventa dipendente, anche se ci
sono sostanze che tendono più di
altre a generare dipendenza e i due
aspetti vanno considerati assieme.
Interviene uno del gruppo:
“Non esiste più il modello del dipendente sfigato”.
Sandro: “Anche nell’uso delle sostanze c’è il dipendente del fine
settimana. Non abbiamo più il
caso emblematico, il tossicodipendente classico. Esiste una realtà
moto più normalizzata.”
Io: “Sì è realizzato quello che diceva Ivano Spano. Siamo passati
dalla tossicodipendenza alla dipendenza tossica”.
Sandro: “Direi di sì, una dipendenza generalizzata, tutto fuori,
tutto estrovertito e ci espone
molto a non crearci un interno e
quindi siamo più esposti a comportamenti dipendenti.”
Io: “Potrebbe centrare anche il dilagare del materno e l’assenza del
paterno?”
Sandro: “Se per materno intendi il dilagare di un’eccessiva
protezione credo che sia una
questione generalizzata. Insistere
perché un ragazzo che non ha
nessun interesse scolastico continui la scuola invece di andare
a lavorare impedisce di fatto che
lui si assuma delle responsabilità
e quindi in fondo sia se stesso
fuori da una dipendenza da ciò
che l’altro si aspetta da lui.
C’è di fatto un’educazione alla
dipendenza e quindi la via
d’uscita è di spostarsi su un’altra
dipendenza. Diversamente dagli
anni ‘70 in cui c’era comunque
un tentativo di rottura di un sistema, oggi il sistema non si
rompe e si sposta semplicemente
su un altro oggetto, ma non
cambia niente.”
Io: “Quando parliamo di questi
aspetti non parliamo solo di ragazzini ma anche di adulti”
Sandro: “Certo, riguarda anche
persone sposate di una trentina
d’anni. Di solito il caso scoppia
quando arrivano i figli che incominciano a svegliarli di notte,
non riescono più a giocare, ecc.
spesso questi non vogliono diventare genitori perché sono ancora figli”.
Il discorso si farebbe lungo e si è
fatto tardi. Ci fermiamo e
apriamo le tovaglie per condividere quello che ognuno ha portato, concedendoci una piacevole sana (speriamo) dipendenza
dal cibo.
Grazie a Sandro e al gruppo.
13
Conflitti DOSSIER
Macchinette infernali
Intervista doppia.
Come ti chiami? Silvia
Cosa fai nella vita? La dirigente di una scuola privata
Hai mai giocato a un videogioco? Sì, ma quand’ero
piccola. Ora proprio non mi attraggono
Cosa pensi dei videogiochi? Macchinette infernali
Dì una cosa positiva dei videogiochi I figli restano
ipnotizzati e si respira un attimo
Secondo te possono essere un problema? Si, possono diventarlo, non lo sono a priori
Hai figli? Sì 4(!): di 3, 8, 11 e 13 anni. La più grande
è la femmina, gli altri sono maschi.
Giocano ai videogiochi? Si, ci giocano i due maschi più grandi, ma un’oretta al giorno, non tutti i
giorni, soprattutto nel weeekend. La femmina ci
giocava ora non le interessa più: adesso è ipnotizzata da facebook!
Pensi che il tempo davanti a un videogioco vada
regolato? Perché? Sì, soprattutto perché è praticamente impossibile che i bambini smettano di
giocarci da soli.
Dì un aspetto negativo dei videogiochi? Agitano e
creano dipendenza
Tuo nipote, con il quale hai una relazione specialissima, ti precisa che l’unica cosa che vorrebbe
da te per il suo compleanno è l’ultimo videogioco
uscito di cui hai appena letto una recensione
molto negativa. Glielo compri? No. Bisognerebbe
approfondire il motivo della recensione negativa.
Se fosse un problema di eccessiva violenza gli
spiegherei chiaramente che si tratta di un videogioco dove le immagini sono brutte e negative.
C’è un videogioco che hai visto o di cui hai sentito
parlare che ti ha colpito particolarmente? A parte
quelli di quando ero bambina, non ne ho uno in
particolare che mi abbia colpito.
Oggi videogiochi vietati. Si fa… fatica!
E tu, di quale strumento elettronico non potresti
fare a meno? Il telefono, e il computer per le
mail... ci sto sicuramente più di un’ora al giorno!
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Come ti chiami? Luca
Cosa fai nella vita? Vendo libri
Hai mai giocato a un videogioco? Sono fermo a
Space invaders al bar sotto casa. Poi ci ho provato
da amici, ma il risultato è sempre disastroso.
Cosa pensi dei videogiochi? Potenzialmente possono essere una stimolante maniera di giocare.
So che molti giovani si immedesimano troppo nei
loro mondi virtuali o ci passano eccessivo tempo.
Perciò ritengo che debbano essere valutati per le
loro capacità "educative" sia in positivo che in negativo.
Dì una cosa positiva dei videogiochi Le persone
che conosco che ci giocano mi sembrano davvero
entusiaste.
Secondo te possono essere un problema? Per degli adolescenti chiudersi in casa e giocare ore e
ore da soli davanti allo schermo non credo possa
fare molto bene. Tralasciando il tema dei giochi
particolarmente violenti.
Hai figli? Due. Di 8 e 6 anni.
Giocano ai videogiochi? Al bambino di 8 piace
molto, ma non avendo in casa neppure il televisore, è costretto a provarci da amici. La bambina
di 6 non sembra ancora interessata.
Pensi che il tempo davanti a un videogioco vada
regolato? Assolutamente sì.
Dì un aspetto negativo dei videogiochi Possono
creare un mondo virtuale e asociale che inganna
il ragazzo. Tralasciando nuovamente il tema dei
deleteri giochi violenti.
Tuo nipote, con il quale hai una relazione specialissima, ti precisa che l’unica cosa che vorrebbe
da te per il suo compleanno è l’ultimo videogioco
uscito di cui hai appena letto una recensione
molto negativa. Glielo compri? Recensione negativa? Da profano meglio non rischiare. Gliene
regalerei un altro di cui posso essere più sicuro.
Questo è quello che gli direi.
C’è un videogioco che hai visto o di cui hai sentito
parlare che ti ha colpito particolarmente? No.
Come si è capito, non è il mio "mondo".
Oggi videogiochi vietati. Si fa… Si gioca "reale".
E tu, di quale strumento elettronico non potresti
fare a meno? Il PC. Purtroppo il computer è diventato parte integrante della nostra "realtà".
Conflitti DOSSIER
Nuovi dubbi per adulti preoccupati
e paurosi, nuove fatiche
per adolescenti fragili ma curiosi.
intervista a Matteo Lancini, psicologo
a cura di Elisa Mendola
Il mondo virtuale è senza dubbio la “casa” della maggior
parte degli adolescenti. Si comunica attraverso telefonini,
chat e network. È possibile
parlare di gruppo quando si
parla di comunità virtuale?
Esiste un apprendimento
gruppale quindi nei social forum?
È verissimo che il mondo degli
adolescenti odierni, spesso denominati “nativi digitali”
(espressione peraltro già superata
dal nuovo termine “touch generation” – bambini che crescono
in un mondo nel quale l’interazione passa attraverso il tocco)
pone delle nuove questioni rispetto ai processi di apprendimento e della socializzazione.
Se riflettiamo sulla presenza degli
strumenti tra le mani dei giovani
notiamo che la maggior parte di
questi vengono regalati dai genitori: l’immersione nella virtualità è paradossalmente sostenuta
dagli adulti che ne hanno timore
(un esempio sono i telefonini regalati sempre più precocemente,
anche a bambini delle elementari, per poter rimanere sempre
in contatto con i figli seppur a distanza(1) o la scelta di tariffe internet illimitate a favore dei figli).
Come cambia quindi il sistema di
apprendimento a livello cognitivo?
I bambini non sono arrivati alle
tecnologie come immigrati nel
mondo virtuale bensì sono nati
con questi strumenti già a loro disposizione. È vero che la dimensione di alcuni programmi - come
Messenger o Facebook - ha proposto un nuovo modo di relazionarsi, un nuovo modo di conoscersi: in rete, senza corpo, e
spesso in gruppo.
Il nostro compito è studiare quindi
cosa significa e quali sono i cambiamenti in atto.
I videogiochi sono molto utilizzati dai ragazzi di oggi e gli
schermi sono pane quotidiano
anche per i più piccoli. Sorge
spontanea una domanda: una
volta giunti a scuola, dove le
nuove tecnologie sono distanti
anni luce, questi bambini della
touch generation impareranno a
leggere, a scrivere, a fare i calcoli
e ad allenare la memoria senza
un touch su un computer?
Matteo Lancini è psicologo, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano e professore incaricato di “Psicologia del ciclo di
vita” e di “Psicopatologia generale e dell’età evolutiva” presso
l’Università di Milano-Bicocca.
Questa è la questione della
scuola odierna, che in parte è restia alle novità e guarda con sospetto le tecnologie e in parte le
vorrebbe utilizzare. In generale,
in questo momento storico, il rischio della scuola è quello di arroccarsi in difesa di una tipologia
di apprendimento e di cultura
che solo la scuola può portare
avanti, in contrasto con una formazione “on line”, aggiornata
ma superficiale, come quella di
Wikipedia(2).
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Conflitti DOSSIER
Io difendo molto l’istituzione
scolastica e ne comprendo e sostengo appieno le potenzialità
formative, che penso debbano
trasformarsi per essere ancor più
efficaci. Un esempio: esiste un
regolamento scolastico formale
per il divieto dell’uso dei telefonini nelle scuole, che viene però
disatteso, perdendo in questo
modo il suo significato e la sostanza della regola, rendendo
cioè l’ intervento del mondo
adulto inattuabile.
Più che schermare la scuola con
l’idea che i ragazzi si concentrino
di più se “isolati” dal resto del
mondo, bisognerebbe prevedere
interventi di modernizzazione
che la aprano a nuovi strumenti
e la rendano più vicina ai ragazzi
(comunque con un adattamento
non seduttivo ma critico).
I ragazzi sono concentrati se motivati, instaurano relazioni significative se spinti a farlo, si pongono in modo positivo allo studio se hanno la percezione che
ciò che apprendono sia un sapere utile alla crescita e non una
cultura stereotipata... in questi
casi spengono i telefonini, ascoltano gli insegnanti e si mostrano
interessati.
Se oggi c’è una generazione motivata è quella degli adolescenti!!
Al contrario di quello che si
sente e che abbiamo scritto tutti
per anni, non sono più indifferenti bensì sono ragazzi meno
disposti a seguire gli adulti in
modo compiacente, ma desiderosi di avere uno spazio proprio
di espressione.
D’altra parte, proprio perché più
fragili narcisisticamente e sempre
protesi al mondo virtuale, fanno
più fatica a sostenere le modalità
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e le tempistiche di una tradizionale
lezione frontale (correndo spesso il
rischio di essere definiti erroneamente come “iperattivi”) e si prospetta agli educatori odierni una
nuova fatica nell’apprendimento.
C’è un’altra differenza sostanziale
rispetto al passato: una difficoltà
per le generazioni di oggi a studiare completamente da soli e in
silenzio (almeno una radio in sottofondo, o un pc acceso, o la
mamma in cucina, o un collaboratore domestico devono esserci).
Queste novità non sono da condannare (per esempio portando i
cavi del pc a lavoro per evitare che
il figlio si colleghi su web..) ma
dobbiamo studiarle, osservare i ragazzi e riflettere sulla ricerca di
nuove motivazioni condivise per
scuola e famiglie e su come aiutare
gli adolescenti odierni a tollerare la
sofferenza e la solitudine che inevitabilmente fanno parte dell’esperienza dello studio.
Se dovessimo dare, a genitori ed
educatori che si occupano di ragazzi, alcune indicazioni, che
cosa si sentirebbe di dire rispetto
al nuovo modo di essere giovani
oggi? Quali sono le modalità
“sostenibili” per entrambi per
entrare efficacemente in relazione?
Dipende da nuovi modelli educativi e da una trasformazione sociale ben nota; penso che il ruolo
adulto debba essere rigoroso, un
adulto senza riserve (come cita Jeammet(3)) che mantenga una certa
verticalità nella posizione.
Io sono molto critico quando sento
che famiglia e scuola devono riprendere il loro ruolo educativo…
è verissimo, ma cosa vuol dire?
Fare paura? Sottomettere? Punire? Questo sembra spesso un
modo finto di essere adulto autorevole che nasconde una difficoltà nell’individuare forme significative di relazione educativa.
Penso piuttosto ad un modello di
adulto rigoroso che debba adottare una nuova modalità di porsi,
tenendo conto di ragazzi contemporaneamente fragili, spregiudicati e relazionali, per esempio proponendo punizioni creative, con l’idea di una scuola che
non sia un posto dal quale venire
allontanati se ci si comporta
male, ma al contrario, un luogo
dove restare di più. Per fare questo bisogna lasciare stare gli slogan televisivi e lavorare invece su
un’ alleanza tra scuola e famiglia,
senza la quale non esiste la possibilità di effettuare interventi educativi, anche severamente sanzionatori, efficaci.
Se un preside decide di tenere
due ragazze in orari extrascolastici
a ripulire i muri dove vi sono
scritte contro un ragazzo che ha
lasciato una delle due, e il padre
Conflitti DOSSIER
di una studentessa telefona dicendo che se sua figlia non fosse
tornata subito a casa avrebbe denunciato l’istituzione scolastica,
chiaro è che il valore dell’intervento educativo viene perso.
Da questo possiamo capire come
sarebbe utile se gli adulti, invece
che darsi la colpa a vicenda e ricorrere sempre più frequentemente alla denuncia, si trovassero di più la sera a discutere sul
nuovo ruolo genitoriale-educativo per cercare di dare delle risposte intelligenti e appropriate
ai ragazzi.
Vi è nel mondo adulto un forte
allarmismo nei confronti dei
social network e dei video giochi. Questo sentimento è
spesso legato all’ignoranza di
chi non ha dimestichezza con
questi strumenti e pensa che
possano portare solamente ad
un ritiro sociale e ad un disagio. Eppure, nel libro Sempre
in contatto, abbiamo letto che
le chat possono essere definite,
in certi casi, delle palestre sociali, e la realtà virtuale può in
realtà dare una mano a coloro
che faticano ad esprimersi e
mettersi in relazione con l’altro.
Questi dati presentati nel suo libro non sembrano andare in
contrasto con le convinzioni
della maggior parte degli adulti?
Senza sottovalutare il nuovo fenomeno delle dipendenze non chimiche(4) ma comportamentali che
stiamo studiando, confermo l’inadeguatezza di una condanna indistinta della rete e della tecnologia.
Infatti, nei grandi numeri, la nostra ricerca (come tante altre) dimostra che in adolescenza non si è
ancora sviluppata una vera e propria dipendenza. La domanda è
pertinente perché dovremmo capire, per ogni singolo caso, che significato ha l’uso dei videogames
piuttosto che della chat, provando
a comprendere quando questo utilizzo compie funzioni a sostegno
dei compiti evolutivi e quando si
intravedono invece segnali preoccupanti.
Teniamo conto, per esempio, che i
videogiochi sono un’area dove si
possono mettere in atto degli straordinari processi di simbolizzazione, luoghi dove un preadolescente maschio può identificarsi
con personaggi straordinari e potenti e lavorare simbolicamente
intorno al proprio sviluppo corporeo. Riduciamo l’allarmismo,
non è detto che un bimbo piccolo e timido che gioca ruoli violenti nei videogiochi poi nella
vita reale attui comportamenti
pericolosi, diverso è ovviamente
se rimane attaccato ad uno
schermo per l’intero pomeriggio.
Lo stesso si può dire delle chat,
un possibile momento di esplorazione per acquisire sicurezza
nella relazione e per verificare se
si è accettati dall’altro.
Senza banalizzare i rischi (che in
caso di abuso nell’esposizione ai
mezzi virtuali sono numerosi.) è
quindi importante tenere conto
anche degli aspetti evolutivi che
la tecnologia mette a disposizione, come dimostrano i recenti
studi adolescenziali(5) che confermano la prevalenza di un uso
fisiologico del Pc a sostegno dell’esplorazione del sé, e come
esperienza importante nel processo di crescita e di manutenzione delle relazioni dell’adolescente odierno.
(1) L’età media in cui si entra in possesso del primo cellulare è di circa 12 anni e la maggior parte dei ragazzi ritiene che la principale funzione del telefonino risieda nella possibilità che offre di essere sempre in contatto con gli amici (45%), seguita dall’opportunità di scambiarsi informazioni utili (34%). Una percentuale minoritaria dl campione indica, invece, l’essere rintracciabile dai genitori (16%) e il giocare e fare fotografie o ascoltare musica (4%). Sempre in contatto, M. Lancini e L. Turuani, Ed Franco Angeli,
Milano 2009. pag 75
(2) www.wikipedia.org : un’enciclopedia online, multilingue, a contenuto libero, redatta in modo collaborativo da volontari
(3) Jeammet Philippe Adulti senza riserve. Quel che aiuta un adolescente Ed Raffaello Cortina, Milano 2009
(4) Sebbene le dipendenze principali e più conosciute siano quelle che si riferiscono alle droghe, esiste un altro gruppo di dipendenze
legate a oggetti o attività non chimiche. Le Dipendenze Comportamentali (da alcuni chiamate in Italia New Addictions) comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica. L’oggetto della dipendenza è in questo caso un comportamento o un’attività molto spesso lecita e socialmente accettata.
(5) Secondo i punteggi ottenuti alla Ysr ( Youth Self Report) sono i ragazzi che non utilizzano mai Msn né gli Sms ad avere più problematiche di ritiro e difficoltà nelle relazioni, e non quelli che ne fanno ricorso quotidianamente.
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Conflitti DOSSIER
Niccolò Ammanniti
IO E T E
Einaudi, coll. Stile libero, Torino, 2010
Un ragazzo di quattordici anni è il protagonista di questa storia che ha dell’incredibile
ma è assolutamente realistica. Un disagio interiore che parte da lontano, viene esplorato tra le righe un rapporto madre figlio, la figura di un padre sottilmente assente nella
sua presenza e un amore molto forte, fraterno.
Non posso svelare oltre,perché ogni parola in più potrebbe fornire elementi al lettore
che inevitabilmente gli rovinerebbero la sorpresa.
Non so se si possa dire profondamente emozionante o che fa riflettere o ancora che lascia un vuoto dentro. Tutte queste cose si possono dire di questo libretto, perché si
tratta di un racconto lungo, più che di un romanzo. La copertina porta un enigmatico disegno dell’autore fatto a carboncino. E già questo lascia un preciso segno. Nero su
bianco.
Non svelo nulla di altro sul racconto, ma posso dire che Ammanniti ha scritto un piccolo
capolavoro, quasi una rassicurazione ai suoi lettori, probabilmente depistati dopo il romanzo Che la festa cominci, satira pseudo comica che ha messo al centro il paradosso e l’assurdo per raccontare, forse, una società
molto simile alla nostra.
Ammanniti è un personaggio famoso, scrittore di fama ma schivo, non avvezzo alle cronache né ai programmi televisivi; ha raccontato nei suoi romanzi soprattutto legami. Legami parentali, storie di padri e figli, di bambini
violati, di fatiche a crescere. Si percepisce una attenta sensibilità soprattutto nei confronti dell’infanzia. Qualcuno lo ha paragonato a Ian McEwan. A me piace pensarlo come a un attento ascoltatore e narratore di quotidianità. Estremo a volte, ma sempre molto coinvolgente. Io e te va bene per gli adolescenti e va bene per gli
adulti. Ad ognuno il suo carico di domande da porsi.
Angela Carlet
Gustavo Pietropolli Charmet, Loredana Cirillo
ADOLESCI ENZA
Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi.
San Paolo , Cinisello Balsamo, 2010
Anni fa si pensava che per stabilire una buona alleanza con l’adolescente in crisi gli psicologi dovessero tenere a distanza i genitori per documentare all’adolescente che era
lui il destinatario e il promotore dell’intervento e che non si stava lavorando per conto
dei genitori. Nulla di più sbagliato: è l’adolescente spesso a sperare che anche i genitori partecipino all’impresa e siano coinvolti nel tentativo di capire e risolvere ciò che
lo fa soffrire e ritarda lo slancio verso la crescita. Questo concetto, al Minotauro,
l’hanno capito e proprio da questo “patto” nasce Adolescienza, un libro che in sessantacinque punti essenziali affronta – con l’intervento di diversi esperti - i principali
problemi con cui mamme e papà devono fare i conti quotidianamente.
In questo libro, diviso in cinque capitoli, ampio spazio è dedicato ai cambiamenti dell’adolescente e alle prime trasgressioni, dal “bella ciao” al “bella zio”, dalla cameretta
off limits al diario segreto lasciato sulla scrivania, dal coprifuoco notturno ai compiti
e alle assenze scolastiche, dal “dopo” al “non rompere”, dalle amicizie virtuali alle sigarette,droga e alcool. E
l’elenco continua.
Una parte interessante è infine dedicata alla scoperta della sessualità, dell’amore e degli ideali dei ragazzi; molti
genitori dissentiranno leggendo che Il conflitto non esiste, ma saranno concordi quando leggeranno che si riferisce a un conflitto ideologico intergenerazionale che si è notevolmente attenuato e non all’attacco a quei comportamenti ribelli e ostili tipici dell’età adolescenziale (che portano invece a continue discussioni con le figure educative), poiché secondo i ragazzi se ci si stima (…bella zio) reciprocamente il passaggio all’età adulta (preferibilmente in una dimensione gruppale) potrà resistere agli eventuali scossoni all’autostima conservando una parte
di sé infantile onnipotente.
Con un taglio immediato e un linguaggio chiaro, con diversi esempi utili e racconti, G.P.Charmet e L.Cirillo ci illustrano il mondo degli adolescenti, sfatano vecchi miti, incoraggiano i nuovi genitori nel loro difficile ma affascinante ruolo.
Elisa Mendola
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