NELLA MEMORIA
DELLE COSE
Donazioni di documenti dai Lager
all’Archivio Storico della Città di Bolzano
C arla G iacomozzi
NELLA MEMORIA
DELLE COSE
Donazioni di documenti dai Lager
all’Archivio Storico della Città di Bolzano
C arla G iacomozzi
© Città di Bolzano
Assessorato alla Cultura, Ricerca e Piano Sviluppo Strategico Idee 2015
Ufficio Servizi Museali e Storico-Artistici
Archivio Storico
Te s t i e c u r a re d a z i o n a l e
Carla Giacomozzi
Con contributi di
D a r i o M u s y, R o m a
Giovanna Pesapane, Milano
Caterina Antonioli, Iseo
P ro g e t t o g r a f i c o
Studio YES, Bolzano
Tr a d u z i o n i
Helga Gurndin, Euro Studio, Castelrotto (Bolzano)
2008-2009
Le lettrici e i lettori che desiderano informarsi sull’insieme delle iniziative dell’Archivio Storico della
Città di Bolzano sul tema Memoria possono collegarsi al seguente indirizzo internet:
h t t p : / / w w w. c o m u n e . b o l z a n o . i t / v o c e “ C u l t u r a ” v o c e “ P r o g e t t o S t o r i a e M e m o r i a : i l L a g e r d i B o l z a n o ”
L’Amministrazione Comunale di Bolzano attraverso il suo Archivio Storico alimenta dal 1995 il Progetto
“Storia e Memoria: il Lager di Bolzano”, nato per fare luce intorno ad un momento e ad un luogo rilevanti
quanto dimenticati della storia della nostra città.
Tutto il Progetto trae forza dalla raccolta e dalla ricomunicazione di testimonianze storiche, che molto
spesso vengono a lungo cercate e che a volte, come in questo fortunatissimo caso, sono donate spontaneamente all’Archivio. Ognuna delle numerose attività pensate e realizzate nel corso di anni nell’ambito del
Progetto dimostra che solo attraverso le fonti primarie documentali è possibile illuminare lati bui della
storia e procedere con metodo scientifico nella ricerca.
E’ quindi con particolare favore che saluto oggi questa nuova pubblicazione, frutto della fiducia di più
persone che, in tempi e luoghi diversi e con diverse motivazioni, hanno visto nel nostro Ente e nelle sue
numerose e notevoli attività di ricerca e comunicazione per la memoria la prova più convincente del nostro
interesse e del rispetto che nutriamo per la storia locale. Questi fondi documentari donati provano che mai
come in questo caso, la nostra storia civica riflette ed è parte in realtà della grande storia, la storia di tutti.
Ringrazio in veste di amministratore e anche come cittadino tutti coloro che hanno donato al Comune di
Bolzano queste testimonianze originali dei mesi passati nei Lager di Bolzano e di Flossenbürg, care perché ricordo prezioso di famiglia e al tempo stesso fonti rilevantissime per la conoscenza della storia della
deportazione.
Grazie ad Alfredo Caloisi di S. Donato Milanese deportato nel Lager di Bolzano, grazie a Giovanna e Paolo
Pesapane di Milano, figli di Ubaldo deportato nei Lager di Bolzano e di Flossenbürg, grazie a Dario Musy
di Roma, figlio di Loris deportato nel Lager di Bolzano, grazie a Caterina Antonioli di Iseo, figlia di Mariuccia Nulli deportata nel Lager di Bolzano dove, alla fine di gennaio del 1945, ricevette dalle mani del
giovane Vittorio Duca l’eredità dei suoi documenti, grazie ad Arnaldo Righetti di La Spezia, figlio di Zita
Calzetta in Righetti deportata nel Lager di Bolzano.
Dedico infine un pensiero di speciale riconoscenza alla memoria di don Daniele Longhi, deportato nel Lager di Bolzano e Amico dello spirito del nostro lavoro.
Primo Schönsberg
Assessore alla Cultura, Ricerca e Piano Sviluppo Strategico Idee 2015
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Da qualche parte nella nostra storia recente c’è una terra sconvolta da un inaspettato uragano, che con
tremenda furia ha disperso e distrutto i segni della vita e la vita stessa di molti.
La furia si è ora placata e dalla terra affiorano pochi resti, parole, brandelli di carta e stoffa. Più il tempo
passa e più i resti si fanno rari perché il vento li disgrega e li disperde, i cercatori di emozioni private li
rubano. A volte qualcuno si china, con rispetto e umiltà, e raccoglie queste reliquie per costruire una memoria collettiva di ciò che è stato. Sa che ciò che non c’è più è perduto per sempre, e sa che è un’illusione
spiegarsi ciò che è stato mettendo insieme questi pezzi. Può solo tenere in mano ogni oggetto e chiedersi
quale ambiente lo abbia prodotto e con quale funzione. Questo è ciò che rimane e quindi è prezioso.
Come l’uragano che tutto travolge vedo i venti mesi della deportazione civile italiana nei Lager nazisti,dal
settembre 1943 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Come la terra ora desolata vedo la memoria
di quei fatti dal 1945 ad oggi, con voci e documenti che, inascoltate e non letti per decenni, a poco a poco
si disperdono e stanno scomparendo.
Questo libro raccoglie le storie di sei persone che testimoniano con il proprio racconto e con i propridocumenti il mondo della deportazione civile.
I racconti sono videointerviste attuate nell’ambito del Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussgen
aus den NS-Lagern”, che è una parte del Progetto-quadro “Storia e Memoria: il Lager di Bolzano / Geschichte und Erinnerung: Das NS-Lager Bozen”, impostato dall’Archivio Storico della Città di Bolzano
e dalla Biblioteca Civica Popolare del Comune di Nova Milanese nel 1996 e tuttora in corso.
La realizzazione di videointerviste ad ex deportati però volge al termine: siamo nel 2009 e sempre più
rare sono le voci da registrare.
In cambio, invisibili ma forti fili di amicizia, stima e fiducia, legano da anni e con continuità il nostro lavoro ai
figli dei testimoni, che ci affidano altre preziose “voci”. Sono le “voci scritte” di deportati che non abbiamo mai
conosciuto perché i mesi neri li hanno travolti o perché sono scomparsi prima dell’avvio delle videointerviste.
Queste voci scritte, queste tracce, sono state raccolte con amore e premura da eredi che ritengono importante
lottare contro l’oblio.
Straordinaria è la forza comunicativa che emerge dalle sei testimonianze di questo libro, che coinvolgono nel
ricordo di sé fatti, luoghi e uomini e donne compagni di lotta e di deportazione, sottraendo tutto questo
all’oblio e sollecitando noi a riflettere, a scavare ancora e, soprattutto, a non dimenticare.
Questo libro è un grazie a molti.
A coloro che hanno e hanno avuto la forza di testimoniare, mettendo da parte la fatica profonda che
costa dire il male sofferto a chi non c’era, perché far sapere è più importante perfino del dolore che si
prova.
Ai figli dei deportati che, pur abitando a Milano, Roma, La Spezia e Iseo, hanno visto in questo
Archivio Storico l’erede a cui lasciare i documenti dei genitori, separandosene per metterli a disposizione di tutti.
A chi vorrà seguire il loro esempio.
Carla Giacomozzi
Archivio Storico della Città di Bolzano, primavera 2009
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LORIS MUSY
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Mio padre, Loris Musy
di Dario Musy
Loris Musy nacque a Gragnano (NA) il 30 luglio 1912 da famiglia con cultura giuridica di
lontane origini franco svizzere, secondo di quattro fratelli.
Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, si laureò nel 1935 e
divenne avvocato. Foto del tempo lo ritraggono a cavallo, sugli sci, in piscina mentre effettua tuffi acrobatici, tanto da esser chiamato in un suo ritratto come “L’irrefrenabile Musy”.
Visse in serenità con i fratelli e i numerosi cugini, tra cui l’attore cinematografico Enrico
Musy noto con lo pseudonimo di Enrico Glori, padre dell’attore Gianni Musy.
Fu richiamato alle armi nel 1941 come tenente di complemento e gli fu affidato l’incarico di
Comandante della Tenenza dei Carabinieri di Feltre (BL). Nel dicembre 1941 sposò Assunta
Sandulli Mercuro.
Dal 20 giugno al 5 dicembre 1942 fu inviato al fronte in Croazia.
Rientrato a Feltre, riassunse il comando della Tenenza nonostante la costituzione della RSI e
l’inclusione della provincia di Belluno nella Zona di Operazioni nelle Prealpi, formata dalle
tre province di Bolzano, Trento Belluno. I Carabinieri erano deputati a gestire l’ordine pubblico. Cercò in quel periodo, pur rispettando le leggi, di agire secondo la propria coscienza,
aiutato dalla fiducia tributatagli dai propri Carabinieri. Dai documenti risulta che non perseguitò membri del movimento partigiano, che anzi avvisò dei rastrellamenti organizzati dagli
stessi Carabinieri, che non fece rilevare la presenza di paracadutisti inglesi nascosti sulle
prealpi feltrine, e che aiutò per quanto possibile la popolazione.
Questo suo ambiguo comportamento risultò sempre più evidente ai fascisti locali, finchè il
3 ottobre 1944 venne arrestato in casa. Fu condotto assieme a molti altri feltrini arrestati
lo stesso giorno nella sala del Cinema Italia di Feltre, dove un fascista locale, con l’aiuto
di militi della SS, selezionò fra i presenti chi rimettere in libertà e chi deportare. Circa 120
feltrini furono così immediatamente deportati nel Lager di transito di Bolzano.
Nel Lager di Bolzano il folto gruppo dei Feltrini fu destinato ad un solo blocco. Essi scelsero
mio padre come capoblocco, nonostante egli fosse ben lontano dall’esser feltrino, per la sua
equità, per l’autorità e per l’abilità di organizzare e “dialogare” con il comando del Lager.
Gli fu assegnato il triangolo rosso di deportato politico con il numero di matricola 4945.
Riuscì a gestire bene questa sua responsabilità nonostante patimenti suoi e dei compagni di
blocco. Erano temuti i frequenti trasporti nei Lager d’Oltralpe, le violenze fisiche, il lavoro
coatto nella Galleria del Virgolo, la scarsità di cibo, le docce gelate, le adunate collettive di
ore al freddo per arrivare allo stesso ritmo nel togliersi e mettersi il cappello (“Cappelli su,
cappelli giù”), come volevano le SS. Ebbe sempre a cuore i buoni rapporti tra i Feltrini, l’ordine interno, l’equa distribuzione delle provvidenze che a volte giungevano da associazioni
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LORIS MUSY
caritatevoli, l’attribuzione dei lavori interni, sempre rispettando l’impegno morale di capoblocco. Soffriva per la famiglia che aveva lasciato a Feltre nel bisogno, cercava di rassicurare la giovane moglie circa le sue condizioni: lei era rimasta a Feltre con me piccolo (sono
nato nel 1942) senza sostanze, isolata da entrambe le famiglie d’origine, rimaste nel Sud
Italia. Era addirittura esposta all’aiuto pubblico: talvolta arrivava aiuto di nascosto, da parte di pochi. Pochi infatti erano quelli che sentivano il dovere morale di aiutare la famiglia di
una persona così stimata, invece i più avevano paura di aiutare la famiglia di un deportato.
Il 30 aprile 1945 mio padre fu liberato dal Lager di Bolzano e tornò a piedi a Feltre. Dopo
pochi giorni fu nominato membro tecnico nel locale Comitato di Liberazione Nazionale.
Gli venne tributata riconoscenza per il suo operato nel Lager da parte di tutti i Feltrini ex
deportati e dai rappresentanti del Comune, che avrebbero voluto che si stabilisse definitivamente a Feltre, in qualità di legale o come politico. Ma mio padre e la nostra famiglia
avevano sofferto troppo.
Fu promosso capitano e trasferito a Riva del Garda (TN) dal suo comandante, il colonnello
Luca, colui che catturò il bandito Giuliano, anche con l’intento di recuperare la salute. Infatti, nel Lager aveva contratto la bronchite cronica, poi trasformatasi in enfisema, che lo
avrebbero tormentato per tutto il resto della vita.
Nella primavera del 1946 lasciò definitivamente l’Arma dei Carabinieri e si trasferì a Napoli, ove aveva trovato impiego presso il Banco di Napoli. A Napoli nacque mio fratello
Alfredo.
A Napoli egli si trovò, a motivo delle sue esperienze, distante dagli altri. Le sue sofferenze
fisiche e morali di sopravvissuto furono considerate scarsamente in una famiglia che, trovandosi al Sud, non aveva vissuto i due anni di guerra civile e di occupazione tedesca come
al Nord. Inoltre, la sua storia sembrava addirittura trascurabile rispetto alla sorte toccata
in quello stesso periodo al fratello della moglie, il tenente dei Carabinieri Alfredo Sandulli
Mercuro, fucilato a Cefalonia il 24 settembre 1943, al quale venne conferita la Medaglia
d’Oro al valor militare. Alla memoria dello zio furono tempo dopo intitolate una caserma
dei Carabinieri a Pisa e una piazza a Contrada (AV), vennero poste lapidi a Napoli e ad
Olevano Romano (ROMA) e furono pubblicati articoli su vari giornali. A Napoli per pochi
anni nostro padre aderì all’associazione combattenti del Banco di Napoli ed all’Associazione Nazionale Ex Internati Militari.
La sua carriera nel Banco di Napoli proseguì; nel 1957 fu trasferito a Roma.
Nel 1973 andò in pensione con alto grado di dirigenza.
A Roma non aderì ad alcuna delle numerose associazioni che riunivano militari, ex combattenti ed ex deportati. Gli ultimi anni della sua vita, pur allietati dalla nascita di cinque nipoti, furono tormentati da frequenti problemi respiratori; si prese grande cura della moglie,
cui era legatissimo, rimasta tetraplegica. Morì a Roma di polmonite il 21 luglio 1987.
Unica traccia visibile della sua deportazione, oltre alle sue condizioni di salute, erano
due quadretti appesi nel suo studio: l’uno era un disegno datogli nel Natale del 1944 dai
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LORIS MUSY
suoi compagni di blocco intitolato “Fuori le squadre”; l’altro consisteva di un foglio, in
realtà il rovescio di un disegno a matita fatto per lui da un altro deportato, con spillati sopra il triangolo rosso con il numero 4945, la fascia di capoblocco, un santino distribuito
in occasione della Pasqua 1945 nel Lager, alcune cartamonete, il foglietto con la forza del
blocco all’ultimo appello, il suo foglio di rilascio. Non trasse alcun beneficio né politico
né economico dalla sua deportazione; trascurò anche di richiedere il vitalizio previsto nel
1981 per i deportati nei Lager. Parlò sempre pochissimo delle sue sofferenze, utilizzando
qualche violenta parola tedesca imparata nel campo. Più aperta nel ricordare il periodo era
la mamma, dopo la morte di papà: a volte accennava alla solitudine e alle sofferenze patite
durante la deportazione del marito, e anche agli sforzi fatti per sopravvivere e proteggere
se stessa e me.
Perchè abbiamo donato il fondo documentario di nostro padre
Alla fine del 1999, dopo la morte della mamma, noi figli dovemmo sgomberare la casa, e in
quell’occasione rinvenimmo, tra le carte conservate, documenti e lettere originali di papà
relative al periodo di deportazione, e anche elenchi di deportati con i loro numeri di matricola e le destinazioni.
Sapemmo della visita del Presidente Ciampi ai resti del Lager di Bolzano e dell’interesse
dell’Archivio Storico a raccogliere testimonianze e materiale originale per ricostruirne la
storia, le condizioni di vita le relazioni umane: tutto ciò ad oltre 50 anni dalla fine della
guerra, scomparsi quasi tutti gli attori.
Ritenemmo utile che i materiali rinvenuti e i due quadretti fossero conservati fuori dalla
famiglia: in quanto ricordo affettivo un giorno sarebbero stati divisi. Non sappiamo cosa
sarebbe accaduto ai documenti dopo di noi; siamo invece convinti che queste carte debbano
rimanere un corpo unico, con valore di testimonianza storica sia del tragico periodo sia delle
persone coinvolte.
Purtroppo talvolta le testimonianze di un passato che sarebbe da ricordare per evitare che il
male ritorni si trovano invece nei mercatini dell’usato o vengono addirittura distrutte, perché finiscono in mano a chi non sa o non è curioso di sapere o perfino detesta tali oggetti!
Ad esempio, la tuta del Lager che nostro padre indossava quando uscì dal campo, con la
croce di Sant’Andrea sulle spalle, fu bruciata dalla nonna perché era impressionata al solo
vederla!
Noi figli riteniamo invece che tali documenti vadano conservati come un tassello utile alla
ricostruzione storica: consentono di rintracciare collegamenti tra i nomi dei deportati riportati negli elenchi e le loro storie, e soprattutto rappresentano un ricordo delle sofferenze e
dell’umanità del nostro papà, tutte cose da conoscere, condividere ed apprezzare anche al di
fuori della famiglia. Sono un insegnamento valido per tutti. E’ giusto che gli eventi vengano
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LORIS MUSY
letti dai documenti esistenti, appartenenti ai singoli protagonisti, e con mentalità non di
parte né politica né razziale né geografica.
Decidemmo quindi, per onorare nel tempo la memoria di nostro padre, di donare il materiale all’Archivio Storico della Città di Bolzano, città in cui egli subì le sue sofferenze.
Noi figli siamo lieti dell’interesse storico destato dalla nostra donazione e ringraziamo il
personale dell’Archivio Storico per la cura con cui conserva i documenti, per la divulgazione al pubblico, per la ricostruzione storica dei fatti che hanno visto partecipe nostro
padre.
Talvolta questo fatto non risulta comprensibile ai nostri familiari, che ignorano in parte gli
eventi e la storia dei luoghi in cui si sono verificati e non sono per questo capaci di effettuare i corretti collegamenti storici. Soprattutto siamo contenti, ora che il materiale non è
più in casa dove per abitudine non vi si prestava attenzione, dell’affettuoso interesse che
si è sviluppato presso parenti lontani. Soprattutto i nipoti hanno manifestato recentemente
un interesse per la figura del nonno, uomo amato e di valore, e per il periodo storico in cui
si è svolta la storia testimoniata dai suoi documenti.
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Il Fondo Loris Musy
Il Fondo Loris Musy è stato donato a più riprese nel 2001, nel 2003 e nel 2008 (documento nr. 18)
all’Archivio Storico da Dario e Alfredo Musy di Roma, figli di Loris. Il fondo è composto da documenti
in carta e in tessuto. Il fondo si compone di 37 documenti relativi a un arco cronologico che va dal 1944
al 1956.
Il nucleo maggiore dei documenti si concentra tra il 1944 e il 1945, e sono tutti riferiti alla sua deportazione nel Lager di Bolzano. Musy divenne capo di tre blocchi, seguendo e sempre curando il gruppo
dei feltrini che erano stati arrestati con lui il 4 ottobre 1944 e deportati a Bolzano.
I blocchi di cui fu capo Musy sono il blocco D, il blocco H e il blocco G.
Blocco D: dal suo arrivo con i 113 feltrini ai primi di ottobre 1944 fino a metà dicembre 1944, quando
è sostituito dal colonnello Pizzini.
Blocco H: dal dicembre 1944 al 18 gennaio 1945, succeduto al colonnello Pizzini e seguito poi da Baccolini.
Blocco G: da gennaio al 30 aprile 1945.
Emerge dalle carte di questo periodo la sua attività in favore del gruppo dei feltrini nel Lager e i
contatti che egli ha sia in forma ufficiale sia in forma clandestina con l’esterno: a nome suo arrivano
addirittura dei pacchi inviati dalla Conferenza Maschile S. Vincenzo di Feltre da distribuire tra i suoi
compagni di deportazione! Un tale tipo di documentazione fa riflettere tutti su come non sia più possibile pensare che fuori dai Lager non si sapesse niente dei Lager. Anche la corrispondenza ufficiale
in uscita, su carta intestata del Lager di Bolzano, ne è una prova.
Molto importanti sono i tre quaderni da capoblocco che Musy usa e conserva, e che danno a noi un’idea
del modo di lavorare dei capoblocchi e della situazione di cambiamento dell’anagrafe dei blocchi: le
variazioni erano continue, sia a causa degli arrivi di nuovi numeri sia a causa delle partenze per i Lager
d’oltralpe e/o per i campi dipendenti sia a causa dello spostamento di deportati in altri blocchi.
Da questi quaderni emerge anche il fenomeno della liberazione di deportati feltrini, prima della fine
della guerra; non se conoscono i motivi ma forse ciò è dovuto alla particolare attenzione che Mons.
Gerolamo Bortignon nutriva nei confronti dei suoi parrocchiani bellunesi e feltrini deportati a Bolzano.
Da segnalare anche l’attività di Musy nel dopoguerra in seno alla Commissione di Giustizia di intesa con il
Comitato di Liberazione Nazionale, per l’epurazione dei fascisti di Salò dalle cariche della magistratura.
I documenti sono inventariati e descritti secondo il fondamentale ordine cronologico. Per poter dare
maggiore risalto alle materie trattate da Musy nel dopoguerra ogni unità archivistica descritta è stata
ordinata anche per temi, sulla base della suddivisione riportata nella tabella che segue:
1944 deportazione: Lager di Bolzano
1945 deportazione: Lager di Bolzano
1945 dopoguerra
1945 dopoguerra: Commissione di Giustizia
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1946: Commissione di Giustizia
1954
1956
Inventario del Fondo Musy
1944
1) Bolzano, ottobre 1944
Triangolo in stoffa leggera rossa con bordi ricuciti in grigio. Segnalava nel Lager la categoria a
cui veniva ascritto il deportato; il colore rosso era per i deportati politici.
Nr. 1 triangolo in stoffa.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
2) Bolzano, ottobre 1944
Pezzo di stoffa leggera rossa di forma rettangolare, con bordi ricuciti in grigio, recante impresso
a stampa con inchiostro nero il numero di matricola 4945 di Loris Musy.
Nr. 1 fascetta rettangolare in stoffa.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
3) Bolzano, ottobre 1944
Fascia da braccio in stoffa leggera rossa, con bordi ricuciti con filo grigio. Su un lato esterno
della fascia sono impressi a stampa con inchiostro nero la sigla “BL. Ä.” e il numero di matricola di Musy, 4945.
La sigla indica la carica ricoperta in momenti successivi da Musy di capoblocco (Blockältester)
di più blocchi del Lager di Bolzano.
Nr. 1 fascia da braccio in stoffa.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
4) (Feltre) 09.10.1944
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta dalla moglie Susy.
La lettera è formata da un foglietto piegato a metà. Non reca alcun timbro di censura della posta del Lager. La lettera è scritta con inchiostro color nero. La lettera si trovava nella busta
descritta al punto 5).
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
5) (Feltre) ottobre 1944
Busta di piccolo formato inviata dalla moglie a Musy nel Lager di Bolzano. Non figura il mittente. La busta è stata consegnata a mano perché non reca né timbri postali né francobollo. In alto
a destra il timbro rettangolare blu di censura della posta del Lager “Zensuriert”.
Sul retro della busta sono segnati a matita da Musy dei numeri di matricola e delle cifre accanto
alle parole “camicie, mutande”.
Nr. 1 busta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
6) (Feltre) 10.10.1944
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta dalla moglie.
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LORIS MUSY
La lettera è formata da un foglietto piegato a metà. Non reca alcun timbro di censura della
posta del Lager. La lettera è scritta con inchiostro color nero. La lettera si trovava nella busta
descritta al punto 5).
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
7) (Feltre) 15.10.1944
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta dalla moglie.
La lettera è formata da un foglietto piegato a metà. Non reca alcun timbro di censura della
posta del Lager. La lettera è scritta con inchiostro color nero. La lettera si trovava nella busta
descritta al punto 5).
La signora Musy cita il sig. Della Corte come un modo per far uscire clandestinamente cose dal
Lager da portare a lei, che si trovava a Feltre. Della Corte era titolare di una ditta di trasporti a
Feltre. Cita inoltre l’imminente viaggio a Bolzano di un camion con feltrini, esprimendo il desiderio di farne parte.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
8) Bolzano, 16.11.1944
Biglietto prestampato ufficiale del Lager di Bolzano per la corrispondenza che Musy scrive alla
moglie. Era ripiegato in tre e chiuso con una linguetta.
Il biglietto reca l’intestazione ufficiale del Lager. Sono ben visibili due timbri rettangolari della censura postale del Lager (“Zensuriert”) e la firma in matita rossa del censore (“Longo”).
Sull’indirizzo del biglietto c’è un timbro postale rotondo nero “Bolzano 1.12.44”. Il mittente
è “Loris Musy Nr. 4945 D Pol.- Durchgangslager Bozen”. Il biglietto è scritto con inchiostro
color seppia.
Nr. 1 biglietto postale manoscritto. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
9) settembre – novembre 1944, quaderno del Blocco H
Quaderno dal titolo “Block H / Elenco numerico progressivo degli internati.”
Il quaderno misura 12x17 cm, è composto da 32 pagine a righe (tolte le 5 tagliate), non numerate,
compresa la copertina. È scritto a matita con rare sovrascritte in inchiostro color seppia; è scritto
da più mani, forse 5, da attribuire a più capiblocco del blocco H e/o ai relativi aiutanti.
La lettera “H” del titolo è sovrascritta a matita alla lettera “D”, facendo supporre un riuso del
quaderno. Anche le prime 5 pagine del quaderno, tagliate, farebbero pensare ad un riutilizzo del
quaderno. Erano scritte con inchiostro color seppia; di esse rimane un piccolo bordo unito alla
rilegatura del quaderno; riportavano numeri di matricola che iniziavano con le cifre 3, 4, 5 (soprattutto con la cifra 4).
Sulla prima pagina interna, successiva alle 5 tagliate, si legge il titolo “Blocco H. Elenco delle
matricole presenti al 22 novembre 1944”.
Le ultime 6 pagine del quaderno sono non scritte.
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LORIS MUSY
Il quaderno è un elenco di matricole in ordine numerico, dal numero 179 al numero 6.726. Questi numeri corrispondono a deportati di sesso maschile. La maggior parte dei numeri di matricola sono tra situati 4.000 e 6.700, il che corrisponde al periodo compreso tra il 7 settembre 1944
e fine novembre 1944. Compaiono 305 nomi.
Le informazioni fornite da questo quaderno sono: numeri di matricola, cognomi e nomi, categoria di appartenenza nel Lager, professione esercitata prima dell’arresto.
Alcuni nomi sono cancellati a matita, e alcuni di essi sono sovrascritti, uguali, a penna.
Probabilmente questo quaderno fu consegnato a Musy quando diventò capo del blocco H dal
suo predecessore. Musy fu capo del blocco H presumibilmente dal 21 o 22 novembre 1944 al
16 gennaio 1945.
Nr. 1 quaderno manoscritto.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
10) Feltre, 21.12.1944
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta da Maria Luisa Barioli. La lettera è formata
da un foglietto azzurro piegato in tre. Non reca alcun timbro di censura della posta del Lager.
La lettera è scritta con inchiostro color nero. La lettera si trova nella busta descritta al punto 10).
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
11) (Feltre?)
Busta di colore azzurro inviata probabilmente da Maria Luisa Barioli a Musy nel Lager di Bolzano. Non figura il mittente. La busta è stata portata a Bolzano perché non reca timbri postali
né francobollo né il timbro di censura postale del Lager.
Nella busta vi era oltre alla lettera descritta al punto 10) anche una somma di denaro (Lire 500)
destinata ai feltrini nel Lager.
Maria Luisa Barioli è sorella di Aldo, arrestato a Feltre con Musy il 4 ottobre 1944 e da Bolzano
poi inviato nel campo dipendente di Colle Isarco.
Nr. 1 busta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
12) Feltre, 21.12.1944
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, firmata da Cavan (Luigi) su carta intestata di
Giovanni Dalla Favera. La lettera è formata da un foglio piegato in quattro.
Non reca alcun timbro di censura della posta del Lager. Non c’è la busta con cui la lettera ha
viaggiato.
Cavan scrive a Musy dopo la sua liberazione dal Lager di Bolzano, avvenuta insieme con altri
feltrini pochi giorni prima. Cavan scrive di avere avuto dei contatti con “Willy” per favorire la
liberazione di Musy e di Lazzarini ma di avere capito che, per Musy, vi è opposizione da parte
del Comando SS di Verona.
Nr. 1 lettera dattiloscritta. Fronte e retro.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
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LORIS MUSY
13) Bolzano, natale 1944
Disegno a colori su cartoncino e con scritte a penna nera e rossa. Il disegno è sul lato sinistro del
cartoncino. È raffigurata una strada sterrata che conduce ad una baracca di legno immersa nella
neve. Lungo il lato sinistro della strada svettano tre arbusti spogli. Sul lato destro del cartoncino la scritta in caratteri goticheggianti: “Fuori le squadre!!! per ricordo al caro Capoblocco H
dal Capo lavori del Campo di concentramento di Bolzano Natale 1944”; segue la firma H(ans)
H(erbert) Werner.
Nr. 1 disegno. Solo fronte.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
1945
14) Bolzano, gennaio 1945
Ritratto a matita del capoblocco Musy, su cartoncino bianco. Eseguito nel Lager da M. Panini (?), che
si firma in alto a destra. Il ritratto ha il titolo “Durchgangslager 7.10.44 Bozen …1.945”.
Raffigura Loris Musy a mezzobusto di profilo verso sinistra, con berretto, cappotto, camicia e
cravatta. Sul petto a sinistra è disegnata la fascetta con il numero di matricola di Musy (4.945) e
il suo triangolo; sull’omero sinistro di Musy la fascia da capoblocco.
Nr. 1 disegno a matita. Solo fronte.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
15) Feltre, 24.02.1945
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta da Dina Garbuio. La lettera è formata da
un foglio piegato in quattro. Non reca alcun timbro di censura della posta del Lager. La lettera è
scritta con inchiostro color blu. Non c’è la busta con cui la lettera ha viaggiato.
La signora Garbuio ringrazia Musy per avere aiutato il marito Carlo, liberato in quel mese dal
Lager di Bolzano; nel Lager c’è ancora Gianfranco Garbuio, figlio della signora. Padre e figlio
erano stati arrestati a Feltre con Musy il 4 ottobre 1944.
Invia a Musy tramite l’organizzazione S. Vincenzo 10 pacchetti di sigarette.
Nr. 1 lettera dattiloscritta. Fronte e retro.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
16) marzo 1945?
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta da R. Vespignani.
La lettera è formata da un foglio piegato in quattro. Non reca alcun timbro di censura della posta
del Lager. La lettera è scritta con inchiostro nero. Non c’è la busta con cui la lettera ha viaggiato.
Il mittente invia a Musy gli auguri pasquali.
Nr. 1 lettera manoscritta. Solo fronte.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
17) Feltre, 17.03.1945
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta da Giovanni Centeleghe della Conferenza
Maschile S. Vincenzo di Feltre, di cui è ben visibile il timbro tondo blu su entrambe i fogli.
20
LORIS MUSY
La lettera è formata da due fogli distinti piegati in quattro. Non recano timbri di censura della
posta del Lager. Non c’è la busta con cui i due fogli hanno viaggiato. Centeleghe invia a Musy
35 pacchi di viveri raccolti per i deportati feltrini dalla Conferenza S. Vincenzo con l’aiuto della
popolazione di Feltre. Allegata la distinta dei pacchi con il nome, la matricola e il blocco dei
destinatari il contenuto di ciascun pacco.
Nr. 2 lettere dattiloscritte. Solo fronte.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
18) Bolzano, 27.03.1945
Lettera scritta clandestinamente da Musy dal Lager di Bolzano alla moglie.
La lettera è formata da due fogli ripiegati in quattro, è su carta non intestata del Lager. Non reca
alcun timbro di censura della posta del Lager. La lettera è scritta in italiano, con inchiostro color
seppia. Non c’è la busta con cui la lettera ha viaggiato.
Nr. 1 lettera manoscritta composta da 2 fogli staccati. Fronte e retro.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
19) Feltre, 29.03.1945
Lettera ricevuta da Musy nel Lager di Bolzano, scritta dall’avv. Granzotto Basso su carta intestata. La lettera è formata da un foglio piegato in due. Non reca timbri di censura della posta del
Lager. Non c’è la busta con cui la lettera ha viaggiato. Granzotto invia a Musy 2 pacchi per due
deportati feltrini, il prof. Colleselli e il prof. Chiminelli.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
20) Pasqua 1945 (1. aprile 1945)
Santino ufficiale predisposto dall’amministrazione del Lager per la celebrazione della messa di
Pasqua 1945 nel Lager. Su una faccia compare l’immagine del sacro cuore di Gesù. Sull’altra
faccia sono stampati una citazione evangelica (Giovanni XIII – 45) e il nome del Cappellano
Can(onico) Piola, che più volte celebrò messa sulla piazza dell’appello nel Lager.
Nr. 1 santino stampato. Fronte e retro.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
21) Bolzano, 29.04.1945
Entlassungsschein (Certificato di rilascio del Lager di Bolzano).
Documento ufficiale predisposto dall’amministrazione del Lager. Emesso il 29.04.1945 dal Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien, Pol.-Durchgangslager-Bozen (Comandante supremo della Polizia di Sicurezza e del Servizio di Sicurezza in Italia) per Loris Musy,
con integrazioni dattiloscritte. Porta la firma autografa del Comandante del Lager di Bolzano /
Lagerkommandant SS-Untersturmführer (Karl Friedrich) Tito. Con timbro tondo del Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien, Pol.-Durchgangslager-Bozen.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni scritte a macchina e a mano.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
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LORIS MUSY
22) 30.04.1945
Foglietto ufficiale predisposto dall’amministrazione del Lager per la doppia rilevazione quotidiana delle presenze nel blocco G. Il foglietto è compilato a matita a cura del capoblocco (Blockältester, Bl. Ä) e attesta la presenza numerica di deportati in un solo blocco, rilevata dopo l’appello
del mattino e dopo l’appello della sera. La cifra totale è suddivisa tra sani e malati. Il foglietto
doveva essere riconsegnato all’amministrazione del Lager.
Musy ha compilato il foglietto solo dopo l’appello del mattino, forse perché il blocco G è stato
evacuato dopo quell’appello.
Sul retro è scritto a matita l’indirizzo di casa di un deportato del Lager.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni manoscritte. Solo fronte.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
23) gennaio 1945 – aprile 1945, quaderno del Blocco G
Quaderno dal titolo “Blocco G / Elenco numerico e alfabetico aggiornato 18.01.45”.
Il quaderno misura 15x20.5 cm, è composto da 62 pagine non numerate, compresa la copertina.
È scritto a penna con inchiostro color seppia, con note a matita, da più mani, da attribuire a più
capiblocco del blocco G e/o ai relativi aiutanti.
La data sulla copertina ne sostituisce una precedente barrata (18.12.44).
Il quaderno si compone di due parti:
1) Elenco numerico, con 291 nomi
2) Elenco alfabetico, con 325 nomi
L’elenco numerico è costituito da 11 facciate di matricole in ordine numerico progressivo con
nomi maschili corrispondenti, categoria di appartenenza nel Lager, professione esercitata prima
dell’arresto, e a matita indicazioni circa il destino. Il primo numero dell’Elenco numerico è 179,
l’ultimo è 8.293.
L’elenco alfabetico è una rubrica alfabetica dei nomi che compaiono nell’elenco numerico.
Il quaderno elenca gli uomini presenti nel blocco G del Lager di Bolzano di cui Musy era capoblocco. Il periodo a cui si riferisce il quaderno è di circa 1 mese: la maggior parte dei numeri di
matricola sono tra 6.500 e 7.500, il che corrisponde al periodo compreso tra il 24 novembre 1944
e il 19 dicembre 1944.
Le integrazioni a matita riguardano il destino di alcuni uomini. Tra i destini figurano l’invio in
campi dipendenti dal Lager di Bolzano (Sarentino, Vipiteno, Merano), la liberazione, l’invio in
Germania, l’avvio all’infermeria, l’evasione.
Sull’ultima pagina, in senso opposto al quaderno quasi come un appunto, compare un elenco di
matricole con il titolo “Decisioni mediche del 2.4.45”: sono 6 numeri di matricola con l’indicazione di “influenza” o “febbre” e il numero dei giorni dati.
Alcuni nomi sono cancellati a penna; alcuni di essi sono sovrascritti, uguali, a penna.
Probabilmente questo quaderno fu consegnato a Musy quando diventò capo del blocco G dal suo
predecessore. Musy fu capo del blocco G presumibilmente dal gennaio 1945 fino alla dismissione
del Lager. In questo caso sarebbero di sua mano le integrazioni a matita, che riportano il destino
degli uomini.
Nr. 1 quaderno manoscritto.
1944 – 1945 deportazione: Lager di Bolzano
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LORIS MUSY
24) febbraio 1945 – marzo 1945, quaderno del Blocco G
Quaderno dal titolo “Ruolino”.
Il quaderno misura 14x18 cm, è composto da 23 pagine a righe non numerate, compresa la copertina. È scritto a penna, con integrazioni e cancellature a matita e con matite di colore rosso e blu;
è scritto da più mani, forse 6, da attribuire a più capiblocco e/o ai relativi aiutanti.
Il quaderno vero e proprio è formato dalle prime 9 pagine, a cui ne sono state aggiunte 11 fissate
al retro di copertina da due fermagli tondi. Il quaderno elenca 380 nomi, tutti di uomini. L’ordine
è quello numerico delle matricole, da 179 A a 10.710.
Il periodo a cui si riferisce il quaderno è di circa 2 mesi: la maggior parte dei numeri di matricola
sono tra 9.000 e 10.700, il che corrisponde al periodo compreso tra il 31 gennaio 1945 e i primi di
marzo 1945. I numeri da 4.926 a 8.064 si riferiscono a numerosi triangoli rosa (a Bolzano attribuiti
ai cosiddetti “rastrellati”) e ciò potrebbe confermare la notizia che nel blocco G dal 18.01.1945
vennero messi i “rastrellati rosa” (vedi Faronato p. 87).
In questo secondo quaderno del Blocco G vi sono più presenze rispetto al precedente, probabilmente a causa del sovraffollamento nel Lager dopo la mancata partenza del 25 febbraio 1945.
In questo quaderno compaiono solo i nomi non barrati nel quaderno “Blocco G”, cioè i nomi dicoloro che, non essendo partiti con il trasporto del 19.01.1945 per il Lager di Flossenbürg, erano
rimasti nel blocco. E’ quindi successivo al quaderno “Blocco G” e posteriore al 18.1.45.
Le informazioni fornite da questo quaderno sono da pagina 1 a pagina 9: numero di matricola
con cognomi e nomi, professione e categoria di appartenenza nel Lager. Invece nelle 11 pagine
seguenti sono solo il numero di matricola con cognome e nome. Alcuni nomi sono cancellati da
matita rossa altri da matita blu. Accanto ai nomi figurano delle spuntature, che indicano forse vari
controlli eseguiti in più momenti. Gran parte dei nomi qui compresi figurano appartenere al blocco
K in base ad un confronto con il testo di Happacher del 1979. Non è chiaro se Musy sia diventato
capoblocco anche del blocco K oppure se abbia portato con sé questo quaderno dopo la liberazione
a titolo di documentazione.
Nr. 1 quaderno manoscritto.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
25) gennaio – aprile 1945
Busta vuota consegnata a mano e indirizzata a Musy con indicazione del blocco G. Non sono
presenti segni né timbri di censura postale del Lager.
La busta è stata scritta dalla moglie, non si è conservata la lettera in essa contenuta.
Sul retro Musy ha scritto a matita in due colori nomi e numeri di matricola, tra cui di due donne
bellunese deportate.
Nr. 1 busta manoscritta.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
26) gennaio – aprile 1945
Busta vuota consegnata a mano e indirizzata a Musy con indicazione del blocco G. Non sono
presenti segni né timbri di censura postale del Lager.
La busta è stata scritta dalla moglie, non si è conservata la lettera in essa contenuta. Sul retro la
moglie scrive il seguente messaggio “Dicono che sono in viaggio di ritorno De Santo (nome di
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LORIS MUSY
dubbia lettura), Zanin ed altri” alludendo ad altre liberazioni di bellunesi deportati nel Lager.
Nr. 1 busta manoscritta.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
27) (Bolzano)
Testo in forma poetica dal titolo “Il voto dell’internato”, forse il testo di una canzone. Le parole
sono state scritte da Musy. Si tratta di una parodia della vita nel Lager di Bolzano. In fondo al
testo, che termina con le parole “A casa mia non voglio tornare” una mano ha aggiunto a matita
“Ne meno io Hans”.
Questo particolare induce a pensare che il testo sia stato scritto nel Lager di Bolzano.
Nr. 1 foglio manoscritto a penna. Fronte e retro.
1944 – 1945 deportazione: Lager di Bolzano
28) Feltre, 21.05.1945
Lettera dall’avv. Luciano Basso Granzotto della Commissione Mandamentale di Giustizia di
Feltre al Comando della Legione Carabinieri di Padova; è la richiesta di prolungamento della
presenza del Tenente Musy in seno alla Commissione di Giustizia, che operava d’intesa con il
Comitato di Liberazione Nazionale. Con il timbro tondo di colore blu della Commissione di
Giustizia / Mandamento di Feltre.
Nr. 1 lettera manoscritta. Solo fronte.
1945 dopoguerra: Commissione di Giustizia
29) attribuibili all’attività di Musy per la Commissione di Giustizia nel 1945
Testi relativi al tema della giustizia politica nel dopoguerra e all’organizzazione di una Commissione di Giustizia, emessi dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia durante il periodo
dell’occupazione. Figura un allegato in due punti dal titolo “Norme per il funzionamento delle
Corti d’Assise”.
Un foglio è indirizzato ai Comitati di Liberazione Nazionale Regionale e ai Comitati di Liberazione Provinciali ed è firmato dal Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia. Sul retro
di questo foglio c’è la seguente annotazione a matita “Capo del P.M. presso la Corte d’Assise
straordinaria di Belluno”, di mano di Musy.
Nr. 3 veline dattiloscritte. Solo fronte.
1945 dopoguerra: Commissione di Giustizia
30) 27.07.1944: attribuibile all’attività di Musy per la Commissione di Giustizia nel 1945
Bozza di testo del decreto legge per l’epurazione dal titolo “Le sanzioni contro i fascisti”. Il testo
consta di 40 articoli suddivisi nei seguenti capitoli: Epurazione dell’amministrazione, Avocazione dei profitti del regime, Liquidazione dei beni fascisti, L’Alto Commissario, Disposizioni
finali e transitorie. Si tratta di una bozza del decreto legge cui fu data attuazione col decreto
luogotenenziale 22 aprile 1945 intitolato “Istruzione di corti straordinarie di Assise per i reati di
collaborazione con i tedeschi”.
Nr. 6 pagine dattiloscritte.
1945 dopoguerra: Commissione di Giustizia
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LORIS MUSY
31) 13.10.1945
Menu completo a stampa dal titolo “Cena fra internati del campo di concentramento di Bolzano”
relativo a una cena organizzata alla Birreria Pedavena presso Feltre il 13 ottobre 1945.
Sul retro la mano di Musy ha scritto dei nomi, a matita.
Nr. 1 foglietto, stampato. Solo fronte con integrazioni manoscritte sul retro.
1945 dopoguerra
32) attribuibile al 1945
Busta vuota di colore arancione indirizzata a Musy, recante due timbri blu del Fronte Nazionale
della Liberazione / Com. di Feltre, uno rettangolare e uno tondo. La busta è stata consegnata a
mano perché non reca timbri postali né francobollo.
Nr. 1 busta
1945 dopoguerra: Commissione di Giustizia
1946
33) Roma, 30.04.1946
Testo del decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1946 n. 352 “Disposizioni sul personale
della Magistratura”.
Il testo consta di 9 articoli ed è firmato da Umberto di Savoia.
Nr. 3 veline dattiloscritte.
1946: Commissione di Giustizia
1954
34) 03.04.1954
Lettera su carta intestata della Birreria Ristorante Pedavena presso Feltre inviata a Musy “matr.
N. 4945 Capo Blocco D” da 33 ex deportati bellunese del blocco D del Lager, riunitisi in lieto
simposio.
Con busta affrancata della Fabbrica Birra Pedavena indirizzata a Musy presso la sede del Banco
di Napoli a Napoli.
Nr. 1 lettera dattiloscritta con integrazioni manoscritte. Solo fronte.
1954
1956
35)
Testo dal titolo “Cappelli giù”. Firmato “matr. 4945”. A penna rossa la mano di Musy ha scritto
in testa al primo foglio “giungo 946 – giugno 956”.
Questo scritto è una riproposizione del testo descritto al punto 151), dal quale si differenzia per
pochi particolari espressivi.
Nr. 2 fogli dattiloscritti. Solo fronte.
1956
Senza data
36)
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Testo dal titolo “Internati di Bolzano Cappelli giù”. Firmato “un capo-blok”. Questo scritto costituisce la traccia di un discorso o di un articolo sul tema della brutalità delle SS nel Lager di
Bolzano. Descrive episodi di brutalità da parte delle SS del Lager: nel dicembre 1944 un deportato che, ripreso dopo aver tentato la fuga, viene ucciso; una domenica invece una donna viene
picchiata nel blocco celle. Gli episodi non sono datati.
Nr. 2 fogli dattiloscritti. Solo fronte.
37)
Ritaglio di un foglio prestampato su cui Musy ha scritto a penna 4 cognomi seguiti dalla cifra 100.
Forse attribuibile all’attività di Musy di spartizione di beni e denaro giunto nel Lager a nome suo
ma destinato a più persone.
Nr. 1 ritaglio prestampato di colore verde con integrazioni manoscritte. Solo fronte.
Fonti
Boschis, L., 1986, Le popolazioni del Bellunese nella guerra di liberazione 1943 – 1945,
Castaldi editore Feltre
Vendramini, F., 1988, 1943 – 1945: Occupazione e resistenza in provincia di Belluno. I documenti,
edito dal Comitato Organizzatore per il 40. della Medaglia d’Oro al Valore Militare alla città di
Belluno per la lotta di liberazione della Provincia, Lentiai
Faronato, G., 1995, Ribelli per la libertà. Testimonianze sul Lager di Bolzano, Castaldi editore
Feltre
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista a Renato Addomine realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Milano il 29.07.1998. La testimonianza in
versione integrale è consultabile sul sito www.lageredeportazione.org
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista a Vittore Bellumat
realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Feltre il 10.08.2000. La testimonianza in versione integrale è consultabile sul sito www.lageredeportazione.org
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista a Gianni Faronato
realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Feltre il 10.08.2000
Cavalera, A., 2008, Musy „l’irrefrenabile“. Feltre 25 aprile 2008, anniversario della Liberazione.
Commemorazione della figura del Tenente Loris Musy, Feltre
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2.
1.
3.
1. Lager di Bolzano ottobre 1944. Triangolo rosso di Loris Musy, deportato politico.
2. Lager di Bolzano ottobre 1944. Numero di matricola di Loris Musy.
3. Lager di Bolzano 1944 – 1945. Fascia che Musy portava al braccio. Musy fu capo di tre blocchi di deportati.
“BL. Ä.” significa Blockältester o capoblocco.
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4.
28
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5.
4.-5. Lager di Bolzano 1944. Blocco H. Elenco delle matricole presenti al 22 novembre 1944.
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6.
7.
6. Ottobre 1944. Corrispondenza ufficiale in arrivo nel Lager. La busta è stata consegnata a mano ma è stata sottoposta alla censura nel Lager.
7. Ottobre 1944. Corrispondenza clandestina in arrivo nel Lager, non sottoposta a censura.
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8.
9.
8.- 9. Lager di Bolzano novembre 1944. Corrispondenza ufficiale in uscita dal Lager. Sottoposta a censura nel Lager, con la firma del censore (Longo).
31
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11.
10.
10.-11. Feltre dicembre 1944. Questa lettera scritta a Musy nel Lager documenta l’esistenza del campo dipendente di Colle Isarco.
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12.
13.
12. Lager di Bolzano Natale 1944. Disegno donato al capoblocco H Musy da Hans Herbert Werner, deportato e capo-lavori del Lager.
“Fuori le squadre” era il motto con cui quotidianamente uscivano dal Lager le squadre di lavoro.
13. Lager di Bolzano gennaio 1945. Ritratto del capoblocco Musy eseguito nel Lager da un compagno di deportazione.
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14.
34
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15.
14.-15. Lager di Bolzano 1945. Blocco G. Elenco numerico e alfabetico aggiornato al 18.1.45.
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16.
36
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17.
16.-17. Feltre marzo 1945. La Conferenza Maschile S. Vincenzo di Feltre invia a Musy 35 pacchi di viveri da distribuire nel Lager
di Bolzano ai deportati feltrini.
37
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18.
38
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19.
18.-19. Lager di Bolzano 1945. Ruolino. Aggiornamenti del quaderno del Blocco G con elenco dei nuovi arrivati nel blocco.
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21.
20.
40
20. Lager di Bolzano Pasqua 1945. Santino predisposto dal comando del Lager. Il cappellano canonico Piola più volte celebrò la Messa
sulla piazza dell’appello nel Lager.
21. Lager di Bolzano aprile 1945. L’ultimo rapportino del blocco G: attesta il numero dei deportati del blocco dopo l’appello del mattino,
suddivisi tra sani e malati. Siglato dal capoblocco Musy.
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22.
22. Lager di Bolzano aprile 1945. Certificato di rilascio dal Lager di Bolzano firmato dal Comandante del Lager, il tenente SS Karl
Friedrich Tito.
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Mio padre, Ubaldo Pesapane
di Giovanna Pesapane
Aveva trentasette anni il Maggiore di Stato Maggiore Ubaldo Pesapane, mio padre, quando
subì per motivi politici, la tragedia della deportazione nel Lager di Flossenbürg.
Dopo aver frequentato con successo i tre anni della Scuola di Guerra di Torino aveva conseguito una brillante carriera e risultava a quel tempo l’ufficiale di Stato Maggiore più giovane
d’Italia. Il tempo della sua infanzia e della sua giovinezza lo aveva trascorso in collegio, dal
momento che rimase orfano del padre a soli sei anni. L’ambiente dei collegi in quel lontano
1913 non era dei migliori, non certo come quello attuale. I bambini e gli adolescenti erano
inquadrati da regole ferree nelle quali il lato psicologico ma specialmente affettivo erano
del tutto ignorati. Mio padre crebbe, pur soffrendo della mancanza dell’affetto familiare, in
modo equilibrato, giudizioso e molto responsabile. Conseguita la licenza liceale, non avendo
la madre la possibilità economica di mantenerlo all’università, entrò all’Accademia Militare
di Modena deciso a proseguire nella carriera militare. Ricordò sempre però, e spesso risento
le sue parole al riguardo, le sofferenze patite per la mancanza dell’affetto dei genitori e del
calore della famiglia.“ Mai i miei figli dovranno crescere tra estranei!” soleva dire spesso.
Come ho già detto crebbe ugualmente equilibrato, allegro, spiritoso e spensierato, soprattutto socievole: sapeva stare in mezzo alla gente di qualsiasi estrazione sociale. Era molto
benvoluto dai sottoposti. Non fu mai fascista. L’Esercito era fedele al Re. Mio padre era
monarchico ma dovette, come tutti i militari, iscriversi al Partito Nazionale Fascista.
Scoppiò la guerra. Capì subito da uomo del mestiere che l’Italia non ce l’avrebbe mai fatta
con gli armamenti scadenti e i miseri equipaggiamenti dati ai soldati. Nel 1940 in Albania,
dove fu mandato in occasione della guerra di Grecia, constatò una situazione insostenibile.
Autocarri a legna con le ruote piene che affondavano nel fango, carri armati di latta che venivano passati da parte a parte da semplici granate, gli stessi che in Africa furono distrutti
durante la battaglia di El Alamein dai potenti carri armati inglesi, e dove i nostri soldati con
40/50 gradi all’ombra combattevano vestiti di panno con le fasce ai piedi mentre l’esercito
tedesco ben equipaggiato sopportava il caldo torrido africano in ben altre condizioni. Si rese
conto in anticipo, come altri ufficiali, della tragedia della campagna di Russia quando i soldati italiani dovettero affrontare il “Generale Inverno” con le suole di cartone.
Comprese e presagì tante cose, ma era un soldato al servizio della sua Patria e doveva obbedire. Amava la sua Patria e comunicò questo amore, questo rispetto anche a noi bambini,
specialmente a me che ero la più grande. E l’amava tanto che non esitò nel 1943 ad entrare
clandestinamente nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) contravvenendo ai suoi interessi personali, alla sua sicurezza e a quella della sua famiglia. Era un uomo giusto, mio
padre, e per perseguire un’idea giusta non guardava al proprio interesse e non valutava quanto di negativo sarebbe potuto accadergli. E quello che accadde si può leggere dai documenti
donati all’Archivio Storico della Città di Bolzano.
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UBALDO PESAPANE
Fu denunciato da un “amico”, un ufficiale suo compagno d’Accademia che faceva, come
tanti in quei tempi bui, il doppio o triplo gioco.
Mio padre non fece il doppio gioco, si era messo dalla parte che riteneva giusta, e pagò.
Diceva sempre, con quella sua innata arguzia napoletana che spuntava ogni tanto anche
nei momenti più seri: “Ho voluto fare la spia, sono stato scoperto e ho pagato. E’ giusto
così.”
Nel Lager di Bolzano e in seguito in quello di Flossenbürg si comportò sempre secondo
la sua natura di uomo retto e buono, mantenendo il sangue freddo in più di una tragica
occasione.
Ripensando a quegli avvenimenti ho sempre ritenuto che fossero due le condizioni che lo
aiutarono a sopravvivere in quell’inferno: l’abitudine maturata sin dall’infanzia a muoversi in ambienti ostili e la certezza del ritorno.
Avendo vissuto sin da bambino in collegio si era assuefatto a sopravvivere in un ambiente
sfavorevole, a obbedire sempre, talvolta anche per motivi futili o addirittura ingiusti.
E’ paradossale paragonare un collegio, sia pur un povero collegio del 1913, a un Lager,
ma l’atteggiamento dei sorveglianti talvolta rozzi, ignoranti e non sempre caritatevoli, dei
compagni a volte crudeli, crudeli come sanno essere solo i bambini e gli adolescenti, degli
insegnanti severi ma distratti circa le necessità dei collegiali, costituisce un ambiente ostile. Un ambiente dove c’è tutto il necessario per sopravvivere materialmente, ma manca del
tutto il calore di una carezza, di un bacio, di una parola affettuosa, la partecipazione ai piccoli grandi problemi giornalieri della giovinezza, dove si è soli a risolvere tutte le proprie
questioni. Anche l’Accademia Militare con la rigida educazione formale, l’abitudine ad obbedire agli ordini dei superiori, la vita sia pur in comunità ma solitaria, basata in realtà solo
su se stessi, anche questo si può definire un ambiente ostile. Definire il Lager un ambiente
ostile, come ho già detto, non solo è paradossale ma anzi è quasi ridicolo: era un luogo,
nella sua spaventosa realtà, orrendamente ostile. Forse mio padre nella sua inconsapevole
esperienza sapeva come e cosa fare. La seconda condizione basilare che lo aiutò a sopravvivere durante quegli interminabili otto mesi di inenarrabili orrori fu la sua incrollabile
speranza nel ritorno. Anzi non speranza ma certezza. Questo dipese da un avvenimento che
molti riterrebbero stupido ma che per lui invece fu fondamentale. Da buon napoletano mio
padre era moderatamente superstizioso: credeva ai segni della fortuna e della sfortuna.
Facciamo un passo indietro. Nel 1940 scendendo dall’aereo che lo portava a Valona in occasione della guerra di Grecia mise un piede su un mezzo ferro di cavallo piantato nel suolo
del piccolo aeroporto albanese. Il ferro di cavallo porta bene, è un portafortuna pensò mio
padre, è un segno del destino, e lo infilò nello stivale. Da quel momento non lo lasciò più.
Lo teneva sempre in tasca tanto che il ferro divenne lucido come fosse d’argento, con grande stizza di mia madre, perché a causa del suo peso le tasche erano sempre bucate. Il portafortuna lo seguì in Grecia, sui vari fronti ispezionati, a Corfù, in altre isole dello Ionio, in
Croazia e quindi l’8 settembre 1943 durante la fuga verso casa inseguito dai tedeschi; e poi
nel carcere di San Vittore, nel Lager di Bolzano e durante il tragico trasporto nel vagone
piombato fino a Flossenbürg. Qui i prigionieri, come d’uso, furono completamente denudati
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e spogliati di tutto. Il ferro di cavallo così scomparve. Ma un giorno, appena dopo aver subito la punizione di venticinque bastonate per non essersi tolto il berretto davanti a un kapo,
mentre disperato esaminava la tragica situazione in cui si trovava, l’occhio gli cadde su un
mucchietto di terra vicino al filo spinato attraversato dalla corrente elettrica da cui spuntava
qualcosa di lucido. Era il suo ferro di cavallo!
Questo avvenimento, banale per chiunque, fu determinante per lui, era il segno del destino.
Da quel momento fu certo che sarebbe tornato, fu quello che stabilì in lui la fede incrollabile
che lo sostenne in quegli otto interminabili mesi di orrori. Per un uomo ridotto alla condizione di schiavo basta straordinariamente così poco per avere la speranza.
Nella vita però ci vuole anche un pizzico di fortuna, qualcosa che consideriamo una stupidaggine; una banalità è quel qualcosa di fondamentale che può cambiare totalmente il corso
degli avvenimentì, che magari ci salva la vita. Mio padre ebbe questa banale opportunità.
Aveva una calligrafia molto personale, incisiva e volitiva che denotava un carattere fermo
e deciso. Quando frequentò il liceo negli anni ‘20 tra le varie materie scolastiche rientrava
anche lo studio della calligrafia per la riproduzione dei vari tipi di scrittura. Mio padre
nonostante fosse, a detta di mia madre, molto disordinato eccelleva nell’esecuzione dei vari
caratteri calligrafici: stampatello, corsivo inglese, gotico; soprattutto eccelleva nell’ordine
con cui disponeva le stesure. Allineamento perfetto, proporzioni perfette tra maiuscole e
minuscole: i suoi scritti sembravano stampati e noi bambini all’inizio dell’anno scolastico
ricorrevamo a lui per la scritta del nome sui nostri quaderni.
Orbene, quel giorno, il giorno del ritrovamento del suo talismano accadde l’imponderabile:
il capocampo indisse un concorso (se così si può pomposamente chiamare) per la ricerca di
uno scrivano che avrebbe dovuto redigere la lista dei morti giornaliera. Mio padre si presentò insieme ad altri e fu naturalmente scelto per le sue meravigliose doti calligrafiche.
Avrebbe però dovuto, di sera quando tutti i prigionieri erano nelle baracche, essere rinchiuso, insieme ad altri due disgraziati, in una capanna piena di cadaveri, i morti di quel giorno,
che generalmente ammontavano da 300 a 400. Da ogni singolo cadavere doveva trascrivere
il numero di matricola su un foglio. Terminato il faticoso e macabro lavoro di spostare ad
uno ad uno i cadaveri dall’enorme mucchio per leggerne il numero, bisognava riformare un
elenco nuovo e ben ordinato. Dopo di che veniva nuovamente rinchiuso nella Schreibstube e
partendo dai registri di presenza dei deportati doveva compilare minuziosamente la lista dei
morti del giorno, risalendo dal numero di matricola ai dati anagrafici contenuti nei registri.
Tutti i numeri dovevano tornare. Il lavoro durava tutta la notte fino a che all’alba, all’appello
giornaliero, doveva presentare la lista perfetta: tanti vivi, tanti moribondi, tanti morti. La
somma doveva coincidere con quella del giorno precedente. Questa era la ferrea organizzazione tedesca, minuziosa fino alla pedanteria, applicata anche all’orrore.
Divenne così “l’uomo dei morti”.
Ma fu la sua fortuna. Lavorava di notte, se pur nella situazione atroce descritta, e non era
esposto alle angherie che si potevano subire durante il giorno; poteva dormire di giorno in
una baracca vuota, in uno spazio impensabile nottetempo, poiché i deportati arrivavano a
giacere fino a otto su un solo tavolaccio. Nella sua posizione di scrivano poteva accedere ai
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UBALDO PESAPANE
registri segreti del campo; aiutò a rischio della propria vita diversi compagni ebrei. Era facile per lui “far morire sulla carta” un ebreo dandogli poi l’identità di un altro: un francese,
un italiano, insomma qualcuno che non fosse della razza odiata, effettivamente defunto. Ricordava sempre a questo proposito un caro amico, un avvocato ebreo polacco di nome Gesterfeld che parlava correntemente otto lingue e aveva due figlie nel bordello del campo.
Nella sfortuna mio padre fu fortunato. Non si ammalò del micidiale tifo petecchiale, il tifo
trasmesso dalla puntura del pidocchio, che fece moltissime vittime tra i deportati e non ebbe
mai bisogno di essere ricoverato (ricoverato si fa per dire) nel famigerato Revier, infermeria del campo, in cui si entrava vivi ma si usciva morti o squartati: lì imperava un soldato SS
che aveva ambizioni medico-chirurgiche che esercitava sui poveri disgraziati che trovava.
Ricordando certi avvenimenti un giorno mio padre mi disse:
“La realtà non è quella che vedi, non è una sola. Esistono molte realtà. Ti faccio un esempio: oggi esco di casa vedo e un uomo che cade, si sente male. Mi avvicino, mi preoccupo,
cerco di aiutarlo, chiamo un’ambulanza. Io sono lo stesso, sono sempre io, ma nel Lager la
realtà è un’altra. Un uomo vicino a me cade, sta male, sta morendo ma nessuno lo guarda,
nessuno gli bada. Io stesso gli sto vicino, ma non per aiutarlo, tanto non c’è più niente da
fare. I miei zoccoli sono rotti, ho bisogno di un altro paio: prenderò i suoi.”
Nei mesi che seguirono mio padre continuò puntigliosamente il suo macabro lavoro ritenendosi sempre molto fortunato di aver avuto quell’opportunità. Le atrocità a cui assisteva
minavano la sua anima ma non la sua fede incrollabile nella certezza del ritorno.
I tedeschi per indebolire sempre più il morale dei deportati distribuivano falsi bollettini
di guerra secondo i quali l’esercito del Reich aveva invaso e conquistato l’Inghilterra e la
Russia stava cadendo. Ma mio padre era del mestiere, aveva capito. I soldati che sempre
più spesso venivano al campo per essere disinfestati erano laceri, alcuni giovanissimi,
quasi dei bambini, altri anziani, uno basso, l’altro alto: i resti di un esercito in disfatta. Le
centinaia di fortezze volanti che sorvolavano continuamente la zona non erano contrastate
dalla contraerea. Mio padre aveva capito che la guerra per i tedeschi era persa. Era certo che
sarebbe tornato e con questa stessa certezza doveva far sì che tutti quei morti, quei fratelli
italiani spariti nel fumo di un camino, avessero un nome. Durante le notti del suo lavoro nel
piccolo ufficio della Schreibstube cominciò a stilare un elenco: l’elenco degli italiani morti
nel Lager di Flossenbürg. Rischiava la vita, se lo avessero scoperto sarebbe stato immediatamente ucciso nel modo peggiore, ma lo riteneva giusto. Ancora una volta non rinunciava
alle sue idee, ai suoi ideali, e senza tener conto di se stesso. Quando alla fine di aprile i
tedeschi evacuarono il Lager e scortarono i prigionieri verso Cham con una famosa “marcia
della morte”, prima di partire mio padre e un altro deportato, un amico francese, nascosero
i registri segreti, di cui era stata loro ordinata la distruzione, in un angolo della baracca
dietro due pompe antincendio. “Qualcuno li troverà – pensò – così sapranno.” Anche questo
a rischio della vita. Portò quindi con sé i suoi elenchi costituiti da circa mille nominativi.
Mio padre si salvò dalla carneficina della marcia forzata (in quattro giorni e quattro notti
furono trucidati circa diecimila uomini sfiniti dalla fatica, chi si fermava o cadeva veniva
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UBALDO PESAPANE
ucciso) e quando era allo stremo delle forze fu liberato insieme a altri sopravvissuti da una
divisione americana presso la cittadina di Stamsried. Dopo un ritorno fortunoso con altri
quattro compagni attraverso una Germania distrutta tornò in Italia proprio il giorno del suo
trentottesimo compleanno. Era il 20 maggio 1945. Gli elenchi e la testimonianza che portò
furono importantissimi per le centinaia di famiglie che, contrariamente, non avrebbero mai
più saputo nulla dei loro cari. Dopo la gioia e l’euforia del ritorno cadde in una profonda
depressione. Alternava periodi di mutismo assoluto a momenti di esagerata sovreccitazione, di notte talvolta gridava sconvolto dagli incubi dei suoi fantasmi. Venne a sapere che
l’amico e compagno d’Accademia che lo aveva tradito e denunciato aveva ripreso la sua
importante posizione nei quadri dell’Esercito e scoprì che viveva a Milano. Contrariamente
alla sua natura decise di vendicarsi uccidendolo. Una sera dell’estate 1945, armato, lo attese
sotto casa. Ma il Destino, dall’alto del suo supremo potere, guardò sulla terra vide un uomo
onesto e non permise che diventasse un assassino. L’amico traditore quella sera non tornò a
casa. Aveva saputo che lo aspettava la morte o fu solo un caso? Forse la solita banalità gli
permise di continuare a vivere. Mio padre volle così dimenticare anche chi gli aveva fatto
tanto male.
Il cammino della sua rinascita fu comunque lungo e difficile anche per chi gli viveva
accanto.
Flossenbürg gli aveva rubato l’anima.
Detesto le esagerazioni, non voglio, essendo la figlia, idealizzare la figura di mio padre
facendone un martire: voglio farne un’analisi retrospettiva come la farebbe un’estranea, un
individuo della strada. Vedo nell’uomo che fu mio padre una persona di valore. Un uomo,
sia pur con i suoi difetti e i suoi dubbi, intelligente e di grande spessore, onesto, coraggioso, generoso, ma soprattutto giusto, un uomo che perseguì i suoi ideali, i suoi principi, con
ostinazione senza mai tener conto del proprio interesse personale.
Non si ritenne mai un eroe, non si vantò mai per nulla del bene che aveva fatto semplicemente perchè era ciò che doveva essere fatto. Stranamente non aveva maturato odio per
la gente tedesca. Riteneva che le ritorsioni (non certo i sistemi di annientamento che ben
conosciamo) avvenute in Italia dopo l’armistizio da parte dell’Esercito del Reich fossero
giustamente motivate. “Eravamo alleati – diceva sempre – di colpo dopo l’8 settembre 1943
i tedeschi si sono trovati in un paese nemico. I patti non si rompono. Nella loro logica avevano ragione.”Odiava invece profondamente la lingua tedesca di cui non aveva imparato in
otto mesi neppure una parola. Il suono duro di quel parlato gli evocava evidentemente ordini
urlati, insulti, orrori, soprusi, violenze e morte. Conobbe personalmente e frequentò in occasione e in seguito agli avvenimenti della sua vita avventurosa quasi tutti i personaggi che
divennero, nel dopoguerra, coloro “che contavano”, e forse qualcuno che conta ancora, nella
storia del nostro paese. Non approfittò mai di queste conoscenze. “In parlamento – diceva
talvolta – sono andati anche quelli che durante il conflitto fecero il doppio gioco, i furbi
quelli che sanno come fare. Io non sono furbo, soccomberei. Voglio restarne fuori, voglio
dimenticare.”Alla fine del conflitto nel 1945 i pochi sopravvissuti ai campi di sterminio
erano considerati come normali reduci di guerra. D’altra parte le possibilità mediatiche a
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quel tempo si limitavano a notiziari radiofonici e a articoli sui giornali. Nonostante il Processo di Norimberga ai criminali nazisti avesse fatto scalpore, nessuno valutò in pieno e
realmente la tragedia di quegli uomini e di quelle donne sopravvissuti alla fabbrica degli
orrori. Uomini e donne che non ebbero mai la ben che minima considerazione, previdenza
e assistenza né morale né materiale. D’altra parte bisogna anche capire che la più sfrenata
fantasia non sarebbe stata in grado di immaginare quello che dopo cinquant’anni fu visto e
si vede nei documentari originali americani, russi e, guarda caso anche tedeschi che avevano documentato con la solita pignoleria l’efficienza dei Lager. Tutto si riduceva ai racconti
degli ex deportati. Fu molto deluso dall’Esercito. Appena tornato dall’inferno del Lager fu
messo sotto inchiesta perché aveva giurato per la Repubblica di Salò. Evidentemente nessuno aveva voluto ricordare che lo avesse fatto comandato dal CNL, per poter riprendere il
suo posto e avere così la possibilità di fornire informazioni riservate e segrete indispensabili alla resistenza attiva nel nostro Paese.Dovette quindi dimostrare con testimoni di essere
realmente stato deportato nel Lager di Flossenbürg e là rimasto per i più lunghi otto mesi
della sua vita come “l’uomo dei morti”.
Profondamente amareggiato diede le dimissioni, con dolore perché aveva sempre amato il
suo lavoro, e ricominciò da capo nella vita civile, conseguendo nel tempo un’ottima posizione in grandi aziende con la qualifica di direttore del personale.
Morì troppo presto a 73 anni, minato da un male incurabile. Lasciò a me il suo portafortuna.
Diceva sempre “Io non ho paura di morire.”
Qualche anno dopo la morte di mio padre, decisi di fare un po’ d’ordine nella cantina della
nostra casa in montagna. Rovistando in una cassa piena di vecchie fotografie ammuffite e
ciarpami di vario genere trovai il raccoglitore contenente i documenti che ora si trovano
presso l’Archivio Storico di Bolzano. Sul momento non vi diedi molta importanza, ma per
la deformazione professionale che mi distingue – sono antiquario da quasi quaranta anni –
ogni cosa antica o soltanto vecchia riveste per me un’importanza straordinaria. Quando con
più calma cominciai a leggere qua e là quei fogli ingialliti dal tempo fui riportata d’un tratto
ai tempi della mia infanzia, all’epoca della guerra che io avevo vissuto con la mia famiglia.
Rivissi la tragedia che sconvolse la vita di mio padre. A quel tempo ero una bambina di nove
anni molto sensibile e molto più matura della mia età anagrafica.
Gli avvenimenti di cui parliamo non mi vennero mai raccontati direttamente, tutto ciò che
so sono informazioni rubate ai discorsi dei “grandi” che giustamente volevano proteggere
noi “piccoli” dalle brutture della vita. Ciò nonostante fui ugualmente segnata per sempre
dalla morte. Mio padre, come già dissi, non parlava volentieri della sua atroce esperienza e
d’altro canto mia madre lo esortava sempre a non parlarne, per dimenticare. Quello che lui
raccontò ritengo fosse la minima parte di quello che vide e subì. Le umiliazioni, quelle inventate dagli aguzzini, quelle che distruggono la personalità dell’uomo e che ne annientano
la dignità, le percosse, le torture, gli orrori quali il cannibalismo, i moribondi ammassati
nelle latrine, gli uomini portati ancor vivi ai crematori, la spaventosa degradazione in cui
versavano quei disgraziati: questo non lo raccontò per una sorta di pudore che non riguar-
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UBALDO PESAPANE
dava solo sé ma anche tutti quei poveri morti. Anche nella morte ci vorrebbe dignità. Lessi e
rilessi le pagine scritte da mio padre e dimenticate nella cassa per oltre cinquanta anni e tutte
le tessere del racconto si incastrarono nei miei ricordi come in un puzzle a cui mancavano
dei pezzi. Riordinai tutti quei fogli in ordine cronologico e venni così a conoscenza di tante
cose che non sapevo, di tanti perché.
Mi sono chiesta spesso: perché in età adulta non chiesi a mio padre di più, perché non raccolsi la sua preziosa testimonianza? Non ero più la bambina che non deve conoscere le brutture
del mondo; saremmo stati due adulti l’uno di fronte all’altro, due persone alla pari. Non lo
feci purtroppo distratta dalla vita, dal lavoro, dagli avvenimenti quotidiani e, dico la verità,
anche dall’egoismo di aver dimenticato quello che una bambina aveva capito.
Per diversi anni tenni il raccoglitore su un mobile in camera da letto. Ogni tanto ne rileggevo qualche pagina stando male poi per una settimana. E sempre mi arrovellavo per cercare
un modo per dare un posto degno a quelle parole venute da lontano, qualcosa che rivalutasse
la figura di mio padre. Ho due figli, ora più che adulti; hanno conosciuto il nonno, gli hanno voluto bene, ma come tutti i giovani della loro generazione sono così lontani da quegli
avvenimenti, così estranei a quello che accadde in quegli anni bui. Dove potrebbero finire
le parole di mio padre un giorno scomparsa io, ultima testimone? In un cassetto in qualche
angolo, dimenticate e poi nel corso degli anni perdute per sempre.
Tentai varie strade, ma senza successo, nessuno degli interpellati mi diede ascolto.
Poi accadde quella banalità che cambia il destino delle cose. Mia cognata, che conosceva
bene le traversie di mio padre e al quale era sempre stata molto affezionata, una sera tardi mi
telefonò avvertendomi che, per caso, su Rai 3 aveva assistito a una trasmissione relativa al
campo di Fossoli e nella quale si parlava anche del Lager di Flossenbürg, campo quasi mai
citato nonostante fosse uno dei peggiori, uno dal quale non si tornava. Mi misi in contatto
col Comune di Carpi nella persona del Sindaco che, molto gentilmente, mi fece parlare con
la Signora Olga Focherini, figlia di un deportato morto a Flossenbürg, da anni attiva nella
ricerca di documenti che certificassero la morte del padre. Ci incontrammo e scoprimmo dagli elenchi in mio e in suo possesso che i nostri padri erano stati deportati in Germania con
lo stesso trasporto partito il 5 settembre 1944 dal Lager di Bolzano, allora campo di smistamento verso i maggiori campi nazisti d’Oltralpe. Forse si erano conosciuti, forse avevano
sofferto insieme. Nel mio elenco figuravano i dati anagrafici e il giorno della sua morte. Mi
sentii unita a lei come a una sorella.
Fu proprio Olga che parlò dei documenti redatti da mio padre alla Dr.ssa Carla Giacomozzi
attiva nell’Archivio Storico di Bolzano. Quando ci incontrammo mi colpì subito l’interesse
e la considerazione rivolta al materiale cartaceo; mi rese noto inoltre che presso l’Archivio
Storico è attivo un centro per la documentazione e ricerca sulla storia del Lager di Bolzano
che raccoglie testimonianze e documenti originali di ex deportati. La sensibilità storica e
la premura manifestate riguardo agli scritti mi persuase che quello sarebbe stato il posto
giusto per conservare degnamente e valorizzare quello che costituisce la memoria di mio
padre. Decisi quindi, d’accordo coi miei fratelli, di donare alla Città di Bolzano tutta la do-
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UBALDO PESAPANE
cumentazione comprendente anche scritti personali tra i miei genitori. Così le generazioni
attuali e future avranno la possibilità di consultare questo materiale prezioso ritornando, in
tempo reale, agli avvenimenti che costituiscono la storia del nostro paese, trovando forse
in esso agganci utili per ricostruire altre storie e venire a conoscenza dei fatti che servano
di monito perché simili orrori non debbano ripetersi mai più. Il giorno della memoria del
2005 fu organizzata dal Comune di Bolzano, nella meravigliosa cornice della sala antica
del palazzo comunale, la cerimonia per la consegna del Fondo cartaceo da me donato a questa città. In quell’occasione provai un’emozione profonda per l’interesse manifestato alla
memoria storica, la considerazione e il rispetto di tutti verso la figura di mio padre. Sono
felice di aver depositato nel posto giusto quello che rimane della vita di mio padre dove sarà
conservato degnamente. I suoi scritti sono finalmente a casa.
Dopo aver parlato tanto di mio padre ritengo corretto considerare, rendendogli il giusto
merito, la figura di mia madre che fu importantissima protagonista negli avvenimenti che
occorsero in occasione dell’arresto e in seguito durante la detenzione a San Vittore.
Mia madre era una donna di piccola statura, minuta, molto graziosa, dotata di un’intelligenza non comune supportata, a dispetto della minuscola corporatura, da un carattere forte e
da una volontà di ferro. Molto efficiente e concreta, si poteva definire una donna d’azione.
Su di lei si poteva contare sempre e comunque. E la sua coraggiosa efficienza si dimostrò
infatti in occasione dell’arresto di mio padre. In quei giorni sventurati del luglio 1944 fu
abbandonato da tutti. Il Comando Generale della Lombardia non tutelò minimamente il suo
alto ufficiale arrestato dalla Gestapo e così i cosiddetti “amici e colleghi”. La sua persona
era “bruciata” e qualsiasi rapporto con lui, passato e presente, rappresentava solo un mare
di pericolosi problemi. Nessuno ricordò l’amicizia, la stima e i trascorsi che avrebbero dovuto legarli. Solo un maresciallo dei Carabinieri, di cui non so il nome, fedele a mio padre,
riuscì ad avvertirlo del suo imminente arresto dandogli così la possibilità e il tempo di distruggere tutti i documenti compromettenti, così che fu arrestato per l’avvenuta delazione,
ma solo sulla base di gravi sospetti. Non fu mai trovata, anche successivamente, nessuna
prova concreta relativa alla sua appartenenza all’attività clandestina.
“Quando la barca affonda i topi scappano” dice un proverbio. Tutti se ne lavarono le mani e
mia madre fu lasciata sola senza neppure una minima informazione al riguardo.
Ma, se pur disperata, da donna d’azione quale era, non si perse d’animo. Con un’amica che
parlava tedesco si recò coraggiosamente al Comando della Gestapo e riuscì a sapere che
suo marito era stato arrestato e si trovava nel carcere di San Vittore a Milano nel 6° raggio,
quello gestito dai tedeschi e riservato ai prigionieri politici. In quel periodo si trovavano
là reclusi oltre Indro Montanelli e sua moglie, il falso Gen. Della Rovere e l’ingegnere
aeronautico Vittorio Gasparini, persona di spicco nel CNL di Milano, amico di mio padre,
che fu fucilato, per rappresaglia, a piazzale Loreto il 10 agosto 1944 insieme ad altri 14
detenuti politici in quell’agosto di sangue. Come riuscì mia madre a conoscere la signora
Maddalena, madre del giornalista, non so. Fu attraverso di lei che conobbe un secondino,
oggi si direbbe guardia carceraria, un certo Tursini, che, per denaro, ma rischiando la vita,
si prestava a mettere in contatto i prigionieri con i loro familiari.
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UBALDO PESAPANE
Il sistema era il seguente: si arrotolava una sigaretta nel mezzo della quale si nascondeva un
bigliettino strettamente arrotolato. Detta sigaretta era quindi infilata nel pacchetto di Nazionali dell’uomo. In questo modo, in caso di pericolo, sarebbe stata accesa, fumata e quindi
bruciato così il biglietto compromettente. Così i bigliettini clandestini venivano scambiati
in andata e ritorno. Mia madre riuscì in questo modo a comunicare con mio padre, che si
trovava in segregazione cellulare, e dargli, oltre a qualche notizia, quel poco di conforto
possibile. La nostra famiglia era sfollata per la guerra a Seregno, paese della Brianza a 20
km da Milano. Noi bambini rimanevamo con la nonna a casa, mentre mia madre andava e
veniva da Milano, una Milano semidistrutta dalle bombe, quasi giornalmente. Aveva affittato una stanza in un albergo di corso Magenta, vicino al carcere. Poteva così incontrarsi
più facilmente di sera col secondino. Gli appuntamenti avvenivano presso un’osteria del
quartiere Giambellino dove l’uomo viveva con la famiglia in una casa popolare. Questa
estrema periferia della città, a quei tempi si trovava in aperta campagna, il Giambellino era
circondato solo dai campi e dalle risaie; questi scambi clandestini visti i tempi rischiosi, non
erano certo facili.
I bigliettini (22) che costituiscono una parte importante del Fondo Pesapane sono quelli
che scrisse mio padre. Quelli di mia madre ovviamente furono, appena letti, da lui subito
distrutti. Mia madre si attivò con ogni mezzo per tentare di far uscire il marito dal carcere.
Le fu presentato un fantomatico personaggio, un certo Dr. Ugo, che, a sua detta, avrebbe
avuto la possibilità di far sì che mio padre fuggisse in Svizzera. Ebbe molti incontri con
questo ambiguo individuo, senz’altro con elevati esborsi di danaro, nel suo ufficio presso il
Comando tedesco a Villa Treves in via Marenco a Milano, villa requisita dalla Gestapo ad
una famiglia ebrea.
In un primo momento il Dr. Ugo riuscì a far trasferire mio padre dalla cella d’isolamento in
cui si trovava da settimane all’infermeria del carcere e fece credere a mia madre che la fuga
in Svizzera fosse certa. Ma evidentemente la persona del Maggiore Pesapane non interessava a nessuno, non era importante per vantaggiosi legami futuri e così dopo tante promesse,
assicurazioni e, ritengo, molto denaro, fu lasciato al suo triste destino. Partì per il Lager di
Bolzano destinato alla deportazione. Indro Montanelli, invece, personaggio senz’altro molto
più interessante, fu fatto fuggire e rimase in Svizzera fino alla fine della guerra.
Rimanemmo soli mia madre, mia nonna e noi bambini a Seregno, senza alcuna notizia. Mio
padre scomparve nel nulla. Nessuno era a conoscenza dell’esistenza di quei luoghi d’orrore.
Senz’altro fu meglio che mia madre non sapesse. Lei lo pensava prigioniero in Germania
come tanti altri normali prigionieri di guerra. Non sapeva e non valutò senz’altro il tremendo
pericolo che corremmo tutti quando, senza dubbio per generosità, ospitò per qualche tempo
nell’inverno 1944/45 Edith, una bambina ebrea, figlia di certi nostri vicini di casa a Roma
e allora mia compagna di giochi. I genitori dopo averla nascosta in casa nostra temporaneamente, la vennero a prendere e espatriarono clandestinamente in Svizzera. Si salvarono
tutti. Un giorno, nel gennaio del 1945, giunse una cartolina da Flossenbürg. Mio padre era
riuscito, dal momento che lavorava nella Schreibstube, a infilarla, scritta in tedesco, tra la
posta degli aguzzini: capiblocco, kapo e soldati SS. Diceva che stava bene e chiedeva nostre
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UBALDO PESAPANE
notizie. Mia madre, poveretta, felice di saperlo vivo e in buona salute, non immaginando
mai più il luogo di orrore e di morte in cui si trovava, gli spedì diversi pacchi contenenti
cambi di biancheria e vari generi di conforto. Ovviamente non arrivarono mai.
Quando mio padre tornò, mia madre fu un importantissimo punto di riferimento per lui,
l’àncora di salvezza a cui ci si attacca per non affogare. Era una donna forte e lo sostenne
con tenacia durante tutti gli anni seguenti, gli anni difficili della rinascita che, senza alcun
dubbio, furono durissimi e ardui anche per lei. Gli fu sempre accanto, tanto che mio padre
un tempo autosufficiente e molto indipendente non riusciva a fare più a meno di lei pur
nelle cose più semplici. Erano sempre insieme. Mi soffermavo a guardarla, quando rimase
sola, e la vedevo come un uccello senza un’ala.
Quando ero bambina avevo un’ammirazione sconfinata per lui. Lui era per me il dominatore, il padrone, il re. Era un bell’uomo, mio padre. La bella figura snella, i capelli neri e
lisci, i baffetti sulla bocca dal sorriso un po’ beffardo, gli occhi color dell’acciaio, la sua
distinzione innata, il suo modo gentile di porsi sempre velato della leggera ironia tipica
partenopea, e poi la divisa elegante, gli stivali sempre lustri, facevano di lui quello che si
dice un uomo affascinante. Io credo di averlo guardato, allora bambina, con occhi da donna. In quel periodo ricordo poco mio padre. Sempre impegnato, sempre fuori casa. E poi la
guerra, che lo aveva portato lontano tante volte. Io lo aspettavo sempre. Lo ricordo, però,
una volta così nitidamente come se lo vedessi adesso in fotografia. Scendeva dal treno quasi
in corsa. Eravamo andati a prenderlo alla stazione, c’era la guerra e lui tornava a casa per
una breve licenza. Nella confusione della banchina, tra i mille volti della gente, io piccola,
per mano a mia madre, lo ricordo scendere dal treno in corsa, il viso magro e abbronzato
sotto la bustina grigioverde, gli occhi d’acciaio, la bocca sorridente, gigante e dominatore
per me piccola cosa tra le sue braccia. Ricordo di aver pensato quello che pensano tutti i
bambini almeno una volta: “Com’è bello il mio papà, lo vorrei sposare!”. Ma la figura di
mio padre non è quella per me. E’ quella di molti anni dopo, quella degli ultimi anni della
sua vita. La figura sempre bella, la distinzione innata che lo faceva un vero signore in ogni
momento, in ogni atteggiamento, l’ordine della sua persona, quell’ordine che viene dal di
dentro, gli occhiali cerchiati d’oro, il cappellino alla cacciatora, i pantaloni di velluto a coste, le mani curate. Credo che mio padre vestito di stracci sarebbe stato un signore vestito
di stracci eleganti.
Dopo le traversie della sua vita, la tragedia della deportazione in un campo di sterminio,
dal quale era miracolosamente tornato, aveva cambiato carattere. Taciturno, apprensivo e
vulnerabile era, credo, il pallido ricordo dell’uomo brillante e allegro di un tempo. Non
aveva, però, perso la sua arguzia meridionale, lo spirito della battuta spiritosa detta così,
d’un tratto, la galanteria con le signore che corteggiava per gioco e con civetteria, il piacere
di aver gente attorno, la dote di mettere a suo agio il più timido degli ospiti.
Nato da una famiglia dell’alta borghesia napoletana aveva conservato, nonostante avesse
vissuto al nord fin dalla più tenera età, il calore e la simpatia di quella gente, del napoletano signore, del napoletano verace. Quante volte mio padre raccontava le storie della sua
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famiglia? Molte e molte volte. E sempre alla fine del pranzo mentre si stava sparecchiando
la tavola. Si ripeteva, naturalmente, e, naturalmente, ogni volta tutti si allontanavano sbuffando mentre mia madre, porgendogli il caffè, mormorava comprensiva: “…ancora!”.
Solo io rimanevo a tavola, davanti alla tazzina del caffè, ad ascoltarlo; come un bambino che
ascolta per l’ennesima volta la favola di Biancaneve. Mi piaceva sentir ripetere le vicende di
quel mondo lontano che ritornava a me, come per magia, reso vivo e presente dal suo racconto colorito di particolari sempre nuovi. Mi piaceva conoscere dalle sue parole le mie radici.
Quando tutti se n’erano andati il suo racconto era per me sola. Così ritornavano intorno a noi
i nonni e i bisnonni e tutta la miriade di zii e cugini di quella allegra e grande famiglia.
Mi raccontava di suo nonno, l’ingegner Francesco, un omone dalla lunga barba rossa, ricchissimo, che era dovuto fuggire in Piemonte, per motivi politici, presso la famiglia della
moglie, contessa Beatrice, perché, parteggiando per i piemontesi quindi per l’unità d’Italia,
era perseguitato dai Borboni, che, durante la sua assenza, gli avevano confiscato tutti i beni
e ogni suo avere. Con l’unificazione d’Italia e la conseguente cacciata di ‘Franceschiello’, il
nonno Francesco era tornato a Napoli e, indennizzato dallo Stato Italiano come danneggiato
politico, aveva ottenuto, oltre a una pensione favolosa, la direzione generale delle Ferrovie
del Sud. Aveva potuto quindi trasferirsi a Roma e mantenere ancora negli agi la sua grande
famiglia composta oltre che dalla moglie, naturalmente, da ben otto figlioli: quattro maschi
e quattro femmine. “ Le donne della nostra famiglia erano tutte belle!” soleva dire mio padre
con malcelato orgoglio, descrivendo le zie e le cugine. Parlava specialmente di una zia, Elvira, una splendida donna dai capelli rossi che, sposata a un giornalista famoso di quei tempi,
conduceva nella sua casa romana una vita mondana e forse un po’ dissoluta nell’alta società
della capitale. “Pensa – diceva mio padre – nell’ingresso della sua casa c’era persino una
portantina antica dove io mi divertivo a giocarci, quando andavamo a trovarla.”
Ovviamente, come accade in tutte le famiglie, una generazione fa e l’altra disfa. Così era
stato per quella di mio padre. Gli otto figli dell’ing. Francesco, specie i quattro maschi, cresciuti negli agi e nel lusso, non solo non avevano voluto proseguire gli studi, ma credo non
avessero avuto voglia di fare un gran che, oltre che divertirsi e spassarsela con le donne.
Infatti, a parte mio nonno, del quale mio padre non ricordava nulla avendolo perso quando
aveva solo sei anni, gli zii si sollazzavano allegramente tra Roma e Napoli, sempre da gran
signori. Inevitabilmente a un certo punto del racconto, l’argomento cadeva sulla storia del
cugino Franz, personaggio che, per me, aveva del leggendario. Abbandonato col resto della
famiglia dal padre Alfredo che, stabilitosi a Genova con un’altra donna si era formato con
lei una nuova famiglia, dopo anni di stenti e di miseria aveva trovato lavoro, ancor ragazzo,
presso un fotografo di Napoli. Imparata alla perfezione l’arte della fotografia e trasferitosi a Roma, era diventato, non si sa come, il primo fotografo della capitale e, in seguito, il
fotografo prediletto delle dive degli anni Trenta. “Aveva lo studio in via Veneto, riceveva i
clienti in frac offrendo loro champagne” diceva mio padre. A sentir lui il cugino Franz era un
gran simpaticone, e, non smentendo la tradizione di famiglia, aveva donne in tutti i cantucci
e ... figli pure, che lui regolarmente riconosceva, manteneva e sistemava. E distribuiva il suo
amore così equamente che era persino riuscito a far diventare amiche la sua legittima moglie
e l’amante prediletta.
54
UBALDO PESAPANE
Le due donne andavano perfettamente d’accordo sul fatto che il loro uomo si dividesse tra
loro. A pranzo da una e a cena dall’altra. Una notte con una e una con l’altra. Lo zio Giulio
invece nonostante fosse del tutto squattrinato avendo sperperato tutti i suoi averi (tanto per
cambiare) con le donne, era molto generoso nonostante la sua precaria situazione economica. Un gran signore lo zio Giulio, sempre elegante, perfetto. “Era capace di spendere fino
all’ultimo centesimo, proprio fino all’ultimo, per invitarmi nel miglior ristorante e quindi a
teatro quando, raramente, a Roma avevo l’occasione di vederlo, e senza badare a spese, anche se so che non aveva ormai che soltanto il vestito che indossava” continuava mio padre
sempre più infervorato nel racconto.
Una storia che mi piaceva molto era anche quella dell’altro nonno di mio padre, quello materno, anche lui di nome Francesco e di professione magistrato.Gettata la tonaca alle ortiche
(non essendo il primogenito si sarebbe dovuto fare prete) per una bella e ardente fanciulla
napoletana di appena quattordici anni di nome Bettina, si era poi laureato in giurisprudenza e, come si usava in quei tempi e in quei luoghi (la sua famiglia era maggiorente di un
borgo vicino a Potenza), era tornato per annunciare la conclusione dei suoi studi ai genitori
entrando nel paese natale in groppa a un’asina bianca col plico dell’attestato di laurea in
mano. Biondissimo, con gli occhi color dei fiordalisi (in lui meridionale erano affiorati i
geni degli antichi normanni) formava una coppia insolita con la bruna e ardente Bettina che
gli aveva dato tre figli a sua perfetta immagine e somiglianza: tre biondi eterei che avrebbero potuto essere benissimo nati a Stoccolma.
Nonna Bettina doveva essere un tipo molto indipendente e originale. Viaggiava spesso tra
Roma e Napoli per nulla preoccupata del fatto che le signore per bene viaggiavano allora
sempre accompagnate. Senza fretta però. Infatti:“Quando nonna Bettina decideva di partire
preparava le valigie con calma senza preoccuparsi dell’orario del treno che avrebbe dovuto
prendere. Quando aveva finito, sempre con molta calma, chiamava la carrozzella e si faceva
portare alla stazione.
“ A che ora parte il treno per Napoli? “chiedeva alla biglietteria.
“ E’ partito da un minuto, signora.”
“ E il prossimo?”
“ Tra tre ore, signora.”
“ Bene, andiamo in sala d’aspetto” e lì, tranquilla e per nulla contrariata, aspettava il treno
successivo.”
Uno dei figli di nonna Bettina, oltre mia nonna, era lo zio Ferrante. Biondo con gli occhi
naturalmente azzurri, magnetici e affascinanti, era ufficiale di marina ed era rimasto scapolo. Aveva viaggiato in tutto il mondo, specialmente nell’America del Sud, scattando come
ricordo migliaia di fotografie. “Lo zio Ferrante mi ha fatto da padre!” diceva con tenerezza
mio padre ricordando quello zio che quando era in Italia si occupava come meglio poteva
dei due nipoti rimasti orfani così bambini. I racconti di mio padre continuavano immancabilmente con i ricordi di collegio.
Cresciuto, per necessità, con suo fratello minore, fino a diciotto anni in un collegio di
Livorno, ne ricordava con grande affetto il direttore: un certo conte Grillo. Anch’egli un
personaggio da favola per me. Il conte, ultimo rampollo della sua nobile famiglia, viveva,
55
UBALDO PESAPANE
scapolo, con tre sorelle zitelle nel palazzo avito. Da una domestica aveva avuto un figlio maschio che aveva riconosciuto legittimo così da dargli il suo nobile nome, ma che purtroppo
morì di appendicite ancora bambino. Il Conte, distrutto dal dolore per quella perdita, aveva
fondato quel collegio per orfani, dedicando a questa istituzione la sua vita e i suoi beni. Mio
padre aveva un bellissimo ricordo di quell’uomo. Vestito in divisa bianca da ufficiale di Marina, come del resto vestivano tutti i collegiali, si occupava di volta in volta personalmente
di tutti i ragazzi. A chi, più povero, non aveva possibilità di studiare, insegnava un mestiere
e trovava successivamente un lavoro. A chi, invece, come mio padre, era destinato agli studi,
curava personalmente la sua educazione. Usciva a turni con piccoli gruppi di quattro o cinque ragazzi e, come se fossero stati suoi figli, insegnava loro come comportarsi in società,
come trattare le signore, come scegliere un buon libro, una rappresentazione, un concerto.
Scoprendo in mio padre la predisposizione alla musica gli aveva trovato un eccezionale maestro di pianoforte: un frate di nome Fra’ Pietro. Anche il racconto di Fra’ Pietro mi affascinava. Viveva in un misero abbaino e non si sapeva chi fosse stato e da dove venisse.
Mio padre mi raccontava di quest’uomo dalla figura imponente, vestito del saio francescano
e avvolto in un alone di mistero, della sua povertà e del suo grande talento come pianista. Studioso di Mozart che infinitamente amava, per anni gli diede lezioni di pianoforte
e, scoprendo in lui un allievo d’eccezione, gli insegnò tutti i suoi segreti. Ma gli insegnò
soprattutto ad amare la musica di Mozart che era il suo emblema, il suo idolo. Quando un
brutto giorno Fra’ Pietro morì, per sua ultima volontà, mio padre, ragazzo, fu il suo unico
erede: pochissimi denari, qualche libro e tutti gli spartiti musicali che erano stati la sua
unica ricchezza. Dopo la morte di Fra’ Pietro, il conte Grillo trovò un’altra insegnante per
mio padre. Ma troppa era la differenza tra il frate artista e quest’ultima. Troppa mediocrità
e pignoleria in lei. Dalla festosa musica di Mozart volle passare di nuovo ai noiosi esercizi,
sostenendo che non si potesse conoscere un solo compositore. Mio padre quindi si disamorò
rapidamente e non volle più continuare gli studi.
Mio padre non suonava più da molti anni nonostante tutti noi gli consigliassimo di riprendere. “Ho le dita e le orecchie troppo arrugginite per suonare ancora; mi sentirei avvilito
nell’ascoltare una musica che non è quella che vorrei. Preferisco ascoltarla da chi suona
bene.” Per cui, ogni sera, dalla casa di montagna dove ormai si era stabilito per motivi di
salute, si poteva udire la musica possente di Bach, quella dolce di Chopin e sempre ... quella
frizzante e perfetta di Mozart, il suo preferito, suonata e incisa da concertisti famosi. Con
mio padre è scomparso un mondo che è rimasto nel mio cuore grazie ai suoi racconti coloriti,
sempre uguali e pur sempre diversi. Le vicende di una grande famiglia passata tra le vicende
di tre guerre, tra mille vicissitudini e avventure di ogni genere.L’altra sera davanti alla vetrina del mio negozio, ho visto un signore che osservava con attenzione i mobili, gli oggetti e
tutte le antichità che vi sono esposte. La bella figura distinta, gli occhiali d’oro, il cappellino
alla cacciatora. “Anche la zia Carolina aveva a Roma, in via Condotti, un bellissimo negozio
d’antiquariato. Tu avrai preso da lei.” Soleva dire mio padre nei suoi racconti.
Forse il signore che ho visto l’altra sera è lui. Forse è tornato per vedermi continuare il lavoro di zia Carolina, per leggere il suo nome scritto a lettere d’oro sulla mia vetrina.
Come allora.
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UBALDO PESAPANE
Papà è tornato !
E’ maggio inoltrato. La guerra è finita da poco.
Abbiamo passato un brutto inverno. Freddo fame e tanta paura. Soli. Natale sotto le bombe, in cantina, pregando la Madonna di non farci morire. Papà è via, da molti mesi, non si
sa dove. Io sono stata malata. Forse ho avuto la difterite. Così ha detto il vecchio dottore
del paese che veniva tutti i giorni e mi guardava in gola scuotendo la testa. Il mio letto
era in cucina, nell’unica stanza meno fredda delle altre, vicino alla stufa di cotto. Poi
sono guarita. E’ venuta la primavera. I soldati sono scappati in un gran parapiglia e hanno
detto che sono arrivati gli americani, i salvatori. Ma io non li ho visti. Alla sera, adesso,
accendono i lampioni nelle strade e si possono lasciare le imposte aperte. E’ strano per me,
non avevo mai visto tante luci, prima ero troppo piccola per ricordare. Si parla sempre di
‘prima’. Prima era così, prima c’era questo e quello, prima era meglio e così via. Per me
quel ‘prima’ è una grande muraglia, un confine dietro il quale tutto è bello e buono, ma
di cui non conosco nulla. Sono molto cresciuta nell’inverno scorso. Le braccia e le gambe
troppo lunghe e magre rispetto al busto ancora infantile, da bambina. Ho le trecce folte e
lunghe fin oltre la cintura e mi ritengo molto brutta.
Quel pomeriggio sono andata, come al solito, dal contadino nostro vicino che era riuscito
nonostante tutto e non si sa come, a conservare una mucca. Vado lì tutti i giorni a comperare un pentolino di latte per il cuginetto Antonio nato da soli quattro mesi. Un bimbo
biondo, gracile e delicato che sta con noi perché la zia non se la sente di allevarlo. E’ la
nonna che se ne cura. Mi piace molto andare dal contadino perché sua moglie mi dà sempre
una grossa scodella di schiuma di latte. Io credo che sia panna.
Passo attraverso le siepi di robinie sul viottolo in mezzo ai campi.
C’è una gran pace intorno: ronzano gli insetti e un cane abbaia lontano.
Mi fermo guardare gli ireos selvatici fioriti lungo il fosso. L’aria è piena del loro profumo
leggero un po’ acre.
Entro in casa dal cancello grande. Nel cortile una figura d’uomo. Papà è tornato!
Il vestito grigio, non suo, gli balla addosso sul corpo di una magrezza impressionante.
I capelli cortissimi, la barba lunga. Ma sempre, anche così, elegante di quella sua eleganza
innata che gli viene dal di dentro.
Gli corro incontro e lo abbraccio alle ginocchia, piangendo.
Mi accarezza sui capelli con dolcezza, ma i suoi occhi sono tristi.
“ Perché piangi? Io sono qui.”
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Il Fondo Ubaldo Pesapane
Il Fondo Ubaldo Pesapane donato nel 2004 e nel 2005 all’Archivio Storico da Giovanna e Paolo Pesapane di Milano è un fondo cartaceo. È composto da 154 documenti in carta relativi a
un arco cronologico che va dal 1914 al 1954.
Il nucleo maggiore dei documenti si concentra tra il 1944 e il 1946, che sono anni fondamentali nella storia di Ubaldo Pesapane.
Al 1944 datano la sua attività clandestina presso il Comando Militare della Regione Lombardia, l’arresto, la tortura, l’isolamento in carcere, la deportazione nei Lager nazisti di Bolzano
e di Flossenbürg.
Nel 1945 Pesapane vive gli ultimi quattro mesi di deportazione, la liberazione e il faticoso
ritorno a casa. Avverte ben presto l’abbandono delle istituzioni, ma nel frattempo si sforza di
difendere la memoria e l’onore degli italiani morti a Flossenbürg, militari e civili, di cui è riuscito a redigere un elenco e a portarlo in Italia, cura i contatti con le famiglie di coloro che non
sono tornati, vive in uno stato di difficoltà e precarietà con la sua famiglia dovuto a ruberie
attuate dopo il suo arresto, al mancato pagamento di assegni che gli sono dovuti e all’inchiesta
a cui viene sottoposto da parte dell’Esercito. Nel 1946 Pesapane prosegue il suo lavoro per
onorare la memoria dei morti ma cresce la delusione dell’ambiente che lo circonda, e a poco
a poco si allontana, con amarezza, dalla vita militare.
I documenti sono inventariati e descritti secondo il fondamentale ordine cronologico.
Per poter trasmettere anche la molteplicità e la complessità delle materie trattate da Pesapane,
soprattutto nel dopoguerra, ogni unità archivistica descritta è stata ordinata anche per temi,
sulla base della suddivisione riportata nella tabella che segue:
1914 – 1943
1944. 1: Vita militare e corrispondenza
1944. 2: Carcere: S. Vittore di Milano
1944. 3: Deportazione: Lager di Bolzano
1944. 4: Deportazione: Lager di Flossenbürg
1945. 1: Deportazione: Lager di Flossenbürg
1945. 2: Liberazione: ritorno a casa
1945. 3: Dopoguerra: relazioni sui fatti dell’8 settembre 1943
1945. 4: Dopoguerra: corrispondenza e giornali
1945. 5: Dopoguerra: l’elenco dei morti di Flossenbürg, dichiarazioni
1945. 6: Dopoguerra: relazione sulla figura di Teresio Olivelli
1945. 7: Dopoguerra: relazioni sulla carriera militare
1945. 8: Dopoguerra: chiarimenti sulla posizione sua e di colleghi durante l’occupazione tedesca
1946. 1: Corrispondenza e giornali
1946. 2: Carriera militare
1947 – 1954: Corrispondenza
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Inventario del Fondo Pesapane
1914 – 1943
1) Buono di cassa da 1 lira, con l’effigie di Vittorio Emanuele III, emesso con decreto
ministeriale del 19.08.1914. Tali buoni di cassa furono emessi dalla Banca d’Italia alla
vigilia della Prima Guerra Mondiale in sostituzione delle monete metalliche, dopo averle
ritirate dalla circolazione per conservare il metallo.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1914 – 1943
2) Bologna, 05.05.1930
Certificato d’idoneità alla condotta di autoveicoli in servizio militare nr. 03523 (patente
di guida) rilasciato a Pesapane dal Ministero della Guerra / 6. Centro Automobilistico /
Tenente Colonnello Comandante M. Miglietta. Con timbro tondo del Comando 6. Centro
Automobilistico.
Nr. 1 pezzo prestampato con integrazioni manoscritte. Fronte e retro.
1914 – 1943
3) 07.11.1932
Ordine del giorno nr. 301 bis del Comando del 6. Reggimento Bersaglieri. Oggetto: I.
campionato militare di campagna, emesso dal Colonnello Comandante del Reggimento U.
Barberis. Si parla di una vittoria fra i reggimenti dell’Arma conseguita grazie a numerosi
atleti tra cui Pesapane. Con timbro tondo del Comando 6. Regg. Bersaglieri Ciclisti.
Nr. 1 velina dattiloscritta. Solo fronte.
1914 – 1943
4) Bologna, 15.10.1934
Lettera di licenza del Comando del 6. Reggimento Bersaglieri di Bologna / Colonnello Comandante del Reggimento B. Malaguti al Tenente S.P.E. Pesapane. Concessa una
licenza ordinaria di 30 giorni per recarsi a Bologna. Con timbro tondo del Comando 6.
Regg. Bersaglieri Ciclisti.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni dattiloscritte. Solo fronte.
1914 – 1943
5) Padova, 1940
Foto b/n di Pesapane ritratto in uniforme a passeggio nella città di Padova.
Nr. 1 pezzo.
1914 – 1943
6) Fronte greco – albanese, marzo 1941
Foto b/n del capitano Pesapane ritratto al lavoro alla scrivania. Con dedica autografa
“Alla mia cara mamma”.
Nr. 1 pezzo.
1914 – 1943
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UBALDO PESAPANE
7) Roma, 1941?
Diploma firmato dal Colonnello Direttore Numa Montagnani del Ministero della Guerra
/ Ufficio Amministrazione di Personali Militari Vari che autorizza il Maggiore Fant. del
Comando C. A. Speciale Pesapane a portare sull’uniforme il distintivo offerto dal R. Governo d’Albania a coloro che hanno partecipato alle operazioni di guerra sul fronte albano
-greco-jugoslavo dal 28.10.1940 al 23.04.1941 XIX.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1914 – 1943
8) Brindisi, 30.06.1941
Telegramma di Pesapane alla moglie.
Nr. 1 pezzo.
1914 – 1943
9) Bologna, 01.07.1941
Telegramma di Pesapane alla moglie.
Nr. 1 pezzo.
1914 – 1943
10) P.M. 18, 28.08.1943
Lettera di licenza del Comando della 1. Divisione Celere “Eugenio di Savoia” / Generale
di Divisione Comandante Cesare Lomaglio al Maggiore Pesapane. Concessa una licenza
speciale di 3 giorni per recarsi a Castiglione dei Pepoli. Con marca da bollo del Regio
Esercito 1943 e timbro tondo del Comando Divisione Celere “Eugenio di Savoia”.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni dattiloscritte. Fronte e retro.
1914 – 1943
11) Castiglione de’ Pepoli, 27.12.1943
Referto medico ufficiale su carta intestata del dr. Luigi Tateo di Bologna che documenta
una ferita di arma da fuoco nella gamba sinistra di Pesapane, aggravata da una successiva
artrite lombare.
Nr. 1 lettera manoscritta.
1914 – 1943
1944
12) Padova, aprile 1944
Busta inviata da Autorimessa Super di Padova sita in Corso del Popolo 10 a Pesapane presso Hotel Plaza Milano contenente una fattura commerciale aperta. Timbro tondo postale
sul retro “Castiglione dei Pepoli 17.04.1944”.
Nr. 1 pezzo.
1944.1
13) Torino, 17.06.1944
60
UBALDO PESAPANE
Velina del capitano Vincenzo Parenti a Pesapane con richiesta di raccomandazione per
domanda di trasferimento dal 13. Deposito Misto di Milano al 1. Deposito Misto di Torino.
Nr. 1 lettera manoscritta (velina). Fronte e retro.
1944.1
14) Posta da campo 795, 05.07.1944 XXII
Lettera di licenza del 205. Comando Militare Regionale / Ufficio Segreteria / Gen. Col.
Capo di S. M. Aldo Senatore al Maggiore di S.M. Pesapane. Con bollo tondo del 205.
Comando Militare Regionale. Concessa una licenza di 5 giorni per recarsi a Seregno.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni dattiloscritte. Solo fronte.
1944.1
15) Milano, S. Vittore, senza data ma prossimo al 23.07.
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto con il sangue sulla pagina
finale, strappata, del Vangelo di S. Giovanni.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1944.2
16) Milano, S. Vittore, senza data ma prossimo al 23.07.
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto con il sangue su carta di
risulta.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1944.2
17) Milano, S. Vittore, 23.07.1944 (data ricostruita dal testo)
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto con il sangue su carta di
risulta.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1944.2
18) Milano, S. Vittore, 24.07.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto con il sangue.
Nr. 2 pezzi. Solo fronte.
1944.2
19 – 21) Milano, S. Vittore, 26.07.1944
Nr. 3 biglietti clandestini distinti scritti da Pesapane alla moglie nello stesso giorno 26
luglio. Scritti a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
61
UBALDO PESAPANE
22) Milano, S. Vittore, 27.07.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto a matita.
Nr. 2 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
23) Milano, S. Vittore, 28.07.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto a matita.
Nr. 2 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
24) Milano, S. Vittore, 29.07.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto a matita.
Nr. 2 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
25) Milano, S. Vittore, 31.07.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in tre pezzi. Scritto a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
26) Milano, S. Vittore, 01.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in tre pezzi. Scritto a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
27) Milano, S. Vittore, 02.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in tre pezzi. Scritto a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
28) Milano, S. Vittore, 03.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in tre pezzi. Scritto a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
29) Milano, S. Vittore, 04.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in tre pezzi. Scritto a matita.
Nr. 3 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
30) Milano, S. Vittore, 04.08.1944?
Biglietto postale ufficiale scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita. Sul lato anteriore del biglietto compaiono due francobolli da 25 cent di colore verde e il timbro postale
62
UBALDO PESAPANE
tondo “Milano ferrovia corr. 4 VIII”.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
31) Milano, S. Vittore, 05.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
32) Milano, S. Vittore, 07.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto a matita.
Nr. 2 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
33) Milano, S. Vittore, 08.08.1944 (senza data)
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
34) Milano, S. Vittore, 09.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
35) Milano, S. Vittore, 10.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
36) Milano, S. Vittore, 13.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie, in due pezzi. Scritto a matita.
Nr. 2 pezzi. Fronte e retro.
1944.2
37) Milano, S. Vittore, 15.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1944.2
38) Milano, S. Vittore, 16.08.1944
Biglietto clandestino scritto da Pesapane alla moglie. Scritto a matita. Annuncia la chiamata “per partire, credo per andare in un campo di concentramento. Non ho un’idea
dove”.
63
UBALDO PESAPANE
Nr. 1 biglietto. Fronte e retro.
1944.2
39) Bolzano, 20.08.1944
Lettera scritta ufficialmente da Pesapane dal Lager di Bolzano alla moglie. La lettera è su carta
non ufficiale del Lager; nel testo non compaiono segni grafici né timbri della censura postale
del Lager. Lettera e busta sono scritte con inchiostro color seppia. La busta, divisa in due
pezzi, non ha francobollo. Riporta due timbri: il timbro della censura postale del Lager di
Bolzano “Zensuriert” e il timbro tondo postale “Bolzano ferrovia 23.8.44”. Sul retro della
busta il timbro postale tondo “Milano arrivi distribuzione “2.9.44”.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1944.3
40) Bolzano, 28.08.1944
Lettera scritta clandestinamente da Pesapane dal Lager di Bolzano alla moglie. La lettera
è su carta non ufficiale del Lager; nel testo non compaiono segni grafici né timbri della
censura postale del Lager.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1944.3
41) Bolzano, fine agosto / inizi settembre 1944
Busta per lettera, divisa in due pezzi, di colore rosso, spedita da Pesapane alla moglie.
Ben conservato il retro della busta; riporta il mittente “Pesapane Ubaldo N. 3222 Block A
Polizeiliches Durchgangslager Bolzano” e due bolli segnatassa da L. 50, con timbro tondo
postale “Milano 11.9.44”. Della fronte della busta è conservata solo la metà sinistra; visibile un timbro postale “T”.
Nr. 2 pezzi manoscritti. Fronte e retro.
1944.3
42) Flossenbürg, 05.11.1944
Lettera con busta scritta ufficialmente da Pesapane dal Lager di Flossenbürg alla moglie.
La lettera è su carta non intestata; in basso spicca il timbro di censura della posta del Lager “Zensiert”. La lettera è scritta in tedesco. Sul retro della lettera a matita è stata manoscritta la traduzione del testo, probabilmente per volere della moglie. Lettera e busta sono
scritte con inchiostro blu. La busta è essa pure censurata con 5 diversi timbri e segni di
censura. La busta è munita di francobollo con l’effigie di Hitler, di colore blu e del valore
di 25 (pfennig). Sul lato anteriore della busta compaiono due timbri postali uguali “Flossenbürg Floss 10.11.44”. Sul lato posteriore sotto il mittente, accanto al quale compare la
cifra 13 a, si vede il timbro postale di arrivo, di cui si legge solo “Milano 28.11.44”.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Solo fronte.
1944.4
NB: della lettera fronte e retro, della traduzione e della busta sono accluse nr. 5 stampe
fotografiche.
64
UBALDO PESAPANE
43) Seregno, 03.12.1944
Lettera con busta spedita da Tilde Pesapane al marito Ubaldo a Flossenbürg. L’indirizzo che compare sulla busta è “Schutzhäftling Pesapane Ubaldo N. 21738 Block Nr. 17
Konzentrationslager Flossenbürg bei Weiden (Bayrische Oberpflaz) Germania”. Tilde ha
tracciato vicino all’indirizzo la cifra “13a”. Sulla busta compaiono 3 timbri postali tondi
“Seregno 04.12.1944” e 5 diversi timbri e scritte di visto e censura. La lettera scritta da
Tilde non presenta segni di censura. I francobolli non si sono conservati.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1944.4
1945
44) Flossenbürg, gennaio 1945?
Cartolina postale ufficiale del Lager di Flossenbürg, spedita da Pesapane alla moglie. La
cartolina è scritta in tedesco. E’ munita di francobollo con l’effigie di Hitler, di colore
rosso e del valore di 12 (pfennig). L’indirizzo e il testo sono scritti a matita. Sulla cartolina non compaiono segni di censura né timbri postali. Sul retro si intravede con difficoltà
la data, forse gennaio 1945.
Nr. 1 biglietto postale ufficiale del Lager di Flossenbürg.
1945.1
45) senza data
Doppio indirizzo del dr. Miano compagno di deportazione di Pesapane, manoscritto su un
tagliandino di recupero predisposto per la visita dentistica di soldati SS; il tagliandino
era probabilmente a disposizione nella Schreibstube di Flossenbürg.
Nr. 1 pezzo manoscritto.
1945.1
46) senza data
Indirizzi di cinque compagni di deportazione di Pesapane, manoscritti su una scheda tagliata di recupero sul cui retro è stampato (Gross)“-Rosen 3. Sep. 1942”; la scheda era
probabilmente a disposizione nella Schreibstube di Flossenbürg.
Nr. 1 pezzo manoscritto.
1945.1
47) Stamsried, 23.04.1945
Dichiarazione con 5 firme autografe della presenza di Pesapane nel Lager di Flossenbürg
con il numero di matricola 21.738 e del suo comportamento dignitoso. Redatto a Stamsried nel giorno della liberazione. Seguono le firme di: Generale Cantaluppi dr. Gaetano,
Commissario Agg. di P.S. Miano dr. Domenico, Tenente Cantaluppi Gianni, S. Tenente
Mantica Carlo, V. Brigadiere di P.S. Muraca Giovanni.
Nr. 1 pezzo dattiloscritto. Solo fronte.
1945.2
65
UBALDO PESAPANE
48) Seregno (Milano), 23.05.1945
Relazione sugli avvenimenti dopo l’8 settembre 1943 presso la 1. Divisione Celere “Eugenio di Savoia”. A firma di Pesapane, Maggiore in s.S.M. già Capo di S.M. della Divisione.
Nr. 9 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.3
49) Allegato 1 prot. 669/S/1 alla relazione del 23.05.1945
Gradischie, 13.09.1943.
Ordine di disciplina emesso come Allegato 1 dall’Ufficio del Vice Comandante presso il
Comando della 1. Divisione Celere “Eugenio di Savoia” all’indomani dei fatti dell’8 settembre 1943 nella zona di Fiume / Sussak. A firma del Generale di Brigata Vice Comandante G. Lombard e dal P.C.C. Maggiore in s.S.M. Capo di S.M. U. Pesapane.
Nr. 2 pagine dattiloscritte. Solo fronte.
1945.3
50) Allegato 2 alla relazione del 23.05.1945
Elenco dei militari che effettuarono la marcia verso l’Italia dal giorno 14 al giorno 18
settembre (1943).
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Solo fronte.
1945.3
51) Allegato 3 alla relazione del 23.05.1945
Palmanova, 01.09.1943.
Lettera di Gino Ricciardelli al signor Lombard.
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Fronte e retro.
1945.3
52) Seregno (Milano), 26.05.1945
Dichiarazione di Pesapane di aver avuto quale compagno di deportazione politica a Flossenbürg Re Giovanni.
Nr. 1 foglio. Solo fronte.
1945.5
53) Seregno, 02.06.1945: luogo e data di arrivo
Busta lacera indirizzata alla famiglia Pesapane via Maroncelli 1 Seregno (Milano) emessa
dalla Croce Rossa Italiana / Ufficio Prigionieri, Ricerche e Servizi Connessi / Roma via
Puglie 6 / Uff. Germania. La busta in origine recava l’intestazione del Ministero dell’Interno / Ufficio Centrale Notizie per le famiglie dei Militari alle Armi / Comando / Posta
militare; tutta questa intestazione è stata cancellata da strisce rosse e sovrascritta dall’indirizzo della Croce Rossa, pure in inchiostro rosso.
Con timbro tondo postale sul fronte “Milano ferrovia 18-19.VI”.
Sul retro a mo’ di chiudilettera il timbro tondo rosso “C.R.I. Ufficio Prigionieri di Guerra”
66
UBALDO PESAPANE
e il timbro tondo postale “Seregno Milano 2.6.45”
Nr. 1 pezzo dattiloscritto.
1945.3
54) 05.06.1945
Promemoria per il Magg. Pesapane, anonimo, in 3 punti circa la figura e l’operato del
generale Solinas durante il 1944.
Nr. 2 fogli manoscritti. Solo fronte.
1945.8
55) Milano, 08.06.1945
Lettera prot. 1840 del ten. Comm. Roberto Anselmi Capo dell’Ufficio Prigionieri, Ricerche e Servizi connessi / Croce Rossa Italiana / Segretariato Internazionale Informazioni
Private a Pesapane per il ritiro di un verbale.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1945.5
56) Seregno (Milano), 12.06.1945
Promemoria per il Ten. Comm. Roberto Anselmi Capo dell’Ufficio Prigionieri, Ricerche
e Servizi connessi della Croce Rossa Italiana / Segretariato Internazionale Informazioni
Private. Oggetto: Registri matricola del Campo d’internamento di eliminazione di Flossenbürg bei Weiden (Bayrische Oberpfalz).
Nr. 4 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
57) 15.06.1945
Formulario di dati riflettenti la posizione personale, del Ministero della Guerra / Commissione censimento di Distretto Militare Milano. Alcuni punti sono integrati da sovrascritte dattilografate. A firma del Maggiore Pesapane.
Nr. 2 pagine prestampate e integrate a dattiloscritto. Fronte e retro.
1945.7
58) Verona, 27.06.1945
Minuta della dichiarazione di cui al nr. 59, in parte dattiloscritta e con aggiunte a mano.
A firma del Generale di Divisione Gaetano Cantaluppi.
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Fronte e retro.
1945.8
59) Verona, 28.06.1945
Dichiarazione a firma del Generale di Divisione Gaetano Cantaluppi circa la propria responsabilità dell’azione di Pesapane che dal giorno 04.01.1944 entrò a far parte dell’esercito della Repubblica Sociale ma a favore della resistenza al nazifascismo con una serie
di compiti da svolgere.
67
UBALDO PESAPANE
Questa dichiarazione sostituisce la precedente consegnata a Pesapane all’inizio del suo
servizio clandestino e distrutta da Pesapane il giorno precedente il suo arresto.
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Solo fronte.
1945.8
60) (Fotocopia) Luglio 1945
Elenco nominativo dei deportati “politici”, detenuti nel campo di concentramento ed “eliminazione” di Flossenbürg bei Weiden, deceduti nel campo stesso o in quelli dipendenti
da Flossenbürg nel periodo settembre 1944 – 19 aprile 1945 (947 nomi). A firma maggiore
Pesapane.
L’elenco in originale è stato donato nel 2003 al CDEC di Milano dalla Famiglia Pesapane.
Presente una lettera di ringraziamento del CDEC di data 11.10.2003.
Nr. 21 pagine numerate, fotocopie dell’originale.
1945.5
61) Milano, 01.07.1945
Scheda di assistenza ricevuta dal prigioniero di guerra Pesapane, emessa dal Comitato
Nazionale Reduci dalla Prigionia / Comitato Provinciale Milanese via Bagutta 12 Milano.
Con timbro tondo del Comitato Milanese Reduci dalla Prigionia / Comitato Comunale di
Seregno.
Nr. 1 scheda prestampata con integrazioni manoscritte. Fronte e retro.
1945.2
62) Seregno (Milano), 05.07.1945
Dichiarazione di Pesapane di avere registrato la morte del compagno di deportazione
Aglieri Angelo nato a Monza.
Nr. 1 velina. Solo fronte.
1945.5
63) Seregno (Milano), 12.07.1945
Dichiarazione di Pesapane su Carlo Canziani, suo autista al Comando Regionale della
Lombardia durante il periodo della Repubblica Sociale.
Nr. 2 veline dattiloscritte. Solo fronte.
1945.8
64) Milano, 16.07.1945
Foglio di licenza per ufficiali del Distretto Militare di Milano / Commissione Reduci
dall’Internamento dal Colonnello Comandante del Distretto Ercole Calvi al Maggiore in
S.P.E. Fant. Bersag.ri Pesapane. Concessa una licenza di rimpatrio con assegni di 60
giorni da trascorrere a Milano. Con bollo tondo del Distretto Militare Milano 23 / Ufficio
Comando.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni manoscritte. Solo fronte.
1945.7
68
UBALDO PESAPANE
65) Seregno (Milano), 23.07.1945
Dichiarazione di Pesapane di aver avuto quale compagno di deportazione politica a Flossenbürg Rovescala Giuseppe nato a Como.
Nr. 1 velina. Solo fronte.
1945.5
66) (prob. 1945)
Dichiarazione senza data di Pesapane di aver avuto quale compagno di deportazione a
Flossenbürg Colombo Israele Alfonso Ferdinando nato a Fossano.
Nr. 1 foglio ripiegato in due. Fronte e retro.
1945.5
67) Seregno (Milano), 23.07.1945
Dichiarazione di Pesapane di aver avuto quale compagno di deportazione politica a Flossenbürg Roncoroni Ettore nato a Como.
Nr. 1 velina. Solo fronte.
1945.5
68) Roma, 04.08.1945
Rapporto da parte del Capitano Enrico Luling Buschetti rimasto quale prigioniero di
guerra per due anni nei campi di concentramento in Germania.
Copia.
Nr. 2 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
69) Milano, 04.08.1945
Invito di presentazione prot. 180 del Colonnello Segretario Giustino Freda della 7. Sottocommissione per l’Esame degli Ufficiali di grado inferiore a Colonnello a Pesapane per
presentarsi il giorno 08.08.45. Con timbro tondo della 7. Sottocommissione per l’Esame
Ufficiali Inferiori a Colonnello.
Nr. 1 velina. Solo fronte.
1945.7
70) Seregno (Milano), 16.08.1945
Promemoria per il Maggiore Argenton del Comando Generale Volontari della Libertà
Milano via Albania 36. Oggetto: Ufficiali deceduti nel campo di concentramento di Flossenbürg bei Weiden (Bayrische Oberpfalz).
Nr. 4 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
71) Seregno (Milano), 18.08.1945
Lettera al Comando dei Carabinieri di Seregno. Oggetto: Maresciallo dei carabinieri
Lunetta Giuseppe.
69
UBALDO PESAPANE
Nr. 2 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
72) Seregno (Milano), 19.08.1945
Dichiarazione di Pesapane di aver avuto quale compagno di deportazione politica a Flossenbürg Bancora Aurelio nato a Guanzate.
Nr. 1 velina. Solo fronte.
1945.5
73) Lido, 26.08.1945
Lettera privata con busta del Generale Candido Armellini a Pesapane, in cui Armellini
ricostruisce la sua vicenda di deportazione, di liberazione e di ritorno a casa.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1945.4
74) Seregno (Milano), 04.09.1945
Promemoria per il Maggiore Argenton del Comando Generale Volontari della Libertà Milano via Albania 36. Oggetto: Ufficiali deceduti nel campo di concentramento di Flossenbürg bei Weiden (Bayrische Oberpfalz). Con timbro tondo del Comando Generale per
l’Italia Occupata / Corpo Volontari della Libertà.
Si tratta di un’integrazione di nomi al promemoria di data 16.08.1945.
Nr. 2 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
75) Copia dattiloscritta del precedente promemoria del 04.09.1945.
Nr. 2 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
76 – 79 ) Corrispondenza con Attilio Baratti, settembre 1945 – marzo 1946
76) Mortara, 04.09.1945, 77) Mortara, 28.01.1946, 78) Mortara, 09.02.1946, 79) busta
vuota spedita da Mortara il 13.03.1946.
Corrispondenza inviata da Attilio Baratti a Pesapane, per avere notizie sulla figura di
Teresio Olivelli e sulla vita nel Lager di Flossenbürg. Baratti ha inviato a Pesapane l’articolo su Olivelli da “Libertà” del 16.01.1946. Pesapane ha incontrato Arlenghi a Pavia
nel Collegio Ghislieri il 27.01.1946, probabilmente per una cerimonia in onore di Teresio
Olivelli.
Nr. 3 lettere dattiloscritte solo fronte con nr. 3 buste.
1945.6
80 – 81) Corrispondenza con Santo Arlenghi, settembre 1945
80) Vigevano, 11.09.1945, 81) Vigevano, 25.09.1945
Corrispondenza inviata da Santo Arlenghi a Pesapane, in cui Arlenghi invia a Pesapane
elenchi di deportati a Flossenbürg; Arlenghi è stato deportato a Flossenbürg e dopo la li-
70
UBALDO PESAPANE
berazione era capogruppo dei politici liberati. Gli elenchi sono: Elenco deportati politici
liberati dal campo di Flossenbürg il 23.4.45 (25 nomi); Elenco sbandati del campo di
Flossenbürg (9 nomi); Elenco dei deceduti nel campo di Flossenbürg (3 nomi); Elenco dei
militari italiani del campo VIII C Sagan A.KO 6059 inviati nel Lager di Gross Rosen (13
nomi); Elenco dei militari italiani del Campo 8. C Sagan A.KO 6067 inviati nel Lager di
Gross Rosen (16 nomi).
Nr. 8 pezzi con nr. 1 busta, di cui 3 manoscritti e 5 dattiloscritti. Solo fronte.
1945.4 / 1945.5
82) Rho, 08.09.1945
Lettera con busta della vedova Enrica Meloni; chiede la presenza a Rho di Pesapane per
la stesura dell’atto di morte del marito, morto in deportazione.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Solo fronte.
1945.5
83) Pavia, 13.09.1945
Lettera prot. 504 del Rettore del Collegio Ghislieri Aurelio Bernardi a Pesapane. Chiede
informazioni su Teresio Olivelli, morto nel campo di Hersbruck, e già direttore del Collegio Ghislieri. Su carta intestata Onoranze alla memoria del Dott. Teresio Olivelli.
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Fronte e retro.
1945.6
84) senza data, probabilmente in risposta alla precedente nr. 83.
Teresio Olivelli: relazione di Pesapane.
Nr. 7 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.6
85) Seregno (Milano), 14.09.1945
Promemoria per il Maggiore Argenton del Comando Generale Volontari della Libertà Milano via Albania 36. Oggetto: Ufficiali deceduti nel campo di concentramento di Flossenbürg bei Weiden. La terza pagina è la trascrizione dattiloscritta di un articolo dal Corriere d’Informazione del 13.09.1945 dal titolo “Nostalgie di un condannato. Liberato dopo
16 anni ne vuole scontare altri 14.” Le prime due pagine, fogli di recupero stampati “Ducati”, sono un’integrazione di nomi al promemoria di data 04.09.1945 e del precedente di
data 16.08.1945. Sul retro della pagina 1 Pesapane scrive a matita un testo riferito al fatto
che nei Lager erano stati deportati anche uomini condannati da tribunali militari e civili,
e anche a loro come ai politici onesti e incensurati era stato attribuito il triangolo rosso.
Nr. 3 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.5
86) Como, 19.09.1945
Lettera di Itala Rovescala vedova di Giuseppe con richiesta di atto notarile di morte del
marito.
71
UBALDO PESAPANE
Nr. 1 lettera manoscritta. Solo fronte.
1945.5
87) Roma, 20.09.1945
Lettera del maggiore Antonio Carlucci di Roma a Pesapane, con una richiesta di stesura
di promemoria.
Nr. 1 lettera dattiloscritta. Solo fronte.
1945.5
88) 20.09.1945
“Ritornano – Periodico d’informazioni di internati italiani”, anno I, n. 3, ritaglio dalla
prima pagina. Articolo “Discriminiamo gli ex internati politici e razziali” del Prof. Angelo Restelli direttore dell’ufficio informazioni del Centro Assistenza Reduci del Ministero
dell’Assistenza Postbellica / Ufficio staccato Alta Italia di Milano.
Nr. 1 pezzo.
1945.4
89) Seregno (Milano), 22.09.1945
Lettera al Tenente Colonnello di S.M. Vittorio Palumbo / Segreteria del Capo di S. M. del
R. Esercito Roma. Con allegato elenco in 7 punti delle attività di Pesapane dal 08.09.43
al luglio 1945.
Pesapane descrive la sua situazione critica e la sua delusione per le sue attuali condizioni
economiche.
Nr. 5 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.7
90) Milano, 23.09.1945
Curriculum vitae del maggiore in s.S.M. Pesapane. Firmato dal Maggiore Pesapane.
Nr. 3 pagine dattiloscritte numerate. Solo fronte.
1945.4
91) Seregno (Milano), 05.10.1945
Lettera alla 7. Commissione per l’Esame degli Ufficiali di grado inferiori a Colonnello
Milano via Albania 36. Oggetto: Maggiore Mattia Francesco.
Con allegata dichiarazione di Pesapane con precisazioni su Mattia Francesco durante il
periodo della Repubblica Sociale. La dichiarazione è senza data.
Nr. 3 pagine dattiloscritte. Solo fronte.
1945.7
92) Castiglione dei Pepoli, 06.10.1945
Lettera su carta intestata di Domenico Cassarini di Bologna a Pesapane per informazioni
sui furti subiti dalla sua proprietà a Castiglione.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
72
UBALDO PESAPANE
1945.4
93) Seregno, 08.10.1945
Cedola di versamento della quota di L. 30 di Pesapane all’Università Popolare di Seregno.
Nr. 1 cedolino prestampato con integrazioni manoscritte. Solo fronte.
1945.4
94) Verza, 15.10.1945
Lettera di Andrea Susana (?) a Pesapane per comunicare lo smarrimento di divise militari
e forse anche di altri effetti personali che Pesapane aveva lasciato alla famiglia Susana.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
1945.4
95) Bergamo, 24.10.1945
Due lettere listate a lutto in una busta pure listata a lutto da Ernestina Gasparini a Pesapane e alla moglie. Acclusa la memoria con foto di Vittorio Gasparini, fucilato in piazzale
Loreto a Milano il 10 agosto 1945.
Nr. 2 lettere manoscritte con nr. 1 busta. Fronte e retro.
Nr. 1 memoria di Vittorio Gasparini con piccola busta. Fronte e retro.
1945.4
96) Milano, 27.10.1945
Invito di presentazione del Capo Ufficio T. Col. Antonini P. del Distretto Militare di Milano I 23 / Ufficio Censimento a Pesapane per fornire dati.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1945.7
97) Seregno (Milano), novembre 1945
Dichiarazione di Pesapane di aver registrato la morte a Flossenbürg di Moretti Giuseppe
nato a Lodi, Meloni Giuseppe, Corona Piero nato a Tronzano Vercellese.
Nr. 1 velina. Solo fronte
1945.5
98 – 102) Corrispondenza con Gabriele Verri, settembre 1945 – luglio 1946
98) Bologna, 07.09.1945, 99) Bologna, 19.09.1945, 100) Noci, 07.10.1945, 101) Noci
(Bari), 24.11.1945, 102) Noci, 16.07.1946.
Corrispondenza privata inviata da Gabriele Verri a Pesapane, in cui Verri commenta le
vicende di Pesapane e la situazione degli ufficiali nell’esercito. Verri è un grande mutilato della battaglia di El Alamein in Egitto. Nell’ottobre 1945 è membro della direzione
centrale del Partito del Reduce Italiano in rappresentanza di Puglia e Campania, di cui
acclude il libretto con il programma.
Nr. 4 lettere, di cui 2 manoscritte e 2 dattiloscritte. Fronte e retro.
73
UBALDO PESAPANE
Nr. 1 biglietto postale (101)
1945.4
103) Roma, 01.08.1944 (allegato a Corrispondenza con Gabriele Verri, 1945)
Libretto del Partito del Reduce Italiano. La direzione del Partito ha sede in via Curtatone 6, la
Dir. Gen. è in via Merulana 248 a Roma. Programma del Partito, edito dal Comitato Promotore.
Nr. 1 libretto rilegato di 16 pagine. Fronte e retro.
1945.4
104 – 105) Corrispondenza con B. R. Grelli, novembre 1945
104) Umbertide 05.11.1945, 105) Umbertide, 16.11.1945.
Corrispondenza privata inviata da Grelli a Pesapane.
Nr. 1 lettera manoscritta. Fronte e retro.
Nr. 1 biglietto postale. Fronte e retro.
1945.4
106) Parma, 10.11.1945
Lettera con busta dell’ing. Torquato Rossini di Parma a Pesapane per avere informazioni sul
fratello Renato Rossini, tenente colonnello del Genio, deportato e morto nel Lager di Gröditz,
uno dei campi dipendenti dal Lager di Flossenbürg. La lettera è su carta intestata del R. Genio
Civile / Sezione Autonoma per il Po / Parma.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1945.5
107) Como, 15.11.1945
Santino con foto di Teresio Olivelli in divisa da alpino. Sul retro Preghiera per Teresio
Olivelli del Vescovo di Como Alessandro Macchi.
Nr. 1 pezzo. Fronte e retro.
1945.6
108) Milano, 16.11.1945
Invito di presentazione del Capo Ufficio T. Col. Antonini P. del Distretto Militare di Milano I (23) / Ufficio Censimento a Pesapane allo scadere della licenza.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1945.7
109 – 114) Corrispondenza con Dr. Domenico Miano, agosto – novembre 1945
109) Maderno sul Garda, 13.08.1945 con busta, 110) Maderno, 22.08.1945 con busta, 111)
Maderno, 14.09.1945 con busta, 112) Seregno (Milano), 25.11.1945, 113) Seregno (Milano), 25.11.1945, 114) Catania, 30.11.1945.
Corrispondenza con il dr. Domenico Miano o “Mimmo”, compagno di deportazione a Flossenbürg di Pesapane; interessamento di Pesapane in merito all’improvviso arresto di Miano. Compaiono i seguenti nomi: generale Cantaluppi, generale Armellini, Farina (compa-
74
UBALDO PESAPANE
gni di deportazione), Mantica, Muraca, Giorgini, Besana, Tamburini, Ancona.
Nr. 3 lettere dattiloscritte (109, 110, 111). Fronte e retro.
Nr. 1 lettera manoscritta (114). Fronte e retro.
Nr. 2 veline dattiloscritte (112, 113). Solo fronte.
1945.4
115) Milano, 29.11.1945
Lettera del Ministero Assistenza Postbellica / Ufficio staccato Alta Italia / Ufficio Informazioni Milano corso Italia 10 prot. 4551 a Pesapane per informazioni circa la pratica del
deportato Alaimo. Con timbro tondo del Ministero Assistenza Postbellica / Uff. staccato
Alta Italia / Centro Ass. Reduci Germania / Milano.
Nr. 1 pagina dattiloscritta. Solo fronte.
1945.5
116 – 118) Corrispondenza con “Mino” o “Nino”, novembre – dicembre 1945
116) Verona, 10.11.1945, 117) Verona, 30.11.1945, 118) Verona, 25.12.1945.
Tutte e tre le lettere sono manoscritte su carta intestata del Partito della Democrazia Cristiana / Comitato Provinciale di Verona in Stradone Scipione Maffei 2. Il mittente chiede
a Pesapane di seguire la stampa di un suo libro di memorie dal titolo “Flossenbürg. Campo di eliminazione per deportati politici” presso l’editore milanese Mondadori. Allegati
alla lettera del 10.11.1945 ci sono 4 ritagli di carta con nomi e indirizzi di editori, scritti
da Pesapane.
Nr. 3 lettere manoscritte. Fronte e retro.
Nr. 4 pezzi allegati manoscritti.
1945.4
119)
Terzo foglio di una relazione sul maggiore dei Carabinieri Dragone e sul maggiore dei
Carabinieri Onnis durante il periodo dell’occupazione nazifascista.
Non sono conservati i due fogli precedenti. Senza data.
Nr. 1 velina dattiloscritta in triplice copia. Solo fronte.
1945.8
120) Castiglione, 07.12.1945
Lettera confidenziale di “Mario” che chiede a Pesapane il rilascio di un documento per
il fratello Fiorenzo, che ha trascorso nascosto a Milano il periodo dell’occupazione tedesca.
Nr. 1 lettera manoscritta formata da 3 fogli piccoli. Fronte e retro.
1945.4
121) Seregno (Milano), 11.12.1945
Lettera di Pesapane al Reale Automobile Club Italiano di Bologna in cui comunica di
avere trovato la sua macchina distrutta al rientro dalla deportazione, pur affidata ad un
75
UBALDO PESAPANE
garage. Chiede quale pratica istruire per ottenerne il risarcimento per eventi di guerra.
Nr. 1 lettera dattiloscritta. Solo fronte.
1945.4
122) Milano, 11.12.1945
Lettera del Ministero Assistenza Postbellica / Ufficio Staccato Alta Italia / Ufficio Informazioni Milano Corso Italia 10 con cui il firmatario presenta al Sig. Federici il maggiore
Pesapane, che chiede il buono di assegnazione tessuti in quanto valido collaboratore del
servizio di informazioni.
Nr. 1 lettera dattiloscritta. Solo fronte.
1945.5
123 – 124) Corrispondenza con Emilio Faldella, ottobre – dicembre 1945
123) Pinerolo, 17.10.1945 con busta, 124) Pinerolo, 13.12.1945.
Il mittente informa Pesapane di fatti relativi al processo al generale Solinas.
Nr. 2 lettere dattiloscritte, di cui una con nr. 1 busta. Solo fronte.
1945.4
125) Milano, 12.12.1945
Lettera con busta di Armando Piscetta a Pesapane per avere informazioni sull’attività politica del signor Conte o Curion.
Nr. 1 lettera dattiloscritta con busta. Solo fronte.
1945.4
126) Gorizia, 14.12.1945
Lettera con busta di Francesco Tabai a Pesapane per avere informazioni sul colonnello
di artiglieria Francesco Nappa, suo suocero, deportato politico e morto verosimilmente a
Hersbruck, uno dei campi dipendenti del Lager di Flossenbürg.
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1945.5
127) Minuta manoscritta a matita senza data né destinatario. Fa il nome del generale Luigi
Amantea.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1945.7
1946
128 – 129) Corrispondenza con un amico abitante nel Comune di Scandeluzza in provincia
di Asti, non identificabile dalla firma.
128) Rinco, 03.01.1946, 129) Rinco, 22.01.1946.
Due lettere confidenziali con 1 busta. E’ acclusa una velina dattiloscritta con descrizione
della linea ferroviaria da Milano a Scandeluzza e Castell’Alfero.
Nr. 2 lettere dattiloscritte con nr. 1 busta. Solo fronte.
76
UBALDO PESAPANE
Nr. 1 velina dattiloscritta. Solo fronte.
1946.1
130) 16.01.1946
Ritaglio dal giornale “Libertà” con articolo a firma A.B. (Attilio Baratti) dal titolo “Patria – Umanità di Teresio Olivelli” pubblicato in occasione del 1. anniversario della morte
di Olivelli nel campo di Hersbruck. Riporta una frase di Pesapane su Olivelli.
Nr. 1 pezzo.
1946.1, 1945.6
131) 16.01.1946
Ritaglio di giornale non noto, forse del 16.01.1946. Articolo “Difendiamo il lavoro di
tutti – Lo ha già detto a Togliatti e Scoccimarro” di V.Z.
Nr. 1 pezzo.
1946.1
132) 16.01.1946
Ritaglio di giornale non noto, forse del 16.01.1946. Articolo “Discorso ai francesi” di
Carlo Sforza
Nr. 1 pezzo.
1946.1
133) 16.01.1946
Ritaglio di giornale non noto, forse del 16.01.1946. Articolo “La sirena comunista” di
Corrado Barbagallo.
Nr. 1 pezzo.
1946.1
134 – 135) Corrispondenza con Piero Zei, ottobre 1945 – gennaio 1946
134) Firenze, 18.10.1945 con busta, 135) Milano, 26.01.1946.
Il mittente informa Pesapane dei fatti relativi a denaro che Pesapane gli aveva dato in
consegna. Nel febbraio 1944 Zei era stato chiamato per chiarimenti dall’Ufficio Presidio
del Comando Repubblicano. Si trattava di denaro da distribuire agli ufficiali fedeli a
Pesapane quale Capo di S.M. della divisione, sembra, nei giorni intorno all’8 settembre
1943.
Nr. 2 lettere manoscritte con buste; la prima composta di 3 fogli, la seconda composta di
1 foglio. Fronte e retro.
1946.1
136) 05.02.1946
Progetto Ufficio Centrale Personale, con busta a mano: lettera di raccomandazione siglata “sig. DG” ma non firmata per l’assunzione di Pesapane presso la ditta “Ducati Società
Scientifica Radio Brevetti Ducati” di Bologna, dove già era impiegato il fratello Sergio.
77
UBALDO PESAPANE
Sulla busta a mano è dattiloscritto il nome di Pesapane Sergio.
Nr. 2 fogli dattiloscritti numerati. Solo fronte.
1946.1
137) Desio, 11.03.1946
Ordine di comparizione della Pretura di Desio (Milano) per Pesapane il giorno 13.03.1946.
Sul retro si certifica che Pesapane il giorno 12.03.1946 era ammalato di appendicite acuta.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni manoscritte. Fronte e retro.
1946.2
138) Torino, 12.03.1946
Lettera confidenziale con busta del Capo di Stato Maggiore della Divisione di Fanteria
“Cremona” Ignazio Sciotta (?).
Nr. 1 lettera manoscritta con busta. Fronte e retro.
1946.1
139) Milano, 24.05.1946
Lettera di licenza dell’Ospedale Militare Milano / Commissione Medica Ospedaliera dal
Ten. Col. Med. Direttore Alfredo Calmieri al Maggiore S.P.E. Pesapane. Concessa una
licenza di convalescenza di 60 giorni per psiconevrosi reattiva grave (da sevizie e prigionia). Con bollo tondo dell’Ospedale Militare.
Nr. 1 foglio prestampato con integrazioni dattiloscritte. Solo fronte. Sul retro appunti a
matita di Pesapane.
1946.2
140) Seregno (Milano), 21.10.1946
Lettera al Ministero della Guerra / Commissione Esami Generali e Colonnelli Roma. Oggetto: Generale di brigata Guglielmo Barbò. Ricostruzione della figura di Barbò, compagno di deportazione di Pesapane.
Nr. 2 fogli con incipit dattiloscritto e poi manoscritti. Fronte e retro.
1946.1
141 – 150) Appunti e annotazione di indirizzi su ritagli di carta e veline, due buste vuote, due ricevute di versamento con vaglia postale effettuato da Pesapane (23.09.1945 e
26.09.1945). Difficile una datazione anche approssimativa. Vi compaiono i seguenti nomi:
maggiore De Nicola Amedeo, capitano Colarusso, Martucci Leone, Valis Mauro, Carneroli
o Carnevali Tullio, Marzelli Giuseppe, Denti Lidia, dott. Besana, Monti.
Nr. 10 pezzi.
1946.1
1947 – 1954
151) Milano, 14.06.1947
78
UBALDO PESAPANE
Attribuzione della qualifica di partigiano a Pesapane rilasciata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri / Commissione Riconoscimento Qualifiche Partigiani per la Lombardia, copia del prot. 30.483. Con timbro tondo Commissione Lombarda Riconoscimento
Partigiani / Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nr. 1 prestampato con integrazioni dattiloscritte. Solo fronte.
1947 – 1954
152) Milano, 12.05.1952
Concessione prot. 8404 firmata dal II Gen. di Div. Com.te Int. Ugo De Lorenzis dell’Esercito Italiano / Comandante Territoriale di Milano al Maggiore Ftr. Spe. Pesapane della
croce al merito di guerra. Con timbro tondo del Com. Militare Territoriale Milano III.
Allegata la croce in ferro “Merito di guerra” con nappina a strisce bianco-blu.
Nr. 1 foglio + 1 pezzo. Solo fronte.
1947 – 1954
153) Milano, 18.03.1954
Concessione prot. 1028 firmata dal Generale Comandante G. Mancinelli della Repubblica
Italiana / Esercito Italiano / Generale Comandante Militare Territoriale di Milano al Ten.
Colonnello Ftr. Ris. Pesapane la croce al merito di guerra in seguito ad attività partigiana
(2. concessione). Con timbro tondo del Comando Militare Territoriale Milano III.
Nr. 1 pezzo. Solo fronte.
1947 – 1954
154) Due fogli di appunti manoscritti, anonimi, su carta da telegramma con stemma coronato. La scrittura è di difficile lettura, non è la mano di Pesapane.
Si tratta di appunti relativi a Roma durante l’occupazione nazista. Sono citati: Ercoli, il
colonnello Cordero (di) Montezemolo, Fornaro, lo sbarco ad Anzio, il maggiore Pesapane, il Comando città aperta, il Col. Peppino, Boldrini, il S.I.D. Roma.
Sul retro del secondo foglio si legge la minuta di una lettera indirizzata ad un colonnello
non specificato.
Senza possibilità di datazione.
Nr. 2 fogli numerati manoscritti a matita. Fronte e retro.
79
Trascrizione integrale dei biglietti da San Vittore
1) Senza data (intorno al 23 luglio 1944)
Scritto con il sangue
Mia Tilde mio grande e unico amore, ti ho qui nel cuore che sorreggi in questi duri giorni. Non
mi hanno ancora interrogato: farò come tu dici. Non so di che cosa mi si incolpa. Non so a
cosa pensare: se venga da Castiglione, da Bisetti o da qualche parte nuova. E ora? Comunque
sono innocente. Spero di potermi difendere dalle accuse ingiuste, ho bisogno di uscire presto
di qua. Aldo che fa? Mi hanno abbandonato già tutti. Sono disperato. Non mi abbandonare tu.
Ti penso tanto. Sono stato condotto qui con inganno e la forza. Sono innocente. Aiutatemi.
Baciami tanto Giovanna e Paolo. Ho bisogno di pettinino e sapone e di aiuto. Pensami e prega
per me. Attenta a mandare qui roba: è pericoloso anche per te. Ti bacio tanto tuo sempre U.
2) Senza data (intorno al 23 luglio 1944)
Scritto con il sangue
Tilde amore mio. Sono tanto disperato perché la prigionia si prolunga: sono alla segregazione
cellulare. Impazzisco. Aldo e c. ti illudono e vogliono illudere me: di qua non si esce. Nessuno
sa cos’è questo luogo. Tutti i colleghi e gli amici mi hanno abbandonato. Sono un disgraziato e
sono innocente. Cosa ho fatto? E lo S. M. perché non mi ha protetto? E il mio comando? Sono
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UBALDO PESAPANE
solo con la mia disperazione. Mi sorregge il tuo pensiero e quello dei figli. Aiuto aiuto per
uscire presto di qua. Sono innocente. Brucia questo: non ti fidare di nessuno. Ti bacio tanto coi
bambini tuo sempre Ubaldo.
3) Senza data (prob. 23 luglio 1944)
Scritto con il sangue
Tilde mia. Oggi sono in condizioni morali pietose.
Ho paura che questi mi trasportino a Bologna. Senza il tuo appoggio morirò. Domanda ad Aldo e C.
se nel caso si può evitare. Oggi sono 13 g. che sono
in carcere, nessuno mi ha domandato niente. Ma
Aldo che fa? Mi hanno abbandonato tutti. Sono un
disgraziato. Perché non si adoperano tutti per liberarmi subito? Io impazzisco. Sono innocente. Chiedo aiuto in ginocchio, abbiate pietà di me. Non ho
più forza di reggere. Aiuto amore mio santo, fammi
liberare subito. Insisti presso tutti. Ti bacio tanto
coi bambini tuo sempre tuo Ubaldo.
4) 24 luglio (1944)
Scritto con il sangue
Tilde mia. Ho avuto le 3 cartine ma non ancora il
sapone e pettine. Fatti dire da Bruni cosa pensa
di Enzo. Le cartine mi sono state di molto conforto. Lo so amore che tu non mi lasci solo. Sono
gli amici che ormai mi hanno abbandonato. Ad
Aldo cosa hanno alle SS? Ma che ti dica il vero.
Oggi sono 14 g. che sono qui: nessuno mi interroga, Aldo e C. mi dimenticano ed io marcisco qui.
Amore mio sono disperato perché chissà quanto
tempo mi terranno qui. Per questo chiedo aiuto. E
col tempo io passo nei dimenticati. Voglio sapere se è stato Enzo. Domanda ad Aldo. Per sapermi e potermi regolare. Faranno la perquisizione
a casa. Non vorrei che con la scusa d’indagare
prendessero le macchine fotograf. Consegna, nel
caso, a Franca tutto il materiale fotograf. (tutto:
carta, album) Non è che ci sia qualche cosa: ma
con la scusa. Mandami sigarette, fiammiferi, la
punta di un lapis. Baciami i bambini. Prega per
me. Aiutami. Ti bacio tanto con tutto il mio grande amore. Tuo sempre U.
81
UBALDO PESAPANE
5) 26 luglio (1944 a)
Mia Tilde, amore mio santo. Ti ringrazio delle parole che mi hai mandato, sono parole sante
che io metterò in pratica. Compatisci il mio tremendo stato d’animo e quindi scusa i momenti
di abbattimento morale. Sono nell’isolamento più completo e quindi ho momenti di depressione
molto sensibili. Mi farò forza, te lo prometto. Attenta a girare per Milano con tutti questi bombardamenti ed allarmi. Sono ormai 16 giorni di carcere duro che ha scosso non poco le mie forze,
ma mi difenderò perché sono innocente. Tu pensami molto come faccio io. Mi domando chi può
avermi fatto tanto male. Non so: penso a Bisetti e per questo devi cercare una signorina che sta
all’Istituto di Previdenza Sociale in Piazza Missori. Si chiama Murana: sta in ufficio fino alle 15.
Le salvai il fratello, e lui per ricambiare mi avvertì di cosa si stava macchinando ai miei danni.
Cercala e dille dove sono e fatti raccontare tutto. Penso ad Enzo perché il suo comportamento è
stato strano. Bruni è di questo parere. Il numero di telefono di Enzo è 61820.
Sospetto che egli sia agente della polizia italiana al servizio delle SS e con lui la donna che è con
lui e si chiama Ferrée. Enzo il lunedì sera precedente all’arresto mi telefonò (per assicurarsi ch’io
ero a Milano) e poi ritelefonò il martedì mattina alle 8 quando avevo già la polizia in camera.
A lui ho detto le mie idee, raccontando anche qualche balla, allo scopo di guadagnare la loro
fiducia e questo per sapere se sono stati loro a trafugare i documenti dal mio ufficio e per cui era
stato arrestato Bisetti. Le balle che ho detto loro sono:
- che falsificavo già esoneri (cosa impossibile perché li concedono i tedeschi);
- che avevo fatto un atto di sabotaggio. (cosa impossibile perché non sono un delinquente) Come
vedi sono cose che si possono provare che non sono vere. D’altra parte penso che il primo ordine
di arresto è venuto da Bologna. Marmiroli ti può dire qualcosa. Prima di parlare con Enzo consigliati con Aldo ma non dire delle balle. Vedi se puoi vedere se sono stati loro. Ma non credo.
Allora resta Bisetti. La Murana ti dirà tutto. Attenta con Enzo: non ti fidare.
Verrà la perquisizione in casa: guarda bene nelle tasche di tutti i vestiti.
Ho avuto tutto, grazie amore mio. Oggi darò la biancheria sporca. Guarda la camicia.
Ti voglio tanto bene: quando ti sono lontano considero quanto sia grande il bene che ti voglio.
Sei il mio unico amore grande ed infinito. Grazie di tutto. Mandami sempre le sigarette. Baciami
i bambini e salutami tua mamma. Distruggi questi biglietti: se te li trovano con la perquisizione
sono guai. A te tutti i miei baci tuo sempre Ubaldo.
6) 26 luglio 1944 (b)
Tilde mia. Ho posto e scrivo ancora. Domani consegnerò tutto. La mia vita qui è molto grama.
Sono sempre chiuso nella cella: approfitto di chiedere visita medica per fare due passi. Speriamo
che questa segregazione duri poco perché certamente non mi fa bene. A proposito di Aldo e C.
quasi me lo sentivo che mi avevano abbandonato. Allora? Povera Tilde mia ce la farai da sola?
Chi sono le persone che ti aiuteranno? Penso ancora a Camuri, prova a telefonargli (70030 al
giornale “La Sera”). Chiedigli aiuto a mio nome. In questo momento quella persona mi ha portato una pesca. Poi mi ha dato dello zucchero. Oggi ho mangiato da signore. Mi ha dato pure otto
sigarette. Tu mandamele sempre. Penso che la mia libertà è basata solo sulla mia innocenza.
E posso provarla con tranquillità perché realmente lo sono.
Forse mi sbaglio di Enzo Fornaro. Comunque se indagherai in quella parte usa molta prudenza e
tatto, perché se realmente fossero quelli che penso o sospetto, una volta scoperti non mi farebbero
82
UBALDO PESAPANE
più uscire di qua.
E’ bene che parli con quella Murana: nel caso non fosse in ufficio bisognerebbe telefonare a
casa: il numero è 8500?? Oppure 850082. Non ricordo bene. Non la spaventare e dille che io
ho bisogno di lei. Sa molte cose, specie su Bisetti e sul Sott. Piscitello. Cos’è questo “qualcosa
che si attende”? Come vanno le cose della guerra? Da 16 giorni non so più niente.
Qui le guardie dicono che fra 15 giorni è finito tutto. Ma io voglio uscire prima. Ti prometto
che sarò tranquillo. Penso sempre a te e questo mi dà forza. Baciami Giovanna e Paolo. A te
tutto il mio amore. Tuo sempre tuo Ubaldo.
7) 26 luglio 1944 (c)
Tilde mia, mio unico amore eterno. Sono più sereno e tranquillo. E’ la tua grande fede che
mi dà questa forza. Ho visto ora quella persona e mi ha dato molto coraggio. Ho passato
giorni tremendi che non potrò mai più dimenticare. La prima luce me l’ha portata la prima
cartina, al 10. giorno di carcere.
Ma tu ancora non sai come mi hanno preso: sono venuti alle 7 in albergo; io ero nel bagno.
Hanno bussato dicendo “amici”. Prima di aprire ho domandato al portiere che mi ha detto
che erano della polizia. Io, sapendo che le perquisizioni dovevano aver luogo ho parto. Erano 1 italiano ed 1 tedesco. Mi hanno chiesto mille scuse (!!!) poi hanno frugato dappertutto.
Hanno tenuto da parte solo la licenza di 10 giorni che avevo ritirato la sera prima al Comando. Siccome mi stavo mettendo la divisa mi hanno pregato di mettermi in borghese. Ho
fatto difficoltà dicendo che dovevo andare a Bergamo allo S. M., ma l’italiano ha insistito,
consigliandomi con fare confidenziale, di non fare difficoltà, che sarebbe andato a tutto mio
vantaggio. Ed ho fatto come hanno voluto.
Non hanno permesso che telefonassi nemmeno ad Aldo. Sono andato con loro all’Albergo
Regina. Ho atteso quasi tre ore poi mi hanno chiesto (quello stesso che m’interrogò l’altra
volta): - perché non ero andato in Germania. Risposi che il trasferimento era stato sospeso
e che io non ne conoscevo i motivi. Dovevo andare appunto quella mattina a Bergamo per
conoscere la mia sorte;
- se la licenza l’avevo chiesta io oppure me l’avevano data al comando. Ho risposto che me
l’avevano data in attesa di conoscere la mia destinazione.Dopo ciò, ho atteso circa mezz’ora
poi è venuto fuori quel tizio di nuovo dicendo che c’era l’ordine di “fermarmi” per indagini.
La cosa sarebbe durata 2 / 3 giorni. Alla mia richiesta di parlare al Capitano Savecke, che
conduce la mia inchiesta (è 1 capitano delle SS) mi è stato risposto che era occupato.
Ho chiesto di parlare al mio comando per avvertire di questa faccenda (tanto più che il Gen.
Diamanti aveva dichiarato che se mi prendevano avrebbe risposto con la sua persona!! della
roba), mi fu detto che pensavano loro a tutto. Ho fatto resistenza: con modi eloquenti mi
consigliarono di stare tranquillo. E così sono qui! Anzi, penso che non m’interrogheranno
nemmeno. Quanto starò qui? C’è da perdere la testa! Ho capito che è Carlo che si occupa di
me – che manovra tutti quelli che può. Voglio uscire presto. Telefona al dott. Camieri (70030)
e amico del (parola non leggibile). E’ (parola non leggibile). Dire a tutti che sono una persona
onesta e innocente. Tu come stai? Pensami tanto e vogliami bene. Perdonali (??) se ti do questi dolori. Saluti a Carlo. Baci ai bambini. Saluta tua mamma. A te tutto il mio amore e tutti
i miei baci. Tuo sempre tuo Ubaldo.
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UBALDO PESAPANE
Milano Carcere di San Vittore 26 luglio 1944. “Ma tu ancora non sai
come mi hanno preso...”
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UBALDO PESAPANE
8) 27 luglio (1944)
Tilde mia adorata. Un altro giorno è passato senza che sia cambiata la mia penosa situazione.
Sono ora al 17. g. di carcere in un abbrutimento fisico che si ripercuote su quello morale.
La biancheria che ritirerai deve darti un’idea dell’ambiente in cui vivo da quasi tre settimane. Mi faccio forza, ma poi dopo un po’, vedendo che lo stato di cose continua, mi viene
immediatamente una depressione morale. E questa è tanto più forte quanto più mi convinco
che la pena che sconto è quanto mai ingiusta perché io sono innocente. Che grave peccato ho
commesso per meritare un così duro castigo? E mi convinco che devo essere stato incolpato
di una cosa ben grave per tenermi tanto in segregazione cellulare. E non ho commesso niente:
tu conosci la vita che ho condotto.
Mia Tilde, amore mio, ho paura, il mondo è cattivo e vogliono farmi del male. Tilde, sono ingiusto con te perché ti arreco tanti dolori: perdonami, a volte mi sento un debole. Poi, chiuso
qui dentro da sabato (perché con i continui allarmi non concedono quella mezz’ora d’aria),
mi sento impotente perfino a difendermi. Sarò ancora capace? Ma perché non m’interrogano?
E’ come uno stillicidio inesorabile che tende ad annullare la capacità di reazione di un uomo.
Cosa sarà di me? Proprio non so. Quanto tempo dovrò stare qui, non ne ho un’idea.
Ho pregato tanto, prego tanto e con fervore, ma a volte ho paura che la fede mi venga a mancare. Perché non mi viene concessa la grazia di uscire di qui? Io voglio uscire perché sono
innocente; non ho fatto niente di male. Per quale motivo mi hanno messo qui? Perché non me
lo dicono? Carlo mi aiuta? Non conosce nessuno alle SS? Può fare qualche cosa? Ed il mio
comando perché non può? Non può o non vuole? E lo S. M. che cosa ha fatto? Niente? Ed il
Ministero?
Pensare che io ho amici (o almeno li considero tali) dappertutto. Mi conoscono bene per una
persona dabbene ed allora perché non mi difendono? Perché non mi tolgono di qua; sono
queste le cose che non mi spiego. Dimmi la verità, ti hanno detto al mio comando che non c’è
niente da fare? Chi ti ha detto che sono accusato di politica antitedesca. Non credo.
Dimmi la verità al comando ed anche Aldo ti hanno trattato male? Voglio saperlo. Come farai
a fare in modo di farmi interrogare presto? E se non m’interrogano? Ieri quella persona mi ha
detto che andrò presto dove tu sai, ma le pressioni devono venire di fuori. Da chi?
Ed allora perché non si fanno pressioni per farmi uscire liquidando la mia faccenda? Carlo
può arrivare al Capitano Savecke delle SS che sta all’Albergo Regina e che conduce le indagini? Hai telefonato a Camuri? Digli che vada a Brescia dal generale Mischi.
Hai parlato con la Murana?
Ieri mi dicevi che tutti aspettano qualcosa per cui io riavrò la libertà. Ma io voglio uscire
prima, starei fresco. Ho letto stamattina, dopo 17 giorni il giornale di oggi. Attenzione con
Enzo. Ma forse non è lui: sarebbe troppo cattivo e non voglio credere. Bruni che dice? Aldo?
Silva come fa ad aiutarmi? Tilde mia scusa questa mia fissazione, ma se tu mi vedessi non
crederesti ai tuoi occhi: sono abbrutito, ho la barba di una settimana, il dente finto con la
corona d’oro non sta più a posto e l’ho in tasca.
Della mia roba ho solo, oltre ai soli indumenti di vestiario la cinghia dei pantaloni e la medaglietta di S. Valeria, tutti e due regali dei bambini e che ritengo mi portino fortuna! E’ stato un
errore dei carcerieri, ma mi fanno molto comodo. Ho fatto un voto a S. Valeria: quando ritornerò a Seregno andremo per tre mattine a farci la comunione al Santuario, io, te e Giovanna.
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UBALDO PESAPANE
Che dici Tilde? Sarà presto? Solo a questo pensiero mi vengono le lacrime agli occhi.
Mi viene in mente che un giorno al Comando feci un lungo discorso ad un signore, parente di Mussolini: non voleva mandare il figlio in Germania. Io lo convinsi con belle
parole. Il figlio non l’ha mandato lo stesso però mi disse: “Quando ha bisogno di me io
le sarò molto utile”.
Si chiama Ing. o dott. Testori. Aldo domandando al Gen. Diamanti che lo conosce personalmente ti può dare l’indirizzo. Ha un figlio studente in medicina. Vedi se mai su
l’elenco telefonico di Milano. Attenta agli imbroglioni. Vedi un po’ se può fare qualcosa.
Cosa vuoi mi attacco a tutto pur di uscire da questo inferno. Uscirò presto? Dammi una
speranza, anche piccola, ma concreta. Mi domandi se prego: tanto! Sarò esaudito? Tilde, amor mio santo fa di tutto per farmi liberare: non ti lascerò mai più sola, ma fammi
liberare dal carcere ché ingiusto perché sono innocente. Lo giuro a Dio: sono innocente.
Mi hanno detto che sono le 5, forse sarai a ritirare quelle due sigarette oppure sarai qui
vicino.
Tilde, amore mio, ti voglio tanto bene, tu sei il mio vero ed unico amore ed io devo uscire perché per quello che stai facendo ti devo onorare come una santa. Attenta a questi
allarmi a Milano. Baciami i bambini. A te tutto il mio amore.
Tuo sempre tuo Ubaldo
9) 28 luglio (1944)
Tilde mia, mio amore grande e santo. Le notizie di oggi circa le accuse che mi fanno
mi hanno portato molta tranquillità e calma. Sono solo chiacchiere e nulla più. Circa
la prima (politica antitedesca) bisognerebbe che tu mi facessi avere notizie più precise.
Bisognerebbe vedere bene la pratica mia. Sono comunque solo chiacchiere. La ragazza
che mi assillava si chiama Nella Pozzi, abita in Piazza Selinunte 1 (Telef. 42223). Non
ho mai capito cosa volesse da me. Mi era stata segnalata sospetta dal T. Col. Piccoli
(vecchio compagno del 6. bersagl.) che ora sta al distretto militare di Via Mascheroni. Va
a parlarci. Comunque avevo chiesto informazioni a Marmiroli il quale mi rassicurò.
Non ho mai capito cosa volesse la Pozzi da me: non mi sono mai sbilanciato con lei. Fu
quella che mi procurò da dormire in casa di una zia (Sig.ra Uccelli – Via C. Alberto 32,
galleria Motta). Ma con la Pozzi non ho mai fatto discorsi compromettenti, forse qualche
accenno dato che le feci ottenere l’esonero per il cugino Arnaldo Uccelli (esonero regolare). La sig.ina Lella Martinelli, via Piave 5 è invece impiegata all’Ufficio Leva (Via
del Vivaio) e la stavo aiutando per impiegarsi al Comando. Venne in albergo a cercarmi
quando venne la polizia ad arrestarmi e riuscii a darle il numero di telefono del Capitano
Vassallo affinché avvertisse il comando di cosa mi accadeva.
Non credo che sia questa la ragazza vista a S. Siro (il telefono è 260230). Deve essere
l’altra.
A questa ragazza presero le generalità ed era spaventata. Comunque con questa non ho
avuto occasione di fare discorsi balordi. Vedrai che sarà la Pozzi: sono stato ingenuo.
Comunque informati. Ma abbi tatto.
Circa la 2. accusa (relazione con ufficiale ribelle) è infondata. Speriamo che con queste
accuse vaghe non mi tengano qui molto tempo. Se la pratica dice solo questo andrebbe
86
UBALDO PESAPANE
bene. Ma è proprio così?
E quell’ordine di fermo da Bologna? È un’altra cosa allora.
Bisogna sincerarsene. È importante. Dammi ancora notizie
sulla pratica. Sei stata da Marmiroli? Quando devi andare
da Aldo chiamalo prima al telefono diretto 153851 e digli
che non ti faccia fare anticamera. Ti fai dare i mezzi per
andare a Seregno. Quando devi girare fatti dare il taxi. Va
a ritirare il mio stipendio: compera un bel regalo per Giovanna e Paolo (il 14 era il compleanno dell’una ed il 31
quello dell’altro).
Fa dire una messa a Santa Valeria. Se la pratica non dice
altro, la cosa di Enzo cade (mi ero montato la testa). Forse
anche Bisetti e Piscitello: ma questi credo che ne sanno
qualcosa. La Murana (che sa molte cose) che ti ha detto?
Guarda che questa ragazza mi deve molto e quando mi avvertì di cosa si tramava ai miei danni era sincera e disinteressata. Non la spaventare e dille che c’è assoluto bisogno
del suo aiuto. Bisogna venire a capo della faccenda: è necessario conoscere bene come si è istruita la pratica prima
che m’interroghino. Fatti dire il resto.
Oggi è la prima giornata che sono abbastanza tranquillo.
Ho sempre il magone che voglio uscire presto. Fammi interrogare presto. Quando andrò in infermeria? Non so ancora
niente. Qui è triste. Per dirti quanto è sporco devo dormire
vestito per il numero stragrande di cimici che ci sono. Il
loro puzzo è dappertutto. Ne avrò un sollievo morale notevole oltre che fisico e igienico. L’allarme continua. Non ho
un’idea di che ora sia. Quando sono arrivato qui mi hanno
fatto lasciare alla porta tutti e due gli orologi che avevo.
Ricordati di mandarmi sempre le sigarette. Dopo aver fumato sia pure colla paura ho sempre il morale più alto.
Mandami pure un’altra punta di lapis, questa sta per finire
e non voglio ricominciare a scrivere col sangue e la ruggine impastata con la saliva. Mi occorre un po’ di carta:
questa è quella del sapone e sta per finire. Tilde, amore
mio, l’unica consolazione in questo carcere è pensare a te
ed a Paolo e Giovanna.
Prima m’immaginavo di stare nel giardino della nostra casa su di una sedia a sdraio, con
te vicina che lavori e i bambini che giocano.
Che felicità e quanta pace. Ne potevo passare tanti di pomeriggi e giornate così ed invece me ne andavo a Milano a perdere tempo. Questa è la punizione! Ed è forte. Dimmi,
Tilde mia, potrò riavere questa felicità semplice e pura? Oppure sono irrimediabilmente
dannato? In questo momento è il cessato allarme: Dio sia lodato! Dove sarai tu in que-
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UBALDO PESAPANE
sto momento? Forse sei venuta qui a ritirare la roba sporca? Dove sarai tu mogliettina
adorata, santa?
Quanti dolori che io ti do! Sono uno sciagurato. Tu meriti specie nello stato particolare in
cui ti trovi, di calma e di serenità, ed io invece ti procuro angosce, dolori e preoccupazioni. Sono un disgraziato ed un incosciente. Perdono Tilde mia, perdonami: se ho mancato
sto pagando duramente. Pensa che sono 19 giorni che sono chiuso in una cella lurida e
degna di un delinquente, chiamato con un numero, interpellato col “tu” da tutti. Si, ho
forza, ma la resistenza ha un limite. Prega Silva in nome del suo bambino di aiutarmi
con quel suo amico: sono una persona onesta! E quegli incoscienti del comando mi hanno
abbandonato. Ma dimmi la verità, cosa ti hanno detto? Che non uscirò più di qua? Perché
si disinteressano? Me l’ha detto anche il medico. Gliel’hai detto tu?
Ed io che credevo di avere tanti amici: sono egoisti, tutti, nessuno escluso. Tilde mia,
riuscirò a liberarmi? Lo so che tu fai tutto, ma comprendimi. Attendo con ansia domani
per avere notizie. Voglio sperare che siano buone e che mi diano una buona speranza.
Ho mangiato anche stasera: un inserviente mi ha passato una porzione di riso asciutto,
avevo le due uova sode che hanno completato il pranzo. Le salsicce le ho mangiate una
ieri sera ed una oggi a ½ giorno. Tilde mia dove sarai tu? Saranno le 6? Non so. Ho fatto
ora un proponimento: quando ritornerò da te non ti lascerò più, dovrai stare sempre vicino
a me. E ricordati che il bene che ti voglio non te lo potrà avere per te nessuno perché il
mio è immenso. Baciami i bambini tanto tanto. A tua mamma cari saluti. A te, tutto me
stesso, per la vita ed oltre. Ti bacio tanto tanto tuo sempre tuo Ubaldo
10) 29 luglio (1944)
Tilde mia. Sono al 19. giorno di carcere, isolato. Sono tanto stanco. Oggi sono poi così
triste. Nemmeno oggi mi hanno interrogato: credo che pomeriggio facciano festa. Domani
è domenica e non se ne parla: quindi lunedì 31, ch’è poi il compleanno di Paolo. Fagli
tanti auguri. Come sono disgraziato.
Oggi sono stato alla visita medica, credevo che mi ricoverassero in infermeria. Niente:
anche per questo fatto se ne parlerà lunedì, se pure sarà. Quanto durerà questo tormento: è grande, Tilde mia, è tanto grande. A te dispiacerà il tono di queste righe, ma a chi
devo dire le mie sofferenze? A questa snervante solitudine che non lascia pace? Oggi c’è
molto nervosismo: le guardie tedesche fanno improvvise irruzioni nelle celle: non si può
dormire né fumare.
Ho nascosto quel poco che ho nel pagliericcio e, ogni tanto questo pezzo di carta va a
finire nella scarpa. Se trovano una cosa non in regola sono severe punizioni: pane e acqua
e tolgono il pagliericcio.
Ma perché devo subire queste sevizie? Cosa ho fatto di male? Amore mio santo prega
quell’amico di Silva di fare l’impossibile per far cessare questo tormento ch’è grande.
Che se può dica a quelli che m’interrogheranno che io sono una persona onesta e certamente sono vittima di una calunnia. Va a parlarci, pregalo, scongiuralo, digli che se
prende le mie difese non sbaglia perché io sono un galantuomo. Mia Tilde, amore mio,
sapessi quante lacrime amare ho versato in questa cella, quante preghiere, quante volte ti
ho chiamato, invocato, perché tu venissi in mio aiuto, tu che sei la sola che non mi potrai
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UBALDO PESAPANE
mai tradire. Mia Tilde, scongiura quel signore di aiutarmi. A volte, Tilde mia, ho paura
di dover stare sempre qui, ho paura che non mi metteranno più in libertà, che mi tengano
qui come ostaggio. Tilde, amore mio, salvami, dillo a quel signore ch’io sono innocente.
Se ha la facoltà di vedere la pratica, si vede che può ed allora che abbia pietà: non ci
perderà nulla, difenderà o aiuterà una onesta persona, vittima di una grande ingiustizia.
Dio gliene renderà merito. Tilde, amore mio, mio solo e grande amore perdona queste
parole di disperazione, perdona questo scoramento di oggi. Non ne posso più!
Stamane mi hanno dato mezz’ora di aria in un recinto angusto (era da sabato che non
avevo questa facilitazione) ho visto il campanile di una chiesa e sopra una croce: ho pregato tanto verso quella croce affinché mi sia concessa la grazie di uscire di qua presto.
Ma perché non debbo essere esaudito? Che grave colpa ho commesso? Suona l’allarme
speriamo che tu non sia a Milano, temo di sì. Riguardati, amore; sii prudente. Ho pregato
affinché non ti accada niente. Non si sente nulla, riprendo a scrivere.
Ti volevo anche raccomandare di stare attenta quando vai a ritirare le mie sigarette:
potrebbero seguirti. Molta prudenza e non ti fidare di nessuno. Hai visto Camuri? E la
Murana? Cosa ti ha detto Aldo? A proposito di individuazione di chi può avermi fatto del
male mi è venuto a mente alcune minacce che mi fece una ragazza due mesi fa. E’ una
storia un po’ (parola non leggibile) che ti racconterò quando uscirò.
Si chiama Spagna, non mi ricordo dove abita. Però la signorina Martinelli (260230) sa
dove abita. Questa Spagna che ora ha un amico facoltoso è una poco di buono: quindi
non voglio che tu le parli. Questa Spagna per telefono mi disse “che l’avrei pagata cara!”
Poi mi dissero d’averla vista a passeggio con ufficiali delle SS italiane o tedesche non
so! Che sia stata lei? Prova a domandarlo alla Martinelli affinché con tatti se ne informi. Ma forse mi monto la testa come l’affare di Enzo che ora come sembra non c’entra.
Sono molto preoccupato per te che so in giro per Milano con tutti questi allarmi che ci
sono. Oggi dovresti essere a casa: ora devono essere le 18, è già suonato il 5. allarme.
Sii prudente: ora che vedi che la mia faccenda si mette su una via possibile, devi venire
a Milano il meno ch’è possibile.
Ti ringrazio della roba: è essenziale, si mangia poco e male. Abbi molta prudenza perché
se ti seguissero finirebbe questo collegamento che per me è la vita.
Mia Tilde, ti penso tanto: comprendo e mi convinco sempre più che la più grande fortuna che ho avuto nella vita è stata quella di averti incontrata. Oggi tu per me sei la vita:
senza di te (ero tanto disperato!) forse mi sarei ucciso.
Tu sei il mio angelo protettore che mi salverà. Cosa dovrò io a te? Tutto. E te lo dimostrerò con i fatti. Abbiti riguardo: il bambino che dovrà nascere dovrà venire bello e
sano come lo sono Paolo e Giovanna. Abbiti riguardo ed attenta agli allarmi di Milano.
Sono sempre in pena quando ci sono gli allarmi e ti immagino a Milano. Mi raccomando
di avere fede.
Ne ho mia Tilde adorata, ne ho avuta anche nei giorni più brutti ed ho pregato tanto.
Prego ancora tanto affinché Dio mi faccia ritornare presto con te.
Ricordati che ti voglio tanto bene: ed il bene che ho voluto e voglio a te non l’ho mai
voluto a nessuno. La confidenza che ho in te non l’ho avuta nemmeno con mia madre.
Sergio? Dov’è? Franca? Mandami sempre le sigarette: è l’unico conforto che mi tiene
89
UBALDO PESAPANE
su il morale.
Mia Tilde adorata fammi interrogare presto e fai dire a quella gente che deve giudicarmi
che io sono una persona onesta e per bene. Baciami tanto Paolo e Giovanna. Salutami tua
mamma e gli altri.
A te, mia adorata, tutto il mio amore e la riconoscenza mia.
Tutti i baci e tutte le più dolci carezze. Tuo sempre tuo Ubaldo
11) 31 luglio (1944)
Tilde mia amore mio grande. Anche questa giornata interminabile sta per finire.
E’ il 21. giorno di carcere. Non mi hanno interrogato. Non so che ore saranno. E’ un poco
cessato l’allarme: ho tanto pregato per te che ti so a Milano. Credo che alle 7 ½ prenderai
il treno per il ritorno. Chissà forse a quest’ora sarai alla porta a ritirare la mia roba sporca. Pensa sei così vicina e dobbiamo stare separati.
Ho pensato molto oggi alla mia faccenda: dimmi, e se dopo l’interrogatorio non mi scarcerano? Che faccio io? Mi hanno detto che molti li tengono qui, credo come ostaggi, altri
li mandano ai campi di concentramento. Tilde ho tanta paura: se questi non mi danno poi
la libertà i impazzirò. Resisto e sono tranquillo ora perché mi sorregge la speranza che
dopo l’interrogatorio mi metteranno in libertà. Se non lo facessero che sarà di me?
In un tuo biglietto mi dici che l’amico di Silva può molto. Potrà farmi liberare?
Mia Tilde, tesoro mio, grande, dimmi la verità, che cosa ti hanno detto? E Carlo può
qualcosa in questo? Ho capito che il mio arresto è stata una cosa diversa dal primo fermo
venuto da Bologna. E’ una cosa di Milano. Chi sarà stato o stata mai quel malvagio che mi
ha fatto tanto male? E perché poi? Io sono innocente, ne sono convintissimo, ma a volte
mi prende tanta paura che di qui non mi lascino più uscire. Come si può fare? Certamente
al Comando sanno quali sono le intenzioni delle SS. A te non lo dicono. Forse se andasse
Carlo da Aldo, magari in albergo, quando uscirà la sera dall’ufficio. Cosa ne dici?
Oggi sono andato a farmi fare un’iniezione all’infermeria (me le ha ordinate il dottore:
sono ricostituenti). Mi hanno detto che per uscire di qui, una persona come me (ossia, un
ufficiale) ci vogliono forti aderenze alle SS dell’Albergo Regina. Quell’amico di Silva
basterà?
E se andassi a parlare tu col Capitano Savecke con la mamma di Edith e gli diceste di
quali sentimenti sono io e che sono certamente vittima delle macchinazioni di gente che
mi vuole male. E nemici ne devo avere perché io al comando ero quello che ordinavo gli
avviamenti in Germania. Molte volte ho avuto telefonate anonime di minaccia: una volta
mi dissero che io ero un negriero e che mi avrebbero ben dato una buona volta una lezione. Potrebbe essere questa? Io queste cose le dirò all’interrogatorio se me le lasceranno
dire. Io fido molto sull’amico di Silva che è nell’ambiente e tante volte vale più quello
che un pezzo grosso. Anche Carlo potrebbe, con le conoscenze che ha. Non ti pare? Ma a
queste cose, mia Tilde, tu sei tanto intelligente, avrai pensato anche tu. Non è così?
Puoi dire o far dire a quei signori ch’io ero tanto entusiasta che avevo brigato per andare a
fare il Capo di S.M. di una divisione in Germania e che ero riuscito ad andare come capo
alla divisione S. Marco e che quando venne l’ordine di sospendere il mio movimento ero
rimasto… molto avvilito. Mi dici che “tutti mi hanno ingannato”. Ma allora al comando
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UBALDO PESAPANE
sapevano che mi avrebbero arrestato o che per lo meno ero sorvegliato? Dimmi la verità.
Mia Tilde sui muri della mia cella ci sono molte iscrizioni. Due mi hanno molto colpito
e sono: - “La tua prigionia è dovuta alla tua leggerezza-” – “Ricordati che nel mondo ci
sono dei mascalzoni.” Sembrano scritte per me. Si vede che è uno che mi ha preceduto
e che presso a poco aveva le stesse mie colpe. Mia Tilde, amore mio santo, dammi una
speranza concreta.
Dimmi la verità: c’è speranza che dopo l’interrogatorio io esca e possa ritornare a casa?
Quell’amico di Silva può aiutarmi? Oggi, dopo 9 giorni sono venuti a farmi la barba.
Sembravo un delinquente: ora ho l’aspetto più civile. Sarei pronto per affrontare l’interrogatorio. Mi hanno detto che fra gli inquisitori che interrogano c’è un certo dott. Hugo.
Lo conosce l’amico di Silva? Ha pensato di mettere una buona parola con chi mi dovrà
interrogare? E dopo?
Come vedi, amore mio, è un chiodo: uscire di qui. Tu mi dirai che è lo stesso il tuo. Lo
so: Tilde tu non sai che razza di vita è questa, piena di angherie, di spaventi, di minacce.
Sporcizia dappertutto. Oggi dopo essere rientrato dall’ambulatorio ho sentito il tanfo
che c’è nella mia. E’ una cosa ributtante. Pensare che in questa cella io ci sto sempre.
Questo puzzo lo devo avere ormai nella pelle. Io mi lavo continuamente. Ma è tutto
inutile. Tilde, amore mio santo, come sono triste: ho tanto bisogno di tenerezza di una
parola buona, di una carezza.
Tutta questa bruttura che mi circonda mi avvilisce, mi dà una continua morsa al cuore.
Ho come un nodo alla gola in permanenza. C’è un altro allarme. Mia Tilde dove sarai tu.
Sarai vicino ad un rifugio? Riguardati, mia Tilde, ed abbi prudenza per carità. Pensare
che quando io ero fuori a Milano non c’era mai un allarme. Proprio ora che io sono chiuso in una cella e tu sei sempre in giro. Ma Iddio sarà tanto misericordioso da preservarci
da ogni altro male.
Mia Tilde, so che mi pensi tanto. A volte sento una grande tranquillità scendermi nel
cuore. Devi essere tu amore santo che mi pensi tanto. Quanto tempo ci separerà ancora?
Io voglio dire che si tratta di giorni. Sarà così? Me lo puoi confermare tu? Ricordati di
mandar un’altra punta di lapis. Questa va bene, ma sta per finire. Avevo smesso di scrivere per pregare affinché non ti succedesse niente. Ora è cessato l’allarme dov’eri? Ci
sono le guardie tedesche che girano continuamente: è uno stillicidio continuo.
Poveri miei nervi. Quando uscirò di qua, anche se volessi, non potrei proprio riprendere a lavorare. E pensare che ero così stupido che per il lavoro ho trascurato anche la
famiglia: risultato = la galera, e che galera, la segregazione cellulare ch’è la più brutta
galera. Un altro dubbio: il mio caso deve essere unico, ossia, un ufficiale in servizio
arrestato. Questo fatto avrà provocato lettere di chiarimento, accordi, intese, intervento
dello S. M., del Ministero, rifiuto delle SS ecc. ecc. Ora, anche se non trovano niente
a mio carico, non vorrei che questi mi tenessero per puntiglio, oppure trovare il pelo
nell’uovo e tenermi per dimostrare che avevano ragione? E’ necessaria una spinta forte? Può l’amico di Silva? Carlo? Ti tormento è vero mia Tilde, mogliettina adorata, ma
considera il mio stato morale, fisico, spirituale e compatiscimi. Oggi ho capito un’altra
cosa, ossia, se prima non m’interrogano togliendomi dall’isolamento in infermeria questi non mi lasciano andare.
91
UBALDO PESAPANE
Domani chiederò ancora visita: oggi c’era l’allarme e quando c’è l’allarme non si esce di
cella. Ricordati il lapis, i fiammiferi. Grazie del mangiare: è la manna. Auguri a Paolo.
Baciami tanto i bambini. Salutami tua mamma. A te, tesoro mio tutti i miei baci, il mio
desiderio, e tutto me stesso. Tuo sempre tuo Ubaldo
12) 1 agosto 1944
Oggi non sono stato interrogato, spero domani.
Mia Tilde. Sono al 22. g. di carcere. Voglio sperare di non doverne contare molti perché
c’è da impazzire. Da qualche giorno c’è molto rigore e per niente fioccano punizioni. Le
guardie italiane ora a me mi trattano bene, dato che ora sono un “anziano” (in genere in
questo reparto si sta una settimana) Io sono all’inizio della 4. settimana.
Ero tanto giù di morale e vedevo tutto nero ma la tua voce col pacco mi ha rasserenato.
Penso sempre a quello che ti ho detto ieri: che va a finire che per puntiglio questi non
mi lasciano più andare. Pensa mia Tilde, adorata che mi sorregge una sola cosa, quella
di uscire presto di qua. Se ciò non avverrà io non reggo: è troppo duro e troppo ingiusto.
Che ho fatto per scontare questa pena? E più ci penso, più me ne rammarico e non mi
rassegno.
Mia Tilde non m’illudere mai, dimmi la verità, non mi nascondere niente, dimmi com’è
esattamente la mia posizione. Oggi devi essere stata dal Capitano Savecke: come ti ha
trattata?
La mamma di Edith ha messo una buona parola come tedesca? Ma quello che devi interessarti è di mettere le cose in modo che una volta risultate nulle le accuse questa gente mi
metta in libertà. A questo non so chi sia più efficace se l’amico di Silva o Carlo o qualche
altra persona. Il fatto è di sfatare la chiacchiera che c’è sul mio conto: che sono una persona onesta e retta e che ho sempre lavorato con fede. Dire che sono vittima di calunnia
di gente che ha voluto od ha cercato di rovinarmi. Questa è poi la santa verità.
Ma bisogna insistere, insistere e farglielo entrare nella testa a quella gente. (Ho bisogno
di un lapis. Sto facendo sforzi per scrivere con quello che mi è rimasto) Come ti ripeto,
oggi ero molto depresso perché mi ero messo in testa che per me ormai bisogna aspettare
la fine della guerra per riavere la libertà: le accuse sono vaghe, difficili ad appurarsi,
poi sono un ufficiale di S. M. che con chiacchiere, sia pure non controllate, è di dubbi
sentimenti politici, quindi è meglio tenerlo dentro come ostaggio. Il fatto che il mio
Comando non se ne interessa può dare da pensare due cose: - o che dallo S. M. è venuto
l’ordine di disinteressarsi di me lasciandomi in balia di questi (può essere fifa o qualcosa
di simile); - o che per paura di compromettersi i miei cosiddetti amici, mi abbandonino
al mio destino.
Può darsi che le SS abbiano detto di lasciarle in pace a fare l’inchiesta e che loro per tema
di aggravare la mia posizione lascino la cosa in un apparente disinteresse. Non so cosa
pensare. Certo è che in questa cella, a volte a furia di pensare e di almanaccare congetture
su congetture, sono preso da veri attimi di panico, di depressione, di avvilimento. Com’è
triste, mia Tilde, la mia vicenda. Almeno, per Bacco, la soddisfazione di aver fatto qualcosa per meritarsi tanto danno. No, innocente ed imprigionato in segregazione cellulare
e da 22 giorni. E chissà quanti ne dovranno passare.
92
UBALDO PESAPANE
Mia Tilde, amore mio grande, quanti dolori che io ti do, quante preoccupazioni. Pensare che nel tuo stato particolare dovresti stare tranquilla, serena. E’ colpa mia! Mi sta
bene. Ma tu non dovresti soffrire. Perdonami, amor mio. Io ti voglio tanto bene che
mai vi può essere stato amore così grande ed immenso. Tu, in questi momenti sei la mia
vita: se non vi fossi stata tu non so quello che sarebbe stato di me: Mia Tilde adorata,
mio unico bene, non trovo le parole per manifestarti la mia riconoscenza.
Quando ritornerò vicino a te mi adoprerò affinché questo mio grande sentimento gi
appaia nella sua intierezza. Mia Tilde, amore mio, unico amore mio. Ti amo tanto: ma
tu meriti più di questo “tanto” ed io pregherò Iddio di darci la possibilità che questo
tanto possa essere come l’infinito. Lo so, mio tesoro che tu non mi abbandoni, lo so,
ne sono sicuro: ti ripeto, questa è la mia forza, questa sicurezza è quella che mi dà la
fede di resistere e di avere la fiducia.
Mi sono sempre dimenticato di dirti: se mi domandano dove sono stato ferito devo
dire in Croazia, come è stato, o in Italia come ho dichiarato. Io penso di dire in questo
secondo modo perché deve essere nelle mie carte e certamente sono andati a consultarle. Non ti pare? Di Enzo? Hai saputo niente? Guarda che lui si fa chiamare Fagioletti
oppure Visconti che deve essere il suo secondo cognome. Mi dici che è fortemente
indiziato: non capisco. E’ indiziato come poliziotto o come ufficiale alla macchia?
Quell’accusa di aver avuto relazione con un ufficiale ribelle è proprio infondata. Enzo
si è presentato. Io non conosco altri su cui aver dubbi.
No le accuse che mi fanno sono frutto di malvagità e di cattiveria al solo scopo di
farmi del male. Io, mia Tilde, prego, prego tanto affinché la mia innocenza risulti
chiaramente.
Ma ti confesso che a volte ho paura, tanta paura che questa mia innocenza non risulti
più ed allora che sarà di me? Mia Tilde, dimmi che non sarà così. Ho paura appunto
perchè sono innocente. Quell’amico di Silva si adoprerà per farmi uscire? Gli hai detto
che chi interroga è un certo dott. Hugo; è un tedesco al quale sembra si parli a mezzo
interprete. Potrò farmi capire? E Silva ha parlato a quei due ufficiali delle SS che ha
conosciute? Mi raccomando, non lasciare niente di intentato. Prega Silva, scongiuralo
di salvarmi, di dire che sono una persona onesta. Sono vittima di cattiveria perché
ero quello che firmavo gli ordini esecutivi degli avviamenti del personale a Vercelli e
quindi in Germania. Anzi ora mi viene a mente questa telefonata anonima. Si annunciò
come generale alla telefonista (alla quale avevo dato ordine di dirmi prima chi era che
mi chiamava) e mi disse che avrei pagato duramente quello che facevo, proprio dai
miei amici tedeschi. E con questo chiuse il microfono. Io non detti molto peso nemmeno a questa come non ho mai dato peso a nessuna delle intimidazioni ricevute. Mia
Tilde, assilla tutti affinché mi facciano uscire di qui presto. Sono innocente.
Ho avuto tanto piacere del biglietto dei bambini. Ringraziali tanto e baciali tanto per
me: devi dire loro che il papà pensa tanto a loro e confida molto sulle loro preghiere.
Salutami tua mamma, Carlo, Franca, baci a Renata. Sergio? Non doveva andare a Bologna? Attenta agli allarmi, mi raccomando: io tremo per te. Mio amore, tutti i miei
baci e tutto me stesso per sempre. Tuo sempre tuo Ubaldo
Caris. Mandami un po’ di sale
93
UBALDO PESAPANE
13) 2 agosto (1944)
Mia Tilde, amore mio. Nemmeno oggi sono stato interrogato. Ormai siamo a metà settimana: il 23. g. di prigionia. Oggi è una giornata interminabile. Eccettuati 10 minuti
stamattina quando sono andato alla visita, poi non sono mai potuto uscire dalla cella.
Generalmente quando non mandano quella mezz’ora all’aria, aprono uno spiraglio della
porta in modo che si cambia l’aria e si può vedere il corridoio. Oggi nemmeno questo.
Ho la testa che mi scoppia: è necessaria una soluzione altrimenti impazzisco.
Mia Tilde lo so che queste parole ti fanno male e sono ingiuste agli sforzi che tu fai per
aiutarmi, ma compatisci questo disgraziato, condannato a scontare una pena senza aver
fatto niente di male, tutto il giorno chiuso in una cella, sporco, piccola, con poca aria,
poca luce, senza poter far niente, nemmeno leggere, senza poter parlare con nessuno,
solo, solo con la mia disperazione, con i miei incubi, con le mie preoccupazioni, con le
mie miserie, sempre solo, solo, da 23 giorni. Ma perché? Che grave colpa ho commesso?
Così si trattano i criminali non le persone oneste che hanno sempre lavorato.
L’hanno con me: ormai di questa ala sono il più anziano. Generalmente qui si sta una settimana e poi uno viene giudicato e destinato. Ma di che cosa mi si incolpa? Quell’amico
di Silva potrà farmi liberare? Dimmi la verità, mia Tilde, non mi nascondere la realtà
della mia situazione.
I miei nervi sono messi a dura prova. A volte mi viene una gran voglia di gridare. Ma a
che pro? Verrebbe la guardia italiana a dirmi di tacere: se poi viene la guardia slovacca (sì
perché da qualche giorno ci sono gli slovacchi, vestiti di verde pisello) allora rischierei di
essere punito e stare a pane ed acqua per qualche giorno. Aldo e C. certamente non sanno
questa tremenda situazione: anche un malvagio si preoccuperebbe. Ma cosa c’è sotto? Di
cosa m’incolpano, perché questo disinteresse, anche dello S. M.?
Tilde mia, ho paura, ma tanta paura: io sono un ostaggio e quindi alla mercè di Dio.
Tilde mia ho paura che anche dopo l’interrogatorio (che si farà attendere ancora, vedrai)
io resterò in prigionia. Silva cosa ti ha detto? Ha speranza di farmi uscire? Quell’altra
persona di cui mi parli può? L’amico di Silva può influire? E Carlo non può trovare una
strada buona affinché questi si ricordino di me e mi guardino come una persona onesta?
Ma io sono innocente, io non ho fatto niente di male, ho sempre lavorato con lena e la
collaborazione che io ho dato ai tedeschi col mio ufficio, nessuno l’ha data, nemmeno
Aldo e gli altri ufficiali.
Le iniziative che ho avuto per venire incontro ai desideri dei tedeschi nessuno me le ha
suggerite se non la rettitudine e l’onestà della mia coscienza.
Questo è il premio: carcere, segregazione cellulare.
Il mondo è ingiusto e gli uomini cattivi.
Ed io che ho sempre cercato di aiutare tutti, non per la speranza di essere ricompensato
ma per puro spirito di far del bene. Sei andata alle SS? Cosa ha detto il Capitano Savecke?
Ti ha trattata bene? La mamma di Edith ha spiegato bene quali sono i miei sentimenti,
che io sono vittima di raggiri e di cattiverie? Mi avevi detto che avresti cercato una conoscenza influente e di fiducia delle S.S. La hai trovata? Carlo in questo non ti può aiutare?
Cosa dice? Aldo che cosa ti ha detto? Hai parlato col Generale? Digli che sei la cugina del
povero Romolo Galassi: fu lui che gli fece avere la medaglia d’oro in Africa.
94
UBALDO PESAPANE
Tilde mia, amore santo, quanti dispiaceri che io ti do: come mi rammarica questo fatto.
Ma sapessi, amore mio, come soffro e come, col passare dei giorni le sofferenze le
sento di più, come questo mio stato di abbrutimento morale e fisico mi pesi sempre
più. Prego tanto, mia Tilde, prego affinché Iddio mi liberi dal carcere presto. Perché
non esaudisce questa mia grazia tanto più che sono innocente? Oppure ho qualche grave peccato che mi impedisce di avere la grazia ed anche lui mi abbandoni? Mia Tilde
dimmi che non è così, dimmi che tu hai saputo che mi libereranno, dammi una speranza
concreta, che c’è una persona che ti ha assicurato che io sarò libero e potrò ritornare
da te, dai bambini, libero, perché onesto.
Ho paura stasera Tilde mia, ho tanta paura che questi mi tengano qui come ostaggio.
Ma l’amico di Silva non può dirti chi è stato? Perché? Non si può sapere? Questo mio
scritto non ti farà piacere, ma rispecchia il mio stato d’animo di questa sera. Sono
troppo solo, non ho colpe quindi non mi rassegno. Sei stata da Piccoli? Hai parlato con
la Murana? Hai scovato Testori? Hai saputo notizie della Ferrée? E la Martinelli? La
Pozzi? Ma quello che mi assilla è il dopo l’interrogatorio: mi metteranno in libertà?
Al Comando cerca del T. Col. Pasini che è l’ufficiale di collegamento con i tedeschi.
E’ un mio amico (credo, almeno!) Per farlo parlare tu gli devi dire che ti ho sempre
detto che lui è un’onesta persona e molto in gamba (è un cretino): se dirai così forse
dirà qualcosa in più. Speriamo che domani mi interroghino. Mi saprò difendere perché
sono innocente.
Non so come fanno questi interrogatori. Mi dicono che sono in due: ma a volte è solo
questo dott. Hugo che parla a mezzo interprete. Lui capirà? E’ stato possibile farci
parlare prima da qualcuno in modo da dirgli che io sono innocente? Hai detto questo
nome a Silva? Lo conosce quel suo amico? E Silva ha poi parlato a quei due ufficiale
delle SS.? Come vedi, amore mio, ribatto sempre sullo stesso tono. Ma che vuoi è l’assillo continuo di queste giornate interminabili delle quali non so a che ora cominciano
perché non ho la sensazione del tempo.
Ti penso tanto e penso tanto anche ai bambini. Ho tanto desiderio di baciarli, di stringerli a me, di stare insieme con loro. Pensare quante giornate potevo passare con loro
ed invece le ho sciupate con i miei cosiddetti amici che ora mi abbandonano tutti. Ho
lasciato loro che non mi tradiranno mai, ho lasciato sola te che sei l’unica che mi hai
steso la mano per aiutarmi in questa disgrazia. Sono uno sciagurato. Amore mio, lo
sento che mi pensi tanto, lo sento che soffri con me. Vorrei evitarti queste pene, ma
non è colpa mia.
Sono una vittima, innocente. Scongiura Silva di farmi liberare e puoi assicurargli che
mi può difendere come vuole e con sicurezza perché non ho fatto niente e sono innocente. Nessuno si compromette a difendere me. Ti ringrazio della roba che mandi: se
non ci fosse quella povero me! Ricordati il lapis, piccolo però perché devo nasconderlo. Grazie del dolce. Baciami tanto i bambini e digli che preghino per me: Dio ascolterà le loro preghiere. Saluta Carlo e raccomandagli di darmi aiuto. Saluta tua mamma e
Sergio Franca e baci a Renata. A Milano fatti accompagnare da Sergio, è meglio.
Mia Tilde tutto il mio amore e tutto me stesso coi baci più belli
Tuo sempre tuo Ubaldo
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UBALDO PESAPANE
14) 3 agosto (1944)
Tilde mia adorata. Ho avuto le sigarette. Ora comincio a capire le ragioni del mio arresto
e mi convinco che in prigione ci starò un pezzo per (perché) le indagini sono lunghe dati
i momenti. Fornaro c’entra ma l’accusa penso venga da qualche ufficiale nella mia divisione: c’è il particolare dei cifrari. Comunque ripeto sono innocente e mi difenderò.
Ho bisogno dell’aiuto però di gente di fuori: tu, povero angelo, fai fin troppo, ma chi mi
deve aiutare è il Generale e questo te lo devi far promettere parlandogli ben chiaro, dicendogli: “Guardi che mio marito è veramente innocente quindi lei lo può aiutare con la
coscienza tranquilla. Poi, signor Generale, non m’illuda,mi dica la verità.” Va bene?
Circa le accuse:
1. esultanza del 25 luglio: sono chiacchiere. Chi non ha esultato il 25 luglio, non per il
Fascismo, ma per la speranza che con la caduta del Fascismo, la guerra prendesse una
piega più fortunata.
2. Mia fuga del 9 settembre con un generale: bugie. Ho i documenti che provano che non
sono scappato, ma ho avuto un ordine preciso di raggiungere l’Italia (i depositi a Palmanova) agli ordini del gen. Lombard. I documenti sono nel cassetto di sinistra della mia
scrivania in ufficio. Le chiavi sono giù alla portineria del carcere. Anzi, questo è importante torna dal Generale o da Aldo e fatti assicurare che i cassetti sono ancora chiusi o se
li hanno aperti dove hanno messo quelle carte. Pregherò Dio che non le abbiano distrutte
altrimenti è un grosso guaio perché non saprò come difendermi. I documenti sono:
- una copia di fonogramma scritto a macchina, col timbro della divisione in azzurro col
qual il gen. Lomaglio dà l’ordine di rientrare in Italia;
- un ordine a mia firma, credo in data 14 settembre, circa le disposizioni della marcia;
- appunti scritti su carta bianca con lapis copiativo circa gli avvenimenti che hanno portato allo sfasciamento della divisione;
- una ricevuta di L. 8000 del magg. Zoppi
- altre carte di cui non ricordo.
Negli appunti è segnato pure l’itinerario della piccola pattuglia, dopo il disastro con
l’elenco delle spese sostenute
- un foglio scritto a macchina dal maresciallo Ricciarelli o Ricciardelli circa la situazione
di Palmanova dove volevano andare e dove non siamo più andati. Come vedi è necessario
che questi documenti ci siano. Appena hai letto questo telefona al comando al Capitano
Vassallo (153816) che siede al mio posto e domanda se i cassetti sono ancora chiusi e di
raccomandargli di tenerli chiusi perché io certamente li farò aprire dalla polizia tedesca
perché dentro ci sono carte che provano la mia innocenza. Magari telefonalo al Generale,
ad Aldo, oppure va tu. Mi raccomando è importante. Lo comprendi anche tu. Per giustificare di questa improvvisa premura puoi dire che io ti avevo parlato di queste carte e tu
pensi che, in relazione a quello che ti ha detto il Generale, quei documenti mi saranno
utili. Dammi assicurazione che le carte ci sono oppure dove sono e chi le ha. Aldo ha
la mia carta d’identità di Castiglione col lasciapassare e il tesserino Ducati. Questo per
carità, a parte.
Circa la ferita non posso essermela fatta scappando da una finestra in quanto io sono
arrivato a Castiglione già ferito ed il dott. Tateo mi visitò la sera stessa. Te ne ricordi?
96
UBALDO PESAPANE
Circa la ferita io continuerò a dire di averla avuta in Italia scappando dal treno dove
mi avevano preso i tedeschi. Così dissi quando mi presentai, così ho detto al Generale
il giorno che volevano arrestarmi, cioè il 29 giugno. Se lui l’ha detto al Cap. Sevecke
ci faccio una bella figura se ora dico il contrario. Ti pare?
Quali sono i fatti di Bologna? Io non ho scritto a nessuno e non ho avuto relazione con
nessuno. Mi domandi se c’è qualche altra cosa. Non c’è altro. Quello che è necessario
che io sappia è la posizione della Ferrée e di Enzo. Ancora non me l’hai fatto sapere
ed è importante assai. Mi raccomando. Mia Tilde adorata, vedi come le cose si sono
complicate? Chissà mai quando potrò uscire di qua.
Questo è il fatto che mi avvilisce di più.
E’ necessario sapere di Enzo perché se sono della polizia posso dire chiaramente come
stanno le cose. Non ti pare? Mia Tilde adorata questo è tutto: non ho mai scritto niente
di compromettente mai. Non so quali siano i documenti che hanno. Perché non te li fai
dire dall’amico di S. questo tuo secondo messaggio, se mi ha dato molte notizie utili
mi ha convinto che anche tu hai perduto un po’ il coraggio.
Non mi dici niente. Tilde mia, dimmi la verità, mi hanno rovinato ed io non uscirò più
di qua, se non farò addirittura una brutta fine. Si è dato il caso che innocenti sono stati
condannati. Vedrai io farò quella fine. Sono proprio disgraziato. Non è vero? Dimmi
la verità, non è così?
Se non è stato Enzo chi può essere stato? Come sono avvilito. E se quelli se mi contestano quello che ho detto ad Enzo e non credono che sono storie inventate? Povero me.
Come mai m’è venuto in mente di dire quelle balle. Stanotte non dormirò. Però anche
Enzo che traditore. Ma voglio sperare che lui non c’entri.
Mia Tilde, oggi siamo a giovedì e ancora non mi hanno interrogato.
Quando lo faranno?
Non so. Domani è già venerdì, poi sabato e se non m’interrogano sabato bisogna aspettare lunedì. Ma perché questo stillicidio? Tilde mia, dimmi una parola buona, te lo
giuro sulla testa dei bambini che io non ho fatto niente di male sono innocente: l’unica
mia colpa è quella di essere stato un po’ leggero e di aver voluto far credere quello che
non è. E questo mi ha rovinato.
Stanotte ho sentito cantare tanto una civetta. Oh come sono avvilito. Come farò se non
riuscirò a far risaltare la mia innocenza? Se saprò che Enzo non è della polizia le cose
andrebbero bene. Altrimenti va bene che non sono vere, ma come farò a farmi credere.
Posso dire di averlo fatto per sapere se erano (loro) che avevano preso i documenti, ma
devo pure dire che l’avevo detto ad Aldo che lo facevo a bella posta? Oppure che l’ho
fatto da solo. Ma vorrei che una volta detto così Aldo mi appoggiasse dicendo che io
davo corda ad Enzo per farlo parlare. Lo farà Aldo?
Tilde mia come sono avvilito: e pensare che è l’unica persona con la quale mi sono
“sbottonato”. Che dici? Sono rovinato? Tilde mia mi difenderò con i denti perché sono
innocente, ma tu Tilde mia, aiutami, dimmi qualcosa. Carlo che dice? Silva? Chissà
quanto tempo starò in prigione.
Baciami i bambini tanto. Salutami tutti. A te, tutto il mio amore e tutto me stesso.
Tuo sempre tuo Ubaldo
97
UBALDO PESAPANE
15) 4 agosto (1944)
Mia Tilde. Ho passato una notte in bianco. Chi mi ha denunciato è Fornaro e la Ferrée che
certamente sono dell’Ufficio Politico Investigativo. Pensare che Enzo è l’unica persona
alla quale ho detto le mie idee.
M i a Ti l d e s o n o r o v i n a t o . L e a c c u s e s o n o t u t t e b a l l e p e r c h é l e b a l l e l e h o d e t t e i o ,
solo io.
Ed ora mi sono creato delinquente con le stesse mie mani. Pensando bene è a lui che dissi
un giorno che a Castiglione avevo organizzato la fuga da una finestra. La ferita poi è una
aggiunta facilmente controllabile. Ed ora come facevo per la ferita? Ho detto a tutti che
l’ho avuta in Italia invece, in realtà l’ho avuta in Croazia quel 14 settembre quando i Tedeschi ci spararono addosso credendoci ribelli e l’infezione m’è venuta perché correndo
dietro un muro a ripararmi una gragnuola di sassi mi venne addosso e finì di infettare un
foruncolo che avevo. Effettivamente ci andarono schegge e sassi.
Anche te ho imbrogliato. Poi presentandomi a Milano ho avuto paura che non mi prendessero e allora ho detto che sono stato ferito scappando da un treno dopo che ero stato
preso. Questa è la versione che ho dato a tutti. E se non ci credono? Se vogliono particolari?
Consigliami tu. Dire della Croazia non mi sembra giusto perché se salta fuori un ufficiale di quelli che era con me a dire che non è vero? Il secondo punto che mi spaventa è
l’affare che ho detto, dell’atto di sabotaggio. Ma come mi è venuto in mente di dire una
cosa simile?
Pensare che non ho mai raccontato balle così grosse e le vado a dire ad uno della
polizia.
E se ora mi danno la colpa a me veramente? Questi mi fucilano. Ah, mia Tilde sono uno
sciagurato, sono un indegno, un povero stupido, illuso di farsi grande raccontando cose
non vere ed ora ho la mia paga.
Quale atto di sabotaggio? Quello per esempio della prima volta che ritornai da Milano.
Mi ricordo che si fece tardi, il coprifuoco a Bologna era alle 18, tentai di andare a prendere il treno delle 17.45 da S. Ruffillo ma era partito. Allora dopo che era buio trovai da
dormire vicino alla stazione, il nome non me lo ricordo (Menarini, Manarini) è un mutilato dell’altra guerra; con la moglie ed hanno un figlio in collegio dai gesuiti. L’autista
andò a mettere la macchina al garage dell’Azienda stradale, dopo il ristorante “Di fuori”.
Ti ricordi, vicino al ponte sul Savena? Al mattino mi alzai alle 4½ feci per prendere il
treno ma la linea era interrotta. Allora pensai di andare a ripescare l’autista e di farmi
accompagnare al ponte Locatello e là trovare posto sulla corriera. Così feci, infatti andai
in una casa più avanti, trovai il giovane che m’aveva trovato da dormire per farmi dire
dov’era l’autista lo trovai e mi feci accompagnare. L’autista è uno che porta gli occhiali
ha una ardita taxí cardo (parola non leggibile) targata 30500 Milano o 50300. Deve essere
al Cdo regionale ancora. Mi domandi perché questi particolari, mi sono venuti a mente
questa notte. La casa del mutilato è una di quelle casette sul viale che porta alla stazione,
mi sembra prima o dopo dove c’è la Croce Rossa. Venendo a Castiglione vidi infatti un
treno (parola non leggibile) di carburanti che bruciava, vicino a Grizzana.
Come facevo ad andarci? Mia Tilde ho paura che questi siano i fatti di Bologna. Vedrai
98
UBALDO PESAPANE
che mi hanno compreso in una banda di sabotatori. Ed io che faccio ora. Perché Fornaro che conosco da 20 anni mi ha voluto rovinare, adescandomi in modo ignominioso?
Cosa devo fare ora?
Il primo punto: ferita. Sarei del parere di dire la verità, ma allora mi domandano perché
ho raccontato quella storia della cattura? Possono tacciarmi di aver fatto propaganda
antitedesca e poi se mi chiedono particolari? Non so. Ci penserò oggi. Speriamo che
non m’interroghino e che abbia la tua risposta. Per il resto negare perchè non è vero,
ma devo far sapere che so che Fornaro è della Polizia? Crederanno che io dessi corda
a loro per sapere dei documenti? Veramente quelle balle le ho dette proprio a questo
scopo e fu un accenno solo una sera, poi non se n’è più parlato. Mia Tilde come faccio
ora? È vero che sono rovinato? È vero che di qua non uscirò più? E questi non vanno
per il sottile: e se mi fucilano. Io sono innocente, lo giuro a Dio, non ho mai fatto male
a nessuno, ho sempre fatto il mio dovere.
Povero me! E Tilde, ho rovinato anche te. Sono uno sciagurato, incosciente, senza testa.
Sono onesto e passerò come un delinquente. Mia Tilde, io mi difenderò e se del caso
dirò che sono tutte storie inventate da me. Cosa vuoi che faccia? Per la ferita, nel caso
dirò che ho detto così perché credevo che rinfacciassero di aver combattuto contro i
tedeschi il che non è vero.
E se invece confermassi quello che ho detto? Non ci crederanno? Tilde mandami a dire
che devo fare, sono tanto stanco e avvilito. Cosa succederà ora? Non lo so. Pensare che
sono innocente. Tilde, Tilde mia adorata, perdono di quello che ho fatto a te: perdono
dei dolori che ti do: non l’ho fatto per cattiveria, ma sono stato sfortunato. Ho trovato
sulla mia strada un delinquente che mi ha adescato e mi (ha) rovinato. Io col mio carattere facilone, credulone, ingenuo ci sono caduto.
Che Dio me la mandi buona! Rispondimi presto mia Tilde, dì a quella persona se mi fa
avere o mi porta le sigarette di risposta al più presto. Pensami, prega per me, aiutami
fin dove puoi. Attenta con Fornaro. Baciami i bambini tanto tanto.
A te, chiedo perdono e ti mando tutti i miei baci e tutto me stesso.
Ubaldo tuo.
16) 5 agosto (1944)
Mia Tilde. Ho pensato ancora molto questa notte con calma. E’ inutile disperarsi.
Intanto non fidare nemmeno di Aldo: può darsi che come noi abbia preso informazioni
da Enzo e quindi abbia fatto un accordo con lui: buttare a mare me e salvarsi magari dicendo che loro due erano d’accordo. Non ti pare? Penso ad un discorso che mi fece Aldo
un paio di giorni prima dicendomi che parlavo troppo e che lui di Enzo non ne voleva
sapere niente. Dico può darsi.
Bisogna agire con i piedi di piombo. Allora ho pensato di dire che in un primo tempo ho
cercato di farmi passare per uno dei loro per sapere l’affare dei documenti e poi perché
mi ero spaventato che mi avevano detto che volevano fare la pelle a lui. Poi, e questo è
vero, dissi ad Aldo: ma quei due mi sembrano due fanfaroni. Dirò che li ho lasciati andare credendo che erano due fanfaroni ma mai della polizia ed infatti li ho trascurati. Se
Aldo fosse dalla mia parte potremmo concertare con lui la cosa tanto più che le macchine
99
UBALDO PESAPANE
(3 volte gliele ha date lui sempre, dunque credeva come me).
Ma ci sarà da fidarsi? Può darsi, come ti ho detto che lui si sia messo d’accordo con
Enzo dicendogli che salvi lui e lui non si occuperà di me. Ma questi non può farlo
perché con Enzo è compromesso anche lui e quindi non può, per rovinarmi, che lui era
d’accordo con Enzo per imprigionarmi. Comunque bisogna fare le cose molto per bene
per evitare che Enzo una volta saputo che io so non (mi) farebbe più uscire.
La donna è la Ferrèe, le altre forse non c’entrano. Io avrei pensato così: che in un primo
tempo ho creduto ma non voluto cercare di sapere, poi ho saputo che volevano fare la
pelle ad Aldo (mi dettero a mano una lettera anonima che portai io). Poi con i giorni ho
avuto la convinzione che fossero due fanfaroni e li ho abbandonati non credendo nemmeno opportuno fosse il caso di denunciarli. Se Aldo non ha tradito, ossia mi ha fatto
lo scherzo di buttarmi a mare io nell’interrogatorio lo cito perché in fondo è lui che ha
dato le facilitazioni.
Le balle lo dirò che sono balle. Occorre preparare chi interrogherà me: io sono innocente.
Ti pare? Mia Tilde mi raccomando prudenza consigliati con Carlo.
Per l’affare delle ferite (parola non leggibile)? Qui è l’incognita. Dico la Croazia o
l’altra versione? Se dico la Croazia che è il vero come posso giustificare quello che ho
dichiarato? Mi tacceranno per antitedesco? Consigliami su questo. Attendo presto una
risposta. Carlo? Bruni? Bada che è amico di Aldo. Prudenza. Sono più tranquillo. Manda più sigarette e un po’ di cioccolato. Baci ai bambini a te tutto me stesso.
Tuo sempre tuo Ubaldo
Saluta Carlo
17) 7 agosto (1944)
Tilde mia, amore santo. Sono al 27. g. di carcere, innocente e vittima della mia leggerezza. Sapessi quanto ho pensato a questa mia incoscienza e quanto mi sia pentito di questo
mio insulso comportamento. Voglio sperare che Dio sia buono con me e, vedendo che io
sono innocente, mi perdoni e mi salvi da questa disgrazia che io, io solo, con tanta leggerezza e stolta ingenuità mi sono procurato.
Mi sostiene la reale consistenza dei fatti per cui io non ho fatto niente di male.
Sono tutti fatti accaduti solo nella mia fantasia. Per conseguenza prove delle mie colpe
non ce ne possono essere in quanto io non (ho) mai commesso i fatti che oggi mi vengono
imputati.
Piuttosto ora che A. non c’è più dove sarà andata a finire la mia carta d’identità di Castiglione, col lasciapassare tedesco e il tesserino Ducati? Se A. li ha dati a E. come giustifico queste carte? Devi stare molto attenta quando li chiedi ad A. E se non c’è più? Ad A.
devi dire che io ti avevo avvertito che c’erano in probabilità perquisizioni e che, quindi
ti avevo avvertito di averli dati a lui. Fatteli dare, per carità. Sarebbe un guaio. Se A. mi
(ha) tradito anche lui come sospetto allora li ha dati a E.
Che faccio allora? Se A. ed E. si sono messi d’accordo? Allora Dio si accanirebbe proprio
contro di me. Rassicurami di questo, ma abbi molta prudenza quando li chiedi. Se non è
il caso non dire che io sapevo delle perquisizioni, ma dì che io glieli avevo dati quando
dovetti andare al Regina la prima volta. Bisognerà riaverli e poi vedi tu: distruggere il
100
UBALDO PESAPANE
lasciapassare ed il tesserino. La carta tienila. Mia Tilde se A. ha dato a E. queste tessere, che faccio?
Ho paura che A. per salvarsi si sia messo d’accordo con E. Sarà possibile? Fammelo
sapere.
Che siano questi i documenti? Hai un bel dire di non montarsi la testa, ma come si fa
a stare tranquilli con questi amici?
Circa la mia difesa comincio ad abbozzarla. Per le prime accuse ho i documenti di
difesa.
Per la ferita: dirò che l’ho avuta in Italia come ho sempre dichiarato a tutti. Per il resto
negherò come d’altra parte devo fare perché non ho niente commesso di male.
Nel corso dell’interrogatorio poi vedrò come si mettono le cose ed allora deciderò al
momento. È necessario preparare chi mi interroga.
Questo dott. Hugo dicono che sia un italo tedesco, altoatesino, credo; per gli altri non so.
A volte vengono dei tedeschi. Ma l’amico di S. forse può saperlo e dire a quello che
m’interroga che io sono innocente. Piuttosto questo amico com’è che non aveva detto
di cosa m’imputavano come ha precisato il G.? che sia anche lui un falso amico? E se a
lui, dopo che ti avesse precisato le accuse tu dicessi che sono “balle” dette per sapere
l’affare dei documenti spariti dal mio ufficio? Non so, a volte perdo la testa: sono 27
g. che ho quest’idea fissa.
Poi mi faccio forza e mi dico: “ma io non ho fatto niente”. Quindi?
Poi penso: ci sono stati tanti errori giudiziari, se io fossi uno di questi; oggi non c’è
legalità, tutto viene fatto con la forza bruta. Penso un’altra cosa e cioè che quei documenti che erano nel mio cassetto è stato male che li abbia presi tu. Se quando verranno
a casa arrestassero anche te? Anzi non andare alle SS: mi è stato detto che qualche
moglie che è stata alle SS. è stata poi fermata. Per carità, Tilde, se accadesse una cosa
simile io impazzisco.
Mi raccomando quando giri vicino al Carcere: non ti far vedere. Tilde tremo anche per
te.
Mi prendono delle paure folli e mi agito poi da star male per ore ed ore. Io sarei del
parere che tu ritornassi a parlare col Generale e gli domandassi o ti facessi spiegare
quali sono le altre accuse che mi sono mosse. Può darsi che sono le più gravi e che lui
non te le abbia volute dire per non spaventarti. Non so con quale scusa ci devi andare,
pensaci un po’ su.
Per carità non mettere in mezzo Zardo come testimonio: ha fifa pure dell’aria. Nemmeno Carlo: magari Carlo si per le telefonate anonime e per lettere anonime. Magari gli
dirai che io gli ho fatto vedere una lettera in data maggio (mi sembra l’ultima che ho
ricevuto) con la quale mi si diceva che ero un venduto dei tedeschi e che mi avrebbero
fatto la pelle. Quella della condanna a morte me la disse E.
Se quegli altri vengono avanti presto come faccio a dare le prove che io sono stato
sempre onesto? A Castiglione le famiglie Marchioni, il maresciallo dei carabinieri
Cassarini, Tateo l’altro dottore (come si chiamava?) possono testimoniare che io non
ho mai fatto niente di male e sono stato ammalato.
Comunque, mia Tilde, io non ho mai fatto niente di male quindi non mi dovrebbe succe-
101
UBALDO PESAPANE
dere niente. Ma sai, a volte mi prendono dei momenti di vero panico. Mi dicono qui che
a volte si è dato il caso di gente che pur avendo imputazioni gravi sono usciti per delle
aderenze presso le SS. Tu mi parli sempre di un’altra persona. Può molto?
Chiunque mi raccomandi, mia Tilde, te l’ho giurato, può farlo con la coscienza tranquilla
perché io sono veramente innocente. Te lo giuro, non credermi per pietà, credimi perché è
così. Qui sto molto ma molto meglio. Ho una camera insieme col dottore della infermeria.
Si mangia bene; due volte al giorno più il caffè latte al mattino. Ho il letto con le lenzuola
e non ci sono le cimici. Sono tutte brave persone. Faccio già come tu mi hai consigliato:
cordialità ed acqua in bocca.
Quando m’interrogheranno? Ti avevano detto lunedì scorso: è passata già una settimana.
È stato meglio perché ho saputo ed argomentato molte cose. Ora quello che mi tormenta
è la faccenda del sospetto di A. e E. Mi raccomando la tessera che ha A. Se l’ha data a E.
e questi ai tedeschi? Ma sai che è un bel delinquente? E pensare che si è presentato a me
con le lagrime agli occhi chiedendo aiuto.
Ma Dio non paga il sabato. Io bisogna che non faccia accorgere che lui è della polizia.
Altrimenti, delinquente com’è, è capace di farli lui i documenti che comprovino le mie
colpe.
A volte, mia adorata, mi viene un’ira pensando il modo indegno come sono stato giocato
che mi viene la voglia di denunciarlo. Intanto, se verrà in ballo lui nell’interrogatorio,
farò io una domanda semplice ai miei giudici: “Ma costui cosa ha fatto l’8 settembre?
Dov’era? Chiedetelo? Non ti pare?
Mia Tilde, non temere.
18) (8 agosto 1944)
Mia Tilde adorata. Avevo smesso ieri perché non sono stato più tranquillo per scrivere.
Ho pensato molto anche stanotte. E mi sono convinto che devo fare come ti ho detto nei
fogli precedenti. Mi dicono ora che ho tempo di scrivere fino a questa sera quindi mi
metto più tranquillo a scrivere per far entrare qualcosa di più. È necessario pescare subito la mia carta d’identità, col lasciapassare ed il tesserino. È da ieri che ho quest’incubo
che non riesco a cacciare: se mi mettono questi documenti davanti come li giustifico?
Ti pare.
Non voglio credere che A. mi abbia potuto tradire fino a questo punto. Parlane con Zardo
dicendo che io ti avevo detto di aver dato quei documenti ad A. il giorno che sono andato
la prima volta all’Albergo Regina. Comunque consigliati con Carlo dicendogli che, nel
caso che io avessi la netta sensazione che Aldo mi ha accusato ingiustamente come mi
devo comportare.
Stai attenta quando giri con sigarette. Per carità: passeresti un guaio e poi non potrei più
sapere niente di te. Ho domandato circa gli interrogatori. A volte li fanno gli italiani (tra
cui questo dott. Hugo) e a volte i tedeschi delle SS. L’amico di S. non potrebbe sapere
chi è che ha la pratica e nel caso parlarci per conoscere i particolari? E nel caso dire una
buona parola? Il pacchetto della roba che ti ha dato Zardo, siccome questa gente, non
trovandolo in ufficio lo verrà a cercare a casa, lascialo intatto altrimenti ti si mettono a
rovistare tutta la casa. Attenta a dove metti questi foglietti.
102
UBALDO PESAPANE
Come vedi sono tanti i pensieri che mi vengono. Mia Tilde sapessi quanto ti penso e
quanto ti voglio bene. Non credere alle insinuazioni più o meno maligne dei miei cosiddetti amici: sono malignità e basta.
Tu sei il mio unico amore, il solo amore mio che è stato e sarà per tutta la vita. Di quelle
ragazze che mi gironzolavano intorno, lo scopo è ora evidente: con esse non mi sono
mai sbilanciato. La più pericolosa è questa famosa bionda, alta, la Pozzi, alla quale ho
fatto ottenere un esonero regolare per il cugino, un certo Uccelli Arnaldo, presso la cui
famiglia sono stato ospite il 30. Ti ricordi? Come ti ripeto questa è la più sospettosa che
io ho diffidato sempre. Ti detto l’indirizzo (Piazza Selinunte 1 – telef. 42223).
Questi giorni (oggi è il 3.) passati qui mi hanno fatto molto bene, mi sento più in forze
e sono anche più tranquillo per i giorni che verranno.
A volte mi prendono quei momenti di panico: ma poi mi passano. Ho parlato con altri
che hanno subito gli interrogatori: quel dott. Hugo, (almeno credo sia questo) dicono sia
cortese, quelli tedeschi invece sono burberi e spesso violenti. Dicono che danno anche
delle botte.
Ma cosa vuoi, non posso certo dire quello che non ho fatto. Ti pare? Qui ho avuto modo
di riordinare le idee e di farmi un programma che ti ho già detto per sommi capi.
Per le accuse di E. dapprima negherò, poi dirò come mi hai consigliato, dire che avevo
un po’ paura e poi allo scopo di sapere dei documenti spariti dal mio ufficio.
Mi possono imputare che io dovevo denunciare questi tizii, ma (e questa è la verità)
negli ultimi tempi mi dettero poco affidamento, come dei gran buffoni senza serietà.
Rimane da vedere se devo o non deve mischiare A. Bisognerebbe conoscere se lui si è
messo d’accordo con E. In quest’ultimo caso va a mio vantaggio perché dimostrerebbero
poca serietà tanto l’uno che l’altro. (Ricordati la tessera).
Bruni l’hai visto? Che dice? Mi sembra il più onesto e quello che mi aprì gli occhi. Se ci
parli vedi cavargli fuori qualcosa: lui parla. Ma prudenza. Lo conosce anche Carlo: forse
portandolo da Carlo ch’è abile, gli si può cavar fuori qualche cosa.
Voglio sapere da Carlo: devo, in caso, far capire che io desumo che E. è della polizia,
durante gli interrogatori? Temo che costui, delinquente finito, poi tenti di tenermi dentro. Ma Dio non paga il sabato: se dovessi finir male, innocente, ormai siete in molti a
sapere la verità, e lui pagherà.
Mia Tilde, hai ancora fiducia? Dai tuoi biglietti sento ch’è molto diminuita.
Non m’ingannare: è così? E Carlo? Che dice?
Mia Tilde, ricordati che tu per me sei stata e rimarrai il mio unico e grande amore della
mia vita. Baciami i bambini tanto. Pregate per me. Salutami tutti.
A te tutto il mio amore con tutti i miei baci.
Tuo sempre tuo Ubaldo
Mandami un po’ di cioccolato. Mi occorre un paio di lacci da scarpe. Dammi notizie.
Silva? Attenta agli allarmi. Sii prudente e cauta. Voglimi bene. Baci.
19) 9 agosto (1944)
Mia Tilde. Sono molto più tranquillo e sereno perché ho concertato per sommi capi la
difesa ed ora la sto precisando nei particolari. Sono stato vittima di due delinquenti e
103
UBALDO PESAPANE
non altro quindi ho pensato di portare io stesso il discorso sulla faccenda. E anche per
dimostrare, com’è in realtà, che io non temo niente da loro.
Mi sono venuti in mente altri particolari come due richieste di denaro (una di 200 mila e
un’altra di 50 mila) che mi fecero sospettare ad un raggiro per estorcermi soldi. Cercherò
non appena entrerò in argomento di mettere subito all’esame il caso E. in modo si sappia
che io l’ho sempre considerato un fanfarone ed un impostore. Dirò che per un attimo ho
sospettato che facessero sul serio quando mi dettero una lettera anonima per R. / A. ma
poi sorvegliati si sono rivelati due impostori che avrei denunciato se ne valeva la pena.
Ho pensato che è meglio affrontare la cosa di petto altrimenti si può sospettare che io
voglia nasconderla. Ti pare? Vedrai che con la massima franchezza e sincerità farò risaltare la mia innocenza. Infatti a E. e la sua degna compagna io non (ho) detto che balle e
mai una notizia esatta od un segreto di ufficio. Questa è la verità.
Come vedi ho raggiunto uno stato di equilibrio mentale ed un preciso orientamento sul
da farsi: questo lo devo a te, solo a te, mio amore. Sei, angelo mio, tu che mi salvi, con
la tua fede e con la tua incommensurabile e inesauribile fiducia. Il soggiorno qui mi ha
giovato moltissimo: prima di tutto per il trattamento ed il tenore di vita; secondo per i
compagni che vi ho trovato, con i quali ho simpatizzato, con tutti. Con uno mi sono confidato, in dovuta misura, e con lui sono addivenuto alla soluzione che ti ho prospettato
sopra. Comincio ad avere fiducia che tutto mi andrà bene. Peggio per A. se si è messo
d’accordo con E.: in questo caso, loro volevano buttare a mare me, io, in questo modo
butto a mare loro. Ed è anche giusto.
La carta d’identità? il lasciapassare? l’hai trovati. Se li hanno dati, dirò per il lasciapassare, com’è la verità che l’ho avuto regolarmente da quell’ufficiale tedesco di Crevalcore e che poi non ho restituito perché non sono più potuto ritornare indietro. Mi pento,
dato che il G. è così ben disposto di aiutarmi, di non avergli raccontato la storia di E.
Non voglio mischiare te altrimenti, magari al solo scopo di indagini, ti arrestano. S…
che dice? C…? il G…? Bruni l’hai più visto? Zardo? Fa ancora le insinuazioni? Non
dar retta.
Spero che almeno tu mi stimi ancora, se i miei magnifici amici non mi hanno più
curato.
Non ho avuto la cioccolata: mi ha detto che l’ha dimenticata a casa. Mandamene, comincio ad aver fame. Il mangiare è abbondante, ma si vede che la serenità che ritorna, mi
fa ritornare anche l’appetito. E le sigarette? Le hai trovate? Non ho una idea di quando
m’interroghino. Ora sono già 30 giorni di prigione: ma E. li pagherà, traditore che ha
approfittato di una amicizia di 20 anni per prendermi per stupido. Si, perché sono stato
uno stupido.
Mia Tilde, ti penso tanto e ti desidero tanto. Anch’io ho spesso una voglia matta di riabbracciarti e non vedo l’ora che questo possa avvenire presto. Pensami tanto e prega per
me con i bambini. Accerta quella notizia del T… - Capito? Sarei contento anch’io.
Salutami tutti e raccomandami a tutti. Mi occorre un po’ di carta leggera. Ho fatto il
pacco della biancheria sporca. Baciami i bambini. Mi dispiace dell’aborto. Come stai?
Attenta agli allarmi. Tutti i miei baci e tutto me stesso.
Tuo sempre tuo, solo tuo Ubaldo
104
UBALDO PESAPANE
20) 10 agosto (1944)
Mia Tilde. Avrai già saputo della tremenda tragedia di G. Ho ricevuto una forte scossa
nervosa, neutralizzata in parte dalle buone notizie ricevute e cioè che presto la mia faccenda passerà di competenza degli italiani.
È necessario che io sia presto trasferito al Carcere Mil. poiché le rappresaglie potrebbero
continuare ed io non voglio correre il rischio di essere compreso fra i predesignati.
Mi raccomando specialmente a S… che ha già fatto tanto per me: è necessario non dar
tregua. Nel nuovo ambiente del Tribunale va subito a cercare il Capitano Mura che è
quello scrittore che abbiamo conosciuto a Bologna. Ti ricordi? Qui è il Cancelliere del
Tribunale Militare. Siamo cari amici, e ci siamo visti anche a Milano. So che mi stima.
Quando passerà la mia faccenda al Trib.? Presto?
Qui, pur stando bene materialmente, moralmente dopo la tremenda tragedia di questa
notte, puoi immaginare con quale animo si viva. Mia Tilde, quanto hai fatto per me e
quanto fai.
Oggi sono preoccupato per te. Ieri non ti hanno vista: dimmi la verità, sei a letto con
qualche complicazione per l’aborto. Per l’amor di Dio, Tilde sta attenta, fatti visitare,
non ti strapazzare, affida le faccende a Carlo e tu curati. A questo pensiero mi viene fin
da piangere. Cosa faccio io se ti capita qualcosa, se ti ammali seriamente? Rassicurami
subito e giurami che ti riguarderai per bene.
Ho già abbozzato il mio piano di difesa: sono pronto. Mi mancano ora le notizie delle
tessere e del comportamento di A.
Ti do il nome di un avvocato: Avv. Prof. Delitala. Via Meravigli. Andare a nome dell’avv.
Lener. Questo quando sei sicura che la pratica sta al Trib. Mil. Non prima. Poi da Mura
per sapere notizie, per farmi raccomandare a lei (che conosco personalmente) e per far
fare presto il processo perché altrimenti starò in prigione un anno. Se l’avv. Delitala non
può, andare dall’avv. Degli Occhi. Vedi sulla guida telefonica. In tutti i modi consigliati
sempre con Carlo e con S… Hai visto Bruni? Che ha detto? Ha parlato?
Come vedi per me, sono più tranquillo. Non sono tranquillo per te. Spero stasera di conoscere notizie a tuo riguardo. S… dovrebbe, ora che c’è l’intenzione di passare la cosa
agli italiani far spingere la decisione in modo (che) io esca al più presto dalle unghie
degli appartenenti alle SS. Ho paura delle rappresaglie.
Mi raccomando mia Tilde. Temo che peggiorando la situazione automaticamente, in relazione agli atti di sabotaggio o agli attentati, le rappresaglie si faranno più frequenti.
Mia Tilde sono così addolorato dei dolori che ti do e delle preoccupazioni che ti ho procurato. E tutto per colpa mia. Se fossi stato più cauto e più serio ciò non sarebbe mai
accaduto.
Amor mio santo, come potrò dimostrarti la mia riconoscenza per quello che hai fatto
per me? Come potrò ripagarti o farti dimenticare i giorni tremendi che ti ho procurati?
E i bambini? Che cosa hanno potuto sentire? Giovanna che è la più grande ha pianto? E
Paolo? E tu, mia Tilde, dimmi la verità, come stai ora? Ti sei rimessa? Sono in pensiero
anche per questo. Carlo che dice? È ottimista? Hai visto A.? Non ti fidare di nessuno.
Ricordati quello che ho scritto in questo biglietto a proposito del mio trasferimento al
Car. Mil.
105
UBALDO PESAPANE
Baciami tanto i bambini. Salutami tutti. A te tutti i miei baci e tutto me stesso.
Tuo sempre tuo Ubaldo
21) 13 agosto (1944)
Mia Tilde. Sono molto più tranquillo da quando ho saputo che la mia faccenda passerà o
è passata (?) (dammene conferma definitiva) di competenza del Trib. Mil. It.
Devi informarti se il Trib. è proprio quello italiano, perché molte di queste faccende passano di competenza del Trib. Mil. Ted. Ma non credo sia il caso per me in quanto io non
ho fatto niente di niente. E più i giorni di carcere si accumulano, più me ne convinco.
Cosa ho fatto io? Ancora non lo so. Se la faccenda è già passata all’altra parte qui non
dovrebbero nemmeno interrogarmi. Allora è necessario l’immediato trasferimento mio al
Carcere Militare italiano: devo assolutamente lasciare questo fabbricato perché non si sta
sicuri.
Tu lo capisci, non è vero? Poi parlando con una persona, mi è stato detto che, una volta
passato là, il mio avvocato, può chiedere subito che mi mettano immediatamente in libertà provvisoria. Come vedi i vantaggi non sono pochi e non disprezzabili. Questa agevolazioni, qui non si possono avere. Di là, forse starò peggio come trattamento materiale,
ma posso avere anche i colloqui con te. Hai visto Mura? Cosa ti ha detto? Quell’amico
di S… ha spinto ancora affinché la mia faccenda sia mandata al T. M. I.? Mia Tilde fallo
far presto.
Qui si vive sembra con un incubo che veramente non è piacevole. Dall’avvocato va con
Carlo, ed a nome dell’avv. L. come ti ho detto l’altra volta. Mi raccomando di avere molta
prudenza sia per gli allarmi, sia per girare per la città, sia per non farti individuare. Sono
sempre preoccupato per te. È vero che stai bene? Vedesti poi Bruni? C’è poi un’altra
questione ed è questa: una volta che i ted mi abbiano passato al Trib. Mil. It. poiché per
me da parte delle autorità italiane non c’è mandato di cattura, se l’avvocato sa fare ed
ha molto tatto potrebbe anche procurarmi l’immediata scarcerazione. Certo che ci vuole
molto tatto e molta abilità altrimenti le autorità italiane spiccano subito il mandato di
cattura. Consigliati con Carlo.
C’è qui? Ha preso anche lui le ferie di ferragosto? Speriamo di no. Il G. che ha detto?
Con lui, sempre se la faccenda è già passata al Trib. italiano ti puoi far forte per dimostrargli, con l’evidenza dei fatti che a mio carico non c’è proprio nulla e tutto è frutto di
chiacchiere, quasi certamente, generate da me e poi adeguatamente aumentate da gente
che aveva interesse o voglia di farmi del male. Circa la definizione urgente della mia faccenda, sempre che veramente la cosa è come mi hai detto (sai, a volte mi prende la paura
che t’imbroglino) è Mura che può preparare la cosa presto e metterla subito all’esame,
parlando a chi deve decidere tanto più che mi conosce personalmente e mi stima come una
persona onesta e quindi innocente dalle accuse che mi sono state fatte.
Sono sempre col cuore sospeso in attesa di quello che si sta evolvendo nei miei riguardi
ed a volte mi prende lo sconforto: cosa vuoi, ora sono già 34 giorni di carcere che sto
scontando senza aver fatto proprio niente di male, anzi lavorando onestamente. Un’altra
cosa che mi ha messo più tranquillo è A. che tu mi assicuri non si è messo d’accordo con
E. non capisco perché tu debba ignorare E. Forse la cosa conviene ad A. Vedremo.
106
UBALDO PESAPANE
Quando uscirò mi renderò conto di molte cose che qui possono essere solo frutto di
supposizioni e di congetture. Mia Tilde, quello che hai fatto per me, per far risaltare la
mia innocenza mi riempie il cuore di tenerezza per te. Come farò a volerti bene come ti
meriti? Ci riuscirò? Quando penso a te e questo accade tante e tante volte nella giornata
mi sento il cuore così gonfio che quasi mi scoppia.
Ti desidero quanto tu nemmeno puoi immaginare. Se potessi ritornare presto a te.
A volte sento una certezza che mi solleva tanto il morale, a volte invece mi prende tanto
sconforto e non so cosa farei: Paolo e Giovanna cosa fanno? Mi pensano? Chiedono di
me? Mi cercano? Baciali tanto per me e devi dir loro che quando ritornerò faremo tante
belle passeggiate in bicicletta e che non andrò più a Milano.
Paolo ha avuto la sua nuova bicicletta? È contento? Tua mamma come sta? Il bambino
di S. è ritornato a casa? Sta bene ora? Della mia vita qui ho poco da dirti. Al mattino
aspetto la sera affinché passi la giornata, la sera aspetto il mattino affinché venga presto
un nuovo giorno.
Mi sono rimesso perché in quei 25 giorni in cella mi ero ridotto come un bruto.
Non riesco a leggere nemmeno un libro. Ho sempre la mente a quello che mi è accaduto
e che mi accade. Mia Tilde fa di tutto affinché presto io possa uscire di qua.
A volte mi prende un senso di soffocazione: desiderio di aria libera. E pensare che non
ho fatto niente di male.
Hai avuto informazioni sulle ragazze che ti avevo dato i recapiti? La Pozzi c’entra certamente. Mia Tilde, voglimi tanto bene e pensami tanto.
Riguardati, specialmente dagli allarmi e sta attenta bene a tutto. Non ti fidare di nessuno. Non vedi cosa mi è accaduto? Mandami un’altra saponetta. Abbiti riguardo. Salutami
Carlo e S. A quest’ultimo non gli dare tregua.
Baciami tanto i bambini. Salutami tutti. A te tutti i miei baci e le più dolci carezze e tutta
la mia riconoscenza per quello che hai fatto, fai e farai per me: io ti voglio tanto tanto
tanto bene. Ti bacio tanto tanto tuo sempre tuo
Ubaldo
Mandami tabacco per la pipa.
22) 15 agosto (1944)
Mia Tilde. Ho poco da dirti perché in questi giorni di attesa non faccio altro che … attendere che la mia faccenda si risolva.
Non sono stato interrogato e credo che non lo sarò mai da costoro perché non hanno
trovato niente di male a mio carico.
Stamattina mi sono fatto la Comunione: per una speciale concessione del cardinale tutti
noi siamo stati dispensati dalla confessione, quindi non ho fatto che andare in una altra
cella e là comunicarmi.
E’ stata una cosa così commovente che io e i miei compagni di prigionia piangevamo
tutti. Sono più tranquillo ma non vedo l’ora di lasciare questo luogo: dopo la tragedia di
G. vorrei che tutto si risolvesse subito.
Gli avvenimenti possono precipitare da un momento all’altro ed io sono qui, indifeso e
nelle mani di Dio. Hai visto il G.? Che ha detto?
107
UBALDO PESAPANE
Il fatto che della mia faccenda questi non vogliano occuparsene prova che io sono innocente e che quindi non sanno che farsene di me. Il G. queste cose le può capire facilmente
e nel caso spingere nel nuovo ambiente. Io dovrei senz’altro essere trasferito al Carc. Mil.
e questo, come ti ripeto, deve avvenire presto. Là posso avere i colloqui con te.
D’altra parte la mia permanenza qui, che ora dura da ben trentasei giorni di isolamento,
deve aver permesso di effettuare le indagini nel migliore dei modi ed in maniera più
completa. Non ti pare? L’avv. L. è quello che mi ha consigliato: sta tranquilla. Se esce
prima di me, come spera, mi difenderà e, siccome conosce bene tutti nel nuovo ambiente
potrà ottenere quanto più si può ottenere. Nel caso contrario, ossia che lui è ancora qui ha
consigliato quello che ti segnalai. Va bene? Mia Tilde, lo so che tu fai di tutto, ma abbi
pazienza se io continuo ad insistere: la lunga permanenza qui mi fa comportare come io
mi comporto.
Non pensare che ciò derivi da poca fiducia in te o da impazienza.
A volte mi prende tale sconforto da non credere al fatto che la mia faccenda non riguarda
più costoro e che tu sei stata imbrogliata. Allora puoi pensare che razza di pensieri mi
vengono e le ore di nera depressione che si susseguono. Mi riprendo poi quando mi convinco che io non ho fatto niente, assolutamente niente e quindi non dovrebbe accadermi
niente di male.
Non ti pare? Mi occorre una saponetta. Bisogna che tu mi mandi presto per un dottore
americano che è qui con me e non ha più niente: 1 paio di mutande vecchie (quelle di
Renato per esempio), 1 maglietta vecchia ed un paio di calze. E’ urgente, quindi ricordatene.
Mia Tilde volevo dirti che se per caso ti venisse a cercare E. fa come se tu non sapessi
niente. Ti penso tanto e ti desidero immensamente: passo lunghe ore a fantasticare ed a
pensare a tutto quello che vorrei fare con te: quando ritorno in me allora non riesco a
rassegnarmi di essere qui.
Penso tanto anche a Giovanna e Paolo ed il pensiero che anche loro due abbiano potuto
soffrire in questa dolorosa vicenda mi rende molto triste. Se sono pallidi fa fare loro
una buona cura ricostituente. Sono tanto contento che anche loro mi pensano tanto e mi
desiderano: è un pensiero che mi dà molto conforto. E tu? Come stai? Chissà come sarai
sciupata.
Mi raccomando tanto mia Tilde di riguardarti e di essere molto prudente. Temo sempre
che a Milano debba accadere qualcosa: non so un conflitto, un bombardamento e che tu,
per tutti i giri e le pellegrinazioni che vi fa ci dovessi trovare in mezzo. Sono sempre col
cuore sospeso. Sii prudente, mi raccomando.
Anche per questo motivo vorrei che la mia faccenda si risolvesse presto. Penso che è bene
che quando verrà la risoluzione di questa faccenda qui a Milano io sia già a casa con voi
per sopportare meglio insieme i disagi che naturalmente deriveranno dalla situazione.
Poi, come ripeto, mi preoccupa molto la questione delle rappresaglie.
In momenti poco felici costoro non guardano in faccia a nessuno: così mi dicono è avvenuto a Roma. Domani chissà se sarà tornato qualcuno di coloro che sono ora interessati
alla mia questione. Tu, in tutti i modi, prima telefona da casa. E’ bene che ti muovi a
108
UBALDO PESAPANE
colpo sicuro in modo da non fare viaggi inutili.
Qui sto bene. Certamente se cambierò ambiente non sarà più così, ma non importa: purché
tutto si avvii celermente verso la risoluzione farò qualunque sacrificio. Mia Tilde non mi
illudere però dimmi sempre la verità: anche se tutto questo si avvia verso una soluzione
tutta diversa preferisco che tu me lo dica francamente. Dimmi sempre la verità e fattela
dire. Cerca di parlare col G. e fatti promettere che mi aiuti ad uscire sul serio e digli che
non ti illuda. Va bene?
Scusa questa insistenza, ma tu non puoi credere quanto sia penosa la vita del carcerato,
quante tribolazioni, quante pene comporti specialmente in questi momenti così tragici e
di confusione. Baciami tanto i bambini e salutami tutti. Sii prudente e riguardati: fammi
stare tranquillo da questo lato. A te tutti i miei baci e le più dolci carezze, tutto il mio
amore infinito e le cose più dolci che tu puoi desiderare.
Ti voglio tanto tanto tanto bene e ti ho sempre nel cuore.
Tuo sempre tuo Ubaldo
Fonti
Per una bibliografia sul Carcere di S. Vittore di Milano negli anni 1943 – 1945 vedasi
pagina 184.
Heigl, P., 1989, Konzentrationslager Flossenbürg in Geschichte und Gegenwart. Bilder und
Dokumente gegen das zweite Vergessen, Mittelbayerische Druckerei- und Verlags-Gesellschaft
mbH Regensburg
Siegert, T., 1992 4, 30000 Tote mahnen! Die Geschichte des Konzentrationslagers Flossenbürg
und seiner 100 Außenlager von 1938 bis 1945, Taubald’sche Buchhandlung GmbH Weiden
Cantaluppi, G., 1995, Flossenbürg. Ricordi di un generale deportato, Mursia editore Milano
Borgomaneri, L., 2000, Hitler a Milano: I crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo,
Datanews editrice Milano
Benz, W., Distel, B., 2006, Der Ort des Terrors. Geschichte der nationalsozialistischen
Konzentrationslager. Flossenbürg, Mauthausen, Ravensbrück, Vol. 4, C. H. Beck’sche
Verlagsbuchhandlung München
109
UBALDO PESAPANE
1.
1. Fronte greco-albanese marzo 1941; il capitano Pesapane alla scrivania.
110
UBALDO PESAPANE
2.
2. Milano Carcere di San Vittore 4 agosto 1944. Biglietto postale di Pesapane alla moglie; corrispondenza ufficiale, sottoposta
a censura.
111
UBALDO PESAPANE
3.
112
UBALDO PESAPANE
4.
3.- 4. Lager di Bolzano 20 agosto 1944. Lettera di Pesapane alla moglie; corrispondenza ufficiale, sottoposta a censura.
113
UBALDO PESAPANE
5.
5. Lager di Bolzano 20 agosto 1944. Lettera di Pesapane alla moglie; corrispondenza ufficiale, sottoposta a censura.
114
UBALDO PESAPANE
6.
6. Milano Carcere di San Vittore 16 agosto 1944. Biglietto clandestino di Pesapane alla moglie. Annuncia la chiamata “per partire,
credo per andare in un campo di concentramento. Non ho un’idea dove”.
115
UBALDO PESAPANE
7.
116
UBALDO PESAPANE
8.
7.- 8. Seregno 3 dicembre 1944. Busta con lettera da Tilde Pesapane al marito Ubaldo nel Lager di Flossenbürg.
117
UBALDO PESAPANE
9.
9. Lager di Flossenbürg gennaio 1945? Cartolina postale ufficiale spedita da Pesapane alla moglie.
118
UBALDO PESAPANE
10.
10. Lager di Flossenbürg 5 novembre 1944. Lettera di Pesapane alla moglie; corrispondenza ufficiale, sottoposta a censura.
119
UBALDO PESAPANE
11.
11. 1945. Santino di Vittorio Gasparini, ucciso a Milano nella strage di Piazzale Loreto il 10 agosto 1944. Pesapane ne parla nel suo
biglietto clandestino da S. Vittore dello stesso giorno.
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UBALDO PESAPANE
12.
12. Programma del Partito del Reduce Italiano (PREI), presente alle consultazioni politiche nel 1946.
121
123
Vittorio Duca e la famiglia Nulli
Perchè questa donazione?
di Caterina Antonioli
E’ vero che i morti tacciono?
Il diario, il numero di matricola, il triangolo rosso con la stelletta e la fascia di capoblocco di
Vittorio sono rimasti a lungo nella nostra casa, silenziosi testimoni della storia di un uomo
coraggioso. Il giovane che li affidò a mia madre, morto a Mauthausen/Gusen nel marzo
1945, a un passo dalla liberazione, non libero e non redento, non è mai stato dimenticato,
anzi, grazie alle parole di mia madre egli è diventato una strana sorta di amico di famiglia,
era come se tutti noi l’avessimo conosciuto. Un amico, anch’egli travolto da quella forza
brutale che Carla Giacomozzi ha efficacemente definito “L’ombra del buio”.
Ora che la voce di mia madre tace, avvertiamo a nostra volta il bisogno di affidare questo
documento a chi si faccia garante della sua custodia e conservazione, affinché possa essere
utilizzato da ricercatori e studiosi.
Nella città di Bolzano Vittorio patì la sua prigionia, e così la nostra famiglia, più fortunata
di lui e dei moltissimi altri, uomini, donne e bambini che, deportati, furono condotti a morire. Non tace, la voce di Vittorio, e noi auspichiamo possa parlare ancora alle generazioni
future, testimoniando la sua verità. Vittorio non era quello che si dice un testimone passivo:
il triangolo rosso di deportato politico, la stelletta militare da lui applicata dietro il triangolo stesso, perché, come diceva Mariuccia “diceva sempre che se ci fosse stata una rivolta
nel campo, avrebbe potuto far valere la sua formazione militare per aiutare l’insurrezione”,
ci parlano di un soldato (“sono pronto, e non ho paura” scrive in attesa della deportazione
Oltralpe), ma molti spunti presenti nella sua cronaca riveleranno anche, a quanti vorranno
leggerla, un giovane sensibile e capace di tratti poetici e di calda umanità. Una persona da
non dimenticare.
Nella vostra città, che in questi anni ha fatto molto per “non dimenticare”, nostra madre
Mariuccia Nulli tornava volentieri. Essendo stata insegnante, aveva apprezzato in modo
particolare gli incontri con i giovani delle scuole medie e superiori dove, con la sorella
Rosetta e altri testimoni, si era recata per portare la propria testimonianza e per rispondere
agli interrogativi dei ragazzi. Parlava di questi studenti con grande simpatia e ammirazione,
per le domande intelligenti e acute che le avevano posto, per l’attenzione civile e rispettosa
che avevano rivolto a quei “tre vecchi” (come ironicamente definiva lo sparuto gruppo di
ex-deportati) e per il clima che si era creato durante questi incontri.
Si trattava del progetto didattico “Conoscere e comunicare i Lager”, curato dall’Archivio
Storico del Comune di Bolzano.
La scelta dell’Archivio Storico della vostra bella città come luogo “giusto” da dove la voce
di Vittorio potrà parlare, non è solo dettata dalla ovvia osservazione che lì si svolsero gli
124
VITTORIO DUCA
eventi della sua vita di deportato, ma anche dall’apprezzamento per il lavoro da voi svolto
nell’educare i giovani alla memoria storica.
Fra i motivi che ci hanno indotto a decidere devo annoverare l’amicizia e la stima personale che legava mia madre a Carla Giacomozzi, la persona che ha offerto l’opportunità di
ricostruire la vicenda del Lager di Gries anche alla nostra famiglia.
A Carla Giacomozzi, al Comune di Bolzano, a quanti hanno in qualsiasi modo aiutato nella
ricostruzione della memoria storica rivolgiamo perciò il nostro ringraziamento.
Informazioni sul possesso del documento.
Il diario fu affidato da Vittorio Duca a Mariuccia Nulli, deportata nello stesso campo di
Bolzano insieme ai membri della propria famiglia: il padre Lodovico, la madre Caterina
Spini, la sorella Rosetta col figlio Ennio.
Vittorio affidò il diario alle sorelle Nulli nell’imminenza della propria deportazione, avvenuta il 1. febbraio 1945 per Mauthausen, in un cui campo dipendente perì poco dopo.
L’amicizia e il senso di fratellanza instauratisi fra Duca e le sorelle Nulli durante la deportazione nel Lager di Bolzano è attestato sia da Vittorio stesso nel diario sia dalle Nulli nelle
loro testimonianze e nelle lettere dal Campo.
Un’ultima importante precisazione si rende necessaria per chi si ponesse la domanda:
“Come mai il diario non fu consegnato ai parenti?” Mariuccia e Rosetta, dopo la liberazione, cercarono di rintracciare la famiglia di Vittorio. Seppero che il padre, il colonnello
Giovanni Duca, era stato ucciso a Verona, assassinato dai nazisti nella sede della Gestapo
(Palazzo delle Assicurazioni), e che anche la madre era morta.
Questo rese impossibile la consegna dei materiali di Vittorio alla famiglia.
125
Notizie sulla vita e sulla morte di Vittorio Duca
Da anni cerco notizie su Vittorio Duca.
Più o meno da quando Mariuccia e Rosetta ci hanno parlato con stima di questo giovane che,
se non fosse morto di stenti e di violenza a 22 anni, credo sarebbe diventato un nome noto
nella vita pubblica italiana.
Purtroppo una forza inestinguibile, la forza del male degli uomini, lo ha ucciso e Vittorio ha
dovuto mettere termine al suo breve viaggio in questo mondo. Le tracce che però ha lasciato
dietro di sé sono talmente consistenti da avere meritato una riflessione e l’avvio di una ricerca, lunga anni. Ho interpellato persone e uffici in molte città, per ricostruire i dati anagrafici
e per poter disporre di qualche notizia su Vittorio. Grazie a lunghe ricerche ho rintracciato
la sorella di Vittorio, Paola, che vive a Roma e che nulla sapeva del legame con la famiglia
Nulli e dei materiali del fratello. A Paola Duca dedico il lavoro che ho fatto per Vittorio.
Come spesso accade in questo mio splendido lavoro, i contatti avviati portano su piste non
programmate ma importantissime per inquadrare i fatti e dare loro uno sviluppo.
Ringrazio l’arch. Mauro Artioli di Venezia, che come me è rimasto sconvolto dalla tragicità
di questa storia politica e familiare, oltre che dal silenzio che su di essa è gravato per decenni, e mi ha aiutato in modo decisivo nel rintracciare importanti documenti.
Vittorio nacque a Roma il 29 luglio 1922, figlio di Elisa Ascoli e di Giovanni Duca.
Il padre era Tenente Colonnello dell’Esercito e Comandante dell’Accademia Militare di Modena.
Ringrazio il dr. Bartolomeo Costantini, già Procuratore Militare del Tribunale Militare di
Verona, che ci ha inviato copia di uno dei fascicoli dell’Armadio della Vergogna, il fascicolo
n. 32 relativo al maggiore / Sturmbannführer SS Friedrich Kranebitter.
Vi sono raccolte informazioni, talora contraddittorie, circa l’attività di resistenza, l’arresto, gli interrogatori con torture, l’incarcerazione prima nel forte veronese di S. Leonardo
poi nella sede della Gestapo al Palazzo INA e l’uccisione del Tenente Colonnello Giovanni
Duca. Nel fascicolo vi è solo qualche accenno al figlio Vittorio, che condivise con il padre
l’organizzazione della lotta al nazismo e al fascismo della Repubblica di Salò.
Nel fascicolo si dice come nei giorni prossimi all’arresto di Giovanni anche la moglie Elisa
e la figlia Paola fossero arrestate e rinchiuse nel carcere di Venezia. Le due donne vennero
liberate il 28 agosto 1944, giorno della morte del Tenente Colonnello.
Nel fascicolo si accenna anche al legame di parentela con il cugino Francesco Borgongini
Duca, all’epoca Nunzio Apostolico in Italia, che si adoperò invano per salvare la vita del
Tenente Colonnello.
Alla memoria di Giovanni Duca nel 1948 la Repubblica Italiana ha conferito la medaglia
d’oro al Valor Militare. A Giovanni e Vittorio Duca la città di Verona nel 1955 ha intitolato
una strada.
Dalla fine del 1943 la storia del padre Giovanni alias Georgi Daniele e del figlio Vittorio
alias Dinas si intrecciano, e lo stesso destino unisce le loro vite e la loro morte.
126
VITTORIO DUCA
Giovanni Duca aveva organizzato subito dopo l’8 settembre 1943 dei gruppi di resistenza sull’Appennino modenese, in zona Pavullo / Lama Mocogno. Aveva con sé numerosi
uomini, tra cui molti ex allievi ufficiali dell’Accademia, e la bandiera dell’Accademia. Il
comando supremo militare presso il Governo dell’Italia liberata a Brindisi lo inviò poi ad
organizzare delle missioni clandestine in Veneto.
Padre e figlio furono arrestati insieme a fine marzo 1944, a S. Michele Extra (Verona) o a
Venezia, secondo due discordanti versioni, poi condotti nelle carceri naziste del Forte S.
Leonardo in Verona, e là interrogati. Vennero sistemati in due celle separate e non contigue.
A Giovanni pare venisse contestata attività di spionaggio, a motivo dei suoi contatti con lo
Stato Maggiore dell’Esercito Italiano nell’Italia liberata.
Trasferito nelle celle della sede della Gestapo a Verona, nel Palazzo INA, perché non avesse
contatti con il figlio, Giovanni fu ucciso per mano nazista il 28 agosto 1944.
In quello stesso giorno iniziò la deportazione del figlio Vittorio, ignaro della morte del padre. Vittorio fu deportato dapprima a Bolzano e poi a Mauthausen, con l’ultimo dei grandi
trasporti che partirono dal Lager di Bolzano. Dopo un mese e mezzo di permanenza nel
campo dipendente di Gusen 2 la giovane vita di Vittorio era già spezzata.
Vittorio compare sulla lista di arrivo nel Lager di Mauthausen del 4 febbraio 1945.
A Mauthausen Vittorio cambia “numero”: non più il 3427 del Lager di Bolzano ma il
126.168 del Lager di Mauthausen. A seguito di una selezione forse avvenuta nel breve periodo cosiddetto della quarantena, nello stesso mese di febbraio, Vittorio viene mandato nel
campo dipendente di Gusen 2.
Di Vittorio rimane traccia nella lista dei morti nei Lager di Mauthausen e Gusen che gli
alleati trascrivono in base al registro dei decessi tenuto dall’amministrazione nazista:
Vittorio Duca muore a Gusen 2 il 14 marzo 1945.
Il Fondo Vittorio Duca
Il Fondo Vittorio Duca è stato donato nel 2007 all’Archivio Storico da Caterina e Giuseppe
Antonioli di Iseo, figli di Mariuccia Nulli, e da Rosetta Nulli Bonomelli, sorella di Mariuccia e con lei deportata nel Lager di Bolzano.
Il fondo è composto da 4 documenti in carta e in tessuto per un totale di 52 pezzi singoli.
Tutti i documenti del Fondo Duca si riferiscono al periodo della sua deportazione nel Lager
di Bolzano e quindi agli anni 1944 e 1945.
127
Inventario del Fondo Duca
1) Triangolo rosso con stelletta
Triangolo in stoffa rossa con bordi ricuciti in bianco. Segnalava nel Lager la categoria a cui
veniva ascritto il deportato; il colore rosso era per i deportati politici.
Sul retro del triangolo è cucita in modo sommario una stelletta militare bianca in stoffa, ritagliata forse da una divisa leggera blu, che indica il grado militare di sottotenente. Vittorio
Duca era un allievo dell’Accademia Militare di Modena, e forse la stelletta proviene dalla sua
divisa e fu da lui clandestinamente cucita sul retro del suo triangolo.
Al triangolo è cucita con del filo nero la matricola.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
2) Matricola 3.427
Un pezzo di stoffa bianca di forma rettangolare, con bordi ricuciti, recante impresso a stampa
con inchiostro nero il numero di matricola 3.427 di Vittorio Duca.
La matricola e il triangolo di Duca sono cuciti insieme con filo nero.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
3) Fascia di capoblocco
Fascia da braccio in stoffa biancastra, con bordi ricuciti con filo nero. Su un lato esterno della
fascia sono impressi a stampa con inchiostro blu la sigla “BL. Ä.” e il numero di matricola di
Duca, 3.427.
La sigla indica la carica ricoperta da Duca di capoblocco (Blockältester) del blocco E dal 3 al
9 dicembre 1944 e poi del blocco D dal 10 dicembre 1944 al 31 gennaio 1945.
1944 deportazione: Lager di Bolzano
4) Diario
Nr. 48 fogli sciolti di vario formato, carta giallognola, scritti fronte e retro, numerati sul recto
dall’autore da 53 a 99. Al foglio 99 ne segue uno non numerato.
I fogli sono scritti tutti dalla stessa mano, la scrittura è in forma di diario. La scrittura è a
penna e a matita, anche colorata.
Il testo non è firmato ma la paternità del documento è attestata dalla dichiarazione dell’autore
che si autodefinisce “Vittorio Duca” nel testo.
Il diario è scritto nel Lager di Bolzano con continuità dal 22 ottobre 1944 al 30 gennaio 1945.
Si conclude a causa dell’improvvisa partenza dell’autore, avvenuta il 1. febbraio 1945.
Sul diario compaiono cancellature e rimandi dell’autore, che evidentemente usava rileggerlo
apportandovi correzioni e integrazioni. La scrittura è sempre ben leggibile. La trascrizione è
stata realizzata da Caterina Antonioli e da Bruno Mazza; revisione critica del testo di Carla
Giacomozzi. Gli errori evidenti sono stati corretti.
Il diario manca della prima parte, con i fogli numerati da 1 a 52, non conservata dalla famiglia
Nulli Bonomelli.
1944-1945 deportazione: Lager di Bolzano
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VITTORIO DUCA
“Triangolo Rosso”
Il diario di Vittorio Duca
dal Lager di Bolzano, 1944-1945. Trascrizione integrale
22 ottobre – La pacchia è finita. Mi hanno sbattuto nuovamente nelle camerate. Si era
sparsa la voce che nelle celle si stava troppo bene, e qualcuno si è creduto in dovere di intervenire per rimandare me e gli altri meno due nella folla delle camerate. Proprio ora che
ci eravamo organizzati un po’ bene! In tre in una cella con Rossoni e Vianello, con viveri di
conforto, un fornelletto a spirito fatto con una scatola di latta che funzionava tutto il giorno,
libri, da fumare, la porta sempre aperta per cui eravamo liberi di andare e venire a nostro
agio, insomma quasi come fossimo a casa nostra.
Poi non eravamo obbligati, anzi credo ci fosse proibito lavorare per cui nelle giornate di sole
me ne stavo semisdraiato all’aperto, sui mattoni, in compagnia delle sorelle Nulli, ragazze
simpatiche, o a fabbricare giocattoli per il bambino di Rosetta, una di queste. E la stufetta
che i Nulli e il Comandante avevano nelle loro camere? (Non posso chiamarle celle perché
erano troppo bene organizzate!) E le seratine fino alle 9/10 nel corridoio comune, chiuso
sì in fondo, ma con tutte le celle aperte anche di notte, per cui si faceva il chiasso fino a
tardi? Ora anche questo sollievo alla nostra condizione di sorvegliati speciali è finito. Sono
piombato in pieno nella peggiore delle camerate. Folla proletaria che sembra voler sfoggiare
tutte le peggiori caratteristiche della razza. L’80% poi appartiene ai bassifondi di Genova!…
La promiscuità che mi è sempre dispiaciuta mi opprime con tutta la sua malagrazia. Urlìo
continuo e implacabile, puzzo, sporcizia, e, temo, anche bestiole varie che passano di corpo
in corpo. E io che da giugno non ne avevo più! Ogni tanto faccio qualche puntata alle celle a
trovare i Nulli, Vianello e Rossoni e il Comandante che regnano indisturbati, presso i quali
ho lasciato un buon ricordo.
Ma non sono più in casa mia e poi “non v’è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice
nella miseria” .
E ora toccherà anche a me il lavoro. Non che mi spaventi, ma è questione di principio.
23 ottobre – Domani o dopo partenza. Questa volta ci sono anch’io, lo sento. Anche l’uscita
dalla cella e fine della segregazione è significativa. Ho già scritto la lettera per mia madre,
avvertendola. Così all’ultimo momento non sarò assillato. Perché in pochi minuti bisogna
essere pronti. Ho già visto parecchie partenze e so come si svolgono queste faccende. Ho
tutto pronto, come sempre e non ho paura.
24 ottobre – Sono partiti gli ebrei. Scena pietosa. Erano circa un centinaio tra uomini e donne. Quasi tutti malandati in salute due con la polmonite tutti affatto equipaggiati per affrontare un viaggio di cinque giorni e un campo di concentramento in Germania. Il più vecchio
aveva 85 anni. Era certo di non tornare. Però c’era anche un bambino di 8. Faccio rapide
fughe e sono costretto ad usare accorgimenti vari per evitare di essere accalappiato per il
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VITTORIO DUCA
lavoro. Werner il capolavori mi tiene d’occhio ma riesco sempre ad eluderlo. Voglio mettermi
a lavorare il più tardi possibile in vista di ciò che dovrò fare poi, in Germania. Immagazzino
energie e cerco di spenderne il meno possibile.
A sera cerco di riesaminare i sentimenti percepiti durante la giornata ma a volte mi sfuggono
come nebbia al sole. Perché la mia memoria è così labile? Il capo magazzino viveri ha avuto
oggi la notizia della morte del padre e dell’abbandono della moglie entrambe dalla stessa lettera di lei. Non sapevo se dispiacermi o congratularmi con lui. Dev’essere una cara donna quella
che pianta il marito che soffre in campo di concentramento! In questi mesi ho notato parecchi
casi di uomini che devono la loro permanenza in galera e deportazione alle rispettive consorti
o ai loro amanti. “Le cose che mi rendono tanto restio al matrimonio” direbbe Novello! Ho
aperto una scatola di marronite tra me Rossoni e Vianello le abbiamo dato un colpo un po’
forte, ma era un pezzo che non ne mangiavo. Mi ha ricordato la lontana notte del 1937, in collegio, quando con Silvio feci quella spedizione nella dispensa, giù nel seminterrato, vicino le
cucine. Era mezzanotte, tutti dormivano meno noi. Ci alzammo cercando di non far scricchiolare il pavimento della camerata e le scale di legno, e giù al buio fino alla porta nota. Silvio
che era più alto di me riuscì a togliere il paletto ed essa, forzata, si aprì. Non vedemmo i sacchi
di frutta secca né i pacchi di grissini né le altre leccornie che riempivano il locale.
I nostri occhi furono pieni di una cosa sola: la marronite.
Vedemmo subito un barattolo enorme. Ora calcolo dovesse essere circa 10 kili – ma allora non
calcolammo nulla. Con una accetta (ché nessuno altro strumento adatto trovammo sul luogo,
né noi eravamo scassinatori tanto organizzati!) spaccammo il barattolo in due parti, e una per
uno, a morsi e a linguate col naso il mento la fronte sporchi di marronite, ce la finimmo. Era
dolce, e si sfaceva in bocca come una crema. Né sentimmo rimorsi per un’azione che ora si
chiamerebbe “sabotaggio”. Morire per una convinzione è compiere il proprio max.
Ho saputo oggi della scena avvenuta il giorno dell’ultima partenza per la Germania. Un prete,
don B. giovane, segretario di un vescovo, tipo di sacerdote brillante, non avendo nessuna voglia di partire, da qualche giorno si era messo a spalare ghiaia sperando di passare lavoratore
fisso e così rimanere. Naturalmente aveva ricevuto promesse formali che poi all’atto pratico
si sono dimostrate invalide. In fretta e furia ha dovuto preparare la sua roba e partire come
tutti gli altri. Aveva molti pacchi, parecchie cose ingombranti, carico di tutto, un pacchetto gli
sfuggì e con il pacchetto un fiorito moccolo: Porco D…! La scena deve essere stata grandiosa, e chi me l’ha raccontato ne aveva ancora le lagrime agli occhi dal gran ridere. Il capitano
Dagrin degollista, capo di bande, partendo, mi ha regalato una delle sue due pipe. La fumo
volentieri. Mi ricorda le mie che i ladri mi hanno rubato.
25 ottobre – Sono diventato “aiutante di magazzino” perché un amico ha raccontato ieri sera
questa frottola per salvarmi dato che ero arrivato in ritardo all’adunata. Allora stamattina
sono andato là per offrire i miei servigi, in modo che in caso di controllo io sia a posto. Tutta
stamattina non ho fatto che piegare e impilare coperte. Lavoro comodissimo perché non ho
obblighi di assiduità né d’orario e vado quando non ho altro di meglio da fare. Mi sono fatto
raccomandare per andare a fare l’aiuto dentista, carica che è ancora vacante dato che il gabinetto è stato appena sistemato, mi pare che ci sia già un aspirante raccomandato dall’onnipotente Maltagliati capo campo per cui non ho speranze. Per ora continuo a piegare coperte.
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VITTORIO DUCA
Lavoro d’alto concetto che si adatta magnificamente al mio spirito!! Domani scadono i sette
mesi, dico sette, di galera e comincio ad esserne un po’ stufo. Mi accorgo che sono molti anche dalle facce che fanno i nuovi arrivati quando sentono questa cifra. Duecentodieci giorni,
e mi sembravano tanti quando erano 90 o 100! E il bello è che non è ancora finita né accenna
a finire. Con nuovi arrivi di oggi stasera siamo 1258. Il che significa che in questa settimana
ci sarà un convoglio per il Nord. Sarò anch’io nel numero questa volta?
26 ottobre – Vorrei fare un elenco delle notizie false più madornali che ho sentito circolare
in galera. E’ una cosa impressionante perché più esse sono infondate e fantastiche, più prendono piede. C’è una mentalità speciale in questi ambienti, che accetta per buone le fandonie
più grosse, senza curarsi minimamente di verificare se la fonte o la notizia stessa hanno o
no un fondo di vero e di certo. Come linea di massima ho notato questo però: le notizie che
più fanno piacere sono le più credute! Per le altre si resta scettici e nel nostro intimo le si
classificano immediatamente come “false”. Per citare alcuni esempi: Al tempo dell’attentato
del 20 luglio, Hitler sarebbe stato morto e sepolto. Firenze sarebbe stata conquistata dalle
truppe angloamericane circa due mesi prima della presa effettiva.
A S. Leonardo in luglio un giorno si sparse la voce che i tedeschi stavano preparando cartelli
indicatori con la scritta “Nach Brenner”. Varsavia, secondo la radio-bugliolo, sarebbe stata
raggiunta 3 o 4 volte. Una volta si disse che i russi erano arrivati a Praga!!!!
Era il sobborgo di Varsavia omonimo, nel quale erano stati distrutti reparti partigiani.
Qui poi circolano le notizie più svariate nei riguardi dei principali personaggi del campo.
Ora si è scoperto che un certo croato è nientemeno che il cugino del tenente Tito Comandante del campo! Oggi poi la più grossa di tutte: Himmler sarebbe morto, Hitler ferito in
un attentato. Poi le ultimissime hanno portato che il generale Com.te le SS in Italia sarebbe
arrivato e ripartito in fretta e furia per Berlino (poi è diventato Belluno!). Qualcuno ha visto perfino i telegrammi che gli imponevano di partire… Io, per regola, non credo a nulla.
Accetto tutto ciò che gli eventi mi portano, tanto non potrei fare altrimenti. Altre notizie
false: gli inglesi sono sbarcati a Amburgo (15 ott) la Svizzera ha permesso il passaggio alle
truppe alleate (21 ottobre)!
27 ottobre – Ascolto e per quanto mi è possibile non partecipo a discussioni politiche che
non hanno capo né coda. Mi domando come si possa pensare alle lotte interne in un prossimo
domani nel quale non avremo da mangiare. Credo che la mia coscienza politica, che si sta
formando in questi mesi di galera, quando uscirò mi porterà a essere un feroce apolitico.
E mi piazzerò in cima ad una montagna dove formerò la “Repubblica Vittoria Duca”. E guai
a chi mi verrà a seccare!
La falsa notizia del giorno: Tutti gli uomini della SS del campo se ne sono andati. Hanno
lasciato al loro posto la polizia campestre locale.
28 ottobre – Oggi Mussolini avrebbe dovuto parlare da Palazzo Venezia!
Ultime notizie false: I russi sono a Lubiana. Hitler e Himmler sono morti ma il comando
tedesco non ne dà l’annuncio per avere una pace condizionata. (7 sett. Americani sbarcati a
Fiume. 10 sett.: no, a Trieste!)
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VITTORIO DUCA
29 ottobre – Quando sono uscito dalla baracca alle 6 ho visto che la neve si è avvicinata anche
sulle vette dei monti che cingono la vallata. Le montagne più lontane, già bianche da giorni,
erano più bianche del solito. Comincia a fare freddo. Parlando con Don Gaggero gli ho chiesto
se secondo la religione cristiana una persona non perfettamente credente che si comporta secondo la propria coscienza e secondo una morale che coincide in linea generale con la morale
istintiva universale, questa persona può ottenere, dopo la morte, quello che i preti chiamano la
felicità eterna. Discusso sulla riuscita o meno della venuta del Cristo in terra, e sull’esito del
programma da lui prefissosi, dal punto di vista sociale. E’ cambiato l’uomo? Sono differenti le
condizioni? Io sono un po’ scettico.Le scarpe alte con la suola di legno che ci hanno distribuito, preservano benissimo dall’umidità e dall’acqua. Ho adottato anche le famigerate “pezze da
piedi”! La notte scorsa sognai di fuochi artificiali. Ricordo il particolare di un razzo verde che
invece di andare dritto verso il cielo come gli altri partiva velocissimo quasi orizzontalmente,
picchiava contro il muro della baracca rimbalzava sprizzando in altra direzione poi finalmente
si dirigeva in alto spegnendosi.
30 ottobre – Da un proverbio cinese: Si è padroni veramente solo di quelle cose che si è pronti
a perdere ad ogni momento. Mi sembra molto adatto a situazioni come questa.
Una bionda mi ha chiesto perché io fossi così “orso”. “Non ho mai visto un ragazzo così serio”
mi ha detto. Ha detto questo forse perché sono uno dei pochi che non le faccia la corte ma confesso di essere rimasto un po’ male. Sono così cambiato dunque che le donne mi trovano scontroso e distante? E’ un fatto, che io mi tengo il più possibile lontano dall’elemento femminile
non so neppure perché. Mi limito a relazioni puramente culturali con le sorelle Nulli a base di
scambio di libri che commentiamo assieme, e di qualche lezione di inglese che impartisco a
loro che sono principianti, come meglio so e posso. Fortunatamente ho fatto un po’ di pratica
col capitano Barda il primo mese, che ora mi è molto di aiuto.
Ascolto volentieri parlare il Maestro Gurtler, Direttore del Conservatorio di Dresda col quale
sono in ottimi rapporti, persona coltissima e simpatica, anima d’artista morbida come ovattata
nelle sue estrinsecazioni oratorie. Nella gioia e nell’abbattimento esplode musicalmente come
la sua natura l’ispira. Cita, compone, improvvisa con facilità data soprattutto dall’esperienza.
E’ viennese. 56 anni.
Ho spaccato legna tutto il pomeriggio. E’ un lavoro leggero che non obbliga la mente la quale
è libera di seguire le divagazioni più svariate, e per questo mi piace.
Chiacchierato a lungo col Col. Pizzini ex ufficiale effettivo di cavalleria, col quale naturalmente abbiamo parlato di cavalli tutta la sera. Ufficiale vecchio stampo (era sottotenente nel
1905) distinto, concorsista, discorro volentieri con lui. Mi accorgo di stare molto più volentieri
in compagnia di persone anziane che non di miei coetanei. Questi in gran parte non soddisfano
il bisogno spirituale: possono solo a volte essermi di buona compagnia nell’attività sportiva.
31 ottobre – La giornata è stata nera. Un disgraziato della mia camerata ha denunziato un
compagno accusandolo di avere armi. È seguita una perquisizione generale in tutte le baracche
mentre noi eravamo chiusi nel recinto. Poi la perquisizione personale, e tutto è durato dalle
11 alle 16. A quest’ora finalmente abbiamo avuto il rancio. E’ seguita una scena disgustosa in
quanto la spia, che già ha dei precedenti, sentendosi padrona del campo poiché grazie a lei 42
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VITTORIO DUCA
di noi sono stati messi in cella, è entrata tra di noi minacciando di denunzia coloro che più le
erano antipatici. Il capo calzolaio, tipo piuttosto rude, saputo questo ha mollato a “Carrara”,
così è chiamato, due potentissimi schiaffi. Quello è partito direttamente al Comando dove
ha fatto la sua denunzia, per cui anche il capo calzolaio è stato fermato. Tutto il campo è in
subbuglio per la malvagità dell’individuo. Io sono molto giù di morale. Mi disgusta questo
indegno modo di agire, scombussolandomi tutto. Credevo troppo al buono al bello al bene, e
ogni giorno mi accorgo di più della bassezza dell’anima nostra.
Ad ogni caso nuovo invece di abituarmi mi trovo più scosso. E divento sempre più scettico
sulla possibilità di miglioramento delle masse. Ho mangiato poco stasera e una forte emicrania mi opprime. Conseguenza certo di ciò che ho visto.
La bionda di cui sopra mi ha fatto una dichiarazione molto esplicita. Sono rimasto stupitissimo di non aver provato nemmeno un leggero sentimento di soddisfazione dato che la ragazza
è corteggiatissima e affatto male (pag. 74).
Sono sempre troppo lontano con la testa da simili argomenti, tanto che anche i sensi restano
indifferenti anche se la mela si offre dolce, fresca e appetitosa, dall’albero.
Le donne sono come le stufe: più ci si appressa più si vorrebbero avere vicine.
2 novembre – Penso agli amici morti. E sono già quasi due mesi. L’avvenire lo vedo come il
fondo di un pozzo in una notte di luna: un nero incommensurabile con una luce splendente nel
mezzo ma tremolante ancora prima di fissarsi: la libertà. Leggo in Jünger “Giardini e strade”:
Al momento in cui la patria giace a terra, cominciamo a conoscere la fonte più profonda del
dolore di cui tutti i mali individuali che ci opprimono non sono che vene secondarie.
Assistito a una scena poco edificante: l’ineffabile Maltagliati capo campo, andando, con
una guardia, a togliere 3 di quei disgraziati dell’altro giorno dalle celle larghe un metro e
umidissime per rimetterli in camerata, si è preso il gusto di far loro uno scherzo, dicendo di
prepararsi perché andavano alla morte. Il comunista fervente che fa ad alta voce dichiarazioni
di fede era calmo e sicuro. Il napoletano alto, naso grande leggermente aquilino, tipo arabo,
era bianco di paura gli occhi infossati e arrossati e non riusciva a riprendersi dalla scossa.
Qualcuno ha definito la cosa uno “scherzo alla Maltagliati”.
Pizzini Col. Gurtler
3 novembre – Se dovessi dare un titolo a questi miei ricordi sarebbe “Triangolo rosso”.
La falsa notizia del giorno: Le truppe di Tito sono a Zara e i russi a 15 km. da Budapest.
6 nov.: La falsa notizia del giorno: Il campo non sarà più di passaggio ma verrà trasformato
in vero concentramento. Le notizie più strane hanno un fondo di verità che spesso non è altro
che nel desiderio nostro. In questo caso è la volontà di non partire che fa spargere una simile
voce.
E’ scappato Cinelli molto abilmente. Se n’è andato alle 9½. Alle 10 tutto il campo lo sapeva
meno il comando che alle 2 se ne è accorto. I marescialli erano neri e volevano sapere perché
e percome.
7 novembre – Sbarco a Trieste. Questa è l’ultima.
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VITTORIO DUCA
9 novembre – La falsa notizia del giorno: Ultimatum russo ai tedeschi per cui se entro oggi
non accettano condizioni armistizio inizieranno rappresaglie aeree su Germania. Durante l’allarme giornaliero sette sono scappati dalla Galleria dove erano a lavorare.
Il bello è che li sorvegliava Max il quale si era vantato che a lui non è mai scappato nessuno.
Lo chiamano: la “V1”. Parlato con Sergio e Gallo Bona di astronomia, biologia, chimica.
Veramente hanno parlato loro ché io in materia sono a terra. Entrambi studenti universitari
veri politici finalmente, cosa rara. Con loro, come con altri come loro, mi accorgo della mia
ignoranza generale che si oppone a quella vaga cultura generale che credevo di avere. Proviamo la stessa necessità di astrarsi ogni tanto dalla materialità dell’argomento gastronomico che
domina normalmente ogni conversazione. Discusso sul decadentismo e sulla quasi morbosità
di molti nostri scrittori attuali.
Ricordo nei giorni di settembre le lezioni impartite da Barda e Ferrini di Economia Politica e
di Fisica che ci facevano passare degnamente qualche ora al giorno, interrotte tragicamente al
mattino del 12.
10 novembre – Comincia il freddo. Vedo giorno per giorno aumentare il lenzuolo di neve
sulle Montagne Lontane, mentre le Montagne Vicine ancora vergini, ben lavate dai frequenti
acquazzoni, sembrano pronte a riceverlo.
La stufa del magazzino borbotta continuamente, e le mele friggono dalla buccia scoppiata
mente cuociono ammorbidendosi. Tra le fessure del tetto, tra le tegole scomposte fischia la
tramontana: Triangolo rosso
(Da fog 61 bis) In questi casi ho sempre reagito negativamente. Il nostro istinto mascolino è
troppo desideroso di conquiste per accettare ciò che si oppone senza combattimento.
Vorrei cambiare camerata e passare alla B dove c’è gente un più civile. Ma dovrei chiedere
favori e seccare della gente cosa che cerco assolutamente di evitare. E’ forse un orgoglio stupido che mi impedisce di chiedere alcunché ad altri, ma sono troppo circondato da gente che
si agita e si dà da fare per accaparrarsi il posto o la carica.
Il mio spirito reagisce così – Sono ormai uno dei più anziani del campo, e sono ancora piantone al magazzino. Ma non m’importa. Non voglio nulla da nessuno purché mi lascino in pace.
13 novembre – Poco fa s’è sparsa la notizia che il nuovo capo campo, che funzionava da pochi
giorni è fuggito elegantemente. Poi è venuta la conferma e i particolari.
Ragazzo in gamba, maggiore d’aviazione mutilato di un occhio. Ecco uno al quale il n. 13 ha
portato fortuna.
14 nov. – La malattia è contagiosa, altri tre sono scappati oggi ma purtroppo due sono stati ripresi. E’ comprensibile questa euforia di libertà che segue ogni fuga sensazionale. Dato che il
sogno di tutti è: scappare, esso evolve naturalmente verso l’idea: “Se quello è riuscito perché
non io?”. E così aumentano i tentativi. Naturalmente quelli che sono ripresi pagano per tutti,
e allora sono dolori.
L’ultima notizia falsa: i russi a 50 km da Vienna.
15 nov. – Alzandomi ho visto la prima neve. I tetti erano coperti di uno strato leggero e a terra
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VITTORIO DUCA
era tutta una fanghiglia mista di fango e d’acqua. E’ una neve brutta, calda e bagnatissima che
si scioglie subito. Più tardi cadeva a larghe falde che sembravano finte (?). Ma non dura. Già
cominciavano, lo scirocco e il sole, l’opera di scioglimento. Domani se non gela stanotte, non
ci sarà più nulla. Anche i Monti Vicini sono tutti incappucciati. E il Castello di Sigfrido.
Ultimissime (false naturalmente). Russi a 200 Km da B. e inglesi a S. Remo.
E il F. in fin di vita. Quod melius?
18 nov. – Scampata un’altra spedizione. Ma i timori non sono finiti ché domani o dopo ce ne
sarà un’altra. Rossoni Vianello e altri amici sono andati.
19 nov. – Mentre esplicavo le mie importanti mansioni di piantone al magazzino, spaccando la
legna per la stufa, stamattina Meschi mi ha preso da parte chiedendomi: “In tutta confidenza
quali sono le tue idee politiche?” Ho esposto in due parole le ragioni del mio arresto, la mia
posizione, il mio apoliticismo, le mie tendenze al liberalismo. Dopo di che mi ha detto che
questo mi confermava la nomina a capo blocco dell’F come nelle alte sfere era stato stabilito.
Tutto ciò a mia assoluta insaputa. Mi ha aggiunto che c’è bisogno di gente come me perché
sono persona a posto ecc. Credo che la mia sincerità alla sua domanda l’abbia deciso. Sono
contento perché così la smetterò di avere a che fare con le mutande sporche e le camicie del
mio prossimo e tutto ciò senza aver fatto la minima pressione, essendo completamente al di
fuori delle varie organizzazioni e camarille politiche locali, anzi, forse proprio per questo.
Mi sono messo in contatto col furiere e il consigliere del mio nuovo blocco, persone anziane
e, pare, rispettabili. La mia età mi mette in posizione un po’ difficile, perché i miei nuovi colleghi sono tutti molto più vecchi di me e dovrò molto barcamenarmi. Non adotterò il sistema
del “tutto da rifare” ma naturalmente avrò da litigare con parecchia gente. Vedremo. Domani
la nomina ufficiale e l’insediamento.
20 nov. – Preso possesso del mio blocco. Circa 80 persone da curare, far lavorare, amministrare. Lavoro per me interessante. Mi riesce bene. Nessuna fatica.
21 nov. – Avvengono dei cambiamenti nella mia forza. Ora ho 62 uomini tutti classificati
pericolosi. Ci hanno chiusi nel nostro recinto come belve.
Torno indietro di tre mesi. I miei uomini sono contenti di come vanno le cose al mio blocco.
Cerco di fare il loro interesse in tutto. La massa bisogna aiutarla perché risponda. Uso generalmente le buone maniere e per ora vanno bene.
23 nov. – Continua la nuova gestione del Bloc F con vicende varie. Stasera siamo 90. Poiché
i miei uomini debbono stare sempre chiusi e io solo posso circolare, il comando ha disposto
molto intelligentemente che non potendo io avere la chiave debba stare o fuori o dentro.
Come faccio a fare il capo blocco così non lo so.
Dispongo di un furiere, Scapaticci, quotato ingegnere ferrovie e un consigliere Rocca che
però non possono aiutarmi che in parte, non potendo uscire. Perciò devo fare tutto io. Sgobbo
un po’ di più ma sono più sicuro di quello che viene fatto. Oggi che in mia assenza durante la
vendita delle mele sono successi dei pasticci e gli indigenti ne sono rimasti privi, ho avuto la
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VITTORIO DUCA
soddisfazione di sentire dire: “Per forza, mancava il c. blocco!”
Manfredini.
24 nov. – Scena col repubblichino. Ho punito uno lasciandolo senza pane. Dopo gliel’ho dato
però. Già mangiamo poco abbastanza. Ascoltato Caleffi parlare della differenza tra democrazia cristiana e socialismo. Con Rocca, Scapaticci e altri. Non trovo ancora una idea politica
che mi attiri veramente. A tanta indifferenza ha potuto portare il fascismo tra noi giovani.
25 nov. – Da Venezia mi è arrivato dello zucchero della cioccolata e altro. Brevi tuffi nell’abbondanza e nella leccornia. Compromessi con la gola. Un anno fa oggi, cominciavo le mie
avventure. Come passa il tempo!
27 nov. – Di fronte ad alcuni casi specifici mi sono posto il quesito: Esiste l’onestà assoluta?
O non è anch’essa in funzione del nostro particolare modus vivendi, nel quale entra in gioco
in buona parte anche l’eterna questione del trave nell’occhio e della pagliuzza?
3 dicembre – Domenica movimentata per il cambiamento di blocco. Andiamo in quello delle
donne, blocco E, e queste da noi. Guadagnamo nel cambio. Molto da fare per mobilitare tutto
col più ordine possibile. Gli uomini sono eccitati dalla novità dopo tanta monotonia, e fanno
molta confusione. Tutto procede abbastanza regolarmente tranne un momento in cui uno è
andato con tutta la sua roba nel blocco nuovo: altri l’hanno seguito e in un istante la massa si
precipitava brutalmente per la caccia al posto migliore. Con qualche urlo li ho ricacciati tutti
nuovamente nel recinto.
4 dicembre – Mi sono costruito una piccola fureria per isolarmi un po’ dagli altri. Cartone,
un telo tenda una coperta e l’ufficio è fatto. Novaro, qualificandosi per ten. di vascello (effettivamente non era che capitano di porto) mi ha quasi rimproverato perché io non lo tratto
col dovuto rispetto. Questo perché gli ho rammentato che anche in galera tra gente civile
sussistono norme di buona educazione. Ieri sera me n’ha fatta un’altra, per cui all’adunata di
stamattina, senza fare nomi ho avvertito coloro i quali vantano diritti per essere stati ufficiali,
di ricordarsi 1° che cosa sia la disciplina, 2° la buona educazione, 3° il cameratismo. Questo
perché molti dimenticano la delicata posizione nella quale mi trovo e non agiscono con la dovuta comprensione. Ma credo la lezione sia servita.
6 dicembre – Nuovi arrivi. Il mio blocco aumenta sempre stasera ho 102 persone sotto di me.
Ho fatto venire in fureria i nuovi uno ad uno per sapere i loro nomi e qualcosa di loro.
Di essi tre sono notevoli: 2 olandesi, uno dei quali ufficiale è stato ripreso il mese scorso dopo
essere fuggito per ben sette volte.
Un certo Giovanni Marconi qualificatosi studente, agente di polizia fiscale e inventore, tipo di
paranoico, occhi di pazzoide tendente alla delinquenza testa grossa alla fronte zigomi larghi
mascella forte. Ha raccontato una lunga storia nella quale egli era l’inventore incompreso,
sfruttato e bistrattato dalle diverse nazioni che se lo contendevano. Ho saputo però che la sua
non è che il banale plagio della storia di Ulivi (?) il quale durante l’altra guerra ha avuto una
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VITTORIO DUCA
serie di avventure per questioni del genere. Mi diverto a interrogare questi nuovi quando
sono ancora freschi e spaesati in modo che posso valutarne più facilmente l’essenza, anche se
la reticenza naturale ispirata dall’ambiente nuovo ne limita le confessioni.
7 dicembre – Ho piantato una grana col comando. Perché ai miei otto uomini nuovi ieri sera
al magazzino non hanno voluto dare i pagliericci e hanno dormito sulle tavole. Stamattina
sono andato nuovamente a chiederli e quel soldato SS che hanno messo a capo del magazzino
(una bestia) mi ha detto di arrangiarmi con quelli che crescevano certamente nel blocco.
Ho risposto che avendo io una settimana fa versato al magazzino ben 40 pagliericci in più
come da ordine ricevuto non ne avevo più nemmeno uno. Mi ha mandato via in malo modo
dicendo di tornare al pomeriggio. Vado oggi e lo trovo sulla scala che faceva trasportare in
magazzino pagliericci nuovi. Rinnovo la mia richiesta e mi fa rispondere dall’interprete che
pagliericci per me non ce n’erano.
Rispondo secco che sarei andato al Comando e comincio a scendere la scala. Mi prende per
un braccio violentemente, mi trascina dentro, chiude la porta, mi appioppa un ceffone e mi
urla che guai a me se mi fossi azzardato ad andare al Comando, e che non avrebbe mai più
voluto vedermi in magazzino.
Con un orecchio rosso che si gonfiava sono partito diretto al Comando deciso a presentare
la grana e a dare le dimissioni da capoblocco se entro sera non avessi avuto soddisfazione.
Trovo il capo campo al quale riferisco la cosa e le mie intenzioni e questo ne riferisce immediatamente al com.te Haage in modo che due minuti più tardi tornavo al magazzino trionfante
con la parola di Haage che avrebbe sistemato la cosa, un biglietto di sua mano con l’ordine
di consegnarmi immediatamente 78 pagliericci e altrettante fodere per cuscini ossia la differenza tra il totale dei posti del mio blocco e i posti occupati. 180 e 102.
Al magazzino tutti attendevano trepidanti la scena perché quell’animale usava trattare tutti
con schiaffi e calci. Ero furente e trionfante, disposto a prenderne ancora ma ad ottenere
quanto spettava ai miei uomini.
Quando ha visto il biglietto s’è calmato subito. Ha abbassato il tono e ha chiesto il perché dei
78 e non 8 come mi erano necessari. Alla mia spiegazione ha risposto che intanto me ne dava
8 e che poi gli altri… Ho detto aver l’ordine per 78 pagliericci e 78 guanciali e non altro.
L’interprete Noels olandese, mi guardava spaventato di tanto osare, ma la bufera (?) non s’è
scatenata. Si è limitato a insistere che oggi mi avrebbe dato gli otto necessari e che per gli
altri avrebbe chiesto al Mar. Haage. Siamo rimasti d’accordo così e mi sono contentato.
Ma spero la cosa non finirà lì. L’uomo deve saltare.
10 dicembre – Chi sono A.M.B. e Beppe? Ancora un cambiamento. Pizzini capoblocco D ha
fatto una gaffe per cui per punizione l’hanno passato al mio blocco; ed io al suo. Ho adesso
150 uomini. Formano una squadra sola che va a lavorare la mattina e torna a sera. Tutto il
giorno sono solo, con quei due o tre malati che marcano visita. Vita da pascià.
I miei uomini sono tutti cadorini e friulani, migliori certo dei genovesi con i quali ho avuto a
che fare fin’ora. Li tratto bene, e questo ha fatto molta impressione, perché Pizzini li trascurava molto. Questo dalle loro stesse confessioni.
Quando la massa ha un fondo buono bisogna trattarla con le buone maniere e interessarsi ad
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VITTORIO DUCA
essa se se ne vuole ottenere qualcosa. Solo così si possono avere gli uomini alla mano. Non ho
nessuna esperienza di comando, e qui sto facendo la mia “prima nomina”. Alcuni si sono meravigliati nel vedermi fare il capo blocco sul serio e non prendendo questa carica solo come un
modo di scansare fatiche più gravose. Non hanno capito che a questo tirocinio mi sottopongo
con entusiasmo perché, con le riserve dovute alla particolare situazione, non faccio altro che
il mio mestiere.
11 dicembre – Da tre giorni abbiamo quattro dita di neve e tutto, attorno, è bianco. La fortuna mi perseguita. Ho cambiato blocco il giorno prima dell’arrivo nel mio ex di altre 150
persone. Ora là sono stretti come sardine e Pizzini, al mio posto, diventa matto.
12 dicembre – (testo cancellato)
13 dic. – Ho scampato un’altra partenza. Pane ai partenti.
15 dic. Mi hanno proposto di fare il capo blocco A. Mi sento grandemente onorato di assurgere
ai fasti del cosiddetto “blocco dei nobili” ma ho rifiutato dicendo che le cose amo farle sul serio e non ho voglia di andare a fare il burattino tra le mani della cricca dell’A. Mi hanno invece
rassicurato che con la partenza di ieri l’ambiente è cambiato, che quasi tutti sono d’accordo
con me, che io sono libero di fare le cose seriamente e sarò anzi appoggiato, insomma ho finito
per accettare. In fondo è un chiaro riconoscimento che qualcosa di buono so fare anch’io. Un
capo campo è andato dal maresciallo a propormi ma questo non mi ha accettato. Ne ignoro le
ragioni e vorrei tanto saperle. Ho due spiegazioni possibili: la mia età, in un blocco difficile
come l’A, oppure la scena successa ieri. Sto cerando di sapere.
17 dic. – Mi sono arrivati 50 partigiani dal Piemonte. Tredici di essi hanno chiesto di fare
domanda per arruolarsi nell’esercito della repubblica. Ora siamo 200.
Ho trovato finalmente un po’ di tabacco in foglia e scrivo fumando una buona pipa sdraiato
sulla mia cuccetta a lume di candela perché le luci sono spente dato l’allarme in corso.
Il moccolo fuma e annerisce la mensoletta sulla mia testa. Fuori, abbaiano i due cani lupi,
sguinzagliati. Gli uomini dormono e russano. Penso a tante cose lontane nel tempo e nello
spazio. Poi soffio sulla fiamma per risparmiare la candela.
21 dicembre – Cambiano le stagioni ma continua questa vita di galera. Ci sostengono la speranza e l’istinto di conservazione.
La maggior parte dei miei uomini sono boscaioli friulani o cadorini. Hanno dei nomi strani
alcuni armoniosissimi come:
Antonio Costan Stento
Leonardo De Bernardin Stadoan
Romano De Zolt Coletta
Carlo Martin Barzolai
Gianfiore Pontil Scala
Aurelio Pradetto Cignotto
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VITTORIO DUCA
Valentino Zampol
Ne ho scelti solo alcuni, ma sono tanti che suonano così. Nomi che al pronunciarli si sente
il profumo dell’abete e il sapore dei mirtilli.
24 dicembre – Vigilia triste malgrado la grappa che per l’occasione abbiamo trovato ottima,
forte, di quella fatta in casa. Oltre alla minestra abbiamo mangiato un pezzetto di salame
e pane bianco con marmellata. Al blocco E è stato scoperto un tentativo di fuga. Avevano
scavato un tunnel dal fondo della baracca usciva due metri fuori dal muro di cinta. Per punizione sono rimasti 12 ore in piedi all’aria aperta senza mangiare né a mezzogiorno né a sera.
Sei sono svenuti. L’albero di Natale però splendeva di lampadine nel cortile gelato. Gentile
pensiero dell’autorità costituita. Tutti sono a letto presto e pensano certo alla famiglia come
io ci penso.
25 dicembre – Ho lavorato tutto il giorno perché gli uomini sono in vacanza e ne approfittano
per soddisfare i loro infiniti bisogni. Colazione discreta. 1 bottiglia di grappa.
1 gennaio 1945 – Abbiamo atteso la mezzanotte in piedi. Anzi abbiamo fatto le 2. Ma non
tutti. La massa cadorina se n’è andata a letto alle 8 come sempre disdegnando la veglia allegra.
Veronesi e Piemontesi invece hanno fatto baccano con me. Ho lasciato da parte l’austerità
d’ogni giorno per fare un po’ di chiasso anch’io in simile occasione. Musica, naturalmente
jazz, con strumenti improvvisati e il solito spettacolo di varietà di ogni comitiva riunita a
festa. Tranne un po’ di malinconia quando hanno cantato “Mamma”, l’allegria non era troppo
voluta. Abbiamo bevuto 2 litri di grappa e 1 di vino in tre; ciò nonostante non sono riuscito a
sbronzarmi come avrei voluto. Pensando alle speranze con le quali si guardava al 1944 c’è da
essere un po’ scettici nei riguardi di chi auspica per il ‘45 migliori eventi.
3 gennaio – Lotta aperta contro furti, ricettazioni, mercato nero. E’ stata scoperta una intera
banda che operava nel blocco G con ramificazioni agli altri blocchi. Da me, dopo indagini di
una mezza giornata ho scoperto il ladro e il ricettatore di un passamontagna rubato al blocco
E contiguo al mio. Il reo confesso è stato punito con un cartello dietro la schiena così
concepito:
IO SONO
UN LADRO
5 gennaio – Le folle si muovono non con idee ma con sentimenti semplici, con particolari
ovvi e tangibili.
8 gennaio – Nuova spedizione per la Germania. Ho scampato anche questa. Il blocco E è
partito quasi al completo. Molti amici anche questa volta sono andati via. Rocca, Caleffi,
Lodigiani Chilò. Da questo qualche giorno fa ho avuto un incarico di fiducia. Indagare sulla
fine che hanno fatto certi oggetti affidati da Marianna S. a Girardoni emerito farabutto. Avevo
già tre piste da seguire ma ora sono un po’ a terra perché molti degli indiziati sono partiti.
12 gennaio – Colta a volo all’adunata del mattino: 12° gradi sotto zero. Dopo mezz’ora
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VITTORIO DUCA
finalmente l’attenti e il “cappelli giù”. Qualcuno mormora sull’inutilità della cosa. Una voce
fa: “Questa è l’unica cosa che faccio volentieri!” Mormorii di protesta. “Sì, perché io il cappello me lo levo soltanto davanti ai vivi!”. Il colmo dell’ironia: mi è capitato tra le mani un
foglio di una rivista di propaganda turistica. Sopra una bella fotografia di montagne coperte
di neve, di abetine folte, nereggianti nel candore sparso, un titolo con invito: Visitate l’alto
Adige! Non ci mancava che questo.
15 gennaio – S’è riunito il consiglio del campo. Sono intervenuto in mancanza del consigliere
del mio blocco che era al lavoro. Seduta a carattere prettamente fascista in cui uno, il capo,
parla e tutti approvano. Mi sono permesso di fare osservare che nel campo si parla molto male
dell’ufficio pacchi e ho citato l’esempio di uno dei miei uomini il quale ha visto che nell’ufficio stesso si affettavano salami. Ho cercato di far notare che la massa derubata trae da simili
spettacoli conseguenze categoriche. Quindi, cerchino i signori dei pacchi di evitare di fare in
pubblico operazioni culinarie che potrebbero dare adito a supposizioni strane.
Si è scatenato il finimondo. Il capocampo mi ha gridato: Allora da domani farai tu il capo
ufficio pacchi!
– Non ci penso nemmeno. Non voglio passare per ladro senza esserlo.
Abbiamo finito per picchiare i pugni sui tavoli alzando piuttosto la voce, finché Lui si è alzato ponendo così fine alla seduta. Giuseppina la consigliera delle donne ed io siamo rimasti
a guardarci in faccia.
– Buco nell’acqua, ha detto.
– Come al solito, ho risposto io.
Poi la cosa ha avuto degli strascichi, ma senza grande importanza. Hanno detto che sono giovane e quindi è scusabile la mia impulsività; morale, mi sono fatto quattro o cinque nemici
senza nessun costrutto. Ora sto raccogliendo prove e fatti concreti per agire contro alcune di
quelle persone fortemente appoggiate che si sentono così, al sicuro.
Non avendo quasi nulla da fare tutto il giorno, mi do all’indagine e vado investigando su vari
fatti che spesso porto a buon fine. Mi sono fatto una certa fama di paladino della giustizia e
molti ricorrono a me. Procedo a sequestri di generi oggetto di mercato nero esagerato, infliggo punizioni sui responsabili del mio blocco e così via.
In due giorni ho portato a termine un’operazione di polizia nei riguardi di Polverini. Truffa
di un orologio. Marianna.
16 gennaio – ore 23. Dall’altoparlante del campo vengono parole e suoni. Evidentemente al
comando si sono dimenticati di staccare l’innesto. E’ una strana sensazione sentire della musica quest’ora, qui. Riporta indietro di dieci mesi. Portato a termine l’affare Mantova.
Avuto una lettera da casa di due mesi fa. Consolante!
Gli uomini mi prendono un po’ la mano perché li tratto troppo bene. A volte devo essere duro
per forza ma cerco di tener presente che non siamo in caserma ma in galera.
21 gennaio – Stanotte sono arrivati 5 fascisti. Sono stati picchiati. Stamattina hanno reclamato
presso il comando. Conseguenze: 12 uomini in cella. Botte da orbi. Tutto il blocco 2 giorni in
piedi sull’attenti nel recinto, al freddo, dalle sette di mattina alle sei di sera e senza mangiare.
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25 gennaio – Avvengono dei cambiamenti: mi tolgono gli uomini della galleria che si spostano al blocco H. Il D resta vuoto io a disposizione. Due giorni dopo si forma di nuovo il
D come “blocco pericolosi” tipo l’E. Tutta gente nuova. Lavoro da matti. Due o tre persone
per bene, molta zavorra come al solito, alquanti ladri evidentemente esperti nel mestiere.
Ricominciano le seccature del blocco perennemente chiuso. Sono stufo di fare il capoblocco. Ho chiesto di andare in galleria come caposquadra ma la cosa è un po’ complicata e non
so se riuscirò.
26 gennaio – Capitano tutte a me: stamattina uno scopino mentre faceva pulizia ha trovato
Corona, commissario di P. S. siciliano impiccato a un castello. Per fortuna si era appeso da poco e abbiamo potuto salvarlo. Indosso (?) gli ha trovato una lettera nella quale
diceva di non poter più continuare a soffrire e di voler farla finita. E’ malato di cuore e
un po’ squilibrato. L’altro giorno in piedi fuori, è stato preso dalle convulsioni e in tre ci
affannavamo tra lui e l’epilettico che a terra si dimenava in preda al suo male. E’ stata una
giornata movimentatissima che ricorderò. Ora Corona è ricoverato all’infermeria e l’altro
ci fa tribolare tutto il giorno. Ha nevicato tutta notte e tutto il giorno. A sera nuovi arrivi:
74 partigiani dal parmense.
27 gennaio – Siamo 230. gli uomini dormono dappertutto. Sul tavolo. Per terra, in ogni buco.
29 gennaio – Sento la partenza avvicinarsi e mi preparo spiritualmente e materialmente.
30 gennaio – Notte movimentata, quella scorsa. Alle 11.30 sono svegliato da uno scoppio e rumore di vetri rotti. Sento pezzi di vetro cadermi sul letto dalla finestra vicino.
Istintivamente mi tiro le coperte sulla testa per proteggerla pensando che il tetto stesse
per crollare. Primo pensiero: “La branda sopra me potrà tenere?” Grande confusione
nel blocco. Mi alzo subito al buio inciampo in sassi, terra, calpesto rottami di vetro che
scricchiolano sotto le scarpe. Un freddo indiavolato. Dalla parte del gabinetto uno strano
chiarore del tutto nuovo. E’ il bianco della neve della campagna attorno che appariva da
uno squarcio nel muro della baracca e nel muro di cinta due metri più in là. Quasi tutto
un lato della baracca è andato, il gabinetto non esiste più. Riesco a calmare la gente. Alcuni parlano di scappare, ma gli uomini di guardia erano già al di là del buco coi mitra
spianati. Sgomberiamo un po’ di macerie.
Quattro soli feriti leggerissimi. Due brande con quattro persone, coperte di materiale lasciano uscire gli uomini illesi. Non so capacitarmi di come non siano rimasti schiacciati.
Strano il senso di calma in quel momento. Dalle quattro finestre senza più un vetro, dallo
squarcio nel muro, dalla porta scardinata entrano un vento freddo gelato da morire. Pochi
si sono rimessi a letto cercando di prendere sonno. I più attorno alla stufa, gettando nel
fuoco tutto ciò che vi era di combustibile prima, poi i castelli sfasciati, poi quelli più
sani. Fortunatamente è venuta la sveglia alle 6 a impedire che lo scempio continuasse.
Alla luce la baracca aveva un aspetto di terremoto. Più tardi i particolari. Tre bombe: una
da me, una sul magazzino, una sul blocco G.
Perché? Costanzo?
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VITTORIO DUCA
Fonti
Morelli, V., 1965, I deportati italiani nei campi di sterminio 1943-45, Artigianelli editore
Milano
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 130/22.05.1968, Supplemento ordinario, parte
prima, Elenchi nominativi delle domande accolte per gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste di cui alla legge 6 febbraio 1963 n. 404,
p. 377, Roma
Caleffi, P., 1988 6 , Si fa presto a dire fame, Mursia editore Milano
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista a
Mariuccia Nulli realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Brescia il 17.07.2000.
La testimonianza in versione integrale è consultabile sul sito www.lageredeportazione.org
Collotti, E., Sandri, R., Sessi, F., 2001, Dizionario della Resistenza, vol. 2, voce “Duca
Giovanni”
Giacomozzi, C., Paleari, G., 2005 2 , Il Lager di Bolzano. Immagini e documenti del Lager
nazista di Bolzano 1944 – 1945. Bilder und Dokumente vom NS-Lager Bozen, Bolzano
Pajola, L., 2005, Iseo nella Resistenza. 1945-2005 sessant’anni di libertà, Queriniana,
Brescia
Benz, W., Distel, B., 2006, Der Ort des Terrors. Geschichte der nationalsozialistischen
Konzentrationslager. Flossenbürg, Mauthausen, Ravensbrück, volume 4, C. H. Beck’sche
Verlagsbuchhandlung München
Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, Relazione di minoranza della Commissione
Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, relatore on. Carlo Carli, presentata alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006
Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, Relazione finale della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, relatore on. Enzo Raisi, trasmessa alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006 (con
l’elenco dei fascicoli del cosiddetto Armadio della Vergogna)
Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona, Registro crimini
di guerra, fascicolo 32, procedimento penale a carico di Kranebitter Fritz (estratti relativi
all’omicidio del Col. Giovanni Duca)
142
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1.
2.
1. Lager di Bolzano agosto – settembre 1944. Triangolo rosso con numero di matricola di Duca, deportato politico.
2. Lager di Bolzano 1944-1945. Fascia che Duca portava al braccio. Duca fu capo di due blocchi di deportati. “BL. Ä.” significa
Blockältester o capoblocco.
143
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3.
3. Lager di Bolzano 22 ottobre 1944. Con la pagina 53 inizia il diario di Duca.
144
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4.
4. Lager di Bolzano 22 ottobre 1944. Seconda facciata del diario di Duca.
145
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5.
5. Lager di Bolzano 22 ottobre 1944. Terza facciata del diario di Duca.
146
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6.
6. Lager di Bolzano 22 ottobre 1944. Quarta facciata del diario di Duca.
147
Intervista a don Daniele Longhi
Questa intervista è stata realizzata a Trento il 11.02.1996 da Giuseppe Paleari e Carla
Giacomozzi nell’ambito del Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus
den NS-Lagern”. Il riversamento in dvd fa parte dell’omonimo fondo (dvd numero
104) ed è consultabile a Bolzano e a Nova Milanese.
Le note sono a cura di Carla Giacomozzi.
Tutto il mondo finisce se non c’è la pace, il mondo finisce per diventare un Lager che
durerà sempre. (don Daniele Longhi)
D: Cosa avvenne, don Daniele, il 19 dicembre del 1944?
R: Se me lo ricordo il 19 dicembre 1944! Tre arresti.
Mi dicevano: Perché non sei scappato? Io ho portato in salvo qualcuno: appena c’è stato un
accenno, don Giacinto Carbonari 1 , che era a Bolzano, di notte con il treno merci l’ho portato
a Padova e dopo sono tornato indietro. Sono tornato altre volte giù a rivederlo. Anche altri
hanno preferito andare.
Allora io ero quasi giovanissimo e avevo soltanto l’entusiasmo davanti, avevo in testa i fratelli
Bandiera e Antonio Sciesa di Milano. Avevo in mente Antonio Sciesa durante il percorso per
andare verso il suo calvario, quando lo portavano i tedeschi – ma i tedeschi di Maria Teresa,
gli Asburgo che avevano occupato il Lombardo-Veneto – ed è passato davanti a casa sua e gli
hanno detto: “Vuoi qui?” e lui ha detto: “No, no, tirem innanz”.
Io avevo queste idee e questi entusiasmi giovanili, oggi non sarei più in grado di comportarmi
in quel modo ma allora sì. Si era un po’ invaghiti, imbevuti di gloria passeggera. Ecco perché
per me quel 19 si concluse in quel modo.
Sono stato arrestato due volte dal medesimo altoatesino, un piccoletto, ma non mi ricordo
più i nomi. Al primo arresto ero nella zona industriale, a Bolzano; il secondo arresto avvenne
mi pare il 15 dicembre poi il 19 il terzo. Forse sarebbe stato meglio scappare ma don Guido
(Pedrotti) 2 è rimasto. Altri erano andati via, siamo restati noi due. Diceva don Guido: “A Bolzano alla zona industriale bisogna rimanere, ci sono le famiglie disperate.”
Allora sono rimasto, volentieri, anche in ossequio al mio ministero sacerdotale: ero cappellano della zona industriale.
D: Per aiutare coloro che erano nel Lager di Bolzano come vi siete organizzati?
R: Abbiamo avuto molti soldi da Milano, dal cardinale Schuster. Ci mandava le banconote, da
500 lire o da 5 lire non mi ricordo più, ma a rotoli. Quindi bisognava tagliarli. Uscivano dalla
zecca direttamente e noi li si tagliava, tutti quei soldi.
Don Guido Pedrotti era il cassiere dei soldi per il sostentamento delle famiglie e anche dei
prigionieri. Li prendevamo specialmente da questa fonte.
Immaginate che in un certo periodo, ero appena tornato da Roma, non esagero ma c’erano
centinaia di donne, mamme, spose, fidanzate, sorelle, in prevalenza donne, che venivano da
150
DON DANIELE LONGHI
Fossoli dove c’era stato il campo di concentramento, e sapendo che i loro cari erano stati
deportati a Bolzano venivano su. L’afflusso era giornaliero: con tutti i mezzi, treni, mezzi
pubblici, mezzi privati. Arrivavano e finivano per venire da noi due. Lasciavano soldi, lettere da consegnare, ricordi.
Come sede eravamo in via Torino e ci si dava le mani da torno, cercando di assistere, aiutare e confortare questa gente che veniva a trovare i propri cari.
I deportati li vedevamo in corteo, chiamiamolo così, nel gruppo che usciva tutte le mattine,
rientrava nel mezzogiorno e poi usciva di nuovo. Erano tutti prigionieri nostri, erano file
anche di 2/300 persone che andavano al lavoro; lungo il percorso si aveva il coraggio di
avvicinarne qualcuno, di domandare: Chi è il tale? Dove trovo il tal altro?
Anche sul posto di lavoro, specialmente sotto la Galleria del Virgolo, ai margini di Bolzano al di là del fiume Isarco, c’era la maniera di avvicinarli. Lavoravano anche per le
pulizie, per la manutenzione, nelle sedi che le SS avevano occupato, per esempio il Corpo
di Armata. Lì abbiamo trovato don Gaggero 3 , gli abbiamo dato il primo rotolo di soldi; poi
alla sera lui è rientrato nel Lager come sempre, ma c’era una spia o chissà, appena lui è
entrato è stato perquisito: hanno trovato i soldi, e quindi ci è andato di mezzo per primo
don Guido Pedrotti e dopo il sottoscritto.
D: Dopo l’arresto cosa avvenne?
R: Dopo il terzo arresto? Ci hanno tenuti quella mattina nello scantinato del Corpo di Armata di Bolzano e poi tutti, saremo stati almeno una ventina, tutti con la faccia rivolta al
muro in piedi tutta la mattina fino a quando, a gruppetti di tre o quattro e con delle macchine ci hanno portati in campo di concentramento. Non so per gli altri ma per me hanno
usato una vettura lussuosa, veramente lussuosa: mi ricordo che era foderata di rosso dentro. Forse per non creare sospetti o per evitare incidenti o ribellioni della gente mi hanno
portato con questa macchina.
Entrato dentro c’era subito la baracchetta, una vera casa di mattoni, dove c’era uno sportello. Mi hanno domandato i dati: dove e quando sono nato, dove vivo. E poi una cosa che
è stata una tribolazione per me: mi hanno domandato anche chi fossero i parenti a me più
vicini.
Ho dovuto fare il nome della mia mamma! Quello è stato per me il momento che non dimenticherò, mai. Ho dovuto dare il nome e l’indirizzo della mia mamma, il motivo voi lo
sapete: cercavano non delle vittime ma almeno dei capri espiatori, nel caso noi fossimo
fuggiti o fosse successo qualche cosa loro si sarebbero rivalsi sui parenti. La mia mamma!
Non gliel’ho mai detto, poveretta, perché ho sempre avuto paura, ma d’altra parte quello
ho dovuto dire.
Da quel momento sempre con la mia veste da prete e con il mio colletto come si usava allora, lo sapete, via nel blocco celle! Mi hanno buttato lì.
Queste due striscette, il 7459 … Grazie, dico!
Mi hanno perquisito, mi hanno lasciato l’orologio: è stato il mio grande amico e compagno, se no non avrei saputo come passava il tempo. Ho avuto l’orologio, il mio da tasca, è
stato per me un amico che mi ha aiutato.
Ognuno teneva il proprio vestito in caso di confronto con altri operatori di libertà, parti-
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DON DANIELE LONGHI
giani e così via: nel confronto dovevano confermare: “Sì questo lo conosco, questo non lo
conosco”, quindi è per i confronti che mi è rimasto l’abito mio, la veste.
Il giorno in cui – se ricordo bene deve essere stato il 25 febbraio – ci hanno incolonnati e ci
hanno portato al treno, tra gli stabilimenti della zona industriale, era di domenica, non so
se eravamo un’ottantina dentro un vagone bestiame. Io ricorderò sempre questo episodio: i
prigionieri mi avevano visto forse qualche volta passeggiare in fila come i bambini dell’asilo fuori dal blocco celle, e lì sul vagone ricordo che hanno detto: “Ma qui deve esserci un
prete con noi!” e allora io rispondo: “Sì, sono io, sono il parroco della zona industriale, io
prego per voi, voi pregate per me e do la benedizione a voi e a tutti i vostri cari”. E’ stato
un episodio molto commovente, c’è stato un momento di silenzio assoluto quando ho detto
queste parole. C’era un vecchietto – io ho perso i nomi oramai – un vecchietto anche lui
prigioniero, di Belluno, che aveva un bel sacchetto pieno di pezzi di pane e lo ha distribuito a tutti fino a che ce n’era. Allora abbiamo detto: “Ma adesso lei rimane senza!”, e lui:
“Tanto non ne abbiamo bisogno” “Perché no?” “Perché – dice – noi non saremo deportati
in Germania” “Ma come? Siamo sul treno chiuso, bloccato, piombato, che cosa avverrà?”
“Niente, ci riporteranno al nostro posto, al campo di concentramento di Bolzano, noi non
andremo in Germania”. Questo fatto è avvenuto, peccato che io non possa dire il nome perché non me lo ricordo più. Ecco i due episodi.
Alla sera del giorno dopo, lunedì, eravamo a febbraio e quindi la notte è arrivata presto
come sempre, ci hanno riportati nel Lager.
Quella sarebbe stata una bella occasione per me di fuggire: abbiamo attraversato a piedi,
come potevamo – diversi dei nostri venivano sostenuti dai propri compagni perché non potevano neanche camminare – la zona industriale che io conoscevo palmo a palmo. Sarebbe
stata una bella occasione per me per infilarmi in qualsiasi ambiente, negli stabilimenti della
zona industriale. Non l’ho fatto e sono tornato in carcere. E abbiamo tirato avanti fino al
30 aprile.
D: In quanti eravate nel blocco celle? Perché lei è stato messo nel blocco celle?
R: Il blocco celle era formato da circa 19 o 20 celle, adesso non mi ricordo più. So che sono
andato dentro, chiuso, e basta. Sono sempre rimasto là, questo fin verso il 25 gennaio forse.
Finalmente mi hanno levato da quella cella dove ero isolato e mi hanno portato, sempre nel
blocco celle nella parte sud ed è lì che ci siamo incontrati anche con don Gaggero, insieme
ad un gruppo di 3 o 4.
Siamo rimasti per un certo periodo, non so quanto, anche in 14 in una sola cella! C’era il
posto per 1 ma eravamo in 14 persone. Ci si alternava per riposare, un’ora stavano in piedi
loro, un’altra volta buttati giù noi, 14 persone.
Era roba da morire, anche asfissiati, senza più ossigeno.
Quella era la cella di un grande partigiano, Arnaldo Coleselli 4 , preside del liceo classico di
Belluno. Adesso è morto ma è stato parlamentare europeo.
D: Don Daniele, l’alimentazione in che cosa consisteva?
R: A mezzogiorno davano una brodaglia, era sempre quella, praticamente si beveva perché
non c’era dentro altro; poi davano un panino della forma di questo portacenere.
152
DON DANIELE LONGHI
La pagnotta era fatta con farina di orzo ma certamente anche con paglia tagliata, sminuzzata, l’avevamo vista, vera paglia. Io commettevo giorno per giorno un’imprudenza:
invece di mangiarmela tutta questa pagnotta, come facevano gli altri, io me ne tenevo metà,
perché in caso di svenimento volevi aver qualche cosa da mettere in bocca. Ero disteso sul
letto a castello e il pane lo mettevo lì: tutta notte sentivo il profumo di quel pane, era una
tribolazione per me, però dovevo resistere e non mangiarlo per paura di rimanere senza.
D: Per un sacerdote essere nel Lager cosa voleva dire? Potevate celebrare messa?
R: Neanche a parlarne, no! Mai celebrato. Mai. È escluso. Io non ho mai celebrato dentro.
È venuto nel periodo di Pasqua del 1945 da Belluno, Feltre mi pare, Monsignor Bortignon 5 .
L’ho rivisto dopo la guerra.
Ha celebrato nel campo, all’aperto, e noi attraverso la bocca di lupo, quella finestra,
ascoltavamo. Mi ricordo che ha detto: “Coraggio! Anche il sacrificio di Cristo pareva
vano e sorpassato e invece da quel sacrificio del calvario è nata la Chiesa è tutto l’intero
movimento cristiano e cattolico”. Questo mi ricordo.
So che il clero di Bolzano ha insistito perché mi avvicinasse. Nel blocco celle c’erano molti
della sua diocesi ma non lo hanno lasciato entrare.
Abbiamo seguito la messa ma noi mai abbiamo potuto celebrare, eravamo molti preti dentro ma di celebrare la messa neanche a parlarne, no mai.
Io non l’ho mai chiesto e poi chiedere per cosa? Per essere colpiti magari con uno schiaffone? Ho preso una gran botta da Schiffer 6 , che aveva un anello. Mi hanno fatto una domanda
durante un interrogatorio, era il giorno dopo Natale del 1944, mi ha dato un pugno, era
vicino a me. L’interprete tedesco della Val Gardena dice: “Non si muova!” ma io mi sono
ribellato. Il trattamento era non certamente umano: era meglio tacere.
Come quella volta … accanto alla mia cella c’era l’onorevole Colleselli. Gli chiedo: “Cerca se trovi un pezzetto di sigaretta o qualcosa, da bravo dammene.” Io ne avevo in tasca, e
ricordo che siamo riusciti quella sera tardi a congiungere la mia cella con la sua: la porta
era pochi centimetri più alta dal pavimento perché entrasse l’aria, ebbene abbiamo preso
la cintura mia e la sua e le abbiamo messe fuori sul piccolo corridoio. Lui ha agganciato
la cintura dei suoi calzoni alla mia e ci ha attaccato dentro una cicca di sigaretta, tanto
col freddo enorme che c’era si è anche irrigidita ed è stato facile tirare piano piano fino a
che io ho raggiunto la cicca, lui ha ripreso la sua cintura, io la mia. Qualche minuto dopo
è entrato il vicecomandante del Lager, il maresciallo Haage, insieme al custode del blocco
celle, originario della Val di Non 7 , come si chiamava?
Sono venuti dentro con il nervo di bue: prima hanno tirato fuori dalla cella Colleselli,
poveretto, lo hanno bastonato fino a quando hanno voluto e poi hanno aperto la mia cella,
fuori! ho tirato fuori la cicca e gliel’ho fatta vedere. Loro pensavano che fossero biglietti
che ci mandavamo. Hanno visto questa cicca brutta e consumata, il comandante Haage mi
ha salutato così: “Schwein!” che vuole dire “porco” e giù, qui di dietro sul collo. Mi è
venuto un collo grosso così, mi ricordo la botta che ho preso. Ha aggiunto anche “Sau” che
vuol dire “troia”, quindi porco e troia. Mi hanno bastonato ancora, dopo hanno chiuso la
porta, dentro! silenzio assoluto tutta la notte.
La mattina dopo sono arrivati i nostri falegnami e con una tavola a tutte le celle hanno
153
DON DANIELE LONGHI
ostruito il passaggio di aria, hanno messo come un piedistallo. Noi due abbiamo taciuto ma la
colpa era nostra: pensavano appunto che di notte si lavorasse a trasportare biglietti o qualche
cosa.
Nella stessa ora in cui si è suicidato Hitler è avvenuto l’ultimo massacro da parte delle SS 8 :
ne hanno presi 32 mi pare e li hanno massacrati. Dopo abbiamo messo una lapide anche lì
sull’angolo del muro di cinta della Lancia, davanti alla Montecatini. Quella lapide l’ho inaugurata io, per ricordare quelli che sono stati massacrati.
Dopo siamo tornati alla normalità.
Quindi abbiamo istituito quello che è stato il governo del Comune di Bolzano, in attesa della
forma democratica per la nomina del responsabile del Comune; ci radunavamo come poi
ogni settimana per discutere i problemi. Io sono stato nominato Assessore all’assistenza e
alla scuola. Ho nominato io il primo Provveditore agli Studi, che era preside in un liceo di
Merano, ha accettato e sono andato a prenderlo su in Val di Fiemme.
Dopo sono tornato nella mia zona industriale a fare il prete e il Comune è andato un po’ per
conto suo.
Mi hanno inghirlandato diverse volte, avevo le porte aperte in Questura, dappertutto.
Quanti francesi del Governo di Pétain 9 erano a Bolzano e io li proteggevo, li difendevo
anche in Questura. Ne ho avuti parecchi, non so quanto tempo è durata questa forma assistenziale.
Anche due degli ex comandanti del campo di concentramento venivano da me 10 . Uno poi, mi
verrà il nome, molto conosciuto allora, è venuto da me a chiedermi protezione e gli ho detto:
“Ti metto a posto io”. Prima di arrivare a Bolzano c’è una valle, in fondo c’è un castello,
ecco lì c’era una colonia venuta da Bologna in cui c’era un gruppetto di ragazzi. Lo ho messo
lì: “Stai tranquillo, ti terranno nascosto”. Lui è vissuto lì. Mi ricordo che poi ho partecipato
anche al suo processo. Sapevano che io male non potevo farne, anche perché avevo il mio
ministero, quindi non avrei fatto del male.
Sono venuti dopo a chiedere a me aiuto e protezione specialmente in Questura. In Questura
c’era un maggiore già delle SS, che però qualche anno prima era diventato amico degli italiani; aveva l’incarico di rintracciare i vari comandanti delle SS e processarli.
Quante volte mi ha fatto vedere tutti i verbali di gente che aveva trovato! Aveva trovato a
Essen in Germania nientemeno che il maggiore Schiffer. Come lo aveva trovato? Mi disse:
“L’ho trovato sul viale della stazione ferroviaria: ho visto uno che veniva con due valigie,
l’ho riconosciuto subito, mi sono avvicinato, si è fermato e ha messo giù le valigie. Disse:
Prendimi”.
Ricordo nel Lager un ragazzo che veniva molto spesso, una volta o due alla settimana, sotto
le finestre del blocco celle non dalla parte verso il campo ma tra il recinto e il blocco celle.
Quel ragazzetto ebreo passava sotto a darci notizie: “La radio ha detto questo”. Avrà avuto
11 anni penso.
R: Che lei ricordi, don Daniele, all’interno del Lager di Bolzano sono avvenute anche delle
uccisioni?
R: Quando è venuto il vescovo Monsignor Bortignon, c’era uno di questi ragazzi 11 che ave-
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DON DANIELE LONGHI
va tentato la fuga, due erano, e sono stati uccisi. Avevano la loro cella. Dopo ci hanno
radunati tutti fuori all’ingresso del blocco celle e una donna, una donnaccia che parlava
abbastanza bene il tedesco, ha detto: “Il comandante dice che da qui in avanti se ci sarà
un tentativo di fuga la persona verrà uccisa”. Ed ha anche aggiunto queste parole: “Bada
adesso, quelli che hanno il coltello in mano sono loro”, me le ricordo ancora queste parole.
Ci hanno avvertiti: guardate che c’è la pena di morte immediata. Per chiunque.
I due ragazzi hanno tirato avanti fino a che hanno potuto.
Poi abbiamo avuto un’ebrea 12 , eh i nomi! Eravamo verso la fine, marzo o aprile. Era
dentro anche l’allora direttore del Centro Turistico a Bolzano, Marcello Caminiti 13 . Lui
ha conversato molto dalla sua cella con questa donna che è sopravvissuta una giornata
e mezzo; era nuda e ogni tanto entravano nella cella con la pompa dell’acqua, gelata si
capisce.
Questi tre me li ricordo perfettamente.
Poi abbiamo il nostro Manlio Longon 14 . E’ stato ucciso la sera dell’ultimo dell’anno; io
poi sono andato in Questura e all’Anagrafe a fare cambiare la data che avevano messo
sulla lapide.
Un’altra morte non c’entra con il campo di concentramento, quella del conte Manci di
Trento 15. Lui non ha visto il campo di concentramento, è rimasto sempre, che sappia io,
nelle celle del Corpo di Armata e poi durante un interrogatorio ha fatto il salto e si è buttato giù, è morto. Qui a Trento c’è una grande via davanti alla chiesa nostra, dedicata al
conte Gianantonio Manci.
Ho conosciuto le figlie nelle commemorazioni che abbiamo fatto.
Io ho fatto il suo funerale a Bolzano nella chiesa di Cristo Re; mi sono arrischiato a dire
che è morto martire, ma non sono andato avanti perché effettivamente si è suicidato. Quello
che non ho fatto io lo ha fatto il vescovo ausiliare di Trento Monsignor Rauzi a Trento in
Duomo, dove hanno fatto il funerale mesi dopo che era morto. Il vescovo ha detto chiaro e
tondo: “Questo è un martirio” cioè martirio di amore, come quando un naufrago si afferra ad un tronco in mare ma sono in due e stanno per essere inghiottiti e uno rinuncia per
amore dell’altro che può essere sostenuto dal tronco. E’ la stessa cosa che ha fatto il conte
Manci: piuttosto che tradire … non è stato fatto un nome da lui, non è uscito un nome da
lui, niente! Poteva fare il nome mio, il nome dell’ingegner Saulle 16 . Ha preferito suicidarsi
per non compromettere gli altri.
R: Il 19 Dicembre 1944 siete stato arrestato per la terza volta e il 28 dicembre …
D: Ah, il 28!
R: Che cos’era?
D: Niente, la mia fucilazione.
R: Perché, don Daniele?
D: Perché ero membro del Comitato clandestino di Liberazione.
R: Quindi dovevate essere fucilato?
D: Ma certo, quella mattina. Quella mattina ero anche disinvolto ma l’ho saputo successivamente. Il 28 è la festa dei Santi Innocenti per la Chiesa, e quella sarebbe stata la data
della mia morte. E invece sono ancora qua.
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DON DANIELE LONGHI
Note
1:
Don Giacinto Carbonari (Carbonare TN 6 giugno 1887 - Bolzano 16 settembre 1964) fu ordinato sacerdote il 9 luglio 1911; dal 1914 al 1936 parroco a Nosellari TN, dal 1936 al 1940
a Santo Spirito a Merano. Il 13 maggio 1940 fu convocato dalla Curia Vescovile di Trento,
da cui allora Bolzano dipendeva, perché si dedicasse alla cura degli operai che erano giunti
a Bolzano e abitavano nel Rione Dux (Semirurali). A Bolzano don Carbonari operò come
cappellano alle Semirurali fino all’autunno del 1942, quando, per malattia e perché ricercato dalle SS, si recò a Padova e lasciò la rettoria della parrocchia di S. Giovanni Bosco. Nel
1945 assunse la direzione della Pontificia Commissione di Assistenza (PCA) e la mantenne
fino alla morte.
2:
Don Guido Pedrotti (Malè TN 31 gennaio 1914 - Cazzano di Brentonico TN 30 marzo 2002)
fu consacrato sacerdote nel 1938. Divenne curatore d’anime della parrocchia del Duomo di
Bolzano e poi nella parrocchia delle Semirurali. A motivo del grande impegno in aiuto ai
deportati del Lager di Bolzano, don Pedrotti il 2 novembre 1944 fu arrestato proprio nella
chiesetta di via Milano. Da qui iniziò la sua deportazione prima nel Lager di Bolzano, poi
con il trasporto del 20 novembre 1944 a Mauthausen. Da Mauthausen fu trasferito con altri
sacerdoti nel Lager di Dachau, dove fu liberato a fine aprile del 1945.
La sua intervista è pubblicata sul sito www.testimonianzedailager.rai.it
3:
Don Andrea Gaggero (Mele GE 12 aprile 1916 - 1988) fu consacrato sacerdote nel 1940. Venne arrestato il 6 giugno 1944 a Genova, nella sua chiesa, dalla Polizia italiana per collaborazione con il CLN di Genova. Fu torturato per quasi 40 giorni nella Questura di Genova; dal 26
agosto al 15 settembre fu rinchiuso nel carcere “Marassi” a Genova. Dalla metà di settembre
al 14 dicembre fu nel Lager di Bolzano con il numero 4035. Destinato al blocco G, passò un
mese in punizione nel blocco celle, per avere allacciato contatti con il Comitato di Liberazione Nazionale clandestino di Bolzano in aiuto ai deportati. Partì per il Lager di Mauthausen
con il trasporto del 14 dicembre 1944. A Mauthausen fu immatricolato con il numero 113.979.
La sua liberazione avvenne il 5 maggio 1945. E’ autore di un libro autobiografico.
4:
Il prof. Arnaldo Colleselli di Colle Santa Lucia BL era leader clandestino del partito della
Democrazia Cristiana a Belluno. Era in contatto con i CLN di Milano, Verona, Padova e Bolzano. Colleselli aveva incontrato a Bolzano Manlio Longon per concordare sulla consegna
di un grosso quantitativo di esplosivo con cui fare un attentato a Campodazzo BZ. Quando fu
arrestato aveva in tasca una lettera per il capo del CLN di Belluno proveniente dal tesoriere
del CLN di Padova, il professor Meneghetti. Colleselli venne deportato nel Lager di Bolzano
con il numero di matricola 8031, e rinchiuso nel blocco celle fino alla dismissione del Lager.
A seguito dell’arresto del prof. Colleselli, anche il prof. Meneghetti fu arrestato e deportato
156
DON DANIELE LONGHI
nel Lager di Bolzano. (NARA, CSDIC/CMF/SD 86, First detailed interrogation report on SS
Sturmbannführer Schiffer August, 9.11.1945)
5:
Monsignor fra Girolamo Bortignon (Fellette VI 31 marzo 1905 - Sarmeola PD 12 marzo
1992) fu ordinato frate cappuccino nel 1928. Il 4 aprile 1944 fu nominato da papa Pio XII
Amministratore apostolico delle diocesi di Belluno e Feltre. Dal 9 settembre 1945 fino alla
fine di marzo del 1949 fu Vescovo delle Diocesi unite di Belluno e di Feltre; poi divenne Vescovo di Padova.
Poche settimane prima della sua visita nel Lager di Bolzano, il 17 marzo 1945 a Belluno
aveva compiuto un altro gesto civile e religioso di grande valore. In piazza Campitello, ora
piazza dei Martiri, mentre i tedeschi stavano impiccando quattro giovani partigiani egli si
era allora fatto porgere la scala ed era salito su ciascuno degli improvvisati patiboli (i lampioni della piazza), amministrando ai morituri l’estrema unzione.
6:
Il maggiore SS (SS Sturmbannführer) August Schiffer (Krefeld Germania 1 dicembre 1901
- Livorno 26 luglio 1946) era capo della Ripartizione IV Gestapo (Abteilung IV) del KdS
(Kommandeur der Sicherheitspolizei / Comando della Polizia di Sicurezza) agli ordini del
maggiore SS Thyrolf, a Bolzano. I suoi compiti consistevano nel contrastare gli oppositori e i
movimenti di resistenza, le azioni di sabotaggio e spionaggio, gli ebrei, i massoni e l’attività
politica della chiesa.
Fu arrestato il 3 maggio 1945 ad Arzl, località a nord est di Innsbruck, da parte di resistenti
austriaci. Tentò di suicidarsi per due volte. Nel 1946 fu processato a Napoli da una Military
Commission alleata e impiccato a Livorno insieme all’SS Untersturmführer Heinz Andergassen e all’SS Oberscharführer Albert Storz. Tutti e tre vennero riconosciuti colpevoli di
omicidio di tre militari inglesi e di quattro militari americani, morti durante gli interrogatori
condotti nella sede della Gestapo a Bolzano. (NARA, CSDIC/CMF/SD 86, First detailed interrogation report on SS Sturmbannführer Schiffer August, 9.11.1945)
7:
Si riferisce ad Albino Cologna (Malnitz Austria 29 aprile 1908 - Castelfondo TN 13 giugno
1988), capo del blocco celle del Lager di Bolzano.
Riportiamo una descrizione del Cologna tratta dalla sentenza della Sezione speciale di Corte
d’assise di Bolzano n. 32 del 1946, che lo condannò a 30 anni di reclusione: “Sempre munito
di un nerbo di bue, che portava ostentatamente, e temutissimo anche per la sua straordinaria
prestanza e forza fisica, egli accedeva a tutti i reparti e colpiva, come hanno deposto parecchi testi, per un nonnulla i prigionieri. Dedito al vino, era spesso ubriaco, e si mostrava
allora addirittura bestiale.”
Nel 1954 il Tribunale penale di Bolzano dichiarò ridotta la pena della reclusione per Cologna a due anni. Nel 1963 la Corte di Appello di Trento gli concesse la riabilitazione della
condanna. In totale scontò 6 anni e 8 mesi nel carcere di Alessandria da cui uscì il 17 dicembre del 1952 in libertà condizionata.
157
DON DANIELE LONGHI
8:
Don Daniele si riferisce ai massacri avvenuti il 3 maggio 1945 a Bolzano fuori dal Lager,
precisamente in zona industriale e in piazza Matteotti. Varie fonti indicano che i caduti
italiani di questa tragica giornata a Bolzano furono da 35 a 41, mentre i caduti di parte
germanica sarebbero 112.
In zona industriale gli scontri e i morti del 3 maggio sono ricordati da una lapide sul muro
esterno dell’IVECO lungo via Volta, posta nel primo dopoguerra, un cippo nel cortile della
stessa fabbrica e un piccolo monumento in via Siemens all’incrocio con via Ressel.
Altri monumenti commemorativi si trovavano dal 1945 all’interno dei vicini stabilimenti
S.I.D.A. e Magnesio, ora non più esistenti.
9:
Sono probabilmente parte dei membri dell’ex governo collaborazionista francese di Vichy
in fuga dalla cittadina germanica di Sigmaringen in cui, dal settembre 1944, era stato riorganizzato il governo di Vichy in esilio. (Regele pp. 143 – 146)
10:
Probabilmente don Longhi si riferisce non ai due comandanti del Lager Titho e Haage ma
ad un altro uomo che aveva funzioni di comando all’interno del Lager, processato nel dopoguerra.
Sappiamo che la Corte d’Assise straordinaria (poi divenuta “Speciale”) di Bolzano processò tra il 1945 ed il 1947 sette uomini e una donna, italiani, appartenenti al corpo di guardia
del Lager di Bolzano.
Per quanto riguarda i due comandanti del Lager, Titho venne arrestato dagli americani a
Bolzano nel dopoguerra; il suo processo venne celebrato nel 1951 a Utrecht in Olanda per
ragioni indipendenti dalla sua dirigenza del Lager nazista di Bolzano, cioè per avere maltrattato e ucciso dei deportati nei due Lager olandesi di Herzogenbusch e di Amersfoort.
Haage invece non fu mai né arrestato né processato.
11:
Nel giorno che qui ricorda don Daniele, il 1. aprile 1945, venne ucciso nel blocco celle il
diciottenne Bortolo Pezzuti, nativo di Lovere (BG). Era stato arrestato a Lovere il giorno
di natale del 1944, deportato a Bolzano come politico con il numero di matricola 8973 e
chiuso nel blocco celle.
12:
Probabilmente si tratta di Dorotea Pisetzky Luzzatti, nata nel 1892 a Milano, arrestata a
Monza nel febbraio 1945 e uccisa nel blocco celle del Lager di Bolzano il 28 marzo 1945.
13:
Marcello Caminiti fu arrestato a Bolzano nel dicembre 1944, come tutti gli esponenti del
CLN cittadino, in seno al quale rappresentava il Partito Socialista. Interrogato dalla Gestapo, dal 1. febbraio 1945 fu deportato politico nel Lager di Bolzano con il numero 8982,
158
DON DANIELE LONGHI
chiuso nel blocco celle. Anche Caminiti venne caricato con don Daniele sul Transport del
25 febbraio 1945 che non partì a causa dei bombardamenti alleati sulla linea ferroviaria.
Dopo la guerra gli venne assegnato il Brevetto Alexander.
Fu consigliere comunale di Bolzano dal 1948 al 1959.
14:
Manlio Longon (Padova 20 dicembre 1911 - Bolzano 31 dicembre 1944), direttore amministrativo della Società Anonima Italiana per il Magnesio e Leghe di Magnesio sita nella
zona industriale di Bolzano, era a capo del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino
che organizzava la lotta di liberazione in città e nei dintorni.
Longon, che nel CLN rappresentava il Partito d’Azione, fu arrestato sul posto di lavoro il
15 dicembre 1944 e, dopo due settimane di detenzione e interrogatori nella sede della Polizia e del Servizio di Sicurezza germanici, fu ucciso nella cella n. 2. Una lapide lo ricorda
sulla facciata esterna del Palazzo Alti Comandi a Bolzano.
15:
Gianantonio Manci (Trento 14 dicembre 1901 - Bolzano 6 luglio 1944) era a capo del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino del Trentino. Fu catturato il 28 giugno 1944
nel Basso Sarca con un’operazione, gestita dalla Gestapo di Bolzano, che pose fine alla
resistenza trentina.
Il Conte Manci fu condotto dapprima a Trento e poi a Bolzano nella sede della Polizia e
del Servizio di Sicurezza germanici; nel corso di un interrogatorio sembra si sia lanciato
da una finestra del terzo piano per non tradire i compagni. Una lapide lo ricorda sulla
facciata esterna del Palazzo Alti Comandi a Bolzano.
16:
L’ingegner Giovanni Saulle era vivo nel ricordo di don Daniele. In un’altra intervista
don Daniele ricordava come l’ing. Saulle lavorasse all’ANAS di Bolzano e come, insieme
a Manlio Longon, avesse fondato il CLN di Bolzano. Con l’estate del 1944 l’ing. Saulle
lasciò Bolzano e si trasferì a Milano. Don Daniele disse di averlo incontrato casualmente
una o due volte dopo la fine della guerra, ma di averne perso le tracce.
159
Il Fondo don Daniele Longhi
Il Fondo è stato donato nel 1996 da don Daniele Longhi di Trento all’Archivio Storico.
Nell’ottobre del 1995 l’Archivio aveva organizzato in Galleria Civica una prima mostra
documentaria sul Lager di Bolzano, con la quale ha preso avvio il Progetto “Storia e memoria: il Lager di Bolzano”. Parte dei materiali in mostra erano di proprietà di don Daniele
Longhi, il quale poi li ha donati all’Archivio Storico.
Il fondo è composto da 18 pezzi in carta e in tessuto, relativi a un arco cronologico che va
dal 1943 al 1992.
I documenti sono elencati secondo la numerazione attribuita da don Daniele Longhi, del
quale si sono conservati anche i titoli in grassetto.
L’autrice del libro ha integrato questi dati con la descrizione dei materiali e l’attribuzione
cronologica.
Inventario del Fondo don Longhi
1) Triangolo rosso originale + due triangoli ricamati da una persona dopo la Liberazione
1) Triangolo in stoffa rossa con bordi ricuciti in bianco. Segnalava nel Lager la categoria a cui
veniva ascritto il deportato; il colore rosso era per i deportati politici. Il triangolo veniva normalmente cucito sulla casacca del deportato, sul lato sinistro, sotto alla fascetta con il numero di
matricola.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
2 – 3) Due triangoli in panno, di colore rosso, confezionati nel dopoguerra probabilmente per
un cappello. Sul primo, più grande, è ricamata in bianco la scritta “Matric 7459” e una stella a
5 punte. Sul secondo, più piccolo, è ricamata in nero la scritta “Bolzano”; sotto è punzonata una
stella a 5 punte.
Anni del dopoguerra
2) Moneta – carta a L. 2 (due) della “Zecca” del Campo – originale – inservibile per gli
abitanti delle Celle
Taglio di cartamoneta in cartoncino del valore di 2 Lire in uso nel Lager di Bolzano. L’intestazione bilingue è ufficiale “Pol. Durchgangslager Campo Concentram. Bozen”. Con doppio
timbro tondo blu “Der Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien 72”. Questo taglio di denaro fu emesso nel 1945; non è chiaro a cosa servisse nel Lager di Bolzano,
160
DON DANIELE LONGHI
dove non è noto che esistesse uno spaccio, come è invece testimoniato in altri campi in cui
circolava il Lagergeld o denaro del Lager (ad esempio vedasi la “Kantine” del Lager di Buchenwald”).
1945 deportazione: Lager di Bolzano
3) Croce al Merito di Guerra. Il Diploma non lo ritrovo. Veniva conferito ai Reduci dai
Campi di Concentr.
Croce in ferro “Merito di guerra” con nappina a strisce bianco-blu, concessa in origine unitamente ad un diploma.
NB: anche nel fondo Pesapane (nr. 151) c’è un’identica croce in ferro, concessa nel 1952
dall’Esercito Italiano.
Anni del dopoguerra
4) Matricola 7459: Le due fettuccine originali. Non gliele cuciamo – mi disse la donna
allo sportello – perché non serve, essendo destinato a CELLE, tanto meno perché dovrà
portare l’abito religioso per eventuali “confronti”
Due pezzi di stoffa bianca di forma triangolare, con bordi ricuciti, recanti impresso a stampa
con inchiostro nero il numero di matricola 7.459.
Nel Lager di Bolzano venivano normalmente cuciti sulla casacca e sul pantalone (a sinistra)
e rappresentavano la nuova identità del deportato immatricolato.
Don Longhi riferisce qui di una donna che lavorava nel Lager, probabilmente all’ufficio
matricola, provvedendo a cucire sulla tuta le fascette con il numero di matricola per i nuovi
arrivati. A don Longhi fu lasciato l’abito talare forse perché destinato alle celle di isolamento
e anche perché, privo di segni di riconoscimento, fosse possibile metterlo a confronto visivo
con altri nel corso di interrogatori.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
5) C.L.N. del Campo Concentr. di Bolzano “clandestino”. Muniva i detenuti P di un
tesserino. L’allegato è originale
1) Tesserino nr. 80 rilasciato dal Comitato di Liberazione Nazionale Campo Concentramento
Bolzano a don Longhi matr. 7.459. Il tesserino dichiara che il titolare è “un ex detenuto politico proveniente dal Campo di Bolzano e che merita perciò l’aiuto di tutte le autorità civili e
militari e di tutti i cittadini dell’Italia liberata.” Senza foto, senza data, senza timbri. Firmato
a matita rossa da Pirelli, già deportato nel Lager di Bolzano. In testa al tesserino è dattiloscritta la frase “Internato politico della SS”.
1945 dopoguerra
2) Unito un cartoncino rosso a forma di triangolo con la lettera “P” (politico) stampata.
1945 dopoguerra
6) Tessera n. 3 del Comitato Liber. Naz. – originale
Carta di riconoscimento nr. 3 rilasciata dal Comitato di Liberazione Nazionale / National Liberation Committee a don Longhi membro del C.L.N. Con due timbri tondi, l’uno verde “C.L.N.
C.V.L. Alto Adige” e l’altro rosso “Comitato Nazionale Liberazione Alto Adige Bolzano”.
161
DON DANIELE LONGHI
Sulla copertina la scritta “Comitato di Liberazione Nazionale / Giustizia e Libertà / Bolzano”.
Con foto. Senza data.
1945 dopoguerra
7) Nr. 3 tesserini della ANEI Assoc. Naz. Ex Internati
1) Tessera provvisoria nr. 241 rilasciata dall’ANPI Comitato Provinciale di Bolzano al partigiano Longhi don Daniele. Con timbro tondo rosso dell’Ass. Naz. Partigiani d’Italia / Comitato Provinciale / A.N.P.I. Con foto. Senza data.
1945 dopoguerra
2) Tessera nr. 765 rilasciata dall’Associazione Nazionale Ex Internati Sezione di Bolzano a
don Longhi il 09.02.1949. Nelle note è scritto “Tenente Cappellano Campo di Bolzano – segregato perché facente parte del Comitato Clandestino di Liberazione “Alto Adige”. Con due
timbri blu dell’Associazione Nazionale Ex Internati / Sezione Comunale Bolzano / A.N.E.I.
Con foto. Sul retro della tessera c’è un piccolo timbro tondo del 1949.
1949
3) Tessera nr. 15395 rilasciata dall’Associazione Nazionale Ex Internati Sezione di Bolzano
1951 a don Longhi. Con un timbro blu dell’Associazione Nazionale Ex Internati / Sezione
Comunale Bolzano / A.N.E.I. Senza foto.
1951
8) Sigarette? No grazie. Due pezzi di tessera “Tabacchi”
Due pezzi di tessere di razionamento tabacchi, di colore rosa, usate in buona parte.
1) Carta di controllo per l’acquisto di tabacchi nella provincia di Trento (nr. 59817), per uomini, valevole dal 16 settembre al 31 dicembre 1944.
E’ intestata a Boldrin Luigi domiciliato a Fondo. Sulla tessera compare un timbro tondo blu
malamente leggibile, probabilmente del Comune di Fondo.
La tessera è usata fino ai giorni 21/22.12.1944.
2) Kontrollkarte für den Einkauf von Tabakwaren der Provinz Bozen, für Männer / Carta di
controllo per l’acquisto di tabacchi nella provincia di Bolzano (nr. 17941), per uomini, valevole dal 16 settembre al 31 dicembre 1944.
Non è intestata ma reca un timbro lungo blu “Provisorische Karte / Provvisoria”. Sulla tessera
compare il timbro tondo blu “Der Bürgermeister der Stadt Bozen Ernährungsamt / Il Podestà
di Bolzano Ufficio razionamento”.
La tessera è usata fino ai giorni 15/16.12.1944.
1944 guerra
9) La Direttrice del convitto “operaie” della “Magnesio” invia a Pasqua 1945: foglie di
Palme e stella alpina a D. Daniele Matr. 7459
Busta giunta clandestinamente a don Longhi nel blocco celle, consegnata a mano, non censurata. L’indirizzo scritto a penna è “Reverendo Don Daniele Longhi n. 7.459 celle Campo
Concentramento”; mittente è Libardi Lina, via Giovane Italia 14 Bolzano. Via Giovane Italia
oggi è via Talvera. Conteneva forse dei soldi (L. 300 è scritto due volte a matita sulla fronte
della busta), nonché una stella alpina seccata e due foglie di ulivo, conservate.
162
DON DANIELE LONGHI
1945 deportazione: Lager di Bolzano
10) Fettuccina nera con sigla B.P.G.I. (non ricordo il significato né la data – occasione)
Fettuccia di colore blu scuro, in tessuto sintetico per nastri, malamente cucita. Probabilmente era destinata ad essere portata su giacca o su una fascia-bracciale. Cucite in filo
giallo quattro lettere forse interpretabili come B. (brigata) P. (partigiana) G. (giovane) I.
(Italia).
1945 dopoguerra
11) Preghiera durante le incursioni aeree a cura dell’ONARMO da cui dipendeva D.
Daniele Longhi
Santino dal titolo “Durante le incursioni aeree e in pericolo di morte”, con atto di dolore
e invocazioni, stampato il 14.09.1943 dall’arcivescovo di Trento a cura dell’ONARMO di
vicolo Laghedo 2 a Bolzano. Era una delle iniziative di don Daniele in soccorso alla popolazione afflitta dal terrore dei bombardamenti.
1943 guerra
12) Ricordo del sacrificio del Conte Gianantonio Manci
Memoria del Conte Gianantonio Manci, nato a Trento il 14.12.1901 e morto il 06.07.1944
a Bolzano. Senza foto.
Il Conte Manci (1901 – 1944) fu a capo del Comitato clandestino di Liberazione Nazionale
del Trentino. Per questo motivo fu arrestato il 28 giugno 1944 nel Basso Sarca dalla Gestapo di Bolzano. Fu condotto a Trento e poi a Bolzano; nel corso di un interrogatorio sembra
si sia lanciato da una finestra dell’odierno Palazzo Alti Comandi, allora sede della Polizia
e del Servizio di Sicurezza germanici, per non tradire i compagni.
1945 dopoguerra
13) Giugno 1961: Mostra fotografica Crimini nazisti. Roma: Palazzo Venezia
Articolo dal Messaggero di domenica 25.06.1961 di Aldo Maffey dal titolo “Immagini che
lasciano senza parole: Una mostra fotografica documenta i crimini nazisti.”
1961
14) 4 luglio 1945. C.L.N. dell’Alto Adige. Delega D. Daniele a rappresentare il C.L.N.
ai funerali di Francesco Rella a Cavalese
Lettera del Comitato di Liberazione nazionale dell’Alto Adige prot. 905 del 04.07.1945
con cui il Presidente del Comitato incarica Don Daniele della rappresentanza ufficiale al
funerale del patriota Rella Francesco fucilato il 26.02.1945. Con timbro tondo rosso del
Comitato Nazionale Liberazione Alto Adige Bolzano.
Francesco Rella era un partigiano di Cavalese (TN), catturato in azione nell’agosto 1944,
ricoverato in ospedale perché quasi cieco e ucciso a Bolzano dalla Gestapo il 26.02.1945.
1945 dopoguerra
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15) Rievocazione di D. Narciso Sordo: a lui era dedicata la Scuola Elementare alle Semirurali e a Trento c’è una via dedicata a lui
Pagina da un giornale locale / rubrica “Qui Trento” del 10.04.1992 con due articoli, uno dal
titolo “Don Sordo passato per il camino” e l’altro “Combattenti e reduci sfrattati da via Belenzani”.
Don Narciso Sordo (1899 – 1945) nel 1942 era stato inviato come catechista a Bolzano dal
Trentino, sua terra d’origine. A motivo della sua aperta ostilità al regime nazista, fu arrestato
nel novembre 1944 e deportato nei Lager di Bolzano, Mauthausen e Gusen 2, dove morì nel
marzo 1945. La Scuola Elementare di Bolzano, già dedicata a don Sordo, porta oggi il nome
di S. Filippo Neri.
1992
16) Giovanni Paolo II ai partigiani d’Italia
Articolo dall’Osservatore Romano del 28/29.08.1989 dal titolo “Il Santo Padre ai partigiani cristiani d’Italia: Vi siete opposti a progetti di società incompatibili con la dignità
dell’uomo”.
1989
17) a) Diploma n. 160592 detto “Brevetto Alexander”; b) due fotocopie di documenti
1) Certificato al Patriota nr. 160592 (cosiddetto Brevetto Alexander) rilasciato dal Comandante Supremo Alleato delle Forze nel Mediterraneo Centrale Harold Rupert Alexander a
don Longhi. Il documento è controfirmato dal Capo della Banda Ten. Carta (?) Mario e da un
Ufficiale Alleato (Carrilio?). Senza foto, senza data, senza timbri.
2-3) si tratta di due fotocopie b/n dei documenti di cui ai nr. 5, 6 e 7.
Su una fotocopia figura l’interno di una tessera che non compare nella donazione: è la tessera
nr. 201910 rilasciata dall’ANPI di Bolzano a don Longhi nel gennaio 1950 (timbro).
Don Longhi è indicato con la qualifica di partigiano combattente, con il grado di sottotenente, membro del Raggruppamento Partigiano “A. Adige” dal 01.01.1944 al 01.15.1945.
Senza foto.
1945 dopoguerra
18) Medaglione al Titolare della Matric. 7459. Foulard del Ventennale della Resistenza
1) Medaglia commemorativa rotonda emessa nel 1965 con la scritta “Ventennale della Resistenza / Giornate del Deportato”; con una spilla sul retro. Sulla medaglia campeggia un
triangolo rosso con la scritta interna IT, che era la scritta identificativa dei deportati politici
italiani a Mauthausen e che nel dopoguerra è diventata il simbolo dei deportati politici italiani in tutti i Lager nazisti.
2) Foulard in stoffa pesante a strisce bianco-blu, che richiama il simbolo della divisa “zebrata” dei deportati civili nei maggiori Lager nazisti. Sul foulard con un pennarello è scritto
a mano “per Don Daniele Longhi Dani matricola 7459 / Campo Concentramento Bolzano
Blok Celle”. Sul foulard è cucito un triangolo rosso con la scritta IT, anch’esso un richiamo
simbolico.
1965
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DON DANIELE LONGHI
Fonti
ANPI Bolzano, 1946, Perché?, Bolzano
Happacher, L., 1979, Il Lager di Bolzano con appendice documentaria, Trento
AAVV, 1980, Aspetti e problemi della Resistenza nel Trentino Alto Adige. Il Lager di via Resia
Bolzano, Bolzano
Doglioni, V. A., 1980, La visita del vescovo Mons. Fra G. Bortignon al campo di concentramento
nazista dei prigionieri politici italiani di Bolzano Giovedì Santo aprile 1945, a cura della Biblioteca Civica di Belluno e dell’Istituto Storico bellunese della Resistenza
Gaggero, A., 1991, Vestìo da omo. Dove si vede come un uomo, fattosi prete, si prende cura anche
di ladri e prostitute, poi milita nella Resistenza antifascista, finisce in un lager nazista, diventa
comunista e pacifista, ma viene processato dal Santo Uffizio che lo riduce allo stato laicale, Giunti editore Firenze
Marcelli, E., 1994, La parrocchia San Giovanni Bosco nel rione delle Semirurali, Pluristamp
Bolzano
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare,
Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista a don Daniele
Longhi realizzato da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Trento il 11.02.1996; la testimonianza
in versione integrale è consultabile sul sito www.lageredeportazione.org
Comune di Nova Milanese / Biblioteca Civica Popolare, 1996, Serie video “Sacerdoti nei Lager”,
Video con testimonianze di Don Domenico Girardi, Don Daniele Longhi, Don Paolo Liggeri,
Mons. Carlo Manziana, Nova Milanese
Delle Donne, G., 2000, Alto Adige 1945 - 1947. Ricominciare, Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige
Comune di Bolzano e Comune di Nova Milanese, 2001, Video n. 106: Sacerdoti nei Lager 1:
Don Domenico Girardi, Don Daniele Longhi, Don Paolo Liggeri, Mons. Carlo Manziana, in
“Catalogo de La Memoria in Rassegna. 170 video di resistenza deportazione e liberazione in
Europa”, Bolzano
Venegoni, D., 2004, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano: Una tragedia italiana in 7809
storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione, Milano
Giacomozzi, C., Paleari, G., 20052, Il Lager di Bolzano. Immagini e documenti del Lager nazista
di Bolzano 1944 – 1945. Bilder und Dokumente vom NS-Lager Bozen, Bozen
Regele, L. W., 2007, Meran und das Dritte Reich. Ein Lesebuch, Studienverlag Innsbruck Wien Bozen
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DON DANIELE LONGHI
1.
2.
166
1. 1943. Preghiera stampata a cura dell’ONARMO di don Longhi subito dopo il primo bombardamento del 2 settembre su Bolzano.
Fu una delle sue prime iniziative in favore della popolazione afflitta dal terrore dei bombardamenti.
2. Carta di controllo per l’acquisto di tabacchi nella provincia di Bolzano, per uomini, valevole dal 16 settembre al 31 dicembre 1944.
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3.
3. Memoria del Conte Gianantonio Manci, capo del Comitato clandestino di Liberazione Nazionale del Trentino, arrestato e ucciso nel
corso di un interrogatorio nel palazzo della Gestapo a Bolzano.
167
DON DANIELE LONGHI
4.
4. Lager di Bolzano Pasqua 1945. Busta giunta clandestinamente a don Longhi nel blocco celle, consegnata a mano, non censurata.
Conteneva dei soldi, una stella alpina seccata e due foglie di ulivo, simbolo della Pasqua.
168
DON DANIELE LONGHI
5.
6.
7.
5. Lager di Bolzano 1945. Taglio di cartamoneta del valore di 2 Lire in uso nel Lager di Bolzano. Con timbro tondo del capo supremo della
polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza in Italia / Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien.
6. Lager di Bolzano dicembre 1944. Triangolo rosso di don Longhi, deportato politico.
7. Lager di Bolzano dicembre 1944. Numero di matricola di don Longhi.
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8.
170
DON DANIELE LONGHI
9.
8.- 9. Bolzano maggio 1945? Carta di riconoscimento nr. 3 rilasciata dal Comitato di Liberazione Nazionale / National Liberation Committee
a don Longhi. Con due timbri tondi, l’uno verde “C.L.N. C.V.L. Alto Adige” e l’altro rosso “Comitato Nazionale Liberazione Alto Adige
Bolzano”. Sulla copertina la scritta “Comitato di Liberazione Nazionale / Giustizia e Libertà / Bolzano”.
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10.
10. Certificato al Patriota nr. 160592 (il cosiddetto Brevetto Alexander) rilasciato dal Comandante Supremo Alleato delle Forze nel
Mediterraneo Centrale Harold Rupert Alexander a don Longhi.
172
DON DANIELE LONGHI
11.
11. Bolzano 1949. Tessera rilasciata dall’Associazione Nazionale Ex Internati / Sezione di Bolzano a don Longhi. Nelle note è scritto
“Tenente Cappellano, Campo di Bolzano, segregato perché facente parte del Comitato Clandestino di Liberazione “Alto Adige”.
173
Intervista ad Alfredo Caloisi
Questa intervista è stata realizzata a Nova Milanese il 25.05.1996 da Giuseppe Paleari
e Carla Giacomozzi nell’ambito del Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen
aus den NS-Lagern”. Il riversamento in dvd fa parte dell’omonimo fondo (dvd numero
70) ed è consultabile a Bolzano e a Nova Milanese.
Le note sono a cura di Carla Giacomozzi.
Io a quel tempo ero in marina. Sono tornato l’8 settembre 1943.
Abitavo a Rho.
D: Perché sei andato verso Laveno? C’è un motivo?
R: C’era un signore, un ragazzo anche lui, che conosceva la zona. Conosceva il gruppo
della Valtoce che allora non si chiamava Valtoce, si chiamava gruppo sbandati, che ne so
io come si chiamava! Allora ci ha portato su lì e lì ho cominciato ad entrare “dentro”.
D: Nella formazione?
R: Nella prima vera formazione Valtoce c’era Tom Mix, c’era Edo che poi è passato con i
garibaldini, con i comunisti; poi noi lo abbiamo abbandonato perché con i comunisti non
ci trovavamo. Il nostro gruppo era un gruppo moderato, quella è la parola esatta. L’assolutismo non c’è mai andato a genio. Noi siamo andati avanti con il famoso professor
Boeri “Renatino” del Besta di Milano 1 . Con lui abbiamo costituito la Valtoce, la Beltrami
e tutte le varie suddivisioni.
D: Che periodo era?
R: Sarà stato il 1944.
D: Eravate tutti giovani?
R: Sì, eravamo dei ragazzini. Tenevamo impegnati appunto un paio di battaglioni di SS,
un po’ di Camicie Nere per i famigerati rastrellamenti. Loro venivano su e avevano più
paura di noi. Noi conoscevamo i posti, loro invece avevano una paura matta, poveretti!
Di conseguenza tante volte mi facevano anche pena. Intendiamoci bene, erano anche loro
ragazzi che avevano fatto una scelta, anche se li pagavano bene e invece a noi non pagavano niente.
Noi eravamo i padroni della zona, gran padroni di tutto: la popolazione ci ha aiutato, i
contadini!
Sono momenti che adesso, dopo 50 anni uno non dico si commuove perché non bisogna mai
commuoversi, però dà fastidio.
Tu sei contrario perché dici che bisogna sempre ricordare, io invece dico che bisogna sempre dimenticare, perdonare, dimenticare, perdonare fino ad un certo punto, dimenticare
tutto, cancellare tutto dalla memoria, tutte le memorie negative che abbiamo e tenere quei
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ALFREDO CALOISI
pochi elementi positivi che ci sono rimasti.
D: Nella formazione che cosa facevate? Quali erano le vostre azioni?
R: Le nostre azioni erano queste: bisognava andare a pigliare qualcuno per liberare
quell’altro. Sono stato forse un po’ troppo conciso. Bisognava andare a fare ostaggi per
liberare i nostri che erano stati catturati: allora scendevamo a valle, a Baveno, a Stresa,
a Lesa 2 e prendevamo qualche fascista e qualche tedesco e facevamo i baratti. Si facevano solitamente nella zona di Omegna 3 , che era una zona libera. Era ridicolo anche
quello! Tutti noi partigiani, scalcinati e svestiti da una parte e dall’altra i fascisti e i
tedeschi ma non ci si sparava perché eravamo in zona libera. Lì si facevano gli scambi,
poi ogni tanto c’era qualche jeep da fermare perché ci segnalavano che c’era su X o Y, e
allora bisognava per forza fermarli. Eravamo degli incoscienti, però.
D: Armi? Avevate delle armi?
R: Poche, molto poche. Io ero uno dei fortunati che aveva una pistola, un’Astra mi ricordo sempre. Finalmente c’è stato un lancio, nel “Lagun” sopra Massino, e allora ci siamo
armati con degli sten, mitra inglesi, c’era anche qualche mitra italiano. Poi dopo con
quello si andava nelle caserme e si metteva la gente al muro, senza accopparli, perché
non si accoppavano, e si pigliava un po’ d’armi. Così ci siamo armati, oh Dio mica tante
pallottole, poca roba, si risparmiava anche sulle pallottole.
D: Dicevi prima che la gente vi aiutava?
R: La gente più che aiutarci ci ha assistito, non ci ha fatto rimpiangere la famiglia lontana, ecco. Le ragazze facevano a gara per volerci bene, per cucire, per attaccarci un
bottone. Era una cosa commovente.
D: Da mangiare anche?
R: Sì, io ho due amici che erano bravi a cucinare, noi le donne cuoche non le abbiamo
mai avute, ci siamo arrangiati da noi. L’unica cosa positiva è che a noi arrivavano i
quattrini.
D: E da chi?
R: Dal CLN 4 di Milano. Quando noi pigliavamo un vitello, una vacca, una mucca, un
toro, una capra, si pagava sempre.
D: Ai contadini?
R: Ai contadini. Da quelle parti la mia formazione era benvoluta, conosciutissima e benvoluta.
D: Quanti eravate?
R: Al massimo, in piena estate, eravamo in 40 o 50, dislocati a destra e a sinistra e sembravamo chissà quanti. Poi nel pieno inverno c’era stato il proclama Alexander 5 che ha
detto “andate a casa, non state qui a pigliare il freddo” e siamo rimasti solo in 20 o 25.
I nostri amici sono andati a ballare al Mottarone; lì c’è stata la solita spia, la solita ra-
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ALFREDO CALOISI
gazza che li ha segnalati, e li hanno presi quasi tutti. Allora noi siamo andati Ornavasso
per fare appunto gli ostaggi, per liberare quei cretini che erano andati a ballare.
A Ornavasso siamo arrivati il 5 gennaio 1945; il 6 gennaio stavamo facendo, mi ricordo,
il risotto, sulla stufa.
Arrivano due tre raffiche dalla finestra, padelle e riso dappertutto, ci siamo buttati per
terra. Ci hanno proprio presi con le mani nel sacco.
Abbiamo avuto, mi pare, solo un morto. Per forza! Intontiti dalle bombe a mano che tiravano sotto la cascina, tu saltavi in aria con la stufa, riso da tutte le parti. Ci siamo arresi
insomma. Ci hanno messo al muro e hanno detto: “Vi fucileremo dopo”. Non ci hanno
portato a Domodossola, ci hanno portato a Ornavasso, eravamo in 13 in quella benedetta
cella.
Io mi ricordo sempre un particolare, stupido ma sintomatico. Io li contavo e siccome partivo da quello vicino a me ero sempre il tredicesimo. Mi ha portato fortuna perché sono
entrati dentro e ne hanno presi 5 o 6, a pedate nel sedere li hanno portati fuori e li hanno
accoppati. Non so dove, sopra le montagne dalla parte di là del Lago Maggiore, li hanno
fucilati.
Noi ci hanno salvato perché ci hanno portati a San Vittore.
A San Vittore era il V e VI raggio. Mi hanno dato una matricola che era 1.367, dal 19
gennaio al 14 febbraio 1945. Poi sono partito per Bolzano.
Nel frattempo si sono mossi tutti quanti: avevo potuto avvertire i miei, la mia mamma, e
un bel giorno uno chiama me con il mio nome. A San Vittore avevo dato Caloisi, che era
il nome del papà, Biffi era la mamma. Mi chiama e io pensavo: “Cristiani, è arrivato il
mio turno!” e ho salutato tutti, perché naturalmente in quei casi ci si saluta, con una certa freddezza, tanto per mantenere un certo contegno. Un contegno del cavolo! Avevo una
paura della malora!
Mi hanno portato dentro in tutti i corridoi, c’era una suora e altre due o tre, ho iniziato
a stare un po’ sul chi va là. Quella inizia con un interrogatorio da terzo grado. Poverina,
aveva uno sguardo veramente bravo, e chiede: “Come ti chiami? Di dove sei? Cosa fa la
tua mamma?” Io pensavo: “Cosa faccio io con questa qui? Cos’è, una falsa suora? Una
spia? Una donna di quelle che stanno torturando la gente?” Alla fine ho pensato: “Perso
per perso!”, le ho raccontato tutto della mia famiglia, di dove ero, la drogheria, la mia
mamma, quell’incosciente della mia mamma; sono qui che ci penso, ancora adesso mi
viene la pelle d’oca.
Mia mamma è sempre stata una donna abbastanza sfegatata. Aveva il negozio in piazza,
però parteggiava naturalmente per la mia corrente. Era distributrice dello zucchero e
invece in mezzo ai sacchi c’erano i mitra e le bombe a mano.
Ritornando alla suora, dice: “E allora tu sei l’Alfredo?” Io ho risposto: “Ma nessuno mi
chiama Alfredo!”.
D: Che nome di battaglia avevi?
R: Dino. Ho pensato: “Allora di questa ci si può fidare.” Insomma: mi ha imbottito di
marmellate, di pacchettini, pacchettoni, dentro qui, fuori di là con tutte queste camiciole,
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ALFREDO CALOISI
fatto sta che sono aumentato di 30 o 40 chili con tutte queste robe! Poi dovevo tornare
indietro. Per tornare indietro al povero scopino a momenti viene un infarto perché abbiamo incontrato il famigerato Franz 6 : quando si incontravano quelli bisognava mettersi
sull’attenti. Siamo sull’attenti ma mi viene una pancia che non finiva più, lui era con
un bellissimo cane. Insomma è andata, sono andato in camera, mi sono saltati addosso
tutti.
D: In cella, non in camera.
R: Sì, scusa, in cella. … Naturalmente ho diviso quello che c’era, si divide e non se ne
parla più. Allora uno accende una sigaretta, non tira, cos’è sta roba? Che sigarette mi ha
dato la mia mammina? C’erano tutti bigliettini, dentro! Io ne conservo ancora qualcuno
che hanno scritto mia mamma e mia sorella. “Caro bambino, io sto bene, Enrico pure,
stiamo facendo un mese di campagna, bacioni tua sirochialina”, mia sorella questa, invece mia mamma “Tanti bacioni grossi, grossi, anche dal micino e da Jolie”; micino era
il micio e Jolie era il cane e mi ha messo le impronte del gatto e del cane. Sul bigliettino,
un pezzo di carta.
D: Che aveva nascosto dentro il pacchetto.
R: Nel pacchetto delle sigarette. Diceva di scappare durante il trasferimento. Tanti scappavano, trasferiti da Milano a Bolzano in pullman riuscivano a scappare. E invece no:
quando ci hanno portati via io sono convinto non che ci abbiano drogati però che ci abbiano dato un sacco di calmante; ci siamo non addormentati ma eravamo in uno stato di
ebbrezza, in uno stato di relax. Siamo arrivati a Bolzano.
Il 15 febbraio del 1945 siamo partiti per Bolzano.
D: Con altri?
R: Erano 7 o 8 pullman. Noi pensavamo: “Tu adesso lo prendi, lo blocchi, saltiamo giù
dal pullman, tu vai di qua, vai di là” e invece eravamo rimbambiti, ci hanno dato da bere
del te.
D: Così siete arrivati a Bolzano.
R: Siamo arrivati a Bolzano. A Bolzano cominciamo con la storia della croce in testa, la
croce sul vestito, la croce sulla tuta… Quello che ha impressionato noi, allora ed anche
adesso impressiona a pensarci, è il fatto che dovevi metterti sull’attenti quando passava
un tedesco. E c’era quella, non dico le parolacce perché non si possono dire, c’era quella
fanciulla delle SS che era la più cattiva: da lei ho fatto in tempo a prendermi 3 o 4 nerbate perché non l’ho vista, arrivava da dietro, e allora le ho prese. Ma per il resto me la
sono cavata bene.
D: Le hai prese ma non avevi fatto nulla.
R: No, niente, ma non ero sull’attenti quando passava lei. Il terribile a Bolzano non era
tanto il fatto di essere dentro, perché se sei dentro mangi poco e diventi magro, ma il fatto
di non entrare in quelle famose carceri.
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ALFREDO CALOISI
D: Nelle celle.
R: Nelle celle. Lì c’erano gli ucraini che davano botte dell’accidente. Chi entrava lì beccava una batosta. Difatti ogni tanto vedevamo le casse da morto che uscivano. Arrivava
un bolzanino con il carrettino e la cassa da morto usciva.
D: Perché avevi il triangolo rosso?
R: Perché rosso erano i politici, i partigiani presi con le armi. I gialli erano gli ebrei, che
erano brava gente, però loro avevano il pane e noi non lo avevamo.
D: A Bolzano?
R: Anche a Bolzano. Viaggiavano con le pagnotte lunghe, riuscivano ad averle, erano organizzatissimi, ogni tanto qualcuno si muoveva a pietà e me ne dava un boccone.
D: Il blocco non te lo ricordi?
R: No caro, no. Fatto sta che per poter avere il pane, cambio discorso, bisognava andare
alla stazione a cercare le bombe. Ci incolonnavano, ci portavano là, bisognava pulire
dove avevano bombardato i cosiddetti alleati, allora un po’ di pane te lo davano. Rare
volte mi è capitato. Ti danno questa tuta con la croce rossa sulla schiena, caro mio, non è
che potevi scappare. Sei subito individuato.
D: Eri un bersaglio.
R: Una volta siamo andati verso le gallerie di Vipiteno dove c’erano dei torni da spostare.
Queste gallerie erano piene di ogni ben di dio, torni, frese, macchine utensili varie, che
loro spostavano per portarle in Germania. Là c’era uno che veniva dalla Russia, aveva
perso un occhio, appoggiava il mitra e se ne andava per i fatti suoi. Probabilmente senza
caricatore, eh? Noi si pigliava in mano questo robo, non era un mitra loro avevano la
Maschinenpistole, si guardava come era fatto, poi lo si metteva lì e si andava a pulire
la sterpaglia o cosa diavolo ci portavano a pulire. Maltrattamenti no, salvo appunto le
legnate come ho detto.
D: Tu hai visto delle violenze nel campo?
R: Sì, per forza. Mi ricordo di uno che rientrava da Mauthausen, era uno scambio, era
pelle ed ossa. Nonostante quello lo picchiavano a tutto andare, questo povero cristo, non
so nemmeno io, è successo verso il mese di aprile o maggio, non so perché lo picchiavano,
era stato uno scambio di prigionieri.
Poi ogni tanto quando ci mettevano sull’attenti se non eri allineato ti arrivavano dietro,
io non le ho mai prese grazie a dio, avevo l’occhio clinico, in marina mi avevano abituato
a stare in fila. Invece qualcuno magari poveretto di una certa età allora sì le pigliava, e
non potevi nemmeno aiutarlo ad alzarsi, altrimenti le pigliavi anche tu.
Allora dovevano stare in terra, poi si tiravano su e si mettevano lì. Il famoso “appello”
lo chiamavano loro.
Quello era l’appello della morte.
Poi sono dovuto andare in infermeria perché avevo, ce l’ho anche adesso, una punta di
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ALFREDO CALOISI
pleure. Mi ricordo il nome Ferrari, non so se era un infermiere, un professore o un medico. Mi aveva dato delle pastigliette, aspirine probabilmente erano.
D: Ti ricordi se c’erano anche delle donne nel campo?
R: Sì, c’erano le donne. Quando c’è stata la cosiddetta liberazione, mi pare in maggio,
le donne mi sembra d’aver sentito che erano riuscite a mettere le mani addosso alla SS
femminile, la Tigre, e l’abbiano fatta fuori ma non sono sicuro. L’ho sentito dire; noi
eravamo fuori per lavoro, e quella mattina quando siamo tornati indietro, ripeto era
maggio, nel campo abbiamo visto tutto un caos, roba tutta per aria, gente che si dava da
fare, gente che scappava di qua, gente che andava di là, abbiamo chiesto cos’era successo: “Eh, i tedeschi non ci sono più”. Allora mi ricordo che c’è stato un bolzanino che si
avvicinava e diceva: “Voi siete giovani, siete partigiani con il triangolo rosso, venite su
in montagna con noi.” Ho pensato: “Ho salvato la pelle fino ad adesso, non vorrai mica
che venga su in montagna a crepare proprio qui a Bolzano!” Essendo estraneo del luogo,
questi mandano avanti te nei luoghi pericolosi, tu che non sai e che non sei conosciuto.
D: Nel periodo in cui sei rimasto a Bolzano la tua mamma non ti ha più contattato?
R: No, non poteva. La mamma aveva tentato onestamente di mandarmi un tedesco con il
sidecar, quelle macchine che avevano loro. Questo tedesco doveva avvicinarmi nel campo, mi prendeva, mi sdraiava nel sidecar e mi portava a Milano, sdraiato nel sidecar,
figurati che viaggio avrei fatto! Però non l’ho più visto.
D: Che tu ricordi, qualcuno è riuscito a scappare da Bolzano?
R: Sì, c’era un francese che è scappato tre volte. Non so come faceva, era un ragazzetto
anche lui, avrà avuto 18, 20 o 23 anni. Tre volte è scappato, tre volte lo hanno ripreso.
Allora abbiamo detto basta: ma scherziamo! Si sentiva che c’era nell’aria un rilassamento. Non c’era più quella disciplina ferrea di febbraio, lasciavano un po’ correre, e
allora anche noi non si rischiava più. Era inutile rischiare: se resisti, se non crepi di
fame prima, non devi rischiare.
A piedi siamo arrivati al Lago di Garda.
Al Lago di Garda incontriamo il primo negro, americano. Cominciamo a parlare un po’
in italiano e mi ricordo che dice: “Voi Germania, dalla Germania?”. “Sì dalla Germania,
vado a Milano”. E l’altro: “Io vado a Ferrara”. “E allora venite con me”. Ci ha portato
su questo carro armato. Sedetevi, sit down. Questo si muove e ci sediamo, noi pensiamo
di aver trovato un mezzo di trasporto. Il carro armato si avvicina e va verso il lago, noi
cominciamo a guardarci in faccia, questo qui va verso il lago, cosa fa? Ci vuole annegare
tutti quanti? Si avvicina e non si ferma! Fatto sta che abbiamo fatto ridere quegli americani perché noi a 22 anni non avevamo mai visto un mezzo anfibio, e di quelle dimensioni,
poi! Invece lui tranquillo è entrato in acqua e ci ha portati dall’altra parte.
Noi li abbiamo ringraziati, e poi la solita storia, ci hanno dato un po’ di cioccolato,
qualche sigaretta.
D: E poi sei arrivato a Rho?
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ALFREDO CALOISI
R: A Milano ho trovato i miei della Valtoce. Il professor Burini l’ho trovato a Milano.
Dopo sono andato a Rho. La mia mamma aveva mandato il fidanzato di mia sorella con
il biroccio con il cavallo per tentare di trovarmi. Invece io non so come ho fatto ma sono
arrivato a casa. Sai dopo ero diventato un po’ un eroe nazionale, adesso mi viene un po’
da ridere a pensarci.
D: Come, ti viene da ridere?
R: Mi viene da ridere perché tu sei contrario ma io dico che sono tutte cose da dimenticare, da non ricordare più … perché quando le vedi ti manca il fiato, ti manca la parola, non
va bene. Non va bene, non è giusto, io la vedo così, non dobbiamo rivangare sempre se no
non finisce più: noi odiamo loro, loro odiano noi!
Io non perdono, è un fatto mio personale, capisci, è una sensazione psicologica che tu hai
dentro nell’animo e te la devi tenere. E’ un diritto il fatto di trasmettere questo tuo odio
interno agli altri affinché odino questi? No. Basta, se no la storia non è mai finita, santo
cielo.
Quando sono tornato sono andato a Baveno nella nostra sede. Ho fatto un mese di ospedale per rimettermi in sesto tra la pleure, la scabbia e tutte quelle cose. E anche lì: “Dovete
odiarli!” “No, non odiamo nessuno, abbiamo salvato la pelle, non vale la pena diventar
scemi, per che cosa dobbiamo odiare?” Non odiamo più, basta, non parliamone più. E
invece tu mi fai parlare, adesso io stupidamente ho parlato.
D: Quanto pesavi, ti ricordi?
R: Sui 47, 48 Kg. Ero magro di costituzione. La mia mamma diceva: “Mio Dio, figliolo
come ti sei fatto brutto, come sei brutto”. Mia mamma me lo diceva, ogni tanto me lo diceva, poverina.
D: Quando sei tornato hai trovato qualcuno?
R: No, mi sono messo a studiare. Ho voluto fare il furbo e mi sono messo a studiare. Qualche esame l’ho fatto bene, dopo ho voluto esagerare, preparare 5, 6, 4 esami alla volta,
difatti poi è stato un esaurimento nervoso dopo l’altro. All’università non dico che fossi
uno studente modello, però tra gli esaurimenti e tutti questi abbattimenti che avevo, basta
… sono andato a lavorare. Sono andato dall’amico Peppino Restelli e mi ha messo dentro
alla Snam, allora c’era un certo rispetto.
D: Cos’è che ti teneva, avevi un progetto speranza, un ideale, dei valori che ti caricavano?
R: No, non andate sul difficile. C’era caso mai la volontà di tornare a casa e di resistere
fino a quando era possibile, cercare di ritornare a casa sano e salvo, di portare a casa la
pelle, ecco, come volgarmente si dice. Salvare la pelle e niente altro. Che ideali! la patria!
la patria di fronte ai mitra ed ai tedeschi va un po’ nel limbo, tu ti devi per forza rinchiudere un po’ in te stesso e pensare di salvare le apparenze e la tua pelle, in poche parole.
Capisci? Tutti questi ideali scompaiono in quei momenti, quando sei preso e messo al muro
non ti vengono mica in mente gli ideali, vorresti solo scappare, è tutto lì il pasticcio.
182
ALFREDO CALOISI
Note
1:
Carlo Besta è il nome di un Istituto Neurologico di Milano.
2:
Si tratta di località site sulla riva occidentale del Lago Maggiore, a valle dello sbocco del
fiume Toce nel Lago.
3:
La Repubblica dell’Ossola fu una delle 15 “zone libere” partigiane che ebbero vita in Italia fra l’estate e l’autunno del 1944, in piena occupazione nazifascista. Occupava la valle
percorsa dal fiume Toce dal crinale alpino verso la Svizzera fino allo sbocco nel Lago
Maggiore. Capoluogo di questa repubblica fu Domodossola; altri centri della zona libera
erano Ornavasso, Villadossola e Mergozzo. La repubblica esistette dal 10 settembre al 22
ottobre 1944. Alla liberazione della valle si era giunti dopo un periodo di forte attività da
parte delle forze partigiane della zona. Il 10 ottobre 1944 i fascisti attaccarono e, dopo
aspri scontri, il 23 ottobre 1944, riconquistarono tutto il territorio.
4:
CLN è l’acronimo di Comitato di Liberazione Nazionale, il comitato clandestino di governo
con rappresentanti dei partiti antifascisti, attivo dall’autunno 1943 alla fine della guerra.
Ogni provincia italiana del nord e centro Italia occupato aveva un CLN. A Milano aveva
sede il CLN Alta Italia o CLNAI.
5:
L’ambiguo proclama del generale inglese Alexander (1891 - 1969), comandante supremo
delle forze alleate in Italia, fu diramato via radio il 13 novembre 1944. Considerava conclusa la campagna estiva della lotta partigiana e pregava i partigiani di scendere dalle
montagne, visti i rigori dell’incipiente inverno e il continuo avanzare delle truppe alleate.
Da molte delle forze politiche che organizzavano la resistenza armata ai nazifascisti questo
proclama fu considerato gravemente. Di fatto la resistenza armata proseguì e ben pochi
furono i partigiani che scesero dalle montagne nell’inverno del 1944.
6:
Dell’SS Rottenführer Franz Staltmayer dice Liliana Picciotto Fargion: “Nel febbraio del
1944 giunse a San Vittore, come vicedirettore, Franz Staltmayer, un uomo corpulento, dal
collo taurino, che girava con un cane lupo e con in mano un frustino che faceva schioccare
continuamente contro gli stivali tirati a lucido.
Il servizio di guardia interno era gestito interamente dai tedeschi, stabilitisi in alcuni locali nelle immediate vicinanze del portone d’ingresso di via Filangieri. Il servizio di guardia
esterno era effettuato da agenti italiani.”
183
Il Fondo Alfredo Caloisi
Il Fondo Alfredo Caloisi è costituito dalla tuta da deportato che lo stesso Caloisi ha donato
nel 1997 all’Archivio Storico.
Fonti
De Martino, G., 1945, Dal Carcere di San Vittore ai “Lager” tedeschi sotto la sferza nazifascista, Edizioni “Alaya” Milano
Liggeri, P., 1986 5 , Triangolo rosso: dalle carceri milanesi di san Vittore ai campi di concentramento e di eliminazione di Fossoli, Bolzano, Mauthausen, Gusen, Dachau, La Casa
editrice Milano
Picciotto Fargion. L., 1992, Gli ebrei in provincia di Milano: 1943/1945, Provincia di Milano e Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea Milano
Scollo, A., 1994 2 , I campi della demenza, Vangelista editore Milano
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista
a Alfredo Caloisi realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a Nova Milanese il
25.05.1996
Foot, J., 1998, The tale of San Vittore: prison, politics, crime and Fascism in Milan, 1943
– 1946, in “Modern Italy”, 3, 1, maggio 1998, pp. 25-48
Borgomaneri, L., 2005, Milano 1940-1945: la guerra, l’occupazione, la resistenza, la
liberazione. Itinerari della Memoria, Mimosa srl Milano
Giacomozzi, C., Paleari, G., 2005 2 , Il Lager di Bolzano. Immagini e documenti del Lager
nazista di Bolzano 1944 – 1945. Bilder und Dokumente vom NS-Lager Bozen, Bolzano
184
ALFREDO CALOISI
Lager di Bolzano 1945. Tuta data a Caloisi al momento del suo ingresso nel Lager. Sulle spalle è segnata in vernice rossa la
croce di S. Andrea, uno dei segni di riconoscimento del deportato.
185
La vicenda di Zita Calzetta Righetti
La storia di arresto e di deportazione di Zita Calzetta Righetti è legata a vicende che coinvolsero tutta la sua famiglia.
Motivo dell’arresto di Zita e del marito fu l’attività di resistenza di uno dei due figli,
Giorgio.
Zita Calzetta era nata a Bracelli di Beverino (provincia di La Spezia) il 10 maggio 1897.
A Beverino si era sposata con Alfredo Righetti nel 1921. Ebbero due figli: Giorgio, nato
nel 1922, e Arnaldo, nato nel 1926. La famiglia risiedeva a La Spezia, dove Alfredo e Zita
gestivano la “Latteria Garibaldi”, sita nella centrale piazza Garibaldi.
A causa dei bombardamenti su La Spezia, che iniziarono già nel 1942, la famiglia Righetti
nell’aprile 1943 sfollò nel vicino paese di Riccò del Golfo, pur continuando a frequentare
la città per lavorare in latteria.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 il figlio Giorgio scappò a Roma dalla caserma
dove stava frequentando il corso allievi ufficiali d’aeronautica e tornò clandestinamente
a La Spezia.
Giorgio ricorda: “A Riccò del Golfo conobbi Vero del Carpio e la famiglia Paganini e
con loro iniziammo la preparazione alla resistenza. Il mio compito, in un primo tempo, fu
quello di avvicinare i giovani che lavoravano per la Todt o prestavano servizio militare,
per convincerli a lasciare il lavoro e la divisa e iniziare la resistenza ai monti. (…) Debbo
dire che questa opera ha dato i suoi frutti: molti sono stati i giovani che mi hanno seguito
e che hanno lasciato il lavoro e la caserma per prendere la via dei monti.” 1
L’opera di reclutamento di Giorgio per il movimento partigiano “Giustizia e Libertà” non
passò inosservata alle forze di polizia. Dopo alcuni tentativi di cattura, ai quali Giorgio
riuscì a sottrarsi, vennero presi di mira i genitori. Entrambi furono arrestati nella latteria
il 7 agosto 1944.
E’ ancora Giorgio che rammenta: “I miei avevano una gelateria in piazza Garibaldi; agenti provocatori hanno cominciato a interrogarli, giungendo poi al loro arresto, operato dal
famigerato Aurelio 2 delle Brigate Nere, che fece svaligiare subito sia il negozio che la loro
abitazione. Nella casa andò poi ad abitare l’aiutante di Aurelio, tale Rognoni, con la sua
famiglia e vi rimase sino alla fine della guerra.
I miei genitori vennero condotti prima a Villa Andreino dove rimasero sino al 25 settembre, quando furono trasferiti al carcere genovese di Marassi.” 3
La cosiddetta Villa Andreino di La Spezia era sede delle carceri giudiziarie, in via Fontevivo. Nel periodo dell’occupazione nazifascista fungeva anche da carcere militare e da luogo
di interrogatori da parte delle Brigate Nere e della Gestapo di La Spezia. 4
Zita venne rilasciata da Villa Andreino il 30 agosto ma fu nuovamente arrestata il giorno
successivo, 1. settembre 1944. Insieme con il marito, che invece era rimasto prigioniero
188
ZITA RIGHETTI
del Comando Tedesco, il 25 settembre venne trasferita nel carcere “Marassi” di Genova.
Da qui dopo pochi giorni entrambi ripartirono con altri detenuti alla volta del Lager di
Bolzano.
Zita a Bolzano fu immatricolata con il numero 4.823, Umberto con il numero 4.832.
Zita venne assegnata al blocco femminile, Umberto ad uno dei blocchi maschili.
A Bolzano la storia di Zita e Umberto si divise per sempre: Zita rimase a Bolzano, Umberto invece partì con il trasporto del 20 novembre 1944 con altri 280 deportati per il Lager
di Mauthausen.
Nel Lager di Mauthausen Umberto Righetti fu di nuovo immatricolato con il numero
110.388. Dopo la selezione e la permanenza nel Revier (ospedale) del Lager, venne trasferito nel campo dipendente di Gusen 2, dove morì il 6 gennaio 1945.
Zita lavorò nella lavanderia del Lager. Scrive il figlio Arnaldo, che riporta la testimonianza del deportato spezzino a Bolzano Lorenzo Bettaccini: “(Zita) aveva la possibilità di
sottrarre nascostamente qualche coperta e qualche telo dai sacchi di patate, con cui venivano in seguito confezionati rudimentali indumenti da consegnare a coloro che venivano
deportati verso i campi di sterminio …. Ciò che fece non fu per calcolo o per indottrinamento politico, anche se fece certamente parte del CLN del campo; ricordo a tal proposito che prima che ci rinchiudessero nei vagoni per trasportarci al di là del Brennero,
riuscì a darmi 5.000 lire che provenivano dal fondo di assistenza del CLN, come mi disse
quando mi riportarono indietro nel campo e cercai di restituirgliele senza riuscirvi.” 5
Dal Lager di Bolzano Zita poté scrivere alcune lettere ad una cugina a Genova e ad una
nipote a La Spezia.
Zita rimase nel Lager di Bolzano fino alla liberazione del campo, sempre all’oscuro del
destino del marito e dei figli.
La liberazione per Zita giunse il 30 aprile 1945, come testimonia il suo certificato di
rilascio (Entlassungsschein), firmato dal Comandante del Lager di Bolzano SS Untersturmführer Tito, donato all’Archivio.
L’altro documento donato all’Archivio indica la sosta di Zita a Brescia, dove nel maggio
del 1945 la Curia Vescovile aveva organizzato il Centro Informazioni per rimpatriandi
italiani che, liberati dai campi di concentramento e di lavoro del Terzo Reich, valicavano
il Brennero e cercavano di tornare alle proprie case.
Tali centri, gestiti nelle città del nord Italia dalla Pontificia Opera di Assistenza, erano gli
unici punti di primo aiuto medico, finanziario e alimentare per migliaia di connazionali
che rientravano in Italia dopo anni o mesi di assenza, dovuta a deportazione civile, internamento militare o lavoro coatto.
Zita partì da Brescia il 6 maggio 1945, non sappiamo se avesse impiegato i sei giorni per
coprire a piedi il tragitto da Bolzano a Brescia, o se a Brescia si fosse fermata per qualche
giorno. A Brescia il suo nome fu registrato dal Centro Informazioni e, con questo lasciapassare, fu autorizzata a proseguire verso La Spezia.
189
ZITA RIGHETTI
Non è facile per noi ora immaginare le condizioni di pericolo e di difficoltà in cui versavano le strade in quelle settimane a cavallo tra gli ultimi giorni di guerra e i primi giorni
della liberazione.
Il viaggio di Zita verso casa proseguì come riporta il figlio Arnaldo: “… con pochi altri
riesce con mezzi di fortuna a raggiungere Genova. Qui però c’è l’intoppo delle ferrovie
ancora distrutte e allora si avvia a piedi verso Spezia; a Chiavari un gruppo di partigiani
li fermano e, vedendo Zita rapata, la scambiano per una fuggitiva fascista punita dai partigiani; nessuno vuole ancora credere alla realtà dei campi nazisti. Chiarito in modo assai
burrascoso l’equivoco, proseguono su di un mezzo americano sino alla discesa del Bracco
e quindi, nuovamente a piedi, raggiungono finalmente casa il 10 di maggio.” 5
Zita ricevette la notizia ufficiale della morte del marito avvenuta nel campo austriaco di
Gusen 2 molto tardi, nell’agosto del 1946. Possiamo solo immaginare il dolore e le grandi
difficoltà che seguirono a questo avvio di nuova vita della famiglia Righetti, privata del
capofamiglia. Anche la vita di un’altra famiglia, la famiglia Paganini, legata come abbiamo visto alla vicenda di Zita, fu sconvolta dagli arresti e dalla deportazione: Alberto
Paganini fu arrestato e deportato nei Lager di Bolzano e di Flossenbürg. Morì a Hersbruck,
campo dipendente del Lager di Flossenbürg, il 6 dicembre del 1944.
Della sua famiglia furono deportati anche le due sorelle Bice e Bianca (che sopravvissero
ai Lager di Bolzano e di Ravensbrück) e la madre Amelia Giardini, che invece trovò la
morte nel Lager di Ravensbrück. 6
Zita si spense a La Spezia nel novembre 1970.
I due documenti che il figlio Arnaldo ha donato all’Archivio Storico della Città di Bolzano
sono l’eredità che Zita lascia a noi tutti della sua dolorosa storia personale e familiare, di
arresto e di deportazione nei Lager nazisti.
Note
1: Righetti, A., 2006, Storia di Alfredo, La Spezia s.e.
2: Il “famigerato Aurelio” era Aurelio Gallo, comandante delle Brigate Nere di La Spezia.
3: Righetti, A., 2006, Storia di Alfredo, La Spezia s.e.
4: Petacco, A., 1984, La Spezia in guerra 1940-45 Cinque anni della nostra città,
La Nazione e Cassa di Risparmio della Spezia, p. 329
5: Righetti, A., 2006, Storia di Alfredo, La Spezia s.e.
6: vedasi la testimonianza di Bianca Paganini Mori sul sito
w w w. t e s t i m o n i a n z e d a i l a g e r. r a i . i t
190
Il Fondo Zita Calzetta Righetti
Nel 2007 Arnaldo Righetti di La Spezia ha donato all’Archivio Storico due documenti originali appartenuti alla madre Zita, deportata politica nel Lager di Bolzano.
Si tratta di 2 pezzi del 1945:
1) Entlassungsschein (Certificato di rilascio del Lager di Bolzano)
Documento ufficiale predisposto dall’amministrazione del Lager. Emesso il 30.04.1945 dal
Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien, Pol.-Durchgangslager-Bozen
(Comandante supremo della Polizia di Sicurezza e del Servizio di Sicurezza in Italia) per
Zita Righetti, con integrazioni dattiloscritte. Esso porta la firma autografa del Comandante
del Lager di Bolzano / Lagerkommandant SS-Untersturmführer (Karl Friedrich) Tito.
Con timbro tondo del Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien, Pol.Durchgangslager-Bozen.
1945 deportazione: Lager di Bolzano
2) Lasciapassare
Documento prestampato rilasciato il 06.05.1945 a Brescia dalla Segreteria Vescovile /
Ufficio Informazioni Brescia / firmato dal sacerdote Angelo Pietrobelli Segretario.
Con due timbri: l’uno tondo della Curia Vescovile della Diocesi di Brescia; l’altro rettangolare: Prot. N. / Visto si autorizza / Comitato di Liberazione.
1945 liberazione: ritorno a casa
191
ZITA RIGHETTI
Fonti
Morelli, V., 1965, I deportati italiani nei campi di sterminio 1943-1945, Milano
Beccaria Rolfi, L., Bruzzone A. M., 1978, Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Einaudi editore Torino (con la testimonianza di Bianca Paganini
Mori)
Petacco, A., 1984, La Spezia in guerra 1940-45: Cinque anni della nostra città, La Nazione
e Cassa di Risparmio della Spezia
Ricci, G., 1995, La colonna “Giustizia e Libertà”, F.I.A.P. e Associazione Partigiana Mario
Fontana, La Spezia
AAVV, 1997, La Provincia della Spezia, Medaglia d’oro della Resistenza: L’impegno ed il
sacrificio di una provincia per la libertà, Edizioni Giacché Pietrasanta
Comune di Bolzano Archivio Storico, Comune di Nova Milanese Biblioteca Civica Popolare, Progetto “Testimonianze dai Lager / Videoaussagen aus den NS-Lagern”, intervista
a Bianca Paganini Mori realizzata da Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari a La Spezia il
08.06.2000.
La testimonianza in versione integrale è sul sito www.testimonianzedailager.rai.it
Ratti, L., 2000, Le lapidi di Via Fontevivo: per non dimenticare, Avenzagrafica Carrara
Antonimi, S., 2001, La Liguria di Salò: Repubblica Sociale e guerra civile 1943 – 1945,
De Ferrari editore Genova
Provincia della Spezia e A.N.E.D., 2003, I nuovi testimoni: impressioni e commenti degli
studenti della Provincia che hanno partecipato alle testimonianze e alle visite ai campi di
sterminio nazisti organizzati dall’A.N.E.D., Stampa Liteuropa Spezia
Millu, L., Fucile, R., 2004, Dalla Liguria ai campi di sterminio, aggiornamento a cura di
Gilberto Salmoni, Provincia di Genova editore
Giacomozzi, C., Paleari, G., 2005 2 , Il Lager di Bolzano. Immagini e documenti del Lager
nazista di Bolzano 1944 – 1945. Bilder und Dokumente vom NS-Lager Bozen, Bolzano
Righetti, A., 2006, Storia di Alfredo, stampato in proprio a La Spezia
192
ZITA RIGHETTI
1.
1. Zita Calzetta Righetti nel 1936.
193
ZITA RIGHETTI
2.
194
2. Lager di Bolzano 30 aprile 1945. Certificato di rilascio del Lager di Bolzano, emesso dal comandante supremo della polizia di sicurezza
e del servizio di sicurezza in Italia / Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien. Reca la firma autografa del Comandante
del Lager di Bolzano, tenente SS Karl Friedrich Tito.
ZITA RIGHETTI
3.
3. Brescia 6 maggio 1945. Lasciapassare rilasciato dalla Segreteria Vescovile a Zita Righetti, in viaggio verso casa.
195
ZITA RIGHETTI
Indice dei nomi di persona
Aglieri Angelo 68
Alaimo Ignazio 75
Alexander Harold Rupert 159, 164, 177
Amantea Luigi 76
Ancona Sandro 75
Andergassen Heinz 157
Anselmi Roberto 67
Antonini P. 73, 74
Antonioli Caterina 7, 125, 127, 128
Antonioli Giuseppe 127
Argenton 69, 70, 71
Arlenghi Santo 70, 71
Armellini Candido 70, 75
Artioli Mauro 126
Ascoli Duca Elisa 126
Baccolini (Agostino?) 16
Bancora Aurelio 70
Bandiera fratelli 150
Baratti Attilio 70, 77
Barbagallo Corrado 77
Barberis U. 59
Barbò di Casalmorano Guglielmo 78
Barda Samuel, Sereni Enzo 132, 134
Barioli Aldo 19
Barioli Maria Luisa 19
Bernardi Aurelio 71
Berselli don Costante 130
Besana 75, 78
Bettaccini Lorenzo 189
Bisetti 80, 82, 83, 87
Boeri Renato 176
Boldrin Luigi 162
Boldrini 79
196
Bonomelli Ennio 125, 129
Borgongini Duca Card. Francesco 126
Bortignon Mons. Gerolamo 153, 154, 157
Bruni 81, 82, 85, 100, 103, 104, 105, 106
Burini 182
Caleffi Piero 136, 139
Calmieri Alfredo 78
Caloisi Alfredo 175-185
Calvi Ercole 68
Camieri 83
Caminiti Marcello 155, 158
Camuri 82, 85, 89
Cantaluppi Gaetano 65, 67, 75
Cantaluppi Gianni 65
Canziani Carlo 68
Carbonari don Giacinto 150, 156
Carlucci Antonio 72
Carneroli, Carnevali Tullio, 78
Carnevali, Carneroli Tullio, 78
“Carrara” 133
Carrilio (?) 164
Carta (?) Mario 164
Cassarini Domenico 72, 101
Cavan Luigi 19
Centeleghe Giovanni 20, 21
Chilò Enrico 139
Chiminelli Carlo 21
Ciampi Carlo Azeglio 14
Cinelli Luigi 133
Colarusso 78
Colleselli Arnaldo 21, 153, 156
Cologna Albino 157
Colombo Israele Alfonso Ferdinando 69
Conte, Curion 75
Cordero di Montezemolo Giuseppe 79
Corona (Francesco?) 141
Corona Piero 73
Costan Stento Antonio 138
197
Costantini Bartolomeo 126
Costanzo (Alessandro?) 141
Curion, Conte 76
Dagrin 130
Dalla Favera Giovanni 19
De Bernardin Stadoan Leonardo 138
De Lorenzis Ugo 79
De Nicola Amedeo 78
De Santo 23
De Zolt Coletta Romano 138
Degli Occhi 105
Del Carpio Vero 188
Delitala 105
Della Corte 18
Della Rovere, falso generale (Bertoni Giovanni) 51
Denti Lidia 78
Diamanti 83, 86
Dinas, Duca Vittorio 126
Dragone 75
Duca Giovanni 125, 126, 127
Duca Paola 126
Duca Vittorio 123-147
Edith 52, 90, 92
Ercoli 79
Fagioletti 93
Faldella Emilio 76
Farina Nazareno 75
Federici 76
Ferrari Virgilio 181
Ferrée 82, 95, 97, 98, 100
Ferrini 134
Focherini Olga 50
Fornaro Enzo 79, 81, 82, 85, 87, 89, 93, 96, 97, 98, 99, 100
Freda Giustino 69
Gaggero don Andrea 132, 151, 156
Galassi Romolo 94
Gallo Aurelio 188
Gallo Bona Gastone 134
198
Garbuio Carlo 20
Garbuio Dina 20
Garbuio Gianfranco 20
Gasparini Ernestina 73
Gasparini Vittorio 51, 72, 105, 107, 120
Georgi Daniele, Duca Giovanni 126
Gesterfeld 47
Giacomozzi Carla 50, 124, 125, 128, 150, 176
Giorgini Schiff Giorgio 75
Girardoni 139
Giuliano Salvatore, il bandito Giuliano 13
Granzotto Basso Luciano 21, 24
Grelli B. R. 74
Gurtler Hermann 132, 133
Haage Hans 137, 153, 158
Happacher Luciano 23
Himmler Heinrich 131
Hitler Adolf 64, 65, 131, 135, 154
Jünger Ernst 133
Kranebitter Friedrich 126
Lazzarini Giovanni 19
Lener 105
Libardi Lina 162
Lodigiani Piero 139
Lomaglio Cesare 60, 96
Lombard Giovanni 66, 96
Longhi don Daniele 149-173
Longo 18, 31
Longon Manlio 155, 156, 159
Luca Ugo 13
Luling Buschetti Enrico 69
Lunetta Giuseppe 69
Macchi Alessandro 74
Maffey Aldo 163
Malaguti B. 59
Maltagliati Armando 130, 133
Manci Gianantonio 155, 159, 163, 167
Mancinelli G. 79
199
Manfredini (Alfredo?) 136
Mantica Carlo 65, 75
Marchioni 101
Marconi Giovanni 136
Maria Teresa d’Austria 150
Marmiroli 82, 86, 87
Martin Barzolai Carlo 138
Martinelli Lella 86, 89, 95
Martucci Leone 78
Marzelli Giuseppe 78
Mattia Francesco 72
Max 134
Mazza Bruno 128
Meloni Enrica 71
Meloni Giuseppe 73
Menarini, Manarini 98
Meneghetti Egidio 156
Meschi Lorenzo 135
Miano Domenico 65, 74
Miglietta M. 59
Mischi 85
Montagnani Numa 60
Montanelli Indro 51
Montanelli Maddalena 51
Monti 78
Moretti Giuseppe 73
Morosini Franca 81, 89, 93, 95
Mura 105, 106
Muraca Giovanni 65, 75
Murana 82, 83, 85, 87, 89, 95
Mussolini Benito 86, 131
Musy Alfredo 13, 16
Musy Dario 12, 16
Musy Enrico, Glori Enrico 12
Musy Gianni 12
Musy Loris 11-41
Nappa Francesco 76
Noels van Wageningen Hans 137
200
Novaro Dante 136
Novello Luigi 130
Nulli Bonomelli Rosetta 124, 126, 127, 129, 132
Nulli Lodovico 125
Nulli Mariuccia 124, 125, 126, 127, 129, 132
Olivelli Teresio 58, 70, 71, 74, 77
Onnis 75
Osteria Luca, Dottor Ugo 52, 91, 93, 95, 101, 102, 103
Paganini Alberto 190
Paganini Amelia 190
Paganini Bianca 190
Paganini Bice 190
Paleari Giuseppe 150, 176
Palumbo Vittorio 72
Panini (?) M. 20
Papa Giovanni Paolo II 164
Papa Pio XX 157
Parenti Vincenzo 61
Pasini 95
Pedrotti don Guido 150, 151, 156
Peppino (cognome) 79
Pesapane Carlo 83, 85, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 100, 101, 103, 105, 106, 107
Pesapane Giovanna 44, 58, 80, 83, 85, 87, 89, 90, 105, 108
Pesapane Paolo 58, 80, 83, 87, 88, 89, 90, 92, 108
Pesapane Renata 93, 95
Pesapane Sergio 78, 89, 93, 95
Pesapane Tilde 43-121
Pesapane Ubaldo 43-121, 161
Pezzuti Bortolo 158
Picciotto Fargion Liliana 183
Piccoli 86, 95
Pietrobelli Angelo 191
Piola can. Giuseppe 21, 40
Pirelli Luigi 161
Piscetta Armando 75
Piscitello 83, 87
Pisetzky Luzzatti Dorotea 158
Pizzini Attilio 16, 132, 133, 137, 138
201
Polverini Roberto 140
Pontil Scala Gianfiore 138
Pozzi Nella 86, 95, 103, 107
Pradetto Cignotto Aurelio 138
Rauzi Mons. Oreste 155
Re Giovanni 66
Rella Francesco 163
Restelli Angelo 72
Restelli Giuseppe 182
Ricciardelli Gino 66, 96
Righetti Alfredo Umberto 188, 189
Righetti Arnaldo 188, 189, 190
Righetti Giorgio 188
Righetti Zita 187-195
Rocca Cesare 135, 136, 139
Rognoni 188
Roncoroni Ettore 69
Rossini Renato 74
Rossini Torquato 74
Rossoni Giordano 129, 130, 135
Rovescala Giuseppe 69, 71
Rovescala Itala 71
Saevecke Theo 83, 85, 90, 92, 94, 97
Sandulli Mercuro Alfredo 13
Sandulli Mercuro Assunta 12
Saulle Giovanni 155, 159
Scapaticci Italo 135, 136
Schiffer August 153, 154, 157
Schuster Card. Ildefonso 150
Sciesa Antonio 150
Sciotta (?) Ignazio 78
Scoccimarro Mauro 77
Senatore Aldo 61, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 89, 90, 94, 96, 97, 99
Sforza Carlo 77
Silva Ambrogio 85, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 97
Solinas 67, 76
Sordo don Narciso 164
Spagna (cognome) 89
202
Spini Nulli Caterina 125
Staltmayer Franz 179, 183
Storz Albert 157
Susana (?) Andrea 73
Tabai Francesco 76
Tamburini 75
Tateo Luigi 60, 96, 101
Testori 86, 95
Thyrolf Rudolf 157
Tigre, Hildegard Lächert 181
Tito Josip Broz 133
Tito Karl Friedrich 21, 41, 131, 158, 189, 191, 194
Togliatti Palmiro 77
Tom Mix 176
Tursini 51
Uccelli Arnaldo 86, 103
Ulivi 136
Umberto di Savoia 25
Valis Mauro 78
Vassallo 86, 96
Verri Gabriele 73, 74
Vespignani R. 20
Vianello Gino 129, 130, 135
Visconti 93
Vittorio Emanuele III 59
Werner Hans Herbert 20, 23, 130
„Willy“ 19
Zampol Valentino 138
Zanin 23
Zardo 101, 102, 104
Zei Piero 77
Zoppi 96
203
S O M M A R I O
Presentazioni
Loris Musy
Mio padre Loris Musy
Il Fondo Loris Musy
Inventario del Fondo Musy
Fonti
7
11
12
16
17
26
Ubaldo Pesapane
43
44
58
59
80
109
Vittorio Duca
123
124
126
127
128
129
142
Don Daniele Longhi
149
150
160
160
165
Alfredo Caloisi
175
176
184
Mio padre Ubaldo Pesapane
Il Fondo Ubaldo Pesapane
Inventario del Fondo Pesapane
Trascrizione integrale dei biglietti da San Vittore
Fonti
Vittorio Duca e la famiglia Nulli
Notizie sulla vita e sulla morte di Vittorio Duca
Il Fondo Vittorio Duca
Inventario del Fondo Duca
Diario dal Lager di Bolzano 1944 - 1945
Fonti
Intervista a don Daniele Longhi
Il Fondo don Daniele Longhi
Inventario del Fondo don Longhi
Fonti
Intervista ad Alfredo Caloisi
Il Fondo Alfredo Caloisi
Fonti
184
Zita Righetti
187
188
191
192
Indice dei nomi di persona
196
La vicenda di Zita Calzetta Righetti
Il Fondo Zita Calzetta Righetti
Fonti
205
ISBN 88-901870-3-4
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Nella memoria delle cose