Per i 90 anni di Philippe Jaccottet A cura di MARCO ROTA Giovanni Giovannetti / Effigie L’abitante di Grignan Philippe Jaccottet … Ma è soltanto l’uccello chiamato barbagianni, che ci chiama dal fondo di questi boschi di periferia. (L’Effraie et autres poésies) C hi ha visitato la parte settentrionale del Vaucluse (la Valchiusa di Petrarca), sconfinando nella cosiddetta Drôme provenzale, conosce bene la tortuosità di quelle strade dipartimentali che serpeggiano tra colline di rocce e lecci seguendo spesso il corso di fiumi e torrenti: “né un pianoro, né una valle, ma una confusione di depressioni e di colline” (La promenade sous les arbres). La casa dove Philippe Jaccottet vive insieme ad Anne-Marie dal 1953 è innestata nelle mura fortificate che racchiudono la cittadella di Grignan, dominata dal castello della marchesa di Sévigné. Più di ogni altra figura del XVII secolo francese, l’illustre marchesa può essere definita senza tema di smentite – e in tutte le accezioni che questa espressione può prevedere – come una vera “donna di lettere”: la sua corrispondenza infatti è sterminata, e non può meravigliare quindi se a Grignan si tiene ogni anno un Festival de la Correspondance. Le abitazioni incluse nelle mura cittadine sono tanto affascinanti quanto inadatte alle persone pigre: una volta entrati vi trovate spesso su un semplice pianerottolo dal quale dovrete scendere di un livello per arrivare ai locali di soggiorno ed eventualmente al giardino, oppure salire verso le stanze ai livelli superiori. Inutile sperare in un ascensore: gli edificatori della cittadella non l’avevano previsto. Ma le spesse mura antiche hanno dalla loro un pregio impagabile: quello di proteggervi dal calore che già a maggio può raggiungere, in queste lande provenzali, dei picchi al limite della sopportazione. I disegni di Anne-Marie e quelli degli amici artisti – come Gérard de Palézieux, attraverso il quale Jaccottet si appassionerà all’opera di Morandi – sono appesi nel soggiorno, dove si trovano anche un pianoforte e qualche dozzina di libri: gli ultimi arrivi che at- tendono di essere letti o sistemati nelle biblioteche di casa. Quando un italiano arriva in casa Jaccottet è quasi inevitabile che la conversazione si sposti prima o poi sui viaggi che Philippe, già a partire dal 1946, compie nelle nostre contrade. Molti di questi ricordi – tra i quali il resoconto di un viaggio in treno fra le macerie di un’Italia appena uscita dalla Seconda guerra mondiale – si possono leggere nella raccolta di prose intitolata Libretto. E al paesaggio italiano si affiancano i nomi degli amici poeti, a partire da Giuseppe Ungaretti, che Jaccottet incontra nel suo primo viaggio in Italia, e che poi tradurrà in modo esteso negli anni successivi (si veda a questo proposito il volume Jaccottet, Ungaretti: correspondance, 1946-1970). Ma tra gli amici italiani è doveroso menzionare almeno Mario Luzi, Piero Bigongiari, e poi il compianto Luciano Erba, che oltre a essere stato tra i maggiori poeti italiani del ’900 ha anche avuto grande rilievo come francesista. E poi il nostro comune amico Fabio Pusterla, svizzero come Philippe, poeta e traduttore princeps di Jaccottet in italiano, nonché autore della prefazione che accompagna il recente volume delle opere di Jaccottet uscito nella prestigiosa “Bibliothèque de la Pléiade” dell’editore Gallimard. Ma il mondo delle lettere non è necessariamente l’argomento prediletto di Philippe, che preferisce di gran lunga conversare sulla natura e sui paesaggi; quelli che ha attraversato durante i suoi numerosi viaggi, ma soprattutto quelli in cui vive: “Non ho mai smesso, da anni, di ritornare a questi paesaggi che sono anche la mia dimora” (Paysages avec figures absentes). Quando il clima è favorevole, Jaccottet ama far accomodare i suoi ospiti nel giardino, non prima di averli accompagnati per una visita guidata alle piante verdi o fiorite, alle quali dedica volentieri molte delle sue ore. Ma non sono necessariamente le nobili rose o le magnifiche dalie a rubare l’attenzione del poeta. Philippe mi mostra, nei piccoli anfratti tra le pietre del selciato, i minuscoli fiori della linaria, ai quali ha dedicato una breve prosa poetica, ancora inedita in Francia ma 3 uscita in edizione originale italiana e francese per le edizioni d’arte Quaderni di Orfeo. Sono infatti le piccole cose da nulla, come i fiori della linaria, che maggiormente ci sanno parlare del carattere di un poeta come Philippe Jaccottet: “Partire dal nulla: è questa la mia legge. Tutto il resto è fumo in lontananza” (La Semaison). Sono passati alcuni anni dalla mia prima visita a casa di Philippe, ma l’evento che mi ha colpito maggiormente di quel giorno è accaduto solo dopo aver abbandonato l’abitato di Grignan, sulla strada che mi avrebbe riportato per la notte a Vaison-la-Romaine. Il buio era già sopraggiunto e – non conoscendo bene quelle strade non illuminate – ero concentrato sulla guida. Difficile incrociare altre auto in quelle zone di traffico scarso o nullo, quindi potevo tener accesi i fari abbaglianti. Ed è dietro una delle tante curve e controcurve che appare, improvviso e immobile, posato bianco sulla linea bianca di mezzeria, gli occhi fissi, spalancati e ipnotizzati dai fari della mia auto, un barbagianni. Quasi costretto da un automatismo pavloviano, dopo un primo istante di meraviglia il mio pensiero corre subito a quella che Philippe considera come la sua prima raccolta di poesia (a dire il vero ce ne sono state altre due prima, ma Jaccottet si è sempre rifiutato di ripubblicarle), intitolata L’Effraie; e come per rivelazione capisco improvvisamente da dove può arrivare la doppia valenza semantica di questo vocabolo, effraie, che significa – appunto – barbagianni, ma che richiama anche quel verbo, effrayer, traducibile con spaventare. Non ho mai raccontato di questo avvenimento a Philippe nei nostri incontri successivi, ma ho come l’impressione che lui ne sia sempre stato – chissà per quali vie traverse – a conoscenza. Era forse un modo che lui stesso aveva escogitato per dirmi un ulteriore arrivederci, per ricordarmi di mantenere i contatti: “Se penso alla poesia, sono costretto a pensare immediatamente a dei legami, delle alleanze, quanto meno a dei contatti” (Observations 1951-56). Marco Rota Philippe Jaccottet L A LINAIRE L A LINARIA La linaire, dite aussi “ruine de Rome”: une fois encore la merveille qui surprend et convainc dans l’instant même qu’on la découvre, et c’est, ce matin, parce qu’elle court sur les dalles d’une terrasse, alors qu’on ne l’avait jamais vue jusqu’ici qu’accrochée aux pierres d’un vieux mur, comme suspendue en l’air – et je me souviens qu’alors, ses fleurs pâles m’avaient fait penser à d’infimes acrobates. La linaria, detta anche “rovina di Roma”: ancora una volta la meraviglia che sorprende e convince nell’istante stesso in cui la si scopre, ed è – questa mattina – per il fatto che corre sul lastricato di una terrazza, quando finora non l’avevamo mai vista se non abbarbicata alle pietre di un vecchio muro, come sospesa nell’aria – e mi ricordo che allora i suoi fiori pallidi mi avevano fatto pensare a minuscoli acrobati. Cette file de très petites fleurs comme une procession d’insectes gracieux, ou un collier qu’on aurait laissé tomber et s’allonger là, le “presque rien”, sans poids, sans brillant, sans parfum, sans voix, qui ne retient le regard qu’en ne le retenant qu’à peine : l’entrevu du coin de l’œil. On pourrait penser à un tintement lointain, mais pour les yeux: fait de sons distincts et clairs, quoique tout juste perceptibles ; ou à de minuscules pèlerins se rendant on ne sait où en lignes souples; et pourtant non… Quella fila di piccolissimi fiori, come una processione di graziosi insetti, o una collana lasciata cadere e distendersi lì, il “quasi nulla”, senza peso, senza splendore, senza profumo, senza voce, che non trattiene lo sguardo se non trattenendolo a malapena: intravisto con la coda dell’occhio. Si potrebbe pensare a un lontano tintinnare, ma per gli occhi: fatto di suoni chiari e distinti, benché appena percettibili; o a minuscoli pellegrini che vanno chissà dove in agili file; On verrait bien ces fleurs piquées dans une eppure no… chevelure dénouée – et d’ailleurs, quelques jours plus tard, elles se seront d’elles-mêmes Vedremmo bene questi fiori puntati in una formées en guirlandes, en couronnes. Encore capigliatura sciolta – e d’altronde, qualche qu’on soit conduit ainsi, pour peu qu’on se giorno dopo, avranno essi stessi preso forma laisse aller, plutôt vers le domaine de la légère di ghirlande, di corone. Sebbene saremmo enfance que vers les premières vagues de dé- portati, se solo ci lasciassimo andare, nel sir animant une joue encore ignorante des ca- mondo dell’infanzia lieve, piuttosto che verso i primi moti del desiderio che animano una resses. guancia ancora ignara di carezze. Une file de lucioles en plein jour. Una fila di lucciole in pieno giorno. Habitantes d’un ailleurs indistinctement mêlé à notre ici, comme semblent l’être nos pa- Abitanti di un altrove indistintamente amalroles, quelquefois. gamato al nostro essere qui, come sembrano esserlo le nostre parole, a volte. Traduzione di Marco Rota 4