venerdì|11settembre
Arco Paisiello
PAISIELLO E LA NOBILE
ACCADEMIA
conversazione a più voci
Lorenzo Mattei, moderatore
Giovanni Fornaro, musicologo
Lucio Tufano, musicologo
interventi
“Paisiello e San Gennaro:
composizioni musicali fra politiche di
potere e devozione popolare nella Napoli del ‘700”
Giovanni Fornaro
Passioni temperate e metamorfosi galanti
all’Accademia dei Cavalieri:
Amor vendicato di Antonio Di Gennaro e Giovanni Paisiello
Lucio Tufano
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La freccia d’oro
e la freccia di piombo.
Virtù e virtuosismo
per un pubblici
aristocratico
di Lucio Tufano
Nel 1777 il panorama musicale della città di Napoli, già vivacissimo e variegato, si arricchì di un nuovo, raffinato spazio. In
quell’anno, infatti, venne fondato un circolo filarmonico destinato a prosperare fino alla fine del secolo: la Nobile Accademia
delle Dame e dei Cavalieri. Il prestigioso consesso, che poco
tempo dopo prese a riunirsi in un elegante appartamento nelle
vicinanze del palazzo reale, offriva ai suoi soci diletti molteplici. Vi si poteva trascorrere il tempo tra carte, biliardo e giochi
di società, oppure godere di superbe feste di ballo allietate
da minuetti e contraddanze. L’attività principale, tuttavia, era
costituita da una fitta programmazione concertistica. Dotata
di un’orchestra regolarmente stipendiata, l’Accademia attirava
ogni settimana i migliori cantanti e strumentisti disponibili
sulla piazza. Gli interpreti principali delle opere in cartellone
al Teatro di San Carlo vi comparivano come ospiti fissi, ma
frequenti erano anche le esibizioni di illustri artisti di passaggio in città. Il ritrovo divenne ben presto un luogo privilegiato
della socialità aristocratica, frequentato assiduamente dall’élite
locale e assai apprezzato dai visitatori stranieri che soggiornavano a Napoli nel corso del Grand Tour.
Il re Ferdinando IV e la regina Maria Carolina d’Austria partecipavano spesso agli incontri dei Cavalieri. Proprio in occasione
di un grande ricevimento offerto ai sovrani nel 1786, l’Accademia decise di commissionare a Giovanni Paisiello, maestro tra
i più quotati, un nuovo lavoro drammatico: nacque così Amor
vendicato. La prima esecuzione della pièce è descritta con
precisione in una cronaca della Gazzetta universale:
Colla più gran magnificenza fu aperta nella sera del dì 30 dello
scorso [giugno] la gran galleria della Nobile Accademia dei Cavalieri,
dopo essere stati ultimati i lavori ed abbellimenti fattisi in quel palazzo. In tale occasione vi fu data una magnifica festa coll’intervento dei
rr. sovrani, di tutta la corte, ministero, nobiltà, ecc. Dopo essere stata
eseguita una cantata a 4 voci intitolata L’amore vendicato, espressamente composta dal duca di Belforte, posta in musica dal celebre
Paisiello ed eseguita dai più rinomati professori, si dette principio al
ballo che durò fino a giorno avanzato, con profusione di ogni sorta di
rinfreschi e biscotteria.
La notizia chiarisce la circostanza per la quale il lavoro venne
richiesto. I locali dell’Accademia erano stati interessati da cospicui interventi di ristrutturazione e di decorazione, protrattisi
per diversi mesi. Ciò aveva impedito di solennizzare degnamente, nel settembre 1785, il ritorno a Napoli di Ferdinando e
Carolina da un lungo viaggio tra la Toscana, la Lombardia, il
regno di Sardegna e il ducato di Parma. L’inaugurazione della
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sede rinnovata e la riapertura ufficiale delle attività offrirono
dunque l’occasione di una sfarzosa soirée, all’interno della
quale Amor vendicato costituì l’attrazione principale.
Il testo poetico della “favola boschereccia” fu fornito dal duca
di Belforte Antonio Di Gennaro (1717-1791). Nell’arco di
undici scene, l’elegante verseggiatore partenopeo sviluppa
il tema della rivalità di Amore e Apollo. Il primo fa sì che il
secondo si invaghisca della ninfa Dafne, la quale però resiste
al corteggiamento per non tradire l’amato Alceo. Noto è l’esito
della vicenda in Ovidio, con Dafne che si trasforma in alloro
per sfuggire al nume. Belforte conferisce però uno sviluppo
inedito alla metamorfosi vegetale. Di fronte al rimorso di Apollo e all’afflizione di Alceo, Amore considera compiuta la sua
vendetta e si fa clemente. Il capriccioso figlio di Venere arma
i suoi amorini di picciole scuri di luminoso argento e ordina
loro di fendere la dura corteccia per liberare Dafne, che così
torna intatta e illesa alla vita. L’ingegnosa invenzione galante
volge la fabula a una conclusione lieta, nella quale Apollo
sublima la propria passione elevando l’alloro a simbolo delle
più alte qualità intellettuali e morali. Segue una breve licenza
encomiastica che celebra il connubio tra la pianta sacra al dio
e il giglio borbonico.
Su questa traccia poetica lieve, più incline alla delicatezza che
al dramma, Paisiello imbastisce una partitura notevole per
densità di scrittura e originalità. Il generoso ricorso al recitativo accompagnato ravviva i punti salienti dell’azione, e molto
interessante risulta l’impiego del coro, chiamato a interventi
differenziati che declinano suggestivamente lo spunto fornito
dal libretto. Alle voci dei protagonisti il compositore tarantino
richiede doti di vertiginoso virtuosismo (come in Avvezza al
cimento di Dafne), ma anche un’intensa capacità espressiva
(come in Ho perduto il bel sembiante di Alceo). Smaglianti,
infine, risultano i colori dell’orchestra, che accanto agli archi
d’ordinanza annovera flauti, oboi, clarinetti, fagotti e corni in
combinazioni mutevoli; in più, nel duetto Ah discaccia ogni
timore l’oboe fornisce una straordinaria prestazione concertante in gara con i due soprani, mentre la cavatina di Dafne Dolce
sonno, amica quiete, l’aria di Apollo Pugnano nel mio petto
e la licenza finale prevedono l’impiego della ‘voce umana’, un
oboe tenore che godette di discreta fortuna nella produzione
musicale napoletana del Settecento.
Nel 1790 Amor vendicato venne riproposto al Teatro di San
Carlo in occasione di una festa di ballo; in tale esecuzione
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furono soppressi gli interventi corali e la conclusione encomiastica, e tre numeri vennero sostituiti con altrettanti brani
tratti da opere serie dello stesso Paisiello.
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