Federico Fanin
FIGLI DEL REGRESSO
- PROLOGO CAPITOLO 0
“Buonasera telespettatori, siamo qui in diretta per un’edizione speciale del TG, quindi cediamo immediatamente
la linea alla nostra inviata nel ghetto in cui si sono rifugiati i cosiddetti ‘fuori-quota’. Ellen a te la linea.”
“Sì, buonasera studio, qui Ellen. Mi trovo nel ghetto dei fuori-quota da circa tre ore e sto assistendo ad un assalto
da parte di una delle numerose baby gang che ogni giorno arrivano a saccheggiare e a portare scompiglio qui.
Finora è già la quarta volta che vedo arrivare gruppi di ragazzi, per lo più sbarbati di dieci, dodici anni, muniti di
pistole e spranghe che, urlando e colpendo ogni cosa o persona che ostruisca il loro passaggio, derubano i negozi
di alimentari e di abbigliamento.
Solo durante queste, per me interminabili tre ore, sono stati appiccati sei incendi in varie abitazioni e sono stati
sequestrati altri dieci ragazzi facenti parte di quel gruppo ormai noto come ‘i ribelli’.
Non sappiamo ancora per quale motivo le baby gang rapiscano tutti i giovani che si trovano ancora qui con gli
adulti, è ancora un mistero.
La situazione qui nel ghetto è davvero insostenibile, lo scenario è raccapricciante, soprattutto le persone anziane
e le donne sono stremate e rischiano seriamente di lasciarci le penne.
Resto qui in attesa del prossimo collegamento, per ora è tutto. A voi la linea.”
“Abbiamo visto con i nostri occhi quello che sta succedendo in uno dei tanti ghetti nei quali le persone si sono
rifugiate per cercare di difendersi dalla ferocissima rivolta giovanile iniziata ormai quasi un anno fa. Il mondo è
praticamente in mano alle baby gang, la violenza ha preso il sopravvento, è un fatto inconfutabile che non si
possa andare avanti in questo modo, questi giovani devono essere fermati.
Per ora è tutto, prossimo appuntamento fra un’ora per gli aggiornamenti. Buona serata.”
- GANG VS GHETTO CAPITOLO 1
Febbraio 2023. Il mondo era ormai diventato uno scenario di delinquenza e crimine, una violenta rivolta
giovanile, iniziata ufficialmente quasi un anno prima, aveva creato una spaccatura insanabile fra i giovani e gli
adulti.
Già nel primo decennio del nuovo millennio si era fatto strada il fenomeno delle ormai famose ‘baby gang’,
ovvero gruppi di giovani propensi alla violenza. Queste fazioni erano cresciute nell’ombra, aiutate anche
dall’indifferenza del mondo degli adulti, totalmente impegnati in altre faccende; le baby gang erano diventate
sempre più numerose e fomentate dall’odio verso gli adulti avevano cominciato a pensare di poter prendere il
loro posto all’interno della società.
Si era formata un’idea comune, un obiettivo che qualunque giovane, facente parte di una gang o meno, aveva in
testa: togliere di mezzo i ‘grandi’ e creare una società nuova formata solamente da giovani, con regole e leggi fatte
dai giovani per i giovani.
La contestazione era nata dalla profonda insoddisfazione dei ragazzi, immersi in un sistema creato e gestito da
adulti con metodi che non si stavano evolvendo, che non seguivano l’andamento delle nuove generazioni, un
sistema bloccato nel passato in un ambiente artificiale che era incredibilmente confortevole e agiato per le
generazioni più vecchie ma che ormai aveva ridotto le nuove leve ad affrontare un futuro completamente buio e
senza possibilità di entrare nel circuito della società se non seguendo le regole ormai obsolete di quest’ultima.
Nessuna nuova idea veniva più inserita, nessun nuovo metodo, di conseguenza nessuna nuova prospettiva, il
futuro dei giovani, ricchi di nuove visioni, andava lentamente a svanire davanti ad un muro di ideologie e di
vecchie convinzioni ormai apparentemente superate che però erano così forti da non permettere di essere
oltrepassate da null’altro.
La rabbia, l’insoddisfazione, l’ansia per un futuro che si allontanava sempre di più, si erano unite ad una
solitudine data dalla mancanza di famiglie unite e da genitori ormai quasi completamente assenti e assolti dalle
responsabilità verso i propri figli.
Gli psicologi e gli studiosi della società e dei comportamenti umani avevano iniziato ad esporre le loro
preoccupazioni riguardo agli effetti che questi agenti esterni avrebbero avuto sui giovani e sulla loro crescita.
Naturalmente tutto era passato inosservato e le persone che parlavano di queste cose venivano additate come
allarmisti e pessimisti.
Il popolo ormai era concentrato più sui reality show che sulla vita dei propri figli, o peggio ancora che sulla
propria vita. La televisione e i media stavano fornendo modelli assurdi ai giovani che, non avendo d’altra parte
nessuno che gli insegnasse quali fossero i valori veri della vita, avevano iniziato ad essere bombardati da questi
esempi.
Ci furono due risposte, una parte cominciò ad essere letteralmente ipnotizzata dai media e seguì alla lettera gli
esempi che essi fornivano, un’altra parte invece ebbe una reazione di tipo opposto, ovvero eliminò totalmente la
televisione, la radio, qualsiasi tipo di influenza esterna e si riunì in gruppi.
Fu in quel momento che nacque l’idea della rivolta.
I sentimenti negativi di sconforto erano talmente al limite che il giorno in cui fu approvato l’articolo 7, meglio
conosciuto come ‘legge del coprifuoco’, la rivolta scoppiò ufficialmente.
La celebre ‘legge del coprifuoco’ fu la cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso. Quella legge in poche parole
vietava qualsiasi tipo di vita notturna, dopo le 21:30 tutti dovevano essere a casa.
Ufficialmente fu definita la legge della riunione, ossia, lo scopo era quello di obbligare le famiglie a stare insieme.
L’effetto però non fu proprio quello sperato, infatti gli adulti non volendo affrontare le loro responsabilità
trasformarono quei momenti di riunione in litigi e in molti casi in violenze domestiche, dall’altro lato i giovani, si
ritrovarono privati ancora una volta dell’ormai unica valvola di sfogo che avevano. Una settimana dopo
l’approvazione del decreto, una delle più grosse baby gang della città, munita di spranghe, mazze, pietre e
quant’altro si diresse verso la sede del governo, riuscì ad entrare oltrepassando le guardie e appiccò un incendio
di proporzioni gigantesche dopo aver distrutto tutto all’interno dell’edificio.
I ragazzi furono picchiati violentemente dall’esercito che nel frattempo era intervenuto sul posto, ormai però il
danno era fatto, la furia dei militari venne trasmessa in mondo-visione da tutti i telegiornali e in quell’istante ci fu
l’esplosione.
Tutte le baby gang del globo cominciarono a riunirsi.
Lo scopo era uno solo, eliminare il mondo degli adulti, tutte le persone sopra i vent’anni dovevano uscire dal
sistema.
Gli adulti vedevano queste orde di ragazzini e i loro ideali come qualcosa di utopistico ed irrealizzabile e
pensavano che il tutto si sarebbe spento in poco tempo come era sempre successo.
La mancata consapevolezza del mondo in cui vivevano e delle nuove generazioni li tradì. Quelle baby gang erano
diventate molto più che semplici squadrette di adolescenti reazionari e bulletti di periferia, erano delle vere e
proprie organizzazioni, con regole e piani ben precisi, organizzavano traffici di droga e armi, di conseguenza non
fu difficile per molti di loro trasformarsi in veri e propri mini-eserciti ed assaltare in massa gli uffici pubblici, le
abitazioni, gli studi televisivi, armati e accecati dalla rabbia e dall’odio.
In tutte le più grosse città del mondo le gang stavano prendendo il controllo, era una vera e propria guerra fra
giovani e adulti, gli ultimi non erano però preparati per un assalto del genere, quindi venivano colti di sorpresa ed
indifesi. Ben presto la ribellione si allargò alle periferie e non passò molto tempo che anche nei piccoli paesi i
giovani presero il controllo di tutto.
Si venne e creare uno scenario scioccante e surreale, gli adulti, gli anziani e le donne furono costretti a scappare e
ritirarsi in quartieri disastrati per non essere vittime della furia dei giovani violenti.
Presto i quartieri nei quali i grandi si rifugiarono vennero denominati ‘ghetti dei fuori-quota’, dal nome che nel
gergo delle baby gang era stato dato a coloro che non facevano parte del loro movimento.
I giovani quindi si insediarono nella parte più lussuosa e fornita delle città, occuparono i palazzi e le ville più
costose, i negozi di alimentari furono saccheggiati, stessa cosa per le boutique di moda.
Le baby gang come detto prima avevano un’età massima di vent’anni, l’età minima non esisteva, certo non
c’erano neonati, ma si potevano trovare anche bambini di cinque-sei anni, già indirizzati verso la criminalità e con
una mentalità delinquente e reazionaria.
Inoltre non tutti i giovani facevano parte delle baby gang, questi ultimi venivano chiamati ‘i ribelli’ o ‘i traditori’,
cioè chi non sosteneva la rivolta e restava dalla parte del vecchio sistema, ossia appoggiava l’ideologia dei vecchi.
Furono lasciati nei ghetti a vivere con gli adulti per un periodo.
La conseguenza però fu che ben presto le baby gang cominciarono ad avere bisogno dei ribelli perché furono
costrette ad affrontare una verità crudele.
Infatti, fondamentalmente, le baby gang erano formate da elementi che andavano a scuola, o comunque stavano
per strada, non c’era nessuno che avesse qualità particolari e fosse capace di fare qualcosa, nemmeno le cose
fondamentali per vivere, erano quasi tutti ancora ragazzini. Velocemente le risorse alimentari si esaurirono, la
città divenne un luogo sporco e inospitale. I capi delle varie baby gang ordinarono ai loro galoppini di andare nei
ghetti, all’interno dei quali gli adulti stavano lentamente ricreando una società mettendo a disposizione ognuno le
proprie abilità, e rapire i giovani ribelli, che alla fine dei conti erano gli unici giovani che possedevano delle abilità
particolari.
Iniziò quindi la seconda parte della rivolta, le razzie all’interno dei ghetti divennero sempre più frequenti e i
giovani ribelli venivano presi e obbligati a servire le gang. Furono trasformati in schiavi e chi cercava di fare il
furbo veniva picchiato e bullizzato.
I cosiddetti ribelli non erano in grado di ribellarsi per via del fatto che, rappresentando il ruolo di bravi ragazzi
all’interno della società, non sapevano fare a botte, né tantomeno usare la violenza contro qualcun altro.
Questi ragazzi stavano zitti, ubbidendo ed eseguendo qualsiasi cosa gli veniva richiesta, l’unica possibilità per una
vita dignitosa era di avere qualche abilità primaria in modo da essere utili costantemente come servitori, per
esempio cucinare.
Lo stesso discorso valeva per le ragazze ribelli, venivano usate per pulire, stirare e lavare. Obbedivano in silenzio
mentre le ragazze delle baby gang davano gli ordini senza alcuno scrupolo.
Iniziarono ad un certo punto anche le vendette personali per le scorrettezze subite dai ragazzi a causa degli adulti,
le gang facevano feroci incursioni in massa nei ghetti in cerca di genitori o professori violenti che avevano
picchiato o molestato bambini e ragazzi, lo scopo era quello di riequilibrare la partita, di pareggiare i conti. Le
scene più cruente avvenivano quando i ragazzi riuscivano a scovare qualche pedofilo o stupratore, questi
venivano presi da una decina di elementi e portati dentro un’abitazione per una mezz’oretta. Dalla casa alla fine
uscivano solamente i ragazzi.
La violenza sui minori era diventata un fenomeno in continua crescita fino allo scoppio della rivolta giovanile,
sempre più pedofili finivano sui giornali, maestri che picchiavano i bambini all’asilo e a scuola, genitori violenti.
Tutta quell’aggressività stava ritornando indietro, tutta insieme.
L’odio attira odio.
E' un dato di fatto.
- BARUD E SHARKEY CAPITOLO 2
Le cose iniziarono a prendere un’altra piega quando in uno dei tantissimi ghetti, la comunità dei ‘fuori quota’ si
riuniva ogni notte, discutendo fra loro per cercare di trovare una soluzione a tutto quel caos.
Non era semplice, la rabbia era talmente tanta che parlare pacificamente con le baby gang era diventata ormai
un’impresa impossibile, l’unico metodo di interazione era la violenza.
Così un folto gruppo di persone si ritrovò in un vecchio capannone in disuso con la ferma convinzione di
arrivare a trovare una via di uscita.
Prese la parola un uomo robusto, sulla cinquantina, Tim era il suo nome, esordì con voce roca:
“Non è possibile continuare in questo modo, la situazione è insostenibile, non possiamo nemmeno più dormire
per paura che qualcuno arrivi a prenderci a randellate sulla testa!”
A quel punto tutti quanti presero la parola parlandosi l’uno sopra l’altro.
“Silenzio!”
Gridò la signora Eden.
“Bisogna parlare uno alla volta, e soprattutto non dobbiamo gridare, quei delinquenti potrebbero arrivare in
qualsiasi momento, non possiamo farci sentire.”
“Hai ragione Eden.”
Riprese Tim.
“Qualcuno ha delle idee?”
Ci furono immediatamente molte proposte, alcuni volevano fare un’irruzione in massa nella città, altri invece
preferivano arrendersi e rimanere nel ghetto senza ribellarsi, altri ancora, i più estremi dissero di voler uccidere
tutti i componenti delle baby gang.
Tim cercò di mettere un po’ di ordine.
“Uccidere tutti mi sembra un po’ eccessivo signor Crauf. Per quanto riguarda l’irruzione nella città, vi ricordo che
noi non abbiamo nemmeno un’arma, se non qualche bastone, mentre loro sono armati fino ai denti, non
avremmo nessuna speranza di concludere qualcosa. Infine rimanere qui non è una soluzione che per quanto mi
riguarda si possa prendere in considerazione. Dobbiamo risolvere questa cosa, in qualche modo siamo anche noi
i responsabili di tutto quello che è successo, alla fine dei conti siamo noi che abbiamo educato così queste
generazioni, quindi ora siamo noi che dobbiamo darci da fare per superare questo momento.”
Dalle retrovie si udì una fievole voce che intervenne appena che Tim ebbe terminato il suo discorso.
“Secondo me una soluzione c’è.”
Tutti si voltarono per scoprire chi avesse parlato, si trattava di Barud, un anziano signore, alto e magro, corti
capelli bianchi e un’ispida barba grigiastra che gli copriva il volto, aveva più o meno ottant’anni, ma godeva
ancora di una buona forma fisica.
“Come dici Barud?”
Chiese Eden.
L’anziano rispose.
“Secondo me esiste una soluzione, ma non riguarda uno scontro fisico, uno scontro di forza. Se dovessimo
misurarci con i muscoli, chiunque di noi ne uscirebbe sconfitto, quei ragazzi hanno una resistenza fisica
superiore, è una dato di fatto, sono giovani. Dobbiamo affrontarli in un campo nel quale noi siamo più a nostro
agio.”
“Giusto.”
Esclamarono timidamente un paio di persone, senza però aver ancora capito di che cosa stesse parlando Barud.
Non tardò a spiegare la sua proposta.
“Fino a prova contraria, anche se non sempre è così, nella maggior parte dei casi, più una persona vive e più
questa fa delle esperienze, più accresce il suo bagaglio di conoscenza su quello che la circonda. Spero sia ovvio
che questi ragazzi non hanno un’esperienza del mondo nemmeno paragonabile a quella che possiamo avere noi
adulti, o per giunta un vecchio come me che ha vissuto su questo pianeta più del quadruplo di loro. Dobbiamo
batterli con la furbizia, gente. Loro sono giovani, si atteggiano da uomini, mostrano la forza e l’aggressività, ma in
realtà sono bambini. Si stanno inventando delle regole, dei modi di comportamento, perché non hanno mai
avuto nessuno da cui imparare. Ma non li vedete? Sono persi, non hanno una strada, un percorso, stanno
vagando nel buio, senza una meta.”
“Ok, questo è un discorso interessante, ma ora sembra addirittura che questi ragazzi siano delle vittime, che
debbano farci pena.”
Attaccò Tim.
Barud rispose prontamente.
“A me fanno pena, Tim. Quando vedo delle persone ridotte in questo modo, controllate dalla paura e dall’odio,
provo una compassione incredibile. Quando vedo com’è andato a rotoli questo mondo, quando vedo gli esseri
umani così distanti fra loro, mi si spezza il cuore. Lo so che voi vedete solamente degli sbarbati violenti che
rubano e picchiano, ma è quello che gli abbiamo insegnato, Tim. Loro stanno replicando in maniera nemmeno
troppo estrema quello che gli abbiamo mostrato da quando sono nati. Un mondo pieno di violenza, di abusi di
potere del più forte sul più debole, di odio, di invidia, di rabbia, di paura. E’ questo che questi ragazzi hanno
visto da quando sono stati buttati su questo pianeta. E cosa pretendete? Che si amino e si rispettino senza che
qualcuno glielo insegni? Siete dei poveri illusi.”
Gli occhi di Eden erano lucidi, il discorso dell’anziano l’aveva colpita, esordì con voce tremolante.
“Barud ha ragione, il fatto è che noi per primi non siamo capaci e non siamo stati capaci di rispettarci, di volerci
bene, figuriamoci poi trasmetterlo ai nostri figli o agli altri in generale. Non siamo poi così tanto diversi da loro,
Tim.”
Tim rimase in silenzio per qualche secondo poi si rivolse a Barud con tono deciso.
“Allora cosa intendi fare vecchio? Sentiamo questa soluzione miracolosa.”
L’anziano rispose tranquillamente.
“Di miracoloso non c’è proprio nulla su questo pianeta, Tim. Ci vuole tempo, pazienza e impegno. Ma ci
possiamo riuscire. La mia idea è quella di prendere uno dei pochi giovani che ancora stanno qui nel ghetto, ‘i
ribelli’ mi sembra che li chiamino. Bene, lo prendo in affidamento io, per sette giorni, ci nasconderemo nel
vecchio rifugio abbandonato, lì ci sono molti anfratti, non ci troveranno nel caso ci dovessero venire a cercare.
Una settimana di addestramento con me, poi faremo in modo che la baby gang trovi il ragazzo e lo catturi. Lo
porteranno nella città. Da lì, si pentirà, rinnegherà il fatto di essere un ribelle e giurerà fedeltà alla gang. Resterà in
contatto con noi, quando ci saranno le razzie lui verrà qui e avremo l’occasione di farci dare le indicazioni e le
scoperte che farà. Entrando nell’organizzazione riuscirà a capire come è strutturata, come funziona tutto il
meccanismo, ma soprattutto qual è il loro scopo ultimo. Questa è la mia proposta.”
Tutti erano immobili e zitti ad ascoltare ciò che l’anziano aveva da dire, al termine del suo discorso il gruppo si
guardò in faccia, con espressioni più o meno dubbiose.
Tim, che ormai si era auto-proclamato il leader della riunione, cominciò subito con le domande.
“Ti sembra una cosa fattibile? I ribelli che prendono vengono usati come schiavi, pensi che basti rinnegare tutto
per entrare nella gang?”
Barud prontamente rispose.
“C’è la possibilità di entrare nella gang anche da ribelle, non so quale sia e come funzionino i loro test, ma
proprio ieri ho visto due ragazzi che si trovavano nel ghetto con noi qualche tempo fa, ora sono parte
dell’organizzazione e vengono a fare razzia qui nel ghetto. E’ possibile. Non mi sembra di aver detto che sia
facile. Anzi sarà tremendo, ma allora se abbiamo paura, questo mondo è quello che ci meritiamo. Non dobbiamo
lamentarci.”
“Tentar non nuoce.”
Disse Eden guardando Tim negli occhi.
Tim reagì.
“Va bene, però parliamo fra di noi ma il protagonista di questa operazione è un ragazzo, voglio proprio vedere
come farete a trovarne uno che si presti ad una cosa del genere, voi non li conoscete bene, o forse avete troppa
fiducia in loro. Questi non vogliono sporcarsi le mani.”
“Secondo me hai una visione di noi giovani un po’ troppo negativa, Tim.”
Tim si voltò sulla sua destra, seduto a terra c’era Sharkey, un ragazzo moro con la carnagione scura, dei grandi
occhi verdi, lo guardò dicendogli.
“Chi saresti tu? Da dove esci?”
Il ragazzo rispose.
“Mi chiamo Sharkey Avens, ho diciassette anni, ne compio diciotto a novembre. Sono abbastanza grande per
parlare con voi oppure non sono all’altezza di discutere con gli adulti?”
Barud fissava il ragazzo con un leggero sorriso agli angoli della bocca.
Non disse nulla.
Eden invece esordì rivolgendosi al ragazzo.
“Sharkey, non ti avevo visto. Di solito i giovani come te non vogliono partecipare alle nostre riunioni, non
pensavo che fossi qui.”
Lui rispose.
“Sono qui per caso, passeggiavo lì fuori e ho sentito delle persone parlare, sono entrato e mi sono seduto qui ad
ascoltare. Probabilmente eravate troppo concentrati sulle vostre teorie per salvare il mondo che non vi siete
accorti di quello che stava succedendo intorno a voi. Ma non è importante. Comunque se avessi saputo che
discutevate di queste cose sarei venuto più spesso, magari sapendo l’opinione di uno che è giovane e vive nel
presente sareste riusciti a concludere qualcosa prima. Fortunatamente qui avete una persona che ne sa molto di
più di tutti voi messi insieme.”
Poi si voltò lanciando un’occhiata di intesa a Barud e continuò il suo monologo.
“Senza offesa, ma mi sembra che voi adulti stiate vivendo un pochino fuori dal mondo reale, anzi per spiegarmi
meglio, fuori dal presente. Voi pensate che il mondo sia ancora com’era 20 anni fa, con gli stessi problemi, le
stesse persone, le stesse ideologie, svegliatevi gente, il mondo è molto peggio, è tutto peggiorato. Non si torna
più indietro, bisogna fare un cambiamento radicale.”
Tim era immobile, schiacciato da quell’inaspettata ventata di saggezza proveniente da un ragazzo nemmeno
maggiorenne.
L’anziano Barud interruppe il silenzio per riportare il clima su toni un po’ più tranquilli e distesi.
“Sharkey ha perfettamente ragione, ma taglierei corto con le riflessioni ed i discorsi su quello che si poteva fare o
sui motivi per cui siamo arrivati a questa situazione. I fatti dicono che bisogna fare in modo di uscirne. Sharkey,
hai sentito il discorso che abbiamo fatto prima riguardo alla proposta di fare l’infiltrato nella baby gang? Cosa ne
pensi?”
“Penso che se decidiamo di optare per questa soluzione io ci sto, io mi butto. Però dobbiamo essere tutti
d’accordo. Tutti uniti.”
Dicendo quelle ultime parole diede un’occhiata fulminante a Tim, che abbassò lo sguardo.
Fecero una votazione, tutti appoggiarono la proposta di Barud. Era deciso, la guerra invisibile iniziò.
Barud prese la parola, confortato dal fatto di aver già trovato un allievo per la sua missione.
“Bene gente, allora è deciso, cominciamo la contro-ribellione, la furbizia e l’esperienza in risposta alla rabbia e
alla violenza. Sharkey, sarà una dura prova per te, non c’è da scherzare, bisogna rimanere concentrati
perennemente perché fino a quando sarai qui con me sarà facile, ma là fuori è una giungla, alla minima
distrazione puoi venire risucchiato nel vortice. Sei pronto?”
“Quando iniziamo?”
Rispose sicuro Sharkey.
Eden diede un’affettuosa pacca sulla spalla al ragazzo mentre quest’ultimo si alzava in piedi assieme al saggio
Barud per incamminarsi verso il luogo in cui sarebbero rimasti per l’ultima settimana.
Quando i due si allontanarono, Tim esplose.
“Ma secondo voi è possibile che un moccioso ci salvi da questa situazione?! Non è nemmeno maggiorenne, non
sa nulla di come si affronta il mondo, non è in grado di difendersi, non sa come farsi rispettare! E’ una follia.”
Eden lo guardò negli occhi e gli rispose.
“Tim, a quanto pare non siamo stati in grado di difenderci e di farci rispettare nemmeno noi, guarda i fatti, noi
non abbiamo concluso nulla. La speranza è nel futuro, il presente è marcio Tim. Dobbiamo cambiare tutti, così
non si va da nessuna parte.”
Mentre il gruppo discuteva animatamente su come teoricamente si sarebbe potuti uscire da quel caos, Sharkey e
Barud si dirigevano decisi verso il vecchio rifugio abbandonato, pronti a trasformare le parole in fatti.
Il rifugio si trovava in una zona tetra e spettrale del ghetto, circondata da fabbriche dismesse.
Sharkey afferrò il maniglione antipanico arrugginito della grossa porta d’acciaio aprendola, guardò Barud e con
un sorriso beffardo lo incitò.
“Dopo di te maestro.”
L’anziano entrò tranquillamente ritrovandosi in una grande aula spaziosa, deboli raggi di fioca luce bianca
filtravano dalle vetrate a pezzi dell’edificio, l’atmosfera metteva i brividi.
Barud fece un cenno a Sharkey di seguirlo mentre si incamminava verso una porta sul lato dello stanzone, era
socchiusa, al di là di essa non si vedeva che buio, quando l’anziano la spalancò la situazione rimase la stessa.
I due si immersero nell’oscurità, Sharkey non aveva la minima idea di dove stessero andando a finire, lo scoprì
presto.
In lontananza si vedeva una luce, arrivava da un buco, una spaccatura nel muro, Barud disse sottovoce al
ragazzo.
“Ora dobbiamo passare attraverso quell’apertura e siamo arrivati.”
Sharkey non rispose, si limitò a guardare l’anziano che infilandosi nel varco scomparve, lui lo seguì a ruota.
“Eccoci arrivati. Un po’ di luce finalmente.”
Esclamò Barud portandosi al centro di uno stanzone illuminato da un immenso lampadario che pendeva dal
soffitto, era un vero e proprio monolocale gigante, c’era una cucina, due letti, il bagno. Tutto l’occorrente per
vivere, non era proprio il massimo della pulizia e del lusso ma in quegli ultimi tempi c’era poco da lamentarsi.
“Dove siamo qui? Che cos’è questo posto?”
Chiese incuriosito il ragazzo.
Barud ci pensò un attimo, poi rispose sorridendo.
“E’ un appartamento, mi sembra ovvio. Per quanto riguarda il ‘dove siamo’ ti posso solamente dire che non
siamo più nel ghetto.”
Sharkey sussultò.
“Come non siamo nel ghetto? Significa che qui è zona città?”
“Siamo nella periferia precisamente, ma è pur sempre città.”
Disse l’anziano sorridendo.
Poi continuò.
“Ma basta parlare, ti mostro le numerose funzionalità di questo meraviglioso appartamento, lì c’è il bagno.”
Disse indicando una porta alla loro sinistra.
“Dotato di doccia, lavandino, water e per giunta bidet, ci trattiamo bene qui.”
Poi indicò la parete super attrezzata di fronte a lui.
“Questa è la cucina e questo è il frigo, fornitissimo di qualsiasi tipo di cibo, beh quasi. Quelli invece sono i due
letti in cui dormiremo, anche se ti posso anticipare che ci sarà veramente poco tempo per dormire visto che
abbiamo solamente una settimana di tempo per terminare tutto l’addestramento.”
“Il lavoro duro non mi preoccupa, la prova più difficile sarà stare una settimana intera chiuso qua dentro. Non ci
sono neanche le finestre.”
Replicò Sharkey.
“Aspetta a dire così ragazzo.”
Lo riprese l’anziano.
“Comunque io mi farei subito una bella mangiata, non so tu ma ho una certa fame.”
Barud aprì il grande frigo rivelando il suo contenuto maestoso, ogni tipo di cibo, qualsiasi cosa, pezzi di carne
congelati erano incastrati a mo’ di tetris fra di loro nel congelatore, bibite di ogni genere, formaggi, verdure. Il
frigorifero traboccava di cibo.
Sharkey ammirava a bocca aperta quel ben di dio.
“Se le baby gang vedessero tutta questa roba sarebbe spazzolata in venti secondi.”
“Per fortuna le baby gang non sapranno mai di questo nascondiglio perché lo conosco solo io…e adesso anche
tu.”
L’anziano replicò rapidamente al ragazzo.
Sharkey non continuò la conversazione perché Barud aveva impugnato saldamente un succulento pezzo di
prosciutto e si apprestava ad affettarlo con un affilato coltello da cucina.
“Prendi ciò che vuoi sia da mangiare che da bere Sharkey, non fare complimenti mi raccomando. Voglio averti in
forma per l’addestramento.”
Il ragazzo si preparò un cheeseburger gigante, poi i due si sedettero a terra mangiando con gusto i loro pasti.
- JULIE E LA CITTA’ CAPITOLO 3
Nella città l’aria che si respirava era apparentemente molto differente da quella del ghetto, le baby gang avevano
il controllo incontrastato su tutto, ma in realtà le cose non andavano così alla grande come i ragazzi avevano
immaginato prima della ribellione.
Come già detto, all’inizio era un paradiso, le baby gang dominavano e si erano impadronite di un mondo ricco,
bello, pulito, in poco tempo però la loro incapacità di mantenere le cose fece in modo che tutto si stava
sgretolando lentamente nelle le loro mani.
Velocemente le risorse di cibo scarseggiarono e si scoprì che nessuno era capace di cucinare nulla. Le abitazioni e
le strade divennero colme di immondizia ma nessuno dei giovani aveva la minima intenzione di prendersi la briga
di ripulire tutto quello schifo. In quel momento entrarono in scena i ribelli, furono scovati e prelevati dal ghetto,
la maggior parte delle volte con la forza, e portati nella città, sotto il potere delle gang che li obbligavano ad
eseguire le peggiori faccende.
Nessuno si ribellava, non ci sarebbe stata gara fra i forti ed allenati ragazzi delle gang e quei gracili ed indifesi
ribelli, così tutti tacquero e si rassegnarono ad eseguire i lavori più umili.
Una parte delle baby gang della quale non si era molto a conoscenza perché rimaneva sempre un po’ nascosta ed
oscura erano le ragazze. C’erano moltissime ragazze che facevano parte dell’organizzazione, alcune erano dei veri
e propri maschiacci, non stonavano nemmeno tanto se paragonate agli altri della banda. D’altra parte ce n’erano
tantissime altre che effettivamente sembravano ragazze tranquille, non avevano apparentemente nulla a che fare
con quell’ambiente aggressivo e violento.
Il loro ruolo era difficilmente visibile perché non facevano parte dei gruppi che assaltavano i ghetti, formati
esclusivamente da uomini, quindi non venivano mai in contatto con gli adulti.
Una di queste era Julie Winder, una bellissima ragazza diciottenne, lunghi capelli biondo platino, luminosi occhi
marroni, carnagione chiara.
Cosa ci faceva all’interno della baby gang?
La sua bellezza fisica non era direttamente proporzionale a quella della sua infanzia, il padre abbandonò la
famiglia quando lei nacque quindi non ebbe mai l’occasione di sapere chi fosse, sua madre trovò velocemente un
altro compagno, una bestia, un violento, tralasceremo i dettagli.
L’infanzia e l’adolescenza di Julie furono un inferno, scappò di casa a tredici anni, fu accolta dal fratello maggiore
Tyler, che morì un anno dopo in un incide in moto. Julie fu costretta a badare da sola a sè stessa, cominciò ad
uscire la notte incontrando persone sempre meno raccomandabili, a quindici anni entrò ufficialmente a far parte
di una baby gang. Riuscì a rimanere sempre abbastanza defilata dalle varie azioni vandaliche della banda, non finì
mai in mezzo a risse o cose del genere.
Pensava seriamente di uscire da quel tipo di vita ma poi le circostanze la portarono a compiere una scelta, il
ghetto o la città, alla fine Julie restò dalla parte della gang dopo aver visto la fine di alcune sue amiche ribelli.
Quella scelta le continuava a ronzare in testa da sempre.
“Hai mai la sensazione che abbiamo sbagliato tutto? Che non abbiamo concluso nulla?”
Chiese Julie alla sua amica Kristina, la sua coinquilina, mentre pulivano i loro giubottini in pelle.
La ragazza guardando la sua compagna rispose dubbiosa.
“Cosa?”
“Che tutta questa rivoluzione non ci ha portato a vivere meglio di prima. Come se mancasse qualcosa.”
Continuò Julie.
Kristina replicò.
“Cosa ti manca? Sei vestita firmata dalla testa ai piedi, solo la tua borsa costa più di tutti i vestiti che hai indossato
in tutta la tua vita finora. Vivi in una casa tutta tua con i tuoi amici. Fai festa ogni sera, nessuno ti dice cosa devi
fare o quando lo devi fare, devi solo scegliere il prossimo modo per divertirti. Non devi rendere conto a nessuno.
Che cosa vorresti ancora?”
“Non è questo…è come se mancasse qualcosa, qualcosa che non è materiale.”
“Cosa? Oddio Julie, stai parlando dell’amore?! L’amore non esiste. Tu l’hai mai visto da qualche parte? Nessuno
ti ama Julie, anche tuo padre ti ha abbandonata. E’ meglio che continui a vivere nel mondo reale senza farti tante
fantasie da cartone animato.”
Julie guardò rattristata il pavimento e sottovoce sbiascicò.
“Sì, hai ragione Kris.”
Lo disse, ma mentre quelle parole le uscivano dalle labbra sentiva un immenso vuoto dentro, un vuoto che non
poteva essere riempito dalle borse griffate o dalle scarpe tacco dodici. Era qualcosa di astratto, una sensazione.
Cercò di non pensarci più, prese in mano la bottiglia di Ober Burger ancora mezza piena che si trovava al suo
fianco e la finì tutta d’un fiato.
Poi si alzò, Kristina fece lo stesso e insieme si incamminarono verso l’appartamento delle loro amiche Jessy e
Marienne, le quali avevano intenzione di organizzare una festa.
L’ennesima.
Esatto, perché da quando i giovani comandavano, uno dei pochi capisaldi che si era venuto a creare era fare
festa. Tutto il baccano che fino a quel momento gli adulti avevano bloccato imponendo leggi e regole sempre più
rigide fino ad annullare completamente ogni tipo di divertimento, con la ribellione le regole erano cambiate
radicalmente, ogni sera una festa diversa, tutte le gang della città si riunivano in un unico luogo per divertirsi,
chiaramente ognuno a suo modo.
In ogni caso quella sera la location del party era l’attico di Jessy e Marienne, un mega appartamento al
cinquantunesimo piano di un grattacielo dal quale si poteva vedere tutta la città dall’alto, era fantastico.
Quando Julie e la sua amica Kristina arrivarono c’era già il tutto esaurito, la sala centrale era colma di ragazzi e
ragazze di tutte le età, dai sette-otto anni fino ai venti. Tutti ballavano e si agitavano da ogni parte, bombardati da
raggi di luce colorata e musica violentissima che usciva da gigantesche casse posizionate lungo il perimetro della
sala.
Sopra una pedana rialzata c’era un’ultra-tecnologica postazione per il dj, piatti, mixer, tutto di ultima generazione.
Non mancava naturalmente l’angolo bar, un lunghissimo bancone dietro al quale stavano quattro ragazze che
preparavano e servivano cocktail di ogni tipo, qualsiasi tipo di alcool, non esisteva acqua. Vi chiedete se
circolasse qualche tipo di droga all’interno delle feste? La risposta è scontata, ovviamente sì. Le droghe non erano
più illegali, senza alcuna differenza fra leggere e pesanti, inoltre il loro consumo era ormai sdoganato da tempo.
Non era un effetto dell’anarchia totale che si era creata con la ribellione, ma la legalizzazione delle sostanze
stupefacenti fu attuata prima, i governi lasciarono una libertà quasi totale gli ultimi giorni, sperando così di poter
fermare la furia dei rivoluzionari, ma non fu così, i sistemi crollarono, tutto crollò, fu una demolizione globale.
Non era quindi affatto strano vedere ragazzi e ragazze sballati con gli occhi a palla gironzolare per la sala
guardando nel vuoto, nessuno ci faceva più caso. C’era da notare che molti ragazzi che partecipavano alle feste,
non assumevano droghe, né alcool, facevano parte delle cosiddette ‘alte sfere’ delle baby gang, dovevano essere
presenti nella vita mondana, il loro ruolo era quello di controllare, di monitorare i ragazzi, soprattutto quelli più
piccoli, le nuove leve, per vedere se c’era qualcosa che non andava o se qualcuno si comportava in maniera
sospetta, per eseguire il loro lavoro al meglio era necessario avere una lucidità perfetta quindi non potevano
perdere il controllo usando aiuti artificiali, e questo senza farsi notare dagli altri. Il che nonostante tutto era
abbastanza facile considerando la mandria di giovani ubriachi e allucinati che difficilmente riuscivano a rendersi
conto di cosa succedeva intorno.
Julie e Kristina non facevano parte delle alte sfere quindi potevano tranquillamente bere i loro Long Island senza
che nessuno facesse obiezioni, ma quella sera Julie non era molto in vena di divertirsi, stava seduta al bancone
mentre la sua amica si scatenava in pista, era pensierosa.
La sua solitudine fu presto interrotta da un ragazzo, era alto, capelli e occhi scuri, molto abbronzato.
“Cosa ci fai qui tutta sola? Non vai a ballare? Ti stai perdendo tutto il divertimento.”
Le disse.
Lei non aveva alcuna voglia di parlare in quel momento, ma non poteva far vedere che aveva qualche problema,
avrebbe dato nell’occhio.
Julie infatti aveva una sensazione strana, quel ragazzo era un controllore, ne aveva sentito parlare, decise di
andare più a fondo per averne la certezza, così gli rispose.
“Sono appena arrivata, devo prima bere un paio di drink e poi sono pronta.”
“Con quella roba ti ci vorranno ore.”
Disse il ragazzo togliendole il bicchiere dalla mano e rivolgendosi alla barista ordinò.
“Una birra per me e una cosa forte per questa ragazza.”
La barista sorrise ammiccando, lui fece lo stesso.
Julie sussultò, aveva sentito parlare dei controllori, si diceva che per non dare nell’occhio ordinavano birra, che
regolarmente veniva servita analcolica dai baristi che erano a conoscenza del fatto che non potessero bere
alcolici.
Fece finta di nulla e cercò di essere sciolta.
“Io sono William.”
Si presentò il giovane porgendo la mano a Julie.
Lei esitò un attimo a rispondere attendendo l’arrivo delle bevande, impugnò il suo doppio whisky ed esclamò.
“Bene! Brindiamo alla festa!”
Inghiottì il contenuto del bicchiere con un grosso sorso e guardando il ragazzo negli occhi, disse.
“Spero di rivederti da qualche parte.”
Gli diede un bacio sulla guancia e si allontanò sparendo in mezzo alla folla danzante.
William rimase là, seduto con la sua birra analcolica in mano. Non sapeva quale fosse il nome di quella ragazza.
Per i controllori era fondamentale riferire ai piani superiori dell’organizzazione tutti i comportamenti sospetti,
ogni minima azione che non rientrava nella normalità doveva essere registrata, tutto doveva restare sotto
controllo.
William lo sapeva benissimo, non poteva assolutamente permettersi di dire che aveva notato una ragazza
sospetta e non sapeva nemmeno il suo nome. Avrebbe ricevuto una punizione che si sarebbe ricordato per
molto tempo. La sua decisione fu quella di non dire nulla, nel frattempo avrebbe cercato Julie, doveva ritrovarla.
Julie intanto aveva fatto in modo di uscire dal palazzo, sapeva che quel William era un controllore, era riuscita a
fuggire con astuzia in quell’occasione, sapeva benissimo che c’era un controllo invisibile molto serrato sotto quel
velo di finta libertà che copriva la città.
In quegli ultimi tempi Julie sentiva qualcosa che non andava, qualcosa di strano, le cose erano cambiate rispetto
agli inizi della ribellione, il clima non era più di spensieratezza e divertimento, c’era una tensione subliminale
nell’aria.
I suoi pensieri furono interrotti dal suo cellulare, era Kristina.
“Dimmi.”
“Dove diavolo sei? Non riesco trovarti da nessuna parte! Non dirmi che hai trovato un ragazzo!”
“In realtà sono…”
Si interruppe, Julie sapeva che Kristina era la sua migliore amica da sempre, ma non poteva dirle la verità, se
avesse detto che non aveva voglia di divertirsi quella sera avrebbe attirato l’attenzione, non poteva fidarsi di
nessuno.
Così mentì.
“…sono con un ragazzo, mi hai beccata. Ci vediamo a casa Kri!”
Terminò la chiamata.
La situazione non prometteva nulla di buono, Julie cominciò a rendersi conto che si stava mettendo nei guai da
sola, si incamminò velocemente verso il suo appartamento.
Lo raggiunse e si infilò nel letto, con il cuore che le batteva sempre più forte cercò di addormentarsi ma rimase
sveglia per tutta la notte, quando all’alba la sua amica Kristina arrivò a casa barcollando fece finta di dormire.
Quando Kristina si svegliò era quasi mezzogiorno, Julie era già in piedi da ore, ma le disse che si era appena
svegliata.
“Devi raccontarmi tutto di ieri sera Ju. Voglio sapere ogni singolo dettaglio.”
Attaccò subito Kristina con fare interessato.
“Cosa vuoi che ti dica Kri? E’ andata come al solito, non so nemmeno come si chiama.”
“Ma ti sei divertita almeno?”
“Senti ne riparliamo un’altra volta, ho un mal di testa assurdo. Ieri sera ho bevuto l’impossibile.”
La scusa era verosimile, anche in quel momento Julie riuscì a cavarsela. Ma non sarebbe andata lontano.
Qualcosa la stava tormentando violentemente.
Le due ragazze uscirono a cercare qualche posto per andare a mangiare.
‘Seimei’ era il loro luogo preferito, una pizzeria al trancio, una dozzina di ribelli lavoravano lì giorno e notte a
turno, facevano pizze e dormivano, quella era la loro vita nella città.
Naturalmente tutto il lavoro non era retribuito, venivano riforniti una volta alla settimana di cibo e bevande
varie, non c’erano altre soluzioni.
Julie e Kristina entrarono nella pizzeria senza salutare, i fedeli alle gang non potevano instaurare relazioni di
nessun tipo con i ribelli, Julie diede un’occhiata al bancone, uno dei pizzaioli la stava guardando, lei gli sorrise.
Il ragazzo abbassò immediatamente lo sguardo.
“Ecco bravo! Non capisco che diavolo hai da guardare! Lavora e portaci due pizze!”
Gli gridò Kristina.
“Kri non c’è bisogno, lascia stare.”
Cercò di tranquillizzarla Julie.
“Non ha fatto nulla, mi ha solo guardata.”
“Sei strana Ju. Ultimamente ti vedo diversa.”
Disse Kristina alla sua amica sedendosi ad un tavolo.
“Ma che vuoi, sono solo un po’ stanca tutto qui.”
“No, non è solo quello. Sembra come se stessi pensando continuamente a qualcosa. A cosa pensi?”
“A niente, a quello che faremo stasera, a come dovrò vestirmi Kri, le solite cose.”
“Sei sicura Ju? Secondo me c’è qualcosa dietro.”
“Senti non starmi tanto addosso, mangiati quella dannata pizza e mollami.”
Il loro battibecco fu interrotto dal discorso animato dei ragazzi del tavolino accanto a quello delle ragazze.
“Io non ne so nulla!”
“Tu eri con lui ieri sera, non può essere che sei all’oscuro di tutto!”
“Ti ripeto che non lo so! Io l’ho visto di sfuggita alla festa e poi è sparito, non era con me!”
“Stai mentendo, non venire a raccontare storie a me va bene?! Non prendermi in giro!”
“Non ti sto prendendo in giro Joe! E’ la verità!”
“Va bene, andremo a raccontare questa verità al Thios.”
Uno dei ragazzi cominciò a tremare.
“No ti prego al Thios no! Ti ho detto che non era con me ieri sera! Credimi!”
“Senti a me non piace perdere tempo, speravo di risolvere la cosa in maniera meno faticosa ma mi stai dando
davvero fastidio.”
A quel punto il ragazzo sferrò un destro violentissimo in pieno volto al suo compagno che scivolò sul pavimento
sporcando di sangue le candide piastrelle di ceramica.
“Hai visto cosa mi tocca fare?! La gente deve collaborare, se tutti facessero la loro cosa senza uscire dagli schemi
filerebbe tutto liscio! Invece no, la gente qui vuole fare di testa sua! Adesso vedrai al Thios, ti rivolteranno come
un calzino!”
Disse il ragazzo in piedi afferrando l’altro per il braccio, trascinandolo fuori dal locale e scaraventandolo dentro
una macchina parcheggiata a pochi metri, poi salì anche lui e l’auto partì sgommando a tutta velocità.
Dentro la pizzeria regnava il silenzio, erano tutti fermi e immobili lanciando occhiate a destra e a sinistra per
cercare risposte in qualcuno.
“Ma si può sapere che diavolo è successo?”
Chiese un ragazzino seduto al bancone.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, poi una ragazza prese la parola da un tavolino nell’angolo.
“Stanotte è morto un ragazzo, era alla festa di Jessy e Marienne, si chiamava William.”
Quando la ragazza pronunciò quel nome Julie fu colpita da una fitta al cuore che le fece scivolare la fetta di pizza
dalla mano.
“Che succede?”
Chiese Kristina
“Lo conoscevi?”
Julie rimase in silenzio.
Poi rispose.
“L’ho incrociato qualche volta a delle feste, ma non potevo dire di conoscerlo. E’ un peccato, è già il terzo che
muore questo mese.”
“Si sarà strafatto di qualche schifezza di scarsa qualità.”
“Già, dev’essere così. I soliti ragazzini.”
Replicò Julie con naturalezza.
Dentro di lei però si era scatenata una guerra, sapeva che la morte di quel ragazzo era strettamente legata con il
loro incontro della notte precedente. Era quasi sicura che fosse un controllore, era altrettanto certa quasi
completamente che i due individui che stavano discutendo poco prima erano anch’essi controllori, o comunque
facevano parte della gang in maniera un po’ più stretta rispetto e tutti gli altri. C’era qualcosa di strano sotto.
“Che cos’è il Thios?”
Chiese Julie a Kristina d’un tratto.
“Cosa?”
Rispose lei.
“Il Thios. Il ragazzo di prima ha detto all’altro che lo portava al Thios. Che cos’è?”
“Senti mi stai facendo troppe domande strane ultimamente Ju. Cos’è questa storia che ti interessa sapere tutto?
Vivi spensierata come hai sempre fatto maledizione!”
“Va bene scusa, stai calma però, chiedevo soltanto.”
Le ragazze interruppero il discorso, rimasero a bocca chiusa fino alla fine del pranzo, poi se ne andarono in giro
per i negozi della città in cerca di qualche vestito.
“Ehi fermati!”
Gridò Kristina ad un certo punto bloccandosi davanti ad un manifesto incollato contro un muro.
“Leggi qui Ju, non è quella cosa di cui stavano parlando i ragazzi prima nella pizzeria?”
Julie trovò finalmente quello che cercava.
Il foglio diceva:
‘E’ da oggi disponibile non-stop il tribunale del Thios. 24 ore su 24 i nostri dipendenti saranno a vostra disposizione per risolvere le
vostre controversie. Perché noi ci teniamo alla vostra tranquillità.’
“Un tribunale? Non mi convince.”
Disse Julie storcendo la bocca.
“Vi auguro di non finire mai là dentro ragazze.”
Esclamò una voce dall’altro lato della stradina.
Era un ragazzetto rasato, di bassa statura, molto magro. Zoppicava vistosamente con una gamba e il suo viso era
coperto di lividi.
“Oh mio dio! Stai bene?”
Chiese Kristina preoccupata.
“Certo certo, tranquilla. Volevo solo dirvi che questo cartellone mente, certo risolvono le controversie, ma in
modo molto personalizzato.”
“Perché ci sei stato? Quanti anni hai?”
“Ho tredici anni, mi chiamo Marshall, e sì, ci sono stato.”
“Sono loro che ti hanno ridotto in queste condizioni?”
“Beh, non potrei dirvelo, ma ormai non è che mi interessi più di tanto. Quella specie di tribunale serve a risolvere
tutti gli scontri, tutti i battibecchi, le risse, gli insulti, insomma qualsiasi cosa che succede fra due individui che
potrebbe minare la tranquillità della città.”
“E tu perché ci sei andato?”
“Non è proprio che ci sono andato di mia spontanea volontà a dire il vero. Mi ci hanno portato.”
“Chi ti ha portato?”
“Ehm…i…controllori.”
“E chi sarebbero controllori?”
“Wow. Certo che siete proprio sveglie ragazze. Ma dove vivete?”
A quel punto Kristina interruppe il ragazzo.
“Forse non siamo molto sicure di voler sapere chi siano questi controllori, Marshall. Vero Julie?”
Julie pensò un momento, poi rispose.
“No, io voglio sapere.”
“Ci farai passare dei guai, testarda che non sei altro!"
La attaccò Kristina.
Ma Julie era convinta ad andare fino in fondo, voleva capire.
“Vai a casa se vuoi Kri. Io voglio sapere, c’è qualcosa di strano ultimamente. Continua Marshall ti prego.”
Kristina era infuriata, ma rimase comunque a sentire i racconti del ragazzo, che continuò le spiegazioni.
“Insomma, ho capito che non avete ancora avuto nessun tipo di problema con i controllori, è l’unico motivo che
potete avere per non essere a conoscenza della loro esistenza.”
“In realtà non abbiamo mai avuto problemi di alcun tipo.”
“Bene, in questo caso non ve ne dovrei parlare, in realtà nessuno dovrebbe. Ti obbligano a stare zitto quando li
incontri.”
“Non importa, affronteremo le conseguenze.”
Disse decisa Julie, mentre Kristina si passava nervosamente le mani tra i capelli.
“Ok, i controllori sono dei ragazzi, o ragazze, che fanno parte della gang. Questi hanno il ruolo di far parte della
vita della città, integrandosi con gli altri in maniera apparentemente normale, in realtà però stanno controllando.
Nessuno sa davvero chi siano, è difficilissimo riconoscerli perché ricevono un addestramento avanzato. Sono
bravissimi a fare quello che fanno.”
Poi Marshall si fermò e fissò Kristina.
“Per quel che ne so anche tu potresti essere un controllore.”
Kristina fece una strana smorfia. Julie se ne accorse.
“Tranquillo Marshall conosco bene la mia amica, l’avrei già beccata se fosse una di loro.”
Il ragazzo sorrise leggermente e proseguì.
“Un giorno cominciai a litigare con un mio amico, lo conoscevo bene, eravamo sempre assieme, un po’ come voi
due. Stavamo in mezzo alla strada e io lo colpii allo stomaco con un pugno, un paio di ragazzi che passarono di lì
si accorsero della nostra lite e cominciarono a prendere le difese del mio amico. Ci azzuffammo per qualche
minuto quando ad un certo punto mi sentii afferrare per il collo da dietro, una morsa serratissima che mi stava
soffocando. Mi diede un colpo violento ai reni scaraventandomi a terra. Voltandomi vidi un ragazzo grosso e
muscoloso che mi guardava con espressione minacciosa. Pensavo fosse uno della rissa così mi rialzai sfidandolo.
Lui di risposta mi assestò un gancio fortissimo al naso che mi fece rovinare nuovamente al suolo, sanguinante. A
quel punto il ragazzo mi prese per la camicia e con forza mi trascinò fino ad una macchina nera buttandomici
dentro. Dal sedile posteriore non vedevo nulla della strada, non riesco a dire quale percorso abbia fatto l’auto, so
solamente che quando scesi non avevo la minima idea di dove fossi. Non avevo mai visto quel luogo. Ero
davanti ad un immenso grattacelo, mi spintonarono con la forza all’interno di un ascensore che mi condusse al
17° piano. Me lo ricordo come fosse adesso. C’era una grande porta nera con scritto sopra a caratteri cubitali
rossi: THIOS. Fui accompagnato all’interno di una grande stanza e quello che mi fecero là dentro…”
“Cosa? Cosa ti hanno fatto là dentro?”
“Non riesco a raccontarlo. Provo ribrezzo per loro. Una crudeltà inaudita. Ho in testa quell’episodio
costantemente.”
“Senti Marshall, magari possiamo restare in contatto, magari ci rivediamo, io sono…”
“No ferma.”
Marshall interruppe Julie.
“Non dire il tuo nome. Noi non ci rivedremo più. Stanno venendo a prendermi ora. Voi andate via, c’è una
buona probabilità che non vi abbiano riconosciute solamente dalla voce.”
“Che vuoi dire Marshall? Ti stanno venendo a prendere?”
“Sapete, quando sei controllato ti inseriscono una cimice, sei monitorato sempre. Ora loro sanno che ho infranto
le regole. Che ho parlato con voi. Non dovevo farlo. Ora sono già diretti qui. Probabilmente mi uccideranno.
Domani sentirete parlare in bar di un altro morto per overdose o per troppo alcool.”
“Oh mio dio, è terribile!”
Esclamò Kristina con le lacrime agli occhi.
“Julie ho paura, andiamo via!”
Julie fissava il ragazzo, si era sacrificato per la verità, aveva scelto il suo destino. Lo salutò per l’ultima volta.
“Ti ringrazio Marshall. Di cuore. E’ un po’ di tempo che ho la sensazione che le cose sono diventate strane. Tu
me ne hai dato la conferma.”
Marshall sorrise, era tranquillo, sapeva che con tutta probabilità di lì a poco sarebbe stato ucciso, ma era
totalmente disteso.
“Ragazze, la verità non è la verità. Cercate di vedere dietro alle cose, oltrepassate la facciata. Dovete guardare in
profondità, dietro la maschera. Non fidatevi di tutto quello che vi dicono. Addio, ora è meglio che ve ne andiate
di corsa.”
Le due ragazze non dissero più nulla, si voltarono con le lacrime agli occhi e cominciarono a correre. Sentirono
in lontananza alle loro spalle una frenata decisa di una macchina. Erano arrivati i controllori a prendere Marshall.
Quel ragazzo aveva ragione, c’era qualcosa di malsano sotto l’atmosfera di divertimento e libertà che aleggiava
sopra la città. Ma chi c’era dietro? Le baby gang, o qualcun altro?
Julie finalmente aveva avuto le conferme che cercava, le sue sensazioni erano state avvalorate dalla storia del
ragazzo.
Dall’altro lato Kristina era visibilmente scossa.
Avanzava con lo sguardo sgranato e le lacrime agli occhi, Julie aveva ormai capito che non bisognava dare
nell’occhio.
Prese per mano la sua amica e la trascinò con passo svelto verso il loro appartamento.
Quando furono entrate la sensazione sembrava un po’ più rilassata.
Kristina si distese sul letto, tirò un profondo respiro e guardò Julie senza dire niente.
Lei, sentendosi osservata, cominciò.
“Cosa c’è Kri? Sei scioccata?”
“Puoi andare al diavolo Ju!”
“Cosa? Sarebbe colpa mia adesso?”
“Sì! E’ colpa tua! Se filavamo dritte senza dar retta a quel pazzo ora eravamo tranquille a bere una birra al
Diser’s!”
“Pensi che non sapere elimini il problema? Qui c’è qualcosa che non va Kristina, e tutti vivono come se nulla
fosse. Tutti facciamo finta di niente. Sentiamo questa forza che ci opprime ma ci stampiamo in faccia un bel
sorriso di plastica e siamo a posto.”
“Che diritto hai tu di venirmi a dire come devo vivere? Pensavo che fossi mia amica.”
Julie rimase colpita, disse l’ultima frase con rabbia.
“E’ proprio perché sono tua amica che ti vorrei vedere felice e non immersa un mondo immaginario costruito di
illusioni.”
Con quelle parole prese la sua borsa e se ne andò dall’appartamento.
Kristina scoppiò a piangere. Pianse per ore. Restò in attesa che l’amica tornasse indietro, ma non fu così.
Julie andò in cerca di una nuova abitazione, la città era piena di appartamenti liberi, la fame di lusso ed eccesso
dei ragazzi li aveva portati a rinchiudersi anche in dieci in un appartamento all’ultimo grido, mentre altre
abitazioni un po’ meno alla moda erano ancora abbandonate. Non faticò a trovare un posto in cui stare. Era da
sola, per la prima volta non condivideva la casa con nessuno. C’era silenzio introno a lei. Non era abituata a non
sentire nulla. La testa era bombardata da pensieri, da frasi, da immagini, non le davano pace. Avrebbe potuto
bere un po’ e zittire tutte quelle voci, ma non lo fece. Si allungò sul letto matrimoniale e chiuse gli occhi.
Si addormentò.
- 7 REGOLE CAPITOLO 4
Barud era seduto immobile sul letto con gli occhi spalancati, fissando il vuoto. Erano ore ormai che stava in
quella posizione.
Sharkey invece dormiva come un ghiro. Nemmeno lui sapeva più da quanto tempo non riposava con quella
tranquillità. Negli ultimi anni il suo sonno aveva sempre dovuto rimanere sull’orlo della veglia per essere pronto
in qualsiasi momento a scappare in caso ci fosse un’irruzione delle gang nel ghetto. In quel bunker invece
regnava la calma e la convinzione che sarebbe stato quasi impossibile che i ragazzi dell’organizzazione potessero
scoprirlo.
Il ragazzo sentì delle mani calde che lo picchiettavano sul braccio, aprì gli occhi tutto intontito, era Barud.
“Forza ragazzo, è il caso di iniziare l’addestramento, che dici?”
“Ancora cinque minuti.”
Bofonchiò Sharkey.
“Dai, dai in piedi giovane. Non abbiamo tempo da perdere.”
Lo incitò l’anziano.
Il ragazzo si rese conto che aveva fatto una promessa seria, si alzò dal letto prontamente e dopo essersi
risciacquato il viso con dell’acqua ghiacciata si mise a disposizione di Barud.
“Eccomi sono pronto. Iniziamo.”
Sharkey era deciso a seguire Barud attraverso quell’addestramento che gli avrebbe dato l’opportunità di infiltrarsi
nella città e in una baby gang. Non aveva paura, era diverso dagli altri ribelli che vivevano ormai con il terrore di
finire sotto le grinfie di qualche ragazzo dell’organizzazione.
Lui aveva una sorta di convinzione che sarebbe riuscito nel suo intento, apprendeva gli insegnamenti del suo
maestro senza tanti problemi o attriti, era un ribelle atipico.
Barud cominciò.
“Bene, la prima cosa che mi sembra di aver capito delle baby gang è il fatto che sono costruite su basi di
violenza, di supremazia con la forza, del più forte sul più debole, insomma la legge della giungla. Dobbiamo
andare per ipotesi, perché effettivamente non sappiamo di preciso come funzionano queste organizzazioni,
quindi vedendole dall’esterno io potrei definirle basate su queste leggi. Tu che dici?”
“Sì, nemmeno io so di preciso come funzionano le cose da loro, però mi sembra che le regole siano molto dure e
rigide.”
“Sei capace di picchiare?”
“Cosa?”
“Di picchiare, colpire, pestare, dare botte, come lo dici tu?”
“Perché dovrei picchiare?”
“Siamo faccia a faccia con un sistema basato sulla violenza, l’espressione fisica della violenza sono le botte. C’è
qualche problema?”
“Beh in realtà…”
“Credimi, dare un pugno a qualcuno penso sia la cosa meno problematica quando sarai là in mezzo figliolo.”
“Va bene. E quindi?”
“Quindi, imparerai a fare a botte, Sharkey.”
“Con chi? Con te?”
“Uhm…non lo so, si è proposto qualcun altro ieri sera per aiutarti?”
Parlando Barud diede una spintarella a Sharkey, lo punzecchiò, poi un colpetto sullo stomaco, il ragazzo
rimaneva immobile.
“Non posso battermi con un anziano, non siamo alla pari.”
Sharkey cercava di evitare lo scontro, ma Barud era deciso.
“Non è che non vuoi batterti, tu hai paura di batterti, è diverso.”
L’anziano continuava a colpire il ragazzo sempre più forte, lo schiaffeggiò varie volte, finché Sharkey ebbe una
reazione.
Si voltò di scatto sferrando un destro potente verso il petto di Barud, aveva perso il controllo, stava per colpire
un anziano, ma mentre pensava a quello che stava facendo si ritrovò in una frazione di secondo scaraventato con
la faccia a terra ed un ginocchio del suo avversario che gli premeva contro la schiena.
“Come diavolo hai fatto?”
Chiese il ragazzo senza fiato.
Barud sorrise.
“Sai quante risse ho fatto nella mia vita? Questa è la prima regola, non giudicare mai una persona
superficialmente, quello che forma sono le esperienze, la vita, tu non sai nemmeno che cosa può aver passato chi
ti sta davanti, non sai che bagaglio possiede. Non guardare il mondo attraverso stereotipi, sarai sempre
ingannato.”
Sharkey si rialzò non appena il ginocchio del suo maestro si sollevò dalla sua spina dorsale.
Aveva sottovalutato l’anziano, pensava che la sua età non gli permettesse di avere ancora una forza e una velocità
tali da tener testa a un ragazzo.
“Tu hai la forza, la potenza, la velocità, però non sei tecnico, potresti distendermi con un colpo se riuscissi a
colpirmi, dall’altra parte io ho l’esperienza, questa fa in modo che con un colpo nemmeno troppo potente ma in
un punto ben preciso potrei ucciderti. Non sto valutando, non sto dicendo chi è meglio di chi. Dico solo che
ognuno ha i suoi punti di forza, devi imparare a sfruttarli.”
Barud riempì un bicchiere di acqua e sorseggiandolo lentamente continuò.
“E’ la seconda regola, capire la tua attitudine e allenarti su quella. E’ inutile nella vita saper fare milioni di cose ma
tutte quante in modo mediocre, la cosa che fa la differenza è fare quello per cui si è più portati in maniera
impeccabile, cercare continuamente di evolversi, una continua scalata verso la perfezione. Tutti hanno
un’inclinazione, un talento, devi trovarlo e lavorare, lavorare e lavorare. Allo stesso modo nello scontro, devi
capire qual è il tuo punto di forza e puntare su quello. Sei veloce? Allora devi sfruttare la tua rapidità per evitare i
colpi e sferrarne a tua volta pochi, ma mirati. Sei resistente? Devi usare la tua resistenza per incassare i colpi
senza crollare per sconfiggere l’avversario sfinendolo. Sei forte? Utilizza la tua forza, la tua potenza in modo da
mandare al tappeto il tuo avversario al primo pugno. Potrei andare avanti ancora Sharkey, ma volevo solo farti
capire questa cosa dell’attitudine. E’ un lavoro.”
Sharkey fissava affascinato l’anziano, si sentiva importante, qualcuno usava il proprio tempo per insegnargli
qualcosa. Il ragazzo aveva l’impressione di non imparare solamente a fare a botte in quel momento, ma in realtà
c’era qualcosa di più profondo nei discorsi di Barud, c’era una sorta di insegnamento di vita, un insegnamento
che nessuno gli aveva mai dato, un insegnamento che non arrivava da un libro letto o da una lezione, ma dalla
vita, dall’esperienza reale. Erano parole vere, emozioni forti che arrivavano dritte al bersaglio.
Sharkey cominciò a sentire delle sensazioni strane, cose mai provate prima, probabilmente Barud era la prima
persona anziana degna di rispetto che aveva incontrato nella sua vita.
Barud non era geloso o invidioso di lui, non era timoroso che imparasse i suoi segreti, anzi addirittura era
proprio l’anziano che glieli stava insegnando.
Nel mondo in cui era cresciuto Sharkey c’era stato un blocco nel passaggio delle esperienze fra le persone più
grandi e quelle che venivano dopo. Il problema era che lentamente le persone facevano sempre meno esperienze,
stavano sempre di più blindate in casa, senza relazionarsi con nessuno, senza vedere posti nuovi, senza ricevere
nuove sensazioni, così piano piano i ragazzi della generazione di Sharkey attraversarono l’infanzia e si
districarono attraverso l’adolescenza privi di sensazioni, privi di esperienze. Vuoti.
Non era quindi un problema dell’ultima generazione, quella delle baby gang, quella era stata l’esplosione finale,
non era possibile continuare in quel modo.
Il problema arrivava da molto prima, da molto più lontano. Era da decenni che la gente aveva cominciato a
chiudersi in sè stessa, a non provare più nulla per gli altri, a non provare più nulla per sè stessi. L’essere umano si
era gradualmente spento, aveva perso l’ambizione, aveva perso qualcosa per cui lottare, qualcosa da inseguire,
aveva perso l’anima. Nessuno aveva più obiettivi da perseguire, scopi da raggiungere, nessuno sognava più,
nessuno immaginava più una vita e un mondo migliore di quello che già esisteva. Erano tutti assuefatti, c’era
voluta una ribellione violenta per interrompere il ciclo, ma alla fine non era servita, le carte si stavano scoprendo,
le nuove generazioni avevano dato una scossa plateale al sistema, ma alla fine in realtà avevano creato un altro
sistema identico, se non addirittura più rigido di quello precedente che denunciavano.
Non era cambiato nulla, i nuovi giovani replicavano la mentalità dei loro genitori, che avevano fatto la stessa cosa
con i loro genitori che a loro volta avevano fatto la stessa cosa.
Sharkey ragionava, un vortice di pensieri intasava la sua testa.
Poi un’illuminazione.
“Non cambia mai niente vero Barud?”
Chiese il ragazzo all’anziano.
Si aspettava una risposta che lo smentisse.
“Che cosa vuoi dire? Intendi il mondo?”
“Sì, cioè resta sempre tutto uguale, cambiano le facce e i nomi ma i ruoli sono sempre quelli.”
“Sai, io ho settantotto anni, in tutta la mia vita ho incontrato migliaia di persone, molte mi parlavano di cambiare
il mondo, che il mondo era sbagliato e avrebbero voluto che fosse diverso.”
“E’ proprio questo che volevo dire Barud, il mondo è sbagliato, ma non cambia mai.”
“Sharkey, il mondo è solamente il mondo. Non può cambiare. Prima hai detto una cosa interessante sui ruoli, il
mondo è un sistema, all’interno di questo sistema ci sono miliardi di individui, ognuno di questi individui ricopre
un ruolo. E’ l’insieme di tutti i ruoli che crea il mondo. Il risultato qual è? Che fino a quando ogni persona
continua a recitare il proprio ruolo, il mondo rimarrà sempre lo stesso.”
“Ma allora che cosa dobbiamo fare?”
“Non devi recitare Sharkey. Tu non sei un attore, non sei stato mandato qui per impersonificare un modello, sei
Sharkey dannazione, comportati da Sharkey. Le persone sperano che le cose cambino indipendentemente da
loro. Se vuoi che il mondo cambi tu devi essere il primo a cambiare, a metterti in discussione. Se ognuno
pensasse alla propria sfera e modificasse il proprio comportamento, l’unione di tutti questi cambiamenti
creerebbe un rivoluzionamento più ampio. Ma tutti sono impegnati a puntare il dito verso chissà chi. L’unica
persona su cui puntare il dito si trova nello specchio, Sharkey.”
Il ragazzo era un po’ stupito, ma allo stesso tempo una scintilla si era accesa in lui, una speranza.
“Mi sembra di capire che sia la terza regola? Non identificarsi in un modello. Giusto?”
“Esatto, devi essere camaleontico, trasformarti, devi avere tante sfaccettature, tanti volti. Non puoi rimanere
bloccato dentro una sola immagine di te.”
“Ma questo non vuol dire perdere la propria coscienza? Fingere di essere quello che non si è?”
“Questa affermazione potrebbe avere un fondamento se mi potessi confermare che l’immagine di te che mi stai
mostrando ora sei veramente tu.”
“E chi dovrebbe essere?”
“Io mi guardo in giro e vedo le persone che fondamentalmente sono tutte uguali. Certo ci sono quattro o cinque
ruoli con diverse sfumature, ma alla fine stanno copiando, stanno imitando figure che già esistono. Chi fa il
ribelle, chi fa il bravo cittadino, chi fa l’incompreso, chi fa il ricco, ma fondamentalmente non sono diversi l’uno
dall’altro, sono finti. Lo so che magari è un po’ difficile da capire, però io non sono qui per tranquillizzarti, sono
qui per farti capire delle cose, non devi credermi, devi ragionarci sopra. Quando uscirai nel mondo e osserverai le
persone, ricordati di ciò che ti ho detto e confronta. Io non sono il messia, non ho la verità assoluta, devi crearti
tu un’idea, ascoltando tante idee, tante versioni, tanti pensieri. Ma confrontandoli con la realtà. Solo così potrai
ragionare con la tua testa.”
“Sono confuso.”
Disse il ragazzo grattandosi la testa nervosamente.
“Anch’io sto recitando un ruolo quindi?”
“Beh, stai facendo il ribelle, hai persino un’etichetta, più ruolo di così. Però venendo qui stai scardinando le
regole capisci?”
“Cioè sto uscendo dal ruolo?”
“Esattamente! La parte di ribelle vorrebbe farti stare nascosto in qualche anfratto in attesa che arrivi il ragazzo
cattivo a prenderti, invece stai rompendo la rete, il povero indifeso che non è più indifeso, è un paradosso.”
“Mi stai aiutando a uscire dalla gabbia Barud. E tu stai facendo lo stesso, sei un anziano che aiuta un giovane, stai
rompendo anche tu gli schemi.”
Barud sorrise fissando profondamente negli occhi Sharkey e sussurrò.
“Capisci ora come cambiano le cose ragazzo?”
Il giovane sorrise a sua volta sentendosi attraversare la schiena da un brivido che gli arrivò fino al cervello, stava
facendo qualcosa di molto più grande di quello che pensava.
Era quella la vera rivoluzione. Era lui il protagonista della storia, non l’organizzazione, né i ribelli, era lui, il
singolo individuo che avrebbe fatto la differenza.
Barud riprese le spiegazioni.
“Per entrare in quella gang senza farti scoprire quindi, è fondamentale fare finta di essere uno di loro, con la
consapevolezza però di non esserlo.”
“Devo stare attento a non identificarmi dunque.”
“Esatto. Devi restare sempre concentrato su quello che fai. Sarai costretto a fare cose che sono contro la tua
natura, le farai.”
“Ma il mio scopo esattamente qual è?”
“Tu dovrai riuscire ad entrare nell’organizzazione, scoprire com’è strutturata, i ruoli dei membri e quant’altro, poi
la scalerai, arriverai alla fonte, al capo. Da lì verrai a conoscenza del loro obiettivo primario, quello reale.
Dobbiamo sapere quello che stanno cercando, quello che vogliono.”
“E se non volessero niente? Magari stanno solo tentando di creare un mondo nuovo?”
“Tutti hanno uno scopo in testa Sharkey, tutti quanti. Non si costruisce una struttura del genere senza una
motivazione di fondo, bisogna sapere qual è.”
“D’accordo, quindi dovrò farmi tutti i livelli fino ad arrivare al capo. Non sarà facile.”
“Non sarà facile arrivarci e ricordarti il motivo per cui lo stai facendo.”
“Che vuoi dire?”
“Dico che aumentando la tua importanza nell’organizzazione, aumenterà anche il tuo potere, sai, il potere dà alla
testa. Crederai di essere un dio, di poter avere tutto ciò che vuoi, e ti scorderai il perché sei finito là.”
“No, non è vero!”
“Ricordati di questo discorso, ne riparleremo quando vivrai la situazione ragazzo.”
Disse Barud.
Era serio, severo quando parlava. Forse era solo una tecnica, ma sembrava fosse preoccupato, come se non
avesse fiducia in Sharkey. Il ragazzo glielo fece notare.
“Se non credi che possa farcela possiamo anche finirla qui, ok?”
“Che diavolo stai dicendo?”
“Mi fai tutti questi discorsi come se avessi già fallito. Non ho nemmeno iniziato ancora e già mi dici che sarà
dura, che perderò la strada. Sei qui per motivarmi o per buttarmi giù?”
“Non sono qui per motivarti Sharkey. Sono qui per spiegarti delle cose, là fuori è una giungla, non posso farti
credere che finirai nel paese dei balocchi. Io ti spiego la realtà, poi valuterai tu se ciò che dico è vero oppure no,
ma intanto io ti metto in guardia. E non è tanto il fatto di fare attenzione agli altri, bisogna difendersi da sè
stessi.”
“Ecco la regola numero quattro…”
“Già, la numero quattro. La paura ti vuole fregare, è un tuo nemico. Il suo scopo è quello di non farti
raggiungere quello che vuoi. Userà tutti i mezzi possibili per impedirtelo. Più ti avvicinerai e più sarà forte e
nascosta. Si celerà dietro alle situazioni più improbabili. Devi stare concentrato.”
“Ma come faccio? Non capisco.”
“Devi avere in testa continuamente quello che vuoi. Ogni cosa che ti devia dalla tua via è sbagliata. Devi seguire
la strada. Nient’altro, a parole sembra facile ma poi sarà molto diverso.”
I due rimasero a parlare per un bel po’, poi Barud si alzò in piedi e sentenziò.
“Dai, facciamo un po’ di combattimento, il tempo scorre, non ne abbiamo molto a disposizione.”
Cominciarono ad allenarsi nella lotta, Sharkey prese così tanti colpi che quella notte fu costretto a dormire
ricoperto di sacchetti di ghiaccio sparsi lungo tutto il corpo per non sentire il dolore.
Ma era soddisfatto, l’addestramento era piuttosto denso e pesante, però voleva dimostrare a sè stesso di potercela
fare, non avrebbe sopportato di vivere una vita da schiavo per le baby gang.
Il giorno seguente Barud come al solito si svegliò all’alba e tirò giù dal letto anche il suo allievo.
Ancora tutto intontito Sharkey dopo aver bevuto il suo bicchiere di succo di mirtillo, si mise in posizione per il
consueto combattimento mattutino.
Era ancora sofferente dalla sera prima, il suo corpo era ricoperto di lividi, ma era pronto a battersi di nuovo,
Barud non aveva pietà, lo colpiva duro, come avrebbero fatto i ragazzi della gang quando sarebbero venuti a
prenderlo.
Era il primo impatto, la benedizione dei ribelli prima di entrare nella città. Era necessario che Sharkey arrivasse
preparato.
Terminata la sessione i due giacevano a terra respirando affannosamente per riprendere fiato.
“Regola numero cinque: non perdere mai la strada.”
Ruppe il silenzio Barud, il ragazzo rispose prontamente.
“Memorizzata.”
“Non devi farti sviare da nessuno. Là fuori ci sono persone che pagherebbero pur di vedere gli altri fallire. Non
lasciarti comprare, non lasciarti ammaliare da queste persone. Non vogliono il tuo bene, anche se in realtà, a
prima impressione sembrerà il contrario. Non è così.”
“Come li riconosco?”
“Regola numero uno, che porta alla regola numero sei. Ovvero, nessuno ti aiuta senza avere un tornaconto
personale. Devi andare oltre alle apparenze e capire che ritorno ha un’azione per la persona che hai davanti. Non
dico che non esistano persone buone, ci sono, può essere che entrambi abbiate un ritorno positivo, ma le
occasioni sono rare. Solitamente le persone vogliono sfruttarti, se sei un ragazzo forte vogliono tenerti incatenato
perché potresti fare più di loro. La maggior parte delle volte un vero aiuto non sembra tale sul momento. Lo si
riconosce successivamente.”
“Tu mi stai aiutando?”
“Lo capirai dopo, in questo momento ti sto picchiando ogni giorno, non mi sembra proprio che stia facendo del
bene per te. Ma magari in realtà lo sto facendo. E’ tutto molto relativo.”
“In effetti non mi stai incitando, non mi dici che sarà facile, non mi dici che ce la farò. Però ho una sensazione
positiva di tutto questo, è strano.”
“Già, è strano.”
Disse Barud sorridendo.
“Finora nessuno mi ha mai detto le cose in maniera così cruda come lo stai facendo tu in questi giorni. Tutti mi
hanno sempre rassicurato, mi hanno sempre detto di non preoccuparmi, che andrà tutto bene. Guarda come
siamo finiti.”
“Vedo che cominci a capire Sharkey. Ottimo.”
Il ragazzo guardava il suo maestro in silenzio, qualcosa gli girava in testa, poi parlò.
“E il tuo tornaconto allora? Quale sarebbe?”
“Parli di quello che sto facendo con te?”
“Sì, cioè, perché lo fai? Perché mi aiuti?”
“Vedi Sharkey, forse è un po’ difficile da capire. Io in testa ho un’idea. Ho una visione di come dovrebbe essere il
mondo. La sto solo portando avanti, faccio quello che devo fare, tutto qui. Qual è il mio tornaconto? Non cedere
mi potenzia, non mollare la mia strada. Nonostante tutti quanti intorno a me si arrendano, io sono ancora in
piedi e avanzerò per la mia via finché sarò in grado. Mi riempie di gioia sapere che qualcuno sta accogliendo le
mie idee, che magari le metterà in pratica, non lo so, non mi interessa. La mia è una missione. La mia coscienza è
tranquilla, semmai un giorno questo mondo tornerà a splendere, sapere di aver fatto la mia parte, di aver dato il
mio contributo mi riempie il cuore. Questo è il mio tornaconto nell’aiutarti.”
“Lo fai per la gloria quindi?”
“No, la gloria non c’entra, è una motivazione personale, è il fatto di fare la cosa giusta. E’ l’amore che mi spinge.”
“L’amore? L’amore dici? E dove sarebbe l’amore?”
“Cosa?”
“L’amore non esiste. Non c’è!”
“Cosa stai dicendo Sharkey?”
“Sto dicendo quello che ho visto e che vedo. L’amore è una favola, è un’invenzione. Ci hanno fatto credere che
esiste perché lo vedevamo nei film, ascoltavamo le canzoni, leggevamo i libri, ma nel mondo vero non esiste!”
“Sai, da quando l’essere umano ha cominciato a intellettualizzarsi e a trattare tutti gli argomenti in maniera
mentale, ha svilito tutti i valori delle cose. Ha tolto il significato a tutto, etichettando ogni cosa, descrivendola,
spiegandola. Tutto quanto. Le esperienze della vita vanno vissute, non si possono spiegare a parole, non si
possono omologare, non sono uguali per tutti. L’uomo ha cominciato a marchiare tutto, anche le emozioni, i
sentimenti, le sensazioni si sono trasformate in oggetti, senza più significato. Così l’amore è diventato un
prodotto, gli è stata affibbiata una bella immagine romantica, una canzoncina smielata e una bella descrizione
strappalacrime, ma niente di tutto questo ha a che fare con l’amore. E’ un’energia, la più potente energia che
esiste. Non c’entra con i ‘Ti amo’ detti al chiaro di luna o dei ritornelli scontati ‘Sei la mia vita, morirei per te’.
Ogni cosa che è stata creata funziona perché qualcuno ci ha messo un’energia, ha creduto che una sua idea fosse
realizzabile, e ci è riuscito, questo è l’amore. L’amore crea il mondo, l’odio lo distrugge. E’ una dualità continua
fra bene e male, positivo e negativo. L’amore che ti hanno insegnato è una cosa materiale, non un sentimento.”
“Quindi stiamo tutti cercando qualcosa che non esiste?”
“Non so dirtelo, qualcuno trova quello che vuole, io sto parlando del significato e dell’etichetta che è stata messa
su una cosa che non si può descrivere, voglio dire, l’affetto che provi per una persona, per il tuo cane, per un
panino squisito, per un tuo disegno, per la tua macchina, tutte queste sensazioni sono la stessa cosa, non sono
differenti.”
“Quello che vuoi dire è che ora ci stiamo muovendo per amore? E’ questo che vuoi dire?”
“Il mio scopo è positivo, il mio atteggiamento verso questo scopo è positivo, non lo sto facendo per vendetta, o
per rabbia, o per rivalsa verso qualcuno. E’ la motivazione la cosa fondamentale, lo scopo potrebbe essere lo
stesso, ma il motivo per cui lo fai potrebbe essere diverso. Il ‘motivo’ cambia il valore alla cosa.”
“Io penso di capire perché lo sto facendo. Ma non mi è del tutto chiaro.”
“Non preoccuparti, ti sarà chiaro. E questa era la regola numero sette, l’ultima e la più importante. Muoversi solo
per amore.”
“Sto iniziando a capire, nessuno aveva mai messo la questione sotto quest’ottica. E’ una visione diversa, nuova.”
“In realtà Sharkey la maggior parte delle persone sta cercando l’amore, l’affetto, le risposte, ogni cosa di cui ha
bisogno, negli altri. Passiamo la vita a cercare qualcuno che riempia i nostri vuoti. Secondo me la persona che
stiamo cercando siamo noi. Dovremmo prendere un po’ di coraggio ed affrontarci, guardarci dentro. Il fatto è
che ti fanno credere che la tua sorte stia a cuore a molte persone, che ci sia gente disposta a dare la vita per te.
Non credo che sia così. Per quanto possa esserti vicina una persona non potrà mai amarti come tu puoi amare te
stesso, per quanto qualcuno ti possa voler bene non sarà mai in grado di riempire quel vuoto che senti dentro.
Alla fine Sharkey siamo in mezzo ad una marea di persone ma fondamentalmente rimaniamo soli.”
“Alla fine dovremo fare i conti con noi stessi.”
“Già, alla fine bisognerà tirare le somme. Si può scappare per tutta la vita, ma non per sempre. Questo è quello
che penso. Penso che una persona abbia il dovere di fare la propria cosa, di seguire la propria strada. Ma questi
sono pensieri estremisti di un vecchio dalla mentalità all’antica, di valori ormai superati.”
“Saranno anche valori superati, ma non sono stati rimpiazzati da nient’altro.”
Sharkey cominciava ad entrare nell’ottica di Barud, era una visione differente. Pensieri lineari, un po’ esasperati
forse, ma diretti, incisivi. Forse si stava solamente prendendo una grossa lavata di cervello da una persona con
molta esperienza che conosceva bene le tecniche del linguaggio e lo stava infarcendo di nozioni assurde. Però il
fatto che tutto ciò che aveva imparato fino a quel momento lo aveva portato a non concludere nulla nella vita,
cancellò tutte le paranoie del giovane che cominciò a stimare sempre di più l’anziano ad ogni parola che usciva
dalla sua bocca.
Il tempo scorreva in fretta e le cose da imparare erano tante, la massima concentrazione era fondamentale, dopo
quei sette giorni Sharkey sarebbe rimasto completamente solo in mezzo ad una mandria di individui grezzi e
nervosi.
- L’ARTE DELL’ARRANGIO CAPITOLO 5
Julie si svegliò di soprassalto, tutta intontita.
“Maledetti incubi.”
Sussurrò fra sé e sé dopo aver sognato di finire al Thios, quattro controllori l’avevano prelevata nel sonno dopo
averla scoperta a parlare con quel ragazzo, Marshall. Era giunta al tribunale dove stava per iniziare
“l’interrogatorio”, un ragazzo avanzava verso di lei impugnando una mazza da baseball, lei gridava e piangeva,
poi fortunatamente si svegliò, le lacrime scorrevano realmente sulle sue guancie, il respiro affannoso le gonfiava
forte il polmoni.
Aveva paura, per la prima volta dopo tanto tempo cominciò a sentire nuovamente quella sensazione, la paura.
Erano ormai un paio di anni che stava con le sue amiche tutti i giorni, facevano sempre festa, non sentivano
nulla, non avevano pensieri, solo la necessità di fare festa.
Era la prima volta da quando si era attuata la ribellione che Julie rimaneva da sola, completamente sola. Non era
più abituata. La testa rimbombava di domande alle quali lei non era in grado di rispondere.
Voleva scappare dalla città, ma dove poteva andare? Nel ghetto? Sarebbe stata scoperta in men che non si dica e
riportata indietro, come ribelle però. Brutta idea. Avrebbe potuto nascondersi, ma se l’ipotesi che aveva in mente
era vera, ossia che i controllori la stavano cercando, la possibilità di trovare un nascondiglio sicuro era da
escludere.
I suoi ragionamenti furono interrotti da delle urla provenienti da fuori, Julie si affacciò alla finestra, c’erano dei
ragazzi in strada, uno di essi munito di megafono urlava qualcosa. I ragazzi e le ragazze stavano sui marciapiedi
ad ascoltare in silenzio l’appello, Julie aprì la finestra per sentire meglio.
“Attenzione! Alla fine di questa settimana verrà fatto un nuovo prelievo! A causa delle recenti scomparse di
alcuni membri importanti della gang, l’organizzazione è costretta ad eseguire alcuni prelievi. Questa volta la
possibilità è per tutti, ragazzi, ragazze, minori, anche ai ribelli. Siamo aperti ad ogni proposta. Ricordatevi: alla
fine di questa settimana! Non mancate!”
Julie richiuse velocemente la finestra e si distese sul letto pensierosa.
Altri prelievi.
Ancora.
Il prelievo era un termine gergale delle gang, stava ad indicare quando un individuo che non faceva parte
dell’organizzazione veniva arruolato. Solitamente, come accadeva in quel caso, venivano fatti dei prelievi per
rimpiazzare elementi uccisi, in quel periodo vari controllori erano scomparsi per cause misteriose, dunque le baby
gang decisero di affidarsi al prelievo. Quel caso in particolare fu anomalo, per la prima volta l’opportunità veniva
data anche ai ribelli, c’erano pochissimi modi per un ribelle di uscire dalla ‘schiavitù’ ed entrare
nell’organizzazione. Uno, forse il più rapido e semplice, era proprio quello del prelievo.
Il fatto di riuscire a far parte della gang era una specie di meta per chi viveva nelle città, i membri delle baby gang
erano quasi intoccabili, detenevano il controllo su tutto, avevano il potere, entravano in contatto con
informazioni che i ragazzi normali non conoscevano.
“Cosa devo fare? Devo tentare di essere prelevata? E se poi mi scoprono e mi prendono? Se mi stanno
cercando?”
Pensava Julie, era spaventata a morte, indecisa.
“Magari mi cercano ed io esco allo scoperto? Ma se scappo mi troveranno comunque. Non posso nemmeno
tornare da Kristina, non mi vorrà più vedere, ma se cercano me magari anche lei è in pericolo. Forse l’hanno già
trovata. Oh mio dio, e se l’avessero già presa? Non voglio pensarci, devo trovare una soluzione e subito anche.”
Si vestì per uscire a prendere qualcosa da mangiare, non era più nel suo quartiere, non sapeva dove andare.
Camminava veloce, si guardava furtiva in giro.
D’un tratto sentì una voce alle sue spalle.
“Ehi stai cercando qualcosa?”
Julie spaventata si voltò di scatto per vedere chi aveva parlato. Era una ragazza, al primo sguardo sembrava più
grande di lei, lunghi capelli neri come la pece, carnagione olivastra. Le sorrideva dolcemente, non sembrava avere
strane intenzioni, a quel punto Julie non si fidava più di nessuno, ma quella ragazza sembrava a posto.
Le rispose balbettando.
“Ehm…no…”
La ragazza allungò la mano presentandosi.
“Io mi chiamo Ashley, piacere di conoscerti, non ti ho mai vista da queste parti, non sarai mica una ribelle?”
Quella ragazza aveva un sorriso magnifico, parlava con un’allegria che Julie non si spiegava. Decise di darle un
po’ di confidenza, sempre restando all’erta, i pericoli potevano celarsi ovunque.
“No, non sono una ribelle, vengo da un altro quartiere, mi sono trasferita qua sopra. Comunque io sono Julie,
piacere mio.”
Le due ragazze si strinsero la mano.
Julie era fredda come il ghiaccio a causa della tensione, la mano di Ashley invece era caldissima.
“Hai già mangiato?”
Chiese Ashley.
“In realtà stavo cercando qualcosa di buono visto che non sono mai stata qui, sai non conosco i posti migliori.”
“Vuoi mangiare con me? Oggi sono rimasta sola.”
Julie era un po’ diffidente, in effetti non conosceva quella ragazza, non l’aveva mai vista prima. Decise di fidarsi
del suo intuito, delle sue sensazioni.
“Ok. Dove si va di bello?”
“Vieni con me.”
La ragazza si incamminò mentre Julie la seguiva, superarono vari locali carini nei quali avrebbero potuto fermarsi.
Julie chiese curiosa.
“Dove andiamo a mangiare?”
“E’ un posto speciale. Tranquilla siamo quasi arrivate.”
Infatti dopo pochi secondi le ragazze si fermarono davanti all’ingresso di un grattacielo, non aveva l’aria di avere
al suo interno ristoranti o fast food, ma non si poteva mai dire.
“Seguimi.”
Disse Ashley dirigendosi verso l’ascensore.
Entrarono e dopo essere salite al settimo piano si diressero verso la stanza 708/95.
“Non mi sembra un ristorante.”
Esclamò Julie dubbiosa.
“Infatti non lo è.”
Rispose Ashley estraendo dalla tasca una chiave con il solito sorriso stampato in faccia.
Julie cominciò a dubitare della sua scelta.
Perché aveva seguito quella ragazza?
Era così gentile, ci doveva essere qualcosa di strano sotto, avrebbe dovuto capirlo subito.
La ragazza aprì la porta invitando Julie ad entrare. Si trattava di un bell’appartamento, molto luminoso, dalle
larghe vetrate si poteva vedere un grande giardino sul retro della palazzina. Decisamente affascinante, ma di
sicuro non era un posto nel quale mangiare.
“Allora, cosa ti piace?”
Chiese Ashley levandosi il giubbino.
“Accomodati, siediti, fai come vuoi.”
Julie non capiva bene la situazione.
“Ma dove siamo?”
“Siamo a casa mia. Non ti piace?”
“No, anzi è bellissima, ma perché? Cioè, dovevamo andare a mangiare, no?”
“Mangiamo qui.”
“Cosa? Mangiamo in casa?”
“Se vuoi andare a mangiare quello schifo che ti preparano i ribelli nei fast food accomodati pure, io mangio roba
buona e commestibile se permetti.”
Julie rimase colpita, era la prima ragazza che incontrava che si faceva da mangiare da sola, ormai era quasi
scontato pranzare e cenare fuori, nessuno cucinava più.
“Sei capace di cucinare?! Chi ti ha insegnato?”
“Autodidatta. Ti dice niente? Ho imparato da sola, fortunatamente ho trovato qualche libro di cucina qua e là e
ho solo seguito le istruzioni. E’ facile, basta un po’ di pratica. Il problema è trovare gli ingredienti.”
“E dove li trovi?”
“Sono riuscita a fare amicizia con un ribelle che lavora in un ristorante qui vicino, me li passa una volta a
settimana sotto banco, di notte. Se lo beccano è finito, stessa cosa vale per me. Ma vale la pena rischiare.”
“Perché?”
“Informati un pochino su come fanno da mangiare nei ristoranti e poi ne riparliamo. Ti posso solo dire che vale
la pena imparare a cucinare da soli.”
“Tu sei una ribelle?”
“Cosa? Che domande. Certo che no.”
“Sei diversa dagli altri che vivono qui in città.”
“Come fai a dirlo, nemmeno mi conosci.”
“Un’impressione.”
Ashley estrasse da uno dei tanti armadi che aveva in cucina un pacco di pasta, spaghetti. Si voltò verso Julie con il
suo famoso sorriso e domandò.
“Ti piace la pasta? Ti ricordi che sapore ha?”
Julie rise scuotendo la testa pensando fosse uno scherzo.
La pasta era uscita da ogni menu, era difficilissimo procurarsene, solo i membri della gang riuscivano a reperirla.
Non aveva idea di come facesse Ashley ad averne addirittura vari pacchi.
Glielo chiese.
“Sei dell’organizzazione tu?”
“Sbagliato di nuovo Julie. Sono una ragazza normale. Come faccio ad avere la pasta vuoi sapere? Agganci.
Scambi di favori. Funziona ancora.”
“Cosa dai in cambio?”
“Dipende, soprattutto cucino. Altrimenti lavo, stiro, rammendo. Faccende da ‘donna all’antica’.”
Ashley rideva mentre raccontava le sue capacità, si prendeva in giro da sola, effettivamente aveva delle abilità che
nessuno aveva più, lei se ne era resa conto e le sfruttava a suo vantaggio.
“Sai quando ero piccola mia madre mi insegnò tutte queste cose perché mio padre morì quando io avevo sei
anni, lei lavorava quindi dovevo badare da sola a me stessa di giorno, la sera tornava da lavoro e mi insegnava a
cucinare, a cucire e tutto il resto. Poi morì anche lei, si ammalò. Io a quell’epoca avevo dodici anni, finii per
strada, non avevo parenti. Mi unii ad una gang. Paradossalmente quella cosa mi salvò dal finire nel ghetto quando
ci fu la ribellione. Ora potrei essere a pulire chissà quale bagno lurido, invece sono qui a mangiare un bel piattone
di spaghetti al ragù.”
Dicendo quelle parole portò in tavola due piatti di pasta ricoperta di rosso ragù fumante.
“Era un’eternità che non sentivo un profumo così meraviglioso Ashley. Grazie mille. Ma posso farti una
domanda?”
“Spara.”
“Perché io? Come fai a fidarti così delle persone? Come fai a far entrare in casa tua una persona che nemmeno
conosci e parlare di quello che fai? Io potrei essere chiunque.”
“Ma non sei chiunque. Sei Julie.”
“Che significa? Non sai cosa avrei potuto fare sapendo quelle informazioni su di te.”
Ashley sorrideva, era perfettamente tranquilla.
“Io non mi fido delle persone Julie, io le riconosco, riesco a capire a colpo d’occhio che tipo di individuo ho
davanti. Ho vent’anni, da otto sono sola al mondo, ho passato di tutto, ho incontrato ogni genere di persona, ho
dormito ovunque, ho mangiato di tutto. Credo che tutte le esperienze che ho fatto finora mi abbiano portato a
riconoscere molte cose a prima vista. Ti ho notata immediatamente là fuori, hai un cartello appeso sul petto che
dice ‘io sono diversa’, per questo ti ho portata qui prima che lo facesse qualcun altro.”
“In effetti sto attraversando un periodo difficile, voglio dire, sembra tutto così strano, così…”
Julie si interruppe, forse non doveva dire quello che pensava, probabilmente era meglio stare in silenzio.
Ma Ashley continuò il discorso.
“…così finto? Già lo so, capisco benissimo cosa stai provando, ma devi imparare a conviverci, anch’io ho
attraversato quella fase, ora mi è passata. Non illuderti che sia cambiato qualcosa da prima della ribellione ad ora,
le gang si comportano esattamente come gli adulti di prima, sono cambiate le facce, solo questo. Devi imparare
ad adattarti, sfruttare le tue abilità a tuo favore, questo puoi fare.”
“Ma io non sono come te.”
“Cosa vuoi dire con questo?”
“Tu sei brava, non hai paura di niente. Io non sono così.”
“Vedi questo è il problema delle persone. Chi non ha nulla non pensa che chi ha fatto qualcosa, prima di
riuscirci, non aveva nulla a sua volta.”
“Non capisco.”
“Io quando sono nata non mi comportavo già così. La necessità mi ha portato a muovermi, a cambiare
atteggiamento, a sconfiggere le paure, altrimenti sarei morta. Secondo me molte persone dovrebbero smetterla di
credere di non essere in grado di fare le cose e non avere nessuna abilità. Tu puoi fare quello che vuoi, ci sono
sforzi, sacrifici, c’è un prezzo da pagare. Ma a dirti la verità nella mia vita non ho ancora trovato una sola cosa
che sia gratis.”
“Quindi dici che potrei diventare come te?”
“E’ solo questione di abitudine Julie, pensi che non abbia paura quando esco di notte, potrebbe esserci chiunque
fuori ad aspettarmi, i ribelli potrebbero vendermi ai controllori, se penso a quello che potrebbe succedermi non
mi muoverei nemmeno dal divano. Dipende che cos’è più importante, sei tu che decidi se vale la pena rischiare.”
“E ne vale davvero la pena?”
“Oh sì.”
Disse la ragazza sorridendo e fissando Julie dritta negli occhi con uno sguardo che racchiudeva migliaia di altre
parole.
Rimasero a parlare tutto il pomeriggio, Ashley era una ragazza davvero forte, sicura, non mostrava il minimo
accenno di debolezza, ma in fondo anche lei aveva paura, l’idea di riuscire a vivere meglio di come le gang
facevano credere le dava però la forza di fare cose incredibili. Aveva una motivazione enorme, prendeva
l’iniziativa, senza che nessuno le dicesse cosa fare, lei faceva, per conto suo. Era una elemento anomalo, molto
anomalo.
Julie cercò di indagare su come facesse a restare nell’ombra.
“Non ti hanno mai beccata?”
“Chi? I controllori?”
“No, sono sempre riuscita a passare inosservata.”
“E come ci riesci?”
“Sai, è una questione di ruoli, devi recitare, trasformarti. E’ dura, devi continuamente stare attenta a come ti
comporti, a cosa dici, a come ti muovi. Però se sei intelligente e sveglia ce la fai.”
“Posso stare con te per un po’ di tempo?”
“Se vuoi stare qui io sono felice di accoglierti però ti dico subito una regola. Io ho una linea da seguire, se esci da
questa linea sei fuori. Questa è l’unica regola.”
“Va bene. Fidati di me.”
Julie voleva davvero cambiare vita, non ce la faceva più, le domande che aveva in testa erano troppe. Le
servivano delle risposte. Stare con Ashley per qualche tempo le sarebbe stato molto utile, era come se qualcosa
avesse fatto in modo di farle incontrare, era forse destino, chi poteva saperlo?
Ashley spiegò a Julie le regole e il suo piano, erano cose apparentemente semplici in teoria, ma in realtà
richiedevano una concentrazione continua, bisognava stare sempre attenti.
“Ok devo riportare dei vestiti ad un ribelle, quello che mi dà la pasta, vieni con me?”
“Certo che vengo!”
Ashley fece cenno a Julie di seguirla.
Uscirono in strada, il sole era quasi completamente calato ed il buio iniziava ad impadronirsi della città.
“Comportati tranquillamente, come se dovessi andare a mangiare una pizza.”
Julie cercava di fare la sciolta, ma dentro era terrorizzata.
“Non allungare il passo.”
“Sbatti le palpebre, sembri imbalsamata.”
“Respira, non trattenere il fiato.”
Ashley continuava a dare indicazioni alla sua amica che lentamente assimilava i consigli e metteva in pratica.
Finalmente arrivarono a destinazione, si trovavano sul retro di un ristorante, dall’aspetto doveva essere un posto
di classe, molto ben curato e sfarzoso.
Dalla porta uscì un ragazzo, era tutto sporco, grosse gocce di sudore gli scorrevano lungo la fronte. Vide Ashley
e si illuminò, mostrando un raggiante sorriso.
“Ciao Ashley. Come stai?”
Disse sottovoce.
Prontamente la ragazza rispose anch’essa sussurrando.
“Benissimo, ti ho portato i vestiti, sono lavati e stirati. I pantaloni erano un po’ strappati, li ho cuciti. Non ti
dispiace vero? E comunque la pasta era una delizia.”
“Sei fantastica, come al solito. Tieni, prova questo.”
Il ragazzo allungò ad Ashley un mattoncino avvolto in carta di giornale.
“Che cos’è?”
“E’ paté di fegato d’oca, meraviglioso. Te lo regalo, lo hanno portato stamattina per il capo della gang.”
“Ma se ti scoprono?”
“Figurati, quegli idioti non lo conoscono nemmeno il menù.”
Disse il ragazzo con una tranquillità incredibile.
“Grazie mille, sei sempre il migliore.”
Lo ringraziò Ashley affettuosamente, poi presentò la sua amica.
“Ti presento Julie, è affidabile.”
Il giovane ribelle guardò Julie dritta negli occhi e le strinse la mano calorosamente.
“Io sono Sahid, piacere di conoscerti, se sapevo che Ashley veniva con un’amica portavo fuori qualcosa anche
per te.”
Julie si mise a ridere.
“Stai tranquillo, non serve.”
“Mi raccomando, tieniti stretta Ashley che è una persona speciale, non se ne trovano più molte così, soprattutto
qua in città.”
Ashley sorrise.
“Ragazze, ora è meglio che andiate, fatemi sapere com’è il paté mi raccomando. Ciao.”
Ritornò furtivamente dentro al ristorante, Ashley infilò il pacchetto in tasca e prendendo per mano Julie si
incamminò lentamente di nuovo verso casa.
Ormai era ora di cena, si affrettarono a rientrare, entrambe avevano l’acquolina in bocca, il cibo destinato al capo
della baby gang era loro. Erano elettrizzate.
Arrivarono all’appartamento, Ashley prese subito due piatti e una baguette accomodandosi a tavola,
appoggiarono il blocchetto, scartandolo lentamente.
“Senti che buon odore, dammi il coltello.”
Julie cominciò a spalmare il paté su una fetta di pane.
“La prima a te, è merito tuo.”
Ashley addentò il cibo prelibato gustandolo per bene.
“Sai, io non l’avevo mai visto, figurati mangiato. Tu invece?”
Chiese Julie curiosa.
“Io nemmeno, è fantastico. Pensi ancora che non ne valga la pena?”
Julie rise. Era finalmente tornata allegra, la situazione era la stessa, gli stessi problemi, le stesse domande, ma
l’atteggiamento, quello era diverso, stava cambiando qualcosa.
Ashley terminata la sesta fetta di pane, disse.
“Sai Julie, sono davvero contenta di averti conosciuto. C’è veramente poca gente che vede le cose in maniera
diversa, eppure a me sembra talmente ovvio. Stiamo cominciando a fare squadra, è una gran cosa secondo me.”
“Già, anch’io sono felice. Ho provato a parlare con la mia ex compagna di appartamento, non riuscivo a trovare
l’intesa. Con te è diverso.”
“Dovremmo andare ai prelievi, tentare. Che ne dici?”
Julie rimase un attimo in silenzio, si era già scordata dei prelievi, d’un tratto le tornò in mente che forse qualcuno
la stava cercando.
“Che c’è?”
“No, niente, è che credo che mi stiano cercando.”
“Perché?”
“Ho incontrato un ragazzo qualche giorno fa, era in fuga dai controllori, mi ha raccontato tutto, di loro, del
Thios, poi mi ha detto che eravamo controllati e che se avrei avuto fortuna non mi avrebbero riconosciuta
solamente dalla voce, ma come faccio ad esserne sicura?”
“Capisco, hai paura che andando ai prelievi sarai troppo in mostra?”
“Sì, in un certo senso.”
Ashley si fermò, stava pensando, avrebbe sicuramente trovato una soluzione.
“Hai detto il tuo nome a quel tipo?”
“No, mi ha detto di non dirglielo.”
“Bene, senza nome è già un punto a tuo favore, in teoria solo con la voce non dovrebbero riconoscerti. Anche
perché non ci mettono molto di solito. Quando hai detto che è successo?”
“Ieri, o due giorni fa, non capisco più che giorno siamo.”
“Non è un problema, solitamente se ti scoprono vengono a prenderti dopo pochi minuti, al massimo scappi per
qualche ora se ci riesci ma non hai scampo. I controllori sono infallibili.”
“Quindi dici che sono fuori pericolo?”
“Secondo me sì, oppure sei davvero fortunata, non ho mai sentito nessuno che è resistito un giorno intero.”
Julie tirò un profondo sospiro di sollievo, con tutta probabilità quello che diceva Ashley era vero, non c’era
pericolo che la stessero cercando. La stessa cosa valeva per Kristina, Julie non se l’era dimenticata, la pensava
ancora, le voleva bene nonostante tutto.
“Allora visto che non sei una latitante ricercata da tutti i controllori della città possiamo prepararci per uscire.”
Esclamò Ashley dirigendosi verso la sua camera da letto.
Julie fu sorpresa.
“Come usciamo? E dove vorresti andare?”
“Che domande, stasera c’è festa al ‘Till-I-Collapse’! non possiamo assolutamente mancare.”
“Stai scherzando vero?”
“Per niente. Forza cambiati, apri l’armadio ci sono dei vestiti, scegli quello che preferisci e poi truccati.”
“Pensavo che una come te avesse superato la fase delle feste.”
“Le feste sono zeppe di controllori, è un’occasione ottima per sembrare persone normali, capisci?”
Julie capì il messaggio, era parte del gioco, era necessario.
Aprì l’armadio facendo scorrere la grande porta, all’interno c’erano una miriade di vestiti e di scarpe, di tutti i tipi,
qualsiasi colore, era incredibile.
Julie ci mise un’ora per scegliere un abito da indossare, mentre Ashley attendeva pazientemente sul divano
divertita dalla frenesia della compagna.
“Va bene, mi sembri perfetta. Possiamo andare.”
La strada per arrivare al noto locale fu breve. Era già affollato, la maggior parte dei ragazzi era già fuori controllo
a causa di alcool e droga.
Le due ragazze si diressero immediatamente al bancone per ordinare un paio di drink e non dare nell’occhio. Il
comportamento normale di una persona appena arrivata a una festa era quello di riempirsi di sostanze, sballarsi.
Altrimenti c’era qualcosa di strano, lo sguardo attento dei controllori era percepibile, metteva pressione.
Conoscendo i loro comportamenti erano facilmente riconoscibili anche fra la folla in delirio, la stragrande
maggioranza però naturalmente era all’oscuro persino della loro esistenza, il che rendeva il loro lavoro una
passeggiata.
Julie aveva in mente di ordinare qualcosa di analcolico, ma Ashley ordinò una bottiglia di Grey Goose dalla
distanza, anticipandola.
“Che fai? Dobbiamo stare sobrie mi sembra.”
“Tranquilla, tutti questi controllori ci tengono gli occhi addosso da quando siamo entrate, non possiamo
permetterci di ordinare dell’acqua.”
“Ok, ma come facciamo?”
“Seguimi.”
Ashley afferrò la bottiglia e alzandosi dallo sgabello si diresse verso i bagni, Julie la seguì senza avere la minima
idea di cosa avesse intenzione di fare.
Quando arrivarono di fronte alla porta del bagno, Julie venne trattenuta da qualcuno che le afferrava il braccio,
poi sentì una voce alle sue spalle.
“Ragazze, dove andate? Non si può andare in bagno con i drink.”
Era un ragazzo alto e muscoloso, probabilmente un controllore.
Il cuore della ragazza le saltò in gola. Non sapeva che rispondere, come al solito Ashley entrò in scena
provvidenzialmente.
“Che vuoi?”
“Non potete entrare con la bottiglia.”
“Dai non rompere.”
Disse estraendo dalla tasca una bustina trasparente riempita di polvere bianca.
“Ci spariamo un po’ di questa insieme alla vodka.”
Il ragazzo fece un’espressione un po’ dubbiosa.
Ashley era intelligente, sapeva come raggirare i controllori, così continuò.
“Che problema hai? Puoi venire anche tu se vuoi, ce la dividiamo.”
Conosceva già la risposta, i controllori avevano l’obbligo di stare lucidi. Non poteva seguirle. Infatti fu così.
“No, vi avvisavo soltanto, ora devo andare dai miei amici, buon divertimento ragazze.”
Si allontanò furtivamente, amareggiato.
Ashley trascinò Julie in bagno.
“Uff…ce la siamo cavata per un pelo.”
Esclamò Julie appoggiandosi al muro.
“Ma che dici? Alle feste non possono farti nulla, è troppo complicato.”
“E se non era un controllore?”
“Ma lo era.”
“Sì, ma se non lo era?”
“Smettila di fare tante domande, vivi le cose sul momento, perché devi pensare a mille ipotesi di come sarebbe
stato se?”
“Già, hai ragione, scusami.”
“Non devi scusarti, devi cambiare atteggiamento. Ma ora divertiamoci.”
Ashley rovesciò il contenuto della bustina che teneva in mano sul piano di marmo nero accanto al lavandino.
Prese un po’ di polverina col dito e la assaggiò.
Julie era confusa.
“Ma sei pazza? Io non la voglio quella roba.”
“Tu sei pazza. Non ti piace lo zucchero a velo?”
Ci fu un attimo di silenzio entrambe scoppiarono a ridere, ma c’era ancora una cosa da risolvere, cosa fare della
vodka.
“Che avete da ridere ragazze, posso unirmi anch’io?”
Era una ragazza che stava uscendo dalla toilette, era sbronza persa.
Ashley si illuminò.
“Certo, noi due dobbiamo andare in bagno, ci tieni d’occhio la bottiglia per un momento, mi raccomando non
berla tutta che poi andiamo a divertirci tutte insieme.”
La ragazza annuì con la testa alzando leggermente gli angoli della bocca accennando un sorriso.
Julie ed Ashley aspettarono qualche minuto chiuse nelle toilette, poi ritornarono sul posto.
Obiettivo raggiunto. La ragazza era distesa a terra con la bottiglia di Grey Goose mezza vuota in mano.
Ritornarono nel cuore della festa ridendo come pazze, era una buona tecnica per non destare sospetti, rimasero
mimetizzate fra la folla nella pista da ballo per un po’, poi alla prima distrazione dei controllori decisero di darsela
a gambe.
“Devo proprio dirtelo, era da tanto che non mi divertivo così.”
“Già, in effetti anch’io. Ora però è tempo di lavorare.”
“Dove andiamo?”
“Ti faccio conoscere un paio di persone.”
Dopo una breve camminata arrivarono ad una specie di garage, Ashley lo aprì cercando di non fare rumore.
Dentro era completamente vuoto, c’era una porta, si avvicinarono ad essa.
‘Toc! Toc! Toc!’
Tre colpi secchi e dopo qualche secondo la maniglia si mosse lasciando socchiudere la porta.
“Ah, Ashley, eccoti. Entra.”
- LA SELEZIONE -
CAPITOLO 6
“Sharkey è giunto il momento di uscire allo scoperto e affrontare la prova.”
La settimana era passata, Sharkey e Barud avevano terminato l’addestramento, il ragazzo era cambiato, aveva
imparato da una persona che parlava per esperienza personale, era difficile riuscire a trovare gente del genere.
Era pronto per addentrarsi nella giungla.
“Sei convinto ancora di volerlo fare ragazzo?”
“Ora più che mai. Ho paura, ma restare qui in attesa che cambino le cose non mi sembra una soluzione
soddisfacente.”
“Adoro sentire una persona che parla in questo modo, sai mi hai dato speranza, mi hai dato ancora motivazioni,
è dura trovarne alla mia età. Potrei arrendermi, ma voglio assistere allo spettacolo.”
Ci fu un tenero abbraccio fra i due che uscirono dal bunker in cui erano stati rinchiusi per i precedenti sette
giorni.
Fuori non era cambiato niente. Loro invece sì.
“Oggi dovrebbero arrivare i ragazzi della gang, fai in modo di farti trovare, non in maniera troppo esplicita.
Recita.”
“Va bene Barud. Ce la farò. Però voglio ringraziarti, sei il primo adulto che riesco a vedere come tale. Hai il mio
rispetto. Sei una grande persona.”
Barud sorrise.
I due si divisero, Sharkey doveva rientrare nella parte del ribelle impaurito. Si nascose in una casa abbandonata
come al solito e dopo un paio d’ore sentì i classici segnali dell’arrivo della gang.
La gente correva in strada per andare a rifugiarsi nelle proprie abitazioni, urlando a squarciagola mentre i ragazzi
prendevano a randellate chiunque trovavano sulla propria strada.
Sharkey sapeva a cosa stava andando incontro, era perfettamente cosciente di quello che gli avrebbero fatto
quegli animali appena fosse uscito allo scoperto. Cercava di stare tranquillo ma dei brividi gli correvano lungo la
schiena, sentiva le urla imploranti dei suoi compagni che venivano catturati.
Ad un certo punto la porta di legno dell’abitazione in cui si trovava venne sfondata.
“Qui c’è qualcuno di sicuro! Dove sei bastardo?!”
Le grida dei ragazzi della gang rimbombavano nel cervello di Sharkey che stava accovacciato in un angolo
nascosto dietro ad un mobile. Doveva farsi beccare, doveva attirare l’attenzione volutamente. Era la parte più
difficile, tutto dentro di lui diceva di non farlo, ma era il suo scopo.
“Ok, qui non c’è nessuno, andiamo.”
I due ragazzi stavano per uscire dalla casa quando Sharkey diede un colpo al muro che li fece bloccare
immediatamente, tornarono indietro, dirigendosi verso il punto da cui era venuto il rumore.
“Chi c’è qui?”
“Vieni fuori!”
Poi Sharkey li vide, anzi loro videro lui.
Guardarono oltre il mobile e lo trovarono là dietro, con la schiena contro il muro che si copriva la testa con le
braccia, tremava e respirava affannosamente.
“Eccolo qui il nostro pauroso ribelle.”
“Hai paura adesso eh? Non ti ribelli più ora, vigliacco?!”
Il ragazzo alzò lo sguardo per vederli in faccia, erano due energumeni giganteschi, palestrati. Avevano entrambi i
capelli rasati, indossavano jeans e grossi scarponi con le punte di ferro.
“Cosa guardi?! Abbassa quella testa.”
Lo colpirono con un pugno sulla fronte che lo fece ribaltare pancia a terra.
“Vieni qui!”
Uno dei due lo afferrò per il colletto e lo alzò in piedi, dopo avergli dato due schiaffi potenti lo spinse verso il
suo compare. Quello lo fece cadere al suolo togliendogli il respiro dopo avergli assestato una gomitata all’altezza
dei polmoni.
Sharkey sapeva che il peggio non era per niente quello. Era tranquillo, non si ribellava, subiva i colpi in silenzio.
“Almeno questo non cerca di difendersi come fa qualcuno, forza portiamolo via.”
Venne preso e gettato dentro un furgone insieme ad una decina di altri ragazzi coperti di tagli e lividi ovunque.
La vettura proseguiva con rapidità verso la città, nel retro nessuno parlava, nessuno aveva il coraggio di
esprimere qualcosa, Sharkey fece lo stesso, in effetti lui non era come gli altri, di che cosa avrebbe dovuto
lamentarsi, ciò che gli stava accadendo era una sua scelta.
Il furgone si fermò, una decina di brutti ceffi si avvicinarono al cassone posteriore e dopo aver aperto i due
portelloni cominciarono ad afferrare i ribelli scaraventandoli fuori. Sharkey si ritrovò con la faccia al suolo, sulla
terra battuta, si guardò in giro, era un campo da tennis, o qualcosa del genere. Cercò di rialzarsi ma fu rimesso al
suo posto da una violentissima mazzata alla schiena.
“State fermi! State fermi!”
Sentenziava una voce dura e severa. Si trattava dell’addetto all’accoglienza dei ribelli. Si aggirava fra i corpi distesi
a terra con una mazza di legno in mano, mirando e colpendo ogni minimo movimento.
“Io sono Worra, qui comando io. Più vi agitate più vi faremo male, quindi cercate di collaborare e sarete
ricompensati.”
“Cosa volete da noi?! Lasciateci andare!”
Osò urlare un ribelle, era un ragazzino di quindici anni.
Aveva sbagliato tutto.
Worra non si mosse dalla sua posizione, guardò il ragazzino e disse ai suoi uomini che stavano in fila solamente
in attesa di ordini.
“Portatelo dentro.”
“No! No! Lasciatemi!”
Il ribelle fu trascinato di peso da due ragazzi dell’organizzazione fino ad una grossa porta in acciaio e poi nessuno
seppe mai cosa successe là dentro.
“Vedete, già il fatto che siete ancora vivi dopo aver avuto il coraggio di ribellarvi alle gang, ai nuovi capi,
solamente questo fatto dovrebbe farvi sentire incredibilmente fortunati.”
Cominciò il suo discorso Worra.
“Non cercate di ribellarvi ad oltranza, qui siamo noi i padroni. Abbiamo cercato di creare un mondo fatto da noi
giovani, in cui gli adulti, che da sempre ci hanno oppresso, non esistono. E voi che cosa fate? Non appoggiate
questo nuovo sistema, un sistema rivoluzionario. Ve ne state con i vostri adulti, che vi succhiano tutta la forza,
tutta la vostra creatività, la vostra allegria, la vostra voglia di divertirvi. E’ così, sono delle sanguisughe, dei
vampiri. Qui siamo solo noi, possiamo fare ciò che vogliamo, quando vogliamo, non ci sono regole. Non capisco
perché voi idioti ci vogliate mettere i bastoni fra le ruote nel creare un mondo perfetto. Maledizione, non lo
capisco proprio. Ma ora voi avrete ciò che meritate. Non ci si può nascondere per sempre.”
Worra era duro, usava un tono molto alto e tuonante, era quasi convincente. I ribelli stavano a terra in silenzio,
dopo aver assistito alla scena del ragazzino che era stato portato via di forza precedentemente nessuno aveva più
la presunzione di controbattere.
Il ragazzo nel frattempo continuava ad urlare.
“Siete stati degli stupidi! Non avete capito come sarebbero andate le cose, pensavate che fosse tutta una
pagliacciata come al solito vero?! Invece non è stato così, abbiamo vinto noi, li abbiamo mandati via finalmente,
ci hanno cresciuti in un mondo orribile, anzi, dire che ci hanno cresciuti è assurdo, ci hanno buttati in questo
sistema e poi ci hanno lasciato da soli. Ma il loro egoismo è terminato, ora siamo solo noi, in un mondo creato
apposta per noi. Ed ora anche voi ne farete parte, stiamo cercando di riportarvi sulla strada giusta, è qui il vostro
posto.”
Sharkey ascoltava quelle parole così forti con un’espressione impassibile, sentire tutti quei discorsi che criticavano
ed accusavano gli adulti era assurdo, il senso delle parole di Worra fondamentalmente era giusto, ma il fatto che
le stesse colpe che venivano date agli adulti, venivano replicate esattamente dalle gang era un controsenso
insanabile. Si stavano comportando esattamente nel modo che criticavano, stavano replicando perfettamente
tutto, la cosa grave era che non se ne rendevano minimamente conto.
“Alzatevi ora!”
Esclamò Worra al termine del suo discorso, poi si rivolse ai suoi uomini con freddezza.
“Portateli dentro, fate la selezione.”
Quando pronunciò la parola ‘selezione’ tutti i ribelli rabbrividirono, non avevano la minima idea di che cosa
sarebbe potuto succedere di lì a poco. Erano tutti terrorizzati, a malapena riuscivano a camminare per via del
forte tremore alle gambe. In fondo però non sapevano cosa li aspettava, Sharkey invece sì, di tutti l’unico ad
avere una paura reale era proprio lui, doveva fare finta di essere un po’ stordito, confuso, come lo erano gli altri,
ma in realtà era perfettamente lucido.
I ribelli vennero scortati dentro ad un grande edificio, era molto vecchio, rovinato, doveva essere abbandonato
da moltissimo tempo a giudicare dalle sue condizioni, si ritrovarono tutti chiusi dentro una stanza quadrata non
più grande di due metri per lato.
Rimasero là dentro per parecchio tempo, in quelle condizioni nessuno era in grado di capire effettivamente
quanto fosse, in ogni caso sembrò un’eternità, finché ad un certo punto udirono dei rumori provenienti da fuori,
l’unica porta di accesso alla stanza si aprì cigolando ed entrarono due ragazzi della gang, non dissero nulla, la loro
espressione era seria, dura. Afferrarono di forza un ribelle, lui non fece opposizioni di alcun tipo, si lasciò
trascinare fuori. Non ritornò più indietro.
Trascorse un po’ di tempo e i ribelli sentirono gli stessi rumori della prima volta, anche in quell’occasione ci fu la
stessa scena, identica alla precedente. Presero un altro ragazzo e lo portarono via di forza. Circa ogni mezz’ora
ritornavano e lentamente scremavano il numero dei ribelli.
Erano rimasti in tre, Sharkey era uno di questi, decise di rompere il ghiaccio, nessuno aveva aperto bocca da
quando erano stati portati dentro a quella stanza maleodorante e buia.
“Io sono Sharkey, penso che sia una cosa bella conoscerci prima che succeda quello che deve succedere, non ho
la più pallida idea di che cosa accadrà quando verranno qui e mi porteranno fuori, almeno avrò conosciuto due
persone nuove.”
Per la prima volta gli altri due ragazzi accennarono un sorriso, e uno alla volta si presentarono.
“Io sono Jake, piacere.”
“E io sono Zyon.”
Iniziarono a parlare tranquillamente, discorsi frivoli, per sciogliere la tensione, fecero qualche risata. Poi arrivò di
nuovo il mostro ad aprire la porta, a quel giro i ragazzi erano infuriati.
“Che diavolo avete da ridere?! Vi sembra divertente, eh?!”
“Vieni qua tu!”
Afferrarono Sharkey per il collo della felpa tirandolo verso la porta e facendolo uscire con violenza dalla stanza,
lui riuscì a malapena a salutare con la mano gli altri due. A forza di spinte e insulti lo facevano avanzare, lui
cercava di fare finta di nulla ma era davvero paralizzato dalla paura.
Sapeva dove l’avrebbero portato, era l’ora della selezione.
Finì all’interno di un altro piccolo stanzino, la luce debole che filtrava da una finestra in alto illuminava in modo
pallido l’ambiente, Sharkey si trovava con il muso a terra dopo che i ragazzi della gang lo avevano spintonato per
farlo entrare.
“Dunque tu saresti Sharkey.”
Una voce roca che proveniva dal buio si fece largo attraverso il silenzio più assoluto.
“Tirati su, forza, siediti lì.”
Sharkey si rialzò e dopo essersi seduto su una sedia traballante che si trovava accanto a lui cercò di scorgere
nell’oscurità la persona che stava parlando.
Subito il suo desiderio fu esaudito, dall’angolo della stanza uscì un ragazzo, era un po’ più grande degli altri,
aveva circa vent’anni, una lunga cicatrice gli solcava la guancia sinistra, aveva uno sguardo vuoto, degli occhi
grigi, completamente spenti ed opachi. Fissava Sharkey con un ghigno agghiacciante e stava in silenzio.
Sharkey di rimando non abbassava lo sguardo e teneva gli occhi puntati contro i suoi.
Poi il ragazzo ruppe il silenzio.
“Ok, vediamo di fare in fretta, mi presento, mi chiamano Dr.Rakoo. Siamo in una sorta di, diciamo, livello di
decompressione fra il ghetto e la città. Voi ribelli cambierete stile di vita ora, le condizioni qui sono migliori di
prima, però chiaramente voi siete ribelli, dovrete subire delle conseguenze, vi siete opposti ad un cambiamento
globale, un cambiamento che avrebbe favorito anche voi alla fine dei conti. Questa cosa purtroppo si deve
pagare, capisci?”
Sharkey non sapeva che fare, non era sicuro che avrebbe dovuto rispondere, ma quel Dr.Rakoo non sembrava
affatto cattivo, era tranquillo.
Decise di parlare, ma in modo da coglierlo in controtempo.
“Cosa ti è successo in faccia?”
Dr.Rakoo ebbe un sussulto, rimase in silenzio per qualche secondo poi rispose.
“Non credo che siano affari tuoi ragazzo, pensi che ci conosciamo abbastanza per poterti raccontare qualcosa
della mia vita?”
“Allora conosciamoci meglio.”
“Mi stai prendendo in giro forse?”
“No, io in realtà voglio solo entrare nell’ottica della gang. Voglio capire meglio com’è la mentalità dei membri
dell’organizzazione.”
“Non capisco quello che mi stai dicendo, tu sei un ribelle, ricordatelo.”
“Già, sono un ribelle, ma voglio entrare a far parte dell’organizzazione, sono pronto a cambiare.”
“Ah ah ah! Che ti credi amico? Che basti fare una pantomima del genere per risolvere il problema?”
“No io dico sul serio.”
“Mi stai facendo perdere tempo, però mi piaci. Hai un atteggiamento diverso rispetto agli altri. Che abilità hai
Sharkey?”
“Abilità?”
“Sì, sai fare i cocktail? Sai stirare? Non lo so, qualcosa saprai pur fare.”
Sharkey capì che aver imparato da Barud nell’ultima settimana a cucinare forse gli avrebbe salvato la vita.
“So cucinare molto bene, almeno i miei clienti dicevano così.”
“I tuoi clienti?”
Sharkey ormai era entrato nel personaggio, doveva andare fino in fondo, doveva essere scaltro.
“Certo, io lavoravo in un piccolo ristorante prima che i tuoi amici delle gang lo distruggessero quando c’è stata la
ribellione.”
Dr.Rakoo sorrise mostrando una fila irregolare di orribili denti giallastri.
“Bene sei selezionato.”
In quell’istante la porta alle spalle di Sharkey si spalancò e fecero il loro ingresso dei ragazzi, lo presero come al
solito di forza trascinandolo verso l’ennesima stanza, quella volta era più grande, all’interno c’erano cinque
membri della gang.
La voce di Dr.Rakoo riecheggiò nell’etere, proveniva da grandi altoparlanti attaccati ai quattro angoli della stanza.
“Ripulitelo, poi portatelo al lavoro. Settore cucina, livello 4. Buon divertimento.”
I ragazzi erano pronti, sembrava aspettassero solamente quella frase, si precipitarono contro Sharkey con una
furia inaudita e cominciarono a colpirlo, lo buttarono a terra e lo fecero svenire a furia di calci e pugni.
Ma lui non pensava al fatto che lo stessero massacrando, aveva in testa l’ultima frase di Dr.Rakoo, ‘settore
cucina, livello 4’, significava che il suo lavoro nella città sarebbe stato come cuoco, livello 4 voleva dire che era
addirittura ad un livello alto dato che la loro scala valori arrivava al 5. Era riuscito a fregare la selezione, il primo
passo verso l’obiettivo era fatto.
A causa delle botte il ragazzo perse conoscenza.
Passarono alcune ore.
“Svegliati, dai riprenditi.”
Una voce lontanissima giunse alle orecchie di Sharkey, tentò di aprire gli occhi ma gli facevano un male
incredibile, la vista era sfocata ma distingueva a qualche centimetro dal suo volto il viso di una ragazza.
“Ecco, sta aprendo gli occhi, si sta riprendendo.”
Gradualmente la vista diventava sempre più nitida, effettivamente il volto che aveva davanti era di una ragazza,
gli stava parlando.
“Come stai Sharkey? Mi senti?”
“Sì, sono ancora vivo. Ma cos’è successo?”
Rispose con un filo di voce.
La ragazza sorrise.
“E’ la selezione, ci sono andati pesante, ma è la prassi.”
Sharkey si mise dolorosamente a sedere, di fianco a lui c’era uno specchio, si guardò per un attimo, era
letteralmente sfigurato, lividi e tagli ovunque. Si spaventò.
“Tranquillo, ti ho medicato, tornerai come prima.”
Lo tranquillizzò la ragazza sorridendogli.
“Mi hai curato tu? Perché? Chi sei?”
“Io sono London, sono una ribelle anch’io, sono un’infermiera, curo i traumi, le botte, le ferite, sai qui ce n’è di
lavoro. E’ il mio ruolo ora nella città.”
“Com’è qui?”
“Intendi com’è lavorare qui?”
“No, com’è vivere qui? Nella città.”
London si incupì immediatamente, Sharkey se ne accorse, anche se lei poi rispose cercando di tranquillizzarlo si
vedeva lontano un miglio che mentiva.
“Beh, oltre a lavorare tanto non è poi così male.”
“Le cose cambieranno.”
“Cosa? Non illuderti, pensa a fare la tua cosa, sei stato assegnato in cucina, hai anche un ottimo livello, sei
fortunato. Non cercare problemi, loro sono troppo forti.”
Sharkey sorrise, o almeno ci provò, poi richiuse gli occhi e si addormentò.
Al suo risveglio stava decisamente meglio, si toccò il viso ed il gonfiore era sparito, alzandosi vide la sua
immagine riflessa nello specchio, anche le ferite erano quasi completamente cicatrizzate.
London lo vide da lontano e si avvicinò a lui.
“Eccoti fra noi, hai dormito quindici ore di fila, ti abbiamo curato con questo farmaco miracoloso, sei quasi
guarito, preparati che probabilmente domani sarà il grande giorno del tuo ingresso nel sistema. E’ una cosa che
rimane impressa.”
“Sarà difficile inserirsi?”
“No, di solito no, noi ribelli non cambiamo più di tanto anche se siamo ormai immersi in quest’ambiente,
totalmente diverso da prima. La cosa più dura forse sarà abituarsi al lavoro, lavorerai tanto, soprattutto all’inizio
non avrai molto tempo nemmeno per dormire. Però è solo questione di abitudine, come per ogni cosa.”
Sharkey non era per niente rasserenato, ma in testa aveva il suo obiettivo, la sua visione era totalmente diversa da
quella che avevano tutti gli altri ribelli, lui doveva entrare nella gang, a qualsiasi costo.
Per ogni cosa però serviva il suo tempo e quello era il momento di pensare al suo ingresso nella città, l’ora era
arrivata, erano quasi le quattro di mattina, Sharkey non aveva chiuso occhio tutta la notte, arrivarono dei ragazzi
dell’organizzazione, gli diedero dei vestiti e lo fecero lavare, dopo di che fu accompagnato sul luogo di lavoro
scortato da una bella macchina nera.
Uno dei ragazzi cominciò a spiegare a Sharkey come avrebbe dovuto comportarsi.
“Le regole penso tu le conosca già, altrimenti le imparerai, o dagli altri, o sbagliando e venendo punito. Qui non
sei più nel ghetto, la pacchia è finita, qui se sbagli paghi, se non lavori, se non ti dai da fare, se sei maleducato, se
fai qualcosa che non va, verrai punito. Cerca di seguire la linea e tieni chiusa la bocca soprattutto, se non dai
problemi non hai problemi, questo è il nostro motto. E’ chiaro?”
Sharkey annuì timidamente con la testa, il ragazzo si rivolse al suo compare sorridendo.
“Già mi sta simpatico questo.”
A quel punto la macchina si fermò, Sharkey fu preso e fatto scendere da essa, si trovava sul retro di un ristorante,
entrarono da una porta che dava accesso alle cucine, c’erano una dozzina di ribelli che lavoravano tutti sudati ed
affannati.
“Chi è il capo qui?”
Gridò uno dei due della gang.
In lontananza si udì una voce che rispose nervosa mentre si avvicinava velocemente.
“Eccomi sono io.”
“Bene, ecco qui uno nuovo, spiegagli tutto, come al solito. Ecco qui la targa.”
Diede al ribelle una specie di documento, simile ad una carta d’identità vecchio stile, poi i ragazzi
dell’organizzazione se ne andarono velocemente.
Da lì non si poteva più tornare indietro sul serio, ormai sarebbe entrato nel meccanismo. Il ragazzo che gli stava
davanti lo guardò da capo a piedi con espressione pensierosa, poi aprì il documento cartaceo che aveva appena
ricevuto, c’era scritto ‘cucina, livello 4’.
Pronunciò le prime parole dopo qualche secondo di silenzio, era ancora serio.
“Bene, qui dice che sei cuoco.”
Poi guardò negli occhi Sharkey e sorrise allungando la mano.
“Io sono Sahid, il tuo nuovo supervisore, benvenuto tra noi.”
“Piacere. Sharkey. Sono contento di essere finito qui, sai, mi aspettavo qualcosa di molto peggio, invece mi
sembra che non sia poi così malaccio come posto.”
“Beh, a giudicare dalle tue abilità credo che essere qui sia il minimo.”
“Che vuoi dire?”
“Livello 4, ragazzo. Eccellente Sharkey.”
Poi lo invitò a seguirlo.
“Vieni, ti faccio fare un piccolo giro panoramico per mostrarti come funzionano le cose da noi.”
“Questo è un ristorante di lusso?”
“Sì, qui vengono i membri più importanti della gang, la scorsa settimana abbiamo avuto a cena il capo di una
delle gang, non capita quasi mai che gente di quel calibro venga qui nei bassifondi, loro stanno sempre al riparo,
fuori dallo sguardo indiscreto dei ragazzi ‘normali’.”
“E chi è il capo? Che aspetto ha?”
“Non lo so, nessuno l’ha visto, noi abbiamo preparato tutto il banchetto nel privè e poi siamo dovuti uscire, non
si vuole far vedere.”
“Interessante, come si chiama questo posto?”
“Plonge 101”
“Cosa significa?”
Sahid si fermò lanciando un’occhiata interrogativa a Sharkey.
“E’ francese. Non lo so. Comunque continuiamo, qui ci sono tutti i fornelli, ogni cosa, poi di là i frigoriferi, i
forni sono laggiù…”
A Sharkey fu mostrata tutta la gigantesca cucina poi finalmente arrivò il suo primo incarico.
“Tieni, mi raccomando datti da fare che è la prima volta, se hai dei dubbi mi cerchi. Buon lavoro.”
Sahid gli diede un piccolo cartoncino con scritto sopra il compito che avrebbe dovuto svolgere, lo aprì.
‘Portare in strada i bancali della stanza frigo.’
Sharkey rimase stupito, si voltò verso Sahid, ma era già lontano, così lo rincorse per chiedergli spiegazioni.
“Ma come scusa? E il livello 4?”
Sahid sorrise.
“Qui siamo tutti livello 4, Sharkey. Sei nuovo, fai lavori da nuovo, non sono io che decido mi dispiace.”
Sharkey non replicò, aveva capito che l’assegnazione degli incarichi non era davvero responsabilità di Sahid. Si
trovava nel sistema da poco meno di un’ora e già sentiva una pressione dall’alto, una forza che controllava e
dirigeva tutto ma rimaneva nascosta, invisibile. Probabilmente era colpa del drastico e veloce cambiamento di
vita dal ghetto alla città, forse era solo una sensazione passeggera, restava il fatto che qualcosa di strano aleggiava
su quella città.
Si affrettò a mettersi subito all’opera con diligenza, pensava di arrivare subito ai fornelli, di spadellare
immediatamente, invece come nuovo arrivato doveva fare il classico lavoro sporco.
Si diresse verso la stanza frigo, aprì la grossa porta di acciaio e di nuovo l’immagine che aveva nella sua mente
venne frantumata dalla realtà.
Numerose pile di bancali in legno ammassati uno sopra l’altro giacevano lungo una parete. Ce n’erano all’incirca
un centinaio e Sharkey doveva trasportarli da là dentro fino in strada, tutti da solo.
Rimase per qualche minuto a contemplare quello che aveva davanti agli occhi, a contare e ricontare, poi fu
richiamato alla realtà da una voce alle sue spalle.
“Bello iniziare subito così eh?”
Si voltò, era un ragazzino, più giovane di lui di un paio di anni, lavorava nella stanza frigo, prendeva i vari pezzi
di carne e li portava ai cuochi, era magrissimo, biondo, la pelle molto chiara, aveva le guance e il naso rossi, le
labbra tutte screpolate a causa delle variazioni brusche fra il caldo della cucina e il freddo della cella frigo.
Però sorrideva.
“Io sono Matthiew, tu devi essere quello nuovo giusto?”
“Già, mi chiamo Sharkey.”
“E’ un bel mucchio di bancali amico.”
“Tu come hai iniziato?”
“Togliendo le gomme da masticare dai marciapiedi.”
Rispose ridendo il ragazzo.
“Cosa?”
“Sì, è un lavoro fatto dai ribelli anche quello non lo sapevi?”
“No, non lo sapevo. E come hai fatto a finire qui?”
“Sono stato sulle strade per quattro mesi, nel frattempo invece di dormire venivo qui, Sahid mi insegnava
qualche trucchetto in cucina, finché sono riuscito ad infiltrarmi come cuoco di livello 1. E’ stato l’inferno, ho
fatto di tutto.”
“La cosa peggiore?”
“Ti dico soltanto che ho sentito degli odori che non credevo nemmeno potessero esistere. Però ora è meglio che
ti metti all’opera, se ti beccano qui a non fare nulla passi dei guai seri. Piacere di averti conosciuto.”
Matthiew si allontanò velocemente con in braccio un prosciutto che probabilmente pesava quanto lui. Sharkey
ebbe solo il tempo di rispondere.
“Piacere mio.”
Poi iniziò seriamente il lavoro, prese il primo bancale e lo portò fuori faticosamente, lo appoggiò al muro. Ce
l’aveva fatta, il primo era al suo posto.
A parte numerosi colpi alle tibie e qualche scheggia di troppo nelle mani il lavoro continuava tranquillamente,
prese il ritmo e dopo alcune decine di viaggi riuscì a trovare la tecnica giusta per il trasporto senza fare sforzi e
fatiche inutili.
- IL PROGETTO CAPITOLO 7
Ashley entrò per prima nella stanza, invitò Julie a seguirla. Si ritrovarono all’interno di una sorta di ripostiglio,
molto angusto, senza elettricità, numerose candele stavano disposte casualmente in qualsiasi spazio libero e
creavano una leggera luce che permetteva a malapena di vedersi in faccia.
La persona che aveva aperto la porta era un ragazzo, doveva avere per forza di cose vent’anni perché era l’età
massima per poter restare in città, anche se a vederlo di primo impatto ne dimostrava sicuramente almeno un
paio in più. Il suo viso era scavato, lunghi capelli gli coprivano gli occhi, e una barba incolta era distribuita a
chiazze sulle sue guance.
Nella stanza c’erano altre tre persone, due ragazze, si assomigliavano moltissimo, anzi erano addirittura quasi
identiche, con tutta probabilità erano sorelle, e l’altro era un ragazzo, piccolo, tarchiato.
“Non ti ha visto nessuno vero Ashley?”
Chiese preoccupato il ragazzo della porta.
“Mi fai sempre la stessa domanda. Pensi che sia così ingenua da farmi scoprire? Puoi fidarti di me.”
“Lei chi è?”
Cambiò poi discorso il ragazzo guardando Julie con aria diffidente.
“Lei è Julie, potete fidarvi, è una a posto.”
Tranquillizzò la situazione Ashley, successivamente presentò le varie persone fra di loro.
“Julie, lui è Denis.”
Disse riferendosi al ragazzo che aveva aperto la porta.
“Lui è Mehdi.”
Indicò il ragazzo cicciottello.
“E loro sono le sorelle. Nitika e Violet.”
Naturalmente stava parlando delle altre due ragazze che Julie aveva già classificato giustamente come sorelle.
Mehdi era un ragazzo di origini marocchine, i suoi lineamenti non mentivano, come già detto era basso,
cicciottello, la carnagione scura e i capelli corti neri come la pece, Nitika e Violet invece erano quasi identiche se
non fosse stato per il taglio di capelli diverso. Nitika portava i capelli molto lunghi e ricci mentre Violet li aveva
corti all’altezza delle spalle. Il colore era nero anche per loro come per Mehdi, ma la carnagione era molto pallida,
chiara, entrambe avevano dei luminosi occhi verdi.
Julie stava in silenzio, non aveva la minima idea di chi fossero quelle persone, né tantomeno che cosa ci facessero
riunite là dentro, in quello sgabuzzino buio.
Ashley la vide un po’ in imbarazzo, così decise di spiegarle a grandi linee la situazione.
“Questo è il gruppo dei ventenni Julie. Abbiamo tutti vent’anni qui, eccetto Violet che ne ha diciannove, e
ovviamente tu.”
“Va bene, ma che vuol dire, cosa c’entra che avete tutti vent’anni?”
“Come sai, vent’anni è l’età massima per stare qui in città, quindi ci siamo riuniti per cercare di capire quale sarà il
nostro futuro.”
“Vi manderanno nel ghetto. Penso che funzioni così.”
“Sai, quando c’è la tua vita in ballo le ipotesi non sono abbastanza, dobbiamo assolutamente sapere con certezza
quello che ci accadrà fra qualche mese. Sai, ci siamo informati, le persone che hanno superato l’età massima non
si sono più viste, siamo riusciti a parlare con molti ribelli che provenivano dal ghetto e nessuno ha mai visto
questi ragazzi. Ci sentiamo quindi di escludere la possibilità che ci mandino in qualche ghetto.”
“E allora che cosa pensate vi faranno?”
A quel punto Mehdi prese la parola dalle retrovie.
“Ci uccideranno.”
Julie lo guardò turbata.
“Cosa? Vi uccideranno? No, non può essere.”
Lui continuò il suo ragionamento.
“Lo scopo delle gang è di creare un mondo di soli giovani, relegare gli adulti nei ghetti non basta, stanno
prelevando tutti i ribelli, ormai siamo agli sgoccioli, manca poco perché i ragazzi che hanno meno di vent’anni
siano totalmente portati nelle città. A quel punto i ghetti diventeranno una gabbia mortale per gli adulti.
Verranno uccisi in massa e così il pianeta sarà abitato solamente da giovani. Obiettivo raggiunto.”
“E che cosa pensate di fare?”
Ashley spiegò il loro piano brevemente.
“Dobbiamo cercare di arrivare al capo della gang. E’ necessario raggiungere la fonte per venire a conoscenza dei
piani.”
“Per questo vuoi partecipare al prelievo? Vuoi entrare nella gang?”
“Esatto.”
“Lo farete anche tutti voi presumo?”
Chiese Julie rivolgendosi agli altri membri del gruppo.
Ashley rispose per loro.
“C’è una piccola questione, loro sono ribelli.”
“E allora? Anche loro hanno la possibilità di essere prelevati questa volta.”
“Sì, ma loro si stanno nascondendo, vedi Julie, loro vivono qui, sono scappati dal loro lavoro ed ora li stanno
cercando.”
Julie non capiva, perché Ashley aiutava quei ragazzi, loro non avrebbero rischiato nulla, mentre lei avrebbe
dovuto infiltrarsi nella gang con tutti i pericoli annessi.
Poi Violet per la prima volta parlò.
“Noi faremo da appoggio esterno, dobbiamo solo sperare che Ashley riesca a passare i prelievi, dovrà essere
molto intelligente, ma d’altronde abbiamo fiducia in lei.”
Ashley era vista con molto rispetto dalle persone, era una tipa davvero in gamba, propositiva, coraggiosa, tutte
qualità che la maggior parte dei ragazzi nella città non aveva.
Lei stava in silenzio, era pensierosa, non poteva decidere tutto su due piedi.
“Va bene ora è tempo di andare, non posso mancare troppo dalla vita cittadina, ci rivediamo quando avremo
notizie importanti. Rimaniamo in contatto.”
Le due ragazze uscirono dal garage furtivamente senza farsi vedere, Julie aveva un po’ di domande da fare alla
sua amica, non capiva lo scopo del suo comportamento.
“Perché lo fai?”
“Cosa?”
“Tutto questo. Voglio dire, stai rischiando solamente tu in questa storia.”
“Non parlare se non conosci le cose.”
“Non serve conoscere un bel niente. Basta guardare la realtà. Loro sono là al riparo in uno sgabuzzino, sì ok si
stanno nascondendo, ma tu sei qui fuori a rischiare la pelle ogni secondo che passa.”
“Se dovessi valutare le persone come lo fai tu, in questo momento non saresti a parlare qui con me. Dove
saresti? Probabilmente ad inzuppare il tuo cuscino di lacrime con la paranoia che ti stiano cercando per colpa di
un ragazzino di tredici anni che ti ha parlato per qualche minuto di cose che sono davanti agli occhi di tutti
continuamente ma che nessuno vede.”
Julie rimase zitta per un momento, la sua amica aveva ragione, c’erano delle ragioni dietro i comportamenti, c’era
un significato che si celava dentro ogni cosa, lei ancora non lo vedeva chiaramente, ma ci stava facendo
l’abitudine. Nulla era reale, la facciata mentiva sempre, era solo un'illusione. Il vero valore era sfalsato, nascosto,
modificato.
“Scusami, non avevo intenzione di dirti come devi comportarti. Solo che secondo me sei una persona molto
importante, hai delle qualità incredibili, mi dispiacerebbe sapere che vieni sfruttata da qualcuno per il suo
interesse.”
“Non scusarti. E’ giusto che tu esprima le tue opinioni, ma devi capire che non è questione di sfruttamento, è
collaborazione, loro mi danno e mi hanno dato delle cose che da sola non avrei potuto avere, la stessa cosa vale
per Sahid, lui non mi dà solo del cibo, ma mi passa delle informazioni, capisci?”
“Già, è molto più dell’aspetto materiale.”
“Brava, ci sono dei messaggi nascosti dentro alle cose che vedi, le luci, i suoni, le persone, le parole, sono tutti
segnali. Devi imparare a decodificarli, ma solo con la collaborazione si può crescere, chiudersi in sè stessi
significa morire.”
Julie rimase a sentire quelle parole mentre nella testa le scorrevano migliaia di immagini e di frasi, nessuna
coincideva con quelle che stava dicendo Ashley, tutti avevano sempre parlato e vissuto in modo da relazionarsi
sempre meno con gli altri, fino al punto da non riuscire nemmeno più a farlo.
Il rapporto fra le persone era nullo, ormai nessuno diceva neanche più ‘Buongiorno’. Era una situazione umana
grave, a mente fredda e ragionando logicamente non c’era niente di cui meravigliarsi se il mondo era finito per
diventare così com’era. Conseguenze. Niente di più semplice.
“E’ normale che il mondo sia diventato così vero Ashley?”
Chiese Julie
Voleva conferme al suo ragionamento, stava cercando una persona che la pensasse come lei, era un modo per
non sentirsi completamene uscita di senno.
La risposta arrivò.
“Se per normale intendi giusto, credo di no, che l’essere umano sia ridotto in queste condizioni non è
assolutamente una cosa normale, secondo me, è pazzia. Se invece intendi dire che è il risultato di azioni ben
precise, allora questo sì. Tutto ciò che vediamo non è nient’altro che il frutto di ciò che noi umani abbiamo
seminato per decenni. Non credo che gli adulti abbiano ragione nel criticare e puntare il dito contro le nuove
generazioni, d’altra parte noi abbiamo solo imitato dei modelli, cioè loro. Non giustifico neanche i giovani che
incolpano i più vecchi del proprio fallimento. Sai, è sempre una lotta per cercare un capro espiatorio io vedo.
Non credo sia questione di trovare di chi è la colpa, essendo in una società è colpa di tutti e di nessuno, è colpa
di chi esprime delle cose negative, in qualsiasi maniera, allo stesso modo è colpa di chi le assorbe, le subisce in
silenzio senza fare nulla, ed è colpa di chi non esprime le cose positive.”
“Dici che ci si dovrebbe ribellare?”
“No, non è un discorso di ribellione, hai sotto gli occhi gli effetti, e non è che i protagonisti sono stati incapaci di
raggiungere lo scopo. E’ sempre stato così, le rivoluzioni violente non sono mai andate a buon fine, basta
guardarsi indietro per capirlo. E’ il mezzo che è sbagliato secondo me. Ma qui ritorniamo ad un altro dei capisaldi
dell’essere umano, continuare a commettere sempre lo stesso errore senza imparare mai nulla da esso.”
“Quello che vuoi fare tu è diverso da una rivolta quindi?”
“Io non mi sto ribellando, sto cercando di capire il sistema. Per questo ho bisogno di entrarci.”
Julie non comprendeva ancora chiaramente le motivazioni che spingevano Ashley a fare tutto quello che stava
facendo, ma la ammirava, mostrava una determinazione incredibile. Decise di non continuare a fare domande
indiscrete, parlare non serviva poi a tanto, come aveva detto la sua amica poco prima in realtà l’unica cosa che
contava davvero erano i fatti.
E i fatti dicevano che le due ragazze stavano camminando da ormai parecchi minuti, Julie non sapeva dove
stessero andando, non erano sulla strada di casa.
“Dove andiamo ora? E’ quasi buio ormai.”
“Andiamo al ristorante, devo vedere Sahid.”
“Uh, ‘Plonge 101’. Altre prelibatezze in arrivo?”
“No, questa volta è roba seria, fra pochi giorni c’è il prelievo, dobbiamo arrivare pronti.”
“Avete intenzione di tentare tutti quanti di essere prelevati?”
“Più siamo e più probabilità abbiamo di entrare.”
“Io faccio parte del progetto?”
“Non sono io che posso tirarti in mezzo, è una decisione tua, non c’entra la gloria, non c’entrano gli ideali, è una
missione personale.”
“In quanti siete coinvolti in questa cosa?”
“Pochi, non è il caso di far circolare tanto la voce, le persone parlano tanto e concludono poco, noi abbiamo
bisogno di azioni silenziose.”
Julie era ad un bivio, avrebbe dovuto giocare al gioco oppure era meglio starne fuori?
Era una decisione complicata, ma senza ombra di dubbio non poteva restare in bilico fra due soluzioni, presto
avrebbe dovuto decidere se rischiare tutto e seguire il progetto di Ashley, oppure ritornare come prima, ingenua,
senza domande.
Capì immediatamente che ritornare indietro a quel punto era praticamente impossibile, sapeva che se non ci
avesse provato il dubbio se ce l’avrebbe fatta o meno le avrebbe martellato la mente per sempre.
Era quella l’occasione, le persone stanno ferme lamentandosi che gli arrivi una possibilità, un treno al quale
aggrapparsi.
Quella era la fermata di Julie.
“Voglio farne parte Ashley.”
Disse con freddezza e lucidità.
La sua amica si girò verso di lei guardandola negli occhi e mostrando il suo solito dolce sorriso.
“Sono contenta, sei una persona davvero in gamba, ci sei Julie. Faremo grandi cose.”
“Ne sono certa.”
Julie aveva paura, ma era una sensazione quasi piacevole, la teneva sveglia, sempre attenta, era una situazione
stimolante.
Anche Ashley non era tranquilla nonostante ostentasse calma e sangue freddo, era normale, l’impresa che aveva
in testa era molto più grande di quello che faceva vedere all’esterno, il suo piano era mastodontico. Se avesse
dovuto pensare solamente alla meta di sicuro non ce l’avrebbe fatta nemmeno a partire, ma come tutte le grandi
cose veniva fatta a piccoli gradini, passo dopo passo il piano sarebbe andato in porto.
Arrivarono al ‘Plonge 101’, davanti a loro la solita porta sul retro dell’edificio, passò qualche secondo che
cigolando quella si aprì delicatamente e la testa di Sahid sbucò per controllare che effettivamente le due ragazze
fossero lì ad attenderlo.
“Ciao Ashley. Ciao Julie. Ci vediamo sempre di più eh? Da un lato mi fa piacere, dall’altro mi fa capire che il
‘giorno X’ si sta avvicinando velocemente.”
“Ciao Sahid.”
Esordì Ashley.
“Per me è un piacere in entrambi i casi.”
“Non so tu ma io sono nervoso da morire, faccio fatica anche a lavorare, i ragazzi mi chiedono indicazioni e a
volte non capisco nemmeno quello che mi dicono, sto pensando solo a quello, a cosa faremo una volta entrati
nel viaggio.”
“Stai tranquillo, ormai hai deciso, pensare a come sarà non vale niente, è solo una perdita di tempo, penseremo ai
problemi quando ci saremo dentro, se ne avremo.”
“Già, credo sia la cosa migliore.”
“Dobbiamo festeggiare invece, abbiamo una possibilità in più di farcela, abbiamo reclutato anche Julie!”
Il viso di Sahid si illuminò.
“Grandioso! Un’altra affiliata al progetto, sento che ce la possiamo fare. Vado a prendere una bottiglia senza
farmi vedere, brindiamo.”
Corse dentro verso la cantina nella quale erano custoditi vini di altissima qualità, Sahid prese una bottiglia di
Cintus Franciacorta per fare un brindisi come si deve assieme alle due ragazze.
Nel frattempo Sharkey dopo aver ripreso fiato per qualche minuto ritornò al lavoro con grinta, afferrò
l’ennesimo bancale e si diresse verso l’uscita, aprì la porta di scatto e si ritrovò davanti Ashley e Julie colte di
sorpresa.
Appoggiò il bancale sopra i precedenti già accatastati e si voltò per capire chi fossero quelle due ragazze.
“Ciao, avete bisogno di qualcosa?”
Julie rimase in silenzio mentre fissava Sharkey, Ashley invece rispose subito.
“Sei nuovo?”
“Sì, come fai a saperlo?”
“I ribelli non fanno domande, eseguono gli ordini. Evidentemente se tu hai il coraggio di fermarti per metterti a
parlare con noi due significa che sei nuovo, oppure sei uno che si disinteressa delle regole.”
“E se fosse così?”
“In quel caso ti rispetterei, avresti coraggio.”
Sharkey sorrise.
“Perfetto, non sono nuovo. Voglio solamente sapere come vi chiamate.”
Anche Ashley sorrise, sapeva che il ragazzo mentiva, ma aveva un atteggiamento diverso.
“Io sono Ashley, lei è Julie.”
“Julie, che bel nome.”
In quell’istante arrivò Sahid reggendo con maestria tre calici riempiti di frizzante spumante dal colore paglierino.
“Ecco qui il nettare degli dei.”
Poi si bloccò, fulminando Sharkey con lo sguardo.
“Che ci fai qui?! Torna dentro a lavorare, muoviti!”
Sharkey non sentì nemmeno quella frase, si voltò verso Ashley sorridente.
“I ribelli non parlano, non fermano il lavoro per parlare, vero?”
“Senti Sharkey vattene dentro subito.”
“Sharkey. Che bel nome.”
Esclamò Julie ridendo.
“Senti Julie non cominciare anche tu per favore. Questo qui è nuovo, deve imparare le regole.”
Continuò Sahid cercando di gestire la situazione che ormai gli era sfuggita di mano.
Ashley ritornò dentro al discorso.
“Ah, nuovo dici? Allora non sei coraggioso, sei solamente incosciente ragazzo.”
“Tu non sai niente di me ragazza, potrei essere un controllore.”
“Che diavolo ne sai dei controllori tu?! Sei arrivato da appena un giorno!”
Riattaccò Sahid, ma ormai il dialogo era fra Ashley e Sharkey.
“Sei sveglio per essere uno nuovo, come fai a sapere queste cose?”
“Forse sono un controllore. Magari sono qui perché sapevo che stavate facendo dei traffici strani e fra poco
verranno a prendervi.”
Ashley sapeva benissimo che non aveva davanti uno della gang, li conosceva troppo bene, però Sharkey l’aveva
incuriosita, era un ragazzo misterioso, sapeva delle cose che un ribelle appena arrivato non avrebbe potuto
conoscere.
Decise di approfondire.
“E se fossi un controllore che cosa vorresti per lasciarci liberi?”
Sharkey attese qualche secondo anche se quella era la domanda che stava aspettando e sapeva benissimo quale
sarebbe stata la risposta.
“Se mi fate sapere qual è il vostro progetto forse non chiamerò i miei colleghi.”
Julie non parlava, fissava Sharkey senza sbattere le palpebre, era come incantata davanti a quel ragazzo, Sahid
allora prese nuovamente la parola.
“Ma che diavolo stai dicendo Sharkey. Torna dentro a lavorare! Altro che controllori e progetti! Ci farai scoprire
tutti!”
“Sahid, voglio sapere, ho già capito che c’è qualcosa sotto a tutto questo, state progettando qualcosa di grosso.”
“Non c’è nulla.”
“Dai forza, vi ho sentiti dalla finestra nella cella frigo.”
A quel punto non poterono più mentire, erano stati scoperti.
“Beh, meglio lui che qualcun altro.”
Ashley allora pensò di fare un patto con Sharkey.
“Va bene, ti raccontiamo il nostro piano. Tu però devi promettere che non dirai queste cose a nessuno, lo sai
benissimo anche tu che non hai nessun potere per ricattarci, noi due siamo della città, ogni cosa che diciamo vale
più della tua. La stessa cosa si può dire di Sahid, è il tuo supervisore, una sola parola e tu finisci a pulire i
marciapiedi con la lingua, siamo d’accordo?”
Era un discorso duro, Ashley non avrebbe voluto, però in quel momento era necessario, non potevano lasciarsi
mettere i piedi in testa da nessuno, specialmente da un ribelle appena arrivato, per quanto interessante potesse
essere come individuo.
Sharkey d’altro canto voleva entrare nel progetto, quello era il suo scopo.
“Ok, io non parlerò con anima viva, però voi mi fate entrare nel vostro gruppo.”
Ashley sbuffò, era nervosa, o almeno lo faceva credere.
“Senti, o accetti le mie condizioni oppure fra cinque minuti potrebbero arrivare le guardie e portarti via da qui.
Basta che faccio una chiamata.”
“D’accordo.”
Sharkey accettò le condizioni, pensò che fosse meglio non andare oltre. Troppa presunzione avrebbe potuto
compromettere tutto il suo piano. Con o senza di loro sarebbe andato avanti ugualmente.
“Perfetto, dobbiamo fare in fretta.”
Ashley, Julie e Sahid spiegarono a grandi linee il loro piano, tralasciando ovviamente molti particolari e strategie
che dovevano rimanere segrete.
Sharkey fece finta di essere soddisfatto, anche se la maggior parte delle informazioni non era di nessuna utilità
per la sua missione.
“Dunque l’appuntamento fondamentale sono questi famosi ‘prelievi’?”
Lui sapeva già che cos’erano i prelievi e nel suo piano era già prevista la sua presenza, avrebbe dovuto entrare
nella gang, a tutti i costi. Cercò di fingere sorpresa. Gli altri ci cascarono.
Sahid impaziente e visibilmente innervosito approfittò del primo attimo di silenzio per invitare Sharkey a tornare
al lavoro.
“Bene, hai avuto quello che volevi. Ora torna alle tue faccende. Veloce, e guai a te se ne parli con qualcuno.”
Ormai il rapporto tra Sharkey ed il suo supervisore era incrinato. Sahid non lo sopportava, lo irritava il fatto che
un ribelle appena arrivato fosse venuto a conoscenza di cose per le quali lui aveva investito tempo e fatica per
riuscire a sapere.
Per Ashley e Julie invece il discorso era completamente inverso. Avevano preso Sharkey in simpatia, proprio per
la sua personalità ed il suo carattere. Julie in particolare era rimasta folgorata.
Sharkey se ne tornò al lavoro, lasciando che gli altri tre brindassero velocemente anche se il momento magico era
ormai rovinato.
“E’ meglio se ce ne andiamo a casa, siamo qui da troppo, è pericoloso, sarebbe un peccato rovinare tutto proprio
ora.”
Disse Ashley dando una pacca sulla spalla a Sahid e strizzando l’occhio.
“Dai che mancano pochi giorni. E non preoccuparti per quel ragazzo. Non andrà lontano.”
“Va bene. Ci vediamo presto.”
Le due ragazze si allontanarono per ritornare verso casa.
Ashley aveva tenuto sotto controllo Julie per tutto il tempo, la punzecchiò.
“Ti piace quel tipo, eh?”
Julie arrossì.
“Ma che dici, è solo un ribelle. Non sa a che guai sta andando incontro.”
“Ti ho vista. Il modo in cui lo guardavi, eri totalmente ipnotizzata.”
“Senti, pensiamo al piano, la data è fra pochi giorni, non abbiamo tempo per pensare ai ragazzi.”
“Sì, ma non mi hai risposto.”
“Andiamo a casa che ho fame.”
Julie cambiò discorso, ma in realtà Sharkey le era rimasto in testa, le aveva lasciato una sensazione strana,
qualcosa di difficile da spiegare a parole, decise di non pensarci troppo su e di concentrarsi sul fatto che aveva
preso un impegno importantissimo con la sua amica, era parte integrante del progetto.
Arrivarono al loro appartamento. Ashley si mise subito in azione per preparare la cena, quella era la sera del
pesce, una bella frittura mista, una delizia.
Le due ragazze mangiavano tranquillamente, Julie però aveva un dubbio.
“Perché non hai lasciato che quel ragazzo entrasse nel progetto?”
“Perché non so chi è.”
“Dai, ormai ti conosco. Mi hai presa con te, mi hai spiegato tutte queste cose e non mi avevi mai vista prima. Tu
sai riconoscere le persone, lo so.”
“Sì, hai ragione, tu eri una ragazza confusa, persa. Ti ho presa con me perché altrimenti ti avrebbe presa qualcun
altro. Nel caso di quel Sharkey è diverso. Lui non è per niente disorientato, voglio dire è in questo ambiente da
nemmeno un giorno e prende tutto con estrema leggerezza, forse troppa. L’ho osservato mentre parlavo con lui,
sembrava che ogni cosa che io dicessi la conoscesse già, faceva finta di essere stupito, ma recitava davvero in
modo pessimo.”
“Io non mi sono accorta di niente, mi sembrava normale. Nemmeno Sahid non ha notato alcun comportamento
sospetto.”
“Tu eri assolutamente ipnotizzata, avrebbe potuto chiederti qualsiasi cosa, per quanto riguarda Sahid, era
nervoso, quella situazione l’ha reso impaziente. Niente di peggio, bisogna restare tranquilli, in certe occasioni
devi essere freddo, lucido, certe sensazioni storpiano il senso della realtà, io sono stata attenta al modo di fare di
quel ragazzo e ti assicuro che mi ha fatto pensare dal primo secondo in cui l’ho visto.”
“Dici che è cattivo?”
“No, cattivo non credo, ma nasconde qualcosa, non me la racconta giusta. Per questo non mi sono sentita di
farlo entrare nel progetto.”
“Capisco, beh io di te mi fido, so che hai una certa sicurezza nel capire le persone.”
“Comunque gli piaci, non ci sono dubbi.”
“Cosa?”
“Tu Julie, gli piaci, è evidente.”
“No, ma dai. Non mi ha nemmeno rivolto la parola.”
“Tu non ti accorgi delle cose che succedono, devi cercare di restare lucida e osservare.”
“Ok, ma questo è un discorso che non c’entra, stavamo parlando del progetto.”
“Fidati di me, ti ha dato una squadrata appena è uscito, ti ha mangiata con gli occhi.”
“Sì ok, se lo dici tu.”
- FINTA SPERANZA CAPITOLO 8
“Ma che diavolo ti salta in testa?! Sei arrivato da un giorno e già crei casini!”
Urlava Sahid contro Sharkey, riferendosi alla situazione creatasi poco prima.
“Sono mesi e mesi che stiamo preparando i particolari di questo piano, abbiamo calcolato tutto, ora che
mancano soltanto poche ore al grande giorno arrivi tu e ti metti in mezzo raccontando chissà quali storielle
inventate. Non puoi farlo, è chiaro?”
Sharkey stava ad ascoltare perfettamente calmo, lasciò sfogare il suo supervisore, lo capiva benissimo, lui non lo
credeva, ma c’erano altre persone che come lui stavano cercando una via d’uscita, un modo per scardinare quel
sistema che ormai stava diventando sempre più duro e stretto anche per i ragazzi che stavano nella città.
“Io voglio solo entrare a far parte del vostro progetto, anch’io ho le stesse vostre idee, la vostra voglia di
cambiare le cose.”
“Non è possibile. Ormai è troppo tardi, manca troppo poco tempo, ormai quello che è fatto è fatto.”
“Capisco. Bene allora vorrà dire che vi augurerò buona fortuna e spero che il vostro tentativo vada a buon fine.”
“Bene. Sharkey, voglio che tu sappia che non c’è nulla di personale in questa cosa, è solo che non possiamo
sconvolgere mesi di preparativi per una persona che non conosciamo nemmeno, mettiti nei nostri panni.”
“Certo, credo di aver afferrato. Comunque sappiate che vi rispetto, avete coraggio. Non è da tutti.”
“Grazie, apprezzo, ora torna al lavoro però, altrimenti rischiamo che se ci scoprono a non lavorare finiamo per
essere esclusi dai prelievi.”
Sharkey tornò al suo lavoro di spostamento dei bancali dalla stanza frigo fino sulla strada, era un po’
amareggiato, gli sarebbe piaciuto aggregarsi a qualcuno, avere un supporto sarebbe stato importante per
aumentare la sua sicurezza. Ma probabilmente il suo destino era quello di fare le cose da solo, era quella la via
giusta.
Mentre trasportava uno dei tanti bancali Sharkey udì due voci provenienti da una stanza lungo il breve corridoio
che doveva percorrere per uscire all’esterno, si fermò cercando di essere il più silenzioso possibile e rimase in
ascolto.
“Va bene però devi promettermi che mi farai uscire da questa fogna.”
“Di questo non devi preoccuparti, è già tutto programmato, però tu devi fare quella cosa per me.”
“Ti ho già detto che devi stare tranquillo, ti ho mai deluso? Ma io voglio avere delle garanzie, come faccio a
sapere che poi ai prelievi spunterà il mio nome?”
“I prelievi sono stati aperti anche ai ribelli proprio per questo motivo, secondo te facciamo entrare
nell’organizzazione gente qualsiasi?”
“Ma allora a che serve creare tutta questa messinscena? Prendete direttamente chi vi serve e basta.”
“L’evento del prelievo è un messaggio, serve per dare speranza anche a chi non ne ha.”
“Ma che significa non capisco?”
“Anche un ribelle ha la possibilità di farcela, un ragazzo qualsiasi che oggi lavora come un animale venti ore al
giorno e non ha nemmeno il cibo sotto al naso, domani potrebbe diventare un membro della gang, con tutti i
privilegi che ne conseguono. Capisci il messaggio forte di speranza? Di illusione? Serve a sedare gli animi.”
Ci fu un attimo di silenzio, Sharkey era appoggiato al muro del corridoio, il suo cuore palpitava, si stava
rendendo conto che la realtà era molto più cruda di ciò che pensava, poi le due voci ripresero a parlare.
“In base a cosa sceglierete?”
“In base a quanto uno è in linea con le regole della gang. Più sei simile a noi e più probabilità hai di essere
prelevato. Anche se ormai è troppo tardi, ormai i verdetti sono già pronti, sarà solo uno show in cui faremo
credere che tutti ce la possono fare.”
“E io ci sono?”
“Te l’ho già detto prima, dammi le informazioni che ti ho chiesto e salirai in paradiso.”
“Adesso devo andare, non voglio che qualcuno mi veda, è meglio che ci salutiamo, quando so qualcosa ti
chiamo.”
“Cerca di non fare scherzi, manca un giorno solo.”
“Ok, fidati di me. Ciao.”
Uno dei due si avvicinò velocemente verso l’uscita della stanza, quando l’altro lo bloccò.
“Ah, dimenticavo. Lo sai che ora sei a conoscenza di informazioni che non dovresti sapere vero?”
Non ci fu risposta, ma la voce continuò la sua frase.
“Adesso non torni più indietro, o entri nella gang, oppure non resterai di certo qui facendo finta che nulla sia
successo.”
Qualche secondo di pausa, poi la reazione con voce tremolante e carica di tensione.
“Mi ucciderete?”
“Non posso escluderlo. Vedi di fare quello che ti ho chiesto e non avrai problemi.”
A quel punto nessuno parlò più e Sharkey sentendo i passi avvicinarsi alla porta se ne andò velocemente verso
l’uscita, però doveva fugare il suo dubbio su chi fosse il ragazzo là dentro.
Si nascose dietro dei sacchi facendo capolino con la testa per riuscire a vedere la faccia della spia.
Il ragazzo uscì dalla porta, era di spalle, indossava un cappello di lana ed una sciarpa che lo rendevano
irriconoscibile da dietro. Si appoggiò al muro respirando affannosamente tentando di riprendere fiato, stringeva
forte i pugni ai fianchi. Poi si voltò, era Matthiew, il ragazzino che si era presentato a Sharkey appena iniziato il
suo lavoro nella stanza frigo.
Sharkey era sorpreso, non se l’aspettava, proprio lui che sembrava un bravo ragazzo, che si sacrificava, lavorava
tantissimo, non si lamentava mai.
Perché si stava vendendo in quel modo?
Sharkey capì che nessuno era affidabile al cento per cento, doveva stare attento a tutti, iniziava a capire come
giravano le cose là nella città, in superficie c’era un’immagine meravigliosa che poi scavando sempre più a fondo
si anneriva mostrandosi per quello che era in realtà. Un sistema marcio.
Aveva in mente le parole che aveva sentito nella stanza poco prima, gli rimbombavano a ripetizione nella scatola
cranica. Era già tutto scritto, tutto programmato, i prelievi erano una farsa. Quello stava a significare che con
tutta probabilità lui non era fra i nomi che sarebbero stati scelti, la stessa cosa valeva per Julie, per Ashley, per
Sahid, e per tutti coloro che pensavano di potercela fare davvero, di poter entrare nell’organizzazione in modo
così facile. Il giochetto era semplice, tenere buoni i ragazzi della città, ma soprattutto i ribelli, facendogli pensare
di avere una possibilità di uscire dalla vita orribile che stavano facendo.
In realtà era tutto finto, era un’illusione costruita per tenere a bada soprattutto i ribelli che stavano cominciando a
dare segni di insofferenza e a creare problemi. Doveva essere tutto fermato sul nascere, non si poteva lasciare
libero sfogo ad un’altra ribellione, bisognava agire subliminalmente, tenere i ragazzi calmi facendogli vedere che
in realtà la gang dava possibilità a chiunque. Quella cosa bastava per tenere a freno i ribelli, non importava se poi
non si veniva prelevati continuando a condurre la solita squallida vita dedicata a servire i membri
dell’organizzazione, l’importante era sapere che una via veloce era possibile, che da un giorno all’altro la fortuna
sarebbe potuta girare dalla propria parte regalando le chiavi della felicità.
Tutto un sogno, quei ragazzi credevano ad una storiella. Stavano inseguendo qualcosa che non esisteva. Fino a
quel momento anche Sharkey lo stava facendo, ma cominciava a vedere le cose sempre di più per come erano
davvero. Stava lentamente comprendendo ciò che gli aveva insegnato Barud, guardare le cose in profondità, oltre
la superficie. Erano completamente differenti.
Sharkey avrebbe voluto mettere al corrente Sahid di quello a cui aveva assistito, ma poi ripensò alla discussione
che aveva avuto con lui, gli aveva detto che il progetto era ormai fatto, non si poteva più cambiare. Decise quindi
di non dire niente, di fare le cose per conto suo, da solo. Gli ritornò in testa l’immagine di Julie, quella ragazza
l’aveva colpito, al primo impatto era rimasto ammaliato, gli piaceva un sacco, gli sarebbe piaciuto rivederla prima
del giorno dei prelievi, lei ed Ashley sembravano più sveglie, a loro avrebbe raccontato tutto quanto.
Non aveva la più pallida idea di come riuscire a raggiungerle, né tantomeno di come farle venire al ristorante, non
poteva uscire da quella cucina, lo avrebbero scoperto immediatamente. Sperare che ritornassero era una
possibilità che Sharkey non prendeva nemmeno in considerazione, non sarebbero tornate là, ormai le mosse
erano decise, non c’era più nulla di cui discutere.
Si incamminò verso la cella frigo per riprendere il lavoro, quando vide appoggiato su uno dei piani di marmo
accanto ai fornelli un grembiule. Era quello di Sahid, pensò che all’interno di qualche tasca ci sarebbe stato il suo
cellulare e di conseguenza anche il numero di telefono di Ashley. Si guardò intorno per essere sicuro che nessuno
lo vedesse e con un movimento fulmineo si impadronì dell’indumento, frugò nervosamente nelle tasche ma non
trovò niente. Poi invece eccolo, il cellulare, scorse rapidamente la rubrica dei numeri con i relativi nomi e lo
trovò.
Bingo!
Lo trascrisse su un foglietto e rimise il telefono nel posto in cui l’aveva trovato. Il problema a quel punto era
riuscire a chiamare, lui non aveva cellulari, ma si trovava in un ristorante, ci doveva essere per forza un telefono
da qualche parte. Gironzolò per i corridoi facendo finta di niente anche se i vari ragazzi lo guardavano in maniera
strana e sospettosa, stava rischiando davvero tanto, lo sapeva, ma doveva farlo.
Finalmente lo trovò, era il telefono del ristorante, pensò bene di non chiamare, sarebbe stato troppo rischioso,
allora compose un messaggio rapido e conciso: ‘Vieni al Plonge 101.’
Non poteva scrivere il suo nome, nemmeno quello delle due ragazze, doveva essere sicuro di non essere
scoperto. Lo inviò al numero di Ashley ed ebbe la cura di cancellare il messaggio inviato dal telefono, eliminando
così le tracce.
Doveva sperare di non venire scoperto, anche se era insensato preoccuparsi, la mossa l’aveva fatta, non potevano
più esserci ripensamenti.
- PRELIEVI CAPITOLO 9
“Ashley ti è arrivato un messaggio credo.”
Julie avvisò la sua amica che stava preparando da mangiare.
Ashley interruppe di cucinare per andare a controllare chi la stesse cercando a quell’ora.
“Chi diavolo è?”
Mentre scorreva lo sguardo sullo schermo del cellulare la sua espressione divenne preoccupata.
“Che succede?”
Chiese Julie che si accorse del cambiamento di umore da parte dell’amica.
“Ci sono problemi?”
“Non lo so, c’è scritto di andare al ‘Plonge 101’.”
“Cosa? E chi è? Sahid?”
“No, non è lui, mi avrebbe scritto con il suo cellulare come al solito. Questo deve essere il numero del ristorante.
Ma non capisco.”
“Dici che ci dovremmo andare?”
“Sì, penso di sì.”
“E se si tratta di una trappola?”
“Non lo posso sapere se non ci vado.”
“Va bene, vengo con te.”
Le due ragazze uscirono dal palazzo dirette al ristorante, erano dubbiose, avevano paura fosse una trappola, che
qualcuno avesse scoperto il cellulare di Sahid e stesse cercando di capire chi fossero quelle persone con cui si
teneva in contatto. In effetti il cellulare di Sahid era stato davvero scoperto ma fortunatamente per loro non dalla
persona sbagliata.
Raggiunsero rapidamente il ‘Plonge 101’ e aspettarono fuori dalla porta sul retro come d’abitudine. Erano
nervose, non sapevano chi avrebbe aperto quella porta da un momento all’altro. Finché cigolando si aprì, le
ragazze rimasero col fiato sospeso, pronte a tirare un sospiro di sollievo se avessero visto una faccia amica
oppure in caso contrario a darsela a gambe.
Poi sbucò il viso sorridente di Sharkey.
“Ciao ragazze, per fortuna siete venute.”
Ashley era sorpresa, non si aspettava fosse lui per nulla al mondo, anche Julie era stupita, ma in fondo contenta,
voleva rivedere Sharkey e ce l’aveva fatta.
“Scusate se vi ho chiamate in modo così strano è che sono venuto a conoscenza di alcuni fatti, dovevo rendervi
partecipi a tutti i costi.”
“Sharkey ma sei matto? Potresti farti scoprire.”
“Non succederà. Però dobbiamo fare in fretta. Sono informazioni che potrebbero far saltare tutto il vostro
piano.”
“Forza, sputa il rospo.”
Sharkey raccontò tutto il discorso che aveva sentito poco prima, Ashley e Julie restarono in ascolto in assoluto
silenzio lasciando che il ragazzo spiegasse in maniera lineare e rapida.
“…insomma questo è il quanto.”
“Quindi vuoi dire che probabilmente nessuno di noi verrà prelevato dopodomani?”
“Credo che andrà a finire così. Da quello che ho capito i nomi sono già decisi, e noi non siamo per niente in
linea con le regole della gang. Di conseguenza siamo fuori.”
“Questa proprio non ci voleva. Sahid che cosa ha detto?”
“Beh veramente a Sahid non ho parlato di nulla, mi ha detto di starne fuori, io lo faccio, rispetto il vostro
progetto. Però voi due siete diverse, volevo dire queste cose anche a voi, mi sembrava giusto.”
“Sì infatti, noi lo apprezziamo Sharkey. Ormai però è troppo tardi per cambiare il piano, è già deciso in ogni sua
parte. Dobbiamo sperare che le cose vadano per il verso giusto. Altrimenti avremo fallito.”
Poi Julie sorridente prese la parola per la prima volta per sciogliere la tensione.
“Finiremo a fare le cuoche qui al ‘Plonge 101’ se andrà male.”
Sharkey rise.
“Perché sapete cucinare?”
“Ashley è più brava, ma sto imparando, diciamo che me la cavo abbastanza bene.”
“Vorrà dire che ti consiglierò al mio supervisore.”
Ci fu una risata nervosa dei tre. Decisero che era tempo di salutarsi, sperando che il giorno dei prelievi tutto
sarebbe andato per il verso giusto.
“Ok è meglio andare, domani è l’ultimo giorno.”
“Vedrai che passerà in un lampo, un battito di ciglia e sarà già il grande momento.”
“Ci vediamo fra un giorno.”
“Buona fortuna.”
Ed infatti così fu, il giorno dei prelievi arrivò.
La città era in tensione, ogni ragazzo e ragazza girovagava nervosamente per le strade fin dalle prime ore del
mattino, cosa alquanto inusuale.
Attendevano tutti quanti le tre del pomeriggio, ora in cui sarebbero iniziati i prelievi.
La piazza era brulicante di giovani ribelli che correvano affannosamente a destra e a sinistra cercando di montare
il palco il più velocemente possibile. All’arrivo dei membri rappresentativi della gang tutto doveva essere al suo
posto.
L’aria era pesante, nonostante l’evento fosse una possibilità per molti di cambiare finalmente vita, di uscire dalla
gabbia, il clima era molto teso.
Tutti aspiravano ad entrare nell’organizzazione, alcuni pregavano, la maggior parte semplicemente si scolava
qualche bottiglia di vino per sciogliere la tensione.
Sharkey, Sahid e gli altri cuochi del ‘Plonge 101’ erano fuori, quel giorno non si lavorava, la città era ferma.
Sharkey osservava Matthiew, avrebbe dovuto essere tranquillo, il posto per lui era assicurato, ma non era così, le
sue ginocchia tremavano visibilmente mentre camminava, il suo viso era più pallido del solito e si mordicchiava
nervosamente il labbro inferiore.
Probabilmente non era riuscito a portare a termine la sua missione, non era stato in grado di reperire
l’informazione che il suo amico della gang richiedeva, non era una buona notizia per lui. Presumibilmente
sarebbe stato ucciso. Non potevano rischiare di lasciare un ribelle che conosceva informazioni così riservate
ancora in giro indisturbato. Conoscendo la mentalità estremista dell’organizzazione avrebbero eliminato il
problema sul nascere. Ed il problema in questione era proprio Matthiew.
In quel caso teoricamente ci sarebbe stato un posto vacante nei prelievi, ma come aveva detto quel ragazzo
misterioso nella stanza c’erano tanti ribelli in lizza per essere prelevati, bastava solo scegliere.
Sicuramente dietro a Matthiew c’era una fila di ribelli che avevano fatto dei lavori per la gang e che attendevano
solamente la ricompensa.
I cuochi arrivarono nella grande piazza che ospitava l’evento.
Una folla incredibile era già presente sul posto e molte altre persone dovevano ancora arrivare.
Sharkey e Sahid si guardavano intorno cercando entrambi di individuare Ashley e Julie, forse non erano ancora
arrivate.
“Ehi Sharkey!”
Il ragazzo si voltò, aveva sentito il suo nome in lontananza.
Eccole là, Julie lo stava chiamando, accanto a lei c’era Ashley. Stavano parlando animatamente con un’altra
ragazza.
Sharkey richiamò l’attenzione di Sahid mostrandogli le loro amiche che si avvicinavano.
“Finalmente vi abbiamo trovati, è un’ora che siamo qui, ma con tutta questa gente è impossibile.”
Esordì Ashley che sembrava perfettamente tranquilla nonostante si apprestasse a vivere uno dei momenti cruciali
della sua vita.
L’altra ragazza che era con loro due era Kristina, l’amica di Julie, si erano ritrovate ed avevano subito fatto pace.
“Vi presento Kristina, è la mia ex coinquilina, lui è Sharkey e lui è Sahid.”
I due ragazzi si presentarono, poi Sahid prese la parola.
“Quindi fra poco è il grande momento? Speriamo che vada tutto come previsto.”
Ashley guardò Sharkey con espressione dubbiosa.
“Già speriamo.”
Poi Julie cercò di risollevare il morale.
“Dai, potrebbero essere gli ultimi attimi in cui siamo tutti insieme, stiamo allegri, ce ne sarà di tempo per essere
seri.”
“Già, Julie ha ragione.”
Disse Sharkey.
“Dobbiamo stare tranquilli, aspettiamo il verdetto e basta, preoccuparci per una cosa che ancora non sappiamo è
una stupidaggine.”
I cinque ragazzi si raccontarono alcune vicende curiose della propria vita, passò in quel modo l’ultima ora, senza
che nemmeno se ne accorgessero la piazza si era riempita, c’erano persone ovunque. Loro avevano una
posizione ottimale, non molto distanti dal palco e abbastanza centrali.
Il forte brusio delle voci di tutti i ragazzi presenti all’evento cessò improvvisamente quando una voce possente
uscì dalle grosse casse sistemate lungo tutto il perimetro della piazza.
“Fate silenzio e date il benvenuto ai membri della gang.”
Pochi applaudirono, ci furono molti fischi.
Fecero il loro ingresso sul palco sette individui tutti vestiti di nero. Avevano un’espressione seria, quasi rabbiosa,
si accomodarono alle rispettive postazioni in silenzio fissando la folla impassibili.
Sharkey li osservò da lontano uno ad uno, quando arrivò al terzo ebbe un sussulto. Aveva già visto quel ragazzo.
Immediatamente si ricordò chi era.
Dr.Rakoo.
Il tizio che aveva il compito di smistare i ribelli quando arrivavano in città. Se lo ricordava bene, erano passati
solamente pochi giorni, rimase a fissarlo dritto in faccia.
Poi i loro due sguardi si incrociarono. Dr.Rakoo fece una strana smorfia simile ad un ghigno. Guardò Sharkey
dritto negli occhi per qualche secondo poi continuò la scansione della folla riportando la faccia ad un’espressione
neutra.
Il silenzio più assoluto regnava nella piazza, qualcuno osava sussurrare qualcosa ma si bloccava subito. Tutti
aspettavano che i membri della gang dicessero qualcosa. Ma non lo fecero.
Le casse ricominciarono a diffondere la voce del presentatore che ruppe finalmente il ghiaccio.
“Ora ci saranno i prelievi. Le persone che verranno chiamate dovranno dirigersi verso il retro del palco.”
I sette individui non facevano assolutamente nulla, restavano fermi seduti sulle loro poltrone a guardare i ragazzi
senza dire alcuna parola.
Il presentatore iniziò a spiegare le regole dell’evento.
“Ci sono sette membri dell’organizzazione che hanno scelto una persona a testa secondo i loro parametri
personali. Loro conoscono il vostro carattere e le vostre abitudini. Sanno come vi comportate e come pensate.
Quindi le loro scelte sono al cento per cento in linea con le regole della gang.”
Le scelte erano un fatto personale, ognuno aveva dato un nome, il quale entrava nella lista dei prelevati.
“Cominciamo con il primo nome.”
L’aria era pesantissima, tutti stavano in silenzio in attesa del primo nome annunciato.
“Maggie Harmon.”
Ci fu un grosso applauso e una ragazza venne inquadrata sul gigantesco schermo che stava sopra le teste dei sette
individui della gang.
La prima prelevata era una ragazzina, doveva avere più o meno quindici anni, corti capelli neri, carnagione scura,
occhi verdi. Aveva un’aria molto preoccupata, non sembrava affatto contenta. Si fece largo fra la folla per
raggiungere il retro del palco. Lo sguardo fisso a terra, la testa bassa. C’era qualcosa di strano in quella ragazza,
passò vicino a Sharkey che la fissava. Non riuscì a guardarla negli occhi.
“Ma passiamo subito al secondo nome: Luke Butch.”
Inquadrarono immediatamente il prelevato.
Si trattava di un ragazzino, anch’esso molto giovane, forse più di Maggie. Portava lunghi capelli rossastri, la pelle
bianchissima ed il viso ricoperto di lentiggini. Lui a differenza della ragazza era visibilmente contento, mostrava
un largo sorriso e sgomitava fra la ressa avviandosi anch’egli sul retro.
I primi due ragazzi erano stati annunciati, era il momento del terzo, era la volta della selezione fatta da Dr.Rakoo.
Sharkey incrociò le dita, la sua unica speranza, anche se infinitamente piccola era riposta in quello strano ragazzo.
“Il terzo nome è sotto indicazione del fidato Dr.Rakoo.”
Quando fu nominato scrosciò un caloroso applauso, era molto amato dai giovani della città.
Non c’era possibilità per Sharkey di essere stato scelto fra tutta quella gente che conosceva Dr.Rakoo da molto
tempo, lui era nella città solamente da pochi giorni, non aveva avuto abbastanza tempo. Ma nulla era ancora
detto.
“Il terzo nome quindi è…”
Sharkey chiuse gli occhi e trattenne il respiro sperando con tutto sè stesso di sentire il suo nome uscire dalle
grandi casse.
“…Alexander Shayved.”
Delusione.
Non era lui. Guardò il grande schermo per vedere chi fosse il terzo prelevato. Era un ragazzone alto e
muscoloso, la testa completamente rasata e una folta barba bionda. Sorrideva soddisfatto mentre avanzava fiero
con la testa alta ed il petto in fuori verso la meta.
Sharkey abbassò lo sguardo, esattamente sotto lo schermo c’era Dr.Rakoo, lo vide in faccia aveva una smorfia
strana, quasi interrogativa. C’era qualcosa di strano in lui, ma la concentrazione del ragazzo era su sè stesso,
aveva perso con tutta probabilità la sua unica occasione di poter riuscire ad essere prelevato.
“Che cos’hai Sharkey?”
Chiese Julie vedendo il suo amico amareggiato.
Lui non rispose, guardava a terra. Lei gli strinse la mano, lo guardò e sussurrandogli all’orecchio lo rassicurò.
“Stai tranquillo, ce la faremo.”
Quelle parole sembravano scontate, ma andarono in profondità, colpirono il ragazzo fino alla bocca dello
stomaco. Sentiva il calore della mano di Julie che gli infondeva coraggio, era una percezione nuova, un senso di
unità, di appoggio.
Non si sentiva solo contro il mondo. C’era qualcuno che stava dalla sua parte, che lottava con lui. Era una
sensazione magnifica.
Poi la voce del presentatore squarciò nuovamente il silenzio.
“Scusate ragazzi, c’è stata un po’ di confusione nell’annuncio precedente. Il nome di Alexander Shayved è la
scelta di Mr.Drivered, il quarto membro della gang, non di Dr.Rakoo. Ma non cambia nulla, congratulazioni ad
Alexander per essere stato prelevato!”
Sharkey si illuminò, non tutto era perduto, secondo l’annunciatore non cambiava nulla, ma per lui
quell’informazione era di vitale importanza, la speranza si era riaccesa. Aveva ancora una possibilità.
“Ora quindi annunceremo colui che stato nominato da Dr.Rakoo!”
Le ginocchia di Sharkey tremavano e i suoi muscoli addominali erano stretti in una morsa che gli permetteva a
malapena di respirare, attendeva con impazienza il verdetto, aveva una sensazione positiva, sentiva che sarebbe
stato lui a venire prelevato.
“Dr.Rakoo ha scelto…”
Sharkey stringeva sempre più forte la mano di Julie, era sicuro di sentire il proprio nome uscire dalle casse.
“…incredibile! La scheda dice che si tratta di un ribelle! Una recluta fresca fresca, devi aver fatto colpo ragazzo!
Fate un applauso per Sharkey Avens!”
Era vero. Dalle grandi casse che circondavano la piazza era uscito il nome di Sharkey. Ancora non ci credeva,
guardò da lontano Dr.Rakoo, lo vide sorridente anche se un po’ sfocato a causa delle lacrime che gli sgorgavano
dagli occhi.
Julie ed Ashley abbracciarono il ragazzo calorosamente ma furono costrette a lasciarlo andare velocemente verso
il suo destino.
Sharkey raggiunse gli altri prelevati nel retro del palco.
Era ancora confuso, non realizzava il fatto che ciò che voleva che succedesse era successo davvero.
Vide in lontananza Maggie, Luke ed Alexander, si avvicinò per presentarsi, non li conosceva.
“Piacere sono Sharkey.”
Disse allungando la mano, ma non ricevette risposta, non lo guardarono nemmeno in faccia.
Poi capì, loro erano della città, lui era un ribelle.
Non cercò di forzare i rapporti, rimase zitto e si allontanò restando con l’orecchio teso ad ascoltare l’altoparlante
che annunciava a ripetizione gli altri prelevati. Sperava di sentire il nome dei suoi amici, ma non fu così.
Arrivarono a sette scelte, era finita. Sharkey era l’unico ribelle. Capì che sarebbe stata dura, doveva superare
anche l’astio e la freddezza degli altri ragazzi.
Non solo perché Sharkey era un ribelle, un altro motivo era che aveva trascorso solo alcuni giorni nella città e
subito entrava a far parte della gang, il che era davvero fastidioso per gli altri che avevano dovuto aspettare molto
tempo prima di poter avere un’occasione del genere.
Ma soprattutto Sharkey era stato scelto da Dr.Rakoo, cioè dal ragazzo il cui parere personale contava di più, lui
era l’addetto alle selezioni, lui parlava con i ribelli e decideva il loro destino. Il suo giudizio aveva un valore
enorme.
Tutti quei motivi fecero in modo che Sharkey rimase totalmente escluso dal gruppo degli altri sei prelevati, non
diede molto peso alla cosa, in fondo lo sapeva che la situazione sarebbe andata in quel modo.
Ad un certo punto vide delle figure che si avvicinavano in lontananza, erano i sette membri delle gang che
avevano scelto i nomi, a chiudere la fila c’era Dr.Rakoo che si diresse immediatamente verso di lui dopo aver
fatto rapidamente i complimenti ad alta voce agli altri ragazzi.
“Ciao Sharkey.”
Sharkey non rispose subito, non aveva parole per esprimere ciò che sentiva, si limitò a pronunciarne una sola.
“Grazie.”
Dr.Rakoo si mise a ridere.
“Non devi ringraziarmi, io ho fatto solo una scelta basata su vari parametri, il risultato eri tu, tutto qua.”
“Il fatto è che se tu non mi avessi scelto, io domani me ne sarei tornato a fare la stessa vita da schiavo di prima.
Quindi te ne sono grato.”
“Penso che tu sia una persona in gamba Sharkey, non credo tanto a quelle storie di ‘ribelle’, ‘non-ribelle’, ‘è stato
troppo poco tempo qui’, e cose del genere. Qualcuno riesce ad adattarsi in un giorno mentre qualcun altro ci sta
dei mesi, magari anni per raggiungere lo stesso risultato.”
“Non lo so, è questione di geni forse.”
“E’ questione di atteggiamento ragazzo. Di motivazione, di voglia di fare. E tu sei sulla linea giusta Sharkey, devi
solo essere indirizzato. Tutto qui.”
Sharkey sapeva già quale sarebbe stato l’indirizzamento una volta entrato nella gang, ma sapeva anche che il suo
obiettivo era ben solido nella sua testa, niente l’avrebbe distratto.
“Però ora ragazzo ho bisogno della tua collaborazione, adesso dobbiamo prelevare un’altra persona, ma io non
ho veramente idea di chi scegliere.”
Sharkey sapeva che Dr.Rakoo stava per chiedergli di consigliargli una persona. Da una parte sperava che lo
facesse ma dall’altra aveva paura. Troppa responsabilità.
“Consigliami. Dammi un nome.”
Il ragazzo rimase immobilizzato per qualche secondo, la testa vuota, incapace di fare un ragionamento logico.
“Non saprei.”
“Dai, hai sicuramente conosciuto qualcuno, lo so che tu riconosci i ragazzi come te, ne avrai visto qualcuno. Mi
serve solo un nome. Il tuo supervisore al ‘Plonge 101’?”
Stava parlando di Sahid. Il cervello di Sharkey riprese a funzionare, gli ritornarono in mente i suoi amici. Ma chi
doveva scegliere? Sahid, Julie oppure Ashley. Avrebbe voluto scegliere tutti, ma non poteva.
“Forza, un nome solo. D’istinto.”
Sharkey lo fece, scelse d’impulso.
“Julie Winder.”
Dr.Rakoo sorrise.
“Bene ragazzo. Mi fido di te.”
Poi si allontanò per ritornare sul palco.
Sharkey aveva scelto Julie. Era stata una scelta strana, non ragionata con la testa. Lui non sapeva perché avesse
detto il nome di Julie però la scelta era fatta e dentro di sè sentiva che era quella giusta anche se con tutta
probabilità se ci avesse ragionato avrebbe detto un altro nome. Ma non era importante.
Sentì degli applausi forti scrosciare dalla piazza, sette nomi furono annunciati in rapida sequenza, poi, dopo
qualche secondo sentì una pressione alle spalle, due braccia che lo stringevano al collo e un corpo caldo che si
appoggiava alla sua schiena.
“Ce l’ho fatta Sharkey!”
Era Julie, piangeva di felicità, non riusciva a smettere. Restava avvinghiata al ragazzo e lo stringeva mentre lui
rimaneva in silenzio ancora incredulo.
Julie lasciò la presa e Sharkey si voltò, si guardarono dritti negli occhi, entrambi ce li avevano lucidi e brillanti, si
abbracciarono calorosamente.
“Ce l’abbiamo fatta.”
Sussurrò Julie all’orecchio del ragazzo.
Sharkey sorrise ma di nuovo non disse nulla.
“Ragazza, devi ringraziare il tuo amico se sei qui.”
Era Dr.Rakoo, si rivolgeva a Julie con tono rilassato.
Lei si voltò.
“Perché?”
“E’ lui che mi ha consigliato il tuo nome, non so come hai fatto a fare colpo su di lui ma questo ribelle ti ha
scelta.”
Julie sorrise.
“Non lo so, forse ho una faccia simpatica.”
“Già. Fra poco arriverà qualcuno a darvi delle indicazioni. Buona fortuna ragazzi.”
Dr.Rakoo salutò così le sue due scelte e se ne andò assieme agli altri sei membri.
“Perché hai scelto me?”
Chiese Julie.
“Avresti potuto scegliere Ashley, è molto più in gamba di me, avrebbe potuto controllare l’avanzamento del
progetto in prima persona.”
Sharkey fissava la ragazza dritta negli occhi.
“Sì, può darsi che Ashley fosse la scelta più logica. Ma io ho voluto fare la scelta giusta.”
I due ragazzi non dissero nient’altro. Restarono incantati l’uno perso dentro gli occhi dell’altra.
Non potevano però dare tanto nell’occhio, a dire la verità loro due non avrebbero nemmeno potuto conoscersi
dato che Sharkey era un ribelle mentre Julie invece no. Dovevano fingere di essersi solamente visti di sfuggita
prima, ci voleva molta cautela.
Poi una grossa voce tuonante esordì ammutolendo tutti i presenti che rimasero in ascolto.
“Buongiorno a tutti. Io sono il vostro addestratore nel periodo che precederà il vostro eventuale ingresso
nell’organizzazione. Mi chiamo Furst Jujo. Chiamatemi F.J. Ho diciannove anni, faccio parte della baby gang da
ormai tredici anni, ho cominciato presto, erano gli inizi del movimento. Quella volta non eravamo in tanti come
ora e mai avremmo immaginato che l’effetto sarebbe stato così gigantesco. Abbiamo conquistato il mondo e ora
voi siete stati scelti per essere parte integrante di questo progetto. Non abbiamo bisogno di ragazzi paurosi o
svogliati, quindi chi pensa di non essere in grado di far parte di questo viaggio si faccia avanti subito e se ne vada.
Non possiamo permetterci di perdere tempo inutilmente, il tempo è importantissimo, è fondamentale usarlo al
meglio.”
Tutti erano zitti e fermi.
Poi un ragazzo ruppe il silenzio.
“Mi scusi.”
Si trattava di Lujon Mann, quindici anni, si vedeva lontano un miglio il terrore che aveva negli occhi, il viso
bianco come il latte e la voce tremolante.
F.J. diresse lo sguardo verso di lui fulminandolo.
“Che cosa dovrei scusare Lujon?”
La voce dell’addestratore perforava il cervello, era talmente dura e tuonante che riusciva ad entrare
prepotentemente nella testa, in profondità.
Il ragazzino cercò di continuare il suo discorso anche se davanti a lui F.J. era visibilmente innervosito dal suo
intervento.
“Non lo so se sono la persona giusta per questa cosa.”
Tutti si voltarono verso di lui increduli, poi gli sguardi si spostarono su F.J. in attesa di vedere come avrebbe
reagito.
Tirò un grosso sospiro, poi cominciò ad avanzare lentamente con piccoli passi avvicinandosi a Lujon fino ad
arrivare a qualche centimetro dalla sua faccia.
“Perché sei venuto qui oggi?”
Chiese con tono basso ma deciso.
Il ragazzino non sapeva cosa rispondere, in ogni caso ormai il danno era fatto, non sarebbe tornato indietro.
“P-per essere pre-pre-prelevato.”
Balbettava nervosamente, grosse gocce di sudore gli scendevano lungo la fronte.
F.J. sorrise e continuò.
“Per essere prelevato. E sei stato prelevato?”
Lujon strizzò gli occhi.
A quel punto l’addestratore alzò la voce, un tono possente, agghiacciante.
“Apri quegli occhi maledizione! Anche se cerchi di non vederle le cose continuano ad esistere! Rispondi
dannazione, sei stato prelevato oggi oppure no?!”
Gli occhi di Lujon cominciarono a diventare lucidi, rispose con un filo di voce.
“Sì.”
“Che diavolo di risposta è questa?! Sono a mezzo centimetro da te e non riesco a sentirti! Non pensare di
impietosirmi solamente perché piangi, io non ci casco. Non siamo più nel mondo di prima in cui bastava
piangere e tutti venivano in tuo soccorso! La pacchia è finita ragazzi! Ora sopravvivono solo i più forti, è una
giungla! Allora mi vuoi rispondere come si deve o te lo devo far capire con la forza come si fa?”
Lujon urlò a squarciagola con le lacrime che gli scivolavano veloci giù per le guance.
“Sì! Sono stato prelevato!”
“Oh, bene. Così va bene.”
F.J. si allontanò di qualche passo.
Intorno tutti i prelevati assistevano muti alla scena.
“Ora ragioniamo. E’ importante ragionare sulle cose, le azioni sono importanti, le parole sono importanti. Tu hai
detto che sei venuto qui in piazza oggi con lo scopo di essere prelevato. E questa è una buona cosa, un obiettivo
ambizioso. Fino a qui ci siamo. Dopo ore di tensione l’altoparlante ha annunciato il tuo nome. Ottimo. Hai
esultato e sei venuto qui dietro con gli altri. Scopo raggiunto. Poi arriva il sottoscritto e fa una semplice
introduzione, una semplice frase. A quel punto succede qualcosa che ti fa vacillare. Che cos’è che ti fa vacillare
ragazzo?”
Lujon non rispose, abbassò lo sguardo a terra.
F.J. ripeté la domanda.
“Che cos’è che ti fa vacillare?”
Ancora nessuna risposta.
L’addestratore portò lentamente la mano verso il suo fianco infilandola in tasca ed estraendo con scioltezza una
Smith & Wesson, la appoggiò sotto il mento di Lujon e lo invitò ad alzare la testa.
Il ragazzo lo fece senza opporre resistenza, era terrorizzato, sudava e tremava nervosamente.
Poi il tono di F.J. ritornò duro e tuonante.
“Quando parli con qualcuno lo devi guardare negli occhi maledizione! Che diavolo hai?!”
“N-n-niente.”
“Ti sembra un comportamento normale? Stai cominciando a farmi innervosire, non mi piace perdere tempo e tu
me lo stai facendo perdere.”
Caricò la pistola e la puntò al centro della fronte del ragazzino premendogliela contro.
“Rispondi! Cosa ti fa vacillare?!”
Lujon deglutì a fatica mentre la canna della pistola spingeva sempre di più.
“Rispondimi cazzo! Altrimenti ti pianto un colpo nel cervello!”
Il ragazzino non sapeva cosa fare, aveva la bocca completamente asciutta, non riusciva a parlare.
F.J. cominciò a contare.
“Uno!”
Il metallo freddo dell’arma faceva sempre più pressione.
“Due!”
Lujon era paralizzato.
“Dannazione rispondi! Tre!”
“Ho paura!”
L’urlo del ragazzino fermò il tempo, tutti rimasero immobili. Anche F.J. restò fermo per qualche secondo senza
dire nulla, poi indietreggiò abbassando con calma la Smith & Wesson e riponendola in tasca.
In faccia aveva un accenno di sorriso.
Lujon tremava ancora, respirava affannosamente.
“Respira ragazzo. Sei stato grande.”
Disse F.J. con calma e tranquillità, come se quello che era appena successo fosse normale, poi diede un’occhiata a
tutti i prelevati che lo fissavano con gli occhi sgranati.
“Avete visto voi? Quanto è difficile ammettere di avere paura? Voi giocate a fare i duri, ‘io sono invincibile’ vi
ripetete in testa. Ma in realtà non lo siete per niente.”
Nessuno aveva il coraggio di dire una parola, memori della scenata fatta da F.J. dopo l’intervento di Lujon.
Lasciarono che fosse l’addestratore a parlare.
“Nella vita è importante la realtà, il contenuto delle cose. L’immagine esteriore deve coincidere con il contenuto,
altrimenti siete destinati a crollare. Non potete fare i duri, fingere di non aver paura di niente perché arriverà il
momento in cui sarete costretti a dimostrare con i fatti ciò di cui vi fate portavoce. Questa è la fase che precede
quel momento. Dopo questo breve periodo di introduzione generale alle regole dell’organizzazione ognuno di
voi sarà costretto a portare a termine dei compiti, non sarà facile, dovrete lottare contro la vostra testa, contro le
cose che vi hanno insegnato finora. Dovrete essere cinici, non farvi impietosire da nulla, i sentimenti sono per i
deboli, le emozioni sono una trappola ricordatevelo. L’amore uccide.”
Quei concetti erano forti, nessuno dei presenti era abituato a sentire discorsi talmente diretti ed espliciti come
quelli, però le parole attecchivano in profondità, risuonavano dentro di loro come un diapason.
F.J. continuò imperterrito il suo monologo.
“Non avete visto come andava il mondo, tutti con gli occhi chiusi, a fare finta che tutto andava bene quando
invece di quel bene tanto acclamato c’era veramente poco. Tutti intrappolati in quel mondo immaginario,
fantasioso, alla ricerca dell’amore incondizionato, della felicità, dell’amicizia. Aprite gli occhi ragazzi, sono tutte
favole. Non esistono queste cose nella realtà, il mondo è cattivo, le persone intorno a voi vi odiano e farebbero
di tutto per prendere il vostro posto. Più vi sono vicini e più sono pericolosi per voi. Non stringete mai legami
forti, relazioni profonde, uccidono. Dovete stare distaccati, freddi. L’amore intontisce, toglie lucidità, distorce la
realtà. Potrebbero farvi fare qualunque cosa quando siete innamorati, voi non ve ne rendereste nemmeno conto.
Quindi questa è una legge all’interno del nostro gruppo. Zero amore. E zero amicizia. I sentimenti lasciateli ai
vecchi, guardate dove li hanno condotti tutti i loro sentimentalismi ridicoli, a vivere le ultime ore della loro vita
marcendo in squallidi ghetti mentre noi dominiamo il mondo. Questi sono risultati oggettivi ragazzi, non sono le
storielle che vi raccontavano i vostri genitori. Questa è realtà, ce l’avete davanti agli occhi non dovete fare nessun
atto di fede qui.”
La questione dell’amore era il nocciolo del discorso, il fatto di mostrare molti dei sentimenti ritenuti positivi
veniva vista come una trappola, l’altruismo, la gentilezza, l’amicizia, il perdono, la bontà, erano tutti rischi. Non
era una buona idea scoprire così tanto il fianco secondo la mentalità della gang. L’effetto era, secondo loro, di
venire accoltellati, di essere colpiti nel proprio punto debole.
Morale: le buone azioni portavano alla morte.
“Non dovete mai pensare che qualcuno stia cercando di aiutarvi, lo fa solo per interesse, vuole qualcosa da voi.
Nessuno vi ama, nessuno vuole il vostro bene, anzi molto probabilmente stanno cercando di togliervelo
usandovi per il loro di bene.”
Sharkey ascoltava attentamente le parole di F.J., aveva già sentito dei discorsi simili durante l’allenamento con
Barud, le parole erano quasi le stesse, ma il significato, quello era diverso, la sensazione che davano quelle frasi
era molto differente. Non comprendeva ancora bene cosa ci fosse di tanto diverso, apparentemente sia F.J. che
Barud stavano parlando della stessa cosa allo stesso modo, o comunque in maniera molto simile, eppure qualcosa
di differente c’era. Continuò a seguire con molta concentrazione il discorso cercando di essere vigile e lucido, di
starne fuori, come gli aveva insegnato il suo mentore nel ghetto.
Il tono di voce usato da F.J. rendeva complicata l’operazione di restare estranei al discorso senza farsi assorbire.
Urlava molto e rimarcava in modo deciso certe precise parole per rafforzarne il significato, faceva poche pause,
non lasciava il tempo di metabolizzare le informazioni, sputava concetti a valanga, senza il tempo di ragionarci
sopra.
“Ritorniamo un momento all’esempio di prima, Lujon ha confessato di avere paura, piangeva e tremava. Voi tutti
lo avete guardato con aria comprensiva ed accomodante, se aveste potuto correre da lui e dargli un abbraccio
consolatorio lo avreste fatto. Perché?”
Nessuno rispose. F.J. ripeté la domanda alzando il tono.
“Perché? Ho fatto una domanda!”
Ancora niente.
Si avvicinò ad Alexander, lo prese per il colletto della maglia guardandolo negli occhi e per l’ennesima volta fece
la domanda.
“Perché?!”
Il ragazzo rispose timidamente.
“Non lo so.”
F.J. gli tolse le mani di dosso, sorrise.
“Non lo so. Questa è la risposta magica, basta non sapere le cose ed il problema è risolto, puff! Sparito. Vero
ragazzi?”
Silenzio.
“Non sapere le cose non è una scusa. Ve la dò io la risposta a questa domanda. Perché tutti eravate dalla parte di
Lujon! Perché siete come lui, avete paura, e volete giustificare questa cosa, volete giustificare il fatto che voi siete
deboli cercando di tenere anche gli altri nella stessa situazione. Vedere una persona che risolve un problema che
avete anche voi vi da fastidio, non lo sopportate. Vorrebbe dire che voi non state facendo niente, non siete
ingabbiati per forza, ma a voi va bene così perché uscire dalla gabbia è difficile. Ma anche se è difficile ci
dovremmo provare almeno, no? Mi sembra un pensiero normalissimo, ma perché non lo fate? Perché non ci
provate? Rispondete a questo. Ditemi perché restate immobili mentre affondate sempre di più nel fango e
guardate gli altri intorno a voi che cercano di dimenarsi per uscire ed invece di aiutarvi a vicenda tentate di tenerli
fermi con voi in modo che affondino anche loro. Aprite gli occhi. Non incolpate il vostro vicino, il mostro siete
voi. Voi siete come i vecchi, come le persone che ora sono nel ghetto, arroccate nelle loro idee, tradizioni,
credenze, convinzioni, troppo spaventati per accettare un cambiamento, troppo insicure per lasciare che
qualcuno cambi una virgola. Dunque ora guardate dentro di voi, chiedetevi perché non ci provate a fare
qualcosa, a reagire. Rispondetemi, sinceramente.”
Ci fu un attimo di silenzio, F.J. quella volta rimase calmo, freddo, impassibile, guardava negli occhi i quattordici
ragazzi che aveva davanti uno ad uno con un’occhiata furtiva ma perforante.
Poi una voce, si trattava di Maggie, la ragazza che era stata scelta per prima ai prelievi.
“Abbiamo paura di fallire.”
F.J. si illuminò, diresse immediatamente lo sguardo verso la ragazzina e ricominciò a parlare.
“Mi piace il fatto che una ragazza che non ha ancora compiuto quindici anni riesca a rispondere ad una domanda
ed invece ventenni alti e muscolosi, fieri con il petto in fuori non abbiano la capacità espressiva per farlo.
Comunque risposta esatta, la paura di fallire. E’ l’insicurezza che vi paralizza, la paura di non farcela, ma in realtà
il fallimento non è poi così importante, il vero valore alle cose e alle situazioni lo date voi quindi considerare gli
obiettivi non raggiunti una sconfitta vi demotiva, è ovvio, ma se guardate questa cosa come un’opportunità per
fare meglio quella cosa allora si trasforma immediatamente in un fatto potenziante, non dovete avere paura,
dovete essere convinti, decisi, sbagliare fa parte del percorso, tutti sbagliano, basta vedere dove siamo arrivati,
hanno sbagliato tutti quanti, e chi è venuto dopo ha preso esempio dagli errori di chi lo precedeva sbagliando
ancora di più. Noi abbiamo creato un mondo nel quale non bisogna aver paura di non farcela al primo tentativo.
L’opportunità di sbagliare, questa è la parola magica ragazzi perché commettere degli errori non è una vergogna,
ma un’occasione, quella che per tutta la nostra vita non abbiamo mai avuto. Non avevamo bisogno di una
possibilità per farcela, ma di una per non farcela. Ricordate i vostri genitori, i maestri, gli educatori, gli allenatori,
tutti volevano il meglio da voi, tutti avrebbero voluto che foste dei geni, nati sapienti, già in possesso di tutte le
informazioni, era loro il compito di passarvi quelle informazioni che pretendevano da voi, ma non lo facevano
perché nemmeno loro ne erano in possesso. Come puoi dare qualcosa che non conosci, che non hai? Negli
ultimi decenni tra le varie generazioni non si è tramandato niente, il vuoto, senza valori, senza dignità, senza
anima. Ora dobbiamo capovolgere tutto. Il rispetto, la devozione, la parola, sono le cose fondamentali, mai
mancare di rispetto a chi sta più in alto di noi, obbedire e mantenere la parola data. Gli infami hanno dominato il
mondo per troppo tempo, le persone finte, qui non ci sono trucchetti e doppi giochi, noi non ci amiamo, non
siamo amici, non siamo fratelli, stiamo inseguendo un obiettivo comune, chi sgarra viene eliminato. Chi esce
dagli schemi paga.”
Sharkey si guardò intorno con la coda dell’occhio, tutti i ragazzi erano come ipnotizzati dalle parole di F.J., lui no,
aveva ormai imparato che dietro ad una facciata c’era un altro significato, la superficie non coincideva quasi mai
con la verità. Voleva sapere qual era quell’obiettivo, quello schema dal quale chi fosse uscito avrebbe dovuto
pagare.
La gang aveva un’organizzazione colossale, ciò che si vedeva in giro in città, controllori e vari affiliati galoppini,
erano solamente una minima parte di tutti gli ingranaggi che la facevano muovere, Sharkey ne capì presto la
complessità.
“Voi siete stati scelti da dei membri importanti, parti integranti della gang, due persone a testa, quattordici nuovi
membri, tre dei quali sono ex-ribelli. Dovrete partire dal basso, se pensate di venire a conoscenza di come
funziona l’organizzazione qui, adesso, state continuando a credere alle favole, niente viene dato per niente, il
lavoro e la dedizione ripagano, portare a termine gli ordini qui ripaga, senza fare domande, siete controllati da
poteri più grandi, sopra di voi c’è un progetto, un piano creato da persone con più conoscenze di voi tutte messe
assieme, per il vostro bene è conveniente riconoscere tranquillamente la superiorità di queste persone ed
attenervi alle regole senza fare troppe domande. Noi abbiamo fiducia in chi ci sta sopra, lui sa cosa è meglio per
noi. Non stiamo parlando di dio, o religioni varie, quei concetti sono ormai superati. Qui si parla di una persona
in carne ed ossa, visibile e concreta, il grande capo comanda. Tutti noi obbediamo perché lui ha creato questo
movimento e lui solo sa quale dovrà essere la prossima mossa, perchè sta un passo avanti a tutti noi.”
Tutti quanti annuivano silenziosamente, anche Sharkey faceva lo stesso, ma le cose cominciavano nella sua testa
a farsi via via più chiare, come diceva Barud, l’organizzazione era rivoluzionaria solamente a parole, ma in realtà il
suo funzionamento era sempre lo stesso. I giovani avevano fatto fuori dal proprio mondo i vecchi, ma
continuavano a comportarsi come loro, ad emulare il loro modello di comportamento che tanto criticavano ed
odiavano. Era la cruda realtà. Nulla era cambiato, bisognava entrarci per capire, Sharkey lo comprese, doveva far
parte in modo integrante della gang per capire i meccanismi, doveva arrivare alla fonte. La difficoltà era rimanere
sempre lucido, vigile, sveglio, le tentazioni erano infinite, le offerte, le promesse. Doveva stare sulla sua strada.
“Bene. Vi ringrazio per l’ascolto, spero di non avervi turbato più del necessario, ora arriveranno alcuni furgoni, vi
caricheranno per condurvi al vostro campo base, il vostro quartier generale. Farete un paio di giorni di
addestramento intenso, infarinatura generale teorica sul vostro scopo e successivamente diventerete parte
integrante della gang. Buon lavoro ragazzi. Spero di rivedervi ancora.”
F.J. se ne andò lasciando tutti i prelevati scioccati e confusi. Tantissime informazioni erano state inserite nella
loro testa, tutte nuove e diverse dal solito, ci sarebbe voluto un bel po’ per metabolizzarle, qualcuno
probabilmente non ci sarebbe nemmeno riuscito. Sharkey si guardò al suo fianco, c’era Julie, anche lei lo guardò,
non disse nulla.
Il suo sguardo era più freddo e distaccato, si era come spenta. I suoi occhi non luccicavano più, erano opachi.
Sharkey ebbe paura di non poter più fare affidamento nemmeno su di lei, Julie era stata completamente
ipnotizzata dal discorso di F.J., non poteva rischiare di far saltare il suo piano per colpa di nessuno.
Julie poi parlò.
“Ce la faremo?”
Il ragazzo riprese la speranza, Julie non si era persa completamente, aveva ancora in testa il progetto, doveva
riportarla alla realtà.
“Non perdere mai l’obiettivo e ce la faremo.”
“Come faccio? Quel ragazzo, F.J. ha ragione. I suoi discorsi non fanno una piega.”
“Non lasciare che le parole ti incantino. A parole è tutto vero e tutto falso. Si può dire tutto e niente.”
“Già, forse hai ragione.”
Julie si tranquillizzò leggermente, anche se avrebbe dovuto cambiare atteggiamento per non finire risucchiata nel
vortice dell’organizzazione.
Sharkey invece sembrava più sicuro e deciso, riusciva ancora abbastanza bene ad estraniarsi dalla mentalità, anche
se era solamente l’inizio di un percorso che si preannunciava molto più duro di ciò che si era immaginato.
Alcuni rombi di motore cominciarono a riecheggiare in lontananza, si trattava di tre furgoni blindati, si
fermarono a pochi metri dal punto nel quale erano riuniti i prelevati, in pochi secondi dai mezzi scesero i ragazzi
della gang.
“Forza dividetevi e accomodatevi nel retro dei veicoli, velocemente.”
L’ordine era chiaro, Shrarkey e Julie si mossero insieme, vicini per non dividersi subito, si fiondarono verso il più
vicino mezzo parcheggiato e vi entrarono.
All’interno c’era un odore acido ed intenso che faceva lacrimare gli occhi, riuscivano a malapena a tenerli aperti,
erano in cinque in quello spazio stretto, tutti si lamentavano per il fatto che il bruciore agli occhi diventasse
sempre più fastidioso, non riuscivano a vedere nulla, in breve la sensazione dolorosa passò nelle vie respiratorie,
ad ogni inspirazione pareva che una lingua di fuoco attraversasse i bronchi per finire nei polmoni ed esplodere.
Era insostenibile, fortunatamente la corsa del furgone terminò e dopo qualche istante i portelloni si aprirono, i
ragazzi si lanciarono fuori senza perdere tempo, respirando profondamente aria fresca, ma come detto in
precedenza erano solo all’inizio.
“Dai, non abbiamo tutta la vita, alzatevi in piedi e venite da questa parte.”
Una voce proveniente dalle loro spalle urlava a squarciagola, era il momento di cominciare davvero l’inserimento.
I ragazzi si voltarono mentre la vista era ritornata normale, davanti a loro c’era un grande edificio, un palazzo
molto alto, l’esterno era ricoperto quasi interamente da lastre di metallo scuro fatta eccezione per poche aperture
molto piccole, di prima impressione metteva i brividi, il ragazzo continuava a gridare, era già parecchio
innervosito dalla perdita di tempo dei neo prelevati.
“Muovetevi, dirigetevi all’interno del Marjha!”
Nessuno sapeva cosa fosse quello strano nome, l’avrebbero capito di lì a breve, furono invitati in modo poco
gentile ad entrare attraverso l’ingresso del grande palazzo di ferro, l’interno si presentava molto cupo e buio, un
forte odore di olio per motori si infiltrava fastidiosamente nelle narici.
I quattordici prelevati furono condotti all’interno di una stanza dentro alla quale vi erano delle sedie disposte in
cerchio. Furono fatti sedere e successivamente il ragazzo che li aveva accompagnati se ne andò senza dire una
parola.
Non passarono che pochi minuti, durante i quali nessuno spiccicò una parola, che dalla porta entrò l’ennesimo
ragazzo, molto alto, con la testa completamente rasata ed una barba incolta nera come il petrolio.
“Ecco qua, quindi voi sareste quelli nuovi?”
Prese posto occupando l’ultima sedia disponibile del cerchio, proprio vicino a Sharkey. Ebbe una brutta
sensazione, quel ragazzo emanava qualcosa di negativo, ma avrebbe potuto anche sbagliarsi. Il membro della
gang cominciò la sua presentazione.
“Io mi chiamo Lexy. Benvenuti al fantomatico Marjha. Probabilmente nessuno di voi ha mai sentito questo
nome, forse qualcuno sì, ma di sicuro non ha la benché minima idea di che cosa sia. Marjha è il nome di questo
palazzo, è una delle sedi della gang, sapete l’organizzazione è divisa in più parti, questo è il quartier generale che
rappresenta la vostra sezione. Qui è dove si riuniscono i ‘cacciatori’.”
Alcuni ragazzi si guardarono perplessi l’uno con l’altro, di che cosa stava parlando quel ragazzo?
“Non sapete che cosa sono i cacciatori? Mi sembra lecito, è il nome che diamo a coloro che vanno a fare le
incursioni nel ghetto. Ora, ci sono due tipi di cacciatore, i ‘cacciatori di ribelli’ ed i ‘cacciatori di materiale’. I primi
assaltano i ghetti con lo scopo di scovare i ribelli che ancora non sono stati trovati e portarli qui nella città dove
saranno messi a lavorare. Il resto lo sapete molto bene, inoltre mi hanno detto che fra noi ci sono anche alcuni
ex-ribelli…”
Mentre diceva quella frase ghignando lanciò un’occhiata fulminante a Sharkey che stava al suo fianco.
“…interessante. Il secondo gruppo invece setaccia ogni centimetro quadrato del ghetto alla ricerca di oggetti
preziosi, cose di valore, ogni cosa che valga la pena possedere e che naturalmente nelle mani di quegli animali di
adulti non avrebbe nessuna utilità. Ci sono domande?”
Luke Butch alzò la mano, i ragazzi avevano meno paura con Lexy che a confronto di F.J., sembrava più
disponibile e tranquillo.
“Dimmi.”
“Quindi tutti noi finiremo nel ghetto a fare i cacciatori?”
Lexy sorrise.
“In realtà ci sarà una piccola selezione, non c’è spazio per tutti, alcuni rimarranno alla base a svolgere altri
compiti. Per esempio vedo che ci sono delle ragazze, non vorremmo mai che si mettano a combattere contro
quei rozzi scimmioni dei ribelli. Noi proteggiamo i nostri affiliati.”
Maggie alzò la mano a sua volta sentendosi chiamata in causa come ragazza.
“Dimmi ragazzina.”
“Dunque noi ragazze non andremo nel ghetto? E che ruolo avremo qui? Pensavo che entrare nella gang mi
avrebbe migliorato la vita, invece mi sembra di essere finita in un incubo.”
Lexy cambiò espressione, si fece improvvisamente serio, lo sguardo duro e severo.
“Il tuo scopo è servire la gang. Non c’è niente di più importante che essere una pedina del grande progetto, è la
cosa più potente di cui tu possa far parte. La vita di prima era una vita senza senso, qui stai contribuendo a
qualcosa di epico. Non osare mai più fare commenti del genere.”
Poi guardò tutti gli altri ragazzi.
“Lo stesso vale per ognuno di voi. Siete stati scelti. E’ un onore essere qui. Noi stiamo lavorando per uno scopo
comune. Non dimenticatelo.”
I ragazzi annuirono timidamente con la testa.
Sharkey aveva una tentazione incredibile di domandare quale fosse lo scopo per il quale stavano lavorando, ma
probabilmente sarebbe stato zittito, stava cominciando a capire che funzionava in quel modo, mai andare contro
le regole, mai fare domande troppo pretenziose di risposte, mai scavare troppo in profondità. Sotto c’era
qualcosa di grosso, di misterioso di cui nessuno, nemmeno chi lavorava all’interno dell’organizzazione era a
conoscenza. Era qualcosa che proveniva da sopra, dall’alto. Ma scervellarsi per una cosa che non sapeva era una
perdita di tempo, Sharkey se ne rendeva conto benissimo, Barud glielo aveva insegnato, quindi decise che doveva
agire, andare a fondo. Doveva stare al gioco.
Lexy era impaziente di terminare il suo discorso e di iniziare l’addestramento.
“Non perdiamo tempo, basta con i discorsetti. Prima di cominciare il vero inserimento è bene che vi faccia
vedere com’è strutturato il Marjha.”
Uscirono dalla stanza ed il ragazzo della gang mostrò ai prelevati l’edificio, c’erano degli uffici, palestre, cucine,
mensa, camere, una sorta di caserma militare.
L’ambiente in generale era molto militarizzato, quasi come se i ragazzi si dovessero preparare per una guerra,
Sharkey lo sentiva il clima, non gli piaceva, avrebbe voluto bypassare quegli step e finire direttamente ai livelli alti,
ma sapeva che era impossibile, là dentro non si poteva barare, non era concesso truccare le mosse e saltare i
passaggi. Bisognava fare la scala, gradino dopo gradino. Barud glielo aveva spiegato molto bene. Quando si è ad
un livello bisogna padroneggiarlo prima di passare a quello successivo, bisogna essere a proprio agio nel proprio
ambiente per poi salire, non è possibile passare subito alla fine, o meglio potrebbe anche essere possibile
attraverso metodi ed aiuti artificiali, ma il risultato non sarebbe reale, il risultato forzato creerebbe come
conseguenza il crollo, non si può reggere senza avere sotto di sè delle solide fondamenta.
Sharkey l’aveva capito, doveva farsi la gavetta, guadagnarsi il rispetto dell’organizzazione, doveva superare i
preconcetti di essere un ribelle, non sarebbe stato facile.
Julie invece era parecchio turbata, aveva paura di ciò che le sarebbe successo là dentro, quell’ambiente era molto
ipnotico, i discorsi e gli insegnamenti entravano in testa come una trivella e si infiltravano subdolamente nel
cervello. Pensare con la propria mente diventava altamente difficoltoso anche per via del fatto che i ragionamenti
fatti dai membri della gang non facevano una grinza, erano lineari, diretti, sensati.
La ragazza cominciava a dubitare che Sharkey avesse fatto la scelta giusta consigliando il suo nome a Dr.Rakoo,
lei era debole, troppo influenzabile, si sentiva insicura, avrebbe voluto esprimere le sue paure a Sharkey, ma non
c’era tempo, le cose stavano accelerando sempre più, le parole diventavano veloci e la stessa cosa per le azioni.
Tutto si velocizzava, la gang non dava il tempo di pensare, di ragionare, non era concesso fermarsi un attimo per
fare il punto della situazione, lo facevano loro. Loro davano ordini e i membri ubbidivano, fedeli e ciechi.
Orecchie dritte sempre in attesa del compito successivo, convinti di supportare uno scopo del quale nemmeno
erano a conoscenza.
Julie stava andando in crisi, la sua mente e l’ambiente circostante erano in contraddizione, aveva bisogno
dell’appoggio di qualcuno, nella vita in città aveva Ashley, lei sapeva cosa fare in ogni momento, lei era forte.
Julie aveva paura di essere troppo debole ed indifesa, non era abituata a stare da sola, avrebbe dovuto imparare a
farlo, prendendo ispirazione magari proprio dalla sua amica Ashley.
- L’ORGANIZZAZIONE CAPITOLO 10
“Julie e Sharkey sono dentro e noi siamo rimasti fuori, proprio un bello scherzo.”
Disse Sahid ad Ashley.
La piazza era completamente vuota ormai, i ragazzi della città erano ritornati alle loro vite, delusi, con i piedi di
nuovo per terra senza più nessuna speranza di poter cambiare la propria esistenza di punto in bianco. Per i ribelli
andava peggio, avevano dovuto ritornare al lavoro e recuperare le ore libere arretrate che gli erano state concesse
per presenziare all’evento dei prelievi.
Dovevano darsi da fare perché la delusione dei ragazzi della città si ripercuoteva sulla loro vita sociale, il risultato
era quindi, più cibo, più vestiti, più tutto, dovevano riempire il vuoto lasciato dalla delusione.
Sahid in quanto supervisore della cucina poteva permettersi di muoversi in modo relativamente libero senza che
nessuno dei suoi ragazzi facesse domande indiscrete.
Stava sul retro del ‘Plonge 101’, insieme ad Ashley, anche lei visibilmente insoddisfatta.
“Se lei non avesse trovato te, anzi, se tu non avessi trovato lei, non sarebbe niente, sarebbe nell’appartamento di
Jessy e Marienne ubriaca a ballare in mezzo alla pista, come può portare avanti il nostro progetto? Non ne ha le
capacità. Di lui poi non ne parliamo nemmeno, era qui da un giorno e mezzo e già faceva ciò che voleva, sarebbe
un ribelle? Dai non farmi ridere.”
Sahid era frustrato, avrebbe davvero voluto esserci lui al posto di Sharkey, ma il verdetto non era andato come
avevano previsto.
Ashley non commentava, in fondo lei sapeva già che i risultati erano programmati dall’inizio, glielo aveva detto
Sharkey prima dei prelievi, le aveva raccontato dell’episodio di Matthiew, che effettivamente non era stato
prelevato e non si era più visto in circolazione, di sicuro aveva fatto una brutta fine. La ragazza non si spiegava
però com’era possibile che Sharkey e Julie fossero potuti rientrare nel piano della gang, era un mistero.
Non credeva che fossero due spie, avevano un animo buono, erano brave persone, eppure i conti non
tornavano.
“E poi oltretutto hanno da subito avuto un feeling quei due, li ho visti dall’inizio, tramavano qualcosa alle nostre
spalle, ci hanno tagliati fuori.”
Rincarava la dose Sahid.
Ashley comprendeva il suo avvilimento ma non era d’accordo con i suoi pensieri.
“No dai, erano onesti entrambi, io Julie l’ho conosciuta bene negli ultimi giorni, era una ragazza fantastica.”
“Ok, magari lei può passare ma di quell’altro che ne sai, non lo conoscevamo nemmeno, avrebbe potuto anche
essere un controllore infiltrato.”
“A parte il fatto che da parte di Sharkey non c’è stato nessun tradimento visto che sei proprio tu che non hai
voluto inserirlo nel nostro progetto, quindi lui non c’entra con noi. Spero che si ricordino di ciò di cui parlavamo
prima di quest’evento e che portino avanti l’idea. Chissà se li rivedremo ancora.”
“Li rivedremo sicuramente, fra un paio di mesi verranno a prenderci per portarci al Thios, ci incastreranno,
sanno troppo su di noi e anche se non hanno intenzione di svelare il piano, là dentro subiranno un lavaggio del
cervello talmente potente che verranno a prenderci loro in persona, questo è quello che penso.”
“Sei solo arrabbiato perché le tue aspettative non si sono concretizzate, vorresti essere al loro posto per vivere la
cosa in prima persona e poter decidere con la tua testa, ma dobbiamo avere fiducia, noi possiamo ancora portare
avanti il progetto dall’esterno, funzionerà.”
“Che vuoi dire? A che serve? Ormai abbiamo perso, solo da dentro si può cambiare qualcosa e loro non sono
all’altezza.”
“Se Julie fosse da sola probabilmente non sarebbe in grado di portare avanti il progetto, ma insieme a Sharkey c’è
una possibilità.”
“Si certo, lui sarebbe la nostra speranza?”
“Non è un ragazzo stupido, al contrario è molto sveglio, sa che cosa vuole anche se il suo piano non è uguale a
quello che abbiamo noi, però sta giocando dalla nostra parte. Esistono solo due fazioni, o sei da una parte
oppure sei dall’altra, non ci sono vie di mezzo ormai.”
“Quindi stai dicendo che dobbiamo sperare che Sharkey vada avanti con il suo piano ed abbia successo?”
“Già, avrebbe un effetto positivo su tutti quanti, noi dobbiamo impegnarci e cercare altri ragazzi con il nostro
stesso pensiero ma che ancora non sanno bene cosa sta succedendo, com’è successo con Julie.”
“Forse hai ragione, come al solito. Il fatto è che tu riesci a tenere tutto sotto controllo Ashley, io non ci riesco, tu
hai fiducia in persone che conosciamo da quanto? Una settimana Julie, e quell’altro da un paio di giorni. Sei una
persona speciale.”
“Basta poco per sembrare speciali, Sahid.”
Ashley se ne andò dal ‘Plonge 101’ con quella frase, Sahid non comprese se fosse stato l’effetto della sua
esternazione, ma non ci pensò molto sopra, rientrò nel ristorante riprendendo il lavoro.
La ragazza camminava veloce, pensava, rifletteva, stava cominciando a dubitare della reale volontà di Sahid di far
parte del piano. Lei non aveva pensieri cattivi, tendeva a giudicare le persone sempre meglio di quello che erano,
e se commettevano delle scorrettezze si costringeva a credere che erano state fatte in buona fede, la sua positività
forzata però la portava molte volte a non accorgersi di alcune piccolezze che potevano creare dei problemi.
Arrivò nel suo appartamento, dominava il silenzio, il nulla, non era più abituata a rimanere completamente sola,
Julie nell’ultimo periodo le aveva riempito le giornate, era bello stare in compagnia. Era una ragazza sensibile ed
innocente, non aveva doppi fini o meccanismi strani, per quello ad Ashley piaceva come persona. Il dubbio
iniziava a farsi subdolamente strada nella sua testa.
E se gli altri avessero aderito al progetto solo per comodità? Una frase di Julie le riecheggiò nella scatola cranica
all’improvviso.
‘Stai rischiando solamente tu in questa storia. Loro sono là al riparo in uno sgabuzzino, sì ok si stanno nascondendo, ma tu sei qui
fuori a rischiare la pelle ogni secondo che passa.’
Ashley pensò subito a Denis, Mehdi, Violet e Nitika.
Giustificava il proprio comportamento dicendo che gli altri le avevano dato molto, ed era vero, ma anche lei
aveva dato molto in cambio e lo stava continuando a fare, loro invece vivevano di rendita in un certo senso.
Doveva affrontare il problema.
Si diresse verso il garage nel quale erano nascosti i quattro ribelli suoi ‘amici’. Lo raggiunse e bussò alla porta
dello sgabuzzino con forza.
In pochi secondi si socchiuse.
“Chi è?”
“Denis sono Ashley, fammi entrare.”
La sua richiesta fu esaudita.
La ragazza entrò nella piccola stanza cominciando a guardare tutti quanti negli occhi con espressione seria.
“Non dovevamo vederci per un po’. Che succede?”
Chiese Denis stupito.
Ashley rimaneva in silenzio cercando di riordinare le parole nella sua testa.
“E’ successo qualcosa?”
Continuava a domandare Denis.
“Ti vedo un po’ strana.”
Ashley respirò profondamente ed esordì.
“A voi interessa davvero il progetto?”
Tutti rimasero spiazzati.
Denis fu l’unico che rispose, gli altri non dissero nulla.
“Cosa? Perché ci fai una domanda del genere?”
“Rispondimi.”
“Sì, certo che ci interessa.”
“Che cosa vi interessa?”
“Ashley ma che vuoi? Cosa vuoi sapere?”
“Voglio sapere se posso contare sul vostro appoggio oppure no.”
“Ma certo che puoi contare su di noi, ti abbiamo sempre appoggiata.”
“Per esempio in cosa?”
Nessuna risposta.
“Fammi un esempio in cosa mi avete appoggiata.”
“Beh, lo sai no? Noi non possiamo uscire di qui, ci ucciderebbero.”
“Quindi, la risposta?”
“Che cosa stai cercando di dire Ashley? Non possiamo uscire da questo posto, ci scoprirebbero!”
“Stai continuando a non rispondere.”
“Che risposta vuoi?”
Ashley prese una sedia e si accomodò, il suo sguardo era perso nel vuoto.
“Sto iniziando a pensare che non siete al mio fianco, ma sulle mie spalle. Capite quello che voglio dire?”
“Cosa? Noi siamo una squadra! Noi siamo…”
Mehdi per la prima volta interruppe Denis.
“Noi non siamo una squadra.”
Ashley si voltò verso il ragazzo che continuò il suo intervento.
“Ashley è l’unica che rischia veramente, mentre noi siamo qui, nascosti al buio in attesa che succeda qualcosa, lei
è là fuori, in pericolo ogni istante che passa. Non prendiamoci in giro. Noi quattro non serviamo a nulla.”
Denis era investito da un’ondata di orgoglio che l’aveva ormai sopraffatto.
“Ashley, tutte le incursioni nel ghetto che abbiamo fatto. Te le sei dimenticate?”
Ashley ritornò per un attimo sui suoi passi, ma immediatamente Mehdi la riportò alla realtà, ormai era una
valanga.
“Ashley non abbiamo fatto nessuna incursione, noi siamo sempre rimasti qui, ci siamo inventati tutte le
informazioni che ti abbiamo riferito. Il fatto è che siamo dei vigliacchi, abbiamo paura di rischiare.”
Ashley guardò Denis delusa, l’avevano usata per tutto quel tempo, lui invece fissava Mehdi con gli occhi iniettati
di sangue.
“Ti ammazzo!”
Si scaraventò addosso al ragazzo ribaltandolo al suolo. Lo teneva fermo per il collo con una mano mentre con
l’altra gli assestava una raffica di pugni al viso, rapidamente il volto di Mehdi si inzuppò di sangue, il ragazzo
cercava di dimenarsi ma non ci riusciva, Denis era molto forte, le sorelle urlavano rannicchiate in un angolo dello
sgabuzzino con le mani alle orecchie.
Ashley era paralizzata, non sapeva che fare, Denis l’avrebbe massacrata sicuramente, ormai aveva perso
completamente la testa.
Poi optò per la soluzione più estrema estraendo dalla borsetta una calibro 9 e la puntò verso i due ragazzi che si
picchiavano.
“Fermati!”
L’urlo rimbombò nella piccola stanza e il ragazzo si immobilizzò rendendosi conto di avere la canna di una
pistola che premeva contro la sua nuca.
“Che diavolo vuoi fare Ashley?!”
Disse tremando Denis.
“Lascialo stare, siediti là e non muoverti.”
Mehdi era disteso in una pozza rossa con il viso sfigurato. Ashley pensava che fosse morto, invece dopo qualche
secondo riaprì gli occhi e si alzò in piedi. Guardò Denis, lui stava sulla sedia con la testa bassa tremante. Mehdi
non disse nulla, si avvicinò alla ragazza e le sussurrò all’orecchio.
“Scusa Ashley, sei una persona meravigliosa, non meritavi di essere trattata in questo modo. Addio.”
Uscì dalla porta correndo in strada, Ashley lo seguì, lasciando Denis, Nitika e Violet nello sgabuzzino.
Un ragazzo in strada ridotto nelle condizioni in cui era Mehdi avrebbe attirato in un attimo l’attenzione dei
controllori ed a quel punto sarebbero stati guai.
La ragazza si diresse velocemente fuori dal garage cercando disperatamente il ragazzo con lo sguardo ma non lo
vedeva, davanti a lei c’era un parco, cespugli e alberi ovunque. Doveva trovarlo.
Sentì una voce in lontananza che gridava, era lui.
“Venite a prendermi sono qui!”
Ashley lo trovò, non era molto lontano. Stava per chiamarlo, quando vide delle sagome che si muovevano veloci
sullo sfondo, erano i controllori.
Si buttò a terra, nascondendosi dietro un grosso cespuglio, attraverso i rami riusciva chiaramente a vedere Mehdi.
Cinque ragazzi gli si avvicinarono, lo colpirono con una spranga e lui crollò a terra.
“Chi sei? Chi sei?!”
Si sentiva in lontananza che i ragazzi chiedevano.
Lui rispose qualcosa che Ashley non riuscì a distinguere, dopo di che due controllori presero il ragazzo per la
felpa e trascinandolo sull’asfalto freddo della strada attesero qualche secondo la famosa automobile nera, lo
infilarono sul sedile posteriore e chiusero la portiera.
Gli altri tre controllori si dirigevano verso Ashley.
Non era possibile che Mehdi avesse fatto il suo nome, eppure lei li vedeva, erano a pochi metri da lei, non poteva
scappare, era troppo tardi, chiuse gli occhi e attese l’impatto con il suo destino.
Sentiva il rumore dei passi farsi sempre più forte finché arrivarono a qualche centimetro da lei.
Stava rannicchiata cercando di non farsi vedere anche se l’avrebbero scoperta facilmente. Però non successe
nulla, i passi proseguirono senza fermarsi, la ragazza riaprì gli occhi. I controllori erano diretti verso il garage.
Ashley sentì le urla di Nitika e Violet, le due sorelle che uscirono dopo qualche istante dall’edifico piangendo e
tenendosi per mano, erano scortate da un ragazzo solo, non opponevano nessuna resistenza.
Denis invece non usciva, c’erano ancora due controllori dentro lo sgabuzzino con lui, di sicuro le stava
prendendo di santa ragione.
I controllori non usavano la violenza sulle donne se non in casi estremi, dall’altro lato però riservavano le botte
per i ragazzi maschi, in particolare per i ribelli.
Non avevano pietà, alcune volte li menavano fino ad ucciderli.
Non era uno scandalo perché la maggior parte di quegli episodi non accadevano alla luce del sole e nessuno ne
sapeva nulla, le rare occasioni nelle quali qualcuno riusciva ad assistere ad una scena di quel tipo veniva obbligato
a non parlarne con nessuno e minacciato di morte.
Le mezze misure non esistevano più, i controllori avevano adottato punizioni severissime in quell’ultimo
periodo, i ribelli infatti si erano messi in testa idee rivoluzionarie, le stesse che avevano i ragazzi della gang prima
di andare a capo del sistema, conoscendo le conseguenze presero provvedimenti per prevenire un’eventuale
rivolta, bloccarono ogni tentativo di disobbedienza sul nascere.
Ormai la situazione stava degenerando, il clima diventava sempre più teso, i ribelli più paurosi continuavano a
svolgere le proprie mansioni in silenzio ma ce n’erano di altri più intraprendenti che cominciavano a dare segni di
insofferenza.
Ashley lo vedeva chiaramente, le cose stavano prendendo una brutta piega, se ne era resa conto da tempo, da un
lato era una cosa positiva perché quel sistema che l’organizzazione delle baby gang aveva creato era diventato in
poco tempo addirittura peggiore di quello precedente con a capo gli adulti, dall’altro lato purtroppo la tensione e
la rabbia facevano perdere la testa ai ragazzi che finivano per scontrarsi fra loro, ragazzi della città contro ribelli,
molte volte i ribelli si scontravano tra loro. La gang guardava dall’alto e sorrideva, ogni tanto mandava dei
controllori a mettere un po’ di ordine e tutto come prima, come se nulla fosse successo.
I ragazzi che vivevano comodamente in città non avevano motivi apparenti per voler cambiare la situazione,
avevano tutto ciò che volevano gratuitamente, dovevano solo prendere dai ribelli, la loro esistenza era senza
pensieri, solo feste e sballo. Reggevano il gioco, erano totalmente anestetizzati.
Ricevevano il contentino, non avevano bisogno di nient’altro, nessuna aspirazione, nessuna ambizione, troppa
fatica, una vita mediocre ma sicura e tranquilla senza troppi problemi. Il paradiso.
I ribelli d’altro canto facevano la vita opposta, venivano strappati dai ghetti nei quali erano ancora sottomessi agli
adulti per finire nelle città nelle quali allo stesso modo venivano comandati dalla gang, avevano paura, quello era
il motivo per il quale obbedivano in silenzio. Non erano abituati a ribellarsi al potere nonostante fossero definiti
‘ribelli’, era una contraddizione, in realtà si ribellavano alla ribellione.
Alcuni di loro stavano cominciando ad assorbire la mentalità cittadina e a prendere coraggio per contrastare il
sistema, non era tuttavia un’azione volontaria, bensì una reazione completamente istintiva quindi priva di
coscienza.
Tutti quei ragionamenti si interruppero quando Ashley ricominciò a sentire delle urla che provenivano dal garage,
vide i tre controllori della gang uscire trascinando di forza Denis che si dimenava e tentava di gridare senza però
riuscirci a causa della striscia di nastro adesivo che gli avevano incollato sulla bocca.
Lo portarono fino all’automobile nera scaraventandolo dentro come da prassi, raggiunse così Mehdi, Nitika e
Violet. Dopo di che il mezzo partì a tutta velocità.
Ashley era ancora rannicchiata dietro al cespuglio, il cuore le batteva veloce in petto, aveva rischiato grosso, se
solo Mehdi avesse fatto il suo nome in quel momento si sarebbe trovata sul sedile posteriore di quella misteriosa
auto nera, invece era ancora là, seduta sulla soffice erba. Quando fu sicura che tutti se ne fossero andati si rialzò
dirigendosi verso il garage, non era una buona idea, ma doveva vedere che cosa c’era all’interno dello sgabuzzino.
Entrò cercando di non fare rumore anche se sapeva che non c’era nessuno nei dintorni di quell’edificio in
periferia.
A terra c’era molto sangue, Denis doveva averle prese di santa ragione, era tutto ribaltato, parecchi libri che si
trovavano sugli scaffali giacevano sul pavimento sporchi di rosso, lo sguardo della ragazza cadde su una cartellina
di cartone color azzurro.
La raccolse, al suo interno c’erano una ventina di fogli, per lo più piantine, si trattava della pianta di una città.
Ma non era la sua città, lei la conosceva bene, era qualcos’altro.
Subito se ne rese conto.
“Ma questo è il ghetto!”
Esclamò sorpresa, aveva in mano la mappa che conduceva al ghetto, piegò il foglio e se lo infilò in tasca, avrebbe
potuto rivelarsi molto utile.
Decise di rovistare ancora in cerca di altre cose interessanti, trovò nascosta dentro un armadietto una scatola di
metallo, la aprì scoprendo che conteneva un libricino rilegato in cuoio dalle pagine ingiallite e rovinate.
Lo mise nella borsetta e se ne andò.
Ritornare nel suo appartamento era la cosa più sicura da fare in quel momento, lo fece.
Quando fu finalmente al sicuro sul suo divano Ashley estrasse dalla borsa il piccolo libro per scoprire cosa fosse.
Era una sorta di diario, in cui vi erano annotate delle considerazioni, dei pensieri, delle frasi.
La pagina iniziale riportava una dedica, diceva:
“A Mehdi, il mio nipote preferito. Fai sempre la cosa giusta, è l’unica cosa che ripaga veramente anche se ti faranno credere il
contrario.”
L’autore evidentemente era il nonno di Mehdi o suo zio, gli aveva lasciato una specie di manuale di buona
condotta, o qualcosa del genere.
Ashley decise di leggerlo, si distese sul suo morbido sofà e cominciò ad analizzare quelle piccole perle di saggezza
che erano riportate con calligrafia impeccabile anche se visibilmente consumata dal tempo.
Si trattava di una serie di frasi, di brevi storielle, di aforismi e di proverbi che contenevano un senso incredibile,
avevano un significato che racchiudeva saggezza, valori che erano perduti da decenni, Ashley non aveva mai
sentito parlare un adulto in quel modo, insegnamenti del genere non li aveva mai avuti.
Non ci mise molto a terminare il libro, tutto d’un fiato, era incredibilmente saturo di contenuti.
Ashley si domandò se Mehdi l’avesse letto davvero, se la risposta era sì, di sicuro non aveva seguito i consigli per
niente, forse quell’ultimo exploit prima di farsi catturare dai controllori, ma un’azione giusta purtroppo non
bastava per ripristinare una vita intera di errori.
L’ultima pagina riportava la firma di questo fantomatico nonno di Mehdi:
“Con affetto dal ghetto, 25/11. Barud Abraham.”
La ragazza avrebbe voluto tanto conoscere quell’uomo, calcolò rapidamente l’età che avrebbe dovuto avere e
pensò che un uomo di quasi ottant’anni non sarebbe sopravvissuto alla vita del ghetto.
Decise di conservare il libricino fra le sue cose preziose, nascondendolo in una botola segreta che si trovava sotto
il suo letto.
A quel punto riprese fra le mani il fascicolo nel quale vi era disegnata la mappa del ghetto, c’era un percorso, una
strada che collegava la periferia della città con esso, la ragazza non sapeva se quella via fosse ancora percorribile,
non era nemmeno sicura che valesse la pena tentare, ma la curiosità di andare a cercare quel saggio anziano era
troppo forte, la sua testa le diceva che era una cosa totalmente priva di intelligenza, stupida ed estremamente
rischiosa, l’istinto la spingeva invece ad osare.
Sarebbe andata nel ghetto, avrebbe seguito le indicazioni di quella piantina.
Ashley non credeva nelle coincidenze, secondo lei ogni cosa accadeva per un motivo, ed il fatto che quel libro le
era arrivato in qualche modo fra le mani ed allo stesso tempo la via per raggiungere l’autore di esso non poteva
non significare nulla, era un messaggio, un segno. Lei voleva seguirlo.
Inizialmente le passò per la mente di coinvolgere Sahid nella sua idea, poi decise di non farlo, avrebbe intrapreso
la sua missione da sola, era la cosa giusta da fare, come diceva Barud nel suo libretto.
Attese il calar del sole e non appena fuori scese l’oscurità prese in spalla il suo zainetto Louis Vuitton contenente
il libro, la mappa e qualcosa da mangiare, in tasca la sua pistola, ai piedi smise le solite scarpe tacco dieci per
indossare un paio di vecchie Converse rovinate ma molto comode.
Scese in strada facendo attenzione che nessuno la vedesse, aveva calcolato l’orario con intelligenza, si trattava del
breve periodo fra la fine della cena e l’inizio della festa, nel quale i ragazzi e le ragazze andavano a prepararsi per
la serata.
In giro non c’era praticamente nessuno e lei poteva muoversi relativamente indisturbata senza destare alcun
sospetto.
Appena riuscì ad arrivare in prossimità della periferia tirò fuori dallo zaino la mappa, doveva raggiungere un
vecchio stabilimento in cui molto tempo prima venivano prodotte spezie ed insaccati.
Lo raggiunse velocemente, in quel luogo non c’era luce, il buio regnava sovrano, era completamente
abbandonato, a nessuno sarebbe mai passato per la testa di farsi un giro da quelle parti, probabilmente era quello
il motivo per cui il passaggio si trovava lì, qualcuno lo aveva creato, ma chi? Qualcuno degli adulti del ghetto o
qualcuno della città? O magari un ribelle? Ashley era sommersa di domande alle quali non aveva risposta. Ma il
suo dubbio più grande rimaneva uno solo.
Stava facendo la cosa giusta o stava rischiando la vita per niente?
Sharkey, Julie e gli altri prelevati dormivano tutti insieme in una grande sala, con letti a castello arrugginiti e
cigolanti. Erano molto scomodi, le coperte pizzicavano la pelle ma nessuno si lamentava. Il risveglio era sempre
traumatico, Lexy arrivava all’alba ed iniziava ad urlare a squarciagola, i ragazzi aprivano gli occhi infreddoliti e
con i muscoli indolenziti dal duro allenamento della giornata precedente.
Ormai tutti quanti erano entrati in confidenza gli uni con gli altri, i pregiudizi fra ragazzi di città e ribelli erano
oltrepassati da quando si erano resi conto di essere tutti sulla stessa barca.
Maggie e Julie erano diventate amiche, a loro si era aggiunta anche Lily, la terza e ultima femmina del gruppo.
Era una ragazza molto timida, le mancavano pochi mesi per compiere sedici anni, lunghi capelli castani ed occhi
verdi. Non parlava molto ma Maggie e soprattutto Julie l’avevano fatta sciogliere pian piano, i prelevati si
aiutavano a vicenda, stavano creando un bel gruppo.
A vederli da fuori erano davvero una bella squadra, gli addestramenti intensivi di Lexy davano rapidamente i loro
frutti, Sharkey però non si lasciava impressionare più di tanto, teneva in testa gli insegnamenti di Barud.
La situazione era momentanea, passeggera, ognuno in realtà pensava per sè, alla propria sopravvivenza, se per
andare avanti nel percorso fosse stato necessario eliminare un compagno nessuno avrebbe esitato un attimo. Era
tutto fittizio.
Solo con Julie aveva un rapporto che sfiorava la sincerità, era molto difficile fidarsi veramente di qualcuno in
quelle condizioni, anche di chi si conosceva da prima, lei restava per lui una persona importante e sincera ma non
poteva darle fiducia totale.
Sharkey aveva un obiettivo, non poteva guardare in faccia nessuno, nemmeno Julie se avesse cominciato a
comportarsi in maniera strana.
Il ragazzo sperava che la sua amica riuscisse a tenere fisso in testa il progetto, esternamente sembrava totalmente
integrata con gli altri prelevati, ma in realtà era molto concentrata, lui lo sapeva bene, era molto di più di ciò che
si vedeva, quella ragazza era incredibilmente intelligente.
“Quando finirà questo addestramento?”
Si lamentava Maggie con le altre ragazze, Lily ed appunto Julie.
La prima condivideva il pensiero della sua compagna.
“Già, io credevo che finire nella gang mi avrebbe migliorato la vita, qui invece è quasi peggio che essere ribelli.”
Julie non diceva nulla, non esprimeva dissenso nei confronti dell’organizzazione, aveva imparato a stare al suo
posto, sapeva di essere sotto osservazione, in ogni momento tutti i prelevati erano monitorati e alla fine del
periodo di prova sarebbero stati scelti i più validi e conformi alle dure regole della gang.
La ragazza era perfettamente cosciente di ciò che faceva, doveva reggere il gioco, fare solo quello che le si
chiedeva di fare, nient’altro. In lei era cambiato qualcosa, da quando aveva iniziato a ricordarsi della sua amica
Ashley e ad analizzare mentalmente i suoi comportamenti cercando di estrapolarne il significato aveva capito
quale atteggiamento avrebbe dovuto mantenere per andare avanti.
Non era facile, la cosa più complicata era passare inosservata sotto tutti quegli occhi indiscreti, ma ci stava
riuscendo perfettamente fino a quel momento.
Anche Sharkey non capiva fino in fondo il comportamento di Julie, per lei era una prova e stava recitando bene
la sua parte.
Invece Maggie continuava a protestare in maniera insistente con le ragazze.
“Non ce la faccio più a stare qui tutta sporca, al freddo!”
“Coraggio Maggie, adesso ce ne andiamo a dormire e domani sarà tutto finito, domani è l’ultimo giorno.”
Cercò di tirarla su di morale Julie.
“Domani è già finito?”
“Già. Tre giorni. Poi cominciamo a fare sul serio.”
“Tu sei pronta Julie?”
“Sì, credo di sì.”
“E tu Lily?”
“Ehm…Non lo so. Lo spero.”
Lily era davvero insicura, probabilmente non ce l’avrebbe fatta a passare le selezioni, Julie decise di darle qualche
consiglio in privato, quella notte non chiusero occhio entrambe, rimasero a parlare a bassa voce di strategie,
comportamenti da adottare, modi di pensare.
Lily era una brava ragazza, molto dolce al contrario di Maggie che aveva una doppia faccia, Julie non si era mai
fidata di lei dal primo momento, il fatto di doverle sorridere e parlare tranquillamente a causa dell’addestramento
non cambiava le cose.
Decise dunque di aiutare Lily, anche lei era una persona molto intelligente ma ancora troppo giovane ed insicura,
non riusciva a mostrare carattere, personalità, era una ragazza di città, abituata a vestiti firmati, feste e locali chic,
si era sempre comportata forzatamente come le altre ragazze in modo totalmente stereotipato con un modello di
pensiero preconfezionato.
Lei però non era così, era il momento di far riemergere la sua vera natura, il suo temperamento, doveva essere
furbescamente obbediente.
Naturalmente Julie non accennava nulla a proposito del progetto, era una cosa segreta.
Era notte fonda, lei e Lily continuavano a bisbigliare sulla terrazza appena fuori dalla grande camerata quando
sentirono dei passi che si avvicinavano, non fecero in tempo a nascondersi che la porta si aprì cigolando ed una
figura uscì.
Per loro era finita. Lexy le avrebbe punite.
Ma fortunatamente non si trattava di Lexy, era Sharkey che sorrideva.
“Posso?”
Chiese mentre si accasciava a terra accanto alle due ragazze.
“Sharkey ci hai fatto prendere uno spavento assurdo, credevamo fosse Lexy!”
Lo sgridò Julie sempre a voce bassa.
Lui rise.
“Lexy è a dormire a quest’ora, loro dormono tranquilli mica come noi.”
“Anche tu non riesci a dormire?”
“No.”
“Io e Lily non abbiamo chiuso occhio, stiamo facendo un po’ di strategie per domani.”
Lily intervenne.
“Sai, Julie crede che non ci prenderanno tutti, ma faranno una selezione. Tu che pensi Sharkey?”
Il ragazzo rimase sorpreso, quella ragazza non gli aveva mai rivolto la parola dall’inizio dell’addestramento, a dire
la verità non l’aveva mai sentita nemmeno parlare. Invece, non solo era completamente tranquilla, ma addirittura
voleva sapere cosa ne pensava lui.
Nessuno era interessato a sapere le opinioni altrui, nessuno ascoltava più le altre persone, tutti quanti volevano
esprimere le proprie opinioni ma non ascoltarne di diverse. Per quel motivo Sharkey rimase stupito da quella
ragazza apparentemente riservata e disinteressata agli altri.
Parlare poco non significava per forza essere una persona introversa, molte volte denotava solamente la volontà
di ascoltare gli altri.
L’ascolto era una capacità persa ormai da anni, i discorsi erano finiti per diventare vuoti, ognuno parlava di una
cosa diversa, nessuno faceva più domande, tutti erano convinti di possedere la verità assoluta e non mettevano in
discussione le proprie idee prestando attenzione a quelle degli altri.
Le relazioni si erano trasformate in due muri parlanti, senza orecchie e senza occhi.
Sharkey notando quella particolarità inusuale in una persona, ci mise qualche secondo per rendersi conto che Lily
attendeva davvero una risposta alla sua domanda.
“Non lo so, mi piacerebbe saperlo ma purtroppo non lo so.”
Ottima risposta. Bruciata la possibilità di esprimere veramente la propria opinione di fronte a qualcuno a cui
interessasse davvero. Liquidata una domanda di tale rarità con un banale e scialbo ‘Non lo so.’
Sharkey se ne rese conto immediatamente, vide la faccia di Lily, un po’ delusa dalla leggerezza con cui aveva
risposto.
Le persone non erano più abituate ad essere davvero protagoniste, si mettevano in prima fila da sole, si
illudevano che qualcuno si interessasse a loro ma non era così, quando invece, come in quell’occasione si
riceveva la possibilità di diventare il protagonista, di esprimere i propri pensieri si veniva assaliti dalla fretta, dalla
paura, da chissà che cosa, in ogni caso si gettava al vento l’attimo invece di sfruttarlo.
“Strani comportamenti negli esseri umani, erano sempre stati in quel modo, l’animo ed il pensiero umani erano sempre stati di
difficile comprensione, la maggior parte delle volte assumevano comportamenti stupidi, solitamente contrastanti con la loro volontà,
contrari alla cosa migliore da fare per loro. Insomma davanti ad una scelta quasi sicuramente un essere umano avrebbe imboccato la
strada sbagliata pur sapendo quale fosse quella giusta.”
Barud l’aveva spiegato a Sharkey prima della partenza verso la città, quell’uomo ne aveva di conoscenza, era
saggio, ma tutti gli insegnamenti rimanevano solo parole, solo nozioni nella testa del ragazzo fino a che
l’esperienza personale non gli faceva capire il valore di quelle parole.
Nell’ultimo periodo Sharkey si era trovato in situazioni totalmente differenti da quelle vissute nel resto della sua
vita, aveva immagazzinato quindi nuove impressioni, non era importante se negative o positive come diceva
Barud:
“E’ la testa che vuole sempre e comunque catalogare delle esperienze che in realtà sono solamente delle semplici esperienze. Il successo
ed il fallimento sono punti di vista, un risultato è solo un risultato. Le persone hanno la pessima abitudine di dare voti, valutazioni
su ogni cosa, invece dovrebbero analizzare ciò che gli succede e trarne un insegnamento per andare avanti e migliorare.”
Molte frasi che Sharkey aveva tralasciato e fatto scivolare senza dar loro tanto peso nel momento in cui Barud
gliele aveva dette diventavano importanti quando il ragazzo si trovava a vivere quelle situazioni. Lo stava
capendo.
Il silenzio era sceso sui tre ragazzi, era come se quella chiusura di Sharkey avesse chiuso anche le due ragazze.
Quindi lui prese di nuovo la parola.
“Sarebbe bello sapere cosa succederà domani di preciso, però credo che abbia ragione Julie, è improbabile far
entrare tutti quanti all’interno dell’organizzazione in blocco. Ci sarà una selezione o qualcosa del genere. Per
questo è importante essere svegli e non lasciarsi andare pensando di avere già il posto assicurato perché non
credo sia possibile ormai ritornare alla vita di prima, da qui non si torna più indietro. Tu invece cosa ne pensi
Lily?”
La ragazza si illuminò, sorrise dolcemente guardando il ragazzo dritto negli occhi.
Aveva già la risposta pronta, Sharkey ne era sicuro.
Un altro insegnamento di Barud.
“Quando le persone si interessano a te in realtà vorrebbero il contrario. Ti danno attenzione perché fondamentalmente la vorrebbero
loro e quindi sperano che la loro azione venga ricambiata. Se qualcuno ti chiede ‘Come stai?’, non vuole realmente sapere qual è il
tuo stato psicofisico o come ti va il lavoro, spera che la tua risposta sia più breve possibile e che ricambierai l’interessamento chiedendo
a tua volta ‘E tu come stai?’. Lo so, non sono tutti così, ma la stragrande maggioranza sì, non è un atto egoistico vero e proprio
perché risponde alla legge universale che dice: fai agli altri quello che vorresti venisse fatto a te. Dai e ti verrà dato. L’errore è che alla
gente non interessa più se ciò che gli altri danno sia reale o finto, indotto dalla cultura, dal galateo, dalla cosiddetta bontà d’animo,
l’importante è ricevere un po’ di attenzione anche se fasulla. Questo non lo condivido. Per il resto posso sottoscrivere che puoi
aspettarti di ricevere qualcosa solamente se dai.”
Per quel motivo Sharkey era a conoscenza del fatto che Lily avesse già pronta la risposta ancora prima di fare la
domanda a lui. Ma ne capiva anche il motivo.
“Io credo che ci abbiano messi qui per controllarci, per capire che comportamento abbiamo e poi, domani ci
valuteranno. Probabilmente ci stanno vedendo anche in questo momento, non lo so se stiamo facendo la cosa
giusta restando a parlare di queste cose qui fuori invece di dormire come ci hanno ordinato.”
Lily stava mostrando molte paranoie rispetto alla gang, aveva paura di disobbedire agli ordini. Più precisamente la
spaventavano le conseguenze.
Sharkey decise di punzecchiarla un po’.
“E se io fossi uno della gang infiltrato fra i prelevati e vi stessi controllando da vicino fingendo per giunta di
essere dalla vostra parte?”
Lily sussultò, anche Julie ebbe un piccolo cambiamento di espressione.
“Che dici Sharkey?”
Disse la ragazza mora.
Il ragazzo forzò ulteriormente la mano.
“Pensaci bene. Lo sai da quanto tempo sono stato prelevato dal ghetto prima dei prelievi?”
“Sì, l’ho sentito, qualche giorno.”
“Due giorni, compresa la riabilitazione prima di iniziare a lavorare. Dove? Al ‘Plonge 101’, un ristorante famoso
per la sua qualità e nel quale lavorano dei ribelli con capacità culinarie incredibili. Cosa c’è di strano? Ti chiederai.
La cosa strana è che io non so cucinare se non qualche bistecca, eppure sono entrato come cuoco di livello
quattro. Curioso eh?”
“Dai, finiscila Sharkey.”
Lo interruppe Julie, stava cadendo nella trappola anche lei, combaciava tutto quanto.
“Aspetta Julie. Potrei aver truccato le assegnazioni corrompendo Dr.Rakoo, l’addetto allo smistamento dei ribelli.
Impossibile! Dr.Rakoo è incorruttibile! Sì, può essere vero, però i fatti quali sono? Che dopo due soli giorni di
lavoro come ribelle ci sono stati i prelievi e, indovinate un po’ chi è stato prelevato? Sharkey Avens. Chi?
Sharkey, quello nuovo, appena arrivato. E chi l’ha scelto? Dr.Rakoo. No? Proprio lui? Incredibile. Invece è così,
e chi è stata la seconda scelta? Julie Winder. Esatto. Entrambi ora sono qui con te Lily, a parlare della gang.
Coincidenze? Non lo so. Credi che ti stiamo aiutando oppure siamo solo un altro sistema organizzato dalla gang
per controllare le persone con istinti individualisti più spiccati che potrebbero minare il sistema? Questo spetta
solamente a te deciderlo.”
Sharkey terminò il suo intervento con un sorriso misterioso stampato sul volto.
Lily non sapeva che dire, probabilmente la sua testa era intasata da pensieri contraddittori.
Julie guardava Sharkey con aria interrogativa.
Lui non disse nulla. Si alzò in piedi e ritornò nella camerata tranquillamente.
“Buona notte ragazze.”
Era apparentemente calmo, ma appena si distese sulla branda i pensieri gli affollarono il cervello.
Aveva fatto bene? C’era un motivo per cui l’aveva fatto, ma non era sicuro fosse la cosa giusta.
Lily guardò Julie.
“Posso fidarmi di te?”
Lei rimase qualche secondo sovrappensiero, poi guardò la sua compagna negli occhi e rispose.
“Sì, puoi farlo. Ma non devi fidarti di me.”
“Cosa? Che vuol dire?”
“Io ti assicuro che sono dalla tua parte, ma chiunque te lo potrebbe dire, solo tu puoi decidere se sto dicendo la
verità oppure no. Per questo non devi credermi ad occhi chiusi, ormai la parola non conta più niente, le persone
sono capaci di giurare sulla propria vita e poi fare il contrario di ciò che hanno promesso, purtroppo di individui
ancora integri ce ne sono pochi, sta a te riconoscerli e non ci riuscirai di certo chiedendolo personalmente a
loro.”
Lily ci pensò per un attimo, ragionando su quel discorso.
“Tutti mi diranno che posso fidarmi di loro. Solamente una persona leale e vera mi dirà di non fidarmi di lei.”
Julie sorrise dolcemente.
“E’ un tuo ragionamento, l’unico modo per scoprire se hai ragione o no è provare. Sai, per capire bisogna
sbagliare, senza errori non ci sono cose giuste, senza sconfitte non ci sono vittorie, senza fallimenti non ci sono
successi. Ma queste sono frasi fatte. Sono grandi verità però, talmente banali e semplici che vengono prese con
leggerezza da molti. Guarda la paura di sbagliare dove ci ha portati, nessuno rischia più, facciamo sempre le
stesse cose in maniera meccanica, non sentiamo più niente. Eppure sbagliare è umano.”
“Probabilmente non siamo più umani. Siamo diventati delle macchine.”
“Sai qual è l’unica cosa che distingue un essere umano da una macchina, Lily?”
“I sentimenti?”
“Esatto, per il resto un robot è molto più efficiente di un uomo.”
Le due ragazze rabbrividirono, si accorsero in quel momento di essere arrivate ad una conclusione agghiacciante,
gli esseri umani attendevano con terrore il giorno in cui sarebbe arrivata la fine del mondo, un asteroide, una
calamità naturale, una tempesta solare, qualsiasi cosa che avrebbe annientato tutta la popolazione mondiale. La
cruda realtà era che la razza umana era già in via di estinzione da molto tempo senza che nessuno se ne fosse
accorto.
Gli uomini si stavano spegnendo, la fiamma che ardeva in essi si affievoliva lentamente fino a soffocare.
La piega che aveva preso il mondo era tremenda, ma non c’erano ingiustizie, non era nient’altro che il risultato di
tutto quell’odio, quella paura, quell’invidia, quella fretta che dominava quasi tutti gli individui sul pianeta.
Era soltanto una conseguenza.
“Non può continuare così, dobbiamo fare qualcosa.”
Disse Lily nervosa.
“Cominceremo da domani.”
Rispose Julie.
“Anzi fra qualche ora visto che sta sorgendo il sole.”
Era l’alba, la magnifica sfera infuocata si ergeva monumentale illuminando i palazzi e gli edifici diroccati e
distrutti.
Le due ragazze avevano passato l’intera notte a parlare, a confrontarsi, una notte lunga e piena di rivelazioni. Si
sentivano pronte per affrontare qualsiasi cosa sarebbe successa.
Dopo circa mezz’ora arrivò l’immancabile sveglia urlante di Lexy che si presentò puntuale come un orologio
svizzero alla porta della camerata e gridando svegliò i pochi che ancora stavano dormendo.
Quel giorno erano quasi tutti già svegli, la tensione era tanta, nessuno sapeva quello che sarebbe successo.
Ufficialmente era il gran giorno per tutti, l’ingresso nell’organizzazione, ma ogni prelevato aveva dentro una
sensazione di incertezza.
Pochi minuti per risciacquarsi il viso e poi al rapporto nella grande stanza da Lexy.
I ragazzi si disposero a semicerchio di fronte al loro addestratore, faceva molto freddo, erano tutti irrigiditi, in
gran parte la causa era della tensione.
“Molto bene.”
Esordì Lexy.
“E così siamo arrivati alla fine. Avete fatto un ottimo lavoro, ma non sarei un bravo insegnante se non vi dicessi
che non era abbastanza, che avreste potuto dare di più. Sapete, a me lo dicevano sempre a scuola: ‘Sei stato
bravo, ma potevi dare di più.’”
Lexy esitò per un attimo, passeggiava nervosamente avanti e indietro.
Non era il suo solito comportamento, poi proseguì.
“Non era mai abbastanza, se davo dieci loro volevano undici. Non riuscivo a capirne il motivo, iniziai a pensare
che fosse un fatto personale, che ce l’avessero con me, che mi avessero preso di mira. Abbandonai la scuola e
finii in strada, non ci misi molto tempo per inserirmi in una baby gang, avevo una gran testa, loro mi
apprezzavano, non come a scuola. Ho fatto cose che mai avrei pensato di fare, ma venivo premiato, era quello
l’importante.”
Continuava ad andare su e giù con lo sguardo fisso a terra, come se parlasse da solo.
“Sono passati molti anni ormai. Ora ho finalmente capito. Ho compreso perché non era mai abbastanza, lo
facevano per me, per farmi crescere, per spronarmi a fare sempre di più. Se solo me lo avessero spiegato,
probabilmente io sarei stato al gioco. Invece si è trasformato in un incubo, ho odiato le persone che hanno
tentato di aiutarmi a migliorare. Non è colpa di nessuno, sono solo episodi, siamo noi che diamo un peso alle
cose, da piccoli siamo alla ricerca solamente di un ‘ok’ da parte dei grandi, non chiediamo nient’altro che un ‘ok’.
E non lo riceviamo mai. Loro lo fanno per spronarci, ma in realtà il risultato è che ci arrendiamo.”
Il discorso di Lexy toccava ognuno dei ragazzi presenti nella stanza. Tutti quanti avevano passato delle situazioni
simili, non era difficile immedesimarsi nel racconto.
Improvvisamente Lexy cambiò espressione, alzò la testa e guardando in faccia i ragazzi ricominciò alzando il
tono della voce.
“Ma io non sono qui per fare l’insegnante che sta cercando di aiutarvi. A me non interessa nulla di voi, alla gang
che voi ci siate oppure no, non fa tanta differenza. Noi non tentiamo di spronare le persone a dare il meglio, lo
devono dare da soli, altrimenti addio. Ed è per questo che sono qui, a me tocca un compito che da molti viene
definito difficile, ingrato, sgradito. Sono qui per dirvi una cosa molto spiacevole per voi, vi era stato fatto credere
prima dei prelievi che grazie alla fortuna, alla buona sorte, al fato o qualunque cosa vogliate, sareste stati scelti per
far parte dell’organizzazione dando definitivamente un senso alla vostra esistenza vuota e senza scopo. In un
certo senso è stato così, quello che voi chiamate fortuna o caso, in realtà è qualcosa di concreto che però voi non
vedete. Cosa significa questo? Significa che ognuno di voi non è stato scelto casualmente da forze invisibili, ma
siete stati monitorati, controllati, valutati durate la vostra vita nella città. Voi siete finiti qui perché qualcuno
dell’organizzazione vi ha scelto in base a dei parametri che non vi riguardano per ora. Questo vale per tutti
quanti, tranne per te, Sharkey Avens, la stessa cosa vale per la tua compagna Julie Winder. Voi siete stati
selezionati da Dr.Rakoo, una figura misteriosa, stranamente molto amata anche dai ribelli, noi qui nell’ambiente
lo chiamiamo ‘Il selezionatore’. Lui si basa su altri parametri più personali, quindi voi due siete, diciamo,
un’anomalia. Di conseguenza sarete osservati con più attenzione. Ma non sono qui per spiegarvi i metodi della
gang, lo scopo del mio discorso è quello di informarvi che vi hanno raccontato una verità incompleta. Non sarete
tutti inglobati nell’organizzazione di diritto. Siete stati valutati in questo periodo di prova, non tutti sono risultati
idonei per entrare a far parte del progetto.”
Molti prelevati sussultarono, non se ne erano ancora resi conto, altri invece sapevano anche se non con certezza
che non tutti avrebbero proseguito il percorso.
“Siamo al momento della verità, avete superato delle prove dure qua dentro, non lo posso negare, io stesso
stento a credere che a mia volta ci sono passato. Ma non basta, l’insieme vale più che ogni singola parte per cui
non è importante se spiccate in un campo, ma quanto siete equilibrati. I nomi che rimangono indietro sono
quattro…”
La tensione si faceva insostenibile, i ragazzi erano nervosi, nessuno poteva stare tranquillo perché i parametri
della gang erano strani, incomprensibili.
“Perk Chris.”
Tutti si voltarono verso di lui, il ragazzo cominciò a sudare, il suo volto divenne bianco come il latte e le sue
ginocchia tremavano.
“C-cosa mi fa-farete? M-mi ucci-ci-ciderete?”
Balbettò Chris terrorizzato.
Lexy si avvicinò tranquillamente.
“Stai calmo ragazzo, hai sbagliato, mi dispiace, sbagliare è una debolezza umana. Non farti tanti rimorsi, hai
avuto la tua occasione, non c’è nulla di irrimediabile. Ora accomodati fuori da quella porta, ci saranno due
ragazzi che ti accompagneranno incontro al tuo destino.
“M-ma m-mo-morirò?”
“Su dai, non preoccuparti. Ora vai, rilassati.”
“N-non mi hai risp-risposto…”
“Per favore non rendere questa cosa più complicata di quanto non lo sia già. Vai fuori.”
Chris obbedì, si diresse tremolante verso la porta ed uscì, non si senti più nulla, silenzio totale.
Lexy riprese a parlare come niente fosse mentre tutti i ragazzi erano più terrorizzati di prima.
“Il secondo nome è Sha…”
Sharkey respirò profondamente, sperava di farcela ma in un certo senso sapeva che il fatto di essere stato scelto
da Dr.Rakoo l’avrebbe penalizzato. Si preparò ad uscire ma improvvisamente ritornò in sè.
“Shank Jerry.”
Non era lui! Il cuore gli si fermò in petto per qualche secondo poi riprese più veloce che mai, l’aveva scampata
bella, ma la cosa più strana era che non aveva paura, era perfettamente calmo. Non capiva il perché però non
sentiva l’ansia, la pressione, era tutto così atipico.
L’attenzione ritornò verso Jerry, che sospirando si incamminò verso l’uscita senza dire nulla, guardando in basso
e avanzando lentamente.
“E siamo alla terza persona. Il suo nome è Tuffie Derrick.”
Un altro ex-ribelle, le lacrime gli scivolavano veloci lungo le guance, se lo sentiva, sapeva dentro di sè che non ce
l’avrebbe fatta. Non disse nulla nemmeno lui, se ne andò rapidamente.
Sharkey era consapevole di non essere ancora salvo, ma l’importante era sapere che comunque fosse andata uno
fra lui e Julie sarebbe rimasto per portare avanti il piano.
“E siamo all’ultimo nome: Harmon Maggie.”
La ragazzina rimase pietrificata, non si aspettava di venire esclusa, anche gli altri ragazzi furono sorpresi dalla
cosa.
Cominciò ad urlare e a piangere.
“Perché? Perché proprio io?! Non è giusto!”
Lexy la lasciò sfogare giusto un paio di secondi poi cominciò ad innervosirsi.
“Io non ti devo nessuna spiegazione, quella è l’uscita, cerca di non farmi perdere altro tempo.”
La ragazza non si arrendeva alla decisione, Lexy la afferrò per un braccio con forza ma lei si agitava
violentemente.
“No! Non voglio andare! Datemi un’ultima occasione vi prego!”
“Non ci sono seconde occasioni. Qui non si commettono errori, accetta la decisione della gang ed esci!”
“No, non voglio!”
Lexy a quel punto guardò verso la porta e gridò.
“Ragazzi venite.”
Fecero il loro ingresso rapidamente due membri dell’organizzazione che presero Maggie con la forza e la
trascinarono fuori dalla stanza tra lacrime e grida.
I restanti prelevati rimasero un po’ scioccati, la scena era stata forte, la durezza con cui si risolvevano le cose
all’interno della gang era estrema, non c’era pietà. Non era permesso sgarrare, zero errori.
“Bene.”
Riprese Lexy sistemandosi la giacca.
“Mi pare che abbiamo terminato le notizie spiacevoli, di conseguenza tutti voi siete ufficialmente parte della
gang. Si comincia.”
Nessuno sembrava felice, le espressioni di tutti i ragazzi erano uguali, tese e nervose.
Sharkey e Julie si guardarono, accennando ad un sorriso, ce l’avevano fatta entrambi.
“Andiamo. Non perdiamo tempo.”
Incitò Lexy incamminandosi verso l’uscita sul retro. I ragazzi lo seguirono senza fiatare, tranne Luke Butch.
“Ma cosa succederà agli altri ora?”
Lexy si arrestò di colpo.
Tutti quanti fecero lo stesso.
Si voltò fulminando il ragazzo con lo sguardo.
“Errore ragazzo.”
Luke sbiancò improvvisamente.
“Cosa? Errore?”
Lexy si avvicinò fino ad arrivare ad un palmo dal suo naso.
“Mi sembrava chiaro il concetto che diceva che qui ognuno pensa per sè.”
Luke deglutì rumorosamente.
“No, non è che mi interessi più di tanto a dire il vero.”
“E allora perché me l’hai chiesto?”
Silenzio.
“Ti ho chiesto perché hai interrotto un momento così solenne come l’ingresso nella gang facendomi una
domanda di cui non sei interessato ad avere una risposta?!”
“Non lo so.”
“Bene.”
Lexy guardò Alexander Shayved ed ordinò.
“Tu, prendi il tuo compagno e portalo fuori. Veloce.”
Alexander fu preso in controtempo. Doveva punire il suo amico.
Rimase fermo a pensare con lo sguardo perso nel vuoto.
Lexy era già nervoso, quei comportamenti lo facevano infuriare.
“Hai sentito quello che ti ho appena ordinato?! Forza!”
“Non posso signore.”
“Scusa cos’hai detto?”
“Non posso farlo.”
Lexy sospirò profondamente.
Si rivolse ad un altro ragazzo, Damien Baxter.
“Tu, prendi Luke e portalo fuori. Rapido, che abbiamo già perso troppo tempo.”
Il ragazzo ragionò un attimo poi vedendo gli occhi di Lexy che si iniettavano si sangue si mosse verso il suo
compagno ed afferrandolo per il braccio lo tirò fino alla porta.
Lexy poi si avvicinò ad Alexander e gli sussurrò all’orecchio.
“Mi hai proprio deluso ragazzo.”
“Tu, portalo fuori.”
Quel ‘Tu’ era riferito a Sharkey.
Osservò Alexander che stava immobile, paralizzato, avrebbe pagato per quel suo rifiuto, era la prima prova di
fiducia alla gang e lui l’aveva fallita.
Sharkey non avrebbe voluto farlo, stava per rifiutare. Poi gli rimbombarono in testa le parole di Barud.
“Figliolo, là dentro dovrai fare cose che mai avresti pensato di dover fare, starà a te la scelta. Sappi che c’è un prezzo da pagare per
ogni cosa, per questo obiettivo il prezzo è molto alto, solo tu potrai stabilire se varrà la pena pagarlo oppure no.”
Sharkey comprese che se avesse rifiutato la richiesta del suo addestratore avrebbe pagato con la vita anche lui
oltre a non aver salvato Alexander.
Avanzò verso il suo compagno e lo afferrò per l’avambraccio spingendolo verso l’uscita.
Lexy guardava soddisfatto.
“Bravo ragazzo.”
Alexander però non voleva uscire, cominciò a dimenarsi, era molto più grosso di Sharkey. Lo ribaltò a terra
saltandogli addosso e cominciando a colpirlo con una raffica di violenti pugni al viso.
Sharkey cercava di divincolarsi ma Alexander era troppo forte, continuava a colpirlo finché non fu fermato da un
tremendo calcione in faccia che lo catapultò ad un metro distanza liberando così la sua preda.
Lexy applaudiva sorridente.
“Bene, vedo che lo spirito è quello giusto!”
Sharkey si rialzò scoprendo il suo salvatore.
“Julie! Sei matta?!”
Si trattava proprio di Julie, era corsa in salvo del suo amico salvandolo provvidenzialmente dal suo avversario.
Lei rise.
“Mi sembrava il minimo.”
Sharkey approfittò del fatto che Alexander era a terra dolorante per trascinarlo verso la porta dove trovò Damien
a dargli una mano per scaraventarlo fuori.
“Molto bene ragazzi, sono felice di vedere che c’è collaborazione tra voi. Bravi. Julie sei stata precisissima.
Ottimo.”
Lexy era visibilmente soddisfatto della performance dei tre ragazzi poi si voltò verso gli altri.
“E voi avete visto? Dovete imparare, ci vuole collaborazione, aiutarsi l’uno con l’altro per portare a termine le
consegne. Fedeltà alla gang!”
Tutti annuirono a testa bassa.
“Julie sei capace di medicare?”
Julie rispose immediatamente.
“Certamente.”
“Bene appena arriveremo al quartier generale porterai Sharkey in infermeria e lo medicherai, dovete diventare
una squadra, ragazzi. Uniti.”
Il fatidico momento era giunto, Lexy esortò i ragazzi a seguirlo verso l’uscita.
“E’ ora di andare, andiamo al centro operativo dell’organizzazione.”
Uscì dal retro della grande stanza, all’esterno erano pronti due furgoni neri sui quali furono fatti salire i neomembri della gang.
Julie stava accanto a Sharkey ripulendogli il viso dal sangue molto delicatamente.
“Comunque grazie, quello per poco non mi uccideva.”
Disse il ragazzo.
Julie lo guardava dolcemente mentre tamponava le ferite con una manica della sua giacca.
“Shhh…Lascia stare, ho fatto quello che dovevo fare.”
“Non mi sembra che ringrazi così gentilmente anche me però, Sharkey.”
Si intromise ridendo Damien.
Sharkey sorrise allungando il cinque al suo compagno.
Il furgone si fermò, i portelloni furono aperti da Lexy che invitò i ragazzi ad uscire per seguirlo all’interno
dell’edificio monumentale davanti al quale si erano fermati.
“Dai, tutti dietro a me, ci siamo.”
L’addestratore seguito dai rimanenti otto elementi del gruppo fece il suo ingresso nell’edificio, superarono due
guardie armate che li lasciarono passare senza porre alcuna domanda dato che erano scortati da Lexy.
Arrivarono in un grande atrio, l’edificio al suo interno era molto bello e sfarzoso, dava l’impressione di essere un
vecchio palazzo tenuto in condizioni ottime, marmo ovunque, oro ed affreschi nella grande cupola centrale che
dominava l’ambiente dall’alto.
“Siamo nella hall del quartier generale della gang. Da qui parte tutto quanto, arrivano gli ordini dai capi che
naturalmente per ragioni di sicurezza non si trovano qui, e vengono smistati in base ai ruoli e all’importanza. Voi
per ora siete al primo livello di importanza dell’organizzazione. Non abbattetevi, qui vige la meritocrazia, chi
ottiene più risultati concreti avanza, chi fallisce se ne va.”
Lexy spiegò chiaramente come funzionava all’interno della gang, le regole erano chiare, finché si obbediva e si
eseguivano gli ordini con successo filava tutto liscio, quando il compito assegnato non andava a buon fine
iniziavano i problemi. Non c’erano sconti, apparentemente era una macchina perfetta, senza errori. Senza pietà.
“Qua dentro è tutto calcolato, un solo ingranaggio che non gira come dovrebbe e tutta la macchina subisce delle
ripercussioni, per questo motivo ci prendiamo la cura di eliminare gli ingranaggi che si inceppano prima che
questo succeda, al primo segnale di cedimento si esce. E’ l’unico modo per mandare avanti la macchina con
successo. Quindi sappiate che dovete rimanere sempre vigili ed attenti, sempre con le orecchie dritte e
soprattutto portare fedeltà alla gang, questa ora come ora è l’unica cosa importante che avete, senza di questo voi
siete morti, non siete niente. Dovete dare la vita per questo. Dovete metterci l’anima.”
Il discorso introduttivo era finito, Lexy lasciò un momento di pausa e di ambientamento ai ragazzi che
sembravano ancora molto confusi e spaesati in quel nuovo luogo nel quale erano stati catapultati così di botto.
“Julie, ti affido Sharkey per qualche ora, andate in infermeria e medicalo. Per quanto riguarda voi altri andate a
cambiarvi, in quella stanza ci sono dei vestiti che potete prendere, in ogni caso troverete delle ragazze alle varie
reception che potranno rispondere alle vostre domande in qualsiasi momento. Ci rivedremo più tardi, per ora ci
lasciamo, il mio compito termina qui. Buona fortuna e ricordate: fedeltà alla gang.”
Lexy salutò in quel modo i ragazzi e se ne andò, da un lato era triste abbandonarlo nonostante fosse stato un
addestratore severo, ormai erano abituati a lui. In verità non volevano lasciarlo perché avevano paura di trovarne
un altro peggiore.
Avevano ormai capito tutti quanti che più si saliva là dentro e più le regole diventavano ferree e gli errori
costavano sempre di più.
Le conseguenze delle proprie azioni aumentavano di peso gradualmente. Addosso c’era molta pressione, molta
responsabilità, una sensazione nuova per i ragazzi, in particolare per quelli provenienti dalla città, non abituati ad
avere scopi e portare a termine compiti precisi. Coloro che provenivano dal ghetto in un certo senso erano più
proprensi a quel tipo di mentalità dato che avevano passato la vita in un ambiente complicato e duro, nel quale
l’istinto di sopravvivenza la faceva da padrone e se non ci si dava da fare era impossibile andare avanti.
Sharkey non aveva paura, Julie lo teneva per mano mentre lo accompagnava in infermeria, la raggiunsero
rapidamente grazie alla preziosa indicazione di una gentile ragazza che lavorava ad una delle numerose reception.
Entrarono nella stanza, era vuota, Sharkey si accomodò sul lettino, Julie si diresse prontamente verso gli
armadietti in cerca di qualcosa di utile per curare il ragazzo.
“Sai davvero come si fa?”
Chiese Sharkey.
Julie continuava a rovistare nell’armadietto.
“Come si fa cosa?”
“Medicare.”
Lei sorrise.
“No.”
Anche lui sorrise.
“Sei davvero in gamba.”
“Se gli rispondevo che non ero capace quello chissà cosa combinava.”
“Già, è pazzo, ma da un lato è ipnotico, i suoi discorsi erano profondi, toccavano.”
“Non lasciare che le parole ti incantino. A parole è tutto vero e tutto falso. Si può dire tutto e niente.”
“Già, hai ragione.”
“Citazione tua.”
Concluse Julie sorridendo.
La ragazza stava reggendo bene la pressione mentale, da come era partita non dava l’impressione di essere
motivata in quel modo, in quel momento era proprio Sharkey che paradossalmente stava attraversando il suo
periodo di crisi. I discorsi dei membri della gang facevano molta presa in testa, conoscevano perfettamente il
linguaggio ed i metodi per esprimere gli argomenti in maniera che sembrassero logici e lineari quando alcune
volte non lo erano affatto.
Bisognava restare svegli, perennemente attenti.
Julie lo stava facendo, teneva gli occhi e le orecchie aperte, era come un’antenna che captava ogni singolo
particolare intorno a lei, vedeva e sentiva tutto e tutti, non le sfuggiva nulla.
Inoltre a differenza di Sharkey era disponibile ad aiutare chi secondo lei era in uno stato di confusione e
disorientamento, come Lily. Il ragazzo invece era entrato con uno scopo, la sua mente puntava verso
quell’obiettivo e non guardava in faccia niente e nessuno, aveva un atteggiamento egoistico ed individualista,
l’unica persona che riusciva a fare breccia attraverso la sua corazza invisibile era proprio Julie, il suo modo di fare
oltrepassava le barriere silenziosamente riuscendo ad arrivare faccia a faccia con il vero Sharkey.
Terminata la cura delle ferite i due ragazzi si diressero verso la grande hall nella quale erano riuniti alcuni dei loro
compagni prelevati, i rimanenti si erano sparpagliati in giro nelle varie sale relax. Gli era stata concessa la libertà
fino al termine della giornata per ambientarsi al meglio, il giorno seguente sarebbe cominciata la prima vera
esperienza da membri della gang.
“Come stai Sharkey? Ti sei ripreso?”
Chiese Lily correndo incontro ai due ragazzi che arrivavano provenienti dall’infermeria.
“Sì tutto ok. Fortunatamente grazie a questa meravigliosa infermiera mi sono ristabilito.”
Julie arrossì leggermente. Sentiva qualcosa per quel ragazzo, era molto di più che un’amicizia. Forse era amore,
ma lei non lo sapeva. L’amore era un sentimento inesistente nella loro epoca.
Lily pensò bene di lasciare i due ragazzi soli.
“Bene, io sono un po’ stanca vado a fare un riposino, domani dobbiamo essere scattanti.”
Se ne andò nella sala relax e distendendosi su uno dei tanti divani rapidamente si addormentò.
“Andiamo a sederci là?”
Chiese Julie a Sharkey.
Lui si incamminò verso le due poltrone che la ragazza stava indicando.
“Comunque grazie per le cure.”
“Figurati, non potevo mica lasciarti tutto tagliuzzato no?”
I due rimasero per qualche minuto a parlare del più e del meno, poi Julie animò il discorso improvvisamente.
“Senti Sharkey, che cosa ne pensi dell’amore?”
“Cosa? Dell’amore?”
“Sì, lo so che tutti quanti ormai dicono che non esiste, che non c’è, ma tu cosa ne pensi?”
Il ragazzo era sorpreso da quella domanda, non sapeva che rispondere, decise di fare ciò che ogni persona faceva
quando non conosceva una risposta, ribattere con una domanda.
“Tu cosa ne pensi Julie?”
“Beh, io credo che esista. Insomma non so cosa sia perché io non lo vedo, vedo le persone distaccate, fredde,
sospettose, ti sorridono, sono gentili ma in realtà stanno pensando che potresti pugnalarle alle spalle e di
conseguenza stanno già studiando un piano per fartelo loro prima che glielo faccia tu. I miei genitori forse
avrebbero potuto darmi un esempio di cosa significava amare, ma invece non è stato così, non li ho mai visti
darsi un bacio, ho sentito urla per tutta la mia infanzia, mai una carezza, una frase dolce, una gentilezza, niente.
Poi appena ho potuto me ne sono andata di casa, fuori, sulla strada faceva molto più freddo, ma almeno ero
attorniata da altri ragazzi come me, abbandonati a loro stessi. Mal comune mezzo gaudio come si dice. Eppure
quei film sdolcinati mi ritornano in testa, davvero non esiste tutto quell’immaginario? Forse sono ritratti un po’
estremi, ma l’emozione di fidarsi di qualcuno, di provare qualcosa per un’altra persona, quello davvero non può
esistere?”
“Non lo so. Nemmeno io ho mai visto nulla che andasse almeno vicino a tutti quei film, quei libri, quelle canzoni
che parlavano di storie d’amore. Quella roba nella realtà non l’ho mai vista, eppure anche io credo che debba
esistere qualcosa di simile. Non dico così, ma non credo che gli esseri umani siano stati creati per questo. Non
credo che il nostro scopo sia quello di ucciderci a vicenda, di odiarci, di essere diffidenti. Tempo fa qualcuno mi
disse che gli uomini, intesi come razza umana, sono come una catena, siamo tutti collegati gli uni con gli altri,
siamo tutti responsabili di tutti.”
“Già lo penso anch’io. Ho sempre sentito dire che ognuno è libero di fare quello che vuole e di vivere la sua vita
come meglio crede, ed è vero secondo me. La cosa regge fino a quando si sta facendo qualcosa di positivo,
invece ormai fare del male è diventata un’espressione di sè. Credo che una persona non abbia il diritto di
comportarsi totalmente come vuole, facciamo parte di una società, di un gruppo nel quale siamo una piccola
rotella, un ingranaggio. Non è possibile che ogni meccanismo inizi a girare per conto suo, genererebbe il caos, ed
è quello che è successo e che ancora sta succedendo.”
“Facciamo parte di una catena, il primo che non fa quello che deve fare spezza la catena ed il circuito si rompe.
All’inizio questa cosa delle gang, della rivoluzione era partita con questo scopo, eliminare chi faceva muro, chi
bloccava il flusso. Ma alla fine le ideologie hanno distrutto tutto come succede sempre, i preconcetti e i pregiudizi
hanno vanificato tutto il lavoro come al solito. Non è possibile pensare che il problema fossero tutti gli adulti,
voglio dire, forse lo erano, ma sicuramente non si può valutare una massa tutta quanta allo stesso modo. Un
gruppo così vasto contiene persone troppo diverse tra di loro. La stessa cosa vale per i giovani, c’erano e ci sono
tutt’ora pochi ragazzi che sono a conoscenza dei motivi della rivolta, tuttora c’è qualcuno che non sa perché il
mondo sia diventato così, non sa perché gli adulti e gli anziani sono rinchiusi nei ghetti, perché i ribelli vengono
fatti lavorare forzatamente senza essere pagati, non sa nemmeno perché lui stesso si trova lì, in città, in un attico
che gli è stato concesso gratuitamente, vestito firmato dalla testa ai piedi e con la possibilità di avere tutto ciò che
vuole solo chiedendo. Non sa perché non c’è bisogno che lui lavori, non sa perché ogni sera si veste tutto tirato e
si dirige nel posto di tendenza del momento riempiendosi di alcool e droga, ballando su ritmi ossessivi, non sa
perché è al mondo. I ragazzi non hanno uno scopo.”
“Ci hanno trasformati in concime, siamo al mondo per consumare e basta finché il nostro organismo non regge
più e allora ritorniamo alla terra, come nutrimento, ritorniamo da dove siamo partiti. Avremo sprecato la vita a
ballare, a bere e a mangiare ritrovandoci vecchi e consumati. Non avremo concluso nulla nella nostra esistenza, ci
guarderemo alle spalle e vedremo il vuoto, decenni spesi su questo pianeta a fare le stesse inutili e grottesche
cose, imprigionati in abitudini assurde ed ideologie irreali.”
I due ragazzi si guardarono negli occhi, era uno sguardo profondo, infinito, entrambi in quel momento avevano
in testa lo stesso pensiero.
“Ci deve essere qualcosa di più. Non può essere tutto qui.”
Si avvicinarono l’uno all’altra sempre di più fino a che le punte dei loro nasi si sfiorarono, chiusero gli occhi
entrambi, il battito del cuore accelerava, poi improvvisamente una voce.
“Ragazzi venite, presto! E’ terribile!”
Sharkey e Julie si allontanarono rapidamente l’uno dall’altra voltandosi per capire cos’era successo.
A qualche metro da loro c’era Damien che li chiamava indicando la sala relax più vicina.
I due ragazzi si alzarono prontamente dalle poltrone dirigendosi verso di lui.
Aveva un espressione terrorizzata, respirava affannosamente.
“Venite presto! Non può essere!”
Corsero nella stanza e davanti ai loro occhi c’era uno spettacolo orribile. Lily era distesa sul divano inzuppata di
sangue, qualcuno l’aveva accoltellata al ventre, Julie le corse vicino piangendo.
“Lily! Mi senti?!”
Era disperata, urlava a squarciagola.
“Rispondimi ti prego!”
Damien le si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla e sussurrandole all’orecchio.
“Non possiamo fare niente mi dispiace.”
Julie si alzò e corse fuori dalla sala.
Sharkey non sapeva che fare, doveva seguirla, o magari voleva stare da sola per un po’.
Cosa doveva fare?
Damien lo guardò consigliandolo prontamente.
“Vai da lei, cerca di calmarla.”
Lui seguì il suggerimento e corse da Julie, uscì nella grande hall ma non sapeva dove andare, c’erano troppe
stanze, c’era una ragazza alla reception, attirò la sua attenzione con un gesto.
Lui si avvicinò, quella ragazza era l’unica persona nell’atrio, era molto bella, mora, di carnagione scura.
Teneva in mano un telefono, si rivolse dolcemente a Sharkey.
“Ora dovrei chiamare i miei superiori per riferire quello che ho visto, state rischiando troppo.”
Lui non capiva, rispose nervoso.
“Ma hanno ucciso una ragazza! Come dovremmo reagire?!”
Lei cercava di attirare l’attenzione il meno possibile.
“Shhh. Parla piano. Non stavo parlando di questo, ma di quello che è successo prima, sulle poltrone.”
Sharkey era confuso, la ragazza continuò.
“Non so cosa c’è fra voi due, ma mi sembra che sia molto più profondo di una semplice amicizia, non sono
affari miei. Qui nell’organizzazione però quei comportamenti non sono ben visti, sai, essere innamorati toglie
lucidità, distorce la realtà secondo le regole. Se vi beccassero passereste guai seri.”
“Perché mi stai aiutando?”
“Mi piaci, vedo in te qualcosa di diverso rispetto a tutti quelli che sono passati di qua. Sai, io lavoro qui, sono
parte della gang ma in fondo credo in un cambiamento anche se non posso dirlo. Penso che ognuno di noi
debba fare qualcosa affinché le cose cambino. Non usare questo telefono ora è il mio piccolo contributo. Non so
cos’hai in mente ma so che farai qualcosa di grande. Ora vai, la biondina è là dentro.”
Sharkey accennò un sorriso.
“Grazie, ti devo un favore.”
Poi fece per correre verso la stanza ma si fermò.
“Ah dimenticavo, io mi chiamo Sharkey, e tu?”
La ragazza della reception fu colta di sorpresa.
“Nessuno mi ha mai chiesto come mi chiamo.”
“L’hai detto tu, io sono diverso.”
“Io sono Simi.”
“Ok Simi, continua a credere nel cambiamento, le cose cambieranno.”
Poi si voltò dirigendosi definitivamente nella stanza in cui Simi gli aveva detto che si trovava Julie, infatti la vide,
era accovacciata in un angolo, piangeva e singhiozzava.
“Julie, sono qui.”
Il ragazzo si mise accanto a lei stringendola forte in un caloroso abbraccio.
Lei appoggiò la testa contro il suo petto mentre le lacrime le uscivano copiosamente dagli occhi.
“Stai tranquilla, ci sono qua io. Non sei sola.”
“Perché?! Cosa le hanno fatto?!”
“Shhh. Calma, stai tranquilla.”
“Non può essere! Perché proprio lei?!”
Sharkey lasciò sfogare Julie per qualche minuto, poi lentamente la ragazza si calmò ed asciugandosi le lacrime si
rialzò in piedi per andare a vedere cosa succedeva nella stanza di Lily, lui la seguì.
Uscirono nell’atrio, Simi stava alla reception, guardava i due ragazzi dolcemente. Sharkey le sorrise, lei fece lo
stesso.
Entrarono nella sala, al suo interno si trovavano tutti i prelevati, Lexy e altri tre ragazzi vestiti di rosso.
Lexy discuteva animatamente con loro, non si capiva cosa stesse dicendo, tutti quanti parlavano, le voci si
accavallavano creando una confusione incredibile, Lily si trovava ancora sul divano, l’avevano coperta con un
telo.
Sharkey si avvicinò a Damien che li aveva chiamati poco prima per avvisarli dell’accaduto.
“Ma cosa diavolo è successo?”
“Non lo so. Ho sentito Lily che urlava e mi sono catapultato qui ma era già troppo tardi, era in una pozza di
sangue, ho provato a fare qualcosa ma per lei non c’era più niente da fare, era già morta.”
“L’hanno accoltellata?”
“Sì, stava riposando qui sul divano e qualcuno l’ha colpita mentre dormiva.”
“Chi può essere stato?”
“Non ne ho idea, è assurdo. Perché proprio lei poi?”
“Forse siamo tutti in pericolo.”
“Già, c’è qualcosa di strano.”
“Chi sono quegli uomini in rosso?”
“Sono dell’organizzazione. Credo che siano una sorta di investigatori, per capire cos’è successo, non lo so di
preciso nemmeno io.”
“Lexy è qui da molto?”
“Lo hanno chiamato appena sono venuti a sapere dell’accaduto. Si è precipitato qui immediatamente, da quando
è arrivato sta discutendo con quei ragazzi in maniera abbastanza nervosa.”
Lexy terminò il discorso con i ragazzi in rosso e si diresse verso Sharkey e Damien.
“Ragazzi ma che succede?”
Sharkey lasciò parlare il suo compagno.
“Non lo sappiamo, io sono arrivato qui ed era già troppo tardi. Chi sono quei ragazzi?”
“Sono del reparto investigativo della gang. Dovrebbero avere il compito di fare luce sulla situazione ma si stanno
comportando in maniera alquanto strana.”
“Per questo stavi parlando in modo così vivace?”
“Sì, danno quasi la sensazione che sia successo perché doveva succedere, mi dicono di non mettermi in mezzo
che non sono affari miei. Lo sono eccome invece! Io vi ho addestrati per farvi entrare qui, siete miei allievi, non
possono venire ed eliminare un mio prodotto senza subirne le conseguenze.”
Sharkey allora si intromise nel discorso.
“Siamo in pericolo anche noi?”
Lexy si fermò per pensarci su qualche secondo.
“Ragazzo per me è impossibile mentire, però ho una brutta sensazione su questa storia. State in guardia, non
distraetevi mai, non fidatevi di nessuno, nemmeno di chi pensate sia vostro amico. Ho imparato che il male
riesce ad assumere forme insospettabili. Fate attenzione.”
“Potrebbe essere stato uno di noi secondo te?”
“Chi può dirlo. Qui dentro girano molte persone è impossibile dare un risposta tirando ad indovinare, voi state
attenti. Anzi chiamate gli altri vostri compagni, ci vediamo fra cinque minuti nella sala relax numero tre.
Dobbiamo parlare.”
Sharkey e Damien ubbidirono e portarono tutti quanti nella sala dove si trovava già Lexy che stava in piedi
davanti ad una finestra con le braccia incrociate mentre guardava i ragazzi in rosso che caricavano il corpo di Lily
su un furgone anch’esso rosso e la portavano via.
“Sedetevi.”
Disse l’addestratore con espressione seria e corrucciata.
I ragazzi fecero quello che diceva.
“Oggi è successa una cosa che non dovrebbe accadere, specialmente all’interno di un sistema come il nostro che
si basa sulla collaborazione, sul gioco di squadra, sull’onore e sulla fedeltà. Oggi è stata brutalmente uccisa una
ragazza. Un atto spregevole, per prima cosa perché questa ragazza faceva parte, seppur da poco tempo, della
gang. Seconda cosa, non si usa la violenza sulle donne quindi accoltellare una ragazza è un gesto totalmente
contro le regole, per giunta nel sonno, senza onore, senza dignità. Mi infastidisce che un elemento sia stato
eliminato. Ma ciò che più mi rode è che qua dentro, ci sia una persona marcia. Un individuo vuoto, privo di ogni
valore, schifoso. Un essere del genere non ha il diritto di trovarsi qua dentro, di respirare la nostra aria, di
mangiare il nostro cibo, di camminare sul nostro suolo.”
I ragazzi ascoltavano Lexy in silenzio, la maggior parte con la testa bassa e gli occhi ancora lucidi per le lacrime
versate per Lily.
“La cosa peggiore di tutto questo è che questa persona, se si può definire tale, questo virus che infetterà tutti se
non viene eliminato subito, si trova proprio qui dentro, in questa stanza.”
Tutti i prelevati alzarono il capo con gli occhi sgranati e cominciarono a guardarsi attorno.
“Proprio così. Questo maledetto è tra noi. Io ne avevo il sentore ma pochi minuti fa i ragazzi in rosso me ne
hanno dato conferma. Fatti avanti vigliacco, abbi il coraggio di mostrare il tuo volto per una volta. E’ fin troppo
facile fare le cose di nascosto, alle spalle, quando nessuno vede.”
Tutti si guardavano a destra e a sinistra, erano terrorizzati.
Lexy estrasse dalla tasca la sua calibro 9, era carica.
“Se non vuoi venire fuori tu, ti aiuterò io, non credere di sfuggire ancora, sei giunto al capolinea. Fine della
corsa.”
Nessuno fiatava, nessuno si muoveva.
L’addestratore alzò la pistola all’altezza delle teste dei ragazzi e cominciò a puntare casualmente ognuno di loro.
Si fermò su Sharkey per qualche secondo, poi parlò.
“Ragazzo.”
A Sharkey si gelò il sangue, sapeva che Lexy era pazzo, completamente schizzato, poteva inventarsi qualsiasi
cosa, addirittura che lui era il colpevole. Non poteva essere, era impossibile. Deglutì rumorosamente.
“Ti ricordi quando ti ho detto prima che il male riesce ad assumere forme insospettabili?”
Lui annuì lentamente.
“Bene. Era proprio vero, quelli che credi siano tuoi amici poi ti tradiscono, e va a finire che i tuoi nemici ti
stanno salvando la vita. E’ un peccato che proprio le persone che credevi migliori poi alla fine si rivelino sempre
per quello che sono...”
Tutti avevano gli occhi puntati su Sharkey che sudava, Julie tremava accanto a lui, non poteva credere che quella
situazione fosse reale.
Lexy portò il dito sul grilletto facendo una leggera pressione. Poi continuò alzando la voce.
“...e cioè degli infami!”
Spostò rapidamente la pistola puntandola alla fronte di Damien.
A quel punto tutti si voltarono verso di lui, Sharkey faceva fatica a respirare.
Damien non ci riusciva proprio. La canna della calibro 9 premeva sulla sua fronte e lui cominciò a tremare.
“Adesso non fai più il duro eh?! E’ diverso colpire la gente mentre dorme vero vigliacco?!”
Lexy aveva alzato il tono di voce, era freddo e tuonante.
“Ora pagherai per quello che hai fatto verme!”
Damien non riusciva a parlare, cercò di articolare qualcosa.
“N-n-non s-sono stat-to i-i-i-io…”
“Cosa? Come dici? Non sei stato tu?”
“N-no…”
“Nemmeno con una pistola puntata in testa riesci a mostrare un po’ di coraggio? Ti hanno ripreso le telecamere.
Sei stato beccato ragazzo. E pensare che io credevo che fossi uno dei miei allievi migliori, beh mi sbagliavo di
grosso. Sei riuscito a nasconderti, a mimetizzarti fra questi altri ragazzi. C’è sempre la mela marcia, in questo caso
hai scelto di esserlo tu. Mi dispiace scelta errata.”
“M-ma io n-non ho fa-fa-fatto nie-nien-nte!”
Lexy lo fulminò con lo sguardo e spinse forte la canna della pistola contro la sua fronte gridando.
“Game over!”
Un botto tremendo rimbombò all’interno dell’edificio, la parete alle spalle dei ragazzi si coprì di sangue. Damien
fu scaraventato a terra con un buco che gli attraversava il cervello. I ragazzi erano scioccati, si fecero da parte
allontanandosi dal corpo del loro ormai ex compagno. Lexy era ancora in posizione, con il braccio teso mentre la
pistola fumava abbondantemente dopo lo sparo.
Silenzio totale. Nessuno fiatava.
Lexy riprese la parola guardando tutti i presenti nella stanza.
“Questo è un segnale forte. Qui non si scherza. Non siamo qui a giocare, qui ci sono delle regole. Se cercate di
opporvi verrete schiacciati dagli ingranaggi, la macchina è troppo grande e troppo potente per riuscire a scalfirla,
chi va contro al piano viene macinato, distrutto. Tenetevelo bene in testa. Da domani sarete un ingranaggio, un
pezzo del grande meccanismo. Fate una cazzata e verrete distrutti.”
Con quelle parole se ne andò lasciando tutti i ragazzi a bocca aperta. Il corpo di Damien stava là a terra, con un
buco in fronte a mollo in un lago rosso.
Uscirono dalla sala andando nell’atrio per cercare aiuto.
Andarono da Simi.
“Lexy ha…”
Lei rispose prontamente.
“E’ già tutto a posto, stanno arrivando dei ragazzi a mettere in ordine.”
Non aveva il suo classico dolce sorriso, era seria, guardò Sharkey per un attimo poi abbassò la testa.
Era tardi ormai, andarono tutti a dormire, in mente un tornado di pensieri, Sharkey non si dava pace, non
riusciva ancora a concepire il fatto che Damien avesse ucciso Lily, aveva tradito tutti quanti. Era assurdo, e lui si
era fidato, lo vedeva come un amico, era quasi arrivato al punto di parlagli del piano e di tutta la storia che aveva
in testa. Per fortuna non lo aveva fatto. Nemmeno Julie, che aveva maturato una sorta di sesto senso nel
riconoscere le persone, non era riuscita a sospettare di Damien, sembrava davvero un ragazzo in gamba, fidato,
era possibile che fosse stato in grado di celare la sua doppia faccia in maniera così abile? Se la risposta era sì,
come evidentemente lo era, aveva ragione Lexy, chiunque poteva essere qualunque cosa in realtà. Tutti potevano
nascondere una doppia faccia, come aveva fatto Damien.
I ragazzi si addormentarono consapevoli che il giorno successivo sarebbe stato definitivamente quello più
importante. Al loro risveglio sarebbero stati membri effettivi della gang. La vera sfida per Sharkey e Julie iniziava
in quel momento. Dovevano seguire le regole mantenendo in testa il loro piano. Sarebbe stata dura, ma i due
erano decisi e convinti.
“Sveglia! L’ora è arrivata!”
Una voce squillante perforò la fase r.e.m. dei ragazzi svegliandoli di soprassalto, era molto presto il sole si stava
alzando lentamente nel cielo ancora scuro. Sharkey era già sveglio, non aveva dormito molto, forse un paio d’ore.
La stessa cosa valeva per Julie, era tesa, nervosa, l’omicidio di Lily l’aveva scioccata parecchio e quell’inspiegabile
episodio sommato allo sconcertante tradimento di Damien aveva creato in lei una confusione mentale che
cercava di nascondere comportandosi come se fosse completamente tranquilla e sicura.
Sharkey però la vedeva, fino a qualche ora prima era una ragazza ferma, decisa, non avrebbe vacillato per nulla al
mondo, doveva stare attenta, non poteva perdere la lucidità proprio nel giorno cruciale.
“Dai! In piedi!”
La voce continuava ad incitare i ragazzi ad alzarsi dalle brande e prepararsi.
Chi parlava era una ragazza molto alta, vestita da maschio, jeans di qualche taglia più grandi, scarponi di cuoio e
un pesante maglione di lana beige. Non aveva il minimo accenno di trucco, i capelli biondi, corti e spettinati.
Guardava i neo membri con aria severa, stava in piedi davanti alla porta rigida e con le mani lungo i fianchi.
I ragazzi si vestirono velocemente, dopo di che si fiondarono verso la ragazza.
“Io mi chiamo Pararia Atrobata. Vi accompagnerò alla sala dei compiti, lì verrete a conoscenza del vostro futuro.
Seguitemi.”
Fecero tutti quanti come diceva, attraversarono un breve corridoio che conduceva ad una piccola stanza, senza
finestre. C’erano sei sedie, tante quanti erano i ragazzi.
“Sedetevi.”
Disse Pararia.
Si accomodarono, lei cominciò il suo discorso camminando lentamente tra di loro.
“Siete partiti in quattordici, ora siete rimasti in sei. Questo significa che in qualche giorno più della metà non ce
l’ha fatta. Niente male come risultato, anche se per voi sarà abbastanza strano. Da dove venite non siete abituati
a pensare che qui dentro le cose siano così dure. Voi guardate da fuori, ascoltate ciò che vi dicono, parole di
persone che non possono minimamente sapere ciò che stanno dicendo perché qui dentro non ci sono mai stati.
Di questo ne potete essere sicuri al cento per cento perché se c’è una cosa certa qui è che una volta entrati nella
gang l’unico modo per uscirne è da morti. Quindi qualunque cosa abbiate sentito a proposito di questa
organizzazione là fuori, che sia nel ghetto o nella città non fa alcuna differenza, è totalmente senza fondamenta.
In ogni caso dall’esterno sembra il paradiso. I membri della gang sono quasi degli dei, intoccabili, sapienti,
comandano, fanno le regole ed hanno tutto ciò che vogliono. Beh non è così, o per meglio dire è così per
qualcuno ma sicuramente non per la maggior parte di noi. Lo scopo è salire sempre di più fino ad arrivare ad un
livello tale da contare veramente all’interno del sistema. Perché purtroppo la triste realtà è che nel meccanismo
pochi sono indispensabili, anzi oserei dire nessuno. Comunque sia, noi ci troviamo nei piani bassi, siamo
solamente delle minuscole rotelline che possono essere sostituite in qualsiasi momento. Questo è quello che non
si vede, la maggior parte dei membri qui fa il lavoro sporco, quello invisibile. Voi pensate che chi va a fare le
incursioni nei ghetti, a saccheggiare, a depredare, a rapire i ribelli lo faccia per chissà quale ricompensa. Errore di
nuovo. Nessun premio, nessun trofeo, è solo il compito, ognuno ha un ruolo nel sistema, o lo esegue alla
perfezione in modo che la macchina funzioni, o viene eliminato e sostituito. Domande?”
Nessuno rispose, tutti avevano paura delle conseguenze.
Pararia se ne accorse.
“Non preoccupatevi, ora i metodi sono cambiati, non siete più sotto valutazione adesso, siete dentro ragazzi,
siete parte della gang ormai. Domandate ciò che volete, le persone con dei dubbi sono bloccate, di conseguenza
non possono svolgere al meglio il proprio compito.”
Julie alzò la mano.
“Dimmi Julie.”
“Perché lo fai?”
Pararia fu spiazzata, rimase qualche secondo sovrappensiero poi riprese.
“Perché faccio cosa?”
“Questo. A sentire le tue parole sembra che siamo finiti in una trappola. Non solo noi sei, ma tutti quanti, tu per
prima. Perché lo fai? Perché continui questa cosa?”
La risposta arrivò pronta.
“Non è una trappola, il nostro scopo è quello di sopportare dei sacrifici ora per poi salire e godere dei benefici
che ci saranno.”
“E se non fosse possibile salire? Se noi fossimo destinati a rimanere schiacciati qui, senza via d’uscita? Quanti ne
hai visti andare su, uscire da questo tunnel?”
“Non ci è permesso sapere cosa succede all’interno dell’organizzazione, noi non prendiamo decisioni, eseguiamo
compiti.”
“Perché dobbiamo portare a termine queste consegne, qual è lo scopo?”
“Non siamo abbastanza in alto per saperlo, dobbiamo solo essere fedeli, la gang sa cosa fare, perché dovresti
dubitare di essa? Comandiamo il mondo, o stai da una parte oppure stai dall’altra, non ci sono vie di mezzo. O
porti a termine le richieste puntualmente oppure sei fuori, eliminata. Non è difficile da capire, i metodi estremi
esistono perché il mondo ora è estremo e se non ci comportassimo così l’organizzazione intera sarebbe già
saltata dall’inizio come è stato per tutti i grandi sistemi che ci hanno preceduto. Noi siamo un sistema perfetto,
elitario, formato dalle persone migliori con dei valori, che seguono un’ideologia, un modello di pensiero
impeccabile e vincente. Non c’è motivo per avere dei dubbi. Siamo parte della rivoluzione più grande che sia mai
esistita nella storia del genere umano. Fra poco gli adulti saranno completamente estinti e il pianeta ripartirà da
zero, dai giovani, dalle mentalità nuove, dalle idee diverse. Sarà una nuova era.”
I ragazzi avevano preso coraggio dopo l’intervento di Julie, cominciarono a porre altre domande.
“Ma le nuove persone diventeranno vecchie a loro volta, che cosa succederà una volta superati i vent’anni?”
“Noi non lo sappiamo, non è un problema finché non arriviamo a vent’anni. Allora ci penseremo. Noi crediamo
che sia indispensabile pensare solamente al presente per portare a termine i compiti al meglio, ogni pensiero sul
futuro ci distrae, il futuro non dipende da noi, è la gang che decide cosa succederà domani, noi sappiamo che se
lavoriamo bene e completiamo con successo il nostro lavoro, il domani sarà luminoso. L’organizzazione trova
una soluzione per ogni cosa, anche per questa la troverà, nel caso non l’avesse già fatto.”
“Come si fa a salire?”
“Impegno, sacrificio, fedeltà, abnegazione, lavoro. Fate ciò che vi viene chiesto di fare senza troppe domande e
nel modo più veloce e più silenzioso possibile e attendete la chiamata.”
“La chiamata di chi?”
“Dovete avere fiducia in voi stessi, se siete degli elementi meritevoli verrete premiati. Non ci è dato sapere chi c’è
sopra di noi, ma una cosa è certa, l’organizzazione è costruita in modo piramidale, come tutti i grandi sistemi.
Noi siamo il primo scalino, siamo in tanti, non ci conosciamo nemmeno tutti. Più in alto si va e meno persone ci
sono, le regole diventano più rigide, c’è meno margine di errore e le consegne saranno di vitale importanza, per
questo è fondamentale abituarsi qui a lavorare con costanza e dedizione. Voi siete nuovi, dovete aprire il vostro
varco nel gruppo, inserirvi, farvi notare in mezzo a molti altri che sono qui da tempo, l’unico modo è lavorare
meglio di loro, fedeltà alla gang. L’unica cosa che dovete tenere a mente.”
“Ma quali sono i nostri compiti?”
“Ora ci arrivo, con calma. Prima di svelare il vostro destino è giusto che voi sappiate che ci saranno richieste che
secondo la vostra etica, il vostro moralismo, vi sembreranno sbagliate, ingiuste, avrete la forte voglia di
disobbedire. Non fatelo, tutto ciò che avete in testa, credenze, morale, valori, sono tutte cose fasulle, tramandate
a voi dagli adulti che a loro volta sono stati educati da persone ancora più vecchie che adottavano un metodo di
pensiero obsoleto ed arcaico. Eliminate le vostre idee, azzerate la mente e lasciate che la gang, la vera sapienza vi
riempia. Ricordatevi com’era il mondo prima di noi, gli adulti seguendo le vecchie ideologie hanno trascinato la
Terra verso il precipizio, sono riusciti quasi a distruggerla. Date un’occhiata ora invece, le baby gang hanno
introdotto un nuovo rivoluzionario metodo di pensiero che sta risollevando il mondo, le regole sono molto
rigide secondo voi, ma sono giuste. Avete protestato, manifestato, avete dato e preso botte in piazza per un
mondo diverso e migliore, ora il vostro sogno è reale e voi potreste diventarne i protagonisti, ci siete dentro
ragazzi non lasciatevi imprigionare mentalmente dalle idee dei vostri genitori, mostrate fedeltà alla gang. Mi
sembra che non ci possano essere dubbi, credo che sia veramente chiaro e palese chi sia il nemico e chi invece sia
giusto appoggiare per fare in modo che questo mondo nuovo avanzi. Non serve rifletterci molto sopra, la
risposta è davanti ai vostri occhi. I vecchi hanno fallito, noi stiamo vincendo. Oggettività. Nient’altro. E ora
passiamo all’assegnazione dei compiti, vi spiegherò cosa dovrete fare d’ora in poi. Da questo momento in avanti
il vostro punto di riferimento sono io. Vi assegnerò un compito alla volta, voi lo eseguirete in modo rapido come
vi è stato insegnato da Lexy negli ultimi giorni. Per qualsiasi dubbio, domanda, spiegazione relativa alla richiesta
ed all’esecuzione di essa dovrete venire da me, solo io posso darvi delle risposte corrette e utili. Non cercate aiuti
esterni, nessuno deve sapere nulla degli altri. Lavoro individuale per uno scopo collettivo. Ora, dato che siete
all’inizio, più o meno tutti i nuovi cominciano dalla base, e cioè sporcandosi le mani e la coscienza per chi crede
che esista. Inizierete con le incursioni nel ghetto. Tutti tranne te, Julie. Come vi è stato già spiegato in altre
occasioni la maggior parte delle ragazze ricopre altri ruoli, meno pericolosi. Quindi voi cinque ragazzi avrete dei
compiti che svolgerete nel ghetto, mentre Julie resterà qui nel quartier generale. Probabilmente non vi rivedrete
più fra di voi, le vostre strade si dividono definitivamente.”
Pararia tirò fuori dalla tasca dei jeans un piccolo quaderno un po’ consumato ed aprendolo iniziò a sfogliarne
velocemente le pagine.
“Bene, questo è il quaderno dei compiti, qui sono riportati tutti i miei appunti su ciò che mi viene chiesto
dall’alto e che poi ovviamente io dovrò fare.”
Si fermò, lasciando il libretto aperto su una pagina scritta in modo fitto e minuscolo, ma ordinato.
“Ecco qui. Julie, cominciamo da te che sei l’unica ragazza e quindi mi stai anche più simpatica degli altri…”
Guardò Julie e sorrise, voleva sciogliere un po’ la tensione che si era creata, i neo membri erano ammutoliti ed
immobili mentre attendevano.
“…Julie tu partirai dalla reception, come la maggior parte delle tue compagne che ti hanno preceduto. Si trova
nel corridoio numero tre, sai già come funziona, Lexy te l’ha spiegato sicuramente, non è faticoso se non per le
lunghe ore nelle quali dovrai stare in piedi. Mi raccomando, sempre con il sorriso, è fondamentale. Ora vai, la
porta è quella. Benvenuta nel gioco.”
La invitò ad uscire indicando la porta dalla quale erano entrati poco prima.
Julie si alzò in piedi, Sharkey le sorrise strizzandole l’occhio. Lei uscì tranquillamente richiudendo la porta alle sue
spalle.
“Continuiamo.”
Riprese Pararia.
“Sharkey tu sei il prossimo. Mi hanno detto belle cose su di te, sei un ragazzo in gamba. A dire il vero non mi
sembri molto sveglio ma se i miei colleghi dicono il contrario ci sarà una ragione. In ogni caso tu sei stato
assegnato alle incursioni nel ghetto, dovrai infiltrarti come ti è stato insegnato e prelevare beni materiali, cibo,
gioielli, attrezzi, qualsiasi cosa utile. Non dovrai cercare i ribelli, non è compito tuo, se ne trovi lasciali perdere.
Tutto chiaro?”
“Chiarissimo!”
Rispose Sharkey prontamente.
“Bene ora puoi andare. Benvenuto nella gang. Buona fortuna.”
Il ragazzo si diresse verso la porta come prima di lui aveva fatto Julie ed uscì dalla stanza.
Si sentì spaesato, era da moltissimo tempo che non si trovava completamente solo. Tempo prima non sarebbe
stato sicuramente un problema, ma come sempre accade l’abitudine rendeva le cose normali, anche quelle
negative come la solitudine. Invece aveva scoperto che esistevano persone come lui, con delle idee simili, con le
quali poteva confrontarsi e parlare, la più importante era proprio Julie, chissà che piega avrebbero preso le loro
vite da quel momento in poi.
Improvvisamente i discorsi nella sua testa si interruppero.
“Ehi Sharkey.”
Una voce lo chiamava, la conosceva bene, era Julie.
“Dove sei?”
Si affrettò a chiedere.
“Vieni da questa parte, dietro l’angolo.”
Il ragazzo imboccò un corridoio e la trovò là ad aspettarlo, non era andata direttamente alla reception.
“Cosa ci fai qui? E se ti scoprono?”
“Non succederà.”
“Che cosa accadrà adesso?”
“Che intendi dire?”
“Ci rivedremo ancora? O ci hanno divisi per sempre?”
“Non potranno mai dividerci Sharkey, noi siamo un’idea, continueremo a portare avanti il nostro progetto.
Anche se siamo lontani io so che ce la faremo, dobbiamo essere forti. Credo che un giorno o l’altro ci
rivedremo.”
Sharkey sapeva che quelle parole erano ciò che lui voleva sentirsi dire, ma la verità era che quasi sicuramente non
si sarebbero più rincontrati.
I due ragazzi si guardarono profondamente negli occhi, ad entrambi luccicavano, erano lucidi ma si sforzavano di
non versare lacrime, doveva essere un addio trionfale. Avvicinarono i loro visi sempre di più fino a che le loro
labbra sfiorandosi diedero vita ad un bacio magico che durò pochi istanti ma che nelle loro menti sarebbe
rimasto indelebilmente stampato per sempre.
“Addio Julie.”
“Sharkey, ci rivedremo, lo sento. Buona fortuna.”
Julie non riuscì più a trattenere le lacrime e dopo aver salutato il ragazzo si voltò correndo via lungo il corridoio.
Sharkey rimase immobile, aveva gli occhi lucidi, ma non pianse.
Cercava di credere all’ultima frase di Julie, sperava tanto che sarebbe andata come diceva lei.
La guardò allontanarsi per poi sparire voltando l’angolo alla fine del corridoio.
Decise che un nuovo capitolo della sua missione era iniziato, doveva concentrarsi totalmente sul progetto, non
poteva ripensarci, ormai era dentro, la scalata vera, quella dura, iniziava in quel preciso istante. Andò deciso verso
la zona in cui avrebbe trovato armi e vestiti adatti per l’incursione.
Arrivò nella stanza, era immensa, decine e decine di armadietti con i nomi di tutti i membri della gang stavano in
fila l’uno accanto all’altro. Trovò il suo, ‘Sharkey Avens’. La chiave si trovava sulla porta, aprì l’armadietto e dentro
c’era tutto ciò di cui aveva bisogno, pistole, fucili, coltelli, tutte le armi immaginabili. Ed erano sue.
Indossò la tuta da incursore, cappello di lana, scarponi, pistola nei pantaloni ed era pronto per partire.
La via per raggiungere il ghetto era un tunnel che attraversava sotterraneamente un parte di periferia della città e
terminava in una zona del ghetto abbandonata e totalmente disabitata.
Sharkey imboccò il tunnel, al suo interno il buio regnava sovrano, avanzava con l’aiuto di una piccola torcia. Un
odore acre e nauseabondo penetrava nelle narici mozzando il respiro, la strada era relativamente lunga, una
decina di minuti là dentro pareva un’eternità.
Finalmente raggiunse l’uscita, si gettò fuori dal tunnel prendendo un’interminabile boccata d’aria che gli riempì i
polmoni scacciando in parte il fetore che aveva inalato negli ultimi minuti.
Si guardò intorno, sapeva bene dove si trovava, poco più di una settimana prima era lì, nel ghetto. Lo conosceva
a memoria.
Controllò la situazione, non c’era nessuno nei paraggi, decise di muoversi.
Era molto buio, la notte scendeva presto e per i membri della gang era perfetto, più tempo per le incursioni.
La testa di Sharkey però non aveva nemmeno un pensiero che si avvicinava all’incursione. Continuava a pensare
a Julie, non se la toglieva dalla testa. Poi un’immagine gli sfrecciò davanti agli occhi, un flashback.
Barud!
Ricordò che aveva promesso al suo maestro di andarlo a cercare una volta avuto il pass per rientrare nel ghetto.
Era quello il momento, ce l’aveva fatta. Era riuscito a far parte della gang e ad arrivare lì, a quel punto doveva
ritrovare Barud assolutamente per raccontargli ciò che aveva visto e sentito. Aveva moltissimo materiale.
La cosa più difficile sarebbe stata trovarlo.
C’era un posto nel quale poteva essere, decise di cominciare a cercarlo da lì.
[CONTINUA...]
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