N E L
L A G E R D I
B O L Z A N O
di Milena Cossetto
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ul Lager di Bolzano negli ultimi anni si è scritto e detto
molto, soprattutto sulle tematiche relative alla vita e alle condizioni dei prigionieri politici e militari. Certo di quelle esperienze
è rimasta memoria, sono rimasti testimoni. Più ai margini è
rimasta, invece, la vicenda della popolazione civile, di religione
ebraica, che i nazisti – anche attraverso il Lager di Bolzano –
hannodeportatoneiLagerdelTerzoReich,perquella“soluzione
finale al problema ebraico” che ha voluto dire distruzione, assassinio scientifico, burocratico e sistematico di sei milioni di personeecheogginoidefiniamoconlaparolaebraica Shoah.Diquella memoria a Bolzano sono rimaste minuscole, invisibili tracce,
perché scarsa è la documentazione e lefioche testimonianze.
Shoah significaanchequesto:iltentativodidistruggerelamemoria di ciò che è stato.
Il Polizeiliches Durchgangslager Bozen, il Lager di Bolzano,
fu uno dei quattro campi di concentramento in Italia; Fossoli
(Modena), Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Risiera di San Sabba
(Trieste). A Trieste il Lager aveva sia la funzione di campo di
transito per gli ebrei che i nazisti avrebbero deportato nei campi
disterminioinGermaniaeneiterritorioccupatidal TerzoReich,
“sia quella di raccolta, punizione ed eliminazione di oppositori
politici e partigiani; fu l’unico Lager in Italia ad essere provvisto
di un forno crematorio. Le vicende inerenti il campo di Bolzano
devono essere inquadrate nel contesto più ampio dell’universo
‘concentrazionario’ in Italia e nel restante territorio europeo. Per
la sua funzione, la sua struttura organizzativa ed il personale di
sorveglianzaessovaconsideratocomeunaprosecuzionedelPolizeiund Durchgangslager Fossoli attivato nel dicembre del 1943;
l’avanzatadegliAlleaticonilconseguentearretramentodelfronte
tedesco e l’intensificarsi delle azioni partigiane resero difficoltosa
la formazione a Fossoli di convogli da inviare Oltralpe ed indusserol’ SS-Brigadefürer WilhelmHarster(…)adeciderelosmantellamento ed il trasferimento del campo nei pressi di Bolzano. Il
Suditrolounificatodalsettembre1943conil TrentinoelaprovinciadiBellunonell’Operationszone Alpenvorland,eraconsiderato un territorio sicuro dal punto di vista politico e militare.”1
La datazione dell’apertura del campo di Bolzano è incerta: alcune testimonianze parlano del maggio 1944, altri di luglio. I
primitrasportidaFossoliaBolzanocominciaronodalluglio1944.
Il Lager di Bolzano-Gries sorgeva nell’attuale via Resia, era costituito da due grandi capannoni in muratura costruiti dal Genio
Militare, su un’area di circa 2 ettari, recintata da un muro e dal
filo spinato. Comprendeva anche delle baracche con gli alloggi
per le SS, gli uffici, la cucina, una sorta di infermeria, i depositi,
le docce, le latrine; in un’area poco distante dal campo c’erano le
baracche per un’officina meccanica, una tipografia, una sartoria
e una falegnameria. In ogni capannone c’erano da duecento a
duecentocinquantainternatipercapannone:dormivanosulettia
castello, fatti di tavole di legno coperti di sacchi riempiti di trucioli di legno. Nel blocco A, c’erano i cosiddetti “lavoratori fissi”,
elettricisti, muratori, meccanici. Erano indispensabili al buon
funzionamentodelcampo;aquestiinternatierariservatountrattamentoleggermentemigliorerispettoaglialtri.LebaraccheDed
E erano riservate ai “pericolosi” ed erano separate dalle altre da
un filo spinato; nel blocco F erano rinchiuse donne e bambini.
Separati dagli altri, nel blocco L, erano rinchiusi i prigionieri
ebrei (solo i maschi). Sul fondo del campo c’era la baracca del
blocco celle, la prigione del campo, dove erano rinchiusi chi
doveva subire un interrogatorio, chi era in punizione. Erano 50
locali angusti, bui, con un solo letto a castello. A chi era rinchiuso nelle celle non erano consentiti contatti con gli altri prigionieri. A parte i cosiddetti “prigionieri pericolosi”, gli altri internati
erano divisi in squadre e adibiti a vari lavori: il ripristino dei
binari della ferrovia dopo i bombardamenti, lo sgombero delle
macerie in città, scavi, lavori di falegnameria e sartoria. Le donne, anche le prigioniere ebree, dovevano effettuare i lavori di pulizia nelle caserme e negli ospedali, negli alloggi dei sorveglianti,
oppureaddetteincucina.Alcunedonnefuronooccupateinuna
fabbrica di cuscinetti a sfera, la IMI di Ferrara, che aveva i laboratori al riparo dai bombardamenti, sotto la Galleria del Virgolo.
Gliebreieledonneebree,alcuneconibambini,provenivanoda
località dell’Italia del Nord; alcuni provenivano dal Lager di
Fossoli. Gran parte di loro fu in breve tempo destinata alla
deportazioneinGermania.
Il Comune di Bolzano, l’Archivio Storico, ha raccolto molte
testimonianzedeisopravvissuti;anchel’Anpihapubblicatoricerche e testimonianze preziose. Ad esse, alla ricerca di Federico
Steinhaus sulle vicende degli ebrei di Merano, al testo di Luciano
Happacher,IlLagerdiBolzano, rimandiamoperunapiùattenta
letturadellaproblematicaconcentrazionariaedelladeportazione
a Bolzano e in Italia.2
Pubblichiamo qui uno stralcio, di una testimonianza inedita,
sull’esperienzadiJolandaSavioliSartoridiSanCandido(Bolzano),
che a 18 anni è stata reclusa nel Lager di Bolzano, dall’ottobre del
1944 all’aprile del 1945. Molti anni sono trascorsi da allora e solo
ora i ricordi trovano spazio nel dolore, per diventare memoria e
frammenti di storia.
«Sono nata a San Candido, in val Pusteria nel 1926: mio padre
eracommercianteaSanCandido.Lìhofrequentatolescuoleelementari, poi sono stata dalle Orsoline a Brunico; negli anni ’40,
nonostantelaguerra,frequentavoilLiceoClassicoaBressanone:
amavo molto la scuola e lo studio. Nell’estate del 1944 i nazisti,
che avevano di fatto annesso l’Alto Adige al Terzo Reich, eche
spadroneggiavanoaSanCandido,obbligaronomeemiasorella,
al lavoro in caserma. Avevamo 18 e 16 anni e insieme a molte
nostre coetanee dovevamo pulire le caserme, i vetri, i pavimenti
con l’acqua gelida, e fare una cernita delle divise che venivano dal
fronte, per staccare bottoni, mostrine, insomma per vedere cosa
riciclare. Erano tutte sporche… era un lavoraccio. E poi faceva
freddo, a San Candido. Un giorno, era ormai luglio, un comandante SS mi ha dato un calcio, io mi sono ribellata e gliene ho
cantate quattro. Non avevo ancora 18 anni e non avevo ancora
imparato ad essere prudente. Qualcuno ha tradotto in tedesco i
miei insulti e le mie minacce dette con rabbia in italiano. Mi
hanno arrestata: ho passato un paio di giorni in cella a San
Candido. Poi mi hanno messa agli arresti domiciliari e al lavoro
obbligatorio. Il 30 ottobre sono venuti a prendermi, avevo compiuto da poco 18 anni e mi hanno portata a Bolzano, nel Lager,
come prigioniera politica. Io non sapevo neppure che esistesse il
Lager:avevoportatoconmeilibridiscuola,Manzoni,Orazio…
Mièpassatodavantil’orroredelmondo.Pensosoprattuttoaquando ho visto uccidere due donne ebree, madre e figlia, Giulia e
Augusta Voghera, a secchiate di acqua gelida… Atroce,
indescrivibile…
Poi c’era una signora, che non mi ricordo più come si chiamasse,cheavevascrittounlibro Angelucia,intedesco,ungiorno
mi ha detto: “Sai io sono una scrittrice”. E poi ha proseguito: “Ci
hanno separati io e mio marito dopo 25 anni di matrimonio…”.
Parlava in italiano, in buon italiano. E allora io le ho risposto:
“Ma no, signora, non si disperi, vedrà che tutto si risolverà …”.
“Oh signorina, lei mi vuole consolare, perché lei è un angelo, ma
lei non sa che sorte è riservata a noi ebrei…”. Io però mica me lo
immaginavo,perchénoinonpotevamosaperenulladituttoquesto. Una volta Max, che era uno delle SS, quello a cui poi,durante
unbombardamento,unascheggiahatroncatounbraccioeledita
della sua mano… Era un uomo forte, però. Era lì seduto con
tutto il sangue che gli colava, dettava le sue ultime volontà, credo;allora, come si usava dire “ama i tuoi nemici”, noi gli abbiamo dato le nostre mantelle da mettere sulla barella. E ha detto:
“Non mi scorderò mai dei miei prigionieri”. E quello lì ci diceva
sempre: “Però… se andate in Germania… qui è rose e fiori, lì sì
sistamaledavvero”.
Nello stanzone dei magazzini del genio, nei letti a castello,
eravamo 400 donne: tutte insieme, ebree, prigioniere politiche,
partigiane, prostitute, ladre… C’erano vecchie e bambini piccolissimi e i matti portati via dal manicomio. C’era una signora
con i capelli grigi che aveva un bambino, forse con attacchi
epilettici, piangeva poveretta. E mi ha chiesto, prima di partire
perlaGermania,selelasciavo I Promessi Sposi delManzoniche
avevo nella mia valigetta, perché mi ero portata dietro i libri di
scuola per studiare, naturalmente: Orazio e il Manzoni. Ero pro-
prio ingenua! Intorno al campo c’era il muro, il filo spinato e
basta. Le casette semirurali erano molto più in là. Passavamo
davanti alle casette semirurali, quando ci portavano a lavorare:
quellavoltacheiltenenteMüllerdelleSSscoprìcheunadonnina,
una di quelle fragiline, con la crocchia e un cappottino nero, ci
avevadatoduerosettedipaneechiacchieravaconunaconoscente,
è venuto lì e l’ha picchiata a pugni sul collo, a colpi a bicicletta
sullatesta,sulcorpo…controunadonnafragile,unuomorobusto, una bestia, proprio…quel Müller.Forse era ancora peggio,
Otto Sein, quello era cattivo. Seifert poi era una bestia, semplicementeunselvaggio..AnnaBosineraunadonnaprosperosa,l’hanno cacciata in cella, lei era vedova del capitano Bosin degli alpini;
avevatrebambini.L’hannochiamataaduninterrogatorioperché
dicesse qualcosa sulle formazioni partigiane: l’han trattata malissimo. Seifert l’ha presa per i capelli e la insultava. E allora
Misha Seifert le ha detto: “Sai che posso fare di te quello che
voglio?”. “Sì, lo so – gliha risposto lei -ma io sono una mamma
di tre bambini. Tu ce l’hai la mamma? “Non lo crederai”, mi ha
raccontatopoiAnna Bosin,“aquellabestiasonovenutiilucciconi
agli occhi”. Incredibile! Era gente spostata di testa. E c’erano i
bambiniconnoidonnenellostanzone:c’eraunneonatochepiangeva, piangeva tutta la notte. Poi ha smesso ed è scomparso. In
Germania, con un trasporto. I bambini non duravano molto, lì.
Cosepropriotremende,eoggidici:macomeèpotutoaccadere?E
però in alcune parti del mondo oggi succede lo stesso…»3
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Canta! Prendi la tua arpa curva e leggera
e sulle sue corde sottili getta le tue dita,
pesanti come cuori dolenti. Canta l’ultimo canto
l’ultimo canto degli ultimi ebrei in terra d’Europa.4
1
MEZZALIRA G., VILLANI C. (a cura di), Anche a volerlo raccontare è impossibile. Scritti e testimonianze sul Lager di Bolzano, “I Quaderni della memoria”,
nr. 1, Bolzano 1999, p. 13.
2
Cfr. a questo proposito Per saperne di più e webgrafia - Ebrei in (Sud)
Tirolo nel Novecento e Lagher di Bolzano, p. 47.
3
Intervista a Jolanda Savioli Sartori, realizzata da Milena Cossetto a San
Candido, il 28 dicembre 2002. Il testo integrale dell’intervista si trova in
www.emscuola.org/labdocstoria
4
KATZENELSON Y., Il canto del popolo ebraico massacrato, Firenze 1998, p. 25.
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NEL LAGER DI BOLZANO