DESIGN AMORE MIO 2 PREFAZIONE Sono passati pochi anni da quando scrissi e pubblicai Design Amore Mio, pensando che sarebbe rimasta l’unica testimonianza della mia esperienza di scrittore. Il libro voleva dare alcune semplici risposte a domande ricorrenti poste da neo diplomati designer, ma anche di persone semplicemente interessate a questo mestiere, su come si inizia a farlo, come si può incontrare un produttore delle proprie idee, in che modo proteggerle e anche come farsi pagare. Dopo quella pubblicazione, volutamente leggera ed ironica, più di qualcuno mi ha suggerito di farne un’altra, basata sulle mie esperienze lavorative e che andasse più a fondo su argomenti specifici come i cambiamenti e le strategie, le evoluzioni nel rapporto tra il designer e le industrie committenti, sia a livello tecnico e tecnologico che economico. Data la fatica dell’opera prima, l'idea di avventurarmi in un nuovo progetto di questo genere mi preoccupava.. Eppure quella prima esperienza mi aveva portato molte soddisfazioni, sia per i complimenti ricevuti sia per le critiche costruttive poste dai lettori, che sono state, per me, un prezioso spunto di crescita. In Design amore mio avevo volutamente tralasciato molti argomenti del lavoro del designer, ripeto: era un testo più autobiografico. Oltre al riconoscimento per aver portato a conoscenza dei lettori alcuni temi specifici della professione, ho anche ricevuto lamentele per averne trascurati altri, ad esempio per non aver parlato dei ruoli con i quali la mia professione interagisce. Il tempo che passa e fa dimenticare le cose negative, il desiderio tutto senile di raccontare in un nuovo modo la mia avventura, mi hanno infine suggerito di riprovarci. 2 2 Questo libro racconta le mie considerazioni pratiche, rivolte a tutti coloro che si trovano all'inizio della loro professione di designer e ancora non sanno come diffondere e difendere le proprie idee in questo mondo professionale complesso. Si tratta di semplici spunti, che non pretendono di descrivere una filosofia del design, soprattutto perché la mia esperienza nel settore, iniziata oltre quarant'anni fa, ha ben poco di teorico e si fonda essenzialmente sull'esperienza. Ho voluto quindi integrare in questo libro anche le riflessioni pubblicate nella rubrica mensile Workshop della rivista "Il bagno oggi e domani". La rubrica affrontava diversi argomenti, non solo quelli legati all'ambiente bagno, che da semplice area di servizio si è oggi trasformato in un angolo di benessere all'interno delle nostre case. Infine, ho anche inserito nel testo alcune considerazioni nate da scambi d'opinione con colleghi e amici e alcuni dati derivanti dall'interazione formale con le aziende, che un giovane designer agli esordi potrà trovare utili. È noto l'episodio del calabrone, che in base ai calcoli e gli studi di un gruppo di ricercatori della NASA, l’ente americano di ricerca aerodinamica sul volo, non dovrebbe poter volare! Il calabrone non conosce i risultati di queste ricerche e cosi , per istinto, vola e anche bene! Io mi sento un calabrone - designer. Ho deciso di scrivere questo libro basandolo sulla mia esperienza di volo, anziché sulle teorie un po' astratte di chi non ha mai volato nel grande spazio del design. Sono teorie verso le quali nutro il massimo rispetto, ma sulle quali non sono mai riuscito a fondare i miei atti pratici, basati solo su memorie di esperienze vissute per decenni di attività professionale. Iniziata negli anni sessanta, la mia attività di designer si fondava su esperienze condivise con mio padre industriale e costruttore edile, sulla mia attività di giovane arredatore , di commerciante di mobili moderni e dalla preparazione scolastica del disegno tecnico. CAPITOLO PRIMO Ho diviso questo mio scritto in tre sezioni; la prima rivolta maggiormente al designer come consigli sull’operatività rivolta alla creazione e allo sviluppo del progetto, la seconda parte è una presa di conoscenza da parte dello stesso designer delle strutture aziendali verso le quali si dovrà interfacciare per sviluppare il proprio progetto. La terza parte presenta alcuni progetti del mio studio sui quali descriverò le caratteristiche e le motivazioni che hanno determinato il loro sviluppo produttivo e commerciale. 3 Italiani un popolo di designer Ai tempi del governo Craxi noi designer, soci ADI, avanzammo la richiesta di essere tutelati e d'essere oggetto d'iniziative a favore della nostra professione. Ci risposero che, essendo appena 600-700, il nostro numero era talmente esiguo da non suscitare alcun interesse politico. Ma si trattava proprio di quel piccolo numero di designer che ha reso famosa l'Italia nel mondo, grazie a prodotti ed espressioni anche artistiche in ogni settore, dalle auto all'abbigliamento e fino all'arredamento. Stiamo parlando, in poche parole, dello stile italiano nel mondo. Allora non esistevano ancora corsi universitari, ma solo poche scuole private a Milano. Oggi il mondo politico ha preso coscienza del valore economico rappresentato dal design e le università da qualche hanno attivato corsi di laurea e di diploma universitario in molte città come Milano, Roma, Firenze, Napoli, Pescara, Camerino, Ascoli Piceno e altre. Con qualche migliaio di laureati ogni anno e una maggiore consapevolezza da parte degli imprenditori sul valore aggiunto del design, lo stile italiano sta riconquistando quella fama che aveva corso il rischio di perdere. La legittima domanda suscitata da tale meccanismo è se questi neo laureati troveranno un lavoro. Io sono ottimista. Molti architetti finiscono per fare i lavori più disparati e apparentemente non legati alla loro specifica formazione. Lavorano come impiegati negli uffici pubblici e privati con mansioni burocratiche, mediatori immobiliari, disegnatori di moda ecc.. Ma le loro competenze non potranno che contribuire a diffondere la cultura dell'architettura negli ambienti diversi in cui si troveranno ad operare. Così, qualunque possa essere la strada seguita, molti futuri designer contribuiranno con le loro conoscenze tecnico-stilistiche dei prodotti che ci circondano, a creare una cultura più evoluta sull'uso e la selezione degli oggetti. Questo contribuisce a migliorare la qualità della vita di tutti noi. È un meccanismo che interessa chi lavora come designer, ma incide anche nella vita quotidiana dei semplici utilizzatori, sensibilizzando chi lavora nell'amministrazione pubblica e nel settore dell'industria privata, e anche coloro che diventeranno politici o insegnanti. Si tratta di settori che spesso hanno ignorato le tematiche del bello e dell'utile, nonché il fondamentale tema della sicurezza nella progettazione degli oggetti quotidiani. Essere designer è dunque un approccio mentale che è applicato a qualsiasi professione: il designer continua a progettare elementi di miglioramento per la vita di tutte le classi sociali. 4 Gli strumenti culturali La creatività è un concetto ed una filosofia comportamentale che affascina anche chi non la pratica. Quando poi si viene a conoscenza degli strumenti e delle cognizioni progettuali per attuarla, specialmente dopo aver conseguito un percorso formativo e relativo attestato, si ha voglia ed entusiasmo di vedere concretizzate le proprie idee. Qui cominciano spesso ad arrivare le prime difficoltà. Dopo le prime esperienze con dei produttori, in molti giovani. Ho percepito una certa delusione verso un mestiere che non sembra dare giusto valore ai loro progetti e alle loro ambizioni. Alcuni, talvolta, mi hanno chiesto perché. Mi sono così reso conto che c’è bisogno di approfondire le informazioni riguardanti la pratica del design, moderando alcune illusioni derivate dal successo di alcuni personaggi presenti nel mondo delle grandi “firme”. Il successo, per chi comincia, è l’obiettivo da raggiungere, e l’analisi dei possibili metodi è lo scopo che si prefigge questo testo. Non devono essere presi come metodi sicuri, ma sono solo come spunto di riflessione su considerazioni di chi le ha sperimentate. Questo libretto potrebbe essere considerato una specie di tutore del dopo laurea, una chiacchierata fra amici vecchi e nuovi, nel piacere dei vecchi di raccontare le proprie esperienze. A chi mi chiede perché il mondo del design sia così duro e per quale motivo appaia così complesso ottenere risultati, dico che ci vuole tempo, volontà, grinta ma anche molta umiltà e sacrificio del proprio tempo libero e del proprio denaro. Sono problemi comuni a molte professioni, ma nel design forse pesano un po' di più per la vastità della materia e per il continuo peregrinare tra le varie aziende. Perciò, a fronte di tali e tanti sacrifici, molti si scoraggiano e abbandonano la professione designer dopo qualche anno d'infruttuosi tentativi. Questo non è un "mestiere" qualsiasi. È prima di tutto una passione che deve pervadere ogni spazio della propria vita, perché il designer continuamente traduce in idee, la sintesi di ciò che gli interessa (e che sia traducibile in progetti) nel mondo che lo circonda. E’ anche un mestiere in cui ogni punto d’arrivo non è altro che uno nuovo da cui partire: si sa, non si finisce mai d’imparare. C’è sempre da studiare su come avvengono e su che cosa si basano i successi e gli insuccessi, capire come rimediare a questi ultimi senza scoraggiarsi mai. Non bisogna illudersi di aver già finito una volta che si è preso un diploma o una laurea. Oltre una buona cultura di base ed una tecnica, per fare design occorrono anche una serie di conoscenze progettuali in senso lato: saper disegnare, saper reperire informazioni, saper gestire risorse umane e materiali ed infine, ma non ultima, saper usare le risorse informatiche. Poi si comincia a fare esperienza pratica. 5 L'esperienza Sono sempre disponibile ad avviare un dibattito costruttivo e a fornire altri elementi utili alla conoscenza del mestiere di designer ed alle sue molte competenze, soprattutto quelle con le quali si svolge l’iter di sviluppo del prodotto che io chiamo “interfacce del designer”. Con questo spirito, da alcuni anni, insegno ai corsi di design industriale del LUDI (Laurea Universitaria in Design Industriale) presso l'Università La Sapienza di Roma. Nonostante l'impegno di progettazione nelle attività della mia azienda e il fatto che economicamente non sia certo un vantaggio, considero l'impegno didattico come un dovere morale e sociale nel trasferire ciò che ho imparato con una pluriennale esperienza di professione. Un'ambizione forse senile, ma che vorrei vedere realizzata, è quella di contribuire a formare le nuove generazioni di designer. Vorrei anche vedere lo sviluppo di una cultura del design anche nelle regioni del centro sud, dove fino a pochi anni fa era in sostanza del tutto sconosciuta. Certamente chi comincia oggi è più fortunato di chi, come me, perito industriale meccanico, nato e vissuto a Roma, ha cominciato quando il design era del tutto ignorato e le industrie che facevano prodotti di design qui non esistevano proprio. Mio padre stesso, industriale del legno, non ha mai capito bene che mestiere facessi; pensava che vivessi di fortunosi e saltuari espedienti rivolti a piccole imprese del Nord. Per anni ho impegnato le mie risorse fisiche ed economiche per dare valore e riconoscimento al mio mestiere di designer. Oggi la situazione è molto cambiata, anche se la cultura del design non è ancora un patrimonio così comune come si potrebbe pensare o sperare. 6 Gli "arnesi” di lavoro Quando ho cominciato a progettare il design era intuito come segno ed i suoi strumenti erano un carboncino ed un foglio di compensato. Così passai anch’io per matite, tiralinee, penne a china e tavolo da disegno, realizzando disegni e rappresentazioni dei progetti sempre più raffinati. Ero preciso, meticoloso e dettagliato. Dopo qualche tempo ho assunto una logica da “artista” del design e ho incominciato a disegnare con il pennarello. Erano tavole di un certo effetto e convincenti, perché emozionavano il committente che poteva vedere il futuro oggetto carico d'effetti speciali "astutamente" dosati. Poi vennero i computer. Ne comprai uno costosissimo pensando che fosse un mezzo moderno e di grande aiuto alla progettazione. Con ponderosissimi manuali cominciai ad usarlo personalmente. Dopo una settimana, con otto o dieci ore d'impegno giornaliero, avevo fatto un progetto che al tavolo da disegno mi avrebbe preso al massimo alcune ore. Non fu questo il motivo per il quale mi venne un sentimento di rigetto verso questo “elettrodomestico da disegno”. Dovevo andare a Milano per presentare un progetto di cui andavo veramente orgoglioso, ma la sera prima della partenza, per colpa di un paio di tasti sbagliati premuti per stanchezza, mi sparì tutto il lavoro fatto, sia dallo schermo sia da hard disk. Ogni tentativo di recuperare il materiale fu vano e dovetti lavorare tutta la notte al tavolo da disegno. Quando la mattina dopo partii per Milano, giurai di non usare più quell’oggetto infernale. Ho, a tutt’oggi, mantenuto il giuramento per quanto riguarda le mie mani ma non per il mio studio perché, incantato da abili venditori, ho speso centinaia di milioni delle vecchie lire per hardware e software, più o meno utili, in grado di far operare tantissimi ragazzi, che chiamo affettuosamente e per invidia “smaneggiatori”, su complicati software CAD 3D. Mi sbalordiscono sempre con le loro capacità, anche se spesso ,davanti a clienti e ingegneri, con colpi d'esile matita correggo in pochi secondi linee o forme equivalenti ad ore di elaborazione al CAD. È come prendersi una piccola vendetta sulle mie stesse incapacità, ma non si può fermare il progresso. Non significa un rifiuto del mondo informatico, né che l'innovazione si debba arrestare anzi, oggi il design professionale, si può fare solo con il computer e con i più sofisticati! Posso solo considerare che non esistono strumenti che possano sostituire la mente umana e anche il computer più potente non garantisce il risultato. A ciascuno le sue armi… A me è rimasta la matita ma mi sto aggiornando. 7 Bozzetto a matita di vasca ad angolo in acrilico per TEUCO con vetro e idromassaggio . Le parti in azzurro sono in E.V.A. La cascata è ottenuta da 3 getti sorgenti dietro il sedile. Il prototipo fu poi realizzato senza la cascata ritenuta troppo originale. Questa specie di cabina, qui presente in un negozio di abbigliamento, è uno scanner per ridigitalizzare in 3D un prodotto modificato manualmente dopo la prima modellazione al CAM. Il negozio lo usava per determinare le misure antropometriche del cliente. 8 Il genio del design Parliamo allora di quello che possiamo definire un "successo". Dopo oltre 500 pezzi immessi nei mercati nazionali ed esteri mi sento abbastanza realizzato come designer partendo dal fatto che non ho frequentato nessuno studio ne nessun corso per formare le mie capacità. Per questo,e solo per me stesso, posso dire che è stato un successo. Ciò deriva solo dalla mia volontà, dal mio impegno costante nelle verifiche progettuali, nelle evoluzioni dei mercati, nei materiali, reinvestendo quasi tutti i miei utili nella ricerca e nell’innovazione. Non credo nel "colpo di genio" in un progetto, salvo per piccole intuizioni, ma una continua analisi dei dati pre progettuali e verifiche tecnico costruttive e concettuali. Non credo ai geni naturali, salvo casi particolari di persone con un”imprinting” generato in un contesto educativo impregnato di una determinata cultura o, particolarmente sensibilizzati verso una creatività formale e/o tecnica. Nel mio caso, devo a mio padre questa creatività per il fatto di non avermi mai regalato un giocattolo, e cosi, quando ero ragazzo, mi sono costruito gli oggetti di gioco nelle officine paterne. Quelle prime esperienze manuali, sono state molto formative. Esistono indubbiamente delle persone geniali, ma si tratta di casi molto rari. Nella maggior parte degli altri casi, chi si definisce un genio è un comunicatore in grado di enfatizzare le proprie idee e di venderle come se fossero effettivamente geniali. Fanno ottima "vendita" di sé stessi, si propongono a prezzo carissimo, come se fossero unici, e sono dunque molto richiesti e spesso i loro prodotti si vendono anche bene. Altri riescono a produrre ottimi oggetti grazie ad una struttura di studio ben coordinata e con competenze specifiche articolate e adeguate attrezzature. Proprio queste ultime strutture sono quelle che, secondo me, sono più in grado di realizzare prodotti "geniali", creati da un team di menti pensanti in grado di concorrere alla creazione del prodotto vincente in un mercato sempre più competitivo. Riunioni periodiche di studio dove si scatenano le creatività individuali per la concettualità del prodotto in elaborazione. Un coordinatore responsabile seleziona le varie proposte da portare avanti per la presentazione al committente. 9 Massa cerebrale e massa critica Lo sviluppo economico e sociale e l'ambiente naturale, nel contesto evolutivo della mente e delle etnie umane, sono cronologicamente connessi con lo sviluppo del peso del cervello umano. Un amico antropologo mi ha riportato un dato interessante; L'Homo Sapiens, negli ultimi 150mila anni, ha accresciuto la propria massa cerebrale di appena un etto. Le interconnessioni neuronali sono cresciute invece in misura esponenziale, portando al conseguente sviluppo della capacità di pensiero e del linguaggio, nelle sue forme espressive. Ad un rapido calcolo risulta evidente come, mettendo insieme due cervelli con la stessa competenza e capacità di elaborare dati, si otterrebbe la capacità mentale di un essere di duemilioni di anni più evoluto rispetto a noi. Pensate dove si arriverebbe con tre cervelli uniti: un super mostro di intelligenza!! Naturalmente questo è un parallelismo puramente teorico. Due cervelli, su due esseri umani distinti non fanno una doppia capacità d'elaborazione, perché lo scambio d'informazioni è molto più lento rispetto alla capacità d'elaborazione sinaptica interna ad ogni cervello. Due menti ben coordinate su un risultato fanno comunque meglio di una sola. Ma continuando ad aumentare il numero di componenti del team, tre, quattro o più si raggiunge una massa critica sempre più improduttiva, a causa della difficoltà di mettere in comune le informazioni, dell’incapacità dei singoli a gestire, nei tempi comuni, l'espressione delle proprie idee, la compatibilità con quelle degli altri componenti del team ma, più di ogni altro motivo, la voglia tutta umana, di emergere ed imporsi sugli altri. Il risultato progettuale, spesso, non è il migliore, ma il frutto della persona che si è imposta di più. Il numero ottimale per un gruppo di lavoro conta da tre a sette persone, che possibilmente vantino competenze variegate sulle attività relative allo sviluppo della produzione e della commercializzazione dei prodotti industriali. Un team di questo genere, che operi in parallelo fin dall’inizio del processo creativo e progettuale, è potenzialmente capace di produrre oggetti di successo nel design più evoluto: i cosiddetti prodotti "geniali" che fanno la storia del design. Devo solo aggiungere che nel gruppo ci deve essere un coordinatore responsabile, con potere decisionale, tanto saggio e competente da scegliere le migliori soluzioni oggettive. 10 Professionista o imprenditore? Il riconoscimento delle idee, la paternità del prodotto, ha un peso economico e morale non indifferente e va gestito bene. Può essere marcato o con il nome della persona fisica o con una griffe. Nonostante ancora esista il mito della firma sul prodotto, e per molti giovani sia questa un'ambizione, è meglio parlare di marchio o logo. L’essere umano, per sua natura, non è immortale, e peraltro la carriera operativa rimane legata ad un tempo più o meno limitato, determinato dalla sua massima capacità espressiva. E’ opportuno in molti casi, specialmente se si ha uno studio importante, sostituire o modificare la semplice firma con un marchio o logo, anche se porta il nome del fondatore. Se questo per vari motivi si è ritirato o ha seguito il suo destino umano, l'azienda gli è sopravvissuta e può continuare il suo iter operativo con un salto generazionale o con la cessione dell’attività al migliore acquirente. Quando il marchio è sul mercato e si è affermato, quando la griffe vive vita autonoma, talvolta assume un valore indipendente dalla stessa qualità dell'oggetto "firmato". Una griffe ben amministrata è in grado di produrre molti utili e numerose imitazioni. Il designer come persona, a quel punto, non conta quasi più. Assume invece un peso la struttura che lui stesso ha creato. Per questo motivo sono passato dall'attività personale alla costituzione di una impresa. Il più famoso riconoscimento di qualità del Design Italiano ottenuto con la TEUCO nel ’98. Altre segnalazioni le ho ricevute successivamente per altri prodotti della stessa azienda. Un’ulteriore segnalazione è stata per una specchiera della FRATELLI GUZZINI. 11 Impresa di design Per essere comunque competitivi e fare ricerca, è consigliabile trasformare lo studio professionale in impresa di progettazione con la potenzialità di produrre prototipi e fare ricerca avanzata fruendo, magari, dei fondi Europei stanziati appunto, per la ricerca e l’innovazione. Per un’impresa di questo tipo occorre però un organico composto da designer, tecnici, meccanici, modellisti, ricercatori, grafici, industrializzatori. Occorre inoltre completare l’organico con personale amministrativo, addetti alla comunicazione e relazioni con l’esterno, nonché un account per il reperimento di nuovi clienti. La gestione di una tale struttura non risulta essere dissimile da quella necessaria a rendere efficiente un azienda di piccole o medie dimensioni. Alla base di quest’impresa ci deve essere un designer responsabile che abbia il potere della decisione finale. Intendo dire che l’ultima parola su tutto deve essere di una sola persona; già in due c’è il rischio di entrare in competizione se non addirittura in conflitto ideologico, che può generare polemiche, discussioni, rotture di rapporti. Come nel campo artistico, ogni creativo ha la propria filosofia progettuale che diventa la firma nella quale lo studio di design si riconosce ed è riconoscibile all’esterno. Questo “Cheof designer” coordina a livello creativo altri designer, responsabili progettuali delle varie aziende committenti. Poi ci sono i tecnici, ingegneri o periti di diverse competenze che servono per dare fattibilità al progetto. Sono necessari anche un project "supervisor" in grado di coordinare designer dei vari progetti ed un capo settore della modellazione che abbia conoscenza di tutte le tecniche di prototipazione, dai compositi alle lavorazioni meccaniche in generale. Per essere un buon project - supervisor, secondo alcuni consulenti giapponesi che ho avuto modo di ascoltare, bisognerebbe avere le seguenti caratteristiche: - conoscere le potenzialità dei progettisti che coordina; - aumentare le conoscenze tecniche dei progettisti con visite alle aziende, a fiere e convegni; - conoscere le metodologie progettuali più idonee allo svolgimento del progetto da sviluppare; - stabilire tempi totali e parziali di esecuzione del progetto, tenendo conto delle risorse interne ed esterne ma considerando un congruo margine di imprevisti; - coinvolgere i progettisti perché si esprimano con le proprie idee, senza disperdere tempo se queste hanno tempi lunghi di verifica; - avere un atteggiamento mentale aperto a comprendere e gestire idee innovative. 12 - controllare sempre che lo sviluppo del progetto corrisponda agli input della committenza; - disporre di mentalità progettuale portata alla massima semplificazione del prodotto e del successivo processo produttivo; - assumere un atteggiamento rilassato, lasciando i propri problemi personali a casa; - memorizzare e riportare su altri progetti i concetti che hanno portato al successo altri precedenti prodotti ed eliminare quelli negativi. - Non addossare la colpa degli insuccessi a nessuno se non a se stesso. - Riconoscere i meriti a coloro che si impegnano ed hanno buone idee. - considerare che lo studio di progettazione deve comunque fare profitto; - quando è possibile, intercambiare alcuni elementi dei gruppi di lavoro, per un giusto alternarsi di esperienze; - fare riunioni periodiche di verifica dei progetti; - fare in modo che ci sia armonia e soddisfazione nello svolgimento del progetto, tra tutti i componenti del gruppo di lavoro; - mai essere troppo sicuro delle proprie capacità perché non si è mai infallibili e la presunzione può dar fastidio ai propri collaboratori. Non è sempre facile, ma con buona volontà, con l’aiuto di consulenti, con tempo e pazienza si arriva al giusto metodo. Metodo che deve essere personalizzato visto che ogni impresa ha le sue caratteristiche. Oggi anche le imprese di design, come tutte le altre, formano i propri dipendenti con corsi specifici di computer grafica, lingue e comunicazione interna ed esterna. Spesso questi studi o imprese di design, ne generano altre, che poi diventano temibili concorrenti, ma questo accade in tutti i settori. Anzi la competizione fa bene, ed è stimolante trovarsi di fronte chi è riuscito intelligentemente a lasciare l’azienda madre e a crearsi una propria identità. Anche le imprese hanno i propri metodi progettuali e le proprie filosofie. Qualche anno fa, quando ero presidente del CNAD (Consiglio Nazionale Associazioni di Designer) e come tale partecipavo alle riunioni del CNEL (Consiglio Nazionale Economia del Lavoro) per una verifica delle nuove realtà professionali, è emerso, in una di questi incontri, l’interrogativo se esercitare l’attività intellettuale significhi “fare professione” o “fare impresa”. Il CNEL, infatti, aveva classificato la professione di designer come servizio all’impresa ma si tendeva anche ad inquadrare le attività professionali di questo tipo come attività d’impresa. Il presidente dell’ADI (Associazione Designer Italiani) di allora, non più tra noi, il Prof. Morello, parlò dell'evoluzione di alcuni studi professionali come una nuova realtà di 13 aggregazione multi disciplinare con competenze quasi totali nell’area del prodotto industriale come marketing, grafica, design prodotto, comunicazione, fotografia, industrializzazione e didattica. Fu molto interessante per me partecipare a questi dibattiti, in quanto avendo in mente un’evoluzione dello studio verso questi concetti, intrapresi la strada verso l’”impresa di design” anche se meno articolata nei campi di applicazione. Nutrivo il dubbio che l’aumento dei costi di studio consequenziali alla struttura di coordinamento, per altre singole attività, avrebbe generato una minore competitività con gli studi di singoli professionisti che naturalmente sostenevano costi minori. Ma a questo si sopperisce con una maggiore qualità dell’offerta alle imprese committenti completata anche con un attrezzato laboratorio di prototipazione. 14 Modello in polistirolo verniciato di una minipiscina con vari idromassaggi. L’elemento verticale è previsto per una cascata, una TV ed una lampada per cromoterapia. Il prodotto di serie, per 4/6 persone, è stata realizzata senza la cascata e senza monitor. Il modello è stato realizzato nel nostro laboratorio Il prodotto perfetto Per quanto il designer sia bravo, l’azienda produttrice sia "di design" e super attrezzata, il prodotto risultante non è mai perfetto. Il concetto del prodotto perfetto mi assilla da anni, è qualcosa d'irraggiungibile, quasi astratto. E’ una filosofia che mi tormenta spesso, anche inconsciamente giorno e notte al lavoro ed in vacanza. A parte tutte le considerazioni filosofiche sulla perfezione della natura, dell’universo, di alcune regole matematiche ecc. passando per le credenze religiose, tutti argomenti di lunghe discussioni e riflessioni, vorrei concentrarmi sul design o meglio sul progetto di design. Mi si permetta una battuta esemplare; un prodotto quasi perfetto lo ha fatto la natura quando dopo milioni di anni di evoluzione ha fatto la donna. Un prodotto a diffusione globale, talvolta bellissimo ,di grande richiesta, funzionale, con capacità interattive ma, anche difficilmente gestibile e costoso. Se riuscissi a progettare un prodotto con queste caratteristiche mi sentirei un Dio del design. Nel nostro lavoro, un prodotto di design perfetto deve essere bello, funzionale, relativamente economico, facilmente trasportabile, facilmente mantenibile, con imballaggio contenuto ma sicuro e riciclabile, come il prodotto stesso. Ma più ci si 15 avvicina a questo e più i costi di progettazione aumentano in modo esponenziale. Allora nonostante attrezzature sofisticate di ricerca, progettazione, sperimentazione, prototipazione, produzione e collaudo per rendere il prodotto più vicino possibile alla perfezione, ad un certo punto bisogna comunque arrendersi, perché i costi diventano insopportabili ed i tempi d'immissione del prodotto nel mercato si allungano troppo. Il difficile è proprio definire, prima di progettare, il punto in cui ci si deve fermare in base a tempi e costi preventivati. 16 Styling Progettando l’estetica della forma di un oggetto si può migliorare il prodotto nel suo insieme, esaltando la visibilità delle funzioni che diventano più facili da gestire da parte del fruitore finale. Talvolta, per fare un prodotto bello, dalle linee pulite, si occultano o quasi le parti dove si deve interagire, come maniglie, chiavi, leve di funzioni,ecc., con il risultato che l’acquirente, se non legge bene le istruzioni - e non le legge quasi mai - non riesce a usare l’oggetto. Ma l'estetica, unita alla tecnologia idonea a darle la forma giusta, incide anche su i processi produttivi e sull’eventuale manutenzione, oltre che per il riciclaggio. In questo processo è più difficile fare un prodotto semplice e funzionale. esteticamente pulito e valido, che fare un prodotto più complesso, più elaborato esteticamente, più “ricco” come immagine. In sintesi, è più facile fare un prodotto complicato di uno semplice a parità di funzioni. Quello che dico sempre ai miei collaboratori è: semplificare al massimo i progetti anche se sono multifunzionali. Ma bisogna prestare attenzione a non confondere la semplicità progettuale con il minimalismo, dimenticando la filosofia progettuale e scadendo in un approccio illogico, manierista ed opportunistico, sebbene decantato da autori tanto comunicativi quanto poco progettuali. Il successo di un prodotto è condizionato dalla sua estetica, come abbiamo già detto, ma che può essere fortemente condizionato dal tipo di prodotto stesso. Se il prodotto è del tipo destinato ad essere sostituito ogni 10 – 15 anni avrà un'estetica del tutto differente da uno di durata stagionale o annuale. Ad esempio una serie di servizi da bagno, un divano di pelle, una cabinato a motore o a vela avranno linee estetiche non condizionate da mode come un telefonino cellulare o un piccolo apparecchio elettronico. In generale, questi oggetti, si devono adeguare alle tendenze stilistiche vincenti e del momento a ciò che l’innovazione tecnologica impone come “must” in termini di ergonomia e funzionalità. Quando progettiamo un prodotto nel nostro studio abbiamo l’abitudine di esplorare, come ricerca commissionata e non, ogni possibile scenario applicativo, formale e d’uso. In questa ricerca di studio, fatta con tutti i miei collaboratori a cadenza settimanale, proponiamo idee anche divertenti, in quanto escono soluzioni talvolta assurde e piene di comicità applicativa ma che servono alle menti dei creativi per sviluppare idee più immediatamente realizzabili. A questo proposito, la regola è che lo sforzo creativo deve essere contenuto entro le due ore giornaliere e per il resto del tempo si fa una semplice verifica grafica su quello che si è ideato. Credo che questo nostro sistema sia fisiologicamente adatto alle normali potenzialità cerebrali. 17 Se si parla di styling, si parla comunque di fare cose belle: nonostante la bellezza sia soggettiva, resta l’obiettivo principale dello styling. Talvolta l'estetica è influenzata dalla moda o da culture etniche, altre volte da correnti di pensiero o religiose. Molti scritti e pubblicazioni sono stati realizzati sull’argomento bellezza: sulla domanda, cioè, di quali siano le caratteristiche di un oggetto bello. Alcune di queste pubblicazioni sono state oggetto delle mie attenzioni, ma devo dire che quasi nessuna mi ha convinto del tutto. Allora ho dovuto fare alcune considerazioni che poi sono state fondamentali nel mio lavoro ed ho pubblicato in proposito un articolo sulla rubrica nella rivista “Il Bagno” che qui trascrivo. Bozzetto a matita per una rubinetteria in alluminio verniciato. La bocca di erogazione è in silicone colorato anticalcare con uscita dell’acqua semicircolare. Questo modello da lavabo fa parte di una collezione mai andata in produzione. 18 Sexy design. Ovvero cosa fa bello un oggetto La capacità di lasciare testimonianza delle proprie idee e sensazioni ha riempito biblioteche e pinacoteche di opere impegnate più o meno direttamente a descrivere cos’è la bellezza. Esito a parlare di bellezza umana, perché non è l’argomento di questo scritto. Anche se in proposito avrei qualcosa da dire, dato che in qualche modo rientra nel concetto del bello degli oggetti e delle cose che ci circondano. Molto si è detto e scritto sulla bellezza degli oggetti artigianali e, successivamente, dei prodotti industriali. Ma che cos’è il bello, quale sensazione ci proviene da un bell'oggetto? Per molto tempo si è identificato il bello con la natura, imitata e ricreata nei decori, nei fregi, nelle stilizzazioni, nei colori e nelle forme di molti oggetti. L’estrema razionalizzazione dei nostri tempi ha rarefatto sempre più le citazioni della natura, riconoscendo sempre maggior valore alle forme geometriche pure. Come dire che l’evoluzione culturale e industriale ha pulito linee e forme, facendoci perdere quei riferimenti sui quali abbiamo codificato il nostro concetto di bellezza per molti secoli. Qualche decennio fa, quando ho cominciato a fare il designer, mi sono chiesto dove avrei potuto trovare i riferimenti per l'elaborazione di progetti, funzioni, tecnologie e materiali che mettono un oggetto in grado di sedurre il consumatore spingendolo all’acquisto. Una prima risposta l’ho ricavata dall’interpretazione della teoria Freudiana sulla figura materna e sugli inconsci riferimenti al sesso. Tenendo presente che i riferimenti alla maternità e al sesso nella coscienza collettiva non tramontano mai, il richiamo all’imprinting delle rotondità materne, del suo calore e colore, dalla sicurezza e dal piacere che queste forme ci davano, è stato un preciso riferimento, quasi istintivo. Faccio spesso, lavorando su questi concetti, forme morbide, smussate, raccordate tra loro con inserti di materiali soffici, accoglienti, che oltre ad essere funzionali sono anche considerati particolari piacevoli e belli. Considerando poi che in noi c’è anche un po’ di narcisismo e siamo portati a fare coppia, aggiungo cristalli, specchi, vasche e 19 docce a “due piazze”. La natura la riprendo ancora con i suoi profumi, con le varianti cromatiche della luce del sole, dall’alba al tramonto, con il colore dei boschi in autunno ,con il colore del mare e del cielo. Cosi nei progetti, da molti anni specialmente nel bagno, aggiungo aromaterapia, vapori e luci cromoterapiche che ricreano sensazioni di benessere e intimità, che ognuno interpreta a suo piacimento. Ovviamente all’inizio, oltre trent’anni fa, incontrai una certa resistenza da parte delle aziende produttrici ai miei riferimenti, cosi diversi dal classico concetto di bello. Perseverando diabolicamente nella mia convinzione, la risposta positiva me l’hanno data gli ottimi riscontri provenienti dal mercato. Sempre più spesso il mercato dà per scontato che la tecnologia abbia raggiunto una maturità di prestazioni e sicurezza che supera ogni diffidenza del pubblico. Perciò è normale che l’attenzione dell’acquirente si rivolga verso ciò che piace come le forme, il colore, la moda, orientandosi spesso verso prodotti status symbol, il cui contenuto tecnico è spesso sconosciuto (a meno che la tecnologia non sia la caratteristica su cui punta tutta la comunicazione). A questo proposito parlo di un fatto personale. Sono socio di una società di progettazione navale e fra i soci c'è un bravissimo ingegnere navale. Quando un armatore ci commissiona una barca, generalmente sopra i 25 metri, indica una serie di caratteristiche per l’oggetto dei suoi desideri: lunghezza, numero di cabine, velocità, autonomia ecc. Io m'interesso del design, cioè della linea esterna e l’ingegnere di tutto il resto a partire dal tipo di carena, motorizzazione, materiali, strutture, impianti, prove su modelli. Nei primi incontri, spesso anche nei successivi, quello che interessa l’armatore è solo l’aspetto estetico, se piace a lui o a sua moglie (o alla sua amante). Solo distrattamente chiede qualcosa circa la potenza dei motori. Naturalmente questo fa molto dispiacere ai progettisti che elaborano i vari esecutivi tecnici e si prendono le loro soddisfazioni solo alla fine, mostrando i risultati dei collaudi e delle prove in mare a barca varata. Ma torniamo allo styling o, in altre parole, all’estetica del prodotto e alla morfologia degli oggetti (la loro forma). E’ importante per un designer lavorare su settori di mercato diversi, in quanto riesce a cogliere le filosofie stilistiche che possono essere applicate nell’ambito del suo interesse in quel momento. Questa capacità di percezione è sicuramente vincente, in quanto analizza gli atteggiamenti ed i gusti del compratore, che ricercherà inconsciamente quelle linee anche in altre tipologie di prodotti. Per fare un esempio, chi compra un tipo di macchina con linee piuttosto squadrate e geometriche, comprerà anche una vasca da bagno o un frigo con le stesse linee che a lui piacciono. Si chiamano "matrici di successo", sono schemi di analisi di mercato che prendono spunto dalle forme e dalle linee prevalenti in un dato momento. È almeno altrettanto importante 20 trasmettere con il proprio design quell'emotività, quell'impulso all’acquisto che nasce da un bisogno non reale ma psicologico di possedere quell’oggetto a tutti i costi. Questo concetto sembra agire sulla manipolazione dei consumatori. In realtà il marketing non crea desideri, li fa emergere. Si chiamano "insights", desideri che il consumatore possiede ma non sa di possedere. Questo schema per far riemergere gli insights è oggi alla base del mondo occidentale, un approccio economicamente vincente e di cui non si può non tenere conto quando si progetta per l'industria. La creatività, o meglio la "caratterizzazione" della creatività, è un fatto soggettivo o di griffe di studio. Ed è giusto che sia così, perché per la riconoscibilità del prodotto e la sua differenziazione nel mercato, considero importante che la firma abbia un valore riconosciuto. 21 Bozzetti per copricostume griffato TEUCO. In spugna con bordature verde TEUCO, fa parte di una collezione da proporre nei centri di vendita TEUCO insieme ad altri prodotti griffati. . 22 Il design per il lusso Nella mia carriera, ho vissuto alcuni periodi di crisi economiche, nazionali e globali. Ho potuto constatare in queste occasioni, che i miei progetti di alta gamma non subivano quelle crisi di vendita che investivano principalmente i prodotti di fascia media e medio bassa. I prodotti economici, in quei periodi e statisticamente parlando, subivano solo lievi flessioni commerciali, evitando i crolli finanziari delle aziende produttrici. Erano, queste aziende, generalmente non orientate al design ma solo fabbriche di oggetti facilmente producibili, con grandi numeri di pezzi e con poco valore aggiunto. Avendo pochi utili, naturalmente non investivano in ricerca e innovazione ma, anzi , andavano su prodotti scopiazzati da altri presenti sul mercato da anni, apportando solo piccole modifiche per non incorrere in rivendicazioni legali per plagio. In quest’ultima crisi, quella chiamata più o meno impropriamente “crisi dell’Euro”, le cose stanno leggermente cambiando. Il mercato basso e medio basso se lo è accaparrato l’oriente, come Cina, Corea e India facendo anche prodotti di buona qualità. Ma di questo ne parleremo più avanti. Il prodotto di fascia media ha subito un crollo di vendite derivato dal fatto che le fasce sociali alle quali erano rivolti, vivono un’insicurezza economica notevole che non invoglia all’acquisto. Rimane la fascia alta, il vertice della piramide bocconiana del mercato. E’ la fascia del lusso, delle grandi firme e di chi , nella crisi, vuole dimostrare che può, che appartiene ad una classe sociale di pochi eletti. Questo segmento del nuovo lusso, chiamato dagli esperti col termine inglese di trading up, rappresenta una delle poche speranze delle industrie occidentali per arginare il pericolo giallo. Questo mercato è formato da prodotti di numero limitato di pezzi, stilisticamente innovativi, frutto di ricerca tecnologica nei materiali e nelle funzioni, con alto valore aggiunto. Prodotti griffati, molto comunicati nei giusti media, se li contendono i rampolli della new generation che avendo ereditato i capitali creati dai loro genitori, preferiscono goderseli piuttosto che reinvestirli nell’azienda. E’ un fenomeno naturale, presente in ogni generazione della nostra storia economica. Il ciclo attuale è derivato dalla ricostruzione post bellica dove l’economia partiva da zero, dove gli uomini che l’hanno creata, oggi non esistono più, almeno in termini operativi. Quanto detto sopra è più un discorso di marketing che sembra esuli dai concetti di design, ma non è proprio così. Il settore del lusso è spesso un mercato dove la cultura del design è fortemente presente. Anche nei mercati ad economia emergente, come Russia e Asia, gli oggetti di marca rappresentano uno status symbol e sono in forte espansione. Quello del lusso è un mercato raffinato di prodotti griffati, ambito anche da chi non vi può accedere, ma che comunque rappresentano un riferimento anche per le fasce medie. Ed 23 è nei prodotti firmati che i designer devono, di più che in ogni altro settore, impiegare tutte le loro risorse creative e culturali. Per l’Italia il ” trading up” è una grossa opportunità. Esposizione della Minipiscina con oblò TEUCO all’evento EUROPEAN EXHIBITION SPA presso il Forum Grimaldi con l’intervento del Principe Alberto di Monaco. 24 Materiali nobili ed eco-compatibilità Nel dare al prodotto tutte quelle caratteristiche di esclusiva emotività, il designer deve anche tenere conto nel progetto anche del rispetto dell’ambiente, impiegando materiali non inquinanti ed eco compatibili. Questo non è solo un problema dei produttori ma anche di noi designer che dovremo dare tutte le indicazioni sui materiali e sui sistemi ecosostenibili. E’ anche una questione di cultura progettuale e di coscienza per il futuro del nostro ambiente. Da diversi anni navigo con il mio trimarano e devo purtroppo notare che anche i mari più remoti e apparentemente ignoti al turismo di massa, sono inquinati da plastiche che vagano per anni, trasportate dalle correnti. Sono plastiche che potevano essere riciclate per farne altri oggetti di uso pubblico e privato, come arredi urbani, contenitori vari per la casa e l’industria,ecc.. Mi sono quindi sentito tirato in causa in qualità di progettista, pensando attivamente a soluzioni di recupero e riciclo di plastiche a fine uso. Ci sono moltissime iniziative politiche e private rivolte a sensibilizzare l’opinione pubblica e l’imprenditoria privata verso questo problema. Già da qualche anno alcune aziende producono oggetti per diversi usi, con materiali riciclati e quasi tutte le case automobilistiche riciclano i componenti in plastica delle auto in rottamazione più volte. Questo significa che questi componenti in plastica, in ogni riciclo, vengono impiegati per fare componenti sempre meno importanti, meno visibili e meno sollecitati strutturalmente. Quando questi sistemi o meglio,questa cultura industriale, saranno abituali in ogni impresa, forse le qualità ambientali miglioreranno ma solo se accompagnate da quella cultura sociale evoluta che dia un alto rapporto di recupero differenziato dei rifiuti industriali e urbani. Alcuni ecologi disprezzano le materie plastiche (ma il petrolio da cui derivano si trova in natura) a favore di materie naturali come legno, vetro, marmo, metalli ecc.. Forse però non tutti sanno che tagliare il legno dei boschi per fare oggetti d’uso su grande scala non significa rispetto dell’ambiente, ma un implemento per la desertificazione, verso la quale ci stiamo rapidamente muovendo, pena di mettervi un freno sostanziale tramite rimboschimenti e coltivazioni controllate. Per i sostenitori delle materie naturali come il legno, queste essenze di facile crescita sarebbero in grado di sopperire al fabbisogno di molti settori industriali, dal mobile all’edilizia. Statisticamente ciò non è per niente vero. Inoltre, la maggior parte delle volte questi materiali non sono esteticamente gradevoli, perché danno un'impronta troppo rustica, o "tenera", perché sono facilmente deperibili, specialmente se non trattate. Alcuni di questi materiali poi, come il vetro e i metalli, impiegano tecnologie di trasformazione ad energia termica di alto impatto. Per le materie plastiche serve solo il 10% dell’energia necessaria per la trasformazione commerciale di vetri, metalli o 25 ceramiche. Il problema delle plastiche va rivisto socialmente, attuando ed insegnando comportamenti di rispetto dell’ambiente, dapprima nelle scuole e poi nel mondo lavoro. Progettualmente parlando, rispetto a qualche decennio fa, le cose si sono evolute. Un esempio pratico: spesso nell’assemblare i componenti di macchine fabbricati con materiali molto diversi tra loro si ricorreva all’incollaggio. Il risultato era che una volta esaurita la “vita” del prodotto, non era più possibile recuperare i componenti e l’unica soluzione per smaltirli era quella di gettarli via in una discarica. Oggi si progetta il prodotto di serie pensando al riciclaggio, sia tramite l'assemblaggio con viti, incastri e altri sistemi di facile scomposizione dei componenti, omogenei o compatibili, per il riutilizzo, sia pensando ad un prolungamento del ciclo di vita del prodotto, attraverso la progettazione avanzata: un più attento calcolo delle sollecitazioni in gioco, la riduzione della quantità di materia prima, l'aggiornamento di componenti che mantengono il prodotto sempre competitivo e nell’interesse del fruitore sono alcuni dei punti salienti della progettazione "eco-attenta". Questi concetti, fin troppo divulgati da ricercatori e mass media, ma poco attuati da imprenditori e progettisti di piccole aziende, dovrebbero essere stabiliti per legge e non arbitrariamente applicati da poche aziende di medio - grandi dimensioni. Aziende come Teuco hanno fatto investimenti in questo campo, che incidono notevolmente sul costo dei prodotti. Il beneficio è poco visibile per il consumatore, che spesso guarda solo alla politica di prezzo di altre industrie, specialmente orientali, che non prestano alcuna attenzione al riguardo. Sono noti i disagi della manodopera, l’inquinamento ambientale e la mancanza di normative di sicurezza in cui operano le industrie cinesi, coreane e indiane. Anche questa è una forma di concorrenza, più subdola e sleale. Credo tuttavia che nella coscienza di tutti, specialmente imprenditori, progettisti e designer, sia più sentito il rispetto del contesto ambientale nostro e delle future generazioni. Ogni cambiamento ha un prezzo, dobbiamo pagare un po’ di più quei prodotti che rispettano l’ambiente, fino a che tutti non si comporteranno nello stesso modo! 26 27 Normative e marchio di qualità Ogni volta che si progetta un oggetto dove è presente l’elettricità, oppure un giocattolo per bambini, o una macchina utensile, ancor di più un mezzo di trasporto e tante altre cose d’uso quotidiano, occorre tenere presente alle normative in vigore in quei settori specifici. Sono regole create per rendere più sicuri gli oggetti che fanno parte del nostro ambiente, evitando, per quanto possibile incidenti causati dall’ oggetto stesso nel suo uso. Se l’impianto elettrico non è fatto, come si dice, a regola d’arte, per cui può provocare un corto circuito con principio d’incendio, oppure un giocattolo è costruito con un materiale non idoneo o peggio ancora nocivo per la salute, il prodotto non può essere immesso sul mercato. Quasi tutti i prodotti industriali devono passare il collaudo di certificazione che in Europa è contrassegnato con il marchio CE come Comunità Europea e non il simile come Cina Export. Questi collaudi e i relativi marchi sono eseguiti e rilasciati da istituti di certificazione presenti nel territorio nazionale oppure dalle stesse aziende produttrici a loro volta certificate nella loro idoneità a fare prodotti che rispondano a quelle normative di sicurezza. Il tutto marcato e descritto nel manuale d’uso obbligatorio, di cui è corredato il prodotto. Attenzione a non confondere il Marchio di Qualità sul prodotto con il Certificato di Qualità ISO 9000, rilasciato all’azienda produttrice che certifica il processo produttivo e non il prodotto. A questo punto, un lettore apprendista designer dirà: ma questi problemi sono più di uso ingegneristico che di design! Ciò è corretto, ma il designer è utile che sappia dell’esistenza di tali problematiche sia per cultura personale, sia per meglio impostare ed ottimizzare un progetto a monte, in quanto, molte volte, risultano essere fortemente condizionanti nei confronti del design di un oggetto. Il designer è invece totalmente responsabile nel rendere sicuro l’utilizzo di un oggetto, attraverso le forme ed i materiali impiegati. 28 Design sicuro Da qualche anno e solo nel settore arredamento la filosofia progettuale di moda è il minimalismo. C’è stata, e ancora prosegue, una fioritura di prodotti dalle linee semplici, squadratissime, spigolose e con pochissime funzioni. Prodotti puliti, belli da vedersi, ispirati al tradizionale stile giapponese ma surdimensionati rispetto a questi, che hanno riscosso un buon successo di mercato, specialmente nel settore alto. Non credo di sbagliarmi se dico che questo stile è nato da architetti che sono entrati nel design mettendo nei loro progetti quella cultura architettonica edile di tipo cubista, dalla geometria elementare. Facile da progettare, anche con strumenti semplici e tradizionali, non occorre da parte del progettista, una competenza verso i materiali tradizionali del design, come ad esempio le materie plastiche e le loro tecnologie produttive. Io non ho mai disegnato prodotti di questo tipo perché, anche se piacevoli, ritengo che nella maggior parte dei casi sono mobili ed oggetti pericolosi. In casa, in ufficio e ancor più in bagno ci si muove non con abiti dotati di paraurti e battere contro quei spigoli acutissimi è sicuramente fonte di piccoli e talvolta grandi traumi. Quei letti bordati da tavole dagli angoli acuti e quelle mensole da bagno con le stesse caratteristiche dove ci si approccia a pelle nuda, dovrebbero essere venduti con una polizza assicurativa anti – infortuni. I designer dovrebbero avere una deontologia professionale basata anche sulla sicurezza d’uso dei prodotti ideati. Quella minimalista è una filosofia che crea dei bellissimi prodotti da vetrina ma che portati a casa, oltre che pericolosi sono anche poco pratici. Non si sa dove mettere le proprie cose se non in bella vista e in balia della polvere, con il piacere di aumentare i problemi di pulizia Molte industrie, specialmente quelle piccole, non tengono conto di tutto questo ; per loro è importante vendere senza porsi tanti problemi fino a che qualcuno li chiama in causa per danni fisici. Le grandi industrie automobilistiche mondiali non producono auto squadrate, spigolose e minimaliste, fatte con i cosiddetti materiali nobili tipo legno o acciaio inox. Loro le prove di pericolosità, verifiche ergonomiche, riciclaggio dei componenti le fanno e le fanno per un corretto e sicuro uso da parte di quegli esseri umani che comprano poi gli oggetti d’arredo minimalista e che vivono nello stesso ambiente naturale Oggi, il mercato o meglio dire il compratore, compie l’acquisto spesso non per bisogno ma per l’emotività che emana l’oggetto, magari di moda, dal quale scaturisce il desiderio di possesso che non ti fa vedere i lati negativi e pericolosi dell’oggetto stesso. Questo fenomeno mentale è lo stesso che vale per il fumo delle sigarette, per le droghe in generale e…per l’amore. 29 Non per quest’ultimo ma per gli altri fenomeni irrazionali, lo Stato interviene, perché non potrebbe pensare a regolamentare anche il design? Credo che si potrebbero pensare anche a delle normative sull’estetica dei prodotti d’arredo per avere una maggiore sicurezza d’uso. Già mi vedo le reazioni e le ire funeste a queste mie considerazioni. . Questo scrittoio faceva parte di una collezione di pezzi (scrittoio, librerie componibili, fioriere, panchette,ecc.) realizzati in amianto e cemento. Li avevo disegnati negli anni ’70 in uno dei periodi di crisi di petrolio e con il desiderio di un materiale alternativo alle materie plastiche e che fosse più ecologico. In un’incontro con l’architetto Nervi, uno dei grandi geni dell’architettura strutturale di quegli anni, mi parlò di alcuni esperimenti che stava facendo , mescolando cemento e resina poliestere per costruire imbarcazioni per lavori costieri. Gli parlai delle mie ricerche di nuovi materiali e lui mi suggerì di andare dalla ETERNIT di Alessandria, produttrice del materiale omonimo, e di proporre quelle mie idee per fare arredi per la casa e l’ufficio. I dirigenti di quella società accolsero con entusiasmo l’idea e realizzarono dei modelli per esporli in Triennale a Milano. Nello stesso giorno di apertura della mostra tutti media pubblicarono la notizia che l’amianto era fortemente cancerogeno! 30 Design etnico La materia del design, come si è visto, è molto complessa. Design in inglese significa progetto, progetto in italiano significa disegnare una forma, un oggetto, determinare le sue caratteristiche estetiche e funzionali. Tutto questo può essere più o meno approfondito e complesso ma alla base bisogna capire cosa disegnare, cosa progettare e perché, con quali caratteristiche e per quale mercato. Oggi è fondamentale, prima di prendere la matita in mano (o meglio: il mouse),sapere in quali mercati sarà distribuito il prodotto che stiamo progettando. Ormai in ogni parte del mondo ci sono aziende produttrici, ognuna delle quali ha un suo mercato specifico invaso da prodotti provenienti da altri paesi. Spesso un oggetto che riteniamo di produzione locale e per cui ha anche valore di ricordo,dall’etichetta (non sempre presente) ci rivela che l’oggetto è fabbricato in un’altra parte del globo. Si è fatto un gran parlare di globalizzazione, di prodotti presenti in quasi tutti i mercati mondiali, fabbricati con grandi investimenti, a basso costo. Questi prodotti vengono poi distribuiti con imballaggi sicuri e complessi che incidono sensibilmente sul prezzo dell’oggetto. Se nei prodotti elettronici, nel campo delle auto e delle macchine utensili ancora è così, ed è giusto che sia cosi dato l’alto valore tecnologico insito in questi casi, nei prodotti più semplici come l’oggettistica e l’arredo, o anche l’abbigliamento e l’alimentare, le cose stanno leggermente cambiando. Gli esseri umani, per loro natura, hanno bisogno di riconoscersi in etnie e culture d’appartenenza e solo una minima percentuale accetta di normalizzarsi in uno standard, ad esempio di tipo occidentale, europeo o americano. Le attività artigianali condotte con attrezzi caratteristici, con materiali locali elaborati, tramandate nei secoli da molte generazioni, sono indicatori estetici da recuperare. Perderle significa cancellare per sempre quelle culture originarie che sono patrimonio storico non più recuperabile. Perché allora non fare un design che tenga conto delle tradizioni proprie di ogni popolo o regione? Si può fare un progetto che consideri quei valori, applicandoli ai processi industriali, magari meno complessi e con l’utilizzo di mano d’opera tradizionale, le cui conoscenze non si esauriscono nel passaggio da padre a figlio, ma diventano valore aggiunto dell’azienda. Il design etnico può dare qualità al prodotto locale che agirà principalmente sui mercati regionali, ma non solo, garantendo qualità e origini controllate, ben progettati nella loro funzionalità e sicurezza d’uso. Agendo nell’area d'interesse della cultura nella quale si riconosce si eviterebbe l’aggiungersi di troppi imballaggi costosi ed inquinanti, di sempre 31 più difficile smaltimento. Una percentuale di questi prodotti, con un adeguato packaging e campagna pubblicitaria, potrebbe essere oggetto d’interesse turistico e di comunicazione di cultura, da quei territori d’origine. Per individui lontani dalla loro terra d’origine,piacerebbe ritrovare nel design, anche la loro cultura nella nuova terra di residenza. Tutti concetti, questi, enunciati da illuminati sociologi in diversi convegni, mostre e manifestazioni, molte organizzate dai miei amici designer del Sud Italia, in particolare da AD CALABRIA, associazione calabrese. Quando ero Presidente del CNAD (Consiglio Nazionale Associazioni Design), quella più attiva fra le varie associazioni federate, con iniziative finanziate in proprio, era appunto AD CALABRIA. Dinamismo, voglia di concretizzare le proprie idee nella cultura e nel fare design caratterizzavano quel gruppo di architetti guidati da loro presidente, Nunzio Tripodi. Parlo volentieri di questa associazione anche per dislocare il design italiano non solo nel territorio lombardo ma spalmarlo nel resto dell’Italia. E’ sempre stato un mio impegno al di fuori di particolari interessi di potere e forse solo perché non sono milanese. Il loro coinvolgente entusiasmo mi ha sempre fatto sentire uno di loro, ma data la mia lunga esperienza professionale mi hanno attribuito qualche responsabilità morale in più verso la professione e la cultura del design. La missione, di cui a volte mi sento interprete, è quella di fare di Reggio Calabria un polo di riferimento per il design mediterraneo che va da quello milanese a quello del nord Africa, dove il termine "design" è quasi sconosciuto. A questo proposito, tra le principali iniziative degli entusiasti amici reggini c’è stata la fondazione di una scuola di design, che riunisca le culture del bacino del Mediterraneo per confrontarle con quelle di altre zone europee e per accogliere i suoi studenti, preparandoli con sistemi didattici avanzati, docenti preparati ad una progettualità nella quale si intravede l’interpretazione della cultura locale in una moderna filosofia di prodotto dove estetica e funzionalità sono ben miscelate. Sempre là dove è fortemente presente quel design etnico di cui parlano anche gli operatori economici, immersi quotidianamente nel problema di superare il gap tra teoria e pratica che spesso si verifica tra scuola e lavoro. Chi uscirà da questa scuola di design sarà immediatamente pronto ad operare nella catena dei processi industriali, con un bagaglio di esperienze conoscitive ma anche pratiche, fornite da lezioni e workshop operativi. Sarebbe di certo un’ottima soluzione per far crescere un’economia semi - industriale in luoghi dove disoccupazione, arretratezza economica ed imprenditoriale rendono difficile un modello produttivo di tipo mitteleuropeo, che il design nord italiano caratterizza in modo efficace. 32 Il benessere Fino a qualche anno fa, fare design significava creare un prodotto di serie che unisse funzionalità, styling e tecnologia con caratteristiche di innovazione e originalità. E’ una regola di base ancora valida per fare design ma, come ogni regola, può evolversi nel tempo adeguandosi alle nuove situazioni, anche sociali. Così nella facile analisi dei problemi quotidiani che ci coinvolgono (malessere, inquinamento, tensione, stress, cattiva alimentazione e disagi di ogni tipo), i designer stanno orientando i loro progetti sempre di più verso il “benessere”. Inteso come creazione di prodotti che migliorano le condizioni di vita in casa, in ufficio, nei mezzi di trasporto, nella comunicazione, nel gioco, nell’intrattenimento e cosi via. E, da qui, automobili sempre più comode, silenziose, meno inquinanti, più ergonomiche e sicure. Arredi più facili da usare, più confortevoli, più facili da pulire, anche più profumati. Poltrone massaggianti con musicoterapia, oggetti elettronici per aromaterapia naturale e rilassante, docce e vasche con cromoterapia, idromassaggi con saune, bagni turchi, magnetoterapia, prodotti da home fitness od office fitness. Si creano sempre più nuovi scenari di mercati e di economia. E’ da qualche decennio che lavoro su questi concetti e sui quali faccio le mie analisi e considerazioni. 33 Ci sono alcuni prodotti, come questo nella foto chiamato semplicemente TV a pedali, concepiti solo per comunicare un concetto, una filosofia, o magari solo per esprimere una propria opinione come questa: Perché dissipare l’energia umana che si sviluppa quando una persona fa la ciclette? Perché non recuperarla, producendo energia elettrica per alimentare p. es. una TV? La TV stessa potrebbe mostrare programmi registrati di fitness o di paesaggi da visitare come quando si va in giro pedalando con una vera bici. Il tutto contenuto e occultabile in un mobile ad angolo perfettamente integrato nell’arredo domestico. Eseguito nel nostro laboratorio in occasione della rassegna veronese “Abitare il tempo “ del ’99. 34 I CICLI: storia e approccio Nel corso delle mie ricerche professionali ho sempre trovato molto interessante lo studio della vita dei prodotti. Il ciclo di vita di un prodotto si estende dal momento in cui questo è immesso sul mercato fino a quello della sua uscita. Ma non soltanto di ciclo economico si parla, esistono anche e soprattutto i cicli storici. Questo preambolo intende introdurre una riflessione personale, nata alcuni anni or sono mentre analizzavo il “sistema bagno”. Non è semplicemente un’area domestica, quella del bagno, che continua a svilupparsi e seguire la moda. Il concetto di bagno come luogo di cura personale ha avuto origine nelle terme dell’antica Roma. Quello del bagno è un ciclo di cultura sociale che dura perlomeno da alcuni millenni. Dopo il Medioevo, anni nei quali l’igiene e la cura del corpo rappresentavano a volte un momento di conflitto con la morale religiosa, la situazione oggi è fortunatamente molto diversa. Le terme sono state riscoperte, così come tutte le attività collaterali legate al raggiungimento del benessere e perfino della gioia. Dal fitness al wellness e fino all’attuale “joyness”: forma fisica, benessere, gioia. Tutte queste parole sintetiche includono una serie di funzioni che vanno dall’idromassaggio alla cromoterapia, dalla musicoterapica ad aromaterapia e cristalloterapia eccetera. I progetti di prodotti da bagno e per impianti termali includono saune, bagni turchi, cascate, massaggi vibranti e shiatsu per finire, appunto, nel joyness: il concetto di piacere. Forse prima o poi arriveremo a livelli di commistione funzionale così avanzati da approdare al concetto di felicity o all’ecstasy, che non è la droga sintetica ma una serie di sensazioni quasi paradisiache, che potrebbe chiudere il ciclo storico dell'impatto della religione sull'igiene personale in modo sorprendente. Sappiamo che gli antichi romani avevano a disposizione più acqua pro-capite rispetto a noi, circa 270 litri contro i 70/100 attuali per le zone occidentali di clima temperato e socialmente sviluppate. Nel “sistema romano” le funzioni di benessere erano garantite dall’impiego di schiavi, impiegati per provvedere a ogni aspetto, dai massaggi alle ventilazioni, dagli impacchi caldi e freddi con erbe varie, fino alle profumazioni ambientali. Oggi queste figure sono state sostituite da schiavi meccanici, sofisticati meccanismi gestiti da un'elettronica sapiente “incastonata” in materie plastiche di ogni qualità e aspetto. Dalle superfici color bianco candido al finto marmo, dagli accessori morbidi agli inserti in finto legno, si spazia tra infiniti disegni ornamentali. Tuttavia, la fondamentale differenza tra l’epoca romana e quella odierna è che la nostra tecnologia, tendente a miniaturizzare i sistemi, riesce a trasportare quasi tutte le 35 funzioni,un tempo fruibili solo nei centri benessere fino al privato, in casa. Nei tempi antichi solo le grandi ville private potevano allestire luoghi di benessere come quello che oggi è tranquillamente realizzato in pochissimi metri quadri all’interno delle nostre abitazioni. La rivoluzione portata dalla tecnologia è, evidentemente, dovuta alla possibilità per il ceto medio e non solo per chi dispone di redditi elevati, di avere un piccolo centro benessere privato o a portata di mano, visto la grande diffusione nel territorio. Nei nuovi centri hanno anche fatto la loro comparsa numerose macchine che abbronzano, disintossicano, massaggiano, rilassano, coccolano, insomma, ti rivitalizzano e ti profumano. Si stanno diffondendo sempre di più nei paesi occidentali, sempre di più si attrezzano con sofisticatissime macchine di benessere che trasmettono sensazioni come quelle che madre natura ti fa vivere solo in luoghi tropicali di cultura esotica, o nei sogni promossi dalle agenzie di viaggi. Anche i nomi degli attrezzi richiamano questi concetti: docce tropicali, poltrone shiatsu di cultura orientale, percorsi sensoriali ludico-dinamici, saune finlandesi, distributori di tisane tonificanti, tutti contribuiscono a sognare situazioni paradisiache nelle quali immergersi completamente. La continua ricerca da parte dei grandi produttori come Teuco, Jacuzzi, Albatros ecc., tanto per citarne alcuni nazionali, sta nel produrre attrezzature di “benessere domestico” che si avvicinano sempre di più a quelle professionali presenti nei centri benessere. Queste strutture che vanno sostituendo le vecchie palestre, che miravano al semplice sviluppo muscolare degli iscritti. Credo che sia interessante, per chi sta leggendo queste righe, sapere quali sono le nuove tendenze e quale è la disponibilità di attrezzi presenti sul mercato per rimodernare il proprio bagno o per crearsene uno nuovo, quasi un piccolo stabilimento termale privato. C’è veramente "di tutto e di più": dalla cura dell’igiene a un vero processo di rigenerazione psicologica. Superato l’uso semplicemente quotidiano, la vasca da bagno si è dapprima evoluta fino all’idromassaggio con ultrasuoni. Oggi fa piacere pensare di impiegare una vasca anche per passare piacevolmente il tempo libero in un'ora di relax. Meglio se doppia ed attrezzata: ci si annoia di meno e se si ha un giardino o un patio o una terrazza con solaio resistente, una bella minipiscina da usare come salotto acquatico. E’ il massimo piacere per la famiglia e gli amici che si possono immergere nell’acqua abbandonandosi alla terapia dell’idromassaggio. I modelli più grandi permettono di effettuare esercizi di fitness acquatico con cyclette immersa e nuoto controcorrente, e sono attrezzati con TV con megaschermo e con una cascata che ricorda un ambiente naturale. Godibili dalla primavera all’autunno, non occupano molto spazio (circa 6 mq) e 36 hanno impianti autonomi di disinfezione e filtraggio dell’acqua. Queste mini - piscine con molti accessori sono l’ultima tendenza per chi può permettersi di investire nella realizzazione di ambienti che non sono più soltanto dei “bagni”, ma spazi un tempo appartenuti al “salotto” o al soggiorno. Oggi contengono macchinari evoluti e complessi che potremmo ancora chiamare docce anche se la funzione-doccia è solamente una delle tante disponibili. Caldaie, luci riscaldate, radio ecc. ne fanno oggetti che, con attrezzature fitness e saune turche e finlandesi, permettono alla famiglia di passare ore in vere terme domestiche, luoghi di cura del corpo e della psiche. Quale futuro nei nostri “bagni”? La fase attuale è quella del “trasparentismo”: docce tutte di cristallo, vasca con cristallo per la visione sott’acqua, piscine con tanti cristalli trasparenti, saune trasparenti. Sono prodotti apparentemente semplici e con poco impatto visivo, che aiutano a superare il senso di claustrofobia che alcuni prodotti precedenti potevano trasmettere ai soggetti sensibili. Angolo palestra in ambiente bagno. E’ un prodotto , insieme ad altre proposte per TEUCO, di trasformare da luogo di igiene a luogo di benessere anche fisico le cosiddette stanze da bagno. Una rievocazione domestica personalizzata delle antiche terme romane. 37 L'utenza ampliata Altro sistema di progettare per allungare il tempo d’uso e di vita di alcuni prodotti industriali è quello di progettare per la cosiddetta “ utenza ampliata” o “intergenerazionale” o “transgenerazionale”. Questo vuol dire allargare la fascia dei consumatori a categorie diverse, per esempio, da quei quarantenni in piena forma fisica, che acquistano per impulso emotivo o perché l’oggetto rappresenta uno status symbol riconosciuto nel suo ambiente, alla nonna con limitata abilità motoria o ai piccoli nella loro vivacità. Oggi gli arredi non tengono conto di queste fruizioni ma seguono solo indicazioni modaiole. E’ il classico modello di mercato consumistico che, se da una parte sviluppa economia, dall’altra crea problemi di smaltimento, d'inquinamento ed anche di estetica ambientale. Ma se quest'oggetto, quando è possibile, potesse essere riusato da tutta la famiglia in modo intergenerazionale, dai bambini agli anziani, alle persone con handicap temporanei (causati da incidenti) o permanenti, ecco che la sua vita si allungherebbe nel tempo. Questa diversa filosofia progettuale potrebbe risolvere molti problemi, lasciando in ogni caso grandi spazi ad articoli altamente specializzati. Dobbiamo prendere atto che l’età media dell’uomo si è allungata, e sarà sempre più necessaria una certa facilità d’uso anche, semplicemente, degli elettrodomestici più comuni. Ciò non comporterà la creazione di strumenti d’ausilio ma prodotti facilmente usabili da chiunque nella massima sicurezza. Secondo me è questa la sfida del nuovo millennio per progettisti e designer, in un campo dove l’elettronica ricoprirà uno spazio sempre più grande con un uso sempre più semplificato. Vorrà dire progettazioni sempre più complesse e sofisticate, più vicine a consumatori finora non considerati, con un loro specifico potere d’acquisto. Si dovrà rinnovare il metodo di fare ricerca, di avere e consultare banche dati, di progettare, di realizzare prototipi e di verificarne la rispondenza. Dovrà cambiare la filosofia concettuale di base. Non fare progetti ,poco accattivanti, riconosciuti come prodotti esclusivi per chi ha problemi fisici, realizzati da poche industrie e venduti ad altissimo prezzo dato l’esiguo numero di pezzi prodotti, o progetti per persone adulte, abili fisicamente, magari anche pericolosi, ma fare un design fruibile nello stesso modo dall’intera famiglia. Una progettualità diversa, più ampia, che dovrebbe rientrare nel corso degli studi come materia di base nelle Università o negli Istituti professionali. Tutto questo non è ovviamente solo un problema di design ma, principalmente del marketing che dovrà valutare i settori produttivi con la filosofia del prodotto “per tutte le utenze”. 38 Rendering CAD di una vasca-doccia intergenerazionale. La finitura esterna è prevista con più materiali, dal legno compensato curvato , al Duralite, al mosaico o in acrilico termoformato. Il design intergenerazionale o transgenerazionale sarà, per me, insieme a quello etnico, la nuova del design. Questo rendering di qualche anno fa è molto semplice, tipo stylife. Oggi sono richieste immagini molto più definire, tipo fotorealistico ambientato. 39 Chi parla e chi agisce Ultimamente, su Rai Tre, è andata in onda una serie di trasmissioni del Dipartimento Scuola Educazione, sul Design. Si è trattato di circa 50 “Lezioni di Design”, così erano intitolate, trasmesse alle 9,30 e da me registrate in quanto a quell’ora, ormai non più studente, sono affaccendato a “fare design”. Ogni tanto la sera mi rivedo alcune di quelle lezioni, ritrovando un po’ di vecchie facce conosciute e tante, tante parole. Sono tenute quasi tutte da professionisti milanesi e da qualche straniero che lavora a Milano, quasi esclusivamente nel design del mobile. Le lezioni mi sono sembrate per la maggior parte costituite da molte parole e poche idee innovative, dove ai termini pratici si sono sostituiti quelli teorici, volutamente rivolti alla trasgressione, all’antifunzionalismo, alle filosofie comportamentali, alle politiche sociali. È un approccio che rispetto, ma che non riesco a fare mio. In certi casi ritengo che l’immagine del design risulti troppo distante dalla realtà operativa. In molti casi parlano quei designer che amano autocelebrarsi, che si parlano addosso con tante parole che non dicono niente. Spesso mi chiedo se sono stati loro a fare quegli oggetti di successo. Forse sono solo il risultato di quella cultura locale di cui fanno parte. circoscritta ad un unico ambito regionale (nella fattispecie quello milanese), o ad una sola Associazione (l’ADI), che ha pur sempre una sua valenza storica, quella milanese, ma non costituisce tutto il mondo del design. Sarebbe stato però il caso di menzionare, soprattutto in uno spazio televisivo nazionale, tutte le realtà produttive, professionali e associative, che operano, producono e fanno cultura nel design nel resto del territorio nazionale e delle quali nessuno parla. Il problema delle parole non è una questione di gusti. La comunicazione può anche funzionare da traino di mercato, davanti a certi committenti che si lasciano convincere da parole non sono supportate dai fatti concreti. Parlo dei riscontri di mercato; questo porta a dare credito solo a quei pochi che sono molto abili a parlare, ignorando il resto dell’offerta che magari lavora ugualmente bene ma parla di meno, o in modo meno appariscente. Non sto certo disprezzando la comunicazione né coloro che sono bravi a farla. Però non bisogna dimenticare che ci sono in Italia tanti professionisti validi, designer che lavorano in settori diversi producendo, oltre ad oggetti utili e belli, economia e mercato, che non sono stati mai menzionati perché non sono milanesi, non parlano ma agiscono bene anzi, spesso meglio di quelli che parlano tanto . In settori diversi , decine di ottimi designer hanno fatto tanta e tale innovazione che nel settore del mobile neanche se la sono immaginata. Molto è stato fatto anche nel settore 40 cucina, specialmente nell’elettrodomestico ma, anche di questo non parla praticamente nessuno. Forse occorre introdurre qualcuno più bravo a parlare anche in questi settori? Concorsi di design Data la mia non più giovane età, indicatore presumibile di molta esperienza e forse di saggezza, mi chiamano spesso a fare da giudice di elaborati in concorsi di design. Mi trovo a fianco di giornalisti anche non di settore, filosofi, artisti, amici degli organizzatori, che considerano le idee progettuali più come una manifestazione di grande creatività che progetti per un prodotto industriale. Il mio disagio nello scrutinio è dovuto al fatto che si finisce spesso con il premiare progetti senza futuro, disorientativi, non producibili, da premiare perché gli altri membri della giuria li giudicano emotivamente diversi. Io, fautore di un design più concreto, funzionale, facilmente producibile con le attuali risorse, trasportabile e facile da distribuire in un mercato pronto a recepirlo, dovrei valutare non giudicabile e non pertinente al design, il 90% degli elaborati presentati. Ogni volta che m'informo, a posteriori, sugli esiti dei progetti premiati, ricevo sempre conferma che non hanno avuto alcun esito produttivo. Mi chiedo allora se ci sono alla base ragioni valide a questo genere di iniziative o se invece, come qualcuno sostiene, si organizzano per avere nuove idee a buon mercato, o per avere pubblicità con mezzi diversi o per rendersi visibili come produttori attenti e sensibili ad aiutare i giovani ad emergere. Iniziativa encomiabile se non avesse spesso come risultato di illudere molti giovani portandoli ad un’idea di design non realistico. Ritengo che la scelta dei membri della giuria debba essere più oculata ed i bandi di concorso più precisi e chiari, per ottenere il giusto ritorno dell’investimento e dare vere opportunità ai partecipanti di avere un riscontro commerciale. Ciò sarebbe utile sia all’azienda che al progettista, in termini pubblicitari ed economici. Circa 35 anni fa partecipai ad un concorso per un sistema di arredo componibile. Analizzai che tipo di cultura avevano i membri della giuria, e presentai un progetto che ritenevo perfettamente centrato per la loro cultura ma meno ottimizzato per l’uso reale del prodotto stesso e perciò di minimo successo commerciale. Vinsi il premio “Fiera di Trieste”; ma appena finita la cerimonia di premiazione (naturalmente con l’assegno del premio in tasca) lo stracciai, anche se soddisfatto del successo dell’esperimento. 41 Passaparola Esistono, nel calcio, nel cinema, nell’arte, alcuni personaggi che fanno a tempo pieno o casualmente gli scopritori di talenti. Penso che nel Design ci vorrebbero dei talent scout per le aree e i settori dove il design non è sufficientemente rappresentato, anche laddove è ben sviluppato. Bisognerebbe che i grandi centri di cultura e comunicazione del design fossero a conoscenza della sua esistenza. L’ADI, la grande e storica associazione dei designer italiani, fino a pochissimi anni fa si occupava solo del design per il settore arredo e trasporti con poca conoscenza di ciò che accadeva in altri settori produttivi. Nel settore bagno, ad esempio, c’è voluto l'intervento dell'amico Oscar Colli (Direttore de "Il bagno oggi e domani") per far scoprire a quest'associazione che esisteva anche un design-bagno. C’è stato un mio contributo indiretto per far conoscere il design nautico, forse ce ne sarà uno più diretto per far scoprire un altro settore del design: quello del benessere e fitness. Esistono tante pubblicazioni specializzate e molto belle su queste materie, ma non è concepibile che le associazioni e i mass media e soprattutto i politici responsabili del settore produttivo, non ne parlino mai. Eppure questi settori sono quelli che danno grossi contributi all’economia e all’occupazione nonché un buon bilancio positivo all’esportazione. Passate parola anche a casa nostra, visto che in altri paesi esteri pare che la voce circoli decisamente meglio. 42 Conoscere o ignorare Mi sono capitati ultimamente due tipici casi di incarico progettuale da due aziende operanti in settori diversi. Una è impegnata principalmente nel contract, dotata anche di una distribuzione a rivenditori qualificati ed una serie di prodotti molto eterogenei, difficilmente riconoscibili da una linea di design ma, a detta del direttore marketing, di più facile scelta per consumatori di gusti diversi. La prima azienda si avvale di designer/architetti che progettano prodotti da inserire nei complessi da loro progettati. L’altra azienda invece opera in un solido mercato internazionale, con una rete distributiva molto qualificata. La prima, nel propormi l’incarico, mi ha chiesto un prodotto da inserire nel proprio catalogo senza fornire altri dettagli sulle proprie tecnologie, sul mercato di riferimento, sul tempo ed il prezzo di distribuzione. “Meglio non sapere niente” diceva il direttore marketing “cosi si è meno condizionati e le proposte possono essere più originali”. La seconda azienda, invece, è stata fin troppo generosa di informazioni sul suo mercato, sui propri successi e insuccessi, sui desideri dei propri rappresentanti; mi ha fatto partecipare alle riunioni con gli agenti di commercio, mi ha informato sui desideri del titolare dell’azienda. Quale delle due ha ragione? Ho accettato l’offerta della seconda azienda, rifiutando l’incarico della prima, anche perché, dall’analisi del suo catalogo, ho avuto la sensazione di una massa informe di prodotti non identificabile con un’immagine aziendale precisa. In una situazione simile è impossibile fare design professionale, si rischia di impantanarsi in esercitazioni più o meno sterili di progettualità didattica, un po’ come avviene nei concorsi di design. Come ogni mamma, anche le aziende devono riconoscersi nei propri figli. E’ come se i geni del nostro DNA non tenessero conto dei caratteri ereditari e creassero un essere strano, non riconosciuto della famiglia. Insomma… un po’ un figlio di! 43 Di chi è il progetto? Di chi lo ha ideato e fatto o di chi lo ha brevettato? Se è la stessa persona non ci sono dubbi, è suo a tutti gli effetti. Ma se è l’azienda che paga il brevetto anche se questo è intestato al designer, di chi è il progetto? In questo caso, è il caso di parlare dello sfruttamento dell’idea. Pur non essendo un esperto di diritto e legislazione, metto al servizio del lettore l'esperienza di “bottega” del progetto accumulata nella mia attività. Al fine di evitare l’insorgere di spiacevoli contestazioni, conviene cautelarsi immediatamente depositando o brevettando o il modello ornamentale o l’invenzione che troverà applicazione nel prodotto / novità. E’ pero fondamentale stabilire, in sede di stipula di un contratto, quali siano i soggetti e l’oggetto del rapporto, individuando così in maniera automatica a chi attribuire la titolarità di un progetto o di un’invenzione. La questione è: diritto al brevetto o diritto di brevetto? Intendendo nel primo caso “chi” ha il diritto di ottenere il brevetto, nel secondo a chi spetti il diritto di sfruttamento del brevetto dopo averne ottenuto titolo (proprietario e "sfruttatore" del brevetto, colui che lo mette in produzione o in commercio). In un rapporto di lavoratore dipendente, il diritto al brevetto spetta al lavoratore che abbia conseguito l’invenzione di propria iniziativa, pur se attraverso l’uso dei mezzi disponibili in azienda. Quest’ultima, può esercitare un diritto d'opzione per l’acquisto del brevetto stesso, manifestando la propria intenzione entro tre mesi dal deposito della relativa domanda e corrispondendo al dipendente/inventore l’equivalente del prezzo. Di contro, appartengono al datore di lavoro i diritti dell’invenzione conseguita da un lavoratore nell’ambito di un rapporto di lavoro che preveda l’attività inventiva come oggetto dell’attività dovuta dal dipendente, spettando a quest’ultimo solo il diritto morale di essere riconosciuto come autore. In linea generale, l’invenzione conseguita nell’ambito di un rapporto di committenza, regolato da apposito contratto, rientra, invece, nel patrimonio del committente che, sostenendo costi e rischi dell’opera commissionata, ne acquisisce il diritto di utilizzazione economica attraverso la cessione del diritto allo sfruttamento da parte dell’inventore. Vorrei a questo punto fare un distinguo fondamentale; se l’idea è venuta al designer e se questo è pagato a royalties, la proprietà del brevetto è la sua anche se l’azienda ha pagato i costi di deposito del brevetto nelle varie aree commerciali dove è interessata l’azienda. Questa ha il diritto di sfruttamento in esclusiva fino che è interessata al prodotto, dopodiché questo può ritornane alla disponibilità del designer. Se invece il designer vende l’idea al produttore con pagamento della cifra pattuita, e l’azienda ne paga il brevetto, il progetto rimane di totale proprietà di quest’ultima e il designer rimane anche in questo caso l’inventore morale. 44 Designer e azienda: partner o concorrenti? È passato oltre mezzo secolo da quando le prime collaborazioni tra piccoli artigiani e architetti o designer hanno cominciato a diventare una norma. Allora quella del designer era una professione sconosciuta. I prodotti nascevano dall'incontro giornaliero di figure pionieristiche attorno ad un tavolo, con utensili, strumenti e pennarelli. Parole come ufficio tecnico o product management erano del tutto inesistenti, né si poteva pensare a processi dipendenti da computer o concept design, co-design e marketing. Oggi le cose sono cambiate. La competitività globale e gli investimenti elevati, i prodotti complessi richiedono professionalità più specifiche. Gli artigiani si sono evoluti in piccoli industriali, talvolta in possesso di capacità produttiva più ampia. Il designer si deve perciò confrontare con numerose figure professionali di settori diversi ma collegati, ad esempio con il marketing, che spesso fornisce al progettista gli input concettuali. Il settore di produzione industriale contribuisce tramite i tecnici di progettazione, che indicano le caratteristiche tecnologiche dei prodotti, e gli specialisti di produzione, imballaggio, distribuzione e manutenzione. Grande importanza è attribuita anche ad esperti di comunicazione, grafici e fotografi, che pur lavorando indipendentemente dal progetto forniscono dati e necessitano di continui scambi d'informazioni, per capire il prodotto e comunicarlo nella maniera corretta, cogliendo le caratteristiche vincenti sulle quali ha lavorato il designer. Visione del piccolo laboratorio fotografico del nostro studio. Talvolta è importante che il designer assista al servizio fotografico per indicare al fotografo le caratteristiche da mettere in risalto nelle immagini talvolta trascurate senza la dovuta assistenza del progettista. 45 Immagine della zona CAD dello studio. E’ importante lo studio del l’illuminazione di questo ambiente per evitare che la luce naturale o artificiale non si rifletta sugli schermi. Sono anche importanti dei divisori tra le diverse stazioni di lavoro e dei soffitti a isolamento acustico. La foto non fa testo. Laboratorio per la prototipazione industriale dello studio, attrezzato con tutte le principali macchine utensili per lavorazioni meccaniche e con tecnici modellisti esperti in compositi. 46 Cultura del nord e quella del sud Italia In una serata tra amici designer l'argomento design è prevalente, ma in quella di cui vi parlo si affrontava l'argomento delle differenze tra il design del nord Italia e quello del sud. Alcuni amici notavano come, in base a esperienze recenti, le aziende del nord assumano un atteggiamento completamente diverso nei confronti dei designer rispetto a quelle che si collocano più a sud, anche se operano da diversi anni con i medesimi designer. Le aziende del nord si mostrano orgogliose dei prodotti a firma dei designer, magari famosi, e mettono in evidenza il loro nome in qualsiasi comunicazione di prodotto. Quelle del sud evitano troppo spesso che il nome del designer sia pubblicizzato o quantomeno conosciuto. Da quella serata non è emersa una spiegazione precisa di questo fenomeno, ma solo alcune ipotesi. Ché la figura del designer sia oggetto d'invidia commerciale? O si teme che il suo nome oscuri il nome dell’azienda produttrice? Che il designer acquisti più forza contrattuale e richieda compensi più elevati per il proprio lavoro? Forse ci sono anche altri oscuri motivi che mi sfuggono, ma posso dire che dalla conversazione di quella sera è emersa una riflessione che non avevo fatto prima. All'inizio della mia esperienza lavorai per più di dieci anni con aziende del nord e a malincuore devo ammettere che in seguito, con alcune aziende del sud, a volte mi sono trovato a disagio. Alcune volte mi sono perfino sentito mortificato sul piano umano, per alcune furbizie contrattuali. Ho anche rilevato e ammesso che certi atteggiamenti vessatori mi hanno disturbato nell'esprimere al meglio le mie capacità progettuali. In quei casi mi sono limitato ad accontentare i desideri del committente. Presumo che atteggiamenti diversi tra nord e sud siano un fatto di cultura. Essendo peraltro abituato a muovermi in ambienti aziendali del centro sud, ad alcune differenze non avevo dato peso, considerandole parte dell'ambiente e della cultura presente in queste regioni. Qui si ha la paura di perdere qualcosa dando più credito al designer, di perdere quel potere tanto caro all’uomo del sud, che è più individualista che collaborativo. Si tende più al miglioramento del proprio stato sociale che al miglioramento qualitativo della propria impresa, delegando pochissimo ad altrui saperi e competenze. Credo che sia questo il motivo del mancato sviluppo delle grandi imprese del sud. Ricordo sempre le parole di Virgilio Guzzini; “il segreto del mio successo è stato ed è quello di circondarmi di persone più brave di me”. Trovo spesso invece imprese con dirigenti che si circondano di persone meno capaci per poterle controllare meglio e non perdere la propria poltrona, che va mantenuta anche a discapito degli interessi aziendali. Guai se un subalterno di questi quadri aziendali prende una iniziativa o una piccola decisione migliorativa al prodotto o al processo produttivo, se questa non porta la firma e il merito al dirigente! E’ 47 giusto rispettare le filiere burocratiche ma occorre tenere presente anche gli interessi aziendali che portano ad una crescita parallela di tutti i componenti. Naturalmente non è un discorso universale o riferito a tutte le aziende del sud. Si tratta di un clima, che però pregiudica anche il legittimo diritto di un designer, o per chi ha "inventato" un prodotto, di vederselo riconosciuto. I riconoscimenti al nome del designer rappresentano, in effetti, anche un vantaggio per l'azienda. Nel corso degli anni la situazione sta migliorando. Vediamo come. L’invasione dei prodotti orientali, parlo di Cina, India e Corea, nei mercati occidentali, caratterizzati dal basso costo, senza griffe e originalità, porterà ad una riqualificazione dell’originalità e delle idee. E le idee vengono da chi ce l’ha e sa che costano fatica, impegno e denaro, spesso con una struttura fatta da persone capaci che meritano di essere riconosciute tali. Ma di ciò ne parleremo più avanti. 48 Mai proporsi con una propria idea ….. anche se si pensa sia brillante, se prima non si è trovato un committente che voglia investire su un progetto almeno simile al vostro. E se non è interessato, spesso conviene rinunciare alla propria idea in favore della sua. Ho verificato che pochi sono disposti ad investire totalmente sulle idee altrui, salvo quelli che le copiano. Se poi si ritiene che la propria idea sia quella giusta e da sfruttare, i casi sono due; o si bypassa l’idea, tramite un’abile azione psicologica, a persone vicine al responsabile del marketing aziendale che poi egli ti ripropone ,dopo poco tempo, come sua, o diventi imprenditore della tua idea. Comunque, a meno che non si voglia rischiare di rimetterci del denaro, è meglio andare sul sicuro con l’idea del committente. Questa affermazione è dettata dalle esperienze vissute, ma è una regola di buon senso non sempre rispettata. Spesso è offuscata da quel meccanismo mentale che si chiama orgoglio, o presunzione. Prima o poi ogni progettista, o designer o inventore o consulente, ci casca e quando se ne accorge è troppo tardi per uscirne, si trova invischiato in problemi o preoccupazioni economiche senza rendersene conto. Credo che ognuno debba fare il proprio mestiere, senza mai dimenticare la capacità di prendere al volo quelle occasioni che qualche volta capitano nella vita. Quando ti passa davanti un treno che ti porta a traguardi lontani è davvero un peccato perderlo per restare rigidamente attaccato alla propria professione! 49 Nei primi anni ’90, su suggerimento di un mio amico ristoratore, progettai un sistema di mezzi di trasporto urbano a trazione elettrica. Un sistema molto innovativo composto da tre modelli di mezzi mobili a tre ruote e da uno scambiatore automatico di batterie. Questo era un carosello di cestelli di accumulatori elettrici posti sotto carica, rivestito da pannelli in VTR, con frontale attrezzato per ospitare due mezzi mobili per la sostituzione delle batterie scariche. I veicoli , differenziati dalle dimensioni in funzione del numero dei trasportati da uno ,due ,tre posti, erano coperti e motorizzati con sistemi brushless a recupero energetico in frenata, posti nelle ruote. Uno dei pochi brevetti registrati in proprio dal mio studio, sul quale ho fatto notevoli investimenti, finanziando la ricerca e prototipazione dell’intero sistema. 50 Ikeizzare “Ikeizzare” è un neologismo che indica la modalità commerciale della multinazionale svedese IKEA. Il suo successo internazionale riconosciuto è legato alla possibilità di farsi un arredamento con componenti da assemblare, molto razionale, semplice ma personalizzato, a costi contenuti e qualità di materiali e finiture più che buoni. Per operare la riduzione dei costi, IKEA ha lavorato sull’eliminazione dell’assemblaggio finale e il montaggio a domicilio. È finito il tempo degli arredamenti già pronti e di stile predefinito, così come si è ridimensionato il prestigio degli status symbol per tutti, che ha in parte caratterizzato gli anni Ottanta. Una nuova cultura minimalista di ispirazione a metà tra il tecnologico e l’orientale è attualmente più in voga, il grande pubblico preferisce spendere di meno e personalizzare di più. A livello di marketing gli effetti si sono fatti sentire. Le strategie di vendita focalizzano il target e cercano di offrire prodotti mirati alle varie utenze. In termini pratici significa che i prodotti molto decorativi e fantasiosi non pagano più come un tempo. Vorrà forse anche significare che la firma del designer tende a sparire dal mercato? Assolutamente no, ma vediamo perché. Primo: i prodotti IKEA portano nel catalogo la firma e spesso la foto del progettista. Secondo : si diffondono le copie, le imitazioni e i prodotti a basso costo di importazione orientale. La qualità di questi prodotti non è nemmeno troppo scarsa, per il momento manca soltanto a quei prodotti la mano del designer. La parte del leone la sta facendo la Cina. Non possiamo competere con gli standard di questo mercato, nel quale già cominciano a crescere capacità progettuali. Parliamo di paesi caratterizzati da fame di crescita e grande aggressività commerciale. Ma anche nei mercati che si stanno ikeizzando non manca lo spazio per i prodotti di qualità, caratterizzati da prodotti griffati e distribuiti con stile e cura in boutique che offrono anche un servizio di interior decorator. I prodotti a firma “importante” conservano quindi sia il proprio prestigio che la garanzia di essere stati pensati anche dal punto di vista della sicurezza e del rispetto ambientale. Su questo terreno si combatte la nuova battaglia del design contemporaneo. Ci sono poi aree commerciali come quella del bagno che non si potranno ikeizzare facilmente. I materiali richiesti sono comunque costosi e tecnicamente difficili da trattare. Stiamo poi parlando di un ambiente che ha attraversato vere e proprie rivoluzioni negli ultimi anni e la cui specifica particolarità non ha bisogno di essere sottolineata. 51 Da semplice luogo per l’igiene personale ad area fitness (un luogo per tenersi in forma), dal wellness (benessere) fino all’ultima tendenza: joyness. Un’area domestica nella quale semplicemente star bene, trascorrere del tempo, rilassarsi, perfino un modo nuovo per accogliere gli amici. Le minipiscine consentono di stare a mollo tutti insieme e scambiare due parole. È ovvio che per prodotti di questo livello non si può evitare di ricorrere a un professionista del design. Ed ecco che la sua firma appone una garanzia di professionalità ed esperienza sui progetti, diventando una specie di certificato di qualità. La nostra professionalità e la nostra firma sarà sempre più interessante per la gamma alta del mercato. La globalizzazione, troppo spesso intesa come appiattimento, non potrà incidere sul lavoro di chi ha fatto della qualità la propria professione ma solo sulla creazione di prodotti con esigenze d’altro tipo. C’è ancora spazio per tutti. 52 Venti dall’Est Essendo appassionato di mare e navigatore da qualche decennio, ho acquisito quella conoscenza dei venti che, anche senza bollettini meteorologici o strumentazione sofisticata, ti porta ad intuire situazioni difficili, talvolta prevenendo i momenti più critici. Parlo di atmosfera ma anche delle tendenze degli ambienti commerciali. Da qualche tempo sto tentando di capire se il “vento” che viene dall’Est sarà portatore di positivi cambiamenti di mercato e conseguentemente agirà sul mondo del design, o se ci metterà in condizione, in un prossimo futuro, di dover affrontare situazioni più difficili di quelle attuali. L’Est ha la necessità di recuperare cultura, benessere ed economia piuttosto rapidamente, ed avendo a suo vantaggio la possibilità di manodopera a basso costo può accaparrarsi i mercati dell’Ovest per la fascia di mercato medio - bassa. L’unica difesa per contrastare il gioco al ribasso, è quella data dal valore aggiunto del nostro design innovativo. In questo campo siamo ben qualificati, ma bisogna stare attenti a non perdere questo valore aggiunto per mancanza di strutture adeguate. Con questo intendo dire che ci vogliono design, tecnologia e ricerca, tesi verso un mercato di alta gamma. L’esempio ci viene dal settore delle calzature: il mercato stava crollando e si è potuto risollevare solo grazie a prodotti di qualità, nati dalla ricerca e dalla tecnologia di profilo elevato. Da buon marinaio dico quindi che è meglio prevenire il cattivo tempo e correre ai ripari incentivando proprio i settori della ricerca in vista di un incremento della qualità, anche se il vento dall’Est oramai sta soffiando su di noi già da qualche anno. Per noi designer, con la nostra capacità creativa, la nostra cultura del bello, non ci mancherà l’occasione di collaborare con industrie cinesi per prodotti firmati italiano. Credo che in questo modo si possono avere prospettive positive sia per i designer che per i prodotti fatti in Italia dagli stessi designer. Ci sarà sempre un mercato per oggetti D.O.C. firmati da designer famosi nel mondo. 53 Innovazione Già da qualche anno economisti, politici, consulenti, parlano sempre più spesso di innovazione, parola ripetuta frequentemente in tutti i settori ma applicata veramente solo in pochi, come quello dell’elettronica. Trent’anni fa quando cinema e letteratura raccontavano il futuro, il 2000 era rappresentato in modo talmente avanzato da far pensare che oggi avremmo dovuto avere tutti automobili volanti! Ma, forse fortunatamente, non è stato cosi. Grossi cambiamenti ci sono stati anche se in maniera meno eclatante, e non sempre per il meglio. Molti passi in avanti sono stati fatti in tecnologia e ricerca, nell’elettronica, nei trasporti, nella comunicazione, nella medicina applicata. Tutti settori in cui il designer interviene spesso nel dare “bellezza” alle funzioni tecnologiche. Questo valore aggiunto, se ben fatto, crea elemento primario di successo, addirittura al di sopra della stessa tecnologia. Il designer può apportare vere e proprie innovazioni ai prodotti, con quella capacità di osservare globalmente il mercato che, unita alla preparazione tecnico-stilistica, gli consente di individuare alcuni anni in anticipo le nuove tendenze ed a proiettarle nel progetto in corso. Una volta individuato il trend e concepita la filosofia da immettere nei nuovi prodotti, è bene che questi non si fermino ad uno o due modelli ma che si creino delle “famiglie”, differenti come dimensioni, estetica e funzioni, ma riconoscibili in quanto appartenente alla stessa filosofia concettuale. Nel progettare queste nuove “famiglie” o linee di prodotti è bene usare componentistica comune, anche con grandi investimenti in nuove tecnologie, e invece fare “carrozzeria” per le parti che sono visibili e che fanno estetica, con tecnologia a basso investimento, in quanto facilmente rinnovabili e comunque presenti in una gamma con minor numero di pezzi. Infatti, più è alto il numero dei pezzi da produrre più conviene investire in attrezzature (stampi, macchine automatiche ecc.), cosi da tenere basso il costo di ogni singolo componente. Per un numero relativamente medio di pezzi si usano robot con apprendimento simulato, mentre più è basso il numero dei pezzi e più conviene utilizzare bassa tecnologia e più manodopera. Da quanto mi risulta l’uomo è ancora più intelligente dei robot! Il singolo componente costerà leggermente di più, anche senza il costo d’ammortamento delle attrezzature specifiche di quel prodotto, ma sarà più facilmente diversificabile. Su questo concetto oggi piccole e medie aziende riescono a produrre e a rinnovare velocemente e spesso la gamma dei modelli da immettere sul mercato e solo così riescono a crearsi i loro spazi commerciali. Per le aziende dai grandi numeri, quelle 54 automobilistiche ad esempio, questo sistema è meno evidente in quanto quasi tutti i componenti sono altamente industrializzati con forti investimenti. Lavorando svincolati da esigenze interne di produzione e da metodi codificati condizionanti, si riescono a creare oggetti innovativi, sistemi e funzioni diversi, originali a comuni prodotti presenti sul mercato, spesso anche con idee non producibili perché troppo costose o troppo avanzate. In questo caso, se ci sono le premesse, è utile convincere le aziende a verificare, all’interno e all’esterno, queste idee innovative con dei prodotti d’immagine. Questo argomento, trattato anche nel mio precedente libro, l’ho ripreso in seguito a recenti esperienze vissute. Fino a qualche anno fa ho sempre consigliato alle aziende di fare ricerca tecnologica, anche in funzione di manifestazioni particolari, (come fiere, mostre ecc..) dove sarebbe stato opportuno presentarsi come struttura all’avanguardia, anche per motivi di concorrenzialità nel mercato. Talmente convinto della validità di questa ipotesi, qualche anno fa decisi di vivere in proprio una esperienza imprenditoriale. Sollecitato da un amico a realizzare una sua idea sulla propulsione elettrica per veicoli leggeri da città, decisi di progettare e prototipare tutto il sistema di veicoli in tre versioni, monoposto, biposto e promiscuo e in più il distributore automatico di batterie o loro sostituzione quando scariche. Dopo un lungo lavoro di studio, produssi i prototipi e il sistema di scambio batterie pensando che, dopo una presentazione alla stampa e a pubblici amministratori, potevo ottenere un giusto successo, vista l’estetica avanzata e molto piacevole. Ma non è stato cosi facile. 55 Prototipazione/ Industrializzazione del prodotto Mi è capitato di iniziare una collaborazione con aziende che non avevano avuto rapporti con i designer e mancavano di quelle strutture di cui sopra. In quel caso spesso mi è stata richiesta la prototipazione del progetto selezionato. Il mio team di modellisti è in grado di costruire il prototipo funzionante da mostrare al committente. In presenza del prototipo definito in ogni particolare a volte ci sentiamo dire che quel prototipo è "pronto per essere prodotto in serie". Niente di più inesatto! Quel prototipo, per diventare un prodotto competitivo in qualità e prezzo e rispondere alle normative esistenti, necessita di un'ulteriore fase di industrializzazione. Deve cioè passare per una definizione progettuale che permetta la messa in produzione tramite processi compatibili con le attrezzature presenti in azienda. Il processo d'industrializzazione assume grande rilevanza, talvolta perfino superiore alla fase creativa operata dal designer. Dall’evoluzione del rapporto designer – committente, gli studi di design si stanno organizzando per fornire alle aziende pacchetti personalizzati sulle loro esigenze, che vanno dal marketing al design, dalla modellazione alla prototipazione fino alla parziale industrializzazione. Parlo di parziale industrializzazione in quanto quella definitiva può essere fatta solo all’interno dell’azienda produttrice o dai fornitori dei componenti, perché solo loro hanno la perfetta conoscenza della capacità e delle caratteristiche dei propri impianti o di chi possa essere incaricato di produrre i componenti mancanti. Ma principalmente, il processo di industrializzazione, deve essere compatibile con le capacità e con i sistemi usati dalle maestranze addette alla produzione. Spesso gli studi che offrono la totale industrializzazione non forniscono un servizio soddisfacente, mentre in azienda si individuano i materiali e le tecnologie più corretti, grazie a database specifici interni all’azienda stessa. Ai giovani che ancora non hanno avuto mai a che fare con gli uffici tecnici vorrei spiegare che per database si intende quella lista dei componenti d'ogni prodotto industriale, che include la descrizione d'ogni componente nei minimi particolari (dimensione, materiale, finitura, riferimenti d'assemblaggio, produttore e cosi via). Esistono talvolta uffici tecnici esterni all’azienda, formati da dipendenti che sono comunque a perfetta conoscenza delle strutture interne aziendali. La fase d'industrializzazione non compete al designer, ma questo, nell’elaborare il progetto esecutivo del prototipo, può avvicinarsi molto a semplificare il processo perfetta conoscenza dell’azienda committente. se ha una 56 Bozzetto di un gommone volante anfibio biposto affiancato. Il sostentamento aerodinamico è previsto con il sistema autogiro con prenotazione a cavo o elettrica. Il motore ad elica spingente è un ROTAX 105 c.v. 4t. L’illustrazione si riferisce al modello proposto alle Capitanerie di Porto. 57 Direzione artistica Anni fa, un’azienda mi chiese di interessarmi di tutti gli aspetti, dal marketing alla comunicazione, dalla grafica alla progettazione e, ovviamente, del design. Dopo una titubanza iniziale accettai, pensando al fatto che quando progetto un prodotto, in mancanza di input precisi dal marketing, me li do da solo compiendo approfondite ricerche. Seguo sempre tutte le fasi della progettazione, per focalizzare meglio le caratteristiche vincenti del prodotto stesso. In quel caso mi si chiedeva una responsabilità totale del successo e del destino dell’impresa produttrice. Anche il carico morale, quindi, non era poco. Il vantaggio è che fai ciò che ritieni giusto senza troppi filtri e che puoi spingere l'azienda a sperimentazioni più intense rispetto a quelle che suggerirebbe un interno. Ma il tempo da trascorrere in azienda è cospicuo, oltre alla responsabilità e alla necessità di una struttura più ampia della mia per far fronte a ogni eventuale problema. Quest'esperienza si è comunque rivelata molto positiva e stimolante, anche se limitata nel tempo. 58 PRESENTAZIONE LAVORI Arriva prima o poi il momento di presentare un lavoro. E’ sempre come un esame, sia che si tratti di un nuovo cliente quanto di uno con il quale già si lavora : in questo caso si spera ci sia stato dato un brief sufficientemente preciso. Ad ogni modo qui di seguito cercherò di illustrarvi un buon metodo per procedere. Credo che oggi occorra pensare in modo nuovo a presentazioni articolate e complete, destinate ad organizzazioni importanti, che potrebbero diventare nuove committenti. E’ un’esigenza che nasce dall’esperienza fatta e dall’osservazione di ciò che ci accade intorno. Molte cose sono cambiate nei rapporti e nelle relazioni lavorative. Altri metodi occorrono negli approcci e abbiamo visto che hanno maggior impatto le presentazioni articolate, anzi questo e’ sicuramente un metodo necessario. I committenti hanno maggiori aspettative, specialmente a livello emozionale e la professionalità deve tenere il passo. Occorre dunque fare ricerche, informarsi, documentarsi e supportare le presentazioni con dati, tendenze, filosofie e tutto quanto può servire alla completezza delle immagini. Penso ad una articolazione così concepita: 1) ANALISI DEL MERCATO DI RIFERIMENTO ESISTENTE 2) PROSPETTIVE CORREDATE DA DATI PERCENTUALISTICI 3) PROPOSTE MOTIVATE 4) PROPOSTE ILLUSTRATE 5) ASPETTATIVE 1) Analisi del mercato di riferimento esistente Panoramica della situazione riferita ad abitudini consolidate e a tendenza previste. Si rapporti tutto al Paese di competenza o anche Europa o Asia o America: questo si dovrà determinare di volta in volta. In questo caso Internet sarà molto utile. 2) Prospettive corredate da dati percentualistici Di conseguenza avremo i dati che ci consentono di motivare esigenze vere o sollecitate, nuove realtà che si prospettano per configurare settori di mercato e nuovi business. Dati che dovrebbero convincere il committente ad affrontare nuovi investimenti. L’uso di diagrammi potrebbe essere un buon ausilio. 59 3) Proposte motivate Sarà utile perciò motivare la necessità di sperimentare nuove tecnologie, che daranno spinta e immagine e costituiranno un tema prioritario per la comunicazione e la pubblicità Ad es. sarebbe interessante differenziare le proposte secondo l’uso e i costumi dei paesi di riferimento. 4) Proposte illustrate Avendo individuato il settore operativo, si presenteranno rendering accattivanti, a colori, semi-ambientati e ambientati. Questo è un punto di grande rilievo perché fondamentale al convincimento definitivo. 5) Aspettative La filosofia che motiva tutto il lavoro fatto fin qui deve emergere chiara e per far si che il cerchio si chiuda, si dovranno prospettare possibili scenari di utenza e ipotizzare fruitori disponibili. Tutto quanto detto dovrebbe essere presentato in un book che sarà l’espressione del professionista o dello Studio, nel logo e nell’immagine. Rendering al CAD per un gazebo attrezzato, in legno lamellare, per minipiscine. E’ previsto in versione aperta estiva o chiusa per il vento o l’inverno. L’oblò in alto è sollevabile per una maggiore areazione. La versione definiva e semplificata, è andata in produzione dalla TEUCO. 60 Trait d’Union Un ruolo particolare riveste chi si trova al centro fra chi propone un progetto e chi necessita di un progetto. Una figura che si può chiamare in molti modi: account, procacciatore, trait d’union appunto, che sempre deve porre attenzione alle necessità di una e dell’altra parte. E’ una sfida continua per cogliere le esigenze reali degli uni e saper suscitare bisogni negli altri; si perché l’economia è anche questo: indurre delle necessità. Non sembri un discorso pragmatico o provocatorio, ma è pur vero che questo è il ruolo della pubblicità o della buona comunicazione. Far sentire il bisogno di un oggetto è più di un desiderio. Al di là del facile moralismo, senza sconfinare nel consumismo, questo meccanismo è la base su cui poggiano l’economia, la produzione, la filiera distributiva, l’uso e lo smaltimento di ogni oggetto. E’ questo ciò che ci consente di lavorare, produrre, acquistare, vendere, progettare, vivere. Il trait d’union deve essere pronto a vagliare ogni aspetto, commerciale, tecnico, estetico, produttivo. Occorrono conoscenze di marketing, sensibilità psicologiche, antenne alzate per captare le tendenze e molto equilibrio. In riferimento al marketing, non sempre e’ necessario avere una laurea alla Bocconi, anche se apprezzabilissima, ma una discreta cultura e un’esperienza commerciale diretta, possono essere già un buon punto di partenza. Per quanto riguarda la sensibilità psicologica, occorre precisare che la cosa e’ soggettiva. Si e’ facilitati quando ci si allena all’ ascolto degli altri, a cogliere le inclinazioni individuali e a cercare di comprendere anche ciò che non viene espressamente detto. Le antenne poi sono assolutamente indispensabili, perché le informazioni arrivano continuamente anche da ciò che sembra non rivestire grande importanza. L’equilibrio infine, e’ annoverabile con il tanto auspicabile “buon senso” che, per quanto scontato possa sembrare, a volte e’ difficile da trovare. Tutte queste doti non convivono facilmente in una persona. Inoltre e’ necessaria una continua documentazione; visitare fiere, consultare riviste, leggere tanto di tutto. Coltivare interessi e tenere aperta la mente, aiuta a relazionarsi con gli interlocutori; un impegno continuo. Un discorso a parte poi, andrebbe riservato alla memoria. 61 Si, perché questo valore aggiunto e’ sempre utile in ogni situazione ma, quando si devono incamerare tante informazioni, e’ di certo un grande apporto, un bacino cui attingere risorse preziose. In qualche occasione occorre anche saper ricucire relazioni incrinate da malintesi. In questi casi sembra che ci si trovi di fronte ad una sconfitta e forse è così, ma l’unica soluzione e’ reagire e ricominciare da capo. Mai farne un caso personale: sarebbe un vero errore. Per questo e’ necessario costruire rapporti onesti, basati sulla fiducia e sul rispetto. Quando, infine, si trovano soluzioni interessanti e utili per tutte le parti in causa, allora il percorso incontra momenti di vera gratificazione. 62 CAPITOLO SECONDO Questa seconda parte riguarda principalmente l’organizzazione delle aziende produttrici. E’ giusto parlarne perché ognuno che fa o farà design si deve o si dovrà interfacciare con le strutture aziendali ed è per questo che io le chiamo, appunto, “interfacce del designer”. Perciò credo che sia giusto conoscere come è organizzata una moderna azienda che produce anche oggetti di design. Sono settori aziendali maturati dalle grandi aziende americane ma anche e specialmente giapponesi, dopo la seconda guerra mondiale, creando una vera e propria rivoluzione industriale anche nelle nostre fabbriche europee. La mia è comunque una semplice descrizione, quanto basta a noi designer, lasciando a chi vuole approfondire gli argomenti ampio spazio per ulteriori conoscenze tramite una vasta letteratura tecnica organizzativa. 63 L’Ufficio marketing Parlo e scrivo di marketing perché si tratta del primo contatto del designer con l'azienda. Da quest'ufficio provengono input progettuali, di cui il designer dovrà rispondere con un progetto il più vicino possibile al prodotto ottimale che marketing, industria e mercato si aspettano da lui. Il rapporto tra uomo-marketing e designer è spesso basato sullo scambio reciproco e sulla collaborazione: entrambi collaborano al successo del prodotto e ne verificano la rispondenza alle richieste dell’ufficio commerciale. Talvolta il rapporto marketing-designer è conflittuale ed in caso d'insuccesso del prodotto, le reciproche accuse di scelte sbagliate o d'incapacità possono perfino portare alla rottura della collaborazione. Capita che sia più facile dire che il designer, in quanto creativo, abbia sbagliato progetto. Spesso è vero, ma altrettanto spesso il risultato negativo è frutto di input erronei. Molto utile, a scopo precauzionale, farsi fare una lettera di incarico dall’azienda, nella quale siano descritte le caratteristiche richieste per il prodotto, i tempi di verifica e di consegna dei progetti finali, le condizioni economiche riferite all’incarico specifico, i relativi rimborsi spese per eventuali ricerche, modelli, trasferte, verifiche su tecnologie da applicare e cosi via. È fondamentale, anzitutto, definire il posizionamento del prodotto nel mercato, quindi fare un'analisi della concorrenza in quella fascia e per quella tipologia di progetto. Vorrei riaprire, per l’ennesima volta, una piccola polemica. Da qualche decennio a questa parte, da quando il marketing è entrato nell’organico di molte aziende, a noi designer rimane il compito principale di fare i “tappabuchi”, cioè quelli che devono fare un prodotto in risposta ad un successo della concorrenza, nel più breve tempo possibile, più “furbo" ed economico possibile, ma sempre più bello di quello del concorrente! È un lavoro competitivo, ma perdente, perché il concorrente è uscito prima e ha già conquistato il mercato, con tutto il tempo necessario per una giusta progettazione, industrializzazione e comunicazione. In questi casi al designer non resta neanche la possibilità e la soddisfazione di essere originale. Per questo motivo non mi piace il benchmarking, che porta all'appiattimento della progettazione e non stimola la crescita di molti settori produttivi. Finalmente si ricomincia a parlare di innovazione e di ricerca, anche in senso formale. Ci sono tuttavia molte difficoltà, dovute ai costi elevati e alla mancanza di fondi per finanziare le attività, oltre alla difficoltà di dedicare apposite strutture allo scopo. In questi casi il marketing cerca di ottenere i risultati a costi bassi con investimenti minimi, ma i miracoli di questo tipo non sono semplici da ottenere. Ma ho una ricetta personale: gli uomini di marketing dovrebbero frequentare anche un corso di design, spingendosi nella 64 conoscenza dei valori creativi, esercitando sensibilità e competenza specifica nel settore nel quale operano. Questa conoscenza li porterebbe a meglio intuire le tendenze del mercato e non considerare come riferimento solo i prodotti già commercializzati dalla concorrenza. Soprattutto devono saper dare indicazioni chiare ai creativi, cercando di capire in che modo opera un concept - designer e a sintonizzare la propria azienda con il mercato. Per noi designer, il prodotto - nostro o altrui - appena immesso sul mercato è gia superato, è un semplice mattone alla base del nostro prossimo progetto. Un creativo non vuole imitare ciò che già esiste, ma preferisce sempre pensare a qualcosa di originale che "cavalchi" il mercato. Gli piace pensare che il proprio prodotto che uscirà entro due anni, tempo medio che intercorre tra il dato fornito dal marketing e l’immissione sul mercato, sia innovativo o almeno all’altezza dei migliori concorrenti. Sarebbe anche utile, per chi fa marketing acquisire alcune nozioni di come opera e su quali basi il designer crea il progetto, tanto per abituare la sua mente a vedere ciò che ancora non esiste ma che risponde a tendenze di quel mercato. In genere trascorrono quattro o cinque anni tra l’individuazione del prodotto realizzato dalla concorrenza, la sua verifica di mercato, la realizzazione del prodotto di risposta e la sua commercializzazione. Il risultato è che il prodotto così concepito, quando esce è già vecchio e superato. La vita media di un prodotto industriale, infatti, in genere non supera i cinque anni. Chi ha realizzato il prodotto di riferimento, sicuramente ha già in corso di verifica altri progetti più avanzati che annullano ogni risposta concorrenziale. Si crea un continuo rincorrere il successo con risultati in genere scadenti. Capita poi che qualche furbo venda il prodotto di risposta a un costo inferiore. Ciò produce una riduzione degli utili aziendali e del budget per la ricerca. Molte aziende subiscono forti perdite se non addirittura il fallimento, non correndo in tempo ai ripari. In molte occasioni, è capitato anche a me. I responsabili di queste aziende tentano di riparare al danno chiamando un designer, pensando che il design risolva tutti i problemi e sia l’ultima speranza di successo. Quando mi sono trovato in queste situazioni ho rifiutato, ringraziando, l’incarico, in quanto il designer non può essere l’ultima spiaggia per aziende in crisi. Un professionista offre valore aggiunto al prodotto ed apporta un “servizio all’impresa”, ma deve essere supportato da altre strutture interne o esterne, come un ufficio tecnico adeguato, uno di ricerca e sviluppo, comunicazione e grafica oltre che, appunto, del marketing. Occorre avere quelle strutture anche culturali che non si improvvisano da un momento all’altro 65 L’ufficio commerciale Ho già accennato come il successo di un prodotto, oggi, dipenda anche e soprattutto dai rapporti di competenza specifici che si stabiliscono tra chi esprime l'idea del prodotto di design e le altre aree che normalmente ne determinano il successo commerciale. Abbiamo parlato di aziende di design. Per loro, l'ufficio commerciale rappresenta un'area di fondamentale importanza, assieme all'ufficio marketing. Dalla loro congiunta attività dipende gran parte del successo di un prodotto. È indiscutibile il vantaggio competitivo di un prodotto sviluppato tenendo conto dei dati relativi alle tendenze di mercato, alla concorrenza, alle vendite nelle varie aree geografiche, a tutti i dati utili per l’orientamento delle progettazioni attuali e future del designer. Queste attività appartengono al marketing, ma io consiglio anche al designer di prenderle, quando è possibile, direttamente dalla distribuzione commerciale. Lo scambio di informazioni pratiche sono molto utili per realizzare prodotti di successo commerciale. Talvolta queste informazioni sono importanti per concepire idee alternative a quelle presenti nel mercato medesimo. Consiglio vivamente ai giovani designer di non sottovalutare mai il parere del settore commerciale, soprattutto a monte della progettazione. I sensori di un agente di commercio, maturati nell'esperienza direttamente esercitata sul campo, difficilmente sbagliano sulle previsioni di successo di un prodotto. Le idee di un designer possono essere le migliori in assoluto, come ottimo può essere il prodotto risultante a fine industrializzazione, ma se l’azienda non dispone di un ufficio commerciale competente e di una rete di rappresentanza valida, difficilmente riscuoteranno il giusto successo. Questa competenza fa sì che un buon agente di commercio possa condividere con il designer molti argomenti e approcci. Un piccolo suggerimento: un buon rapporto con i rappresentanti consente anche di farsi un'idea del fatturato nelle diverse aree geografiche. Può quindi rappresentare una verifica sulla misura delle royalties. 66 L’ufficio tecnico Nel contesto attuale l’ufficio tecnico è divenuto indispensabile in qualunque azienda che non sia artigianale o semplicemente a conduzione familiare. Ma se un'impresa, anche piccola, vuole crearsi un minimo di catalogo di prodotti da immettere sul mercato, deve necessariamente organizzarsi con l’ufficio tecnico, responsabile dell'industrializzazione dei progetti del designer. Se l'azienda inoltre vuole fare anche innovazione ecco allora che un ufficio di “Ricerca e Sviluppo”, acquisisce un’importanza sempre più rilevante. È un dato statistico accertato che il numero di ingegneri all'interno di un'azienda aumenta proporzionalmente al fatturato annuale e che i designer devono sempre di più fare riferimento ad essi. Intanto vanno approfonditi alcuni concetti e considerazioni sul rapporto tra il designer esterno all’azienda e i progettisti interni alla stessa. Una volta definito il “brief”, cioè le istruzioni sulla realizzazione del progetto, e la conseguente filosofia di prodotto, bisogna procedere a continue verifiche nel corso della progettazione di studio, di comune accordo con l’ufficio tecnico aziendale. L’armonia e talvolta l’amicizia e il reciproco rispetto delle competenze tra designer e tecnici è fondamentale. Qualche tempo fa, quando ero presidente del CNAD (Consiglio Nazionale delle Associazioni per il Design) volevo organizzare una tavola rotonda tra designer e progettisti dell’AIPI (Associazione Italiana Progettisti Industriali) per stabilire il confine di competenza fra designer/progettisti ed industriali. Questo confine, sensibilmente variabile da produttore a produttore e da designer a designer, è generalmente definito, oltre che dalle rispettive competenze e preparazione, anche dagli accordi che si definiscono durante lo sviluppo del prototipo. Qui entra in gioco, tra i due soggetti in campo, la tendenza a scaricarsi od assumersi impegni e responsabilità e ad evitare la fatica. E’ nella natura umana evitare la fatica, specialmente se ciò concorre al proprio successo. Voglio dire, nel caso specifico, che se il designer fornisce meno particolari costruttivi al responsabile dell’ufficio tecnico, si scrolla di dosso molte problematiche. Viceversa, se l’ufficio tecnico ottiene dal designer indicazioni chiaramente definite sull’industrializzazione del prodotto, per lui ci sono meno responsabilità, meno fatica e tempi di messa in produzione più brevi. Naturalmente non sempre il bilancio è così immediato. Molte volte si stabilisce, specialmente quando la collaborazione con l’azienda produttrice è frequente e riguarda più prodotti, un rapporto di fiducia e stima reciproca, dove le rispettive competenze diventano un fatto acquisito. Questa armonia è spesso determinante per il successo dei prodotti industriali e l’argomento primario di ogni designer dovrebbe essere la ricerca della massima collaborazione reciproca. 67 Per instaurare questa collaborazione ho constatato che è sempre meglio cercare di imparare dagli altri, mettendo da parte l’orgoglio e la presunzione di essere più colti, preparati e intelligenti. E’ necessario coinvolgere l’ufficio tecnico fin dal primo sviluppo del progetto, subito dopo le scelte del marketing. Bisogna saper delegare una parte della creatività, specialmente quella tecnica, atto fondamentale per conciliare lo sviluppo delle funzioni dell’oggetto con l’estetica. Chi meglio dell’ufficio tecnico conosce le potenzialità tecnologiche dell’azienda? Conviene quindi non sovrapporsi ad esso nelle competenze assegnategli dai quadri aziendali. Spesso si fanno riunioni con tutti i responsabili delle varie aree aziendali. L'ufficio commerciale, l'ufficio tecnico, le aree di produzione, il controllo qualità, la rispondenza alle normative e l'ufficio legale, la customer satisfaction, l'imballaggio e le spedizioni, la manutenzione e l'ufficio reclami. Un gruppo di persone di cultura aziendale eterogenea da ascoltare e da capire, con le loro rivendicazioni, proposte o talvolta con la volontà di scaricare competenze agli altri. Molte delle loro considerazioni sono frutto di esperienze precedenti, talvolta utili e altre volte meno, soprattutto quando i conflitti ideologici o personali portano a lunghe e sterili discussioni. Si è rivelata molto utile la capacità di sdrammatizzare le situazioni di tensione, che si creano quando la “tempesta” di cervelli non approda a quella soluzione brillante che ci si aspettava. Una battuta o una divagazione dal tema è sicuramente utile per allentare il nervosismo reciproco. Per quanto riguarda le strategie delle aziende produttrici risulta, da indagini eseguite da società di consulenza come la giapponese J-Consiel, che i progettisti interni alle aziende hanno, come compito principale, quello del continuo miglioramento dei prodotti e dei processi produttivi, mentre l’innovazione è generalmente frutto di collaborazioni esterne, ovvero del designer. Riepilogando i concetti sopra espressi con una terminologia da consulenti, è giusto che i progettisti interni facciano il “kaizen”, che in giapponese significa miglioramento continuo, mentre i designer esterni facciano “breakthrough”, che in inglese significa innovazione. 68 Co - design e just in time La fase di design del prodotto vive quindi di scambi continui tra il marketing, che si incarica di rilevare le esigenze del mercato, e il designer o il suo studio. Queste informazioni bilaterali non arrivano oltre la fase di prototipazione. Qui termina l’intervento del designer, dopo di che, come si è detto, inizia il progetto di industrializzazione. Per questo ,le grandi aziende impiegano anche più studi contemporaneamente, o mettono in contatto le proprie strutture interne con studi esterni per realizzare progetti in co - design. Ciò consente una drastica riduzione dei costi di progettazione interna e dei tempi della messa in produzione. Il capitale investito e la gestione degli spazi di magazzino risultano quindi più contenuti. Naturalmente i costi finali del prodotto non lo sono, poiché il componente è fornito dal “terzista” ad un prezzo più alto in quanto ricerca, prototipazione, attrezzature e rischio risultano a suo carico. Tuttavia, con questo metodo si abbassa il rischio d’impresa per i nuovi prodotti. Dall'applicazione sistematica di queste procedure derivano però alcuni problemi a lungo termine. Grandi aziende come la FIAT, ad esempio, ne hanno ad esempio risentito. Si è, infatti, perso il concetto d'innovazione e ricerca interna all’azienda, che è il vero knowhow vincente nel mercato globale. Il vero valore di un’azienda non è tanto nel fatturato, né come molti affermano, negli utili che questa produce, quanto nella cultura della ricerca applicata senza soste, tramite anche il re-investimento degli utili prodotti. Del “just in time” ne farò solo un accenno in quanto è solo un puro sistema di organizzazione produttiva che esula dalle competenze del designer ma che ritengo bene sapere cosa significa. E’ un sistema che esclude lo stoccaggio di magazzino dei componenti di un prodotto provenienti da terzisti e che vengono assemblati direttamente nella catena di montaggio. Con questo sistema si riduce fortemente l’investimento produttivo e lo spazio necessario alla produzione. E’ necessario, con questo sistema produttivo, un’ottima organizzazione interna tra i vari reparti e l’ufficio acquisti, nonché la piena fiducia dei fornitori terzisti. 69 Le esigenze dell’azienda: Progettare veloce in parallelo o a cascata? Una volta il passaggio del progetto tra le varie aree aziendali avveniva con il metodo “a cascata”, dall’alto in basso. I vertici, attraverso il marketing, passavano il “progetto-idea” al settore ricerca e sviluppo. Questo, dopo la raccolta dati, lo passava al designer, poi alla prima fase di progettazione interna, poi all’industrializzazione, poi alla prototipazione, poi al settore impianti ecc. Spesso con questo sistema, quando un settore di competenza trovava difficoltà faceva tornare indietro il progetto, rifacendo tutti i passi precedenti. I tempi di immissione sul mercato del nuovo prodotto potevano essere lunghissimi con il risultato che talvolta la concorrenza, magari con un progetto simile ma meno evoluto, usciva prima, bruciando molti spazi interni per la ricerca. Oggi il problema è stato superato, ormai da alcuni anni, con la progettazione “in parallelo”. Questa consiste, una volta che il marketing ha dato gli input, nel far procedere l’iter progettuale in contemporanea in tutti i settori, eliminando in tempo reale modifiche e cambiamenti sconosciuti ai precedenti reparti. Si consente inoltre ad alcuni settori aziendali, come marketing e ricerca e sviluppo, di osare idee più innovative in quanto verificabili subito con i reparti di competenza specifica. Spesso si evita di attuare delle innovazioni per paura degli alti costi di verifica, ma con l’immediato coinvolgimento di tutte le competenze si può valutare, quasi in tempo reale, ma comunque in modo approssimativo, il costo dell’investimento. Occorre anche quantizzare i tempi di queste riunioni. Si dice che alcune aziende giapponesi usino, come metodo per le loro riunioni quello di far restare in piedi tutti i responsabili delle varie aree, in modo che, per stanchezza, prendano decisioni veloci, senza inutili polemiche o rivalse. Specialmente per aziende leader è fondamentale pensare anche in modo futuribile ricorrendo, come ho accennato in un altro capitolo, a consulenti esterni, sia per la ricerca scientifica ed universitaria, sia per la progettazione ed il design. 70 71 Organizzazione dell'azienda / progettare per agevolare la produzione Tra i fattori di successo in una azienda produttrice c’è l’organizzazione interna sopraccennata. Abbassare gli investimenti su impianti produttivi dedicati ad un solo modello, ricorrendo sempre di più a macchine a controllo numerico e a robot di produzione. Queste macchine veloci possono essere programmate per realizzare modelli diversi e consentono anche di non fare magazzino dei semilavorati. Concetti scontati per competenti di produzioni industriali, un po' meno per i nuovi designer, che dovrebbero sempre informarsi di come saranno realizzate in serie le loro idee. Con i sistemi di co-design è nata anche la figura del designer leader. Nelle medio grandi aziende produttrici di mezzi di trasporto, terrestri, navali, di macchine per vari usi industriali,ecc. dove,oltre che vari progettisti, ci sono anche diversi designer interni, magari con diverse opinioni stilistiche. In questo caso occorre un coordinatore che unisca le diversità estetiche e filosofiche dei vari designer in un’unica soluzione stilistica coordinata tra i vari componenti del prodotto finito. E’ una posizione di grande responsabilità ed è la sua firma che dà l’immagine ai modelli da immettere nel mercato e la sua riconoscibilità. Inoltre il designer-leader deve spesso collaborare o dare indicazioni stilistiche anche ai designer o progettisti dei fornitori della componentistica , quando questa è visibile nel prodotto finito. La tendenza al co-design ha, dal canto suo, portato alla produzione per blocchi. Il fornitore non invia più all’azienda singoli componenti, ma blocchi assemblati di componenti già collaudati. Ciò riduce ulteriormente i tempi di assemblaggio della linea di prodotto. Questa tendenza è propria anche ai settori interni alle aziende, che sempre più producono blocchi provenienti dai vari reparti per trasferirli a quelli successivi, con elementi assemblati e collaudati. Tutto ciò fa parte dell'organizzazione interna dell'azienda e per un designer, che lavora per piccole e medie aziende, la conoscenza di questi processi è sempre stata poco interessante. Le cose cambiano quando si lavora per industrie di grandi dimensioni, ed il designer diventa uno specialista integrato in un evoluto sistema produttivo, dove il progetto diventa sofisticato e estremamente definito nei dettagli, elaborato da software sempre più potenti. È essenziale che il designer conosca le procedure per la realizzazione dei prodotti. In questo modo potrà agevolare le fasi di sviluppo del prototipo ed acquisire un vantaggio competitivo professionale più elevato rispetto a chi progetta senza curarsi di tutte ciò che non riguarda il proprio intervento diretto. Quando il designer 72 crea un oggetto, specialmente se complesso, deve necessariamente conoscere come sarà realizzato: internamente all’azienda, tutto o parzialmente all’esterno, a blocchi assemblati dai terzisti e cosi via. Lo sviluppo dell’idea progettuale, infatti, sarà influenzata proprio da queste condizioni. Quando ci si addentra in prodotti complessi, lo ripeto continuamente, conoscere le capacità produttive e gestionali di un’azienda diventa fondamentale, tanto quanto lo è il rapporto con i progettisti interni all’ufficio tecnico. 73 Come entrare nei mercati globali Che il design sia un valore aggiunto al prodotto credo sia ormai fuori discussione. Chi, oggi, non l’ha ancora capito probabilmente non ha neanche la pur minima conoscenza di marketing, base di ogni impresa che si presenta sul mercato. Ultimamente, il cambiamento delle condizioni politiche e socio economiche di alcuni stati, prevalentemente dell’est, ha portato a stravolgere le strategie produttive dei classici paesi industrializzati. In molti settori merceologici, infatti, in paesi come l’Italia la strategia vincente era quella del basso costo del prodotto. A questo si era arrivati con un costo di manodopera molto contenuto, buone attrezzature, buona tecnologia, lunghe tradizioni di una cultura artigiana poi diventata industria. Oggi con la facilità di trasporto, con la possibilità di acquisire tecnologie da chi le produce e l’informazione tecnica a portata di mano, molte delle nostre fabbriche hanno perso diversi mercati nazionali ed esteri, non essendo più competitivi sul prezzo. Per riconquistare quei mercati ecco allora la grande risorsa del design, sempre più innovativo. Facile a dirsi, molto più difficile farlo. Non perché ,come dicono alcuni poco consapevoli del problema, i designer non hanno più idee di tipo innovativo. Il problema è che per fare innovazione bisogna investire , sia in termini umani, cioè in designer e tecnici, sia in attrezzature per la ricerca. Ma la domanda è: il design, come le tecnologie, si può comprare? Certo, molti colleghi hanno lavorato per paesi orientali, in particolare il Giappone, negli anni 60 – 70 ed i giapponesi, che sono bravi imitatori e forti organizzatori, capita l’importanza del design, hanno creato università e scuole specializzate da dove è venuta fuori una generazione di designer molto bravi. Perciò nel panorama mondiale si sono creati due forti poli: l’Europa, con Italia, Germania e Finlandia, specializzata in arredo casa, ufficio e auto, ed il Giappone con l’elettronica applicata e le moto. A questi si contrappongono gli Stati Uniti, che conquistano i mercati nei campi della ricerca elettronica, software e aviazione, con poco design ma con enormi risorse economiche. Da questo sintetico panorama si deduce che i mercati si conquistano o con grandi mezzi, tecnologie avanzate e costi bassi di manodopera, o con l’estetica dei prodotti, lo styling ed il design. Noi italiani, non avendo i primi, possiamo solo contare sui secondi. Un esempio: i nostri produttori di scarpe stavano perdendo tutti i mercati esteri; da qualche anno hanno puntato solo sul design, riuscendo a riconquistarli, incrementando valore aggiunto e utili. Ma quello che manca più di tutto in Italia è una categoria di dirigenti veramente preparati a fare il loro mestiere di responsabili principalmente del marketing e imprenditori che abbiano il coraggio di investire i propri capitali nella ricerca, invece di fare intrallazzi capitalistici con banche e imprese fallimentari. 74 Aziende di design o design oriented È dunque un fatto di volontà, cultura, tecniche e strumenti, il fatto di diventare un designer di successo? Tutti questi aspetti, essenziali, riguardano la persona del designer. Ma una volta che la capacità di progetto è stata determinata e si è accresciuta, con chi deve trattare il designer? Ovviamente tratterà con le aziende produttrici, senza le quali non si fa niente. Il designer senza produttore è una mente che, per quanto creativa, all'atto pratico resta sterile. E’ come un motore senza carburante; non produce lavoro. Ma dove trovare un produttore delle proprie idee? In termini logistici occorre cercarle dove sono. Tralasciamo momentaneamente i centri più ricchi d'aziende, collocati prevalentemente al centro nord, nei quali è più facile trovare un interlocutore. Al sud le aziende sensibili al design sono ancora rare. Manca soprattutto la mentalità, come si dice. Spesso è la paura dell’incognito, di ciò che il designer chiede economicamente per la propria collaborazione a quelle aziende che non hanno mai operato nel design. In questi casi manca l’informazione di ciò che il designer può dare al produttore e al tipo di rapporto consequenziale. Del design si parla in termini di cultura e valore aggiunto, identificando questi argomenti con i prodotti di successo o con personaggi più o meno creativi e noti, o infine con le griffe. Per far crescere e comunicare questa cultura, si punta sul tema, certamente importante, della formazione. Università per il design, scuole di design, studi specializzati nei settori più disparati e stage. Spesso, dove non c’è la cultura anche estetica del prodotto, le aziende sono considerate (a volte si considerano esse stesse) semplici produttori d'oggetti, arredi, mezzi di trasporto ecc. Si rapportano al design in modo casuale, perché operano in settori dove il design non è riconosciuto elemento di successo. In questo modo l'azienda finisce per subire il design senza capirlo, o nutre l'aspettativa d'enormi successi commerciali. Dopo i primi insuccessi, che vanno sempre messi nel conto, escludono il design dai processi aziendali e ne parlano malissimo. Questo capita a quelle aziende impreparate al design e che non possono essere identificate come aziende di design. Un'azienda di design possiede la cultura, le risorse umane, le strutture tecniche per produrre categorie di prodotti orientati al design. Il design è, per loro, una parte della strategia aziendale di produzione e promozione. In ogni altro caso il design è solo un inciampo, un incidente di percorso imprenditoriale che anche se produce un successo non si sa come ripetere, un risultato che emerge in modo casuale da un terreno fondamentalmente arido. Ma come si struttura un'azienda di design, come funziona? 75 TEUCO: un’azienda di successo nata dal design Per citare un esempio di un’azienda “design oriented”, vorrei citarne una che conosco abbastanza bene: la Teuco. Questa è una di quelle poche aziende ad essere nate con i cromosomi del design nel proprio DNA. Già all'atto della sua costituzione, i primi progetti che ne hanno fatto la storia, avviavano il cambiamento dello spazio bagno: da luogo di semplice igiene corporea ad ambiente per il benessere fisico, rappresentativo dello stato sociale del suo proprietario. E’ stato un cambiamento radicale della nostra cultura dell’abitare. Questa fase si è totalmente sviluppata nei pochi anni successivi al 1970, anno di costituzione di Teuco . A questo passaggio, alla quale ho contribuito fin da principio, vado molto orgoglioso. Come tutti i cambiamenti, l’inizio non è stato facile. C’èra molta diffidenza verso quei nuovi prodotti in materia plastica, pieni di attrezzi e appoggi per migliorare la funzionalità dell’ambiente bagno e la sua estetica. Ma con il coraggio di Virgilio Guzzini ad accettare ed investire su quelle mie idee e una continua collaborazione con quest'azienda che dura ancora oggi, con una continuità di sviluppo e coerenza negli stimoli della ricerca che credo valga la pena di sottolineare come caso d'eccellenza in una partnership progettuale. L'aggiornamento tecnico e funzionale dei prodotti si è avvalso, in questi anni, della valorizzazione delle precedenti filosofie progettuali, continuamente innovate e perfezionate e mai rinnegate. La cura dell'aspetto formale, l'innovazione nei materiali, i miglioramenti nelle finiture e nella qualità dei componenti, la funzionalità dei prodotti (sperimentata e collaudata al meglio) creano l'ambiente ideale per una progettazione congiunta. Oggi, ma già da un paio di decenni, molte aziende hanno seguito quelle filosofie progettuali e se ne contano a centinaia, anche orientali. Teuco ha già spiccato un salto generazionale e la dimensione "umana" del passato si è arricchita in una struttura professionale e tecnica. Resta la filosofia Teuco, alla quale ho dato il mio costante contributo negli anni. Con Teuco ho potuto seguire la mia personale linea progettuale, che privilegia linee ispirate alla natura e alla morbidezza plastica delle forme antropomorfe, derivate anche dalle tecnologie costruttive. Una progettazione che evita gli eccessi di decorazione per privilegiare la ricchezza delle funzioni. Queste ultime devono essere correttamente ed armoniosamente distribuite nelle forme e negli spazi disponibili, rispettando termini ergonomici e coerenza stilistica e senza trascurare l'integrazione degli accessori nel corpo del prodotto ideato. Sul piano formale tengono sempre conto delle tendenze stilistiche evidenti in diversi settori, da quello automobilistico a quello navale e aeronautico. In questo tipo di 76 progettazioni, le forme sono determinate dalla compatibilità estetica con elementi come acqua e vento ma anche dalla sicurezza, dall’ergonomia e dalla facilità di manutenzione. Per quanto riguarda la sicurezza, secondo me rappresenta un concetto da tenere nella massima considerazione, ho sempre prediletto forme arrotondate ed elementi morbidi per i sedili e la testa. Tutti questi concetti sono da sempre presenti nella progettazione dei prodotti per Teuco, concetti che valgono ancora oggi e sono stati anche oggetto d'imitazione da parte di produttori nazionali ed esteri. La collaborazione con quella "forza della natura" , come ha definito un politico Virgilio Guzzini e l'esperienza strategica di Antonio Renzi quale direttore commerciale, è stata per me e per loro un'ottima occasione di vedere i prodotti disegnati dal mio studio e realizzati da Teuco riscuotere un notevole successo. Mi resta la soddisfazione, come quella di un padre che vede i propri figli ottenere dei risultati, di aspettare ulteriori miglioramenti per il prossimo futuro. Mi rendo conto che questo brano suona immodesto, quasi trionfalistico, ma ogni tanto, specie ad una certa età, sono le soddisfazioni e i meriti del proprio lavoro, specialmente del passato, che ti danno un senso alla vita e la voglia di continuare a dare ai giovani il proprio sapere. 77 Terzo capitolo In questa terza parte vorrei parlare di design con l’ausilio delle immagini, anzi per prodotti di cui conosco perfettamente la storia in quanto autore o co-autore. Al di là dei concetti sopra descritti, credo che parlare sugli oggetti stessi o sulle loro immagini, renda più facile l’ apprendimento dell’iter progettuale dal quale sono scaturiti ed elaborati. Naturalmente descriverò in modo molto sintetico la loro storia ed in particolare la loro gestazione pre–seriale perché, ad esempio, quest’ultima ha un tempo medio come quella di un essere umano, da 7 a 9 mesi. Per descrivere le molte vicissitudini di questo tempo, per ogni prodotto, dal concepimento alla immissione nel mercato, ci vorrebbe una pubblicazione a parte. In questo capitolo ho selezionato solo alcuni dei prodotti de me disegnati (sono, a tutt’oggi, qualche centinaio) o come ho accennato, alcuni in collaborazione con altri designer, miei ex-allievi come Giovanna Talocci e Carlo Urbinati. Molti dei “pezzi” che descriverò sono prodotti particolari ,quasi pezzi unici, progettati e realizzati allo scopo di comunicare un’azienda, nelle sue ricerche funzionali e di design avanzato. Sono serviti appunto come una pagina ,o più pagine pubblicitarie, per far conoscere e comunicare al mercato il potenziale tecnico e l’innovazione verso la quale l’azienda sta andando. Spesso queste operazioni danno più ritorni d’immagine aziendale che l’equivalente spesa per una campagna pubblicitaria. Classico esempio di ciò è la Ferrari che investe quasi tutte le risorse pubblicitarie in esemplari super tecnologici di F1 da far correre in pista, ricavandone un ritorno, di fama mondiale, sugli esemplari di serie. In taluni casi, quando si ha nel cassetto un’idea fortemente innovativa ma contenente dei presupposti di successo commerciale, conviene ,con un po’ di coraggio imprenditoriale, investire in un sistema produttivo per una verifica di mercato. Spesso, come dice il proverbio, la fortuna aiuta gli audaci. Porto anche qui un esempio e non a caso , proprio per riprendere l’ultimo paragrafo del capitolo precedente, i primissimi prodotti Teuco. Eccoli nella prima foto del 1971. 78 Virgilio GUZZINI, consocio d’una azienda produttrice di lastre di polimetilmetacrilato, mi chiese di sviluppare nuove applicazioni di quelle lastre termoformabili. Un suo socio, chimico, mi parlò d’una vasca da bagno di produzione inglese fatta con quel materiale ma bruttina e poco convincente. Dopo un’analisi accurata del materiale , che comunque gia conoscevo per aver progettato lampade in PMMA , ritenni quel materiale idoneo per un set bagno, anche se decisamente più costosi di quelli già presenti sul mercato fatti con altri materiali. Presentai una serie di idee ,dalle vasche da bagno alle docce, da W.C. a lavabi, tutti fortemente innovativi per quell’epoca . Oltre che per l’aspetto formale, si differenziavano dalla presenza di accessori incorporati nei singoli oggetti che cosi riuscivano ad essere competitivi con atri set bagno in ceramica o cristallo e ottone. Quelli mostrati in foto sono i pezzi scelti e prodotti dalla neonata Teuco. Oggi alcuni di questi pezzi sono presenti nei maggiori musei mondiali di design. 79 Nel 1972 fu prodotta dalla TEUCO la Doccia tonda con pareti a porta scorrevole. Pannello di fondo attrezzato con vani portaoggetti, portasapone e scaldasciugamani schermato. Esposta al Museum of Modern Art di NEW YORK, anni 1973-1975 Materiale: Metacrilato 80 Questa vasca da bagno, fruibile da due persone naturalmente intime, era frutto d’una mia idea dell’74, e che condivido ancora oggi, che fare il bagno in due è più piacevole che farlo da soli. Il progetto fu oggetto di considerazioni vagamente lussuriose e poco proponibile al mercato anche per le sue dimensioni. Fu solo la mia insistenza sulla bontà dell’idea a indurre la Teuco a produrla sotto indicazione della stessa di fiasco commerciale clamoroso. Oggi dopo 30 anni è ancora in produzione con qualche migliaio di pezzi ogni anno, e per di più presente, nella versione vasca doccia mostrata qui sotto, in collezioni di oggetti della storia del design italiano del museo di arte moderna di Philadelphia!. 81 82 Anche questa vasca ad angolo fa parte della serie di prodotti “One –off” concepiti per una esposizione fieristica e rappresentativa come quella del World-Expo di Brisbane, in Australia, nell’88. Fu esposta in uno stand dell’ICE (Istituto Commercio Estero) in rappresentanza del design italiano. Stampata in termoformatura sottovuoto con lastra di acrilico trasparente e verniciata successivamente, all’interno, con vernice acrilica grigioscuro , lasciando una finestra trasparente nella parte anteriore ,come oblò per una visione subacquea. Era dotata di un display a cristalli liquidi che indicava varie funzioni programmabili di idromassaggio, di immissione di sostanze profumate, di frequenza radio FM. Questo modello portò verso una richiesta di mercato per un prodotto di serie con simili caratteristiche che si realizzò con il modello seguente; 83 Questo è uno dei tre modelli di vasca derivati dal prodotto sopra descritto. Il design completamente riprogettato per una più facile produzione in serie in quanto termoformato da una lastra di acrilico bianco (o colorato), con un cristallo di sicurezza riportato in fase di assemblaggio e coperto superiormente da un elemento morbido (EVA). Questa serie è diventata uno dei prodotti più richiesti della gamma delle vasche Teuco. 84 La foto mostra il primo box doccia al mondo stampato completamente ad iniezione di PMMA. Un investimento enorme per un simile prodotto, che solo il coraggio imprenditoriale di Virgilio Guzzini, a nome Teuco, poteva praticare. Era un design rivisitato, nelle tecnologie produttive e nelle funzioni, del famoso box doccia tondo da me disegnato nel ’72 e presente nella collezione del museo di Pechino. Facile da montare, con multifunzioni controllate elettronicamente, molto di effetto nella versione trasparente, ha avuto e sta avendo ancora, un notevole successo commerciale. 85 Dopo alcuni anni dal box in acrilico, ho disegnato questa doccia ovale multifunzione in cristallo e Duralite .Un progetto richiesto dal marketing Teuco per incentivare il mercato tedesco che era più interessato ad un prodotto meno “plasticone” e con forte presenza di materiali alternativi. Il prodotto di serie risulta molto pulito, nonostante le varie funzioni (sauna linfodrenaggio, cromoterapia, sedile e mensole) ha un’ aspetto quasi minimalista e di notevole trasparenza. Ne ho disegnato più versioni, tonda e rettangolare, tutte con notevole successo commerciale. 86 Tra i modelli speciali disegnati per Teuco, c’è questa vasca da parto in acqua. Su richiesta dell’ospedale di Recanati e dopo un preciso brief informativo con i ginecologi ,è stato prodotto in alcuni esemplari con cui sono venuti alla luce,felicemente anche per la mamma, diversi bambini. L’oblò che si vede nella parte anteriore a sinistra serve per posizionarci una telecamera per riprendere sott’acqua il momento del parto. E’ provvista di diversi dispositivi di depurazione e disinfezione delle acque, nonché un sedile dietro la partoriente per il papà che aiuta a spingere per facilitare l’evento. Un esempio di design al servizio delle pratiche ospedaliere. 87 Presentato alcuni anni fa questa cellula bagno era anch’essa un pezzo unico realizzato nel mio laboratorio di prototipazione industriale. Sponsorizzato dalla Teuco per la edizione del 2000 della Mostra Convegno di Milano, conteneva un po’ delle mie filosofie sul sistema bagno-benessere. La cellula era composta da due gusci stampati da lastra di PMMA, uno per la base da 300 x 200 cm con vasca, pavimento e pareti fino ad un metro di altezza e l’altro per il soffitto con luci e contenitori di vari sistemi tecnici e anch’esso alto un metro. Tra le due stampate, una serie di pannellature termoformate completavano la cellula attrezzata multifunzione di cui: persona dalla sua impronta digitale, all’ingresso ,dopo il riconoscimento della alla stessa veniva misurato ,da una bilancia a pavimento, il rapporto quotidiano di massa magra–massa grassa. Contemporaneamente, ma in modo graduale per non disturbare gli occhi al mattino ,si illuminava la cellula e si predisponevano alle altezze desiderate, il WC-orinatoio a risciacquo automatico e il lavabo. Rispettando le abitudini soggettivamente programmate, si attivavano le funzioni o di riempimento della vasca o quelle della doccia con emissione di profumi personalizzati. Il lavabo era dotato di una rubinetteria automatica e con specchio dietro il quale ,se acceso. si vedeva la Tv. Le luci ,attorno a questo specchio, potevano essere regolate con toni mattutini, pomeridiani o serali per un trucco più simile all’ambiente in cui si troverà il soggetto. Una telecamera a colori zoomabile, posta dietro e in alto, permetteva 88 la visione del retro della testa o del corpo. Se il fruitore di questo sistema benessere voleva fare fitness, cardio-tonico o isotonico, disponeva di un tapis-roulant o di maniglie e cavigliere a cavi frenati, tutti riposti e integrati in una parete. A comando vocale riconosciuto, la zona vasca, oltre all’immersione con idromassaggio idrosonico, poteva trasformarsi da bagno turco a sauna finlandese cioè, mutando le pareti in plastica a pareti in legno di betulla. In questo caso si poteva scegliere se fruire del sistema sauna con luci calde o con lampade abbronzanti. Per l’uso della doccia era prevista la pioggia, spruzzatori a nebbia ,linfodrenaggio verticale. E come se non bastasse c’era anche aromaterapia, musicoterapia , cromoterapia,TV con lettore di cassette o cd con programmi di fitness o personal trainer. Particolare attenzione era rivolta al risparmio idrico col riuso dell’acqua della vasca o doccia per sciacquare il WC o al recupero delle urine dallo stesso per usarle, dopo essiccate, come concime. Un dimostratore di bagno- benessere privato, di dimensioni contenute, che secondo me , non ha fruito della giusta comunicazione di innovazione che potenzialmente si meritava. Trasformazione della Zona Vasca Idromassaggio in Zona Sauna Finlandese ciò avviene tramite comando vocale attuando movimentazione di pannelli mobili 89 Tapis Roulant estratto dal Vano laterale alla zona Vasca il retro dello sportello contiene i comandi di controllo, il monitor soprastante mostra un percorso a scelta del fruitore, la maniglia superiore posizionata sopra il monitor è utilizzabile per fitness isotonico 90 Vista con sportello chiuso del vano Tapis Roulant. La foto mostra il sedile ribaltabile e la zona di aggancio delle cavigliere, inoltre sotto la finestra sono visibili due vani uno per la biancheria da riporre e l’altro per cestino. S’intravede la zona lavabo che, a comando, è posizionabile a varie altezze e la specchiera sovrastante è con retro Televisore –Monitor per la visione panoramica interna del box o per semplice controllo della parte posteriore della persona 91 Parziale visione della zona sauna con il sistema funzionante delle lampade U.V.A. Come si può notare, la porta d’accesso sul laterale sinistro entra fino alla Vasca sottostante per facilitarne l’ingresso-vasca alle persone con handicap o anziane. 92 Zona WC – orinatoio adattabile anch’esso a varie altezze con comando vocale o tramite programma personalizzato. Si noti la doccetta doppia funzione: bidè e pulizia del WC con i portasciugamani riscaldati e profumati. Il pavimento è in legno con vibrazione rilassante per tutta la superfice 93 94 95 Per la Simas di Civita Castellana (VT), produttrice di servizi per bagno in ceramica, disegnai questo assemblato di WC – orinatoio – bidet – lavabo – specchiera –luci – contenitori - sgabello. Gli elementi singoli, come il lavabo e il WC/orinatoio, quest’ultimo con sedile e tavoletta morbida in EVA , erano a posizionamento angolare e collocabili indipendentemente nell’ambiente bagno. Gli specchi erano girevoli attorno ad un tubo centrale e, sul retro, vi erano mensole porta oggetti. Anche questo componibile, prototipato nel laboratorio dello studio, era destinato aduna mostra, sponsorizzata dalla regione Lazio, per Abitare il tempo di Verona - fiere. Non ebbe seguito come prodotto di serie in quanto la tendenza del mercato era verso il minimalismo spigoloso. 96 Lavabo per TELMA in poliuretano rigido della BAYER e vasca in ASTERITE colata in stampi. Il mobile laterale ha uno specchio verticale, mobile in avanti, per una visione della schiena del fruitore. 97 Rubinetto per TEUCO in ottone cromato. Il dischetto che si vede sotto la maniglia è un termometro a cristalli liquidi. Fa parte di una serie progettata per servizi da bagno in acrilico termoformato. Letto matrimoniale per Bernini, in palissandro e acciaio, con testata attrezzata e comodini a scomparsa. Faceva parte di un’idea concettuale di fare dei mobili con funzioni a scomparsa. Ha avuto un buon successo temporaneo poi, così come la mia convinzione, e scaduto di interesse per la semplice considerazione che alla gente piace avere in vista tutte le funzioni di base. Oggi, forse, con la moda minimalista, potrebbe ritornare interessante. 98 Questa poltrona in pelle e cristallo, disegnata nel ’68 per un’azienda in provincia di Roma, si basava concettualmente, su una ricerca ergonomia, tipo sdraio, sulla riduzione del volume di spedizione e su l’impiego del cristallo di forte spessore sul quale stavo lavorando per dei piani di tavoli. Questo prodotto ebbe successo, specialmente in America dove fu copiato da alcune aziende locali, e oggi è oggetto di vendita nelle aste di modernariato. Lampione, cosi è stato nominato questo lume in poliuretano rigido , disegnato nel ’69 per D.H. Guzzini. Era frutto delle mie esperienze con il prodotto della Bayer, chiamato Baydur, su un pezzo di design innovativo da presentare alla Triennale a Milano . 99 Il nome Atollo di questo pezzo deriva dal concetto di avere un’insieme di cuscini, sedute e letto posizionabile al centro stanza ,tipo una piccola isola morbida multiuso. Era in catalogo negli anni ‘80 da un’azienda produttrice di blocchi in poliuretano morbido e l’idea concettuale era proprio quella di usare blocchi di poliuretano di unico spessore ricoperti in stoffa trapuntata prodotta dalla stessa azienda. Scrivania operativa disegnata per Bernini nel’78, in palissandro, motivata per risolvere il problema di avere tutto a portata di mano senza doversi spostare con la poltroncina lungo il bordo della scrivania ma fruendola solo ruotando il corpo. Avevo visto pochi giorni prima un film comico di Monsieur Hulot che evidenziava ridicolmente un impiegato che si muoveva come un granchio lungo il piano della scrivania. 100 Tapis roulant disegnato per la Newform. Capostipite di una nuova serie di prodotti cardiotonici e iso-tonici, portò l’azienda verso la gamma alta del mercato del benessere . 101 Prodotto, su nostro design, di un attrezzo da fitness cardiotonico medirecunbent con monitor LCD. Il sedile è regolabile per un migliore adattamento alla persona ed il risultato di una ricerca ergonomia condotta nel nostro laboratorio. 102 Modello di laboratorio di un attrezzo cardiotonico tipo stepper .E’ un modello funzionante con struttura in acciaio e carrozzeria in composito di vetroresina. 103 Blocco cucina da centro stanza con piano tavolo apribile verso l’esterno. Progettata per un’azienda di cucine nell’81, era un pezzo d’immagine e comunicazione aziendale verso il design. Era attrezzata di piano cottura ,forno ,frigo, lavello, scolapiatti, cappa aspirantefiltrante, radio, luci e ripostigli vari. Rivestita in laminato melaminico, interni in acciaio inox, il blocco era sostenuto da un tubo verticale in acciaio posto in un angolo del mobile. 104 Altro prodotto d’immagine e comunicazione aziendale questo letto della Frau. Una classica struttura a baldacchino, ma con una sofisticata attrezzatura elettronica, all’interno, che gestisce una serie di meccanismi per attuare molte funzioni. Questo prodotto era il risultato di una serata allegra in un ristorante a Tolentino tra me e i dirigenti della Frau, dove si parlava di fare un letto specializzato per fare l’amore. Infatti poi il progetto serio risultò dotato di un materasso che poteva assumere durezza e forme diverse, i comodini scorrevano lungo i bordi laterali ed erano dotati di un piano orientabile verso il letto per uso porta bicchiere per lo champagne contenuto e raffreddato in un frigo posto dietro i schienali mobili. Nel soffitto erano inseriti degli specchi dotati di resistenze elettriche che avevano anche la funzione di riscaldare il letto con un controllo termostatico. Nel soffitto era presente anche un sistema di depurazione dell’aria dai fumi delle sigarette immettendo poi dei profumi di varie essenze floreali. Era inoltre dotato di TV con lettori di cassette, impianto H.F.,luci cromoterapiche, tendine laterali per ricreare un ambiente più intimo come mi aveva consigliato lo psicologo e scrittore sull’innamoramento, Francesco Alberoni, da me interpellato per di saggi una indagine sulla concettualità di questo progetto. Da questa indagine venne fuori che le donne mediterranee, così come i maschi in generale, amano l’intimità, mentre le nordiche preferiscono fare l’amore all’aria aperta. Per questo ho messo un proiettore di paesaggi esotici, un riproduttore di canti degli uccelli, di sciabordio di onde marine e un emissore di profumi esotici. Di questo letto era previsto un solo esemplare da esibire in mostre e museo Frau, ma questa ne ha prodotti altri due per personaggi famosi pagati in anticipo con assegni da compilare alla consegna. 105 Modellino radiocomandato di uno scooter elettrico. Spesso per i veicoli facciamo delle prove di stabilità dinamica con dei modelli in scala .Sono le prime prove dopo i calcoli teorici prima di produrre un prototipo in scala reale. 106 107 Simona, designer dello studio, prova il monoposto elettrico. Il motore è all’interno della ruota anteriore e lo schienale del sedile è un contenitore di oggetti personali. E’ predisposto per lo scambio automatico delle batterie per un veloce rifornimento di energia elettrica. 108 L’autore Fabio Lenci in un modello di taxi elettrico per 2+1 persone. E’ interamente in composito di vetroresina con 2 motori elettrici bruschless nelle ruote posteriori. E’ un modello pensato per la mobilità urbana nei centri storici. Il sedile verso il marciapiede è orientabile per facilitare l’accesso anche a persone disabili. Sopra il tetto trasparente, in policarbonato, vi sono delle celle fotovoltaiche per il mantenimento parziale degli accumulatori elettrici interscambiabili come nel monoposto. 109 La foto mostra uno dei tanti modelli volanti radio guidati sperimentati nel laboratorio. Sono sia modelli in scala per ricerche aereodinamiche di piccoli aerei, categoria ultraleggeri, da proporre a questo mercato, o solo modelli da produrre per il mercato dell’aereomodellismo. Il laboratorio dispone ,oltre di ottimi modellisti, anche di una serie di attrezzature, anche a controllo numerico, per la prototipazione industriale e per il modellismo navale ed aereo. La scelta verso questi settori deriva dalla mia passione di pilota di aerei e da quella di navigatore con barche a vela, come il trimarano di 17 mt ,qui sotto illustrato. Da me progettato e costruito con alcuni amici dal’75 all’80 , e tuttora un bell’esempio di poliscafo da crociera. Finanziato in buona parte con la royalties della Teuco e dalla quale ha preso il nome. 110 Il mio trimarano. Progettato,realizzato in sandwhich di vetroresina e provato in Oceano Atlantico personalmente. E’ stata una grande esperienza progettuale e manualmente formativa. Oggi, dopo 25 anni, è una barca d’epoca perfettamente navigante e di ottime prestazioni crocieristiche. E’ lunga 17 mt e larga 9.5 e può ospitare 12 persone. Autore FABIO LENCI Questo libro è di proprietà di LENCI DESIGN S.R.L. 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